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Abbiamo provato Hitman 2 con un codice fornito da Warner Games. |
Il gioco è disponibile per PlayStation, Xbox One e PC dal 13 novembre 2018.# Red Dead Redemption |
L’attesissimo western di Rockstar Games è ambientato in quella terra tenebrosa in cui i sogni lasciano il passo alla lotta per la sopravvivenza. Riusciranno i giocatori a sopravvivere alla disillusione? |
Dal ghetto alle ville delle celebs? In Grant Theft Auto 5 si può fare e basta un indirizzo a dimostrarlo. 3671 Whispymound Drive è la nuova casa di **Franklin Clinton**, uno dei tre protagonisti del videogioco più venduto della storia. Arrampicata sulle colline di **Vinewood** – leggi Hollywood –, con due piani, garage, piscina infinity con panorama sulla metropoli di Los Santos, è dotata di ogni confort. E Franklin è un fuorilegge che si gode la vita. |
In **Red Dead Redemption 2**, il nuovo titolo Rockstar Games che arriva 5 anni dal lancio di quel fenomenale GTA, la musica è del tutto diversa. Quella di Dutch van der Linde è una banda di fuorilegge duri, sporchi e disperati, che si muovono di accampamento in accampamento, di regione in regione, senza tregua e senza pace. Nel 1899 l’era dei pistoleri e del selvaggio West sta finendo e non c’è più posto per loro, alfieri di un modo di vita che non è più sostenibile. Vivono come poveracci, campano di espedienti, le danno e le prendono in continuazione. Ma felici? Felici non lo sembrano mai. |
## La trama. |
Nonostante quel “2“ nel titolo, questo è il **prequel** – ambientato nel 1899 – del primo capitolo, che prende luogo dodici anni più tardi e dove il protagonista è **John Marston**, che qui ritroviamo. Di lui sappiamo che lascerà la banda, si ritirerà con la moglie Abigail e il figlio e poi, per salvare la sua famiglia, darà la caccia agli ex compagni, **Dutch** compreso. Quella è un’altra storia, soprattutto è una storia: quella di un uomo che torna in sella al suo cavallo per combattere i fantasmi del passato e garantire un futuro a se stesso e alle persone che ama. In RDR2 così tanta “storia” forse non ce n’è. |
Negli anni di Fortnite un videogioco ha davvero ancora bisogno di una trama? Red Dead Redemption 2 non ne ha veramente una che ti inchiodi al joypad. Come in GTA, la progressione nel gioco è un continuo rimbalzo tra sequenze narrative – missioni, se vogliamo ancora chiamarle così –, alcune più lunghe, altre più brevi. Ma se lì c’era un filo conduttore, questa è una immensa fuga nel ventre dell’America che si sta civilizzando. Si spara tanto e si fa tutto quello che ti aspetti da copione: rapine al treno e alle diligenze, evasioni. Sfili anche con le suffragette e ti prenderai almeno una colossale sbronza. E poi, puoi divagare, ovviamente. Il mondo è “open” e vastissimo, grande il doppio di GTA 5, anche se come avrai immaginato per la maggior parte occupato dalla natura selvaggia e dalle piantagioni. |
## Arthur Morgan |
Cosa resta, dunque, dopo tutto questo? L’epica. Quella di un gruppo di sbandati che attraversa l’America. E un protagonista, **Arthur Morgan**, su cui non c’è poi forse tanto da dire. Abile pistolero, con **Dutch** praticamente da sempre, incarna in pieno il senso di un gioco che non vuole davvero arrivare da qualche parte, ma dove si cerca di fare durare il viaggio il più a lungo possibile. **Arthur** ha vissuto l’epoca d’oro della banda, che ai tempi doveva essere una via di mezzo tra l’allegra combriccola di **Sherwood** e i Magnifici Sette, con un po’ di **Toni Negri**. Ma in Red Dead Redemption 2 non giochi a quegli anni fantastici, quelli degli ideali e della speranza. Qui siamo nel 1899 ed è un anno di disillusioni, sopravvivenze, faide, e ci si arrabatta per campare, lasciando i sogni per un mondo migliore a riposare sotto il cuscino. Arthur, con il suo taccuino, con i suoi amori persi negli anni, con questa sua indolenza per cui sembra sempre seguire un po’ tutti senza volere mai segnare una strada tutta sua, è il personaggio perfetto per questa storia: un osservatore. Ma, nonostante la meraviglia per le sue doti balistiche, esaltate da replay bianco e nero che talvolta rischiano di fare tracimare nel grottesco un gioco in verità meno caricaturale e iperbolico rispetto alla media di Rockstar Games, nonostante il buon senso che lo anima, nonostante tutti i bellissimi vestiti western che gli puoi comprare, al netto di tutto questo, immedesimarsi nel signor Arthur Morgan è davvero difficile. |
## Il gioco |
Come all’inizio degli **Hateful Eight** o in **Revenant** di Inarritu, il gioco si apre tra distese innevate, sostenuto da una colonna sonora davvero eccezionale (forse la cosa migliore). Il gameplay non si discosta troppo dal primo RDR, scendendo però molto in profondità sulle dinamiche di crescita del personaggio, della cavalcatura e dell’accampamento, con una serie di progressioni da gioco di ruolo e un vasto supporto dell’intelligenza artificiale. È sempre un po’ un GTA western, ma un cavallo è una creatura più complessa di un’automobile e l’interazione con gli altri personaggi si sviluppa in modo elaborato e convincente, sia quella che incontrerai scorrazzando per la mappa, sia quelli della banda. Ci sono anche **Bill Williamson** e **Javier Escuella**, oltre a **John Marston**, l’uomo che dà loro la caccia una decina di anni dopo. E dopo tutte le sparatorie, le avventure, e il reciproco guardarsi le spalle che proverai qui, un po’ ti chiederai come ha fatto a trasformarsi nel loro cacciatore di taglie. |
## Un voto: perché giocare a RDR2? |
Il primo Red Dead Redemption raccontava di un uomo che faceva i conti con il passato. Nel secondo, invece, devi fare i conti con il futuro. Che non c’è. La banda di Dutch non ha pace e non ha casa. Ovunque si stabiliscano, i sognatori di un tempo si trasformano implacabilmente in assassini, e prima o poi devono ricominciare a fuggire. È un gioco senza tregua, enorme e bellissimo, ma anche terribilmente crudele, come se in Civilization ti consegnassero l’Impero Romano all’inizio del suo tramonto. Però cosa c’è di più bello della libertà, quando sei l’ultimo che se la può ancora prendere? |
# Life is Strange 2, la recensione di GQ. L’inizio di un grande western contemporaneo? |
In fuga. È la più classica delle storie americane, quella di **Life is Strange 2**. E forse la più attuale. Abbandonate le atmosfere cliché della prima stagione, che ci ha conquistato una navigazione diacronica tra gli stereotipi del college, si ricomincia dalla **West Coast**. E dalle foreste dello stato di **Washington**. |
Come i pionieri e più recentemente tanti americani che dopo la grande crisi di inizio millennio si sono trovati a percorrere a ritroso le orme delle carovane, cercando una nuova vita lontano dalla città, tra la natura. |
Come **Into the Wild**. |
Come il **Walden** di **Thoreau**. |
Ma nell’**America** di oggi: due ragazzini, americani figli di un messicano, fuggono dalla legge. E si trovano a farlo nel pieno degli Stati Uniti di oggi, quelli del sogno all’inverso, quelli del muro e della diffidenza. |
Come in un western, imparano a combattere per sopravvivere. |
E forse, alla fine, diventeranno dei veri criminali. |
Il primo episodio, ancora più che **Life is Strange 1**, è più di un videogioco, e forse qualcosa di meno. Si ride, ci si commuove, ci si diverte. E disegni anche. Non ti annoi, se scendi a patti con il racconto del gioco, che procede lento come una passeggiata estiva, per farsi improvvisamente brutale. Per amarlo ti ci devi immergere totalmente, le **cuffie** e giocare su un portatile sono la scelta consigliata. Tutto parte come un altro racconto di gente che in fondo odia le feste. Ma qui la vicenda prende all’improvviso una piega che ti incolla alla poltrona, senza perdere il lirismo. |
Se sarà tutto all’altezza del primo capitolo, ne uscirà un grande romanzo americano. E non poteva non essere un western. |
Abbiamo provato **Life is Strange 2** su **Microsoft Xbox X** con a un codice download fornito da Koch Media. |
# It’s the creativity, stupid! 21 artisti di Milano accendono l’Apple Store di Piazza Liberty |
Artisti o creativi? |
Ventuno creativi per una domanda, **[Cosa farai domani Milano?](https://urldefense.proofpoint.com/v2/url?u=http-3A__www.apple.com_it_retail_piazzaliberty&d=DwMFaQ&c=B73tqXN8Ec0ocRmZHMCntw&r=XiwN6p8gdn41AZzzgImZ-vsMyi52hX-WlIcEFdaIN0E&m=UZ5ERw6cQ6CJg7-qxk9m0wqdXvbEedKK1x1bXk5wUHc&s=xjnlvwEGB40wqKtnt-V8AIHlifos_c5kXn0zkqdsToI&e=)**. Ventuno progetti di giovani talenti locali – foto, video, illustrazioni e musica – che accompagnano il lancio del primo store di Cupertino a Milano città, ventuno risposte che da oggi animano le lettere che campeggiano sulla copertura di Apple Piazza Liberty, prima dell’apertura del 26 luglio. Che non vuole essere un semplice negozio, ma uno statement. E ribadire senza mezzi toni l’affinità elettiva tra la Mela e la creatività. Soprattutto qui, a Milano. Quindi bando alle superstar, anche se due tre nomi mainstream – soprattutto tra i musicisti, com’è ovvio che sia – ci sono, come Charlie Charles, l’uomo che sforna i beat per **Ghali** e **[Sfera Ebbasta](https://www.gqitalia.it/show/musica/2018/04/21/sfera-ebbasta-lintervista-innamorato-si-ma-del-mio-business/)**, il rapper Mecna, o Olimpia Zagnoli, l’illustratrice che oramai trovi davvero dappertutto, [anche sulla maglietta della tua ragazza](https://it.marella.com/abbigliamento/oz-fever-olimpia-zagnoli). Ma questa campagna vuole soprattutto celebrare una generazione di artisti e creativi che Milano la rendono grande ogni giorno, con il loro lavoro. I militi relativamente più o meno ignoti della città della moda, del design, dell’architettura, che si muovono all’ombra delle torri che qui sono sempre più numerose, in un numero che un decennio fa non avresti neanche immaginato, da **Citylife** a [quella di **Rem Koolhaas**](https://www.gqitalia.it/lifestyle/eventi/2018/04/19/la-torre-di-prada-60-metri-darte/) per **Fondazione Prada**. |
“Ho scoperto di conoscere la maggior parte dei creativi partecipanti alla campagna, gente che a Milano potrei incontrare quando esco la sera. Il livello è alto e la selezione sembra quasi naturale, come se fosse stata utilizzata una scena esistente in città e trasferita sulla barricata dello store”. Incontro [**Gio Pastori**](http://www.giopastori.com/) nel suo nuovo studio, in una corte a due passi dal **Birrificio Lambrate**. Siamo a inizio luglio e Milano è caldissima; gli scatoloni accatastati sono il segno del recente trasloco e una bottiglietta d’acqua fresca d’ordinanza. Gio è il prototipo del professionista che Apple ha scelto per questa campagna: trasuda creatività a ogni parola; non se la tira da star; è entusiasta di fare parte di un progetto collettivo. E soprattutto, ha parecchio da dire su quello che fa, e quello che fa non è scontato. Gio è un maestro del collage, si trova più a suo agio a ritagliare con la lama che a fare uno schizzo con la matita. Un’arte antica che pratica in maniera molto contemporanea. E così, mentre navighiamo nella sua collezione di carta, da quella per la frutta trovata in Marocco ai fogli acquistati da Modulor, il tempio dei creativi a Kreuzberg, e disfa scatoloni e apre quaderni per mostrarmi cose, racconta del contatto con Apple, di quando gli è stato proposto il tema e della sua istintiva risposta. **Mi ritaglierò spazi di libertà** è la sua personale declinazione del tema comune assegnato a tutti i Magnifici Ventuno, *cosa farai domani Milano*. Un collage creato in maniera tradizionale, “analogica”, e poi assemblato su iPad Pro, di cui ha prodotto anche una versione animata talmente lisergica e fuori dal tempo che sembra uscita dritta dritta dal film **Yellow Submarine** dei Beatles. “Un viaggetto”, lo definisce lui sorridendo. Ma anche, in qualche modo, la storia della sua vita, quella del ragazzino che nato a Milano si trasferisce a qualche chilometro dalla grande città, a Treviglio, dove trascorrerà l’infanzia in mezzo al verde. Un posto dove fuggire dalla città, anche soltanto con la mente. |
**[Bea De Giacomo](http://www.beadegiacomo.com/instagram/)** è una fotografa e nel suo portfolio vanta collaborazioni con The New York Times, Wallpaper* e Vogue Italia. “Ho una pessima memoria, ma guardando una foto mi riaffiorano alla mente suoni, odori, emozioni”, racconta, ricordando quando ha iniziato a fotografare, verso i vent’anni d’età. E aggiunge: “A un certo non usavo più la fotografia solamente per questo, e da lì ho capito che sarebbe diventato il mio lavoro”. |
Bea non è di Milano, ma è nata in un paesino vicino al lago, al nord della metropoli. Un mondo parallelo. “Il primo skate dal vivo l’ho visto a 15 anni”, racconta lei. “A casa mia non prendeva nemmeno MTV!”. |
**Guarderò oltre la superficie del tempo** è il titolo del suo progetto. Per Apple, ha fotografato i riflessi di un immaginario Naviglio. “Molti considerano Milano una città caotica, invece per me è possibile ritagliarsi dei momenti di contemplazione, in cui stare fermi a osservare”. Per realizzarlo, ha cambiato le sue abitudini, abbandonando il medio formato, che predilige, per scattare tutto con iPhone X. “È stata la mia prima volta”. |
Dalla Darsena al sottobosco creativo all’ombra del Bosco Verticale. Il quartiere Isola è quello prima popolare poi dei fermenti di inizio millennio, della riqualificazione urbana e oggi dei bar e ristoranti un po’ chic, un po’ hipster. Una zona dove la creatività sta di casa. Circondato dalle sue creature di plastilina, che sono la sua arte, **Stefano Colferai** mi accoglie nel suo studio, dove mi accomodo di fianco alla replica cartoonesca di un hamburger multistrato. “Failing in football career I embraced plasticine”, recita il suo Instagram; davanti ai miei occhi (e quelli del panino) ricompone la sequenza del quadro animato che ha prodotto per Apple: un omino che dorme su una poltrona, e un codazzo di pesci che gli fa volare intorno, maneggiandoli come in uno stranissimo teatrino delle marionette. **Piglierò i pesci** è il suo contributo all’affresco di Milano dei 21 artisti scelti da Apple. La lettera “A”, come sottolinea lui stesso. La sua arte, così di primo istinto, sembra quasi anacronistica. Nell’epoca del tutto digitale questo suo modellare creature direttamente con le mani, dare vita a un blocco di materia informe ha il fascino di una meraviglia dimenticata, fa scaturire le memorie di quando da bambino tantissimi anni fa anche tu passavi i tuoi pomeriggi così. Stefano ne ha fatto un mestiere. La sua opera è partita da un’idea – anzi, all’inizio tre –, poi la plastilina, un numero infinito di scatti fotografici, trecento, realizzati con meticolosa cura – lui si dilunga per svariati minuti nel tentativo di farmi capire come facciano i pesci ad accelerare quando si tuffano, nel video – e tutto finisce con il montaggio sul MacBook. Due settimane di lavoro, in tutto. Con una sfida, perché fare volare gli oggetti, con la tecnica che utilizza lui, è molto complicato. “Posso anche fare fatica, ma solo la plastilina mi fa fare quello che voglio”, racconta. Tutto inizia quando ha 18 anni e va via a Londra, “Per cercare me stesso“, aggiunge con un tono che sa tutto tranne che di cliché. Poi le cose le ha trovate qui a Milano, “nel mio posto”, aggiunge. Un decennio più tardi, la sua passione è diventata il lavoro della vita. Quando Apple l’ha contattato, si è chiuso un cerchio. Dice che gli sono tornati subito in mente gli anni di Londra, quando andava nell’**Apple Store** di **Covent Garden** non per acquistare qualcosa, ma per respirare l’aria che c’era lì. “Quando Apple mi ha chiamato ero talmente preso bene che non ho capito di cosa si trattasse”, ammette. E poi ha pensato a Milano, la città dove non ti fermi mai. Perché se dormi non pigli pesci. E allora gli si è stampata in testa la fotografia che ha trasformato in film. “Per questo lavoro devo fare volare le robe, mi sono detto”. E ce l’ha fatta. |
**A partire dal 26 luglio, ogni giorno, Apple Piazza Liberty verrà animata dalla programmazione di Today at Apple, una serie di eventi interattivi che vedranno protagonisti i creativi dello store, ma anche i talenti che hanno partecipato alla campagna di lancio. Le iscrizioni saranno possibili a partire dal 20 luglio all’indirizzo [www.apple.com/today](http://www.apple.com/today)** |
Chi dorme non piglia pesci, Stefano [chiusura con Stefano su Apple Store o su altri creativi] |
Stefano Coferai |
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XXXXXXCredo sia questo il bello di questa "comunità": l'appartenenza non è dettata dall'omologazione bensì dalla sincera ammirazione e curiosità nei confronti dell'altro (nella maggior parte dei casi). Non ci si veste tutti uguali, forse non si ascolta la stessa musica ma ci si sente bene comunque, anzi la creatività è amplificata, l'ambiente è favorevole alla libera e alla nuova espressione. Credo che tutto questo traspaia nei lavori che ho visto e nel loro stare insiemeXXXX |
Lo incontro nel suo nuovo studio a due passi da Lambrate. |
Gionata caldissima di luglio |
Un mago dei collage, lama. |
Mi ritaglierò spazi di libertà |
Un affascinante viaggio attraverso la sua collezione di carta, dalla carta per la frutta trovata in Marocco a Modulor, il tempo dei creativi di Kreuzberg. |
La sua risposta a Cosa farai domani Milano? è… “un viaggetto”, come lo definisce lui stesso |
[descrizione collage, “Avere tempo per andare in un posto bellissimo”, “Ci ho messo me stesso”, da piccolo stava a Treviglio, in mezzo al verde”, dove ha passato l’infanzia] |
# David Beckham e il senso del tempo |
Da quando ha appeso gli scarpini al chiodo non lo ferma più nessuno. Una chiacchierata sulla sua seconda vita con l’ex calciatore ambassador di Tudor |
La sua passione per gli orologi è di vecchia data. E irreversibile come il regalo che un uomo si fa col primo stipendio della sua vita. **David Beckham** di orologi ne ha avuti molti: eleganti, normali, esagerati. Qualche anno fa in un negozio vintage di Londra ne trova uno che gli sembra meraviglioso. Ha il quadrante blu, un cinturino particolarissimo. “Qualcosa che non avevo mai visto”. Un **Tudor**, il marchio di orologeria svizzera le cui origini risalgono al 1926, quando il nome «The TUDOR» viene registrato per conto di **Hans Wilsdorf**, fondatore di **Rolex**. Ed è un orologio Tudor quello che Beckham porta sul tatuatissimo polso sinistro nella suite dell’Armani Hotel dove lo incontro. Racconta che è una passione di famiglia, tanto che vanno matti per gli orologi anche i suoi quattro figli, autentici protagonisti di questa sua seconda vita di successo. Quella in cui ha riavvolto il tempo e sulle fondamenta di una bellissima carriera di calciatore ha costruito una figura di riferimento per il gentleman contemporaneo. Dal vivo l’ex di **United**, **Real** e anche **Milan** è come te lo aspetti e anche qualcosa di più: elegante in maniera impeccabile, con le scarpe così immacolate che sembrano appena uscite dalla scatola. La voce pacata, i modi delicati. Sotto il completo, il fisico pare asciuttissimo. “L’altro giorno mia figlia mi ha chiesto perché mi alleno ogni mattina”, racconta sorridendo. Il “nuovo” Beckham boxa, va in bici, fa palestra. “Lavorare sodo”, con il fisico e con la mente, è da sempre il segreto semplice e genuino del suo successo, ancora da prima che a sedici anni entrasse nel **Manchester United**. |
Ora che non è più un atleta, ma un uomo di business, **Becks** ha scoperto nuove passioni; qualche piacere in più: un bicchiere di vino rosso, il whisky buono - ne produce uno lui stesso, l’Haig Club. L’arte. Ma è rimasto fedele a se stesso, elegante e concreto com’era sul campo da calcio. E se gli chiedi a cosa serva un orologio, ti risponde sorridendo: “La funzione principale di un orologio per un uomo è farlo arrivare puntuale”. Ma dopo la battuta, arriva la puntualizzazione, perché un segnatempo in termini di eleganza ha la stessa importanza di un abito. Qualche settimana dopo quella scoperta a Londra, è entrato in contatto con Tudor. E dal 2017 è brand ambassador del marchio e della campagna **Born To Dare**, “nato per osare”. |
**Solitamente gli atleti spariscono, quando si ritirano. Tu hai ribaltato questa regola non scritta**. |
“Mi piace lavorare. L’etica del lavoro mi è stata instillata dai miei genitori quando ero piccolo, mio padre usciva per lavorare alle sette e tornava alle otto di sera, e anche mia mamma che faceva la parrucchiera. |
Appena mi sono ritirato ero pronto a entrare nel mondo del business. È importante per ogni atleta continuare a essere impegnato. Ed è importante per me, perché ho quattro figli e voglio educarli bene. Non è normale ritirarsi a 38 anni. Dopo la mia prima carriera, ora ho questa e continuo a lavorare duro e insegnare loro la giusta lezione”. |
**Quando hai capito di essere diventato famoso?** |
“Cerco di non pensare a me stesso come a una celebrità. Io volevo diventare un giocatore di calcio professionista, non famoso. Quando ero molto giovane sono uscito sul giornale locale. Era la prima volta in cui ho avuto un po’ di fama. Ma il vero momento in cui mi sono sentito celebre è piuttosto recente, risale a quando vivevo a Los Angeles ed ero a una partita dei Lakers, in fila per il bagno. Aspettavo da un po’. All’improvviso la porta si apre, esce **Jack Nicholson**, mi supera e dice «Tutto bene, David»?. E io mi sono chiesto, ma davvero? È stata la prima e forse l’unica volta in cui mi sono reso conto che la gente mi conosce”. |
**Cosa fai nel tempo libero?** |
“Non ho molto tempo libero, ma quello che ho mi piace spenderlo con la famiglia, i bambini, mia moglie. Appena ho appeso gli scarpini al chiodo ho cominciato subito la mia seconda carriera. Viaggio molto, forse ancora più di quando giocavo. È molto più facile giocare a calcio! Quando non lavoro, mi dedico alla famiglia. Accompagno e vado a prendere i bambini a scuola, cucino per loro”. |
**Orologi, passione nuova o antica?** |
“Gli orologi sono una mia vecchia passione. Con uno dei primi assegni del Manchester United ho comprato un orologio. È il tuo stile che cambia nel corso degli anni. Sono passato dall’indossare orologi normali a orologi con dei diamanti sopra. Ora sono tornato a indossare orologi eleganti e per questo mi sento fortunato della partnership con Tudor, un brand molto elegante in un modo che ti permette di usarlo di giorno e anche la sera“. |
**\#borntodare, nato per osare, è lo slogan di Tudor. È anche il tuo?** |
“Quando abbiamo parlato per la prima volta di **Born to dare**, ho sorriso, perché è la mia vita. Mi piace fare cose in modo differente, cose che gli sportivi non farebbero come andare in moto. Ma penso anche che sia un grande slogan per Tudor, un’azienda che ha una lunga storia e continua a reinventarsi. Quando hai uno slogan così devi essere autentico. Penso di essere la persona giusta per il brand”. |
Subsets and Splits