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L’approccio al design di Harman (e quindi di Jbl) è cambiato con il Covid, spiega a *Domus* Schluender. Prima di tutto sotto il punto di vista del processo, perché il team di prodotto, i progettisti e gli ingegneri, è da sempre “molto internazionale”. E di conseguenza è sempre stato molto internazionale anche l’approccio alla creazione dei nuovi dispositivi. La pandemia ha infranto la magia del melting pot. “We’re going to expand the international footprint of the design team”, annuncia.
Ma non c’è solo questo. Per via del Covid e della congiuntura geopolitica, dice, il design sta cambiando. “People are looking for simplification”: prodotti che fanno cose precise e specifiche e lo annunciano in modo semplice. ==Semplicità è la nuova parola chiave del design==. C’è anche necessità che l’estetica si semplifichi. “Simple shapes, simple standards, simple forms, even the transition surface development, very very simple”. A questo si aggiungono autenticità e un desiderio crescente per materiali “reali”, come il legno. ~~Più ovviamente lo scoglio della sostenibilità, per cui i prodotti devono spesso trovare compromessi per ridurre l’impronta sull’ambiente, per esempio usando materiali di riciclo. Questo è parte di una transizione. “Probabilmente torneremo a fare quello che facevamo prima tra cinque anni”, spiega.~~
I riferimenti della progettazione arrivano dalla moda e dall’arredamento. Ma anche dal car design. Schluender elogia [Polestar e il suo approccio progettuale](https://www.domusweb.it/en/design/2023/04/13/polestar-inside-the-studios-of-the-design-led-ev-company.html), “their stunning, beautiful, simplified vehicles, the simplified exteriors shapes, and the color palettes; the super simple assembly, and these beautiful little accents like the little seat belts” sono tutti oggetto di elogio da parte del SVP di Harman. Per lui, spiega, Polestar in questo momento “è sul piedistallo”.
Ma Polestar, un brand nato da una costola di Volvo, ha fatto forza del fatto di non avere una storia alle spalle. La posizione di Jbl è esattamente all’opposto. “Yes, we have this heritage”, risponde il SVP. “But if you look at the design itself, we were able to add those accents and build on that right so we simplify that and build on it”. E cita la storia delle Jbl L100, le casse degli anni Settanta che hanno ispirato in maniera profonda i nuovi speaker Authentics. Quei diffusori erano il frutto del sogno di un designer californiano, che “wanted to change the world by changing the speakers that everybody had”. L’idea originale del suo progetto all’epoca, che introduceva le griglie in schiuma colorata a quadratoni (quadrex), implicava una particolare tessitura, non era del tutto realizzabile, e trova ora compimento nella linea Authentics.
*[foto JBL L100]*
“It’s still relevant today because it was simple”, dice Schluender, per ribadire quanto già detto sull’importanza della semplicità. E ancora: “we can pull the heritage of something simple to the future”.
Schluender, con cui chiacchieriamo nel retropalco, interrotti ogni tanto dai soundcheck che toccano volumi assordanti, è un uomo dalla voce profonda e dalla parlata sciolta, capace di snocciolare concetti dirompenti, a tratti anche controintuitivi, come se fossero una ovvietà. Come si dice in questi casi, è un designer con-una-visione, puntellata dai dati delle tante ricerche condotte da Jbl, fondazione essenziale delle scelte progettuali di Harman. Quando c’è da discutere dell’estetica degli Authentics, che arricchiscono lo spunto delle L100 con profili dorati e un centro di controllo appositamente disegnato, angoli stondati e griglie in schiuma quadre scura, Schluender spiega come alla base dell’ethos di Jbl ci sia la libertà di esprimere se stessi. “E dove ti esprimi meglio, se non a casa tua?”. Per questo il riferimento non è “some artificial Nordic decor”, commentando ironicamente “it's stunning, and the world just isn't made that way”. L’idea alla base degli Authentics è stata invece quella di disegnare un dispositivo che potesse stare in una piccola casa di Hong Kong come a Londra come in uno spazio più ampio. “So we really designed it for people that have all different types of houses. That design is meant to blend in so the color palette is extremely neutral. But we're still able to have those beautiful splashes of detail like a gold color, that dark color”. Gli Authentics non sono un pezzo per designer, ribadisce. E poi, snocciolando con totale semplicità una frase che potrebbe essere tranquillamente lo slogan di questa nuova linea Jbl: “It's designed for reality”.
# Freitag lancia uno zaino che non sembra Freitag, ma lo è nell’anima
ALT1: Con il nuovo zaino Freitag rinuncia ai teloni per camion e fa un salto di paradigma
ALT2: Il nuovo zaino di Freitag è un salto nel futuro e una grossa scommessa
#### L’azienda svizzera racconta a *Domus* il suo prodotto più rivoluzionario dai tempi del debutto, che rinuncia ai teloni dei camion. Diverso da tutto quello che ha fatto fin qui, eppure coerente con i valori fondativi.
Nel 2024 Freitag lancerà sul mercato un nuovo zaino, che introduce un notevole scarto rispetto all’immaginario che il brand di Zurigo ha costruito in tre decenni di vita. Questo zaino non impiegherà infatti i variopinti teloni per camion che hanno reso Freitag celebre da Berlino a Tokyo, da Bangkok a Milano. Eppure, costituisce la più rigorosa evoluzione nella filosofia di un brand da sempre in prima fila per la sostenibilità. Il Mono[pa6] è uno zaino realizzato con un unico e solo materiale, il poliammide 6. Che è facilissimo da riciclare, una volta che il suo ciclo di vita si conclude. A differenza appunto dei teloni dei camion.
C’è un nome più semplice con cui il poliammide è universalmente identificato da quasi un secolo: nylon. Per lo zaino, Freitag ha cercato un tessuto in poliammide idrorepellente sul mercato, ma alla fine la scelta è stata quella di svilupparlo internamente. Il risultato - ottenuto con il supporto ==di un partner di Taiwan== - è un nylon longevo e con membrana esterna idrorepellente, laminato a tre strati, completamente in PA6. “È molto robusto anche se un po’ meno robusto dei teli per camion”, spiega Anna Kerschbaumer, Product and Services Lead di Freitag. Ci sono voluti due anni e passa per arrivarci. “Ma ora abbiamo un materiale destinato a diventare non un rifiuto, ma una risorsa”.
==foto zaino e dettagli==
Lo zaino Mono[pa6] al lancio sarà nero, è prevista un’altra colorazione nella seconda parte del 2024. Di PA6 sono costituiti tutti i componenti, non solo il corpo principale: i lacci e le cerniere (al tiretto sono state aggiunte delle fibre di vetro); la clip del sistema di chiusura. Kerschbaumer sottolinea che quest’ultimo elemento, in particolare, è stato oggetto di molti studi e ripensamenti. Non era facile progettare una chiusura efficace usando solo il monomateriale. Ed è in monomateriale anche la piccola tasca modulare sganciabile che c’è sulla parte frontale, che diventa una comoda borsetta o può essere attaccata agli spallacci per contenere smartphone o documenti. Uno zaino forse non era il prodotto più semplice da disegnare per un debutto con un nuovo materiale. “L’abbiamo scelto perché gli zaini sono molto popolari”, dice Kerschbaumer.
Siamo di fronte a un salto di paradigma per Freitag.
Non è la prima volta che il brand svizzero cerca altre soluzioni per i materiali dei suoi prodotti. Recentemente è stata lanciata una lineup che impiega un tessuto in PET riciclato dalle bottigliette, con nuove uscite previste per l’autunno. Qualcosa di un po’ diverso dal solito e più facilmente riciclabile. Ma sul tessuto nero c’è sempre un ritaglio di telone che è la firma del marchio.
==foto zaini in pet==
Rispetto alla linea Tarp on Pet, lo zaino Mono[pa6] è sicuramente una mossa audace. Più futuristica. E un pugno nell’occhio rispetto alla visual identity che il marchio svizzero ha costruito in tre decenni - ricorre quest’anno l’anniversario. Ma è coerente con la filosofia del brand. Anzi ne rappresenta un esito quasi matematico. Una evoluzione coraggiosa, seppur lineare. Qed.
Fin dal suo inizio l’azienda fonda sul riuso la sua produzione. Avendo cominciato così tanto prima che il termine sostenibilità riempisse le agende dei dipartimenti marketing dei marchi di tutto il mondo e le relative campagne di comunicazione, paradossalmente quell’aspetto è finito per passare sotto traccia nell’identità del brand. E di certo altri sono stati più lungimiranti e scaltri a spendere il concetto di sostenibile nella costruzione propria identità (citofonare Patagonia se avete dei dubbi).
Se Freitag non fa immediatamente rima con sostenibile, ci ha messo sicuramente uno zampino, creandosi una aura da brand di design, per non dire di lusso: rispetto alle estetiche lo-key e talvolta sciatte dei tanti paladini ecofriendly presenti e futuri, l’azienda di Zurigo si è imposta con un tripudio di colori scintillanti; con prodotti che sono industriali e al tempo stesso pezzi unici tutti diversi l’uno dall’altro, eppure riconoscibilissimi; con un packaging che ha fatto scuola anche in Oriente.
==foto packaging==
Il marchio nasce nel 1993 su intuizione dei fratelli Markus e Daniel Freitag. L’ispirazione sono le borse dei messenger in bici americani. I materiali sono quelli che i fratelli vedono tutti i giorni, sulla tangenziale davanti a casa: i teloni dei camion. Ma anche camere d’aria usate e cinture di sicurezza. ==Freitag è una distopia urbana ballardiana, trasustanziata in design==. Le prime borse le vendono su un ponte che immette alla tangenziale, a ridosso dei binari della ferrovia. Oggi nel quartiere resta come presidio il celebre flagship store costruito con i container, con una torre che fa da osservatorio su una Zurigo che inesorabilmente si trasforma. Gli unici soldi che Daniel e Markus chiedono ai genitori è per una macchina da cucire industriale, vuole la leggenda di Freitag. Siamo a metà anni Novanta, non bisogna pensarla come una startup di oggi. Non ci sono incubatori, non ci sono angels, non ci sono bocconiani freschi di master pronti a inscatolarti nel template di un business plan, gli unicorni sono ancora soltanto animali fantastici. Il brand nasce nel salotto di una casa di ventenni e cresce grazie al passaparola.
==foto store con container==
Difficile trovare molti esempi più rappresentativi del design industriale anni Novanta di questa azienda in cui “designer” non è solo chi disegna il progetto, ma anche chi sceglie e taglia le porzioni di telone che vengono assemblate nella fabbrica di Oerlikon. Variopinti patchwork di soluzioni dal basso dove si incontrano qualità del progetto e orgoglio della diversità, i prodotti Freitag non stonano in un mercatino del sabato come tra le mura di un nuovo mall asiatico di lusso. Lo usa l’amica architetta che ancora si veste come una raver degli anni d’oro e il ragazzetto che senza un capospalla Off-White e le Suicoke non mette piede fuori di casa. Lo usa chi si veste 100% usato o con materiali sostenibili e certificati.
Freitag è un prodotto radicale, la cui aura risplende ancora oggi nella scia dell’utopia della crescita infinita del clintonismo; nasce negli anni di benessere in cui le controculture diventarono il mainstream, quello spirito è irreversibilmente parte della sua filosofia. Ma per affrontare il presente dell’Occidente sempre più povero e l’ansia di un mondo che viaggia verso la catastrofe, serve qualcosa di diverso. Qualcosa di più.
==foto fabbrica==
Lo zaino che uscirà nel 2024 è solo la punta dell’iceberg nell’oceanica vastità di ricerche e iniziative dell’azienda per innovare non solo sé stessa, ma anche il suo mondo di riferimento. Freitag, spiega a *Domus* la sustainability officer Bigna Salzmann, ha aperto un tavolo con i produttori di teloni per camion per individuare nuovi materiali che sostituiscano quello attuale e che siano interamente circolari. Solo così anche la materia prima delle borse e degli zaini diventerà riciclabile. Si sperimenta con Pet, Tpu, Bio Pbs e altri. L’obbiettivo è usarne 500 tonnellate entro il 2030. Per questa data, Freitag vuole essere presente sul mercato con il 99% di prodotti circolari, spiega Salzmann.
==foto piattaforma di scambio borse usate==
Intanto, sono state messe in pista una serie di iniziative che allungano il ciclo di vita delle borse già in circolazione. Attraverso store e online, Freitag incoraggia la riparazione e solo nell’ultimo anno ne sono state eseguite 6737. In più una apposita piattaforma, ispirata ironicamente a Tinder nell’interfaccia, permette di “swipare” le Freitag di chi non le vuole più per proporre uno scambio con la propria che magari non piace o ha annoiato. L’anno scorso ne sono state scambiate in questo modo 6784. E poi ci sono iniziative per affittare le borse per una vacanza di qualche settimana, anziché comprarle e lasciarle inutilizzate, e l’introduzione di un programma “stile Netflix” per avere sempre una borsa pagando un fisso mensile. Tutto cade sotto l’ombrello di una azienda che si sta spendendo nel costruire un “design intelligente per un futuro circolare”, dice Bigna Salzmann, che definisce il Mono[pa6] come “una sfida”, che è sicura aprirà nuovi orizzonti per il brand.
*Lo zaino Mono[pa6] sarà disponibile nel 2024 in punti vendita selezionati al prezzo di 360 CHF.*
 
# Leandro Erlich mostra chi siamo diventati e cosa cerchiamo nell’arte
La mostra dell’artista argentino a Palazzo Reale è un luna park che raggiunge l’apice nel suo riflesso social su Instagram. Ed un ottimo specchio di noi stessi
[Dropbox - ERLICH_MILANO - Simplify your life](https://bit.ly/ERLICH_MILANO)
### la mostra
Batiment
### cos’è instagrammabile
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# Galaxy Fold unveiled: the good, the bad and the Samsung
The new device represents a radical revolution that will be perceived as a natural evolution of the species. Super powerful and not cheap, gorgeous when unfolded but odd-looking in its smartphone form, it will hit the shelves in April.
It’s not magic as your first smartphone. But still magic. And less controversial than ten years ago, when a touch screen with no physical button, for example, wasn’t for everybody. Samsung has launched its first foldable smartphone. Its name is simply “Galaxy Fold”. From a user point of view, it’s not a revolution, but a radical evolution - a mutation of the species, a darwinian leap forward of the phenotype that everybody knows as “smartphone”. Basically, it’s a retro-looking 4,7” display huge smartphone with ugly bezels (why, Samsung, why!) that will easily fit in large pockets. When the user wants to “enlarge” its experience, the phone folds up like a book and every open activity seamlessly continues on the bigger, 7.3” flexible AMOLED display, the “Infinity Flex Display”. That can be a music video on YouTube, navigation through Google Maps, or maybe you just need to text someone without pausing the last episode of *Sex Education* on Netflix. The Galaxy Fold is a smartphone that pops up and becomes a tablet with multitasking capability of 3 contemporary apps on screen.
The Galaxy Fold will be available from April in 4 different colors, Space Silver, Cosmos Black, Martian Green, and Astro Blue, at a cost of $1980. The incredibly high price tag is justified not only by the novelty of this long-expected innovative smartphone but also by the overload of tech specs that this device comes with: 6 cameras, 2 internal batteries, a next-generation AP chipset and a gigantic slice of RAM, 12GB, that will guarantee, Samsung declares, “PC-like performance”, plus 512GB of internal storage. “Samsung Fold answers skeptics that say that everything possible has been done”, declared DJ Koh, Samsung CEO, launching the device in San Francisco.
The design of the Galaxy Fold represents a huge break from the past. New materials and new construction processes were invented to make this device possible, al declared DJ Koh. For example, the hinge that links the two internal displays and makes all the foldable process possible, it’s something radically new, never seen on any device before, achieved with a series of interlocking gears, totally conceived in the smartphone’s case. It’s the glory and the most delicate part of the Samsung Fold, the first consumer device of a completely new category. Only further tests and reviews will tell us if this is the masterpiece that was expected from the Korean brand to crown its lead in the smartphone market or the kind of innovation that will require more time to be refined and find its state-of-the-art condition.
# Moshi Arcus, lo zaino fotografico che non diresti
Cosa possiamo chiedere, oggi, a uno zaino fotografico? Di essere spazioso abbastanza da portare non solo quello che ci serve per fotografare, senza risultare troppo ingombrante; e che ci permetta di estrarre velocemente la macchina fotografica, senza incastrarci tra cinghie e spallacci quando indossiamo un cappotto o una giacca da pioggia. Soprattutto, dovrebbe essere bello: il che significa non assomigliare alla maggior parte degli zaini fotografici che conosciamo.
**Moshi** è una azienda specializzata in accessori per smartphone, tablet e portatili, che si distingue per un design curato che si allontana parecchio da quello supertecnico e anonimo a cui ci siamo abituati. Lo zaino fotografico **Arcus** incarna in pieno questo stile: diresti che sia tutto, tranne che uno zaino per macchine fotografiche, con le sue linee vintage ispirate, come dice il nome, a quel genere particolare di nubi basse che assumono una forma di arco allungato, e per via della particolare combinazione di materiali, tra il rivestimento impermeabile in tessuto che sembra tela, i dettagli in pelle vegana, gli elementi in lega di zinco. Insomma, è molto bello, da vedere e anche da toccare, sia nella versione nero carbone, sia in quella marrone vintage, sia in grigio titanio (quest’ultima è quella che abbiamo provato).
Il **Moshi Arcus** è uno zaino stretto e allungato di dimensioni discrete (ha una capienza di 20 litri), con uno scomparto imbottito nella calotta superiore e una grande tasca dedicata al trasporto di portatili, latpop, quaderni o documenti che si apre con una comoda zip. C’è un tascone sul davanti e un’altra più piccola sullo schienale, dove riporre in sicurezza **smartphone** o documenti mentre sei in movimento. Soprattutto, c’è un’apertura laterale che ti permette di accedere al modulo dove riporre la **macchina fotografica** – modulo da acquistare a parte. Una volta inserito, lo spazio disponibile nello zaino non è tanto: la custodia per le cuffie, un maglione e poco più.
**Lo scomparto per la fotocamera**. Ovviamente, uno zaino del genere non è adatto a trasportare una **medio formato** o una **reflex** di grandi dimensioni. È invece preziosissimo per fotocamere a telemetro **Leica** o per le mirrorless, come la formidabile **Fujifilm X-T3**; l’aspetto vintage del bagaglio si sposa anche perfettamente con quelle linee che riprendono elementi di design da certi modelli di macchina fotografica degli anni Settanta e Ottanta. La capienza è discreta, permettendoti di portare due obbiettivi (o un obbiettivo e un flash) oltre al corpo macchina con la lente innestata.
Chiunque mastichi di fotografia e abbia provato un po’ di zaini, sa benissimo che la tasca laterale è un bel vantaggio per estrarre velocemente la fotocamera, ma che al contempo la tracolla rende la manovra complicata, e che solo un monospalla può permettere di compiere con velocità questa operazione. Ma gli zaini monospalla sono terribilmente scomodi, oltre che discretamente brutti. L’**Arcus** di **Moshi** non è pensato per il fanatico della fotografia, l’uomo che vedi a tutti gli eventi carico come un albero di Natale. È invece uno zaino godibilissimo per chi ama la fotografia, perfetto per portare con te un corpo macchina e i suoi accessori fondamentali, oltre a tutto quello che ti serve per una giornata di esplorazione in città o nella natura.
# Hitman 2: l’Agente 47 è tornato per farti impazzire
Il reboot continua con location sempre più belle e qualche aiutino in più. Ma se stai cercando un gioco mordi-e-fuggi, guarda da un’altra parte
Parigi, Hokkaido, Sapienza. Ma anche la nave da crociera finta. Ti dicono niente? Sono le missioni che ti hanno rubato ore e ore di vita del reboot di **Hitman**, che si era presentato [timido al suo esordio](https://www.gqitalia.it/news/2016/04/01/il-nuovo-hitman-lultima-frontiera-del-videogioco-sbattimento/?refresh_ce=) con una inedita struttura a puntate, pubblicate mensilmente, raccogliendo plausi crescenti ed entrare nel **gotha** dei migliori videogiochi del 2016. Ed ecco il nuovo capitolo, tutto in una sola portata. L’**Agente 47** cambia bandiera (Warner Bros e non più Square Enix) , cambia città (Miami, Mumbai e la Colombia, tra le altre), ma la ricetta resta la stessa del precedente capitolo: **Hitman 2** è un videogioco super stealth in cui devi creare la migliore occasione per assassinare il tuo obbiettivo, tessendo una ragnatela che si potrebbe squagliare con il minimo errore. Ti travesti, uccidi silenziosamente, rubi armi e utensili, avveleni a go-go, ma sempre con estrema discrezione. Fai di tutto, ma senza farti notare, altrimenti sei condannato: insomma, niente a che fare con quegli Assassin’s Creed in cui zappavi di mazzate l’obbiettivo, gli frugavi nei ricordi e scappavi lesto dalla finestra con un’orda di giannizzeri inferociti alle tue calcagna. **Hitman 2** riprende le cose buone del titolo del reboot (a parte i cutscene non animati, quelli sono orrendi) e ritocca in meglio le dinamiche di gioco senza pregiudicarne gli equilibri. C’è una bella storia di spionaggio e ci sono tanti nuovi scenari, alcuni vastissimi (Miami ha due *setting*, quello di Mumbai è tra i migliori della serie), nuovi costumi, nuove armi, situazioni da sabotare e lavandini da lasciare aperti. Soprattutto, per la prima volta, c’è una voce che ti orienta nella missione, per non lasciarti completamente solo nei giorni in cui la tua letalità creativa è in secca.
“Sappiamo che ci sono molti giocatori che hanno il mito della missione perfetta, ma non funziona proprio così”, spiegano **Maurizio De Pascale** (Chief Technology Officier) e **Marta La Mendola** (Level Designer) di IO Interactive, la casa di sviluppo che c’è da sempre dietro a Hitman. “Ci sono molti modi per recuperare situazioni apparentemente compromesse”, aggiungono. Rivelo loro che mi è capitato di salvare compulsivamente come mai in nessun altro gioco per potermi dare una chance di tornare indietro. E non penso di essere stato l’unico, anzi: Maurizio sorride. “Ti perdi una parte del divertimento, una delle cose più belle è proprio riuscire a trovare una soluzione quando tutto sembra perso”. E quando chiedo ai due italiani di IO Interactive quale consiglio darebbero a chi come me con Hitman va in sbattimento totale, mi rispondono che l’arma più letale di Hitman è “la pazienza”. Perché a differenza del 99% dei videogiochi in circolazione, in questo il tempo è una caratteristica fondamentale. Bisogna solo sapere cogliere il momento giusto. E se proprio non ce la fai più, puoi passare alla modalità multiplayer, dove vestirai i rilassanti – si fa per dire – panni di un cecchino, con la modalità **Sniper Assassin**, o in una gara all’ultimo assassinio nella modalità **Fantasma**.