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---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|
7b2116ec-f833-45f6-bfb5-7c7fbcef327a | Urteilskopf
136 III 369
55. Estratto della sentenza della I Corte di diritto civile nella causa A. SA contro Ufficio del Registro di Commercio (ricorso in materia civile)
4A_106/2010 del 22 giugno 2010 | Regeste
Art. 731b OR
; Mängel in der Organisation der Aktiengesellschaft.
Kurze Darstellung des Inhalts und der Tragweite des am 1. Januar 2008 in Kraft getretenen
Art. 731b OR
(E. 2 und 11.4). | Erwägungen
ab Seite 369
BGE 136 III 369 S. 369
Dai considerandi:
1.
A partire dal 22 maggio 2009 A. SA si è trovata senza un organo di revisione. Conformemente a quanto prescritto dall'
art. 154 cpv. 1 e 2 ORC
(RS 221.411) l'Ufficio cantonale del Registro di Commercio (URC) l'ha pertanto diffidata, sia per raccomandata sia tramite pubblicazione sul FUSC, a ristabilire la situazione legale.
2.
Constatato il mancato ripristino della situazione legale entro il termine fissato, il 17 agosto 2009 l'URC - così come stabilito dall'
art. 154 cpv. 3 ORC
e dall'
art. 941a cpv. 1 CO
- si è rivolto alla Pretura del Distretto di Lugano chiedendo l'adozione delle "misure necessarie" ai sensi dell'
art. 731b CO
, che al cpv. 1 recita fra l'altro:
"[...] Il giudice può segnatamente:
1. assegnare alla società, sotto comminatoria di scioglimento, un termine per ripristinare la situazione legale;
2. nominare l'organo mancante o un commissario;
3. pronunciare lo scioglimento della società e ordinarne la liquidazione secondo le prescrizioni applicabili al fallimento."
BGE 136 III 369 S. 370
2.1
In esito all'udienza di discussione, che si è tenuta il 16 settembre 2009, la giudice ha assegnato alla società convenuta un termine di 30 giorni, giusta l'
art. 731b cpv. 1 n. 1 CO
, per munirsi di un organo di revisione e darne comunicazione alla Pretura, pena lo scioglimento della società.
2.2
A seguito della richiesta formulata in tal senso dalla società, la giudice le ha successivamente concesso una proroga sino al 30 ottobre 2009 per comprovare di aver stabilito la situazione legale e l'avvenuta iscrizione delle relative modifiche a registro di commercio.
2.3
Essendo anche questo termine scaduto infruttuoso, il 26 novembre 2009, in applicazione dell'
art. 731b cpv. 1 n. 3 CO
, la giudice ha dichiarato lo scioglimento della società e ne ha ordinato la liquidazione in via di fallimento.
3.
Il 4 dicembre 2009 A. SA ha impugnato questo giudizio dinanzi alla II Camera civile del Tribunale d'appello, producendo in particolare documenti attestanti che nel frattempo essa era riuscita a ripristinare la situazione legale con la nomina di un nuovo ufficio di revisione. Invano.
Riassunto:
La nomina del nuovo ufficio di revisione, avvenuta solo alla fine del mese di novembre, vale a dire dopo l'emanazione della pronunzia pretorile, non ha potuto essere tenuta in considerazione ai fini del giudizio emanato il 7 gennaio 2010, poiché l'
art. 321 cpv. 1 del
Codice di procedura civile del Cantone Ticino del 17 febbraio 1971 (CPC/TI; RL 3.3.2.1) vieta la produzione di nuovi documenti e l'allegazione di nuovi fatti in sede di appello.
(...)
11.
11.4
Onde stabilire se, nella fattispecie in esame, l'applicazione del divieto di
nova
"non sia legittimata da alcun interesse degno di protezione", come asserito dalla ricorrente, è necessario chinarsi brevemente sul contenuto e sulla portata dell'
art. 731b CO
, entrato in vigore il 1° gennaio 2008.
11.4.1
Mediante l'introduzione di questa norma il legislatore ha voluto istituire una regolamentazione uniforme per sanzionare lacune concernenti l'organizzazione di una società prescritta dalla legge e per porvi rimedio; le basi legali previgenti in questo ambito si erano infatti rivelate poco trasparenti, insufficientemente coordinate e prive di una reale efficacia (Messaggio del 19 dicembre 2001
BGE 136 III 369 S. 371
concernente una revisione del Codice delle obbligazioni, FF 2002 2841 segg. n. 16, in particolare pag. 2918).
L'
art. 731b cpv. 1 CO
, qui riprodotto al consid. 2, non contiene una lista esaustiva delle misure che il giudice adito può pronunciare. La norma concede a questo giudice un'ampia latitudine di giudizio, che gli permette di decidere sui provvedimenti da adottare secondo il proprio apprezzamento, a dipendenza delle circostanze del caso concreto (WATTER/WIESER in Basler Kommentar, Obligationenrecht, vol. II, n. 9 ad
art. 731b CO
; PETER/CAVADINI in Commentaire romand, Code des obligations, vol. II, n. 7 e 8 ad
art. 731b CO
). La dottrina è inoltre unanime nel ritenere che lo scioglimento della società e la sua liquidazione in base alle prescrizioni applicabili al fallimento è la misura più estrema e va pertanto adottata quale
ultima ratio
(WATTER/WIESER, op. cit., n. 25 ad
art. 731b CO
; PETER/CAVADINI, op. cit., n. 21 ad
art. 731b CO
; PIERRE-ALAIN RECORDON, Les premiers pas de l'article 731b CO, RSDA 2010 pag. 1-9, in particolare pag. 4; BÜRGE/GUT, Richterliche Behebung von Organisationsmängeln der AG und der GmbH [...], SJZ 2009 pag. 157-166, in particolare pag. 165; FRANCO LORANDI, Konkursverfahren über Handelsgesellschaften ohne Konkurseröffnung: Gedanken zu
Art. 731b OR
, AJP 2008 pag. 1378-1395, in particolare pag. 1385).
La questione non necessita di essere ulteriormente approfondita poiché la ricorrente non risulta aver censurato la proporzionalità della misura adottata dalla giudice di primo grado sotto questo profilo. Si può comunque osservare che in concreto lo scioglimento è stato preceduto dall'assegnazione di un termine di 30 giorni per rimediare alla situazione, con l'avvertimento che in caso contrario la società sarebbe stata sciolta e posta in liquidazione. Questo termine è poi stato prorogato di 15 giorni, dopodiché la ricorrente non ha chiesto altri differimenti.
11.4.2
Come già detto, la ricorrente censura la decisione della Corte ticinese di non tener conto - per ragioni inerenti all'applicazione del diritto processuale cantonale - dell'avvenuto ripristino della situazione legale pochi giorni dopo l'emanazione della sentenza di primo grado.
A questo proposito merita di essere evidenziato che la liquidazione forzata secondo le prescrizioni applicabili al fallimento, prevista dall'
art. 731b cpv. 1 n. 3 CO
, corrisponde a una precisa volontà del legislatore, avendo la prassi dimostrato che società sciolte in sede
BGE 136 III 369 S. 372
giudiziaria sulla base del vecchio
art. 625 cpv. 2 CO
proseguivano le loro attività senza nessuna restrizione (Messaggio, op. cit., pag. 2919; FRANCO LORANDI, Organisationsmängel von Gesellschaften mit tückischen Folgen: kleine Ursache mit grosser Wirkung, Schweizer Treuhänder [ST] 2009 pag. 89-91, in particolare pag. 90;
lo stesso
, AJP 2008 pag. 1381).
Con la citata revisione è pure venuta a cadere la possibilità di revocare lo scioglimento in caso di ripristino delle condizioni legali nei tre mesi successivi all'iscrizione dello scioglimento, tale eventualità essendo stata mantenuta esclusivamente per il caso in cui venga ripristinato il domicilio legale (
art. 153 cpv. 5 ORC
; WATTER/WIESER, op. cit., n. 26 ad
art. 731b CO
; LORANDI, ST 2009 pag. 91;
lo stesso
, AJP 2008 pag. 1389). WATTER/WIESER accolgono d'altro canto favorevolmente questa modifica, giacché di regola la società ha già avuto in precedenza la possibilità - come è avvenuto nella fattispecie in esame - di rimediare alla situazione d'illegalità.
11.4.3
Alla luce di queste premesse la decisione del Tribunale d'appello di attenersi al divieto di
nova
posto dall'
art. 321 CPC
/TI e, quindi, di non prendere in considerazione l'avvenuto ripristino della situazione legale dopo l'emanazione del giudizio di primo grado, non appare in contrasto con gli intendimenti del legislatore e non può dirsi "non legittimata da alcun interesse degno di protezione" al punto da configurare un eccesso di formalismo.
La possibilità di tenere conto di tale circostanza dipende esclusivamente dalla disciplina processuale cantonale (cfr. LORANDI, ST 2009 pag. 91;
lo stesso
, AJP 2008 pag. 1388) e nulla impedisce al diritto processuale cantonale di proibire l'adduzione di nuovi fatti, prove ed eccezioni in appello (sentenza 5P.153/2000 del 6 giugno 2000 consid. 5). | null | nan | it | 2,010 | CH_BGE | CH_BGE_005 | CH | Federation |
7b251aeb-26c4-461c-a757-d325bd1f7f63 | Urteilskopf
106 II 47
11. Urteil der II. Zivilabteilung vom 13. März 1980 i.S. Z. gegen Euro-Africa-Division der Generalkonferenz der Siebenten-Tags-Adventisten (Verwaltungsgerichtsbeschwerde) | Regeste
Stiftungsaufsicht; Personalfürsorge;
Art. 331 Abs. 1 OR
.
1. Die in
Art. 331 Abs. 1 OR
statuierte Pflicht zur Verselbständigung der für die Personalfürsorge gemachten Zuwendungen ist privatrechtlicher Natur (E. 3).
2. Die Stiftungsaufsichtsbehörden sind für die Durchsetzung der Verselbständigungspflicht nicht zuständig (E. 4). | Sachverhalt
ab Seite 47
BGE 106 II 47 S. 47
A.-
Der Generalkonferenz der Siebenten-Tags-Adventisten (STA) mit Sitz in Washington unterstehen verschiedene Divisionen, unter anderem die Euro-Africa-Division mit Sitz in Bern.
BGE 106 II 47 S. 48
Diese umfasst 16 Unionen in Europa und Afrika, unter anderem die Schweizer Union, einen Verein mit Sitz in Zürich. Ihr gehören an die Deutschschweizerische Vereinigung der STA (ein Verein mit Sitz in Zürich, im folgenden DSV genannt), die Fédération romande des Eglises adventistes (ein Verein mit Sitz in Lausanne) und die Stiftung "Altersheim Örtlimatt" mit Sitz in Krattigen. Der DSV und der Westschweizer Vereinigung sind wiederum weitere Organisationen unterstellt. Sie alle bezwecken im wesentlichen die Verkündung des Evangeliums, den Dienst am Mitmenschen, die Wohlfahrtspflege sowie die Erfüllung sozialer und karitativer Aufgaben.
Die Gemeinschaft der STA unterhält eine Vorsorgeeinrichtung, welche unter anderem Alters- und Hinterlassenenfürsorge betreibt. Destinatäre sind unter bestimmten Voraussetzungen (z.B. Länge der Dienstzeit, Erreichen der Altersgrenze) insbesondere diejenigen Personen, die ihre Tätigkeit und ihr Leben dem Werk der Gemeinschaft der STA gewidmet haben, vor allem Mitglieder und Arbeitnehmer aller Organisationen der Gemeinschaft und deren Hinterlassene im Raume Europa und Afrika. Die Fürsorgeeinrichtung wird von der Euro-Africa-Division besorgt, welche über die Ausrichtung von Beiträgen allein und endgültig entscheidet. Sie wird gespiesen durch Beiträge der der Division untergeordneten Organisationen, die dazu einen gewissen Prozentsatz ihrer Zehnteneinnahmen an die Division ableiten.
B.-
Z., ein Mitglied und Angestellter der DSV, versuchte, die Organisationen der STA zu bewegen, ihre Fürsorgeeinrichtungen den Bestimmungen des schweizerischen Rechts über die Personalfürsorgeeinrichtungen anzupassen und eine Stiftung zu errichten. Als seine internen Bemühungen erfolglos blieben, stellte er am 25. Mai 1978 bei der Stiftungsaufsichtsbehörde des Kantons Bern das Gesuch, die Verselbständigung der bestehenden Fürsorgeeinrichtung der STA sei auf behördlichem Wege durchzusetzen und die Euro-Africa-Division, eventuell die Schweizer Union, sei anzuweisen, eine Personalfürsorgestiftung zu errichten.
Die Justizdirektion des Kantons Bern trat mit Entscheid vom 6. Oktober 1978 auf das Gesuch nicht ein. Z. erhob dagegen Beschwerde, die am 22. August 1979 vom Regierungsrat des Kantons Bern abgewiesen wurde, im wesentlichen mit der
BGE 106 II 47 S. 49
Begründung, die angestrebte Verselbständigung der bestehenden Fürsorgeeinrichtung sei auf dem Wege des Zivilprozesses durchzuführen; die Stiftungsaufsichtsbehörden seien hiefür weder sachlich noch örtlich zuständig.
C.-
Gegen diesen Entscheid erhebt Z. Verwaltungsgerichtsbeschwerde an das Bundesgericht mit dem Antrag, die Euro-Africa-Division der STA sei anzuweisen, diejenigen Mittel des Arbeitnehmerfürsorgefonds, die im Sinne der zwingenden gesetzlichen Bestimmungen eines besonderen Rechtsträgers bedürften, auf eine neu zu gründende Stiftung zu übertragen;, eventuell sei der Regierungsrat des Kantons Bern anzuweisen, die Euro-Africa-Division zu verpflichten, die fraglichen Mittel auf eine neu zu gründende Stiftung zu übertragen.
Der Regierungsrat des Kantons Bern, die Euro-Africa-Division der STA und das Bundesamt für Justiz beantragen die Abweisung der Beschwerde.
Erwägungen
Das Bundesgericht zieht in Erwägung:
1.
Die kantonalen Instanzen haben das Verfahren auf die Frage der sachlichen und örtlichen Zuständigkeit beschränkt, materiell nichts entschieden und insbesondere die Frage offen gelassen, ob das System der Altersvorsorge der Gemeinschaft der STA überhaupt so strukturiert sei, dass es unter die Bestimmung des
Art. 331 OR
falle. Dem Antrag des Beschwerdeführers kann demnach, so wie er gestellt wurde (Verpflichtung der Euro-Africa-Division, die vorhandenen Fürsorgemittel auf eine Stiftung zu übertragen) keinesfalls stattgegeben werden. In Frage käme höchstens die Bejahung der sachlichen und örtlichen Zuständigkeit der kantonalen Aufsichtsbehörden, was zur Folge hätte, dass der angefochtene Entscheid aufgehoben und die Sache an den Regierungsrat des Kantons Bern zurückgewiesen werden müsste, damit dieser materiell entscheide. Der Antrag des Beschwerdeführers ist in diesem Sinne zu verstehen.
2.
Macht ein Arbeitgeber Zuwendungen für die Personalfürsorge oder leisten die Arbeitnehmer Beiträge daran, so hat der Arbeitgeber diese Zuwendungen und Beiträge entweder auf eine Stiftung oder eine Genossenschaft oder eine Einrichtung des öffentlichen Rechts zu übertragen (
Art. 331 Abs. 1 OR
). Es ist unbestritten, dass diese Bestimmung den betroffenen Arbeitnehmern, mithin auch dem Beschwerdeführer, einen auf dem
BGE 106 II 47 S. 50
Wege des Zivilprozesses durchsetzbaren privatrechtlichen Anspruch auf Übertragung der Zuwendungen auf einen selbständigen Rechtsträger gewährt. Streitig ist im vorliegenden Fall lediglich, ob daneben diese Verselbständigung auch auf dem verwaltungsrechtlichen Wege erzwungen werden könne und ob hiefür die Stiftungsaufsichtsbehörden zuständig seien.
3.
a) Der Regierungsrat führt im angefochtenen Entscheid mit ausführlicher Begründung, auf die verwiesen werden kann, zunächst folgendes aus:
Art. 331 Abs. 1 OR
sei zwar gemäss
Art. 361 OR
eine zwingende Bestimmung, welche nicht zuungunsten des Arbeitnehmers abgeändert werden dürfe. Das bedeute aber nur, dass dem Richter, falls er angerufen werde, im Streitfall das anzuwendende Recht zwingend vorgeschrieben sei. Den Parteien bleibe indessen unbenommen, freiwillig auf die ihnen (aufgrund von zwingenden Normen) zustehenden Ansprüche zu verzichten.
Art. 331 Abs. 1 OR
sei deshalb nicht in dem Sinne von Amtes wegen Nachachtung zu verschaffen, dass staatliche Behörden die Arbeitsverträge auf ihre Übereinstimmung mit der fraglichen Bestimmung überprüfen und die Übereinstimmung gegebenenfalls zwangsweise durchsetzen müssten. Die Bestimmung regle das Verhältnis zwischen Arbeitgeber und Arbeitnehmer, d.h. zwischen gleichberechtigten Subjekten, und sie sei deshalb eine privatrechtliche Vorschrift, die auf dem Wege des Zivilprozesses durchzusetzen sei. Dass sie gemäss
Art. 361 OR
nicht zuungunsten des Arbeitnehmers abgeändert werden dürfe, mache sie noch nicht zu einer öffentlichrechtlichen Bestimmung.- Die sogenannte zweite Säule beruhe zur Zeit im übrigen auf der Freiwilligkeit. Dem Arbeitgeber stehe es frei, für seine Arbeitnehmer eine Personalfürsorgeeinrichtung zu errichten oder nicht. Bis zur Einführung des Obligatoriums für die zweite Säule bleibe die Personalfürsorge demnach eine Angelegenheit des Privatrechts. Hätte der Gesetzgeber
Art. 331 Abs. 1 OR
als öffentlichrechtliche und von Amtes wegen durchzusetzende Norm betrachtet, hätte er eine Verwaltungsbehörde als Aufsichts- und "Durchsetzungs"-Behörde bestimmen oder zumindest einen entsprechenden Vorbehalt zugunsten einer von den Kantonen einzusetzenden derartigen Behörde machen müssen. Dies habe er jedoch nicht getan, woraus sich ergebe, dass er die fragliche Bestimmung als privatrechtliche betrachtet habe.
Art. 331 Abs. 1 OR
biete
BGE 106 II 47 S. 51
deshalb im vorliegenden Fall keine Grundlage für ein Einschreiten der Verwaltungsbehörde und schon gar nicht für ein Einschreiten der Stiftungsaufsichtsbehörde.
b) Diese Ausführungen stellen keine Verletzung von Bundesrecht dar. Nach geltendem Recht beruht die Personalfürsorge auf dem Prinzip der Freiwilligkeit (Botschaft des Bundesrats vom 25. August 1967 über die Revision des 10. Titels und des 10. Titels bis des OR, BBl 1967 II 357). Der Bundesrat hat am 19. Dezember 1975 allerdings eine Botschaft zu einem Bundesgesetz über die berufliche Alters-, Hinterlassenen- und Invalidenfürsorge (BVG) vorgelegt, mit welchem das Obligatorium der Personalfürsorge (zweite Säule) eingeführt werden soll (BBl 1976 I 149 ff.). Nach Art. 11 dieses Entwurfs ist jeder Arbeitgeber verpflichtet, sich einer Vorsorgeeinrichtung anzuschliessen, wobei er im Einverständnis mit den Arbeitnehmern wählen kann, welcher Einrichtung er beitreten will. Die Ausgleichskassen der AHV haben zu prüfen, ob die von ihnen erfassten Arbeitgeber einer Vorsorgeeinrichtung angeschlossen sind, und sie haben den kantonalen Aufsichtsbehörden darüber Meldung zu erstatten. Kommt ein Arbeitgeber seiner Pflicht zum Anschluss nicht nach, so wird er von der kantonalen Aufsichtsbehörde aufgefordert, sich innert 6 Monaten einer Einrichtung anzuschliessen. Nach unbenütztem Ablauf dieser Frist wird er der Auffangeinrichtung zum Anschluss angemeldet. - Durch dieses neue Gesetz soll demnach eine systematische und allgemeine Kontrolle der Arbeitgeber eingeführt werden, um sicherzustellen, dass jeder Arbeitgeber seiner Anschlusspflicht nachkommt. Ist ein Arbeitgeber säumig, soll seine Anschlusspflicht öffentlichrechtlich durchgesetzt werden.
Das heutige, auf dem Prinzip der Freiwilligkeit beruhende Recht kennt indessen keine solche Regelung. Hätte der Gesetzgeber die Durchsetzbarkeit von
Art. 331 Abs. 1 OR
auf öffentlichrechtlichem Weg ermöglichen wollen, hätte er es ausdrücklich sagen und dafür entsprechende Vorschriften erlassen müssen. Aus dem Umstand, dass er dies (im Gegensatz zum BVG-Entwurf) nicht tat, ist abzuleiten, dass er eine öffentlichrechtliche Durchsetzung von
Art. 331 Abs. 1 OR
nicht beabsichtigte. Es besteht denn auch keine Verwaltungsbehörde, die aufgrund des geltenden Rechts zur zwangsweisen Durchsetzung dieser Bestimmung ermächtigt wäre. Eine vom Richter
BGE 106 II 47 S. 52
auszufüllende - echte - Lücke besteht diesbezüglich nicht, da
Art. 331 Abs. 1 OR
auf privatrechtlichem Weg durchgesetzt werden kann.
c) Was der Beschwerdeführer dagegen vorbringt, dringt nicht durch. Der Umstand, dass der ihm offen stehende Weg des Zivilprozesses, angesichts der etwas undurchsichtigen und im Verfahren nicht völlig abgeklärten Rechtsverhältnisse der verschiedenen Gesellschaften der STA, gewisse Schwierigkeiten aufweist und Risiken in sich schliesst, vermag für sich allein die sachliche Zuständigkeit der Verwaltungsbehörden nicht zu begründen. Prozessuale Schwierigkeiten können sich in mehr oder weniger ausgeprägter Form auch in anderen Zivilprozessen stellen, ohne dass dies bewirken würde, dass eine Verwaltungsbehörde von Amtes wegen anstelle des Klägers eingreifen müsste. Der Beschwerdeführer übertreibt im übrigen mit der Aufzählung der verschiedenen Schwierigkeiten. Der privatrechtliche Anspruch aus
Art. 331 Abs. 1 OR
ist keine Forderung zur gesamten Hand, so dass der Beschwerdeführer in einem Zivilprozess für sich allein schon aktiv legitimiert ist. Die Passivlegitimation der Euro-Africa-Division der STA wird von dieser ausdrücklich anerkannt, womit auch die Frage der örtlichen Zuständigkeit entschieden ist. Schliesslich dürfte auch die Formulierung des Klagebegehrens keine unüberwindbaren Probleme bieten. Die vom Beschwerdeführer genannten Schwierigkeiten dürfen im übrigen nicht verallgemeinert werden. Sie beruhen grösstenteils auf der besonders komplizierten Struktur der STA-Gemeinschaft. Bei einem gewöhnlichen Arbeitsverhältnis sind die Verhältnisse wesentlich einfacher.
Soweit der Beschwerdeführer geltend macht, die Beschreitung des Zivilweges sei ihm aus finanziellen Gründen nicht zumutbar, ist er darauf hinzuweisen, dass er in einem Zivilprozess, sofern er die Mittel für dessen Durchführung nicht besitzt, die Gewährung der unentgeltlichen Rechtspflege und die Bestellung eines unentgeltlichen Rechtsbeistandes verlangen kann. Die sachliche Zuständigkeit der Verwaltungsbehörden kann jedenfalls nicht davon abhängen, ob der Beschwerdeführer die finanziellen Mittel für einen Zivilprozess besitzt oder nicht. Steht dem Beschwerdeführer aber für die Durchsetzung seiner Ansprüche der Weg des Zivilprozesses offen, so kann nicht gesagt werden, der angefochtene Entscheid bedeute für ihn de facto eine Verweigerung des Rechtsschutzes.
BGE 106 II 47 S. 53
Gewiss liegt die Verwirklichung der Personalfürsorge grundsätzlich im öffentlichen Interesse. Das gilt aber von vielen gesetzlichen Regelungen (gleichgültig, ob sie zwingend ausgestaltet sind oder nicht) und bedeutet für sich allein noch nicht, dass die betreffenden Normen als öffentlichrechtliche zu qualifizieren seien und von den Verwaltungsbehörden von Amtes wegen durchgesetzt werden müssten.
Völlig unhaltbar ist schliesslich das Argument des Beschwerdeführers, das bevorstehende Obligatorium der 2. Säule müsse eine "Vorauswirkung" in dem Sinne entfalten, dass schon jetzt die Verselbständigung von Zuwendungen für die Personalfürsorge auf dem Verwaltungsweg herbeigeführt werden müsse. Eine solche Vorwirkung eines Gesetzesentwurfes gibt es nicht. Solange der bundesrätliche Entwurf nicht Gesetz geworden ist, besteht kein Obligatorium der Personalfürsorge und ändert sich am privatrechtlichen Charakter von
Art. 331 Abs. 1 OR
nichts.
4.
Die privatrechtliche Natur der in
Art. 331 Abs. 1 OR
statuierten Verselbständigungspflicht schliesst die Zuständigkeit der Stiftungsaufsichtsbehörden freilich nicht zum vornherein aus. Bei der Ausübung der Stiftungsaufsicht sind die dafür zuständigen Behörden nämlich verpflichtet, von Amtes wegen auch für die Durchsetzung der zwingenden Gesetzesvorschriften des Privatrechts, die sich auf Stiftungen beziehen, zu sorgen (
BGE 100 Ib 145
E. 2b und 146/147). Ausschlaggebend für die Frage der sachlichen Zuständigkeit der Stiftungsaufsichtsbehörden ist daher, ob diese Behörden nach den Bestimmungen über die Stiftungsaufsicht im Bereich des Personalfürsorgewesens schon dann von Amtes wegen einzugreifen haben, wenn eine Stiftung noch gar nicht besteht.
a) Im angefochtenen Entscheid wird mit ausführlicher Begründung, auf die wiederum verwiesen werden kann, dargetan, dass sich in den Gesetzesmaterialien und in der Judikatur zu dieser Frage nichts finden lasse und dass die Lehrmeinungen diesbezüglich geteilt seien. Der Regierungsrat erwägt dann im wesentlichen folgendes: Weder durch den Wortlaut von
Art. 84 Abs. 2 ZGB
noch durch Auslegung lasse sich begründen, dass die Stiftungsaufsichtsbehörden schon vor der Errichtung einer Stiftung tätig sein könnten. Das Gesetz mache von diesem Grundsatz eine Ausnahme in
Art. 81 Abs. 2 ZGB
bezüglich des Handelsregistereintrags. Diese Ausnahme wäre überflüssig,
BGE 106 II 47 S. 54
wenn die Aufsichtsbehörden ganz allgemein Massnahmen ergreifen dürfen, bevor eine Stiftung Rechtspersönlichkeit erlangt habe. Die Kompetenz der Stiftungsaufsichtsbehörden erstrecke sich somit nur auf bestehende Stiftungen und nicht auch auf bloss mögliche und eventuell noch zu gründende.- Eine analoge Anwendung jener Bestimmungen des Stiftungsrechts, welche die Aufsichtsbehörden von Amtes wegen zum Eingreifen ermächtigen, sei auf Fälle der vorliegenden Art nicht zulässig. Zur richterlichen Rechtsfindung durch Analogie dürfe nur geschritten werden, wenn weder aus dem Wortlaut noch durch Auslegung des Gesetzes eine Regelung zu finden sei. In Fällen der vorliegenden Art könne aber hinsichtlich der Verselbständigungspflicht dem Wortlaut und Sinn des Gesetzes eine Regelung entnommen werden, nämlich die Durchsetzung auf dem Zivilweg, und anderseits ergebe sich aus den Gesetzesbestimmungen über das Stiftungsrecht, dass diese nur für rechtsbeständige Stiftungen gölten. Es liege deshalb keine Lücke vor, so dass durch Analogieschluss nicht eine Zuständigkeit der Stiftungsaufsichtsbehörden begründet werden dürfe für Fälle, in denen überhaupt noch keine Stiftung bestehe. Auch aus der bernischen Verordnung betreffend die Aufsicht über Stiftungen lasse sich keine Kompetenz der Aufsichtsbehörden zu vorgreifenden Massnahmen ableiten.
b) Diesen Erwägungen ist (jedenfalls im Ergebnis) beizupflichten. Nach
Art. 84 Abs. 2 ZGB
hat die Aufsichtsbehörde dafür zu sorgen, dass das Stiftungsvermögen seinen Zwecken gemäss verwaltet wird und nach Massgabe der Stiftungsurkunde erhalten bleibt. Nach Rechtsprechung und Lehre sind die Aufsichtsorgane auch befugt zu prüfen, ob die Stiftungsurkunde und die Anordnungen des Stiftungsrats dem Gesetz entsprechen (
BGE 100 Ib 144
). Diese Aufsichtstätigkeit setzt das Bestehen einer Stiftung sowie das Vorhandensein einer Stiftungsurkunde und eines Stiftungsvermögens voraus. Allenfalls könnte erwogen werden, der Stiftungsaufsicht schon dann gewisse Kompetenz einzuräumen, wenn die Stiftung zwar noch nicht rechtskräftig errichtet ist, sich aber im eigentlichen Gründungsstadium befindet. Dagegen besteht weder ein vernünftiger Grund noch eine gesetzliche Grundlage dafür, ihr für die frühere Zeit Aufsichtskompetenzen zuzuerkennen.
Die Aufsicht über eine (natürliche oder juristische) Person setzt naturgemäss voraus, dass diese existiert oder wenigstens im Entstehen begriffen ist. Nur etwas Vorhandenes oder im
BGE 106 II 47 S. 55
Entstehen Begriffenes kann beaufsichtigt werden. Wo nichts vorhanden ist, ist eine Aufsicht weder möglich noch erforderlich. Anderseits steht den Stiftungsaufsichtsbehörden nur die Aufsicht über Stiftungen zu, nicht aber über alle andern Personen oder Einrichtungen, die in irgendeiner Form Personalfürsorge betreiben. Solchen Personen oder Einrichtungen können die Stiftungsaufsichtsbehörden keine Weisungen erteilen.
Im vorliegenden Fall besteht noch keine Stiftung. Wohl hat die Beschwerdegegnerin im Frühjahr 1979 mit dem Bundesamt für Sozialversicherung die Frage einer Stiftungserrichtung erörtert, doch kann daraus allein noch nicht abgeleitet werden, sie habe bereits auf die ihr in
Art. 331 Abs. 1 OR
eingeräumte Wahlmöglichkeit verzichtet und sich definitiv für die Errichtung einer Stiftung entschlossen. Jedenfalls bestreitet sie ausdrücklich, nur die Errichtung einer Stiftung im Sinne zu haben. Selbst wenn sie aber bereits einen derartigen endgültigen Entschluss gefasst haben sollte, so wäre die Errichtung der Stiftung jedenfalls noch nicht so weit fortgeschritten, dass gesagt werden könnte, die Stiftung befinde sich bereits im eigentlichen Gründungsstadium. Unter diesen Umständen fehlt der Stiftungsaufsichtsbehörde die sachliche Kompetenz zum Einschreiten.
c) Man könnte sich unter Umständen fragen, ob die Stiftungsaufsichtsbehörden auch in jenen Fällen zum Eingreifen zuständig erklärt werden sollen, in denen zwar noch keine Stiftung besteht, eine solche nach den gesetzlichen Vorschriften aber bestehen müsste. Die Bejahung dieser Frage könnte dem Beschwerdeführer indessen nicht helfen, weil im vorliegenden Fall nach den gesetzlichen Bestimmungen nicht zwingend eine Stiftung bestehen muss.
Art. 331 Abs. 1 OR
gewährt dem Arbeitgeber das Recht, zwischen drei möglichen Formen der Verselbständigung seiner Zuwendungen zu wählen. Dafür, dass dieses Wahlrecht durch die Stiftungsaufsichtsbehörden anstelle des Arbeitgebers ausgeübt werden könne, fehlt jede gesetzliche Grundlage. Entscheidet sich ein Arbeitgeber für die Errichtung einer Genossenschaft, dann entfällt, auch nach deren Errichtung, überhaupt jede Kompetenz der Stiftungsaufsichtsbehörden, weil diese zur Kontrolle von Personalfürsorgeeinrichtungen, die in der Form der Genossenschaft errichtet wurden, nicht zuständig sind (Botschaft des Bundesrats in BBl 1970 II 610). Ihrem Wesen und ihrer Zuständigkeit nach könnten die Stiftungsaufsichtsbehörden
BGE 106 II 47 S. 56
nur die eine Form der Verselbständigung, nämlich diejenige der Stiftung, anordnen. Das aber stünde im Gegensatz zum Willen des Gesetzgebers, der dem Arbeitgeber ein Wahlrecht einräumt. Auch aus diesen Überlegungen ist abzuleiten, dass die Stiftungsaufsichtsbehörden in Fällen der vorliegenden Art sachlich nicht zuständig sind.
5.
Zusammenfassend ergibt sich, dass der Regierungsrat die sachliche Zuständigkeit der kantonalen Stiftungsaufsichtsbehörden zu Recht verneint hat. Fehlt aber die sachliche Zuständigkeit, dann war schon aus diesem Grunde auf das Gesuch des Beschwerdeführers nicht einzutreten bzw. seine gegen den erstinstanzlichen Entscheid erhobene Beschwerde abzuweisen. Die mangelnde sachliche Zuständigkeit genügt auch im bundesgerichtlichen Beschwerdeverfahren für sich allein zur Abweisung der Beschwerde. Ob den kantonalen Stiftungsaufsichtsbehörden auch die örtliche Zuständigkeit fehle, muss unter diesen Umständen nicht mehr geprüft werden.
Dispositiv
Demnach erkennt das Bundesgericht:
Die Beschwerde wird abgewiesen. | public_law | nan | de | 1,980 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
7b25cdf1-df79-4102-a4aa-e87825a40b7f | Urteilskopf
107 Ib 27
7. Auszug aus dem Urteil der II. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 14. April 1981 i.S. Zgraggen gegen Verwaltungsgericht des Kantons Zug (Verwaltungsgerichtsbeschwerde) | Regeste
Befristung des Lernfahrausweises (
Art. 10 Abs. 3 SVG
).
Voraussetzungen für die zweite Verlängerung des Lernfahrausweises gemäss
Art. 15 Abs. 2 VZV
; Gesetzmässigkeit dieser Bestimmung. | Sachverhalt
ab Seite 27
BGE 107 Ib 27 S. 27
Susanne Zgraggen bezog im Januar 1978 einen Lernfahrausweis, der ihr im Februar 1979 bis zum 8. August 1979 verlängert wurde. Im April 1980 ersuchte sie die Motorfahrzeugkontrolle, ihr den Ausweis ein weiteres Mal zu verlängern, weigerte sich aber, sich der für diesen Fall vorgesehenen besonderen Prüfung (
Art. 15 Abs. 2 lit. c VZV
) zu unterziehen. Sie machte geltend, sie habe den Ausweis aus wichtigen Gründen (
Art. 15 Abs. 2 lit. a VZV
) längere Zeit nicht verwenden können; wegen der persönlichen Natur wolle sie diese Gründe aber nicht nennen. Die Motorfahrzeugkontrolle lehnte es ab, dem Gesuch zu entsprechen, ohne die Gründe zu kennen.
Gegen diesen Entscheid erhob Susanne Zgraggen Beschwerde beim Regierungsrat des Kantons Zug. Sie warf der Motorfahrzeugkontrolle vor, diese wolle keine andern als die in Art. 15 Abs. 2 lit. a beispielsweise genannten wichtigen Gründe (Krankheit, Militärdienst, Auslandaufenthalt) anerkennen, obwohl auch andere Gründe (z.B. Erfordernis einer längern Ausbildungszeit) wichtig sein könnten, ohne dass der Lernfahrer verpflichtet wäre, sie zu nennen. Die Beschwerde wurde dem
BGE 107 Ib 27 S. 28
Verwaltungsgericht des Kantons Zug zur direkten Erledigung zugestellt. Dieses wies das Rechtsmittel am 18. August 1980 mit der Begründung ab, das Erfordernis der Nennung der Gründe sei sachlich gerechtfertigt, weil eine lange Lernfahrzeit Zweifel an der körperlichen oder psychischen Eignung des Fahrschülers im Sinne des Gesetzes (
Art. 14 Abs. 2 lit. b SVG
) wecken könne.
Mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde beantragt Susanne Zgraggen, ihr Lernfahrausweis sei "ohne besondere Prüfung" um sechs Monate zu verlängern. Sie macht geltend, sie habe die Art des wichtigen Grundes angegeben, sei aber nicht bereit, einer Amtsperson über die sehr persönliche Angelegenheit Aufschluss zu geben, zumal diese nicht ihre Fahreignung sondern nur die Verzögerung ihrer Prüfungsreife beeinflusse. Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
Die Fahrzeug- und Führerausweise können aus besonderen Gründen befristet werden; der Lernfahrausweis ist immer zu befristen (
Art. 10 Abs. 3 SVG
). Lernfahr- und Führerausweise dürfen nicht erteilt werden, wenn der Bewerber durch körperliche oder geistige Krankheiten oder Gebrechen gehindert ist, ein Motorfahrzeug sicher zu führen. Bestehen Bedenken an der Eignung eines Führers, so ist er einer neuen Prüfung zu unterwerfen (
Art. 14 Abs. 2 lit. b und Abs. 3 SVG
). Der Bundesrat stellt Vorschriften auf über Mindestanforderungen, denen Motorfahrzeugführer in körperlicher und psychischer Hinsicht genügen müssen, sowie über die Durchführung der Fahrzeug- und Führerprüfungen (
Art. 25 Abs. 3 lit. a und b SVG
). Er erlässt die zum Vollzug notwendigen Vorschriften (
Art. 106 Abs. 1 SVG
).
Das Gesetz ordnet also die Befristung der Lernfahrausweise zwingend an, bestimmt aber weder die Dauer der Frist, noch die Folgen ihres Ablaufens. Der Bundesrat musste daher beide Punkte regeln und war hierzu bereits aufgrund der allgemeinen Vollzugskompetenz befugt.
Aus dem Gesetz kann nicht gefolgert werden, der Ausweisbewerber habe nach Ablauf der Ausweisgültigkeit ohne weiteres Anspruch auf eine Verlängerung. Der Gesetzgeber, der beschlossen hat, die im alten MFG vorgeschriebene, verkehrspolizeilich
BGE 107 Ib 27 S. 29
nutzlose und höchstens fiskalisch verwendbare jährliche Erneuerung aller Verkehrsausweise abzuschaffen, hat die Befristung der Lernfahrausweise nur aus Gründen der Verkehrssicherheit beibehalten können. Da jeder Anfänger natürlicherweise nach Selbständigkeit am Steuer strebt, hielt sich der Bundesrat durchaus an den Grundgedanken des Gesetzes, wenn er in
Art. 15 Abs. 2 VZV
annahm, dass ein Fahrschüler, der sich nach einem Jahr ursprünglicher Geltungsdauer und einer Verlängerung des Lernfahrausweises um weitere sechs Monate noch nicht zur Prüfung melden kann, plausible Gründe nennen muss, wenn nicht auf eine Lernschwäche geschlossen werden soll, die grundsätzliche Zweifel an seiner Fahreignung nach
Art. 14 SVG
begründet. Er konnte daher (auch unter Berufung auf
Art. 25 Abs. 3 SVG
) für solche Fahrschüler eine vertiefte Eignungs-Untersuchung anordnen. Dass anderseits nach Ablauf von weitern zwei Jahren auf eine solche Untersuchung verzichtet und ein neuer befristeter Lernfahrausweis wieder ohne Erschwernis abgegeben wird, lässt sich begründen mit der Erwartung, ein jugendlicher Bewerber habe inzwischen die erforderliche Persönlichkeitsreife erreicht oder ein anderer Bewerber eine allfällige momentane Persönlichkeitsstörung überwunden.
Art. 15 VZV
erweist sich demnach als durchaus sinngerechte und zweckmässige Ausführung der im Gesetzestext sehr knapp gefassten Grundanordnungen des Gesetzgebers. | public_law | nan | de | 1,981 | CH_BGE | CH_BGE_003 | CH | Federation |
7b2934b8-515a-4189-942e-4ebc3a698dca | Urteilskopf
104 III 61
16. Sentenza 25 maggio 1978 nella causa X. S.A. | Regeste
Art. 66 Abs. 2 GebTSchKG; Art. 1 und Art. 2 des Tarifs für die Kosten der Revision von Banken und Anlagefonds vom 28. April 1975.
Festsetzung des Entgelts des Sachwalters im Nachlassverfahren über Banken; anwendbare Grundsätze und Prüfungsbefugnis des Bundesgerichts. | Sachverhalt
ab Seite 61
BGE 104 III 61 S. 61
La X. S.A., designata quale commissario del concordato della Banca Y. con decisione 7 marzo 1977, ha presentato le sue fatture (spese incluse) per il periodo compreso fra il 7 marzo 1977 e il 31 gennaio 1978, esponendo un importo complessivo di Fr. 938 916.65. Per la remunerazione oraria, essa s'è fondata sulle tariffe della Camera svizzera delle società fiduciarie, ritenendo un'indennità di Fr. 135.- per i direttori, di Fr. 80.- a 100.- per gli specialisti (giuristi ed esperti fiscali), di Fr. 50.- a 80.- per i periti contabili, e di Fr. 15.- a 40.- per il segretariato. Con decisione 13 marzo 1978, la II Camera civile del Tribunale di appello del Cantone Ticino, quale
BGE 104 III 61 S. 62
unica autorità giudicante in tema di moratoria, di fallimento e di concordato delle banche e delle casse di risparmio, ha stabilito la remunerazione della ricorrente in Fr. 760'000.- netti, riducendo così le sue pretese di Fr. 178'916.65. Le argomentazioni addotte dalla Corte cantonale saranno riprese nei considerandi di diritto.
Con ricorso del 28 marzo 1978, la X. S.A. ha impugnato la cennata decisione, postulandone l'annullamento e chiedendo che la sua remunerazione fosse "confermata nell'importo totale di Fr. 938'916.65 di cui alle fatture presentate". Dei motivi del gravame si dirà, in quanto necessario, nei considerandi.
Il Tribunale federale ha accolto il gravame, ed ha rinviato la causa alla II Camera civile del Tribunale d'appello per nuovi schiarimenti e nuova decisione ai sensi dei considerandi.
Erwägungen
Considerato in diritto:
1.
Giusta l'art. 64 cpv. 2 della tariffa applicabile alla legge federale sull'esecuzione e sul fallimento del 7 luglio 1971 (TarLEF), relativo alla procedura di moratoria bancaria, il giudice della moratoria stabilisce globalmente la rimunerazione del commissario; servono all'uopo da direttive le aliquote previste nella tariffa delle indennità per la revisione di banche e fondi d'investimento adottata dalla Commissione federale delle banche il 28 aprile 1975 (qui di seguito TarCFB). Quest'ultima tariffa s'applica poi anche in caso di concordato, onde permettere all'autorità competente di fissare la mercede del commissario, del liquidatore e della commissione di vigilanza (art. 66 cpv. 2 TarLEF). L'art. 1 della TarCFB prevede una rimunerazione oraria che va da 70.- a 125.- Fr. per i direttori e i proprietari, da 55.- a 85.- per i revisori responsabili, da 30.- a 50.- per gli altri revisori, e da 25.- a 35.- per il personale di cancelleria. In queste somme non sono però comprese le spese di viaggio e di soggiorno, quelle postali, telefoniche e di materiale, che possono esser fatturate separatamente (art. 1 cpv. 1, seconda parte). Per le revisioni straordinarie ordinate a corto termine dalla Commissione federale delle banche, la tariffa applicabile alla categoria di persone di cui all'art. 1 cpv. 1 lett. a e b (dunque i direttori, i proprietari ed i revisori responsabili) può poi esser aumentata del 20% al massimo (art. 2).
BGE 104 III 61 S. 63
Come risulta dal testo stesso della TarLEF, l'autorità dei concordati chiamata a stabilire la remunerazione del commissario gode di un margine d'apprezzamento assai esteso. Le aliquote previste dalla TarCFB servono infatti e unicamente da direttive e, in mancanza di una convenzione specifica o di un'usanza prestabilita, devono comunque valere i principi generali (v.
DTF 101 II 110
/111): così, la mercede del commissario sarà determinata tenendo conto della natura dell'incarico, della mole del lavoro, del tempo impiegato, del grado di difficoltà, nonché dell'utile e del successo del lavoro fornito (v.
DTF 68 III 127
consid. 3). Ne discende che la fissazione di codesta mercede è una decisione che involge quasi esclusivamente questioni d'apprezzamento (cfr.
DTF 68 III 127
), cosicché il Tribunale federale - che pur può controllare anche l'adeguatezza della pronunzia impugnata in virtù dell'
art. 53 cpv. 2 del
regolamento d'esecuzione della LBCR del 30 agosto 1961 (RS 952.821) - deve necessariamente far uso di riserbo: adita con ricorso ai sensi dell'
art. 19 LEF
, la Camera di esecuzione e dei fallimenti può dunque intervenire soltanto se l'autorità cantonale dei concordati s'è basata su premesse giuridiche inesatte o ha travalicato i limiti dell'apprezzamento che le compete (cfr. DTF
DTF 97 III 126
consid. 5 e sentenza inedita 15 aprile 1975 in re Pedotti). In queste circostanze, un gravame proposto contro la determinazione della mercede può esser meritevole di tutela soltanto se il ricorrente ha saputo dimostrare che la relativa decisione è giuridicamente insostenibile e/o praticamente inesplicabile. Ora, come si vedrà in appresso, la sentenza della II Camera civile sfugge solo parzialmente alla censura del Tribunale federale, cosicché il ricorso, quantomeno su alcuni punti, deve senz'altro essere accolto.
2.
a) Per le prestazioni fornite quale commissario del concordato della Banca Y., la ricorrente ha presentato a scadenze regolari le sue fatture, ove figuravano tanto le spese di trasferta, postali, telefoniche, di cancelleria, ecc., quanto gli onorari dei singoli collaboratori. Alle fatture erano poi allegati due giustificativi da cui risultava, per ogni categoria di persone (direttori, specialisti, periti contabili e impiegati di segretariato), il dettaglio dell'attività svolta, le ore consacrate a tale attività, la tariffa oraria e l'onorario mensile complessivo. Orbene, a queste fatture minuziosamente dettagliate, la Corte cantonale ha risposto con una riduzione globale di Fr. 178'916.65
BGE 104 III 61 S. 64
non sufficientemente ed altrettanto debitamente motivata; se si eccettua la rimunerazione globale dei periti contabili, ridotta da Fr. 210'000.- a Fr. 160'000.-, le altre posizioni sono state praticamente ritoccate senza spiegazione alcuna, a tal punto che, dalla sentenza stessa, non emergono quegli elementi che dovrebbero permettere di interpretare e documentare - quantomeno nelle grandi linee - l'impugnata decurtazione della mercede. Già per questo motivo, la querelata decisione dev'essere annullata, con rinvio della causa alla II Camera civile, affinché emani una nuova pronunzia ragionevolmente motivata, ossia, in altre parole, affinché specifichi quali sono le indennità ch'essa ritiene adeguate per le singole prestazioni e quali sono le posizioni ch'essa reputa dover necessariamente ridurre. Il Tribunale federale non avrebbe infatti motivo alcuno per sostituire il proprio apprezzamento a quello dell'autorità cantonale soltanto se tali elementi risultassero chiaramente dalla relativa decisione, in modo da poter risalire senza difficoltà alla rimunerazione del commissario e poter così giustificare qualsiasi falcidia.
b) A favore dell'annullamento della pronunzia impugnata milita poi il fatto che, in sede cantonale, la ricorrente non ha avuto alcuna possibilità per esprimersi sulla contestata riduzione degli onorari e, segnatamente, sui motivi - rimasti per ora pressoché sconosciuti - che hanno spinto l'autorità cantonale a fissare un'indennità globale di Fr. 760'000.-. Con il rinvio della causa, la II Camera civile avrà quindi l'opportunità di considerare le critiche che la ricorrente ha mosso alla sua decisione e di valutare in particolare l'argomento secondo cui la diversa natura ed il maggior grado di difficoltà dei compiti affidati al commissario nel concreto caso giustificherebbero un aumento dell'onorario-base del 20%, giusta l'art. 2 TarCFB applicato per analogia. Quest'ultima questione rimane comunque totalmente impregiudicata in questa sede, poiché il Tribunale federale non dispone di sufficienti elementi per potersi addentrare oltre nell'argomento.
c) Nel suo gravame, la X. S.A. rimprovera inoltre all'autorità cantonale d'aver disatteso l'art. 1 cpv. 1, seconda parte TarCFB, per aver ridotto la rimunerazione a Fr. 760'000.- senza esprimersi in alcun modo sulle spese e parlando addirittura di "un onorario di Fr. 938'000.-". Anche questa critica è di per sé fondata, poiché l'onorario esposto dalla ricorrente
BGE 104 III 61 S. 65
non era di Fr. 938'916.65, ma di Fr. 834'078.40 (Fr. 938'916.65 - 104'838.25); secondo l'art. 1 cpv. 1, seconda parte TarCFB, le spese vive possono infatti esser fatturate separatamente, per cui l'autorità avrebbe dovuto scorporarle dall'indennità globale richiesta o comunque specificare se tali spese - peraltro non contestate né altrimenti messe in questione - erano comprese o meno nella remunerazione definitiva di 760'000.- franchi. Tuttavia, dal dispositivo della pronunzia impugnata, sembra potersi dedurre che la Corte cantonale ha voluto diminuire a Fr. 760'000.- l'importo totale delle fatture presentate, per cui l'onorario effettivo sarebbe stato fissato in pratica a Fr. 655'161.75 (760'000.- - 104'838.25).
3.
Sugli altri punti, ed in particolare sui vari argomenti addotti dalla II Camera civile e contestati dalla ricorrente, l'impugnata decisione sfugge invece alla censura del Tribunale federale.
a) In primo luogo, giuste appaiono le riflessioni dell'istanza cantonale in merito alla tariffa oraria esposta dalla ricorrente che, pur essendo conforme alle norme della Camera svizzera delle società fiduciarie, supera nondimeno di alcune posizioni gli importi massimi stabiliti dalla TarCFB (art. 1). D'altro canto, e contrariamente all'opinione della ricorrente, le autorità dei concordati son tenute ad applicare la cennata tariffa anche se le aliquote previste servono unicamente da direttive, poiché un siffatto obbligo è chiaramente sancito dall'art. 66 cpv. 2 TarLEF. In queste circostanze, anche il riferimento alla prassi in uso in certi cantoni ove le competenti autorità avrebbero riconosciute applicabili le cennate norme della Camera svizzera delle società fiduciarie, non cade ovviamente in acconcio, già per il fatto che codesta prassi urta precisi disposti del diritto federale, ed è poi ancor meno accettabile se si pensa che la remunerazione del commissario va a carico della massa dei creditori (cfr.
DTF 73 III 36
/37; lettera 30 novembre 1977 all'Autorità di vigilanza del Cantone di Ginevra, in
DTF 103 III 65
segg.).
b) Altrettanto inappuntabile appare poi il raffronto fatto dalla Corte cantonale (tenendo conto del tipo di lavoro, della sua mole e della sua importanza) fra gli onorari esposti dalla X. S.A. nel concreto caso e quelli che la stessa ricorrente aveva fatturato nella procedura di moratoria concordataria della Banca Z. S.A.; in effetti, traendone le debite conseguenze,
BGE 104 III 61 S. 66
l'autorità cantonale ha esplicitamente riconosciuto che la Z. era una banca di più modeste dimensioni, la cui liquidazione era dunque meno complessa e meno irta di difficoltà.
c) In quest'ordine di idee, sfugge alla critica anche la valutazione di un certo tipo di lavoro svolto in casu dai periti contabili della ricorrente, ma che in pratica avrebbe potuto esser eseguito da impiegati meno qualificati, quali ad esempio quelli di cancelleria. Più opinabile appare invece il richiamo a
DTF 101 II 109
segg., ove il Tribunale federale aveva stabilito in Fr. 750.- al giorno l'onorario oggettivamente adeguato di un professore d'università, nonché il susseguente confronto con l'indennità esposta dai direttori e dagli specialisti della ricorrente; per un verso, trattavasi infatti d'una remunerazione giornaliera valida nel 1971 (cfr. sent. citata, pag. 116) e, per altro verso, detto Tribunale aveva comunque distinto, ai fini della retribuzione, fra il lavoro svolto da un libero professionista e quello eseguito da un alto funzionario quale un docente d'università (v. sent. citata, consid. 3b). Purtuttavia, anche quest'ultima constatazione non giova alla ricorrente poiché, per tacere del fatto che detto raffronto è stato istituito a titolo essenzialmente accessorio, la sua remunerazione quale commissario del concordato deve comunque esser stabilita partendo dalle aliquote previste nella tariffa della CFB, così come disposto dall'art. 66 cpv. 2 TarLEF.
d) Nel suo giudizio, la Corte cantonale censura anche l'operato del commissario, rilevando in sostanza che la ricorrente ha autorizzato pagamenti integrali a creditori chirografari e che il lavoro svolto ha dato adito a parecchie critiche apparse perfino sulla stampa. La X. S.A. contesta ovviamente ogni addebito, osservando peraltro che tali critiche "non possono influenzare il giudizio circa l'entità della rimunerazione" e che, comunque, l'autorità giudicante non è mai intervenuta nei suoi confronti facendo uso "delle sue prerogative disciplinari e di sorveglianza". Già ad un sommario esame, quest'ultima obiezione cade tuttavia nel vuoto poiché, con lettera 13 gennaio 1978, la II Camera civile aveva sottoposto alla ricorrente i punti che erano oggetto di maggiori critiche, rimproverandola in particolare per aver eseguito dei pagamenti integrali a comuni creditori chirografari. Orbene, se l'autorità dei concordati non era pienamente soddisfatta del lavoro svolto, essa poteva senz'altro operare una certa riduzione dell'onorario richiesto senza cadere
BGE 104 III 61 S. 67
in abusi, poiché una siffatta falcidia non è di per sé inadeguata né insostenibile né, tanto meno, illegittima.
e) Come già rilevato, la ricorrente ha presentato le sue fatture a scadenze regolari, facendovi figurare le sue prestazioni quale liquidatore per i diversi periodi e le spese di trasferta, postali, telefoniche, ecc. Per questo rispetto, essa pretende che riducendo ora gli onorari esposti senza aver mai "preso formale posizione circa l'entità delle tariffe e la loro applicabilità alle funzioni esplicate dai singoli collaboratori", l'autorità cantonale avrebbe "disatteso principi giuridici cardinali quali quello della buona fede e della proporzionalità". Nelle sue osservazioni, la Corte cantonale contesta tali allegazioni, asserendo che essa aveva comunque "espresso ai rappresentanti della X. S.A. il suo disaccordo sull'entità delle parcelle emesse e la sua preoccupazione che l'onorario globale dovuto al commissario del concordato venisse a gravare in modo sproporzionato la massa dei creditori della banca". Malgrado queste divergenze, e pur ammettendo che l'autorità avrebbe fors'anche potuto opporsi fin dall'inizio alle tariffe prescelte, non vi sono nel concreto caso sufficienti elementi che permettano di sostanziare la censura invocata. In effetti, la ricorrente non pretende d'essersi previamente accordata con l'autorità, in modo tale che codeste tariffe sarebbero state senz'altro accettate, se non espressamente, almeno tacitamente. Per contro, la X. S.A., in quanto sperimentato commissario nelle procedure di moratoria e di concordato, avrebbe potuto e dovuto sapere che le competenti autorità debbono stabilire la relativa mercede applicando come direttive le aliquote della TarCFB. La censura di violazione del principio della buona fede è quindi infondata. | null | nan | it | 1,978 | CH_BGE | CH_BGE_005 | CH | Federation |
7b351d7c-3d82-48fa-9741-c3e93e748796 | Urteilskopf
101 II 41
11. Auszug aus dem Urteil der II. Zivilabteilung vom 12. Juni 1975 i.S. L. gegen B. | Regeste
Erbteilung (
Art. 604 ZGB
); Verhältnis des kantonalen Prozessrechtes zum Bundeszivilrecht.
Die (gestützt auf kantonales Prozessrecht) an die Substantiierung der Rechtsbegehren einer Erbteilungsklage gestellten Anforderungen dürfen der Durchsetzung des bundesrechtlich gewährleisteten Teilungsanspruches nicht entgegenstehen. Jedenfalls darf vom Erbteilungskläger auch dann nicht die Aufstellung eines genauen Teilungsplanes verlangt werden, wenn seine Klage auf ein vollstreckbares Teilungsurteil abzielt. | Sachverhalt
ab Seite 41
BGE 101 II 41 S. 41
A.-
Der am 30. September 1970 verstorbene B. hinterliess als gesetzliche Erben sechs Kinder aus erster Ehe (die heutigen Kläger) sowie seine dritte Ehefrau (die Beklagte).
Mit eigenhändiger letztwilliger Verfügung vom 1. Juni 1959
BGE 101 II 41 S. 42
hatte der Erblasser u.a. die Kinder aus erster Ehe auf den Pflichtteil gesetzt und die verfügbare Quote seiner dritten Ehefrau zugewiesen. Dieses Testament hat er am 25. Juni 1968 ergänzt.
B.-
Am 16. Dezember 1970 sandte der vom Erblasser ernannte Willensvollstrecker allen Erben eine Kopie des von der kantonalen Steuerverwaltung erstellten Vermögensstatus, wobei er um Stellungnahme bis Ende Jahr ersuchte. Nachdem er keine Antworten erhalten hatte, stellte er am 6. März 1972 einen "Erbteilungsakt" auf, worin er festhielt, dass das gesamte Nachlassvermögen Frauengut sei und der Ehefrau überlassen werde; eine Teilung falle somit dahin. Den Erben wurde eine vierzehntägige Frist angesetzt, um den "Erbteilungsakt" durch Klage allenfalls anzufechten.
C.-
Innert Frist leiteten die Kinder aus erster Ehe gegen die überlebende dritte Ehefrau des Erblassers Klage ein mit folgenden Rechtsbegehren:
"1. Es sei der Nachlass des am 30. September 1970 in Chur verstorbenen B. ... darin inbegriffen der Nachlass der 1927 verstorbenen Frau M. B. festzustellen.
2. Es sei der Erbteil der Kläger festzustellen.
3. Es sei der Nachlass des B. sel. zu teilen."
Mit Urteil vom 31. Oktober 1973 hiess das Bezirksgericht die Klage gut und verpflichtete die Beklagte, den Klägern insgesamt Fr. 20'716.83 oder jedem einzelnen Fr. 3'452.80 zu bezahlen.
Das Kantonsgericht hob am 8. Juli 1974 auf Berufung der Beklagten hin das erstinstanzliche Urteil auf und trat auf die Klage nicht ein, mit der Begründung, die Rechtsbegehren seien nicht genügend substantiiert worden.
D.-
Gegen dieses Urteil haben die Kläger sowohl kantonale als auch eidgenössische Nichtigkeitsbeschwerde eingereicht. Erstere haben sie indessen am 3. Februar 1975 zurückgezogen.
Erwägungen
Das Bundesgericht zieht in Erwägung:
1.
(Formelles).
2.
Die Kläger berufen sich auf den Nichtigkeitsgrund des
Art. 68 Abs. 1 lit. a OG
(Anwendung von kantonalem Recht statt des massgebenden eidgenössischen Rechts) und bringen
BGE 101 II 41 S. 43
im wesentlichen vor, sie hätten ihr Rechtsbegehren in Übereinstimmung mit der Auffassung des Bundesgerichts und der massgebenden Kommentatoren formuliert; das (umfassende) Begehren auf Feststellung des Nachlasses und der Erbteile sowie auf Teilung des Nachlasses sei zulässig und genügend; eine weiter gehende kantonalrechtliche Substantiierungspflicht sei unbeachtlich.
3.
a) Der Anspruch auf Teilung der Erbschaft ergibt sich aus
Art. 604 Abs. 1 ZGB
, mithin aus Bundesrecht. Die nähere Ausgestaltung des Erbteilungsverfahrens, wozu namentlich auch der Umfang der Substantiierungspflicht mit Bezug auf die Klagebegehren gehört, ist demgegenüber grundsätzlich dem kantonalen Prozessrecht vorbehalten. Dieses wiederum hat jedoch auf die bundesrechtlichen Vorschriften über die Teilungsart (
Art. 607 ff. ZGB
) Rücksicht zu nehmen und darf namentlich der Durchsetzung des bundesrechtlich gesicherten materiellen Teilungsanspruches nicht entgegenstehen.
b) Die Klageschrift enthält zunächst den Antrag, es seien aus dem Nachlass vorweg die Vermögenswerte auszuscheiden, die im Zeitpunkt ihres Todes im Eigentum der Mutter der Kläger gestanden hätten. Dabei wird auf ein Inventar verwiesen, das von der Vormundschaftsbehörde aufgenommen worden sei.
Sodann führen die Kläger aus, die Liegenschaft in R. habe der Erblasser 1927 für Fr. 7'000.-- gekauft und 1967 für Fr. 60'000.-- verkauft. Der erzielte Barerlös von Fr. 36'000.--, der eingebrachtes Mannesgut darstelle, sei laut Testament vom 25. Juni 1968 zusammen mit weiteren Fr. 12'000.-- für Abzahlungen an das Haus B. verwendet worden. Die Behauptung der Beklagten, der Erblasser habe den Verkaufserlös bis zu seinem Tode verbraucht, weisen die Kläger zurück. Sie erklären, der Erblasser sei bis zu seinem 70. Altersjahr voll berufstätig gewesen und habe alsdann noch aushilfsweise für seine frühere Arbeitgeberin weiter gearbeitet. Als Beweis für ihre Vorbringen nennen sie die verschiedenen Kaufverträge, das Testament vom 25. Juni 1968 sowie die Lohnausweise.
Ferner wird in der Klageschrift darauf hingewiesen, dass in dem (wegen Formmangels ungültigen) Testament vom 29. Januar 1969 von Obligationen die Rede sei, die bei einer Bank in V. hinterlegt seien. Im Nachlass habe sich denn auch ein Verzeichnis von Wertschriften im Gesamtbetrag von
BGE 101 II 41 S. 44
Fr. 50'000.-- gefunden, welche mit den im Schriftstück vom 29. Januar 1969 erwähnten Obligationen identisch seien. Wie aus den einschlägigen Unterlagen hervorgehe, stellten sie ebenfalls Mannesgut dar. Der Erbteilungsakt des Willensvollstreckers aber lasse sie unberücksichtigt.
Was die auf der Rückseite des Wertschriftenverzeichnisses angeführten Sparguthaben betreffe, so habe der für das Depot bei der Kantonalbank verfügungsbevollmächtigte Schwiegersohn des Erblassers das Bankfach praktisch leer vorgefunden. Da die Beklagte ebenfalls Zugang zu diesem Bankfach gehabt habe, sei sie aufzufordern, über die Verwendung der hinterlegten Beträge Auskunft zu geben. Ihre Behauptung, sie sei begütert gewesen und das heute vorhandene Vermögen sei ihr Eigentum, werde bestritten.
Abschliessend beziffern die Kläger die von ihnen beanspruchte Erbquote mit je 1/6 von 9/16.
4.
a) Bestünde der väterliche Nachlass lediglich aus Bargeld, so hätten die Kläger ohne weiteres ein betragsmässig bestimmtes Rechtsbegehren stellen können. Sie haben indessen stets geltend gemacht, zum eingebrachten Gut des Erblassers seien auch die auf dem von ihnen eingereichten Verzeichnis angeführten Wertschriften sowie weitere (in Bankfächern hinterlegte) Guthaben zu zählen. Mag dieser Standpunkt zutreffen oder nicht, bei der Beurteilung der Voraussetzungen an die Formulierung der Rechtsbegehren hatte die Vorinstanz auf jeden Fall von den vorgebrachten Tatsachenbehauptungen auszugehen.
Das Kantonsgericht ist der Ansicht, die Kläger hätten aufgrund ihrer Vorstellung von der Zusammensetzung des Nachlasses bestimmte Gegenstände bzw. den entsprechenden Geldwert herausverlangen und durch Eventualbegehren alle Alternativen berücksichtigen können. Dabei übersieht es jedoch, dass das Bundeszivilrecht, von Teilungsvorschriften des Erblassers abgesehen, keinen Anspruch auf Zuweisung bestimmter Objekte gewährleistet. Die Erben haben bei der Teilung alle den gleichen Anspruch auf die Gegenstände der Erbschaft (
Art. 610 Abs. 1 ZGB
); erst durch die Losbildung und allfällige Losziehung erfolgt die Zuweisung an die einzelnen Erben (
Art. 611 ZGB
). Ebenso unbegründet ist der Vorwurf, die Kläger hätten sich an den Willensvollstrecker wenden und von ihm verlangen können, dass er ihnen über ihre Annahmen und
BGE 101 II 41 S. 45
Vermutungen Gewissheit verschaffe. Die Vervollständigung des Erbschaftsinventars wird ja u.a. gerade Gegenstand des Beweisverfahrens im Teilungsprozess bilden müssen.
b) Wie bereits dargelegt, geht der Anspruch aus
Art. 604 Abs. 1 ZGB
, Teilungsvorschriften des Erblassers vorbehalten, nur auf Vornahme der Teilung, nicht auch auf Zuweisung bestimmter Objekte. Mit Recht vertreten TUOR/PICENONI (N. 4f und 4g zu
Art. 604 ZGB
) sowie eine Reihe dort zitierter Autoren in Übereinstimmung mit der neueren Praxis (vgl. namentlich
BGE 69 II 369
Erw. 7) allerdings die Auffassung, der angerufene Richter habe allenfalls ein vollstreckbares Urteil zu fällen, d.h. ein solches, das die Teilung durchführt und die Verteilung der Erbschaftsbestandteile auf die einzelnen Erben durch die Vollzugsorgane unmittelbar ermöglicht. Dies ändert jedoch nichts daran, dass - entgegen der Ansicht von KEHL (SJZ 1952 S. 40 rechte Spalte unten) - von einem Kläger die Aufstellung eines genauen Teilungsplanes nicht verlangt werden kann.
c) Die Kläger haben immerhin eine bestimmte Zusammensetzung des Nachlasses (Bestand und Umfang) behauptet und zum Beweis verstellt. Ferner haben sie einen erbrechtlichen Anspruch (ihren Pflichtteil) - bezogen auf die eingebrachten Güter und den noch festzustellenden weiteren Nachlass des Erblassers - geltend gemacht. In ihrer Klagebegründung haben sie notgedrungen dem Umstand Rechnung getragen, dass der Willensvollstrecker das gesamte Vermögen als Frauengut bezeichnet und dass die Beklagte eingewendet hatte, das eingebrachte Mannesgut sei beim Tode des Erblassers nicht mehr vorhanden gewesen. Mit ihren Ausführungen haben die Kläger jedenfalls sinngemäss erklärt, welche Feststellungen zu treffen seien und wie zu teilen sei. Das muss genügen (vgl. ESCHER, 3. Aufl., N. 5 d zu
Art. 604 ZGB
). Im einzelnen ergeben sich die folgenden Rechtsbegehren: Feststellung des Nachlasses (aufgrund der entsprechenden Behauptungen und Beweisanträge), Feststellung der klägerischen Erbteile (quotenmässig richtigerweise mit insgesamt 9/16 angegeben) und Teilung des Nachlasses.
Indem die Vorinstanz die Substantiierung der klägerischen Rechtsbegehren als ungenügend erachtete, obschon diese die Fällung eines vollstreckbaren Teilungsurteils erlaubt, hat sie sich in Widerspruch zum Bundesrecht gesetzt: Sie hat statt des
BGE 101 II 41 S. 46
massgebenden eidgenössischen Rechts kantonales Recht angewendet. Bei der vorliegenden Sachlage gestützt auf kantonale Prozessvorschriften nicht auf die Klage einzutreten und damit deren materielle Beurteilung zu versagen, läuft auf eine Vereitelung des bundesrechtlichen Teilungsanspruches hinaus.
Das Bundesgericht hat in
BGE 75 II 256
erklärt, auch wenn das kantonale Prozessrecht es zulasse, dass vor den kantonalen Instanzen einfach Feststellung und Teilung des Nachlasses beantragt werde, müssten mit der Berufung ans Bundesgericht konkrete Anträge über die Art der Teilung gestellt werden. JOST (Der Erbteilungsprozess im schweizerischen Recht, S. 73) ist der Ansicht, das Bundesgericht scheine damit den Anforderungen des kantonalen Prozessrechts an die Formulierung des Teilungsbegehrens den Vorrang einräumen zu wollen. Jenes Urteil hatte jedoch lediglich die an die Berufungsschrift gestellten Anforderungen sowie die besondere Natur der eidgenössischen Berufung als revisio in iure zum Gegenstand, welche verbieten, dass vor Bundesgericht lediglich der Antrag auf neue Feststellung und Teilung des Nachlasses gestellt wird. Aus ihm kann zugunsten der Auffassung der Vorinstanz und der Beklagten daher nichts abgeleitet werden.
Der angefochtene Entscheid, der übrigens umso stossender ist, als das kantonale Prozessrecht es bei Forderungsklagen, bei denen die Höhe von einem Beweisverfahren abhängt, ausdrücklich genügen lässt, dass zunächst nur die grundsätzliche Feststellung der Zahlungspflicht verlangt wird (Art. 172 und 205 Abs. 1 Ziff. 3 des Gesetzes über die Zivilrechtspflege), ist somit aufzuheben.
Dispositiv
Demnach erkennt das Bundesgericht:
Die Beschwerde wird gutgeheissen und das Urteil des Kantonsgerichts vom 8. Juli 1974 aufgehoben; die Sache wird zur Neubeurteilung an die Vorinstanz zurückgewiesen. | public_law | nan | de | 1,975 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
7b36f74d-310c-4937-b43c-7458da7223c9 | Urteilskopf
138 IV 86
12. Extrait de l'arrêt de la Ire Cour de droit public dans la cause A. et B. contre C., D. et Ministère public de l'Etat de Fribourg (recours en matière pénale)
1B_687/2011 / 1B_689/2011 du 27 mars 2012 | Regeste
Art. 81 Abs. 1 lit. a und b Ziff. 5 BGG; Berechtigung zur Beschwerde gegen die Einstellung eines Strafverfahrens;
Art. 319 StPO
; Grundsatz "in dubio pro duriore".
Beschwerdebefugnis, wenn im Verlauf eines polizeilichen Einsatzes ein Todesfall eintritt (E. 3).
Tragweite des Grundsatzes "in dubio pro duriore" (E. 4.1 und 4.2). Insbesondere aufgrund der zahlreichen verbleibenden Tat- und Rechtsfragen durfte das Strafverfahren nicht eingestellt werden (E. 4.3). | Sachverhalt
ab Seite 86
BGE 138 IV 86 S. 86
A.
Le 17 avril 2010, B. et plusieurs comparses ont cambriolé un garage à Lyss et volé trois voitures. B. conduisait, E. étant sur le siège passager. Les véhicules ont été poursuivis par la police. Deux d'entre eux ont été abandonnés et leurs occupants ont pris la fuite. B. et E. ont continué à circuler à grande vitesse sur l'autoroute A1 en direction de Payerne. Une patrouille de la gendarmerie vaudoise composée de C. et D. se trouvait à Payerne. Ayant entendu un appel de leurs collègues fribourgeois, ils décidèrent d'installer un barrage dans le tunnel routier de Sévaz après l'avoir fermé à la circulation. La voiture de police, feux bleus allumés, fut installée à cheval entre la bande d'arrêt d'urgence et la voie de droite; une herse fut posée sur la voie de gauche. C. se posta devant la voiture de police, muni d'un pistolet mitrailleur. A l'arrivée du véhicule volé, il tira plusieurs coups de feu en
BGE 138 IV 86 S. 87
visant la partie inférieure de la calandre. Le premier coup (tiré d'une distance d'environ 38 m) traversa le bas du pare-brise et atteignit mortellement E. Le véhicule passa sur la herse et s'immobilisa peu après. Des projectiles, douilles et impacts ont été retrouvés à l'avant, à la hauteur et à l'arrière du barrage.
B.
Le 10 juin 2011, le Ministère public fribourgeois a classé la plainte formée contre C. notamment par A. (frère jumeau de E.), ainsi que la plainte formée par B. pour meurtre, homicide par négligence ou mise en danger de la vie d'autrui. Il a refusé d'entrer en matière sur la plainte pour complicité dirigée contre D. Il a considéré que le barrage avait été correctement installé et que l'usage de l'arme à feu était justifié et proportionné.
C.
Par arrêt du 27 octobre 2011, la Chambre pénale du Tribunal cantonal fribourgeois a confirmé cette décision, sur recours de A. et de B. L'agent avait visé le bas du véhicule et rien ne permettait de retenir une intention de tuer. Tireur entraîné, il ne disposait que de peu de temps pour prendre sa décision et devait éviter de tirer trop bas en raison des risques de ricochets. L'installation d'un barrage dans un tunnel n'était pas contraire aux directives et la position de l'agent, devant le véhicule de police, était correcte. La cour cantonale a confirmé l'état de légitime défense: il semblait que le véhicule circulait "presqu'entièrement" sur la voie de droite peu avant de parvenir au barrage et ne s'était déporté à gauche qu'à l'approche de la herse, de sorte que l'agent pouvait se croire en danger de mort.
D.
A. et B. ont chacun formé un recours en matière pénale contre cet arrêt, concluant en substance à son annulation et au renvoi de C. en jugement.
Le Tribunal fédéral a admis les recours et renvoyé la cause au Ministère public fribourgeois afin qu'il engage l'accusation devant le tribunal compétent après avoir le cas échéant complété l'instruction.
(résumé)
Erwägungen
Extrait des considérants:
3.
Selon l'art. 81 al. 1 let. a et b ch. 5 LTF, la partie plaignante qui a participé à la procédure de dernière instance cantonale est habilitée à recourir au Tribunal fédéral si la décision attaquée peut avoir des effets sur le jugement de ses prétentions civiles. Constituent de telles prétentions celles qui sont fondées sur le droit civil et doivent en conséquence être déduites ordinairement devant les tribunaux civils. Il s'agit
BGE 138 IV 86 S. 88
principalement des prétentions en réparation du dommage et du tort moral au sens des
art. 41 ss CO
. Selon l'
art. 42 al. 1 LTF
, il incombe notamment au recourant d'alléguer les faits qu'il considère comme propres à fonder sa qualité pour recourir (cf.
ATF 133 II 353
consid. 1 p. 356,
ATF 133 II 249
consid. 1.1 p. 251). Lorsque, comme en l'espèce, le recours est dirigé contre une décision de classement, il n'est pas nécessaire que la partie plaignante ait déjà pris des conclusions civiles (
ATF 137 IV 246
consid. 1.3.1). En revanche, elle doit expliquer dans son mémoire quelles prétentions civiles elle entend faire valoir contre l'intimé à moins que, compte tenu notamment de la nature de l'infraction alléguée, l'on puisse le déduire directement et sans ambiguïté (
ATF 137 IV 219
consid. 2.4 p. 222 et les arrêts cités).
3.1
A. a participé à la procédure devant l'autorité précédente. Il admet que, s'agissant d'actes commis par un agent de l'Etat, il ne dispose pas de prétentions civiles au sens de l'art. 81 al. 1 let. b ch. 5 LTF. Il estime toutefois qu'en application des
art. 10 al. 3 Cst.
, 7 Pacte ONU II (RS 0.103.2), 2 et 3 CEDH et 13 de la Convention des Nations Unies du 10 décembre 1984 contre la torture et autres peines ou traitements cruels, inhumains ou dégradants (RS 0.105), il devrait se voir reconnaître un droit de recours contre une décision de classement. Le recourant relève qu'en tant que frère jumeau de la victime, ayant fait ménage commun avec elle, sa qualité de proche serait incontestable.
3.1.1
Les
art. 10 al. 3 Cst.
et 3 CEDH interdisent la torture, ainsi que les peines ou traitements inhumains ou dégradants. La Convention des Nations Unies contre la torture et autres peines ou traitements cruels, inhumains ou dégradants oblige notamment les Etats parties à se doter d'une loi réprimant les traitements prohibés et à instituer des tribunaux compétents pour appliquer cette loi. La première phrase de l'art. 13 de la Convention oblige les Etats parties à reconnaître aux personnes qui se prétendent victimes de traitements prohibés, d'une part, le droit de porter plainte et, d'autre part, un droit propre à une enquête prompte et impartiale devant aboutir, s'il y a lieu, à la condamnation pénale des responsables (
ATF 131 I 455
consid. 1.2.5 p. 462). La jurisprudence considère que la victime de traitements prohibés peut fonder son droit de recours sur les dispositions précitées (arrêts 6B_364/2011 du 24 octobre 2011 consid. 2.2; 6B_274/2009 du 16 février 2010 précité, consid. 3.1.2.1).
3.1.2
Ces exigences doivent valoir a fortiori lorsque l'intéressé est décédé des suites d'un traitement prétendument inapproprié: le droit à la vie, tel qu'il est garanti aux
art. 2 CEDH
et 10 al. 1 Cst., implique
BGE 138 IV 86 S. 89
notamment une obligation positive pour les Etats parties de préserver la santé et la vie des personnes placées sous sa responsabilité (
ATF 136 IV 97
consid. 6.1.1). Ce droit nécessite manifestement une protection juridique accrue (
ATF 135 I 113
consid. 2.1 p. 117) en particulier lorsque le recours à la force par des agents de l'état a entraîné une mort d'homme (CourEDH, arrêt
McCann contre Royaume-Uni
du 27 septembre 1995, Série A vol. 324).
3.1.3
En l'occurrence, il est établi que l'intervention des agents de police a eu pour conséquence le décès du passager du véhicule, atteint par un tir d'arme à feu. Il n'y a pas lieu, au stade de la recevabilité, d'examiner si les actes reprochés aux prévenus sont effectivement constitutifs de violations des dispositions précitées, s'ils procèdent d'un comportement intentionnel de la part des auteurs présumés et si l'auteur a agi de manière proportionnée et peut être mis au bénéfice de faits justificatifs. Ces questions font précisément l'objet de l'enquête pénale et ne sauraient être résolues au stade de la recevabilité.
3.1.4
Le recours 1B_687/2011 n'est pas formé par la victime, décédée après les évènements qui ont donné lieu à l'enquête pénale, mais par son frère jumeau. Celui-ci doit se voir reconnaître le droit d'obtenir la poursuite et la répression des auteurs d'éventuelles infractions. L'art. 14 de la Convention contre la torture prévoit expressément qu'en cas de mort de la victime résultant d'un traitement prohibé, les prétentions qui en découlent passent aux ayants cause de celle-ci. Il y a lieu d'admettre, à ce titre, la qualité pour agir du recourant.
3.2
Pour des motifs analogues, B. peut se voir reconnaître la qualité pour agir. Il se prétend en effet victime d'une infraction de mise en danger de la vie d'autrui (
art. 129 CP
), plusieurs coups de feu ayant été tirés dans sa direction. Le Ministère public a admis dans sa décision que les conditions objectives d'une mise en danger étaient réalisées en tout cas pour le premier coup de feu, parvenu dans l'habitacle du véhicule. Le comportement de l'agent de police est dès lors susceptible de tomber sous le coup des art. 2, respectivement 3 CEDH, dispositions qui réglementent les recours à la force susceptibles d'aboutir à la mort d'une personne (CourEDH, arrêt
Giuliani et Gaggio contre Italie
du 24 mars 2011, § 175 ss). Cela étant, les questions de savoir s'il y a intention et absence de scrupules, si l'intervention était proportionnée et si l'auteur pouvait se croire en état de légitime défense, doivent elles aussi demeurer indécises au stade de la recevabilité.
Il s'ensuit que le recours 1B_689/2011 est, lui aussi, recevable.
BGE 138 IV 86 S. 90
4.
Invoquant le principe in "dubio pro duriore", les recourants se plaignent d'arbitraire dans l'appréciation des faits. A. estime que compte tenu de la vitesse du véhicule, il était impossible à l'agent d'ajuster ses coups de feu; l'argument concernant les risques de ricochet serait irrelevant, vu la munition utilisée. La cour cantonale aurait retenu l'existence d'un état de légitime défense en méconnaissant que le véhicule arrivait sur la voie de gauche et n'était donc pas menaçant et que l'agent aurait créé le danger en se positionnant au milieu de la route. Les recourants estiment aussi que les infractions commises (vol en bande et excès de vitesse) ne justifiaient pas le recours à l'arme. B. reproche pour sa part aux autorités cantonales de ne pas avoir élucidé la question de savoir si l'usage de l'arme, avant même que le véhicule ne passe sur la herse, était proportionné; l'existence d'un danger de mort n'aurait pas été démontrée, et l'agent se serait mis lui-même en danger en raison du dispositif installé à cet endroit.
4.1
Selon l'
art. 319 al. 1 CPP
(RS 312.0), le ministère public ordonne le classement de tout ou partie de la procédure lorsqu'aucun soupçon justifiant une mise en accusation n'est établi (let. a), lorsque les éléments constitutifs d'une infraction ne sont pas réunis (let. b), lorsque des faits justificatifs empêchent de retenir une infraction contre le prévenu (let. c), lorsqu'il est établi que certaines conditions à l'ouverture de l'action pénale ne peuvent pas être remplies ou que des empêchements de procéder sont apparus (let. d) ou lorsqu'on peut renoncer à toute poursuite ou à toute sanction en vertu de dispositions légales (let. e). L'
art. 319 al. 2 CPP
prévoit encore deux autres motifs de classement exceptionnels (intérêt de la victime ou consentement de celle-ci).
4.1.1
De manière générale, les motifs de classement sont ceux "qui déboucheraient à coup sûr ou du moins très probablement sur un acquittement ou une décision similaire de l'autorité de jugement" (Message du 21 décembre 2005 relatif à l'unification du droit de la procédure pénale, FF 2006 1255 ad art. 320). Un classement s'impose donc lorsqu'une condamnation paraît exclue avec une vraisemblance confinant à la certitude. La possibilité de classer la procédure ne saurait toutefois être limitée à ce seul cas. Une interprétation aussi restrictive imposerait un renvoi en jugement, même en présence d'une très faible probabilité de condamnation. Le principe "in dubio pro duriore" exige donc simplement qu'en cas de doute, la procédure se poursuive. Pratiquement, une mise en accusation s'impose lorsqu'une condamnation apparaît plus vraisemblable qu'un acquittement. En effet, en cas de
BGE 138 IV 86 S. 91
doute, ce n'est pas à l'autorité d'instruction ou d'accusation mais au juge matériellement compétent qu'il appartient de se prononcer. Au stade de la mise en accusation, le principe "in dubio pro reo", relatif à l'appréciation de preuves par l'autorité de jugement, ne s'applique donc pas. C'est au contraire la maxime "in dubio pro duriore" qui impose, en cas de doute, une mise en accusation. Ce principe vaut également pour l'autorité judiciaire chargée de l'examen d'une décision de classement (arrêt 6B_588/2007 du 11 avril 2008 consid. 3.2.3, in Pra 2008 n° 123).
4.1.2
Selon l'
art. 2 al. 1 CPP
, la justice pénale est administrée uniquement par les autorités désignées par la loi. La compétence pour décider d'un classement total ou partiel appartient au ministère public (
art. 319 al. 1 CPP
). Celui-ci dispose dans ce cadre d'un large pouvoir d'appréciation, et doit ainsi se demander si une condamnation semble plus vraisemblable qu'un acquittement. Cette question est particulièrement délicate lorsque les probabilités d'un acquittement et d'une condamnation apparaissent équivalentes. Dans de tels cas, pour autant qu'une ordonnance pénale n'entre pas en considération (
art. 352 al. 1 CPP
), le ministère public est en principe tenu de mettre le prévenu en accusation, en application de l'
art. 324 CPP
, ce d'autant plus lorsque les infractions sont graves (cf.
ATF 137 IV 285
s'agissant d'une ordonnance de non-entrée en matière). L'absence de précédents dans l'application du droit pénal matériel peut également constituer un motif de mise en accusation.
4.2
Ainsi entendu, le principe "in dubio pro duriore" ne figure pas expressément dans le CPP actuel. Il se déduit toutefois du principe de la légalité (
art. 5 al. 1 Cst.
en relation avec l'
art. 319 al. 1 let. a et b CPP
). Dans ce cadre, les motifs de classement prévus par la loi étant de nature très différente, l'application du principe "in dubio pro duriore" exige, de la part du ministère public et des instances de recours, une appréciation différenciée en fonction du cas d'espèce, tenant compte des intérêts variables qui peuvent se trouver en présence.
4.3
En l'occurrence, la cour cantonale a retenu que le véhicule circulait à grande vitesse et que l'agent de police intimé s'était légitimement senti menacé. Elle a estimé que le véhicule arrivait en empiétant largement sur la voie de droite, mais il s'agit d'un fait qui ne saurait être considéré comme définitivement établi à ce stade puisque le véhicule a finalement franchi le barrage sur la voie de gauche. D. ainsi que le conducteur de la voiture ont quant à eux affirmé que celle-ci
BGE 138 IV 86 S. 92
circulait sur la voie de gauche. Sur ce point, l'arrêt cantonal retient implicitement, dans le doute, la version la plus favorable au prévenu. Or, au stade du classement, une telle application du principe "in dubio pro reo" ne se justifie pas (
ATF 137 IV 215
consid. 7.3 p. 227). La cause soulève de nombreuses questions de fait (en particulier la vitesse et la trajectoire exactes du véhicule, le nombre et la direction des tirs) et de droit (notamment la question de la légitime défense et de la proportionnalité de l'intervention).
Il n'est dès lors pas possible à ce stade de retenir qu'il n'existe aucun soupçon justifiant une mise en accusation (
art. 319 al. 1 let. a CPP
), ou que les éléments constitutifs d'une infraction ne seraient manifestement pas réunis (
art. 319 al. 1 let. b CPP
). Compte tenu de la gravité des faits et du droit des recourants à une enquête effective et, le cas échéant, à une procédure judiciaire, la décision de classement doit être annulée. Sous réserve des compléments d'instruction à effectuer, un renvoi en jugement s'impose au sens de l'
art. 324 CPP
. | null | nan | fr | 2,012 | CH_BGE | CH_BGE_006 | CH | Federation |
7b386eef-5b66-4d70-b659-d699099b30d2 | Urteilskopf
108 II 1
1. Arrêt de la IIe Cour civile du 18 mars 1982 dans la cause Perrenoud contre Conseil d'Etat du canton de Genève (recours en réforme) | Regeste
Art. 30 Abs. 1, 267 Abs. 1 ZGB. Namensänderung bei einem adoptierten Erwachsenen.
1. Der Adoptierte kann unter den in
Art. 30 Abs. 1 ZGB
für die Namensänderung festgelegten Voraussetzungen seinen ursprünglichen Namen wieder annehmen (Erw. 3).
2. Die Bewilligung der Namensänderung kann aus moralischen, geistigen oder seelischen Gründen gerechtfertigt sein (Bestätigung der Rechtsprechung) (Erw. 5a).
3. Anwendung dieser Grundsätze im Falle eines adoptierten Israeliten namens Lévy. Erteilung der Bewilligung, diesen Namen wieder anzunehmen (Erw. 5b). | Sachverhalt
ab Seite 1
BGE 108 II 1 S. 1
A.-
a) Le 3 juin 1950, les époux Joseph Haïm Lévy et Messody, née Ruimy, tous deux de confession israélite, ont eu un
BGE 108 II 1 S. 2
fils, Ralph Léon. Joseph Haïm Lévy est décédé le 20 novembre 1951. Le 28 mars 1963, Messody Lévy s'est remariée avec Roger Albert Perrenoud. Aucun enfant n'est issu de cette union.
Ralph Léon Lévy a vécu dans le ménage de sa mère et de son beau-père jusqu'à son mariage, le 26 janvier 1973.
Messody Perrenoud est décédée à Genève le 16 mai 1980. Elle a été enterrée au cimetière israélite de Veyrier.
b) Le 9 septembre 1980, Roger Albert Perrenoud a demandé à pouvoir adopter Ralph Léon Lévy. Celui-ci et son épouse ont donné leur consentement. La Cour de justice du canton de Genève a prononcé l'adoption le 17 septembre 1980. De ce fait, Ralph Léon Lévy, sa femme et ses deux enfants mineurs ont perdu le nom de Lévy et acquis celui de Perrenoud (
art. 267 al. 1 CC
).
B.-
Le 25 novembre 1980, Ralph Léon Perrenoud a demandé au Conseil d'Etat du canton de Genève l'autorisation de changer de nom pour reprendre celui de Lévy. Le Conseil d'Etat a rejeté la requête le 2 décembre 1981.
C.-
Ralph Léon Lévy a recouru en réforme au Tribunal fédéral. Il demandait que la décision attaquée fût annulée et qu'il fût autorisé à porter le nom de Lévy. Le recours a été admis.
Erwägungen
Considérant en droit:
1.
Le recours en réforme est recevable contre les décisions cantonales de dernière instance refusant le changement de nom (art. 44 litt. a OJ, en vigueur depuis le 1er janvier 1978).
2.
Aux termes de l'
art. 30 al. 1 CC
, le gouvernement du canton de domicile peut, s'il existe de justes motifs, autoriser une personne à changer de nom. Savoir si cette condition est réalisée est une question d'appréciation, que l'autorité cantonale doit trancher selon les règles du droit et de l'équité (
art. 4 CC
). Saisi d'un recours en réforme, le Tribunal fédéral examine en principe librement s'il existe de justes motifs de changement de nom. Toutefois, comme dans toutes les questions laissées au pouvoir d'appréciation des autorités cantonales, il observe une certaine retenue et n'intervient que si la décision a été prise sur la base de circonstances qui ne jouent aucun rôle selon l'esprit de la loi ou si des aspects essentiels ont été ignorés: connaissant les données locales et personnelles, les conceptions et les coutumes, ainsi que l'environnement dans lequel vit le requérant, les autorités du canton de domicile de ce dernier sont généralement mieux à même d'apprécier la situation que le Tribunal fédéral (
ATF 105 II 66
/67
BGE 108 II 1 S. 3
consid. 2 et les références; cf.
ATF 105 II 243
consid. I 1, 248/249 consid. 2).
3.
Aux termes de l'art. 267 al. 1. CC, l'enfant adopté acquiert le statut juridique d'un enfant de ses parents adoptifs. Ce principe de l'adoption plénière est également valable pour l'adoption d'adultes, à la seule exception du droit de cité (
ATF 105 II 67
consid. 3; cf.
ATF 101 Ib 115
). De par la loi, l'adoption entraîne donc pour l'adopté, son épouse et ses enfants mineurs l'acquisition du nom de famille de l'adoptant.
Compte tenu de cette réglementation claire, le Tribunal fédéral a dit que les inconvénients normalement liés à un changement de nom opéré à la suite d'une adoption ne constituent pas un juste motif de conserver le nom porté jusqu'alors: celui qui accepte d'être adopté doit assumer les conséquences légales de l'adoption (
ATF 105 II 67
/68 consid. 3). Cette jurisprudence a été critiquée par les professeurs GUINAND et LIVER, mais il n'y a pas lieu de s'en écarter. Dans la mesure où on lui reproche d'être "d'une sévérité excessive", le changement de nom pouvant avoir de graves inconvénients en matière d'adoption de majeurs (GUINAND, Revue de l'état civil 48/1980, p. 354), cette critique est dirigée contre la loi elle-même, édictée en pleine connaissance de cause par le législateur, parfaitement au courant des problèmes causés par l'adoption d'adultes (
ATF 105 II 67
consid. 3 et les références): le Tribunal fédéral n'a fait qu'en tirer les déductions logiques. Quant à LIVER (RJB 117/1981 p. 69/70), il estime que la solution aurait pu être différente dans le cas jugé: plutôt que les principes, c'est leur application qu'il critique, compte tenu des données spécifiques de l'affaire.
Il n'en reste pas moins que l'adopté peut reprendre son nom antérieur aux conditions ordinaires du changement de nom telles qu'elles ont été prévues à l'
art. 30 al. 1 CC
(HEGNAUER, Berner Kommentar, n. 37 ad
art. 267 CC
; HEGNAUER/SCHNEIDER, Droit suisse de la filiation, Berne 1978, p. 80; GROSSEN, Fiche juridique suisse 1357, p. 3 ch. III). Le principe de l'adoption plénière énoncé à l'
art. 267 al. 1 CC
n'a pas pour effet intangible que l'adopté doit conserver le nom de l'adoptant. On ne saurait se voir contraint à renoncer à l'adoption par cette seule raison: si l'adopté a un motif sérieux de reprendre son nom, il est fondé à s'en prévaloir après l'adoption, sur la base de l'
art. 30 al. 1 CC
, sans qu'on puisse lui reprocher de chercher à éluder les conséquences de l'
art. 267 al. 1 CC
pour s'arroger une faculté de choix non prévue par la loi.
BGE 108 II 1 S. 4
4.
Dans la mesure où le recourant relève qu'il est dans sa trente-deuxième année, qu'il a toujours vécu à Genève et qu'il y est connu sous le nom de Lévy, son argumentation est dénuée de pertinence: les inconvénients qu'il énumère sont inhérents à tout changement de nom et ne constituent donc pas de justes motifs au sens de l'
art. 30 al. 1 CC
(
ATF 105 II 67
consid. 3).
5.
Le recourant fait en outre valoir que, de confession juive, membre de la communauté israélite de Genève, il est très attaché aux principes de la foi judaïque, dans laquelle il a été élevé. Or le patronyme Lévy désigne les officiants du culte israélite: il revêt ainsi une signification toute particulière pour ceux qui le portent. La perte d'un tel nom a donc une importance exceptionnelle, bien plus grande que s'il s'agissait d'un nom ordinaire, car elle représente une séparation brutale d'avec une identité religieuse et morale fidèlement conservée par les Juifs au travers des siècles, en dépit des souffrances qu'ils ont endurées.
a) Dans la décision attaquée, le Conseil d'Etat se borne à dire que "si le droit suisse n'admet pas que l'exercice des droits civils soit restreint par des motifs de nature ecclésiastique ou religieuse, on ne saurait admettre, a contrario, que de tels motifs puissent en étendre l'exercice".
Mais il ne s'agit pas de cela en l'espèce. Le recourant ne demande pas un traitement privilégié, soit une extension de l'exercice des droits civils pour des raisons de nature ecclésiastique ou religieuse. Il sollicite l'autorisation de reprendre le nom qu'il portait avant d'être adopté, en application de l'
art. 30 al. 1 CC
. Rien n'empêche que les motifs invoqués soient en rapport étroit avec la confession du requérant, son appartenance à une communauté religieuse et son attachement à sa foi: selon la jurisprudence antérieure à l'introduction du recours en réforme contre le refus de changement de nom, mais dont les principes demeurent valables (
ATF 105 II 243
consid. I 2), l'autorisation de changer de nom peut être justifiée par des intérêts d'ordre moral, spirituel ou affectif (
ATF 98 Ia 452
consid. 2). Ce qui est décisif, c'est donc de savoir si les motifs invoqués sont suffisamment importants pour justifier l'autorisation d'un changement de nom.
b) L'autorité cantonale le nie dans ses observations sur le recours. Selon elle, le fait de porter un nom révélateur d'une ascendance religieuse ne constitue pas le support de l'attachement à la religion, non plus qu'il n'en est le seul signe extérieur: la pratique de sa religion dans la vie quotidienne permet à un fidèle
BGE 108 II 1 S. 5
d'affirmer ses sentiments religieux aux yeux de ses coreligionnaires et d'autrui.
Cette manière de voir est trop sommaire.
Le nom de Lévy est étroitement lié à la tradition juive. D'après une attestation du rabbin David Banon, du 16 décembre 1980, ce nom "apparaît pour la première fois dans la Bible... en Genèse 29,-34, verset où l'on relate la naissance des enfants de Jacob, matrice du peuple juif; plus tard, dans la Bible, c'est ce même nom qui servira à nommer la tribu des serviteurs de Dieu au Temple de Jérusalem"; de plus, la liturgie juive "ne connaît que trois types de personnes qui composent dans l'ordre" le peuple juif: "les cohanim (pluriel de cohen: prêtre), les léviim (pluriel de lévi, employé du culte du Temple) et Israël (le reste du peuple avec différents noms tels que Perleman, Gabbaï, Misrahi, Klein, etc.)". Aux yeux d'un juif pratiquant, le nom de Lévy apparaît donc comme "noble nom", selon l'expression du rabbin Banon: ceux qui le portent ont été voués par Dieu au service du Temple (cf. notamment Nombres 3, 5 ss).
On comprend donc que, pour celui qui s'appelle Lévy et qui est attaché à ses racines spirituelles, l'acquisition, par suite d'adoption, d'un autre patronyme sans signification à cet égard, comme Perrenoud, représente une atteinte profonde à son identité personnelle.
La condition de juif n'a pas seulement un contenu religieux; elle est l'appartenance à une communauté typique, une mais aussi diverse, possédant, liées à sa foi, une culture et des traditions. On peut vouloir rester juif et s'affirmer tel même si l'on est agnostique. Or, il est incontestable que le fait de s'appeler Perrenoud a pour conséquence que la qualité d'israélite du recourant n'est plus manifestée. Seuls ses parents, ses proches, ses amis et ses connaissances au courant de son adoption, soit un cercle étroit, savent qu'il est d'ascendance, de religion, de culture et de tradition juives. Certes, le recourant peut faire apparaître cette condition par la pratique religieuse; mais, on l'a vu, il peut vouloir s'affirmer juif sans nécessairement suivre le culte israélite de manière régulière. Sous le nom de Perrenoud, il devrait, pour se faire connaître comme juif aux personnes avec lesquelles il est en relation, expliquer qu'il est israélite, qu'il s'appelait auparavant Lévy, qu'il a été adopté par son beau-père et que, par là, il a acquis le nom de celui-ci. En revanche, s'il porte le nom de Lévy, sa condition de juif est d'emblée manifeste.
BGE 108 II 1 S. 6
De surcroît, le changement de nom de Lévy et son remplacement par le patronyme Perrenoud pourraient être interprétés, par les personnes qui ignorent l'adoption du recourant, comme un moyen pour lui de cacher son ascendance israélite, voire comme un abandon de la communauté juive. La situation du recourant est très différente de celle de la personne qui change un nom ordinaire et courant contre un autre nom de même nature ne comportant aucun signe d'appartenance à une collectivité fortement individualisée par sa religion, son histoire, sa culture et ses traditions.
6.
En refusant le changement de nom demandé par le recourant, l'autorité cantonale n'a ainsi pas pris en considération tous les éléments déterminants, méconnaissant certains aspects essentiels de l'espèce. Le recours doit dès lors être admis, la décision attaquée annulée et le recourant autorisé à changer de nom patronymique pour porter celui de Lévy. | public_law | nan | fr | 1,982 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
7b393404-ae5e-42bf-8fa7-3b934c6275d5 | Urteilskopf
117 Ia 84
5. Arrêt de la Ire Cour de droit public du 22 février 1991 dans la cause L. contre Conseil d'Etat du canton de Vaud (recours de droit public) | Regeste
Art. 84 Abs. 2 und
Art. 88 OG
; Wirkungen der bedingten Entlassung aus dem Strafvollzug auf ein Begnadigungsgesuch.
Eine Begnadigungsverweigerung kann beim Bundesgericht weder mit der eidgenössischen Nichtigkeits- noch mit der Verwaltungsgerichtsbeschwerde angefochten werden (E. 1a). Auch die staatsrechtliche Beschwerde ist grundsätzlich nicht gegeben, da es an einem rechtlich geschützten Interessen mangelt; doch kann der Betroffene damit die Verletzung von Parteirechten, die ihm im Bereich des Begnadigungsverfahrens in beschränktem Masse zustehen, geltend machen (E. 1b).
Es ist nicht willkürlich, auf ein Begnadigungsgesuch nicht einzutreten, weil gegenstandslos geworden, wenn der Verurteilte bedingt aus dem Strafvollzug entlassen worden ist (E. 2). | Sachverhalt
ab Seite 85
BGE 117 Ia 84 S. 85
A.-
Par jugement du 27 mars 1986, le Tribunal criminel du district de Vevey a condamné L. à six ans de réclusion, sous déduction de 301 jours de détention préventive, et à dix ans d'expulsion du territoire suisse, ainsi qu'à une amende de 500 francs, notamment pour tentative de meurtre.
B.-
Le 7 mai 1990, L. a adressé une demande en grâce au Grand Conseil du canton de Vaud, faisant valoir que sa libération conditionnelle avait été refusée à quatre reprises, la dernière fois par décision du 2 avril 1990 de la Commission de libération du Département de justice et police, quand bien même il avait effectué le 30 mai 1989 les deux tiers de sa peine; il demandait que la peine fût réduite de six à cinq ans, se prévalant de son jeune âge et du fait qu'il était délinquant primaire.
C.-
Par arrêt du 4 juillet 1990, la Cour de cassation pénale du Tribunal fédéral a admis le recours formé par L. contre la décision du 2 avril 1990 précitée, et ordonné la mise en liberté conditionnelle du recourant. Celui-ci a été expulsé de Suisse le 6 juillet 1990.
Par décision du 10 octobre 1990, le Conseil d'Etat du canton de Vaud déclara irrecevable la demande en grâce, au motif qu'elle était devenue sans objet.
L. forme contre cette décision un recours de droit public pour violation de l'
art. 4 Cst.
Erwägungen
Considérant en droit:
1.
Le Tribunal fédéral examine d'office et avec une pleine cognition la recevabilité des recours qui lui sont soumis (
ATF 116 Ia 179
consid. 2).
a) Selon l'
art. 84 al. 2 OJ
, le recours de droit public n'est recevable que si la violation alléguée ne peut pas être soumise par un autre moyen de droit quelconque au Tribunal fédéral ou à une autre autorité fédérale. Acte étatique sui generis, la décision d'octroi ou de refus de la grâce n'entre pas dans les catégories de décisions définies à l'
art. 268 PPF
; le pourvoi en nullité n'est dès lors pas ouvert à son encontre (arrêt non publié du 28 janvier 1944 en la cause M. = JT 1944 IV 92; CORBOZ, Le pourvoi en nullité à la Cour de cassation du Tribunal fédéral, SJ 1991, p. 57 ss, 65). N'ayant pas non plus le caractère d'une décision au sens de l'
art. 5
BGE 117 Ia 84 S. 86
PA
, elle ne saurait faire l'objet d'un recours de droit administratif (
ATF 106 Ia 132
consid. 1a). Le recours de droit public serait, de ce point de vue, recevable.
b) Les particuliers n'ont qualité pour agir par la voie du recours de droit public qu'en tant qu'ils ont un intérêt direct et juridiquement protégé à l'annulation de la décision attaquée (
art. 88 OJ
;
ATF 114 Ia 311
consid. 3b). Lorsqu'il entend se plaindre de l'application arbitraire d'une norme, le recourant doit démontrer que celle-ci lui confère un droit ou tend à la protection de ses intérêts (
ATF 114 Ia 383
consid. 2c).
Les art. 394 à 396 CP ne déterminent pas les conditions auxquelles est subordonné l'octroi de la grâce. Sont décisives à cet égard des considérations étrangères à l'appréciation des preuves, à l'application du droit et aux principes régissant la fixation de la peine, considérations qui, selon les cas, peuvent même être de nature purement politique. L'autorité compétente pour examiner la demande de grâce jouit d'un très grand pouvoir d'appréciation. Au contraire de l'accusé qui peut prétendre à l'acquittement au bénéfice du doute, nul n'a un droit à la grâce (
ATF 95 I 543
consid. 1 = JT 1970 IV 88). Le recours de droit public n'est donc en principe pas ouvert, faute d'un intérêt juridiquement protégé, contre l'acte étatique par lequel la demande en grâce est rejetée (
ATF 106 Ia 132
consid. 1a, arrêt non publié du 28 septembre 1990 en la cause K.).
Selon la jurisprudence, le particulier qui n'a pas la qualité pour agir au fond peut, par la voie du recours de droit public, se plaindre de la violation de droits qui lui sont reconnus par la législation cantonale ou de droits découlant de l'
art. 4 Cst.
lorsqu'une telle violation équivaut à un déni de justice formel (
ATF 115 Ia 79
consid. 1d). S'agissant de la grâce, le condamné ne dispose toutefois que de droits procéduraux restreints. Ainsi, dès lors que l'autorité n'est pas tenue de motiver sa décision (
ATF 107 Ia 103
= JT 1982 IV 143), il ne saurait faire valoir une violation de son droit d'être entendu stricto sensu (LANGUIN, LUCCO-DÉNÉRÉAZ, ROBERT et ROTH, La grâce, institution entre tradition et changements, Lausanne 1988, p. 27). En revanche, il peut se plaindre de ce que l'autorité aurait déclaré à tort sa demande irrecevable (
ATF 106 Ia 132
consid. 1a). Tel est le grief soulevé par le recourant; il convient donc d'entrer en matière.
2.
S'appuyant sur sa jurisprudence, le Conseil d'Etat a estimé que le recours en grâce était devenu irrecevable parce que sans objet, L. ayant obtenu la libération conditionnelle avant que
BGE 117 Ia 84 S. 87
l'autorité ait pu statuer sur sa demande. Le recourant soutient que l'autorité intimée aurait ainsi arbitrairement appliqué les
art. 395 et 396 CP
et commis un déni de justice formel.
a) Selon l'
art. 396 CP
, par l'effet de la grâce, toutes les peines prononcées par un jugement passé en force peuvent être remises, totalement ou partiellement, ou commuées en peines plus douces (al. 1). L'étendue de la grâce est déterminée par l'acte qui l'accorde (al. 2). La grâce se définit comme une renonciation de l'Etat, totale ou partielle, conditionnelle ou non, à l'exécution d'une peine (STRATENWERTH, Schweizerisches Strafrecht, Berne 1989, p. 284). A l'instar du sursis ou de la libération conditionnelle, l'octroi de la grâce ne concerne que l'exécution de la peine et n'a pas pour effet d'annuler le jugement pénal, lequel reste notamment inscrit au casier judiciaire (
ATF 84 IV 139
). L'on ne voit dès lors pas quel intérêt pourrait avoir le requérant à ce qu'il soit statué sur sa demande de grâce alors qu'il n'a plus à exécuter la peine privative de liberté à laquelle il a été condamné. En outre, le recourant n'ayant pas étendu sa demande de grâce à l'expulsion prononcée à son encontre, point n'est besoin de rechercher s'il aurait eu un intérêt à ce que le Conseil d'Etat statue sur ce point.
b) Selon le recourant, un tel intérêt pourrait exister dans le cas où, libéré conditionnellement, il ne pourrait ou ne voudrait pas se soumettre aux conditions auxquelles était subordonnée sa mise en liberté.
Cet argument ne suffit pas à démontrer l'intérêt actuel du recourant à l'octroi d'une telle mesure. En effet, si la libération conditionnelle devait être révoquée et la réintégration ordonnée (
art. 38 ch. 4 CP
), il aurait la faculté de renouveler sa demande en grâce et de solliciter que la mise à exécution soit différée jusqu'au moment où l'autorité aurait statué sur sa demande.
La pratique se fonde aussi à juste titre sur la considération que la libération conditionnelle rend la grâce superflue. Ainsi, lorsque l'autorité investie du droit de grâce constate que les conditions légales à l'octroi de la libération conditionnelle sont remplies, elle peut renvoyer la demande à l'autorité compétente pour en connaître (CLERC, De l'exercice du droit de grâce par les cantons sous l'empire du CPS, RPS 1958, p. 108). En revanche, lorsque cette libération conditionnelle a déjà été accordée, l'autorité de grâce peut sans arbitraire considérer que la demande en grâce est devenue sans objet, ou à tout le moins que le recourant n'a pas d'intérêt actuel à son admission (cf. PANCHAUD, OCHSENBEIN, VAN RUYMBEKE, Code pénal annoté, Lausanne 1989, note ad.art. 396).
BGE 117 Ia 84 S. 88
Le recourant semble partir du principe qu'il pourrait bénéficier d'une grâce inconditionnelle. Or, cette mesure est souvent assortie de conditions destinées à susciter de la part du condamné un comportement conforme à la loi, comme l'autorité peut le prévoir en cas de sursis (
art. 41 ch. 2 CP
) ou de libération conditionnelle (
art. 38 ch. 2 et 3 CP
;
ATF 84 IV 195
= JdT 1959 IV 34; REAL, Die Begnadigung im Kanton Aargau, thèse, Zurich 1981, p. 100 ss); c'est une possibilité à laquelle les autorités vaudoises recourent fréquemment (LANGUIN ET AL., op.cit., p. 25, 59). Lorsque ces conditions coïncident avec celles de la libération conditionnelle, le condamné n'a aucun intérêt à l'octroi d'une grâce qui ne lui conférerait aucun avantage supplémentaire.
Dans les situations équivalentes, où le recourant ne peut invoquer aucun intérêt pratique actuel à l'admission de son recours, le Tribunal fédéral n'entre pas non plus en matière sur les recours qui lui sont adressés (
art. 88 et 103 OJ
;
ATF 111 Ib 56
,
ATF 109 Ia 169
,
ATF 106 Ia 151
).
Cela étant, le Conseil d'Etat n'a commis aucun déni de justice en déclarant la demande du recourant irrecevable. Le recours s'avère donc manifestement mal fondé. | public_law | nan | fr | 1,991 | CH_BGE | CH_BGE_002 | CH | Federation |
7b3b9b93-8d0f-4257-aae4-1e9723c528d1 | Urteilskopf
110 II 37
9. Auszug aus dem Urteil der II. Zivilabteilung vom 15. März 1984 i.S. H. Sturzenegger & Cie. gegen Kanton Basel-Landschaft (zivilrechtliche Klage) | Regeste
Haftung aus Führung des Grundbuchs (
Art. 955 Abs. 1 ZGB
).
Wird im Grundbuch ein neues vertragliches Pfandrecht eingetragen, das einem bereits eingetragenen Pfandrecht im Rang vorgeht, ohne dass eine schriftliche Nachgangserklärung des vorgehenden Pfandgläubigers vorliegt, so begründet dies grundsätzlich die Verantwortlichkeit des Kantons. Eine Haftung entfällt jedoch, wenn die Entstehung des dadurch bewirkten Schadens durch Erhebung einer Grundbuchberichtigungsklage hätte verhindert werden können. | Sachverhalt
ab Seite 37
BGE 110 II 37 S. 37
A.-
Am 9./10. September 1971 gewährte die H. Sturzenegger & Cie., Basel, eine Kommanditgesellschaft, welche die Durchführung von Bank-, Finanz- und Kommissionsgeschäften bezweckt, der ebenfalls in Basel domizilierten Immobilienfirma Louis Cron AG ein Darlehen von Fr. 1'000'000.- bis zum 30. September 1972. Als Zinssatz wurden 8% vereinbart. Der Gläubigerin wurde
BGE 110 II 37 S. 38
zur Sicherheit ein Inhaberschuldbrief im Betrag von Fr. 1'000'000.-, lastend im ersten Rang auf den Parzellen 985 und 3482 des Grundbuches Muttenz, übergeben. Am 4. September 1972 erklärte sich die Gläubigerin damit einverstanden, das Darlehen bis zum 31. März 1973 zu verlängern sowie den als Sicherheit übergebenen Inhaberschuldbrief in den zweiten Rang mit Nachrückungsrecht hinter eine neu zu bestellende Baukredithypothek von maximal Fr. 2'500'000.- zurücktreten zu lassen. Am 18. September 1972 schrieb sie dem Grundbuchamt Arlesheim unter anderem folgendes:
"Als Inhaber rubr. Schuldbriefes erklären wir uns bereit, hinter eine Baukredit-Hypothek von max. 2'500'000.- in den 2. Rang mit Nachrückungsrecht zurückzutreten."
Im Auftrag von Louis Cron errichtete das Grundbuchamt Arlesheim am 19. Oktober 1972 einen Inhaberschuldbrief im ersten Rang im Betrag von Fr. 2'500'000.-, lastend auf der Parzelle 985. Gleichzeitig trug es auf dem der H. Sturzenegger & Cie. als Sicherheit dienenden Inhaberschuldbrief über Fr. 1'000'000.- folgende Änderung ein:
"Zufolge Rücktrittserklärung steht der gegenwärtige Inhaberschuldbrief nunmehr im zweiten Rang, in bezug auf Parz. 985. Im ersten Range geht neu vor: Beleg 4777, Inhaberschuldbrief per Fr. 2'500'000.-, iW: Zwei Millionen fünfhunderttausend Franken, mit Pfandrecht für Zinsen bis 7%, vom 19. Oktober 1972."
Der neue Inhaberschuldbrief über Fr. 2'500'000.- wurde der Schweizerischen Kreditanstalt ausgehändigt, welche den Restkaufpreis der Liegenschaft zu finanzieren hatte. Die H. Sturzenegger & Cie. erhielt den Inhaberschuldbrief mit der erwähnten Änderung zurück.
B.-
Am 6. April 1976 wurde der Louis Cron AG eine Nachlassstundung gewährt. Am 24. November 1976 bestätigte das Zivilgericht Basel-Stadt den von der Schuldnerin vorgeschlagenen Nachlassvertrag mit Vermögensabtretung, dem die H. Sturzenegger & Cie. zugestimmt hatte. Unter anderem waren danach die Forderungen der Gläubiger nur bis zum 6. April 1976 zu verzinsen. Im Nachlassverfahren meldete die H. Sturzenegger & Cie. eine pfandgesicherte Darlehensforderung (inklusive Zins zu 8% bis 6. April 1976) von Fr. 976'096.- an. Die Pfandparzelle 985 wurde am 25. Juni 1980 mit Zustimmung der Pfandgläubiger freihändig verkauft. Der Erlös deckte nicht einmal die Forderung der Schweizerischen
BGE 110 II 37 S. 39
Kreditanstalt als Inhaberin des Schuldbriefes im ersten Rang. Für ihre gesamte Darlehensforderung samt Zinsen erhielt die H. Sturzenegger & Cie. einen Pfandausfallschein.
C.-
Mit Eingabe vom 13. Mai 1984 erhob die H. Sturzenegger & Cie. beim Bundesgericht gegen den Kanton Basel-Landschaft Klage, mit folgendem Rechtsbegehren:
"Es sei der Beklagte zur Zahlung von Fr. 976'096.- nebst Zins zu 8% seit dem 7. April 1976 sowie zu den Kosten der Zahlungsbefehle 8525, 17573, 25201, 33985, 1335 und 10015 von insgesamt Fr. 960.- an die Klägerin zu verurteilen."
Der Beklagte beantragte in der Klageantwort die Abweisung der Klage.
Auf die Vorbereitungsverhandlung haben die Parteien verzichtet.
Das Bundesgericht weist die Klage ab.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
2.
Die Klägerin macht einen Schaden aus mangelhafter Führung des Grundbuchs, eventuell aus der Tätigkeit des Bezirksschreibers als Urkundsperson, geltend. Zur Begründung ihrer Klage führt sie aus, der Bezirksschreiber zu Arlesheim habe bei der Errichtung des Inhaberschuldbriefes im ersten Rang im Betrag von Fr. 2'500'000.- nicht beachtet, dass die Klägerin gemäss ihrer Erklärung nur hinter eine Baukredithypothek von maximal Fr. 2'500'000.- habe zurücktreten wollen. Statt eines Maximalpfandrechts über Fr. 2'500'000.- habe er einen gewöhnlichen Inhaberschuldbrief mit Zins bis 7% errichtet. Wer den Rücktritt hinter einen Vorgang in Form einer Baukredit-Maximalhypothek erkläre, gehe ein beschränktes und einigermassen kalkulierbares Risiko ein. Da die Auszahlungen im Rahmen des Baukredites jeweils nach Massgabe des Fortschreitens der Baute und in der Regel nur für Material und Arbeit mit Visum des bauleitenden Architekten erfolgten, bestehe sowohl für den Baugläubiger als auch für den zurückgetretenen Nachgangspfandgläubiger Gewähr, dass sich mit jeder Auszahlung der Wert der Pfandliegenschaft verhältnismässig erhöhe. Darauf habe die Klägerin bei der Abgabe ihrer Rücktrittserklärung vertrauen dürfen. Sie wäre nie bereit gewesen, mit dem ihre Darlehensforderung sichernden Schuldbrief hinter ein festes Grundpfandrecht zurückzutreten.
BGE 110 II 37 S. 40
Werde anstelle der hiefür besonders geeigneten Grundpfandverschreibung für einen Baukredit als Maximalhypothek ein solches Pfandrecht als Vorgang eingetragen, vermindere sich unter Umständen die Sicherheit des Nachgangspfandgläubigers um den vollen Betrag des Pfandvorgangs zuzüglich dreier verfallener Jahreszinse und des seit dem letzten Zinstag laufenden Zinses. Der Bezirksschreiber als Urkundsperson und der Grundbuchverwalter hätten bei pflichtgemässer Aufmerksamkeit den Widerspruch zwischen den Weisungen der Klägerin (Rücktritt hinter eine Baukredithypothek von maximal Fr. 2'500'000.-) und denjenigen der Louis Cron AG (Antrag auf Schuldbrieferrichtung unter Hinweis auf den Liegenschaftskauf und die Finanzierung des Restkaufpreises) erkennen müssen. Der neue Inhaberschuldbrief über Fr. 2'500'000.- mit Zinsen bis zu 7% hätte auf der Parzelle 985 nicht im ersten Rang eingetragen werden dürfen, weil ein gültiger Rücktritt des bisherigen Erstranggläubigers gefehlt habe.
3.
Im Kanton Basel-Landschaft sind die Bezirksschreiber gleichzeitig Urkundsbeamten und Grundbuchführer (§ 18 Abs. 1 lit. a und 111 EG ZGB). Ihre Verantwortlichkeit als Urkundsbeamten richtet sich nach dem kantonalen Gesetz vom 25. November 1851 für Verantwortlichkeit der Behörden und Beamten (§ 18a EG ZGB). Soweit die Klägerin ihren Anspruch gegen den Beklagten aus der Tätigkeit des Bezirksschreibers als Urkundsperson ableitet, erweist er sich zum vornherein als unbegründet. Nicht die Errichtung des neuen Inhaberschuldbriefs über Fr. 2'500'000.- kann die Ursache des von der Klägerin erlittenen Schadens gewesen sein, sondern bestenfalls dessen Eintragung im Grundbuch ohne Berücksichtigung der von der Klägerin für den Rücktritt hinter den neuen Schuldbrief aufgestellten Bedingung.
4.
Art. 955 Abs. 1 ZGB
macht die Kantone für allen Schaden verantwortlich, der aus der Führung des Grundbuchs entsteht. Die Haftung des Staates ist kausal und setzt ein Verschulden der Grundbuchorgane nicht voraus. Dagegen muss die Führung des Grundbuchs rechtswidrig gewesen sein, d.h. die anwendbaren gesetzlichen oder reglementarischen, bundesrechtlichen oder kantonalen Bestimmungen verletzt haben. Zwischen dem rechtswidrigen Vorgehen der Grundbuchorgane und dem eingetretenen Schaden muss ferner ein natürlicher und adäquater Kausalzusammenhang bestehen. Im übrigen sind mit Bezug auf den Umfang der Ersatzpflicht
Art. 43 und
Art. 44 OR
und hinsichtlich der Verjährung
Art. 60 OR
entsprechend anwendbar (vgl. DESCHENAUX, in: Traité
BGE 110 II 37 S. 41
de droit privé suisse, Bd. V/II/2, S. 75 ff., mit Hinweisen auf Lehre und Rechtsprechung).
a) Die Klägerin erblickt die Widerrechtlichkeit des Vorgehens des Bezirksschreibers darin, dass dieser entgegen den Bedingungen ihrer Rücktrittserklärung im ersten Rang statt eine Baukredithypothek einen Inhaberschuldbrief mit Zinssicherung bis 7% eingetragen habe.
Die Eintragung eines neuen vertraglichen Pfandrechts darf die Rechtsstellung der schon eingetragenen Pfandgläubiger nicht beeinträchtigen. Eine Änderung der Rangordnung, die erst durch die Eintragung dinglich wirkt und auf den Titeln der den Rang wechselnden Pfandrechte erscheinen muss (LEEMANN, N. 72 zu Art. 813/814 ZGB), bedarf der schriftlichen Nachgangserklärung (Rücktritt im Pfandrechtsrang) der betroffenen Pfandgläubiger. Fehlt eine solche Erklärung und wird das neue Pfandrecht dennoch im vorgehenden Rang eingetragen, so begründet dies grundsätzlich die Verantwortlichkeit des Kantons. Die "Führung des Grundbuchs" im Sinne von
Art. 955 Abs. 1 ZGB
umfasst die gesamte Tätigkeit des Grundbuchführers in dieser Eigenschaft, also nicht nur die Buchungen in den Haupt- und Hilfsregistern, sondern insbesondere auch die Tätigkeit in Verbindung mit der Ausstellung und Löschung von Pfandtiteln (
BGE 57 II 569
ff.,
BGE 53 II 372
,
BGE 51 II 389
; DESCHENAUX, a.a.O. S. 186 ff.; HOMBERGER, N. 3 zu
Art. 955 ZGB
).
b) Im vorliegenden Fall fehlt es jedenfalls insoweit an einer gültigen Rangrücktrittserklärung, als der Grundbuchführer im ersten Rang statt eine Maximalhypothek über Fr. 2'500'000.- eine Kapitalhypothek im gleichen Betrag "mit Pfandrecht für Zinsen bis 7%" eintrug. Die Erstreckung der Pfandhaft auf die Zinsen war aber für den von der Klägerin erlittenen Schaden nicht kausal, da die Inhaberin des Schuldbriefs nicht einmal bis zum Betrag ihrer Kapitalforderung von Fr. 2'500'000.- gedeckt worden ist.
c) Was die Eintragung eines Inhaberschuldbriefs anstelle einer Baukredithypothek anbetrifft, kann man sich fragen, ob der Rangrücktritt überhaupt von der Bedingung abhängig gemacht werden kann, dass im vorgehenden Rang eine ganz bestimmte Grundpfandart (nämlich eine Grundpfandverschreibung) errichtet wird und dass das gewährte Darlehen zu einem ganz bestimmten Zweck (der Finanzierung einer Baute) verwendet wird. Nach
Art. 813 Abs. 2 ZGB
kann an sich als Vorgang bei der Eintragung eines Pfandrechts nur "ein bestimmter Betrag" vorbehalten werden.
BGE 110 II 37 S. 42
Das gleiche muss für den nachträglichen Rangrücktritt gelten. Anderseits hat der Zweck des Grundpfandes mit der Grundbuchführung als solcher nichts zu tun. Der Grundbuchführer hat die Verwendung des gewährten Kredites nicht zu überwachen. Auch die Errichtung einer Baukredithypothek hätte daher - von der Grundbuchführung her - keine Gewähr dafür geboten, dass sich der Wert der Pfandliegenschaft wirklich entsprechend der Inanspruchnahme des Kredites erhöht hätte. Wie es sich mit dieser Frage verhält, kann jedoch dahingestellt bleiben, da die Klage aus einem andern Grund ohnehin abzuweisen ist.
d) Eine Verantwortlichkeit aus
Art. 955 Abs. 1 ZGB
fällt nämlich zum vornherein ausser Betracht, wenn der Geschädigte die ihm zumutbaren Massnahmen nicht ergriffen hat, welche die Entstehung des durch die rechtswidrige Handlung der Grundbuchorgane bewirkten Schadens verhindert hätten. So ist beispielsweise Beschwerde im Sinne von
Art. 103 GBV
zu führen, wenn eine Anmeldung angeblich zu Unrecht abgewiesen worden ist. Erweist sich dagegen eine Eintragung oder eine Löschung als ungerechtfertigt, hat derjenige, der "dadurch in seinen dinglichen Rechten verletzt ist", gemäss
Art. 975 ZGB
auf Berichtigung des Grundbuchs zu klagen. Er kann nicht statt dessen einer Verantwortlichkeitsklage gegen den Staat den Vorzug geben (DESCHENAUX, a.a.O. S. 196; HOMBERGER, N. 10 zu
Art. 955 ZGB
).
Die Klägerin ist nach eigenen Angaben im Bank- und Finanzsektor tätig. Mit Recht weist der Beklagte darauf hin, dass das Hypothekargeschäft zum festen Bestandteil jeder Kreditabteilung einer Bank gehört. Es wäre den Sachbearbeitern der Klägerin durchaus zuzumuten gewesen, nach Rückerstattung des Schuldbriefs durch das Grundbuchamt die angebrachte Änderung auf ihre Übereinstimmung mit den erteilten Weisungen und den getroffenen Abmachungen zu prüfen. Dabei hätten sie ohne Schwierigkeiten den Widerspruch zu den Weisungen und die Verschlechterung der Rechtsstellung der Klägerin erkennen können (zur Sorgfaltspflicht einer Kleinbank vgl. auch
BGE 53 II 374
ff. E. 2). Zwar stand der Klägerin gegen das Vorgehen des Bezirksschreibers der Beschwerdeweg nicht offen. Dieser ist nur im Anmeldungsbereich gegeben, wenn das Gesuch um Eintragung, Vormerkung, Änderung oder Löschung abgewiesen (
Art. 103 GBV
) oder wenn beispielsweise eine Anmeldung nicht entgegengenommen oder ein Gläubiger in das Verzeichnis nicht aufgenommen wird (
Art. 104 GBV
). Gegen eine einmal vorgenommene Buchung steht
BGE 110 II 37 S. 43
nur die Berichtigungsklage zur Verfügung; die Beschwerde ist ausgeschlossen (
Art. 956 Abs. 2 ZGB
,
BGE 107 Ib 188
,
BGE 106 Ib 13
,
BGE 102 Ib 13
,
BGE 98 Ia 186
; DESCHENAUX, a.a.O., S. 152/153 und 461-466). Hingegen hätte die Klägerin, die in ihren dinglichen Rechten, d.h. in ihrer Rechtsstellung als Grundpfandgläubigerin, verletzt war, gemäss
Art. 975 ZGB
auf Abänderung oder Löschung des Eintrages des neuen Schuldbriefs klagen können, wobei das Urteil des Richters allenfalls im Rahmen des administrativen Berichtigungsverfahrens der
Art. 977 ZGB
und
Art. 98-101 GBV
durch das Einverständnis aller Beteiligten hätte ersetzt werden können. Dieses Vorgehen wäre geeignet gewesen, die allfälligen schädigenden Wirkungen des Irrtums oder des Versehens des Grundbuchführers auszuschalten. Die Klägerin hat davon keinen Gebrauch gemacht. Diese Unterlassung wiegt so schwer, dass dadurch der Kausalzusammenhang zwischen der beanstandeten Tätigkeit des Grundbuchführers und dem Eintritt des Schadens, sofern ein solcher überhaupt bestand, unterbrochen wurde, weshalb der Klage jedenfalls aus diesem Grund der Boden entzogen ist. | public_law | nan | de | 1,984 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
7b3bad87-410e-4cba-afcb-f09c6bfe68b8 | Urteilskopf
119 Ia 46
9. Auszug aus dem Urteil der II. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 12. März 1993 i.S. Eheleute X. gegen Kanton Aargau und Gemeindesteuerkommission Y. (staatsrechtliche Beschwerde) | Regeste
Art. 46 Abs. 2 BV
; Änderung der für die interkantonale Steuerausscheidung massgebenden Verhältnisse.
1. Beim Erwerb einer ausserkantonalen Liegenschaft darf der Kanton der gelegenen Sache die Liegenschaft und deren Ertrag vom ersten Tag an besteuern; der Wohnsitzkanton, der das in die neue Liegenschaft investierte Vermögen und seinen Ertrag steuerlich für eine längere Veranlagungsperiode bereits erfasst hat, ist zur Vermeidung einer Doppelbesteuerung von Bundesrechts wegen verpflichtet, eine Zwischenveranlagung vorzunehmen (Bestätigung der Rechtsprechung, E. 3).
2. Sofern durch den Erwerb der Liegenschaft der proportionale Anteil der gesamten Schulden an den gesamten Aktiven gestiegen ist, hat der Wohnsitzkanton einen verhältnismässigen Anteil an den gesamten bisherigen und neuen Schulden und Schuldzinsen zu übernehmen (E. 4 und 5).
3. Zur Bestimmung des Steuersatzes darf der Wohnsitzkanton auf die Werte gemäss bisheriger Veranlagung abstellen (E. 6). | Sachverhalt
ab Seite 47
BGE 119 Ia 46 S. 47
Die Eheleute X. haben ihr ordentliches Steuerdomizil in Y. (Kanton Aargau). Am 1. September 1987 erwarb Frau X. in Zürich eine Liegenschaft. Fr. 150'000.-- brachte sie aus eigenen Mitteln auf (Wertschriften, Sparguthaben), die Fremdfinanzierung belief sich auf Fr. 400'000.--.
Auf den 1. September 1987 nahm das Gemeindesteueramt Y. eine Zwischeneinschätzung wegen Änderung der für die interkantonale Steuerausscheidung massgebenden Verhältnisse vor (§ 57 Abs. 1 lit. c des Aargauer Steuergesetzes vom 13. Dezember 1983). Dabei berechnete es bei unveränderter Fortführung der Vergangenheitsbemessung die Quoten neu. Das im Kanton steuerbare Vermögen reduzierte es um die weggefallenen Wertschriften, Sparguthaben usw. (Fr. 150'000.--), das steuerbare Einkommen um den daraus erzielten Ertrag (Fr. 3'000.--). Die bei Beginn der Steuerperiode am 1. Januar 1987 vorhanden gewesenen Schulden und darauf geschuldeten Zinsen verlegte es proportional gemäss der neuen Lage der bisherigen Aktiven (Aargau: Fr. 588'569.--; Zürich: Fr. 150'000.--). Das Gesamtvermögen und Gesamteinkommen liess es aufgrund der Vergangenheitsbemessung unverändert. Die im Zusammenhang mit dem Erwerb der Liegenschaft aufgenommenen neuen Schulden und die darauf geschuldeten Schuldzinsen blieben unberücksichtigt. Wie die Steuerpflichtigen behaupten, haben sie zufolge dieser Veranlagung ab 1. September 1987 mehr als ihr
BGE 119 Ia 46 S. 48
gesamtes Reinvermögen und Reineinkommen zu versteuern, weil die neuen Schulden und Schuldzinsen das im Kanton Zürich steuerbare Vermögen und seinen Ertrag übersteigen.
Eine Einsprache mit dem Begehren, dass die mit dem Erwerb der ausserkantonalen Liegenschaft verbundene höhere Verschuldung "unverzüglich und vollständig" berücksichtigt werde, wies die Steuerkommission Y. am 23. Oktober 1991 ab. Sie hob hervor, Anlass für die Zwischenveranlagung bildeten hier nicht veränderte finanzielle Verhältnisse beim Steuerpflichtigen, sondern eine Änderung der interkantonalen Abgrenzung. Nur wenn die Verlegung von Vermögen und Einkommen in einen andern Kanton mit einem Ereignis verbunden sei, das auch innerkantonal einen Zwischenveranlagungsgrund darstelle, sei der Übergang von der Vergangenheits- zur Gegenwartsbemessung (mit Neuberechnung des Gesamtvermögens und Gesamteinkommens) zulässig. Deshalb habe hier der Kauf der ausserkantonalen Liegenschaft lediglich zur Folge, dass die Quoten, nicht aber die Gesamtfaktoren neu zu berechnen seien.
Hiegegen führen die Steuerpflichtigen staatsrechtliche Beschwerde wegen Doppelbesteuerung (
Art. 46 Abs. 2 BV
). Sie beantragen, den Entscheid des Kantons Aargau aufzuheben und die Sache zur Neubeurteilung im Sinne der Erwägungen an die Steuerkommission Y. zurückzuweisen.
Das Bundesgericht heisst die Beschwerde gut.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
3.
Es ist ein seit langem geltender und allgemeiner Grundsatz des interkantonalen Steuerrechts, dass Liegenschaften und der daraus fliessende Ertrag der Steuerhoheit des Kantons der gelegenen Sache unterliegen (
BGE 116 Ia 130
mit Hinweisen). Befindet sich eine Liegenschaft ausserhalb des Kantons, in dem der Steuerpflichtige sein primäres Steuerdomizil hat, so ist daher eine Steuerausscheidung zwischen dem Wohnsitzkanton und dem Liegenschaftskanton vorzunehmen. Das Bundesgericht ist stets davon ausgegangen, dass beim Erwerb einer Liegenschaft der Kanton der gelegenen Sache die Besteuerungsbefugnis vom ersten Tag an in Anspruch nehmen kann, an dem der Steuerpflichtige über die Liegenschaft verfügt. Der Steuerausscheidung ist dabei nötigenfalls mit einer Zwischentaxation Rechnung zu tragen, auch wenn nach der Gesetzgebung des Wohnsitzkantons eine solche nicht vorgesehen ist. Lehnt es der
BGE 119 Ia 46 S. 49
Wohnsitzkanton ab, die Verminderung beim Vermögen und Einkommen auf den Zeitpunkt des Erwerbs im Liegenschaftskanton zu berücksichtigen, indem er den Steuerpflichtigen ganzjährlich für das bisherige Vermögen besteuert, verletzt er daher das Verbot der Doppelbesteuerung (
BGE 101 Ia 388
E. 4b; Urteile vom 12. Mai 1987 und 9. Oktober 1963 in ASA 57 S. 396 E. 2c und ASA 33 S. 61 E. 5). Gegen diese Grundsätze hat jedoch der Kanton Aargau nicht verstossen. Er hat auf den Zeitpunkt des Erwerbs der Liegenschaft im Kanton Zürich eine Zwischentaxation durchgeführt und dabei berücksichtigt, dass das in der Liegenschaft investierte Eigenkapital (Fr. 150'000.--) und sein Ertrag (Fr. 3'000.--) ab dem 1. September 1987 im Kanton Aargau nicht mehr zur Verfügung stehen. Eine Verletzung von
Art. 46 Abs. 2 BV
kann dem Kanton Aargau insofern nicht vorgeworfen werden. Das ist im Grunde unbestritten.
4.
Die Beschwerdeführer machen vielmehr geltend, dass in beiden Kantonen zusammen sämtliche Schulden und Schuldzinsen zu berücksichtigen seien. Sie haben zudem dargetan, dass sich infolge des Erwerbs der ausserkantonalen Liegenschaft ihr Verschuldungsgrad, d.h. das Verhältnis der gesamten Schulden zu den gesamten Aktiven, vergrössert hat und dass sie aufgrund der angefochtenen Veranlagung ab 1. September 1987 mehr als ihr gesamtes Reinvermögen und Reineinkommen zu versteuern haben, weil das im Kanton Zürich vorhandene Nettovermögen und Nettoeinkommen nicht ausreicht, um davon sämtliche Schulden und Schuldzinsen abziehen zu können. Sie haben das bereits im kantonalen Verfahren vorgetragen, ohne dass es von der Steuerverwaltung in Frage gestellt worden wäre. Auch wenn das Kantonale Steueramt zu dieser Behauptung nicht ausdrücklich Stellung genommen hat, muss doch davon ausgegangen werden, dass es sich so verhält.
a) Grundsätzlich kann ein Steuerpflichtiger, der zwei Kantonen mit Reinvermögenssteuer und Reineinkommenssteuer angehört, beanspruchen, dass beide Kantone zusammen sämtliche Schulden und Schuldzinsen abziehen (LOCHER, Doppelbesteuerungsrecht, § 9, I A, 1 Nr. 17). Nach ständiger Rechtsprechung werden Schulden und Schuldzinsen als eine besondere Belastung des Vermögens und des daraus fliessenden Ertrages betrachtet; sie sind daher bei Privatpersonen quotenmässig, im Verhältnis der in den einzelnen Kantonen gelegenen Aktiven, zu verlegen (
BGE 111 Ia 123
E. 2a,
BGE 104 Ia 261
E. 4b). Diese Regel muss nicht nur dann beachtet werden, wenn im Rahmen einer ordentlichen Haupteinschätzung eine Steuerausscheidung durchzuführen ist,
BGE 119 Ia 46 S. 50
sondern schon dann, wenn der Steuerpflichtige im Laufe des Jahres ausserhalb des Wohnsitzkantons eine Liegenschaft erwirbt und sich dadurch das Verhältnis der gesamten Schulden zu den gesamten Aktiven erhöht. Würden in einem solchen Fall nicht auch der Wohnsitzkanton oder die bisherigen Kantone im Rahmen der bundesrechtlich vorgeschriebenen Steuerausscheidung verpflichtet, einen proportionalen Anteil an den gesamten Schulden zu übernehmen, so hätte der Kanton der neuen Liegenschaft mehr als einen proportionalen Anteil an den gesamten Schulden zu tragen. Der Grundsatz der proportionalen Schulden- und Schuldzinsenverlegung wie auch die weitere doppelbesteuerungsrechtliche Regel, wonach der Kanton der gelegenen Sache das Grundeigentum vom ersten Tag an besteuern darf und dieses ihm zur ausschliesslichen Besteuerung zusteht, wären damit verletzt. In einem solchen Fall sind daher auch die bisherigen Kantone zu verpflichten, einen quotenmässigen Anteil an den gesamten Schulden zu übernehmen.
Diese Regel wurde zwar vom Bundesgericht in seiner bisherigen Rechtsprechung nicht ausdrücklich aufgestellt, sie ergibt sich aber schon aus den genannten doppelbesteuerungsrechtlichen Grundsätzen und entspricht auch der von HÖHN (Interkantonales Steuerrecht, 2. Auflage 1989, S. 341 ff., besonders Rz. 36) vertretenen Lehrmeinung. Sie ist immer dann zu beachten, wenn sich infolge des Erwerbs der ausserkantonalen Liegenschaft der Verschuldungsgrad erhöht. Wie zu entscheiden wäre, wenn das Verhältnis der Schulden zu den Aktiven infolge des Erwerbs der ausserkantonalen Liegenschaft nicht gestiegen wäre, kann hier offenbleiben, weil sich durch den Kauf der Liegenschaft im Kanton Zürich die Beschwerdeführer verhältnismässig höher verschuldet haben.
b) Die Beschwerdeführer können somit verlangen, dass der Wohnsitzkanton dem mit dem Erwerb der ausserkantonalen Liegenschaft gestiegenen Verschuldungsgrad Rechnung trägt und einen proportionalen Anteil an den Gesamtschulden übernimmt. Indem der Kanton Aargau bei seiner Steuerausscheidung auf den 1. September 1987 die für den Kauf der Liegenschaft aufgewendeten fremden Mittel und die darauf geschuldeten Zinsen nicht berücksichtigt, verletzt er
Art. 46 Abs. 2 BV
. Die Rüge wegen Doppelbesteuerung ist insoweit begründet und der angefochtene Einspracheentscheid der Steuerkommission Y. aufzuheben.
BGE 119 Ia 46 S. 51
5.
Die Steuerkommission Y. wird für die Zeit ab 1. September 1987 eine neue Steuerausscheidung vornehmen müssen. Dabei hat sie sich an die bundesrechtlichen Grundsätze über die Verlegung der Schulden und Schuldzinsen zu halten. Nach der Regel, dass Schulden quotenmässig, im Verhältnis der jedem Kanton zugehörigen Aktiven, aufzuteilen sind, hat jeder Kanton einen dem Verhältnis der Aktiven entsprechenden Anteil an den gesamten Schulden zu übernehmen. Die bei Beginn der Steuerperiode vorhandenen und die neuen Schulden sind somit nach Lage der gesamten (bisherigen und neuen) Aktiven am 1. September 1987 zu verteilen.
Das gilt grundsätzlich auch für die Schuldzinsen. Diese sind entsprechend dem von der Rechtsprechung aufgestellten Grundsatz (
BGE 104 Ia 261
) als besondere Belastung des Vermögens im Verhältnis der jedem Kanton zugehörigen Aktivwerte zu verlegen, und zwar nach Lage der Aktiven am 1. September 1987. Soweit der auf den Kanton Zürich entfallende Anteil grösser ist als der dort steuerbare Vermögensertrag, ist der nicht gedeckte Teil vom Kanton Aargau zu übernehmen. Damit wird der weiteren bundesrechtlichen Regel Rechnung getragen, dass ein allfälliger Schuldzinsenüberschuss in einem Kanton in erster Linie von jenen übrigen Kantonen zu tragen ist, die noch über Kapitalertrag verfügen, und in zweiter Linie vom übrigen Einkommen abzuziehen ist (
BGE 66 I 41
; vgl. auch
BGE 97 I 41
E. 2).
An sich müsste zwar bei den Schuldzinsen unterschieden werden, ob sie die bisherigen oder die mit dem Erwerb der Liegenschaft neu eingegangenen Schuldverpflichtungen betreffen. Zinsen für bisherige Schulden müssten auf die bisherigen und Zinsen für die neuen Schulden auf diese verlegt werden (so auch der Vorschlag HÖHNS, a.a.O., S. 345 f. Rz. 39). Dieses Vorgehen mag dann angezeigt sein, wenn die Zinssätze für die alten und neuen Schulden wesentlich voneinander abweichen. Bei nur geringfügigen Unterschieden muss es den Steuerbehörden aus Gründen der Praktikabilität aber gestattet sein, die Gesamtheit der bisherigen und neuen Schuldzinsen nach Lage der gesamten bisherigen und neuen Aktiven zu verlegen.
6.
Für die Bestimmung des Steuersatzes darf der Kanton Aargau auf die Werte gemäss bisheriger Veranlagung, d.h. auf das zu Beginn der Steuerperiode im Kanton steuerbare Vermögen und Einkommen, abstellen. Unter Berufung auf das Urteil des Bundesgerichts vom 30. November 1988 (ASA 59 S. 275 ff.)
BGE 119 Ia 46 S. 52
machen die Beschwerdeführer demgegenüber geltend, der Kanton Aargau habe generell zur Gegenwartsbemessung überzugehen. In diesem Entscheid ging es um die Veräusserung von ausserkantonalen Liegenschaften. Das Bundesgericht hat festgehalten, dass die Zwischenveranlagung, die der Wohnsitzkanton bei der Veräusserung einer Liegenschaft in einem andern Kanton vornehme, das Schlechterstellungsverbot nicht verletze, auch wenn der damit verbundene Übergang von der Vergangenheitsbemessung zur Gegenwartsbemessung eine steuerliche Mehrbelastung für den Steuerpflichtigen zur Folge habe (vgl. ASA 59 S. 278). Entgegen der Auffassung der Beschwerdeführer hat das Bundesgericht aber nicht festgestellt, dass dann, wenn Grundeigentum in einem anderen Kanton veräussert werde, der Wohnsitzkanton vom Standpunkt des Bundesrechts aus zu einer Zwischenveranlagung mit Gegenwartsbemessung verpflichtet sei. Aus diesem Urteil kann somit nicht abgeleitet werden, bei der bundesrechtlich vorgeschriebenen Steuerausscheidung wegen Begründung (oder Aufgabe) eines Nebensteuerdomizils dürfe der Wohnsitzkanton nicht an die bisherige Veranlagung anknüpfen (vgl. aus der bisherigen bundesgerichtlichen Rechtsprechung auch das Urteil vom 5. Mai 1976, ASA 46 S. 462). Das gilt für die Bestimmung des Steuersatzes in gleicher Weise. Unter dem Gesichtswinkel des
Art. 46 Abs. 2 BV
ist es deshalb nicht zu beanstanden, wenn der Kanton Aargau für das satzbestimmende Vermögen und Einkommen auf seine bisherige Veranlagung abstellt, auch wenn ein aufgrund der neuen Gesamtfaktoren bemessener Steuersatz für die Beschwerdeführer günstiger wäre. | public_law | nan | de | 1,993 | CH_BGE | CH_BGE_002 | CH | Federation |
7b3e66f0-3178-454d-8741-5db196167cd2 | Urteilskopf
97 V 108
25. Auszug aus dem Urteil vom 16. Juni 1971 i.S. Ausgleichskasse der Migros-Betriebe gegen Nöthiger und Obergericht des Kantons Aargau | Regeste
Art. 25 Abs. 1 AHVG
und
Art. 48 Abs. 2 AHVV
.
Der Anspruch auf Mutterwaisenrente bleibt nach Wiederverheiratung des Vaters nur erhalten, wenn dieser wegen des Todes der Mutter wirtschaftlich ausserstande ist, für den Unterhalt seiner Kinder vollumfänglich aufzukommen. | Erwägungen
ab Seite 108
BGE 97 V 108 S. 108
Das Eidg. Versicherungsgericht zieht in Erwägung:
1.
Grundsätzlich haben nur Kinder Anspruch auf einfache Waisenrente, deren leiblicher Vater gestorben ist (vgl. Art. 25 Abs. 1, Satz 1, AHVG). Die gleiche Bestimmung ermächtigt jedoch (in Satz 2) den Bundesrat, "Vorschriften zu erlassen über die Rentenberechtigung von Kindern, denen durch den Tod der Mutter erhebliche wirtschaftliche Nachteile erwachsen". Von der ihm eingeräumten Befugnis hat der Bundesrat Gebrauch gemacht (
Art. 48 Abs. 1 AHVV
) und auch den Mutterwaisen einen Rentenanspruch eingeräumt unter Vorbehalt der Art. 27 (betreffend aussereheliche Kinder) und
Art. 28 AHVG
(betreffend Adoptiv-, Findel- und Pflegekinder). Im Falle der Wiederverheiratung des Vaters fällt der Waisenrentenanspruch der Kinder gemäss
Art. 48 Abs. 2 AHVV
grundsätzlich weg, es sei denn, die Kinder seien wegen des Todes ihrer Mutter auf die öffentliche oder private Fürsorge oder die Verwandtenunterstützung gemäss
Art. 328 und 329 ZGB
angewiesen.
BGE 97 V 108 S. 109
2.
Im vorliegenden Fall ist unbestritten, dass Marlise Nöthiger eine Mutterwaisenrente zusteht, einerseits für die Zeit vom Tode ihrer Mutter bis zur Wiederverheiratung des Vaters und anderseits wieder nach der Auflösung der zweiten Ehe durch Scheidung, vom 1. Juli 1970 an. Zu beurteilen ist somit einzig, ob die Beschwerdegegnerin auch für die Zeit vom 1. Oktober 1969 bis 30. Juni 1970, in welcher Zeit sie sich bereits in der Obhut der Grosseltern befand, eine Mutterwaisenrente beanspruchen könne, obschon die zweite Ehe ihres Vaters rechtlich noch bestand. Nach den massgebenden rechtlichen Bestimmungen, wie sie in Erwägung 1 wiedergegeben sind, ist dies nur dann möglich, wenn das Kind in dieser Zeit wegen des Todes seiner Mutter objektiv auf die öffentliche oder private Fürsorge oder die Verwandtenunterstützung angewiesen war (EVGE 1960 S. 99 ff., ZAK 1960 S. 388).
Geht der zweite Absatz des
Art. 48 AHVV
, der im Falle der Wiederverheiratung des Vaters gilt, davon aus, die neue Ehefrau werde in der Regel die Stelle und Aufgabe der verstorbenen Mutter übernehmen, so bedeutet das zunächst lediglich, dass kein erheblicher wirtschaftlicher Nachteil der Kinder zu vermuten ist, wie dies im Anwendungsbereich des ersten Absatzes der Fall ist. Der wirtschaftliche Nachteil wegen des Todes der Mutter gilt jedoch auch in diesem Falle als erwiesen, wenn die Kinder öffentlicher oder privater Fürsorge bzw. der Verwandtenunterstützung anheimfallen. Das trifft nach gesetzeskonformer Auslegung der erwähnten Verordnungsbestimmung dann zu, wenn der Vater trotz guten Willens ausserstande ist, für den Unterhalt seiner Kinder vollumfänglich aufzukommen, und diese daher auf die Hilfe Dritter angewiesen sind.
3.
Im vorliegenden Fall stellt das Bundesamt für Sozialversicherung in seiner Vernehmlassung zutreffend fest, es sei glaubhaft, dass es dem Vater nicht mehr möglich gewesen sei, sein Kind nach dem Weggang seiner zweiten Ehefrau bei sich zu behalten; ein neunjähriges Kind könne tagsüber nicht allein gelassen werden. Der Vater habe somit sein Kind - jedenfalls unter der Woche tagsüber - in fremde Obhut geben müssen, wodurch ihm Kosten erwachsen seien, die er nicht hätte, würde die Mutter des Kindes noch leben. Ein weiterer Kausalzusammenhang sei somit zu bejahen, und es genüge, dass das Kind objektiv auf die Hilfe Dritter angewiesen sei. Auch diese Bedingung sei erfüllt, nachdem der Vater seit der Trennung von
BGE 97 V 108 S. 110
seiner zweiten Ehefrau gezwungen sei, sein Kind in Fremdbetreuung zu geben. Diesen Ausführungen ist beizupflichten.
Abzuklären bleibt in solcher Lage bloss, ob es die wirtschaftlichen Verhältnisse dem Vater erlaubt hätten, für die Kosten dieser objektiv gebotenen Fremdbetreuung aufzukommen, oder ob er hiefür auf die (dem Kind in natura zugewandte) Unterstützung der Verwandten angewiesen gewesen sei. Diese Abklärung ist der Ausgleichskasse zu überlassen. Erweist sich, dass der Vater das ihm nach seinen Verhältnissen Zumutbare an den Unterhalt seiner Tochter geleistet hat, so ist die Mutterwaisenrente ab 1. Oktober 1969 auszurichten, andernfalls - wenn der Vater bei gutem Willen für den Unterhalt seiner Tochter während der Fremdbetreuung hätte aufkommen können - bleibt es bei der Rentengewährung ab 1. Juli 1970. Die Kasse wird somit in Bestätigung des vorinstanzlichen Entscheides die entsprechenden Abklärungen vornehmen und hernach neu verfügen.
Dispositiv
Demnach erkennt das Eidg. Versicherungsgericht:
I. Die Verwaltungsgerichtsbeschwerde wird abgewiesen.
II. Die Akten werden zur ergänzenden Abklärung und zum Erlass einer neuen Verfügung im Sinne der Erwägungen und des angefochtenen Entscheides an die Ausgleichskasse zurückgewiesen. | null | nan | de | 1,971 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
7b466b08-b78e-417b-8245-58f9a7f56019 | Urteilskopf
87 I 490
78. Auszug aus dem Urteil vom 24. März 1961 i.S. Bank X. gegen Eidg. Bankenkommission. | Regeste
Unterstellung unter das Bankengesetz; Aufhebung wegen Änderung der Verhältnisse.
1. Zulässigkeit der Verwaltungsgerichtsbeschwerde (Erw. I 1, II 1).
2. Zuständigkeit der Bankenkommission (Erw. I 2-6).
3. Voraussetzungen der Unterstellung. Unterscheidung zwischen der Bank und der bankähnlichen Finanzgesellschaft einerseits, der industriellen und kommerziellen Finanzgesellschaft anderseits. Aufhebung der Unterstellung einer Finanzgesellschaft, welche industriellen oder kommerziellen Charakter angenommen hat (Erw. II 2-5).
4. Ist bei der Aufhebung der Unterstellung eine Übergangsordnung zu treffen? (Erw. II 6). | Sachverhalt
ab Seite 491
BGE 87 I 490 S. 491
A.-
Die Bank X., eine Aktiengesellschaft, wurde im Jahre 1950 gegründet. Ihre Statuten bestimmen in Art. 2:
"Die Gesellschaft bezweckt die Pflege des Immobilien- und Hypothekargeschäftes in der Schweiz, die Anlage und Verwaltung von Kapitalien in allen Formen sowie alle Arten von Bankgeschäften, insbesondere:
a) Annahme von Geldern;
b) Erwerbung von Liegenschaften;
c) Erteilung von Krediten;
d) Diskontierung von Wechseln, Obligationen und Forderungen;
e) Aufbewahrung und Verwaltung von Wertschriften und Wertgegenständen, Vermögensverwaltung, Testamentsvollstreckung;
f) Übernahme und Vermittlung von Anleihen;
g) dauernde oder vorübergehende Beteiligung an Banken oder anderen Unternehmungen.
In Art. 32 der Statuten wurde die Absicht der Aktiengesellschaft festgehalten, von der Kollektivgesellschaft Y. & Co. einige überbaute oder zur Überbauung bestimmte Liegenschaften zu erwerben.
Die eidg. Bankenkommission teilte dem Verwaltungsrat der Bank X. kurz nach deren Gründung mit, dass die Statuten die Bedingungen von Art. 3 Abs. 1 und 2 des BG über die Banken und Sparkassen vom 8. November 1934
BGE 87 I 490 S. 492
erfüllen und die neue Gesellschaft daher als Bank ins Handelsregister eingetragen werden könne.
B.-
Die Revisionsstelle, welche die Jahresrechnungen der Bank X. zu prüfen hatte, wies in ihren Berichten wiederholt darauf hin, dass die Bank von Y., dem Hauptaktionär, beherrscht werde und lediglich eine "Kapitalvermittlungsstelle" für die von ihm abhängige Bauunternehmung Y. & Co. sei.
Nachdem die eidg. Bankenkommission vom Revisionsbericht für das Jahr 1959 Kenntnis genommen hatte, hob sie mit Entscheid vom 30. August/8. September 1960 gestützt auf Art. 1 Abs. 1, 2 und 4 sowie Art. 23 Abs. 3 lit. a des Bankengesetzes die Unterstellung der Bank X. unter dieses Gesetz auf und stellte fest, dass infolgedessen nach Art. 1 Abs. 3 desselben Gesetzes die Gesellschaft weder in der Firma noch in der Bezeichnung des Geschäftszweckes noch in Geschäftsreklamen den Ausdruck "Bank" in irgendeiner Wortverbindung verwenden dürfe.
In der Begründung des Entscheides wird ausgeführt, die Bank X. sei, "soweit sie nicht einfach eine Immobiliengesellschaft ist, zum mindesten etwas Analoges wie eine industrielle oder kommerzielle Finanzgesellschaft des Y., bzw. der von ihm beherrschten Gesellschaften".
C.-
Die Bank X. erhebt Verwaltungsgerichtsbeschwerde mit dem Antrag, diesen Entscheid aufzuheben, ihre Unterstellung unter das Bankengesetz zu bestätigen und ihr weiterhin zu gestatten, sich als Bank zu bezeichnen.
Es wird geltend gemacht, die eidg. Bankenkommission sei gar nicht befugt, die Unterstellung einer Firma unter das Bankengesetz nachträglich aufzuheben. Das Gesetz sehe einen solchen Widerruf nicht vor; er sei unzulässig. Im vorliegenden Falle bestehe auch kein Grund, die Unterstellung aufzuheben. Die Beschwerdeführerin sei nach wie vor eine Bank im Sinne des Gesetzes, wie sich aus ihren Statuten und ihrer Geschäftsführung ergebe.
D.-
Die eidg. Bankenkommission schliesst auf Abweisung der Beschwerde.
BGE 87 I 490 S. 493
Erwägungen
Das Bundesgericht zieht in Erwägung:
I.
Zuständigkeit der eidg. Bankenkommission.
I.1.
In der Beschwerde wird in erster Linie die Befugnis der Bankenkommission zum Erlasse der angefochtenen Entscheidung bestritten mit der Begründung, die Behörde habe damit den ihr im Bankengesetz zugewiesenen Zuständigkeitsbereich überschritten. Dieser Einwand kann nach Art. 24 Abs. 2 BankenG mit der Verwaltungsgerichtsbeschwerde geltend gemacht werden. Er ist vorweg zu prüfen.
I.2.
Die Befugnisse der Bankenkommission sind in Art. 23 Abs. 3 BankenG aufgezählt. Lit. a daselbst bestimmt, dass sie die Entscheidungen nach Art. 1 Abs. 4 trifft, und lit. c, dass sie die Feststellungen nach Art. 3 Abs. 3 macht.
Gemäss Art. 1 Abs. 4 entscheidet die Kommission im Zweifel, ob ein Unternehmen dem Gesetz untersteht. Daraus geht klar hervor, dass sie zuständig ist, darüber zu befinden, ob ein Unternehmen, das eben erst gegründet worden ist oder bisher dem Gesetz nicht unterstellt war, ihm untersteht oder nicht. Sie hat nach dieser Bestimmung "im Zweifel" einen förmlichen Entscheid hierüber zu fällen, welcher nach Art. 24 Abs. 1 lit. a BankenG der Verwaltungsgerichtsbeschwerde unterliegt.
Indessen ist die Bankenkommission nicht nur zu solcher Entscheidung im Zweifel zuständig, sondern sie hat in allen Fällen, wo Anlass dazu besteht, die Frage zu prüfen, ob ein Unternehmen, das bisher dem Gesetz nicht unterstellt war, ihm untersteht oder nicht, wenn auch das Ergebnis der Prüfung nach dem Gesetz nicht immer, sondern eben nur im Zweifel in einem eigens diese Frage betreffenden beschwerdefähigen Entscheide festzuhalten ist. In der Tat bestimmt Art. 3 Abs. 3 BankenG, dass bei der Gründung einer Bank oder bei der nachträglichen Umwandlung eines Unternehmens in eine Bank der Bankenkommission
BGE 87 I 490 S. 494
die Gesellschaftsverträge, Statuten und Reglemente zur Prüfung einzureichen sind und die Bank weder ihre Tätigkeit aufnehmen noch ins Handelsregister eingetragen werden darf, bevor die Kommission festgestellt hat, dass die Anforderungen von Art. 3 Abs. 1 und 2 an die innere Organisation einer Bank erfüllt sind. Diese Feststellung der Kommission beruht auf der Voraussetzung, dass die betreffende Firma dem Bankengesetz untersteht; sie enthält zugleich eine Entscheidung über die Vorfrage der Unterstellungspflicht, wenn diese Frage nicht schon Gegenstand einer besonderen Entscheidung nach Art. 1 Abs. 4 BankenG war.
Das Gesetz geht also davon aus, dass überall dort, wo sich die Frage erhebt, ob ein Unternehmen, das ihm bisher nicht unterstellt war, ihm unterstehe oder nicht, die Bankenkommission einen Feststellungsentscheid hierüber zu treffen hat. Die Vollziehungsverordnung vom 26. Februar 1935 sieht denn auch vor, dass die Kommission die zur Abklärung dieser Frage erforderlichen Erhebungen vorzunehmen und ein öffentliches Verzeichnis anzulegen hat, in das die nach dem Ergebnis ihrer Prüfung dem Gesetz unterstehenden Firmen aufzunehmen sind (Art. 1 und 2).
Im vorliegenden Fall hat die Bankenkommission unmittelbar nach der Gründung der Bank X. festgestellt, dass deren Statuten die Bedingungen von Art. 3 Abs. 1 und 2 BankenG erfüllen und dass die Gesellschaft daher als Bank ins Handelsregister eingetragen werden könne. Damit hat die Kommission zugleich entschieden, dass die Beschwerdeführerin dem Bankengesetz unterstellt sei. Diese Entscheidung hat Rechtskraft erlangt, doch hat die Bankenkommission die Unterstellung später, durch den angefochtenen Entscheid, wieder aufgehoben. Es fragt sich, ob die Kommission nach dem Gesetz zu einer solchen Anordnung zuständig ist.
I.3.
Der Beschwerdeführerin ist zuzugeben, dass die Bankengesetzgebung - im Gegensatz etwa zur Ordnung des Fabrikwesens (
Art. 2 FG
und Ausführungsbestimmungen)
BGE 87 I 490 S. 495
und der obligatorischen Versicherung bei der SUVA (Art. 29 ff. Verordnung I über die Unfallversicherung) - nirgends ausdrücklich vorsieht, dass eine rechtskräftig gewordene Unterstellung unter das Gesetz nachträglich wieder aufgehoben werden kann.
Indessen ergibt sich aus dem System des Bankengesetzes, dass dies unter bestimmten Voraussetzungen zulässig sein muss. Das Gesetz umschreibt in Art. 1 Abs. 1 und 2 einerseits die Arten des Betriebes, welche die Unterstellung eines Unternehmens des Finanzgewerbes begründen, und anderseits diejenigen, welche die Unterstellung ausschliessen. Danach muss jedenfalls dann, wenn ein Unternehmen von der einen zur anderen Kategorie übergeht, auch die Lösung der Frage der Unterstellungspflicht sich ändern. Das bestätigt Art. 3 Abs. 3 BankenG für den Fall, wo ein Unternehmen, das bisher keine Bank war, sich in eine solche umwandelt: Es wird dem Gesetz, dem es bisher nicht unterstand, infolge dieser Änderung unterstellt. Ebenso fällt die Unterstellung eines Unternehmens dahin, wenn es den Charakter einer Bank, der seine Unterstellung zur Folge hatte, verliert. In diesem Sinne hat sich das Bundegericht bereits in
BGE 62 I 278
(unten) ausgesprochen.
Der Wortlaut von Art. 1 Abs. 4 BankenG steht dieser Auffassung nicht entgegen. Er ist nicht auf den Fall beschränkt, wo sich fragt, ob eine Unternehmung, die bisher dem Gesetz nicht unterstellt war, ihm zu unterstellen sei. Vielmehr sagt die Bestimmung allgemein, dass die Bankenkommission im Zweifel zu entscheiden hat, "ob ein Unternehmen diesem Gesetz untersteht". Diese weite Fassung ist entsprechend dem System des Gesetzes so zu verstehen, dass darunter auch die Entscheidung über die zu Zweifeln Anlass gebende Frage fällt, ob ein Unternehmen, das dem Gesetz unterstellt worden ist, seinen Charakter derart gewandelt hat, dass seine Unterstellung nicht mehr gerechtfertigt und daher als hinfällig zu erklären ist. Damit ist auch festgestellt, dass für diese
BGE 87 I 490 S. 496
Entscheidung ebenfalls die Bankenkommission zuständig ist.
I.4.
Die Beschwerdeführerin wendet ein, die Zulassung der nachträglichen Aufhebung einer rechtskräftigen Unterstellung unter das Gesetz hätte eine Rechtsungleichheit zur Folge, weil die Bankenkommission nur in vereinzelten Fällen, bei Missständen, den Revisionsbericht erhalte (Art. 23 Abs. 3 BankenG) und ihr daher meistens die Art der Geschäftsführung der Banken nicht näher bekannt sei.
Dieser Einwand hält nicht stand. Die Bankenkommission überprüft den Betrieb aller dem Gesetz unterstellten Unternehmen auf Grund der ihr zur Verfügung stehenden Unterlagen, insbesondere der Jahresrechnungen, die veröffentlicht werden müssen (Art. 24 Vollziehungsverordnung); findet sie, dass ein Anlass dazu besteht, so verlangt sie den Revisionsbericht ein (Art. 23 Abs. 3 lit. i BankenG), und wo sie feststellt, dass das Unternehmen nicht mehr eine Bank ist, hebt sie die Unterstellung auf.
I.5.
Ferner macht die Beschwerdeführerin geltend, die nachträgliche Aufhebung einer rechtskräftigen Unterstellung unter das Bankengesetz sei auch aus Gründen der Rechtssicherheit nicht zulässig; das Vertrauen in das schweizerische Bankwesen würde erschüttert, wenn die Bankgläubiger und auch die "Bankgesellschafter" auf die durch die Unterstellung eines Unternehmens unter das Bankengesetz begründete Rechtslage nicht bauen könnten, des besonderen Schutzes, den ihnen dieses Gesetz gewähre, von einem Tag auf den anderen beraubt würden.
Aber die Rechtskraft einer Entscheidung, welche feststellt, das ein Unternehmen dem Bankengesetz untersteht, kann der Behörde jedenfalls dann, wenn die tatsächlichen Verhältnisse sich derart gewandelt haben, dass die Unterstellung nicht mehr gerechtfertigt ist, grundsätzlich nicht entgegengehalten werden. Allerdings besteht unter Umständen die Gefahr, dass durch Aufhebung der Unterstellung
BGE 87 I 490 S. 497
Geldgeber den besonderen Schutz verlieren, den ihnen das Bankengesetz bisher gewährte. Ihr ist allenfalls durch Anordnung geeigneter Übergangsmassnahmen zu begegnen. Sie kann aber kein Grund sein, eine Unterstellung, die nach den bestehenden tatsächlichen Verhältnissen nicht mehr begründet ist, entgegen dem System des Gesetzes aufrecht zu erhalten.
I.6.
Die Beschwerdeführerin ist einzig auf Grund ihrer Statuten, noch vor Aufnahme ihrer Geschäftstätigkeit, dem Bankengesetz unterstellt worden. Dagegen stützt sich der angefochtene Entscheid nicht auf ihre Statuten, sondern auf die Art ihrer Geschäftsführung, wie sie sich insbesondere aus dem Revisionsbericht für das Jahr 1959 ergibt. Er stellt auf die seit der Unterstellung eingetretene Entwicklung der Verhältnisse ab und schliesst daraus, dass die Unterstellung der Beschwerdeführerin nicht mehr begründet ist. In einem solchen Fall ist aber die Bankenkommission, wie oben ausgeführt wurde, nach Art. 1 Abs. 4 BankenG zuständig, die Unterstellung als hinfällig zu erklären.
II.1.
Materielle Beurteilung.
Die Beschwerdeführerin bestreitet sodann, dass der angefochtene Entscheid in der Sache selbst gesetzmässig sei. Auch dieser Einwand kann mit der Verwaltungsgerichtsbeschwerde vorgebracht werden. Art. 24 Abs. 1 lit. a BankenG lässt dieses Rechtsmittel allgemein zu gegen Entscheidungen der Bankenkommission über die Unterstellung einer Firma unter das Gesetz. Diese Bestimmung ist gleich wie Art. 23 Abs. 3 lit. a als Hinweis auf Art. 1 Abs. 4 zu verstehen. Unter sie fallen auch Entscheide der Bankenkommission über die Frage, ob ein Unternehmen, das dem Bankengesetz bisher unterstellt war, ihm weiterhin untersteht oder nicht. Das Bundesgericht hat daher diese Frage hier zu überprüfen.
II.2.
Nach Art. 1 Abs. 1 BankenG unterstehen diesem
BGE 87 I 490 S. 498
Gesetz die Banken, Privatbankiers und Sparkassen sowie diejenigen bankähnlichen Finanzgesellschaften, die sich öffentlich zur Annahme fremder Gelder empfehlen (Satz 1); alle diese Unternehmen gelten als Banken im Sinne des Gesetzes (Satz 2). Nach Art. 1 Abs. 2 sind dem Gesetz insbesondere nicht unterstellt: a) bankähnliche Finanzgesellschaften, die sich nicht öffentlich zur Annahme fremder Gelder empfehlen, unter Vorbehalt der Art. 7 und 8 (Verhältnis zur Nationalbank); b) industrielle und kommerzielle Finanzgesellschaften, auch wenn sie sich öffentlich zur Annahme fremder Gelder empfehlen.
Ob ein Unternehmen sich selbst als Bank bezeichnet oder nicht, ist für die Beurteilung der Frage der Unterstellungspflicht unerheblich. Das Bankengesetz stellt in Art. 1 Abs. 1 und 2 nicht auf die Bezeichnung, sondern auf die Art der Tätigkeit des Unternehmens ab. Wenn ein Unternehmen danach dem Gesetz nicht untersteht, so darf es, wie Art. 1 Abs. 3 ausdrücklich bestimmt, weder in der Firma noch in der Umschreibung des Geschäftszweckes noch in Geschäftsreklamen den Ausdruck "Bank" oder "Bankier" in irgendeiner Wortverbindung verwenden. Die in der Botschaft des Bundesrates vom 2. Februar 1934 geäusserte Auffassung, dass der Name "Bank" oder "Bankier" zur Unterstellung unter das Gesetz genüge (BBl 1934 I S. 183), steht nicht im Einklang mit dieser - im wesentlichen schon im Entwurf des Bundesrates vorgesehenen - Ordnung. Diese Bezeichnungen und die damit verbundenen Vorteile im Verkehr mit dem Publikum sind den Unternehmen vorbehalten, welche die in Art. 1 Abs. 1 und 2 BankenG umschriebenen Voraussetzungen der Unterstellung erfüllen.
II.3.
Die Bank im engeren Sinne (Art. 1 Abs. 1 Satz 1 BankenG) besitzt Räumlichkeiten, die dem Publikum geöffnet sind; im allgemeinen verfügt sie über Schalter, an denen sie Geschäfte mit ihren Kunden abwickelt. Schon diese Einrichtungen und die von ihr gewählte Geschäftsfirma
BGE 87 I 490 S. 499
veranlassen in der Regel das Publikum, ihr Gelder anzuvertrauen, so dass sie vielfach keine anderen Massnahmen zu treffen braucht, um fremde Gelder zu erhalten. Darin unterscheidet sie sich von der bankähnlichen Finanzgesellschaft, die ihre Bereitschaft, solche Gelder entgegenzunehmen, dem Publikum auf andere Weise - durch Zeitungsinserate, Rundschreiben oder sonstige Auskündigung (Art. 3 Vollziehungsverordnung) - zu erkennen gibt. Im allgemeinen ist die Tätigkeit der eigentlichen Bank auch mannigfaltiger als diejenige der bankähnlichen Finanzgesellschaft.
Das Bankengesetz ist - unter Vorbehalt der Art. 7 und 8, auf die Art. 1 Abs. 2 lit. a verweist - auf Finanzgesellschaften nur anwendbar, wenn sie ihre Absicht, fremde Gelder anzunehmen, dem Publikum auf irgendeine Weise bekunden, sei es nach Art der Banken, sei es sonstwie. Indessen genügt es für die Unterstellung unter das Gesetz nicht, dass diese Voraussetzung erfüllt ist; schliesst doch Art. 1 Abs. 2 lit. b BankenG industrielle und kommerzielle Finanzgesellschaften von der Unterstellung aus, auch wenn sie sich öffentlich zur Annahme fremder Gelder empfehlen. Es kommt ausserdem darauf an, ob die Finanzgesellschaft industriellen oder kommerziellen oder aber Bankcharakter hat, wie sich aus Art. 1 Abs. 1 und 2 des Gesetzes ergibt.
II.4.
Die Banken und die bankähnlichen Finanzgesellschaften, die sich öffentlich zur Annahme fremder Gelder empfehlen, auf der einen Seite und die industriellen und kommerziellen Finanzgesellschaften, welche dies ebenfalls tun, auf der anderen Seite haben miteinander gemein, dass sie in verschiedenen Formen fremde Gelder entgegennehmen und Dritten zwecks Erzielung eines Gewinns, der in der Differenz zwischen den Aktiv- und den Passivzinsen besteht, wieder ausleihen. Sie unterscheiden sich voneinander in der Art der Beziehungen zu ihren Schuldnern. Dieser Unterschied ist für die Anwendung von Art. 1
BGE 87 I 490 S. 500
Abs. 1 und Abs. 2 lit. b BankenG massgeblich (
BGE 62 I 37
, 273 Erw. 2 und 3).
Die Bank und die bankähnliche Finanzgesellschaft legen die Gelder, die sie vom Publikum erhalten, zu vorteilhaften Bedingungen irgendwo an. Sie berücksichtigen grundsätzlich alle Kreditsuchenden, die ihnen solche Bedingungen bieten. Wenn sie die Kreditgewährung auf bestimmte Wirtschaftszweige (Elektrizitätswirtschaft, Transportwesen usw.) beschränken, sind sie doch bereit, mit allen Kreditsuchenden des betreffenden Wirtschaftszweiges in Verbindung zu treten. Sie nehmen darauf Bedacht, die Risiken zu verteilen.
Die industrielle oder kommerzielle Finanzgesellschaft verfolgt gegenüber ihren Schuldnern andere Ziele. Sie kann wesentliche Beteiligungen an den industriellen oder kommerziellen Unternehmungen ihrer Schuldner besitzen, so dass sie diese Unternehmungen beherrscht oder kontrolliert; insbesondere kann sie als Dach- oder Holdinggesellschaft an der Spitze eines Konzerns stehen. Sie kann auch ihrerseits von einer industriellen oder kommerziellen Unternehmung beherrscht oder einem Konzern eingegliedert sein, wobei ihre hauptsächliche Aufgabe darin besteht, den Unternehmungen, mit denen sie so verbunden ist, finanzielle Mittel zur Verfügung zu stellen. In allen diesen Fällen handelt es sich nicht um Geldverleih an unbestimmt viele, wie ihn eine Bank betreibt, sondern um Finanzierung einer bestimmten Unternehmung oder eines geschlossenen Kreises von Unternehmungen industriellen oder kommerziellen Charakters, mit den besonderen Vorteilen und Risiken, die sich daraus ergeben können.
Indessen gibt es auch Finanzgesellschaften gemischten Charakters, welche sich einerseits mit den Finanzgeschäften eines solchen beschränkten Kreises befassen und anderseits bankgewerbliche Geschäfte betreiben, insbesondere einen Teil ihrer Mittel für bankmässige Geldanlagen verwenden. Die Bankenkommission hat im Jahre 1935 in zwei (nicht
BGE 87 I 490 S. 501
durch Urteil erledigten) Streitigkeiten vor Bundesgericht die Auffassung vertreten, dass in solchen Fällen die Unterstellung unter das Bankengesetz immer begründet sei, selbst dann, wenn die Finanzgesellschaft sich nur in einem sehr beschränkten Umfange mit bankmässigen Geschäften abgibt. Inzwischen hat sie jedoch diesen Standpunkt aufgegeben. Mit Recht. Das Bankengesetz erfasst nur die Unternehmungen des Bankgewerbes, dagegen nicht die industriellen und kommerziellen Unternehmungen, insbesondere nicht die mit ihnen konzernmässig verbundenen Finanzgesellschaften, die ausschliesslich oder in der Hauptsache den Zweck verfolgen, ihnen Publikumsgelder zu verschaffen. Daher ist bei der Entscheidung über die Unterstellung von Finanzgesellschaften gemischter Art jedenfalls dann, wenn einer der Charaktere, der bankmässige oder aber der industrielle oder kommerzielle, deutlich überwiegt, auf ihn abzustellen und der andere, der nur untergeordnete Bedeutung hat oder lediglich den wahren Charakter des Betriebes verdeckt, nicht zu berücksichtigen. Diese Auslegung steht im Einklang mit Art. 1 Abs. 2 lit. c und d BankenG, wonach Börsenfirmen sowie Vermögensverwalter, Notare und Geschäftsagenten, die "keinen eigentlichen Bankbetrieb führen", sondern sich auf den Wertpapierhandel und die damit unmittelbar zusammenhängenden Geschäfte bzw. auf die Verwaltung der Gelder ihrer Kunden beschränken, dem Gesetz nicht unterstellt sind.
II.5.
a) - b) (Prüfung des Charakters der Geschäftstätigkeit der Beschwerdeführerin auf Grund der Jahresrechnung 1959).
c) Die vorstehenden Feststellungen führen zum Schluss, dass im Betriebe der Beschwerdeführerin die Finanzierung der Bautätigkeit des Hauptaktionärs und der von ihm beherrschten anderen Gesellschaften gegenüber den bankmässigen Geschäften deutlich überwiegt. Daher ist die Beschwerdeführerin keine Bank oder bankähnliche Finanzgesellschaft
BGE 87 I 490 S. 502
im Sinne des Art. 1 BankenG. Sie untersteht diesem Gesetz nicht, obwohl sie sich öffentlich zur Annahme fremder Gelder empfiehlt. Sie ist gleich zu behandeln wie die industriellen und kommerziellen Finanzgesellschaften, welche Art. 1 Abs. 2 lit. b BankenG von der Unterstellung ausnimmt. Dass Y. weder eine Industrie noch einen Handel, sondern das Baugewerbe betreibt, ist unerheblich. Die Aufzählung der Ausnahmen in Art. 1 Abs. 2 BankenG ist nicht abschliessend, wie aus dem Wort "insbesondere" klar hervorgeht. Entscheidend ist, dass die Finanzierung der Bautätigkeit des Y., worauf die Beschwerdeführerin sich im wesentlichen beschränkt, nicht bankmässigen Charakter hat.
Deshalb ist grundsätzlich nicht zu beanstanden, dass die Bankenkommission im angefochtenen Entscheide die Unterstellung der Beschwerdeführerin unter das Bankengesetz als hinfällig erklärt hat.
II.6.
Die Bankenkommission hat in ihrem Entscheid keine Anordnungen über die Art und Weise des Übergangs von der Unterstellung zu deren Wegfall getroffen. Wenn sie dabei von der Annahme ausgegangen ist, dass das Bankengesetz keine Grundlage für solche Anordnungen biete und daher der Wegfall der nicht mehr begründeten Unterstellung unter allen Umständen von einem Tag auf den anderen einzutreten habe, so kann ihrer Auffassung nicht zugestimmt werden.
Allerdings fehlen gesetzliche Bestimmungen über die Modalitäten des Übergangs. Daraus darf jedoch nicht gefolgert werden, dass die Festlegung einer Übergangsordnung im einzelnen Fall schlechthin ausgeschlossen ist. Im Gegenteil ergibt sich aus dem System des Gesetzes, dass eine solche Ordnung vorzusehen ist, wenn und soweit sie im Hinblick auf den Grundsatz der Rechtssicherheit nach den bestehenden Umständen zur Wahrung schutzwürdiger Interessen geboten ist.
Namentlich ist nach Möglichkeit darauf Bedacht zu
BGE 87 I 490 S. 503
nehmen, dass die Gläubiger, welche einem Finanzinstitut im Vertrauen auf dessen Unterstellung unter das Bankengesetz Gelder anvertraut haben, den besonderen Schutz, den ihnen das Gesetz bisher dank der Unterstellung gewährt hat, infolge der Aufhebung der Unterstellung nicht unvermittelt verlieren, wenn sie ihn weiterhin nötig haben (vgl.
BGE 62 I 278
unten). Sodann kann es unter Umständen erforderlich sein, auch den Interessen des bisher dem Bankengesetz unterstellten Unternehmens in angemessener Weise Rechnung zu tragen. Das Gesetz berücksichtigt diese Interessen ebenfalls, so durch die Anordnung, dass für die Durchführung bestimmter Massnahmen, welche auf die Behebung regelwidriger Zustände abzielen, angemessene Fristen einzuräumen sind (Art. 13 Abs. 2, Art. 21 Abs. 3, Art. 23 Abs. 3 lit. 1). Wenn die Unterstellung ohne Übergang dahinfällt, kann es zu ungerechtfertigten massenhaften Geldabhebungen kommen, welche die Existenz des Unternehmens gefährden. Dies sollte im Interesse aller Beteiligten soweit möglich vermieden werden.
Im vorliegenden Fall kann nicht mit Grund eingewendet werden, die Beschwerdeführerin habe durch Verwendung der unzutreffenden Bezeichnung "Bank" das Publikum irregeführt und verdiene deshalb bei der Aufhebung der Unterstellung unter das Bankengesetz keine Schonung. Es war nicht von vornherein klar, dass die Unterstellung nicht aufrecht erhalten werden kann; vielmehr bestanden in dieser Hinsicht Zweifel.
Die Frage der Übergangsordnung ist daher noch zu prüfen, bevor die Aufhebung der Unterstellung der Beschwerdeführerin unter das Gesetz wirksam wird. Es ist Sache der mit dem Bankwesen vertrauten Bankenkommission, hierüber zu befinden. Sie wird in Würdigung aller Umstände untersuchen, ob und, wenn ja, welche Übergangsmassnahmen zu treffen sind; gegebenenfalls wird sie das Erforderliche anordnen. In diesem Sinne ist ein Vorbehalt an die Abweisung der Beschwerde zu knüpfen.
BGE 87 I 490 S. 504
Dispositiv
Demnach erkennt das Bundesgericht:
Die Beschwerde wird im Sinne der Erwägungen abgewiesen. | public_law | nan | de | 1,961 | CH_BGE | CH_BGE_001 | CH | Federation |
7b4d7297-a6b6-4472-b2b9-9d2f10f8b8cf | Urteilskopf
89 II 182
26. Extrait de l'arrêt de la IIe Cour civile du 21 juin 1963 dans la cause André Graf et Lucie Graf-Jéquier contre Commune d'Ollon et consorts. | Regeste
Letztwillige Verfügung. Vermächtnis.
1. Unter welchen Voraussetzungen kann man einen offenbaren Irrtum in der Bezeichnung einer Sache richtigstellen (
Art. 469 Abs. 3 ZGB
)?
2. Lässt sich der wahre Wille des Erblassers in bezug auf die vermachte Sache nicht durch Auslegung ermitteln, so wird das Vermächtnis als unwirksam erklärt. | Sachverhalt
ab Seite 183
BGE 89 II 182 S. 183
Samuel Graf est décédé en laissant comme héritiers légaux sa veuve Lucie Graf, née Jéquier, et son fils André Graf. Il avait rédigé un testament par lequel il renvoyait son fils à sa réserve et répartissait la quotité disponible entre plusieurs légataires. En particulier, dans la clause no 1, il manifestait sa volonté de léguer à la Commune d'Ollon "tout l'actif de Charpigny SA" - société anonyme propriétaire du domaine de Charpigny où vivait le défunt - en précisant que l'hypothèque restait à la charge de sa succession. Ses héritiers légaux ont introduit contre la Commune d'Ollon et les autres légataires une action en justice tendante à ce que le testament fût déclaré nul, annulé et de nul effet dans tout son contenu. Subsidiairement, ils ont contesté la validité de la clause no 1. Déboutés par la Cour civile du Tribunal cantonal vaudois, qui a statué le 17 janvier 1963, les demandeurs ont recouru en réforme au Tribunal fédéral. Celui-ci a rejeté leur conclusion principale, mais admis leur conclusion subsidiaire et réformé le jugement cantonal en ce sens que la clause no 1 du testament de feu Samuel Graf, ordonnant un legs en faveur de la Commune d'Ollon, est déclarée inefficace.
Erwägungen
Considérant en droit:
7.
... La Cour civile vaudoise a jugé opérante la clause no 1 par laquelle Samuel Graf a légué à la Commune d'Ollon "tout l'actif de Charpigny SA", en laissant expressément l'hypothèque à la charge de sa succession. Elle n'a cependant pas précisé quel était, à ses yeux, l'objet du legs. Elle s'est contentée de dire que l'exécution n'était pas impossible, en indiquant deux voies: la remise à la légataire de l'actif de la société, au sens comptable du terme, ou le transfert des actions. La solution adoptée par les premiers juges est erronée. On ne peut en effet dégager,
BGE 89 II 182 S. 184
par la voie de l'interprétation, la volonté exprimée par le testateur. A-t-il voulu léguer les biens qui figurent à l'actif du bilan de la société? Ou le solde actif du compte de pertes et profits - mais en l'espèce, l'exercice s'est soldé par une perte, portée à l'actif au bilan? Ou encore les actions de Charpigny SA qui étaient sa propriété au jour de son décès? Ou même toutes les actions, à charge pour son héritier de racheter celles qui étaient en main de tiers, afin de les remettre à la légataire? Ou les immeubles appartenant à Charpigny SA, francs d'hypothèque? La dernière hypothèse est la plus vraisemblable. On ne saurait toutefois affirmer que telle était la volonté du défunt. De plus, l'exécution de la libéralité dépouillerait la société Charpigny SA de presque tous ses biens et contraindrait ses organes à déposer le bilan (art. 725 CO). Aussi peut-on se demander si pareil legs serait licite. L'incertitude quant à l'objet légué dispense cependant de résoudre la question.
Dans son mémoire de réponse au recours, la Commune d'Ollon suggère de rectifier la désignation de l'objet du legs, selon l'art. 469 al. 3 CC. Mais cette disposition légale ne s'applique pas à n'importe quelle erreur commise par le testateur. Elle suppose une erreur manifeste dans la désignation d'une personne ou d'une chose. Elle permet seulement de rectifier une déclaration erronée, non de suppléer ou d'ajouter une expression de volonté inexistante (RO 72 II 230/1 consid. 2). En outre, il faut que la volonté du disposant puisse être constatée avec certitude. Ces conditions ne sont pas réunies en l'espèce. La volonté exprimée par le défunt est si peu claire qu'elle ne saurait produire aucun effet juridique. La clause no 1 du testament ne constitue donc pas une disposition à cause de mort susceptible d'exécution. Aussi le legs doit-il être déclaré non pas nul, mais inefficace, conformément aux principes dégagés par la jurisprudence (RO 81 II 27, consid. 4). | public_law | nan | fr | 1,963 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
7b560eb1-b968-4220-9c1d-c6175829a775 | Urteilskopf
120 II 331
62. Auszug aus dem Urteil der I. Zivilabteilung vom 15. November 1994 i.S. Wibru Holding AG gegen Swissair Beteiligungen AG (Berufung) | Regeste
Haftung einer Muttergesellschaft aus Erklärungen, die sie gegenüber Geschäftspartnern ihrer Tochtergesellschaft abgibt.
Als haftungsbegründende Erklärungen kommen auch Werbeaussagen in Betracht (E. 2).
Ob die Muttergesellschaft eine vertragliche Haftung trifft, entscheidet sich aufgrund einer Auslegung ihrer Erklärungen nach dem Vertrauensgrundsatz (E. 3).
Voraussetzungen, unter welchen erwecktes Vertrauen in das Konzernverhalten der Muttergesellschaft auch bei Fehlen einer vertraglichen oder deliktischen Haftungsgrundlage eine Haftung begründet (E. 5). | Sachverhalt
ab Seite 332
BGE 120 II 331 S. 332
A.-
Im Juli 1987 gründete die Swissair Beteiligungen AG die IGR Holding AG, deren Firma später in IGR Holding Golf and Country Residences AG geändert wurde (nachstehend: IGR). Die IGR wollte ihren Vertragspartnern luxuriöse Unterkünfte ("Residenzen") nahe an Golfplätzen im In- und Ausland zur Verfügung halten. Sie bot gegen eine "Mietvorauszahlung" von zwischen Fr. 30'000.- und Fr. 90'000.- eine "Mitgliedschaft" an. Das Mitglied sollte berechtigt sein, während einer vierzigjährigen Vertragsdauer jedes Jahr einen Teil seiner Mietvorauszahlung "abzuwohnen" oder "abwohnen" zu lassen. Die Mitgliedschaft stand auch Firmen offen. Mit Vertrag vom 22. Dezember 1988 trat die Wibru Holding AG als Mitglied Nr. 2291 der IGR bei und leistete in der Folge eine Mietvorauszahlung von Fr. 90'000.-. Mit Schreiben vom 16. Februar 1989 orientierte die IGR ihre Mitglieder über eine mögliche Zusammenarbeit mit der Euroactividade AG. In einem Schreiben vom 26. April 1989 gab die IGR Pläne bekannt, wonach die IGR ab 10. Mai 1989 als Tochtergesellschaft der Euroactividade AG weitergeführt werden sollte, an welcher die Swissair Beteiligungen AG zugleich eine Minderheitsbeteiligung erwerben sollte; in diesem Zusammenhang kündigte sie auch Änderungen am Konzept des den Mitgliedern gebotenen Leistungspakets an. Am 23. August 1989 teilte M. als "Chairman der Euroactividade Group" den IGR-Mitgliedern in einem Rundbrief mit, dass der Verkauf der IGR an die Euroactividade AG inzwischen erfolgt sei, und verwies auf die weiteren Ausbaupläne. In einem Brief vom 7. März 1990 gestand die IGR dann indessen, sie sei leider immer noch nicht in der Lage, das definitive neue Konzept vorzulegen; die Geschäftsleitung halte es unter diesen Umständen nicht für fair, die Mitgliederbeiträge weiter zurückzuhalten; sie habe sich deshalb entschlossen, die bestehenden Mitgliedschaften aufzukündigen und die geleisteten Zahlungen zuzüglich einer Verzinsung zu 7% zurückzuerstatten. Die Wibru Holding AG wartete jedoch in der Folge vergeblich auf die Rückzahlung. Nachdem wiederholte Mahnungen erfolglos geblieben waren, wandte sich die Wibru Holding AG an die Swissair. Diese hielt in ihrem Antwortschreiben fest, die IGR sei seit Mai 1989 eine hundertprozentige Tochter der Euroactividade AG; im übrigen sei über die IGR inzwischen der Konkurs eröffnet worden.
B.-
Am 28. Oktober 1991 klagte die Wibru Holding AG beim Handelsgericht des Kantons Zürich gegen die Swissair Beteiligungen AG auf Bezahlung von Fr. 97'808.-. Das Handelsgericht wies die Klage mit Urteil vom 8. Juni 1993 ab.
BGE 120 II 331 S. 333
C.-
Das Bundesgericht heisst die von der Klägerin eingelegte Berufung teilweise gut und weist die Streitsache zu neuer Entscheidung an das Handelsgericht zurück.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
1.
In den Werbeunterlagen der IGR wurde die Einbindung dieses Unternehmens in den Swissair-Konzern in verschiedener Hinsicht werbemässig herausgestrichen. Die Klägerin macht geltend, sie habe beim Vertragsschluss nicht auf die kapitalschwache IGR, sondern auf die Swissair und deren damaliges Image von Finanzstärke, Zuverlässigkeit und Fairness vertraut. Aus diesem Vertrauenstatbestand leitet sie die Haftung der Beklagten ab.
Die Klägerin hält in ihrer Berufung an ihrem ursprünglichen Hauptstandpunkt, die Beklagte treffe eine Durchgriffshaftung, nicht mehr fest. Sie vertritt vielmehr die Auffassung, die Beklagte hafte aus eigenem Verhalten. Zur Begründung führt die Klägerin verschiedene Rechtsnormen an: Sie macht einerseits geltend, die Beklagte habe ihr gegenüber eine vertragliche Garantie im Sinne von
Art. 111 OR
übernommen; anderseits wirft sie ihr ein "venire contra factum proprium" und damit einen Verstoss gegen
Art. 2 ZGB
vor; überdies beruft sie sich auf
Art. 41 OR
.
2.
Ob und wieweit die Konzern-Muttergesellschaft aus Erklärungen haftet, die sie gegenüber Geschäftspartnern ihrer Tochtergesellschaft abgibt, wird in der Literatur vor allem im Zusammenhang mit Patronatserklärungen erörtert (SCHNYDER, Patronatserklärungen - Haftungsgrundlage für Konzernobergesellschaften?, in SJZ 86/1990, S. 57 ff.; HANDSCHIN, Der Konzern im schweizerischen Privatrecht, S. 287 ff.; BOSMAN, Konzernverbundenheit und ihre Auswirkungen auf Verträge mit Dritten, Diss. Zürich 1984, S. 181 ff.; ALBERS-SCHÖNENBERG, Haftungsverhältnisse im Konzern, Diss. Zürich 1980, S. 181 f.; HUBER, Personalsicherheiten bei der Erteilung von Bankkrediten unter Berücksichtigung der sogenannten Patronatserklärungen, in: Rechtsprobleme der Bankpraxis, S. 47 ff.; MÜLLHAUPT, Rechtsnatur und Verbindlichkeit der Patronatserklärung, in SAG 50/1978, S. 109 ff.; GEIGY-WERTHEMANN, Die rechtliche Bedeutung garantieähnlicher Erklärungen von herrschenden Unternehmen im Konzern, in Festgabe Juristentag 1973, S. 21 ff.). Im vorliegenden Fall geht es zwar nicht um derartige, von der Muttergesellschaft zum Zweck der Sicherung von Krediten an die Tochtergesellschaft gegenüber bestimmten Drittpersonen
BGE 120 II 331 S. 334
abgegebene Erklärungen, sondern um werbemässige Aussagen, die sich allgemein an potentielle Kunden der IGR richteten. Die in der Lehre entwickelten Grundsätze lassen sich aber dennoch anwenden. Auch Werbeaussagen können berechtigte Erwartungen wecken und damit haftungsrechtliche Bedeutung erlangen (vgl.
BGE 115 II 474
E. 2b, S. 477 f.).
3.
a) Eine Haftung der Muttergesellschaft für Verbindlichkeiten der Tochtergesellschaft ergibt sich, wenn sie sich gegenüber den Geschäftspartnern der Tochtergesellschaft vertraglich verpflichtet hat, beispielsweise eine Garantie im Sinne von
Art. 111 OR
übernommen hat. Ob das der Fall ist, entscheidet sich bei fehlendem tatsächlichem Konsens aufgrund einer Auslegung der Erklärungen der Muttergesellschaft nach dem Vertrauensgrundsatz. Eine vertragliche Bindung setzt voraus, dass die Empfänger aufgrund der Erklärungen nach Treu und Glauben von einem rechtsgeschäftlichen Bindungswillen der Muttergesellschaft ausgehen durften (SCHNYDER, a.a.O., S. 60 ff.; HANDSCHIN, a.a.O., S. 291; GEIGY-WERTHEMANN, a.a.O., S. 32 ff.), und dass sich die in Aussicht gestellte Garantie auf im voraus bestimmte oder zumindest bestimmbare Verbindlichkeiten der Tochtergesellschaft bezieht (Schnyder, a.a.O., S. 64). Die Übernahme einer Garantiehaftung darf somit nicht leichthin angenommen werden. Ein Garantievertrag zwischen der Muttergesellschaft und einem Geschäftspartner der Tochtergesellschaft dürfte insbesondere dann nur ausnahmsweise zustandegekommen sein, wenn - wie im vorliegenden Fall - kein Austausch individueller Erklärungen stattgefunden hat, sondern als vertragsbezogene Willensäusserungen lediglich Werbeaussagen der Muttergesellschaft und deren stillschweigende "Annahme" durch den Geschäftspartner der Tochtergesellschaft anlässlich des Vertragsschlusses mit dieser in Betracht fallen.
b) Nach den Feststellungen des Handelsgerichts waren auf dem Briefpapier der IGR sowie auf den Titelseiten ihrer Werbebroschüren jeweils in der Fusszeile das Swissair-Logo - bestehend aus dem Namenszug "Swissair" und einem schräggestellten Schweizerkreuz - sowie der Satz "Die IGR ist ein Unternehmen der Swissair" aufgedruckt. In den Werbeunterlagen der IGR wurde die Verbindung zur Swissair betont. Im Sinne eines Beispiels zitiert das angefochtene Urteil die folgende Aussage: "Überall wo International Golf and Country Residences steht, steht Swissair darunter. Und selbstverständlich auch dahinter. Denn die IGR ist zwar ein selbständiges Unternehmen der Swissair Beteiligungen AG, arbeitet aber nach den gleichen
BGE 120 II 331 S. 335
unternehmerischen Maximen wie ihre Mutter. Dass sich das von Anfang an auf die Internationalität, die Gastfreundschaft, die Betreuung und die Zuverlässigkeit von IGR auswirkt, liegt auf der Hand." Die Beklagte behauptet nicht, sie habe sich gegenüber der Klägerin von diesen Aussagen distanziert, und sie stellt nicht in Abrede, dass die IGR Briefpapier und Werbeunterlagen im Einvernehmen mit ihr gestaltet hat. Der Beklagten sind deshalb die darin enthaltenen Erklärungen zuzurechnen.
Aus diesen Erklärungen kann aber entgegen der Auffassung der Klägerin nicht abgeleitet werden, dass die Beklagte eine Mithaftung für die Verpflichtungen der IGR gegenüber ihren Geschäftspartnern im Sinne einer Garantie (
Art. 111 OR
) übernommen hätte. Ein derartiger vertraglicher Bindungswillen der Beklagten gelangt darin nicht zum Ausdruck. Insbesondere ist nirgends davon die Rede, die Beklagte garantiere als Muttergesellschaft für die Erfüllung von Verbindlichkeiten der IGR. Aus der werbemässigen Betonung der Konzernzugehörigkeit der IGR allein und ohne ausdrückliche Zusicherung aber durfte die Klägerin nicht schliessen, die Beklagte wolle eine Garantieverpflichtung eingehen. Die Beklagte trifft daher keine vertragliche Haftung.
4.
Eine Haftung der Beklagten aus unerlaubter Handlung im Sinne von
Art. 41 OR
entfällt ebenfalls, da der Beklagten kein widerrechtliches, d.h. gegen allgemeine gesetzliche Gebote oder Verbote verstossendes Verhalten vorgeworfen werden kann (vgl.
BGE 117 II 315
E. 4d, S. 317 f.;
BGE 115 II 15
E. 3a, S. 18 mit Hinweisen).
5.
a) Erwecktes Vertrauen in das Konzernverhalten der Muttergesellschaft kann jedoch unter Umständen auch bei Fehlen einer vertraglichen oder deliktischen Haftungsgrundlage haftungsbegründend sein. Das ergibt sich aus einer Verallgemeinerung der Grundsätze über die Haftung aus culpa in contrahendo (SCHNYDER, a.a.O., S. 64 f.; MÜLLHAUPT, a.a.O., S. 111). Wird, wie dies der bundesgerichtlichen Praxis (vgl.
BGE 108 II 419
E. 5 S. 421 f. mit Hinweisen) sowie herrschender Lehre (GAUCH/SCHLUEP, Schweizerisches Obligationenrecht, Allgemeiner Teil, 5. Aufl. 1991, Bd. I, S. 176 f. Rz. 981 f.; GUHL/MERZ/KOLLER, Das Schweizerische Obligationenrecht, 8. Aufl. 1991, S. 99; VON TUHR/PETER, Allgemeiner Teil des Schweizerischen Obligationenrechts, Bd. I, 3. Aufl. 1979, S. 193; BK-KRAMER, allg. Einl. zum OR, N. 139; OR-BUCHER, N. 90 zu Art. 1; kritisch hingegen namentlich MERZ, Vertrag und Vertragsschluss, 2. Aufl. 1992, S. 85 f. Rz. 146 ff., im Anschluss an TERCIER, La culpa in contrahendo en droit suisse, in Premières journées juridiques yougoslavo-suisses 1984, Bd. 2, S. 236 f.) entspricht,
BGE 120 II 331 S. 336
die culpa in contrahendo als besonderer Haftungstatbestand anerkannt, so darf in wertungsmässig vergleichbaren Fällen der haftpflichtrechtliche Schutz ebenfalls nicht versagt bleiben. Das der Culpa-Haftung zugrundeliegende, bestimmte gegenseitige Treuepflichten der Partner begründende Vertragsverhandlungsverhältnis ist als Erscheinungsform einer allgemeineren Rechtsfigur aufzufassen (BK-KRAMER, a.a.O., N. 142 ff.). Im Konzernverhältnis kann das in die Vertrauens- und Kreditwürdigkeit des Konzerns erweckte Vertrauen ebenso schutzwürdig sein wie dasjenige, das sich die Partner von Vertragsverhandlungen hinsichtlich der Richtigkeit, der Ernsthaftigkeit und der Vollständigkeit ihrer gegenseitigen Erklärungen entgegenbringen. Wenn Erklärungen der Konzern-Muttergesellschaft bei Geschäftspartnern der Tochtergesellschaft in dieser Weise Vertrauen hervorrufen, so entsteht deshalb eine dem Vertragsverhandlungsverhältnis vergleichbare rechtliche Sonderverbindung (vgl. REY, Rechtliche Sonderverbindungen und Rechtsfortbildung, in FS Keller 1989, S. 231 ff.), aus der sich auf Treu und Glauben beruhende Schutz- und Aufklärungspflichten ergeben (SCHNYDER, a.a.O., S. 65). Die Verletzung solcher Pflichten kann Schadenersatzansprüche auslösen.
Die Haftung aus erwecktem Konzernvertrauen ist allerdings - wie die Haftung aus culpa in contrahendo - an strenge Voraussetzungen zu knüpfen. Denn wie jedermann in Vertragsverhandlungen seine Interessen grundsätzlich selbst wahrzunehmen hat und sich nicht einfach auf deren Berücksichtigung durch den Verhandlungspartner verlassen darf, hat der Geschäftspartner einer Tochtergesellschaft deren Kreditwürdigkeit grundsätzlich selbst zu beurteilen, kann er somit das Bonitätsrisiko nicht einfach generell auf die Muttergesellschaft abwälzen (Grundsatz des "caveat creditor"; SCHNYDER, a.a.O.). Die Muttergesellschaft hat nicht unbesehen für den Erfolg des Tochterunternehmens einzustehen und haftet bei dessen Scheitern den Geschäftspartnern nicht ohne weiteres für allfälligen Schaden, der ihnen aus dem Misserfolg erwächst. Schutz verdient nicht, wer bloss Opfer seiner eigenen Unvorsichtigkeit und Vertrauensseligkeit oder der Verwirklichung allgemeiner Geschäftsrisiken wird (vgl. BOSMAN, a.a.O., S. 189), sondern nur, wessen berechtigtes Vertrauen missbraucht wird. Eine Haftung entsteht nur, wenn die Muttergesellschaft durch ihr Verhalten bestimmte Erwartungen in ihr Konzernverhalten und ihre Konzernverantwortung erweckt, später aber in treuwidriger Weise enttäuscht. Diesfalls hat die
BGE 120 II 331 S. 337
Muttergesellschaft für den Schaden einzustehen, den sie durch ihr gegen Treu und Glauben verstossendes Verhalten adäquat kausal verursacht hat. Hingegen führt die Vertrauenshaftung - im Gegensatz zur vertraglichen Garantiehaftung - nicht dazu, dass die Muttergesellschaft gegenüber Dritten für Verbindlichkeiten der Tochtergesellschaft mithaften würde (vgl. SCHNYDER, a.a.O.; ALBERS-SCHÖNENBERG, a.a.O., S. 182).
Ob und in welcher Hinsicht der Muttergesellschaft die Erweckung berechtigter Erwartungen entgegengehalten und deren Enttäuschung vorgeworfen werden kann, beurteilt sich nach den gesamten Umständen des Einzelfalles. Daraus ergeben sich Art und Umfang der auf Treu und Glauben beruhenden Verhaltenspflichten, deren Verletzung eine Vertrauenshaftung auslöst. Aufgrund der konkreten Vertrauenslage kann die Muttergesellschaft namentlich die Pflicht treffen, das Tochterunternehmen wirtschaftlich genügend abzusichern, ihm - mit anderen Worten - diejenigen Mittel zur Verfügung zu stellen, die aus dem Blickwinkel redlicher Geschäftsleute erforderlich sind, um die realistischerweise zu erwartenden Risiken abzudecken. Im weiteren können für die Muttergesellschaft aber auch Aufklärungspflichten entstehen, insbesondere dann, wenn sie sich aus der konzernmässigen Mitverantwortung zurückziehen will. Solche Pflichten kann die Muttergesellschaft etwa verletzen, wenn sie den Geschäftspartnern der Tochtergesellschaft unrichtige Angaben über deren geschäftliche Lage macht oder ihnen existenzbedrohende Entwicklungen in deren Geschäftsverlauf verheimlicht (BOSMAN, a.a.O., S. 191 f.). Die Haftung aus Konzernvertrauen berührt sich hier mit der Haftung aus falschem Rat und mangelhafter Auskunft, die in der neueren Lehre, soweit nicht das Vorliegen eines Beratungsvertrages eine vertragsrechtliche Anknüpfung erlaubt, überwiegend ebenfalls als Anwendungsfall der Vertrauenshaftung aufgefasst wird (MEIER-SCHATZ, Über die privatrechtliche Haftung für Rat und Anlagerat, in Mélanges Paul Piotet 1990, S. 151 ff., insbes. 158 ff.; BK-KRAMER, a.a.O., N. 68 und 147; vgl. auch GUHL/MERZ/KOLLER, a.a.O., S. 99 f.; abweichend KUHN, Die Haftung aus falscher Auskunft und falscher Raterteilung, in SJZ 82/1986, S. 345 ff., insbes. 355 Ziff. 6.3).
b) Die Klägerin konnte und musste als Adressatin der Werbeunterlagen und der Vertragsofferte der IGR nicht wissen, aus welchen organisatorischen Gründen der Swissair-Konzern es vorzog, die neue Dienstleistung im Golftourismus nicht durch eine bestehende Konzerngesellschaft, sondern durch eine selbständige, neu gegründete Tochtergesellschaft anzubieten. Die
BGE 120 II 331 S. 338
Vorinstanz stellt im angefochtenen Urteil fest, dass das Aktienkapital der IGR lediglich Fr. 200'000.- betrug. Die Klägerin weist in ihrer Berufung glaubwürdig darauf hin, dass sie eine Investition von mehr als Fr. 90'000.- als Mietvorauszahlung für ein 40jähriges Benützungsrecht luxuriöser Hotels bei einer derart kapitalschwachen Gesellschaft nicht getätigt hätte, wenn sie nicht auf deren Zugehörigkeit zum Swissair-Konzern vertraut hätte. Angesichts des Finanzbedarfs von 50 Mio. Franken, den die Beklagte nach den Feststellungen des Handelsgerichts allein für die sogenannte "Pre-Openingphase" evaluiert hat, ist die Unterkapitalisierung der IGR denn auch offensichtlich. Da es sich bei der IGR um eine neu gegründete und offensichtlich unterkapitalisierte Tochtergesellschaft handelte, musste auch der Beklagten klar sein, dass sich deren Geschäftspartner vorab auf die Finanzkraft und den Ruf des Swissair-Konzerns verlassen würden. Unter diesen Umständen gaben die Werbeunterlagen der IGR, deren Inhalt sich die Beklagte als eigene Erklärungen anrechnen lassen muss (E. 3b hievor), vor allem in zwei Richtungen Anlass zu berechtigten Erwartungen:
aa) Die Klägerin durfte einerseits aus der Betonung der Einbindung der IGR in den Swissair-Konzern und insbesondere aus der Aussage, die Swissair stehe hinter der IGR, nach Treu und Glauben die Zusicherung ableiten, dass die Beklagte die IGR mindestens in der Aufbauphase mit ausreichenden Mitteln dotieren werde. Dagegen durfte die Klägerin nicht davon ausgehen, die Beklagte nehme ihr jedes Investitionsrisiko ab. Der Erfolg der IGR hing offensichtlich vor allem davon ab, dass weitere Dritte in das Unternehmen investieren und Mitgliedschaften erwerben würden. Die Klägerin durfte nicht erwarten, im Falle fehlender Drittbeteiligung werde der Ausfall wirtschaftlich durch die Muttergesellschaft ausgeglichen. Das erweckte Vertrauen erstreckte sich vielmehr bloss auf diejenigen Mittelzuflüsse, welche bei realistischer Beteiligungsprognose für das Gelingen des Unternehmens in der Aufbauphase zusätzlich erforderlich waren.
bb) Anderseits durfte die Klägerin aber aufgrund der Werbeunterlagen auch allgemein darauf vertrauen, dass die werbemässig herausgestrichene Einbindung der IGR in den Swissair-Konzern ein zuverlässiges und korrektes Geschäftsgebaren verbürge und dass die Beklagte als Muttergesellschaft für diese Zuverlässigkeit und Vertrauenswürdigkeit einstehe. In diesem Sinne durfte sie namentlich die Erklärung auffassen, dass die Swissair hinter der IGR stehe und dass sich dies von Anfang an auf die Zuverlässigkeit des
BGE 120 II 331 S. 339
Tochterunternehmens auswirke. Die Klägerin durfte deshalb insbesondere auch annehmen, die Beklagte werde dafür sorgen, dass auf Mitteilungen der IGR Verlass sein werde. Sie musste nicht damit rechnen, dass die Beklagte zusehen werde, wie die IGR ihre Geschäftspartner durch unrichtige oder irreführende Angaben über ihren Geschäftserfolg und über die Chancen und Risiken einer Weiterführung der Mitgliedschaften vom rechtzeitigen Abbruch der Geschäftsbeziehung abhalten würde.
c) Zu prüfen bleibt, ob die Beklagte diese Erwartungen in treuwidriger Weise enttäuscht hat.
aa) Den Feststellungen des Handelsgerichts ist zu entnehmen, dass die Beklagte der IGR ein Aktienkapital von Fr. 200'000.- sowie ein Aktionärsdarlehen von 50 Mio. Franken zur Verfügung gestellt hat. Dass das Unternehmen mit diesen Mitteln aus dem Blickwinkel redlicher Geschäftsleute wirtschaftlich nicht hinreichend abgesichert war, legt die Klägerin nicht dar. Es ist demnach davon auszugehen, dass das Unternehmen nicht zufolge Unterdotierung durch die Beklagte, sondern wegen Ausbleibens erwarteter Drittbeteiligungen gescheitert ist. Dafür aber hat die Beklagte nach dem Gesagten nicht einzustehen (E. b/aa hievor).
bb) Hingegen stellt sich die Frage, ob die Beklagte im Vorfeld der Veräusserung der IGR an die Euroactividade AG für eine korrekte Information der Mitglieder hätte sorgen müssen. In diesem Zusammenhang sind die folgenden Umstände von Bedeutung:
Im Dezember 1988 versandte die IGR ihren Mitgliedern einen "Newsletter". Dieser enthielt nach den Feststellungen der Vorinstanz eine vollmundige Darstellung der Mitgliederentwicklung - und damit des geschäftlichen Erfolgs des Unternehmens -, indem von einem "überwältigenden Echo aus 58 Ländern" und von "bereits zahlreichen Mitgliedern" die Rede war, während in Tat und Wahrheit die Mitgliederanmeldungen weit hinter den Erwartungen zurückgeblieben waren und sich daraus für die IGR schon bald geschäftliche Schwierigkeiten ergeben hatten. Der Misserfolg der Mitgliederwerbung wurde der Klägerin auch später verschwiegen, insbesondere im Schreiben vom 26. April 1989, in welchem die IGR die Pläne für einen Zusammenschluss mit der Euroactividade AG bekanntgab. Das Schreiben zielte nicht darauf ab, die IGR-Mitglieder objektiv zu informieren, sondern war darauf angelegt, diese möglichst bei der Stange zu halten. Die wahren Gründe für den Rückzug der Beklagten wurden verschwiegen. Stattdessen wurde auf das erweiterte Leistungsangebot
BGE 120 II 331 S. 340
verwiesen, das der Zusammenschluss der IGR mit der Euroactividade AG ermögliche. Zum Zeitpunkt, als der "Newsletter" und das Schreiben vom 26. April 1989 der Klägerin zugesandt worden sind, war die IGR noch Tochtergesellschaft der Beklagten. Die Beklagte macht nicht geltend, sie hätte von diesen Mitteilungen keine Kenntnis gehabt. Sie muss sich daher zumindest das Wissen darüber anrechnen lassen, was dort gegenüber der Klägerin geäussert und was nicht geäussert worden ist.
Die mit dem geplanten Unternehmenszusammenschluss verknüpfte "Konzeptänderung", wonach an die Stelle der nach einem Punktesystem jährlich "abwohnbaren" Wohnrechte in den IGR-Residenzen ein anderes Leistungsangebot treten sollte, bedingte eine Änderung der Mitglieder-Verträge. Deren Weiterführung bedurfte daher der - ausdrücklichen oder stillschweigenden - Zustimmung der Mitglieder. Im Schreiben vom 26. April 1989 ist denn auch richtigerweise darauf hingewiesen worden, dass es in der freien Entscheidung der Mitglieder stehe, ob sie die Verträge mit der IGR "konvertieren", d.h. auf veränderter Grundlage weiterführen wollten. Da den Mitgliedern indessen die geschäftliche Lage der IGR verschwiegen, ja im "Newsletter" vom Dezember 1988 gar unrichtig geschildert und im Schreiben vom 26. April 1989 durch irreführende Angaben über die Gründe des Verkaufs der IGR an die Euroactividade AG verdeckt worden ist, sind ihnen wesentliche Entscheidungsgrundlagen vorenthalten worden.
Aufgrund der konkreten Vertrauenslage wäre insoweit auch die Beklagte als Konzern-Muttergesellschaft verpflichtet gewesen, für eine korrekte Information durch die IGR zu sorgen oder selbst zu informieren (E. a und b/bb hievor). Indem sie dieser Aufklärungspflicht nicht nachgekommen ist, hat sie treuwidrig die Erwartungen enttäuscht, welche die Klägerin aufgrund der Umstände in ihr Konzernverhalten setzen durfte. Die Missachtung der Aufklärungspflicht wiegt umso schwerer, als im Schreiben vom 26. April 1989 hervorgehoben wird, dass die Swissair eine namhafte Minderheitsbeteiligung an der Euroactividade AG erwerben und über ihre Vertretung in Verwaltungsrat und Geschäftsleitung dieser Gesellschaft weiterhin Einfluss auf die IGR nehmen werde. Damit ist erneut in einer Art und Weise an das Vertrauen in den Swissair-Konzern appelliert worden, die geeignet war, den IGR-Mitgliedern eigene Nachforschungen über die IGR und die Euroactividade AG als unnötig erscheinen zu lassen.
BGE 120 II 331 S. 341
6.
Hätte die Klägerin die wahre Sachlage gekannt, so hätte sie - wie gestützt auf die allgemeine Lebenserfahrung angenommen werden muss - von der Weiterführung des Vertrages mit der IGR abgesehen und die Rückzahlung ihrer Einlage verlangt. Das Fehlverhalten der Beklagten war deshalb für den Schaden kausal, den die Klägerin dadurch erlitten hat, dass sie weiterhin Vertragspartnerin der IGR geblieben und in deren Konkurs zu Verlust gekommen ist. | public_law | nan | de | 1,994 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
7b579616-1cc7-40eb-b2b3-2bc838b7551c | Urteilskopf
85 I 111
18. Urteil vom 3. Juni 1959 i.S. Vormundschaftsbehörde der Stadt Zürich gegen Vormundschaftsbehörde von St. Margrethen. | Regeste
Art. 83. lit. e OG.
Unzulässigkeit der Klage, wenn der Beschluss auf Übertragung der Vormundschaft von der kantonalen Aufsichtsbehörde der bisherigen Vormundschaftsbehörde aufgehoben worden ist. | Erwägungen
ab Seite 111
BGE 85 I 111 S. 111
1.
Die Vormundschaft wurde bisher in Zürich geführt. Da sich das Mündel gegenwärtig in St. Margrethen/SG aufhält, verlangte die Vormundschaftsbehörde der Stadt Zürich vom Waisenamt St. Margrethen die Übernahme der Vormundschaft. Eine Beschwerde des Waisenamtes und des Vaters des Mündels gegen den diesen Beschluss schützenden Entscheid des Bezirksrates Zürich hat die Justizdirektion des Kantons Zürich am 19. März 1959 gutgeheissen
BGE 85 I 111 S. 112
und den Beschluss der Vormundschaftsbehörde aufgehoben. Darauf beschloss diese, gegen das Waisenamt St. Margrethen im Sinne von
Art. 83 lit. e OG
staatsrechtliche Klage zu erheben, weil der Entscheid der Justizdirektion schlechterdings unverständlich sei (Beschluss vom 31. März 1959).
Mit staatsrechtlicher Klage vom 22./25. April 1959 beantragt die Vormundschaftsbehörde der Stadt Zürich, das Waisenamt St. Margrethen zu verpflichten, die Vormundschaft zu übernehmen.
Das Waisenamt beantragt die Abweisung der Klage.
2.
Die Vorschrift von
Art. 83 lit. e OG
fand sich ursprünglich im Bundesgesetz über die zivilrechtlichen Verhältnisse der Niedergelassenen und Aufenthalter. Sie hatte dort zur Aufgabe die Abgrenzung der Kompetenzen der Vormundschaftsbehörde des Wohnsitzes und der Heimat im interkantonalen und - auf dem Umwege über Art. 32 des Gesetzes - im internationalen Verhältnis. Für Anstände im interkantonalen Verhältnis wurde sie in das OG von 1893 übernommen, dessen Art. 180 bestimmte, dass derartige Streitigkeiten nach dem für staatsrechtliche Entscheidungen vorgeschriebenen Verfahren zu beurteilen sind. Es wurde jedoch davon abgesehen, auch für diese Anstände anzuordnen, dass die Zuständigkeit des Bundesgerichtes dadurch begründet werde, dass die Kantonsregierung seinen Entscheid anrufe, wie es Art. 177 für Entscheidungen staatsrechtlicher Streitigkeiten zwischen Kantonen vorsah, sondern das Recht zur Anhängigmachung des Streites direkt der Heimat- bzw. Wohnsitzbehörde eingeräumt. Die Rechtsprechung hat dazu festgestellt, dass zur Anrufung des Bundesgerichtes der ablehnende Bescheid der bisherigen (d.h. der untern) Vormundschaftsbehörde genügt, und dass eine Verpflichtung, zunächst einen Entscheid der ihr vorgesetzten Aufsichtsbehörde bzw. der betreffenden Kantonsregierung herbeizuführen, nicht besteht (
BGE 39 I 68
,
BGE 71 I 159
). Das rev. Organisationsgesetz hat die Klagen, um deutlich zum Ausdruck zu
BGE 85 I 111 S. 113
bringen, dass es sich um Anstände zwischen Vormundschaftsbehörden verschiedener Kantone handle, unter die eigentlichen staatsrechtlichen Klagen eingereiht.
Dieser Charakter der Klage als interkantonaler Anstand ändert jedoch daran nichts, dass die Vormundschaftsbehörde nach dem massgebenden kantonalen Recht befugt sein muss, die Klage zu erheben, also ein gültiger Beschluss der Behörde vorliegt. Ein Beschluss der Vormundschaftsbehörde vermag aber Wirkungen auch nur solange zu entfalten, als er nicht durch Entscheid der ihr vorgesetzten Aufsichtsbehörde abgeändert oder aufgehoben worden ist. Das gilt nicht bloss, wenn es für eine bestimmte Entscheidung der Zustimmung der Aufsichtsbehörde bedarf (
Art. 422 ZGB
), sondern auch dann, wenn das Gesetz die Verbindlichkeit von der Zustimmung nur der Vormundschaftsbehörde abhängig macht, wie es für die Bewilligung eines Wohnsitzwechsels des Bevormundeten nach
Art. 421 Ziff. 14 ZGB
zutrifft. Denn auch diese Beschlüsse unterliegen der Beschwerde gemäss
Art. 420 Abs. 2 ZGB
und haben nur Bestand, wenn sie nicht im Beschwerdeverfahren aufgehoben werden. Ist der Beschluss der Vormundschaftsbehörde auf Beschwerde hin durch die Aufsichtsbehörde aufgehoben worden, und ersetzt damit ihr Entscheid denjenigen der ihr untergeordneten Vormundschaftsbehörde, so entfällt damit für diese die Möglichkeit der Klage, ist auch für sie verbindlich festgestellt, welche Rechte und Pflichten ihr gegenüber der Vormundschaftsbehörde des andern Kantons, gegen die die Klage hätte gerichtet werden sollen, zustehen. Der Rechtsbehelf von
Art. 83 lit. e OG
kann als staatsrechtliche Klage nicht ein Rechtsmittel der Vormundschaftsbehörde gegenüber ihrer eigenen Aufsichtsbehörde sein. Dazu würde sie aber gemacht, wenn es jener zustünde, über den Entscheid der Aufsichtsbehörde hinweg das Bundesgericht anzurufen und durch dieses feststellen zu lassen, dass nicht die Auffassung der Aufsichtsbehörde, sondern diejenige der Vormundschaftsbehörde zutreffe.
BGE 85 I 111 S. 114
Der Beschluss der klagenden Vormundschaftsbehörde vom 4. November 1958, die Vormundschaft über das Mündel dem Waisenamt St. Margrethen zur Weiterführung zu übertragen, ist auf Beschwerde dieses Amtes und des Vaters des Bevormundeten von der Direktion der Justiz des Kantons Zürich als obere kantonale Aufsichtsbehörde aufgehoben worden. Ihr Übertragungsbeschluss besteht also nicht mehr und kann daher nicht mit einer staatsrechtlichen Klage zur Geltung gebracht werden.
Dispositiv
Demnach erkennt das Bundesgericht:
Auf die Klage wird nicht eingetreten. | public_law | nan | de | 1,959 | CH_BGE | CH_BGE_001 | CH | Federation |
7b58de71-f8bd-4f3e-9355-d9c6e0a488c7 | Urteilskopf
117 Ia 202
36. Auszug aus dem Urteil der I. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 29. Mai 1991 i.S. Schweizerische Eidgenossenschaft gegen Kanton Basel-Landschaft, Susanne Leutenegger Oberholzer sowie Landrat, Regierungsrat und Verwaltungsgericht des Kantons Basel-Landschaft (staatsrechtliche Klage) | Regeste
Art. 113 Abs. 1 Ziff. 1 BV
und
Art. 83 lit. a OG
: Kompetenzkonflikt zwischen Bund und Kanton Basel-Landschaft; Verordnung über die Behandlung von Staatsschutzakten des Bundes.
1. Verfahren der staatsrechtlichen Klage: Zulässigkeit der Klage im vorliegenden Fall (E. 1b); Parteien (E. 1c); Anwendung von
Art. 91-96 OG
(E. 1d).
2. Gegenstand des Verfahrens der staatsrechtlichen Klage bildet einzig die Frage nach der Kompetenzabgrenzung zwischen Bund und Kanton hinsichtlich der Einsicht in die Staatsschutzakten. Organstreitigkeiten und gesetzliche Grundlage der Überwachung sind nicht zu prüfen (E. 2).
3. Der Bund als Gemeinwesen ist für die Sorge auf dem Gebiete seiner innern und äussern Sicherheit aufgrund einer ungeschriebenen Kompetenz zuständig (E. 4a, b und d); Praxis der Ausübung dieser Zuständigkeit (E. 4c); Grenzen dieser Bundeskompetenz, insbesondere hinsichtlich der kantonalen Befugnisse (E. 5).
4. Der Bund ist für die Behandlung der Staatsschutzakten zuständig (E. 6). Er kann materielle und formelle Regeln für deren Einsichtnahme erlassen; die Zentralisierung der Beurteilung von Einsichtsgesuchen und der Einbezug der von den kantonalen Behörden angelegten Akten sind kompetenzgemäss (E. 7). Der Bund hat sich mit dem Erlass der Verordnung über die Behandlung von Staatsschutzakten im Rahmen seiner Zuständigkeit gehalten.
5. Folgen der Gutheissung der staatsrechtlichen Klage (E. 8 und 9). | Sachverhalt
ab Seite 205
BGE 117 Ia 202 S. 205
Im Anschluss an die Veröffentlichung des Berichtes der Parlamentarischen Untersuchungskommission (PUK) vom 22. November 1989 (BBC 1990 I 637) ersuchte Susanne Leutenegger Oberholzer die Behörden des Kantons Basel-Landschaft um Einsicht in Staatsschutzakten. Die Kantonspolizei trat auf das Gesuch nicht ein und stellte gestützt auf die Verordnung des Bundesrates über die Behandlung von Staatsschutzakten dessen Weiterleitung an den Sonderbeauftragten für die Behandlung der Staatsschutzakten in Aussicht. Susanne Leutenegger Oberholzer gelangte darauf an den Regierungsrat des Kantons Basel-Landschaft. Dieser wies die Beschwerde gegen die Verfügung der Kantonspolizei ab, auf das Gesuch um Einsicht in die Akten des eidgenössischen Staatsschutzes nicht einzutreten und dieses an den Sonderbeauftragten weiterzuleiten (Ziff. 1 des Dispositivs).
Diesen Entscheid focht Susanne Leutenegger Oberholzer u.a. beim Verwaltungsgericht des Kantons Basel-Landschaft an. Das Verwaltungsgericht hiess die Beschwerde mit Urteil vom 7. November 1990 teilweise gut, hob Ziff. 1 des Dispositivs des regierungsrätlichen Entscheides auf und wies die Angelegenheit zur materiellen Prüfung des die Staatsschutzakten des Bundes betreffenden Einsichtsbegehrens an den Regierungsrat zurück (Ziff. 1 des Dispositivs) (teilweise publiziert in: BJM 1991 S. 12 und SJZ 87/1991 S. 68). Das Verwaltungsgericht führte aus, die Zuständigkeit zum Erlass generell-abstrakter Normen im Bereiche des Staatsschutzes sei in erster Linie Sache der Bundesversammlung,
und der Bundesrat könne verfassungsunmittelbare Verordnungen nur bei zeitlicher Dringlichkeit und für beschränkte Zeit erlassen. Es fehle daher an der Kompetenz zur Beobachtung und Verhütung von die innere Sicherheit gefährdenden Handlungen und ebenso für den Erlass der bundesrätlichen Verordnung über die Behandlung von Staatsschutzakten. Diese Verordnung könne sich ebensowenig auf Art. 17 Abs. 3 Bundesstrafprozess stützen, da damit in keiner Weise eine politische Polizei geschaffen worden sei. Angesichts dieser Rechtslage sei für die Frage der Akteneinsicht vielmehr allein kantonales Recht anwendbar.
In der Folge hat die Schweizerische Eidgenossenschaft, vertreten durch das Eidgenössische Justiz- und Polizeidepartement, beim Bundesgericht staatsrechtliche Klage erhoben. Sie stellte folgende Rechtsbegehren:
"1.- Es sei festzustellen, dass die präventive Polizei des Bundes über ausreichende verfassungsrechtliche und gesetzliche Grundlagen verfügt und dass der Bundesrat zuständig ist, die Behandlung von Staatsschutzakten des Bundes und dabei insbesondere die Einsichtsgewährung zu regeln.
2.- Es sei die Nichtigkeit des Urteils des Verwaltungsgerichts des Kantons Basel-Landschaft vom 7. November 1990 in der Beschwerdesache Leutenegger Oberholzer Susanne gegen den Regierungsrat des Kantons Basel-Landschaft betreffend Akteneinsichtsrecht festzustellen. Eventualiter sei das Urteil aufzuheben.
3.- Es sei festzustellen, dass der Bundesrat zur Beurteilung der Beschwerde von Susanne Leutenegger Oberholzer vom 5. Juli 1990 zuständig ist, soweit die Beschwerde nicht durch den Entscheid des Bundesgerichts betreffend die staatsrechtliche Klage des Kantons Genf gegen die Eidgenossenschaft vom 18. Juli 1990 gegenstandslos wird.
4.- Eventualantrag: Es sei die vorliegende Eingabe als verwaltungsrechtliche Klage entgegenzunehmen.
5.- Es sei durch vorsorgliche Verfügung den Behörden des Kantons Basel-Landschaft sofort zu untersagen, in die in ihrem Kanton vorhandenen Staatsschutzakten des Bundes Einsicht zu gewähren."
Susanne Leutenegger Oberholzer sowie der Landrat und das Verwaltungsgericht des Kantons Basel-Landschaft sind in das bundesgerichtliche Verfahren einbezogen worden. Durch Gewährung der aufschiebenden Wirkung (
Art. 94 OG
) ist der Vollzug des verwaltungsgerichtlichen Urteils aufgeschoben worden.
Das Bundesgericht heisst die staatsrechtliche Klage gut, soweit darauf eingetreten werden kann.
BGE 117 Ia 202 S. 206
Erwägungen
Erwägungen:
1.
a) Das Bundesgericht prüft die Zulässigkeit der vorliegenden staatsrechtlichen Klage von Amtes wegen (
BGE 117 Ia 238
,
BGE 106 Ib 158
E. 1,
BGE 103 Ib 248
E. 1; WALTER HALLER, BV-Kommentar, Rz. 12 zu Art. 113; WILHELM BIRCHMEIER, Handbuch des Bundesgesetzes über die Organisation der Bundesrechtspflege, S. 288).
b) Nach
Art. 113 Abs. 1 Ziff. 1 BV
bzw.
Art. 83 lit. a OG
beurteilt das Bundesgericht im Verfahren der staatsrechtlichen Klage Kompetenzkonflikte zwischen Bundesbehörden einerseits und kantonalen Behörden andererseits. Im vorliegenden Fall macht die Eidgenossenschaft einen solchen Kompetenzkonflikt geltend. Ein solcher hat sich dadurch ergeben, dass auf der einen Seite der Bund beansprucht, über die Gewährung von Einsicht in die Staatsschutzakten des Bundes in ausschliesslicher Kompetenz zu befinden; mit der Verordnung über die Behandlung von Staatsschutzakten des Bundes vom 5. März 1990 (StaVo; SR 172.014 = AS 1990 386) sind Regeln formeller und materieller Natur zur Einsichtsgewährung erlassen und ein Sonderbeauftragter für die Durchführung eingesetzt worden. Auf der andern Seite ist mit dem kantonal letztinstanzlichen Urteil des Verwaltungsgerichts des Kantons Basel-Landschaft angeordnet worden, dass die kantonalen Behörden in Anwendung von kantonalem Recht (materieller und formeller Natur) Gesuche um Einsicht in Staatsschutzakten zu behandeln haben. Damit ist zwischen dem Bund und dem Kanton Basel-Landschaft ein Kompetenzkonflikt entstanden, der Gegenstand eines Verfahrens der staatsrechtlichen Klage nach
Art. 83 lit. a OG
bilden kann (vgl. BIRCHMEIER, a.a.O., S. 292 f.).
Der vorliegende Kompetenzkonflikt ist angesichts der Regelung und Tätigkeit auf Bundesebene und in Anbetracht des verwaltungsgerichtlichen Urteils konkreter und aktueller Natur (vgl.
BGE 103 Ia 333
; BIRCHMEIER, a.a.O., S. 285 f.; HALLER, a.a.O., Rz. 17). Die staatsrechtliche Klage ist an keine Frist gebunden, da ausschliesslich das öffentliche Interesse an der Kompetenzordnung in Frage steht (
BGE 74 I 29
E. 1; ULRICH HÄFELIN/WALTER HALLER, Schweizerisches Bundesstaatsrecht, 2. Auflage 1988, N 1769; FRITZ FLEINER/ZACCARIA GIACOMETTI, Schweizerisches Bundesstaatsrecht, Zürich 1949, S. 876); es ist daher unerheblich, dass die Eidgenossenschaft eine Frist von dreissig Tagen seit Eröffnung des verwaltungsgerichtlichen Urteils eingehalten hat.
BGE 117 Ia 202 S. 207
Staatsrechtliche Streitigkeiten werden vom Bundesgericht im Rahmen der gestellten Anträge sowohl in rechtlicher als auch in tatsächlicher Hinsicht frei geprüft (
BGE 106 Ib 158
E. 1b, mit Hinweisen). Das Bundesgericht kann im Urteil Feststellungen über die streitigen Kompetenzfragen treffen oder Rechtssetzungs- bzw. Rechtsanwendungsakte aufheben (vgl. BIRCHMEIER, a.a.O., S. 287 und 289; HÄFELIN/HALLER, a.a.O., N 1771; FLEINER/GIACOMETTI, a.a.O., S. 876). Soweit die Eidgenossenschaft derartige Feststellungs- und Aufhebungsanträge stellt, sind diese dem Grundsatze nach - und vorbehältlich der nachfolgenden Erwägungen - zulässig.
Daraus ergibt sich, dass die staatsrechtliche Klage im vorliegenden Fall zulässig ist. Damit scheidet die eventualiter eingereichte verwaltungsrechtliche Klage im Sinne von
Art. 116 lit. g OG
aus, da diese nach
Art. 117 lit. a OG
gegenüber der staatsrechtlichen Klage subsidiär ist.
c) Im Verfahren der staatsrechtlichen Klage treten als Parteien die Eidgenossenschaft und der betroffene Kanton auf (vgl. HÄFELIN/HALLER, a.a.O., N 1755; FLEINER/GIACOMETTI, a.a.O., S. 875; WALTHER BURCKHARDT, Kommentar der Schweizerischen Bundesverfassung, 3. Auflage 1931, S. 776). Für den Bund handelt grundsätzlich der Bundesrat, der im vorliegenden Fall das Eidgenössische Justiz- und Polizeidepartement mit der Vertretung vor dem Bundesgericht beauftragt hat. In einem vom Bund eingeleiteten Kompetenzkonfliktsverfahren tritt grundsätzlich die kantonale Regierung für den Kanton auf (
BGE 74 I 162
E. 3; BIRCHMEIER, a.a.O., S. 294; HÄFELIN/HALLER, a.a.O., N 1766 f.). Nach § 77 Abs. 1 lit. b der Kantonsverfassung des Kantons Basel-Landschaft vertritt der Regierungsrat den Kanton nach innen und aussen. Im vorliegenden Fall sind Susanne Leutenegger Oberholzer sowie der Landrat und das Verwaltungsgericht als weitere Beteiligte im Sinne von
Art. 93 Abs. 1 OG
und der Rechtsprechung ins Verfahren einbezogen worden (vgl.
BGE 100 Ia 447
E. 1,
BGE 90 I 12
,
BGE 75 I 47
; WALTER KÄLIN, Das Verfahren der staatsrechtlichen Beschwerde, S. 222, mit Hinweisen). Diese können im Verfahren eigenständige Begehren stellen. Der Antrag des Regierungsrates, die Klage gutzuheissen, kann daher nicht die Abschreibung des Verfahrens wegen Klageanerkennung zur Folge haben.
d) Susanne Leutenegger Oberholzer hatte am 4. Februar 1991 darum ersucht, sie wegen ihres unmittelbaren Interesses am Ausgang des Verfahrens als weitere Beteiligte im Sinne von
Art. 93
BGE 117 Ia 202 S. 208
Abs. 1 OG
ins Verfahren einzubeziehen; demgegenüber hat sie in ihrer Eingabe vom 18. März 1991 beantragt, es seien grundsätzlich die Bestimmungen des BZP und zusätzlich
Art. 91 und 95 OG
als Spezialbestimmungen für anwendbar zu erklären und dementsprechend sei sie als Intervenientin im Sinne von
Art. 15 Abs. 3 BZP
anzuerkennen.
Das Organisationsgesetz enthält keinen Hinweis darauf, nach welchen Verfahrensbestimmungen staatsrechtliche Klagen im Sinne von
Art. 83 OG
zu behandeln sind. In der Literatur wird angenommen, dass die Regeln des staatsrechtlichen Beschwerdeverfahrens analog angewendet werden und über
Art. 40 OG
allenfalls Bestimmungen des BZP herangezogen werden können (BIRCHMEIER, a.a.O., S. 287; HÄFELIN/HALLER, a.a.O., N 1770; FLEINER/GIACOMETTI, a.a.O., S. 876). Das Bundesgericht hat in konstanter Praxis die Verfahrensbestimmungen insbesondere von
Art. 91-96 OG
immer auf derartige Verfahren angewendet (
BGE 106 Ib 154
). Diese Praxis kann nicht mit dem Hinweis in Zweifel gezogen werden, die
Art. 84 ff. OG
gingen systematisch und vom Wortlaut her von einem Beschwerde- und eben nicht von einem Klageverfahren aus. Diese Lösung ist entgegen der Auffassung von Susanne Leutenegger Oberholzer auch hinsichtlich von weiteren Verfahrensbeteiligten sachgerecht: Private können im Verfahren der staatsrechtlichen Klage wegen der allein streitigen Kompetenzfrage weder Partei noch Nebenintervenienten sein (
BGE 24 Ia 91
E. 2; BIRCHMEIER, a.a.O., S. 287; vgl. HÄFELIN/HALLER, a.a.O., N 1755 und 1766). Doch können sie, wie oben dargelegt und für Susanne Leutenegger Oberholzer vom Bundesgericht angeordnet, wegen ihrer Interessen am Ausgang des Verfahrens als weitere Beteiligte im Sinne von
Art. 93 Abs. 1 OG
auftreten und ihre Rechte geltend machen. Demnach ist auch im vorliegenden Verfahren auf die Bestimmungen über die staatsrechtliche Beschwerde abzustellen.
2.
Die Eidgenossenschaft hat mit ihrer staatsrechtlichen Klage eine Reihe von Begehren gestellt. Für die Prüfung, ob diese zulässig sind, gilt es vorerst, den zulässigen Streitgegenstand des vorliegenden staatsrechtlichen Klageverfahrens näher zu umschreiben.
a) Im Verfahren der staatsrechtlichen Klage nach
Art. 83 lit. a OG
können vom Bundesgericht Kompetenzkonflikte zwischen dem Bund und den Kantonen beurteilt werden. Wie oben dargelegt, besteht dieser im vorliegenden Fall darin, dass sowohl der
BGE 117 Ia 202 S. 209
Bund als auch der Kanton Basel-Landschaft beanspruchen, über Gesuche um Einsicht in die Staatsschutzakten zu befinden und hierfür die eigenen (materiellen und formellen) Bestimmungen anzuwenden. Gegenstand des Verfahrens ist somit die Abgrenzung der behördlichen Zuständigkeiten zwischen den sich gegenüberstehenden Gemeinwesen und die Ausscheidung der Kompetenzen von Bund und Kanton. Es geht damit um die Verbandskompetenz und die Frage, ob der Bund bzw. der Kanton die von der Kompetenzordnung gezogene Grenze beachtet habe. Damit fallen als Gegenstand des staatsrechtlichen Klageverfahrens Streitigkeiten der Abgrenzung zwischen einzelnen Behörden innerhalb des einen Gemeinwesens ausser Betracht (BIRCHMEIER, a.a.O., S. 285 und 291; HÄFELIN/HALLER, a.a.O., N 1755 und 1757; HALLER, a.a.O., Rz. 25; FLEINER/GIACOMETTI, a.a.O., S. 872). Organstreitigkeiten und Fragen nach der Organkompetenz sind demnach nicht zu beurteilen; hierfür stehen andere Rechtsbehelfe zur Verfügung wie etwa der Entscheid der (vereinigten) Bundesversammlung nach
Art. 85 Ziff. 13 BV
(und
Art. 92 BV
) über Kompetenzstreitigkeiten zwischen Bundesbehörden. Die Frage, ob das betreffende Gemeinwesen von seiner (behaupteten) Zuständigkeit in der richtigen Art und Weise Gebrauch gemacht hat, betrifft nicht die Abgrenzung der Zuständigkeiten und ist daher im Verfahren der staatsrechtlichen Klage grundsätzlich nicht zu behandeln. Immerhin ist die Frage nach der richtigen Ausübung der Kompetenz des einen Gemeinwesens insofern auch zu überprüfen, als sie von der formellen Zuständigkeitsfrage bisweilen nur schwer getrennt werden und daher auf die Kompetenzabgrenzung zwischen Bund und Kanton Auswirkungen haben kann (vgl. HALLER, a.a.O., Rz. 25; BIRCHMEIER, a.a.O., S. 290 f. und 293 f.; FLEINER/GIACOMETTI, a.a.O., S. 873 f.; BURCKHARDT, a.a.O., S. 774 ff.).
b) Das Verwaltungsgericht des Kantons Basel-Landschaft hat in seinem Urteil dem Bundesrat die Kompetenz abgesprochen, gestützt auf die Bundesverfassung bzw. den Bundesstrafprozess die Überwachung zu Staatsschutzzwecken anzuordnen und Regeln über die Einsicht in Staatsschutzakten zu erlassen. Als Folge hat die Eidgenossenschaft vor dem Bundesgericht um Feststellung ersucht, dass die präventive Polizei des Bundes über eine hinreichende verfassungsmässige und gesetzliche Grundlage verfüge und der Bundesrat zum Erlass der Regelung der Behandlung von Staatsschutzakten zuständig sei (Ziff. 1).
BGE 117 Ia 202 S. 210
Auf dieses Begehren kann nur zum Teil eingetreten werden: In der Kompetenzauseinandersetzung zwischen dem Bund und dem Kanton Basel-Landschaft kann es ausschliesslich um die Frage gehen, ob der Bund als solcher für den Staatsschutz im allgemeinen und allenfalls zur Einrichtung einer präventiven Polizei zuständig sei. Hingegen kann grundsätzlich nicht beurteilt werden, in welcher Art und Weise der Bund von dieser behaupteten Kompetenz Gebrauch gemacht hat; insbesondere steht nicht zur Diskussion, ob auf Bundesebene das richtige Organ (Bundesversammlung oder Bundesrat) gehandelt hat und ob dabei die richtige Rechtssetzungsstufe und -form gewählt worden ist. Angesichts der konkreten Kompetenzstreitigkeit, die sich ausschliesslich auf die Beurteilung der Akteneinsicht bezieht (E. 1b), ist die Bundeszuständigkeit im Bereiche des Staatsschutzes allerdings nur hinsichtlich der Behandlung der Staatsschutzakten, nicht hingegen für den Staatsschutz und die präventive Polizei im allgemeinen zu prüfen. - Darüber hinaus ist auch nicht darüber zu befinden, ob die sog. politische Polizei über eine hinreichende gesetzliche Grundlage im Sinne des Legalitätsprinzips nach Bundesverfassungsrecht oder Europäischer Menschenrechtskonvention verfüge (vgl. beispielsweise im Bereiche der persönlichen Freiheit und von
Art. 8 EMRK
zur Überwachung von verdächtigen Personen
BGE 109 Ia 279
E. 4 sowie Urteil des Europäischen Gerichtshofes vom 24. April 1990 i.S. Kruslin, Série A vol. 176-A = RUDH 1990 S. 164). Denn die Frage nach der hinreichenden gesetzlichen Grundlage betrifft die Zuständigkeitsabgrenzung zwischen Bund und Kantonen nicht. - Hinsichtlich der Behandlung von Staatsschutzakten kann daher ebensowenig geprüft werden, ob der Bundesrat die Verordnung über die Behandlung von Staatsschutzakten hat erlassen dürfen; es ist lediglich zu untersuchen, ob der Bund als solcher - in der Kompetenzauseinandersetzung gegenüber dem Kanton Basel-Landschaft - zur Regelung der Akteneinsicht in formeller und materieller Hinsicht und zur Durchführung des Einsichtsverfahrens zuständig ist. - Demnach kann auf Ziff. 1 des Klagebegehrens nur insoweit eingetreten werden, als mit ihr die Feststellung verlangt wird, der Bund als solcher sei für den Staatsschutz im Bereiche der Staatsschutzakten und für die Behandlung von Staatsschutzakten zuständig.
Gleich verhält es sich mit Ziff. 3 des Klagebegehrens: Unter diesem Gesichtswinkel kann lediglich geprüft werden, ob eine Bundesbehörde oder eine kantonale Instanz zur Beurteilung der
BGE 117 Ia 202 S. 211
gegen den Entscheid des Regierungsrates gerichteten Beschwerden zuständig ist. Die Abgrenzung zwischen Bundesrat und Bundesgericht erfolgt im Meinungsaustausch nach
Art. 96 OG
bzw. auf Entscheid der Bundesversammlung hin.
Der Antrag nach Ziff. 2, es sei das Urteil des Verwaltungsgerichts nichtig zu erklären bzw. aufzuheben, ist an sich zulässig. Aus der Begründung der Eidgenossenschaft geht indessen hervor, dass sich die staatsrechtliche Klage ausschliesslich gegen Ziff. 1 des verwaltungsgerichtlichen Urteils richtet. Demnach ist die Prüfung des Begehrens darauf zu beschränken.
c) Zum Gegenstand des vorliegenden Verfahrens kann zusätzlich angefügt werden, dass in keiner Weise in materieller Hinsicht Anspruch und Umfang der Einsicht von Susanne Leutenegger Oberholzer in die sie betreffenden Staatsschutzakten zu beurteilen sind. Hierüber haben nach Klärung der Zuständigkeitsfrage vielmehr die entsprechenden Behörden zu befinden.
4.
Aufgrund der vorstehenden Umschreibung des Gegenstandes des vorliegenden Verfahrens (E. 2) ist im folgenden die Klage der Eidgenossenschaft gegen den Kanton Basel-Landschaft materiell zu prüfen. Hierfür ist von der Frage nach der Zuständigkeit des Bundes (im Sinne der Verbandskompetenz) in den Bereichen der innern und äussern Sicherheit auszugehen.
Die Eidgenossenschaft beruft sich in ihrer Klage zunächst einmal auf eine stillschweigende Kompetenz des Bundes für den Bereich des präventiven Staatsschutzes als einer notwendig mitgegebenen primären Staatsaufgabe. Demgegenüber hat das Verwaltungsgericht nicht so sehr zu einer derartigen ungeschriebenen Verbandskompetenz als vielmehr nach
Art. 102 BV
zur Zuständigkeit des Bundesrates als Organ des Bundes in diesem Bereich Stellung genommen.
a) Es kann in dieser Hinsicht angenommen werden, dass dem Bund als Gemeinwesen grundsätzlich die Kompetenz zusteht, für seine innere und äussere Sicherheit zu sorgen. Diese Zuständigkeit fällt dem Bund wegen seiner Staatlichkeit als notwendige mitgegebene primäre Staatsaufgabe zu und ist im Bestand des gesamtschweizerischen Gemeinwesens als solchem begründet (vgl. KURT
EICHENBERGER, BV-Kommentar, Rz. 149 sowie Rz. 156 zu Art. 102; RAINER J. SCHWEIZER, Notwendigkeit und Grenzen einer gesetzlichen Regelung des Staatsschutzes, in: ZBl 92/1991 S. 299, mit weitern Hinweisen). Dabei handelt es sich nicht um eine Zuständigkeit, welche dem Bund von der Bundesverfassung
BGE 117 Ia 202 S. 212
explizit zugeschrieben wird, sondern um eine ungeschriebene oder stillschweigende Bundeskompetenz; solche ungeschriebene Zuständigkeiten werden in der Doktrin im allgemeinen anerkannt (vgl. DIETRICH SCHINDLER, BV-Kommentar, Rz. 70 zu Art. 85; JEAN-FRANÇOIS AUBERT, BV-Kommentar, Rz. 92 zu Art. 85; JEAN-FRANÇOIS AUBERT, Traité de droit constitutionnel suisse, supplément 1967-1982, Ziff. 616; und allgemein PETER SALADIN, BV-Kommentar, Rz. 125 ff. sowie 132 zu Art. 3; YVO HANGARTNER, Die Kompetenzverteilung zwischen Bund und Kantonen, Bern und Frankfurt 1974, S. 69 ff.; JEAN-FRANÇOIS AUBERT, Traité de droit constitutionnel suisse, Ziff. 620 ff.).
b) Diese Bundeskompetenz im Bereiche der innern und äussern Sicherheit kommt trotz ihrer ungeschriebenen Natur in verschiedener Hinsicht zum Ausdruck. Zum einen verweist
Art. 2 BV
als einen der Hauptzwecke des Bundes auf die Handhabung von Ruhe und Ordnung im Innern. Diese Bestimmung stellt nach allgemeiner Auffassung zwar keine Kompetenzausscheidung zwischen dem Bund und den Kantonen dar und weist dem Bund keine Zuständigkeiten zu, entbehrt indessen auch nicht jeglicher rechtlicher Bedeutung (vgl. AUBERT, BV-Kommentar, Rz. 21 zu Art. 2; PETER SALADIN, BV-Kommentar, Rz. 133 zu Art. 3); die Sorge für die innere und äussere Freiheit gehört zum Bestand des Gemeinwesens (vgl. EICHENBERGER, a.a.O., Rz. 149 zu Art. 102). Ähnlich verhält es sich zum andern mit den Bestimmungen in
Art. 85 BV
(insbesondere Ziff. 6 und 7) und in
Art. 102 BV
(insbesondere Ziff. 9 und 10). Diese umschreiben auf dem Gebiete der innern und der äussern Sicherheit die Zuständigkeiten der Bundesversammlung einerseits und des Bundesrates andererseits und nehmen damit die sog. horizontale Kompetenzausscheidung zwischen einzelnen Bundesorganen vor. Die Zuschreibung von Zuständigkeiten an Organe setzt indessen die materielle Verbandskompetenz voraus (SCHINDLER und AUBERT, a.a.O., Rz. 70 und 91 zu Art. 85; EICHENBERGER/SCHINDLER, a.a.O., Rz. 5 und 6 zu Art. 102; vgl. den Überblick bei BEAT SCHELBERT, Die rechtliche Bewältigung ausserordentlicher Lagen im Bund, Diss. Bern 1986, S. 185 ff.). In diesem Sinne kommen dem Bund im Bereiche der innern und äussern Sicherheit tatsächlich auch entsprechende Kompetenzen zu.
c) Darüber hinaus zeigt eine historische Betrachtung der Bundesanwaltschaft und der Sicherheitsvorkehren auf Bundesebene, dass die Zuständigkeit für die Sorge von innerer und äusserer Sicherheit vom Bund stets in Anspruch genommen worden ist.
BGE 117 Ia 202 S. 213
Eine ständige Bundesanwaltschaft ist erstmals im Jahre 1849 geschaffen, später indessen durch eine Ordnung mit einem lediglich im Einzelfall ernannten Bundesanwalt abgelöst worden (Bundesgesetz über die Organisation der Bundesrechtspflege vom 5. Juni 1849, Offizielle Sammlung, Band I, 1848/1850, S. 65; Art. 37 des Bundesgesetzes über die Organisation der Bundesrechtspflege vom 27. Brachmonat 1874, AS Band I, 1875, S. 137 (147)). Der Bundesanwalt hatte insbesondere die Verrichtungen der Staatsanwaltschaft bei der Anklagekammer und dem Kassationsgericht zu besorgen sowie die Voruntersuchung in streitigen Fällen von Heimatlosigkeit und Zivilprozesse vor dem Bundesgericht im Interesse der Eidgenossenschaft zu führen (Art. 45 Organisationsgesetz von 1849; Bundesgesetz über den Geschäftskreis und die Besoldung des Generalanwaltes vom 20. Dezember 1850, Offizielle Sammlung, Band II, 1850/1851, S. 167). Das Amt des ständigen Bundesanwaltes wurde im Jahre 1889 wiederhergestellt (Bundesgesetz über die Bundesanwaltschaft vom 28. Juni 1889, BS 1 406). Nach Art. 3 hatte der Bundesanwalt unter anderem die Fremdenpolizei und entsprechende Untersuchungen hinsichtlich Handlungen zu überwachen, welche die innere und äussere Sicherheit der Schweiz gefährdeten.
In der Folge sind in Volksabstimmungen verschiedene Vorlagen auf dem Gebiete der innern und äussern Sicherheit abgelehnt worden (vgl. Verzeichnis von Referendumsvorlagen, dringlichen Bundesbeschlüssen, Initiativbegehren und eidgenössischen Abstimmungen, BBl 1970 II 1665 (1706 ff.)). Im Jahre 1933 unterbreitete der Bundesrat die Botschaft zu einem Bundesgesetz über den Schutz der öffentlichen Ordnung (sog. Lex Häberlin II, BBl 1933 I 753); der auf
Art. 64bis BV
gestützte Entwurf bedrohte mit Strafe die Aufforderung zu Verbrechen oder Vergehen, den Landfriedensbruch, die Aufforderung und Verleitung zur Verletzung militärischer Dienstpflichten, Widerhandlungen gegen Versammlungsverbote sowie Amtshandlungen ausländischer Beamter und politischer Nachrichtendienste für das Ausland. Die Vorlage vom 13. Oktober 1933 ist auf Referendum hin in der Volksabstimmung vom 11. März 1934 abgelehnt worden.
Noch im Jahre 1934 ist eine Verfassungsinitiative zum Schutze der Armee und gegen ausländische Spitzel eingereicht worden (BBl 1934 III 596). Der Bundesrat arbeitete eine Botschaft zu einem Bundesbeschluss aus (BBl 1935 I 742). Der entsprechende Bundesbeschluss vom 21. Juni 1935 betreffend den Schutz der
BGE 117 Ia 202 S. 214
Sicherheit der Eidgenossenschaft stützte sich auf Art. 2, Art. 64bis, Ziff. 6 und 7 von Art. 85 sowie auf Ziff. 9 und 10 von
Art. 102 BV
, wurde - unter Ausschluss des Referendums - dringlich erklärt und sofort in Kraft gesetzt (AS 1935 482). Er enthielt gewisse, in der Volksabstimmung vom 11. März 1934 abgelehnte Bestimmungen. Insbesondere stellte er Amtshandlungen für einen fremden Staat und den politischen, militärischen und wirtschaftlichen Nachrichtendienst zugunsten des Auslandes unter Strafe; zusätzlich wurde der Bundesanwaltschaft "zur einheitlichen Durchführung des Fahndungs- und Informationsdienstes im Interesse der Wahrung der innern und äussern Sicherheit der Eidgenossenschaft das nötige Personal beigegeben" (Art. 8). Dieser Bundesbeschluss wurde mit dem Bundesgesetz über die Organisation der Bundesrechtspflege vom 16. Dezember 1943 formell aufgehoben (Art. 169, AS 1944 271 (325)); die materiellen Bestimmungen sind ins Strafgesetzbuch übernommen worden; die Vorschrift von Art. 8 ist modifiziert und ergänzt neu als Abs. 3 in Art. 17 des Bundesgesetzes über die Bundesstrafrechtspflege (BStP, ursprünglicher Text AS 1934 685) eingefügt worden (
Art. 168 OG
, AS 1944 271 (318)).
Im Bundesratsbeschluss betreffend den Polizeidienst der Bundesanwaltschaft hat der Bundesrat im Jahre 1958, gestützt u.a. auf Art. 70 und Ziff. 8 und 10 von
Art. 102 BV
den Polizeidienst der Bundespolizei umschrieben (SR 172.213.52, AS 1958 267). Sodann sind weitere Vorlagen auf dem Gebiete der innern und äussern Sicherheit ausgearbeitet worden: Mit dem Bundesbeschluss über die Unterstützung der "Interkantonalen Mobilen Polizei" vom 4. Juni 1969 sollten von seiten des Bundes spezielle Polizeieinheiten unterstützt werden; das Vorhaben scheiterte am Widerstand der Kantone; der Bundesbeschluss stützte sich auf
Art. 85 Ziff. 7 BV
(AS 1969 525). Schliesslich verabschiedeten die Eidgenössischen Räte am 9. März 1978 das Bundesgesetz über die Erfüllung sicherheitspolizeilicher Aufgaben des Bundes (BBl 1978 I 652). Danach hätten die Kantone dem Bund Polizeikräfte zur Erfüllung sicherheitspolizeilicher Aufgaben, besonders im Zusammenhang mit der Bekämpfung von Terror zur Verfügung stellen sollen. Das Gesetz, welches sich ausdrücklich auf die "Zuständigkeit des Bundes zur Erfüllung seiner Aufgaben im sicherheitspolizeilichen Bereich" abstützte (vgl. insbes. die Botschaft des Bundesrates, BBl 1977 II 1279 (1287 ff.)), wurde auf Referendum hin in der Volksabstimmung vom 3. Dezember 1978 verworfen.
BGE 117 Ia 202 S. 215
Dieser historische Rückblick zeigt lediglich auf, in welchem Ausmass entsprechende Bundeskompetenzen in Anspruch genommen worden sind, vermag indessen über die Zulässigkeit im einzelnen kaum etwas auszusagen (vgl. auch AUBERT, BV-Kommentar, Rz. 92 zu Art. 85; SCHELBERT, a.a.O., S. 185-198, mit weitern Hinweisen und Beispielen).
d) An den vorstehenden Erwägungen über die stillschweigende Kompetenz des Bundes vermag auch eine Betrachtung unter dem Gesichtswinkel von
Art. 3 BV
nichts zu ändern. Diese Verfassungsbestimmung bringt in allgemeiner Weise die Aufgabenaufteilung zwischen dem Bund und den Kantonen zum Ausdruck, und Praxis und Lehre nehmen an, dass damit die Staatsaufgaben lückenlos zwischen dem Bund und den Kantonen verteilt sind (vgl. SALADIN, a.a.O., Rz. 121 zu Art. 3). Wie oben dargelegt, wird aber auch anerkannt, dass dem Bund ungeschriebene oder stillschweigende Zuständigkeiten zukommen (vgl. SALADIN, a.a.O., Rz. 125 ff., mit weitern Hinweisen). Das hat zur Folge, dass der Bund im betreffenden Bereich zuständig ist und demnach die umfassende subsidiäre Zuständigkeit der Kantone (vgl. SALADIN, a.a.O., Rz. 76 zu Art. 3) nicht zum Zuge kommt. Die Kantone können demnach nicht gestützt auf
Art. 3 BV
Zuständigkeiten beanspruchen, welche dem Bund bereits aufgrund stillschweigender Zuweisung zukommen.
e) Aus diesen Erwägungen ergibt sich, dass der Bund als Gemeinwesen für die Sorge auf dem Gebiete der innern und äussern Sicherheit grundsätzlich zuständig ist. Mit der Anerkennung dieser Zuständigkeit wird indessen, wie oben dargelegt, nicht zur Frage Stellung genommen, welches Organ auf Bundesebene zum Handeln berechtigt ist und in welchen Formen und unter welchen Voraussetzungen im einzelnen von dieser Zuständigkeit Gebrauch gemacht werden darf.
5.
Im folgenden sind, soweit erforderlich, die Grenzen dieser Bundeszuständigkeit speziell im Hinblick auf die Kompetenzabgrenzung zwischen dem Bund und den Kantonen kurz darzulegen, bevor die mit dem vorliegenden Verfahren aufgeworfene Streitfrage im einzelnen behandelt wird (E. 6).
Bei der Ausübung der Kompetenzen im Bereiche der innern und äussern Sicherheit haben die Organe des Bundes die verfassungsrechtliche Ordnung zu beachten. Diese Bindung an die Verfassung kommt für den Bundesrat in der Einleitung zu
Art. 102 BV
ausdrücklich zum Ausdruck, gilt indessen aufgrund der
BGE 117 Ia 202 S. 216
Rechtsprechung und angesichts von
Art. 71 BV
auch für die Bundesversammlung (
BGE 64 I 372
f.; EICHENBERGER, a.a.O., Rz. 8 ff. zu Art. 102; vgl. die Übersicht bei SCHELBERT, a.a.O., 191 f.). Sie bezieht sich einerseits auf die Beachtung der Grundrechte und zielt andererseits auf die Respektierung der Zuständigkeiten anderer Staatsorgane und insbesondere der Kantone ab (EICHENBERGER, a.a.O., Rz. 12 ff. zu Art. 102).
Hinsichtlich der Wahrung von Ruhe und Ordnung betrifft dies insbesondere die Kantone. Diesen kommt für ihr Gebiet primär die allgemeine Polizeihoheit zu. Die Befugnis zum Schutze der öffentlichen Sicherheit und Ordnung besteht für die Kantone - in gleicher Weise wie für den Bund - schon wegen ihres Bestandes als selbständiges Gemeinwesen (EICHENBERGER, a.a.O., Rz. 156 zu Art. 102; SCHWEIZER, a.a.O., S. 300; vgl. auch AUBERT, BV-Kommentar, Rz. 90 zu Art. 85; SALADIN, a.a.O., Rz. 132 zu Art. 3). Angesichts dieser kantonalen Befugnis einerseits und der oben beschriebenen des Bundes andererseits ergeben sich damit in diesem Bereiche parallele oder konkurrierende Zuständigkeiten (AUBERT, Traité, Ziff. 707). Demnach sind der Bund für seine eigene Sicherheit, die Kantone für die ihre zuständig. Wo im einzelnen die Grenze zu ziehen ist, wird in der Literatur unterschiedlich beantwortet: Zum einen wird ausgeführt, der Bund könne unter Umständen an die Stelle der Kantone treten und er sei auf jeden Fall insofern zuständig, als seine eigene Sicherheit in Frage stehe (EICHENBERGER, a.a.O., Rz. 158 f. zu Art. 102); zum andern wird die Auffassung vertreten, dem Bund komme die Zuständigkeit dann zu, wenn die Kantone ihre Aufgabe nicht wahrnehmen könnten (SALADIN, a.a.O., Rz. 132 zu Art. 3; vgl. auch SCHWEIZER, a.a.O., S. 299 f.). Wie es sich damit verhält, braucht angesichts des Gegenstandes des vorliegenden Klageverfahrens nicht im einzelnen geprüft zu werden. Es genügt die Feststellung, dass parallele Zuständigkeiten von Bund und Kantonen bestehen und dass der Bund die allgemeinen Polizeikompetenzen der Kantone zu beachten hat.
6.
a) Mit der vorliegenden staatsrechtlichen Klage ersucht die Eidgenossenschaft um die Feststellung, dass der Bund im Bereiche der präventiven Polizei im allgemeinen zuständig ist und insbesondere über die Behandlung der Staatsschutzakten befinden könne. Wie oben dargelegt (E. 2b), bezieht sich der vorliegende konkrete Kompetenzkonflikt nicht auf die präventive Polizei im allgemeinen, sondern ausschliesslich auf die Behandlung der
BGE 117 Ia 202 S. 217
Staatsschutzakten. Die Frage nach einem eidgenössischen Staatsschutz ist daher lediglich im Zusammenhang mit der Behandlung der Staatsschutzakten zu prüfen.
b) Nach
Art. 3 StaVo
gelten als Staatsschutzakten nach Personen erschlossene Informationen in Karteien und Dossiers der Bundesanwaltschaft und der kantonalen Nachrichten- oder Spezialdienste. Diese sind im Interesse der innern und äussern Sicherheit angelegt worden und sollen dem eidgenössischen Staatsschutz dienen. Unter Staatsschutz werden alle nicht militärischen und nicht aussenpolitischen Massnahmen im Interesse der innern und äussern Sicherheit der Eidgenossenschaft verstanden (vgl. Bericht des Bundesrates über die Sicherheitspolitik der Schweiz (Konzeption der Gesamtverteidigung) vom 27. Juni 1973, BBl 1973 II 112 ff. (140)). Sie sollen die gegen die Sicherheit des Landes gerichteten Handlungen frühzeitig erkennen und ihnen mit polizeilichen Abwehrmassnahmen und strafrechtlicher Verfolgung und Sanktion begegnen (vgl. SCHWEIZER, a.a.O., S. 286). Demgemäss besorgt der Polizeidienst der Bundesanwaltschaft nach dem Bundesratsbeschluss aus dem Jahre 1958 die Beobachtung und Verhütung von Handlungen, die geeignet sind, die innere oder äussere Sicherheit der Eidgenossenschaft zu gefährden (politische Polizei), und führt die gerichtspolizeilichen Ermittlungen bei der Verfolgung der strafbaren Handlungen gegen die innere oder äussere Sicherheit der Eidgenossenschaft (gerichtliche Polizei) (BRB vom 29. April 1958 betreffend den Polizeidienst der Bundesanwaltschaft, SR 172.213.52 = AS 1958 267). Die Karteien und Dossiers enthalten demgemäss unter anderem Informationen über laufende Ermittlungsverfahren und Erkenntnisse im Bereiche der Terrorbekämpfung, der Spionageabwehr und des organisierten Verbrechens (vgl.
Art. 5 Abs. 2 lit. a StaVo
). Sie sind in Zusammenarbeit zwischen eidgenössischen und kantonalen Behörden angelegt worden und weisen auch Informationen von ausländischen Sicherheits- und Nachrichtendiensten auf (vgl.
Art. 5 Abs. 2 lit. c StaVo
).
Die Karteien und Dossiers enthalten damit Angaben über Terrorbekämpfung, Spionageabwehr und organisiertes Verbrechen. Es versteht sich von selbst, dass diese Bereiche in zentraler Weise die innere und äussere Sicherheit des Bundes betreffen. Gleich verhält es sich mit den Hinweisen ausländischer Sicherheitsdienste, welche für die Eidgenossenschaft in den genannten Bereichen im Einzelfall wie auch hinsichtlich längerfristiger Strategien von unmittelbarer Bedeutung sind. Die Tragweite bezieht sich auf Angaben
BGE 117 Ia 202 S. 218
sowohl präventiver als auch repressiver Natur. Damit enthalten die Karteien und Dossiers Angaben, welche für den Bund in seiner Sorge um die innere und äussere Sicherheit von unmittelbarem Interesse sind.
Die Karteien und Dossiers betreffen mit den erwähnten Angaben die Interessen der Eidgenossenschaft als gesamtes Gemeinwesen. Neben dem Bund werden zwar auch die Kantone in ihren Sicherheitsbelangen betroffen. Dieser Umstand vermag indessen an der unmittelbaren Tragweite der vorhandenen Staatsschutzakten für den Bund nichts zu ändern. Denn die Sicherheitsinteressen greifen über die einzelnen Kantone hinaus auf die Eidgenossenschaft als Ganzes. Hingegen ist den kantonalen Interessen bei der Beurteilung von Umfang und Gebrauch der Zuständigkeit durch den Bund Rechnung zu tragen (unten E. 7b). - Ebensowenig kann die Betroffenheit der Eidgenossenschaft durch die Art und Weise des in den letzten Jahren betriebenen Staatsschutzes in Zweifel gezogen werden. Denn eine Beurteilung derartiger Tätigkeiten fällt zum vornherein schwer (vgl. SCHWEIZER, a.a.O., S. 291 und 292); und auch das Festhalten von allenfalls unbedeutenden Ereignissen vermag am grundsätzlichen Interesse des Bundes nichts zu ändern.
Diese Zusammenstellung zeigt, dass die Staatsschutzakten mit ihren Angaben den Bund in seiner Sorge um die innere und äussere Sicherheit unmittelbar betreffen und damit einen Bereich berühren, für den der Bund, wie dargelegt, grundsätzlich zum Handeln befugt ist. Dies bedeutet, dass der Bund auch für die Behandlung dieser Staatsschutzakten zuständig ist und über deren Verwendung befinden kann. Insbesondere etwa die Offenlegung solcher Staatsschutzakten mit all den möglichen und oben beschriebenen Angaben vermag in zentraler Weise in die Sorge um die innere und äussere Sicherheit der Eidgenossenschaft einzugreifen und die Erfüllung des Staatsschutzauftrages zu gefährden (vgl.
Art. 1 Abs. 1 StaVo
). Aus diesen Gründen kommt dem Bund die ausschliessliche Kompetenz zur Behandlung der Staatsschutzakten zu.
7.
Aufgrund dieser Überlegungen ist im folgenden zu prüfen, ob der Bund mit der Verordnung über die Behandlung von Staatsschutzakten hinsichtlich der Abgrenzung zu den Kantonen von seiner Zuständigkeit richtigen Gebrauch gemacht hat. Wie bereits mehrfach betont, geht es dabei nicht um die Frage nach dem zuständigen Organ auf Bundesebene, sondern ausschliesslich um die Verbandskompetenz.
BGE 117 Ia 202 S. 219
a) Mit der genannten Verordnung bezweckt der Bund, den von Einträgen betroffenen Personen die Wahrung der Persönlichkeitsrechte zu ermöglichen und gleichzeitig die Erfüllung des Staatsschutzauftrages sicherzustellen (
Art. 1 Abs. 1 StaVO
). Hierfür wird das Einsichtsverfahren beim Bund zentralisiert: Ein vom Bundesrat eingesetzter Sonderbeauftragter nimmt die Staatsschutzakten in Obhut und befindet mit beschwerdefähiger Verfügung über die Einsichtsgesuche (
Art. 1 Abs. 2,
Art. 4,
Art. 5 und
Art. 8 StaVo
); werden Gesuche um Einsicht bei kantonalen Behörden gestellt, so sind diese an den Sonderbeauftragten zum Entscheid weiterzuleiten (
Art. 11 Abs. 1 StaVo
).
Aufgrund dieser Ordnung wird das Verfahren über die Einsicht in Staatsschutzakten ausschliesslich den Organen des Bundes vorbehalten und beim Sonderbeauftragten zentralisiert. Sie hält sich an die oben dargelegte Zuständigkeit des Bundes, über die Behandlung von Staatsschutzakten zu befinden. Diese Kompetenz umfasst ohne Zweifel die Regelung des Verfahrens für die Behandlung der Staatsschutzakten und für die Gesuche um Einsicht. Die Zentralisierung erweist sich als sachgerecht, weil die Staatsschutzinteressen der Eidgenossenschaft selber betroffen sind und die Eigenart der Akten eine über den einzelnen Kanton hinausreichende Beurteilung erfordert (vgl. EICHENBERGER, a.a.O., Rz. 159 f. zu Art. 102; SCHWEIZER, a.a.O., S. 300). Unter diesem Gesichtswinkel hat sich der Bund mit der Regelung des Verfahrens im Rahmen seiner Zuständigkeit gehalten.
b) Als Staatsschutzakten gelten gemäss
Art. 3 StaVo
die Karteien und Dossiers der Bundesanwaltschaft bzw. der kantonalen Nachrichten- und Spezialdienste, soweit sie im Auftrage des Bundes erstellt worden sind. Nach
Art. 11 Abs. 2 StaVo
werden als Akten der Bundesanwaltschaft alle diejenigen betrachtet (inklusive die entsprechenden Vorarbeiten), welche die kantonalen Behörden an die Bundespolizei geleitet haben und die ihnen nicht zurückgeschickt worden sind. Die Verordnung bezieht damit alle Akten ein, die im Auftrage bzw. im Interesse der Eidgenossenschaft erstellt worden sind. Es gehören somit auch Akten dazu, die von den Kantonen angelegt worden sind.
Aufgrund des Geltungsbereiches der Verordnung werden alle diese Akten dem bei den Bundesorganen zentralisierten Einsichtsverfahren unterstellt. Diese Ordnung erweist sich auch hinsichtlich der von den kantonalen Behörden angelegten Aktenstücke als sachgerecht. Sie ist wegen der über die Kantone hinausreichenden
BGE 117 Ia 202 S. 220
Bedeutung für die innere und äussere Sicherheit der Eidgenossenschaft notwendig. Eine sachgerechte Beurteilung der Akten liesse sich ohne diesen Einbezug nicht realisieren. Dabei werden die Zuständigkeiten der Kantone für ihren eigenen Bereich durchaus gewahrt. Die vom Sonderbeauftragten ausgeschiedenen und nicht vernichteten Akten gelten als kantonale Akten, und ihre Behandlung richtet sich materiell und formell nach kantonalem Recht (
Art. 11 Abs. 3 StaVo
). Auch weitere, von der Tätigkeit der Bundesanwaltschaft unabhängig erstellte Dossiers der Kantone unterstehen dem kantonalen Recht. Bei dieser Sachlage ist der Bund auch in dieser Hinsicht nicht über seine Zuständigkeit hinausgegangen.
c) Demnach kann zusammenfassend festgestellt werden, dass sich der Bund mit dem Erlass der Verordnung über die Behandlung von Staatsschutzakten im Rahmen seiner Zuständigkeit gehalten hat. Insofern ist die Klage der Eidgenossenschaft gutzuheissen.
8.
Aufgrund der vorstehenden Feststellung, dass der Bund zum Erlass der Verordnung über die Behandlung von Staatsschutzakten befugt war, gilt es im folgenden die Konsequenzen für das vorliegende Verfahren zu prüfen.
a) Die genannte Verordnung sieht klar vor, dass das Verfahren um Einsicht in die betroffenen Staatsschutzakten bei den Organen des Bundes zentralisiert ist. Diesen allein kommt die Aufgabe zu, über die Einsicht oder Geheimhaltung bzw. über die Vernichtung zu befinden. Angesichts dieser ausschliesslichen Zuständigkeit der Bundesorgane haben die kantonalen Behörden in keiner Weise die Kompetenz, die gleiche Frage zu beurteilen. Aus diesem Grunde war das Verwaltungsgericht nicht zuständig, über den Grundsatz der Akteneinsicht zu befinden und die kantonalen Behörden zur materiellen Prüfung des Einsichtsgesuches von Susanne Leutenegger Oberholzer anzuhalten. Mit seinem Entscheid hat es eine Zuständigkeit in Anspruch genommen, welche ausschliesslich dem Bunde zukommt.
Damit stellt sich die Frage, welche Folge sich aus der Unzuständigkeit des Verwaltungsgerichts ergebe und ob sein Urteil nichtig zu erklären oder als anfechtbarer Entscheid aufzuheben sei. Fehlerhafte Verwaltungsakte sind nach der bundesgerichtlichen Rechtsprechung dann nichtig, wenn der ihnen anhaftende Mangel besonders schwer ist, wenn er offensichtlich oder zumindest leicht erkennbar ist und wenn zudem die Rechtssicherheit durch die
BGE 117 Ia 202 S. 221
Annahme der Nichtigkeit nicht ernsthaft gefährdet ist (
BGE 104 Ia 176
E. c, 116 Ia 219,
BGE 114 Ib 184
,
BGE 113 IV 124
f.,
BGE 109 V 236
f., EuGRZ 1985 S. 621). Für den vorliegenden Fall wird die Zuständigkeit der Organe des Bundes, über Einsichtsgesuche zu befinden, durch die Verordnung über die Behandlung von Staatsschutzakten zwingend bestimmt, und es muss daher die Unzuständigkeit des Verwaltungsgerichts als schwerwiegender Mangel betrachtet werden. Angesichts von Wortlaut sowie Sinn und Zweck der Verordnung kann auch die leichte Erkennbarkeit nicht verneint werden. Dem steht auch nicht der Umstand entgegen, dass das Verwaltungsgericht mit eingehender Begründung die (Organ-)Kompetenz des Bundesrates in Zweifel gezogen hat. Schliesslich wird durch die Annahme der Nichtigkeit die Rechtssicherheit in keiner Weise in Frage gestellt, da die materielle Prüfung des Einsichtsgesuches nicht vorweggenommen, sondern vielmehr von den Bundesorganen nun an die Hand genommen werden kann.
Demnach ist das Urteil des Verwaltungsgerichts hinsichtlich Ziff. 1 des Dispositivs, welche das Gesuch um Einsicht in die Staatsschutzakten betrifft, nichtig zu erklären.
b) Die Nichtigerklärung hat zur Folge, dass Ziff. 1 des Dispositivs des Entscheides des Regierungsrates wieder Gültigkeit erlangt. Dagegen hat Susanne Leutenegger Oberholzer beim Bundesgericht staatsrechtliche und verwaltungsgerichtliche Beschwerde erhoben. Über diese ist getrennt vom vorliegenden Verfahren zu einem späteren Zeitpunkt zu befinden.
9.
Demnach ist die staatsrechtliche Klage der Eidgenossenschaft gutzuheissen, soweit darauf eingetreten werden kann, es wird festgestellt, dass der Bund mit der Verordnung über die Behandlung von Staatsschutzakten seinen Zuständigkeitsbereich gewahrt hat, und das Urteil des Verwaltungsgerichts wird in bezug auf Ziff. 1 des Dispositivs als nichtig erklärt. | public_law | nan | de | 1,991 | CH_BGE | CH_BGE_002 | CH | Federation |
7b5b3776-30dd-487e-9d35-76448bfa6993 | Urteilskopf
116 Ib 400
50. Auszug aus dem Urteil der I. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 31. Oktober 1990 i.S. SBB, Kreisdirektion III, gegen Stadt Zürich und Verwaltungsgericht des Kantons Zürich (Verwaltungsgerichtsbeschwerde) | Regeste
Art. 18 und Art. 18a Eisenbahngesetz; bundesrechtliches Plangenehmigungs- oder kantonalrechtliches Baubewilligungsverfahren für Bahnhof-Läden?
Ob ein eisenbahnrechtliches Plangenehmigungsverfahren gemäss
Art. 18 Abs. 1 EBG
oder im Sinne von
Art. 18a Abs. 1 EBG
ein kantonales Baubewilligungsverfahren durchzuführen sei, entscheidet im Streitfall nach
Art. 40 Abs. 1 lit. a EBG
erstinstanzlich das Bundesamt für Verkehr (E. 3).
Die Frage der Anwendbarkeit des eidgenössischen oder kantonalen formellen Baupolizeirechts beantwortet sich allein aufgrund von Art. 18/18a EBG und nicht gestützt auf
Art. 39 EBG
(E. 4).
Bewilligungsverfahren für gemischte Bauten, die teils dem Bahnbetrieb, teils betriebsfremden Zwecken dienen (E. 5):
- Misch-Bauten sind im bundesrechtlichen Plangenehmigungsverfahren zu bewilligen, soweit sie überwiegend dem Bahnbetrieb dienen (E. 5a).
- Was als "Baute" im Sinne von Art. 18 Abs. 1/
Art. 18a Abs. 1 EBG
gilt, ist fallweise aufgrund der konkreten Gegebenheiten festzulegen. Wird ein ganzer Baukubus erstellt, so ist dieser in der Regel in einem einzigen Verfahren zu bewilligen (E. 5b).
Die Erteilung einer städtischen Konzession für die Benützung öffentlichen Grundes an die SBB fällt nur in Betracht, soweit die SBB diesen Boden nicht auf dem Enteignungsweg erwerben können (E. 6). | Sachverhalt
ab Seite 401
BGE 116 Ib 400 S. 401
Auf Gesuch der Schweizerischen Bundesbahnen (SBB), Kreisdirektion III, wurde im August 1983 das Enteignungsverfahren für den Bau der S-Bahn auf dem Zürcher Stadtgebiet, Abschnitt Museumstrasse - Neptunstrasse, eröffnet. Auf diesem Abschnitt führt die S-Bahn durch den Bahnhof Stadelhofen, der seinerzeit beim Bau der rechtsufrigen Zürichseebahn errichtet worden war und heute auf den Grundstücken Kat. Nrn. 1370 und 1331 der SBB steht. Zwischen diesen beiden Eisenbahnparzellen liegt die zum öffentlichen Grund der Stadt Zürich gehörende Parzelle Nr. 2495, auf welcher die Schanzengrabenbrücke quer über die
BGE 116 Ib 400 S. 402
Gleisanlagen führt. Da nach dem ursprünglichen Projekt die Strassenparzelle Kat. Nr. 2495 für den Bau der S-Bahn nicht beansprucht werden sollte, war sie - was sich aus den Akten des bundesgerichtlichen Verfahrens E 25/90 i.S. Stadt Zürich gegen SBB betreffend S-Bahnhof Museumstrasse (
BGE 116 Ib 241
ff.) ergibt - in den Enteignungsplänen und in der Grunderwerbstabelle nicht verzeichnet. Später wurde jedoch beschlossen, auch den Bahnhof Stadelhofen zu erweitern und unter den Gleisanlagen ein Fussgängergeschoss mit Zugängen zu den Bahnsteigen sowie mit Ladenflächen von rund 2000 m2 zu erstellen, von denen ein kleiner Teil (ca. 40 m2) unterirdisch in die Strassenparzelle Nr. 2495 hineinragen soll.
Mit Verfügung vom 31. Mai 1985 genehmigte das Bundesamt für Verkehr die städtebauliche Gestaltung des Bahnhofes Stadelhofen von km 101.467 bis km 101.743 gemäss den vorgelegten Plänen, zu welchen auch ein Grundriss-Plan des Ladengeschosses gehört. In den einleitenden Feststellungen zu dieser Verfügung wird bemerkt, dass u.a. die "Läden im Untergeschoss, welche nicht den spezifischen Bedürfnissen der Bahnreisenden dienen (
Art. 39 EBG
Bahnnebenbetriebe)" nicht Gegenstand der Prüfung und der Genehmigung seien.
Im September 1986 ersuchten die SBB - offenbar auf Aufforderung der städtischen Baupolizei - die Stadt Zürich um Erteilung der Bewilligung für den Innenausbau von vier Ladeneinheiten im Untergeschoss des Bahnhofes Stadelhofen. Die Bausektion II des Stadtrates gab diesem Gesuch am 22. Mai 1987 u.a. unter folgender Bedingung statt:
"1. Vor Baubeginn hat die Bauherrschaft
a) bei der Bausektion I des Stadtrats über das Tiefbauamt, Abteilung
Landerwerb und Konzessionen, eine Konzession für die Inanspruchnahme
öffentlichen Grundes gemäss Erwägung lit. g sowie für allfällige weitere
Beanspruchungen (Erdanker, Rühlwände usw.) einzuholen und hierüber der
Baupolizei ein Zeugnis des Tiefbauamtes beizubringen. Die Erteilung der
Konzession bleibt ausdrücklich vorbehalten;
..."
In der erwähnten Erwägung lit. g wird bemerkt, durch die Ladenlokale werde der öffentliche Grund der Schanzengasse in Anspruch genommen, was konzessionspflichtig sei. Im übrigen brachte die städtische Behörde in ihrer Bewilligung den Vorbehalt an, dass auch für allfällige weitere "nicht dem Nebenbetriebsstatus
BGE 116 Ib 400 S. 403
unterstellte Flächen" noch eine kommunale Baubewilligung eingeholt werden müsse. Dementsprechend ersuchte die Bausektion II am 27. Mai 1987 das Eidgenössische Verkehrs- und Energiewirtschaftsdepartement um einen Entscheid über die rechtliche Natur der geplanten Läden als Nebenbetriebe im Sinne von Art. 39 Abs. 1 und 3 oder Abs. 4 des Eisenbahngesetzes. Dieses Gesuch wurde in der Folge dem Bundesamt für Verkehr überwiesen.
Die SBB fochten den Beschluss der Bausektion II vom 22. Mai 1987 bei der kantonalen Baurekurskommission I an und verlangten die Aufhebung der an die Baubewilligung geknüpften Bedingung, nach welcher vor Baubeginn eine Konzession für die Inanspruchnahme des öffentlichen Grundes einzuholen sei. Die Baurekurskommission I wies den Rekurs am 24. Juni 1988 ab, worauf sich die SBB an das kantonale Verwaltungsgericht wandten. Dieses wies die Beschwerde der SBB mit Entscheid vom 28. Februar 1989 seinerseits ab.
Gegen das Urteil des Verwaltungsgerichtes haben die SBB Verwaltungsgerichtsbeschwerde mit folgendem Antrag erhoben:
"1. Es sei festzustellen, dass zur baupolizeilichen Bewilligung der
Ladenbauten im Untergeschoss des Bahnhofs Stadelhofen das Bundesamt für
Verkehr (BAV) zuständige Baubewilligungsbehörde ist und das
Beschwerdeverfahren sei als gegenstandslos geworden abzuschreiben.
2. Eventualiter sei in Gutheissung der Beschwerde Dispositiv-Ziffer I,
lit. B, Ziff. 1 lit. a soweit aufzuheben, als die baupolizeiliche
Bewilligung unter der Bedingung erteilt wird, dass die
Beschwerdeführerinnen vor Baubeginn eine Konzession für die
Inanspruchnahme öffentlichen Grundes einholen. Die baupolizeiliche
Bewilligung sei ohne diese Bedingung zu erteilen."
Das Bundesgericht heisst die Beschwerde im Hauptpunkte gut.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
3.
Umstritten ist hier in erster Linie, ob die Bundes- oder die kantonalen Behörden für die Bewilligung der fraglichen Ladenbauten zuständig seien, mit anderen Worten ob es um die Erstellung von Bauten gehe, die im Sinne von
Art. 18 Abs. 1 EBG
"ganz oder überwiegend dem Bahnbetrieb dienen", oder ob es sich um "andere Bauten" handle, die nach
Art. 18a Abs. 1 EBG
dem kantonalen Recht unterstehen. Nun werden gemäss
Art. 40 Abs. 1 lit. a EBG
Anstände über "die Bedürfnisse des Bahnbaues und
BGE 116 Ib 400 S. 404
-betriebes (Art. 18)" unter Vorbehalt der Beschwerde von der Aufsichtsbehörde beurteilt. Über die Frage, ob ein eisenbahnrechtliches Plangenehmigungsverfahren oder ein kantonales Baubewilligungsverfahren durchzuführen sei, hat daher das Bundesamt für Verkehr zu entscheiden, dessen Verfügung beim Eidgenössischen Verkehrs- und Energiewirtschaftsdepartement und schliesslich - da es um die Abgrenzung von kantonalem und Bundesrecht geht - mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde beim Bundesgericht angefochten werden kann (
BGE 116 Ib 249
). Zwar wird in
Art. 40 Abs. 1 lit. a EBG
nur auf die Vorschrift von Art. 18, dagegen nicht auf
Art. 18a EBG
hingewiesen und liesse sich daraus schliessen, die Aufsichtsbehörde habe allein Streitigkeiten über die Berücksichtigung der kantonalrechtlichen Anträge im bundesrechtlichen Genehmigungsverfahren (
Art. 18 Abs. 3 EBG
) und nicht auch die das eidgenössische und kantonale Verfahrensrecht betreffenden Abgrenzungsfragen zu beurteilen. Die Anpassung von
Art. 40 Abs. 1 lit. a EBG
ist jedoch bei der Teilrevision des Eisenbahngesetzes vom 8. Oktober 1982, bei der die bis anhin in Art. 18 enthaltene Regelung über die Baubewilligung auf zwei Bestimmungen - Art. 18 und Art. 18a - aufgeteilt worden ist, offensichtlich nur aus Versehen unterblieben. Demnach hätte die vorliegende Streitsache dem Bundesamt für Verkehr unterbreitet werden müssen und ist das Zürcher Verwaltungsgericht lediglich befugt gewesen, vorfrageweise über den Geltungsbereich des kantonalrechtlichen Baubewilligungsverfahrens bzw. des eisenbahnrechtlichen Plangenehmigungsverfahrens zu befinden. Aus prozessökonomischen Gründen ist jedoch davon abzusehen, die Parteien auf das sog. Anstandsverfahren gemäss
Art. 40 Abs. 1 lit. a EBG
zu verweisen, da wie erwähnt auch in diesem letztinstanzlich das Bundesgericht zu entscheiden hat.
4.
Nach Auffassung des Verwaltungsgerichts ergibt sich die Notwendigkeit der Durchführung eines kantonalen Baubewilligungsverfahrens nicht nur aus den Vorschriften von
Art. 18 und 18a EBG
, sondern auch aus
Art. 39 Abs. 4 EBG
, nach welchem Einrichtung und Betrieb der bahnbetriebsfremden, auf Erwerb ausgerichteten Nebennutzungen auf Bahngebiet der ordentlichen Gesetzgebung des Bundes und der Kantone unterstehen. In dieser Hinsicht ist jedoch klarzustellen, dass die Baubewilligungsfrage ausschliesslich in den
Art. 18 und 18a EBG
geregelt wird, während
Art. 39 EBG
von der Befugnis der Bahnen handelt, Nebenbetriebe zu führen und andere kommerzielle Nutzungen auf Bahngebiet
BGE 116 Ib 400 S. 405
einzurichten.
Art. 39 EBG
bestand in seiner ursprünglichen Fassung vom 20. Dezember 1957 nur aus den ersten drei Absätzen, in denen von den eigentlichen, den Bedürfnissen des Bahnbetriebes und des Verkehrs dienenden Nebenbetrieben und deren Unterstellung unter das Gewerbe-, Gesundheits- und Wirtschaftspolizeirecht sowie das Arbeitsrecht gesprochen wird. Diese Bestimmungen scheinen - wie der Bundesrat in seiner Botschaft zur Änderung des Eisenbahngesetzes vom 1. Dezember 1980 ausgeführt hat (BBl 1981 I S. 336) - in der Praxis oft so ausgelegt worden zu sein, dass die Bahnen auf ihrem Areal nur kommerziell tätig werden dürften, wenn dafür ein Bedürfnis des Bahnbetriebes oder des Verkehrs bestehe. Mit dem neuen Absatz 4 sollte deshalb lediglich präzisiert werden, dass sich die Bahnen auch wie Dritte wirtschaftlich betätigen dürften und in diesem Fall wie Dritte zu behandeln seien (vgl. auch Amtl.Bull. 1981 N S. 1463 Votum Huggenberger). Der die "Einrichtung und den Betrieb" der kommerziellen Nutzungen betreffende
Art. 39 Abs. 4 EBG
vermag daher zur Lösung des Problems des anwendbaren baupolizeilichen Verfahrensrechts direkt nichts beizutragen, wenn sich auch die Frage, ob ein kantonales Baubewilligungsverfahren durchzuführen sei, vor allem im Zusammenhang mit solchen Nebennutzungen stellt. Insbesondere kann im vorliegenden Fall die Anwendung des kantonalen Verfahrensrechts nicht vom Ausgang des gemäss
Art. 40 Abs. 1 lit. g EBG
für die Läden im Bahnhof-Untergeschoss eingeleiteten Anstandsverfahrens bzw. davon abhängig gemacht werden, ob in den vier umstrittenen Ladenlokalen Nebenbetriebe im Sinne von Art. 39 Abs. 1 bis 3 eingerichtet worden seien oder ob sie kommerziellen Nutzungen im Sinne von
Art. 39 Abs. 4 EBG
Platz böten.
5.
Im Zusammenhang mit dem Bau der S-Bahn ist in Stadelhofen das Bahnhofgebäude renoviert und sind die Gleis- und Perronanlagen erweitert und ausgebaut worden. Über dem bergseits erstellten zusätzlichen Gleis ist eine neue Überdachung mit öffentlicher Promenade errichtet worden. Als Zugang zu den Gleisen 2 und 3 dient die ebenfalls neue unterirdische Fussgängerpassage, welche von Läden, darunter die vier hier umstrittenen, umsäumt wird. Die Ladenflächen sind von der Fussgängerpassage baulich nur durch Stützpfeiler getrennt. Die Rückwände der Läden bilden zugleich die Aussenmauern des unterirdischen Geschosses, die Ladendecken liegen unmittelbar unter den Bahnsteigen bzw. den Gleisen. Die zwei- bis dreistöckige Konstruktion bildet demnach eine sog. gemischte Baute, die teils dem Bahnbetrieb,
BGE 116 Ib 400 S. 406
teils betriebsfremden Zwecken dient. Es stellt sich somit die Frage nach der Art des für solche Misch-Bauten durchzuführenden Baubewilligungsverfahrens.
a)
Art. 18 EBG
bestimmte in seiner ursprünglichen Fassung vom 20. Dezember 1957 einzig, dass die Pläne für die dem Bahnbetrieb dienenden Anlagen und Fahrzeuge von der Aufsichtsbehörde zu genehmigen seien, erwähnte dagegen - abgesehen von den Bauvorhaben Dritter auf Bahngrundstücken - die betriebsfremden Bauten oder Bauteile nicht. Aus dieser Regelung ist, wie in BGE
BGE 115 Ib 169
ff. aufgezeigt, in Lehre und Rechtsprechung geschlossen worden, betriebsfremde Bauten und betriebsfremd genutztes Bahnareal unterstünden formell und materiell dem kantonalen Baurecht, während für gemischte Bauten neben dem eisenbahnrechtlichen Plangenehmigungsverfahren auch ein kantonales Baubewilligungsverfahren durchzuführen sei, sofern eine getrennte Behandlung der verschiedenen Bauteile möglich sei (vgl.
BGE 115 Ib 170
f. und dort zitierte Literatur und Rechtsprechung, insbesondere JEAN-PIERRE KÄLIN, Das Eisenbahn-Baupolizeirecht, Diss. Zürich 1976, S. 66 ff., 106).
Bei der Teilrevision des Eisenbahngesetzes von 1982 ist die bis anhin in Art. 18 geordnete Materie eingehender geregelt und auf zwei Bestimmungen - Art. 18 und 18a - aufgeteilt worden (vgl.
BGE 115 Ib 171
ff. E. 3b). Nach dem heute geltenden Gesetzestext sind nicht nur die Bauten und Anlagen, die ausschliesslich dem Bahnbetrieb dienen, sondern auch jene, die "überwiegend" diesem dienen, im bundesrechtlichen Plangenehmigungsverfahren zu bewilligen (Art. 18 Abs. 1). Immerhin sind in diesem Verfahren die auf kantonales Recht gestützten Anträge nicht mehr wie früher nur dann zu berücksichtigen, wenn sie mit den Bedürfnissen des Eisenbahnbetriebes vereinbar sind, sondern schon, wenn dadurch die Bahn in der Erfüllung ihrer Aufgaben nicht unverhältnismässig eingeschränkt wird (Art. 18 Abs. 3). Alle "anderen" Bauten unterstehen, wie nun in Art. 18a Abs. 1 festgehalten wird, dem kantonalen Recht.
Die Misch-Bauten werden somit auch in den heutigen Bestimmungen nicht genannt, doch ergibt sich aus Art. 18 Abs. 1, dass sie allein von der eisenbahnrechtlichen Aufsichtsbehörde zu genehmigen sind, falls sie überwiegend dem Bahnbetrieb dienen. Was dagegen für gemischte Bauten und Anlagen gilt, die überwiegend für betriebsfremde Zwecke bestimmt sind - ob sie als "andere" Bauten und Anlagen im Sinne von Art. 18a zu betrachten und ausschliesslich dem kantonalen Recht zu unterstellen seien oder ob für sie allenfalls
BGE 116 Ib 400 S. 407
zwei, sowohl ein kantonales als auch ein bundesrechtliches, Verfahren durchgeführt werden müssten - wird im Gesetz nicht ausdrücklich geregelt. Nach Auffassung des Bundesrates ist auf Bauvorhaben, die weder ausschliesslich "noch zur Hauptsache" für den Bahnbetrieb bestimmt sind, (nur) das Baupolizeirecht der Kantone anwendbar (BBl 1981 I S 332). In den eidgenössischen Räten ist allerdings unterstrichen worden, dass mit den neuen Bestimmungen keine Kompetenzverschiebung, sondern nur eine Klärung der schon bisher geltenden Rechtslage vorgenommen werde (Amtl.Bull. N 1981 S. 1465 Votum Weber-Arbon, S 1982 S. 341 Votum Gerber, S. 346 Votum Schlumpf). Es ist daher wohl anzunehmen, dass auch für gemischte Bauten zwar in der Regel nur ein Baubewilligungsverfahren, entweder das kantonale oder das eisenbahnrechtliche, stattfinden soll, aber nicht ausgeschlossen ist, dass unter Umständen wie bisher auch zwei Verfahren nebeneinander durchzuführen sind. Die Frage braucht hier jedoch, wie sich im folgenden zeigt, nicht abschliessend behandelt zu werden.
b) Bei der Prüfung, ob eine Baute überwiegend dem Bahnbetrieb diene und daher nach
Art. 18 Abs. 1 EBG
dem bundesrechtlichen Genehmigungsverfahren unterstehe oder nicht, stellt sich insbesondere bei Grossüberbauungen vorweg die Frage, was als solche Baute zu betrachten sei, ob das Gesamtbauwerk überwiegend dem Bahnbetrieb dienen müsse oder ob und unter welchen Voraussetzungen auch einzelne Teile eines Gebäudes gesondert auf ihre Zweckbestimmung hin untersucht werden könnten. Diese Frage ist nicht leicht zu beurteilen und kann nur aufgrund der konkreten Gegebenheiten beantwortet werden.
Im vorliegenden Fall hat das Zürcher Verwaltungsgericht argumentiert, dass das Untergeschoss, würden die vier fraglichen Ladeneinbauten weggelassen, seine bahnbetriebliche Aufgabe als unterirdischer Gleiszugang ohne jede Beeinträchtigung nach wie vor zu erfüllen vermöchte; da die vier Läden somit konstruktiv selbständig seien und weder dem Bahnbetrieb dienten noch auch nur als Nebenbetriebe im Sinne von Art. 39 Abs. 1 bis 3 EBG betrachtet werden könnten, hätten sie von der Genehmigung des Bundesamtes für Verkehr ausgenommen werden dürfen. Für die Frage des anwendbaren Baubewilligungsverfahrens kann aber wie dargelegt (E. 3) nicht ausschlaggebend sein, in welchen der Läden Nebenbetriebe gemäss Art. 39 Abs. 1 bis 3 EBG eingerichtet und welche anderen kommerziellen Nutzungen zugeführt werden bzw. worden sind. Einer derartigen Betrachtungsweise stünden schon
BGE 116 Ib 400 S. 408
Gründe der Praktikabilität entgegen, ist doch in der Regel bei Grossprojekten im Zeitpunkt des Baubewilligungsverfahrens noch gar nicht bekannt, wer die Ladenflächen mieten wird und welche Waren in den einzelnen Läden angeboten werden sollen, ganz abgesehen davon, dass Mieter und Warenangebot wechseln können. Hinzu kommt, dass hier weder die einzelne Ladeneinheit noch eine Ladengruppe noch die ganze Ladenfläche als selbständiger Gebäudeteil betrachtet werden kann, der einer gesonderten Behandlung im Baubewilligungsverfahren unterzogen werden könnte. Wie geschildert bildet das Untergeschoss, das abgesehen von den Aufzügen und WC-Anlagen aus der Fussgängerpassage und den Ladenlokalen besteht, eine konstruktive Einheit; die Läden könnten wohl weggelassen werden, sie könnten aber ohne die Fussgängerpassage auch nicht bestehen. Nun dient die Fussgängerpassage in erster Linie als Zugang zum Zwischenperron, das nur auf diesem Weg erreicht werden kann. Das Untergeschoss steht somit nicht nur baulich, sondern auch funktionell und betrieblich in engem Zusammenhang mit der Gleis- und Perronanlage und wäre ohne diese nicht erstellt worden. Es drängt sich daher auf, wenn nicht den ganzen Bahnhof - wie die SBB verlangen - so doch die einen einheitlichen Baukubus bildende Gleis- und Perronanlage mit dem dazugehörenden Untergeschoss als Baute im Sinne von
Art. 18 Abs. 1 oder
Art. 18a Abs. 1 EBG
zu betrachten, welche im selben, entweder bundes- oder kantonalrechtlichen Verfahren bewilligt werden muss. Nun nehmen die Ladenflächen insgesamt zwar etwa die Hälfte des Untergeschosses in Anspruch, bilden aber - selbst wenn unberücksichtigt bleibt, dass auch einzelne Läden den Bedürfnissen des Bahnbetriebes dienen - nur den kleineren Teil des in Betracht zu ziehenden zwei- bis dreistöckigen Bauwerkes, dessen Zweckbestimmung als Bahnbetriebsanlage eindeutig im Vordergrund steht. Dient die neue Baute demnach überwiegend dem Bahnbetrieb, ist sie allein vom Bundesamt für Verkehr im eisenbahnrechtlichen Verfahren zu genehmigen. Die zürcherischen Behörden sind daher zur Erteilung oder Verweigerung einer Baubewilligung für die Läden im Fussgänger-Untergeschoss des Bahnhofs Stadelhofen nicht zuständig. Das heisst allerdings nicht, dass das kantonale Recht im - wenn auch hier verspätet - noch durchzuführenden Genehmigungsverfahren materiell nicht zum Zuge käme und die kantonalen und städtischen Behörden zum Zuschauen verurteilt wären. Wird den auf kantonales Recht gestützten Anträgen im eisenbahnrechtlichen
BGE 116 Ib 400 S. 409
Genehmigungsverfahren nicht stattgegeben, können der Kanton und die betroffene Gemeinde unter Berufung auf Art. 18 Abs. 3 in Verbindung mit
Art. 40 Abs. 1 lit. a EBG
die Plangenehmigungsverfügung anfechten.
6.
Im angefochtenen Entscheid hält das Verwaltungsgericht im weiteren fest, selbst wenn die vier umstrittenen Läden der bundesrechtlichen Genehmigung unterstünden, bedürften sie, soweit sie den Untergrund der öffentlichen Schanzengasse beanspruchen, einer städtischen Konzession. Dem stehe auch
Art. 25 EBG
nicht entgegen, da diese Bestimmung nur die Benützung von Grund und Boden bei Kreuzungen zwischen Bahn und Strasse als unentgeltlich erkläre, dagegen keine Regelung für andere Sondernutzungen treffe. Das Verwaltungsgericht übersieht jedoch bei seinen Ausführungen - was übrigens verständlich ist, hat doch keine der Parteien auf diesen Umstand hingewiesen -, dass für den Bau der S-Bahn auf dem Gebiet der Stadtgemeinde Zürich ein Enteignungsverfahren eröffnet worden ist, die Stadt als Eigentümerin öffentlichen Grundes in dieses einbezogen worden ist und gegen die Expropriation insoweit Einsprache erhoben hat, als die neuen Anlagen der SBB kommerziellen Zwecken dienen sollen. Zwar betraf das im Jahre 1983 eingeleitete Enteignungsverfahren, da ursprünglich der Ausbau des Bahnhofes Stadelhofen nicht vorgesehen war, die Schanzengasse zunächst noch nicht, doch sind inzwischen - auf ausdrückliches Begehren der Stadt Zürich hin - die formellen Voraussetzungen für den Einbezug der Strassenparzelle Nr. 2495 und der weiteren beanspruchten Grundstücke in das Verfahren geschaffen worden. Es wird deshalb, wie das Bundesgericht schon in
BGE 116 Ib 241
ff. betreffend den S-Bahnhof Museumstrasse festgestellt hat, Sache der Einsprachebehörde bzw. des Enteignungsrichters sein, im Einspracheverfahren darüber zu entscheiden, inwieweit trotz der Legalservitut von
Art. 25 EBG
vom Enteignungsrecht Gebrauch gemacht werden müsse, in welchem Umfang dieses ausgeübt werden dürfe und wie die auf die Enteignerinnen zu übertragenden Rechte auszugestalten seien. Nur wenn die Enteignung öffentlichen Grundes für gewisse Zwecke ausgeschlossen würde, könnte sich insoweit die Frage einer Konzessionierung stellen. Das Verwaltungsgericht war deshalb auch nicht befugt, sich im vorliegenden Verfahren über die Konzessionspflicht auszusprechen. Der angefochtene Entscheid ist daher in Gutheissung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde in vollem Umfang aufzuheben. | public_law | nan | de | 1,990 | CH_BGE | CH_BGE_003 | CH | Federation |
7b66ded9-c480-4f87-9ccb-fc8bc91a7f85 | Urteilskopf
100 II 326
48. Arrêt de la IIe Cour civile du 21 juin 1974 dans la cause X contre Y. | Regeste
1. Die Tatsache, dass eine Besitzesstörung rechtmässig ist, steht der Zulässigkeit der Besitzesschutzklage nach
Art. 928 Abs. 2 ZGB
nicht entgegen, wenn der Urheber nicht alle geeigneten Massnahmen getroffen hat, um die daraus entstehenden Nachteile möglichst zu beheben.
2. Es obliegt der Person, welche die Verantwortung für die Eröffnung einer Baustelle trägt, die anstossenden Eigentümer frühzeitig genug zu benachrichtigen, damit diese sich überlegen können, welche Massnahmen zu treffen sind, um Unannehmlichkeiten zu beseitigen und Schaden zu verhüten. | Sachverhalt
ab Seite 327
BGE 100 II 326 S. 327
A.-
X., qui est médecin, est propriétaire d'un immeuble où il habite et où il a installé son cabinet médical, avec une place de parc pour son personnel et sa clientèle. On y accède par un chemin privé qui appartient en copropriété à six propriétaires d'immeubles bordiers.
B.-
Les sociétés A et B, propriétaires riverains, ont chargé Y., architecte, de la construction de deux immeubles à cet endroit. Les travaux de construction ont endommagé le chemin. Lorsqu'il s'est agi de le réparer, l'architecte a élaboré un programme de travaux, d'accord avec les services industriels intéressés. Le 13 septembre 1971, il a communiqué ce programme, qui comprenait le remplacement des canalisations et la pose d'un revêtement, demandant aux six copropriétaires de lui en confier l'exécution comme maîtres de l'ouvrage. Il indiquait les tronçons qui seraient successivement coupés pour la circulation. Il ajoutait qu'il lui "serait agréable" de recevoir une réponse avant le 21 septembre 1971, date à laquelle les Services industriels devaient commencer leurs travaux. Le chantier fut ouvert le 27 septembre 1971, sans qu'aucun des copropriétaires ait répondu, mais avec l'accord tacite des copropriétaires autres que X. Le même jour, l'architecte Y. a convoqué les intéressés à une séance fixée au 4 octobre pour déterminer la répartition des frais. Le 29 septembre 1971, X. a écrit à l'architecte qu'il n'assisterait pas à la séance du 4 octobre; qu'il entendait pour sa part que le chemin ne soit pas aménagé luxueusement, mais remis en son état antérieur par les soins et aux frais de ceux qui l'avaient détérioré. Les quatre copropriétaires présents à la séance ont admis une réfection du chemin selon des normes communales, soit notamment avec revêtement de bitume.
Le 4 octobre, X. a écrit à Y. pour protester contre l'ouverture du chantier qui le plaçait devant le fait accompli. Il ajoutait que les travaux mis en oeuvre bouchaient complètement l'accès à sa propriété; il disait comprendre la nécessité de couper le chemin, tronçon par tronçon, pour les travaux, mais ajoutait qu'il était du devoir de l'architecte de l'aviser plusieurs mois à l'avance du programme des travaux pour lui
BGE 100 II 326 S. 328
permettre de s'organiser en conséquence, soit fermer son cabinet, et prendre ses vacances à ce moment.
Les travaux, qui avaient commencé le 27 septembre, durèrent jusqu'au 23 décembre 1971. Ils ont gravement troublé l'exploitation du cabinet médical, auquel on ne pouvait plus accéder en voiture et dont l'accès à pied était mal commode et, pour les personnes âgées ou handicapées, quasiment impraticable.
C.-
Par demande du 17 février 1972, X. a assigné Y. devant la Cour civile vaudoise en paiement de 30 000 fr. à titre d'indemnité et de tort moral.
Le 10 janvier 1974, la Cour cantonale a admis l'action à concurrence de 2000 fr. et l'a rejetée pour le reste, admettant que X. avait subi un dommage du fait des travaux qui avaient perturbé l'exploitation du cabinet médical; que ce dommage était imputable à l'architecte, qui, faute d'avoir tenu le demandeur assez à l'avance au courant du calendrier des travaux, l'avait empêché de prendre ses dispositions en conséquence.
D.-
Y. recourt en réforme contre ce prononcé. Il conclut au rejet des conclusions de X. Ce dernier propose le rejet du recours.
Erwägungen
Considérant en droit:
1.
Le recourant prétend qu'en tant qu'architecte, sa responsabilité ne peut être engagée en application des art. 679 et 684 CC, qui fixent les devoirs des propriétaires et sanctionnent leur violation. Il fait valoir en outre qu'une action possessoire (art. 928 al. 2 CC) n'est pas non plus recevable contre l'architecte et que d'ailleurs, si elle l'était, elle devrait être rejetée en l'espèce, les travaux ayant été conduits conformément aux règles de l'art et avec diligence.
Ces moyens ne sont pas fondés. D'une part, ce ne sont pas les travaux en soi, dont l'utilité ne peut être contestée, ni la façon et la diligence avec lesquelles ils ont été conduits qui sont en cause. D'autre part, même lorsqu'un trouble de la possession se révèle légitime pour une raison ou une autre, l'action de l'art. 928 al. 2 CC peut être recevable contre l'auteur du trouble (HOMBERGER, Komm., 2e éd., ad art. 928, p. 67, n. 4a) s'il ne veille pas à ce qu'il soit restreint au minimum. Ainsi, même si l'ouverture du chantier était indispensable
BGE 100 II 326 S. 329
ou valablement décidée par la majorité des copropriétaires, il incombait à l'auteur du trouble de prendre toutes mesures pour limiter les inconvénients, faute de quoi il engageait sa responsabilité.
2.
La Cour cantonale a constaté que le recourant a pris l'initiative des travaux et en a assumé la direction; à ce titre, il pouvait être recherché comme auteur du trouble s'il ne prenait pas toutes mesures utiles pour éviter de gêner, dans toute la mesure possible, les autres propriétaires riverains.
Il est établi à cet égard que le recourant a ouvert le chantier après l'avoir annoncé une semaine à l'avance, mais sans avoir reçu une réponse des copropriétaires sur les fonds desquels les travaux étaient entrepris et sans leur laisser le temps de prendre des dispositions. Or il incombait au recourant, qui a dirigé la construction de deux bâtiments en bordure du chemin des Charmettes, de prévoir et d'organiser assez à l'avance la réfection du chemin. Il était prévisible que le chemin allait être endommagé par les travaux et qu'à l'issue de ceux-ci le problème de sa remise en état allait se poser. Ce problème pouvait et devait être débattu suffisamment tôt, ce qui aurait permis aux propriétaires intéressés d'étudier les mesures à prendre pour limiter les inconvénients. Or non seulement ce n'est que le 13 septembre que le recourant a avisé les propriétaires bordiers que les travaux allaient commencer une semaine plus tard, mais encore, en ce qui concerne l'intimé, il l'a laissé, malgré ses interventions, dans l'ignorance du développement du chantier.
Pour avoir négligé, avec une complète désinvolture, de prendre des mesures simples et compatibles avec l'organisation des travaux, qui, selon les constatations souveraines de la Cour cantonale, auraient été propres à éviter le dommage, le recourant répond, en application de l'art. 928 al. 2 CC, du trouble occasionné à la possession de l'intimé.
Dispositiv
Par ces motifs, le Tribunal fédéral:
Rejette le recours. | public_law | nan | fr | 1,974 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
7b6e2474-9551-41ad-b425-675a202c5cef | Urteilskopf
99 Ib 459
62. Auszug aus dem Urteil vom 14. Dezember 1973 i.S. Eidg. Justiz- und Polizeidepartement gegen Gemeinde Kriens und Eidg. Rekurskommission für Zivilschutzangelegenheiten. | Regeste
Bundesgesetz über den Zivilschutz, Beitrag des Bundes an die Kosten einer Zivilschutzanlage, Widerruf einer Verfügung.
Das Bundesamt für Zivilschutz darf auf eine formell rechtskräftige Verfügung, mit der es einer Gemeinde einen Bundesbeitrag zugesichert hat, in der Regel zurückkommen, wenn es findet, dass es darin die beitragsberechtigten Kosten zu hoch festgesetzt hat. | Sachverhalt
ab Seite 459
BGE 99 Ib 459 S. 459
Aus dem Tatbestand:
A.-
Die Gemeinden Horw, Kriens, Littau, Malters und Schwarzenberg bilden die Ausbildungsregion 2 des Zivilschutzes im Kanton Luzern. Die Gemeinde Kriens ist als Trägerin des Ausbildungszentrums ausersehen; sie stellte für dessen Errichtung eine Parzelle zur Verfügung, die sie im Jahre 1964 gekauft hatte.
B.-
Im September 1970 reichte die Gemeinde Kriens ein erstes Gesuch um Zusicherung eines Bundesbeitrags an die Kosten des Landerwerbs ein. Zu ihnen rechnete sie damals den Kaufpreis, die Handänderungskosten, die dem Verkäufer nicht belastete kommunale Grundstückgewinnsteuer, Zinsen auf dem
BGE 99 Ib 459 S. 460
investierten Kapital (Zinsausfall) und einen Betrag für Indexaufwertung. Das Bundesamt für Zivilschutz stellte gemäss Genehmigungsvermerk vom 18. September 1970 einen Bundesbeitrag von 65% des so ermittelten Kostenbetrags von Fr. 560 900.-- in Aussicht.
C.-
Auf Veranlassung des kantonalen Amtes für Zivilschutz reichte die Gemeinde Kriens im Mai 1971 ein neues Beitragsgesuch ein. Sie liess nun gestützt auf ein Kreisschreiben des Bundesamtes vom 21. April 1971 die Zuschläge für Handänderungskosten und Grundstückgewinnsteuer fallen; im übrigen berechnete sie die Kosten gleich wie vorher, so dass sich ein Gesamtbetrag von Fr. 473 400.-- ergab. Das Bundesamt genehmigte am 24. Mai 1971 die neue Kostenaufstellung. Die Eidg. Finanzkontrolle beanstandete sie indessen mit der Begründung, dass neben den Zinsen auf dem investierten Kapital nicht auch noch eine Indexaufwertung berücksichtigt werden könne. Das Bundesamt schloss sich dieser Auffassung an; es entschied am 20. Dezember 1972, dass der Berechnung des Bundesbeitrags von 65% ein Kostenbetrag von Fr. 404 890.-- zugrunde zu legen sei.
D.-
Gegen diesen Entscheid erhob die Gemeinde Kriens Beschwerde mit dem Begehren, der Beitrag sei auf Grund eines Kostenbetrags von Fr. 473 400.-- zu berechnen. Die Eidg. Rekurskommission für Zivilschutzangelegenheiten hiess die Beschwerde am 13. Juli 1973 gut. Sie führte aus, das Bundesamt habe der Gemeinde Kriens bereits am 18. September 1970 einen Beitrag in bestimmter Höhe zugesichert, und diese Verfügung sei in dem Umfange, in dem die Beschwerdeführerin sich auf sie berufe, als unabänderlich zu betrachten.
E.-
Mit der Verwaltungsgerichtsbeschwerde beantragt das Eidg. Justiz- und Polizeidepartement, den Entscheid der Rekurskommission aufzuheben und die Verfügung des Bundesamtes vom 20. Dezember 1972 zu bestätigen.
Die Rekurskommission hält in der Vernehmlassung an ihrem Standpunkte fest. Die Gemeinde Kriens schliesst auf Abweisung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde.
Das Bundesgericht weist die Sache zu neuer Beurteilung an das Bundesamt zurück.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
3.
Das Bundesamt für Zivilschutz hat am 18. September
BGE 99 Ib 459 S. 461
1970 die Kostenberechnung, welche die Gemeinde ihrem ersten Beitragsgesuch zugrunde gelegt hatte, genehmigt und dementsprechend der Gesuchstellerin einen Bundesbeitrag von 65% einer Kostensumme von Fr. 560 900.-- zugesichert. Diese Verfügung ist nicht weitergezogen worden; sie ist formell rechtskräftig geworden. Das Bundesamt ist aber in der Folge auf sie zurückgekommen, nachdem die Gemeinde am 11. Mai 1971 ein neues Gesuch, diesmal um Zusicherung eines Beitrags an einen Kostenbetrag von Fr. 473 400.--, eingereicht hatte; mit Verfügung vom 20. Dezember 1972 hat das Amt die beitragsberechtigten Kosten auf Fr. 404 890.-- festgesetzt. Die Rekurskommission hat auf Beschwerde der Gemeinde hin deren zweites Beitragsgesuch gutgeheissen, weil sie angenommen hat, die Verfügung vom 18. September 1970 sei unabänderlich, soweit die Gemeinde sich auf dieselbe berufen habe.
Indessen ist aus den Akten nicht ersichtlich, dass die Gemeinde Kriens in dem Verfahren, das zum Entscheid der Rekurskommission geführt hat, jemals erklärt oder zu erkennen gegeben hat, sie halte die erste Verfügung des Bundesamtes in einem gewissen Umfang für unwiderruflich. Nachdem der Gemeinde bedeutet worden war, dass in dieser - ihrem ersten Gesuch entsprechenden - Verfügung die beitragsberechtigten Kosten zu hoch bemessen worden seien, hat sie vorbehaltlos ein neues Gesuch gestellt, in dem sie dem Einwand Rechnung getragen hat. Daraus könnte eher geschlossen werden, dass sie darauf verzichtet habe, aus der ersten Verfügung des Bundesamtes irgendwelche Rechte abzuleiten. Ob diese Folgerung gerechtfertigt wäre, und ob ein allfälliger Verzicht als rechtsgültig zu betrachten wäre (vgl. dazu GRISEL, Droit administratif suisse, S. 212 und 342; GYGI, Verwaltungsrechtspflege und Verwaltungsverfahren im Bund, S. 25), kann jedoch dahingestellt bleiben.
Auf jeden Fall könnte die Verfügung vom 18. September 1970 - sei es auch nur zum Teil - bloss dann als unabänderlich erachtet werden, wenn hier dem Interesse an der Wahrung der Rechtssicherheit ein grösseres Gewicht als dem Postulat der richtigen Durchführung des objektiven Rechts beizumessen wäre (vgl.
BGE 97 I 753
; 98 I/b 249/250; 99 I/b 340 E. 2 a). Die Vorinstanz hält dafür, dass diese Voraussetzung erfüllt sei; doch kann ihrer Auffassung nicht zugestimmt werden. Es ist zu bedenken, dass sich hier zwei Gemeinwesen, der Bund und die
BGE 99 Ib 459 S. 462
Gemeinde Kriens, gegenüberstehen. Einem Gemeinwesen, das einen Bundesbeitrag beansprucht, muss aber in erster Linie daran gelegen sein, dass die für die Beurteilung des Anspruches massgebende gesetzliche Ordnung richtig angewandt wird. Ferner ist zu berücksichtigen, dass der Anspruch der Gemeinde Kriens auf einen Bundesbeitrag grundsätzlich anerkannt und nur dessen Umfang umstritten ist. In solchen Fällen muss in der Regel das Interesse an der Wahrung der Rechtssicherheit gegenüber dem Postulat der richtigen Durchführung des objektiven Rechtes zurücktreten. Besondere Umstände, die hier allenfalls eine andere Entscheidung zu rechtfertigen vermöchten, werden nicht geltend gemacht und sind auch nicht erkennbar.
Die Rekurskommission hat demnach die Gutheissung der Beschwerde der Gemeinde Kriens zu Unrecht mit der Erwägung begründet, dass die Verfügung des Bundesamts vom 18. September 1970 in einem bestimmten Umfang unabänderlich sei. Sie hätte das zweite Beitragsgesuch der Gemeinde einlässlich, ohne Bindung an diese Verfügung, prüfen sollen.
Daraus folgt jedoch nicht ohne weiteres, dass der Entscheid der Rekurskommission aufzuheben ist. Es ist noch zu untersuchen, ob die von der Rekurskommission geschützte Bemessung der beitragsberechtigten Kosten sachlich haltbar sei. Dabei ist zu beachten, dass das Gericht weder zugunsten noch zuungunsten der Parteien über deren Begehren hinausgehen darf, aber an die Begründung der Begehren nicht gebunden ist (
Art. 114 Abs. 1 OG
). | public_law | nan | de | 1,973 | CH_BGE | CH_BGE_003 | CH | Federation |
7b72a104-f00c-4483-91d4-425e36ba208d | Urteilskopf
83 III 1
1. Entscheid vom 14. Februar 1957 i.S. Mühlethaler. | Regeste
Rekurs an das Bundesgericht (
Art. 19 SchKG
) gegen kantonale Rechtsvorschriften oder interne Dienstanweisungen der kantonalen Aufsichtsbehörden?
Lohnpfändung. Das Betreibungsamt kann den Schuldner beim Pfändungsvollzug unter Hinweis auf die Strafdrohung von
Art. 292 StGB
auffordern, ihm jeden Wechsel der Arbeitsstelle und jede Änderung der Verdienstverhältnisse unverzüglich zu melden. | Sachverhalt
ab Seite 2
BGE 83 III 1 S. 2
In der Betreibung Nr. 19'962 gegen Hermann Mühlethaler vollzog das Betreibungsamt Zürich 11, 1. Abteilung, am 2. Oktober 1956 eine Lohnpfändung. In der Pfändungsurkunde brachte es folgende Bemerkung an:
"Anmerkung für den Schuldner: Der Schuldner hat jeden Wechsel der Arbeitsstelle dem Betreibungsamt unverzüglich zu melden, ebenso jede Änderung in den Verdienstverhältnissen. Es wird ausdrücklich auf
Art. 96 SchKG
, sowie die Strafbestimmungen der Art. 169 und 323 des Strafgesetzbuches aufmerksam gemacht."
Diese Anmerkung stützt sich auf Art. 147 der Anweisung des Obergerichtes des Kantons Zürich zum SchKG sowie zum GebT vom 11. Februar 1952, dessen Absatz 1 lautet:
"Der Schuldner ist in der Pfändungsurkunde anzuweisen, dem Betreibungsamt jeden Wechsel der Arbeitsstelle zu melden. Unterlässt er dies, so hat das Betreibungsamt die Aufforderung zu wiederholen, sofern ihm die neue Arbeitsstelle nicht bekannt ist."
Der Hinweis auf
Art. 96 SchKG
und die Aufforderung, ausser einem Stellenwechsel auch jede Änderung in den Verdienstverhältnissen dem Betreibungsamt zu melden, sind dem der obergerichtlichen Anweisung beigefügten Beispiel einer Pfändungsurkunde mit Lohnpfändung entnommen (Anhang XIX/9, S. 223).
Gegen die wiedergegebene Anmerkung führte der Schuldner Beschwerde mit dem Antrag, sie sei als unzulässig aufzuheben. Von der untern und mit Entscheid vom 29. Januar 1957 auch von der obern kantonalen Aufsichtsbehörde abgewiesen, rekurriert er an das Bundesgericht mit dem Antrag, jene Anmerkung sei als unzulässig und Art. 147 der Anweisung des zürcherischen Obergerichtes als gesetzwidrig zu erklären.
Erwägungen
Die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer zieht in Erwägung:
1.
Der Antrag, Art. 147 der obergerichtlichen Anweisung sei als gesetzwidrig zu erklären, ist neu. Da bereits die untere Aufsichtsbehörde diese Bestimmung angerufen hatte, hätte der Rekurrent Gelegenheit gehabt, diesen Antrag schon vor der obern kantonalen Aufsichtsbehörde
BGE 83 III 1 S. 3
zu stellen. Das hat er nicht getan. In der Begründung seines Rekurses an die Vorinstanz bemerkte er zwar, er "widersetze" sich der fraglichen Bestimmung, "da ein solches Vorgehen ... Freiheit raubend und gesetzwidrig ist." Die Aufhebung dieser Bestimmung hat er aber damals noch nicht beantragt. Auf den hierauf gerichteten Antrag im Rekurs an das Bundesgericht ist daher schon gemäss Art. 79 des Bundesgesetzes über die Organisation der Bundesrechtspflege vom 16. Dezember 1943 (OG) nicht einzutreten.
Hievon abgesehen erweist sich dieser Antrag auch deswegen als unzulässig, weil das Bundesgericht im Rekursverfahren gemäss
Art. 19 SchKG
nur die in konkreten Fällen getroffenen Entscheidungen, nicht dagegen kantonale Rechtsvorschriften oder die internen Dienstanweisungen der kantonalen Aufsichtsbehörden wegen Gesetzwidrigkeit aufheben oder abändern kann. Mit einer solchen Dienstanweisung hat man es beim erwähnten Erlass des zürcherischen Obergerichtes (der laut dem Alphabetischen Titelregister der am 1. Januar 1956 geltenden Gesetzgebung des Kantons Zürich nicht in der Gesetzessammlung veröffentlicht wurde) zu tun. Das Bundesgericht kann zu solchen Anweisungen im Rekursverfahren nur insofern Stellung nehmen, als es dann, wenn die kantonalen Instanzen sie in einem bestimmten Fall angewendet haben, frei prüfen kann, ob sie mit dem Bundesrecht vereinbar seien.
2.
Die Aufforderung an den Schuldner, dem Betreibungsamt jeden Stellenwechsel und jede Änderung in den Verdienstverhältnissen zu melden, kann sich nicht auf den
Art. 91 SchKG
stützen, den die Vorinstanz in ihrem Entscheid in erster Linie anruft. Diese Bestimmung verpflichtet den Schuldner nur, der Pfändung beizuwohnen oder sich bei derselben vertreten zu lassen und seine Vermögensgegenstände mit Einschluss der nicht in seinem Gewahrsam befindlichen Sachen sowie seiner Forderungen und Rechte gegenüber Dritten anzugeben, soweit dies zu einer genügenden Pfändung nötig ist, und dem Beamten auf Verlangen
BGE 83 III 1 S. 4
Räumlichkeiten und Behältnisse zu öffnen. Sie bezieht sich also ausschliesslich auf das Verhalten des Schuldners im Zeitpunkt des Pfändungsvollzuges, nicht dagegen auf sein späteres Verhalten im Falle, dass seine Verhältnisse sich ändern.
Ebensowenig lässt sich die dem Schuldner auferlegte Meldepflicht aus
Art. 96 SchKG
ableiten, auf den das Betreibungsamt in Übereinstimmung mit dem der obergerichtlichen Anweisung beigefügten Beispiel hingewiesen hat. Das hier aufgestellte Verbot der Verfügung über gepfändete Gegenstände, auf das der Beamte den Schuldner bei der Pfändung aufmerksam zu machen hat, schliesst nicht das Gebot in sich, dem Betreibungsamt Stellenwechsel und Änderungen des Verdienstes mitzuteilen.
Die Zulässigkeit der an den Rekurrenten gerichteten Aufforderung ergibt sich dagegen aus dem Wesen der Lohnpfändung und den hieraus sich ergebenden Grundsätzen für die Durchführung dieser Massnahme.
a) Die Lohnpfändung erfasst künftige Lohnguthaben des Schuldners. Sie muss deshalb allfälligen Änderungen der Verdienstverhältnisse, die während ihrer Dauer eintreten, angepasst werden. Gläubiger und Schuldner können dies erreichen, indem sie beim Betreibungsamt ein Revisionsgesuch stellen (
BGE 50 III 124
,
BGE 77 III 69
,
BGE 78 III 129
Erw. 2). Das Betreibungsamt hat die Lohnpfändung aber auch ohne Begehren eines Beteiligten von Amtes wegen zu revidieren, sobald es auf irgendeine Weise erfährt, dass die derzeitige Bemessung den Verhältnissen nicht mehr entspricht (vgl. den zuletzt angeführten Entscheid). Die für die Festsetzung der pfändbaren Lohnquote erheblichen Tatsachen sind nach ständiger Rechtsprechung grundsätzlich von Amtes wegen abzuklären (
BGE 54 III 236
,
BGE 74 III 71
,
BGE 81 III 152
). Demnach muss das Betreibungsamt berechtigt sein, über allfällige Änderungen der Verdienstverhältnisse des Schuldners, welche die Festsetzung des Lohnabzuges beeinflussen können, vor allem also über Änderungen der Höhe oder Art der Entlöhnung, die nötigen
BGE 83 III 1 S. 5
Erhebungen zu machen und den Schuldner anzuhalten, ihm hierüber Meldung zu erstatten und alle Auskünfte zu geben, die für die neue Bestimmung der pfändbaren Lohnquote erforderlich sind. Die dem Rekurrenten erteilte Weisung, dem Betreibungsamt solche Änderungen anzuzeigen, ist also zweifellos gerechtfertigt.
b) Zulässig ist aber auch die Aufforderung, dem Betreibungsamt jeden Stellenwechsel zu melden, und zwar gilt dies auch dann, wenn mit dem Stellenwechsel keine Änderung der für die Bestimmung der pfändbaren Lohnquote massgebenden Verhältnisse verbunden ist. Die Lohnpfändung erfasst nicht nur den Lohn aus dem Dienstverhältnis, in welchem der Schuldner zur Zeit des Pfändungsvollzuges gerade steht, und geht daher im Falle des Stellenwechsels nicht unter, sondern beschlägt fortan ohne weiteres den Lohn aus dem neuen Dienstverhältnis (
BGE 78 III 128
). Da die in
Art. 99 SchKG
vorgeschriebene Anzeige an den Drittschuldner keine wesentliche Bedingung des Pfändungsvollzuges ist, sondern eine zu diesem hinzutretende Sicherungsmassnahme darstellt (vgl. den eben angeführten Entscheid und die dortigen Hinweise), hängt die Fortgeltung der Lohnpfändung nicht von der Anzeige an den neuen Arbeitgeber ab. Der Gläubiger hat aber Anspruch darauf, dass diese Anzeige unverzüglich erfolgt, da sonst der Schuldner die Wirksamkeit der Lohnpfändung praktisch vereiteln könnte. Der rechtzeitige Erlass dieser Anzeige setzt voraus, dass das Betreibungsamt vom Stellenwechsel sofort Kenntnis erhält. Hiefür ist eine Meldung des Schuldners notwendig. Es gehört also zur richtigen Durchführung der Lohnpfändung, dass das Betreibungsamt den Schuldner beim Pfändungsvollzug zu einer solchen Meldung auffordert.
Die Weisung, die das Betreibungsamt dem Rekurrenten im ersten Satz der angefochtenen Anmerkung erteilt hat, ist demnach zu billigen. Sie stellt so wenig wie die Lohnpfändung selber, in deren Natur sie begründet ist, einen unzulässigen Eingriff in die Freiheit des Schuldners dar.
BGE 83 III 1 S. 6
3.
Zu prüfen bleibt, welche Straffolgen dem Schuldner für den Fall der Nichtbefolgung dieser Weisung angedroht werden dürfen.
Art. 169 StGB
, der die Verfügung über gepfändete, arrestierte oder amtlich aufgezeichnete Sachen unter Strafe stellt, kommt in diesem Falle nicht zur Anwendung. Die Missachtung der Aufforderung, dem Betreibungsamt Stellenwechsel und Änderungen der Verdienstverhältnisse zu melden, bedeutet offensichtlich keine derartige Verfügung. (
Art. 169 StGB
greift hingegen dann ein, wenn der Schuldner eigenmächtig zum Nachteil der Gläubiger über gepfändete Lohnbeträge verfügt, die z.B. deswegen, weil dem neuen Arbeitgeber die Lohnpfändung mangels Meldung des Stellenwechsels noch nicht angezeigt werden konnte, an ihn statt an das Betreibungsamt ausbezahlt wurden; vgl.
BGE 82 IV 187
, wo sogar die Verfügung über gepfändete Trinkgelder unter diese Bestimmung gezogen wurde.)
Art. 323 StGB
, den das Betreibungsamt neben
Art. 169 StGB
angeführt hat, stellt die Nichtbefolgung der hier in Frage stehenden Weisung ebenfalls nicht unter Strafe. Da die Pflicht des Schuldners, die ihm vom Betreibungsamt vorgeschriebene Meldung zu erstatten, sich nicht aus
Art. 91 SchKG
ableiten lässt (vgl. Erw. 2), ist es (entgegen der Auffassung, dieBGE 78 III 129, Erw. 1 am Ende, zugrunde zu liegen scheint) nicht möglich, die Verletzung dieser Pflicht nach
Art. 323 Ziff. 1 oder 2 StGB
zu bestrafen, wo der Schuldner mit Strafe bedroht wird, welcher den ihm durch
Art. 91 Abs. 1 SchKG
auferlegten Pflichten nicht nachkommt.
Das StGB enthält aber auch sonst keinen besondern Ungehorsamstatbestand, der durch die Missachtung der in Frage stehenden Weisung erfüllt würde. Es handelt sich dabei um einen rein passiven, d.h. in einer blossen Unterlassung bestehenden Ungehorsam. Die Art. 323 und 324, die vom Ungehorsam des Schuldners bzw. dritter Personen in Betreibungs- und Konkurssachen handeln, sind die einzigen Bestimmungen, die für rein passiven Ungehorsam
BGE 83 III 1 S. 7
in solchen Angelegenheiten eine besondere (d.h. gerade für diesen Fall geltende) Strafdrohung aufstellen (
BGE 81 IV 327
f.).
Das heisst aber nicht, dass dem Schuldner für den Fall der Missachtung der ihm erteilten Weisung keine Strafe angedroht werden könne. Vielmehr hat das Betreibungsamt die Möglichkeit, die Aufforderung an den Schuldner, ihm jeden Stellenwechsel und jede Änderung der Verdienstverhältnisse unverzüglich zu melden, unter Hinweis darauf zu erlassen, dass ihre Nichtbefolgung als Ungehorsam gegen eine amtliche Verfügung gemäss
Art. 292 StGB
mit Haft oder mit Busse bestraft würde. Diese subsidiäre Bestimmung greift gerade dort ein, wo ein besonderer Ungehorsamstatbestand fehlt (
BGE 70 IV 180
,
BGE 73 IV 129
,
BGE 75 III 110
,
BGE 78 I 178
Erw. 2,
BGE 81 IV 328
Erw. 2) und kann insbesondere auch im Gebiete des Betreibungs- und Konkursverfahrens Anwendung finden (
BGE 70 IV 180
,
BGE 75 III 110
,
BGE 78 III 129
,
BGE 79 III 114
lit. b,
BGE 81 IV 328
Erw. 2).
Dispositiv
Demnach erkennt die Schuldbetr.- u. Konkurskammer:
Der Rekurs wird im Sinne der Erwägungen abgewiesen. | null | nan | de | 1,957 | CH_BGE | CH_BGE_005 | CH | Federation |
7b73c6f3-a12a-4b11-b6a0-36878acd2ee9 | Urteilskopf
110 V 347
57. Auszug aus dem Urteil vom 25. Oktober 1984 i.S. S. gegen Verband der Krankenkassen im Kanton Zürich und Schiedsgericht in Krankenversicherungssachen des Kantons Zürich | Regeste
Art. 23 und 25 KUVG
.
- Die Sachlegitimation ist von Amtes wegen zu prüfen; sie bestimmt sich nach dem materiellen Recht (Erw. 1).
- Für Geldforderungen aus unwirtschaftlicher Behandlung gemäss
Art. 23 KUVG
(im Verfahren nach
Art. 25 KUVG
) sind die einzelnen betroffenen Krankenkassen sachlegitimiert, nicht aber ihr Verband (Erw. 1).
- Formelle Berichtigung einer fehlerhaften Parteibezeichnung oder unzulässiger Parteiwechsel (Erw. 2)? | Sachverhalt
ab Seite 347
BGE 110 V 347 S. 347
A.-
Am 27. Dezember 1978 reichte der Verband der Krankenkassen im Kanton Zürich (im folgenden Kassenverband genannt) gegen Dr. med. S. bei der "Blauen Kommission" der Zürcher Ärztegesellschaft Beschwerde ein wegen Missachtung des Gebots wirtschaftlicher Behandlung (
Art. 23 KUVG
). Die "Blaue Kommission" kam am 4. September 1979 zum Schluss, dass der Vorwurf der Überarztung gerechtfertigt sei; Dr. S. habe deshalb dem
BGE 110 V 347 S. 348
Kassenverband Fr. 25'000.-- zu erstatten, die von diesem im Sinne der Erwägungen an die Mitgliedkassen weiterzugeben seien.
Die von Dr. S. hiegegen angerufene Paritätische Vertrauenskommission schloss sich am 3. September 1981 im wesentlichen der "Blauen Kommission" an.
B.-
Dr. S. reichte daraufhin beim kantonal-zürcherischen Schiedsgericht in Krankenversicherungssachen Klage gegen den Kassenverband ein. Mit Entscheid vom 24. Februar 1983 wies das Schiedsgericht die Klage kostenfällig ab.
C.-
Mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde, die sich gegen den Kassenverband richtet, lässt Dr. S. in der Hauptsache beantragen, "es sei in Gutheissung der Beschwerde das Urteil der Vorinstanz vom 24. Februar 1983 und demnach auch der Entscheid der Paritätischen Vertrauenskommission vom 3. September 1981 aufzuheben".
Der Kassenverband schliesst auf Abweisung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde. Das Bundesamt für Sozialversicherung beantragt Gutheissung und Rückweisung der Sache an die Vorinstanz zur Neubeurteilung.
D.-
Mit Schreiben vom 21. September 1983 erklärte der Kassenverband, dass er in der Streitsache Dr. S. als Vertreter für die anschliessend genannten Krankenkassen handle, wofür er aufgrund der Verbandsstatuten vom 1. Januar 1980 legitimiert sei.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
1.
Ist eine Geldforderung aus unwirtschaftlicher Behandlung gemäss
Art. 23 KUVG
im Verfahren nach
Art. 25 KUVG
zu beurteilen, so hat der Richter vorweg zu prüfen, ob die Parteien zur streitigen Sache legitimiert sind. Das bestimmt sich nach dem materiellen Recht. Die Sachlegitimation ist von Amtes wegen zu prüfen, so dass es nicht darauf ankommt, ob eine Partei deren Fehlen gerügt hat oder nicht.
Im vorliegenden Fall ist sowohl in den Rechtsschriften der Parteien als auch in den Stellungnahmen der Vermittlungsinstanzen und den Akten des Schiedsgerichts durchwegs der Kassenverband als Partei aufgetreten und angeschrieben worden. Ein allfälliger Anspruch auf die Bezahlung des hier streitigen Betrages durch den Beschwerdeführer wegen unwirtschaftlicher Behandlung (
Art. 23 KUVG
) steht indessen den einzelnen Krankenkassen zu, nicht deren Verband; dieser hätte die Kassen im Prozess vertreten
BGE 110 V 347 S. 349
können. Dies entspricht konstanter Rechtsprechung (
BGE 103 V 145
,
BGE 98 V 158
; RKUV 1984 Nr. K 583 S. 141; RSKV 1982 Nr. 489 S. 119, Nr. 505 S. 202 Erw. 3).
2.
Der Kassenverband versucht den Mangel der fehlenden Sachlegitimation dadurch zu beheben, dass er sich mit Schreiben vom 21. September 1983 - mithin nach Abschluss des Schriftenwechsels vor dem Eidg. Versicherungsgericht - als Vertreter der betroffenen Krankenkassen erklärt. Er hat sich indessen während des ganzen bisherigen Verfahrens als Partei ausgegeben und zu keinem Zeitpunkt weder ausdrücklich noch mittelbar die nunmehr geltend gemachte Stellvertretung zu erkennen gegeben. Seine Erklärung vom 21. September 1983 kann deshalb nicht als bloss formelle Berichtigung einer Parteibezeichnung qualifiziert werden, bei der die Identität der Partei von Anfang an eindeutig feststand, deren Benennung aber falsch war. Es genügt nicht schon, dass die Sachlegitimation der Krankenkassen und mithin die Stellvertretung durch den Verband aufgrund der materiellen Rechtslage erkennbar war, um auf eine bloss formelle Berichtigung der Parteibezeichnung erkennen zu können. Dieser Sachverhalt müsste sich vielmehr anderweitig aus den Akten ergeben. Ebensowenig vermag zu genügen, dass die Vertretung der Krankenkassen durch ihren Verband in Prozessen wie dem vorliegenden in den Verbandsstatuten ausdrücklich verankert ist. Ein solches Stellvertretungsverhältnis hätte im Prozess kenntlich gemacht werden müssen (RKUV 1984 Nr. K 583 S. 142), was hier rechtzeitig nicht geschehen ist.
Das Vorgehen des Kassenverbandes läuft demnach auf den Versuch eines Parteiwechsels hinaus, indem an seine Stelle die sachlegitimierten Krankenkassen gesetzt werden sollen. Dafür fehlen die Voraussetzungen (RKUV 1984 Nr. K 583 S. 141; BISCHOFBERGER, Parteiwechsel im Zivilprozess unter besonderer Berücksichtigung des deutschen und des zürcherischen Zivilprozessrechts, Diss. Zürich 1973, S. 30 ff.).
Unbehelflich ist zudem der Hinweis des Kassenverbandes auf das Urteil N. vom 4. Februar 1982 (teilweise wiedergegeben in RSKV 1982 Nr. 505 S. 201). In diesem Falle hatte die damalige Vorinstanz erkannt, dass die betroffenen Krankenkassen bereits im Verfahren vor der Paritätischen Vertrauenskommission Partei gewesen seien, und nahm deshalb lediglich die Berichtigung einer fehlerhaften Parteibezeichnung an. Das Eidg. Versicherungsgericht hat die hiegegen mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde erhobenen
BGE 110 V 347 S. 350
Einwendungen aus Gründen von Treu und Glauben nicht gelten lassen, nicht aber deshalb, weil es einen eigentlichen Parteiwechsel als zulässig erklärt hätte.
3.
Aus dem Gesagten folgt, dass die streitige Forderung dem Kassenverband nicht zusteht und diesem demnach zufolge fehlender Sachlegitimation auch nicht zugesprochen werden kann. Das Schiedsgericht hat den vom Kassenverband in eigenem Namen geltend gemachten Anspruch zu Unrecht geschützt. Der Entscheid des Schiedsgerichts vom 24. Februar 1983 ist deshalb aufzuheben und die Verwaltungsgerichtsbeschwerde insoweit gutzuheissen. Nicht zu prüfen ist die Frage, ob die geltend gemachte Forderung unter dem Rechtstitel der Rückerstattung wegen unwirtschaftlicher Behandlung (
Art. 23 KUVG
) zu bestehen vermöchte oder nicht. Soweit der Beschwerdeführer diesbezüglich eine Erkenntnis verlangt, ist auf die Verwaltungsgerichtsbeschwerde nicht einzutreten.
Die als "Entscheid" benannten Stellungnahmen der "Blauen Kommission" und der Paritätischen Vertrauenskommission sind entsprechend der diesen Instanzen gesetzlich und vertraglich zugewiesenen Aufgabe Vermittlungsvorschläge; diese werden nur mit der (ausdrücklichen oder stillschweigenden) Anerkennung durch die beteiligten Parteien rechtsrelevant im Sinne einer Streiterledigung. Durch die Einsprache- oder Klageerhebung werden sie hinfällig und bedürfen daher im gerichtlichen Verfahren keiner formellen Aufhebung (RKUV 1984 Nr. K 583 S. 143). | null | nan | de | 1,984 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
7b7a5f6e-f4d4-4888-9fee-974ce94c33fc | Urteilskopf
109 Ia 203
39. Auszug aus dem Urteil der I. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 21. Dezember 1983 i.S. Elisabeth Schulte-Wermeling gegen Kantonsrat Zürich (staatsrechtliche Beschwerde) | Regeste
Art. 85 lit. a OG
; Verteilung der Kantonsratsmandate im Kanton Zürich.
Die Zuteilung der Kantonsratsmandate im Kanton Zürich nach dem System Hagenbach-Bischoff entspricht dem durch Verfassung und Gesetz vorgeschriebenen Grundsatz der Verhältniswahl (E. 4, 5). | Sachverhalt
ab Seite 203
BGE 109 Ia 203 S. 203
Im Kanton Zürich fand am 24. April 1983 die Erneuerungswahl der Mitglieder des Kantonsrates statt. Im Wahlkreis IX Horgen, der über 16 Kantonsratsmandate verfügt, entfielen auf die Listengruppe 14/18/19, Schweizerische Volkspartei, Christlichdemokratische Volkspartei und Freisinnig-Demokratische Partei, insgesamt 11 Mandate, auf die Listengruppe 4/21, Evangelische Volkspartei und Landesring der Unabhängigen, drei Mandate und auf die Liste 3, Sozialdemokraten und Gewerkschafter, deren zwei; die übrigen Parteien gingen leer aus.
Frau Elisabeth Schulte-Wermeling führte gegen diese Sitzverteilung im Wahlkreis Horgen Einsprache, die der Kantonsrat von Zürich am 13. Juni 1983 abwies. Eine gegen diesen Beschluss
BGE 109 Ia 203 S. 204
erhobene staatsrechtliche Beschwerde von Frau Schulte-Wermeling weist das Bundesgericht ebenfalls ab.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
4.
a) In der Sache rügt die Beschwerdeführerin, das in den §§ 78 und 79 der Vollziehungsverordnung zum Gesetz über die Wahlen und Abstimmungen vom 23. Januar 1956 (VV z. WahlG) umschriebene Verfahren zur Zuteilung der Mandate entspreche nicht der gesetzlichen Vorschrift, wonach den verschiedenen Listen oder Listengruppen Kantonsratssitze "im Verhältnis der gültigen Stimmen" zuzuweisen seien. Dies versucht sie, mit folgenden Zahlen für den Wahlkreis IX Horgen zu belegen:
Liste Stimmenzahl Stimmenanteil rechnerischer zugeteilte zugeteilter
(%) Sitzanspruch Sitze Sitzanteil(%)
3 62'563 17,24 2,7584 2 12,5
14/18/19 231'887 63,9 10,224 11 68,75
4/21 68'481 18,86 3,0176 3 18,75
-------------------------------------------------------------------------
TOTAL 362'931 100,00 16,000 16 100,00
Dieser tatsächlich erfolgten Mandatsverteilung stellt sie eine hypothetische Verteilung gegenüber, die dem Stimmenanteil der einzelnen Listen bzw. Listengruppen besser gerecht würde:
Liste Anteil Sitze Stimmen-pro- Anzahl Sitze Stimmen-pro-Sitz-
gemäss VO Sitz-Verhältnis (gesetzeskonf.) Verhältnis
3 2 31'281.5 3 20'854.33
14/18/19 11 21'080.64 10 23'188.70
4/21 3 22'827.00 3 22'827.00
Den grundlegenden Fehler erblickt die Beschwerdeführerin in der Art, wie gemäss § 78 Abs. 2 VV z. WahlG die sogenannte Verteilungszahl ermittelt wird, nämlich durch Teilung der Gesamtstimmenzahl durch die um eins vermehrte Zahl der im Wahlkreis zu wählenden Vertreter, unter Aufrundung des Ergebnisses auf die nächsthöhere ganze Zahl. Sie hält dafür, diese Methode sei für die Mandatszuteilung "im Verhältnis der gültigen Stimmen" ungeeignet; der Quotient müsste vielmehr durch Teilung der Stimmenzahl durch die Sitzzahl selbst (und nicht durch die um eins vermehrte Sitzzahl) erfolgen, um eine dem Stimmenverhältnis möglichst entsprechende Sitzverteilung zu erhalten.
b) Die Argumentation der Beschwerdeführerin leidet an einem grundsätzlichen Fehler: Die Gesetz- und Verfassungswidrigkeit
BGE 109 Ia 203 S. 205
des hier angewendeten Verteilungssystems müsste in abstrakter Form dargetan sein. Es liegt auf der Hand, dass nicht für jeden Wahlkreis eine andere Methode der Mandatszuteilung gewählt werden kann. Unter dem Vorbehalt spezieller Lösungen für Wahlkreise mit sehr wenigen Mandaten, für die sich wegen der unter Umständen besonders stossenden Auswirkung eines bestimmten Berechnungssystems Korrekturen aufdrängen können (vgl. dazu
BGE 107 Ia 217
ff.), muss die Wahl der Abgeordneten für die kantonalen Parlamente innerhalb eines Kantons nach einheitlichen, vor dem Wahlgang eindeutig umschriebenen Gesichtspunkten vor sich gehen. Wenn ein bestimmtes Mandatszuteilungssystem im Grundsatz dem Prinzip der Verhältnismässigkeit entspricht, kann die Wahl in einem bestimmten Wahlbezirk vorbehältlich des erwähnten Sonderfalles nicht deshalb aufgehoben werden, weil hier (und nur gerade hier) ein anderes System vielleicht eine gerechtere Verteilung ermöglicht hätte.
c) Die angefochtene Verteilungsart beruht auf dem vom Basler Mathematiker Hagenbach-Bischoff Ende des 19. Jahrhunderts entwickelten System, das auch für die Nationalratswahlen gilt (Bundesgesetz über die politischen Rechte, SR 161.1, Art. 40) und in der weit überwiegenden Zahl der Kantone bei der Bestellung ihrer Parlamente Anwendung findet (vgl. Bericht der Studienkommission zur Prüfung von Reformvorschlägen für die Wahl des Nationalrates und das Stimmrechtsalter, Bern 1972, S. 14 unten). Entgegen der Auffassung der Beschwerdeführerin bedeutet die Bestimmung der Verteilungszahl nach dieser Methode, d.h. die Teilung der Gesamtstimmenzahl durch die um eins vermehrte Zahl der zu verteilenden Mandate unter Aufrundung des Ergebnisses auf die nächsthöhere ganze Zahl, verglichen mit dem auf den ersten Blick näher liegenden System der Teilung durch die Mandatszahl selbst, keine Benachteiligung der kleineren Parteien und Parteigruppen gegenüber den stärkeren. Es liegt auf der Hand, dass die Teilung einer gegebenen Zahl (der Gesamtstimmenzahl) durch eine grössere Zahl (Mandatszahl + 1) einen kleineren Quotienten (Verteilungszahl) ergibt als die Teilung durch eine kleinere Zahl (Mandatszahl). Daraus folgt, dass die Chancen kleinerer Parteien und Parteigruppen, schon bei der ersten Verteilungsart ein Mandat zugeteilt zu erhalten (also ein sogenanntes Vollmandat), bei der Methode Hagenbach-Bischoff grösser sind als bei dem von der Beschwerdeführerin vorgeschlagenen System. Die von Hagenbach-Bischoff entwickelte Methode stellt lediglich eine
BGE 109 Ia 203 S. 206
Vereinfachung der ersten Verteilung dar: es geht darum, den grössten Quotienten zu finden, der unter Einhaltung des Verhältnisgrundsatzes Gewähr dafür bietet, dass nicht mehr Mandate zugeteilt werden, als zu vergeben sind. Dieser Anforderung wird die Methode Hagenbach-Bischoff, die lediglich eine Weiterentwicklung des von der Beschwerdeführerin postulierten Systems darstellt, gerecht. Eine Berechnung der Verteilungszahl unter Teilung der Gesamtstimmenzahl durch die Mandatszahl selbst (statt durch die um eins erhöhte Mandatszahl) führt nur zur Verteilung einer grösseren Anzahl von Restmandaten und kommt deshalb kaum mehr vor (vgl. zum System Hagenbach-Bischoff, insbesondere zu seiner mathematischen Begründung, aus der umfangreichen Literatur vor allem: Emil Klöti, Die Proportionalwahl in der Schweiz, Bern 1901, S. 107 ff., 264 ff. und 369 ff.; PETER FELIX MÜLLER, Das Wahlsystem, Zürich 1959, S. 76 ff.; BENNO SCHMID, Die Listenverbindung im schweizerischen Proportionalwahlrecht, Zürich Diss. 1961, S. 21 ff.; MARCEL BRIDEL, Précis de droit constitutionnel et public suisse, Lausanne 1959/1965, 2e partie, S. 66 ff., N. 415-419; Bericht der Studienkommission, S. 14/15 und S. 27 ff.; ERWIN SCHILLINGER, Grundlagen und Möglichkeiten einer Neuordnung des Verfahrens für die Wahl des Nationalrates, Basler Diss. 1974, S. 7 ff.). Sämtliche Autoren stimmen darin überein, dass die Bestimmung des Wahlquotienten nach Hagenbach-Bischoff die Verhältniswahl nicht verfälscht und namentlich die kleineren Parteien nicht benachteiligt. Die entsprechende Rüge der Beschwerdeführerin ist damit unbegründet.
5.
a) Weil die Parlamentsmandate nicht teilbar sind, können die nach der ersten Verteilung noch nicht verteilten Sitze, die sogenannten Restmandate, nicht genau verhältnismässig zugeteilt werden. Das im Kanton Zürich wie in den meisten übrigen Kantonen und im Bund gebräuchliche System nach Hagenbach-Bischoff (Weiterführung des Systems der Division: Stimmenzahl jeder Partei geteilt durch die Zahl der erhaltenen Mandate + 1; das Restmandat fällt jeweils an diejenige Partei, die nach dieser Division den grössten Quotienten aufweist) kann unbestrittenermassen eine gewisse Bevorzugung stärkerer Parteien und Parteienverbindungen gegenüber schwächeren zur Folge haben. Die Beschwerdeführerin beanstandet diese Erscheinung, ohne allerdings darzutun, welches System zu einer gerechteren Sitzverteilung führen würde; die rechnerische Darstellung eines Einzelfalles (Kantonsratswahlen im Wahlkreis Horgen 1983) mit einer dem Verhältnis der
BGE 109 Ia 203 S. 207
abgegebenen Stimmen besser entsprechenden Variante genügt nicht, um das System als solches als nicht mehr verfassungs- und gesetzeskonform erscheinen zu lassen. Hievon abgesehen ergibt sich aus dem Schrifttum, dass ein in jeder Hinsicht ideales System der Zuteilung von Restmandaten, das in der Praxis anwendbar und für den Bürger verständlich wäre, bis heute nicht gefunden worden ist. Das in verschiedenen ausländischen Staaten gebräuchliche System nach d'Hondt führt zu gleichen Ergebnissen wie dasjenige nach Hagenbach-Bischoff; seine Modifikation nach St.-Lague, wie sie in skandinavischen Ländern angewendet wird, setzt die Einführung künstlich anmutender Divisoren voraus; das System der Berücksichtigung der grössten Reststimmenzahl ist systematisch wenig folgerichtig (Durchbrechung des Proportionalitätsgedankens durch Subtraktion) und kann die Bevorzugung von in Splittergruppen aufgeteilten Parteien zur Folge haben; und ein neues, theoretisch möglicherweise gerechter scheinendes System, wie es PETER MÜLLER unter der Bezeichnung "Extremalsystem" zur Diskussion gestellt hat, liesse sich nach den eigenen Ausführungen des Autors höchstens mit Methoden der höheren Analysis durchführen; es scheidet daher für die praktische Anwendung im vornherein aus (vgl. zum Problem der Restmandatsverteilung: PETER MÜLLER, a.a.O. S. 109 ff., insbes. S. 119; BENNO SCHMID, a.a.O. S. 23 ff.; Bericht der Studienkommission, S. 19 ff. und 27 ff.; ERWIN SCHILLINGER, a.a.O. S. 8-13).
b) Das Bundesgericht hat wiederholt zum Ausdruck gebracht, dass es nicht nur ein zulässiges Verfahren zur Durchführung des Verhältniswahlsystems gebe. Der kantonale Gesetzgeber, dem von der Verfassung das Proportionalwahlverfahren vorgeschrieben ist, kann sich innerhalb dieses Gestaltungsspielraums frei für eine Lösung entscheiden. Dasselbe gilt für den Verordnungsgeber, sofern ihm der Gesetzgeber seine Zuständigkeit zur Regelung der Einzelfragen des Wahlsystems in gültiger Weise delegiert hat, wie dies im Falle des Kantons Zürich zutrifft. Es ist nicht Sache des Bundesgerichts, ein bestimmtes System der Mandatszuteilung an die Stelle desjenigen des kantonalen Gesetz- oder Verordnungsgebers zu setzen. Es schreitet vielmehr nur ein, wenn die getroffene Lösung nicht mehr als ein proportionales Wahlverfahren bezeichnet werden kann und sie damit zur kantonalen Verfassungsvorschrift (eventuell auch, sofern Delegation vorliegt, zur kantonalen Gesetzesvorschrift) in Widerspruch steht (
BGE 107 Ia 220
E. 3a;
BGE 103 Ia 561
E. 3b; Urteil Geissbühler vom 28. März 1962, veröffentlicht
BGE 109 Ia 203 S. 208
in Journal des Tribunaux 110/1962, S. 274, E. 2). In allen diesen Entscheiden wird dargelegt, dass sogar die Berücksichtigung gewisser dem Mehrheitswahlrecht entnommener Elemente, die der Parteienzersplitterung vorbeugen sollen, einem Wahlsystem den Charakter der Verhältniswahl noch nicht nimmt, sofern diese Elemente - wie z.B. ein Quorum, dessen Nichterreichen dazu führt, dass die betreffende Partei bei der Mandatszuteilung überhaupt nicht berücksichtigt wird - mit Zurückhaltung eingesetzt werden. Im Kanton Zürich liegt der Einfluss des Majoritätssystems einzig darin, dass die Restmandate nach der Methode Hagenbach-Bischoff zugeteilt werden. Da die Methode der Zuteilung der Vollmandate, wie dargetan, der Verhältnismässigkeitsregel uneingeschränkt entspricht, sind die Auswirkungen dieses Majorzeinflusses im vornherein recht beschränkt. Sie sind auf jeden Fall geringer als diejenigen eines Quorums. Hinzu kommt, dass kein System der Restmandatsverteilung besteht, das keinerlei Nachteile hätte. Die Rüge der Beschwerdeführerin, wonach das im Kanton Zürich zur Anwendung gelangende System der Zuteilung der Kantonsratsmandate dem durch Verfassung und Gesetz vorgeschriebenen Grundsatz der Verhältniswahl nicht entspreche, geht somit fehl. Da unbestritten ist, dass die Mandatszuteilung im Wahlkreis IX Horgen nach dieser in der Vollziehungsverordnung zum Wahlgesetz umschriebenen Methode erfolgt ist, erweist sich die Beschwerde als unbegründet und ist abzuweisen, soweit darauf eingetreten werden kann. | public_law | nan | de | 1,983 | CH_BGE | CH_BGE_002 | CH | Federation |
7b7d21ec-72fe-4a73-b011-2ddc63979679 | Urteilskopf
85 I 225
36. Urteil vom 11. November 1959 i.S. Eiger Baugesellschaft A.-G. gegen Gemeinderat von Baden und Regierungsrat des Kantons Aargau. | Regeste
Eigentumsgarantie; Erfordernis der gesetzlichen Grundlage für die Auflage, dass beim Bau eines neuen Gebäudes genügend Einstellplätze für Motorfahrzeuge errichtet werden.
Vorschriften, die dem Gemeinwesen die Strassenpolizei übertragen und die Sicherheit des Verkehrs gefährdende Vorrichtungen verbieten, stellen keine genügende gesetzliche Grundlage dar. | Sachverhalt
ab Seite 226
BGE 85 I 225 S. 226
A.-
Die Beschwerdeführerin ist Eigentümerin der Grundstücke Kat. Nr. 1094 und 1354 an der Bruggerstrasse in Baden. Sie beabsichtigt, darauf mit Hauptfront gegen die Brugger- und Seitenfront gegen die Dynamostrasse ein Geschäftshaus mit 5 Stockwerken, mit Läden im Erdgeschoss und 24 Wohnungen in den Obergeschossen zu erstellen. Der Gemeinderat von Baden, der schon am 18. April 1955 ein erstes Baugesuch abgewiesen hat, lehnte auch das neue Gesuch ab. Er begründete dies teils damit, dass die Südwestecke des Gebäudes den Vorschriften der Bauordnung nicht entspreche, teils damit, dass auf dem Grundstück nicht genügend Gelegenheiten zum Abstellen von Fahrzeugen geschaffen würden. Da auch keine Einstellgaragen vorgesehen seien, genüge es nicht, dass 10-12 Fahrzeuge hinter der Strassengrenze parkiert werden könnten. Nach der Praxis des Regierungsrates müssten Garagen und Abstellplätze für mindestens 1/3 der Wohnungen und Geschäfte verlangt werden. Diese Forderung sei umso berechtigter, als die Fahrzeuge auf dem Grund der Gesuchstellerin nur unmittelbar vor den Ladenfronten aufgestellt werden könnten, was eine erhebliche Behinderung des Kundenverkehrs zur Folge haben müsste. Es sei nicht Sache der Gemeinde, die für ein grosses Wohn- und Geschäftshaus erforderlichen Ein- und Abstellplätze zur Verfügung zu stellen (Beschluss vom 27. Januar 1958). Eine Beschwerde hiegegen hat der Regierungsrat des Kantons Aargau mit Entscheid vom 3./11. Oktober 1958 abgewiesen. Auf Grund neu eingereichter Pläne stellt der Regierungsrat fest, dass nunmehr die Baulinie respektiert werde. Dagegen sei es nicht Sache des Gemeinwesens, für die Bereitstellung von genügend Parkraum für Motorfahrzeuge selber aufzukommen. Hierzu würden ihre finanziellen Mittel nicht ausreichen. Die interessierten Kreise, d.h. die Geschäftsinhaber und Hauseigentümer hätten dazu das Erforderliche beizutragen. Gemäss § 81 des Gemeindeorganisationsgesetzes habe der Gemeinderat als Verwalter der öffentlichen Polizei die nötigen Anordnungen
BGE 85 I 225 S. 227
zu treffen und nach lit. a ebenda für die Wege, Brücken und Dämme, deren Errichtung und Unterhalt der Gemeinde obliege, zu sorgen. Diesen Auftrag habe sie nach Anleitung der allgemeinen Gesetze zu erfüllen. § 60 des kantonalen Baugesetzes verbiete nun alle den Verkehr und die Sicherheit auf der öffentlichen Strasse gefährdenden Vorrichtungen. Von ihm würden nach der Praxis des Regierungsrates nicht bloss die Bauten erfasst, welche durch ihren Bestand eine Gefährdung hervorrufen, sondern auch solche, bei denen das durch ihre bestimmungsgemässe Benützung geschehe. Ein neues Geschäfts- und Wohnhaus ziehe aber zwangsläufig einen mehr oder weniger intensiven Parkbedarf nach sich. Wenn er nicht auf privatem Grund erfüllt werden könne, werde versucht, ihn auf dem öffentlichen Grund zu befriedigen, was dort zu Verkehrsbehinderungen und Störungen Anlass gebe. Eine derartige Baute könne daher je nach den Umständen § 60 BG widersprechen, sodass der Gemeinderat befugt sei, dort, wo es die Verkehrsverhältnisse verlangen, die Errichtung von Parkplätzen bzw. Einstellräumen auf dem privaten Grund zu verlangen. Die Forderung des Gemeinderates nach Abstellplätzen und Garagen für mindestens 1/3 der Wohnungen und Geschäfte sei aber im Hinblick auf die Lage des Hauses an der äusserst belebten Bruggerstrasse angemessen, was zur Abweisung der Beschwerde führen müsse.
B.-
Mit rechtzeitiger staatsrechtlicher Beschwerde beantragt die Eiger Baugesellschaft AG den Beschluss des Regierungsrates aufzuheben und die Sache zu neuer Entscheidung zurückzuweisen. Zur Begründung wird im wesentlichen ausgeführt: Der Entscheid ermangle der gesetzlichen Grundlage für den darin enthaltenen Eingriff in die Baufreiheit und verletze damit die Eigentumsgarantie. Die gesetzliche Grundlage sei auch für Bedingungen und Auflagen nötig, die einer Baubewilligung beigefügt würden. Der Regierungsrat behaupte selber nicht, dass die Bauordnung von Baden eine Norm enthalte, die
BGE 85 I 225 S. 228
den Grundeigentümer verpflichten würde, die für ein grösseres Gebiet erforderlichen Abstellplätze für Motorfahrzeuge bereitzustellen. Dass in die im Entwurf vorliegende Bauordnung eine bezügliche Bestimmung erst noch aufgenommen werden solle, beweise, dass es einer ausdrücklichen Norm bedürfe. § 60 des kantonalen Baugesetzes enthalte die gesetzliche Grundlage nicht. Eine Baute sei keine "gefährdende Vorrichtung" im Sinne dieser Vorschrift. Nicht das Bauwerk gefährde den Strassenverkehr; höchstens täten dies die Fahrzeuge, die an der Strasse parkiert würden. Gleiches gelte von § 81 des Organisationsgesetzes für die Gemeinden. Die Normierung des Baupolizeirechtes hätte keinen Sinn, wenn auf die allgemeine Polizeikompetenz der Gemeinde abgestellt werden könnte. Diese letztere könne nur Anwendung finden, wenn es an einer abschliessenden Sonderregelung fehlen würde. Eine solche liege aber im Baugesetz und in der Bauordnung der Gemeinde. Der Gemeinderat dürfte ausserdem nur gegen unmittelbar bevorstehende Störungen eingreifen und er müsste sich gegen den Störer richten. Diese Voraussetzungen seien nicht erfüllt.
C.-
Der Regierungsrat des Kantons Aargau beantragt die Abweisung der Beschwerde. Er führt u.a. aus: Das in § 60 des Baugesetzes (BG) enthaltene Verbot richte sich nicht bloss gegen Vorrichtungen auf, unter oder über der Strasse, sondern auch auf solche neben der Strasse. Je nach ihrer Ausführung und Zweckbestimmung könnten auch sie die Sicherheit des Strassenverkehrs gefährden. Streitig könne daher bloss sein, wieviele Parkplätze für das vorgesehene Gebäude notwendig seien. Nach den Erfahrungen wäre aber für ein Gebäude von der Art und vom Ausmass des projektierten die Minimalzahl von 13 Parkplätzen, die sich theoretisch errechnen liesse, ungenügend, weil sich diese Zahl auf Gebäude mit billigen Wohnungen beziehe, von der Beschwerdeführerin aber teuere Geschäfts- und Wohnräume erstellt würden. Wenn die Kunden, die Geschäftsinhaber, die Mieter und deren
BGE 85 I 225 S. 229
Besucher auf privatem Boden nicht genügend Parkplätze vorfänden, seien sie gezwungen, auf der Strasse anzuhalten, welche für den fliessenden und nicht für den ruhenden Verkehr bestimmt sei. Sie wirkten dort als Störer. Ursächlich sei aber dafür die mangelnde Parkgelegenheit auf dem Grundstück der Beschwerdeführerin. Der Mangel an Parkplätzen wäre vielleicht nicht so bedeutend, wenn in unmittelbarer Nähe des Hauses auf wenig befahrenen Nebenstrassen noch Raum zur Verfügung stünde. Auch das treffe aber nicht zu und werde auch nach der Verkehrssanierung von Baden nicht zutreffen. Die noch freien Flächen würden durch die SBB in Anspruch genommen und die wenigen Strassen müssten als Zugänge zum Güterbahnhof freigehalten werden. Der Gemeinderat werde durch § 81 des Organisationsgesetzes angewiesen, für die öffentliche Sicherheit, Ruhe, Ordnung und Sittlichkeit die erforderlichen Anordnungen zu treffen. Das habe er getan, indem er § 60 BG angewendet habe, um Verkehrsstörungen zu verhindern. Die Behörde könne nicht darauf verwiesen werden, die Schaffung von Parkplätzen erst dann zu verlangen, wenn das Gebäude erstellt und die Verkehrsstörung unausweichlich sei. Es bliebe dann nur die Ausweitung des auf der Bruggerstrasse bereits geltenden Parkierungsverbotes auf ein Verbot jeglichen Anhaltens auf dem betreffenden Strassenstück. Das würde den ständigen Einsatz von Polizei bedingen, was der Öffentlichkeit nicht zuzumuten sei.
Der Gemeinderat von Baden beantragt ebenfalls die Abweisung der Beschwerde.
D.-
Der Instruktionsrichter hat die Beschwerdegegner ersucht, zu prüfen, welche konkreten Massnahmen, wie Verbote oder Beschränkungen des Stationierens in der nähern und weitern Umgebung des projektierten Hauses zur Vermeidung einer Verkehrsgefährdung angeordnet werden könnten und ob nach deren Anordnung die Verkehrssicherheit noch gefährdet wäre.
Der Regierungsrat hat darauf geantwortet, dass, falls
BGE 85 I 225 S. 230
der mit dem Betrieb des geplanten Geschäftshauses zusammenhängende Verkehr zu Störungen Anlass geben sollte, ein Verbot jeglichen Anhaltens erlassen werden müsste. Die vom Gemeinderat bereits erlassenen Massnahmen würden jedoch zur Folge haben, dass die Verkehrssicherheit kaum mehr in einem das Übliche übersteigenden Mass gefährdet wäre. Doch sei damit das Parkierungsproblem für die Benützer des Hauses nicht gelöst. Der für sämtliche Anwohner an der Bruggerstrasse schwerwiegende Erlass eines absoluten Anhalteverbotes käme zudem nur als letzte Lösung in Betracht. Wenn heute solche Massnahmen nicht nötig seien, so würden sie durch die Neubaute mit grosser Wahrscheinlichkeit unvermeidlich.
E.-
Die Instruktionskommission des Bundesgerichtes hat am 16. Juni 1959 bei den Grundstücken der Beschwerdeführerin einen Augenschein durchgeführt und sich die Strassenverhältnisse und die vorhandenen Parkierungsmöglichkeiten zeigen lassen. Die Vertreter der Gemeinde haben erklärt, dass die Stadt nicht mehr beabsichtige, zwischen Brugger- und Dynamostrasse, Bahnhofareal und Feldweg einen Überbauungsplan vorzulegen, dass der (südlich der Grundstücke verlaufende, zum Güterbahnhof führende) Feldweg für den Fahrverkehr eingehen werde und die Verbindung mit dem Güterbahnhof weiter südlich vorgesehen sei. Die Hauptdurchgangsstrasse Nord-Süd werde inskünftig weiter östlich über den Gstühlplatz geführt werden. Die neue Bauordnung sei noch nicht genehmigt worden.
F.-
Das aargauische Gesetz über den Strassen-, Wasser- und Hochbau vom 23. März 1859 bestimmt in:
§ 60. Alle den Verkehr und die Sicherheit auf öffentlichen Strassen gefährdenden Vorrichtungen sind verboten.
§ 81 des aargauischen Gesetzes über die Organisation der Gemeinden und Gemeinderäte vom 26. November 1841 lautet:
Der Gemeinderat verwaltet die örtliche Polizei und hat über die Gegenstände derselben, nach Anleitung der allgemeinen Gesetze
BGE 85 I 225 S. 231
und Regierungsverordnungen, die nötigen Anordnungen zu treffen, namentlich in Bezug auf:
a) Wege, Brücken und Dämme, deren Errichtung und Unterhalt vermöge des Gesetzes der Gemeinde obliegt;
.....
c) Reinlichkeit und Beleuchtung der Strassen und öffentlichen Plätze, sowie Sicherheit und Bequemlichkeit derselben;
1) Handhabung der öffentlichen Sicherheit, Ruhe, Ordnung und Sittlichkeit.
Erwägungen
Das Bundesgericht zieht in Erwägung:
1.
Um vor der Eigentumsfreiheit, wie Art. 22 der Staatsverfassung des Kantons Aargau sie gewährleistet, standhalten zu können, muss eine behördliche Beschränkung der Ausübung des Eigentums vom öffentlichen Interesse gefordert sein und sich ausserdem auf eine gesetzliche Grundlage stützen können, welche den Erlass der Massnahme zulässt (
BGE 81 I 29
,
BGE 82 I 162
,
BGE 84 I 173
). Eingriffe, welche über das, was bisher als öffentlichrechtliche Eigentumsbeschränkung üblich war, weit hinaus gehen, bedürfen einer klaren gesetzlichen Grundlage (
BGE 74 I 156
,
BGE 76 I 336
,
BGE 77 I 218
,
BGE 78 I 428
).
Die Gewährung einer Baubewilligung davon abhängig zu machen, dass der Eigentümer des zu überbauenden Grundstückes für das Abstellen bzw. Einstellen von Motor fahrzeugen auf seinem Grundstück genügend Platz zur Verfügung stellt, ist ohne jeden Zweifel eine derartige Beschränkung des Eigentums, die über das, was bisher als Eigentumsbeschränkung üblich war, insbesondere dann weit hinausgeht, wenn in städtischen Verhältnissen eine grössere Zahl von Einstellplätzen verlangt wird. Entweder wird damit der Überbauungskoeffizient erheblich eingeschränkt, was für die Rendite des Hauses bedeutungsvoll ist - und nicht ohne eine gesetzliche Grundlage angeordnet werden kann -, oder es werden dem Eigentümer kostspielige Bauten in Kellerräumlichkeiten und der Verzicht auf einen Ertrag daraus zugemutet. Für die Beschwerdeführerin hätte die Auflage zur Folge, dass sie sich nicht darauf beschränken könnte, vor der Hauptfront des Hauses Abstellplätze zu schaffen, wie sie das vorgeschlagen hat,
BGE 85 I 225 S. 232
sondern gezwungen wäre, diese in das Haus selbst zu verlegen oder hinter demselben eine Parzelle zu erwerben versuchen, von der sie heute wegen des zwischen SBB und Eigentümern hängigen Enteignungsverfahrens noch nicht weiss, ob und zu welchem Preis sie sie erhalten würde.
Die Verweigerung der Baubewilligung aus dem Grunde, dass die Beschwerdeführerin nicht mindestens für einen Drittel der Geschäftslokale und Wohnungen Parkplätze auf ihrem Grund und Boden zur Verfügung stellt, ist daher vor Art. 22 der Staatsverfassung nur haltbar, wenn die Baubehörden sich dafür auf eine klare gesetzliche Grundlage zu stützen vermögen.
Eine derartige Grundlage läge in § 42 des Entwurfes einer Bauordnung für die Gemeinde Baden, wenn sie bereits verbindlich wäre. Darin wird vorgesehen, dass vom Eigentümer die Bereitstellung einer für die Benützer der Liegenschaft genügenden Anzahl von Einstellräumen auf privatem Grund verlangt wird, und dass der Gemeinderat ihre Art und Zahl nach Massgabe der örtlichen Verhältnisse bestimmen könne. Ob aber eine solche Eigentumsbeschränkung, wenn sie ohne Entschädigung angeordnet wird, vor der weitern Voraussetzung eines zulässigen Eingriffs in das Eigentum standhält, wonach dieser, wenn er einer materiellen Enteignung gleichkommt, nur gegen Entschädigung möglich ist, bleibe dahingestellt.
2.
Der Regierungsrat erblickt die erforderliche gesetzliche Grundlage in § 81 des Gemeindeorganisationsgesetzes in Verbindung mit § 60 des kantonalen Baugesetzes. Ob er damit anerkennen will, dass
§ 81 OG
für sich allein die beanstandete Massnahme nicht zu begründen vermöchte, der Gemeinderat darauf nur im Hinblick auf die besondere Vorschrift des Baugesetzes abstellen könne, mag auf sich beruhen. Denn die beiden Vorschriften vermögen die Massnahme weder je für sich allein, noch in Verbindung miteinander zu rechtfertigen.
§ 81 OG
verpflichtet den Gemeinderat, die erforderlichen Massnahmen zur Aufrechterhaltung der öffentlichen
BGE 85 I 225 S. 233
Ruhe und Ordnung zu ergreifen. Es erscheint schon äusserst problematisch, ob eine solche, ganz allgemeine polizeiliche Befugnis der Gemeinde eine Grundlage abzugeben vermöge für eine ihrem ganzen Wesen nach baupolizeiliche Massnahme, die dem Eigentümer vorschreiben will, wie er auf seinem Grundstück bauen darf, damit die öffentlichen Strassen und Plätze nicht noch mehr als dies jetzt der Fall ist mit Motorfahrzeugen überstellt werden. Selbst wenn aber angenommen werden könnte, das treffe zu, der Gemeinde werde mit jenem selbstverständlichen und elementaren Auftrag auch der besondere Auftrag erteilt, eine durch die Aufstellung von Motorfahrzeugen auf öffentlichen Strassen und Plätzen gestörte Ordnung in dieser Weise wiederherzustellen, oder eine ernsthafte Gefahr solcher Störung abzuwenden, so könnte die Vorschrift doch aus einem andern Grunde nicht als gesetzliche Grundlage für die beanstandete Bauauflage anerkannt werden. Denn eine polizeiliche Massnahme muss nach einem allgemeinen Grundsatz des Verwaltungsrechtes den Umständen angepasst, verhältnismässig sein. Das ist sie dann, wenn sie sich einerseits gegen den Störer wendet, und wenn sie anderseits, sofern sie eine erst drohende Störung betrifft, sich gegen eine direkte, unmittelbar drohende und anders nicht abwendbare Gefährdung richtet (
BGE 63 I 222
,
BGE 67 I 76
; FLEINER, Institutionen 6./7. Aufl. S. 374). Das gilt in erhöhtem Masse, wenn die Massnahme in bestimmte Freiheitsrechte eines einzelnen Bürgers eingreift, ihm besondere Verpflichtungen auferlegt, z.B. mit den vermögensrechtlichen Folgen belasten will, wie es bei einem entschädigungslosen Eingriff in das Eigentum der Fall wäre.
Die Auflage an den Grundeigentümer, bei einer Neubaute eine genügende Zahl von Einstellräumen für Motorfahrzeuge auf dem privaten Grund zur Verfügung zu stellen, richtet sich nicht gegen eine direkte, anders nicht abwendbare Gefährdung des öffentlichen Verkehrs. Diese ist nicht unmittelbar, solange nicht dargetan ist, dass die
BGE 85 I 225 S. 234
bestehenden oder in der Gemeinde noch zu errichtenden Abstellplätze auf dem öffentlichen Grund nicht genügen, auch noch diejenigen Fahrzeuge aufzunehmen, welche infolge der Benützung der Neubaute hinzukommen können. Dass dem so sei, hat der Augenschein nicht ergeben und ist auch sonst nicht dargetan. Die Sicherheit des Verkehrs auf der Durchgangsstrasse Brugg-Zürich kann schon jetzt durch Aufrechterhaltung des Parkierungsverbotes und allenfalls durch ein Verbot des Anhaltens von Fahrzeugen erreicht werden. Allerdings schafft der ständig wachsende Verkehr der Polizei neue Aufgaben. Sie stellen sich aber nicht plötzlich und unvermutet, sondern sind eine Folge der ständigen Zunahme der Motorfahrzeuge, die dem Gemeinwesen ermöglicht, auf dem gesetzlichen Weg die erforderlichen Massnahmen zu treffen. Diese könnten sich ausserdem nicht gegen die Grundeigentümer richten, die Geschäfts- oder Wohnräume zur Verfügung stellen wollen, sondern bloss den Inhabern von Fahrzeugen, welche die öffentlichen Strassen und Plätze in Anspruch nehmen, bestimmte Verhaltensvorschriften auferlegen.
3.
Vorschriften kantonaler Strassengesetze, welche alle den Verkehr und die Sicherheit auf öffentlichen Strassen gefährdenden Vorrichtungen verbieten, genügen grundsätzlich ebenfalls nicht, um dem Grundeigentümer vorzuschreiben, welche baulichen Vorkehren er auf seinem Grund und Boden zu treffen hat, um zu verhindern, dass seine, seiner Mieter oder Kunden Motorfahrzeuge nicht auf der öffentlichen Strasse aufgestellt werden. Anders kann es sich nur verhalten, wenn auf dem Grundstück ein Gewerbebetrieb eröffnet werden will, mit dem eine stark vermehrte Zu- und Wegfahrt von Fahrzeugen notwendig verbunden, der zu seiner Existenz darauf angewiesen ist. Das Bundesgericht hat deshalb Vorschriften kantonaler Gesetze als vor
Art. 4 BV
zulässig bezeichnet, welche die Errichtung von Benzintankanlagen an öffentlichen Durchgangsstrassen von bestimmten Bedingungen abhängig machen, so davon, dass die Fahrzeuge zur Vermeidung von
BGE 85 I 225 S. 235
Verkehrsstörungen die Strasse nicht zu überqueren hätten (beidseitige Anlagen), oder dass sie eine gewisse Länge besitzen, welche den Fahrzeugen die Anpassung an den Verkehr gestattet, oder dass sie nicht an unübersichtlichen und gefährlichen Strassenkreuzungen errichtet werden (
BGE 83 I 145
und das dort zitierte Urteil i.S. Hausbau- und Chaletfabrik Murer, abgedruckt im ZBl Bd. 58 S. 21 ff.; nicht veröffentlichte Urteile vom 4.6.58 i.S. Lehmann und vom 8.7.59 i.S. Regli).
Der Bau eines Wohn- und Geschäftshauses an einer öffentlichen Strasse kann dem Betrieb einer Benzintankstelle nicht gleichgestellt werden. Der Neubau wird wegen seiner andern Zweckbestimmung keine merkliche Erhöhung und damit auch keine in Betracht fallende Störung der Verkehrs auf der Bruggerstrasse zur Folge haben. Dass einzelne Inhaber der neuen Räumlichkeiten, ihre Kunden oder Besucher ihre Fahrzeuge vor oder neben dem Hause anhalten werden, wird ohne Anhalteverbote auf der Strasse nicht ganz zu umgehen sein. Dafür stellt die Beschwerdeführerin vor dem Hause an der Bruggerstrasse eine Anzahl von Abstellplätzen zur Verfügung, deren Benützung den Strassenraum freilässt. Auch wenn dieser Platz für Geschäftskunden oder für das blosse Anhalten von Fahrzeugen reserviert werden müsste, wird dadurch der Verkehr auf der Bruggerstrasse nicht irgendwie erheblich gehindert. Die Mieter können ihre Fahrzeuge auf in der Nähe befindlichen öffentlichen Plätzen (Gstühlplatz) oder auf Quartierstrassen abstellen. Durch das Verbot, Wagen auf der Bruggerstrasse zu stationieren, wird die ganze Strassenfläche für den Verkehr freigehalten. Wenn der private Parkplatz oder die Dynamostrasse sogar für das blosse Anhalten von Fahrzeugen nicht genügend Raum bieten würde, was ganz unwahrscheinlich ist, ist es der Verkehrspolizei unbenommen, auch das Anhalten von Fahrzeugen auf der Bruggerstrasse zu verbieten. Der Regierungsrat hält aber selbst für unwahrscheinlich, dass eine derartige Massnahme nötig sein werde. Sie wird es
BGE 85 I 225 S. 236
umso weniger sein, als der Durchgangsverkehr auf die bedeutend breiter auszubauende Entlastungsstrasse über den Gstühlplatz umgeleitet werden soll, also inskünftig nur der Stadtverkehr südlich der Abzweigung die Bruggerstrasse benützen wird. Der eigentliche Zweck der Massnahme liegt nach den tatsächlichen Umständen nicht in erster Linie im Schutz des Verkehrs auf der Bruggerstrasse, sondern darin, dass der Aufstellung weiterer Fahrzeuge auf öffentlichen Strassen und Plätzen ganz allgemein entgegengewirkt werden soll, ein Ziel, das der Gemeinderat inskünftig mit dem Erlass der Bauordnung anstrebt, in der Absicht, die Last der Parkierungsplätze für Motorfahrzeuge von der Gemeinde auf den privaten Grundeigentümer abzuwälzen.
Da sich aus diesen Gründen die Auffassung, das Gemeindeorganisationsgesetz in Verbindung mit dem kantonalen Baugesetz enthalte eine gesetzliche Grundlage für die Verweigerung der Baubewilligung, nicht mit hinreichenden sachlichen Gründen vertreten lässt und der Entscheid deshalb die
Art. 4 BV
und Art. 22 KV verletzt, ist der Entscheid des Regierungsrates und der durch ihn bestätigte Beschluss des Gemeinderates von Baden aufzuheben und die Sache zu neuer Entscheidung, d.h. zur Erteilung der verlangten Baubewilligung an die kantonale Behörde zurückzuweisen.
Dispositiv
Demnach erkennt das Bundesgericht:
Die Beschwerde wird gutgeheissen und der Entscheid des Regierungsrates des Kantons Aargau vom 3. Oktober 1958 aufgehoben. | public_law | nan | de | 1,959 | CH_BGE | CH_BGE_001 | CH | Federation |
7b8ac499-5b9b-4447-b9df-b24bc876b23f | Urteilskopf
101 II 302
50. Auszug aus dem Urteil der II. Zivilabteilung vom 20. März 1975 i.S. Kühne gegen den Kanton Thurgau. | Regeste
Zivilrechtliche Streitigkeit zwischen privaten und einem Kanton vor dem Bundesgericht als einziger Instanz.
Erachtet das Bundesgericht die Klage einstimmig ohne irgendwelchen Zweifel als unbegründet, so kann sie in Analogie zu
Art. 60 Abs. 2 OG
im Vorprüfungsverfahren ohne mündliche Verhandlung und ohne öffentliche Beratung abgewiesen werden. | Erwägungen
ab Seite 302
BGE 101 II 302 S. 302
Aus den Erwägungen:
Die Aussichtslosigkeit der Klage hat zur Folge, dass sich nicht nur jedes Beweisverfahren erübrigt, sondern auch die Durchführung des in
Art. 34 und 35 BZP
vorgesehenen Vorbereitungsverfahrens nicht als sinnvoll erscheint. Mit Rücksicht auf die hohen Kosten, die dem Kläger bei Weiterführung des für ihn aussichtslosen Verfahrens entstehen würden, drängt sich die analoge Anwendung von
Art. 60 Abs. 2 OG
auf. Diese Bestimmung kann nicht direkt zur Anwendung gelangen, weil sich der in
Art. 1 Abs. 2 BZP
enthaltene Verweis auf die Vorschriften des OG ausdrücklich nur auf den ersten, neunten und zehnten Titel dieses Gesetzes bezieht;
Art. 60 OG
ist indessen im zweiten Titel des OG zu finden.
Das Bundesgericht hat bereits entschieden, dass bei Vorliegen eines Nichteintretensgrundes
Art. 60 Abs. 1 OG
analog auf direkte Prozesse angewendet werden kann, wenn das Gericht einstimmig ist (
BGE 92 II 214
Erw. 5 und
BGE 96 II 351
Erw. 7).
Diese Praxis ist auch auf den in Absatz 2 der gleichen Bestimmung geregelten Fall der offensichtlichen Unbegründetheit auszudehnen. Zwischen den beiden Tatbeständen, für die
Art. 60 OG
die Erledigung im Vorprüfungsverfahren zulässt, besteht nicht ein derartiger Unterschied, dass die analoge Anwendung dieser Bestimmung nur im ersten Fall sachlich gerechtfertigt wäre, nicht aber im zweiten. Da Einstimmigkeit darüber herrscht, dass die vorliegende Klage ohne irgendwelchen Zweifel als unbegründet erscheint, ist sie somit ohne Durchführung einer Verhandlung und ohne öffentliche Urteilsberatung abzuweisen. | public_law | nan | de | 1,975 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
7b8e492a-e210-458d-90b7-9e55c4839b08 | Urteilskopf
116 III 35
9. Arrêt de la Chambre des poursuites et des faillites du 29 mars 1990 dans la cause Credilisa S.A. et René Ravier (recours LP) | Regeste
Eine Sicherheitsleistung nach
Art. 277 SchKG
führt zur Löschung einer im Grundbuch vorgemerkten Verfügungsbeschränkung.
Art. 6 VZG
zählt die Tatbestände, die zur Löschung einer vorgemerkten Verfügungsbeschränkung führen, nicht abschliessend auf (E. 2a).
Art. 277 SchKG
erlaubt es, die Arrestgegenstände durch mindestens gleichwertige Sicherheiten mit der Wirkung zu ersetzen, dass die Arrestgegenstände frei werden und der Schuldner nach seinem Belieben über sie verfügen kann. Der damit verfolgte Zweck, die Stellung des Schuldners zu erleichtern, kann auch erreicht werden, wenn es sich bei den Arrestgegenständen um Grundstücke handelt (E. 3b).
Art. 277 SchKG
führt zur Löschung der im Grundbuch vorgemerkten Verfügungsbeschränkung (E. 3c).
Nach Art. 277 muss auch dann die Sicherheit nur im Betrag der Forderung einschliesslich deren Nebenrechte bestellt werden, wenn das mit Arrest belegte Grundstück einen höheren Wert aufweist (E. 5). | Sachverhalt
ab Seite 36
BGE 116 III 35 S. 36
A.-
Par ordonnance du 13 juillet 1987, le Juge de paix du cercle de Lausanne a ordonné le séquestre des parcelles Nos 5863, 5864, 5868 et 5886, plan folio 138, inscrites au registre foncier de Lausanne au nom de Clinique des Charmettes S.A., et/ou de Résidence de la Clinique des Charmettes S.A., pour une créance de 926'736 fr. 10 plus intérêt à 5% l'an dès le 9 juillet 1987, de René Ravier contre Le Roy Allen Pesch.
Le 17 juillet 1987, le Juge de paix du cercle de Lausanne a rendu une seconde ordonnance de séquestre portant sur les mêmes parcelles pour une créance de 1'718'178 fr. 70 plus intérêt à 8,5% l'an dès le 1er octobre 1985, de Credilisa S.A. contre Le Roy Allen Pesch.
En exécution de ces deux ordonnances, l'Office des poursuites de l'arrondissement de Lausanne-Ouest a imposé des séquestres, portant respectivement les Nos 79/1987 et 83/1987, sur les parcelles précitées. Il a estimé la valeur totale des biens séquestrés à 22'000'000 francs.
Le 20 juillet 1987, l'Office a fait procéder à l'annotation de restrictions du droit d'aliéner au registre foncier de Lausanne.
Les procès-verbaux de séquestre ont été notifiés à Credilisa S.A. et à René Ravier le 14 avril 1988. L'Office a en outre assigné aux créanciers séquestrants un délai de dix jours pour ouvrir action
BGE 116 III 35 S. 37
contre les propriétaires inscrits au registre foncier. Les poursuivants ont intenté action en contestation de la revendication et un procès en validation de séquestre. Ces procès ont été suspendus pour six mois par convention.
Par lettre recommandée du 6 septembre 1989 adressée à la Fiduciaire Vidor S.A., à Lausanne, à l'attention de M. Knöbel, l'Office a fait savoir que les poursuivants, interpellés, avaient émis des réserves quant au dépôt d'une garantie bancaire aux fins de lever les annotations de la restriction du droit d'aliéner les immeubles en cause. Les poursuivants désiraient "la consignation en espèces des capitaux des séquestres, majorés des frais de poursuite ainsi que de sept années d'intérêts". Le 20 septembre 1989, la Clinique des Charmettes S.A. a fait parvenir une lettre à l'Office portant la signature "B. Knöbel", le priant "d'accepter un cautionnement solidaire de l'UBS (, à) Lausanne (,) pour le montant de la prétendue créance, augmentée des intérêts pour sept années au taux annuel de 5% et des frais de poursuite".
Le 5 octobre 1989, les parcelles Nos 5864, 5868 et 5886 du registre foncier de Lausanne ont, ensuite de vente, été inscrites comme propriété de l'Energie de l'Ouest Suisse S.A.
Le 9 octobre 1989, l'Union de Banques Suisses (ci-après: l'UBS), à Lausanne, a adressé deux actes de cautionnement Nos 393/20 372 et 393/20 373 à l'Etat de Vaud, représenté par l'Office. L'UBS déclare se porter caution solidaire au sens de l'
art. 277 LP
jusqu'à concurrence des montants indiqués, "en garantie du montant de la créance (plus intérêts et frais) pour laquelle le séquestre a été requis".
Le 10 octobre 1989, l'Office a décidé d'accepter les cautionnements solidaires de l'UBS et de libérer les biens placés sous sa garde, le poursuivi en conservant la libre disposition; les réquisitions de radiation des restrictions du droit d'aliéner n'interviendraient qu'à l'échéance du délai de plainte.
B.-
Par plainte du 20 octobre 1989, Credilisa S.A. et René Ravier ont conclu à l'annulation de la décision du 10 octobre 1989. Ils faisaient valoir que c'était à tort que l'Office avait accepté les cautionnements en cause, levé le séquestre et requis la radiation des restrictions du droit d'aliéner.
Le Président du Tribunal du district de Lausanne, en sa qualité d'autorité inférieure de surveillance en matière de poursuite pour dettes et de faillite, a rejeté la plainte.
BGE 116 III 35 S. 38
Contre ce prononcé, Credilisa S.A. et René Ravier ont recouru auprès de la Cour des poursuites et faillites du Tribunal cantonal du canton de Vaud.
Celle-ci, par arrêt du 7 février 1990, a rejeté le recours.
C.-
Par acte daté du 16 février 1990, Credilisa S.A. et René Ravier ont déposé un recours auprès de la Chambre des poursuites et des faillites du Tribunal fédéral. Ils concluent à l'annulation de la décision attaquée, à ce que la plainte soit admise et à ce que soient maintenus tant les séquestres que les restrictions du droit d'aliéner.
Le Roy Allen Pesch conclut au rejet du recours.
Le recours a été rejeté.
Erwägungen
Considérant en droit:
1.
L'autorité supérieure de surveillance a confirmé la décision de l'Office d'accepter à titre de garantie les cautionnements solidaires Nos 393/20 372 et 393/20 373 déposés par l'UBS, de libérer les biens placés sous la garde de l'Office dans le cadre des séquestres Nos 157 044 et 156 742 et de requérir la radiation des restrictions du droit d'aliéner grevant les immeubles faisant l'objet desdits séquestres. Les garanties bancaires constituent bien des sûretés au sens de l'
art. 277 LP
; les immeubles frappés de séquestre doivent être laissés à la libre disposition du débiteur. Ceci devait dès lors nécessairement conduire à la radiation des restrictions du droit d'aliéner annotées au registre foncier.
2.
Les recourants estiment, d'une part, que l'art. 6 de l'ordonnance du Tribunal fédéral sur la réalisation forcée des immeubles énumère limitativement les cas où la radiation de l'annotation d'une restriction du droit d'aliéner peut être requise, soit d'office, soit à l'instance du débiteur poursuivi: la fourniture de sûretés, selon l'
art. 277 LP
, n'y est pas prévue. D'autre part, l'art. 7 ORI ne donne pas compétence à l'Office de déposer une telle requête en dehors des cas précisément visés par l'art. 6 ORI; il ne s'agirait que d'une règle de compétence ratione loci.
a) Contrairement à la thèse défendue par les recourants, l'art. 6 ORI, complété par les
art. 68 al. 1 let
. c, 102 et 130 al. 1 ORI, ne contient pas une liste exhaustive des cas de radiation d'une restriction du droit d'aliéner inscrite au registre foncier. DESCHENAUX (Le registre foncier, Traité de droit privé suisse, vol. V, tome II, 2, § 18 C CC I let. j, p. 308) note à juste titre que la loi elle-même
BGE 116 III 35 S. 39
mentionne à plusieurs reprises des situations qui entraînent une telle radiation. Ainsi la clôture et la révocation de la faillite ont cet effet (
art. 176 LP
et 94 OOF implicitement; JAEGER, Commentaire de la loi fédérale sur la poursuite pour dettes et la faillite, Lausanne, 1920, rem. 7 ad art. 176), de même que l'homologation du concordat ordinaire (
art. 308 LP
; JAEGER, op.cit., rem. 5 ad art. 308); l'homologation du concordat par abandon d'actif perpétue la restriction jusqu'à la fin de la liquidation (
art. 316d al. 1 LP
; DESCHENAUX, ibid.). Dès lors que l'art. 6 ORI ne revêt aucun caractère exhaustif, la fourniture de sûretés selon l'
art. 277 LP
peut entraîner la radiation d'une restriction du droit d'aliéner si cela correspond au sens de cette disposition.
b) L'art. 7 ORI détermine l'office compétent pour requérir la radiation auprès du conservateur du registre foncier. Que l'
art. 277 LP
constitue un cas de radiation d'une restriction du droit d'aliéner annotée au registre foncier ne dépend pas de l'interprétation faite de l'art. 7 ORI.
3.
Les recourants objectent ensuite que le champ d'application de l'
art. 277 LP
se limite aux biens meubles. La disposition vise certes la possibilité qu'il faille, au moment de l'exécution, s'en prendre aux sûretés parce que le bien frappé de séquestre ne se trouve plus dans le patrimoine du débiteur. Mais, en matière de bien-fonds, une telle aliénation serait hors de question. Il existerait un autre risque, à savoir que l'immeuble soit grevé, au profit de tiers de bonne foi, de droits préférables à ceux du créancier séquestrant. On ne pourrait prévenir un tel risque qu'en maintenant la restriction du droit d'aliéner.
a) L'objection n'est pas convaincante. On ne voit tout d'abord pas pourquoi la restriction du droit d'aliéner devrait se rapporter au gage seulement et non pas aussi à l'aliénation de l'immeuble. Dans les deux cas, il s'agit de la réalisation de la valeur que représente l'immeuble. Cette réalisation, étant donné la fourniture de sûretés selon l'
art. 277 LP
, ne peut plus être empêchée de manière absolue. Dans ce cas, tout comme en matière de meubles, il n'y a pas de raison d'interdire à tout prix la réalisation d'un immeuble. Qu'un immeuble servant de garantie au créancier séquestrant soit grevé d'un gage au profit d'un tiers de bonne foi signifie seulement que le bien frappé de séquestre n'est plus à disposition, ou du moins plus dans son entière valeur, au moment de l'exécution. Donc, lors de la saisie ou de l'ouverture de la faillite, en raison de cette constitution subséquente d'un droit de gage
BGE 116 III 35 S. 40
immobilier, il faudra se tourner vers les sûretés fournies en remplacement de ce bien.
b) Le but des sûretés selon l'
art. 277 LP
est de garantir que soit les biens séquestrés soit des valeurs équivalentes pourront être saisis dans la poursuite consécutive au séquestre ou tomberont dans la masse de l'actif en cas de faillite (
ATF 114 III 39
consid. 2;
ATF 108 III 103
consid. 1a;
ATF 106 III 132
consid. 2;
ATF 82 III 126
consid. 3). Par le séquestre, le créancier veut seulement s'assurer que plus tard, lorsqu'il poursuivra son débiteur, il trouvera des biens à réaliser. Ainsi, la loi laisse au débiteur la libre disposition de ses biens, du moment que, plus tard, des moyens suffisants pour payer la créance ayant fondé le séquestre ne manqueront pas (
ATF 30 I 197
). Les versions italienne et allemande de l'
art. 277 LP
ne permettent aucun doute (
ATF 106 III 133
). Le débiteur peut conserver la libre disposition des objets séquestrés (FAVRE, Droit des poursuites, Fribourg 1974, 3e éd., p. 306, ch. 3). Or le but poursuivi, qui est d'alléger la situation du débiteur (
ATF 108 III 104
consid. 1b), peut également être atteint lorsqu'il s'agit d'immeubles. Si l'
art. 277 LP
permet de subroger aux objets séquestrés des sûretés au moins équivalentes, avec l'effet que les biens frappés de séquestre sont totalement libérés et que le débiteur peut en disposer à sa guise (
ATF 82 III 123
consid. 2), il n'y a pas de raison de restreindre ce principe aux biens mobiliers. BONNARD mentionne expressément les immeubles (Le séquestre d'après la loi fédérale sur la poursuite pour dettes et la faillite, thèse Lausanne 1914, p. 157).
c) Les recourants croient pouvoir déduire de la jurisprudence (
ATF 106 III 134
) que la fourniture de sûretés, lors même qu'elle confère une protection supplémentaire au créancier séquestrant, n'apporte toutefois aucun changement en faveur du débiteur séquestré quant à sa liberté de disposer du bien séquestré.
On ne saurait suivre les recourants sur ce point également. Dans le cas de l'
art. 277 LP
, le débiteur recouvre le droit de disposer de la chose séquestrée en fournissant des sûretés propres à garantir la représentation en nature ou en valeur de la chose séquestrée (GILLIÉRON, JT 1989 II 104). Certes, les sûretés ne se substituent pas aux biens séquestrés comme objet de la mesure (
ATF 38 I 216
consid. 2). L'Office n'a pas levé le séquestre en tant que tel. Simplement, du point de vue du débiteur, une certaine alternative lui est laissée, dans la mesure où les sûretés seront saisies dans la poursuite consécutive au séquestre ou tomberont dans la masse
BGE 116 III 35 S. 41
lors de l'ouverture de la faillite en cas de non-représentation des biens séquestrés. Ainsi, nonobstant le séquestre portant sur ses biens, le débiteur peut néanmoins en disposer à sa guise, notamment en grevant son immeuble de droits de gage.
Dès l'instant où le débiteur n'est pas tenu de tenir à disposition les biens séquestrés eux-mêmes, mais qu'il faut et suffit qu'il puisse en représenter la valeur, l'application de l'
art. 277 LP
conduit logiquement à radier la restriction du pouvoir de disposer annotée au registre foncier (BONNARD, op.cit., p. 162).
4.
Les recourants prétendent à tort que les garanties bancaires offertes ne constituaient pas des sûretés au sens de l'
art. 277 LP
.
En effet, l'obligation de la banque repose de manière claire sur le texte de l'
art. 277 LP
et sur l'interprétation qui en est faite par la jurisprudence (
ATF 114 III 89
). Il est convenu que "ce cautionnement solidaire est constitué en lieu et place de tout objet séquestré qui, le cas échéant, ne serait plus représenté par le débiteur séquestré. L'engagement pécuniaire qui en découle sera exécuté à (la) première réquisition de l'Etat de Vaud, représenté par l'Office des poursuites de Lausanne-Ouest, sans limitation dans le temps, suivant l'issue des procédures d'opposition et de revendication".
Peu importe que la garantie bancaire se réfère à l'issue d'une éventuelle procédure de mainlevée ou de revendication. Ainsi, on réserve seulement d'une manière générale le sort de la procédure d'exécution consécutive au séquestre.
5.
Enfin, il n'y a aucune raison de revenir sur la jurisprudence selon laquelle les sûretés de l'
art. 277 LP
doivent être fixées à un montant égal à celui de la créance, y compris les intérêts, lors même que la valeur de l'immeuble séquestré est supérieure à cette dernière (
ATF 114 III 39
). En effet, en cas de séquestre d'un immeuble, il se peut que la "couverture" offerte par celui-ci dépasse le montant de la dette qui est à la base du séquestre. C'est une amélioration de fait de la position du créancier séquestrant, amélioration qui tient à l'indivisibilité de l'immeuble. La fourniture de sûretés ne doit pas conduire à aggraver la position du débiteur séquestré dans le cadre de l'
art. 277 LP
(cf. supra). | null | nan | fr | 1,990 | CH_BGE | CH_BGE_005 | CH | Federation |
7b8e7284-d9df-48d9-a31a-b99b98e0afc0 | Urteilskopf
138 V 154
20. Auszug aus dem Urteil der I. sozialrechtlichen Abteilung i.S. E. gegen Schweizerische Unfallversicherungsanstalt (SUVA) (Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten)
8C_210/2011 vom 15. Februar 2012 | Regeste a
Art. 112 Abs. 1 lit. a BGG
; Begründung vorinstanzlicher Entscheide.
Wird das Dispositiv eines Entscheides direkt nach der mündlichen Beratung und Urteilsfällung des Gerichts den Parteien eröffnet, so braucht die Übereinstimmung zwischen Beratung und anschliessend erstellter schriftlicher Urteilsbegründung von der oberen Instanz nicht geprüft zu werden (E. 2).
Nicht nur das Dispositiv, sondern auch die Begründung eines Entscheides muss indessen der Meinung der Mehrheit des Spruchkörpers entsprechen (E. 3.4).
Damit dies sichergestellt ist, müssen die beteiligten Richterinnen und Richter vom Begründungsentwurf Kenntnis nehmen und Änderungsanträge stellen können. In welcher Art und Weise dies geschieht, bestimmt sich nach dem jeweils anwendbaren Prozess- und Gerichtsorganisationsrecht (E. 3.5).
Regeste b
Art. 53 Abs. 1 UVG
; Zulassung von Zahnärzten im Unfallversicherungsbereich.
Ein wissenschaftlicher Befähigungsausweis im Sinne von
Art. 53 Abs. 1 Satz 2 UVG
setzt eine Hochschulausbildung voraus, die dem schweizerischen Universitätsstandard entspricht (E. 4). | Sachverhalt
ab Seite 155
BGE 138 V 154 S. 155
A.
Der 1961 geborene E. ist seit 1996 kantonal approbierter Zahnarzt appenzell-ausserrhodischen Rechts. Nach Durchführung des Vermittlungsverfahrens erhob er am 11. Dezember 2009 vor dem Schiedsgericht nach
Art. 57 UVG
(SR 832.20) des Kantons Appenzell Ausserrhoden (nachstehend: das Schiedsgericht) Klage gegen die Schweizerische Unfallversicherungsanstalt (SUVA) mit dem Begehren, es sei festzustellen, dass er aufgrund eines wissenschaftlichen Befähigungsausweises tätig sei und auch für die an die Notfallbehandlung anschliessende Regelbehandlung über die SUVA und andere UVG-Versicherer abrechnen dürfe. Das Schiedsgericht wies die Klage mit Entscheid vom 30. September 2010 (Eröffnung der vom Präsidenten des Schiedsgerichts und vom Gerichtsschreiber unterzeichneten schriftlichen Urteilsbegründung: 9. Februar 2011) ab.
B.
Mit Beschwerde beantragt E., es sei unter Aufhebung des kantonalen Gerichtsentscheides entsprechend seinem vorinstanzlich
BGE 138 V 154 S. 156
gestellten Rechtsbegehren zu entscheiden, eventuell sei die Sache zur Neubeurteilung an die Vorinstanz zurückzuweisen.
Während die SUVA und die Vorinstanz auf Abweisung der Beschwerde schliessen, verzichtet das Bundesamt für Gesundheit auf eine Vernehmlassung.
C.
In ihrer Verfügung vom 21. November 2011 erwog die Instruktionsrichterin, gemäss Art. 33 Abs. 2 des vom Schiedsgericht anwendbar erklärten Konkordates vom 27. März 1969 über die Schiedsgerichtsbarkeit (AS 1969 1093) habe der Schiedsspruch die Unterschrift aller Schiedsrichter zu enthalten. Da die dem Bundesgericht vorliegende Ausfertigung des Entscheides vom 30. September 2010 diesem Erfordernis nicht entsprach, wies sie die Sache in Anwendung von
Art. 112 Abs. 3 BGG
an das Schiedsgericht zur Verbesserung zurück.
Am 12. Dezember 2011 reichte das Schiedsgericht dem Bundesgericht eine zusätzlich noch von Schiedsrichter A. unterzeichnete Ausfertigung des angefochtenen Entscheides nach. Bereits am 2. Dezember 2011 hatte der Schiedsrichter B. erklärt, die Unterschrift zu verweigern, da die Ausfertigung zwar im Dispositiv, nicht aber in der Begründung mit dem von der Mehrheit des Schiedsgerichts gefassten Beschluss übereinstimme.
D.
In ihrer Stellungnahme vom 26. Januar 2012 hält die SUVA an ihren Begehren fest.
Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
2.
2.1
Der Beschwerdeführer macht zunächst geltend, die ihm schriftlich eröffnete Urteilsbegründung stimme nicht mit dem Resultat der nicht öffentlichen mündlichen Urteilsberatung des Schiedsgerichts überein.
2.2
In prozessualer Hinsicht beantragt die SUVA, die vom Beschwerdeführer eingereichten Unterlagen, mit denen dieser die Abweichung zwischen mündlicher Urteilsberatung und schriftlicher Urteilsbegründung zu beweisen sucht, seien als unzulässig aus dem Recht zu weisen. Sie begründet dies damit, die Unterlagen enthielten Aussagen des Schiedsrichters B., mit denen dieser gegen das Sitzungsgeheimnis verstossen habe. Ob dieser Vorwurf gegenüber dem Schiedsrichter zutrifft, ist nicht im vorliegenden Verfahren zu prüfen. Die Frage der Zulässigkeit der eingereichten Beweismittel kann
BGE 138 V 154 S. 157
vorliegend offenbleiben, da, wie in nachstehender Erwägung aufgezeigt wird, es letztlich unerheblich ist, ob der Vorwurf des Beschwerdeführers zutrifft.
2.3
Gemäss
Art. 112 Abs. 1 BGG
sind Entscheide, die der Beschwerde an das Bundesgericht unterliegen, den Parteien schriftlich zu eröffnen. Sie müssen enthalten: die Begehren, die Begründung, die Beweisvorbringen und Prozesserklärungen der Parteien, soweit sie nicht aus den Akten hervorgehen (lit. a); die massgebenden Gründe tatsächlicher und rechtlicher Art, insbesondere die Angabe der angewendeten Gesetzesbestimmungen (lit. b); das Dispositiv (lit. c); eine Rechtsmittelbelehrung einschliesslich Angabe des Streitwerts, soweit dieses Gesetz eine Streitwertgrenze vorsieht (lit. d). Das Bundesgericht kann in Anwendung von
Art. 112 Abs. 3 BGG
einen Entscheid, der den Anforderungen von
Art. 112 Abs. 1 BGG
nicht genügt, an die kantonale Behörde zur Verbesserung zurückweisen oder aufheben.
2.4
Ist es bei einem Gericht üblich, das Dispositiv der Entscheide direkt nach der mündlichen Beratung und Urteilsfällung des Gerichts den Parteien zu eröffnen, so ist nicht zu verhindern, dass nicht in jedem Fall bereits im Zeitpunkt der Dispositiveröffnung die ausformulierte Urteilsbegründung vorliegt. An einer mündlichen Verhandlung werden von den beteiligten Gerichtspersonen oft unterschiedliche Erwägungen angestellt, die anschliessend zu einem in sich geschlossenen Urteilsentwurf zu verarbeiten sind (vgl. auch CHRISTOPH LEUENBERGER, Die Zusammenarbeit von Richter und Gerichtsschreiber, ZBl 87/1986 S. 97 ff., 100). Ebenfalls kann das Gericht während der Redaktion der Begründung zum Schluss kommen, das Dispositiv lasse sich besser anders als während der Beratung vorgesehen begründen oder in der Begründung sollten noch einzelne Aspekte behandelt werden, denen bei der Beratung nicht das notwendige Gewicht beigemessen wurde. Entgegen den Ausführungen des Beschwerdeführers ist dies unproblematisch (so etwa ausdrücklich MAX GULDENER, Schweizerisches Zivilprozessrecht, 3. Aufl. 1979, S. 246). Zudem wäre es für die obere Instanz faktisch unmöglich, die Übereinstimmung von Beratung und Begründung zu überprüfen. Im Weiteren würden sich heikle Abgrenzungsfragen stellen, in welcher Intensität ein Aspekt bei der Beratung angesprochen worden sein müsste, damit er Eingang in die Begründung finden dürfte. Letztlich wäre mit einem gegenteiligen Entscheid dem Beschwerdeführer nicht geholfen: Würde ein Entscheid aufgehoben, weil die
BGE 138 V 154 S. 158
Begründung nicht der Beratung entspricht, und die Sache an die entscheidende Instanz zurückgewiesen, so würde das wieder mit der Sache befasste Gericht wohl wieder im Sinne der in der Zeit zwischen Beratung und Begründung als besser erkannten schriftlichen Begründung entscheiden. Eine Rückweisung einzig aus dem Grund, dass die schriftliche Begründung nicht der Beratung entspreche, würde somit zu einem formalistischen Leerlauf führen.
3.
3.1
Der Beschwerdeführer rügt weiter, die Begründung des vorinstanzlichen Entscheides stamme nicht von den Schiedsrichtern, sondern vom Gerichtsschreiber.
3.2
In der Schweiz ist es in vielen Kantonen und auch am Bundesgericht vorgesehen und üblich, dass die Gerichtsschreiber und Gerichtsschreiberinnen die Gerichtsentscheide redigieren; teilweise helfen sie auch mit, die Urteilsanträge der Richterinnen und Richter vorzubereiten (vgl.
Art. 24 Abs. 2 BGG
). Eine solche Vorgehensweise verstösst somit jedenfalls nicht gegen Bundesrecht; insbesondere entgegen den Vorbringen des Beschwerdeführers auch nicht gegen die EMRK (vgl. etwa Urteil des Europäischen Gerichtshofes für Menschenrechte
Pedro Ramos gegen Schweiz
vom 14. Oktober 2010 § 50).
3.3
Auch wenn mit dem Erstellen von Referaten und Urteilsbegründungen Gerichtsschreiberinnen und Gerichtsschreiber betraut werden und diese auf diesem Weg Einfluss auf den Inhalt eines Entscheides nehmen können (vgl.
BGE 115 Ia 224
E. 7b/aa S. 229), so kann weder die Entscheidkompetenz (vgl.
BGE 134 I 184
E. 5.5.4 S. 197) noch die Verantwortung für die Begründung an diese delegiert werden (so etwa, für die Situation am Bundesgericht: PETER UEBERSAX, in: Basler Kommentar, Bundesgerichtsgesetz, 2. Aufl. 2011, N. 61 zu
Art. 24 BGG
).
3.4
Nicht nur das Dispositiv, sondern auch die Begründung eines Entscheides muss der Meinung der Mehrheit des Spruchkörpers entsprechen (vgl. LEUENBERGER, a.a.O., S. 106; ALAIN WURZBURGER, in: Commentaire de la LTF, 2009, N. 23 zu
Art. 24 BGG
; GULDENER, a.a.O.). Dies folgt bei den direkten Vorinstanzen des Bundesgerichts bereits aus dem Umstand, dass das Bundesgericht im Vergleich zu den ihm vorgelagerten Gerichten regelmässig über eine engere Kognition verfügt; je nach der Begründung eines Entscheides können daher die Erfolgsaussichten einer Anfechtung verschieden sein.
BGE 138 V 154 S. 159
3.5
Damit sichergestellt ist, dass die Begründung eines Entscheides der Meinung des Spruchkörpers entspricht, müssen die beteiligten Richterinnen und Richter davon Kenntnis nehmen und Änderungsanträge stellen können. In welcher Art und Weise dies geschieht, bestimmt sich indessen nicht nach Bundesrecht, sondern nach dem jeweils anwendbaren (kantonalen) Prozess- und Gerichtsorganisationsrecht (für die Situation am Bundesgericht s. Art. 45 f. des Reglements vom 20. November 2006 für das Bundesgericht [BGerR; SR 173.110.131]).
Gemäss dem vorinstanzlichen Entscheid war für das Verfahren vor dem Schiedsgericht nach
Art. 57 UVG
unter anderem das Konkordat vom 27. März 1969 über die Schiedsgerichtsbarkeit subsidiär anwendbar. Art. 33 Abs. 2 dieses Konkordates sieht vor, dass der Schiedsspruch mit dem Datum zu versehen und von den Schiedsrichtern zu unterzeichnen ist. Die Unterschrift der Mehrheit der Schiedsrichter genügt, wenn im Schiedsspruch vermerkt wird, dass die Minderheit die Unterzeichnung verweigert. Nachdem die Instruktionsrichterin die Sache in Anwendung von
Art. 112 Abs. 3 BGG
zur Verbesserung an das Schiedsgericht zurückgewiesen hat, erfüllt der angefochtene Entscheid diese Vorschrift. Gleichzeitig steht nunmehr auch fest, dass die Urteilsbegründung der Ansicht der Mehrheit des Spruchkörpers entspricht.
Zusammenfassend ist der vorinstanzliche Entscheid nicht aus formellen Gründen aufzuheben.
4.
4.1
Materiell ist streitig und zu prüfen, ob der Beschwerdeführer als kantonal approbierter Zahnarzt berechtigt ist, die an eine Notfallbehandlung anschliessende Regelbehandlung zu Lasten der SUVA abzurechnen. Da es sich somit nicht um eine Leistungsstreitigkeit im Sinne von
Art. 97 Abs. 2 und
Art. 105 Abs. 3 BGG
handelt, ist dem Entscheid der Sachverhalt zu Grunde zu legen, wie ihn die Vorinstanz festgestellt hat (
Art. 105 Abs. 1 BGG
).
4.2
Als Ärzte, Zahnärzte und Apotheker im Sinne des UVG gelten gemäss
Art. 53 Abs. 1 Satz 1 UVG
Personen, die das eidgenössische Diplom besitzen. Diesen gleichgestellt sind in Anwendung von
Art. 53 Abs. 1 Satz 2 UVG
Personen, denen aufgrund eines wissenschaftlichen Befähigungsausweises eine kantonale Bewilligung zur Ausübung des ärztlichen oder zahnärztlichen Berufes erteilt worden ist.
BGE 138 V 154 S. 160
4.3
Es steht fest und ist unbestritten, dass es dem Beschwerdeführer aufgrund einer kantonalen Bewilligung erlaubt ist, als Zahnarzt tätig zu sein. Zu prüfen ist jedoch, ob diese Bewilligung aufgrund eines wissenschaftlichen Befähigungsausweises ("sur la base d'un certificat de capacité scientifique", "in base a un certificato scientifico di capacità") erteilt wurde.
4.4
Wie die Vorinstanz zutreffend erwogen hat, war die Anerkennung kantonal approbierter Zahnärzte in den Beratungen zum UVG umstritten. Ein Antrag, unabhängig von einem wissenschaftlichen Befähigungsausweis alle Zahnärzte mit kantonaler Bewilligung zur Erbringung von Leistungen zu Lasten der SUVA zuzulassen, fand im Nationalrat keine Mehrheit (vgl. AB 1979 N 255 f.). Ausgeschlossen werden sollten nach dem Votum des Bundespräsidenten Hürlimann (AB 1979 N 256) "Aerzte, Naturärzte usw.", die ohne einen wissenschaftlichen Ausweis ihrer Ausbildung diesen Beruf ausüben. In der Lehre wird davon ausgegangen, ein solcher Befähigungsausweis setze eine - allenfalls im Ausland erworbene - Hochschulausbildung voraus, die dem schweizerischen Universitätsstandard entspricht (THOMAS A. BÜHLMANN, Die rechtliche Stellung der Medizinalpersonen im Bundesgesetz über die Unfallversicherung vom 20. März 1981, 1985, S. 219; vgl. auch ALFRED MAURER, Schweizerisches Unfallversicherungsrecht, 2. Aufl. 1989, S. 518 Fn. 1332). Dies erscheint auch mit Blick auf die Regelung im Bereich der Krankenversicherung (vgl.
Art. 43 KVV
[SR 832.102] in Verbindung mit Art. 36 Abs. 3 des Bundesgesetzes vom 23. Juni 2006 über die universitären Medizinalberufe [Medizinalberufegesetz, MedBG; SR 811.11] und Art. 14 Abs. 2 der Verordnung vom 27. Juni 2007 über Diplome, Ausbildung, Weiterbildung und Berufsausübung in den universitären Medizinalberufen [Medizinalberufeverordnung, MedBV; SR 811.112.0]) und der Militärversicherung (Art. 22 Abs. 1 des Bundesgesetzes vom 19. Juni 1992 über die Militärversicherung [MVG; SR 833.1] - vgl. zur Anwendung der Vorschriften der Krankenversicherung auf die Militärversicherung: JÜRG MAESCHI, Kommentar zum Bundesgesetz über die Militärversicherung, 2000, N. 9 zu
Art. 22 MVG
) als sachgerecht.
4.5
Die kantonale Bewilligung des Beschwerdeführers wurde zwar aufgrund einer bestandenen Prüfung, jedoch ohne dass er eine Hochschulausbildung durchlaufen hätte, ausgestellt. Diese Bewilligung wurde damit nicht aufgrund eines wissenschaftlichen Befähigungsausweises im Sinne von
Art. 53 Abs. 1 UVG
erteilt. Der Beschwerdeführer ist damit nicht berechtigt, über die Notfallbehandlung
BGE 138 V 154 S. 161
hinausgehende Leistungen zu Lasten der obligatorischen Unfallversicherung abzurechnen. Der entsprechende vorinstanzliche Entscheid besteht demnach zu Recht; die Beschwerde ist abzuweisen. | null | nan | de | 2,012 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
7b950989-a685-4b2c-84b8-046c21f50fcd | Urteilskopf
102 V 18
6. Auszug aus dem Urteil vom 19. Januar 1976 i.S. Formicola gegen Schweizerische Unfallversicherungsanstalt und Versicherungsgericht des Kantons Bern | Regeste
Pflicht zur Unfallanzeige: Säumnisfolgen (
Art. 69 Abs. 1 und
Art. 70 Abs. 2 KUVG
).
Nach 10 Jahren gemeldeter Unfall als unentschuldbar verspätet erklärt. | Sachverhalt
ab Seite 18
BGE 102 V 18 S. 18
Aus dem Tatbestand:
A.-
Der italienische Staatsangehörige Gaetano Formicola (geboren 1940) arbeitet seit 1962 in der Schweiz. Während der Monate Juli und August 1964 war er in einer Autogarage und
BGE 102 V 18 S. 19
später in einer Käsefabrik tätig, wo er am 28. Mai 1971 und 9. Juni 1973 zwei Betriebsunfälle erlitt, welche ordnungsgemäss der Schweizerischen Unfallversicherungsanstalt (SUVA) gemeldet wurden.
Am 12. November 1973 teilte Gaetano Formicola der SUVA mit, er habe schon am 16. Juli 1964 einen Betriebsunfall erlitten, weswegen er in Italien noch im Oktober des gleichen Jahres am linken Auge operiert worden sei. Er führte in der Anmeldung aus, die Augenverletzung rühre von einem Metallsplitter her, der beim Schweissen oder Polieren in sein linkes Auge geraten sei. Die SUVA konnte nicht feststellen, wie und wann sich der gemeldete Unfall ereignet hatte.
Mit Verfügung vom 5. Juli 1974 teilte die Anstalt Gaetano Formicola mit, die Störungen an seinem linken Auge seien nicht unfallbedingt, weshalb sie die Gewährung von Versicherungsleistungen ablehne.
B.-
Gegen die Verfügung der SUVA beschwerte sich Gaetano Formicola beim Versicherungsgericht des Kantons Bern. Er liess beantragen, die SUVA sei zu verurteilen, ihm die wegen des Unfalls vom 16. Juli 1964 zustehenden gesetzlichen Leistungen zu erbringen.
Sein Augenarzt teilte dem kantonalen Gericht mit, anlässlich einer Konsultation vom 7. Dezember 1966 habe ihm Gaetano Formicola erklärt, er sei "nach einem Unfall und einer späteren Operation in Italien" erblindet. Gestützt auf diese Angaben und auf die Erklärungen des italienischen Chirurgen, welcher in seinem Bericht vom 28. Dezember 1973 bestätigte, er habe Gaetano Formicola im Oktober 1964 wegen "cataratta traumatica" operiert und damals erfahren, dass der Patient 3 Monate zuvor während des Schweissens eine Verletzung am linken Auge erlitten habe, wies das Versicherungsgericht des Kantons Bern mit Entscheid vom 27. Juni 1975 die Beschwerde ab. Es führte u.a. aus, der Beschwerdeführer müsse sich bereits im Herbst 1964 darüber bewusst gewesen sein, dass sein Augenleiden mit dem behaupteten Unfallereignis zusammenhänge; daher sei die Anmeldung vom 12. November 1973 bei der SUVA offensichtlich unentschuldbar verspätet.
C.-
Mit der vorliegenden Verwaltungsgerichtsbeschwerde erneuert Gaetano Formicola das erstinstanzliche Rechtsbegehren. In der Begründung lässt der Beschwerdeführer zur
BGE 102 V 18 S. 20
Hauptsache vortragen, es sei ihm im November 1973 erstmals bewusst geworden, dass die Erblindung seines linken Auges vom Unfallereignis aus dem Jahre 1964 herrühre; er habe unverzüglich Unfallanzeige an die SUVA erstattet. Ferner habe die Vorinstanz nicht berücksichtigt, dass anlässlich der ersten Konsultation vom 7. Dezember 1966 bei seinem Augenarzt weder über das Datum des Unfalls noch über dessen Anmeldung bei der SUVA gesprochen worden sei und dass auch in persönlicher Hinsicht bedeutsame Momente die Annahme verböten, dem Beschwerdeführer seien die Unfallfolgen früher als im November 1973 bekannt geworden; demzufolge sei kein unentschuldbares Versäumnis im Sinne vom
Art. 70 Abs. 2 KUVG
entstanden.
Erwägungen
Das Eidg. Versicherungsgericht zieht in Erwägung:
1.
Gemäss
Art. 69 Abs. 1 KUVG
hat der Versicherte, der innerhalb oder ausserhalb des Betriebes von einem Unfall betroffen wird, den Betriebsinhaber oder dessen Stellvertreter "ohne Verzug" davon in Kenntnis zu setzen. Um die erheblichen Einzelheiten des Tatbestandes aufnehmen, die Ursache und Schwere des Unfalles abklären und rechtzeitig die geeigneten Behandlungsvorkehren treffen zu können, ist es unerlässlich, dass der Betriebsinhaber und durch ihn die Anstalt so rasch als möglich vom Unfall Mitteilung erhalten. Dass im Zeitpunkt der Anzeige der Anspruch auf Versicherungsleistungen bereits feststehe, ist keineswegs erforderlich. Vielmehr besteht die Pflicht zur Meldung schon dann, wenn der Unfall "mutmasslich" (probablement, presumibilmente) eine Krankheit oder Invalidität zur Folge haben wird, d.h. sobald der Verunfallte, sei es aus eigener Überzeugung, sei es auf Äusserungen seines Arztes hin, das künftige Auftreten von Unfallfolgen als wahrscheinlich erachtet. Ob eine weitere Voraussetzung der Anmeldepflicht darin bestehe, dass dem Verunfallten auch die wahrscheinliche Haftbarkeit der SUVA bewusst sei, ist im Gesetz nicht ausdrücklich statuiert. Indessen muss die Frage aus naheliegenden Gründen bejaht werden. Dagegen ginge es zu weit, von einem Verunfallten unter Androhung von Sanktionen die Meldung eines Schadensereignisses in einem Zeitpunkt zu verlangen, da ihm noch gar nicht bewusst ist, dass sein Leiden mit einem versicherten Unfall wahrscheinlich
BGE 102 V 18 S. 21
in Zusammenhang steht. Wegen bloss möglicher Unfallfolgen oder wegen bloss möglicher Ansprüche den Betriebsinhaber und die Anstalt zu behelligen, wird vom Versicherten nirgends verlangt. Das Gegenteil würde zu einer Überlastung der mit der Abklärung solcher Fälle betrauten Organe führen. Erst dann sollen die in
Art. 70 KUVG
normierten Sanktionen wegen unentschuldbarer Versäumnis eintreten können, wenn der Verunfallte, obschon er damit rechnet oder rechnen muss, dass die SUVA wahrscheinlich für das Unfallereignis grundsätzlich einzustehen und dass der Unfall voraussichtlich eine Krankheit oder eine Invalidität zur Folge haben wird, gleichwohl nicht unverzüglich Anzeige erstattet (vgl. MAURER, Recht und Praxis der Schweizerischen obligatorischen Unfallversicherung, 2. Auflage 1963, S. 163 ff. und die dort zitierte Rechtsprechung).
2.
Die Vorinstanz hat den Anspruch des Beschwerdeführers auf Versicherungsleistungen unter Hinweis auf
Art. 69 Abs. 1 und
Art. 70 Abs. 2 KUVG
als verwirkt erklärt.
Im vorliegenden Fall steht zwar nicht fest, wo, wie und wann der Beschwerdeführer verunfallt ist. Diese Frage braucht aber im letztinstanzlichen Verfahren nicht geprüft zu werden; denn auch unter der Annahme, der Beschwerdeführer sei bei der SUVA versichert gewesen, als er sich den streitigen Unfall zuzog, muss die Verwaltungsgerichtsbeschwerde aus den nachfolgenden Gründen abgewiesen werden.
3.
Dem Bericht des italienischen Chirurgen vom 28. Dezember 1973, welcher Gaetano Formicola wegen traumatischer Katarakta im Oktober 1964 operierte, ist zu entnehmen, dass dem Beschwerdeführer bereits zu jener Zeit der Zusammenhang seines Augenleidens mit einem im gleichen Jahre eingetretenen Unfall bewusst war. Anlässlich einer im Dezember 1966 stattgefundenen Konsultation machte Gaetano Formicola seinen Augenarzt darauf aufmerksam, er sei wegen jenes Unfalles am linken Auge blind. Es steht also fest, dass der Beschwerdeführer schon im Herbst 1964 wusste, sein Leiden stehe in Kausalzusammenhang mit einem Unfallereignis, dessen Folgen zur Erblindung seines linken Auges führten.
4.
Es bleibt zu prüfen, wann dem Beschwerdeführer bewusst geworden ist oder seit wann es ihm zuzumuten war, zu erkennen, dass sein Augenleiden in Zusammenhang mit einem versicherten Unfall steht.
BGE 102 V 18 S. 22
Nach seinen eigenen Angaben vom 5. Juni 1974 der SUVA gegenüber war er ursprünglich als Automechaniker in Italien tätig und kam im September 1962 zum ersten Mal in die Schweiz. Bis zur Zeit des streitigen Unfalles arbeitete er hier in zwei der SUVA unterstellten Betrieben, in denen mit überwiegender Wahrscheinlichkeit die Bekanntgabe der Zugehörigkeit der Betriebe zur obligatorischen Unfallversicherung gemäss Verfügung vom 19. November 1917 des Eidgenössischen Volkswirtschaftsdepartements erfolgte, d.h. durch Anschlag an einer vom versicherten Personal begangenen Stelle. Daher ist es unwahrscheinlich, dass der Beschwerdeführer zur Zeit des Unfalles - dessen Hergang laut Unfall-Anzeige vom 14. Mai 1974 niemand im Betrieb bemerkte - und noch Jahre später nicht wusste, ob er bei der SUVA versichert gewesen sei. Zwar lässt der Beschwerdeführer vortragen, er sei schwerfällig, unselbständig, Analphabet und der deutschen Sprache nicht mächtig. Diesen Argumenten ist aber entgegenzuhalten, dass Gaetano Formicola seinen Namen schreiben kann und dass aus den Akten nichts zu entnehmen ist, was darauf schliessen liesse, er wäre ausserstande, Gedrucktes zu lesen; er selber hat am 7. Dezember 1966 seinem Augenarzt, wie dieser berichtet, über Beschwerden "beim Lesen" geklagt. Ferner ist darauf hinzuweisen, dass der Beschwerdeführer selber sofort eine neue Beschäftigung bei der Autogarage fand, nachdem er im Jahre 1964 von der Firma X. entlassen worden war. Bereits vom Herbst des nachfolgenden Jahres an arbeitete er wieder in der Schweiz bei einer Käsefabrik. Dort erlitt er am 28. Mai 1971 einen Betriebsunfall, den er durch seinen Arbeitgeber unverzüglich der SUVA anmelden liess. Im Juni 1974 gab Gaetano Formicola der SUVA an, er habe einen neuen Arbeitsvertrag mit der Firma Y. abgeschlossen. Dies alles spricht gegen seine angebliche Schwerfälligkeit und Unbeholfenheit.
5.
Die in der Verwaltungsgerichtsbeschwerde gezogenen Vergleiche mit dem in EVGE 1940 S. 7 ff. publizierten Entscheid gehen fehl. Wie die SUVA mit Recht in ihrer Vernehmlassung vom 4. November 1975 dartut, handelte es sich in jener Streitsache um die Meldung neuer Unfallfolgen und nicht, wie im vorliegenden Fall, um die erste Meldung eines versicherten Ereignisses.
Nach dem Gesagten ist die angefochtene Verfügung der
BGE 102 V 18 S. 23
SUVA vorinstanzlich mit Recht auf Grund von
Art. 69 und 70 KUVG
geschützt worden. Selbst wenn anzunehmen wäre, dem Beschwerdeführer sei erst im Jahre 1971 bewusst geworden, die Erblindung seines linken Auges stehe in Zusammenhang mit einem früheren versicherten Unfall, erwiese sich die Anmeldung vom 12. November 1973 gleichwohl als offensichtlich und unentschuldbar verspätet. Denn im Jahre 1971, in welchem der Beschwerdeführer einen Betriebsunfall in der Schweiz erlitt, der ordnungsgemäss der SUVA gemeldet wurde, muss Gaetano Formicola von dieser Anstalt und deren Leistungen wenigstens so viel erfahren haben, dass er nicht in guten Treuen mit der Meldung des Augenschadens zwei weitere Jahre zuwarten durfte.
Dispositiv
Demnach erkennt das Eidg. Versicherungsgericht:
Die Verwaltungsgerichtsbeschwerde wird abgewiesen. | null | nan | de | 1,976 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
7b96ff75-db2c-4949-8108-e8daacfd2196 | Urteilskopf
113 II 303
56. Auszug aus dem Urteil der I. Zivilabteilung vom 1. September 1987 i.S. Konsortium K. gegen W. (Berufung) | Regeste
Art. 18 Abs. 1 BMM
.
Bei der Mitteilung vertraglich vorgesehener Mietzinsanpassungen eines auf feste Dauer abgeschlossenen Mietvertrags gelangt die Zehntagesfrist nicht zur Anwendung (E. 2a). | Sachverhalt
ab Seite 304
BGE 113 II 303 S. 304
A.-
W. (nachfolgend stets als Mieter bezeichnet) war seit 1. April 1972 aufgrund zweier Mietverträge Mieter von zwei Wohnungen in Zürich, die im Laufe der Mietdauer in das Eigentum der Mitglieder des Konsortiums K. (nachstehend durchwegs als Vermieter bezeichnet) übergingen. Beide Mietverträge waren frühestens auf den 30. September 1982 und hernach auf Ende März, Ende Juni und Ende September unter Einhaltung einer sechsmonatigen Kündigungsfrist kündbar. Weiter sahen die Mietverträge unter anderem eine Anpassung des monatlichen Anfangsmietzinses von Fr. 3'920.-- netto bei Änderungen des Hypothekarzinsfusses vor, und zwar auf Monatsende unter Einhaltung einer dreimonatigen Mitteilungsfrist.
B.-
Auf Rekurs des Mieters gegen ein auf Feststellungsklage der Vermieter hin ergangenes Urteil des Mietgerichts des Bezirkes Zürich stellte das Obergericht des Kantons Zürich am 10. Oktober 1986 die Missbräuchlichkeit des Mietzinses insoweit fest, als dieser ab 1. Oktober 1984 den monatlichen Betrag von Fr. 4'115.-- übersteige.
C.-
Sowohl die Vermieter als auch der Mieter haben gegen das Urteil des Obergerichts Berufung eingereicht. Der Mieter beantragt u.a. die Ungültigerklärung der Mietzinserhöhungen per 1. Oktober 1981 und 1. April 1982. Das Bundesgericht weist die Berufung ab.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
2.
c) Der Mieter begründet die verlangte Ungültigerklärung der beiden Mietzinserhöhungen damit, dass die entsprechenden Mitteilungen der Vermieter in Missachtung von
Art. 18 Abs. 1 BMM
weniger als zehn Tage vor Beginn der Kündigungsfrist ergangen seien.
Nach der genannten Bestimmung hat die Mitteilung der Erhöhung mindestens zehn Tage vor Beginn der Kündigungsfrist zu erfolgen, wenn der Vermieter "den im Mietvertrag vereinbarten Mietzins zu erhöhen" beabsichtigt. Diese Bestimmung soll es dem Mieter ermöglichen, durch Kündigung des Mietverhältnisses einer vertraglich nicht vereinbarten Mietzinserhöhung auszuweichen (
BGE 107 II 194
). Wird jedoch wie im vorliegenden Fall ein
BGE 113 II 303 S. 305
Mietvertrag auf feste Zeit abgeschlossen, kann der Mieter der bevorstehenden Mietzinserhöhung nicht durch ordentliche Kündigung entgehen; in der Anpassungsklausel ist denn auch nicht von einer dreimonatigen Kündigungs-, sondern von einer dreimonatigen Mitteilungsfrist die Rede (RENÉ MÜLLER, Der Bundesbeschluss über Massnahmen gegen Missbräuche im Mietwesen, Diss. Zürich 1976, S. 112 f.). Damit entfällt der Schutz aus der zehntägigen Zusatzfrist. Hinzu kommt, dass eine Anpassungsklausel den Vermieter nicht zu einer Abweichung vom bisherigen Vertrag, sondern nur zu einer Erhöhung des Mietzinses im Umfang der getroffenen Abmachungen berechtigt, deren Tragweite dem Mieter jedenfalls im vorliegenden Fall bereits bei Vertragsschluss weitgehend hat bekannt sein müssen, weshalb es sich nicht rechtfertigt, diesem die gleichen Abwehrmöglichkeiten einzuräumen wie bei Abweichungen vom Vertrag, zumal auch der aufgrund einer Anpassungsklausel geänderte Mietzins als missbräuchlich angefochten werden kann (
BGE 108 II 323
E. 2a). Dringt der Mieter damit durch, so bleibt es beim ursprünglichen Zins, unterliegt er, so ist es ihm zuzumuten, den damit als vertragskonform ausgewiesenen Zins zu bezahlen. Soweit sich Literatur und Judikatur mit dieser Frage befasst haben, scheint hierüber wenigstens im Ergebnis Einigkeit zu bestehen (GMÜR/PREROST, Mietrecht für die Praxis, 3. Auflage, S. 99 f. Ziff. 2.2.1.; FÉDÉRATION ROMANDE DES LOCATAIRES, Guide du locataire, S. 123 Ziff. 2.1.3.; RAISSIG/SCHWANDER, Massnahmen gegen Missbräuche im Mietwesen, 4. Auflage, S. 94 lit. ccc; BARBEY, L'arrêté fédéral instituant des mesures contre les abus dans le secteur locatif, S. 107 Ziff. 6; Urteile der Genfer Chambre des Baux et Loyers vom 10. September 1976, der Genfer Cour de Justice vom 22. Mai 1978 sowie des Obergerichts des Kantons Zürich vom 9. Juli 1984, publiziert in: Mitteilungen des Bundesamtes für das Wohnungswesen 6/2, 8/3, 18/6, S. 3 ff. und S. 15 f.).
Es ist demnach nicht bundesrechtswidrig, wenn das Obergericht mit der ersten Instanz bei vertraglichen Mietzinsanpassungen eines auf feste Dauer abgeschlossenen Mietvertrags von der Einhaltung der Zehntagesfrist des
Art. 18 Abs. 1 BMM
absieht. Im übrigen verkennt der Mieter in seiner Berufung, dass eine verspätete Erklärung des Vermieters nicht nichtig wäre, sondern ihre Wirkung auf den nach Gesetz oder Vertrag nächstoffenen Kündigungstermin entfalten würde (
BGE 107 II 194
mit Hinweisen). Unbehelflich ist schliesslich der vom Mieter erhobene Einwand, die zehntägige
BGE 113 II 303 S. 306
Frist bezwecke auch, dem Mieter bei fester Vertragsdauer den Rücktritt gemäss
Art. 269 OR
zu ermöglichen. Diese Bestimmung setzt nicht voraus, dass die Kündigung auf einen bestimmten Kündigungstermin hin erfolgt. | public_law | nan | de | 1,987 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
7b970838-e344-4f69-a90b-2a82a27b29bb | Urteilskopf
102 IV 79
20. Auszug aus dem Urteil des Kassationshofes vom 18. Juni 1976 i.S. G. und M. gegen Statthalteramt des Bezirkes Winterthur. | Regeste
Art. 71, 24 ff. StGB
; Beginn der Verfolgungsverjährung, wenn mehrere Personen als Mittäter oder Teilnehmer ihren Tatbeitrag nicht gleichzeitig erbringen. | Sachverhalt
ab Seite 79
BGE 102 IV 79 S. 79
A.-
M. ist als verantwortlicher Inhaber der Firma D. AG Importeur, Verkäufer und Bewilligungsinhaber der Piccadilly-Spielapparate. Er veranlasste G., den Inhaber der Firma A. AG, an den Münzrohren der beiden Apparate Nr. 193 und 239 Mikroschalter montieren zu lassen, um dadurch die Länge des Geldstockes zu verkürzen und grössere Gewinnauszahlungen zu verhindern. Wegen dieses Mikroschalters kann ein Spieler nur Fr. 18.-- gewinnen; nachher erhält er bloss noch den Einsatz ausbezahlt. G. als Eigentümer dieser Apparate beauftragte S. und L., Geschäftsführer bzw. Servicemechaniker der Firma S.-Automaten AG, diese Abänderungen vorzunehmen. Die so abgeänderten Apparate sind dem Eidg. Justiz- und Polizeidepartement nicht zur Prüfung vorgeführt worden.
M. will am 14. August 1973 einen einzigen Mikroschalter geliefert, und S. die abgeänderten Apparate ab 18. August 1973 in den Restaurants "R." und "W." in Winterthur aufgestellt haben. Bis zum 8. Oktober 1973, Tag der Polizeikontrolle, waren die Apparate in Betrieb.
B.-
Das Statthalteramt des Bezirkes Winterthur büsste mit Strafverfügung vom 21. Februar 1975 M. und S. mit je Fr. 800.--, G. und L. mit je Fr. 400.-- wegen Übertretung des BG über die Spielbanken.
Der Einzelrichter des Bezirksgerichts Winterthur sprach am 18. Juni 1975 L. frei und verurteilte die übrigen zu einer Busse von je Fr. 600.--.
Eine Berufung von M. und G. hat das Obergericht des Kantons Zürich am 24. September 1975 abgewiesen.
BGE 102 IV 79 S. 80
C.-
Mit Nichtigkeitsbeschwerde beantragen G. und M., das Urteil des Obergerichts sei aufzuheben und die Sache zur Freisprechung, eventuell zu neuer Entscheidung, an die Vorinstanz zurückzuweisen. Sie berufen sich u.a. auf Verjährung.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
III.6.
M. macht geltend, die letzte Handlung, die ihm vorgeworfen werden könne, sei die am 14. August 1973 erfolgte Lieferung eines Mikroschalters an die Firma S.-Automaten AG gewesen. Nachher habe er keine strafrechtlich relevanten Handlungen mehr vorgenommen. Das Urteil der Vorinstanz sei aber erst am 24. September 1975 ergangen, also nach Ablauf der zweijährigen absoluten Verjährungsfrist für Übertretungen.
a) Richtig ist, dass die letzte strafrechtlich erhebliche Handlung, die M. persönlich vorgenommen hat, die Lieferung eines Mikroschalters am 14. August 1973 war. Das Obergericht hat die Verjährung aber verneint, weil M. Mittäter der Mitangeklagten gewesen sei.
Gemäss
Art. 71 StGB
beginnt die Verjährung mit dem Tag, an dem der Täter die strafbare Tätigkeit ausführt. Führt er die strafbare Tätigkeit zu verschiedenen Zeiten aus, beginnt sie mit dem Tage, an dem er die letzte Tätigkeit ausführt. Dauert das strafbare Verhalten, beginnt die Verjährung mit dem Tag, an dem dieses Verhalten aufhört.
Damit ist u.a. gesetzlich festgelegt, dass die Verjährung mit der Handlung, nicht mit dem Erfolg zu laufen beginnt, was vor allem für fahrlässige Erfolgsdelikte und für Delikte mit objektiver Strafbarkeitsbedingung erheblich sein kann (s.
BGE 101 IV 22
E. 3).
Offen bleibt die weitere Frage, wie es sich verhält, wenn mehrere Personen als Mittäter oder Teilnehmer ihren Tatbeitrag nicht gleichzeitig erbringen. Beginnt dann die Verjährung für jeden Beteiligten gesondert zu laufen oder läuft sie vom letzten Tatbeitrag an, den irgendein Mittäter oder Teilnehmer setzt? Massgeblich ist der Zeitpunkt, an dem einer der Beteiligten das ausgeführt (oder unterlassen) hat, was nach der sinngemäss ausgelegten gesetzlichen Umschreibung das strafbare Verhalten ausmacht. Haben mehrere die Tat gemeinsam zu verschiedenen Zeiten ausgeführt, ist massgeblich der Zeitpunkt,
BGE 102 IV 79 S. 81
an dem einer der Beteiligten den letzten Teilakt gesetzt hat, der unter das gesetzlich umschriebene strafbare Verhalten fällt (SCHWANDER, Nr. 411 Ziff. 1-4 S. 219, SCHULTZ, Allg. Teil I 2 S. 205 f.; ebenso
BGE 69 IV 63
f. für die mittelbare Tätigkeit und die Teilnahme). Dies rechtfertigt sich aus grundsätzlichen Erwägungen. Mittäter und Teilnehmer schliessen sich zur vorsätzlichen Tatbegehung zusammen. Deshalb steht der Tatbeitrag des einzelnen, der im Rahmen des gemeinsamen Planes liegt, nicht isoliert da. Er ist bewusst und gewollt Teil des Ganzen, des gemeinsamen deliktischen Unternehmens. Deshalb wird der Beitrag jedes einzelnen auch jedem anderen zugerechnet (
BGE 100 IV 4
). Eine gegenteilige Lösung könnte dazu führen, dass Anstifter oder Täter, die schuldmässig die Hauptverantwortung tragen, sich aber im Hintergrund gehalten haben, infolge Verjährung frei ausgehen, was dem subjektiv orientierten Teilnahmebegriff des Strafgesetzbuches widersprechen würde. Diese Lösung umgeht auch Schwierigkeiten, die entstehen könnten, wenn der genaue Zeitpunkt einer Handlung oder Unterlassung festgestellt werden müsste, durch welche der Entschluss oder die Planung der Tat beeinflusst wurde.
b) M. hat zum Einbau des Mikroschalters geraten und ihn auch geliefert. Damit war er an der Errichtung der Spielbank und der Beschaffung der Geräte massgeblich beteiligt. Das reicht aber nicht aus. Denn es steht nicht fest, wann der Mikroschalter fertig eingebaut und die so abgeänderten Spielautomaten abgeliefert bzw. in den Restaurants aufgestellt wurden, die Spielbank damit errichtet war. Die tatsächlichen Feststellungen der Vorinstanz schliessen nicht aus, dass dies am 24. September 1975 oder früher geschah.
Das Obergericht hat indessen sinngemäss angenommen, M. sei auch Mittäter G.s, insoweit dieser die Spielbank betrieben habe. Nur so konnte es annehmen, auch für M. habe die Verjährung erst am 8. Oktober zu laufen begonnen, als die Polizei eingegriffen habe.
Das Spielbankengesetz will vor Ausbeutung der Spielsucht schützen. Der Betrieb der Spielbank steht daher der Gefährdung und Verletzung des geschützten Gutes am nächsten, näher als die andern in
Art. 6 SBG
unter Strafe gestellten Handlungen. Diese Handlungen sind aber Vorstufen des verbotenen Betriebes. Sie werden besonders unter Strafe gestellt,
BGE 102 IV 79 S. 82
um jene fassen zu können, welche die nicht leicht herstellbaren Spielgeräte fabrizieren oder liefern, ohne selber die Spielbank zu betreiben. Damit leisten sie regelmässig bewusst einen wichtigen Tatbeitrag zum Betrieb der Spielbank. Trifft dies zu und verdichtet sich ihr Tatbeitrag im Einzelfall zur Anstiftung zum Betrieb oder zur Mittäterschaft am Betrieb der Spielbank, so bleiben sie unter diesem Gesichtspunkt auch dann strafbar, wenn sie hinsichtlich der andern Begehungsarten wegen Verjährung nicht mehr bestraft werden können. Es ist deshalb zu prüfen, ob M. unter den gegebenen Umständen von der Vorinstanz ohne Verletzung von Bundesrecht als Mittäter G.s am Betrieb der Spielbank angesehen werden kann.
Der Anstoss, vor der Inbetriebnahme der beiden Piccadilly-Spielautomaten Mikroschalter einzubauen, ging von M. aus. Das war für G. umso massgeblicher, als M. der sachverständige Bewilligungsinhaber für diese Spielapparate war, der gemäss Kaufvertrag über die Bauweise der Apparate bestimmen konnte. Darüber hinaus hat M. die Mikroschalter auch geliefert und damit die bewilligungspflichtige Abänderung erheblich gefördert. Dadurch hat M. den Entschluss G.s, die - mangels vorhergehender Bewilligung verbotenen - Piccadilly-Spielautomaten als Spielbanken zu betreiben, entscheidend beeinflusst und darüber hinaus die Verwirklichung dieses Entschlusses wesentlich gefördert. Damit war er aber Mittäter G.s am strafbaren Betrieb der Spielbanken. Deren Betrieb endete erst am 8. Oktober 1973. Die Verjährung ist daher auch für M. nicht eingetreten. | null | nan | de | 1,976 | CH_BGE | CH_BGE_006 | CH | Federation |
7b9a11f8-670a-4b30-a7d9-9ffe7f9e1a78 | Urteilskopf
91 I 360
59. Arrêt de la Ire Cour civile du 5 octobre 1965 dans la cause Tusa SA contre l'Office fédéral du registre du Commerce | Regeste
1. Verwaltungsgerichtsbeschwerde gegen einen Entscheid des eidgen. Amtes, das im Anschluss an ein Wiedererwägungsgesuch einem Handelsregisterführer Weisungen erteilt.
Art. 117 HRegV
. (Erw. 1).
2. Handelsregistereintrag betreffend die Befugnisse des zum Mitglied des Verwaltungsrates gewählten Direktors einer A.-G. (Einzelunterschrift, Kollektivunterschrift).
Art. 717 ff. OR
(Erw. 3 und 4).
3. Prüfungspflicht des Handelsregisterführers.
Art. 940 Abs. 1 OR
,
Art. 21 Abs. 1 HRegV
. (Erw. 2). | Sachverhalt
ab Seite 361
BGE 91 I 360 S. 361
A.-
Le 26 juin 1964, le directeur Pierre Dürheim a été élu membre du conseil d'administration de Tusa SA, à Vevey. En requérant l'inscription du nouvel élu au registre du commerce, la société précisa qu'elle était engagée par la signature individuelle du président et du vice-président du conseil et par la signature collective à deux des autres administrateurs, le directeur Dürheim pouvant la représenter seul en cette qualité.
Le préposé procéda à l'inscription, mais l'Office fédéral du registre du commerce refusa son autorisation et la publication, les 10 mai et 8 juin 1965.
B.-
Tusa SA a recouru au Tribunal cantonal vaudois contre l'avis par lequel le préposé communiqua la seconde décision de l'Office fédéral. L'autorité cantonale a transmis le dossier au Tribunal fédéral, à qui la société avait adressé ultérieurement un recours de droit administratif contre la décision même. L'Office fédéral propose le rejet de ce second recours.
Erwägungen
Considérant en droit:
1.
Le recours de droit administratif est recevable contre les décisions de l'Office fédéral du registre du commerce (art. 99 I lettre b OJ). En l'espèce, les instructions de l'office ont été simplement notifiées par le préposé de Vevey, qui avait procédé à l'inscription litigieuse; on ne se trouve dès lors pas dans le cas du recours à l'autorité cantonale de surveillance (
art. 3 al. 3 ORC
), mais d'un refus d'approbation au sens de l'
art. 117 ORC
. Le recours de droit administratif est ouvert, même si le refus s'est manifesté sous la forme d'instructions internes adressées au préposé (RO 65 I 139 et 152, 63 I 32, 60 I 28, 59 I 40; BIRCHMEIER, p. 421/2 ch. 2).
Après avoir pris une première fois position, l'Office fédéral a procédé à un second examen provoqué par de nouveaux arguments de la recourante; puis il a confirmé son refus. Formé en temps utile contre cette seconde décision, le recours de droit administratif est recevable, car l'administration a reconsidéré le cas au fond (RO 60 I 52, 70 I 120, 72 I 55, 75 I 392, 83 I 32 consid. 1, 86 I 245 consid. 2).
2.
Avant de procéder à une inscription, le préposé au registre du commerce doit vérifier si les conditions prévues
BGE 91 I 360 S. 362
par la loi ou l'ordonnance sont remplies (
art. 940 al. 1 CO
et 21 al. 1 ORC). S'il apprécie librement la portée des normes qui régissent immédiatement la tenue du registre, son pouvoir d'examen est en revanche restreint lorsqu'il interprète des règles, de droit civil ou de droit public, qui fondent la conformité de la réalité constatée avec la loi et dont le respect constitue donc la condition indirecte de l'inscription.
En premier lieu, fidèle au texte de la loi et à la pratique du Conseil fédéral, le Tribunal fédéral a toujours prononcé qu'il incombe au juge seul de rechercher si une décision respecte les statuts d'une personne morale; quand bien même elle aurait été prise manifestement, par exemple, en violation de règles statutaires qui imposent une majorité qualifiée, le préposé ne saurait rejeter la requête pour cette seule raison: il examine uniquement la légalité de l'inscription requise (RO 59 I 239, 62 I 25).
En second lieu, selon un principe appliqué par les
art. 940 al. 2 CO
et 21 al. 2 ORC au cas particulier de l'examen des statuts lors de l'inscription d'une personne morale, mais qu'il convient de généraliser, comme l'a fait l'arrêt Wildenthaler et Neu-Email AG rendu le 22 novembre 1939 (et cité au RO 67 I 114), le préposé ne doit refuser d'inscrire une décision de l'assemblée générale d'une société anonyme que si, par son contenu ou le mode selon lequel elle a été prise, elle viole des règles légales impératives, édictées pour la sauvegarde de l'intérêt public ou la protection des tiers. Lorsqu'en revanche les règles légales qu'on n'a point respectées sont de droit dispositif ou ne visent du moins qu'à protéger des intérêts privés, notamment les actionnaires minoritaires, les personnes lésées peuvent (et doivent) faire valoir leurs droits par la voie de l'action (
art. 706 CO
; RO 80 II 271 sv.). Jusqu'à l'annulation, la décision est valable; elle est ratifiée si la voie judiciaire n'est pas utilisée. Dans un tel cas, le préposé est dans le doute; il n'a pas à intervenir avant la décision du juge.
A vrai dire, la limite entre la nullité et l'annulabilité et leurs natures respectives sont parfois difficiles à saisir. Aussi bien, un refus n'est justifié qu'autant que le droit s'oppose manifestement et certainement à l'inscription (offensichtlich und unzweideutig). Dans la négative, le juge seul tranchera (RO 56 I 137 sv., 60 I 57, 62 I 262, 67 I 113 sv. et 345, 75 I 324, 78 I 450, 85 I 64, 86 I 107). A plus forte raison, des considérations
BGE 91 I 360 S. 363
d'ordre pratique, l'intérêt ou l'utilité, ne sont pas décisives (RO 60 I 394, 67 I 349).
3.
Selon l'Office fédéral, un fondé de pouvoir signe en ajoutant à la raison de commerce l'indication de la procuration (
art. 458 al. 1 CO
et 26 al. 3 ORC) et ses attributions sont limitées par la loi. Vu cette adjonction et cette restriction légales, les tiers ne sauraient ignorer en quelle qualité il signe et ils sont à même d'en distinguer les pouvoirs de ceux - illimités - d'un administrateur (RO 67 I 342, 86 I 105). Le directeur, en revanche, signe sans adjonction et ses attributions ne sont pas restreintes à l'égard des tiers. S'il possède en outre, comme administrateur, la signature collective à deux, le public, ignorant en quelle qualité il agit, sera victime d'une confusion qu'un registre public (
art. 9 CC
) aura propagée et que la loi réprouve.
Cette conclusion surprend. Dürheim, en effet, engage toujours la recourante valablement, dans les rapports externes, qu'il signe seul ou avec un second administrateur. Dans le premier cas, il agit en qualité de directeur. Non seulement cela est reconnaissable (à l'absence d'une seconde signature), mais aucun désagrément n'en peut résulter dans les relations d'affaires, car ses pouvoirs n'ont pas été diminués et sont illimités (BÜRGI, no 9 ad
art. 718 CO
; SCHUCANY, no 3 ad
art. 718 CO
; RO 44 II 136 et 52 II 360). Or la restriction du droit de représenter seul la société, c'est cela qui expliquerait, selon l'office, que la signature individuelle du fondé de pouvoir puisse faire l'objet d'une inscription, outre celle de la signature collective en tant qu'administrateur, en raison seulement de la mention de la procuration (RO 86 I 113/4). - Quant aux règles sociales internes, que le signataire les respecte ou les viole n'a pas d'incidence sur les intérêts des tiers, ce qui est décisif en matière d'inscription au registre du commerce.
Il s'ensuit que le préposé, dont l'examen est limité (consid. 2), ne pouvait objecter que l'inscription requise, pour le motif invoqué par l'Office fédéral, était contraire à la vérité ou contenait quoi que ce soit qui pût induire en erreur ou heurtât un intérêt public (
art. 38 al. 1 ORC
).
4.
Au demeurant, la société anonyme jouit, sous réserve de l'
art. 718 al. 1 et 2 CO
, d'une grande liberté pour adapter son mode de représentation aux nécessités des affaires ou de son organisation interne, qui n'est pas opposable aux tiers
BGE 91 I 360 S. 364
de bonne foi. La loi et le contenu de l'inscription suffisent à éclairer le public. Il est ainsi concevable qu'un directeur fasse partie du conseil d'administration et signe en ces deux qualités (BÜRGI, no 27 in fine ad
art. 717 CO
). Aux termes d'une opinion citée par l'office, on pourrait éventuellement violer l'
art. 718 al. 2 CO
, peut-être de manière évidente, en habilitant une seule et même personne à traiter avec les tiers dans certains cas seule, dans d'autres en revanche avec le concours de collaborateurs ("die Anordnung, dass jemand in einem Falle einzeln, in einem anderen Falle dagegen nur kollektiv mit einem Dritten zu handeln befugt sein solle"; F. VON STEIGER, Das Recht der Aktiengesellschaft in der Schweiz, 2e éd., p. 251; cf. BÜRGI, no 17 ad
art. 718 CO
; SIEGMUND, Handbuch für die schweizerischen Handelsregisterführer, p. 437). Mais en l'espèce, Dürheim engagera dans tous les cas la société à l'égard des tiers (consid. 3), qu'il signe seul ou avec un autre administrateur.
Ainsi donc, l'étendue illimitée des pouvoirs externes du directeur justifie l'inscription, tant sous l'angle de l'
art. 718 CO
qu'à la lumière de l'
art. 38 al. 1 ORC
.
Dispositiv
Par ces motifs, le Tribunal fédéral:
1. Admet le recours et annule la décision de l'Office fédéral du registre du commerce du 8 juin 1965;
2. Invite cet office à approuver l'inscription requise au registre du commerce. | public_law | nan | fr | 1,965 | CH_BGE | CH_BGE_001 | CH | Federation |
7bacf05d-e7df-4b00-b394-f7f4c7555b12 | Urteilskopf
98 V 155
39. Extrait de l'arrêt du 20 juin 1972 dans la cause Société romande d'assurance-maladie et accidents L'Avenir contre Nemeth et Tribunal des assurances du canton de Neuchâtel | Regeste
Art. 12ff. und 19bis KUVG.
Voraussetzungen des Leistungsanspruchs bei Hospitalisierung im Ausland (Behandlung unter ärztlicher Leitung, Anmeldung, Erfordernis eines ärztlichen Zeugnisses). | Erwägungen
ab Seite 155
BGE 98 V 155 S. 155
Extrait des considérants:
2.
Ainsi que la Cour de céans l'a reconnu dans sa jurisprudence, les dispositions de la LAMA sur l'assurance-maladie ont une portée territoriale. A défaut de règles contraires des statuts, les caisses-maladie n'ont pas à verser de prestations pour des affections traitées hors de Suisse, même si l'assuré est tombé malade à l'étranger (cf. p.ex. ATFA 1967 p. 185, v. consid. 3 et 4 p. 190-193; RJAM 1969 p. 84 No 47).
L'art. 54 chiffre 1er des conditions d'assurance de la caissemaladie recourante prévoit précisément qu'est assuré le traitement hors de Suisse de certaines maladies survenues à l'étranger lors de vacances ou d'un déplacement professionnel.
3.
Mais l'art. 54 chiffre 2 des conditions d'assurance subordonne la prise en charge de tels traitements à deux conditions: qu'ils soient dirigés par un médecin diplômé et autorisé à pratiquer; que la caisse-maladie ou l'employeur reçoive dans les dix jours un certificat médical de début de traitement mentionnant le nom et le prénom du médecin traitant et son adresse exacte.
BGE 98 V 155 S. 156
Il n'est pas contesté que la première condition soit réalisée en l'espèce. La seconde, en revanche, fait l'objet de discussions et mérite d'être examinée de plus près.
a) S'agissantd'affections traitées en Suisse, le Tribunal fédéral des assurances s'est exprimé en ces termes dans l'arrêt Fontela, du 17 août 1967 (ATFA 1967 p. 131, v. consid. 2 p. 135): "... l'annonce immédiate (ou dans un certain délai) des cas de maladie et des accidents peut certainement être imposée aux membres des caisses, avec menace de suspension du droit aux prestations jusqu'à exécution de cette obligation au moins, sous réserve des cas où un tel avis ne saurait raisonnablement être exigé. Il s'agit là, en effet, d'une règle d'ordre nécessaire, ou en tout cas très utile, à la bonne marche de l'assurance." Dans l'arrêt Mesoraca, du 25 juillet 1968, le Tribunal fédéral des assurances a précisé que l'assuré collectif qui annonce sa maladie à l'employeur, et non à la caisse, ne doit point en subir de préjudice s'il n'a pas reçu les statuts où figure l'obligation de s'annoncer directement à la caisse (ATFA 1968 p. 153, v. consid. II p. 156). En revanche, l'annonce du cas de maladie à une compagnie d'assurances privée, voire à une caisse reconnue, ne remplace pas celle qui doit être faite à une autre caisse-maladie reconnue (arrêts: Paratte, du 9 mars 1970 [RO 96 V 8, v. consid. 2 p. 10], où le Tribunal fédéral des assurances s'est demandé si cette règle là était absolue, mais a laissé la question indécise; Mathez, du 12 mai 1971 [RO 97 V 70]).
b) La jurisprudence précitée s'applique à la règle d'ordre de l'art. 67 chiffres 1 et 2 des conditions d'assurance de la caisse-maladie recourante, valable pour les assurés en Suisse et selon laquelle le membre malade doit en aviser la caisse dans les trois jours, faute de quoi il ne reçoit les prestations que depuis le jour où l'avis est donné. Il faut se demander si elle concerne aussi la prescription de l'art. 54 chiffre 2 lettre b desdites conditions d'assurance, où la réception dans les dix jours d'un certificat médical n'est pas exigée en vertu d'une règle d'ordre mais constitue une condition de l'existence d'un droit statutaire exceptionnel, le droit de se faire traiter à l'étranger.
c) Or cette condition, prise à la lettre, restreint considérablement l'étendue de ce droit.
Elle est objectivement irréalisable dans de nombreuses circonstances, tenant soit à l'assuré (par exemple s'ilest inconscient
BGE 98 V 155 S. 157
pendant les premiers jours du traitement médical), soit à l'endroit où le traitement a lieu (par exemple une région mal desservie par la poste, habituellement ou à raison de grèves ou de troubles politiques). Sans que la condition ait été d'emblée irréalisable, un certificat régulièrement expédié dans des circonstances normales peut néanmoins se perdre accidentellement en cours de route. Dans l'hypothèse de régions mal desservies par la poste, habituellement ou temporairement, il est concevable que la caisse-maladie refuse d'intervenir, faute de recevoir un certificat médical dans les dix jours, parce qu'elle éprouverait décidément trop de difficulté pour contrôler le cas. Un tel refus s'applique à tous les membres en traitement dans de telles régions. Il n'est pas contraire au droit fédéral que la caisse, qui pourrait refuser les traitements à l'étranger, ne les accepte que dans des régions définies explicitement ou implicitement selon un critère raisonnable ou bien encore dans des régions expressément déterminées.
Au contraire, dans l'hypothèse où un assuré est soigné dans une région en correspondance normale et rapide avec la Suisse mais est empêché d'agir par la maladie, la condition de l'art. 54 chiffre 2 lettre b des conditions d'assurance revient à exclure de l'assurance, non pas "ratione loci" mais "ratione materiae", les maladies qui s'accompagnent de la perte de la conscience, de la perte de la volonté ou de la perte de la capacité de s'exprimer. Ce critère est dénué de relation avec le lieu du traitement. Il aboutit à désavantager les malades qui ont le plus besoin d'être soignés sur place. Il n'est compatible avec le principe de l'égalité des membres que si le délai de dix jours court dès l'instant où l'assuré est conscient de son état et apte à s'exprimer.
Quant au cas d'un certificat dont l'expédition serait prouvée mais qui viendrait à s'égarer, il n'est pas nécessaire pour juger la présente cause de dire qui, de l'assuré ou de la caisse, doit supporter les conséquences de la disparition ou du retard... | null | nan | fr | 1,972 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
7bae9550-3012-4610-bba6-b16354a5db64 | Urteilskopf
108 Ib 115
21. Urteil der II. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 9. Juli 1982 i.S. Eidg. Steuerverwaltung gegen Zeller (Verwaltungsgerichtsbeschwerde) | Regeste
Militärpflichtersatz (Art. 4 Abs. 1 lit. c MPG).
Von der Militärdienst-Ersatzpflicht befreit im Sinne von Art. 4 Abs. 1 lit. c MPG ist nur der diensttaugliche Wehrpflichtige. | Sachverhalt
ab Seite 115
BGE 108 Ib 115 S. 115
Niklaus Zeller bestand im Jahre 1961 die Rekrutenschule. Am 12. November 1964 erklärte ihn die sanitarische Untersuchungskommission
BGE 108 Ib 115 S. 116
Winterthur wegen eines Magenleidens als dienstuntauglich. Gegen die Veranlagung für den Militärpflichtersatz des Jahres 1979 erhob Zeller Einsprache mit der Begründung, er sei aufgrund seiner Stellung als Narkosepfleger im Spital Schwyz von der Dienstpflicht und daher gemäss Art. 4 Abs. 1 lit. c des Bundesgesetzes über den Militärpflichtersatz in der am 22. Juni 1979 geänderten Fassung auch von der Ersatzpflicht befreit. Die Einsprache blieb erfolglos. Das Verwaltungsgericht des Kantons Schwyz wies eine Beschwerde Zellers ab, soweit sie sich gegen die Veranlagung für das Jahr 1979 richtete. Soweit sie sich gegen die Aberkennung der Ersatzabgabe-Befreiung ab dem Jahre 1980 richtete, hiess das Verwaltungsgericht die Beschwerde hingegen gut. Das Bundesgericht schützt eine Beschwerde der Eidg. Steuerverwaltung gegen diesen Entscheid und hebt ihn auf.
Erwägungen
Erwägungen:
1.
Das Bundesgesetz über den Militärpflichtersatz vom 12. Juni 1959 (MPG in SR 661) wurde am 22. Juni 1979 teilweise geändert (AS 1979, 1733). Gemäss Ziff. III dieser Änderung bestimmt der Bundesrat das Inkrafttreten dieses Gesetzes und das Ersatzjahr, auf das es erstmals anwendbar ist. Gestützt auf diese Ermächtigung hat der Bundesrat die Änderung mit Beschluss vom 7. November 1979 auf den 1. Januar 1980 in Kraft gesetzt und gleichzeitig angeordnet, dass sie erstmals auf das Jahr 1979 anwendbar ist (AS 1979, 1739). Die Neuregelung ist daher erstmals für das Ersatzjahr (Art. 2 MPG) 1979 massgebend. Angesichts dieser ausdrücklichen Bestimmung über den zeitlichen Anwendungsbereich des am 22. Juni 1979 geänderten Militärpflichtersatzgesetzes (nMPG) bleibt für die Anwendung der älteren, allgemeinen Übergangsbestimmung des Art. 46 MPG kein Raum. Sofern sich erweisen sollte, dass die Anwendung des nMPG im vorliegenden Fall gegenüber dem MPG in der Fassung vom 12. Juni 1959 (aMPG) eine Änderung herbeigeführt hat, ist die Neuregelung schon für das Ersatzjahr 1979 anzuwenden.
2.
Schweizer Bürger, die ihre Wehrpflicht nicht oder nur teilweise durch persönliche Dienstleistung (Militärdienst) erfüllen, haben einen Ersatz in Geld zu leisten (Art. 1 MPG, vgl. auch Art. 2 der Militärorganisation der Schweizerischen Eidgenossenschaft vom 12. April 1907, MO in SR 510.10). Ersatzpflichtig sind gemäss Art. 2 nMPG diejenigen Wehrpflichtigen, die
"in einem Kalenderjahr (dem Ersatzjahr)
BGE 108 Ib 115 S. 117
a) während mehr als sechs Monaten nicht in einer Formation der Armee eingeteilt sind;
b) während mehr als sechs Monaten dem Hilfsdienst angehören;
c) als Dienstpflichtige ihren Militärdienst versäumen.
Nicht ersatzpflichtig ist, wer seine Dienstpflicht im Ersatzjahr tatsächlich erfüllt hat, obwohl er nicht während des ganzen Jahres als Dienstpflichtiger eingeteilt war".
Der Beschwerdegegner ist als Dienstuntauglicher nicht in einer Formation der Armee eingeteilt. Er ist daher nach Art. 2 Abs. 1 lit. a nMPG ersatzpflichtig. Es kann sich nur fragen, ob er gemäss ausdrücklicher Bestimmung von der Ersatzpflicht befreit sei, wie die Vorinstanz in Anwendung von Art. 4 Abs. 1 lit. c nMPG angenommen hat.
3.
Von der Ersatzpflicht befreit ist nach Art. 4 Abs. 1 lit. c nMPG unter anderem, "wer im Ersatzjahr nach Art. 13 der Militärorganisation der Schweizerischen Eidgenossenschaft von der persönlichen Dienstleistung befreit ist".
a) Nach
Art. 13 Abs. 1 Ziff. 3 MO
haben die ärztlichen Direktoren, die ständigen Vorsteher und das unerlässliche Pflegepersonal der öffentlichen Krankenanstalten während der Dauer ihres Amtes oder ihrer Anstellung keinen Militärdienst zu leisten. Über die Unentbehrlichkeit von Pflegepersonal entscheidet der Bundesrat. Nach Art. 6 Abs. 3 der Verordnung über die Dienstbefreiung vom 7. Juli 1953 (Dienstbefreiungsverordnung in SR 511.31) gehören unter anderem die Krankenpfleger der öffentlichen Spitäler, die im Besitze eines vom Schweizerischen Roten Kreuz oder einer kantonalen Sanitätsbehörde ausgestellten Berufsdiploms sind, zum unerlässlichen Pflegepersonal. Es ist unbestritten, dass der Beschwerdegegner als diplomierter Pfleger des Spitals Schwyz zum unerlässlichen Pflegepersonal einer öffentlichen Krankenanstalt gehört und daher gemäss
Art. 13 Abs. 1 MO
während der Dauer seiner Anstellung keinen Militärdienst zu leisten hätte.
b) Nach
Art. 13 Abs. 2 MO
erfolgt die Befreiung vom Militärdienst auf Gesuch hin durch das Eidg. Militärdepartement. Mit dieser Vorschrift soll sichergestellt werden, dass die Militärbehörden und die Truppenkommandanten von derartigen Befreiungen unterrichtet werden und rechtzeitig die erforderlichen administrativen Massnahmen treffen können. Das Eidg. Militärdepartement hat zwar allen Gesuchen stattzugeben, bei denen die gesetzlichen Voraussetzungen der Dienstbefreiung erfüllt sind; die Dienstbefreiung wird indessen erst mit dem Erlass der in
Art. 13 Abs. 2 MO
vorgesehenen Verfügung wirksam (vgl. Botschaft des Bundesrates über
BGE 108 Ib 115 S. 118
die Änderung der Militärorganisation vom 30. Juni 1960 in BBl 1960 II 392 f.; vgl. auch Art. 3 Dienstbefreiungsverordnung). Der Verfügung im Sinne von
Art. 13 Abs. 2 MO
kommt insofern konstitutive Bedeutung zu.
c) Wehrpflichtige, die aus einem in ihrer Person liegenden Grund von der persönlichen Dienstpflicht befreit und daher nicht in die Armee eingeteilt sind, müssen nicht nach
Art. 13 MO
aufgrund ihres Amtes oder ihrer Anstellung von der Militärdienstpflicht befreit werden. Eine ausdrückliche Befreiung nach
Art. 13 Abs. 2 MO
ist in diesen Fällen weder möglich noch erforderlich. Einer allfälligen Feststellung, dass solche Wehrpflichtige nicht nur aus persönlichen Gründen von der Militärdienstpflicht befreit sind, sondern ausserdem wegen ihrer beruflichen Stellung zu befreien wären, kommt für die Freistellung keine Bedeutung zu. Es liegen somit in diesen Fällen nicht zwei verschiedene Gründe der Dienstbefreiung vor, wovon der eine die Befreiung auch von der finanziellen Ersatzpflicht begründen würde (wie dies in
BGE 81 I 68
E. 3 zutraf). Die Eidg. Steuerverwaltung macht in ihrer Beschwerde zu Recht geltend, dass Wehrpflichtige, die schon aus andern, persönlichen Gründen nicht in der Armee eingeteilt sind, nicht gemäss Art. 4 Abs. 1 lit. c nMPG "nach Art. 13 der Militärorganisation von der persönlichen Dienstleistung befreit" sind.
4.
Weder aus der Natur der Militärpflichtersatzabgabe noch aus der Entstehungsgeschichte des Art. 4 Abs. 1 lit. c nMPG ergibt sich, dass dienstuntaugliche Wehrpflichtige, die ein Amt im Sinne von
Art. 13 Abs. 1 MO
versehen, von der Ersatzpflicht befreit werden müssten.
a) Mit dem Militärpflichtersatz soll die allgemeine Wehrpflicht im Sinne von
Art. 18 BV
verwirklicht, das Milizsystem gewährleistet und die Rechtsgleichheit zwischen Dienstpflichtigen und Nicht-Dienstpflichtigen hergestellt werden (vgl. Botschaft des Bundesrates vom 11. Juli 1958 über die Änderung des Militärpflichtersatzes in BBl 1958 II 339, vgl. auch WALTI, Der schweizerische Militärpflichtersatz, Diss. Zürich 1979, S. 46 N. 110 f., betr. eine Feuerwehrersatzabgabe vgl.
BGE 102 Ia 15
E. 6a). Er bildet eine Ersatzabgabe desjenigen Wehrpflichtigen, der diese Pflicht nicht oder nicht im vollen gesetzlichen Umfang durch persönliche Dienstleistung erbringt (
BGE 91 I 430
E. 2, vgl. auch
BGE 97 I 804
E. 6c am Ende). Die Militärpflichtersatzabgabe knüpft an die Nichterfüllung der persönlichen Dienstpflicht (
Art. 18 Abs. 4 BV
, Art. 1 MPG,
Art. 2 MO
); für die Entstehung der Ersatzpflicht ist der Grund, weshalb die
BGE 108 Ib 115 S. 119
persönliche Dienstpflicht nicht erfüllt wird, unerheblich (vgl. WALTI, a.a.O., S. 83 N. 199). Die Befreiung von der Ersatzabgabe trotz Nichterfüllung der persönlichen Dienstleistung bedarf indessen selbständiger Begründung.
b) Die Befreiung von der Ersatzabgabe war nach Art. 4 Abs. 1 lit. c aMPG (AS 1959, 2036) für das Lehrpersonal der Armee, das Festungswachtkorps, das Überwachungsgeschwader und die von der persönlichen Dienstleistung befreiten Angehörigen des Grenzwachtkorps und der organisierten Polizeikorps vorgesehen. Diese Wehrpflichtigen erfüllen in ihrer beruflichen Stellung nicht nur militärische oder paramilitärische Aufgaben, sondern ihre Tätigkeit erfolgt auch in militärischer oder militärähnlicher Form. Sie sind daher ähnlichen Mühen, Lasten und Risiken ausgesetzt, wie die Wehrpflichtigen bei der Erfüllung ihrer Dienstpflicht. Dies war seinerzeit der Grund für die Befreiung nach Art. 4 Abs. 1 lit. c aMPG (vgl. Botschaft des Bundesrates über die Neuordnung des Militärpflichtigen vom 11. Juli 1958 in BBl 1958 II 340; vgl. auch VEB 1958 Nr. 6, S. 32 f., 35;
BGE 91 I 431
E. 2), wobei vorausgesetzt werden konnte, dass es sich bei diesen Angehörigen militärischer oder paramilitärischer Formationen um Militärdiensttaugliche handelte.
c) Mit der Revision von Art. 4 Abs. 1 lit. c MPG vom 22. Juni 1979 wurde die Ersatzbefreiung auf alle Wehrpflichtigen ausgedehnt, welche aufgrund ihres Amtes oder ihrer Anstellung nach
Art. 13 MO
vom Militärdienst befreit sind. Aus der Entstehungsgeschichte des geltenden Art. 4 Abs. 1 lit. c MPG ergeben sich keine Anhaltspunkte dafür, dass der Gesetzgeber eine grundsätzliche Änderung der Militärpflichtersatzordnung etwa in dem Sinne hätte einführen wollen, dass alle Wehrpflichtigen, die eine für den Staat wichtige berufliche Tätigkeit ausüben und deshalb von der persönlichen Dienstleistung befreit werden können, bloss aus diesem Grunde auch von der Ersatzpflicht befreit sein sollen. Mit der Ausdehnung der Ersatzbefreiung auf die nach
Art. 13 MO
von der persönlichen Dienstpflicht befreiten Wehrpflichtigen sollte vielmehr dem unbefriedigenden Zustand abgeholfen werden, dass dienstfähige und -willige Wehrpflichtige zu Ersatzleistungen herangezogen werden, weil sie aufgrund ihrer für den Staat wesentlichen beruflichen Tätigkeit an der persönlichen Dienstleistung in der Armee gehindert werden, die sie an sich erfüllen könnten (vgl. Amtl. Bull. NR 1979, 54/59 f.). Aus diesem Grunde erweiterte das Parlament aufgrund eines Antrages der nationalrätlichen Kommission (Amtl. Bull. NR 1979, 53) entgegen dem Vorschlag des Bundesrates (vgl. BBl 1978 II 927) die
BGE 108 Ib 115 S. 120
Ausnahmen von der Ersatzpflicht. Die nationalrätliche Kommission stützte sich dabei auf ein Gutachten des Bundesamtes für Justiz aus dem Jahre 1976 (Amtl. Bull. NR 1979, 54). In diesem Gutachten wird hervorgehoben, dass die Befreiung von der persönlichen Dienstpflicht nach
Art. 13 MO
dem Amt und nicht der Person des Amtsinhabers folge, und dass sich diese Befreiung vom Militärdienst in fundamentaler Weise von der Dienstbefreiung als Folge körperlicher oder geistiger Untauglichkeit sowie von der Unwürdigkeit unterscheide. Das Bundesamt kommt im erwähnten Gutachten zum Schluss, es sei die Ersatzbefreiung für die nach
Art. 14 MO
befreiten Wehrpflichtigen in gleicher Weise einzuführen, wie für Wehrpflichtige, die aus einem nicht in ihrer Person liegenden Grund den Dienst versäumen und gemäss Art. 8 Abs. 2 MPG dafür keinen Militärpflichtersatz leisten müssen.
Massgebend für die Ersatzbefreiung nach Art. 4 Abs. 1 lit. c nMPG erscheint somit, dass der Wehrpflichtige wegen eines nicht in seiner Person liegenden Grundes keinen Militärdienst leistet - dass er nämlich infolge einer gesetzlichen Unvereinbarkeit keine persönliche Dienstleistung in der Armee erbringen darf (vgl. Amtl. Bull. NR 1979, 59).
5.
Gründe der Rechtsgleichheit gebieten nicht, dienstuntaugliche Wehrpflichtige von der Ersatzabgabe zu befreien, wenn sie ein Amt versehen, das ihnen nach
Art. 13 Abs. 1 MO
einen Anspruch auf Dienstbefreiung verschaffen würde. Die Tauglichkeit oder Untauglichkeit zur Erbringung der persönlichen Dienstleistung begründet auch im Hinblick auf die Ersatzabgabepflicht einen relevanten Unterschied und rechtfertigt daher eine unterschiedliche Behandlung von Wehrpflichtigen in derselben beruflichen Stellung. Würden dienstuntaugliche Wehrpflichtige wegen ihrer beruflichen Stellung von der Ersatzpflicht befreit, so ergäben sich gewichtigere Rechtsungleichheiten gegenüber denjenigen Wehrpflichtigen, die aus persönlichen Gründen keinen Militärdienst leisten und deshalb Militärpflichtersatz entrichten müssen.
6.
Der Beschwerdegegner ist seit dem Jahre 1964 mangels Tauglichkeit nicht mehr in der Armee eingeteilt. Er ist aus Gründen, die in seiner Person liegen, von der persönlichen Dienstpflicht befreit. Eine Befreiung gemäss
Art. 13 MO
wegen seiner Zugehörigkeit zum unentbehrlichen Personal einer öffentlichen Krankenanstalt ist daher nicht erforderlich. Der Beschwerdegegner erfüllt deshalb die Voraussetzung der Ersatzabgabefreiung im Sinne von Art. 4 Abs. 1 lit. c nMPG nicht. Die Beschwerde der Steuerverwaltung ist begründet.
BGE 108 Ib 115 S. 121
Der angefochtene Entscheid des Verwaltungsgerichts des Kantons Schwyz ist aufzuheben und die Sache ist gemäss
Art. 114 OG
zur Festsetzung der Ersatzleistungen für die Jahre 1980 und 1981 an die erste Instanz zurückzuweisen. | public_law | nan | de | 1,982 | CH_BGE | CH_BGE_003 | CH | Federation |
7bb0015d-a08f-4acc-92ac-89f1858aa821 | Urteilskopf
135 V 58
8. Auszug aus dem Urteil der II. sozialrechtlichen Abteilung i.S. IV-Stelle des Kantons St. Gallen gegen D. (Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten)
9C_560/2008 vom 12. Dezember 2008 | Regeste
Art. 16 ATSG
;
Art. 28 Abs. 2 IVG
; Präzisierung der Rechtsprechung bei Vorliegen eines unterdurchschnittlichen Valideneinkommens (speziell zum Hinweis in
BGE 134 V 322
E. 6.2 S. 329 zum Anspruch auf rechtsgleiche Behandlung).
Ist ein durchschnittliches Invalideneinkommen realistischerweise erzielbar bzw. zumutbar, so ist ein aus wirtschaftlichen Gründen unterdurchschnittliches Valideneinkommen nicht auf ein durchschnittliches aufzurechnen. Darin liegt keine Ungleichbehandlung der Schlechtverdienenden (E. 3.4.1- 3.4.6 [insbes. E. 3.4.4]). | Erwägungen
ab Seite 59
BGE 135 V 58 S. 59
Aus den Erwägungen:
3.
Umstritten ist die Höhe des massgebenden Valideneinkommens.
3.1
Das Valideneinkommen ist dasjenige Einkommen, das die versicherte Person erzielen könnte, wenn sie nicht invalid geworden wäre (
Art. 16 ATSG
[SR 830.1];
Art. 28a Abs. 1 IVG
). Für die Ermittlung des Valideneinkommens ist rechtsprechungsgemäss entscheidend, was die versicherte Person im Zeitpunkt des frühestmöglichen Rentenbeginns nach dem Beweisgrad der überwiegenden Wahrscheinlichkeit als Gesunde tatsächlich verdienen würde, und nicht, was sie bestenfalls verdienen könnte (
BGE 131 V 51
E. 5.1.2 S. 53; Urteil 9C_488/2008 vom 5. September 2008 E. 6.4). Dabei wird in der Regel am zuletzt erzielten, nötigenfalls der Teuerung und der realen Einkommensentwicklung angepassten Verdienst angeknüpft, da erfahrungsgemäss die bisherige Tätigkeit ohne Gesundheitsschaden fortgesetzt worden wäre. Ausnahmen von diesem Erfahrungssatz müssen mit überwiegender Wahrscheinlichkeit erstellt sein. Bezog eine versicherte Person aus invaliditätsfremden Gründen (z.B. geringe Schulbildung, fehlende berufliche Ausbildung, mangelnde Deutschkenntnisse, beschränkte Anstellungsmöglichkeiten wegen Saisonnierstatus) ein deutlich unterdurchschnittliches Einkommen, ist diesem Umstand bei der Invaliditätsbemessung nach
Art. 16 ATSG
Rechnung zu tragen, sofern keine Anhaltspunkte dafür bestehen, dass sie sich aus freien Stücken mit einem bescheideneren Einkommensniveau begnügen wollte. Nur dadurch ist der Grundsatz gewahrt, dass die auf invaliditätsfremde Gesichtspunkte zurückzuführenden Lohneinbussen entweder überhaupt nicht oder aber bei beiden Vergleichseinkommen gleichmässig zu berücksichtigen sind. Diese Parallelisierung der Einkommen kann praxisgemäss entweder auf Seiten des Valideneinkommens durch eine entsprechende Heraufsetzung des effektiv erzielten Einkommens oder aber auf Seiten des Invalideneinkommens durch eine entsprechende Herabsetzung des statistischen Wertes erfolgen (
BGE 134 V 322
E. 4.1 S. 325 f. mit Hinweisen).
(...)
3.4
In einer alternativen Begründung hat die Vorinstanz erwogen, das bescheidene Einkommen der Versicherten als Wirtin sei nicht darauf zurückzuführen, dass sie ihr Arbeitspensum aus freien Stücken reduziert habe, sondern darauf, dass die Erwerbstätigkeit
BGE 135 V 58 S. 60
wirtschaftlich nicht einträglich gewesen sei. Dies sei ein invaliditätsfremder Grund, dem aufgrund der dargelegten Rechtsprechung (E. 3.1) durch eine Einkommensparallelisierung Rechnung zu tragen sei. Dies rechtfertige sich, weil nur die gesundheitsbedingte Einschränkung in der wirtschaftlichen Leistungsfähigkeit die Invalidität ausmache. Invalidität sei die Einschränkung des einem Gesunden zuzuordnenden mutmasslichen Potenzials als Wirtschaftssubjekt auf dem Arbeitsmarkt. Die Entwicklungen im sozialen und wirtschaftlichen Umfeld dürften die Grösse der Invalidität nicht beeinflussen. Werde der Versicherten als invalider Person ein Berufswechsel in eine unselbstständige Erwerbstätigkeit mit Einkommensbemessung anhand der Tabellenlöhne zugemutet, so dürfe ihr die Möglichkeit eines solchen Wechsels auch im hypothetischen Verlauf ohne Gesundheitsschaden nicht vorenthalten werden. Auch ein freiwilliges Nichtausnützen der vollen Arbeitskraft bilde einen invaliditätsfremden Umstand und dürfe nicht invaliditätswirksam sein, da die Invalidität nur von der Einbusse des funktionellen Leistungsvermögens in den Verweisungsberufen abhänge. Würde sich das nicht existenzsichernde oder branchenunterdurchschnittliche Valideneinkommen invaliditätssenkend auswirken, so sei dies mit dem verfassungsmässigen Gleichbehandlungsgebot nicht vereinbar und diskriminierend. Für das Valideneinkommen seien grundsätzlich diejenigen Einnahmen heranzuziehen, die dem gesunden Versicherten zumutbar seien. Vor dem Eintritt des Gesundheitsschadens erzielte unüblich tiefe Löhne seien deshalb grundsätzlich auf ein durchschnittliches Lohnniveau in der entsprechenden beruflichen Situation aufzuwerten. Es sei daher vorliegend auch für das Valideneinkommen auf die Tabellenlöhne abzustellen (...).
3.4.1
Die Rente der Invalidenversicherung ist grundsätzlich eine Erwerbsausfall-Versicherungsleistung. Versichert ist nicht der Gesundheitsschaden an sich, sondern der durch den Gesundheitsschaden verursachte Verlust der Erwerbsmöglichkeit (
Art. 1a lit. b IVG
;
Art. 7 Abs. 1,
Art. 8 Abs. 1 ATSG
). Umgekehrt deckt die Invalidenversicherung nur diejenigen Erwerbsverluste ab, die durch Gesundheitsbeeinträchtigungen verursacht sind, nicht Einbussen, die auf andere Gründe (z.B. wirtschaftliche, persönliche usw.) zurückzuführen sind. Der Invaliditätsgrad wird deshalb bei Erwerbstätigen so bestimmt, dass das Einkommen, welches der Versicherte ohne Gesundheitsbeeinträchtigung erzielen könnte, demjenigen Einkommen gegenübergestellt wird, das er nach Eintritt des
BGE 135 V 58 S. 61
Gesundheitsschadens erzielt bzw. bei zumutbarer Tätigkeit erzielen könnte (
Art. 16 ATSG
;
Art. 28a Abs. 1 IVG
). Entgegen der Auffassung der Vorinstanz hängt somit die Erwerbsinvalidität nicht von der Einbusse des mutmasslichen Potenzials bzw. des funktionellen Leistungsvermögens als solchem ab, sondern von der effektiven, gesundheitlich bedingten Einbusse im Erwerbseinkommen. Nützte der Versicherte im Gesundheitsfall sein wirtschaftliches Potenzial nicht voll aus, so ist dieser nicht verwertete Teil der Erwerbsfähigkeit nicht versichert (
BGE 131 V 51
E. 5.1.2 S. 53;
BGE 125 V 146
E. 5b/bb S. 157). Denn wenn jemand vor Eintritt des Gesundheitsschadens aus gesundheitsfremden Gründen nur ein sehr geringes, nicht existenzsicherndes Einkommen erzielt hat und nach Eintritt des Gesundheitsschadens immer noch ein Einkommen in unveränderter Höhe erzielen könnte, so ist nicht der Gesundheitsschaden ursächlich für eine allfällige tatsächliche Einkommenseinbusse (Urteil des Eidg. Versicherungsgerichts I 335/04 vom 23. Dezember 2004 E. 3); kausal sind vielmehr die (nicht bei der Invalidenversicherung versicherten) wirtschaftlichen oder persönlichen Umstände, die bereits beim Gesunden die Erzielung eines höheren Einkommens verhindert haben.
3.4.2
Indem das kantonale Gericht das zumutbare Invalideneinkommen einem Einkommen gegenübergestellt hat, das die versicherte Person auch im Gesundheitsfall gar nicht erzielt hätte, hat es für die Invaliditätsbemessung einen invaliditätsfremden Faktor berücksichtigt. Dieses Vorgehen kann dazu führen, dass eine Person als invalid gilt, obwohl sie nach Eintritt der Gesundheitsbeeinträchtigung mehr verdient als sie vorher verdient hat und im Gesundheitsfall weiterhin verdienen würde. Damit wird das im Gesundheitsfall von der versicherten Person zu tragende Risiko einer wirtschaftlich nicht einträglichen Tätigkeit im Falle einer Gesundheitsbeeinträchtigung auf die Invalidenversicherung überwälzt. Dies verstösst gegen die dargelegte gesetzliche Regelung, wonach für die Bestimmung des Invaliditätsgrades nur die durch einen Gesundheitsschaden erlittene Erwerbseinbusse massgeblich ist.
3.4.3
Zu Unrecht hat sich die Vorinstanz auf die Rechtsprechung berufen, wonach invaliditätsfremde Umstände, welche zu einem erheblich unterdurchschnittlichen Valideneinkommen geführt haben, zu einer Einkommensparallelisierung führen (vorne E. 3.1). Denn diese Rechtsprechung will nur sicherstellen, dass die beiden Vergleichseinkommen auf gleichen Grundlagen ermittelt werden; sie
BGE 135 V 58 S. 62
ist aber nicht so zu verstehen, dass allen invaliditätsfremden (namentlich auch wirtschaftlichen) Aspekten, die zu einem unterdurchschnittlichen Valideneinkommen geführt haben, ohne weiteres durch Aufrechnung auf ein durchschnittliches Einkommen Rechnung zu tragen wäre. Solches stünde in klarem Widerspruch zu der gesetzlichen Regelung, wonach nur Erwerbseinbussen berücksichtigt werden können, die auf eine Gesundheitsbeeinträchtigung zurückzuführen sind.
Die Grundüberlegung, auf welcher die genannte Rechtsprechung beruht, ist die folgende: Wenn eine versicherte Person in derjenigen Tätigkeit, die sie als Gesunde ausgeführt hat, einen deutlich unterdurchschnittlichen Lohn erzielt, weil ihre persönlichen Eigenschaften (namentlich fehlende Ausbildung oder Sprachkenntnisse, ausländerrechtlicher Status) die Erzielung eines Durchschnittslohnes verunmöglichen, dann ist nicht anzunehmen, dass sie mit einer gesundheitlichen Beeinträchtigung behaftet einen (anteilmässig) durchschnittlichen Lohn erzielen könnte. Stellt man auf ein Valideneinkommen ab, das aus den genannten Gründen deutlich unter den branchenüblichen Ansätzen lag, dann dürfen deshalb diese invaliditätsfremden Faktoren auch bei der Festlegung des zumutbaren Invalidenlohnes nicht ausser Acht gelassen werden (Urteil des Eidg. Versicherungsgerichts I 362/88 vom 4. April 1989 E. 3b, in: ZAK 1989 S. 456). Die Parallelisierung der Einkommen trägt somit dem Umstand Rechnung, dass die versicherte Person
als Invalide
realistischerweise nicht den Tabellenlohn erzielen kann, weshalb ein entsprechend tieferes
Invalideneinkommen
anzunehmen ist (Urteil 9C_488/2008 vom 5. September 2008 E. 6.4, zusammengefasst in: SZS 2008 S. 570; Urteile des Eidg. Versicherungsgerichts I 428/04 vom 7. Juni 2006 E. 7.2.2; I 630/02 vom 5. Dezember 2003 E. 2.2.2). Nun führt es mathematisch zum gleichen Ergebnis, wenn das Invalideneinkommen reduziert, wie wenn das Valideneinkommen entsprechend erhöht wird. Deshalb ist es methodisch auch zulässig, das Valideneinkommen aufzurechnen, anstatt das Invalideneinkommen zu reduzieren (Urteil 9C_488/2008 vom 5. September 2008 E. 6.1). Das ändert aber nichts daran, dass es in Wirklichkeit darum geht, dem Umstand Rechnung zu tragen, dass realistischerweise
im Invaliditätsfall
nur ein unterdurchschnittliches Invalideneinkommen erzielt werden kann. Die Abwertung des Invalideneinkommens ist entgegen einer im Schrifttum vertretenen Auffassung (HARDY LANDOLT, Invaliditätsbemessung bei Schlechtverdienenden - Ein
BGE 135 V 58 S. 63
Methoden- oder auch ein Gerechtigkeitsproblem?, in: Sozialversicherungsrechtstagung 2006, S. 31 ff., 70 f.) nicht ein Umweg, sondern im Gegenteil der Sinn und Zweck dieser Rechtsprechung. Kann tatsächlich oder zumutbarerweise ein durchschnittliches Invalideneinkommen erzielt werden, dann besteht kein Grund, ein aus wirtschaftlichen Gründen unterdurchschnittliches Valideneinkommen auf ein durchschnittliches hochzurechnen. Denn mit einer solchen Vorgehensweise würden in gesetzwidriger Weise Einkommenseinbussen berücksichtigt, die nicht gesundheitlich bedingt sind. Entsprechend der gesetzlichen Regelung und entgegen der Auffassung der Vorinstanz ist somit das (zumutbare) Invalideneinkommen nicht demjenigen Einkommen gegenüberzustellen, das ohne Gesundheitsbeeinträchtigung bei vollständiger Ausschöpfung des wirtschaftlichen Potenzials zumutbarerweise hätte erzielt werden können, sondern demjenigen, das konkret erzielt worden wäre.
3.4.4
Was an diesem Vorgehen verfassungswidrig oder diskriminierend sein soll, wie die Vorinstanz unter Berufung auf eine Lehrauffassung (LANDOLT, a.a.O., S. 56, 74 ff.) meint, ist nicht ersichtlich. Sachlich ungerechtfertigt wäre nur, ein deutlich unterdurchschnittliches Valideneinkommen einem durchschnittlichen Invalideneinkommen gegenüberzustellen, von dem realistischerweise nicht angenommen werden kann, dass es erzielt werden könnte (vorne E. 3.4.3; vgl.
BGE 134 V 322
E. 6.2 S. 329, wo es um eine Versicherte ging, die infolge geringer Kenntnisse und Ausbildung ein sehr tiefes Valideneinkommen erzielt hatte, weshalb das zumutbare Invalideneinkommen entsprechend zu kürzen war, vgl. ebenda E. 4.3). Ist hingegen ein durchschnittliches Invalideneinkommen realistischerweise erzielbar bzw. zumutbar und wird dieses einem tiefen Valideneinkommen gegenübergestellt, das ohne Gesundheitsbeeinträchtigung erzielt worden wäre, so liegt darin keine methodische Ungleichbehandlung der Schlechtverdienenden. Eine sachlich ungerechtfertigte Ungleichbehandlung läge im Gegenteil vor, wenn bei Schlechterverdienenden anders als bei allen anderen Personen nicht das konkret im Gesundheitsfall erzielte, sondern ein höheres Valideneinkommen zugrunde gelegt würde; denn dadurch würde - wie dargelegt - ein nicht aus
gesundheitlichen
, sondern aus
wirtschaftlichen
Gründen tiefes Einkommen ausgeglichen, was nicht Aufgabe der Invalidenversicherung ist.
3.4.5
An der dargelegten Regelung ändert auch der Umstand nichts, dass bei Versicherten, die im Aufgabenbereich tätig sind, für die
BGE 135 V 58 S. 64
Bemessung der Invalidität ein Betätigungsvergleich vorgenommen wird (
Art. 28a Abs. 2 IVG
). Dass bei nicht erwerbstätigen Versicherten nicht auf einen Vergleich des Erwerbseinkommens abgestellt werden kann, liegt in der Natur der Sache, kann aber nicht dazu führen, dass entgegen dem Gesetz auch dort nicht auf einen Einkommensvergleich abzustellen wäre, wo ein solcher möglich ist. Solches ergibt sich auch nicht daraus, dass eine invaliditätssenkende Wirkung eines tiefen Valideneinkommens dann ausgeschaltet werde, wenn die ausserordentliche Bemessungsmethode am Platz sei, wie die Vorinstanz geltend gemacht hat; denn auch bei der ausserordentlichen Methode werden nicht einfach die Einbussen im funktionellen Leistungsvermögen berücksichtigt, sondern die dadurch verursachten erwerblichen Auswirkungen (
BGE 128 V 29
E. 1 S. 30) mit der Konsequenz, dass ebenfalls kein Invaliditätsgrad resultiert, wenn trotz der Gesundheitsbeeinträchtigung das gleiche Einkommen erzielt werden kann wie vorher.
3.4.6
Die bundesgerichtliche Rechtsprechung schliesst nicht aus, dass auch bei Erwerbstätigen unter Umständen nicht auf das zuletzt erzielte Einkommen abgestellt wird. Das trifft bei selbstständig Erwerbenden dann zu, wenn aufgrund der Umstände mit überwiegender Wahrscheinlichkeit anzunehmen ist, dass der Versicherte im Gesundheitsfall seine nicht einträgliche selbstständige Tätigkeit aufgegeben und eine besser entlöhnte andere Tätigkeit angenommen hätte (vgl. etwa Urteile des Eidg. Versicherungsgerichts I 696/01 vom 4. April 2002 E. 4b/bb, in: Plädoyer 2002 3 S. 73 und AJP 2002 S. 1487; I 608/02 vom 23. April 2003 E. 3.2), oder dann, wenn die vor der Gesundheitsbeeinträchtigung ausgeübte selbstständige Tätigkeit wegen ihrer kurzen Dauer keine genügende Grundlage für die Bestimmung des Valideneinkommens darstellt, zumal in den ersten Jahren nach Aufnahme der selbstständigen Erwerbstätigkeit üblicherweise aus verschiedenen Gründen (hohe Abschreibungsquote auf Neuinvestitionen etc.) die Betriebsgewinne gering sind (Urteil des Eidg. Versicherungsgerichts I 761/02 vom 5. März 2003 E. 3.2; so auch in dem von der Vorinstanz zitierten Urteil I 42/01 vom 16. Mai 2001). Wenn sich hingegen der Versicherte, auch als seine Arbeitsfähigkeit noch nicht beeinträchtigt war, über mehrere Jahre hinweg mit einem bescheidenen Einkommen aus selbstständiger Erwerbstätigkeit begnügt hat, ist dieses für die Festlegung des Valideneinkommens massgebend, selbst wenn besser entlöhnte Erwerbsmöglichkeiten bestanden hätten (
BGE 125 V 146
E. 5c/bb
BGE 135 V 58 S. 65
S. 157; Urteile des Eidg. Versicherungsgerichts I 428/04 vom 7. Juni 2006 E. 6.2; I 1/01 vom 31. Juli 2001 E. 4; I 335/04 vom 23. Dezember 2004 E. 3; I 232/02 vom 17. Dezember 2002 E. 2.3; I 696/01 vom 4. April 2002 E. 4a; MEYER-BLASER, Bundesgesetz über die Invalidenversicherung [IVG], 1997, S. 208). Das gilt auch dann, wenn beim Invalideneinkommen dem Versicherten aufgrund der Schadenminderungspflicht zugemutet wird, in eine einträglichere unselbstständige Tätigkeit zu wechseln (vgl. etwa Urteile des Eidg. Versicherungsgerichts I 38/06 vom 7. Juni 2006 und I 116/03 vom 10. November 2003).
3.4.7
Vorliegend hat die Beschwerdegegnerin rund zehn Jahre lang eine selbstständige Tätigkeit ausgeübt. Darin liegt keine kurze Dauer im Sinne der genannten Rechtsprechung. Es bestehen auch sonst keinerlei Anzeichen oder Anhaltspunkte, dass sie ohne die gesundheitliche Beeinträchtigung ihre Tätigkeit als Wirtin zugunsten einer besser entlöhnten Tätigkeit aufgegeben hätte. Nach allgemeiner Lebenserfahrung wäre sie im Gesundheitsfall mit überwiegender Wahrscheinlichkeit in der bisherigen Tätigkeit verblieben. Es besteht deshalb kein Grund, das aus wirtschaftlichen Gründen unterdurchschnittliche Valideneinkommen auf einen durchschnittlichen Tabellenlohn aufzurechnen. | null | nan | de | 2,008 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
7bb2b5f1-633a-4832-a7c7-de8281a81bad | Urteilskopf
107 II 312
48. Arrêt de la IIe Cour civile du 24 septembre 1981 dans la cause X. contre Autorité tutélaire de surveillance du canton de Neuchâtel (recours en réforme) | Regeste
Art. 309 Abs. 1 ZGB
.
Einem Kind unverheirateter Eltern, das noch vor der Geburt oder im Zeitpunkt der Geburt anerkannt worden ist, ist kein Beistand zu ernennen. | Sachverhalt
ab Seite 312
BGE 107 II 312 S. 312
Le 2 mars 1981, l'Autorité tutélaire du district du Val-de-Ruz a nommé un curateur à l'enfant Emilie X., fille de Catherine X. et d'Eric Y., née le 12 mai 1980 à Neuchâtel. Catherine X. s'était opposée à cette décision, arguant de ce qu'elle faisait ménage commun avec le père, qui avait reconnu l'enfant le 28 avril 1980, et de ce que tous deux élevaient en outre leur premier enfant, né le 24 octobre 1978, auquel aucun curateur n'avait été nommé. Elle estimait n'avoir besoin ni d'assistance ni de conseils.
Le 20 mars 1981, Catherine X. a recouru à l'Autorité tutélaire de surveillance du canton de Neuchâtel, qui a rejeté le recours le 1er mai 1981.
Catherine X. a recouru en réforme au Tribunal fédéral. Elle demandait que la décision de l'autorité cantonale fût annulée et qu'aucune curatelle ne fût instituée. Le recours a été admis.
Erwägungen
Considérant en droit:
1.
La recourante soutient que l'autorité cantonale a fait une fausse application de l'art. 309 al. 1 CC: selon elle, il n'y a pas lieu de nommer un curateur à l'enfant de parents non mariés qui a été reconnu dès avant sa naissance ou au moment de la naissance.
2.
Ce point de vue est conforme à l'économie de la loi et à la volonté du législateur.
a) Sous l'empire de l'ancien droit de la filiation, l'art. 311 al. 1 CC prescrivait à l'autorité tutélaire de nommer un curateur chargé de veiller aux intérêts de l'enfant naturel, dès qu'elle était informée de la naissance ou dès que la mère lui avait donné avis de la grossesse.
BGE 107 II 312 S. 313
Cette mesure n'était cependant plus justifiée, selon la doctrine unanime, lorsque le délai pour intenter l'action en paternité était expiré ou lorsque l'enfant avait été reconnu ou légitimé (EGGER, n. 3, SILBERNAGEL/WÄBER, n. 42, HEGNAUER, n. 16 ad art. 311 ancien CC).
Aux termes de l'actuel art. 309 al. 1 CC, dès qu'une femme enceinte non mariée en fait la demande à l'autorité tutélaire ou que celle-ci a été informée de l'accouchement, elle nomme un curateur chargé d'établir la filiation paternelle, de conseiller et d'assister la mère d'une façon appropriée. Par rapport à l'ancien droit, les conditions de la désignation d'un curateur n'ont pas changé (HEGNAUER, RDT 1977 p. 122; HEGNAUER/SCHNEIDER, Droit suisse de la filiation, p. 146). Quant à la situation de la mère, elle a été améliorée en ce sens que l'autorité parentale lui appartient si elle n'est pas mariée avec le père de l'enfant (art. 298 al. 1 CC).
D'autre part, la curatelle n'a plus de raison d'être si la filiation a été établie ou si l'action en paternité n'a pas été intentée dans les deux ans qui suivent la naissance (art. 309 al. 3 CC), à moins qu'elle ne puisse encore l'être ultérieurement (HEGNAUER, RDT 1977 p. 123; HEGNAUER/SCHNEIDER, op.cit., p. 147/148). En revanche, il est loisible à l'autorité tutélaire de prendre d'autres mesures pour protéger l'enfant (art. 309 al. 3 in fine CC).
Certes, selon le texte de l'art. 309 al. 1 CC, le curateur est chargé de conseiller et d'assister la mère. Mais le curateur est nommé à l'enfant, non à la mère (cf. les versions allemande et italienne: "..., wird dem Kind ein Beistand ernannt..."; "l'autorità tutoria ... nomina al nascituro o all'infante un curatore..."): la tâche d'assistance à la mère n'est pas indépendante, mais liée à la charge principale du curateur, qui est d'établir la filiation paternelle. Interpréter le texte différemment serait introduire dans la loi une disposition superflue: l'art. 308 al. 1 CC autorise, lorsque les circonstances l'exigent, l'autorité tutélaire à nommer à l'enfant un curateur qui assiste les père et mère de ses conseils et de son appui dans le soin de l'enfant (cf. HEGNAUER, Die Beistandschaft für das ausserhalb einer Ehe geborene Kind (
Art. 309, 308 ZGB
), dans: Kindes- und Adoptionsrecht, Dokumentation zum Seminar vom 11./12. Juni 1980 in Bern, p. 91/92 no 6).
b) Au cours des débats parlementaires sur le droit de la filiation, des propositions de minorité tendant à ce que l'autorité tutélaire soit autorisée à renoncer à nommer un curateur si les circonstances le justifient ont été présentées dans les deux Chambres. Chaque fois,
BGE 107 II 312 S. 314
le conseiller fédéral Furgler, représentant du Conseil fédéral, a rassuré les auteurs de ces propositions, en affirmant que, conformément à la pratique et à l'ancien droit, la désignation d'un curateur n'est pas nécessaire dans deux cas, à savoir lorsqu'il est établi, dès le début, que l'enfant doit être pourvu d'un tuteur, parce que la mère est mineure et que l'autorité parentale ne peut lui être attribuée, et lorsque le rapport de filiation avec le père a été constaté, en vertu d'un acte de reconnaissance, au moment de la naissance ou déjà auparavant (Bulletin sténographique de l'Assemblée fédérale, CE 1975 p. 136/137, CN 1975 p. 1785/1786; cf., dans le même sens, la déclaration du professeur Hegnauer consignée au procès-verbal de la commission d'experts pour la revision du droit de la famille, sous-commission de la filiation, p. 881). | public_law | nan | fr | 1,981 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
7bb795d3-893e-447c-845d-29afe05d593a | Urteilskopf
113 V 120
19. Arrêt du 29 avril 1987 dans les causes P. contre Caisse de pensions de l'Etat de Vaud et Caisse de pensions de l'Etat de Vaud contre P. et Tribunal des assurances du canton de Vaud | Regeste
Art. 30 Abs. 2 lit. c BVG
und Art. 331c Abs. 4 lit. b Ziff. 3 OR: Barauszahlung der Freizügigkeitsleistung.
Einer verheirateten oder vor der Heirat stehenden Frau, welche die Erwerbstätigkeit aufgibt, darf der Anspruch auf Barauszahlung ihrer Freizügigkeitsleistung nicht durch eine anderslautende Vertrags- oder Reglementsbestimmung (in casu öffentlichrechtliche kantonale Vorschrift) entzogen werden. | Sachverhalt
ab Seite 120
BGE 113 V 120 S. 120
A.-
L'art. 72 de la loi cantonale vaudoise sur la Caisse de pensions de l'Etat de Vaud du 18 juin 1984 (LCP), entrée en vigueur le 1er janvier 1985, énumère les cas dans lesquels la prestation de libre passage en matière de prévoyance professionnelle doit ou peut être versée en espèces. Cette disposition est ainsi libellée:
"La Caisse verse la prestation à l'assuré en espèces,
a) lorsque celui-ci a été affilié à des institutions de prévoyance pendant moins de neuf mois en tout; ou, sur demande de l'assuré,
b) lorsqu'il quitte définitivement la Suisse; ou
c) lorsqu'il s'établit à son propre compte et cesse d'être soumis à
BGE 113 V 120 S. 121
l'assurance obligatoire en vertu de la loi fédérale sur la prévoyance professionnelle, vieillesse, survivants et invalidité."
Dame P., née en 1957, mariée, exerçait la profession d'enseignante et était, à ce titre, affiliée à la Caisse de pensions de l'Etat de Vaud (ci-après: la caisse), qui est une institution de prévoyance inscrite au registre de la prévoyance professionnelle. Désireuse de cesser toute activité lucrative, elle a donné sa démission pour le 31 juillet 1985. Elle a demandé à la caisse de lui verser en espèces la prestation de libre passage à laquelle elle avait droit, ce qui lui a été refusé par le conseil d'administration de ladite caisse, en date du 9 octobre 1985.
B.-
Estimant que ce refus n'était pas conforme à l'
art. 30 al. 2 let
. c LPP, selon lequel la prestation de libre passage doit aussi être payée en espèces lorsque la demande en est faite par une femme mariée ou sur le point de se marier qui cesse d'exercer une activité lucrative, dame P. a saisi le Tribunal des assurances du canton de Vaud qui lui a donné partiellement gain de cause: il lui a reconnu le droit de recevoir en espèces son avoir de vieillesse, calculé sur la base du salaire coordonné selon la LPP, le solde étant en revanche exigible suivant les règles de la LCP.
En bref, le tribunal a considéré que le droit au paiement en espèces faisait en l'occurrence partie des prestations minimales garanties par la LPP, de sorte que, en tant qu'il visait aussi ces prestations, l'art. 72 LCP était contraire au droit fédéral (jugement du 14 mars 1986).
C.-
La caisse interjette recours de droit administratif contre ce jugement, dont elle demande la réforme, en ce sens qu'elle ne soit pas tenue de verser en espèces, même partiellement, la prestation litigieuse. Elle fait valoir que l'
art. 30 al. 2 let
. c LPP crée une inégalité de traitement entre homme et femme, prohibée par l'
art. 4 al. 2 Cst.
Or, le législateur cantonal était tenu, lors de l'adoption de l'art. 72 LCP, de se conformer à la Constitution fédérale. Au demeurant, si cette disposition est plus restrictive que l'
art. 30 al. 2 let
. c LPP, elle se situe néanmoins dans la marge de liberté qui est réservée aux institutions de prévoyance.
Dame P. a également formé un recours de droit administratif contre le prononcé cantonal en concluant au versement en espèces du montant intégral de sa prestation de libre passage.
L'Office fédéral des assurances sociales propose de rejeter le recours de la caisse et d'admettre celui de l'assurée.
BGE 113 V 120 S. 122
Erwägungen
Considérant en droit:
1.
Le jugement entrepris a été rendu par une autorité judiciaire compétente selon l'
art. 73 al. 1 LPP
, dans un litige opposant une institution de prévoyance à un ayant droit. Il peut donc être déféré au Tribunal fédéral des assurances par la voie du recours de droit administratif (
art. 73 al. 4 LPP
).
2.
a) L'
art. 27 al. 1 LPP
garantit à l'assuré, en cas de dissolution des rapports de travail, le maintien de la prévoyance professionnelle. Selon l'
art. 29 LPP
, le montant de la prestation de libre passage doit, le cas échéant, être transféré à la nouvelle institution de prévoyance (al. 1). L'assuré peut laisser ledit montant auprès de l'institution à laquelle il appartenait jusqu'alors, si les dispositions réglementaires de celle-ci le permettent et si le nouvel employeur y consent (al. 2). Si ledit montant ne peut être transféré à une nouvelle institution ni laissé auprès de l'ancienne, le maintien de la prévoyance doit être garanti au moyen d'une police de libre passage ou par une forme équivalente (al. 3).
Le principe de l'interdiction du versement en espèces est toutefois assorti d'exceptions, énumérées à l'
art. 30 LPP
, dont la teneur est la suivante:
"1. La prestation de libre passage est payée en espèces si l'ayant droit a été assujetti à la prévoyance professionnelle pendant moins de neuf mois en tout.
2. Elle est également payée en espèces lorsque la demande en est faite par:
a. Un ayant droit qui quitte définitivement la Suisse;
b. Un ayant droit qui s'établit à son propre compte et cesse d'être soumis à l'assurance obligatoire;
c. Une femme mariée ou sur le point de se marier qui cesse d'exercer une activité lucrative."
b) L'
art. 50 al. 1 LPP
habilite les institutions de prévoyance à établir des dispositions sur les prestations (let. a), l'organisation (let. b), l'administration et le financement (let. c), le contrôle (let. d) et les rapports avec les employeurs, les assurés ainsi que les ayants droit (let. e). Ces dispositions peuvent figurer dans l'acte constitutif, dans les statuts, dans le règlement ou, s'il s'agit d'une institution de droit public, être édictées par la Confédération, le canton ou la commune (
art. 50 al. 2 LPP
).
BGE 113 V 120 S. 123
Quant à l'art. 50 al. 3 première phrase LPP, il précise que "les dispositions de la présente loi priment les dispositions établies par l'institution de prévoyance".
C'est en application de la délégation de compétence susmentionnée que le Grand Conseil vaudois a adopté la LCP, dont l'art. 72 correspond à l'
art. 30 LPP
, sous la réserve que le remboursement en espèces à la femme mariée ou sur le point de se marier qui cesse d'exercer une activité lucrative n'a pas été prévu. Dans son exposé des motifs et projet de LCP, le Conseil d'Etat vaudois a justifié cette divergence de réglementation par le fait qu'il convenait d'assurer l'égalité entre hommes et femmes, cela d'autant plus que, d'après les statistiques, la moitié au moins des femmes entre vingt et soixante-deux ans exerce une activité professionnelle, ce qui est également le cas de 30% des femmes mariées. Au demeurant, l'introduction dans le droit vaudois d'une règle analogue à celle de l'
art. 30 al. 2 let
. c LPP serait contraire à l'
art. 4 al. 2 Cst.
et à l'art. 2 de la Constitution vaudoise (Bulletin du Grand Conseil vaudois, vol. Ia, session ordinaire, printemps 1984, p. 1091).
c) L'
art. 6 LPP
dispose que la deuxième partie de la loi, intitulée "Assurance", fixe, en ce domaine, des exigences minimales. Les institutions de prévoyance peuvent donc prévoir, notamment en matière de modalités de l'assurance obligatoire (art. 7 ss), de prestations d'assurance (art. 13 ss) et de prestations de libre passage (art. 27 ss), une réglementation plus favorable aux assurés et à leurs ayants droit (cf. RIEMER, Das Recht der beruflichen Vorsorge in der Schweiz, p. 38).
Dans le cas particulier, le législateur fédéral a clairement pris position, par l'adoption même de l'
art. 30 al. 2 let
. c LPP, sur le point de savoir quelle était la solution la plus favorable à l'ayant droit. En effet, on constate que cette disposition est le résultat de la confrontation de deux intérêts contradictoires de l'assurée: celui de recevoir immédiatement un montant en espèces, afin d'assumer certaines dépenses liées à l'installation d'un ménage ou à la naissance d'un premier enfant, et celui de conserver une prévoyance professionnelle, dans l'éventualité d'une reprise ultérieure d'activité lucrative, par exemple en cas de divorce ou de veuvage (voir à ce sujet le message du Conseil fédéral à l'appui d'un projet de loi sur la prévoyance professionnelle vieillesse, survivants et invalidité, du 19 décembre 1975, FF 1976 I 209; RIEMER, op.cit., p. 116). Or, la divergence de ces intérêts a été largement discutée
BGE 113 V 120 S. 124
à l'occasion des débats parlementaires, en particulier devant le Conseil national, les Chambres fédérales ayant finalement estimé, à la majorité de leurs membres, que l'intérêt présumé et bien compris de la fiancée ou de l'épouse, qui cesse d'exercer une activité professionnelle, consistait à lui reconnaître le droit au versement en espèces de sa prestation de libre passage (BO 1977 CN 1334-1338 et 1980 CE 279/280).
On doit donc admettre, avec les premiers juges, que la limitation des cas de paiement en espèces, comme l'a prévu la LCP, constitue une solution restant en deçà des exigences minimales garanties par la LPP. C'est dire que le droit fédéral n'autorise pas les institutions de prévoyance à supprimer la possibilité réservée par l'
art. 30 al. 2 let
. c LPP.
d) Quant au grief d'inconstitutionnalité, il n'a pas à être examiné ici: même si l'on admettait que l'
art. 30 al. 2 LPP
consacre une inégalité de traitement, non justifiée par des différences biologiques, entre l'homme et la femme, le Tribunal fédéral des assurances n'aurait de toute façon pas la possibilité de s'en écarter, car il n'a pas la compétence d'examiner la constitutionnalité des lois fédérales (art. 113 al. 3 et 114bis al. 3 Cst.; cf.
ATF 110 Ia 15
consid. 2c,
ATF 109 Ib 85
).
e) Enfin, c'est en vain que la caisse invoque à l'appui de son argumentation l'
art. 49 al. 1 LPP
, selon lequel, dans les limites de la loi, les institutions de prévoyance peuvent adopter le régime de prestations, le mode de financement et l'organisation qui leur conviennent. S'il est exact que cette norme (insérée dans la troisième partie de la loi, intitulée "Organisation") confère une certaine liberté aux institutions de prévoyance, il n'en résulte nullement que celles-ci peuvent déroger au régime imposé par les
art. 27 ss LPP
et, notamment, aux prescriptions de l'
art. 30 LPP
.
f) Vu ce qui précède, le recours de la caisse se révèle mal fondé.
3.
a) Les premiers juges admettent que le droit au remboursement en espèces ne doit être reconnu à l'assurée que dans les seules limites de l'avoir de vieillesse calculé sur la base du salaire coordonné au sens de l'
art. 8 LPP
. Pour le surplus, ils considèrent que l'
art. 30 LPP
ne s'applique pas à la part des prestations de libre passage non obligatoires selon cette loi, lesquelles seraient ainsi régies, en l'espèce, par l'art. 72 LCP.
b) L'assurée recourante critique à juste titre cette solution, en invoquant l'
art. 331c CO
, qui a introduit, à son alinéa 4, une réglementation pratiquement identique à celle de l'
art. 30 LPP
. En
BGE 113 V 120 S. 125
effet, les dispositions de la LPP en matière de libre passage visent exclusivement la prévoyance obligatoire (art. 6 et 49 al. 2 en corrélation avec les
art. 27 ss LPP
; RIEMER, op.cit., p. 109), alors que la prévoyance non obligatoire est régie, en ce domaine, par les art. 331a à c CO. Or, il semble avoir échappé à la juridiction cantonale que ces dispositions du droit des obligations sont également applicables, depuis le 1er janvier 1985, aux rapports de travail soumis au droit public de la Confédération, des cantons ou des communes (
art. 342 al. 1 let. a CO
, dans sa version introduite par le ch. 2 de l'annexe à la LPP). Il en est donc ainsi de l'art. 331c al. 4 let. b ch. 3 CO, selon lequel l'institution de prévoyance est tenue de s'acquitter de son obligation par un versement en espèces, lorsque la demande en est faite par une femme mariée ou sur le point de se marier qui cesse d'exercer une activité lucrative. Par conséquent, l'application de l'art. 72 LCP n'entre pas en considération, en l'occurrence, pour la part de la prestation de libre passage qui excède le régime obligatoire.
c) Le fait que l'
art. 331c CO
est une norme relativement impérative, en ce sens qu'il peut y être dérogé en faveur du travailleur (
art. 362 CO
), n'y change rien. Initialement, il était prévu de modifier l'ancien
art. 331c CO
au moyen d'une disposition figurant dans la LPP (art. 89; message du 19 décembre 1975, FF 1976 I 244). Par la suite, pour des raisons qui tenaient à la relative urgence du projet, cette modification (nouvelle rédaction de l'al. 3, introduction de l'al. 4 et soumission intégrale de l'
art. 331c CO
à l'
art. 362 CO
) a été décidée par l'adoption de la loi fédérale du 25 juin 1976, en vigueur depuis le 1er janvier 1977. Or, si l'on se rapporte aux travaux du législateur, on constate que celui-ci a voulu régler d'une manière identique, dans les domaines de la prévoyance obligatoire et facultative, le problème des exceptions au principe de l'interdiction du paiement en espèces de la prestation de libre passage (message du Conseil fédéral concernant la prévoyance facultative en faveur du personnel, du 24 mars 1976, FF 1976 I 1277; message du 19 décembre 1975, FF 1976 I 207 et 244; BO 1976 CN 418-423). Par conséquent, le juge ne peut interpréter différemment les art. 331c al. 4 let. b ch. 3 CO et 30 al. 2 let. c LPP: dans les deux cas, l'assurée ne doit pas être privée, par une disposition contractuelle ou réglementaire contraire, de la possibilité de choix qui lui est réservée.
Au demeurant, on ne saurait voir dans la soumission de l'
art. 331c al. 4 CO
aux dispositions de l'
art. 362 CO
une
BGE 113 V 120 S. 126
quelconque volonté du législateur de permettre une dérogation dans le sens d'un renforcement du principe de l'interdiction du versement en espèces. Dans son message du 24 mars 1976, le Conseil fédéral relevait au contraire que cette soumission avait pour but de produire "l'effet protecteur envisagé en garantissant au travailleur et à la travailleuse un droit de libre disposition même si celui-ci est de portée relativement minime" (FF 1976 I 1278). En d'autres termes, il s'agissait, précisément, d'empêcher toute restriction du droit du travailleur de recevoir un paiement au comptant (voir également, dans le même sens: UMBRICHT-MAURER, Einige Probleme aus der Praxis zu
Art. 331c OR
, RSJ 76/1980, p. 19).
d) En conclusion, le recours de l'assurée est, quant à lui, bien fondé. Par conséquent, il sied de renvoyer l'affaire à la caisse pour détermination du montant de la prestation en cause (compte tenu, notamment, de l'intérêt dû sur l'avoir de vieillesse;
art. 12 OPP 2
) et versement intégral de celle-ci à l'assurée.
Dispositiv
Par ces motifs, le Tribunal fédéral des assurances prononce:
Le recours de la Caisse de pensions de l'Etat de Vaud est rejeté. Le recours de dame P. est admis, la cause étant renvoyée à la caisse susmentionnée pour qu'elle procède conformément aux considérants. | null | nan | fr | 1,987 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
7bb8d43b-bfcf-4e15-bcbc-7b19ff944ca7 | Urteilskopf
123 V 335
55. Urteil vom 25. November 1997 i. S. A. gegen IV-Stelle Luzern und Verwaltungsgericht des Kantons Luzern | Regeste
Art. 108 Abs. 2 in Verbindung mit
Art. 132 OG
: Verwaltungsgerichtsbeschwerde; Beschwerdebegründung.
Übernahme der Praxis des Bundesgerichts, gemäss welcher eine Auseinandersetzung lediglich mit der materiellen Seite des Falles bei Anfechtung vorinstanzlicher Nichteintretensentscheide keine sachbezogene Begründung und damit keine rechtsgenügliche Verwaltungsgerichtsbeschwerde darstellt (Änderung der Rechtsprechung des Eidg. Versicherungsgerichts im Sinne von
BGE 118 Ib 134
). | Sachverhalt
ab Seite 335
BGE 123 V 335 S. 335
A.-
Mit Verfügung vom 21. Februar 1996 eröffnete die IV-Stelle Luzern der 1955 geborenen A., die ihr bisher ausgerichtete ganze
BGE 123 V 335 S. 336
Invalidenrente werde mit Wirkung ab 1. April 1996 revisionsweise auf eine halbe herabgesetzt.
B.-
Auf die gegen diese Verfügung erhobene Beschwerde trat das Verwaltungsgericht des Kantons Luzern wegen Verspätung nicht ein (Entscheid vom 1. Juli 1996).
C.-
A. gelangt mit Eingabe vom 16. September 1996 an das Eidg. Versicherungsgericht und macht sinngemäss geltend, die ganze Invalidenrente sei ihr weiterhin auszurichten bzw. ihr Gesundheitszustand sei erneut abzuklären. - Die IV-Stelle beantragt Abweisung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde.
D.-
Das Eidg. Versicherungsgericht hat auf den 11. September 1997 eine publikumsöffentliche Beratung angesetzt.
Erwägungen
Das Eidg. Versicherungsgericht zieht in Erwägung:
1.
a) Gemäss Art. 108 Abs. 2 in Verbindung mit
Art. 132 OG
hat die Verwaltungsgerichtsbeschwerde an das Eidg. Versicherungsgericht unter anderem die Begehren und deren Begründung mit Angabe der Beweismittel zu enthalten. Diese Bestimmung soll dem Richter hinreichende Klarheit darüber verschaffen, worum es beim Rechtsstreit geht. Nach der Praxis genügt es, wenn dies der Verwaltungsgerichtsbeschwerde insgesamt entnommen werden kann. Insbesondere muss zumindest aus der Beschwerdebegründung ersichtlich sein, was der Beschwerdeführer verlangt und auf welche Tatsachen er sich beruft. Die Begründung braucht nicht zuzutreffen, aber sie muss sachbezogen sein. Der blosse Hinweis auf frühere Rechtsschriften oder auf den angefochtenen Entscheid genügt nicht. Fehlt der Antrag oder die Begründung überhaupt und lassen sie sich auch nicht der Beschwerdeschrift entnehmen, so liegt keine rechtsgenügliche Beschwerde vor, weshalb auf sie nicht eingetreten werden kann (
BGE 101 V 127
; ARV 1996/1997 Nr. 28 S. 155 Erw. 1a; ZAK 1988 S. 519 Erw. 1; Steuer Revue 1992 S. 563; vgl. auch
BGE 113 Ib 287
f. mit weiteren Hinweisen, insbesondere auf GYGI, Bundesverwaltungsrechtspflege, 2. Aufl. Bern 1983, S. 197).
b) Nach der Rechtsprechung des Eidg. Versicherungsgerichts umfasst der in einer Verwaltungsgerichtsbeschwerde gegen einen Nichteintretensentscheid der Vorinstanz gestellte ausschliesslich materielle Beschwerdeantrag - an den generell keine allzu hohen Anforderungen gestellt werden und bei dessen Fehlen auf die Beschwerdeschrift insgesamt zurückzugreifen ist (vgl. Erw. 1a hievor sowie GYGI, a.a.O., S. 196 unten f.) - auch das Begehren,
BGE 123 V 335 S. 337
die Vorinstanz habe auf die Sache einzutreten. Sodann ist das Gericht auf Verwaltungsgerichtsbeschwerden gegen vorinstanzliche Nichteintretensentscheide auch dann regelmässig eingetreten, wenn sie sich - ohne dass ein materieller Antrag gestellt wurde - ausschliesslich mit der materiellen Seite des Streitfalles befassten, jedoch sowohl ein sich auf das Nichteintreten der Vorinstanz beziehender Antrag als auch eine diesbezügliche Begründung fehlte (
BGE 117 V 121
ff. Erw. 1 und
BGE 105 V 93
f. Erw. 1). Demgegenüber hat das Bundesgericht Verwaltungsgerichtsbeschwerden gegen Nichteintretensentscheide der Vorinstanz, die lediglich eine Auseinandersetzung mit der materiellen Seite des Falles enthalten, nicht als sachbezogen begründete und damit nicht als rechtsgenügliche Beschwerden qualifiziert (
BGE 118 Ib 136
Erw. 2).
Diese Diskrepanz in der Rechtsprechung bezüglich den Anforderungen an die Sachbezogenheit der Begründung ist nicht weiter aufrecht zu erhalten, sondern es ist in Änderung der Rechtsprechung die Praxis des Bundesgerichts (
BGE 118 Ib 136
Erw. 2) zu übernehmen, gemäss welcher gegen vorinstanzliche Nichteintretensentscheide erhobene Verwaltungsgerichtsbeschwerden, die sich - ungeachtet eines allenfalls vorhandenen Antrags - lediglich mit der materiellen Seite des Streitfalles befassen, dem Erfordernis einer sachbezogenen Begründung nicht genügen. Hiefür massgebend ist insbesondere, dass nach anerkannter, auch von der Lehre geteilter Auffassung eine minimale Sachbezogenheit der Begründung bei der Verwaltungsgerichtsbeschwerde ein Gültigkeitserfordernis darstellt (GYGI, a.a.O., S. 197; GRISEL, Traité de droit administratif, Neuchâtel 1984, volume II, S. 915; HÄFELIN/MÜLLER, Grundriss des Allgemeinen Verwaltungsrechts, Zürich 1993, S. 352; KÖLZ/HÄNER, Verwaltungsverfahren und Verwaltungsrechtspflege des Bundes, Zürich 1993, S. 158 und 236; RHINOW/KOLLER/KISS, Öffentliches Prozessrecht und Grundzüge des Justizverfassungsrechts des Bundes, Basel und Frankfurt a.M. 1994, S. 266 f.). Eine Auseinandersetzung lediglich mit der materiellen Seite des Falles vermag daher bei Anfechtung eines vorinstanzlichen Nichteintretensentscheides der gesetzlichen Begründungspflicht ebensowenig zu genügen wie ein bloss pauschaler Hinweis auf frühere Rechtsschriften oder auf den angefochtenen Entscheid, welche praxisgemäss die Anforderungen an eine rechtsgenügliche Begründung nicht erfüllen (vgl. Erw. 1a hievor;
BGE 113 Ib 287
f. und
BGE 101 V 127
, je mit weiteren Hinweisen). Da dem Formerfordernis einer sachbezogenen Begründung nur dann Genüge getan ist, wenn aus der
BGE 123 V 335 S. 338
Beschwerdeschrift ersichtlich ist, in welchen Punkten und weshalb der angefochtene Entscheid beanstandet wird (
BGE 113 Ib 287
f. mit Hinweisen), muss sich bei Anfechtung eines Entscheides, mit dem die Vorinstanz auf das Begehren des Beschwerdeführers nicht eingetreten ist, die Begründung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde notwendigerweise mit dieser Frage befassen (
BGE 118 Ib 136
Erw. 2). Anders verhält es sich in dem vom Bundesgericht in
BGE 118 Ib 136
Erw. 2 zitierten, vom Eidg. Versicherungsgericht am 25. März 1983 beurteilten Fall U. (
BGE 109 V 119
), bei dem das Nichteintreten der Verwaltung auf ein neues Gesuch zur Diskussion stand und die Vorinstanz - im Gegensatz zu den in
BGE 117 V 121
und
BGE 105 V 93
entschiedenen Fällen E. und M. - einen materiellen und nicht einen Nichteintretensentscheid gefällt hatte.
2.
Im vorliegenden Fall enthält die Eingabe der Beschwerdeführerin vom 16. September 1996 namentlich keine sachbezogene Begründung, indem sie jeden Bezug zum angefochtenen Entscheid der Vorinstanz vermissen lässt. Diese ist auf das Rechtsmittel der Beschwerdeführerin wegen Verspätung nicht eingetreten (
Art. 84 Abs. 1 AHVG
in Verbindung mit
Art. 69 IVG
). Damit setzt sich die Versicherte in der Eingabe vom 16. September 1996 nicht einmal ansatzweise auseinander; vielmehr beschränkt sie sich auf Ausführungen über ihren Gesundheitszustand und die beanstandete Rentenherabsetzung durch die Verwaltung. Somit handelt es sich um eine den Anforderungen von
Art. 108 Abs. 2 OG
nicht genügende Beschwerdeschrift. Demzufolge kann auf das erhobene Rechtsmittel nicht eingetreten werden. | null | nan | de | 1,997 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
7bba5012-f3fc-4d59-bd3a-4544ed861c5b | Urteilskopf
141 IV 349
46. Extrait de l'arrêt de la Cour de droit pénal dans la cause X. contre Ministère public de la République et canton de Genève (recours en matière pénale)
6B_573/2015 du 17 juillet 2015 | Regeste
Rechtswidrige Haftbedingungen; Wiedergutmachung nach Einritt der Rechtskraft des Strafurteils.
Die Grundsätze zur Wiedergutmachung bei rechtswidrigen Bedingungen der Untersuchungshaft oder der geschlossenen stationären Behandlung sind
mutatis mutandis
auch auf den Strafvollzug anwendbar (E. 2.1). Nach Eintritt der Rechtskraft des Strafurteils kann jedoch der vom Gefangenen aufgrund rechtswidriger Haftbedingungen während der Untersuchungshaft oder des Strafvollzugs erlittene Schaden grundsätzlich nicht mehr mit einer vorzeitigen Entlassung wiedergutgemacht werden. Vorbehalten bleiben ausserordentliche Umstände (E. 2.2).
Sofern damit nicht in die Kompetenzen des Zwangsmassnahmengerichts gemäss
Art. 18 Abs. 1 StPO
eingegriffen wird, erscheint es nicht bundesrechtswidrig, die für den Straf- und Massnahmevollzug zuständige Behörde für die Beurteilung eines nach Eintritt der Rechtskraft des Strafurteils gestellten Gesuchs um Feststellung der rechtswidrigen Bedingungen der Untersuchungshaft zuständig zu erklären (E. 3.1). Prüfung des Feststellungsinteresses des Gefangenen im Beschwerdeverfahren (E. 3.4).
Ersucht ein Gefangener nach Eintritt der Rechtskraft des Strafurteils um Feststellung der Rechtswidrigkeit seiner Haftbedingungen während der Untersuchungshaft sowie des Strafvollzugs, und hat die für den Straf- und Massnahmevollzug zuständige Behörde bereits über den ersten Zeitraum entschieden, ist es nicht überspitzt formalistisch, ihn für den zweiten Zeitraum an die nach kantonalem Recht zuständige Administrativbehörde zu verweisen (E. 4). | Sachverhalt
ab Seite 351
BGE 141 IV 349 S. 351
A.
Dès le 8 mai 2013, X. a été placé en détention provisoire, puis en détention pour des motifs de sûreté, à la prison de Champ-Dollon. Par jugement du 4 février 2014, le Tribunal correctionnel du canton de Genève l'a condamné à 4 ans de privation de liberté, sous déduction de 274 jours de détention avant jugement. Le 17 septembre 2014, la Chambre pénale d'appel et de révision de la Cour de justice du canton de Genève a pris acte du retrait de l'appel, survenu le 12 septembre 2014. Par courrier du 15 décembre 2014, X. s'est adressé à la Chambre pénale d'appel et de révision pour se plaindre de ses conditions de détention depuis le mois de mai 2013, alléguant vivre dans moins de 2 m2 et n'avoir qu'une heure de promenade quotidienne, l'accès deux fois par mois au téléphone et une seule visite médicale mensuelle. Il concluait à la constatation de l'illicéité de sa détention et à une remise de peine. La Chambre pénale d'appel et de révision a transmis ce courrier au Tribunal d'application des peines et des mesures (TAPEM) le 19 décembre 2014, au motif que son contenu semblait relever de la compétence de cette juridiction. Le 23 décembre 2014, le Tribunal des mesures de contrainte (TMC) s'est déclaré saisi de la demande de X. et a interpellé la direction de Champ-Dollon pour qu'elle prenne position sur les conditions dans lesquelles l'intéressé était détenu. La direction de l'établissement a rendu un rapport le 6 janvier 2015.
Le 3 mars 2015, le TAPEM s'est déclaré incompétent pour connaître de la requête pour la période postérieure au 4 février 2014 et, en l'état, pour réduire la peine. Ce tribunal a, en revanche, constaté que les conditions de détention n'avaient pas respecté les exigences légales pendant 103 jours avant l'entrée en force du jugement au fond.
B.
Par arrêt du 28 avril 2015, la Chambre pénale de recours de la Cour de justice du canton de Genève a rejeté le recours formé par X. contre la décision du 3 mars 2015.
C.
X. recourt en matière pénale au Tribunal fédéral contre cet arrêt. Il conclut principalement à sa réforme en ce sens que l'illicéité de ses conditions de détention soit constatée à raison de 444 jours, que sa
BGE 141 IV 349 S. 352
peine soit réduite d'autant et fixée à 3 ans et 79 jours, sous déduction de 274 jours de détention avant jugement. A titre subsidiaire, il conclut à l'annulation de l'arrêt querellé et au renvoi de la cause à la cour cantonale pour nouvelle décision au sens des considérants. Il requiert, par ailleurs, le bénéfice de l'assistance judiciaire.
Le Tribunal fédéral a rejeté le recours.
Erwägungen
Extrait des considérants:
2.
Bien que, comme devant les autorités cantonales, le recourant conclue à la constatation qu'il a subi, toutes périodes confondues, 444 jours de détention dans des conditions illicites, la procédure ne porte pas exclusivement sur ses conclusions constatatoires. Celles-ci ne sont que le préalable à la réparation à laquelle il prétend sous forme d'une réduction de la durée de sa peine. Du reste, la cour cantonale a refusé d'entrer en matière sur les conclusions en constatation au motif que le recourant pourrait lui soumettre sa demande de réparation dans le cadre de l'examen de sa libération conditionnelle, ce que le recourant conteste, et le TAPEM a lui-même indiqué qu'il se considérait comme compétent, en instance de libération conditionnelle, pour réduire la peine d'un condamné dont les conditions de détention ont été illicites. Il convient d'examiner préalablement si le recourant peut prétendre à une réduction de sa peine à titre de compensation de conditions de détention jugées illicites.
2.1
Selon la jurisprudence, lorsqu'une irrégularité constitutive d'une violation d'une garantie conventionnelle ou constitutionnelle a entaché la procédure relative à la détention provisoire, celle-ci peut être réparée par une décision de constatation (
ATF 140 I 246
consid. 2.5.1 p. 250;
ATF 138 IV 81
consid. 2.4 p. 85). Une telle décision vaut notamment lorsque les conditions de détention provisoire illicites sont invoquées devant le juge de la détention. A un tel stade de la procédure, seul un constat peut donc en principe intervenir et celui-ci n'a pas pour conséquence la remise en liberté du prévenu (
ATF 139 IV 41
consid. 3.4 p. 45). Il appartient ensuite à l'autorité de jugement d'examiner les possibles conséquences des violations constatées, par exemple par le biais d'une indemnisation fondée sur l'
art. 431 CPP
ou, cas échéant, par une réduction de la peine (
ATF 140 I 246
consid. 2.5.1 p. 250;
ATF 140 I 125
consid. 2.1 p. 128;
ATF 139 IV 41
consid. 3.4 p. 45). Les mêmes principes s'appliquent,
mutatis mutandis
, en matière de traitement institutionnel en milieu fermé (arrêt 6B_507/2013
BGE 141 IV 349 S. 353
du 14 janvier 2014 consid. 4.2). Sous réserve de ce qui sera exposé ci-dessous à propos des effets de l'entrée en force du jugement pénal, il n'y a aucune raison de s'en écarter s'agissant de conditions de détention illicites au stade de l'exécution de la peine.
2.2
En l'espèce, la situation se présente sous un jour particulier dès lors que le recourant n'a formulé sa demande de constat et de réparation, y compris en ce qui concerne sa détention avant jugement, qu'après l'entrée en force du jugement pénal.
Dans une telle configuration, la prétention du recourant à une réparation en nature, sous forme d'une réduction de la durée de sa privation de liberté, entre en conflit avec l'autorité de chose jugée du jugement pénal, qui lie aussi les autorités chargées de son exécution. Or, le droit suisse ne connaît pas l'institution générale de la remise de peine à des conditions laissant une ample marge de manoeuvre à l'autorité. Le Code pénal et le Code de procédure pénale n'offrent la possibilité de réduire la durée de la privation de liberté à laquelle est soumis le condamné, et par là de modifier le jugement en force, que dans des hypothèses limitées et à des conditions précises. La grâce (cf.
art. 381 ss CP
), que le recourant ne prétend pas avoir demandée, n'est, en particulier pas de la compétence des autorités judiciaires (art. 7 al. 1 de la loi genevoise d'application du code pénal suisse et d'autres lois fédérales en matière pénale du 27 août 2009 [LaCP; rs/GE E 4 10]). Une demande de révision ne peut être fondée sur des faits postérieurs au jugement (
art. 410 al. 1 let. a CPP
); reposant sur des faits connus initialement du requérant (telles en l'espèce les conditions de détention du recourant avant jugement), qu'il n'avait aucune raison légitime de taire et qu'il aurait pu révéler dans une procédure ordinaire, elle devrait être qualifiée d'abusive (arrêt 6B_310/2011 du 20 juin 2011 consid. 1.3). S'agissant de la libération conditionnelle, qui ne constitue pas une remise de peine (arrêt 6A.85/2001 du 20 septembre 2001 consid. 2b), la loi (
art. 86 al. 1 CP
) exige l'exécution des deux tiers de la peine au moins, un pronostic non défavorable et que le comportement de l'intéressé en détention ne s'y oppose pas. On ne voit pas que les conditions de détention illicites puissent pallier l'absence de pronostic défavorable. Quant à l'octroi anticipé de la libération conditionnelle, la loi ne le permet, outre les conditions ordinaires de pronostic et de comportement, qu'à titre exceptionnel dès la mi-peine; cela suppose des circonstances extraordinaires et que celles-ci tiennent à la personne du détenu (
art. 86 al. 4 CP
). Cette disposition, dans l'application de
BGE 141 IV 349 S. 354
laquelle le juge doit s'inspirer des conditions de la grâce (arrêt 6B_240/2012 du 4 décembre 2012 consid. 2.3, in SJ 2013 I p. 441 ss), ne saurait ainsi constituer un remède général à la question des conditions de détention en cas de surpopulation carcérale. Même l'interruption de l'exécution (
art. 92 CP
), qui ne remet pas directement en cause la force de chose jugée de la décision pénale, mais le principe de l'exécution ininterrompue de la peine ou de la mesure, suppose des motifs de santé graves (
ATF 136 IV 97
consid. 5.1 p. 101;
ATF 106 IV 321
consid. 7a p. 324).
Il résulte de ce qui précède que, sauf circonstances particulières, voire extraordinaires, après l'entrée en force du jugement pénal, la remise en liberté anticipée du condamné en exécution de peine ne peut, en règle générale, plus constituer une réparation du préjudice subi par celui-ci en raison de conditions de détention illicites. Il reste ainsi à examiner si la cour cantonale pouvait refuser d'examiner le caractère illicite des conditions de détention du recourant avant jugement au-delà des 103 jours objet du constat opéré par le TAPEM, puis si elle pouvait considérer que ce n'était pas ce tribunal, mais le Département de la Sécurité et de l'économie (DSE), qui était compétent pour opérer ce constat s'agissant des conditions de détention en exécution de peine.
3.
Quant aux compétences, on rappelle que, sous réserve des normes fédérales, il incombe aux cantons de régler les questions d'organisation des autorités pénales cantonales (
art. 14 al. 2 CPP
). La violation du droit cantonal ne constituant pas un motif pouvant être invoqué dans le recours en matière pénale (cf.
art. 95 LTF
), le Tribunal fédéral n'en examine l'application que sous l'angle de l'arbitraire (
art. 9 Cst.
), respectivement de la violation d'autres garanties constitutionnelles ou conventionnelles, à condition que ces griefs aient été soulevés dans le respect des exigences posées par l'
art. 106 al. 2 LTF
. On renvoie, sur la notion d'arbitraire, aux principes maintes fois exposés par le Tribunal fédéral (voir p. ex.:
ATF 140 III 16
consid. 2.1 p. 18 s.;
ATF 138 III 378
consid. 6.1 p. 379 s.), en soulignant qu'il ne suffit pas que la décision attaquée apparaisse discutable ou même critiquable; il faut qu'elle soit manifestement insoutenable et cela non seulement dans sa motivation, mais aussi dans son résultat.
3.1
Le TAPEM s'est considéré compétent pour statuer sur l'illicéité des conditions de détention avant jugement, en application de l'art. 3 LaCP, parce que la demande en avait été faite après que le jugement pénal était entré en force. Tout en en discutant le fondement légal en
BGE 141 IV 349 S. 355
droit cantonal, la cour cantonale n'a pas remis en cause cette compétence et le recourant ne la conteste pas non plus. Etant précisé que ce mode d'organisation ne paraît pas empiéter sur les attributions du Tribunal des mesures de contrainte définies par le droit fédéral (
art. 18 al. 1 CPP
), il n'y a pas lieu d'examiner plus avant cette question de droit cantonal.
3.2
La cour cantonale a, en revanche, considéré que le TAPEM était entré à tort en matière sur la demande du recourant au motif qu'il serait contraire à la sécurité du droit et au principe de la bonne foi en procédure que le détenu qui s'est abstenu de soulever devant le juge du fond un grief susceptible d'influencer le quantum de la peine puisse, une fois ce jugement en force, obtenir une réduction de sa sanction. Sans toutefois remettre en cause (en raison de l'interdiction de la
reformatio in pejus
) le constat d'illicéité opéré par le TAPEM, la cour cantonale a aussi indiqué qu'elle ne voyait pas pourquoi le recourant devrait déjà obtenir réparation à la suite du constat posé pour la période du 8 mai 2013 au 4 février 2014. Elle a relevé que le TAPEM avait déjà admis sa compétence en instance de libération conditionnelle pour éventuellement réduire la peine d'un condamné si ses conditions de détention étaient illicites. Elle en a conclu que le recourant pourrait obtenir ultérieurement du TAPEM qu'il se prononce sur la forme de réparation adéquate pour cette période, de sorte qu'il n'avait pas d'intérêt juridiquement protégé à l'annulation ou à la modification de la décision querellée.
3.3
Quelle que soit leur valeur juridique, ces considérations permettent de comprendre les motifs pour lesquels la cour cantonale n'a pas examiné les conditions de détention du recourant avant jugement. Cela exclut la violation du droit d'être entendu, tenant à une motivation insuffisante, invoquée par le recourant, qui reproche à la cour cantonale de n'avoir pas répondu à son grief selon lequel ses conditions de détention avant jugement devraient être taxées d'illicites durant toute la période considérée, nonobstant de brefs intervalles durant lesquels ces conditions avaient été conformes (
ATF 134 I 83
consid. 4.1 p. 88;
ATF 133 III 439
consid. 3.3 p. 445;
ATF 130 II 530
consid. 4.3 p. 540;
ATF 129 I 232
consid. 3.2 p. 236).
3.4
Sur les autres considérations de la cour cantonale, le recourant objecte uniquement qu'il a un intérêt à obtenir réparation rapidement afin que la réduction de peine qu'il entend obtenir ne soit pas supérieure au solde de peine déterminé par la libération conditionnelle.
BGE 141 IV 349 S. 356
Il en conclut que la cour cantonale a violé l'
art. 382 CPP
en lui déniant tout intérêt au recours sur ce point.
3.4.1
La prémisse du raisonnement tenu par la cour cantonale, fondé sur l'autorité de chose jugée du jugement pénal, n'est pas critiquable. L'argument du recourant tenant à sa prétention à obtenir une libération anticipée est infondé (v. supra consid. 2.2). On doit cependant encore se demander si, devant la cour cantonale, le recourant ne peut pas se prévaloir d'un intérêt au seul constat du caractère illicite de ses conditions de détention, indépendamment de la question de la réparation.
3.4.2
Les conclusions en constatation de droit ne sont recevables que lorsque des conclusions condamnatoires ou formatrices sont exclues. Sauf situations particulières, les conclusions constatatoires ont donc un caractère subsidiaire (arrêt 1C_79/2009 du 24 septembre 2009 consid. 3.5, in ZBl 2011 p. 275). Cette règle est cependant tempérée par le droit, déduit de l'
art. 13 CEDH
, qu'ont les personnes qui se prétendent victimes de traitements prohibés au sens des
art. 10 al. 3 Cst.
et 3 CEDH de bénéficier d'une enquête prompte et impartiale devant aboutir, s'il y a lieu, à la condamnation pénale des responsables (
ATF 138 IV 86
consid. 3.1.1 p. 88). Il est, par exemple, admis que l'autorité chargée du contrôle de la détention, si elle est saisie d'allégations de mauvais traitements au sens de l'
art. 3 CEDH
, se doit de vérifier si la détention a lieu dans des conditions acceptables; dans de telles situations, il faut assurer immédiatement une enquête prompte et sérieuse (
ATF 139 IV 41
consid. 3.4 p. 45). Il existe également un intérêt à faire constater immédiatement de telles violations lorsqu'est éloignée l'occasion de requérir devant le juge du fond une réduction de peine (cf.
ATF 128 I 149
consid. 2.2 p. 151 s.;
ATF 124 I 139
consid. 2c p. 141) ou éventuellement une indemnisation (
art. 426 ss CPP
; arrêt 1B_102/2015 du 29 avril 2015 consid. 1.1.1).
A cet égard, il convient de relever que le recourant ne peut plus, par le biais d'un constat, espérer obtenir une modification des conditions de sa détention avant jugement, qui a pris fin. Par ailleurs, l'autorité de première instance a instruit cette question sur la base du rapport de la prison de Champ-Dollon (qui porte sur la période de détention s'étendant du 8 mai 2013 au 6 janvier 2015) et, dans son recours cantonal déjà, le recourant n'a pas critiqué les constatations de fait y figurant, relatives à la taille des cellules qu'il a occupées, au nombre de co-détenus y séjournant, au nombre de lits disponibles etc. Il
BGE 141 IV 349 S. 357
a uniquement invoqué que même discontinues, les périodes durant lesquelles ses conditions de détention n'étaient pas conformes devaient être considérées comme un tout, de sorte que le caractère illicite de celles-ci devait être reconnu pour une durée excédant 103 jours de détention provisoire et à fin de sûretés. Il s'ensuit que, indépendamment de la question de droit se rapportant au caractère discontinu des périodes en cause, le recourant ne démontre pas non plus avoir un intérêt au constat sous l'angle de la préservation des preuves et de l'établissement des faits. Enfin, le recourant, qui n'invoque pas la violation des garanties conventionnelles précitées, ne soutient pas, de manière générale, qu'aucune procédure ne lui permettrait d'obtenir réparation dans les conditions de promptitude et de sérieux mentionnées ci-dessus. Objectant uniquement qu'il a un intérêt à obtenir réparation rapidement afin que la réduction de peine qu'il entend obtenir ne soit pas supérieure au solde de peine déterminé par la libération conditionnelle, le recourant, vu ce qui a été exposé (supra consid. 2.2), ne démontre pas avoir un intérêt à la constatation immédiate indépendamment d'une satisfaction équitable, éventuellement pécuniaire.
On ne saurait, dès lors, reprocher à la cour cantonale d'avoir considéré que les questions demeurant ouvertes pouvaient, tout aussi bien, être traitées dans une procédure ultérieure,
in casu
de libération conditionnelle.
4.
Il reste encore à examiner si, comme l'a retenu la cour cantonale, la compétence pour opérer le constat de l'illicéité des conditions de détention en exécution de peine appartient au DSE à l'exclusion du TAPEM.
4.1
Sur ce point, la cour cantonale a relevé, en substance, que même si elle ne voyait pas ce qui empêcherait le TAPEM, plutôt que le DSE, de demander, au stade de la libération conditionnelle, un rapport à la prison de Champ-Dollon pour la période postérieure à l'entrée en force du jugement pénal, il ne pouvait être conclu que le TAPEM aurait fermé la voie à toute éventuelle réduction de peine pour cette période. En renvoyant le recourant à saisir le DSE (qui n'a aucune compétence légale pour abaisser le quantum d'une peine ni modifier le calcul des étapes qui en découlent, mais qui, comme le relevait le TAPEM, a la responsabilité de veiller à la dignité du traitement du détenu purgeant sa peine), le TAPEM laissait ouverte la prise en compte, au stade de la libération conditionnelle, d'un éventuel constat
BGE 141 IV 349 S. 358
d'illicéité, voire, au lieu de la réduction de la peine, l'indemnisation pour responsabilité de l'Etat pour cette phase. Elle en a conclu que le recourant n'avait pas d'intérêt juridiquement protégé à la modification de la décision querellée. Enfin, pour répondre au grief du recourant, elle a ajouté que même en tenant compte de la réduction de peine à laquelle il prétendait, le recourant ne soutenait pas se trouver dans la situation dans laquelle la réduction de peine à titre de réparation serait supérieure au solde de peine déterminé par sa libération. Du reste, d'autres formes de réparation étaient envisageables, si bien que le recourant n'était pas privé de la possibilité d'obtenir une compensation pour la période postérieure au jugement et qu'il ne serait pas non plus empêché de demander un examen global de toute la période passée à Champ-Dollon à ce stade.
4.2
Le recourant objecte qu'il aurait un intérêt juridiquement protégé à voir sa demande traitée globalement par une seule et même autorité (le TAPEM) tant pour la période avant jugement que pour le temps de l'exécution de peine, afin d'éviter qu'un examen séparé de ces deux périodes puisse aboutir au constat que la durée pour laquelle ces conditions n'avaient pas été conformes n'avait pas atteint la durée jurisprudentielle d'environ 3 mois au-delà de laquelle le caractère illicite des conditions de détention devait être constaté. Lui imposer de demander un constat au TAPEM pour la période antérieure à l'entrée en force du jugement, puis un constat au DSE pour la période postérieure, et d'agir ensuite devant le TAPEM au stade de la libération conditionnelle pour obtenir une réduction de peine procéderait d'un formalisme excessif contraire au principe d'économie de la procédure.
4.3
En tant que ces développements sont fondés sur la perspective d'obtenir une réduction de peine à titre de compensation, on renvoie à ce qui a déjà été exposé à ce propos (v. supra consid. 2.2). Par ailleurs, comme l'a relevé la cour cantonale on ne voit pas précisément ce qui empêcherait le DSE, au moment de se prononcer sur le caractère illicite des conditions de détention du recourant, de prendre en considération le fait qu'il a déjà subi 103 jours de détention dans des conditions illicites, du 24 octobre 2013 au 4 février 2014 (point sur lequel la cour cantonale a indiqué ne pouvoir revenir en raison de l'interdiction de la
reformatio in pejus
), soit immédiatement avant le début de l'exécution de peine. Ces critiques sont infondées.
BGE 141 IV 349 S. 359
Etant précisé que le recourant n'invoque d'aucune manière les garanties déduites des
art. 3, 5 et 13 CEDH
(
art. 106 al. 2 LTF
), on peut se limiter à relever, dans ce contexte, que le renvoi du recourant à agir devant le DSE ne remet, en principe, pas en cause le droit d'un détenu à obtenir que ses allégations de conditions de détention illicites en exécution de peine puissent faire l'objet d'une enquête prompte et sérieuse pour l'une ou l'autre des périodes en cause, ces procédures pouvant, du reste, être menées parallèlement à la demande de libération conditionnelle. Dans la perspective des garanties conventionnelles susmentionnées et, en particulier, des exigences de célérité et d'effectivité des voies de droit, il convient toutefois d'attirer l'attention des autorités cantonales sur la nécessité de clarifier leur pratique et l'interprétation des normes cantonales de compétence, afin d'éviter que, comme en l'espèce, de telles demandes soient transmises à plusieurs autorités de première instance, avant que la cour cantonale ne renvoie le recourant à agir devant une autorité administrative.
Cela étant, une fois constaté le caractère illicite des conditions de détention, si la jurisprudence permet, par économie de procédure, à l'autorité saisie de cette question d'accorder elle-même une satisfaction équitable, elle ne prohibe pas le renvoi de la cause à une autre autorité, notamment celle compétente en matière de responsabilité de l'Etat (
ATF 137 I 296
consid. 6 p. 303 s.). En outre, en l'espèce, la situation procédurale se présente sous un jour particulier exclusivement parce que le recourant n'a, d'aucune manière, invoqué ses conditions de détention avant jugement à un moment où celles-ci auraient encore pu être éventuellement modifiées ou donner lieu à une réduction de peine au stade de la fixation de celle-ci. L'eût-il fait en saisissant, en temps voulu, le Tribunal des mesures de contrainte (pour le constat), puis l'autorité de jugement (au stade de la fixation de la peine), qu'il n'en aurait pas moins été contraint, s'agissant de la période d'exécution de peine, d'agir ensuite devant l'autorité compétente pour cette période. Or, la cour cantonale a considéré que cette autorité était le DSE en application des
art. 5 al. 2 let
. d LaCP et 74 CP, qui confèrent à cette autorité administrative la responsabilité de veiller à la dignité du traitement du détenu purgeant sa peine. Indépendamment de sa prétention à obtenir une réduction de sa peine, le recourant ne démontre d'aucune manière en quoi l'interprétation de la norme cantonale de compétence serait arbitraire (
art. 9 Cst.
;
art. 106 al. 2 LTF
). D'autre part, si l'indemnisation de conditions de détention illicites avant jugement peut être fondée sur le droit fédéral
BGE 141 IV 349 S. 360
(
art. 431 CPP
), il n'en va pas de même de l'indemnisation relative à des conditions de détention illicites après jugement, qui ne peuvent guère relever que du droit cantonal régissant la responsabilité de l'Etat. Il résulte de ce qui précède que le mode de procéder imposé par la cour cantonale ne complique pas inutilement les démarches du recourant, mais le contraint simplement de suivre la procédure comme il aurait dû le faire s'il avait agi en temps utile, en tenant compte des compétences fixées par le droit cantonal et des fondements distincts sur lesquels pourraient reposer d'éventuelles prétentions en indemnisation en fonction des périodes de détention concernées. Cela exclut tout formalisme excessif. | null | nan | fr | 2,015 | CH_BGE | CH_BGE_006 | CH | Federation |
7bbce19f-61fb-449f-850c-61c1a7b31a42 | Urteilskopf
117 V 401
54. Auszug aus dem Urteil vom 24. September 1991 i.S. G. gegen Schweizerische Unfallversicherungsanstalt und Verwaltungsgericht des Kantons Bern | Regeste
Art. 4 BV
,
Art. 105 Abs. 1 UVG
,
Art. 130 Abs. 2 UVV
. Die Bestimmung von
Art. 130 Abs. 2 Satz 2 UVV
, mit welcher ein Anspruch auf Parteientschädigung im Einspracheverfahren gemäss
Art. 105 Abs. 1 UVG
ausgeschlossen wird, verstösst weder gegen das Gesetz noch gegen die Verfassung (Erw. 1).
Art. 108 Abs. 1 lit. g UVG
. Wird ein ziffernmässig bestimmtes Rechtsbegehren im kantonalen Beschwerdeverfahren der Unfallversicherung nur teilweise gutgeheissen, so verstösst die Reduktion der Parteientschädigung wegen bloss teilweisen Obsiegens gegen die bundesrechtliche Bemessungsvorschrift von Art. 108 Abs. 1 lit. g Satz 2 UVG, falls das Rechtsbegehren den Prozessaufwand nicht beeinflusst hat (Erw. 2). | Erwägungen
ab Seite 402
BGE 117 V 401 S. 402
Aus den Erwägungen:
In formellrechtlicher Hinsicht beantragt der Beschwerdeführer, der vorinstanzliche Entscheid sei dahingehend abzuändern, dass die Schweizerische Unfallversicherungsanstalt (SUVA) ihm die vollen Parteikosten, einschliesslich derjenigen für das Einspracheverfahren, zu vergüten habe.
II.1.
Zu prüfen ist zunächst, wie es sich hinsichtlich des Anspruchs auf Parteientschädigung im Einspracheverfahren verhält. Dabei ist davon auszugehen, dass
Art. 130 Abs. 2 Satz 2 UVV
einen solchen Anspruch ausdrücklich ausschliesst. Es kann sich daher lediglich die Frage stellen, ob diese Bestimmung gegen das Gesetz oder die Verfassung verstösst.
a)
Art. 130 Abs. 2 Satz 2 UVV
ist nicht gesetzwidrig, indem weder die Verfahrensbestimmungen des UVG (
Art. 105 Abs. 1 UVG
) noch die gemäss
Art. 96 UVG
für die SUVA geltenden Bestimmungen des VwVG (vgl.
BGE 115 V 299
Erw. 2b) einen Anspruch auf Parteientschädigung im Einspracheverfahren einräumen.
Art. 64 VwVG
sieht einen Anspruch auf Parteientschädigung nur für das Beschwerdeverfahren vor. Die positivrechtliche
BGE 117 V 401 S. 403
Regelung der Parteientschädigung im Beschwerdeverfahren (
Art. 108 Abs. 1 lit. g UVG
) und die Gesetzesmaterialien (Botschaft zum UVG vom 18. August 1976, BBl 1976 III 178, 225; Kommission des Nationalrates zur Vorberatung des UVG, Protokoll der Sitzung vom 28./29. August 1978, S. 35) lassen sogar auf ein qualifiziertes Schweigen des Gesetzgebers bezüglich des Anspruchs auf Parteientschädigung im Einspracheverfahren schliessen. Den rechtsanwendenden Behörden wäre es daher verwehrt, in irgendeiner Weise lückenfüllend tätig zu werden. Sie könnten sich dabei auch nicht auf positivrechtliche Regelungen in andern Sozialversicherungsgesetzen oder einen allgemeinen sozialversicherungsrechtlichen Grundsatz stützen. Selbst rechtspolitische Gesichtspunkte de lege ferenda gestatten derzeit keine andere Betrachtungsweise. So wird nach Art. 58 Abs. 4 des Entwurfs zu einem Bundesgesetz über den Allgemeinen Teil des Sozialversicherungsrechts (ATSG) ein Anspruch auf Parteientschädigung für das (kostenlose und weitgehend formlose) Einspracheverfahren ausdrücklich ausgeschlossen (Bericht der Kommission des Ständerates zur parlamentarischen Initiative Allgemeiner Teil Sozialversicherung, BBl 1991 II 200 und 262, sowie Bericht und Entwurf zu einem Allgemeinen Teil der Sozialversicherung, Bern, 1984, S. 51/52 und 76).
b) Vorinstanz und SUVA ist darin beizupflichten, dass
Art. 130 Abs. 2 Satz 2 UVV
auch nicht als verfassungswidrig qualifiziert werden kann.
Nach Lehre und Rechtsprechung lässt sich ein Anspruch auf Parteientschädigung unmittelbar aus
Art. 4 BV
nicht ableiten (GRISEL, Traité de droit administratif, Bd. II, S. 847; BERNET, Die Parteientschädigung in der schweizerischen Verwaltungsrechtspflege, Diss. iur. Zürich 1986, S. 59 ff.;
BGE 104 Ia 9
; ZBl 86 [1985] S. 508, 85 [1984] S. 141). In
BGE 104 Ia 11
hat das Bundesgericht einen Vorbehalt lediglich in dem Sinne angebracht, dass im Einzelfall der eine Parteientschädigung ablehnende Entscheid dann wegen Verletzung von
Art. 4 BV
aufgehoben werden könnte, wenn die Ablehnung des Entschädigungsbegehrens in stossender Weise dem Gerechtigkeitsempfinden zuwiderliefe. Gleichzeitig stellte es jedoch fest, es habe nie aus
Art. 4 BV
den allgemeinen Satz abgeleitet, im Rechtsmittelverfahren vor der Verwaltungsbehörde müsse der obsiegenden Partei, wenn sie durch einen Anwalt vertreten gewesen sei, eine Parteientschädigung zugesprochen werden. Dementsprechend hat es auch das Eidg. Versicherungsgericht stets
BGE 117 V 401 S. 404
abgelehnt, auf dem Wege der Rechtsprechung einen von Bundesrechts wegen bestehenden Anspruch auf Parteientschädigung für das kantonale Beschwerdeverfahren dort einzuführen, wo ein solcher gesetzlich nicht vorgesehen ist (
BGE 114 V 230
/231 Erw. 3b mit Hinweisen). Um so weniger lässt sich ein unmittelbar aus
Art. 4 BV
fliessender Anspruch auf Parteientschädigung für das Einspracheverfahren nach
Art. 105 Abs. 1 UVG
annehmen, welches nicht zur streitigen Verwaltungsrechtspflege im engeren Sinne gehört (GYGI, Bundesverwaltungsrechtspflege, 2. Aufl., S. 33).
Dem steht nicht entgegen, dass das Eidg. Versicherungsgericht in
BGE 114 V 228
gestützt auf
Art. 4 BV
unter engen sachlichen und zeitlichen Voraussetzungen einen Anspruch auf unentgeltliche Verbeiständung im nichtstreitigen Verwaltungsverfahren der Invalidenversicherung (Anhörungsverfahren gemäss
Art. 73bis IVV
) anerkannt und mit Urteil vom heutigen Tag in Sachen B. (
BGE 117 V 408
) einen entsprechenden Anspruch auch für das Einspracheverfahren gemäss
Art. 105 Abs. 1 UVG
bejaht hat. Beim Anspruch auf unentgeltliche Verbeiständung und demjenigen auf Parteientschädigung handelt es sich um zwei verschiedene Rechtsinstitute, deren unterschiedliche Behandlung verfassungsrechtlich vertretbar ist. Die Rechtsgleichheit gebietet, dass auch der bedürftige Rechtsuchende seine Interessen wahrnehmen kann, weshalb ihm ein Anspruch auf unentgeltliche Verbeiständung einzuräumen ist, falls er auf eine Vertretung angewiesen ist. Demgegenüber wird der bemittelte Rechtsuchende durch den fehlenden Anspruch auf Parteientschädigung an der Durchsetzung seiner Rechte nicht gehindert. Die Nichtgewährung einer Parteientschädigung führt allenfalls zu einer gewissen Beeinträchtigung des Rechtsschutzes, nicht aber zu einer eigentlichen Rechtsverweigerung (vgl. BERNET, a.a.O., S. 62). Das Verfassungsrecht gewährleistet daher nur, dass nötigenfalls auch der Unbemittelte zur Wahrnehmung seiner Interessen die Dienste eines Rechtsverständigen in Anspruch nehmen kann. Eine im Lichte von
Art. 4 BV
zu beanstandende Ungleichbehandlung entsteht dagegen nicht, wenn dem im Prozess Obsiegenden, der die Voraussetzungen für die unentgeltliche Verbeiständung nicht erfüllt, ein Anspruch auf Ersatz der Parteikosten verweigert wird. Fraglich kann lediglich sein, wie es sich hinsichtlich des Entschädigungsanspruchs desjenigen Rechtsuchenden verhält, welcher die Voraussetzungen für die unentgeltliche Verbeiständung erfüllt, im Prozess jedoch
BGE 117 V 401 S. 405
obsiegt. Wie diesbezüglich zu entscheiden ist, kann indessen dahingestellt bleiben, weil der Beschwerdeführer bisher nie ein Armenrechtsgesuch gestellt hat. Offenbleiben kann des weitern, ob im Sinne der bundesgerichtlichen Rechtsprechung (
BGE 104 Ia 11
) Ausnahmen vorzubehalten sind, wo gestützt auf
Art. 4 BV
im Einzelfall ein Anspruch auf Parteientschädigung anzuerkennen ist. Denn es spricht nichts dafür, dass die Verweigerung einer Parteientschädigung für das Einspracheverfahren im vorliegenden Fall in verfassungsmässig unhaltbarer Weise dem Gebot der Gerechtigkeit zuwiderliefe. Es muss daher bei der Feststellung bleiben, dass der Beschwerdeführer keinen Anspruch auf Vergütung der mit Eingabe an die Vorinstanz vom 2. Oktober 1990 mit Fr. 816.-- bezifferten Kosten der Rechtsvertretung im Einspracheverfahren hat.
II.2.
Streitig ist des weitern die Höhe der Parteientschädigung im kantonalen Beschwerdeverfahren.
a) Nach
Art. 108 Abs. 1 lit. g UVG
hat der obsiegende Beschwerdeführer Anspruch auf den vom Gericht festgesetzten Ersatz der Parteikosten. Diese werden ohne Rücksicht auf den Streitwert nach dem zu beurteilenden Sachverhalt und der Schwierigkeit des Prozesses bemessen.
Im Unterschied zu andern Sozialversicherungszweigen mit bundesrechtlich garantiertem Anspruch auf Parteientschädigung (vgl.
Art. 85 Abs. 2 lit. f AHVG
,
Art. 69 IVG
,
Art. 7 Abs. 2 ELG
,
Art. 24 Satz 2 EOG
,
Art. 22 Abs. 3 FLG
und
Art. 56 Abs. 1 lit. e MVG
) enthält das UVG weitergehende bundesrechtliche Vorschriften betreffend die Bemessung der Parteientschädigung (vgl.
BGE 114 V 88
Erw. 4c in fine,
BGE 111 V 49
Erw. 4a). Daraus folgt, dass das Eidg. Versicherungsgericht im Bereich der Unfallversicherung als Frage des Bundesrechts frei prüft, ob der vorinstanzliche Entscheid den durch
Art. 108 Abs. 1 lit. g UVG
eingeräumten grundsätzlichen Anspruch auf Parteientschädigung verletzt und ob der Entscheid hinsichtlich der Bemessung der Parteientschädigung den bundesrechtlichen Anforderungen gemäss Art. 108 Abs. 1 lit. g Satz 2 UVG genügt. Darüber hinaus hat das Eidg. Versicherungsgericht praktisch lediglich zu prüfen, ob die Höhe der Parteientschädigung vor dem Willkürverbot standhält (vgl.
BGE 114 V 86
Erw. 4a).
b) Die Vorinstanz hat die Parteientschädigung aufgrund des vom Rechtsvertreter des Beschwerdeführers geltend gemachten zeitlichen Aufwandes von 13 Stunden in sinngemässer Anwendung
BGE 117 V 401 S. 406
des kantonalen Konventionaltarifes (Art. 4 Abs. 2 des Dekrets über die Anwaltsgebühren vom 6. November 1973) auf Fr. 2'210.-- festgesetzt und diesen Betrag um einen Drittel gekürzt, was zusammen mit dem Auslagenersatz von Fr. 197.20 eine Entschädigung von Fr. 1'672.20 ergab. Dabei ging sie davon aus, dass die SUVA die Rente im Einspracheentscheid vom 7. August 1989 auf 15% festgesetzt hatte, beschwerdeweise eine Rente von mindestens 30% beantragt wurde und der kantonale Entscheid auf 25% lautete, so dass der Beschwerdeführer mit seinem Antrag zu zwei Dritteln durchgedrungen ist.
Der Beschwerdeführer ficht die Kürzung der Parteientschädigung als sachlich nicht gerechtfertigt an. In
BGE 114 V 87
Erw. 4b habe das Eidg. Versicherungsgericht erkannt, dass im Sozialversicherungsprozess grundsätzlich nicht auf den Streitwert abzustellen sei, sondern die Parteientschädigung nach dem gebotenen Zeitaufwand festzusetzen sei, wobei der Wichtigkeit und Schwierigkeit der Streitsache und dem Umfang der gebotenen Arbeitsleistung Rechnung zu tragen sei. Damit sei zum Ausdruck gebracht worden, dass nicht die im Zivilprozess entwickelten Kriterien massgebend seien. Diesen Grundsätzen widerspreche der vorinstanzliche Entscheid. Zunächst sei der Beschwerdeführer gar nicht verpflichtet gewesen, sein Rechtsbegehren zu quantifizieren. Sodann sei das kantonale Gericht im Rahmen des Untersuchungsgrundsatzes und der Offizialmaxime gehalten gewesen, die Richtigkeit der Verfügung zu prüfen; auch sei es an die Parteianträge nicht gebunden. Das Ausmass des Obsiegens könne daher für die Bemessung der Parteientschädigung nicht massgebend sein, wenn sich erweise, dass die Beschwerde dem Grundsatze nach gerechtfertigt sei. Andernfalls würden doch zivilprozessuale Gesichtspunkte wegleitend sein.
Dem Beschwerdeführer ist insoweit beizupflichten, als er nicht verpflichtet gewesen wäre, den für die beantragte Rente massgebenden Invaliditätsgrad zahlenmässig zu spezifizieren, sondern sich damit hätte begnügen können, eine höhere Rente zu verlangen (
BGE 101 V 223
Erw. 4). Diesfalls wäre der Prozesserfolg nicht anteilsmässig quantifizierbar gewesen und der Beschwerdeführer hätte wegen Obsiegens eine volle Parteientschädigung erhalten. Zum gleichen Ergebnis hätte geführt, wenn die Vorinstanz die für den Entscheid über den Rentenanspruch erforderlichen zusätzlichen Erhebungen nicht selber vorgenommen, sondern die Sache zu ergänzender Abklärung an die SUVA
BGE 117 V 401 S. 407
zurückgewiesen hätte (ZAK 1987 S. 268 Erw. 5), was in ihrem Ermessen stand (ZAK 1971 S. 36 Erw. 1; RKUV 1986 Nr. K 665 S. 88, 1985 Nr. K 637 S. 195 Erw. 4; RSKV 1982 Nr. 492 S. 143 Erw. 3a). Dieses Ergebnis wäre einer Korrektur indessen nur zugänglich, wenn der Entscheid über die Parteientschädigung frei überprüfbar wäre. Denn unter dem Gesichtswinkel der Willkür lässt sich eine Kürzung der Parteientschädigung nach Massgabe eines nur teilweisen Obsiegens nicht beanstanden. Eine in diesem Sinne reduzierte Parteientschädigung widerspricht auch nicht dem Grundsatz von Art. 108 Abs. 1 lit. g Satz 2 UVG, wonach die Parteikosten ohne Rücksicht auf den Streitwert festzulegen sind.
c) Die streitige Festsetzung der Parteientschädigung widerspricht der bundesrechtlichen Bemessungsvorschrift von Art. 108 Abs. 1 lit. g Satz 2 UVG aber insofern, als mit dem Abstellen auf das bloss teilweise Obsiegen im konkreten Fall von den Kriterien des "zu beurteilenden Sachverhalts und der Schwierigkeit des Prozesses" abgewichen wird. Der Sachverhalt und die Schwierigkeit des Prozesses sind nicht davon abhängig, ob der Beschwerdeführer sein Rechtsbegehren konkret oder allgemein gefasst hat. Wird die Entschädigung im Sinne des vorinstanzlichen Entscheids nach dem anteilsmässigen Prozesserfolg bemessen, so hält sich dies nicht im Rahmen der nach Gesetz und Rechtsprechung massgebenden bundesrechtlichen Anforderungen an die Festsetzung der Parteientschädigung. Nach der Rechtsprechung hat der Beschwerdeführer bei teilweisem Obsiegen Anspruch auf eine reduzierte Parteientschädigung (
BGE 110 V 57
Erw. 3a, ZAK 1980 S. 124 Erw. 5). Eine "Überklagung" rechtfertigt aber auch dort, wo das Quantitativ einer Leistung streitig ist, eine Reduktion der Parteientschädigung nur, wenn das ziffernmässig bestimmte Rechtsbegehren den Prozessaufwand beeinflusst hat (EVGE 1967 S. 215 Erw. 3a). Hiefür fehlen im vorliegenden Fall aber jegliche Anhaltspunkte.
Nach dem Gesagten kann der vorinstanzliche Entscheid, soweit damit eine Kürzung der Parteientschädigung wegen bloss teilweisen Obsiegens vorgenommen wurde, nicht bestätigt werden. Da die übrigen Bemessungselemente von keiner Seite bestritten werden und einer Willkürprüfung standhalten, steht dem Beschwerdeführer im kantonalen Verfahren eine Parteientschädigung von Fr. 2'407.20 (Fr. 2'210.-- + Auslagenersatz von Fr. 197.20) zu. | null | nan | de | 1,991 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
7bbfe007-4d93-44b4-85a8-1bb7c901cd34 | Urteilskopf
108 III 33
13. Extrait de l'arrêt de la IIe Cour civile du 31 mars 1982 dans la cause X. contre Y. (recours de droit public) | Regeste
Art. 265 Abs. 2 SchKG
; Erlangung neuen Vermögens.
Berücksichtigung des Sparanteils einer gemischten Lebensversicherung, die zur Sicherstellung von Bankkonten hingegeben wurde, bei der Festsetzung des pfändbaren Betrages nach Erlangung neuen Vermögens. | Sachverhalt
ab Seite 33
BGE 108 III 33 S. 33
Par décision du 26 août 1981, le président du Tribunal du district de Lausanne a constaté que X. était revenu à meilleure fortune et a fixé à 440 fr. la part saisissable de son salaire.
Le 24 novembre 1981, la Chambre des recours du Tribunal cantonal vaudois a rejeté un recours du débiteur dirigé contre la décision du président de Tribunal.
X. a alors formé un recours de droit public au Tribunal fédéral dans lequel il conclut à l'annulation de l'arrêt de la Chambre des recours. Le recours a été rejeté.
Erwägungen
Considérant en droit:
2.
Les instances cantonales ont considéré que la presque totalité des primes de deux assurances-vie mixtes constituent en réalité une épargne. Il s'agit d'un montant fixé à 440 fr. par mois. Certes, ces deux assurances ont été données en garantie de comptes bancaires ouverts en faveur du commerce géré par le recourant et son épouse. Elles représentent cependant une épargne à partir du moment de leur conclusion (l'une d'elles prévoit même une participation aux bénéfices), dont le bénéficiaire pourra disposer lorsque les crédits bancaires auront été remboursés ou à tout le moins dans la mesure où les montants assurés dépasseront ces crédits.
Avec raison, l'intimé relève que les assurances mixtes, dès lors qu'elles comprennent une partie prépondérante d'épargne, doivent être prises en considération pour le calcul de la somme saisissable après retour à meilleure fortune. C'est donc à juste titre que les autorités cantonales ont tenu compte de la partie des primes qui ne constitue pas la couverture d'un risque pur mais une épargne.
Partant, elles n'ont pas fait une application arbitraire de l'art. 265 al. 2 LP, en fixant à 440 fr. le montant saisissable du revenu. | null | nan | fr | 1,982 | CH_BGE | CH_BGE_005 | CH | Federation |
7bc01814-1c57-4d64-a0d6-a75790317df0 | Urteilskopf
136 III 437
63. Auszug aus dem Urteil der II. zivilrechtlichen Abteilung i.S. Bank X. AG gegen Y. und Z. (Beschwerde in Zivilsachen)
5A_849/2009 vom 18. Mai 2010 | Regeste
Art. 131 Abs. 1 SchKG
; Forderungsüberweisung; private Verwertung von verarrestierten Pfandgegenständen.
Rechtsnatur des Entscheides über den Bestand einer nach
Art. 131 Abs. 1 SchKG
überwiesenen Forderung; Zulässigkeit der Beschwerde in Zivilsachen nach
Art. 72 Abs. 1 BGG
(E. 1.1).
Wirkung der Forderungsüberweisung nach
Art. 131 Abs. 1 SchKG
(E. 3 Ingress).
Zulässigkeit der Verrechnung, wenn ein privates Pfandverwertungsrecht (
Art. 891 ZGB
) nach Verarrestierung des Pfandgegenstandes ausgeübt wird (E. 3.1-3.6).
Verhältnis zwischen Verwertung nach
Art. 131 Abs. 1 SchKG
und Widerspruchsverfahren (E. 4). | Sachverhalt
ab Seite 438
BGE 136 III 437 S. 438
A.
A.a
Y. und Z. betrieben im Jahre 2001 ihren Vater A. für eine Forderung von mehreren Millionen Franken aus Schenkungsvertrag. In diesem Zusammenhang verarrestierte ("Arrest I") und pfändete das Betreibungsamt Schaffhausen die auf A. sowie auf die C. Stiftung lautenden Konti und Depots bei der Bank X. AG in Schaffhausen bis zum Forderungsbetrag.
A.b
Am 9. Dezember 2004 wurden auf Begehren von Y. und Z. erneut Konti und Depots der C. Stiftung sowie von A. bei der Bank X. AG für aufgelaufene Kosten und Parteientschädigungen verarrestiert, und zwar im Umfang von Fr. 88'000.- ("Arrest II", Betreibung Nr. 1) sowie für Zinsen auf den Hauptforderungen im Umfang von Fr. 472'000.- ("Arrest III", Betreibung Nr. 2).
A.c
Am 13. Dezember 2004 wies die Bank X. AG das Betreibungsamt darauf hin, dass sie aufgrund ihres Pfandrechts an den gesperrten Depotwerten die Minuspositionen durch Titelverkäufe ausgleichen wolle. Sodann beanspruche sie für Zahlungen, welche sie aus Garantieverpflichtungen zugunsten der C. Stiftung geleistet habe, das vertraglich eingeräumte Pfandrecht an den Werten der
BGE 136 III 437 S. 439
C. Stiftung. Daraufhin antwortete das Betreibungsamt am 15. Februar 2005, dass wegen des Arrest- und Pfändungsbeschlags der Vermögenswerte ein Ausgleich von Negativpositionen nicht erlaubt sei. Am 23. Februar 2005 teilte die Bank dem Betreibungsamt mit, dass gestützt auf das Schreiben vom 13. Dezember 2004 das Widerspruchsverfahren in Gang gesetzt hätte werden sollen; sie werde nun die aus dem Verkauf der Fondsanteile resultierenden Guthaben mit den Soll-Saldi von Konti der C. Stiftung verrechnen. Zwischen dem 2. und 8. März 2005 vollzog sie die angekündigten Schritte und deckte die aus Garantieverpflichtungen entstandenen Soll-Saldi durch Verrechnung mit aus dem Erlös entstandenen Guthaben. Am 1. April 2005 teilte die Bank dem Betreibungsamt mit, "die C. Stiftung weise keine Vermögenswerte mehr auf".
A.d
Am 21. März 2005 bzw. 11. April 2005 erfolgte in der Betreibung Nr. 1 ("Arrest II") und Betreibung Nr. 2 ("Arrest III") der Pfändungsvollzug für den verarrestierten Betrag. Ebenfalls am 11. April 2005 wurde für weitere Verzugszinsen ein Arrest im Umfang von Fr. 326'000.- auf Konti und Depots der C. Stiftung sowie von A. bei der Bank X. AG gelegt ("Arrest IV"); der Pfändungsvollzug (Betreibung Nr. 3) erfolgte am 11. November 2006.
A.e
Das Betreibungsamt Schaffhausen verwertete schliesslich am 16. Januar 2007 in den drei Betreibungen die Forderungen der Schuldner A. bzw. C. Stiftung gegenüber der Bank X. AG, Zürich, als Drittschuldnerin. Die Forderungen in Betreibung Nr. 1 für den Betrag von Fr. 85'570.35, in Betreibung Nr. 2 für den Betrag von Fr. 451'437.85 und in Betreibung Nr. 3 für den Betrag von Fr. 311'000.- wurden gemäss
Art. 131 Abs. 1 SchKG
an Zahlungs statt den beiden Gläubigern Y. und Z. überwiesen. Gemäss Bescheinigungen (Form. 33) vom 16. Januar 2007 gelten alle drei überwiesenen Forderungen von der Bank X. AG als bestritten.
A.f
Am 28. September 2007 erhoben Y. und Z. Klage beim Handelsgericht des Kantons Zürich mit dem (in der Folge reduzierten) Begehren, die Bank X. AG sei zu verpflichten, ihnen Fr. 636'099.50 nebst Zins von 5 % seit 26. Februar 2005 zu bezahlen. Sie machten im Wesentlichen geltend, "die Bank habe ihnen unrechtmässig Vermögenssubstrat entzogen": Sie habe die Vermögenswerte, welche A. bzw. die C. Stiftung der Bank als Faustpfand zur Sicherung von Garantien übergeben hatte, nicht selber verwerten dürfen, weil diese verarrestiert waren, weshalb die Verrechnung von Ansprüchen aus
BGE 136 III 437 S. 440
Bankgarantien mit dem Guthaben des Schuldners bzw. der C. Stiftung aus dem Erlös nicht zulässig gewesen sei.
B.
Mit Urteil vom 4. November 2009 verpflichtete das Handelsgericht des Kantons Zürich (in teilweiser Gutheissung der Klage) die Bank X. AG, den beiden Klägern Fr. 338'503.30 zuzüglich Zins von 5 % seit 26. Februar 2005 zu bezahlen.
C.
Die Bank X. AG führt mit Eingabe vom 16. Dezember 2009 Beschwerde in Zivilsachen. Die Beschwerdeführerin beantragt dem Bundesgericht, das Urteil des Handelsgerichts vom 4. November 2009 aufzuheben und die Klage vollumfänglich abzuweisen. (...)
Das Bundesgericht weist die Beschwerde in Zivilsachen ab.
(Auszug)
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
1.
1.1
Angefochten ist ein Entscheid über Forderungen, welche den Beschwerdegegnern nach
Art. 131 Abs. 1 SchKG
durch das Betreibungsamt überwiesen und von diesen eingeklagt wurden. Die Forderungen sind auf die Beschwerdegegner kraft Gesetz im Sinne von
Art. 166 OR
übergegangen und werden von diesen aus eigenem Recht geltend gemacht (FRITZSCHE/WALDER, Schuldbetreibung und Konkurs [...], Bd. I, 1984, § 30 Rz. 23; GILLIÉRON, Poursuite pour dettes, faillite et concordat, 4. Aufl. 2005, S. 243 Rz. 1260). Der Entscheid über den Bestand einer auf diese Weise abgetretenen Forderung gegenüber dem Drittschuldner - der Beschwerdeführerin - ist materieller Natur und betrifft eine Zivilsache im Sinne von
Art. 72 Abs. 1 BGG
. In der vorliegenden vermögensrechtlichen Streitigkeit wird die gesetzliche Streitwertgrenze von Fr. 30'000.- erreicht (
Art. 74 Abs. 1 lit. b BGG
). Die Vorinstanz als Fachgericht für handelsrechtliche Streitigkeiten hat als einzige Instanz in verfahrensabschliessender Weise entschieden (
Art. 75 Abs. 2 lit. b und
Art. 90 BGG
). Die Beschwerde in Zivilsachen ist grundsätzlich zulässig.
(...)
2.
2.1
Das Handelsgericht hat geprüft, ob die Beschwerdeführerin gegenüber den Beschwerdegegnern, denen die geltend gemachten Forderungen durch Verwertung nach
Art. 131 Abs. 1 SchKG
überwiesen wurden, die Verrechnung für eigene Forderungen erklären darf, und - falls diese unzulässig ist - sie sich auf ein Pfandrecht an den Vermögenswerten berufen kann.
BGE 136 III 437 S. 441
2.1.1
Die Vorinstanz hat zunächst erwogen, dass die Beschwerdeführerin die zwangsvollstreckungsrechtliche Verfügungssperre betreffend die auf A. und die C. Stiftung lautenden Vermögenswerte nicht beachtet habe. Es sei ihr kein Recht zur privaten Verwertung der - die Verwertungsanweisung des Betreibungsamts vom 15. Februar 2005 übersteigenden - restlichen Fondsanteile zugestanden; die Beschwerdeführerin habe die verarrestierten Wertschriften nicht verkaufen und anschliessend die Verrechnung vornehmen dürfen. Die vorhandenen Kontoguthaben seien nur als Folge der technischen Abwicklung (Verkauf von Fondsanteilen) entstanden und nicht dafür bestimmt gewesen, der Beschwerdeführerin zur Verrechnung mit eigenen Forderungen (aus Bankdienstleistungen bzw. Garantie) gegenüber der C. Stiftung zu dienen. Der Selbsthilfeverkauf und die anschliessende Verrechnung mit den entstandenen Guthaben seien unzulässig. Deshalb seien die Guthaben von A. bzw. der C. Stiftung im Umfang der Verrechnung als weiterhin bestehend zu betrachten.
2.1.2
Nach Auffassung des Handelsgerichts hat die Beschwerdeführerin sodann ihr Pfandrecht an den verarrestierten ("Arrest II und III") bzw. gepfändeten Vermögenswerten nicht angemeldet. Sie habe ihr Pfandrecht in den Betreibungen verwirkt. Im Übrigen wäre die angeblich unterlassene Einleitung des Widerspruchsverfahrens mit Beschwerde gegen das Betreibungsamt vor den Aufsichtsbehörden zu rügen gewesen.
2.1.3
Das Handelsgericht hat geschlossen, dass die Beschwerdeführerin weder eine Verrechnungsbefugnis noch allfällige Pfandrechte an den Vermögenswerten und daher das Guthaben an die Beschwerdegegner - als Abtretungsgläubiger gemäss
Art. 131 Abs. 1 SchKG
- zu leisten habe. Nach Berücksichtigung eines (Verwertungs-)Überschusses (Fr. 221'496.50) aus einem anderen Arrest- bzw. Betreibungsverfahren ("Arrest I", Betreibung Nr. 4) verbleibe ein Betrag von Fr. 338'503.50, welche die Beschwerdeführerin den Beschwerdegegnern gestützt auf die beiden in Betreibung Nr. 1 und Nr. 2 abgetretenen Forderungen zu bezahlen habe. Die dritte, in Betreibung Nr. 3 ("Arrest IV") abgetretene Forderung sei unbegründet, zumal keine mit Arrest- bzw. Pfändungsbeschlag belegten Vermögenswerte von der Beschwerdeführerin selber verwertet worden seien; weitere Ansprüche seien nicht begründet.
2.2
Die Beschwerdeführerin rügt im Wesentlichen eine Verletzung von
Art. 120 ff. OR
und
Art. 884 ff. ZGB
, weil das Handelsgericht
BGE 136 III 437 S. 442
ihr das Recht auf Verrechnung sowie das Pfandrecht an Vermögenswerten abgesprochen habe. Die Forderungsüberweisung nach
Art. 131 Abs. 1 SchKG
schliesse ihr Recht, Forderungen gegenüber dem Betriebenen zur Verrechnung zu bringen, nicht aus. Die Verfügungssperre des Betreibungsamtes betreffend die Vermögenswerte des Betriebenen vermöge daran nichts zu ändern. Sodann habe das Handelsgericht mit der Verneinung des Pfandrechts an den Vermögenswerten die Regeln über die Geltendmachung ihrer Ansprüche verletzt, weil das Betreibungsamt nicht nach
Art. 106 SchKG
(Einleitung des Widerspruchsverfahren) vorgegangen sei. Sie habe ihr Pfandrecht dem Betreibungsamt mehrfach mitgeteilt; im Weiteren sei (mit Hinweis auf
BGE 104 III 49
) anerkannt und notorisch, dass Banken ihre Ansprüche gegenüber dem Bankkunden vertraglich durch Verrechnungs- und Pfandrechte sichern. Die Beschwerdeführerin habe darauf vertrauen dürfen, dass das Betreibungsamt das Widerspruchsverfahren einleiten würde, in welchem sie ihre Pfandrechte geltend machen könne.
3.
Anlass zur Beschwerde geben Forderungen, welche den Beschwerdegegnern nach
Art. 131 Abs. 1 SchKG
durch das Betreibungsamt überwiesen und von diesen eingeklagt wurden. Zu Recht ist unbestritten, dass die Abtretung einer Forderung zum Nennwert an Zahlungs statt gemäss
Art. 131 Abs. 1 SchKG
in ihren Wirkungen der privatrechtlichen Zession entspricht, ungeachtet dessen, dass sie auf einem Verwertungsakt (bzw. einer Verfügung des Betreibungsamtes) beruht. Die Gläubiger - hier die Beschwerdegegner - sind gemeinsam bis zum Nennwert der abgetretenen Forderungen in die Rechte gegen die Drittschuldnerin - hier die Beschwerdeführerin - eingetreten (
BGE 95 II 235
E. 3 S. 238; AMONN/WALTHER, Grundriss des Schuldbetreibungs- und Konkursrechts, 8. Aufl. 2008, § 27 Rz. 50 f.). Sodann steht zu Recht nicht in Frage, dass der Drittschuldner (die Beschwerdeführerin als debitor cessus) den Abtretungsgläubigern nach
Art. 169 OR
Einreden entgegenhalten kann, u.a. die persönliche Einrede gegen den Zedenten (Betreibungsschuldner) wie die Verrechnung (
BGE 95 II 235
E. 3 S. 238; AMONN/WALTHER, a.a.O., § 27 Rz. 52; GILLIÉRON, Commentaire de la loi fédérale sur la poursuite pour dettes et la faillite, 2000, N. 30 zu
Art. 131 SchKG
). Umstritten ist, ob das Handelsgericht der Beschwerdeführerin die Befugnis zur Verrechnung mit eigenen Forderungen gegenüber dem Betriebenen verweigern durfte.
BGE 136 III 437 S. 443
3.1
Gegenstand der hier nach
Art. 131 Abs. 1 SchKG
verwerteten bzw. abgetretenen Forderungen sind die Guthaben des Betriebenen, welche im Wesentlichen aus dem Verkauf der verarrestierten Fondsanteile entstanden sind und welche die Beschwerdeführerin als Drittschuldnerin durch Verrechnung getilgt haben will. Dass die Guthaben, welche dem Betriebenen durch die Verwertung der verarrestierten Fondsanteile entstanden sind, ebenfalls unter zwangsvollstreckungsrechtlichen Beschlag gefallen sind und in der Folge durch das Betreibungsamt verwertet werden durften, steht hier zu Recht nicht zur Diskussion; im Übrigen ist die Verwertung nach
Art. 131 Abs. 1 SchKG
- als betreibungsamtliche Verfügung - unangefochten geblieben und rechtskräftig.
3.2
Das Handelsgericht hat der Beschwerdeführerin - entgegen ihrer Darstellung - nicht wegen ihrer Gegenforderung (Forderung, die sie zur Verrechnung bringen will) die Verrechnungsbefugnis verweigert. Es hat die Verrechnungslage deshalb verneint, weil mit Bezug auf die Hauptforderung - d.h. die Forderung des Verrechnungsgegners - die erforderliche Voraussetzung nicht erfüllt sei. Entscheidend sei (unter Hinweis auf
BGE 100 III 79
E. 4), dass der Drittschuldner im Zeitpunkt, als er vom Arrest Kenntnis erhielt, die Aussicht hatte, dereinst verrechnen zu können. Hier sei die Hauptforderung nur deshalb entstanden, weil die Beschwerdeführerin die verpfändeten Vermögenswerte von A. bzw. der C. Stiftung
nach
Arrestbeschlag verwertet habe. Das Betreibungsamt habe zudem auf Anfrage der Beschwerdeführerin ausdrücklich darauf hingewiesen, dass der "Ausgleich von Negativpositionen" nicht erlaubt sei, solange der Arrest- bzw. Pfändungsbeschlag anhalte. Ohne diese Verwertung wäre kein Guthaben (Hauptforderung) auf dem Konto der C. Stiftung gegenüber der Beschwerdeführerin entstanden und hätte diese nicht mit einer Gegenforderung (aus den erbrachten Bankdienstleistungen) verrechnen können.
3.3
Aus dem angefochtenen Urteil geht hervor, dass die Beschwerdeführerin verarrestierte Vermögenswerte verwertet hat. Dass das offenbar zwischen der Beschwerdeführerin (als Pfandnehmerin) und A. bzw. der C. Stiftung (als Verpfänder) vereinbarte - im Bankverkehr übliche (ZOBL, Berner Kommentar, Bd. IV, 2. Aufl. 1996, N. 28 und 29 zu
Art. 891 ZGB
) - Recht zur Verwertung der verpfändeten Vermögenswerte (
Art. 891 ZGB
) durch das Zwangsvollstreckungsrecht beschränkt wird, stellt die Beschwerdeführerin nicht in Frage. In der Tat kann nach konstanter Rechtsprechung und herrschender
BGE 136 III 437 S. 444
Auffassung ein privates Pfandverwertungsrecht (
Art. 891 Abs. 1 ZGB
) - wie die Vorinstanz richtig festgehalten hat - nicht mehr ausgeübt werden, sobald der Pfandgegenstand gepfändet oder verarrestiert worden ist (
BGE 81 III 57
ff.;
BGE 108 III 91
E. 3b S. 93;
BGE 116 III 23
E. 2 S. 26/27; STEINAUER, Les droits réels, Bd. III, 2003, Rz. 3122b; TUOR/SCHNYDER/SCHMID, Das Schweizerische Zivilgesetzbuch, 13. Aufl. 2009, § 117 Rz. 6; GILLIÉRON, Commentaire, a.a.O, N. 63 zu
Art. 98 SchKG
; REISER, in: Kommentar zum Bundesgesetz über Schuldbetreibung und Konkurs, Bd. III, 1998, N. 87 zu
Art. 275 SchKG
; AMONN/WALTHER, a.a.O., § 33 Rz. 18; MOSKRIC, Der Lombardkredit, 2003, S. 232-234 mit eingehender Begründung; ZOBL, a.a.O., N. 33 ff. zu
Art. 891 ZGB
, mit Kritik in N. 40). Es ist daher nicht zu beanstanden, wenn die Vorinstanz angenommen hat, die Beschwerdeführerin habe kein Recht zur privaten Verwertung der verarrestierten Fondsanteile gehabt.
3.4
Die Beschwerdegegner weisen darauf hin, die Verrechnung der Beschwerdeführerin sei rechtsmissbräuchlich, weil sie auf einem Verstoss gegen den Arrestbeschlag beruhe. Dass das Guthaben (die Hauptforderung) zu Gunsten der C. Stiftung durch den Verkauf der verarrestierten Fondsanteile entstanden ist, geht aus dem Sachverhalt hervor und ist unbestritten. Entstand aber die der Verrechnung zugrunde liegende Hauptforderung aufgrund eines rechtswidrigen Verhaltens des nachherigen Kompensanten, so kann ihre Tilgung durch Verrechnung rechtsmissbräuchlich sein (AEPLI, Zürcher Kommentar, 3. Aufl. 1991, N. 88 Vorbem. zu
Art. 120-126 OR
). Wohl wird im angefochtenen Urteil nicht ausdrücklich von "Rechtsmissbrauch" gesprochen. Wenn das Handelsgericht aber festgehalten hat, die Guthaben (Hauptforderung) aus der unzulässigen - weil gegen den Arrestbeschlag verstossenden - Selbsthilfe bzw. privaten Verwertung ihres Pfandes seien "nicht dafür bestimmt gewesen", der Beschwerdeführerin zur Verrechnung mit eigenen Forderungen zur Verfügung zu stehen, wirft sie ihr wohl eine rechtsmissbräuchliche Verrechnung vor. Nach Auffassung der Vorinstanz hat die Beschwerdeführerin in unzulässiger Weise ihre Rechtsposition verbessert, indem sie einseitig und in Missachtung der laufenden Zwangsvollstreckung unmittelbar eine verrechenbare Hauptforderung geschaffen hat (anstatt ihre allfälligen Pfandrechte - wie alle Gläubiger - nach Art. 106 f. SchKG geltend zu machen). Darauf geht die Beschwerdeführerin nicht ein. Sie beschränkt sich auf die Feststellung, dass ihr ein Verrechnungsrecht zustehe, ohne auf den Grund einzugehen,
BGE 136 III 437 S. 445
weshalb die Vorinstanz die Verrechnung als unwirksam erachtet hat. Sie legt nicht dar, inwiefern das Handelsgericht
Art. 2 Abs. 2 ZGB
(vgl. zum Begriff:
BGE 129 III 493
E. 5.1 S. 497) verkannt habe, wenn es angenommen hat, dass ihre Rechtsausübung - die Verrechnung - ohne schützenswertes Interesse erfolgt sei. Insoweit kann auf die Beschwerde mangels hinreichender Begründung nicht eingetreten werden (
Art. 42 Abs. 2 BGG
), und eine abschliessende Beurteilung der Frage des Rechtsmissbrauchs ist im konkreten Fall nicht erforderlich.
3.5
Im Übrigen ist nach
Art. 125 Ziff. 1 OR
die Verrechnung gegen den Willen des Gläubigers ohnehin ausgeschlossen, wenn es um die Rückgabe- bzw. Ersatzverpflichtung aus widerrechtlicher oder böswilliger Vorenthaltung geht. Mit diesem Verrechnungsausschluss kommt der Grundsatz zum Ausdruck, dass aus eigenem Fehlverhalten kein Nutzen gezogen werden darf bzw. diese Schuld nicht zur Befriedigung einer Forderung durch Verrechnung verwendet werden kann (AEPLI, a.a.O., N. 24, 40 zu
Art. 125 OR
). Wer z.B. eine hinterlegte Ware entgegen der vertraglichen Abrede verkauft, entzieht diese im Sinne von
Art. 125 Ziff. 1 OR
und kann daher der Schadenersatzforderung des Vertragspartners nicht die Einrede der Verrechnung entgegenhalten (
BGE 51 III 446
E. 2 S. 448 f.). Das Gleiche muss gelten, wenn - wie hier - die Beschwerdeführerin als Pfandnehmerin das Pfand trotz Arrestbeschlag (d.h. widerrechtlich) privat verwertet hat, obwohl sie um die Verletzung der vom Zwangsvollstreckungsrecht geschützten Rechte wusste (vgl. AEPLI, a.a.O., N. 46 f. zu
Art. 125 OR
). Sie kann dem aus dem Verkauf resultierenden Guthaben auf Seiten des Betriebenen jedenfalls nicht gegen den Willen der Beschwerdegegner (welche die Forderung nach
Art. 131 Abs. 1 SchKG
erworben haben) die Einrede der Verrechnung entgegenhalten. Es ist daher nicht zu beanstanden, wenn das Handelsgericht im Ergebnis einen gesetzlichen Verrechnungsausschluss angenommen hat.
3.6
Schliesslich versucht die Beschwerdeführerin nichts für sich aus dem Bundesgesetz vom 3. Oktober 2008 über Bucheffekten (Bucheffektengesetz, BEG; SR 957.1) abzuleiten. Nach diesem Gesetz ist die Verwertung von Bucheffekten, an denen eine Sicherheit bestellt worden ist, und die Verrechnung mit der gesicherten Forderung auch im Zwangsvollstreckungsverfahren gegen den Sicherungsgeber möglich (
Art. 31 Abs. 2 BEG
). Der Gesetzgeber hat sich ausdrücklich von der bisherigen Rechtslage abgewendet und eine neue Regelung
BGE 136 III 437 S. 446
geschaffen (Botschaft vom 15. November 2006 zum Bucheffektengesetz sowie Haager Wertpapierübereinkommen, BBl 2006 9381 Ziff. 2.1.7.1; FOËX, Gage sur les droits-valeurs: développements récents, in: Mélanges publiés par l'Association des Notaires Vaudois, 2005, S. 249). Da das BEG erst am 1. Januar 2010 - erst nach der umstrittenen Verrechnung - in Kraft getreten ist und die Beschwerdeführerin in diesem Zusammenhang keine Rügen begründet, erübrigen sich weitere Erörterungen. Nach dem Dargelegten hält vor Bundesrecht stand, wenn das Handelsgericht gefolgert hat, dass die Verrechnungswirkung auszubleiben hat. In diesem Punkt ist die Rüge einer Rechtsverletzung unbegründet.
4.
Die Beschwerdeführerin wirft dem Handelsgericht weiter eine Verletzung der "Grundsätze des betreibungsrechtlichen Pfändungsverfahrens vor". Sie habe ihr Pfandrecht bzw. den Pfandvertrag dem Betreibungsamt rechtsgenügend zur Kenntnis gebracht. Wenn das Handelsgericht annehme, dass die Verrechnung nicht wirksam erfolgt sei, dann müsse ihr jedoch das Pfandrecht (an den verarrestierten bzw. gepfändeten Vermögenswerten) zugestanden werden. Nach Auffassung des Handelsgerichts hat die Beschwerdeführerin jedoch ihr Pfandrecht an den verarrestierten ("Arrest II" und "Arrest III") bzw. gepfändeten Vermögenswerten nicht angemeldet. Sie habe ihr allfälliges Pfandrecht in den Betreibungen verwirkt und könne dieses den Beschwerdegegnern nicht mehr entgegenhalten.
4.1
Die Beschwerdeführerin bezieht ihr Pfandrecht nicht nur auf die verarrestierten bzw. gepfändeten Vermögenswerte, sondern auch auf die Bankguthaben, welche durch die Privatverwertung beim Betriebenen entstanden sind. Die Vorinstanz ist allgemein - und zu Recht unter Hinweis auf
BGE 132 III 281
ff. - davon ausgegangen, dass auch bei gepfändeten Bankguthaben, an denen Anspruch erhoben wird, die Vormerkung des Drittanspruchs erforderlich ist. Ob vor dem Hintergrund der Unzulässigkeit der Privatverwertung sich das Pfandrecht "automatisch" auf das entstandene, ebenfalls unter Arrest- bzw. Pfändungsbeschlag stehende Bankguthaben des Betriebenen erstreckt, hat das Handelsgericht nicht ausgeführt; es spricht lediglich von einem "allfälligen Pfandrecht". Die Frage braucht - wie sich aus dem Folgenden ergibt - nicht näher erörtert zu werden.
4.2
Zu Recht ist unbestritten, dass die Pfandrechte Dritter am Arrest- bzw. Pfändungsgut (wie Wertpapieren, Bankguthaben) im Widerspruchsverfahren zu klären sind (
Art. 106 ff., 275 SchKG
;
BGE 136 III 437 S. 447
AMONN/WALTHER, a.a.O, § 24 Rz. 7, 10). Es trifft zu, dass es nach
BGE 104 III 42
(E. 4b S. 49) - auf welchen die Beschwerdeführerin hinweist - den Banken in der Regel leichtfällt, den Bestand der von ihnen geltend gemachten Pfandrechte durch Vorlage von Urkunden sofort zu beweisen, so dass der Gläubiger von vornherein auf eine Widerspruchsklage verzichtet. Entgegen der Meinung der Beschwerdeführerin kann aus dem erwähnten Urteil keinesfalls abgeleitet werden, dass die Anmeldung des Anspruchs gemäss
Art. 106 Abs. 1 SchKG
(bzw. das sog. Vorverfahren) für Banken entbehrlich wäre (vgl. FRITZSCHE/WALDER, a.a.O., § 26 Rz. 27 S. 369). Eine gültige Anmeldung ist vielmehr Voraussetzung, dass das Betreibungsamt das Widerspruchsverfahren überhaupt eröffnen kann (vgl.
Art. 107 ff. SchKG
); gegebenenfalls kann es - wie die Vorinstanz zu Recht erwogen hat - mittels Beschwerde (
Art. 17 Abs. 1 SchKG
) dazu gezwungen werden (AMONN/WALTHER, a.a.O., § 24 Rz. 30; GILLIÉRON, Poursuite, a.a.O., Rz. 1137, 1143).
4.3
Die Ausführungen der Beschwerdeführerin zur angeblich rechtzeitigen und wirksamen Anmeldung ihres Pfandrechts sind unbehelflich. Aus dem angefochtenen Urteil geht hervor, dass in den strittigen Arresten bzw. Pfändungen kein Widerspruchsverfahren eröffnet worden ist. Im Übrigen übergeht die Beschwerdeführerin (sowie das Handelsgericht), dass nach Verteilung des Verwertungserlöses das Widerspruchsverfahren gar nicht mehr möglich ist (vgl.
Art. 106 Abs. 2 SchKG
; AMONN/WALTHER, a.a.O., § 24 Rz. 24). Bei der Verwertung nach
Art. 131 Abs. 1 SchKG
- Hingabe an Zahlungs statt - erlöschen die Betreibungen der Abtretungsgläubiger (AMONN/WALTHER, a.a.O., § 27 Rz. 51); diese nehmen insoweit weder am Kollokationsplan noch an der Verteilung teil (GILLIÉRON, Commentaire, a.a.O., N. 17 a.E. zu
Art. 131 SchKG
). Im Ergebnis ist nicht zu beanstanden, wenn das Handelsgericht angenommen hat, die Beschwerdeführerin könne den Beschwerdegegnern - denen die Forderung gestützt auf
Art. 131 Abs. 1 SchKG
überwiesen wurde bzw. deren Betreibungen erloschen sind - kein Pfandrecht entgegenhalten, sondern die umstrittenen Forderungen seien unbelastet verwertet worden. Insoweit kann von einer Rechtsverletzung nicht gesprochen werden. | null | nan | de | 2,010 | CH_BGE | CH_BGE_005 | CH | Federation |
7bc7bfa1-4d30-41f9-83ef-890f95511e78 | Urteilskopf
139 IV 195
26. Extrait de l'arrêt de la Ire Cour de droit public dans la cause Ministère public du canton de Genève contre Tribunal pénal du canton de Genève, Tribunal des mesures de contrainte (recours en matière pénale)
1B_128/2013 du 8 mai 2013 | Regeste
Art. 273 Abs. 3 StPO
; Dauer der rückwirkenden Überwachung des Fernmeldeverkehrs.
Da die sich in Gang befindlichen Gesetzgebungsarbeiten auf die Pflicht hinweisen, dem Schutz der Privatsphäre der Benutzer und Dritten Rechnung zu tragen, muss man sich an den Wortlaut von
Art. 273 Abs. 3 StPO
halten, der eine rückwirkende Überwachung der in Absatz 1 umschriebenen Daten für eine Dauer von höchstens sechs Monaten erlaubt (E. 2). | Sachverhalt
ab Seite 195
BGE 139 IV 195 S. 195
A.
Le 25 août 2012, le Ministère public du canton de Genève (ci-après: le Ministère public) a ouvert une instruction pénale à l'encontre de X. pour meurtre et viol d'une fille âgée de douze ans. Le même jour, le téléphone portable utilisé par la compagne du prénommé, Y., a été saisi.
Le 31 janvier 2013, Y. a déposé plainte pénale contre X. pour contrainte sexuelle, viol, séquestration, injures et menaces. Dans le but d'établir, vérifier et préciser les faits pour lesquels la plainte pénale a été déposée, le Ministère public a ordonné, le 12 février 2013, la surveillance rétroactive des télécommunications de la plaignante pour une durée de six mois, soit du 12 août 2012 au 12 février 2013. Le Tribunal des mesures de contrainte (ci-après: le Tmc) a autorisé cette surveillance. Dans son rapport de renseignements complémentaires du 15 février 2013, la police a conclu à l'utilité d'obtenir des données rétroactives sur le raccordement précité sur une période temporelle plus étendue.
BGE 139 IV 195 S. 196
Le 20 février 2013, le Ministère public a étendu l'instruction pénale ouverte contre X. notamment aux infractions de contrainte sexuelle, viol, séquestration, injures et menaces.
Le 28 février 2013, le Ministère public a demandé au Tmc d'autoriser la surveillance rétroactive des télécommunications de Y. pour la période du 20 juin 2011 au 25 août 2012.
Par ordonnance du 28 février 2013, le Tmc a refusé d'autoriser la surveillance requise, en se fondant sur le texte de l'art. 273 al. 3 du Code de procédure pénale suisse du 5 octobre 2007 (CPP; RS 312.0).
B.
Agissant par la voie du recours en matière pénale, le Ministère public demande au Tribunal fédéral d'annuler cette ordonnance et d'autoriser la surveillance rétroactive ordonnée sur le raccordement téléphonique utilisé jusqu'au 25 août 2012 par la plaignante pour la période du 20 juin 2011 au 25 août 2012, ou subsidiairement pour la période du 25 février 2012 au 25 août 2012. (...)
Le Tribunal fédéral a rejeté le recours.
(extrait)
Erwägungen
Extrait des considérants:
2.
Le Ministère public reproche au Tmc d'avoir violé le droit fédéral en retenant que la surveillance rétroactive ordonnée n'était pas susceptible d'être autorisée au regard de l'
art. 273 al. 3 CPP
. Il n'est pas contesté que les conditions légales prévues aux art. 269 al. 1 let. b et c et 273 al. 1 CPP pour une surveillance rétroactive des télécommunications sur le raccordement considéré sont réalisées. Seule est litigieuse la question de la durée de la surveillance rétroactive.
2.1
A teneur de l'
art. 273 al. 1 CPP
, lorsque de graves soupçons laissent présumer qu'un crime, un délit ou une contravention au sens de l'art. 179
septies
CP a été commis et que les conditions visées à l'art. 269 al. 1 let. b et c sont remplies, le Ministère public peut exiger que lui soient fournies les données indiquant quand et avec quelles personnes ou quels raccordements la personne surveillée a été ou est en liaison par poste ou télécommunication (let. a) ou les données relatives au trafic et à la facturation (let. b). L'alinéa 3 de cette disposition précise que ces données peuvent être demandées avec effet rétroactif sur une période de six mois au plus, indépendamment de la durée de la surveillance.
2.2
La possibilité de surveiller la correspondance par télécommunication a été introduite afin de garantir une poursuite pénale efficace
BGE 139 IV 195 S. 197
lorsque les auteurs d'infraction utilisent les moyens de communication modernes dans la préparation et l'exécution de délits. La règle des six mois ancrée à l'
art. 273 al. 3 CPP
garantit d'une part que la surveillance rétroactive ne puisse pas être illimitée. D'autre part, elle prend en compte le fait que les fournisseurs de services postaux et de télécommunication ne sont pas obligés par le droit administratif (art. 12 al. 2 et art. 15 al. 3 de la loi fédérale du 6 octobre 2000 sur la surveillance de la correspondance par poste et télécommunication [LSCPT; RS 780.1]) de conserver les données au-delà de six mois (THOMAS HANSJAKOB, in Zürcher Kommentar, Schweizerische Strafprozessordnung, 2010, n° 13 ad
art. 273 CPP
;
ATF 139 IV 98
consid. 4.5 p. 100).
Le législateur n'a pas réglé expressément le cas dans lequel le fournisseur a conservé spontanément des données utiles à l'instruction pénale pour une période remontant à plus de six mois. Le Message du 21 décembre 2005 relatif à l'unification du droit de la procédure pénale (FF 2006 1233) ne se prononce pas sur ce cas de figure. La doctrine n'est pas unanime sur la nature juridique du délai de six mois ancré à l'
art. 273 al. 3 CPP
. Pour certains, le délai est impératif, même lorsque les fournisseurs disposent de données plus anciennes (MARC JEAN-RICHARD-DIT-BRESSEL, in Basler Kommentar, Schweizerische Strafprozessordnung, 2011, n° 5 ad
art. 273 CPP
). Pour d'autres, ce délai est un simple délai d'ordre (ZUFFEREY/BACHER, in Commentaire romand, Code de procédure pénale suisse, 2011, n° 7 ad
art. 273 CPP
; MOREILLON/PAREIN-REYMOND, CPP, Code de procédure pénale, 2013, n° 14 ad
art. 273 al. 3 CPP
).
Dans un arrêt récent, le Tribunal fédéral a considéré que l'
art. 273 al. 3 CPP
pourrait être interprété de manière à permettre, en toutes circonstances et sans motivation particulière, la surveillance rétroactive d'une durée de six mois et, lorsque des motifs particuliers le justifient, également pour une période plus longue (cf. HANSJAKOB, op. cit., n° 14 ad
art. 273 CPP
). Il n'a cependant pas eu à approfondir la question et l'a donc laissée indécise, dans la mesure où l'
art. 273 CPP
ne s'appliquait pas en l'espèce s'agissant d'un acte punissable commis au moyen d'internet. En effet, une disposition spéciale, l'
art. 14 al. 4 LSCPT
, prévoyait un délai plus long (
ATF 139 IV 98
consid. 4.8 p. 101).
2.3
Dans l'intervalle, le Conseil fédéral a adopté le 28 février 2013 le projet de révision de la LSCPT. L'art. 273 al. 3 P-CPP prévoit que
BGE 139 IV 195 S. 198
les données secondaires - soit les données indiquant avec qui, quand, combien de temps et d'où la personne surveillée a été ou est en communication ainsi que les caractéristiques techniques de la communication considérée (art. 8 let. b P-LSCPT) - peuvent être demandées avec effet rétroactif sur une période de douze mois au maximum (FF 2013 2503). Dans son Message à l'appui de la révision de la LSCPT, le Conseil fédéral propose d'allonger de six mois à douze mois la durée de conservation des données secondaires afin de permettre une poursuite plus efficace des infractions. Il souligne que le délai de conservation de six mois est trop court puisqu'il est souvent totalement ou en grande partie échu lorsque l'autorité est en mesure d'ordonner une surveillance (FF 2013 2393 ch. 1.4.7). Le Conseil fédéral mentionne en outre, à l'appui de sa proposition, la directive de l'Union européenne 2006/24/CE du Parlement européen et du Conseil du 15 mars 2006 sur la conservation de données générées ou traitées dans le cadre de la fourniture de services de communications électroniques accessibles au public ou de réseaux publics de communications, JO L 105 du 13 avril 2006 p. 54. Celle-ci autorise, pour les données correspondant aux données secondaires en Suisse, une durée de conservation de six mois au minimum à, en principe, deux ans au maximum à compter de la date de la communication (FF 2013 2437 ad art. 26 al. 5). Le Conseil fédéral conclut qu'eu égard aux intérêts publics en jeu, il y a lieu de considérer que l'extension de six à douze mois de la période de conservation des données est compatible avec les droits fondamentaux des personnes dont les données sont conservées (FF 2013 2436 ad art. 26 al. 5).
Les travaux législatifs en cours démontrent la nécessité d'allonger la période de collecte rétroactive des données secondaires. Ils font cependant aussi état du devoir de prendre en compte la protection de la sphère privée des utilisateurs et des tiers. Vu ces éléments, il faut en définitive s'en tenir à la lettre de l'
art. 273 al. 3 CPP
qui autorise un contrôle rétroactif sur une période de six mois au plus. Par conséquent, l'
art. 273 al. 3 CPP
, dans sa teneur actuelle, fait obstacle à la prolongation de la période de transmission des données aux autorités pénales au-delà de six mois. Pour le surplus, il incombera au législateur de fixer le délai le mieux adapté au but de poursuite plus efficace des infractions (cf. FF 2013 2393 ch. 1.4.7). (...) | null | nan | fr | 2,013 | CH_BGE | CH_BGE_006 | CH | Federation |
7bc96243-f6fd-4710-8a3d-1d7d830ac879 | Urteilskopf
87 I 362
59. Auszug aus dem Urteil vom 17. Mai 1961 i.S. Staub gegen Gesundheitsbehörde Wetzikon und Regierungsrat des Kantons Zürich. | Regeste
Eigentumsgarantie,
Art. 4 BV
.
Die Abwehr übermässiger Immissionen ist auch Sache des öffentlichen Rechts. Polizeilicher Schutz vor Ruhestörung und Geruchsbelästigung. | Sachverhalt
ab Seite 362
BGE 87 I 362 S. 362
Aus dem Tatbestand:
Staub betreibt in Wetzikon eine Schweinemästerei, in der er zwischen 80 und 125 Tiere hält. Das Grundstück, worauf der Stall steht, grenzt an eine Primarschulanlage; rund 50 m vom Stall entfernt wird ein neues Gewerbeschulhaus erstellt. Im näheren Umkreis finden sich ferner ein Kindergarten, das alte Gewerbeschulhaus, das Verwaltungsgebäude der Gemeindewerke sowie mehrere Wohnhäuser.
Nachdem sich verschiedene Nachbarn über Belästigung durch üble Gerüche und durch Lärm beklagt hatten, ordnete die Gesundheitsbehörde Wetzikon die Schliessung der Mästerei an. Der Regierungsrat des Kantons Zürich hat auf Rekurs hin diese Verfügung dem Grundsatze nach geschützt; er hat jedoch auf Zusehen hin das Halten von höchstens zehn Schweinen gestattet.
Staub führt gegen diesen Entscheid staatsrechtliche Beschwerde wegen Verletzung der Eigentumsgarantie
BGE 87 I 362 S. 363
sowie der Art. 4 (und 31) BV. Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab, soweit es darauf eintritt.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
Der Beschwerdeführer bestreitet mit Recht nicht mehr, dass die Abwehr der in
Art. 684 ZGB
untersagten übermässigen Immissionen nicht nur eine Sache des Privatrechts (
Art. 679, 928 ZGB
), sondern grundsätzlich auch eine solche des öffentlichen Rechts ist (vgl.
BGE 53 I 401
; HAAB, N. 56, 67 zu Art. 641, N. 3 zu
Art. 684 ZGB
; OFTINGER, Lärmbekämpfung als Aufgabe des Rechts, S. 42 ff.; ders., ZSR 79 S. 656 a ff. und JT 1960 S. 474 ff.). In diesem Sinne tritt § 168 des zürcherischen EG ZGB ein. Als Polizeibehörde amtet dabei der Gemeinderat (§ 74 des Gemeindegesetzes) oder eine besondere gemeindliche Kommission mit selbständigen Verwaltungsbefugnissen (§ 56 dieses Gesetzes), wie hier die Gesundheitsbehörde.
Der Beschwerdeführer macht geltend, nach § 168 EG ZGB dürfe die Polizeibehörde nur einschreiten, wenn ein öffentliches Interesse beeinträchtigt sei, nicht dagegen schon dann, wenn ein Nachbar sich verletzt fühle; im vorliegenden Fall stehe das öffentliche Interesse nicht im Spiele, weshalb § 168 EG ZGB nicht Platz greife. Diese Einwendung betrifft die Auslegung und Anwendung kantonalen Gesetzesrechts, welche das Bundesgericht nur unter dem beschränkten Gesichtswinkel der Willkür und der rechtsungleichen Behandlung überprüft (
BGE 77 I 218
;
BGE 78 I 428
;
BGE 79 I 228
;
BGE 82 I 106
Erw. 2, 162 b;
BGE 84 I 173
Erw. 2). Der Beschwerdeführer erhebt in diesem Zusammenhang weder die eine noch die andere Rüge. Von Willkür kann in der Tat nicht die Rede sein.
Gemäss § 168 EG ZGB kann "jemand", den die Eigentumsüberschreitung eines Grundeigentümers geschädigt hat oder mit Schaden bedroht, zunächst den Schutz der Polizeibehörde anrufen. Nach dem Wortlaut dieser Bestimmung hat jedermann, der durch übermässige Immissionen verletzt oder gefährdet ist, und sei es auch nur ein
BGE 87 I 362 S. 364
einzelner Nachbar, grundsätzlich Anspruch auf polizeiliche Hilfe. Das entspricht denn auch Sinn und Wesen des polizeilichen Immissionenschutzes. Erste Aufgabe der Polizei ist die Aufrechterhaltung der öffentlichen Ruhe und Ordnung. Zum Bestand der öffentlichen Ordnung aber gehören auch die Rechte, die dem Einzelnen als Glied der Gemeinschaft im gesellschaftlichen Zusammenleben gewährleistet sind, wie insbesondere der Schutz vor von aussen kommenden Ruhestörungen (vgl.
BGE 53 I 401
; FLEINER, Institutionen, 8. Aufl., S. 398 N. 35; OFTINGER, Lärmbekämpfung, S. 43/44, 53/54; ZR 24 Nr. 49 Erw. 2 = SJZ 20 S. 328 Nr. 67). Richtig ist, dass der polizeiliche Immissionenschutz sich mittelbar auch zugunsten des Eigentums der einzelnen Nachbarn auswirkt; eigentlicher Gegenstand des Schutzes ist jedoch die öffentliche Ordnung (HAAB, N. 57 zu Art. 641, N. 3 zu
Art. 684 ZGB
). Die Polizei kann deshalb nicht mit dem Einwand, sie dürfe ihren Arm nicht der Wahrung blosser Privatinteressen leihen, von der Bekämpfung der gegen das öffentliche Interesse verstossenden übermässigen Immissionen abgehalten werden (vgl. nicht veröffentlichtes Urteil vom 8. Oktober 1952 i.S. Röthlin, Erw. 2).
Werden die Polizeibehörden durch Anzeige oder auf Grund eigener Wahrnehmung auf eine Eigentumsüberschreitung aufmerksam, so haben sie nach pflichtgemässem Ermessen zu entscheiden, ob unter den gegebenen Umständen ihr Eingreifen um der Erhaltung der öffentlichen Ordnung willen gerechtfertigt sei (Zbl 1914 S. 227, 1923 S. 61; BAUHOFER, Zbl 1918 S. 48). Im vorliegenden Fall traf das klarerweise zu, und zwar nicht nur, weil sich verschiedene Nachbarn über Geruchs- und Lärmbelästigungen beklagt hatten, sondern auch, weil sich im Umkreis von hundert Metern zwei Schulen sowie ein Kindergarten befinden und ein weiteres Schulhaus vor der Ausführung steht. | public_law | nan | de | 1,961 | CH_BGE | CH_BGE_001 | CH | Federation |
7bcde18b-c4ec-4d65-8d87-3fee7f34c7cb | Urteilskopf
108 IV 81
22. Urteil des Kassationshofes vom 28. Juni 1982 i.S. J. gegen Staatsanwaltschaft des Mittellandes des Kantons Bern (Nichtigkeitsbeschwerde) | Regeste
1.
Art. 5 und 6 StGB
; Auslandstat eines Schweizers gegen einen Schweizer.
Begeht ein Schweizer im Ausland ein Delikt gegen einen andern Schweizer, so kommen sowohl Art. 5 als auch
Art. 6 StGB
sinngemäss zur Anwendung. Wurde die im Ausland ausgefällte Strafe dort nur teilweise vollzogen, so ist die Straftat in der Schweiz neu zu beurteilen (E. 1).
2.
Art. 43 StGB
; Begriff der Heil- oder Pflegeanstalt.
Eine Heilanstalt i.S. des Gesetzes liegt vor, wenn sie von einem Arzt geleitet wird oder ihr zumindest ein Arzt zur Verfügung steht, der regelmässig die Anstalt besucht, wobei zudem die notwendigen speziellen Einrichtungen sowie entsprechend ausgebildetes und ärztlich überwachtes Personal vorhanden sein müssen (E. 3c). | Sachverhalt
ab Seite 82
BGE 108 IV 81 S. 82
A.-
Am 6. Juni 1976 tötete der Schweizer J. auf dem Flughafen Seattle-Tacoma (USA) seine Ehefrau mit Messerstichen.
Er wurde deswegen von den zuständigen Gerichten des US-Bundesstaates Washington schuldig befunden des "murder of the first degree (while armed with a deadly weapon)" und rechtskräftig zu lebenslanger Freiheitsstrafe verurteilt.
Im Verlaufe des Strafverfahrens und während des anschliessend im Washingtoner Staatsgefängnis Walla-Walla begonnenen Strafvollzugs traten bei J. gesundheitliche Störungen vorab psychischer Natur auf. Am 25. April 1978 erliess die Gouverneurin des Staates Washington eine "Order Releasing J. to the Custody of the Swiss Gouvernement for Completion of the Sentence". Der Verurteilte, dessen Angehörige in der Schweiz, sein amerikanischer Verteidiger sowie die Schweizer Botschaft in den USA und konsularische Vertreter hatten sich zuvor für eine geeignete Unterbringung und Behandlung in der Schweiz eingesetzt. In der Order der Gouverneurin wurde ausdrücklich festgehalten, dass die Strafverbüssung in der Schweiz fortzusetzen sei.
Am 8. November 1978 traf J. in der Schweiz ein.
B.-
Auf ein vom Bezirksprokurator II von Bern bei der Kriminalkammer des Kantons Bern eingereichtes Begehren, diese Instanz möge gestützt auf
Art. 5 Abs. 3 StGB
über die noch vollziehbare Strafe entscheiden, erachtete sich die Kriminalkammer als nicht zuständig. Darauf leitete die Staatsanwaltschaft des Mittellandes beim Geschwornengericht des Mittellandes gegen J. ein Verfahren auf Vollstreckung des in den USA gefällten Strafurteils ein. Mit Entscheid vom 17. Juli 1980 nahm die Kriminalkammer dieses Begehren zuhanden des Geschwornengerichts entgegen, verfügte die Verhaftung von J. und veranlasste seine psychiatrische Begutachtung.
Am 4. Dezember 1980 führte das Geschwornengericht des II. Bezirks des Kantons Bern eine Exequaturverhandlung durch. Dabei beurteilte es die im US-Bundesstaat Washington begangene Tat nach schweizerischem Recht vollständig und verurteilte J. wegen Mordes in Berücksichtigung des bereits in den USA erlittenen Freiheitsentzugs zu einer Reststrafe von zehn Jahren Zuchthaus. Das Geschwornengericht folgte den Empfehlungen des
BGE 108 IV 81 S. 83
psychiatrischen Experten und ordnete gemäss
Art. 43 Ziff. 1 Abs. 1 StGB
an, dass J. unter Aufschub des Strafvollzugs in eine geeignete, nicht klinisch geführte Heilanstalt zur stationären psychiatrischen Behandlung einzuweisen sei, wobei als geeigneter Vollzugsort die Anstalten St. Johannsen empfohlen wurden.
C.-
Sowohl J. als auch die Staatsanwaltschaft des Mittellandes führten gegen das Urteil des Geschwornengerichts eidg. Nichtigkeitsbeschwerde.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
1.
Die Überprüfung und die Übernahme der Vollstreckung des in den USA gegen J. gefällten Strafurteils richtet sich nicht nach den Bestimmungen von Art. 94 ff. BG über internationale Rechtshilfe im Strafsachen (IRSG); denn dieses neue Gesetz tritt erst auf den 1. Januar 1983 in Kraft und bezieht sich überdies gemäss
Art. 94 Abs. 3 IRSG
nicht auf die in
Art. 5 und 6 StGB
geregelten Fälle (vgl. H. SCHULTZ in SJZ 77/1981 S. 107).
Das Geschwornengericht ist richtigerweise davon ausgegangen, dass die hier in Frage stehende, im Ausland begangene Straftat eines Schweizers gegen eine Schweizerin unter Anwendung der
Art. 5 und 6 StGB
zu beurteilen sei. Mit der Kriminalkammer (Entscheid vom 17. Juli 1980) hielt es dafür, beim Zusammentreffen der Voraussetzungen von
Art. 5 und
Art. 6 StGB
habe
Art. 5 StGB
den Vorrang, die Frage der Vollstreckung der Reststrafe bestimme sich somit hier nach
Art. 5 Abs. 3 StGB
; es sei aber in einem Exequaturverfahren die in der Schweiz zu vollziehende Strafe festzusetzen.
a) Die Auffassung, dass bei einer Konkurrenz zwischen
Art. 5 und
Art. 6 StGB
dem Art. 5 der Vorrang zukomme, findet sich bei THORMANN-V. OVERBECK (S. 50, N. 6 zu Art. 5), LOGOZ-SANDOZ (S. 45, N. 2 zu Art. 5), HAFTER (Lehrbuch A.T. 2. Aufl., S. 60), SCHULTZ (Das schweiz. Auslieferungsrecht, 1953, S. 46 f.; Einführung in den allgemeinen Teil, 1. Band, 4. Aufl., S. 111) und wurde auch in
BGE 99 IV 259
übernommen.
Zur Begründung ihrer Auffassung stützen sich THORMANN-VON OVERBECK vor allem auf den Wortlaut des Gesetzes, insbesondere auf die Einleitung von Art. 5 mit "Wer ..." statt "Der Ausländer, der ..." (wie es in den Vorentwürfen hiess). Zudem hätte die Anwendung des Art. 6 auf die Auslandtat eines Schweizers gegen eine Schweizerin "die missliche Folge", dass die im Ausland erfolgte Freisprechung anerkannt werden müsste, während gemäss
BGE 108 IV 81 S. 84
Art. 5 der im Ausland erfolgte Freispruch einer neuen Beurteilung in der Schweiz nicht entgegensteht. HAFTER begründet den Vorrang mit dem Hinweis, Art. 5 sei (gegenüber Art. 6) eine Spezialnorm ("besondere Bestimmung"). In seiner Einführung (a.a.O.) erklärt SCHULTZ, Art. 5 gehe, weil er nicht auf Auslieferungsdelikte beschränkt sei, dem
Art. 6 StGB
vor.
b) Prüft man die Konkurrenzfrage im Hinblick auf den hier interessierenden konkreten Fall, so ergibt sich, dass die im Ausland erfolgte Verurteilung mit teilweiser Verbüssung der ausgefällten Strafe nach dem Wortlaut von
Art. 5 Abs. 3 StGB
in der Schweiz den Vollzug der Reststrafe (ohne neue Beurteilung) zur Folge haben muss, während der auf den schweizerischen Täter zugeschnittene
Art. 6 StGB
in keinem Fall den Vollzug einer ausländischen Sanktion vorsieht, sondern dem Schweizer, der wegen einer Auslandtat in der Schweiz zu bestrafen ist, stets die Neubeurteilung durch die schweizerische Justiz gewährleistet unter Anrechnung des im Ausland bereits verbüssten Teils der dort ausgefällten Strafe (letzter Abs. von
Art. 6 Ziff. 2 StGB
). Diese Gewähr der Neubeurteilung muss sinngemäss auch gelten, wenn nicht nur der Täter, sondern auch das Opfer der Auslandtat Schweizer ist; denn es besteht kein Grund, einen Täter schweizerischer Staatsangehörigkeit entgegen Art. 6 (d.h. gemäss
Art. 5 Abs. 3 StGB
) in der Schweiz eine ausländische Sanktion ganz oder teilweise verbüssen zu lassen, wenn das Opfer der Tat ebenfalls die schweizerische Staatsangehörigkeit besitzt, während die analoge Tat gegen einen Ausländer nur aufgrund einer Neubeurteilung in der Schweiz bestraft werden kann.
Ergibt sich somit aus dieser Erwägung, dass die Bestrafung der Auslandtat eines Schweizers prinzipiell gestützt auf eine Neubeurteilung durch das zuständige schweizerische Gericht zu erfolgen hat (
Art. 6 StGB
), so kann die richtige Lösung beim Zusammentreffen der Voraussetzungen von
Art. 5 und 6 StGB
(Täter und Opfer sind Schweizer) nicht im Vorrang und der ausschliesslichen Anwendbarkeit der einen oder andern Norm liegen, sondern die beiden Bestimmungen sind sinngemäss zu kombinieren. Der Schweizer, der im Ausland gegen einen Schweizer delinquiert hat, muss sich in der Schweiz gegebenenfalls gemäss Art. 5 für jede solche Straftat (nicht nur für Auslieferungsdelikte wie gemäss
Art. 6 StGB
) verantworten, er kann sich auch nicht auf den im Ausland erfolgten Freispruch berufen, weil Art. 5 (abweichend von
Art. 6 StGB
) dies nicht vorsieht. Anderseits hat er als Schweizer
BGE 108 IV 81 S. 85
stets Anspruch auf Neubeurteilung in der Schweiz, die Vollstreckung einer ausländischen Sanktion im Sinne von
Art. 5 Abs. 3 StGB
ist gegenüber einem Schweizerbürger ausgeschlossen.
c) Diese dem Sinn und Zweck entsprechende, kombinierte Anwendung der
Art. 5 und 6 StGB
, führt im vorliegenden Fall zum Schluss, dass die Vorinstanz zu Unrecht glaubte, ausschliesslich
Art. 5 Abs. 3 StGB
anwenden zu müssen. Ob bei Vollstreckung eines rechtskräftigen ausländischen Urteils gemäss dieser Gesetzesbestimmung - trotz Fehlens entsprechender Vorschriften (Exequaturverfahren) - eine vollständige Überprüfung von Subsumtion und Strafmass nach schweizerischem Recht erlaubt wäre, erscheint als fraglich, ist aber hier nicht zu entscheiden. (Eine solche Überprüfungsmöglichkeit und damit einen neuen Strafprozess verneinen: THORMANN/V. OVERBECK, N. 21 zu
Art. 5 StGB
; MICHEL DIND, La Convention européenne sur la valeur internationale des jugements répressifs du 28 mai 1970 et son application en Suisse, Diss. Lausanne 1977 S. 60 ff.; RUTH ESTHER MAAG-WYDLER, Die Vollstreckung ausländischer Straferkenntnisse im Inland, Diss. Zürich 1978 S. 48 f., 56; WALTER HASLER, Die Wirkung ausländischer Strafurteile im Inland, Diss. Zürich 1939, S. 133 ff.). Auch die
Art. 94 ff. IRSG
dürften übrigens keine Grundlage für eine solche Überprüfung bilden. Ist der Täter eines gegen einen Schweizer begangenen Deliktes Schweizer, so hat auf jeden Fall gemäss
Art. 6 StGB
stets eine Neubeurteilung Platz zu greifen, wenn eine Bestrafung in der Schweiz in Frage kommen soll.
Das Vorgehen des Geschwornengerichts, das die in den USA begangene Tat neu beurteilte und im praktischen Ergebnis nicht die Vollstreckung des amerikanischen Strafurteils angeordnet, sondern in Anwendung des schweizerischen Rechts eine neue Sanktion ausgefällt hat (unter Anrechnung des im Ausland bereits vollzogenen Teils der dort verhängten Strafe), kann zwar in der rechtlichen Begründung nicht bestätigt werden, entspricht aber im Ergebnis dem Bundesrecht, weil gemäss
Art. 6 StGB
unter den gegebenen Umständen die Beurteilung der Tat und die Festsetzung der Rechtsfolgen in der Schweiz nach dem schweiz. Strafgesetzbuch erfolgen muss (unter dem Vorbehalt milderen ausländischen Rechts). Dies hat die Vorinstanz effektiv getan, ohne allerdings das Dispositiv entsprechend zu formulieren. Dass das Verfahren - unrichtigerweise - formell als Vollstreckungsverfahren deklariert wurde, bildet keinen Grund, den Entscheid, der materiell einer
BGE 108 IV 81 S. 86
gemäss
Art. 6 StGB
vorgenommenen Neubeurteilung der Auslandtat nach schweizerischem Recht gleichkommt, aufzuheben.
Soweit in den beiden Nichtigkeitsbeschwerden eine Verletzung der Bestimmungen über die schweizerische Gerichtsbarkeit (insbesondere von
Art. 5 Abs. 3 StGB
) gerügt wird, erweisen sie sich somit im Ergebnis als unbegründet (vgl.
BGE 101 IV 330
E. 2d).
3.
c) Gemäss der Empfehlung des psychiatrischen Experten hat die Vorinstanz eine stationäre psychiatrische Betreuung angeordnet und zwar formell durch Aufschub des Vollzugs der verbleibenden Strafe und Einweisung des Verurteilten in eine geeignete, nicht klinisch geführte Heilanstalt gemäss
Art. 43 Ziff. 1 Abs. 1 StGB
, wobei im Urteil konkret als Vollzugsort St. Johannsen genannt wird.
In der Nichtigkeitsbeschwerde des Verurteilten wird anerkannt, dass die Verbüssung des Freiheitsentzuges in St. Johannsen mit den dortigen therapeutischen Möglichkeiten die geeignete Sanktion darstellt; doch macht J. geltend,
Art. 43 Ziff. 1 Abs. 1 StGB
setze voraus, dass der Täter einer spezialärztlichen Behandlung in einer psychiatrischen Klinik bedürfe; St. Johannsen sei keine Heil- oder Pflegeanstalt im Sinne dieser Bestimmung. Sinngemäss wird die Auffassung vertreten, der gewöhnliche Strafvollzug, allenfalls mit ausdrücklicher Anordnung der therapeutischen Behandlung ergebe die richtige rechtliche Grundlage für die als geeignet erachtete Sanktion.
Der Staatsanwalt des Mittellandes beanstandet in seiner Nichtigkeitsbeschwerde ebenfalls die Anwendung von
Art. 43 Ziff. 1 Abs. 1 StGB
. Im Ergebnis hält auch er dafür, dass
Art. 43 Ziff. 1 Abs. 1 StGB
die Einweisung in eine psychiatrische Klinik erfordere und für die Internierung in einer nicht klinisch geführten Anstalt keine Grundlage bilde, die Bestimmung hätte daher im vorliegenden Fall nicht angewendet werden sollen.
Art. 43 Ziff. 1 Abs. 1 StGB
gibt dem Richter die Möglichkeit - unabhängig von der Beurteilung der Zurechnungsfähigkeit - jene ärztliche Behandlung (oder besondere Pflege) anzuordnen, welche nach dem Geisteszustand des Täters als angezeigt erscheint. An erster Stelle nennt das Gesetz die Einweisung in eine spezielle Institution, die mit dem herkömmlichen Begriff "Heil- oder Pflegeanstalt" umschrieben wird. Es ist aber auch die ambulante Behandlung zulässig und zwar nicht nur unter Aufschiebung der Freiheitsstrafe, sondern auch in Verbindung mit dem Strafvollzug (
BGE 100 IV 12
). Im Rahmen dieser umfassenden und vom
BGE 108 IV 81 S. 87
Gesetzgeber möglichst flexibel ausgestalteten Regelung, welche im Einzelfall eine den therapeutischen Bedürfnissen entsprechende Lösung erlauben soll, ist die (seit dem Vorentwurf 1894 gebräuchliche) Wendung "Einweisung in eine Heil- oder Pflegeanstalt" auszulegen. Damit war und ist natürlich in erster Linie die Unterbringung in einer psychiatrischen Klinik gemeint. Indem der Gesetzgeber aber nicht einfach den zur Zeit der Schaffung des StGB für klinisch geführte psychiatrische Institutionen verwendeten Terminus "Heil- und Pflegeanstalt" braucht, sondern von "Heil- oder Pflegeanstalt" spricht, erweitert er den Kreis möglicher Unterbringungsorte über die psychiatrischen Anstalten hinaus (vgl. Schultz, Einführung in den Allgemeinen Teil des Strafrechts, 2. Bd., 4. Aufl., S. 154 f.). Als mögliche Pflegeheime wurden in diesem Zusammenhang etwa Anstalten für Taubstumme, Schwachsinnige, Epileptiker genannt. Diesen Beispielen ist gemeinsam, dass sie keine eigentliche psychiatrische Kliniken darstellen, aber eine Behandlung anbieten, bei der die ärztliche Betreuung im Vordergrund steht.
Art. 43 StGB
spricht nur von ärztlicher Behandlung. Eine Heilanstalt i.S. des Gesetzes liegt deshalb nur vor, wenn die Behandlung durch einen Arzt oder unter Aufsicht eines Arztes erfolgt (
BGE 103 IV 3
). Im Regelfall wird somit verlangt werden müssen, dass die Anstalt von einem Arzt geleitet wird oder ihr zumindest ein Arzt zur Verfügung steht, der regelmässig die Anstalt besucht, wobei zudem die notwendigen speziellen Einrichtungen sowie entsprechend ausgebildetes und ärztlich überwachtes Personal vorhanden sein müssen.
Das Geschwornengericht verfügte den Vollzug der Massnahme gemäss
Art. 43 Ziff. 1 Abs. 1 StGB
in einer "nicht klinisch geführten Heilanstalt". Als solche empfiehlt es der Strafvollzugsbehörde die Anstalten von St. Johannsen. Bei diesen handelt es sich um ein sog. Massnahmevollzugszentrum. Zum einen Teil werden Massnahmen mit Schwergewicht auf der Behandlung und Therapie (z.B.
Art. 43 Ziff. 1 Abs. 1 und
Art. 44 StGB
), zum andern Teil werden sichernde Massnahmen (z.B.
Art. 42,
Art. 43 Ziff. 1 Abs. 2 StGB
) in St. Johannsen vollzogen. Das Anstaltskonzept sieht den Gruppenvollzug vor; die Insassen leben in räumlich getrennten Gruppen (sog. Heimen) im Pavillonsystem mit fest integriertem Heimleiter und Betreuern. Dieser Art verfügen die Anstalten von St. Johannsen über eine Verwahrungsabteilung, ein Therapieheim, eine Suchtheilstätte sowie eine Arbeitsanstalt. Die gemäss
Art. 43 Ziff. 1 StGB
eingewiesenen Straftäter werden im Therapieheim
BGE 108 IV 81 S. 88
untergebracht. Neben Betreuern mit Spezialausbildung (Heimerzieher, Sozialarbeiter, Psychiatriepfleger etc.) auf Gruppenstufe ist im Anstaltsrahmen ein psychiatrisch/psychologischer Dienst eingerichtet. Letzterer wird von einem externen Spezialarzt geleitet, der sich wöchentlich mindestens einmal um die Betreuten kümmert. Zum psychiatrischen Dienst gehört auch ein ganzzeitig zur Verfügung stehender Psychotherapeut. Entgegen der Ansicht der Beschwerdeführer sind deshalb die Anstalten in St. Johannsen nicht generell als "eigentliche Strafvollzugsanstalt" zu bezeichnen. Vielmehr müssen die einzelnen "Heime" getrennt betrachtet werden. Das im Rahmen der Anstalt selbständige Therapiezentrum verfolgt offensichtlich (im Gegensatz etwa zur Verwahrungsabteilung) als primären Zweck, unter regelmässiger ärztlicher Aufsicht die psychotherapeutische Behandlung sicherzustellen. Damit erfüllt es die Voraussetzungen einer Heil- oder Pflegeanstalt i.S. des Gesetzes.
Das Geschwornengericht verfügt in seinem Urteilsdispositiv nur die Einweisung in eine "nicht klinisch geführte Heilanstalt". Auch in den Urteilserwägungen umschreibt es nicht in allgemeiner Weise, was unter diesem Begriff zu verstehen ist. Es genügt indessen, dass das Gericht im konkreten Fall die Anstalten von St. Johannsen als Vollzugsort bezeichnet hat und damit implizite dem an sich weiten Begriff der "nicht klinisch geführten Heilanstalt" einen, genau bestimmten Inhalt gegeben hat. In dieser Sicht erscheint die im vorliegenden Fall getroffene Lösung gesetzeskonform und die beiden Nichtigkeitsbeschwerden sind auch in diesem Punkt abzuweisen. | null | nan | de | 1,982 | CH_BGE | CH_BGE_006 | CH | Federation |
7bd49841-3dd5-412e-9b8a-0314de2d1538 | Urteilskopf
115 III 134
29. Extrait de l'arrêt de la Chambre des poursuites et des faillites du 14 septembre 1989 dans la cause Sociedade Nacional de Combustiveis de Angola, U.E.E. (recours LP) | Regeste
Arrest.
Soweit der Arrestgläubiger zur Deckung der gleichen Forderung gleichzeitig mehrere Betreibungen gegen seine Solidarschuldner eingeleitet hat, kann er in allen gleichzeitig eröffneten Arrestverfahren die Verarrestierung der gleichen Vermögenswerte verlangen (E. 5; Präzisierung der Rechtsprechung). | Sachverhalt
ab Seite 135
BGE 115 III 134 S. 135
A.-
Le 11 novembre 1987, l'autorité de séquestre de Genève rendit au préjudice de la débitrice SL Oil Executive Services AG (ci-après SL Oil), à la requête de la Sociedade Nacional de Combustiveis de Angola, U.E.E. (ci-après SNCA) et pour une créance en capital de 44'652'570 fr., une ordonnance de séquestre No 287 SQ 616 portant sur les biens en mains de quatre établissements bancaires et "appartenant à la société SL Oil Executive AG ou encore au nom de M. Stellan Lundqvist ou encore au nom des sociétés Beverli SA + Inc. mais appartenant à la débitrice". L'Office des poursuites de Genève exécuta le séquestre le 24 novembre 1987.
Le 27 janvier 1988, l'autorité de séquestre précitée rendit, à l'encontre de Stellan Lundqvist, à la requête de SNCA, pour la même créance et pour la même cause, une ordonnance de séquestre No 288 SQ 47 portant sur les biens en mains des mêmes établissements bancaires et appartenant au débiteur "ou encore au nom des sociétés SL Oil Executive Services AG Libéria, Beverli SA (Beverli Ltd) Fribourg, Beverli Inc. Panama mais appartenant en réalité à Stellan Lundqvist". L'Office des poursuites exécuta le séquestre le 27 janvier 1988.
La créancière valida les deux séquestres en temps utile.
Le 15 mars 1988, les sociétés Beverli SA Fribourg et Beverli Inc. Panama revendiquèrent la propriété de divers avoirs visés par les séquestres Nos 616/87 et 47/88. Sur requête de l'Office des poursuites, les deux sociétés revendiquantes mentionnèrent le nom des banques et le numéro des comptes sur lesquels elles faisaient valoir un droit de propriété. Elles ne donnèrent toutefois aucune indication sur le contenu desdits comptes bancaires.
Le 15 avril 1988, l'Office des poursuites impartit à SNCA le délai prévu par l'
art. 109 LP
pour contester ces revendications. Sur
BGE 115 III 134 S. 136
requête de la créancière, qui demandait que les sociétés revendiquantes précisent leurs prétentions, l'Office des poursuites révoqua le 21 avril 1988, à l'endroit de la créancière seulement, les délais fixés le 15 avril 1988.
Par décision du 20 juin 1988, l'Office des poursuites, sur l'intervention des revendiquantes, constata que les séquestres Nos 616/87 et 47/88 présentaient entre eux de telles contradictions qu'il n'était pas possible de les maintenir.
B.-
Le 26 août 1988, sur requête de SNCA, l'autorité de séquestre de Genève rendit une ordonnance de séquestre No 188 SQ 472 contre SL Oil et une autre No 188 SQ 471 contre Stellan Lundqvist. Ces deux ordonnances se fondaient sur la même cause juridique, concernaient la même créance et portaient sur les mêmes biens en mains des mêmes établissements bancaires que ceux désignés respectivement dans les ordonnances de séquestre Nos 616/87 et 47/88. L'Office exécuta ces deux séquestres le jour même.
C.-
Le 1er juillet 1988, SNCA forma une plainte devant l'autorité cantonale de surveillance contre la décision de l'Office des poursuites du 20 juin 1988, dont elle requérait l'annulation.
Le 9 septembre 1988, les sociétés Beverli SA et Beverli Inc. déposèrent une plainte contre l'exécution des séquestres Nos 471/88 et 472/88, en concluant à leur annulation. Elles demandaient également la levée des séquestres Nos 616/87 et 47/88 et la constatation du caractère abusif de tout séquestre futur requis par SNCA sur leurs avoirs, car il s'agirait alors de séquestres investigatoires.
Par décision du 22 mars 1989, l'Autorité de surveillance des offices de poursuite pour dettes et de faillite du canton de Genève ordonna la jonction des deux plaintes, déclara sans objet la plainte de SNCA et leva les séquestres Nos 616/87, 47/88, 471/88 et 472/88.
D.-
SNCA exerce en temps utile un recours à la Chambre des poursuites et des faillites du Tribunal fédéral. Elle conclut à l'annulation de la décision de l'autorité cantonale de surveillance et à ce qu'il soit enjoint à l'Office des poursuites de maintenir les séquestres litigieux.
Erwägungen
Extrait des considérants:
5.
Il n'y a pas lieu d'examiner en l'espèce si l'autorité cantonale a correctement interprété la décision de l'Office des
BGE 115 III 134 S. 137
poursuites du 20 juin 1988 et si cet office a outrepassé ses compétences en refusant de maintenir les séquestres Nos 616/87 et 47/88. L'autorité cantonale a en effet décidé de lever les quatre séquestres litigieux pour un motif que l'Office des poursuites n'a pas retenu. L'autorité cantonale de surveillance a vu dans les procédés de la recourante, qui a fait mettre sous main de justice à deux reprises des biens qu'elle attribue à ses deux débiteurs, un comportement inconciliable avec les règles de l'exécution forcée.
Selon la jurisprudence, les indications contradictoires du créancier quant à la titularité des biens à séquestrer entraînent la nullité de l'exécution du séquestre (
ATF 107 III 155
/156). Les mêmes biens ne peuvent appartenir en même temps à deux débiteurs (hormis le cas de propriété en main commune) ni être l'objet de deux procédures distinctes d'exécution forcée pour le recouvrement de la même créance.
Se fondant sur un arrêt de la Chambre de céans du 23 avril 1987 dans la cause Galadari, partiellement publié dans la SJ 1987 p. 453, la recourante objecte que, dans la mesure où le créancier est dans l'incertitude sur la titularité des biens dont il demande le séquestre par deux procédures parallèles contre ses débiteurs solidaires, il est en droit d'affirmer conjointement la propriété de l'un et l'autre de ses débiteurs, la question ne pouvant être tranchée que par l'action en revendication de l'un ou l'autre des poursuivis dans le cadre des
art. 106 ss LP
. En agissant ainsi, le créancier ne se place nullement dans une situation comportant une contradiction insoluble, comme c'était le cas dans l'
ATF 107 III 101
ss. Cette décision du Tribunal fédéral, que l'autorité cantonale a également mentionnée, renvoie elle-même à une jurisprudence antérieure, constatée dans les arrêts non publiés Le Roux du 25 janvier 1983 et Mouawad du 1er février 1983.
Il faut s'en tenir au principe posé dans l'
ATF 107 III 155
/156: le créancier séquestrant ne peut désigner à la fois plusieurs débiteurs poursuivis pour la même créance comme propriétaires des mêmes biens. Toutefois, si le créancier a introduit simultanément des poursuites contre ses débiteurs solidaires pour le recouvrement d'une même créance, montrant par là qu'il hésite à attribuer à l'un ou l'autre de ses débiteurs la titularité des biens à séquestrer, il lui est loisible de requérir la mise sous main de justice des mêmes biens dans toutes les procédures de séquestre ouvertes parallèlement. Les séquestres ainsi pratiqués ne conduisent à aucune impossibilité de continuer la poursuite,
BGE 115 III 134 S. 138
puisque aussi bien celle-ci peut conduire à la réalisation des biens séquestrés, qu'ils appartiennent à l'un des débiteurs solidaires ou à l'autre, dans la mesure où tous sont poursuivis simultanément (cf. arrêt non publié Le Roux du 25 janvier 1983). Il convient dès lors de préciser l'
ATF 107 III 155
/156. | null | nan | fr | 1,989 | CH_BGE | CH_BGE_005 | CH | Federation |
7bd928fe-5fca-4522-9381-b3b23aeec2cd | Urteilskopf
115 V 318
42. Urteil vom 24. August 1989 i.S. W. gegen Ausgleichskasse des Kantons Solothurn und Versicherungsgericht des Kantons Solothurn | Regeste
Art. 8 Abs. 2 EOG
,
Art. 12a Abs. 1 EOV
,
Art. 3 Abs. 2 FLV
.
-
Art. 12a Abs. 1 EOV
, der den Anspruch auf Betriebszulagen im Vergleich zur formellgesetzlichen Bestimmung des
Art. 8 Abs. 2 EOG
einschränkt, indem vorausgesetzt wird, dass das mitarbeitende Familienglied hauptberuflich im Landwirtschaftsbetrieb tätig ist, ist gesetzeskonform (Erw. 2).
- Die Frage, ob eine hauptberufliche Tätigkeit im Sinne von
Art. 12a Abs. 1 EOV
vorliegt, beurteilt sich sinngemäss nach den für hauptberuflich tätige Kleinbauern im Sinne von
Art. 3 Abs. 2 FLV
massgebenden Kriterien (Erw. 3a). | Sachverhalt
ab Seite 318
BGE 115 V 318 S. 318
A.-
Robert W. (geb. 1928) ist Landwirt. Seine Söhne Samuel (geb. 1966) und Anton (geb. 1968) arbeiten zeitweise im väterlichen Betrieb mit.
BGE 115 V 318 S. 319
Mit vom 9./10. Mai 1988 datiertem Ergänzungsblatt 2 zur Meldekarte erhob Samuel W. Anspruch auf Betriebszulage für die Zeit seines vom 18. April bis 7. Mai 1988 dauernden Wiederholungskurses, wobei im Formular als Ersatzkraft der Bruder Anton W. angeführt wurde. Die Ausgleichskasse des Kantons Solothurn stellte fest, dass Samuel W. im Jahre 1986 bloss zwei Monate (vom 1. Mai bis 1. Juli) und 1987 bloss vier Monate (vom 1. Juli bis 1. November) als Ersatzkraft für seinen Bruder Anton, der vom 13. Juli bis 7. November 1987 Militärdienst geleistet hatte, im väterlichen Betrieb mitgearbeitet habe; demnach sei Samuel W. vor dem Dienstantritt (am 18. April 1988) nicht hauptberuflich im Landwirtschaftsbetrieb seines Vaters tätig gewesen, so dass er nicht als mitarbeitendes Familienglied im Sinne des Gesetzes anerkannt werden könne; Anspruch auf eine Betriebszulage bestehe daher nicht. Mit dieser Begründung lehnte die Ausgleichskasse das Begehren um Zusprechung der Betriebszulage am 18. Juli 1988 verfügungsweise ab.
B.-
Die gegen diese Verfügung eingereichte Beschwerde wies das Versicherungsgericht des Kantons Solothurn gestützt auf eine Aufstellung der Ausgleichskasse betreffend die von Samuel und Anton W. 1988 ausgeübten Tätigkeiten mit Entscheid vom 9. Februar 1989 ab.
C.-
Samuel W. führt Verwaltungsgerichtsbeschwerde mit dem Antrag auf Zusprechung der Betriebszulage für die Zeit vom 18. April bis 7. Mai 1988.
Ausgleichskasse und Bundesamt für Sozialversicherung (BSV) schliessen auf Abweisung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde.
Erwägungen
Das Eidg. Versicherungsgericht zieht in Erwägung:
1.
a) Personen, die in der schweizerischen Armee Militärdienst leisten, haben für jeden besoldeten Diensttag Anspruch auf eine Entschädigung (
Art. 1 Abs. 1 EOG
). Als Entschädigung werden u.a. Betriebszulagen ausgerichtet, deren Anspruchsvoraussetzungen in
Art. 8 EOG
umschrieben sind. Anspruch auf Betriebszulagen haben danach die Dienstleistenden, die als Eigentümer, Pächter oder Nutzniesser einen Betrieb führen oder als Teilhaber einer Kollektivgesellschaft, als unbeschränkt haftende Teilhaber einer Kommanditgesellschaft oder als Teilhaber einer anderen auf einen Erwerbszweck gerichteten Personengesamtheit ohne juristische Persönlichkeit an der Führung eines Betriebes
BGE 115 V 318 S. 320
aktiv beteiligt sind, sofern sie nicht aus unselbständiger Erwerbstätigkeit ein höheres Einkommen erzielen (Abs. 1). Dienstleistende, die als mitarbeitende Familienglieder in einem Landwirtschaftsbetrieb tätig sind, haben Anspruch auf Betriebszulagen, wenn wegen ihrer längeren Dienstleistung eine Ersatzkraft im Betrieb eingestellt werden muss. Der Bundesrat erlässt die näheren Vorschriften (Abs. 2).
Gestützt auf diese Delegationsnorm hat der Bundesrat
Art. 12a EOV
erlassen, der lautet:
Anspruch auf Betriebszulage haben Dienstleistende, die als mitarbeitende
Familienglieder hauptberuflich in einem Landwirtschaftsbetrieb tätig sind
und als selbständige Landwirte im Sinne von
Art. 1 Abs. 2 FLG
gelten (Abs.
1).
Der Anspruch auf Betriebszulage steht nur Dienstleistenden zu, die
ununterbrochen mindestens 13 Tage Dienst leisten und für die während
mindestens 10 Tagen im Betrieb eine Ersatzkraft tätig ist, deren Barlohn
im Tagesdurchschnitt mindestens die Höhe der Betriebszulage erreicht
(Abs. 2).
b) Als Sohn des Betriebsinhabers ist der Beschwerdeführer ein mitarbeitendes Familienglied im Sinne von
Art. 12a Abs. 1 EOV
in Verbindung mit
Art. 1 Abs. 2 lit. a FLG
. Ferner sind auch die Erfordernisse der Mindestdienstleistung und des Mindestbarlohnes der Ersatzkraft gemäss
Art. 12a Abs. 2 EOV
erfüllt.
2.
Streitig und zu prüfen ist hingegen, ob der Beschwerdeführer hauptberuflich im väterlichen Landwirtschaftsbetrieb tätig ist (
Art. 12a Abs. 1 EOV
), wobei die Verwaltungspraxis verlangt, dass der Betriebszulagenansprecher "vor dem Dienstantritt hauptberuflich im Landwirtschaftsbetrieb tätig" gewesen ist (Rz. 21.43 der Wegleitung des BSV zur Erwerbsersatzordnung (WEO)).
a) Nach
Art. 8 Abs. 2 EOG
haben Dienstleistende, die als "mitarbeitende Familienglieder in einem Landwirtschaftsbetrieb tätig sind", Anspruch auf Betriebszulagen. Das Erfordernis, dass das mitarbeitende Familienglied hauptberuflich im Landwirtschaftsbetrieb tätig sein muss, erwähnt das formelle Gesetz nicht. Diese Anspruchsvoraussetzung findet sich erst in
Art. 12a Abs. 1 EOV
. Weil damit der Kreis der Zulagenberechtigten durch die Verordnung im Vergleich zum übergeordneten Gesetz erheblich eingeschränkt wird, fragt sich und ist von Amtes wegen zu prüfen, ob
Art. 12a Abs. 1 EOV
diesbezüglich gesetzeskonform ist.
b) (Überprüfung der Verordnungen des Bundesrates)
BGE 115 V 318 S. 321
c)
Art. 8 Abs. 2 EOG
und als entsprechende Ausführungsbestimmung
Art. 12a EOV
fanden erst durch die vierte Revision Aufnahme in die Erwerbsersatzordnung (Bundesgesetz vom 3. Oktober 1975, in Kraft seit 1. Januar 1976; AS 1976 57; Verordnung vom 12. Januar 1976, in Kraft seit 1. Januar 1976; AS 1976 63). In der Botschaft über die vierte Revision der Erwerbsersatzordnung vom 19. Februar 1975 (BBl 1975 I 1193 ff.) erklärte sich der Bundesrat bereit, den Anspruch auf Betriebszulage auf die mitarbeitenden Familienglieder in Landwirtschaftsbetrieben auszudehnen, ein Begehren aus Landwirtschaftskreisen, welches noch im Rahmen der zweiten EO-Revision abgelehnt worden war. Seither hätten sich die Verhältnisse wesentlich verschärft, indem die starke Rationalisierung in den Landwirtschaftsbetrieben es mit sich bringe, dass bei längerer Abwesenheit von Familiengliedern infolge von Dienstleistungen eigentliche Notlagen entstünden. Die Betriebszulage könne in solchen Fällen ein Kostenbeitrag für die Einstellung einer Ersatzkraft sein. Der Ausschuss für die Erwerbsersatzordnung der Eidgenössischen AHV/IV-Kommission schlage daher vor, künftig die Betriebszulage auch mitarbeitenden Familiengliedern in der Landwirtschaft zu gewähren, wenn diese während längerer Zeit Dienst leisten müssen (über 12 Tage) und für eine Ersatzkraft Auslagen entstünden, welche nachgewiesenermassen mindestens den Betrag der Zulage erreichen. Ein gleichlautendes Begehren aus Gewerbekreisen beantwortete der Bundesrat hingegen abschlägig, weil in diesem Wirtschaftszweig nicht die gleichen Verhältnisse wie in der Landwirtschaft bestünden, wo die Viehhaltung und die Abhängigkeit der Arbeiten von der Jahreszeit eine Einschränkung oder Verlegung der Arbeiten nicht zuliessen und daher eine Sonderregelung nötig machen würden. Der Bundesrat erachtete es aber "für notwendig, dass ihm für die Ausgestaltung dieses Anspruches ein gewisser Spielraum gelassen wird. Die erforderliche Mindestdauer der Dienstleistungen und die Regelung im einzelnen (insbesondere die Umschreibung des Geltungsbereiches und der fremden Hilfe sowie das Verfahren für die Geltendmachung und Auszahlung der Betriebszulage) sollen nach Anhörung der interessierten Kreise in der Verordnung festgelegt werden. Dabei muss auf die finanziellen und administrativen Belange Rücksicht genommen werden" (BBl 1975 I 1205 unten f.).
Dieser Auffassung wurde in den folgenden parlamentarischen Beratungen nicht widersprochen. Weil die aus den Materialien schlüssig hervorgehende Absicht, dem Bundesrat für die Regelung
BGE 115 V 318 S. 322
des Geltungsbereiches des Betriebszulagenanspruches im Rahmen des neu eingeführten
Art. 8 Abs. 2 EOG
einen gewissen Spielraum zuzubilligen, auch im Text dieser Bestimmung (Satz 2) seinen Niederschlag gefunden hat, lässt sich die Einschränkung auf die hauptberuflich in einem landwirtschaftlichen Familienbetrieb Tätigen in
Art. 12a Abs. 1 EOV
nicht beanstanden.
d) Das durch die Verordnung aufgestellte Erfordernis der hauptberuflichen Beschäftigung ist auch unter dem Gesichtspunkt der systematischen und teleologischen Auslegung des Gesetzes nicht in Zweifel zu ziehen. Denn einerseits kommen auch die Betriebsinhaber selbst und die ihnen nach
Art. 8 Abs. 1 EOG
gleichgestellten Personen nur dann in den Genuss der Betriebszulage, sofern sie nicht aus unselbständiger Erwerbstätigkeit ein höheres Einkommen erzielen. Kann aber selbst der Betriebsinhaber, der überwiegend unselbständig erwerbstätig ist, keine Betriebszulagen beanspruchen - weil er eben für den dienstlichen Erwerbsausfall bereits durch die Entschädigungsarten der
Art. 4 ff. EOG
, bemessen nach dem durchschnittlichen vordienstlichen Erwerbseinkommen aus unselbständiger Tätigkeit, entschädigt wird (
Art. 9 Abs. 1 und Abs. 2 EOG
) -, ist nicht ersichtlich, weshalb das bloss nebenberuflich mitarbeitende Familienglied Anspruch auf Betriebszulage haben soll. Andererseits zeigt auch die Beratung im Nationalrat, dass die Einführung der Betriebszulage auf hauptberuflich mitarbeitende Familienglieder in landwirtschaftlichen Betrieben beschränkt bleiben sollte. Dem Antrag von Nationalrat Thévoz, der das Erfordernis, dienstbedingt eine Ersatzkraft im Betrieb einstellen zu müssen, abschwächen wollte, hielt Bundesrat Hürlimann u.a. entgegen, ein entscheidender Gesichtspunkt für die Bezahlung der Betriebszulage sei, dass die Ersatzkraft bezahlt werden müsse. Der Landwirtschaftsbetrieb, auf dem Vater und Sohn arbeiten, müsse bei dienstlicher Abwesenheit des Sohnes weitergeführt werden, was in den meisten Fällen nur möglich sei, wenn für den ausscheidenden Sohn eine Ersatzkraft angestellt wird. "Wenn Sie dem Antrag Thévoz folgten, würde das bedeuten, dass jedes Familienmitglied in einem Landwirtschaftsbetrieb, das Militärdienst leistet, Anspruch auf eine Betriebszulage hätte, was nach unserer Überzeugung nicht gerechtfertigt wäre, weil wir dann ungerecht wären gegenüber allen nicht landwirtschaftlichen Kleinbetrieben, die im Grunde genommen mit genau gleichem Argument eine solche Zulage geltend machen könnten. Was wir wollen, ist nichts anderes als eine Entschädigung für den Bauern, der nicht
BGE 115 V 318 S. 323
nur seinen Sohn in die Rekrutenschule schicken, sondern der zusätzlich noch einen Knecht anstellen muss. Diesen Standpunkt hat auch der Gewerbeverband eingenommen" (Sten.Bull. N 1975 II 1165).
Diese Auffassung setzte sich im Nationalrat klar durch (Sten.Bull. N 1975 II 1165), während Art. 8 Abs. 2 der Vorlage im Ständerat zu keinen Diskussionen Anlass gegeben hatte (Sten.Bull. S 1975 364). Die Materialien machen deutlich, dass der Gesetzgeber beabsichtigte, mit der Betriebszulage an mitarbeitende Familienglieder eigentlichen Notlagen entgegenzuwirken. Von einer Notlage kann indessen nicht gesprochen werden, wenn ein bloss nebenberuflich in einem landwirtschaftlichen Familienbetrieb Tätiger infolge Militärdienstes einen Erwerbsausfall erleidet. Dieser kommt in den Genuss der ihm nach Massgabe von Art. 4 bis 7 EOG zustehenden Entschädigungen, nicht aber der Betriebszulage.
e) Zusammenfassend ergibt sich, dass das Erfordernis der hauptberuflichen Tätigkeit unter keinem Auslegungsgesichtspunkt zu beanstanden ist. Das Eidg. Versicherungsgericht ist denn auch in dem in ZAK 1978 S. 34 veröffentlichten Urteil H. vom 12. September 1977 implizit von der Gesetzmässigkeit von
Art. 12a EOV
ausgegangen. Zu prüfen bleibt somit, ob im vorliegenden Fall die Voraussetzung der hauptberuflichen Tätigkeit erfüllt ist.
3.
a) Das Begriffspaar haupt-/nebenberufliche Tätigkeit findet sich auch in der Gesetzgebung über die Familienzulagen in der Landwirtschaft. Gemäss dem gestützt auf
Art. 5 Abs. 3 FLG
erlassenen
Art. 3 Abs. 2 FLV
gilt als hauptberuflich tätig ein Kleinbauer, der im Verlaufe des Jahres vorwiegend in seinem landwirtschaftlichen Betrieb tätig ist und aus dem Ertrag dieser Tätigkeit in überwiegendem Masse den Unterhalt seiner Familie bestreitet. Die landwirtschaftliche Tätigkeit muss somit den grösseren Teil der Zeit beanspruchen und die überwiegende Erwerbsquelle darstellen, wobei grundsätzlich von einer ganzjährigen Erwerbstätigkeit auszugehen ist (
BGE 99 V 119
Erw. 1). Nach der Verwaltungspraxis müssen diese beiden Voraussetzungen kumulativ erfüllt sein, was in der Regel nur dann zutrifft, wenn der Betrieb eine gewisse Mindestgrösse aufweist (Rz. 44 in fine der Erläuterungen des BSV zu den Familienzulagen in der Landwirtschaft). Diese Begriffsumschreibung der hauptberuflichen Tätigkeit nach FLG kann sinngemäss auf den Bereich des Betriebszulagenanspruches
BGE 115 V 318 S. 324
nach
Art. 8 Abs. 2 EOG
in Verbindung mit
Art. 12a Abs. 1 EOV
übertragen werden.
b) In der Beschwerde an die Vorinstanz wurde darauf hingewiesen, dass beide Söhne in der Landwirtschaft tätig seien, wobei "aber nur jeweils ein Sohn gleichzeitig auf dem Betrieb des Vaters" mitarbeite, weshalb dann derjenige Sohn, der jeweils nicht auf dem Landwirtschaftsbetrieb arbeite, für seinen Bruder während dessen Militärdienst einspringen müsse. Laut unbestritten gebliebener Darstellung der Ausgleichskasse hat der Beschwerdeführer 1986 während zwei Monaten und 1987 von Juli bis Oktober als Ersatzkraft für seinen Bruder Anton, der die Rekrutenschule absolvierte, im Betrieb seines Vaters gearbeitet. Für das Jahr 1988 ergibt sich folgendes: Vom 1. Januar bis 11. März besuchte der Beschwerdeführer eine landwirtschaftliche Schule, vom 12. März bis 17. April bezog er Ferien, besuchte einen Melkkurs und arbeitete beim Vater; anschliessend absolvierte er bis 7. Mai den Wiederholungskurs und war vom 8. Mai bis 12. Juni wiederum im väterlichen Betrieb tätig. Ab 13. Juni bis 5. November arbeitete er schliesslich als Ersatzkraft für seinen Bruder Anton im Betrieb seines Vaters.
Bei dieser Sachlage scheidet eine hauptberufliche Tätigkeit des Beschwerdeführers im väterlichen Landwirtschaftsbetrieb aus. Zwar trifft es zu, dass er unmittelbar vor der zum Rechtsstreit führenden Dienstleistung (vom 18. April bis 7. Mai 1988) ganztags auf dem Anwesen des Vaters beschäftigt war. Dieser Umstand allein begründet jedoch noch keine hauptberufliche Tätigkeit im Sinne des Gesetzes; diese Eigenschaft muss vielmehr über einen längeren Zeitraum erfüllt sein, könnte doch andernfalls der Betriebsinhaber im Hinblick auf den Betriebszulagenanspruch nach
Art. 8 Abs. 2 EOG
oder gar zu dessen Erwirkung jeweils so disponieren, dass unter mehreren nur zeitweise Beschäftigten stets dasjenige Familienglied, das jeweils Militärdienst zu leisten hat, als hauptberuflich tätig zu betrachten wäre. Damit würde der Zweck der gesetzlichen Betriebszulagenberechtigung nach
Art. 8 Abs. 2 EOG
, die angestrebte Milderung von Notlagen landwirtschaftlicher Betriebe, vereitelt. Anders wäre zu entscheiden, wenn ein im wesentlichen gleichzeitiger und ständiger Einsatz beider Söhne auf dem landwirtschaftlichen Anwesen wegen dessen Grösse betrieblich notwendig wäre. Dieser Sachverhalt ist im vorliegenden Fall unbestrittenermassen nicht gegeben. Wenn nun die Ausgleichskasse bereits 1987 und wiederum ab Juli 1988 Anton W. als hauptberuflich im Familienbetrieb tätig betrachtete, ist es ausgeschlossen,
BGE 115 V 318 S. 325
dem Beschwerdeführer die gleiche Eigenschaft zuzuerkennen. Dessen Arbeit im väterlichen Betrieb ist im wesentlichen als die Tätigkeit einer Ersatzkraft während der dienstlich bedingten Abwesenheiten des Bruders Anton vom Hofe zu betrachten, wovon die Ausgleichskasse bereits 1987 (Rekrutenschule von Anton W.) und wiederum ab Juni 1988 (Unteroffiziersschule von Anton W.) ausging. Daran ändert nichts, dass die Ausgleichskasse im Jahre 1986, als der Beschwerdeführer die Rekrutenschule absolvierte und von Paul S. als Ersatzkraft vertreten wurde, die Betriebszulage ausrichtete. Diese Leistungszusprechung bildet nicht Gegenstand des vorliegenden Verfahrens und gibt dem Beschwerdeführer keinen Anspruch, für 1988 gleich wie im Jahre 1986 behandelt zu werden.
Dispositiv
Demnach erkennt das Eidg. Versicherungsgericht:
Die Verwaltungsgerichtsbeschwerde wird abgewiesen. | null | nan | de | 1,989 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
7bdbf3a8-a951-4ef8-88cd-c71a8ab06119 | Urteilskopf
100 III 51
15. Entscheid vom 28. Oktober 1974 i.S. Maschinen Discount AG. | Regeste
Art. 153 Abs. 3 SchKG
.
Die Einleitung einer Betreibung auf Grundpfandverwertung ist nicht ausgeschlossen, wenn die einseitige Ablösung der auf dem Grundstück lastenden Grundpfandrechte im Sinne von
Art. 828 ff. ZGB
im Gange ist. | Sachverhalt
ab Seite 51
BGE 100 III 51 S. 51
A.-
Am 26. November 1973 verkaufte Emil Bänziger die Parzelle Heiden Nr. 571 an die Maschinen Discount AG. Der
BGE 100 III 51 S. 52
Kaufvertrag sieht die einseitige Ablösung der auf dem Grundstück lastenden Grundpfandrechte im Sinne von
Art. 828 ff. ZGB
zum Schatzungswert von Fr. 330 000.-- vor. Der Kaufpreis wurde durch die Pfandschatzungskommission jedoch auf Fr. 403 200.-- festgesetzt und bildet heute Gegenstand eines Zivilprozesses zwischen einigen Grundpfandgläubigern und der Erwerberin.
Am 9. Dezember 1973 wurde über Emil Bänziger, der sich insolvent erklärt hatte, der Konkurs eröffnet.
Mit Zahlungsbefehl Nr. 7778 des Betreibungsamtes Heiden vom 10. Juni 1974 liess Alois Voney, einer der Grundpfandgläubiger, gegen Emil Bänziger für den Betrag von Fr. 55 000.-- nebst 7% Zins seit 1. Mai 1973 Betreibung auf Pfandverwertung einleiten. Der Schuldner erhob keinen Rechtsvorschlag, wohl aber die Maschinen Discount AG, der als Eigentümerin des Pfandes ebenfalls ein Zahlungsbefehl zugestellt worden war.
B.-
Mit Eingabe vom 19. Juni 1974 erhob die Maschinen Discount AG beim Obergericht von Appenzell A. Rh. als Aufsichtsbehörde für Schuldbetreibung und Konkurs ausserdem Beschwerde mit dem Antrag, die Betreibung Nr. 7778 des Betreibungsamtes Heiden sei aufzuheben. Sie machte geltend, während der Dauer des Ablösungsverfahrens sei eine Betreibung auf Grundpfandverwertung unzulässig. Das Obergericht wies die Beschwerde am 5. Juli 1974 ab.
C.-
Mit dem vorliegenden Rekurs an die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer des Bundesgerichts beantragt die Maschinen Discount AG, der Entscheid der Aufsichtsbehörde sei aufzuheben und die Betreibung Nr. 7778 des Betreibungsamtes Heiden sei einzustellen.
Erwägungen
Die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer zieht in Erwägung:
1.
Der Umstand, dass über den Schuldner der Konkurs eröffnet worden ist, steht der Betreibung auf Verwertung des einem Dritten gehörenden Pfandes nicht entgegen (
Art. 89 Abs. 1 VZG
). Nach
Art. 197 Abs. 1 SchKG
umfasst die Konkursmasse nur das dem Gemeinschuldner gehörende Vermögen. Pfänder, die im Eigentum eines Dritten stehen, fallen daher nicht darunter. Die Betreibung auf Verwertung solcher
BGE 100 III 51 S. 53
Pfänder richtet sich gegen den Gemeinschuldner persönlich und nicht gegen die Masse; es handelt sich dabei um eine Ausnahme von dem in
Art. 206 SchKG
vorgesehenen Verbot der Spezialexekution während der Dauer des Konkursverfahrens (
BGE 93 III 57
,
BGE 49 III 249
; SCHELLENBERG, Die Rechtsstellung des Dritteigentümers in der Betreibung auf Pfandverwertung, Diss. Zürich 1968, S. 66).
2.
Nach
Art. 828 ZGB
kann das kantonale Recht den Erwerber eines Grundstückes, der nicht persönlich für die darauf lastenden Schulden haftbar ist, ermächtigen, solange keine Betreibung erfolgt ist, die Grundpfandrechte abzulösen, wenn sie den Wert des Grundstücks übersteigen, indem er den Gläubigern den Erwerbspreis oder bei unentgeltlichem Erwerb den Betrag ausbezahlt, auf den er das Grundstück wertet. Der Kanton Appenzell A. Rh. hat von dieser Möglichkeit, die einseitige Ablösung der Grundpfandrechte (Purgation) zuzulassen, Gebrauch gemacht (Art. 233 EGzZGB vom 27. April 1969).
Das Verhältnis zwischen der Purgation und der Betreibung auf Grundpfandverwertung ist in
Art. 828 Abs. 1 ZGB
und in
Art. 153 Abs. 3 SchKG
geregelt. Nach der ersten dieser beiden Bestimmungen ist die Purgation nur zulässig, solange keine Betreibung erfolgt ist. Der Erwerber des Grundstücks kann also die darauf lastenden Pfandrechte nicht ablösen, wenn bereits eine Betreibung auf Verwertung des Pfandes im Gange ist. Umgekehrt kann gemäss
Art. 153 Abs. 3 SchKG
nach Einleitung des Purgationsverfahrens das Grundstück nur verwertet werden, wenn der betreibende Gläubiger nach Beendigung des Verfahrens dem Betreibungsamt den Nachweis leistet, dass ihm noch ein Grundpfandrecht für die in Betreibung gesetzte Forderung zusteht. Nach dem Wortlaut dieser Vorschrift ist somit während der Dauer des Purgationsverfahrens eine Betreibung auf Pfandverwertung nicht ausgeschlossen; es wird lediglich die Verwertung des Pfandes an bestimmte Bedingungen geknüpft (LEEMANN, N. 10 zu
Art. 828 ZGB
; JAEGER, N. 5 zu
Art. 153 SchKG
; SCHELLENBERG, a.a.O. S. 139). Die Hängigkeit des Purgationsverfahrens stand demnach im vorliegenden Fall der Einleitung der Betreibung nicht entgegen.
3.
Was die Rekurrentin hiegegen vorbringt, schlägt nicht durch.
BGE 100 III 51 S. 54
a) So folgt aus dem Ausschluss der Verwertung während der Dauer des Purgationsverfahrens nicht, dass bereits die Einleitung der Betreibung auf Pfandverwertung unzulässig sein soll. Gewiss wäre es kaum sinnvoll, eine Betreibung zuzulassen, wenn zum vornherein feststünde, dass es nie zur Verwertung kommen kann. Die Einleitung des Purgationsverfahrens schliesst indessen die Verwertung nicht in jedem Falle endgültig aus. Es kann nämlich auch vorkommen, dass die Ablösung scheitert, etwa dann, wenn keine öffentliche Steigerung durchgeführt wird und der Erwerber den Ablösungsbetrag nicht fristgerecht bezahlt. Diese Gefahr besteht insbesondere dann, wenn das kantonale Recht, wie das in Appenzell A. Rh. der Fall ist, an Stelle der öffentlichen Versteigerung eine amtliche Schätzung des Grundstücks vorsieht, deren Betrag als Ablösungssumme zu gelten hat (
Art. 830 ZGB
). Scheitert die Purgation, so bleiben die Grundpfandrechte bestehen (LEEMANN, N. 20 zu
Art. 828 ZGB
), und der Pfandgläubiger, der während der Dauer des Verfahrens eine Betreibung auf Pfandverwertung eingeleitet hat, kann die Verwertung verlangen.
b) Aus der systematischen Stellung von
Art. 153 Abs. 3 SchKG
innerhalb von Vorschriften, die sich auf Zahlungsbefehl und Rechtsvorschlag bei der Betreibung auf Pfandverwertung beziehen, lässt sich sodann nicht ableiten, der Gesetzgeber habe während der Dauer des Purgationsverfahrens nicht nur die Verwertung des Pfandes, sondern auch die Einleitung der Betreibung ausschliessen wollen. Wie JAEGER (N. 5 zu
Art. 153 SchKG
) zutreffend ausführt, gehört
Art. 153 Abs. 3 SchKG
trotz seiner Stellung in Wirklichkeit zum Verwertungsverfahren. Hätte der Gesetzgeber die Meinung gehabt, die Betreibung dürfe überhaupt nicht mehr angehoben werden, sobald der Dritteigentümer das Ablösungsverfahren eingeleitet hat, so wäre nicht verständlich, weshalb er die Verwertung von dem dem Betreibungsamt zu erbringenden Nachweis, dass dem Gläubiger noch ein Pfandrecht zusteht, abhängig machte. Da die Purgation nur zulässig ist, wenn keine Betreibung im Gange ist (
Art. 828 Abs. 1 ZGB
), kann sich
Art. 153 Abs. 3 SchKG
nur auf solche Betreibungen beziehen, die erst nach Einleitung des Ablösungsverfahrens angehoben worden sind. Könnten nun, wie die Rekurrentin geltend macht, neue Betreibungen erst nach Abschluss der Purgation
BGE 100 III 51 S. 55
eingeleitet werden, wo wäre der in
Art. 153 Abs. 3 SchKG
vorgesehene Nachweis überflüssig; denn in diesem Fall hätte das übliche Vorverfahren nach Zustellung des Zahlungsbefehls darüber Aufschluss zu geben, ob das Pfandrecht anerkannt sei oder nicht (JAEGER, a.a.O.).
Art. 153 Abs. 3 SchKG
setzt demnach die Zulässigkeit von Betreibungen während der Dauer des Purgationsverfahrens geradezu voraus.
c) Zu keinem andern Ergebnis führt die teleologische Auslegung.
Art. 153 Abs. 3 SchKG
will verhindern, dass die Purgation durch Zwangsvollstreckungen in das Grundstück, auf dem die abzulösenden Pfandrechte lasten, vereitelt wird. Um diesen Zweck zu erreichen, genügt es, die Verwertung des Pfandes auszuschliessen bzw. an bestimmte Bedingungen zu knüpfen. Es ist dagegen nicht erforderlich, auch die Einleitung der Betreibung zu verbieten. Die Zustellung des Zahlungsbefehls und das darauf folgende Verfahren (Beseitigung des Rechtsvorschlags durch Rechtsöffnung bzw. richterliches Urteil) behindern die Durchführung der Purgation in keiner Weise.
d) Zu Unrecht kritisiert die Rekurrentin die Ansicht von JAEGER, N. 5 zu
Art. 153 SchKG
. Wohl müssen die Kantone, welche die Hypothekenbereinigung eingeführt haben, eine Art Kollokationsverfahren vorsehen, in dem Bestand und Rang der abzulösenden Pfandrechte festgestellt werden (vgl. dazu LEEMANN, N. 21 ff. zu
Art. 828 ZGB
). Dies schliesst jedoch nicht aus, dass ein Pfandgläubiger ein Interesse daran haben kann, während der Purgation eine Betreibung einzuleiten und sein Pfandrecht im Vorverfahren dieser Betreibung feststellen zu lassen. Denn der im Purgationsverfahren aufgestellte Kollokationsplan ist für die Betreibungsbehörden nicht verbindlich, da die beiden Verfahren voneinander unabhängig sind. Dazu kommt, dass die Verwertung eines Grundpfandes frühestens sechs Monate nach Zustellung des Zahlungsbefehls verlangt werden kann (
Art. 154 Abs. 1 SchKG
). Dürfte der Pfandgläubiger die Betreibung erst nach Beendigung des Purgationsverfahrens anheben, so könnte er demnach die Verwertung des Pfandes nicht sogleich verlangen, auch wenn er den Nachweis leisten könnte, dass ihm noch ein Pfandrecht zusteht, sondern er müsste zunächst den Ablauf der Verwertungsfrist abwarten. Auch deswegen kann er ein Interesse daran haben, schon früher zu betreiben. Schliesslich können
BGE 100 III 51 S. 56
auch Gründe des materiellen Rechts dafür sprechen, die Betreibung möglichst frühzeitig einzuleiten. So erstreckt sich gemäss
Art. 806 Abs. 1 ZGB
die Pfandhaft nur auf diejenigen Miet- bzw. Pachtzinsforderungen, die seit Anhebung der Betreibung auf Grundpfandverwertung aufgelaufen sind (vgl.
Art. 91 VZG
). Der Gläubiger ginge somit unter Umständen eines Teils seiner Ansprüche verlustig, wenn er die Betreibung erst nach Ablauf des Purgationsverfahrens einleiten könnte. Die Hängigkeit dieses Verfahrens macht daher die Anhebung einer Betreibung auf Pfandverwertung keineswegs überflüssig.
e) Inwiefern Art. 88/89 VZG eine Lücke aufweise, ist nicht ersichtlich. Das Verhältnis zwischen der Purgation und der Betreibung auf Grundpfandverwertung ist in Art. 828 Abs. 1 und in
Art. 153 Abs. 3 SchKG
hinreichend geregelt. Diese Regelung bedurfte demnach keiner Ergänzung durch die VZG.
f) Ebensowenig ist schliesslich zu ersehen, warum die Betreibung nur dann zulässig sein soll, wenn die Forderung des betreibenden Gläubigers schon vor der Anzeige der Ablösung gemäss
Art. 828 Abs. 2 ZGB
fällig geworden ist. Im übrigen ist die Frage der Fälligkeit nicht von den Aufsichtsbehörden, sondern vom Richter zu entscheiden.
Dispositiv
Demnach erkennt die Schuldbetreibungs und Konkurskammer:
Der Rekurs wird abgewiesen. | null | nan | de | 1,974 | CH_BGE | CH_BGE_005 | CH | Federation |
7bdf0b0a-0730-4dbf-84a5-e63a61714860 | Urteilskopf
108 II 305
59. Auszug aus dem Urteil der II. Zivilabteilung vom 8. Juni 1982 i.S. Reller AG und Brescianini Söhne gegen Einwohnergemeinde Spreitenbach (Berufung) | Regeste
Forderung eines Unterakkordanten gegen eine Gemeinde für Arbeiten an einem Schulhaus auf deren Grundstück im Falle der Zahlungsunfähigkeit des Generalunternehmers.
1. Für Bauarbeiten auf dem Grundstück einer Gemeinde, an dem kein Bauhandwerkerpfandrecht errichtet werden kann (Verwaltungsvermögen), besteht keine subsidiäre Haftung des Gemeinwesens gegenüber einem Bauhandwerker, der als Unterakkordant tätig war und dessen Werklohnforderung wegen Zahlungsunfähigkeit des Generalunternehmers nicht beglichen wurde (Bestätigung der Rechtsprechung; E. 1).
2. Ersatzanspruch des Unterakkordanten gestützt auf
Art. 41 OR
? (E. 2). | Sachverhalt
ab Seite 306
BGE 108 II 305 S. 306
A.-
Die Einwohnergemeinde Spreitenbach übertrug der Horta Generalunternehmung AG Aarau (im folgenden "Horta" genannt) als Generalunternehmerin die Erstellung des Unterstufenschulhauses "Hasel" auf gemeindeeigenen Grundstücken in Spreitenbach. In dem als Werkvertrag bezeichneten Generalunternehmervertrag vom 29. Oktober 1973 wurde für die Ausführung dieses Bauwerks ein Pauschalpreis von Fr. 3'993'400.-- vereinbart, zuzüglich Kosten für allfällige Mehraufwendungen sowie für verschiedene im Vertrag näher bezeichnete Positionen; vorbehalten blieb ferner die Erhöhung des Pauschalpreises infolge der Bauteuerung. Nach Ziff. 3.2.5 des Vertrages verpflichtete sich die Horta, die von der Bauherrin geleisteten Zahlungen ausschliesslich zur Befriedigung der am Bau beteiligten Handwerker, Lieferanten etc. zu verwenden. In Ziff. 3.2.6 wurde bestimmt, die Horta sei dafür besorgt, dass keine Bauhandwerkerpfandrechte im Grundbuch eingetragen würden, und leiste soweit nötig Sicherstellungen (gemeint offenbar zur Abwendung allfälliger Bauhandwerkerpfandrechte). Gemäss Ziff. 8.2 hatte die Horta als Sicherstellung die Bürgschaftsverpflichtung einer Bank im Betrage von Fr. 1'000'000.-- zu hinterlegen; sie kam dieser Verpflichtung in der Weise nach, dass sie eine entsprechende Solidarbürgschaft der Schweizerischen Bankgesellschaft Aarau beibrachte. Nach Ziff. 7.1 des Vertrages konnte die Gemeinde für die Arbeitsvergebung Spreitenbacher Firmen vorschreiben, sofern der Mehrpreis nicht mehr als 4% der von der Horta vorgeschlagenen Firma betrug und dieser Mehrpreis von der Gemeinde übernommen wurde.
In der Folge schloss die Horta mit den zu einer Arbeitsgemeinschaft zusammengeschlossenen Bauunternehmungen Reller AG und Brescianini einen Werkvertrag für die Baumeisterarbeiten im Betrage von Fr. 1'261'142.55 ab, nachdem die Gemeinde Spreitenbach ein Abgebot dieser Unternehmer vom ursprünglich verlangten Werklohn erwirkt hatte.
BGE 108 II 305 S. 307
Gegen Ende der Schulhauserstellung geriet die Horta in finanzielle Schwierigkeiten. Am 16. Juli 1975 wurde ihr eine Nachlassstundung bewilligt und am 7. April 1976, nachdem kein Nachlassvertrag zustande gekommen war, der Konkurs über sie eröffnet. Die mit der Ausführung der Baumeisterarbeiten betrauten Unternehmer, denen nach der bereinigten Bauabrechnung eine Gesamtforderung von Fr. 1'469'000.-- zustand, blieben für einen Teil des Werklohnes ungedeckt. Nachdem sich die Eintragung eines Bauhandwerkerpfandrechtes als rechtlich unmöglich erwiesen hatte, machten sie den erlittenen Ausfall direkt gegenüber der Gemeinde Spreitenbach geltend. Diese bestritt eine entsprechende Schuldpflicht.
B.-
Mit Eingabe vom 14. Januar 1976 reichten die Firmen Reller AG und Brescianini Söhne beim Bezirksgericht Baden gegen die Einwohnergemeinde Spreitenbach Klage ein, mit dem Begehren, diese sei zu verpflichten, ihnen Fr. 241'979.90 nebst 5% Zins ab 13. Juli 1975 zu bezahlen. In der Replik wurde die geforderte Summe unter Hinweis auf eine nachträglich eingegangene Zahlung auf Fr. 144'520.-- reduziert.
Das Bezirksgericht Baden (I. Abteilung) wies die Klage mit Urteil vom 2. Juli 1980 ab.
C.-
Die Kläger reichten gegen das bezirksgerichtliche Urteil Appellation an das Obergericht des Kantons Aargau ein. Sie hielten darin am Antrag auf Gutheissung der Klage vollumfänglich fest und stellten eine Reihe von Beweisanträgen.
Am 29. Oktober 1981 wies das Obergericht (2. Zivilabteilung) die Appellation ab.
D.-
Gegen diesen Entscheid haben die Kläger sowohl Berufung als auch staatsrechtliche Beschwerde an das Bundesgericht erhoben. Mit der Berufung stellen sie den Antrag, das angefochtene Urteil sei aufzuheben und die Beklagte sei zu verpflichten, ihnen Fr. 144'520.-- nebst 5% Zins seit 13. Juli 1975 zu bezahlen; eventuell sei die Sache zu allfälliger Aktenergänzung und zu neuer Entscheidung an die Vorinstanz zurückzuweisen.
Die Beklagte beantragt Abweisung der Berufung. Das Obergericht hat auf Bemerkungen zur Berufung verzichtet.
E.-
Die staatsrechtliche Beschwerde ist mit Urteil vom heutigen Tag abgewiesen worden, soweit darauf einzutreten war.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
1.
In der Berufungsschrift wird vorab geltend gemacht, die
BGE 108 II 305 S. 308
Vorinstanz habe Bundesrecht verletzt, indem sie in Anlehnung an die Rechtsprechung des Bundesgerichts das Vorliegen einer Gesetzeslücke verneint und den Klägern anstelle des an Verwaltungsvermögen einer Gemeinde unzulässigen Bauhandwerkerpfandrechts nicht ein direktes Forderungsrecht gegenüber der Beklagten zugebilligt habe. Das Bundesgericht wird ersucht, seine bisherige Praxis in Wiedererwägung zu ziehen und dahin abzuändern, dass den für ein Werk auf öffentlichem Grund tätigen Bauhandwerkern in dem Umfang ein direkter Zugriff gegen das Gemeinwesen zuerkannt werde, als ihnen für ihre Werklohnforderung kein Bauhandwerkerpfandrecht zustehe und sie vom Generalunternehmer, mit dem sie in einem Vertragsverhältnis stehen, keine Deckung erhalten könnten.
In
BGE 103 II 238
f. E. 5 hat es das Bundesgericht in einem vergleichbaren Fall abgelehnt, eine Gesetzeslücke anzunehmen, die auf dem Wege der Rechtsprechung ausgefüllt werden könnte. Es handelte sich um eine Baute auf einem Grundstück der Eidgenossenschaft, das zum Verwaltungsvermögen gehörte und auf dem deshalb kein Bauhandwerkerpfandrecht eingetragen werden konnte (PTT-Anlage auf dem Chasseral, die unter anderem verschiedenen Zwecken der Telephonie und des Fernsehens dient und deren Ausführung einem später zahlungsunfähig gewordenen Generalunternehmer übertragen worden war). Das Bundesgericht führte aus, dass die mit der Klage geforderte subsidiäre Haftpflicht des Staates für die ungedeckte Werklohnforderung sich aus dem öffentlichen Recht ableiten lassen müsste, dass das öffentliche Recht des Bundes jedoch keine Grundlage dafür biete und dass eine solche Haftung auch nicht in das System des schweizerischen Zivilrechts passen würde; letzteres kenne eine ausservertragliche Haftung grundsätzlich nur für widerrechtliche Schädigungen und ungerechtfertigte Bereicherungen. Da es sich im vorliegenden Fall um ein Bauwerk auf einem Grundstück handelt, das zum Verwaltungsvermögen einer Gemeinde gehört, müsste sich die Grundlage für die Haftung der Beklagten eigentlich aus dem kantonalen öffentlichen Recht ergeben. In der Berufung wird nicht geltend gemacht, dass das aargauische Recht eine entsprechende Regelung enthalte. Das Bundesgericht wäre im übrigen auch nicht in der Lage, im Rahmen des vorliegenden Verfahrens die Anwendung kantonalen Rechts zu überprüfen.
Auf die in
BGE 103 II 238
f. vertretene Auffassung zurückzukommen und durch Annahme einer Gesetzeslücke im
BGE 108 II 305 S. 309
Bundeszivilrecht eine subsidiäre Staatshaftung für ungedeckte Bauhandwerkerforderungen einzuführen, besteht kein Anlass. Dass der Gesetzgeber nicht vorausgesehen hat, Bauhandwerker könnten in Fällen wie dem vorliegenden zu Schaden kommen, reicht hiefür ebensowenig aus wie der Umstand, dass die gegenwärtige Rechtslage nicht zu befriedigen vermag. Es ginge zu weit, annehmen zu wollen, die Rechtsordnung müsse den Bauhandwerkern dort, wo das ihnen eingeräumte Privileg des gesetzlichen Pfandrechts versage, notwendigerweise ein anderes Privileg einräumen. Es kommt immer wieder vor, dass das einem gewissen Personenkreis eingeräumte Vorrecht sich aus zwingenden Gründen nicht auszuwirken vermag. Es ist Sache des Gesetzgebers, in solchen Fällen für Abhilfe zu sorgen, wenn er die Situation als untragbar erachtet. Der Richter vermag auf dem Wege der Lückenfüllung nur dort zu helfen, wo die Rechtsordnung sonst an einem unlösbaren Widerspruch leiden würde. Das ist bei der Unzulässigkeit des Bauhandwerkerpfandrechts an Grundstücken, die zum Verwaltungsvermögen eines Gemeinwesens gehören, nicht der Fall. Das Pfandrechtsprivileg setzt naturgemäss voraus, dass an einer Liegenschaft überhaupt ein Pfandrecht bestellt werden kann. Wo dies nicht möglich ist, folgt daraus nicht zwangsläufig, dass eine ganz andere Art von Privileg, nämlich die subsidiäre Haftung des Grundeigentümers mit seinem gesamten Vermögen, an die Stelle des Pfandrechts treten muss. Auch LIVER, auf dessen kritischen Besprechungen der bundesgerichtlichen Praxis die Berufung Bezug nimmt, sieht die Lösung der von ihm als unbefriedigend und mehr als stossend bezeichneten Situation nicht einfach in der Bejahung einer voraussetzungslosen Haftung des Gemeinwesens. Er betrachtet es vielmehr als eine Verletzung der Sorgfaltspflicht, wenn ein Bauherr, der sich jeder Verantwortung gegenüber den Bauhandwerkern entschlägt, einen Generalunternehmer einschiebt, der keine Gewähr für die Bezahlung der Unternehmer und Bauhandwerker zu bieten vermag; daraus will er eine direkte Haftung des betreffenden Bauherrn ableiten (vgl. ZBJV 115/1979, S. 262; ZBJV 116/1980, S. 154 oben). Eine Sorgfaltspflichtverletzung als solche reicht jedoch nicht durchwegs aus, eine Haftung zu begründen.
2.
In zweiter Linie wird geltend gemacht, die Pflicht der Beklagten zur Bezahlung des Restguthabens der Kläger ergebe sich aus der Verletzung von sogenannten Schutzpflichten, die auf Grund von
Art. 2 ZGB
auch ohne direkte Vertragsbeziehungen
BGE 108 II 305 S. 310
aus dem Bestehen geschäftlicher Kontakte erwüchsen. Ansatzpunkt für die Entstehung eines Schutzverhältnisses mit besonderen Pflichten sei die culpa in contrahendo; in ein solches Schutzverhältnis könne neben den Hauptpartnern auch ein Dritter miteinbezogen sein. Die Beklagte habe den Klägern gegenüber in mehrfacher Beziehung solche Schutzpflichten verletzt, indem sie nicht nur einen zahlungsunfähigen Generalunternehmer gewählt, sondern beim Abschluss und bei der Abwicklung des Generalunternehmervertrages nicht besser dafür gesorgt habe, dass die Handwerker von der Horta aus den Zahlungen der Beklagten auch wirklich befriedigt würden. So habe sie sich als Bauherrin nicht das Recht ausbedungen, die Bauhandwerker direkt auszuzahlen oder die richtige Verwendung ihrer Zahlungen an die Horta durch einen Treuhänder überwachen zu lassen. Mit der Bezeichnung eines Kontos für die Überweisungen der Beklagten an die Horta in Ziff. 3.2.3 des Generalunternehmervertrages sei zudem gegenüber den Bauhandwerkern der Anschein eines speziellen Kontos und damit einer besonderen Sicherung der Bezahlung der Handwerkerforderungen erweckt worden; dieser Anschein begründe eine Pflicht zum Schutz des geweckten Vertrauens. Auch die verschiedenen direkten Kontakte zwischen der Beklagten und den Handwerkern bei der Arbeitsvergebung und in der Phase der Vertragserfüllung hätten ein besonderes Vertrauensverhältnis begründet. Die sich daraus ergebenden Schutzpflichten habe die Beklagte krass verletzt, indem sie auf Anweisung der Horta Zahlungen auf ein anderes als das vertraglich bezeichnete Konto geleistet und die Kläger nie gewarnt, sondern im Gegenteil versucht habe, diese zu beschwichtigen.
a) Die Berufung geht davon aus, dass zwischen der Beklagten und den Klägern kein Vertragsverhältnis zustande gekommen sei. Damit steht auch nach Auffassung der Kläger fest, dass die eingeklagte Forderung nicht aus der Verletzung einer von der Beklagten vertraglich übernommenen Pflicht abgeleitet werden kann. Als Rechtsgrundlage für die Forderung kommt daher nur eine Ersatzpflicht aus ausservertraglicher Schädigung in Betracht. Wenn vom dogmatisch schwer einzuordnenden Fall der culpa in contrahendo (vgl. dazu
BGE 101 II 268
f. E. 4) zunächst einmal abgesehen wird, könnte sich eine Schadenersatzpflicht der Beklagten somit nur ergeben, wenn die Voraussetzungen des
Art. 41 OR
erfüllt wären. Nach Abs. 1 dieser Bestimmung wird schadenersatzpflichtig, wer einem andern widerrechtlich Schaden zufügt, sei es mit
BGE 108 II 305 S. 311
Absicht, sei es fahrlässig. Nach
Art. 41 Abs. 2 OR
ist ebenso zum Ersatz des verursachten Schadens verpflichtet, wer einem andern in einer gegen die guten Sitten verstossenden Weise absichtlich Schaden zufügt.
b)
Art. 41 Abs. 1 OR
kommt hier als Grundlage für eine Schadenersatzpflicht schon deshalb nicht in Frage, weil es an der Voraussetzung der Widerrechtlichkeit des Verhaltens der Beklagten fehlt. Die Beklagte hat nicht gegen eine allgemeine gesetzliche Pflicht verstossen und insbesondere kein absolutes Recht der Kläger wie das Eigentum oder das Persönlichkeitsrecht verletzt, wenn sie beim Abschluss und bei der Abwicklung des Generalunternehmervertrages mit der Horta nicht besser dafür sorgte, dass die Forderungen der Kläger von der Horta auch wirklich bezahlt würden. Als Rechtsnorm, aus der sich eine besondere Schutzpflicht der Beklagten ergeben haben soll, wird in der Berufung einzig
Art. 2 ZGB
genannt. Der Grundsatz des Handelns nach Treu und Glauben knüpft jedoch, wie sich aus dem Wortlaut von
Art. 2 Abs. 1 ZGB
ergibt, an bereits bestehende Rechte und Pflichten einer Person an: "Jedermann hat in der Ausübung seiner Rechte und in der Erfüllung seiner Pflichten nach Treu und Glauben zu handeln." Wo jemand weder nach Vertrag noch nach Gesetz zu einem bestimmten Verhalten verpflichtet ist, kann eine solche Pflicht höchstens in eng umgrenzten Ausnahmefällen selbständig aus
Art. 2 ZGB
abgeleitet werden. Es würde jedenfalls zu weit führen, dem Besteller eines Werks gestützt auf
Art. 2 ZGB
allgemein die Pflicht auferlegen zu wollen, beim Abschluss und bei der Abwicklung eines Generalunternehmervertrages geeignete Vorkehren dafür zu treffen, dass die vom Generalunternehmer zu bezahlenden Handwerker für ihre Werklohnforderungen auch wirklich befriedigt werden. Eine solche Pflicht könnte höchstens dort in Erwägung gezogen werden, wo mit der Zahlungsunfähigkeit des Generalunternehmers auf Grund konkreter Anhaltspunkte von Anfang an gerechnet werden muss. Davon kann hier indessen keine Rede sein. Auch die Kläger machen nicht geltend, dass die Beklagte Anlass gehabt habe, der Horta bei Abschluss des Generalunternehmervertrages zu misstrauen, oder dass sie von Verdachtsgründen Kenntnis gehabt habe, die sie den Klägern in einer gegen Treu und Glauben verstossenden Weise verschwiegen habe. Unter diesen Umständen war es aber allein Sache der Kläger, sich der Horta gegenüber Sicherheiten auszubedingen, um sich vor Verlusten zu schützen. Die von jedem Vertragsschliessenden
BGE 108 II 305 S. 312
zu erwartende Sorgfalt bei der Wahrung der eigenen Interessen kann nicht unter Berufung auf
Art. 2 ZGB
leichthin auf eine andere Person verschoben werden.
Auch was den Vorwurf der Kläger betrifft, sie hätten sich auf den Anschein verlassen, dass die Verwendung der Zahlungen der Beklagten an die Horta zur Befriedigung der Bauhandwerker durch den Generalunternehmervertrag gesichert sei, fehlt es am Nachweis eines gegen
Art. 2 ZGB
verstossenden Verhaltens der zuständigen Organe der Beklagten. Es trifft nicht zu, dass diese durch entsprechende Handlungen oder Unterlassungen in treuwidriger Weise einen solchen Anschein erweckt hätten. Dafür genügt insbesondere nicht, dass im Generalunternehmervertrag ein besonderes Konto der Horta für die Überweisungen der Beklagten und eine Bankbürgschaft zur Sicherung der Verpflichtungen der Horta gegenüber der Beklagten vorgesehen waren. Im übrigen wird nicht geltend gemacht, dass der Gemeinderat der Einwohnergemeinde Spreitenbach den Klägern nach den ersten Anzeichen der schlechten finanziellen Lage der Horta falsche Angaben über die Sicherung der Bauhandwerkerforderungen gemacht habe. Auf allfällige Beschwichtigungsversuche anderer Leute, die nicht befugt waren, die Beklagte zu vertreten, durften sich die Kläger ohnehin nicht verlassen.
c) Einen weiteren Anwendungsbereich als
Art. 41 Abs. 1 OR
weist Abs. 2 dieser Bestimmung insoweit auf, als die Ersatzpflicht bereits durch ein gegen die guten Sitten verstossendes Verhalten ausgelöst wird. Die in der Berufung gegenüber der Beklagten erhobenen Vorwürfe gehen denn auch eher in diese Richtung.
Art. 41 Abs. 2 OR
erlaubt die Ausdehnung der sich aus Abs. 1 ergebenden Schadenersatzpflicht auf Fälle, wo zwar keine Widerrechtlichkeit vorliegt, das Rechtsgefühl aber dennoch eine Ersatzpflicht verlangt, so z.B. bei der Verleitung zum Vertragsbruch unter besonders stossenden Bedingungen, bei der Schädigung durch unterlassene Warnung vor einer Gefahr oder bei der unaufgeforderten Erteilung eines falschen Rates (VON TUHR/PETER, Allgemeiner Teil des Schweizerischen Obligationenrechts, I. Bd., S. 416 f.; DESCHENAUX/TERCIER, La responsabilité civile, S. 76/77). Ob ein Fall wie der vorliegende diese Voraussetzung erfüllen würde, kann offen bleiben, da die Ersatzpflicht nach
Art. 41 Abs. 2 OR
nur bei absichtlicher Schädigung eintritt. Davon kann aber hier keine Rede sein. Eine Schädigungsabsicht der Beklagten wird denn auch von den Klägern nicht geltend gemacht.
Art. 41 Abs. 2
BGE 108 II 305 S. 313
OR
fällt somit als Grundlage für die eingeklagte Forderung ebenfalls weg.
d) Die Kläger berufen sich ferner auf culpa in contrahendo als Ausgangspunkt für die Bejahung einer besonderen Schutzpflicht der Beklagten ihnen gegenüber. Das Bundesgericht anerkennt in seiner Rechtsprechung grundsätzlich eine gegenseitige Aufklärungspflicht von Parteien, die in Vertragsverhandlungen eintreten (vgl.
BGE 105 II 79
f. E. 2a;
BGE 102 II 84
). Diese sich aus
Art. 2 ZGB
ergebende Aufklärungspflicht ist aber sachlich nicht unbegrenzt und wurde bisher nur im Verhältnis künftiger Vertragspartner untereinander bejaht. Selbst wenn in Übereinstimmung mit der in der Berufung vertretenen Auffassung angenommen werden wollte, die Beklagte hätte nach Treu und Glauben eine Aufklärungspflicht auch gegenüber den Klägern als Vertragspartnern der Horta gehabt, weil sie mit ihnen direkte Kontakte gehabt habe, liesse sich daraus keine Schadenersatzpflicht der Beklagten herleiten. Die Beklagte hat den Klägern nichts verschwiegen, was diese hätten wissen müssen, selber aber nicht in Erfahrung bringen konnten. Die Kläger hatten auch keinen Grund anzunehmen, dass die Beklagte im Generalunternehmervertrag mit der Horta für eine Sicherung der Werklohnforderungen der Bauhandwerker sorgen werde. Nur wenn von einer solchen Sicherung vorerst die Rede gewesen, im Vertrag mit der Horta dann aber ohne Benachrichtigung der Kläger davon abgesehen worden wäre, könnte sich die Frage einer Schadenersatzpflicht der Beklagten im Sinne einer culpa in contrahendo stellen. Die Kläger bringen jedoch selber nicht vor, dass ihnen von seiten der Beklagten irgendwelche Zusicherungen hinsichtlich der Ausgestaltung des Generalunternehmervertrages mit der Horta, insbesondere in bezug auf die Sicherung ihrer Werklohnforderungen, gemacht worden seien. Unter diesen Umständen kann eine Schadenersatzpflicht der Beklagten im Sinne der Haftung für culpa in contrahendo nicht in Frage kommen. Soweit die Kläger aber nicht nur eine Aufklärungspflicht, sondern eine darüber hinausgehende Schutzpflicht der Beklagten geltend machen, würde die Rechtsprechung zur culpa in contrahendo hiefür ohnehin keine Grundlage bieten. | public_law | nan | de | 1,982 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
7be41459-cf55-49a9-8604-a3e0f04042a2 | Urteilskopf
116 Ib 469
57. Estratto della sentenza 23 novembre 1990 della I Corte di diritto pubblico nella causa DFI c. Comune di P., Patriziati di P.e.B. e Consiglio di Stato del Cantone Ticino (ricorso di diritto amministrativo) | Regeste
Rodungsbewilligung zur Förderung der baulichen Entwicklung einer Gemeinde.
1. Erlass einer Gewerbezone und Berücksichtigung des Walderhaltungsgebots (
Art. 18 Abs. 3 RPG
); Voraussetzungen für die Erteilung einer Rodungsbewilligung. Von der Rechtsprechung entwickelte Kriterien (E. 2a, b und c).
2. Im konkreten Fall ist das Erfordernis der relativen Standortgebundenheit gemäss
Art. 26 Abs. 3 FPolV
erfüllt und es liegen keine polizeilichen Gründen vor, die gegen die Rodung sprechen würden (E. 3a und b).
3. Es fehlt hingegen ein überwiegendes Interesse an der Durchführung der Rodung, da die Gründe, die eine harmonische Entwicklung der geplanten Industrie- und Gewerbezone gefährden könnten, nicht mehr bestehen (E. 3c). | Sachverhalt
ab Seite 470
BGE 116 Ib 469 S. 470
Le particelle n. 516 e 837 del Comune di P. appartengono ai Patriziati di B. e P. I mappali, che sorgono su un ammucchiamento di detriti, sono posti sulle rive di un canale artificiale (le cui acque scorrono in un letto di cemento), distano una trentina di metri dalla strada nazionale N2 e confinano a nord con la strada d'accesso alla zona industriale del Comune di B. Il fondo n. 837 è ricoperto da una superficie boschiva di circa 1000 m2; l'area silvestre del mappale n. 516 è ridotta attualmente a una striscia della lunghezza di circa 40 m e della larghezza massima di 11 m.
Con istanza del 2 febbraio 1986 il Comune di P. postulava il rilascio di un'autorizzazione di dissodamento per un'area di 1800 m2 ai fondi n. 516 e 837, allo scopo di realizzare la zona artigianale-industriale prevista dal piano regolatore comunale, adottato dal Consiglio comunale il 18 novembre 1985 e approvato dal Consiglio di Stato con risoluzioni del 6 luglio 1988 e dell'11 luglio 1990.
Il 13 febbraio 1990 il Consiglio di Stato del Cantone Ticino ha accolto la richiesta del Comune di P., autorizzando il dissodamento di 1800 m2 (considerando erroneamente della lunghezza di 90 m la striscia boschiva del mappale n. 516) di area silvestre alle particelle n. 516 e 837; l'autorizzazione è stata sottoposta a diversi oneri e condizioni.
Contro la risoluzione governativa il 21 marzo 1990 il Dipartimento federale dell'interno (DFI) è insorto al Tribunale federale. Con ricorso di diritto amministrativo postula l'annullamento dell'atto impugnato, mancando a suo modo di vedere sia la necessità del dissodamento per lo sviluppo edilizio del comune sia il presupposto dell'ubicazione vincolata, ossia l'esigenza di permettere l'ampliamento dell'azienda meccanica nell'area all'esame, al fine di salvaguardare altre zone libere per la rotazione agraria; contesta pure che la vegetazione da dissodare manchi di pregio.
Il Comune di P., i Patriziati di B. e P. e il Consiglio di Stato postulano il rigetto dell'impugnativa. Nel secondo scambio di scritti le parti - ricorrente compreso - mantengono le loro posizioni.
Il 21 settembre 1990 una delegazione del Tribunale federale ha esperito un sopralluogo alla presenza delle parti. In quest'occasione
BGE 116 Ib 469 S. 471
è stato consigliato il ritiro del ricorso limitatamente all'area boschiva della particella n. 516. Aderendo a questa proposta, con scritto del 5 ottobre 1990, il DFI ha parzialmente ritirato il ricorso, dichiarando nel contempo di mantenere il gravame al riguardo dell'area silvestre che ricopre il fondo n. 837.
Erwägungen
Dai considerandi:
2.
a) Il ricorrente sostiene che l'inclusione di una foresta nella zona artigianale entra in linea di conto soltanto se, oltre alle condizioni concernenti la sistemazione del territorio, sono soddisfatte anche quelle restrittive per il rilascio di un permesso di dissodamento. A tal fine il comune deve dimostrare la necessità del dissodamento in favore del suo sviluppo edilizio. Il Comune di P. disporrebbe invece di sufficienti superfici libere da adibire a scopi industriali. Per di più, la risoluzione impugnata lederebbe l'
art. 26 cpv. 4 OVPF
, omettendo di tener debito conto della protezione della natura e del paesaggio, la superficie da dissodare dovendo essere considerata vegetazione riparia giusta l'
art. 18 cpv. 1bis LPN
.
b) Secondo l'
art. 31 cpv. 1 LVPF
, l'area boschiva della Confederazione non può essere diminuita. Qualsiasi autorizzazione di dissodamento costituisce un'eccezione; l'autorità competente deve imporsi quindi un certo riserbo nell'analizzare se siano adempiuti i presupposti del suo rilascio (
DTF 113 Ib 412
consid. 2a e richiami). Conformemente all'
art. 24 cpv. 1 OVPF
la superficie boschiva svizzera dev'essere salvaguardata in considerazione delle sue funzioni produttive, protettive e benefiche, tanto nell'estensione, quanto nella distribuzione regionale. In linea di principio, in virtù di questo precetto che vieta la diminuzione dell'area forestale, sono irrilevanti la qualità, il valore e la funzione del bosco concretamente esistente. L'applicazione di questi criteri si impone anche per un'area trascurata e di modeste dimensioni; al fine di preservare lo scopo originale del bosco è necessario vietare la ripetuta concessione di permessi di dissodamento anche per superfici ridotte (
DTF 113 Ib 413
consid. 2a e rinvii).
Secondo l'
art. 26 OVPF
un dissodamento può essere autorizzato soltanto se è provata l'esistenza di una necessità preponderante, cioè di una ragione più valida dell'interesse alla conservazione della foresta (cpv. 1): per ossequiare tale disposto, in ogni procedura dev'essere previamente effettuata una ponderazione degli interessi in
BGE 116 Ib 469 S. 472
gioco. Conformemente al capoverso 2 non devono esistere ragioni di polizia che si oppongano al dissodamento. Il terzo capoverso esige che l'opera prevista sia ad ubicazione vincolata, precisando che gli interessi finanziari, come il miglior sfruttamento del suolo o la ricerca di terreno a buon mercato, non sono considerati necessità preponderante giusta l'
art. 26 cpv. 1 OVPF
. Da ultimo, nella ponderazione degli opposti interessi si deve tener debitamente conto della protezione della natura e del paesaggio (consid. 4). I criteri elencati si applicano anche alle domande di dissodamento presentate da enti di diritto pubblico (
DTF 113 Ib 345
consid. 3, 152 consid. 3b e richiami,
DTF 103 Ib 52
consid. 5b) e sono quindi pure valide nei casi in cui il dissodamento postulato da questi enti sia destinato alla formazione di una zona di utilizzazione.
Secondo la prassi del Tribunale federale, l'interesse preponderante al dissodamento per la creazione di un'opera pubblica è dimostrato soltanto quando almeno un piano generale sia stato esaminato e approvato dai competenti organi dell'autorità edilizia (
DTF 113 Ib 152
consid. 3b). Il dissodamento chiesto, non già per realizzare un'opera ben determinata, bensì per creare una zona di pianificazione, può avvenire soltanto ove siano approvati i rispettivi piani di utilizzazione; per questo occorre coordinare la procedura pianificatoria con quella forestale (
DTF 114 Ib 227
consid. 5b e 230 consid. 8,
DTF 112 Ib 258
; sentenza inedita del 31 maggio 1989 nella causa DFI e LSPN c. Comune politico di Uors-Peiden/GR, consid. 3a).
c) Nell'ambito della pianificazione locale l'
art. 18 cpv. 3 LPT
impone il rispetto dell'area boschiva definita e protetta dalla legislazione forestale. Secondo la giurisprudenza del Tribunale federale, il precetto della salvaguardia dell'area boschiva non impedisce a priori l'inclusione di una superficie silvestre in un comprensorio edificabile; l'uso dell'area boscata a scopi edilizi presuppone tuttavia il rilascio di un'autorizzazione di dissodamento (cfr.
DTF 114 Ib 230
consid. 8;
DTF 108 Ib 383
all'inizio, 512 consid. 6). Il criterio che una determinata opera o una zona edilizia siano realizzabili solo in un luogo ben preciso non è assoluto, il quesito dell'ubicazione vincolata essendo uno degli aspetti da valutare nella ponderazione degli interessi giusta l'
art. 26 cpv. 1 OVPF
(
DTF 113 Ib 344
e rimandi). Ove il concetto dell'ubicazione vincolata sia inteso in modo relativo, l'interesse pubblico alla realizzazione di un'opera può prevalere in casi specifici su quello
BGE 116 Ib 469 S. 473
alla conservazione del bosco, in particolare quando il progetto include diversi terreni, per la maggior parte non sottoposti alla legislazione forestale (
DTF 108 Ib 174
consid. 5b e rinvio). Per ammettere il presupposto dell'ubicazione vincolata di carattere relativo, occorre esaminare anticipatamente se non sussistano luoghi alternativi altrettanto adatti all'attuazione del progetto.
Quando è stata fissata una zona di utilizzazione comprensiva di un'area silvestre, non basta, per concedere il dissodamento, esaminare la relazione tra la superficie boschiva e l'area libera, ma occorre che l'eliminazione delle piante risponda a un interesse pubblico che concerne la zona edilizia nel suo complesso e in generale l'attuazione della pianificazione dell'intero territorio comunale. Dato che il taglio di alberi per la creazione di una zona fabbricabile costituisce un'eccezione del principio della conservazione della foresta, suscettibile di creare molti pregiudizi, il rilascio del relativo permesso presuppone uno speciale riserbo da parte dell'autorità preposta. Il dissodamento può essere autorizzato quindi soltanto ove siano adempiute le premesse restrittive per la creazione di aree edificabili elaborate dalla giurisprudenza. Questa situazione si verifica per esempio in comuni con importanti superfici boschive dove, conclusa la procedura di pianificazione, ci si accorge che l'ordinamento del territorio non può essere attuato senza il sacrificio di bosco (
DTF 103 Ib 51
consid. 5a e rimandi; sentenza inedita del 18 febbraio 1987 parzialmente pubblicata in: ZBl 88/1987, pag. 502 consid. 3 cb; DUBS, Rechtsfragen der Walderhaltung in der Praxis des Bundesgerichts, in: Schweizerische Zeitschrift für Forstwesen 1974, pag. 287 bb). La necessità dell'inserimento dell'area boschiva nel comprensorio edificabile dev'essere convenientemente dimostrata dalle esigenze della pianificazione regionale (DTF
DTF 103 Ib 51
consid. 5a).
3.
a) Nella fattispecie si deve ammettere il presupposto dell'ubicazione vincolata di carattere relativo giusta l'
art. 26 cpv. 3 OVPF
; la mancanza di posti alternativi da adibire a scopi artigianali e industriali è stata accertata in occasione del sopralluogo. In tutto il territorio comunale esiste in effetti una sola area, posta a sud del vecchio nucleo del paese, adatta a quest'utilizzazione. Si tratta però di fondi pregiati per l'agricoltura, inseriti nel piano direttore cantonale come terreni agricoli di prima priorità e - a detta del pianificatore cantonale presente al sopralluogo - suscettibili di essere attribuiti alla superficie di avvicendamento colturale (SAC), che il piano di coltivazione della Confederazione impone ai cantoni.
BGE 116 Ib 469 S. 474
È inoltre provata l'esigenza di una zona artigianale per il Comune di P., la cui creazione è auspicata anche dalle autorità del limitrofo Comune di B., al fine di regolare la precaria situazione nel campo degli alloggi. Infatti, all'insediamento di alcune industrie nella regione - in particolare appunto a P. - farebbe seguito un incremento di popolazione, atto a risolvere l'assillante problema degli appartamenti sfitti.
b) Al dissodamento della particella n. 837 non si oppongono nemmeno ragioni di polizia.
c) L'interesse all'attuazione dell'auspicato intervento non appare tuttavia preponderante. A differenza di quanto è detto nella risoluzione impugnata, la superficie da dissodare non è direttamente adiacente alla zona industriale del Comune di B., ma separata da quest'ultima da un terreno boscato e da fondi inseriti in una zona per edifici e attrezzature pubbliche. È esatto che il fondo silvestre limitrofo a quello in esame è oggetto di una mozione già accettata dal Consiglio comunale di B. Il progetto consiste nel coprire il canale artificiale - che in tal punto forma il confine comunale - al fine di poter creare un secondo campo di calcio. Tuttavia, il Consiglio di Stato non è stato finora chiamato a determinarsi sulla relativa variante di piano regolatore e nemmeno sul dissodamento necessario alla realizzazione dell'opera. Per di più, avendo il ricorrente ritirato il suo gravame concernente il fondo n. 516, non sussistono più i motivi che si opponevano allo sviluppo armonico di una zona industriale e artigianale in territorio del Comune di P. Ne deriva la mancanza della premessa dell'interesse preponderante al dissodamento dell'area boschiva che ricopre la particella n. 837; di conseguenza l'autorizzazione governativa dev'essere annullata. In queste circostanze non è più necessario esaminare se la vegetazione del fondo n. 837 sia da definire riparia (
art. 21 LPN
) e se il suo dissodamento presupponga anche il rilascio di un permesso straordinario giusta l'
art. 22 LPN
. | public_law | nan | it | 1,990 | CH_BGE | CH_BGE_003 | CH | Federation |
7be85248-9c2e-46b8-8284-b4d8a30b591a | Urteilskopf
97 I 851
121. Extrait de l'arrêt de la Ire Cour civile statuant comme Chambre de droit public le 16 novembre 1971 dans la cause Zouboff contre Natural Lecoultre SA | Regeste
Die Gerichtsferien des
Art. 34 OG
sind ohne Einfluss auf das Ende gesetzlich oder richterlich bestimmter Fristen, wenn dieses ausdrücklich auf einen nach Ablauf der Ferien liegenden Zeitpunkt festgesetzt worden ist. | Erwägungen
ab Seite 851
BGE 97 I 851 S. 851
Extrait des considérants:
1.
Le délai imparti selon l'art. 93 al. 1 OJ à Natural Lecoultre SA pour produire sa réponse échéait le 17 août 1971. La réponse de l'intimée, qui a été mise à la poste le 3 septembre 1971, est donc tardive: les féries judiciaires de l'art. 34 OJ demeurent sans incidence sur l'échéance des délais fixés par la loi ou par le juge lorsque le jour de celle-ci a été arrêté expressément à une date postérieure à leur terme (arrêts non publiés Ceci SA c. Bütschi du 19 septembre 1964 et Lurati c. Ticino du 8 novembre 1967). La modification subséquente de l'art. 34 OJ par la LF du 20 décembre 1968, qui introduit de nouvelles féries judiciaires, à Pâques et à Noël, n'est pas de nature à remettre en question cette jurisprudence. | public_law | nan | fr | 1,971 | CH_BGE | CH_BGE_001 | CH | Federation |
7bec37bb-cb9f-4f4b-9e43-855b5353c48c | Urteilskopf
124 II 538
52. Auszug aus dem Urteil der I. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 16. September 1998 i.S. C. gegen Maladers sowie Departement des Innern und der Volkswirtschaft und Verwaltungsgericht des Kantons Graubünden (Verwaltungsgerichtsbeschwerde) | Regeste
Art. 24 Abs. 2 RPG
, Art. 9a ff. des Raumplanungsgesetzes für den Kanton Graubünden vom 20. Mai 1973 (KRG), Art. 11 der Raumplanungsverordnung für den Kanton Graubünden vom 26. November 1986 (KRVO). Dauernde Bewohnung einer als Ferienhaus bewilligten Maiensässhütte.
Weder
Art. 24 Abs. 2 RPG
noch das Raumplanungsrecht des Kantons Graubünden bieten eine Handhabe, die Nutzung von Bauten und Anlagen ausserhalb der Bauzone unabhängig von bewilligungspflichtigen baulichen Veränderungen zeitlich zu beschränken (E. 2). | Sachverhalt
ab Seite 538
BGE 124 II 538 S. 538
B.C. und A.C. sind Eigentümer eines von ihnen seit 1993 dauerhaft bewohnten Hauses im X. in der Gemeinde Maladers. Die 1972 als "Ersatz-Ferienhäuschen" für eine alte Maiensässhütte bewilligte Baute liegt im übrigen Gemeindegebiet. Mit Schreiben vom
BGE 124 II 538 S. 539
11. Mai 1995 teilte der Gemeindevorstand Maladers A.C. mit, die "Umwandlung eines sporadisch genutzten Ferienhauses in ein dauernd bewohntes Wohnhaus" stelle eine wesentliche Nutzungsänderung dar, die den Rahmen des nach
Art. 24 Abs. 2 des Bundesgesetzes über die Raumplanung (RPG; SR 700)
Zulässigen sprenge. Das ergebe sich schon daraus, dass Art. 11 der Raumplanungsverordnung für den Kanton Graubünden vom 26. November 1986 (KRVO) zwischen dauernd und nicht dauernd bewohnten Bauten unterscheide. Die Nutzung als Dauerwohnbaute sei illegal, weshalb kein Anspruch auf die Erstellung von Infrastrukturanlagen bestehe. Die Gemeinde könne nicht verpflichtet werden, Wasser-, Abwasser- und Stromversorgung bereit- und den Schulweg durch eine Winteroffenhaltung sicherzustellen. Die derzeitige Winteroffenhaltung bis Pardäls erfolge weiterhin auf Zusehen hin im Rahmen des forstlichen Bedarfs. In diesem Zusammenhang sei auch zu beachten, dass bei allfälligen bewilligungspflichtigen Bauvorhaben der Kanton von sich aus tätig werden könne, auch wenn die Gemeinde den derzeitigen Nutzungszustand auf Zusehen hin dulde.
Mit Eingabe vom 10. Mai 1997 ersuchte A.C. um die Bewilligung für den Einbau einer Sickerleitung und eines Naturkellers. Im Baugesuch bezeichnete er das Gebäude als «dauernd bewohntes Gebäude». Die Gemeinde leitete das Baugesuch mit Antrag auf Zustimmung an das Departement des Innern und der Volkswirtschaft Graubünden (DIV) weiter. Dieses verfügte am 28. Oktober 1997:
"1. Der Erteilung einer Ausnahmebewilligung für den Anbau des Naturkellers und für das Verlegen einer Sickerleitung beim Ferien-/ Wochenendhaus von A.C., Maladers, in der Gemeinde Maladers wird gestützt auf
Art. 24 Abs. 2 RPG
und
Art. 9c KRG
zugestimmt.
2. Der erfolgten Umwandlung von einer Temporärwohnbaute in eine Dauerwohnbaute (Zweckänderung) des bestehenden Ferien-/Wochenendhauses von A.C., Maladers, in der Gemeinde Maladers wird nicht zugestimmt.
3. Die Gemeinde Maladers wird angewiesen, bezüglich der erfolgten Zweckänderung das Verfahren zur Wiederherstellung des rechtmässigen Zustandes einzuleiten und zügig durchzuführen (
Art. 60 KRG
). Über die einzelnen Verfahrensschritte ist das Departement des Innern und der Volkswirtschaft in Kenntnis zu setzen.
4. - 6. (..)."
Gestützt auf diese Zustimmung des DIV erteilte der Gemeindevorstand Maladers A.C. mit Verfügung vom 14. November 1997 die Bewilligung zur Verlegung der Sickerleitung und zum Anbau eines
BGE 124 II 538 S. 540
Naturkellers, wobei er ausdrücklich festhielt, dass die Umwandlung der Temporär- in eine Dauerwohnbaute nicht Gegenstand dieses Entscheides sei.
Mit Eingabe vom 17. November 1997 rekurrierten A.C. und B.C. beim Verwaltungsgericht des Kantons Graubünden gegen die Verfügung des DIV vom 28. Oktober 1997 mit dem Antrag, die Ziffern 2 und 3 des Dispositivs seien aufzuheben, eventuell sei die Umnutzung zu bewilligen. Das Verwaltungsgericht wies den Rekurs mit Urteil vom 16. Januar 1998 ab.
Mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde vom 1. April 1998 beantragen B.C. und A.C., der Entscheid des Verwaltungsgerichts sei aufzuheben (Ziff. 1), es sei festzustellen, dass die Umnutzung keine bewilligungspflichtige Zweckänderung darstelle, und die Ziffern 2 und 3 des Dispositivs der Verfügung des DIV seien aufzuheben (Ziff. 2); eventuell sei die Umnutzung zu bewilligen (Ziff. 3).
Das Bundesgericht heisst die Beschwerde gut.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
2.
Nach der mit dem angefochtenen Entscheid bestätigten Verfügung des DIV muss die Gemeinde Maladers den Beschwerdeführern verbieten, ihr Maiensäss dauernd zu bewohnen und dieses Verbot durchsetzen; nötigenfalls kann dies auch das DIV tun (Art. 60 Abs. 1 und 2 des Raumplanungsgesetzes für den Kanton Graubünden vom 20. Mai 1973; KRG). Gegenstand dieses Verfahrens ist somit einzig die Zulässigkeit dieses Verbotes. Ausser Streit steht dagegen, welche baulichen Veränderungen die Beschwerdeführer an ihrem Maiensäss vornehmen dürfen: Das DIV hat ihrem Baugesuch mit Verfügung vom 28. Oktober 1997 zugestimmt, und der Gemeinderat Maladers hat es gestützt darauf bereits bewilligt.
a) Eine zeitliche Beschränkung der Nutzung des Grundeigentums stellt eine Eigentumsbeschränkung dar, die auf einer hinreichenden gesetzlichen Grundlage beruhen, im öffentlichen Interesse liegen und verhältnismässig sein muss (
BGE 121 I 117
E. 3b;
BGE 119 Ia 362
E. 3a). Wiegt ein solcher Eingriff schwer, was in der Regel der Fall ist, wenn Grundeigentum zwangsweise entzogen wird oder wenn durch Verbote und Gebote der bisherige oder künftig mögliche bestimmungsmässige Gebrauch des Grundstücks verunmöglicht oder stark erschwert wird (
BGE 115 Ia 363
E. 2a), verlangt das Bundesgericht eine klare und eindeutige gesetzliche Grundlage. Wiegt ein Eingriff weniger schwer, gilt das Erfordernis der gesetzlichen Grundlage als erfüllt, wenn sich der angefochtene Entscheid
BGE 124 II 538 S. 541
ohne Willkür auf die von ihm angeführte Norm abstützen lässt (
BGE 119 Ia 362
E. 3a;
BGE 116 Ia 181
E. 3c; zum Willkürbegriff:
BGE 119 Ia 113
E. 3a).
b) Nach
Art. 24 Abs. 2 RPG
kann das kantonale Recht gestatten, «Bauten und Anlagen zu erneuern, teilweise zu ändern oder wieder aufzubauen, wenn dies mit wichtigen Anliegen der Raumplanung vereinbar ist». Der Kanton Graubünden hat von dieser Kompetenz in den
Art. 9a ff. KRG
Gebrauch gemacht. Die Erneuerung, die teilweise Änderung und den Wiederaufbau bestehender Bauten hat er dabei in
Art. 9b KRG
in Übereinstimmung mit
Art. 24 Abs. 2 RPG
geregelt. In
Art. 9d KRG
unterscheidet er bei der teilweisen Änderung (Umbau) zwischen massvoller Erweiterung und geringfügiger Zweckänderung. Eine Zweckänderung ist geringfügig, wenn keine wesentlich neuen Nutzungsmöglichkeiten geschaffen werden und die Umwelt dadurch nicht erheblich mehr belastet wird (Abs. 3). Massvoll und damit im Rahmen dieser Bestimmung zulässig ist eine Erweiterung, «wenn dadurch die einer bestimmten Nutzung dienenden Räumlichkeiten in der Regel bis zu einem Viertel, in dauernd bewohnten, gewerblichen oder gastgewerblichen Bauten oder Anlagen bis zur Hälfte vergrössert werden» (Abs. 2). Bei nicht dauernd bewohnten Maiensässbauten gilt für eine teilweise Änderung in der Regel zudem ein Höchstmass von 50 m2 Bruttogeschossfläche (Art. 11 Abs. 2 KRVO).
c)
Art. 24 Abs. 2 RPG
und die
Art. 9a ff. KRG
legen somit fest, welche baulichen Veränderungen an bestehenden Bauten ausserhalb der Bauzone vorgenommen werden dürfen. Der Zweck des Umbaus spielt zwar eine wichtige Rolle, weil eine Umnutzung der Baute nur in engen Grenzen zulässig ist (vgl. dazu RDAT 1997 I 3499 E. 2c, d;
BGE 118 Ib 497
E. 3;
BGE 113 Ib 303
E. 3b). Wie sich schon aus den Untertiteln, unter denen diese Bestimmungen stehen ("Baubewilligung: Ausnahmen ausserhalb der Bauzone" bzw. "Allgemeine Bauvorschriften") und den Randtiteln der Art. 9b bis 9e KRG ("2. Erneuerung, teilweise Änderung und Wiederaufbau a) Grundsatz", "b) Erneuerung [Renovation]", "c) teilweise Änderung [Umbau]" und "d) Wiederaufbau") ergibt, knüpft die gesetzliche Regelung indessen an die Veränderung der Bausubstanz an. Mit dem Mittel der stark eingeschränkten Bewilligung von baulichen Veränderungen an Bauten und Anlagen ausserhalb der Bauzonen wollen der Bundes- und der kantonale Gesetzgeber in diesem Bereich das raumplanerische Ziel der Trennung von Baugebiet und Nichtbaugebiet verfolgen. Massgebend für die Beurteilung baubewilligungspflichtiger
BGE 124 II 538 S. 542
Vorhaben ist dabei grundsätzlich nicht, welche Nutzung der Bauherr subjektiv anstrebt, sondern was für eine Nutzung nach dem Umbau aufgrund des Ausbaustandards objektiv möglich ist (
BGE 112 Ib 94
E. 3 S. 98 unten).
d) Das Haus der Beschwerdeführer im X. wurde 1972 als Ferienhaus bewilligt und von den zuständigen Behörden seither konsequent als solches behandelt. So wurde z.B. weder eine Vergrösserung der Baute nach den für dauernd bewohnte Bauten geltenden Vorschriften (
Art. 9d Abs. 2 KRG
) noch ein Trinkwasseranschluss bewilligt, und die Gemeinde Maladers hat die Beschwerdeführer mit Schreiben vom 11. Mai 1995 ausdrücklich darauf hingewiesen, dass sie nicht verpflichtet sei, die für die dauernde Nutzung des Hauses erforderlichen Infrastrukturanlagen bereitzustellen. Das DIV hat in seiner Verfügung vom 28. Oktober 1997 den Ausbau des Naturkellers und das Verlegen der Sickerleitung nur bewilligt, weil es diese Umbauten als für ein Ferienhaus angemessen und daher im Rahmen von
Art. 9d KRG
und
Art. 24 Abs. 2 RPG
zulässig befand. Das Haus weist einen Ausbaustandard auf, wie er einem (bescheidenen) Ferienhaus entspricht. Ein Um- und Ausbau zu einer Wohnbaute, die einen nach landläufiger Auffassung für eine dauernde Bewohnung erforderlichen Komfort aufweist, wurde nie bewilligt; er würde den Rahmen der "teilweisen Änderung" im Sinne dieser Bestimmungen wohl ohne weiteres sprengen.
e) Weder
Art. 24 Abs. 2 RPG
und
Art. 24 RPV
noch die
Art. 9a ff. KRG
enthalten eine ausdrückliche Bestimmung, welche gestatten würde, die Nutzung von Bauten und Anlagen ausserhalb der Bauzone unabhängig von bewilligungspflichtigen baulichen Veränderungen zeitlich zu beschränken. Die von
Art. 9d Abs. 2 KRG
getroffene Unterscheidung zwischen dauernd und nicht dauernd bewohnten Bauten bestimmt nach dem Gesagten nur, in welchem Ausmass eine Baute oder Anlage je nach ihrem Nutzungszweck baulich erweitert werden darf. Diese Bestimmungen gehen gewiss davon aus, dass eine Baute ausserhalb der Bauzone nur zeitweise vorab zu Ferienzwecken genutzt wird, wenn nur ein sehr bescheidener Ausbaustandard bewilligt wird. Eine derart einschneidende und ungewöhnliche Massnahme wie die hier verfügte ausdrückliche zeitliche Beschränkung der Nutzung von Grundeigentum lässt sich darauf aber nicht stützen, zumal es keineswegs ausgeschlossen ist, ein Ferienhaus auf dem Wege der Vermietung unter Umständen ganzjährig zu benutzen. Zudem besteht bei der Festlegung eines zeitweiligen Nutzungsverbots ein sehr grosser Ermessensspielraum.
BGE 124 II 538 S. 543
Eine solche Regelung müsste, wie z.B. die Beschränkung des Zweitwohnungsanteils (vgl.
BGE 117 Ia 141
zur Regelung der Gemeinde Sils i.E.), im Gesetz ausdrücklich vorgesehen und in den Grundzügen geregelt sein. Anhaltspunkte dafür, dass sie vom kantonalen Gesetzgeber in den
Art. 9a ff. KRG
verankert werden wollte, werden vom Verwaltungsgericht nicht angeführt und sind auch nicht ersichtlich. Aus den von diesem angeführten Entscheiden des Bundesgerichts -
BGE 112 Ib 259
und
BGE 110 Ib 264
- lässt sich nichts Derartiges ableiten, da sie nicht einschlägig sind: Beide Fälle betrafen bauliche Veränderungen, für die das Bundesgericht die Erteilung einer Ausnahmebewilligung nach
Art. 24 Abs. 2 RPG
ablehnte.
Es ist daher mit sachlichen Gründen nicht vertretbar und damit willkürlich, diese Bestimmungen als hinreichende gesetzliche Grundlage für die umstrittene Eigentumsbeschränkung heranzuziehen. Dieser fehlt eine gesetzliche Grundlage, weshalb sie verfassungswidrig ist.
f) Unter diesen Umständen kann offen bleiben, ob die zeitliche Nutzungsbeschränkung als schwere Eigentumsbeschränkung einzustufen wäre oder nicht. Das könnte beim jetzigen Stand des Verfahrens ohnehin nicht abschliessend beurteilt werden, da es dabei massgeblich darauf ankommt, wie die Gemeinde Maladers die verfügte Nutzungsbeschränkung konkret durchführen wollte. | public_law | nan | de | 1,998 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
7bee8e85-1c8d-466e-bc47-1ccbedb15db7 | Urteilskopf
135 II 49
6. Extrait de l'arrêt de la IIe Cour de droit public dans la cause X. SA contre Ville de Genève (recours en matière de droit public)
2C_484/2008 du 9 janvier 2009 | Regeste
Vorschriften des öffentlichen Beschaffungswesens; Konzession für den Plakataushang auf öffentlichem Grund; Nebenleistung zu Lasten des Konzessionärs; Zur-Verfügung-Stellen von Fahrrädern zur Selbstausleihe.
Frage der Anwendbarkeit von
Art. 2 Abs. 7 BGBM
offengelassen (E. 4.1).
Verhältnis zwischen der Konzessionserteilung und den Vorschriften des öffentlichen Beschaffungswesens: Darstellung der Rechtsprechung (
BGE 125 I 209
) und der Lehre (E. 4.2 und 4.3). Die Körperschaften des öffentlichen Rechts dürfen die Anwendung der Vorschriften des öffentlichen Beschaffungswesens nicht mittels Erteilung einer Konzession umgehen; dies trifft insbesondere dann zu, wenn Nebenleistungen von einer gewissen Bedeutung, welche sich von der Konzession loslösen lassen und klarerweise dem Begriff der öffentlichen Beschaffung unterliegen, ohne Durchführung eines Vergabeverfahrens dem Konzessionär abverlangt werden (Präzisierung der Rechtsprechung; E. 4.4).
Das streitige Zur-Verfügung-Stellen von Fahrrädern zur Selbstausleihe untersteht den Vorschriften des öffentlichen Beschaffungswesens: Für das Gemeinwesen ist es ein Mittel zur Erfüllung einer öffentlichen Aufgabe, es kann von der Konzession losgelöst werden, es hat einen Preis, welcher der Verringerung des vom Submittenten für die Monopolgebühr offerierten Betrages entspricht, und es kann, in Anbetracht seiner Eigenart und Bedeutung, nicht mit einer schlichten Nebenleistung einer Konzession verglichen werden (E. 5). | Sachverhalt
ab Seite 51
BGE 135 II 49 S. 51
A.
Par un appel d'offres publié dans la Feuille d'avis officielle (FAO) du 26 juin 2006, la Ville de Genève (ci-après: la Ville) a mis en soumission le renouvellement de la concession d'affichage papier sur son domaine public pour la période allant du 1
er
janvier 2008 au 31 décembre 2012. Le marché devait être attribué selon une procédure à deux tours, dont le premier portait sur la sélection des candidats selon des critères d'aptitude, et le second sur l'adjudication proprement dite du marché.
La société X. SA (ci-après: la Société) a déposé un dossier de candidature, tout en contestant les conditions du marché. Par arrêt du 19 décembre 2006, le Tribunal administratif du canton de Genève (ci-après: le Tribunal administratif) a déclaré irrecevable le recours, faute de décision attaquable. Il a notamment considéré que, s'agissant de l'octroi d'une concession, les voies de droit prévues en matière de marchés publics n'étaient pas applicables.
B.
Entre-temps, le 3 novembre 2006, la Société a été sélectionnée aux côtés d'un autre soumissionnaire pour participer au second tour de l'appel d'offres. Les candidats ont reçu les documents relatifs à cette nouvelle phase de la procédure, dont un dossier de procédure et un cahier des charges assortis de leurs annexes.
A réception des documents précités, la Société a derechef saisi le Tribunal administratif d'un recours. Elle critiquait notamment le chiffre 19 du cahier des charges, qui imposait au concessionnaire d'assurer la mise en place et la gestion d'un système dit de vélos en libre service. Au vu de la nature et de l'ampleur de cette prestation, elle estimait que la procédure avait désormais toutes les caractéristiques d'un marché public dont les conditions pouvaient être contestées en justice lors de l'appel d'offres déjà.
Par arrêt du 20 mai 2008, le Tribunal administratif a déclaré le recours irrecevable, en reprenant la motivation développée dans sa précédente décision du 19 décembre 2006 concernant l'inapplicabilité des règles en matière de marchés publics aux procédures tendant à l'octroi d'une concession.
C.
La Société forme un recours en matière de droit public contre l'arrêt précité du Tribunal administratif.
Le Tribunal fédéral a admis le recours, annulé la décision attaquée et renvoyé le dossier au Tribunal administratif pour nouvelle décision au sens des considérants.
BGE 135 II 49 S. 52
Erwägungen
Extrait des considérants:
4.
Pour déterminer si le Tribunal administratif devait entrer en matière sur le recours, il faut se demander si les règles propres aux marchés publics sont applicables.
4.1
Aux termes de l'art. 2 al. 7 de la loi fédérale du 6 octobre 1995 sur le marché intérieur (LMI; RS 943.02), la transmission de l'exploitation d'un monopole cantonal ou communal à des entreprises privées doit faire l'objet d'un appel d'offres et ne peut discriminer des personnes ayant leur établissement ou leur siège en Suisse.
Il est douteux que cette disposition, entrée en vigueur le 1
er
juillet 2006, quelques jours après la publication de l'appel d'offres litigieux, soit applicable au présent cas. Par ailleurs, son champ d'application et sa portée ne sont pas clairs et soulèvent de nombreuses questions. En particulier, il semble que la procédure d'appel d'offres à laquelle l'
art. 2 al. 7 LMI
fait référence n'ait pas pour conséquence de subordonner l'octroi des concessions de monopole cantonal ou communal à l'ensemble de la réglementation applicable en matière de marchés publics et que ne sont visées par cette disposition que certaines garanties procédurales minimales, comme celles énoncées à l'
art. 9 al. 1 et 2 LMI
concernant les voies de droit (cf. DENIS ESSEIVA, Mise en concurrence de l'octroi de concessions cantonales et communales selon l'article 2 al. 7 LMI, DC 2006 p. 203 ss; REY/WITTWER, Die Ausschreibungspflicht bei der Übertragung von Monopolen nach revidiertem Binnenmarktgesetz: unter besonderer Berücksichtigung des Elektrizitätsbereichs, PJA 2007 p. 585 ss; RECHSTEINER/WALDNER, Netzgebietszuteilung und Konzessionsverträge für die Elektrizitätsverordnung: aktuelle Fragen und kommende gesetzliche Vorgaben, PJA 2007 p. 1288 ss, spécialement p. 1295 ss).
Ces questions peuvent rester indécises. En effet, comme on le verra ci-après, les règles de procédure sur les marchés publics doivent, en l'espèce, s'appliquer directement en raison de la nature même du marché en cause, ce qui, en vertu du principe
lex specialis derogat legi generali
, exclut l'application concurrente des dispositions de la loi sur le marché intérieur (cf. ESSEIVA, op. cit., p. 206).
4.2
Dans l'arrêt publié à l'
ATF 125 I 209
, le Tribunal fédéral a jugé que l'octroi du monopole d'affichage publicitaire sur le domaine public ne relevait pas du droit des marchés publics. Il a tout d'abord relevé qu'une telle concession n'entrait pas dans la notion de
BGE 135 II 49 S. 53
marché public, par laquelle on entendait communément l'ensemble des contrats relevant du droit privé passés par les pouvoirs publics avec des soumissionnaires (privés) portant sur l'acquisition de fournitures de constructions ou de services (consid. 6b p. 212). Cet arrêt retient ensuite qu'en accordant le monopole d'affichage publicitaire litigieux sur leur domaine public respectif, les autorités concédantes concernées (soit la Ville et le Canton de Genève) n'intervenaient pas comme "demandeurs" ou "acquéreurs" de prestations, mais se trouvaient bien plutôt dans la position "d'offreurs" ou de "vendeurs", dans la mesure où elles n'entendaient pas acquérir des prestations de services, mais au contraire "vendre" le droit d'utiliser le domaine public à des fins commerciales moyennant une redevance et diverses prestations annexes (consid. 6b p. 213). Concernant ces dernières, il ressort de l'
ATF 125 I 209
que le concessionnaire s'engageait à exécuter en faveur des autorités concédantes certaines prestations susceptibles de relever des marchés publics, comme l'élaboration d'un concept d'affichage et de mobilier, l'installation et l'entretien d'éléments de mobilier urbain, ainsi que certaines prestations d'affichage en faveur de la collectivité. Le Tribunal fédéral a toutefois estimé que l'ensemble de ces prestations échappaient aux règles sur les marchés publics, car elles étaient "accessoires" au monopole d'affichage et permettaient à la société concessionnaire d'exercer son activité commerciale à ses risques et profits (consid. 6b p. 215).
4.3
Cette jurisprudence a été abondamment commentée en doctrine.
4.3.1
D'une manière générale, les critiques se concentrent sur le fait que l'
ATF 125 I 209
définit la notion de marché public d'une manière trop rigide et schématique qui suffit pour aborder des cas simples (soit des marchés publics que l'on pourrait qualifier de "classiques"), mais qui ne permet en revanche qu'imparfaitement d'appréhender des situations plus complexes rencontrées dans la réalité économique (cf. FRANÇOIS BELLANGER, La notion de "marché public", une définition sans concession?, in Les droits de l'homme et la constitution, Etudes en l'honneur du Professeur Giorgio Malinverni, éd. par Auer/Flückiger/Hottelier, 2007, p. 399 ss, spécialement p. 404; MARTIN BEYELER, Der objektive Geltungsbereich des Vergaberechts, in Marchés publics 2008, éd. par Zufferey/Stöckli, 2008, p. 65 ss, n. 54 ss et 63 ss).
Certains auteurs proposent dès lors de réexaminer la notion de marché public et, en particulier, d'assouplir certaines des conditions qui
BGE 135 II 49 S. 54
servent à sa définition. En particulier, une large part de la doctrine est d'avis que l'absence de versement d'une somme d'argent par l'Etat ne doit pas nécessairement conduire à exclure l'existence d'un marché public. Il suffit que la prestation considérée revête un caractère onéreux, mais son paiement doit pouvoir se faire sous n'importe quelle forme, y compris en nature, afin de respecter la flexibilité souhaitée en la matière par l'art. II par. 2 de l'Accord du 15 avril 1994 sur les marchés publics, entré en vigueur pour la Suisse le 1
er
janvier 1996 (AMP; RS 0.632.231.422) (cf. BEYELER, op. cit., n. 84 ss et 94; BELLANGER, op. cit., p. 401; BELLANGER/BOVET, Marché de l'affichage public ou marché public de l'affichage?, DC 1999 p. 164 s.; DANIEL KUNZ, Verfahren und Rechtsschutz bei der Vergabe von Konzessionen, 2004, p. 167 ss, 178 s.; AURÉLIA RAPPO, Les marchés publics: champ d'application et qualification, RDAF 2005 I p. 165 ss, 171; ZUFFEREY/LE FORT, L'assujettissement des PPP au droit des marchés publics, DC 2006 p. 99 ss, 101 s.; JEAN-BAPTISTE ZUFFEREY, Le champ d'application du droit des marchés publics - Mise en garde pour tous ceux qui projettent d'y échapper, in Mélanges en l'honneur de Pierre Tercier, 2008, p. 691 ss, 699). Dans le contexte particulier d'une concession, seule une appréciation de l'ensemble des rapports économiques entre l'autorité concédante et le concessionnaire permet, selon BEYELER (op. cit., n. 94), de déterminer si une prestation déterminée est ou non onéreuse. Une partie de la doctrine préconise également, toujours dans l'idée d'assouplir la notion de marché public, de ne subordonner la définition de celle-ci ni à l'existence d'un rapport contractuel nécessairement fondé sur le droit privé (cf. BEYELER, op. cit., n. 69 ss et 72 s.), ni à l'exigence que le pouvoir adjudicateur soit nécessairement le destinataire direct de la prestation (par opposition à l'usager final cf. BEYELER, op. cit., n. 67; DENIS ESSEIVA, Marchés publics/Jurisprudence, DC 2004 p. 165; contra: KUNZ, op. cit., p. 172 ss; JACQUES FOURNIER, Vers un nouveau droit des concessions hydroélectriques, 2002, p. 271).
4.3.2
La doctrine a également exprimé des critiques sur l'
ATF 125 I 209
concernant le rapport entre les notions de concession et de marchés publics.
Selon une minorité d'auteurs, la solution à laquelle aboutit cette jurisprudence serait erronée dans son principe. Ils estiment en effet que l'octroi d'une concession est un acte mixte qui revêt sous certains aspects un caractère contractuel. Dans la mesure où un tel acte vise à décharger la collectivité d'une tâche publique en confiant
BGE 135 II 49 S. 55
l'exécution de celle-ci à un particulier, il en découlerait entre l'autorité concédante et le concessionnaire un rapport d'échange tombant sous le régime des marchés publics. La collectivité publique obtient en effet, d'après cette conception, une prestation sous la forme de l'accomplissement d'une tâche publique par un concessionnaire. Or, ce dernier se trouverait, à l'instar de n'importe quel soumissionnaire, dans un rapport de concurrence avec d'autres entreprises, sa rétribution consistant, même si aucune rémunération n'est prévue, en la valeur du monopole qui lui est concédé (cf. BELLANGER/BOVET, op. cit., p. 164 ss; RAPPO, op. cit., p. 170 s.).
En revanche, la doctrine majoritaire admet, dans la ligne de l'
ATF 125 I 209
, que les concessions qui ne comportent pas la délégation d'une tâche publique (concessions d'usage du domaine public ou de monopole) échappent au droit des marchés publics, car la collectivité publique, au travers d'une telle opération, n'acquiert pas de manière onéreuse une prestation utile à l'accomplissement de ses tâches publiques, mais ne fait que vendre un droit (cf. GALLI/MOSER/LANG/CLERC, Praxis des öffentlichen Beschaffungsrechts: eine systematische Darstellung der Rechtsprechung des Bundes, der Kantone und der Europäischen Union, 2
e
éd. 2007, p. 45 ss; MARCO FETZ, Öffentliches Beschaffungsrecht des Bundes, in Allgemeines Aussenwirtschafts- und Binnenmarktrecht, éd. par Cottier/Oesch, 2
e
éd. 2007, p. 508 ss; JACQUES DUBEY, Marchés publics/Jurisprudence, DC 2007 p. 192 s.; DENIS ESSEIVA, op. cit., p. 185 et 205 s.;
du même auteur
, Les grandes nouveautés: La législation et les normes privées, in Marchés publics 2008, éd. par Zufferey/Stöckli, 2008, p. 1 ss, n. 28 s.; FOURNIER, op. cit., p. 271; KUNZ, op. cit., p. 169 et 175 ss; ETIENNE POLTIER, Les marchés publics: premières expériences vaudoises, RDAF 2000 I p. 297 ss, 310 ss; SCHNEIDER HEUSI/JOST, Public Private Partnership - wenn Staat und Private kooperieren, in Droit des marchés publics, 2006, p. 27 ss; YVES DONZALLAZ, Commentaire de la loi sur le Tribunal fédéral, 2008, n. 2831; BELLANGER, op. cit., p. 404 s. et 416).
Cependant, plusieurs auteurs soulignent que des problèmes d'interprétation et de qualification peuvent malgré tout se présenter lorsque, en contrepartie de l'octroi d'une concession de monopole, le concessionnaire est appelé à fournir des (contre-)prestations qui, prises isolément, pourraient pour certaines d'entre elles faire l'objet d'un marché public (cf. BELLANGER, op. cit., p. 406; JEAN-BAPTISTE ZUFFEREY, Marchés publics/Jurisprudence, DC 1999 p. 142; KUNZ,
BGE 135 II 49 S. 56
op. cit., p. 178 s.; RAPPO, op. cit., p. 168; CHRISTIAN BOVET, Marchés publics/Jurisprudence, DC 2001 p. 59). Une partie de la doctrine préconise dans une telle situation d'assujettir le contrat dans son ensemble à la prestation prépondérante (en règle générale en termes quantitatifs), en s'inspirant de la solution appliquée en droit communautaire (cf. ZUFFEREY, DC 1999 p. 142; RAPPO, op. cit., p. 173). BELLANGER (op. cit., p. 406 ss) propose de n'appliquer le critère de la prestation prépondérante que pour les prestations qui ne sont pas dissociables les unes des autres, tandis que les prestations dissociables devraient être examinées de manière indépendante et seraient chacune d'entre elles susceptibles de faire l'objet d'un marché public si les conditions en sont réunies.
4.4
De ce survol de la doctrine, il ressort que de nombreuses questions demeurent controversées sur les liens entre les notions de marchés publics et de concessions. L'évolution de la pratique, pour sa part, laisse de moins en moins souvent la place à ce qu'il est convenu d'appeler des marchés publics ou des concessions classiques, au profit de rapports juridiques et économiques complexes où une multitude de cas de figure sont envisageables. La solution à adopter dans un cas d'espèce ne peut donc prétendre résoudre l'ensemble de ces questions. Il se dégage néanmoins des critiques de la doctrine et de l'évolution de la pratique que l'
ATF 125 I 209
doit être précisé, afin d'éviter que des biens et des services qui, au vu de leur nature, ne devraient normalement être acquis par les collectivités publiques que dans le respect des règles sur les marchés publics, n'échappent aux garanties procédurales propres à cette matière, en raison de l'application stricte d'une règle faisant primer la concession. En d'autres termes, il ne faut pas qu'une collectivité publique puisse, par le biais de l'octroi d'une concession, détourner l'application des règles sur les marchés publics. On peut admettre que tel est notamment le cas lorsque la collectivité subordonne l'octroi d'une concession à des contre-prestations d'une certaine importance qui entrent clairement dans la notion de marché public et sont dissociables de la concession. Dans un tel cas, il se justifie de soumettre l'acquisition de telles prestations aux garanties procédurales propres au droit des marchés publics.
5.
En l'espèce, les exigences figurant dans le second tour de l'appel d'offres portant sur la mise à disposition de vélos en libre service entraîneraient, selon la recourante, l'application des règles sur les
BGE 135 II 49 S. 57
marchés publics à l'ensemble de l'appel d'offres ou, subsidiairement, aux seules prestations requises en relation avec le système de vélos.
5.1
Ces prestations sont exigées dans le cadre de l'octroi d'une concession d'affichage public, similaire à celle qui était en cause dans l'
ATF 125 I 209
. Prises isolément, les prestations liées à l'affichage public en tant que telles ne relèvent pas du droit des marchés publics. En octroyant ladite concession, la Ville de Genève n'acquiert en effet aucunement à titre onéreux des moyens utiles à l'accomplissement de ses tâches publiques ni ne vise d'ailleurs véritablement la poursuite d'un intérêt public. Elle ne fait que concéder un monopole d'utilisation du domaine public en échange d'une redevance et de certaines prestations annexes que le concessionnaire s'engage à lui fournir. Conformément à la jurisprudence publiée à l'
ATF 125 I 209
et à la doctrine majoritaire (cf. supra consid. 4.3.2), l'octroi de ladite concession, en tant qu'elle porte sur l'affichage public, échappe aux exigences issues des marchés publics, sous réserve des conséquences à tirer de l'éventuelle application de l'
art. 2 al. 7 LMI
(cf. supra consid. 4.1).
5.2
Il reste à examiner ce qu'il en est des prestations contestées liées à la mise en place d'un système de vélos en libre service et qui, selon la recourante, devraient être soumises au droit des marchés publics.
5.2.1
Le cahier des charges prévoit que le concessionnaire doit, pendant la durée de la concession (soit cinq ans), supporter tous les coûts relatifs à la mise en place et au fonctionnement du système de vélos en libre service. Ceux-ci comprennent en particulier la remise à la Ville de 500 vélos en prêt, la remise en propriété de 40 stations automatisées où seront stationnés les vélos destinés aux usagers, l'entretien, la réparation et le remplacement des vélos ainsi que les frais d'exploitation comprenant notamment les charges salariales. A cet égard, les vélos doivent pouvoir être pris et rendus dans chacune des stations dont le fonctionnement sera automatisé ou assuré par du personnel. Le concessionnaire doit faire en sorte que les vélos soient "accessibles à la plus large part de la population, tant du point de vue financier que des facilités d'usage et aspects pratiques". Il doit également veiller à ce que les vélos soient toujours correctement répartis entre les différentes stations, afin d'assurer en permanence leur disponibilité pour les usagers sur l'ensemble de la Ville. Ce rééquilibrage doit se faire au moyen de véhicules "peu ou pas polluants". Enfin, le concessionnaire est tenu
BGE 135 II 49 S. 58
d'encaisser auprès des usagers une contribution fixée par la Ville, qui doit être rétrocédée à celle-ci "en intégralité".
5.2.2
Ces éléments font apparaître que le système de vélos en libre service représente pour l'autorité concédante un moyen de réaliser une tâche publique. Cette prestation vise en effet à promouvoir la mobilité douce en ville afin, notamment, de limiter les nuisances liées au trafic motorisé. Or, la notion de tâche publique doit être définie largement et englobe toutes les activités qui favorisent un intérêt public, sans être nécessairement elles-mêmes des tâches publiques à proprement parler (cf. ZUFFEREY/LE FORT, op. cit., p. 100; dans le même sens, BEYELER, op. cit., n. 90). Par ailleurs, l'acquisition de cette prestation a un coût pour la Ville. Certes, cette dernière ne s'engage-t-elle pas à payer un montant en espèces en échange du système litigieux de vélos en libre service. Ce point ne suffit toutefois pas à exclure l'existence d'un marché public, contrairement à ce que pourrait laisser penser une lecture littérale de l'
ATF 125 I 209
(consid. 6b, p. 214). Comme le soulignent à raison de nombreux auteurs (cf. supra 4.3.1), le paiement d'une prestation soumise au droit des marchés publics peut en effet se faire autrement que par le seul versement d'un prix. Toutes les formes de rémunération sont possibles en vertu de l'art. II par. 2 AMP qui sert de cadre pour l'application de la réglementation en matière de marchés publics (sur l'importance de cet accord pour l'interprétation du droit interne; cf.
ATF 134 II 192
consid. 2.3 p. 199; BELLANGER, op. cit., p. 400; OLIVIER RODONDI, Le droit cantonal des marchés publics - Les premières expériences, RDAF 1999 I p. 265 ss, 269). Or, en l'espèce, le montant de la redevance que les soumissionnaires sont prêts à payer pour l'acquisition du monopole d'affichage dépend directement des investissements qu'ils doivent consentir pour respecter les obligations annexes à la concession; leurs offres seront à cet égard d'autant plus basses que les prestations annexes qu'ils devront fournir seront d'un coût élevé; autrement dit, même si la Ville ne verse pas directement une somme d'argent en contrepartie de la prestation litigieuse, celle-ci a bien un prix qui correspond à la diminution du montant offert par les soumissionnaires pour la redevance.
Par ailleurs, les prestations que le concessionnaire doit fournir au titre du système de vélos en libre service font assurément partie des biens et des services visés par l'art. 6 de l'accord intercantonal du 25 novembre 1994 sur les marchés publics (AIMP/GE; RSG L 6 05). Que le concessionnaire conserve la propriété des vélos n'est à cet
BGE 135 II 49 S. 59
égard pas déterminant. Les marchés de fournitures englobent en effet les contrats entre un adjudicateur et un soumissionnaire concernant l'acquisition de biens mobiliers, notamment sous forme d'achat, de crédit-bail (leasing), de bail à loyer, de bail à ferme ou de location-vente (art. 6 al. 1 let. b AIMP/GE). Par ailleurs, l'entretien et la réparation des vélos relèvent des marchés de services, de même que les autres prestations liées à l'exploitation et la gestion du système (cf. annexe 4, appendice I de l'AMP). Quant aux stations automatisées, il n'est pas exclu qu'elles puissent, selon leur conception, tomber sous le coup des marchés de constructions visés à l'art. 6 al. 1 let. a AIMP/GE.
Enfin, le système de vélos en libre service apparaît parfaitement dissociable de la concession d'affichage. Que le cahier des charges prévoie que le concessionnaire peut utiliser les vélos pour de l'affichage publicitaire et retirer une partie des recettes en découlant apparaît une circonstance marginale impropre à faire admettre que le système litigieux serait dépendant de la concession. Du reste, on ne saurait dire, contrairement à ce qui vaut pour les activités d'affichage en lien avec la concession, que le concessionnaire va exploiter à ses risques et profits le système litigieux. Le cahier des charges lui fixe en effet précisément de nombreuses obligations et ne lui laisse guère d'indépendance pour organiser son activité; en outre, il doit rétrocéder l'ensemble des recettes de location des vélos encaissées auprès des usagers et même une partie des recettes publicitaires induites par l'affichage sur les vélos.
5.2.3
Par conséquent, le système de vélos en libre service tel que décrit dans le cahier des charges comporte toutes les caractéristiques propres à un marché public. En outre, ce système est parfaitement dissociable de l'octroi du monopole d'affichage et ne peut, vu sa nature et son importance, être assimilé à une simple prestation accessoire à la concession. Il n'y a donc pas de raison de soustraire les prestations liées à la mise en place et à l'exploitation du système litigieux aux garanties procédurales propres aux marchés publics.
5.3
Dans ces conditions, le Tribunal administratif devait admettre, en vertu de la protection juridique spécifique prévue pour les marchés publics cantonaux, le droit de la recourante de recourir directement contre les documents d'appel d'offres afférents au système de vélos en libre service sans avoir à attendre la décision d'adjudication, afin de faire constater les éventuelles irrégularités affectant cette phase de la procédure. | public_law | nan | fr | 2,009 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
7c03ec56-7862-48e9-b7d0-244e72533c31 | Urteilskopf
116 II 454
85. Auszug aus dem Urteil der I. Zivilabteilung vom 19. September 1990 i.S. Regatec Apparatebau AG gegen Technocrat AG (Berufung) | Regeste
Werkvertrag; Sachgewährleistung (
Art. 369 OR
); beschränktes Selbstverschulden des Bestellers (
Art. 44 Abs. 1 OR
).
1. Wann entfällt die Sachgewährleistung des Unternehmers nach
Art. 369 OR
? (E. 2c/aa). Pflicht des Unternehmers zur Nachprüfung einer Weisung? (E. 2c/cc).
2. Beschränktes Selbstverschulden des Bestellers. Sinngemässe Anwendung von
Art. 44 Abs. 1 OR
bei der Liquidation von Mangelfolgeschaden (E. 3b). | Sachverhalt
ab Seite 454
BGE 116 II 454 S. 454
A.-
Die Regatec Apparatebau AG (nachfolgend Regatec) fertigt Steuerungen und Schaltungen für Heizungen und Lüftungen an. Die Technocrat AG ist im Kessel-, Apparate- und Maschinenbau tätig.
Die Firma Fournier SA in Sitten erteilte der Technocrat AG den Auftrag, ihre bestehende Heizanlage zu renovieren und zu erweitern. Der Auftrag umfasste auch die Herstellung eines neuen Schaltschrankes. Diese Arbeit vergab die Technocrat AG an die Regatec, die den Schrank anhand ihrer Weisungen herzustellen hatte. Mitte Januar 1984 wurde der Schaltschrank bei der Firma
BGE 116 II 454 S. 455
Fournier SA durch einen ortsansässigen Elektriker installiert. Die Anlage konnte jedoch nicht ordnungsgemäss in Betrieb genommen werden, weil sie offensichtlich mit Mängeln behaftet war. Wegen der kalten Jahreszeit wurde der Schaltschrank vom ortsansässigen Elektriker so geändert, dass wenigstens die Ölheizung funktionierte. Da die Parteien nach mehreren Reparaturversuchen feststellten, dass der Schaltschrank nicht mehr zu reparieren war, stellte die Regatec auf ihre Kosten einen zweiten Schrank her.
B.-
Am 27. November 1985 klagte die Regatec gegen die Technocrat AG auf Bezahlung von Fr. 20'867.-- nebst Zins und Zahlungsbefehlskosten. Die Technocrat AG anerkannte grundsätzlich Fr. 14'970.--, bestritt jedoch die Positionen Reparaturkosten für den ersten Schrank von Fr. 4'317.-- sowie Kosten für die Zeichnungsarbeiten für den zweiten Schaltschrank von Fr. 1'580.-- und machte verrechnungsweise Forderungen von insgesamt Fr. 14'998.15 auf Ersatz von Mangelfolgeschaden geltend.
Nach Durchführung des Beweisverfahrens hiess das Bezirksgericht Baden am 7. Dezember 1988 die Klage im Umfang von Fr. 19'287.-- gut. Die von der Beklagten zur Verrechnung gestellten Schadenersatzforderungen wies es ab. In teilweiser Gutheissung der Appellation der Beklagten hob das Obergericht des Kantons Aargau am 17. Oktober 1989 den angefochtenen Entscheid auf und verpflichtete die Beklagte zur Zahlung von Fr. 1'735.85 nebst Zins.
Das Bundesgericht heisst eine Berufung der Klägerin teilweise gut, soweit es darauf eintritt, hebt das Urteil des Obergerichts auf und weist die Streitsache zu neuer Entscheidung an die Vorinstanz zurück.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
2.
Die Klägerin macht geltend, die Verantwortung für den funktionsuntüchtigen Schaltschrank trage die Beklagte, da diese ihr ungenügende Weisungen erteilt habe, und beruft sich dabei auf
Art. 369 OR
.
a) Der Unternehmer im Werkvertrag schuldet ein mängelfreies Werk und hat sich bei dessen Mangelhaftigkeit je nach Erheblichkeit der Mängel die Wandelung des Vertrages oder die Herabsetzung des Werklohnes gefallen zu lassen oder kann zur Nachbesserung des Werkes verpflichtet werden; bei Verschulden haftet er überdies für den Mangelfolgeschaden (
Art. 368 OR
).
BGE 116 II 454 S. 456
Die Vorinstanz und die Parteien gehen von der Mangelhaftigkeit der ersten Schaltanlage aus. Umstritten ist jedoch, ob die Klägerin für den Mangelfolgeschaden einzustehen hat.
b) Die Sachgewährleistungsansprüche des Bestellers entfallen, wenn er durch Weisungen, die er entgegen den ausdrücklichen Abmahnungen des Unternehmers über die Ausführung erteilte, oder auf andere Weise die Mängel selbst zu vertreten hat (
Art. 369 OR
).
Nach den tatsächlichen Feststellungen des Bezirksgerichts bildeten einerseits das Schema der alten Schaltanlage und andererseits eine Beschreibung der Anforderungen an die neue Anlage die Grundlage für die Herstellung dieses Schaltschrankes. Obwohl das Obergericht diese Materialien nicht ausdrücklich erwähnt, geht es in seinen Erwägungen sinngemäss von diesen Grundlagen aus. Es erblickt darin zutreffend eine Weisung im Sinne von
Art. 369 OR
. Entgegen der Auffassung der Beklagten stellen diese Angaben eine verbindliche Anordnung über die Konstruktion des Schaltschrankes dar.
c) aa) Die Sachgewährleistung des Unternehmers entfällt nach
Art. 369 OR
im allgemeinen bloss, wenn der Besteller trotz Abmahnung an seiner Weisung festhält. Die gesetzliche Regelung beruht dabei auf der Vorstellung, dass im Werkvertragsrecht die Sachkenntnis beim Unternehmer liegt. Sie ist folgerichtig für den Fall einzuschränken, dass die konkreten Verhältnisse dieser Vorstellung nicht entsprechen, die Weisungen des Bestellers ihrerseits sachverständig erteilt werden, sei es, dass der Besteller selbst sachverständig ist oder sich seinerseits fachmännisch beraten lässt. Nur allgemeiner Sachverstand genügt dabei nicht. Der Besteller, der Berater oder der Vertreter muss über jene fachlichen Kenntnisse verfügen, die es ihm gestatten, die erteilte Weisung auf ihre Richtigkeit hin zu durchschauen und eine Fehlerhaftigkeit zu erkennen. Verfügt der Besteller über den erforderlichen Sachverstand, wird der Unternehmer von seiner Haftung auch dann befreit, wenn er eine Abmahnung unterlassen hat, es sei denn, er habe die Fehlerhaftigkeit der Weisung erkannt oder hätte sie erkennen müssen (nicht publ. Bundesgerichtsentscheid vom 20. März 1990 i.S. M. AG c. Z., E. 4b/bb; GAUCH, Werkvertrag, 3. Aufl. 1985, S. 369 f. Rz. 1388 ff.).
bb) Das Obergericht stellt nicht fest, die Klägerin habe die Beklagte wegen ihrer mangelhaften Weisungen abgemahnt. Es betrachtet die Klägerin überdies als Fachfirma, während es zum
BGE 116 II 454 S. 457
Sachverstand der Beklagten keine Ausführungen macht. Dass es den Sachverstand der Beklagten übersehen habe, macht die Klägerin jedoch nicht geltend.
cc) Ob der Unternehmer die Fehlerhaftigkeit einer Weisung erkannt hat, ist Tatfrage. Objektiv erkennen muss der Unternehmer die Fehlerhaftigkeit einer Weisung, wenn sie offensichtlich oder er zur Nachprüfung der Weisung verpflichtet und nach dem vorausgesetzten Fachwissen in der Lage ist, die Fehlerhaftigkeit zu erkennen (GAUCH, a.a.O., S. 372 Rz. 1400 ff.). Eine Nachprüfungspflicht des Unternehmers kann sich auch dann ergeben, wenn der Besteller eine Nachprüfung nach den Umständen des Einzelfalls in guten Treuen erwarten darf. Eine solche Nachprüfung kann nach zutreffender Auffassung dann erwartet werden, wenn der Sachverstand auf seiten des Unternehmers (Spezialunternehmer) bedeutend weiter reicht als beim Besteller. Abzustellen ist dabei auf die spezifischen Verhältnisse des konkreten Falles (GAUCH, a.a.O., S. 373 Rz. 1408).
Die Vorinstanz äussert sich nicht zur Frage, ob die Klägerin die Fehlerhaftigkeit erkannt habe. Wie sich aus dem Nachfolgenden ergibt, kann die Frage jedoch offenbleiben.
Den Feststellungen des Obergerichts sind keine Anhaltspunkte zu entnehmen, welche auf eine allgemeine Unfähigkeit der Klägerin im Bereich des Schalterbaus schliessen liessen. Seine rechtliche Beurteilung stützt es im wesentlichen auf das vom Bezirksgericht Baden eingeholte Gutachten. Danach seien die von der Beklagten gelieferten Angaben zur Konstruktion des Schaltschrankes ungenügend gewesen, was die Erstellung eines funktionstüchtigen Anlageschemas ausgeschlossen habe. Aufgrund des von der Klägerin erstellten Elektro-Schemas könne die Steuerung der Heizungsanlage nicht funktionieren. Das Obergericht schliesst daraus, als Fachfirma hätte die Klägerin die Fehlerhaftigkeit der Weisungen erkennen und aufgrund ihrer Sorgfaltspflicht zusätzliche Angaben einholen müssen. An diese Beweiswürdigung des Obergerichts ist das Bundesgericht im Berufungsverfahren gebunden. Der Unternehmer hat bei der Herstellung des Werks die objektiv gebotene Sorgfalt aufzuwenden, selbst wenn seine subjektiven Kenntnisse, Fähigkeiten und Erfahrungen nicht ausreichen (GAUCH, a.a.O., S. 171 Rz. 590). Die vollständige Haftungsbefreiung nach
Art. 369 OR
ist vorliegend ausgeschlossen, da die Klägerin es unterlassen hat, die unvollständigen Angaben bzw. deren Ausführungsuntauglichkeit zu rügen (
Art. 365 Abs. 3 OR
). Der Unternehmer kann
BGE 116 II 454 S. 458
sich nicht darauf berufen, er habe die Abmahnung unterlassen, weil er den Fehler, den er hätte erkennen müssen, nicht erkannt habe. Durch das Unterlassen der Abmahnung hat der Unternehmer einen zusätzlichen Werkmangel gesetzt, den er zu vertreten hat (GAUCH, a.a.O., S. 372 Rz. 1400, S. 377 Rz. 1423). Es liegt somit kein Selbstverschulden der Beklagten im Sinne von
Art. 369 OR
vor, welches die Klägerin von ihrer Verantwortung vollständig entbinden würde.
3.
Die Klägerin macht als Eventualstandpunkt sinngemäss geltend, die Beklagte trage als Generalunternehmerin die Hauptverantwortung für den Auftrag. Das Verhalten der Beklagten hätte zumindest als Mitverschulden gemäss
Art. 44 OR
berücksichtigt werden müssen.
a) Ob sich die Beklagte als Generalunternehmerin die Hauptverantwortung für den gesamten Auftrag anzurechnen habe, ist vorliegend bedeutungslos. Gegenstand der Auseinandersetzung ist einzig das Vertragsverhältnis zwischen der Beklagten als Bestellerin und der Klägerin als Unternehmerin.
b) Liegt kein haftungsausschliessendes Selbstverschulden des Bestellers gemäss
Art. 369 OR
vor, drängt sich die Frage auf, ob der Unternehmer eine Haftungsminderung geltend machen kann bzw. ob der Besteller ein beschränktes Selbstverschulden zu vertreten hat. Das Selbstverschulden des Bestellers gemäss
Art. 369 OR
unterscheidet sich dabei vom beschränkten Selbstverschulden dadurch, dass die (adäquate) Ursache des Werkmangels, für die der Besteller einstehen muss, nicht die alleinmassgebliche Ursache des Werkmangels bildet. Dem Besteller wird diesfalls eine Mit- oder eine Teilursache des Werkmangels zugerechnet (GAUCH, a.a.O., S. 386 Rz. 1469/70). Das beschränkte Selbstverschulden des Bestellers fällt dabei nicht unter den Tatbestand von
Art. 369 OR
, da die vollständige Haftungsbefreiung, welche diese Bestimmung zugunsten des Unternehmers vorsieht, eben nicht eintritt, doch kann das beschränkte Selbstverschulden des Bestellers zu einer teilweisen Entlastung des Unternehmers führen. Soweit es um die Liquidation von Mangelfolgeschaden geht, findet
Art. 44 Abs. 1 OR
sinngemäss Anwendung (
Art. 99 Abs. 3 OR
; GAUCH, a.a.O., S. 388 Rz. 1478). Über das Mass der Entlastung hat der Richter dabei nach seinem Ermessen zu befinden.
c) Gestützt auf das vom Bezirksgericht Baden eingeholte Gutachten kommt das Obergericht zum Schluss, die Erstellung eines funktionsfähigen Schaltschemas sei wegen mangelhafter Angaben
BGE 116 II 454 S. 459
der Beklagten nicht möglich gewesen. Es geht dabei von der Mangelhaftigkeit der Unterlagen aus, lässt jedoch die Frage, inwiefern und in welchem Umfang diese unzureichenden Konstruktionsangaben und -beschriebe für den Werkmangel kausal gewesen seien, unberücksichtigt. Es äussert sich somit nicht zur Frage, in welchem Rahmen die Beklagte für den Werkmangel, welcher teilweise durch ihre mangelhaften Weisungen verursacht wurde, einzustehen hat. Da seine tatsächlichen Feststellungen dem Bundesgericht nicht erlauben, in der Sache selbst zu entscheiden, hat Rückweisung zu erfolgen. Das Obergericht wird sich zur Frage der Kausalitätsabgrenzung zwischen den einzelnen Ursachen, den unzureichenden Weisungen der Beklagten einerseits und der Verletzung der Sorgfaltspflicht durch die Klägerin andererseits, zu äussern haben. Es hat damit einmal zu prüfen, inwiefern die mangelhaften Weisungen für den Werkmangel verantwortlich waren. Ferner hat es sich zur Frage zu äussern, inwiefern die Klägerin durch ihr Verhalten, insbesondere durch ihr pflichtwidriges Nichterkennen der ungenügenden Angaben und durch ihr Unterlassen einer Abmahnung, die Mangelhaftigkeit des Schaltschrankes zu verantworten hat. Entsprechend dem beschränkten Selbstverschulden der Beklagten wird deren Schadenersatzforderung herabzusetzen sein. | public_law | nan | de | 1,990 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
7c04a1de-0ff2-4607-9ccd-087b1f9cbd37 | Urteilskopf
100 Ia 309
45. Urteil vom 1. November 1974 i.S. Aebersold gegen Regierungsrat und Appellationsgericht des Kantons Basel-Stadt | Regeste
Art. 4 BV
; kantonales Beamtenrecht.
Allgemeine Besoldungsrevision aufgrund wissenschaftlicher Arbeitsbewertung. Wieweit kann die Einreihung einer einzelnen Stelle vom Betroffenen wegen Verletzung von
Art. 4 BV
angefochten werden? | Sachverhalt
ab Seite 310
BGE 100 Ia 309 S. 310
A.-
Das "Gesetz betreffend die Einreihung und Entlöhnung der Mitarbeiter des Kantons Basel-Stadt" vom 12. November 1970 (Lohngesetz) sieht die Durchführung einer allgemeinen Besoldungsrevision aufgrund einer analytischen Arbeitsbewertung vor. Ein Einreihungsplan ist Bestandteil dieses Gesetzes; er enthält Richtpositionen, die nach Funktionsgruppen und Lohnklassen geordnet sind (§ 2 des Lohngesetzes). Durch Zuordnung auf die Richtpositionen werden die Stellen unter Berücksichtigung ihres Schwierigkeitsgrades in die Lohnklassen eingereiht; der Schwierigkeitsgrad ist bestimmt durch den Aufgabenkreis, den Grad der Selbständigkeit und der Verantwortung, die verlangten Ausbildungs- und Zusatzkenntnisse, die geistigen, charakterlichen und körperlichen Anforderungen sowie die geistigen, seelischen und körperlichen Belastungen und erschwerende Arbeitsbedingungen (§ 4 Abs. 1 des Lohngesetzes).
B.-
Hansrudolf Aebersold ist Stellvertreter des Dienstgruppenchefs beim Fahndungsdienst des Polizeidepartementes des Kantons Basel-Stadt. Er bekleidet den Rang eines Detektivkorporals. Im Rahmen der Besoldungsrevision ordnete der Regierungsrat seine Funktion der Richtposition Detektiv Variante b zu und reihte ihn in die Lohnklasse 19 ein, unter Gewährung einer Zulage von einer halben Lohnklassendifferenz. Die gegen diese Einreihungsverfügung erhobene Einsprache wurde vom Regierungsrat auf Antrag der Begutachtungskommission der Paritätischen Kommission für Personalangelegenheiten am 6. August 1973 abgelehnt. Aebersold führte hiegegen beim Appellationsgericht (als Verwaltungsgericht) des Kantons Basel-Stadt erfolglos Rekurs.
C.-
Gegen das Urteil des Appellationsgerichtes vom 6. August 1974 hat Hansrudolf Aebersold staatsrechtliche Beschwerde eingereicht. Er rügt eine Verletzung von
Art. 4 BV
und stellt den Antrag, es sei das angefochtene Urteil und damit auch der Einreihungsentscheid des Regierungsrates aufzuheben und die Sache zur Einreihung des Beschwerdeführers in die (höhere) Lohnklasse 18 an die kantonalen Instanzen zurückzuweisen.
D.-
Eine Vernehmlassung der kantonalen Behörden wurde nicht eingeholt.
BGE 100 Ia 309 S. 311
Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab
Erwägungen
aus folgenden Erwägungen:
Der Bestandteil des Lohngesetzes bildende Einreihungsplan führt unter der Funktionsgruppe 7 (Polizei, Feuerwache, Sanität) die Detektivkorporale in der Lohnklasse 18 an. Der Beschwerdeführer macht geltend, er hätte statt in die Lohnklasse 19 (mit Zulage) in die - höhere - Lohnklasse 18 eingestuft werden müssen, da er sowohl den Grad als auch die Funktion eines Detektivkorporals habe und deshalb kein Grund bestehe, ihn nicht gemäss der entsprechenden Richtposition zu besolden.
Wie das Appellationsgericht im angefochtenen Urteil ausführt und auch der Beschwerdeführer ausdrücklich einräumt, ergibt sich allein daraus, dass ein Polizeibeamter einen bestimmten Grad bekleidet, noch kein unbedingter Rechtsanspruch, entsprechend der mit diesem Grad gekennzeichneten Richtposition eingestuft zu werden. Massgebend ist vielmehr, ob die tatsächlich ausgeübte Funktion jener entspricht, die der fraglichen Richtposition zugrunde liegt. Die Bewertung und Einstufung der vom Beschwerdeführer versehenen Stelle ist insoweit eine Frage des Ermessens, auch wenn der Einreihungsplan die Richtposition des Detektivkorporals einzig in der Lohnklasse 18 aufführt. Wenn der Regierungsrat annahm, diese Richtposition sei dem - dem Beschwerdeführer vorgesetzten - Dienstgruppenchef vorbehalten und die vom Beschwerdeführer versehene Stelle des stellvertretenden Gruppenchefs sei in die nächsttiefere Lohnklasse (mit Zulage) einzureihen, so blieb er damit im Rahmen jenes Ermessensspielraumes, welcher der mit dem Vollzug der Besoldungsrevision betrauten Verwaltungsbehörde aus praktischen Gründen zugestanden werden muss. Wegen Verletzung von
Art. 4 BV
könnte das Bundesgericht nur eingreifen, wenn die Einreihung der Stelle im Lichte der in § 4 Abs. 1 des Lohngesetzes umschriebenen Grundsätze oder im Hinblick auf die Bewertung vergleichbarer anderer Stellen offensichtlich unvertretbar wäre. Davon kann hier angesichts der geringen Differenz, um die es im Ergebnis geht (18. Lohnklasse oder 19. Lohnklasse + Zulage von einer halben Lohnklassendifferenz), zum
BGE 100 Ia 309 S. 312
vornherein nicht die Rede sein. Selbst wenn das Bundesgericht bei eigener freier Prüfung aufgrund der vom Beschwerdeführer vorgebrachten Argumente zur Überzeugung käme, die streitige Stelle müsse in die Lohnklasse 18 eingereiht werden, könnte dem Regierungsrat und dem Appellationsgericht keine Willkür vorgeworfen werden, da der angefochtene Entscheid in haltbarer Weise begründet wurde und die verfügte Einreihung auf jeden Fall noch im Rahmen des Vertretbaren liegt. Es erübrigt sich deshalb, auf die Einwände des Beschwerdeführers, die bei freier Kognition eine nähere Prüfung wohl verdienen würden, hier im einzelnen einzugehen. | public_law | nan | de | 1,974 | CH_BGE | CH_BGE_002 | CH | Federation |
7c068c12-9888-4d27-967a-3949104da70d | Urteilskopf
85 III 175
38. Auszug aus dem Entscheid vom 24. November 1959 i.S. Müller. | Regeste
Nachlassvertrag mit Abtretung des Vermögens zur Liquidation.
1. Gegen die Anordnungen des Gläubigerausschusses über die Verwertung kann auch der Schuldner Beschwerde führen, jedoch nicht wegen blosser Unangemessenheit (entsprechende Anwendung der im Konkurs geltenden Grundsätze) (Erw. 1 und 2).
2. Merkmale der Rechtmässigkeit einer Anordnung (Erw. 3, a).
3. Erweist sich ein von den Liquidationsorganen abgeschlossener Verkauf von Grundstücken als rechtlich einwandfreie Verwertungshandlung, so ist er ohne Rücksicht auf spätere günstigere Verkaufsgelegenheiten, und ebenso ohne Rücksicht auf spätere Zahlungsangebote des Schuldners an die Nachlassmasse, zu erfüllen (Erw. 3, c). | Sachverhalt
ab Seite 176
BGE 85 III 175 S. 176
A.-
Franz Müller, Bauunternehmer in Zürich, erlangte am 6. Dezember 1956 eine Nachlasstundung im Hinblick auf einen Nachlassvertrag mit Abtretung seines Vermögens zur Liquidation. Der Nachlassvertrag wurde von der untern Nachlassbehörde am 30. Juli 1957 und von der obern am 18. Oktober 1957 bestätigt. Die Liquidationsorgane führten hierauf das Liquidationsverfahren durch. Mit der Verwertung der hauptsächlich aus Liegenschaften bestehenden Aktiven warteten sie, soweit tunlich, zu, bis sich die Liegenschaftspreise von ihrem Tiefstand im Jahre 1957 erholt hatten. Mit Beschluss vom 29. Januar 1959 wies der Gläubigerausschuss die Liquidatoren an, unter anderem 26 Landparzellen in Zollikon-Zollikerberg zum Preise von Fr. 2'800,000.-- und die Liegenschaften Stockerstrasse 39 und 41 in Zürich 2 zusammen zum Preise von mindestens Fr. 950'000.-- zu verkaufen. Dieser Beschluss beruhte in formeller Beziehung auf
Art. 316 h Abs. 2 SchKG
und auf Ziff. 6, a) des Nachlassvertrages, wonach die Liquidatoren für den rechtsgültigen Abschluss von Kaufverträgen um Liegenschaften die Zustimmung des (aus elf Mitgliedern, zum Teil Fachleuten, bestehenden) Gläubigerausschusses einzuholen haben.
Um die Verwertung der Parzellen auf dem Zollikerberg in die Wege zu leiten, hatten sich die Liquidatoren im Herbst 1958 an alle Architekten der Stadt Zürich, ferner an Baugeschäfte, Handwerker und Bauunternehmer, insgesamt an mehr als 200 allfällige Interessenten gewandt. Für einen grössern Teil dieser Grundstücke trat aber nur die Gemeinde Zollikon als Bewerberin auf. Für einen gesamten Verkauf der auf dem Zollikerberg gelegenen Grundstücke erhielten die Liquidatoren nach Verhandlungen zwei Angebote von je ca. Fr. 2'400,000.--, das eine von der Gemeinde Zollikon. Die Gemeinde erhöhte ihr Angebot nachher auf Fr. 2'600,000.--, und als ein anderer Bewerber, Bindella, einen Kaufpreis von Fr. 2'800,000.-- in Aussicht stellte, bot sie ebensoviel, während Bindella das erwähnte Angebot nicht aufrecht
BGE 85 III 175 S. 177
erhielt. Deshalb beschloss der Gläubigerausschuss am 29. Januar 1959 nach Anhören des Schuldners, das gesamte Land auf dem Zollikerberg sofort zum erwähnten Preis an die Gemeinde Zollikon zu verkaufen.
Die Liegenschaften Stockerstrasse 39 und 41 waren seinerzeit von einem Sachverständigen im Auftrag des Sachwalters auf einen Verkehrswert von zusammen Fr. 950'000.-- geschätzt worden. Die Liquidationsorgane erachteten diese Schätzung für immer noch zutreffend, da die beiden Grundstücke stark von der neuen Baulinie betroffen werden und es dem Schuldner nicht gelungen war, weitere Grundstücke zu erwerben, um einen grössern Landkomplex überbauen zu können. Der Gläubigerausschuss gab den Liquidatoren deshalb eine entsprechende Weisung zum Verkauf.
B.-
Mit Beschwerde vom 2., verdeutlicht mit Eingabe vom 27. Februar 1959, beantragte der Schuldner die Aufhebung des Verwertungsbeschlusses. Er warf den Liquidationsorganen Missbrauch ihres Ermessens vor: Es bestehe kein Grund, die 26 nicht zusammenhängenden Landparzellen auf dem Zollikerberge gesamthaft zu veräussern. Dabei ergäben sich ungünstige steuerrechtliche Auswirkungen. Ausserdem liessen sich bei parzellenweiser Verwertung erheblich höhere Preise erzielen, wie er durch von ihm selbst in die Wege geleitete Verkaufsverträge dartue. Da nach einem von den Liquidatoren aufgestellten Vermögensstatus die volle Befriedigung aller Gläubiger zu erwarten sei, habe er ein schutzwürdiges Interesse daran, einen Teil seines Grundbesitzes als Überschuss für sich behalten zu können. Auch die von den Liquidationsorganen beschlossene Veräusserung der Liegenschaften Stockerstrasse 39 und 41 bedeute eine Ermessenüberschreitung. In unmittelbarer Nachbarschaft bestünden Bauvorhaben, weshalb bestimmt "mit einer raschen Erholung des Wertes von Stockerstrasse 39/41 zu rechnen" sei. "Im Interesse eines besseren Erlöses" müsse die Verwertung hinausgeschoben werden.
BGE 85 III 175 S. 178
C.-
Der Beschwerde wurde nicht aufschiebende Wirkung erteilt. Am 27. Februar 1959 schlossen die Liquidatoren namens "Franz Müller in Nachlass-Liquidation" den Kaufvertrag über die 26 Landparzellen auf dem Zollikerberg und am 1. Mai 1959 je einen Kaufvertrag über die Liegenschaften Stockerstrasse 39 und 41 in Zürich 2 mit öffentlicher Beurkundung ab. Die drei Kaufverträge wiesen ausdrücklich auf die hängige Beschwerde des Schuldners hin, und ihre Gültigkeit wurde an die Bedingung geknüpft, dass die Beschwerde abgewiesen werde, ansonst sie für beide Parteien entschädigungslos dahinfallen würden. Der Kaufpreis wurde im Vertrag über das Land auf dem Zollikerberg wie vorgesehen auf Fr. 2'800,000.-- festgesetzt; er sollte von der Käuferin anlässlich der Eigentumsübertragung in bar bezahlt werden. Für die Liegenschaften an der Stockerstrasse wurden Preise von Fr. 410'000.-- für Nr. 39 und Fr. 575'000.-- für Nr. 41, zusammen also Fr. 985'000.-- erzielt und ebenfalls Barzahlung am Tage der Eintragung vereinbart.
D.-
Die Beschwerde des Schuldners wurde von der untern Aufsichtsbehörde am 3. Juni 1959 abgewiesen, ebenso sein Rekurs durch Entscheid der obern kantonalen Aufsichtsbehörde vom 30. Oktober 1959.
E.-
Mit vorliegendem Rekurs an das Bundesgericht hält der Schuldner an seiner Beschwerde fest. Um die Erfüllung der Kaufverträge vom 27. Februar und vom 1. Mai 1959 während des Rekursverfahrens zu verhindern, hat er das Gesuch gestellt, dem Rekurs sei aufschiebende Wirkung beizulegen. Diesem Gesuch ist entsprochen worden. Am Schluss der Rekursbegründung wird ergänzend beantragt, die Grundstücke auf dem Zollikerberg und an der Stockerstrasse 39 und 41 in Zürich 2 seien dem Rekurrenten gegen Zahlung von Fr. 3'790,000.-- freizustellen; eventuell sei die Sache zur Anordnung einer Expertise über den Verkehrswert der genannten Liegenschaften an die Vorinstanz zurückzuweisen.
BGE 85 III 175 S. 179
Erwägungen
Die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer zieht in Erwägung:
1.
Gegen die Anordnungen der Liquidatoren über die Verwertung der Aktiven kann nach
Art. 316 e Abs. 2 SchKG
binnen zehn Tagen seit Kenntnisnahme beim Gläubigerausschuss Einsprache erhoben und gegen die bezüglichen Verfügungen des Gläubigerausschusses bei der Aufsichtsbehörde Beschwerde geführt werden. Da indessen nach Art. 316 h Abs. 2 die Liquidatoren die Art und den Zeitpunkt der Verwertung von vornherein nicht aus eigener Machtvollkommenheit, sondern "im Einverständnis mit dem Gläubigerausschuss" zu bestimmen haben, kommt ein Einspruch im Sinne jener ersten Vorschrift in der Regel erst allenfalls gegenüber späteren Verfügungen in Frage, die von den Liquidatoren allein getroffen werden. Die grundsätzliche Anordnung unterliegt dagegen, zumal wenn sie wie im vorliegenden Falle vom Gläubigerausschuss selbst, durch Weisung an die Liquidatoren, getroffen wurde, unmittelbar der Beschwerde bei den Aufsichtsbehörden. Der Rekurrent ist daher mit Recht auf diesem Wege vorgegangen, um die ihm - wirklich oder vermeintlich - zustehenden Einwendungen geltend zu machen.
2.
Die Vorinstanzen haben ihm grundsätzlich die Beschwerdebefugnis zuerkannt, sie jedoch in entsprechender Anwendung konkursrechtlicher Regeln (abgesehen von Rechtsverweigerung und -verzögerung, was hier nicht in Frage steht) auf die Rüge von Gesetzesverletzungen beschränkt, also Rügen blosser Unangemessenheit nicht zugelassen. Dieser Betrachtungsweise ist beizutreten:
a) Im Unterschied zu Art. 28 Abs. 2 der Verordnung vom 11. April 1935 betreffend das Nachlassverfahren von Banken und Sparkassen, der die Verfügungen des Gläubigerausschusses über die Verwertung der Aktiven (unter Vorbehalt der Sonderschrift von Art. 35 derselben Verordnung)
BGE 85 III 175 S. 180
nur der Beschwerde durch jeden Gläubiger und nur wegen Verletzung der ihm persönlich zustehenden Rechte unterstellt, erkennt
Art. 316 e SchKG
das Beschwerderecht nicht nur den Gläubigern zu.
b) Daher steht nichts entgegen, auch den Nachlass-Schuldner als beschwerdeberechtigt zu betrachten, soweit er als an der Liquidation des den Gläubigern "abgetretenen" Vermögens beteiligt zu gelten verdient. Es drängt sich aber auf, diese Frage entsprechend den im Konkurse geltenden Regeln zu entscheiden und dem Nachlass-Schuldner demgemäss einen Einfluss auf den Gang der Liquidation nur in dem Sinne zuzugestehen, dass er, nötigenfalls durch Beschwerde, auf eine rechtmässige Art der Liquidation hinwirken kann. Blosse Fragen der Angemessenheit von Verwertungsmassnahmen vor die Aufsichtsbehörde zu bringen, ist ihm dagegen wie dem Konkursiten füglich zu versagen.
Für das Konkursverfahren ist das Beschwerderecht des Schuldners durch eine Reihe von Entscheidungen in dieser Weise umgrenzt worden (
BGE 33 I 483
= Sep.-Ausg. 10 S. 149;
BGE 42 III 88
und 425;
BGE 50 III 91
; SIMOND, Schweiz. jur. Kartothek Nr. 627, 2. Kapitel, C). Davon weicht entgegen der Ansicht des RekurrentenBGE 72 III 27ff. nicht ab. Diese Entscheidung fusst einleitend ausdrücklich auf der erwähnten Rechtsprechnung. Sie befasst sich im übrigen (wie auchBGE 78 III 78ff. und
BGE 80 III 79
ff.) mit der im vorliegenden Falle nicht zu erörternden Vorschrift von
Art. 128 VZG
und den sich bei deren Anwendung erhebenden Rechts- und Angemessenheitsfragen. Über eine Ausnahmebewilligung nach
Art. 128 VZG
hat die (einzige oder untere) kantonale Aufsichtsbehörde nicht als Beschwerdeinstanz, sondern als die hiefür unmittelbar (unter Ausschluss der Konkursverwaltung) zuständige Behörde zu befinden. Ist sie die einzige kantonale Instanz, so kann der Schuldner wie jeder andere Beteiligte nur im Rahmen von
Art. 19 SchKG
an das Bundesgericht rekurrieren. Und wenn eine obere kantonale Aufsichtsbehörde besteht, so
BGE 85 III 175 S. 181
kann der Schuldner nach den erwähnten konkursrechtlichen Grundsätzen auch inbezug auf
Art. 128 VZG
nur wegen Gesetzesverletzung an sie gelangen. Natürlich hat die obere Instanz auf den Rekurs einzutreten, soweit Gesetzesverletzungen auch nur (einigermassen schlüssig) behauptet werden. Liegt aber in Wahrheit keine Gesetzesverletzung vor, als was auch Willkür und insbesondere Ermessensmissbrauch oder -überschreitung zu gelten hat, so ist der Rekurs des Schuldners ohne Prüfung von Fragen der Angemessenheit abzuweisen.
Eine weitergehende Beschwerdebefugnis kommt dem Konkursiten deshalb nicht zu, weil das Konkursvermögen dem Beschlags- und Verwertungsrecht der Konkursmasse unterliegt, ihm selbst aber jegliche Verfügung darüber entzogen ist (
Art. 197 ff. SchKG
). Im wesentlichen entsprechende Verhältnisse liegen beim Nachlassvertrag mit Abtretung des Vermögens zur Liquidation vor. Auch hier erlischt (mit der rechtskräftigen Bestätigung des Nachlassvertrags) das Verfügungsrecht des Schuldners (
Art. 316 d Abs. 1 SchKG
), und es besteht eine der Konkursmasse entsprechende Nachlassmasse (Abs. 2 und 3 daselbst). Daher gebührt dem Nachlassschuldner hinsichtlich der Verwertung kein weitergehendes Beschwerderecht, als wie es dem Konkursiten zugestanden wird (vgl. auchBGE 74 I 365/66). Freilich sind, auch soweit das Gesetz für den Liquidationsvergleich nichts besonderes bestimmt, konkursrechtliche Grundsätze nicht unbesehen auf den Nachlassvertrag mit Vermögensabtretung anzuwenden, sondern es ist in jedem einzelnen Punkte zu prüfen, ob und wieweit sich die entsprechende Anwendung rechtfertige (
BGE 84 III 109
). Allein hinsichtlich der Beschwerdebefugnis des Schuldners führt hier wie dort der Entzug des Verfügungsrechts mit Rücksicht auf das Beschlags- und Verwertungsrecht der Gläubiger bezw. der "Masse" zur gleichen Lösung. Der Umstand, dass den Liquidationsorganen nach
Art. 316 h Abs. 1 SchKG
ein über
Art. 256 SchKG
hinausgehendes Ermessen zusteht, ist hiefür ohne Belang. Die diesen Organen
BGE 85 III 175 S. 182
eingeräumte grössere Freiheit in der Bestimmung der Verwertungsart wie auch des Zeitpunktes der Verwertung (gegenüber der grundsätzlichen Begrenzung der Konkursdauer nach
Art. 270 SchKG
) wirkt sich übrigens in aller Regel in einem besseren zahlenmässigen Ergebnis der Verwertung und damit, im Hinblick auf den künftigen Geschäftsverkehr mit den Gläubigern wie auch auf einen ihm allfällig zukommenden Überschuss, auch zu Gunsten des Schuldners aus (vgl. GILDO PAPA, Die analoge Anwendung der Konkursnormen auf den Nachlassvertrag mit Vermögensabtretung, S. 31 und 158 ff.). Vollends ist unerheblich, dass nicht notwendig das ganze Vermögen in die Liquidation einbezogen zu werden braucht (
Art. 316 b Abs. 3 SchKG
). Der Verwertung unterliegt natürlich nur das "abgetretene", d.h. eben das in die Liquidation einzubeziehende Vermögen. Dazu gehören aber in der Tat die den Gegenstand der angefochtenen Anordnungen vom 29. Januar 1959 bildenden Grundstücke.
3.
Die erst vor Bundesgericht gestellten ergänzenden Anträge des Schuldners sind unzulässig (
Art. 79 Abs. 1 Satz 2 OG
) und müssen daher unberücksichtigt bleiben. In den kantonalen Instanzen hatte der Schuldner (abgesehen vom vorsorglichen Antrag aufUntersagung der Beurkundung der Kaufverträge laut Eingabe vom 27. Februar 1959 in erster Instanz und auf Untersagung der Erfüllung dieser inzwischen beurkundeten Verträge laut Rekurs vom 15. Juni 1959 an die Vorinstanz) lediglich die Aufhebung des Verwertungsbeschlusses vom 29. Januar 1959 beantragt. Auch das Bundesgericht hat daher nur über diesen Antrag zu entscheiden.
a) Mit der Vorinstanz ist davon auszugehen, dass die Frage der Rechtmässigkeit der angefochtenen Anordnungen vom 29. Januar 1959 nach der damals gegebenen Sachlage zu beurteilen ist. Den Zeitpunkt der Verwertung hatten die Liquidationsorgane nach
Art. 316 h Abs. 2 SchKG
zu bestimmen. Grundsätzlich handelt es sich dabei um eine
BGE 85 III 175 S. 183
Frage der Zweckmässigkeit, also der Angemessenheit, die der Schuldner nach dem oben Gesagten nicht der Aufsichtsbehörde unterbreiten kann. Ein Rechtsanspruch steht ihm in dieser Hinsicht nur in dem Sinne zu, "dass ihm nicht durch unzeitige, überstürzte oder verschleppte Verwertungen Schaden zugefügt werde", wie die Vorinstanz mit Hinweis aufBGE 74 I 365/66 ausführt. Zutreffend sind auch ihre anschliessenden Erwägungen, lautend:
"Anderseits liegt selbstverständlich kein Ermessensmissbrauch vor, wenn die Liquidationsorgane eine für die Gläubiger offensichtlich günstige Verwertungsgelegenheit nutzen, auch wenn der Schuldner am weiteren Zuwarten interessiert sein mag. Bietet sich ihnen insbesondere die Möglichkeit, so zu verwerten, dass sämtliche Gläubiger befriedigt werden können, so überschreiten sie - wenn sie sie wahrnehmen - ihr Ermessen selbst dann nicht, wenn die Möglichkeit eines Steigens der Preise besteht, so dass sich bei längerem Zuwarten ein Überschuss oder ein noch höherer Überschuss für den Nachlassschuldner ergeben könnte. Die nicht auszuschliessende Ungewissheit bei Beurteilung der Preisentwicklung in der Zukunft verbietet, dass in einem solchen Falle von einer missbräuchlichen Entscheidung der Liquidationsorgane gesprochen werden könnte. Eine die Interessen des Nachlassschuldners verletzende Ermessensüberschreitung läge nur dann vor, wenn die Liquidationsorgane eine im Zeitpunkt ihrer Entscheidung bereits vorliegende oder mit Sicherheit voraussehbare günstigere Möglichkeit willkürlich ausgeschlagen hätten."
Der Verwertungsbeschluss vom 29. Januar 1959 wurde im Rahmen des pflichtgemässen Ermessens der Liquidationsorgane gefasst. Seit Beginn der Nachlasstundung waren mehr als zwei Jahre, seit der oberinstanzlichen Bestätigung des Nachlassvertrages war mehr als ein Jahr verstrichen. Da sich die Liegenschaftspreise von ihrem Tiefstand erholt hatten und nun Aussicht bestand, einen die sämtlichen unter den Nachlassvertrag fallenden Verbindlichkeiten voll deckenden Verwertungserlös zu erzielen, durfte ohne weiteres Zögern zur Verwertung geschritten werden. Mit Rücksicht auf die von ihnen in erster Linie zu wahrenden Interessen der Gläubiger waren die Liquidationsorgane bei der gegebenen Sachlage grundsätzlich gar nicht befugt, weiter zuzuwarten und die Liquidationsmasse
BGE 85 III 175 S. 184
der Gefahr einer neuen Verschlechterung der Konjunktur auszusetzen. Dass von willkürlicher Wahl eines schlechten Zeitpunktes der Verwertung nicht gesprochen werden kann, ergibt sich aus der eigenen Bemerkung des Schuldners (auf S. 3 der Beschwerde vom 31. Januar 1959), der jetzige Moment sei zum Verkauf von Bauland ausserordentlich günstig. ...
b) .....
c) Erweisen sich somit die Landverkäufe vom 27. Februar und 1. Mai 1959 als rechtlich einwandfreie Verwertungshandlungen, so werden sie zu erfüllen sein. Der Standpunkt des Schuldners, die Vertragserfüllung wäre Ermessensmissbrauch, wenn sich seit dem Vertragschluss günstigere Verkaufsmöglichkeiten zeigten, ist von der Vorinstanz zutreffend widerlegt worden. Der in die Kaufverträge aufgenommene Vorbehalt, wonach sie dahinfallen würden, wenn die Beschwerde des Schuldners gegen den ihnen zugrunde liegenden Verwertungsbeschluss sich als begründet erweisen sollte, betraf nur die Frage der Rechtmässigkeit dieses Beschlusses (und damit auch der darauf beruhenden Kaufverträge). Nicht aber wurde den Liquidatoren damit die Möglichkeit eingeräumt, die künftige Entwicklung der Liegenschaftspreise als Grund zum Rücktritt zu benutzen, was als grober Verstoss gegen die Vertragstreue bezeichnet zu werden verdiente.
Es ist deshalb belanglos, ob ein günstigeres Angebot in bezug auf die Liegenschaften auf dem Zollikerberg seit dem Verkaufsabschlusse wirklich ergangen sei.. .. Ebensowenig kann der Verwertungsbeschluss und können die auf ihm beruhenden Kaufverträge deshalb in Frage gestellt werden, weil der Schuldner allenfalls seither in die Lage gekommen wäre, der Nachlassmasse die zum Abschluss des Verfahrens und zur gänzlichen Befriedigung der Gläubiger erforderliche Geldsumme zur Verfügung zu stellen, so dass es der Verwertung der Grundstücke gar nicht mehr bedürfte. Selbst vor Bundesgericht schweigt er sich übrigens darüber aus, wann und wie er die in der Rekursschrift
BGE 85 III 175 S. 185
angebotene Zahlung von Fr. 3'790,000.-- bewerkstelligen könne.
Dispositiv
Demnach erkennt die Schuldbetr.- u. Konkurskammer:
Der Rekurs wird abgewiesen. | null | nan | de | 1,959 | CH_BGE | CH_BGE_005 | CH | Federation |
7c06a0d3-d986-4b47-86c5-bccd46c8620e | Urteilskopf
99 III 18
5. Entscheid vom 10. August 1973 i.S. Diskont- und Handelsbank AG. | Regeste
Arrestierung von Dividendencoupons.
1. Die Forderung auf Auszahlung von Dividenden aus Namenaktien kann nur mit den entsprechenden Coupons, in denen sie verbrieft ist, arrestiert werden (Erw. 3).
2. Dividendencoupons können nur am Orte ihrer Lage arrestiert werden. Befinden sie sich nicht an dem im Arrestbefehl angegebenen Ort, so fällt der Arrest ins Leere (Erw. 4).
3.
Art. 4 BV
schreibt den kantonalen Aufsichtsbehörden nicht vor, dem Beschwerdeführer die Vernehmlassung des Betreibungsamtes zur Einsichtnahme zuzustellen, wenn die angefochtene Verfügung bestätigt wird (Erw. 6). | Sachverhalt
ab Seite 18
BGE 99 III 18 S. 18
A.-
Mit Arrestbefehl Nr. 98/73 vom 2. Mai 1973 bewilligte der Zivilgerichtspräsident Basel-Stadt auf Gesuch der Diskont- und Handelsbank AG, Lugano-Castagnola, einen Arrest gegen die "Crisanus" Familienstiftung, Vaduz, für einen Betrag von Fr. 80'000,000.-- nebst 5% Zins seit 12. November 1962 auf folgende Gegenstände:
"a) Die von der Generalversammlung der Aktionäre der CibaGeigy AG, Basel, Klybeckstrasse 141, vom 19. Mai 1972 beschlossenen
BGE 99 III 18 S. 19
Dividenden pro 1971, die Ansprüche auf diese Dividenden und die zur Geltendmachung dieser Ansprüche der Ciba-Geigy einzureichenden Coupons Nr. 3 aus allen im Aktienbuch der CibaGeigy AG, Basel, auf den Namen der "Crisanus" Familienstiftung, Vaduz, eingetragenen Namenaktien der Ciba-Geigy AG, d.h. Namenaktien der CIBA-GEIGY AG Nrn. ...
b) Sämtliche von der Generalversammlung der Aktionäre der Ciba-Geigy AG, Basel, Klybeckstrasse 141, vom 3. Mai 1973 beschlossenen Dividenden pro 1972, die Ansprüche auf diese Dividenden und die zur Geltendmachung dieser Ansprüche der CibaGeigy einzureichenden Coupons Nr. 4 aus allen im Aktienbuch der Ciba-Geigy AG, Basel, auf den Namen der "Crisanus" Familienstiftung, Vaduz, eingetragenen Namenaktien der Ciba-Geigy AG, d.h. Namenaktien der CIBA-GEIGY AG Nrn. ..."
Am 12. Juni 1973 teilte die Ciba-Geigy AG dem Betreibungsamt Basel-Stadt mit, dass keiner der in der Arrestanzeige aufgeführten Dividendencoupons in uneingelöstem Zustande in ihrem Besitz sei. Mit Verfügung vom 19. Juni 1973 erklärte darauf das Betreibungsamt den Arrest als erfolglos.
B.-
Gegen diese Verfügung beschwerte sich die Diskont- und Handelsbank AG bei der Aufsichtsbehörde über das Betreibungs- und Konkursamt Basel-Stadt. Die Beschwerde wurde mit Entscheid vom 17. Juli 1973 abgewiesen.
C.-
Mit dem vorliegenden Rekurs an die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer des Bundesgerichts beantragt die Diskont- und Handelsbank AG, der Entscheid der Aufsichtsbehörde und die Erklärung des Betreibungsamtes Basel-Stadt, wonach der Arrest Nr. 98/73 erfolglos sei, seien aufzuheben, soweit sie die Arrestobjekte sub lit. b beträfen, und das Betreibungsamt Basel-Stadt sei anzuweisen, den Arrest bei der Drittschuldnerin Ciba-Geigy AG ordnungsgemäss zu vollziehen.
Erwägungen
Die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer zieht in Erwägung:
2.
Die Rekurrentin beanstandet die Verfügung des Betreibungsamtes, in welcher der Arrest als erfolglos erklärt wurde, und verlangt den ordnungsgemässen Vollzug des Arrestes. Die Beschwerde richtet sich somit nicht gegen die Erteilung bzw. die Verweigerung des Arrestbefehls durch die Arrestbehörde, sondern sie bezieht sich auf den Arrestvollzug. Eine solche Beschwerde ist nach ständiger Rechtsprechung zulässig (
BGE 96 III 109
,
BGE 88 III 141
/142,
BGE 82 III 69
,
BGE 75 III 26
,
BGE 64 III 129
; JAEGER, N. 1 zu
Art. 275 SchKG
; FRITZSCHE, Schuldbetreibung und Konkurs, II, 2. Aufl. S. 220).
BGE 99 III 18 S. 20
3.
Die als Nebenpapiere zu einer Aktie gehörenden Dividencoupons sind Inhaberpapiere, und zwar auch dann, wenn die Aktie auf den Namen lautet (JÄGGI, N. 25 zu
Art. 978 OR
; v. STEIGER, Das Recht der Aktiengesellschaft in der Schweiz, 4. Aufl. S. 163; E. MÜLLER, Couponbogen zur Aktie, SJZ 1962 S. 278; OFTINGER, N. 25 zu
Art. 901 ZGB
). Die Forderung auf Auszahlung der von der Generalversammlung beschlossenen Dividende kann daher ohne den entsprechenden Coupon weder geltend gemacht noch übertragen werden (
Art. 965 OR
; v. STEIGER, a.a.O.; JÄGGI, N. 9 und 11 zu Art. 980, N. 39 ff. zu Art. 978, N. 51/52, 64 und 122 zu
Art. 967 OR
). Ohne Vorweisung des Coupons darf die Aktiengesellschaft keine Dividende auszahlen (JÄGGI, N. 279 zu
Art. 965 OR
). Ein vom Coupon losgelöster Dividendenanspruch, der ohne den Titel selber arrestiert, gepfändet und verwertet werden könnte, besteht demzufolge nicht. Deshalb kann die Forderung der "Crisanus" Familienstiftung auf Auszahlung der Dividenden aus den ihr gehörenden Namenaktien der Ciba-Geigy AG nur mit den entsprechenden Coupons, in denen sie verbrieft ist, arrestiert werden (
BGE 98 III 77
,
BGE 92 III 24
ff. Erw. 3,
BGE 88 III 142
/143,
BGE 67 III 12
).
4.
Wertpapiere, also auch Dividendencoupons, können nach der Rechtsprechung des Bundesgerichts nur am Ort ihrer Lage arrestiert werden (
BGE 92 III 26
,
BGE 67 III 11
; FRITZSCHE, a.a.O., II, S. 214; BRAND, SJK 1173 S. 1; kritisch zu dieser Rechtsprechung JÄGGI, N. 325/326 zu
Art. 965 OR
). Befinden sich die arrestierten Gegenstände nicht an dem im Arrestbefehl angegebenen Ort, so fällt der Arrest ins Leere (
BGE 88 II 145
). Nach den tatsächlichen Feststellungen der Aufsichtsbehörde, die für das Bundesgericht verbindlich sind (Art. 63 Abs. 2 in Verbindung mit
Art. 81 OG
) und die von der Rekurrentin auch nicht beanstandet wurden, lagen im Zeitpunkt der Arrestanzeige keine der als Arrestgegenstände aufgeführten Dividendencoupons in uneingelöstem Zustand bei der Ciba-Geigy AG. Zu Recht hat deshalb das Betreibungsamt den Arrest als erfolglos erklärt.
5.
Die Rekurrentin ist der Ansicht, die Ciba-Geiby AG sei auf Grund des Arrestbefehls gemäss
Art. 99 SchKG
verpflichtet gewesen, die der "Crisanus" Familienstiftung zustehenden Dividenden für das Geschäftsjahr 1972 an das Betreibungsamt auszuzahlen. Dazu sei sie auch in der Lage gewesen,
BGE 99 III 18 S. 21
da der Arrest unter Aufführung der Nummern der fraglichen Aktien bzw. Coupons rechtzeitig (noch vor der Generalversammlung) notifiziert worden sei.
Art. 99 SchKG
bezieht sich indessen nach dem klaren Wortlaut nur auf solche Forderungen, für welche nicht eine an den Inhaber oder an Ordre lautende Urkunde besteht. Nach dem Gesagten ist aber der Dividendenanspruch der "Crisanus" Familienstiftung in einem Inhaberpapier verbrieft. Solche Papiere werden beim Arrestvollzug vom Betreibungsamt in Verwahrung genommen (Art. 98 Abs. 1 in Verbindung mit
Art. 275 SchKG
).
Art. 99 SchKG
hätte somit selbst dann nicht angewendet werden können, wenn der Arrest erfolgreich gewesen wäre. Die Ausführungen der Rekurrentin gehen daher am Kern der Sache vorbei.
6.
Die Rekurrentin macht geltend, die Aufsichtsbehörde habe ihr das rechtliche Gehör verweigert, indem sie ihr keine Einsicht in die Vernehmlassung des Betreibungsamtes gewährt habe.
Das Beschwerdeverfahren vor den kantonalen Aufsichtsbehörden über Schuldbetreibung und Konkurs wird unter Vorbehalt gewisser bundesrechtlich geregelter Punkte (
Art. 75 ff. OG
) vom kantonalen Recht geordnet (
BGE 86 III 2
). Die Rekurrentin behauptet nicht, dass das baslerische Recht der Aufsichtsbehörde vorschreibe, die Vernehmlassung des Betreibungsamtes müsse dem Beschwerdeführer zur Einsichtnahme zugestellt werden. Unmittelbar aus
Art. 4 BV
lässt sich eine solche Pflicht nicht ableiten. Wohl ist auf Grund dieser Bestimmung grundsätzlich jeder an einem Verfahren Beteiligte befugt, zu den Äusserungen einer Gegenpartei Gegenbemerkungen anzubringen (
BGE 89 I 157
; IMBODEN, Schweizerische Verwaltungsrechtsprechung, 3. Aufl., II, Nr. 612 S. 618). Ein Recht, im kantonalen Beschwerdeverfahren auf die Vernehmlassung des Betreibungsamtes zu replizieren, bevor die Aufsichtsbehörde die Beschwerde beurteilt hat, besteht indessen nicht, sofern die angefochtene Verfügung nicht zum Nachteil des Beschwerdeführers abgeändert, sondern durch Abweisung der dagegen erhobenen Beschwerde bestätigt wird (
BGE 88 I 63
; vgl. auch
BGE 89 I 16
). Im übrigen behauptet die Rekurrentin nicht, die Aufsichtsbehörde habe in ihrem Entscheid auf neue Vorbringen des Betreibungsamtes abgestellt, zu denen sie sich nicht habe äussern können. Eine Verweigerung des rechtlichen Gehörs liegt daher nicht vor.
BGE 99 III 18 S. 22
Dispositiv
Demnach erkennt die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer:
Der Rekurs wird abgewiesen. | null | nan | de | 1,973 | CH_BGE | CH_BGE_005 | CH | Federation |
7c08989b-8cad-42ce-9b3f-03471fffcb38 | Urteilskopf
80 II 338
54. Urteil der II. Zivilabteilung vom 18. November 1954 i.S. "Zürich" Allg. Unfall- und Haftpflichtversicherungs-Aktiengesellschaft gegen Müblbauer. | Regeste
Unfallversicherung.
1. Streitwert unter Fr. 8000.--, mündliche Parteiverhandlung? (
Art. 62 Abs. 2 OG
).
2. Verkrallung einer Hand als psychoneurotische Unfallfolge:
a) Feststellung des natürlichen Kausalzusammenhangs;
b) Adäquanz desselben;
c) die psychoneurotische Reaktion unterbricht, da selber Unfallfolge, den Kausalzusammenhang nicht;
d) Disposition zu solchen Reaktionen.
3. Invaliditätsentschädigung auf Grund des "Jahreslohnes" des Verunfallten: bei Saisonangestellten ist massgebend der effektiv bezogene Lohn, nicht ein durch Umrechnung ermittelter Jahresverdienst. | Sachverhalt
ab Seite 339
BGE 80 II 338 S. 339
A.-
Frau Mühlbauer, geb. 1909, war im Sommer 1947 und in den beiden folgenden Wintern saisonweise als Verkäuferin in der Filiale St. Moritz der Firma Grieder & Cie. angestellt. Am 7. März 1949 glitt sie auf dem mittäglichen Heimweg auf dem stellenweise vereisten Trottoir der abfallenden Badstrasse aus und stürzte rücklings zu Boden. Von Passanten in einen nahen Laden geführt, wurde sie sofort von Dr. G. Piderman, Leiter der Klinik Bernhard, untersucht, der in seiner Krankengeschichte den ersten Befund wie folgt beschreibt:
Patientin sitzt zurückgelehnt mit geschlossenen Augen auf einem Stuhl..., klagt über Schmerzen am Hinterkopf, im Oberkiefer beidseits, Zahnschmerzen; wenige Minuten lang soll nach dem Sturz Bewusstlosigkeit bestanden haben... Am Hinterkopf links ist eine Blutbeule in Bildung, bei der Palpation starke Schmerzäusserung, Druck auf die Oberkieferknochen ebenfalls schmerzhaft, keine Blutung aus Ohren und Nase. Die Angaben über den Verlauf des Unfalls sind nur mühsam zu erhalten (Somnolenz); Patientin zeigt immer wieder auf den Hinterkopf und unterbricht die Antworten durch Stöhnen und Klagen. Patellar-Sehnenreflexe gesteigert, symmetrisch.
In der Klinik Bernhard gemachte Röntgenaufnahmen liessen eine Schädelfraktur nicht nachweisen, sodass der Arzt die Patientin nach Hause brachte, wo er ihr Luminal verschrieb und strenge Bettruhe verordnete. Am folgenden Tage stellte Dr. Piderman fest, dass sich der schlafähnliche Zustand verstärkt hatte und alle Reaktionen ausserordentlich träge waren; der sich daraus ergebende Verdacht auf Schädelbasisfraktur veranlasste den Arzt, die Patientin erneut in seine Klinik zu nehmen, wo sie bis 25. August 1949 verblieb. Ausser von Dr. Piderman wurde sie in der Folge zeitweise von seinem Stellvertreter Dr. Merbeck behandelt, ferner zweimal von Dr. Morgenthaler von der Universitätspoliklinik für Nervenkranke in Zürich (im Auftrag von Dr. Piderman), sowie (im Auftrag der Beklagten) durch den Churer Nervenarzt Dr. Würth und Privatdozent Dr. Lüthy in Zürich untersucht und begutachtet. Es liess sich bei der Verunfallten weder eine Schädel- noch eine Hirnverletzung feststellen. Dagegen zeigten sich nach dem Abklingen der ersten körperlichen und psychischen
BGE 80 II 338 S. 340
Beschwerden, Ende April 1949, Störungen in den obern Extremitäten, besonders der rechten, wobei sich namentlich die rechte Hand verkrümmte und versteifte und in Form einer sog. Krallenhand versteift blieb.
B.-
Die Firma Grieder & Cie. hatte für ihr Personal bei der "Zürich" eine Kollektiv-Unfallversicherung abgeschlossen. Der Begriff des Unfalls ist in der Police nicht definiert. Nach § 17 der Allgemeinen Bedingungen gilt Verlust des Armes oder der Hand rechts für 60% der Ganzinvalidität. § 22 bestimmt:
"Wenn Krankheitszustände schon vor dem Unfall vorhanden waren oder nach demselben, aber davon unabhängig; eintreten, so hat die Gesellschaft nur für diejenigen Unfallfolgen Entschädigung zu leisten, welche ohne die Mitwirkung jener Krankheitszustände voraussichtlich entstanden wären."
Nach Ziff. III 8 a der Beilage zum Antrag betragen die Versicherungsleistungen im Invaliditätsfall den sechsfachen Jahreslohn; ferner werden während der Dauer der ärztlichen Behandlung, längstens jedoch für die Dauer eines Jahres vom Unfalltag an gerechnet, die durch den Unfall bedingten unumgänglich notwendigen Kosten der ärztlichen Behandlung, einschliesslich der Kosten für Klinik- und Spezialbehandlung, vergütet.
C.-
Im Dezember 1949/April 1950 leitete Frau Mühlbauer im Hinblick auf ihre Teilinvalidität infolge gänzlicher Versteifung ihrer rechten Hand sowie für Heilungs- und Arztkosten gegen die "Zürich" Klage auf Zahlung von Fr. 44'219.75 nebst 5% Zins ein.
D.-
Nach Durchführung eines Beweisverfahrens und Einholung von Gutachten der Professoren Krayenbühl, Glaus und Francillon hiess das Bezirksgericht Zürich die Klage im Betrag von Fr. 15'977.05 nebst Zins gut; im Mehrbetrage wies es sie ab.
E.-
Die Beklagte legte Berufung an das Obergericht ein mit dem Antrag auf Abweisung der Klage, eventuell Reduktion des Betrages, bezahlte jedoch aus Kommiserationsgründen unter Wahrung ihres grundsätzlichen Standpunktes der Klägerin Fr. 8000.-- nebst Zins, welchen Betrag
BGE 80 II 338 S. 341
diese an die ihr bezirksgerichtlich zugesprochene Summe anrechnete. Das Obergericht nahm daher in seinem Urteil vom 5. Juni 1954 von der Herabsetzung der Klage auf Fr. 7977.05 nebst Zins Vormerk, fand die Berufung der Beklagten nicht begründet und verpflichtete sie zur Bezahlung dieses Restbetrages nebst 5% Zins seit 15. Dezember 1949.
F.-
Gegen dieses Urteil richtet sich die vorliegende Berufung der Beklagten mit dem Antrag auf Abweisung der Klage im genannten noch streitig gebliebenen Betrage. Die Klägerin trägt auf Bestätigung des angefochtenen Urteils an.
Erwägungen
Das Bundesgericht zieht in Erwägung:
1.
Die Berufungsklägerin anerkennt, dass der Streitwert, da gemäss
Art. 36 Abs. 3 OG
der Zins nicht in Betracht fällt, nur noch Fr. 7977.05 beträgt. Sie ersucht jedoch gestützt auf
Art. 62 Abs. 2 OG
und mit Rücksicht auf die grundsätzliche Bedeutung des Rechtsstreites namentlich hinsichtlich der Frage des adäquaten Kausalzusammenhangs gleichwohl um Anordnung einer mündlichen Verhandlung. Nach jener Bestimmung kann das Bundesgericht bei Streitwerten unter Fr. 8000.-- eine mündliche Parteiverhandlung anordnen. Hierfür müssten aber schon besondere Gründe vorliegen. Ob als ein solcher gegebenenfalls auch die grundsätzlich-theoretische Bedeutung des Falles berücksichtigt werden könnte, kann hier dahingestellt bleiben; denn die Parteien, zumal die Beklagte, haben von ihrem Rechte, ihre Standpunkte darzulegen, in den Rechtsschriften, auch noch vor Bundesgericht, reichlich Gebrauch gemacht, sodass von einer mündlichen Parteiverhandlung keine weitergehende Abklärung der Auffassungen zu erwarten wäre.
2.
Für den Ausgang des Prozesses in grundsätzlicher Beziehung entscheidend ist die Frage, ob die Kontraktur der rechten Hand der Klägerin, bestehend in der Unfähigkeit, die Finger zu bewegen (medizinisch: die fixierte
BGE 80 II 338 S. 342
Flexionskontraktur der vier Finger im Mittel- und Endgelenk und die leicht eingeschränkte Abduktionsfähigkeit des Daumens), versicherte Unfallfolge, m.a.W. ob der Kausalzusammenhang zwischen Unfall und Kontraktur gegeben sei. Dabei ist die Frage nach der natürlichen Kausalität, d.h. ob ein Ereignis die Wirkung eines andern sei, tatsächlicher Natur, daher die bezügliche Beurteilung durch die Vorinstanz eine für das Bundesgericht verbindliche Feststellung (
BGE 69 II 355
,
BGE 71 II 51
), dagegen die weitere, ob dieser natürliche Zusammenhang auch im Rechtssinne genüge (adäquater Kausalzusammenhang) eine der Überprüfung des Bundesgerichts unterliegende Rechtsfrage (BIRCHMEIER zu
Art. 43 OG
, S. 112).
a) Der natürliche Kausalzusammenhang ist von der Vorinstanz bejaht worden mit dem Hinweis darauf, dass vom Unfallereignis bis zu dem heute bestehenden Zustand der Klägerin eine zeitlich zusammenhängende Kette von Krankheitserscheinungen führe, welche die Vermutung eines nicht nur zeitlichen, sondern auch ursächlichen Zusammenhanges begründe; es wäre daher Sache der Beklagten, diese durch eine Aufeinanderfolge von Tatsachen begründete Vermutung des kausalen Zusammenhangs derselben zu widerlegen. In dieser Argumentation erblickt die Berufungsklägerin eine Verletzung der Beweislastregel des
Art. 8 ZGB
, gemäss welcher grundsätzlich derjenige das Vorhandensein einer behaupteten Tatsache zu beweisen hat, der aus ihr Rechte ableitet. Danach kann nicht zweifelhaft sein, dass für den Kausalzusammenhang zwischen dem Unfall und dem jetzigen Zustand ihrer Hand die Klägerin beweispflichtig ist. Allein wenn die Vorinstanz findet, durch die in der Krankheitsgeschichte niedergelegte, zeitlich zusammenhängende Kette von Erscheinungen sei die "Vermutung" eines Kausalzusammenhanges erstellt, so meint sie damit keineswegs eine Rechtsvermutung; das heisst vielmehr, dass sie den Beweis des Kausalzusammenhangs als geleistet annehme, sofern er nicht durch andere, von der Beklagten zu erbringende Momente widerlegt
BGE 80 II 338 S. 343
werde, was sie dann verneint. Es handelt sich somit nicht um eine nach
Art. 8 ZGB
unzulässige Umkehrung der Beweislast, sondern um eine Art der Beweiswürdigung, bezüglich deren die Vorinstanz frei war.
Ein natürlicher Kausalzusammenhang in dem Sinne, dass der heutige Zustand der Hand ohne den Unfall nicht eingetreten wäre, lässt sich übrigens auch auf Grund der Gutachten Krayenbühl/Glaus bejahen. Wenn zwar in der Zusammenfassung gesagt ist, "der Kausalzusammenhang zwischen dem Ereignis und dem jetzigen Befund sei unfallmedizinisch nicht als feststehend anzusehen", so dürfte mit dem Ausdruck "unfallmedizinisch" eine Beschränkung der Betrachtung auf die somatische Seite, unter Beiseitelassung der psychischen, angedeutet sein; denn anschliessend führen die Gutachter aus, dass "psychische bzw. psychoneurotische Momente insofern eine mitwirkende Rolle spielen", als die Klägerin schon vor dem Unfall zwar tüchtig und gesund, aber zu psychogenen Reaktionen mehr oder weniger disponiert gewesen sei, und als es durch den Unfall - Schreck, körperliche und soziale Folgen mit Spannungen und Konflikten - bei ihr zu einer Dekomposition und zu hysterischen Symptomen gekommen sei, welche ihrerseits die Handkontraktur zurückgelassen haben.
Es ist mithin erstellt, dass die Kontraktur der Hand zwar nicht organischer (somatischer), sondern psychogener Herkunft ist, dies aber nicht etwa im Sinne einer autogenen Psychogenie, sondern in dem Sinne, dass die sie auslösenden psychischen Prozesse die direkte Folge des Unfalles sind, ohne den sie sich nicht eingestellt hätten. Damit ist der natürliche Kausalzusammenhang ausser Zweifel und die Feststellung der Vorinstanz keineswegs eine unzulässige Folgerung "post hoc ergo propter hoc".
b) Rechtlich ist dieser Zusammenhang aber auch als adäquat zu qualifizieren. Die Beklagte bestreitet dies mit dem Hinweis auf die Singularität des Falles. Aus dem Gutachten ergebe sich, dass die Experten überhaupt noch nie eine derartige hysterische Versteifung der rechten Hand
BGE 80 II 338 S. 344
als Reaktion auf einen an sich leichten Unfall gesehen hätten; es stelle sich daher die Frage, "ob diese mit den üblichen seelischen Unfallfolgen hier verbundenen weiteren Auswirkungen eigentlich hysterischer Art bis zur Manifestation einer Versteifung der Finger der rechten Hand noch irgendwie im Bereiche einer möglichen Erwartung standen, oder nicht vielmehr im Sinne der bundesgerichtlichen Formulierung als ganz aussergewöhnliche Reaktionsweise dem Unfall nicht mehr zugerechnet werden können und deshalb auch ausserhalb einer rechtlich noch zulässigen, adäquaten Beziehung zu fallen haben". Abgesehen davon, dass in dem angezogenen Urteil (
BGE 70 II 178
) nicht positiv gesagt worden ist, bei einer "ganz aussergewöhnlichen Reaktionsweise" müsste dem Kausalzusammenhang der adäquate Charakter abgesprochen werden, darf bei der ex post anzustellenden Beurteilung, ob ein bestimmtes Unfallereignis "nach dem gewöhnlichen Lauf der Dinge und der allgemeinen Erfahrung geeignet sei, den eingetretenen Erfolg zu bewirken", dieser Erfolg nicht in seinen letzten konkreten Details ins Auge gefasst werden. Die Frage lautet in casu nicht, ob ein heftiger Sturz mit Aufschlagen des Hinterkopfes auf dem Trottoir dazu angetan ist, nun gerade eine psychoneurotische Verkrallung der rechten Hand herbeizuführen, sondern vielmehr, ob er geeignet ist, irgendwelche psychoneurotische funktionelle Störungen zu hinterlassen. Das aber muss zweifellos bejaht werden; denn es ist heute zur Genüge bekannt, dass Unfälle derartige, somatisch nicht erklärbare indirekte. Folgen zeitigen können und mit ihnen gerechnet werden muss, ohne dass vorausgesehen werden zu können braucht, an welchem Körperteil und wie sie sich manifestieren. Auf die Singularität der psychischen Auswirkungen im konkreten Fall kann es nicht ankommen (vgl.
BGE 70 II 168
ff.).
Ist mithin die Adäquanz des Kausalzusammenhangs zu bejahen, so kann unerörtert bleiben, ob und inwieweit allenfalls von diesem - von Hause aus speziell unter dem
BGE 80 II 338 S. 345
Gesichtspunkte der Haftung ex delicto und ex lege konzipierten - Erfordernis im Gebiete des privaten Unfallversicherungsrechtes abstrahiert werden dürfte.
c) Mit Bezug auf den Kausalzusammenhang vertritt die Beklagte ferner die Auffassung, dieser sei "durch das Dazwischentreten einer eigentlichen Hysterie der Klägerin unterbrochen worden", ohne freilich in ihrer Begründung die Frage dieser behaupteten Unterbrechung und diejenige der Adäquanz klar auseinanderzuhalten. Es mag sein, dass, wie die Beklagte ausführt, das Verhältnis von Ursache und (adäquater) Wirkung nicht nur durch das Dazwischentreten des als frei gedachten menschlichen Willens unterbrochen wird; es ist z.B. an interkurrente, nicht durch den Unfall, sondern anderweitig bedingte oder autogene Krankheiten zu denken. Eine solche war jedoch die nach den Experten zwar psychogene, aber durch den Unfall ausgelöste psychoneurotisch-hysterische Reaktion der Klägerin eben nicht, sondern, wie oben festgestellt, selber eine Unfallfolge. Von einem Unterbruch des Kausalzusammenhangs kann daher nicht die Rede sein.
d) Endlich könnte noch, im Hinblick auf § 22 der Allgemeinen Bedingungen betr. den Einfluss von schon vor dem Unfall vorhanden gewesenen Krankheitszuständen auf die Entschädigungspflicht, die Frage diskutiert werden, ob die von den Experten festgestellte Disposition der Klägerin zu psychoneurotischen Reaktionen für den Entscheid eine Rolle spiele. Die Beklagte hat einen solchen Zusammenhang sowohl vor der Vorinstanz als in der Berufung angetönt; nachdem sie aber andernorts die Anwendbarkeit des § 22 der Allgemeinen Bedingungen ausdrücklich verneint, genügt der kurze Hinweis darauf, dass es sich bei jener Disposition einer, wie die Expertise Glaus feststellt, vor dem Unfall körperlich und psychisch praktisch gesunden Persönlichkeit nicht um einen Krankheitszustand handeln könnte (vgl.
BGE 44 II 102
).
3.
Für Ganzinvalidität sieht Ziff. III 8 a der Beilage zum Antrag als Entschädigung den "sechsfachen Jahreslohn
BGE 80 II 338 S. 346
des Verunglückten" vor. Es ist streitig, ob bei der Klägerin, die nicht ganzjährig, sondern nur saisonweise bei der Firma Grieder & Cie. angestellt war, das Sechsfache des von ihr für 4 Monate pro Jahr effektiv bezogenen Lohnes von Fr. 2686.70, oder aber des durch Umrechnung dieses Verdienstes auf eine Jahreslohnsumme sich ergebenden Betrages der Berechnung zu Grunde zu legen sei. Während das Bezirksgericht die erste Berechnungsart anwandte und gestützt darauf (für eine Invalidität von 55%) Fr. 8866.10 zusprach, zog das Obergericht die zweite Methode vor, konnte aber mangels Berufung der Klägerin nicht mehr als jenes zusprechen.
Es ist jedoch dem Bezirksgericht zuzustimmen. Unter dem "sechsfachen Jahreslohn" muss der effektiv im massgebenden Jahre bezogene Lohnbetrag, nicht ein bei Annahme ganzjähriger Arbeit durch Verzwölffachung des Monatslohnes sich ergebender, hypothetischer Jahresverdienst verstanden werden. Die Versicherung bezieht ihre Prozentprämie ja auch nur von der effektiven Lohnsumme, nicht von jener supponierten. So wird, nach dem von der Beklagten vor der Vorinstanz eingelegten Berichte der SUVAL, bei dieser als Jahreslohn bei Saisonanstellung grundsätzlich der in der Arbeitszeit effektiv verdiente Nettolohn als massgebend angenommen. Wenn demgegenüber die Vorinstanz "den mutmasslichen Willen der Parteien bei der Wahl dieser Regelung" zu ergründen sucht, so handelt es sich dabei um blosse Vermutungen, nicht Feststellungen, die zudem wenig plausibel erscheinen. Insbesondere leuchtet die Überlegung, die vorbildliche Art, wie die Firma Grieder & Cie. für die Versicherung ihres Personals gegen Unfälle sorgte, verbiete die Annahme, sie habe die nicht ganzjährig, aber während der Saison voll beschäftigten Angestellten hinsichtlich der Höhe des Versicherungsschutzes zurücksetzen wollen, nicht ein. Von einer Zurücksetzung kann nicht die Rede sein, wenn der Angestellte, der nur einen Teil des Jahres bei der Firma zu arbeiten pflegt, für Unfallinvalidität nicht so viel erhält
BGE 80 II 338 S. 347
wie der ganzjährig beschäftigte. Vollends ist der Hinweis darauf, dass auch die Tätigkeit einer Hausfrau einen wirtschaftlichen Wert aufweise, dessen Ausfall durch Versicherung zu decken sei, verfehlt; denn die Arbeitsfähigkeit der Klägerin als Hausfrau war zweifellos durch die Police der Firma Grieder & Cie. nicht versichert, sondern nur, was sie bei dieser verdiente. Für die Auffassung der Vorinstanz scheint einzig zunächst zu sprechen, dass sich ein Widerspruch zu der Bestimmung ergäbe, wonach bei vorübergehender Arbeitsunfähigkeit der volle durchschnittliche Taglohn während der ärztlichen Behandlung, längstens jedoch für die Dauer eines Jahres, ausgerichtet werde. Allein es ist keineswegs gesagt, dass diese offensichtlich auf ständige Arbeitsverhältnisse zugeschnittene Bestimmung auch für blosse Saisonangestellte ohne weiteres anwendbar wäre, oder nicht vielmehr die Taglohnausrichtung durch den üblichen Saisonschluss begrenzt würde. Auch liesse sich eine unterschiedliche Behandlung eines Taggeldes während vorübergehender Arbeitsunfähigkeit und der Entschädigung für Dauerinvalidität unschwer rechtfertigen. Es ist mithin in Zustimmung zum Bezirksgericht von einem Jahresverdienst von Fr. 2686.70 und einem Sechsfachen davon = Fr. 16'120.20 auszugehen.
Die Bezifferung des Invaliditätsgrades auf 45% (gemäss Nachtragsgutachten Prof. Francillon) durch die Vorinstanz ist eine für das Bundesgericht verbindliche tatsächliche Feststellung.
Somit beträgt die der Klägerin zukommende Invaliditätsentschädigung Fr. 7254.10.
4.
(Heilungskosten)....
Dispositiv
Demnach erkennt das Bundesgericht:
Die Berufung wird teilweise gutgeheissen dahin, dass das angefochtene Urteil aufgehoben und die Beklagte verpflichtet wird, der Klägerin noch Fr. 6365.05 nebst 5% Zins seit 15. Dezember 1949 zu bezahlen. | public_law | nan | de | 1,954 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
7c0a4b36-f03f-4a69-9213-73f70d0c0238 | Urteilskopf
125 IV 206
32. Extrait de l'arrêt de la Cour de cassation pénale du 10 août 1999 dans la cause Ligue Internationale contre le Racisme et l'Antisémitisme et cons. et Ministère public du canton de Vaud contre X. (pourvois en nullité) | Regeste
Art. 270 Abs. 1 BStP
und
Art. 261bis StGB
.
Beschwerdelegitimation von Verbänden und Einzelpersonen bei Rassendiskriminierung (E. 2).
Art. 261bis Abs. 4 StGB
und
Art. 27 StGB
.
Da
Art. 261bis Abs. 4 StGB
selbst die öffentliche Kundgabe von diskriminierenden Äusserungen und Darstellungen unter Strafe stellt, ist
Art. 27 StGB
in diesem Zusammenhang nicht anwendbar (E. 3). | Sachverhalt
ab Seite 206
BGE 125 IV 206 S. 206
A.-
a) Au début de l'année 1996, l'intellectuel français Roger Garaudy, a publié - prétendument à compte d'auteur et sous l'adresse de "Samizdat Roger Garaudy" - un nouvel ouvrage, intitulé "Les Mythes Fondateurs de la politique israélienne", qui s'annonce comme une dénonciation de l'"hérésie du sionisme politique" et de la politique actuelle d'Israël. La seconde partie de cet ouvrage, qui traite des mythes du XXe siècle, comporte notamment deux chapitres, intitulés "Le mythe de la justice de Nüremberg" et "Le mythe des "six millions" (l'Holocauste)." En substance, Garaudy conteste toute légitimité au jugement rendu contre les principaux dignitaires nazis à Nüremberg, par ce qu'il estime être un tribunal de vainqueurs et non un véritable tribunal international. Dans la foulée, il dénie toute force probante aux constatations de ce tribunal. Il met notamment en doute qu'un ordre d'extermination systématique des Juifs ait été donné par les instances supérieures nazies et même qu'il ait
BGE 125 IV 206 S. 207
existé une politique nazie d'extermination délibérée des Juifs, que les nazis aient eu recours à des chambres à gaz homicides et que les fours crématoires installés dans les camps de concentration aient été un élément de l'extermination planifiée des Juifs, que le nombre des victimes juives de la Seconde Guerre mondiale ait été de six millions ou d'un chiffre avoisinant et que les Juifs aient été victimes d'un génocide pendant ce conflit.
Une grande partie des affirmations de Garaudy rejoint celles régulièrement développées depuis plusieurs décennies par de prétendus chercheurs ou historiens, habituellement appelés négationistes ou révisionnistes, qui tendent en substance à contester l'existence ou l'ampleur de l'extermination délibérée des Juifs par le IIIe Reich ou à mettre en doute certains épisodes particulièrement tragiques de cette extermination. Il a d'ailleurs pu être établi que Garaudy avait des liens avec un groupe actif de révisionnistes dirigé par un dénommé Z.
Responsable de la maison d'édition "La Vieille Taupe", spécialisée dans l'édition ou la réédition d'ouvrages révisionnistes, Z. publie aussi une revue périodique, également intitulée "La Vieille Taupe." Avant son édition publique, prétendument à compte d'auteur, l'ouvrage de Garaudy a fait l'objet d'une prépublication sous forme d'un numéro de la revue précitée.
b) Né en 1933, X., qui est au bénéfice d'une rente AI, exerce accessoirement une petite activité indépendante en exploitant une librairie de livres neufs et d'occasion, la "Libre R", installée à Montreux à l'époque des faits.
Etant abonné à "La Vieille Taupe", X., qui connaît au demeurant Z. et ses amis, a reçu et lu le numéro de cette revue consacré au livre de Garaudy et a décidé de distribuer ce livre en Suisse. Il a dès lors fait l'acquisition, auprès de "La Vieille Taupe", d'un peu plus de deux cents exemplaires de l'édition publique du livre, en a pris livraison à Pontarlier, les a importés en Suisse et les a stockés dans sa librairie à Montreux. Il a alors rédigé lui-même un feuillet publicitaire, comportant d'un côté une photocopie de la couverture des "Mythes fondateurs de la politique israélienne" et, de l'autre côté, d'une part (sur la moitié droite de la page) un bon de commande, avec l'adresse de sa librairie, d'autre part (sur la moitié gauche) un texte concocté par lui et ainsi libellé:
BGE 125 IV 206 S. 208
"LIBRE R COMMUNIQUE
Après avoir, pendant plus d'un demi-siècle, publié plus de 50 ouvrages chez les plus grands éditeurs français traduits en 27 langues, et son oeuvre ayant suscité plus de 25 thèses et études, Roger Garaudy, né en 1913, ancien déporté des camps de concentration du IIIème Reich, se trouve contraint, aujourd'hui, de publier son dernier livre à compte d'auteur.
Il s'agit là de l'exemple le plus incroyable, mais surtout le plus significatif du règne de la "pensée" unique, autrement dit du mensonge institutionnalisé, défendue en France comme en Suisse par une législation répressive, qui restaure le délit d'opinion, suppléant ainsi à la carence des arguments.
Cet ouvrage n'est donc pas disponible sur le marché du livre. Comme Libre R entend continuer à faire son métier au service de la liberté d'expression, nous avons pris la décision de diffuser ce "samizdat" en Suisse. Nous sommes en mesure de vous le proposer au prix de Fr. 40.-- l'exemplaire, franco de port.
Il vous est possible, soit de nous le commander, au moyen du bon de commande ci-joint, soit de l'acheter à notre librairie, ouverte tous les jours de 10h à 18h30 (samedi 17h).
"La vérité est en marche et rien ne l'arrêtera." Roger Garaudy, Les mythes fondateurs de la politique israélienne, page 12."
X. a diffusé ce feuillet dans le public. En particulier, il a obtenu qu'il soit annexé au numéro 379, de mai 1996, du "Courrier du Continent", un périodique sous-titré "Bulletin du nouvel ordre européen", dont le rédacteur responsable est A., de tendance ouvertement révisionniste, voire néo-nazie, et qui fait actuellement l'objet de poursuites pénales sous l'inculpation de discrimination raciale.
De mars à juin 1996, X., qui a aussi inséré dans des journaux des annonces signalant que "Les Mythes fondateurs de la politique israélienne" étaient en vente chez lui, a écoulé la plus grande partie des ouvrages de Garaudy qu'il avait acquis. Certains lui ont été commandés par des particuliers ou ont été achetés par des clients venus directement dans sa boutique. D'autres, plus nombreux, lui ont été commandés par des librairies.
c) Le 23 mai 1996, la Section suisse de la Ligue Internationale contre le Racisme et l'Antisémitisme (LICRA) a déposé plainte pénale, laquelle a été suivie ultérieurement d'autres plaintes, déposées respectivement par la Fédération Suisse des Communautés Israélites et Y. ainsi que l'Association des Fils et Filles des Déportés Juifs de France.
Une instruction pénale a été ouverte, dans le cadre de laquelle une perquisition a été opérée dans la librairie de X.; elle a révélé
BGE 125 IV 206 S. 209
que celui-ci proposait à la vente, outre le livre de Garaudy, d'autres ouvrages révisionnistes, qui, tous, par leur contenu, nient ou minimisent grossièrement le génocide dont ont été victimes les Juifs pendant la Seconde Guerre mondiale sur ordre du régime hitlérien.
Au terme de l'instruction, X. a été renvoyé en jugement sous l'accusation de discrimination raciale au sens de l'
art. 261bis al. 4 CP
.
B.-
Par jugement du 8 décembre 1997, le Tribunal correctionnel du district de Vevey a condamné X., pour discrimination raciale, à la peine de quatre mois d'emprisonnement avec sursis pendant deux ans. Il a considéré, en bref, que les conditions tant objectives que subjectives de l'
art. 261bis al. 4 CP
étaient réalisées, excluant l'application de l'
art. 27 CP
- dans sa teneur alors en vigueur - à l'infraction retenue.
Le recours interjeté par X. contre ce jugement a été admis par arrêt de la Cour de cassation pénale du Tribunal cantonal vaudois du 8 juin 1998. La cour cantonale a estimé, en résumé, que, contrairement à ce qu'avaient admis les premiers juges, l'
art. 27 CP
s'appliquait à l'infraction prévue à l'
art. 261bis al. 4 CP
et que, l'auteur du livre ayant été condamné à l'étranger, toutes les personnes qui n'assumaient qu'une responsabilité subsidiaire à celle de l'auteur échappaient à la répression, à plus forte raison un vendeur que l'
art. 27 CP
ne mentionne pas; elle a dès lors libéré l'accusé de l'infraction retenue en première instance.
C.-
La LICRA, la Fédération Suisse des Communautés Israélites et Y., l'Association des Fils et Filles des Déportés Juifs de France ainsi que le Ministère public du canton de Vaud se pourvoient en nullité au Tribunal fédéral. Invoquant une violation des
art. 27 et 261bis CP
, ils concluent à l'annulation de l'arrêt attaqué et au renvoi de la cause à l'autorité cantonale pour nouvelle décision.
L'intimé conclut au rejet des pourvois, en sollicitant l'assistance judiciaire.
Le Tribunal fédéral a admis le pourvoi du Ministère public et déclaré irrecevables les autres pourvois.
Erwägungen
Extrait des considérants:
1.
Les pourvois, qui contiennent pour l'essentiel les mêmes griefs, sont dirigés contre la même décision. Il se justifie donc de les réunir et de les traiter dans un seul et même arrêt.
BGE 125 IV 206 S. 210
2.
a) Selon l'
art. 270 al. 1 PPF
, le lésé peut se pourvoir en nullité s'il était déjà partie à la procédure auparavant et dans la mesure où la sentence peut avoir des effets sur le jugement de ses prétentions civiles. Est lésé au sens de cette disposition celui qui subit directement un dommage à raison de l'acte dénoncé ou dont le dommage est directement menacé d'être augmenté par cet acte; en règle générale, il s'agit du titulaire du bien juridique protégé par la disposition légale à laquelle il a été contrevenu (
ATF 120 IV 154
consid. 3c/cc p. 159). Exceptionnellement, ont en outre qualité pour se pourvoir en nullité les associations professionnelles et économiques ainsi que les organisations de consommateurs dans le domaine de la concurrence déloyale (
art. 10 LCD
, RS 241;
ATF 120 IV 154
consid. 3c/cc p. 159). Une telle réglementation n'existe pas en matière de discrimination raciale au sens de l'
art. 261bis CP
. Les trois associations recourantes n'ont donc pas qualité pour se pourvoir en nullité, de sorte que leurs pourvois sont irrecevables.
b) Pour autant que - sous réserve de rares exceptions - une personne puisse être lésée à titre individuel en raison de l'infraction en cause, le recourant Y. n'a déclaré se pourvoir en nullité que "très subsidiairement" en son propre nom et n'a motivé son pourvoi que pour le compte de l'association qu'il représente; il est donc douteux que le pourvoi soit suffisamment motivé dans la mesure où le recourant agit en son propre nom. Quoi qu'il en soit, le recourant ne démontre en aucune manière qu'il remplirait personnellement les conditions auxquelles un lésé peut se pourvoir en nullité (cf.
ATF 125 IV 109
consid. 1b p. 111;
ATF 123 IV 254
consid. 1 p. 256). Au demeurant, la décision attaquée libère l'intimé sur la base de l'
art. 27 CP
, de sorte qu'elle ne pourrait influencer négativement des prétentions civiles du recourant, qui n'invoque aucune violation de son droit de plainte découlant du droit fédéral (cf.
ATF 124 IV 188
consid. 1b/bb et 1c p. 191 s.). Le pourvoi de Y. est par conséquent également irrecevable.
c) S'agissant en revanche du Ministère public, il a incontestablement qualité pour se pourvoir en nullité (cf.
art. 270 al. 1 PPF
), de sorte qu'il y a lieu d'entrer en matière sur son pourvoi.
3.
Le Ministère public reproche à la cour cantonale d'avoir admis que l'
art. 27 CP
s'applique à l'infraction réprimée par l'
art. 261bis al. 4 CP
et d'avoir ainsi exclu cette infraction.
a) Un nouvel
art. 27 CP
est entré en vigueur le 1er avril 1998. Comme tant l'ancien que le nouvel
art. 27 CP
prévoient le principe d'un régime spécial de responsabilité en matière de délits de presse et qu'il s'agit avant tout d'examiner
BGE 125 IV 206 S. 211
si l'infraction en cause est soumise à ce régime, on peut se dispenser à ce stade d'examiner la question du droit le plus favorable à l'intimé.
b) Pour que l'art. 27 (ancien ou nouveau) CP soit applicable, il faut que l'infraction en cause constitue un délit de presse, c'est-à-dire qu'elle ait été commise par la voie de la presse et consommée par la publication.
En l'espèce, il est essentiellement reproché à l'intimé d'avoir diffusé des livres à contenu discriminatoire au sens de l'
art. 261bis al. 4 CP
. S'agissant d'écrits publiés, il n'est pas douteux que la première de ces conditions, soit la commission par la voie de la presse, est réalisée.
Pour ce qui est de la seconde condition, sa réalisation suppose que la publication elle-même suffise à consommer juridiquement l'infraction. Ainsi, l'
art. 27 CP
ne saurait notamment s'appliquer à l'escroquerie (
art. 146 CP
), au chantage (
art. 156 CP
) ou à la contrainte (
art. 181 CP
), dès lors que la consommation de ces infractions suppose que le comportement délictueux ait exercé un certain effet sur la victime (celle-ci doit avoir été dupée, intimidée, etc.). En revanche, la jurisprudence a notamment admis la réalisation de cette condition dans le cas des atteintes à l'honneur (cf.
ATF 122 IV 311
ss;
ATF 118 IV 153
consid. 4 p. 160 ss;
ATF 117 IV 27
consid. 2c p. 29;
ATF 106 IV 161
consid. 3 p. 164 s.;
ATF 105 IV 114
consid. 2a p. 118 s.), de la provocation et incitation à la violation de devoirs militaires au sens de l'
art. 276 ch. 1 CP
(cf.
ATF 100 IV 5
ss) et de l'infraction réprimée par l'
art. 3 LCD
(cf.
ATF 117 IV 364
consid. 2b p. 365). S'agissant de l'infraction réprimée par l'
art. 261bis al. 4 CP
, il y a également lieu d'admettre que cette condition est remplie; l'infraction est en effet consommée dès que l'auteur, publiquement et d'une quelconque manière, abaisse ou discrimine d'une façon qui porte atteinte à la dignité humaine une personne ou un groupe de personnes pour l'un des motifs mentionnés par cette disposition, ou, pour l'un de ces motifs, nie, minimise grossièrement ou cherche à justifier un génocide ou d'autres crimes contre l'humanité.
c) La réalisation des deux conditions précitées, si elle est nécessaire, ne suffit cependant pas toujours pour que l'
art. 27 CP
soit applicable. Encore faut-il que l'application de cette disposition à une infraction déterminée n'aboutisse pas à un résultat contraire au but que poursuivait le législateur en réprimant cette infraction. Lorsqu'une disposition pénale a précisément pour but d'empêcher la publication de certains propos ou représentations, autrement dit
BGE 125 IV 206 S. 212
d'interdire des publications illicites, mettre les responsables de telles publications au bénéfice d'un régime spécial reviendrait à s'écarter du but poursuivi par le législateur. Ainsi, les
art. 135 et 197 ch. 3 CP
ont été édictés en vue d'interdire, aussi en sanctionnant divers comportements qui y aboutissent, la publication de représentations de la violence et de pornographie dure; accorder un traitement privilégié aux responsables de publications de représentations de la violence ou de pornographie dure serait dès lors en contradiction avec le but que poursuivait le législateur lorsqu'il a édicté les
art. 135 et 197 ch. 3 CP
; de surcroît, si l'on voulait admettre que l'
art. 27 CP
est applicable aux responsables de telles publications, on aboutirait au résultat que ceux-ci pourraient être mieux traités que les auteurs d'actes précédant la publication elle-même (la fabrication, l'importation, la prise en dépôt, etc.). C'est d'ailleurs ce qui a conduit certains auteurs de doctrine à écarter l'application de l'
art. 27 CP
à ces infractions (cf. SCHULTZ, Die unerlaubte Veröffentlichung - ein Pressedelikt? RPS 109/1991 p. 273 ss, 278; TRECHSEL, Kurzkommentar, 2ème éd. Zurich 1997, art. 27 no 4).
Ce qui vient d'être dit pour les infractions sanctionnées par les
art. 135 et 197 ch. 3 CP
vaut également pour celle qui est réprimée par l'
art. 261bis al. 4 CP
. Cette disposition vise en effet précisément à interdire, en réprimant les comportements qu'elle décrits, la manifestation publique de propos ou représentations discriminatoires. Admettre l'application de l'
art. 27 CP
à cette infraction serait donc contraire au but que poursuivait le législateur en édictant l'
art. 261bis al. 4 CP
.
d) Au vu de ce qui précède, c'est à tort que la cour cantonale a admis l'application de l'
art. 27 CP
à l'infraction en cause. Le pourvoi du Ministère public est donc fondé et doit dès lors être admis. En conséquence, l'arrêt attaqué doit être annulé et la cause renvoyée à l'autorité cantonale pour qu'elle statue à nouveau. | null | nan | fr | 1,999 | CH_BGE | CH_BGE_006 | CH | Federation |
7c0f0657-0f89-4d2c-a9d3-4a6cc1107b41 | Urteilskopf
103 V 83
22. Urteil vom 26. Mai 1977 i.S. Schweizerische Unfallversicherungsanstalt gegen F. und Versicherungsgericht des Kantons St. Gallen | Regeste
Art. 82 Abs. 1 KUVG
.
- Keine Beschränkung der Abfindung ausschliesslich auf Neurosefälle.
- Wiedererlangung der Erwerbsfähigkeit ist gesetzliche Voraussetzung der Abfindung.
- Zur Annahme, dass der Neurotiker die Erwerbsfähigkeit nicht wieder erlangen werde, bedarf es einer ganz eindeutigen, allgemein geltender Lehrmeinung entsprechender Aussage eines Psychiaters. | Sachverhalt
ab Seite 83
BGE 103 V 83 S. 83
A.-
Am 15. Dezember 1972 erlitt F. einen Betriebsunfall, indem eines der Grossflächen-Schalungselemente beim Abladen auf einem Bauplatz auf ihn stürzte. Dabei erlitt er eine Oberkiefer-Jochbein-Fraktur und eine Felsenbeinlängsfraktur, verschiedene Rissquetschwunden im Gesicht, eine Luxationsfraktur des linken Oberarmes und eine Läsion des Fazialisstirnastes links. Während Dr. M. eine Commotio cerebri verneinte, ergab die Untersuchung im Krankenhaus G., Wo der Versicherte unmittelbar nach dem Unfall eingeliefert
BGE 103 V 83 S. 84
worden war, keinen Anhaltspunkt für eine Commotio (Arztberichte vom 21. Dezember 1972 und 3. Januar 1973).
Auf Grund seiner Untersuchung vom 21. Mai 1973 veranlasste der SUVA-Kreisarzt, der ein erhebliches psychoorganisches Syndrom vermutete, eine psychiatrische Abklärung durch Dr. R. Dieser stellte die Diagnose einer schweren hysterischen Unfallneurose bei debilem Hilfsarbeiter mit simulatorischen und gewissen Begehrens-Tendenzen, Der Arzt vertrat die Auffassung, dass der Versicherte veranlasst werden sollte, halbtags leichtere Arbeit zu verrichten; nachher sollte die Leistung sukzessive gesteigert werden (Gutachten vom 5. Juli 1973). Am 19. Juli 1973 nahm F. seine Tätigkeit bei der frühern Arbeitgeberfirma wieder auf. Seine Leistungen waren unterschiedlich und lagen, nach den Erhebungen der SUVA an Ort und Stelle, eher unter 50%.
Mit Verfügung vom 28. Januar 1974 sprach die SUVA dem Versicherten eine am 17. November 1973 beginnende Rente wegen 35%iger Invalidität zu.
B.-
Am 5. Februar 1974 teilte der Arbeitgeber der SUVA mit, F. habe von Mitte November bis Ende 1973 praktisch nicht gearbeitet. Seit Januar arbeite er 4-6 Stunden täglich, doch sei das Ergebnis so dürftig, dass die Lohnzahlung einem Geschenk gleichkomme. Der Versicherte klage ständig über Kopfschmerzen und andere Beschwerden. Darauf liess ihn die SUVA nochmals neuropsychiatrisch begutachten. Der Experte Dr. P., Chefarzt der kantonalen Heilanstalt W., diagnostizierte eine "schwere hysterische Unfallreaktion (fast im Sinne einer hysterischen Psychose) nach erheblichem Schädelunfall, vermutlich Contusio cerebri (15. Dezember 1972), ohne nennenswerte neurologische Folgen, jedoch mit groteskem Fehlverhalten und Pseudodemenz; bei der massiven hysterischen Symptomatik könnten allenfalls gewisse hirnorganische Schädigungen vorliegen, vor allem organische Wesensveränderung". Der Versicherte habe sich in seine psychische Fehlhaltung schon völlig eingelebt. Der Unfall sei keine adäquate Ursache für die schwere seelische Fehlentwicklung. Dr. P. empfahl, den Fall auf der Basis hälftiger Arbeitsfähigkeit während drei Jahren mit einer Abfindung zu erledigen.
Die SUVA hob in der Folge die Invalidenrente auf den 1. Juli 1974 auf und gewährte F. gleichzeitig eine dem Vorschlag von Dr. P. entsprechende Abfindung. Sie begründete
BGE 103 V 83 S. 85
dies damit, dass keine organischen Schädigungen mehr vorhanden seien, welche die Arbeitsfähigkeit messbar beeinträchtigen würden (Verfügung vom 2. Juli 1974).
C.-
Der Arbeitgeber hielt die Abfindung für "völlig indiskutabel" und riet F., die Abfindungszahlung nicht anzunehmen. Der Versicherte sei wegen seiner geringen Leistung für den Betrieb nicht mehr tragbar (Brief an die SUVA vom 3. Juli 1974). Rechtsanwalt Dr. X. ersuchte die SUVA, F. stationär begutachten zu lassen. Die SUVA kam diesem Begehren nach und beauftragte Dr. G., Chefarzt der Kantonalen neuropsychiatrischen Klinik in M., mit der entsprechenden Untersuchung. Zu diesem Zweck hielt sich der Versicherte vom 17. Oktober bis 22. Dezember 1974 in der genannten Klinik auf. Dr. G. verneinte das Vorliegen eines eigentlichen psychoorganischen Syndroms und schrieb das Verhalten des F. einer Psychoneurose als Folge und Komplikation des Unfallereignisses zu (Gutachten vom 14. Januar 1975).
Gestützt auf dieses Gutachten teilte die SUVA am 27. Januar 1975 dem Rechtsvertreter des Versicherten verfügungsweise mit, dass sie an der Abfindung, wie sie in ihrem Verwaltungsakt vom 2. Juli 1974 verfügt worden sei, grundsätzlich festhalte. Hingegen lege sie der Berechnung der Abfindung eine medizinische Invalidität von 100%, 75% und 50% für je ein Jahr zugrunde. Damit erhöhe sich die Abfindungssumme auf Fr. 37'000.--.
D.-
F. liess am 23. Juli 1975 beim Versicherungsgericht des Kantons St. Gallen "Anfechtungsklage" erheben, indem er die Aufhebung der Verfügung vom 2. Juli 1974 bzw. 27. Januar 1975 verlangte und die Gewährung einer Rente wegen vollständiger Invalidität beantragte.
Das kantonale Versicherungsgericht stellte zunächst fest, dass die "Klage" gegen die Verfügung vom 2. Juli 1974, weil nach Ablauf der sechsmonatigen Rechtsmittelfrist eingereicht, eindeutig verspätet sei. Indessen sei an die Stelle jener Verfügung diejenige vom 27. Januar 1975 getreten, welche das ganze Streitthema umfasse. Im allgemeinen sei es zwar der SUVA nicht gestattet, auf eine "klagefähige" Verfügung während der Rechtsmittelfrist zurückzukommen. Wegen der Besonderheit des vorliegenden Falles sei aber die Verfügung vom 27. Januar 1975 zulässig gewesen. Auf die "Klage" sei daher einzutreten, soweit sie sich gegen die Verfügung vom 27. Januar
BGE 103 V 83 S. 86
1975 richte. - In materieller Hinsicht vertrat die Vorinstanz die Auffassung, dass die Psychoneurose rein unfallbedingt sei, weshalb die SUVA grundsätzlich voll dafür einzustehen habe. Indessen könne die Leistungseinbusse nicht durch eine Abfindung abgegolten werden, weil nicht anzunehmen sei, dass der Versicherte nach Erledigung seiner Versicherungsansprüche wieder erwerbsfähig würde. Offenbar realisiere er überhaupt nicht, welche Bewandtnis es mit der Unfallversicherung habe. Er sei vorwiegend in Wahnideen verfangen, die mit der Versicherung nichts zu tun hätten. Demzufolge habe er weiterhin Anspruch auf eine Invalidenrente, die auf den 1. Juli 1974 neu festzusetzen sei. Der Versicherte sei vollständig erwerbsunfähig geblieben, was übrigens auch von der Invalidenversicherungs-Kommission anerkannt worden sei. Vorbehalten bleibe die Revision gemäss
Art. 80 KUVG
und allenfalls die Herabsetzung der Rente gemäss
Art. 45 IVG
. In diesem Sinn hiess das kantonale Versicherungsgericht am 5. Februar 1976 die "Klage" gut ...
E.-
Die SUVA führt Verwaltungsgerichtsbeschwerde mit dem Antrag auf Wiederherstellung ihrer Verfügungen vom 2. Juli 1974 bzw. 27. Januar 1975.
Für F. trägt dessen Rechtsvertreter auf Abweisung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde an ... Zur Begründung wird im wesentlichen erneut die Meinung vertreten, der Beschwerdegegner werde auch nach Erledigung seiner Versicherungsansprüche die Erwerbsfähigkeit nicht wieder erlangen, weshalb die Voraussetzungen zur Gewährung einer Abfindung nicht erfüllt seien.
Erwägungen
Das Eidg. Versicherungsgericht zieht in Erwägung:
1.
Wenn von der Fortsetzung der ärztlichen Behandlung eine namhafte Besserung des Gesundheitszustandes des Versicherten nicht erwartet werden kann und der Unfall eine voraussichtlich bleibende Erwerbsunfähigkeit hinterlässt, so hören die bisherigen Leistungen auf und der Versicherte erhält eine Invalidenrente (
Art. 76 KUVG
).
Wenn von der Fortsetzung der ärztlichen Behandlung eine namhafte Besserung des Gesundheitszustandes nicht erwartet werden kann, jedoch die Annahme begründet ist, dass der Versicherte nach Erledigung seiner Versicherungsansprüche
BGE 103 V 83 S. 87
und bei Wiederaufnahme der Arbeit die Erwerbsfähigkeit wieder erlangen werde, so hören die bisherigen Leistungen auf, und der Versicherte erhält statt einer Rente eine Abfindung (
Art. 82 Abs. 1 KUVG
). Diese Bestimmung ist insbesondere auf Versicherte anwendbar, die sich von den somatischen Unfallfolgen erholt haben, aber durch psychogene Störungen von der Wiederaufnahme der Erwerbstätigkeit abgehalten werden. In solchen Fällen soll die Abfindung den Verunfallten von der Versicherung lösen und ihm eine schrittweise Wiedergewöhnung an seine Arbeit ermöglichen (
BGE 100 V 17
, EVGE 1960 S. 265 f., 1951 S. 8, 1950 S. 82, RSKV 1976 S. 37, unveröffentlichte Urteile vom 3. Februar 1976 i.S. Rapuano, vom 8. Januar 1974 i.S. De Girolamo und vom 23. Mai 1972 i.S. Wasmer). Nach der zitierten Rechtsprechung haftet die SUVA nur für die Unfall- und Behandlungsneurosen. Dagegen sind die Renten- oder Begehrungsneurosen von der Versicherung ausgeschlossen, weil es hier an einem rechtserheblichen Kausalzusammenhang zwischen diesen Störungen und dem Unfall fehlt (
BGE 100 V 18
, EVGE 1960 S. 260 und 1950 S. 77, RSKV 1976 S. 36, unveröffentlichte Urteile i.S. Rapuano und vom 6. September 1973 i.S. Perilli sowie vom 24. August 1971 i.S. Parisenti; vgl. MAURER, Recht und Praxis der Schweizerischen obligatorischen Unfallversicherung, 2. Aufl., S. 255 f.).
2.
Die Vorinstanz nimmt - im Wesentlichen in Übereinstimmung mit dem Beschwerdegegner - anhand der medizinischen Unterlagen an, dass F. an einer unfallbedingten, die volle Haftung der SUVA begründenden Psychoneurose leide, die seine Erwerbsfähigkeit beeinträchtige. Sie hält aber dafür, dass der Fall nicht mit einer Abfindung abgeschlossen werden dürfe, weil im Sinne des Wahrscheinlichkeitsbeweises die Annahme nicht begründet sei, dass der Beschwerdegegner nach Erledigung seiner Versicherungsansprüche bei Wiederaufnahme der Arbeit die Erwerbsfähigkeit wieder erlangen werde. Demgegenüber macht die SUVA geltend,
Art. 82 KUVG
sei nicht dem Wortlaut, wohl aber dem Sinne nach eine Speziallösung für Neurosen, "basierend auf der Vorstellung, dass die Abfindung die Neurose automatisch verschwinden lässt"; es sei deshalb "den das Gesetz Anwendenden grundsätzlich verwehrt, sich auf den Standpunkt zu stellen, vom Gesetzeswortlaut her sei die Wiedererlangung der Erwerbsfähigkeit eine
BGE 103 V 83 S. 88
weitere Voraussetzung zur Abfindung, und bei Zweifeln in dieser Richtung auf Rente zu erkennen". Unabhängig von dieser Prognose müsse immer dort abgefunden werden, "wo eine abfindungswürdige Unfallneurose vorliegt".
Gewiss ist
Art. 82 KUVG
dem Sinne nach in erster Linie auf Neurosen zugeschnitten. Der Wortlaut dieser Bestimmung verlangt aber nicht, dass dies der einzige Anwendungsfall sei. Schon in seinem Urteil i.S. Schwab vom 19. November 1921 (zitiert bei LAUBER, Praxis des sozialen Unfallversicherungsrechts der Schweiz, S. 115) hat das Eidg. Versicherungsgericht erklärt: "Die Neurose, an welche bei Erlass dieser Gesetzesbestimmung hauptsächlich gedacht Wurde, ist zwar ihr wichtigster, aber nicht ihr einziger Anwendungsfall." MAURER (S. 261) verweist auf diesen Fall mit der Bemerkung, Art. 82 sei in der Praxis gelegentlich nicht nur auf Neurosen, sondern auch auf organische Leiden, z.B. auf Ekzeme, angewandt worden. In die gleiche Richtung weist das in RSKV 1976 S. 35 publizierte Urteil, wo erklärt wird, dass Art. 82 Abs. 1 vor allem ("anzitutto") die Fälle von Neurosen betreffe (S. 37). Jedenfalls besteht kein triftiger Grund dafür, diese Bestimmung zum vorneherein nur auf Neurosen anzuwenden, auch wenn sie "zur Hauptsache auf das ihm schon ursprünglich zugedachte Gebiet der Neurose beschränkt" bleibt (MAURER S. 262). Daher kann der SUVA nicht beigepflichtet werden, wenn sie meint, "der gesetzliche Hinweis" des Art. 82 auf die Wiedererlangung der Erwerbsfähigkeit nach Aufnahme der Arbeit bedeute nur, dass "nach KUVG die Abfindung die Therapie der Wahl für Neurosen darstellt", und er sei "blosser Ausfluss der Erfahrung, dass der Abfindung dieser Erfolg an sich schon eignet" mit der Wirkung, dass in der Wiedererlangung der Erwerbsfähigkeit keine selbständige Voraussetzung für die Zusprechung einer Abfindung erblickt werden dürfe. Vielmehr ist die begründete Annahme, der Versicherte werde nach Erledigung der Versicherungsansprüche und bei Wiederaufnahme der Arbeit die Erwerbsfähigkeit wieder erlangen, eine vom Gesetz verlangte Voraussetzung für den Abschluss eines Versicherungsfalles durch Abfindung.
Im häufigsten Anwendungsfall der Neurose ist erfahrungsgemäss die Abfindung in der Regel das geeignete therapeutische Mittel, um dem Versicherten zur Wiedererlangung der Erwerbsfähigkeit zu verhelfen. Eine Ausnahme von dieser
BGE 103 V 83 S. 89
Regel in dem Sinne, dass die Abfindung diesen Zweck nicht erreichen werde, dürfte nur angenommen werden, wenn sie im konkreten Fall durch eine ganz eindeutige, allgemein geltender Lehrmeinung entsprechende Beurteilung eines Psychiaters bestätigt würde.
3.
Es ist unbestritten, dass F. an einer Psychoneurose leidet, für welche der Betriebsunfall vom 15. Dezember 1972 adäquat kausal ist. Wenn der Experte Dr. P. in seinem Gutachten nebenbei bemerkt, natürlich sei der "Unfall vom 15. Dezember 1972 keine adäquate Ursache für diese schwere seelische Fehlentwicklung", so will er damit offensichtlich nur auf die Diskrepanz zwischen der relativ geringfügigen somatischen Ursache und der schweren seelischen Fehlverarbeitung hinweisen und nicht das Fehlen der adäquaten Kausalität im Rechtssinne feststellen, wozu ohnehin nicht der Arzt, sondern der Richter zuständig ist. Bezeichnenderweise legt denn auch Dr. P. in seinem Gutachten vorgängig der erwähnten Bemerkung dar, es liessen sich am jetzigen Zustandsbild keine eigentlichen unfallfremden Faktoren feststellen. Die Parteien stimmen auch darin überein, dass die weitere ärztliche Behandlung den Gesundheitszustand nicht namhaft bessern wird. Damit ist nach allgemeiner Erfahrung zu vermuten, der Beschwerdegegner werde nach der von Dr. P. vorgeschlagenen abfindungsmässigen Erledigung des Versicherungsfalles die Arbeit Wieder aufnehmen und seine Erwerbsfähigkeit wieder erlangen, sofern nicht das Ergebnis psychiatrischer Untersuchungen diese rechtliche Vermutung als unzutreffend erscheinen lässt.
Was das kantonale Versicherungsgericht anführt, um zu begründen, dass eine Abfindung den mit ihr verfolgten Zweck beim Beschwerdegegner nicht erreichen wird, ist nicht stichhaltig. Es beruft sich zunächst auf die Aussagen des Dr. med. W., der am 28. Juni 1975 der Invalidenversicherung berichtete, seit dem Unfall sei es nicht gelungen, dem Versicherten eine entsprechende Arbeit zuzuteilen, weshalb die Prognose schlecht sei. An eine Arbeitsaufnahme sei nicht zu denken. Auch hätten sich Schlaflosigkeit, Kopfweh und Wesensveränderung durch verschiedene Behandlungsversuche kaum beeinflussen lassen. Demgegenüber ist festzustellen, dass Dr. W. Allgemeinpraktiker und nicht Facharzt auf dem hier zur Diskussion stehenden medizinischen Spezialgebiet der
BGE 103 V 83 S. 90
Psychiatrie ist. Zudem stützt sich seine schlechte Prognose allein auf die bisher mit dem Beschwerdegegner gemachten Erfahrungen, während aber für die Anwendung von
Art. 82 KUVG
von der allgemeinen Erfahrung auszugehen ist, dass die Abfindung als solche künftig einen therapeutischen Effekt haben wird.
Die Vorinstanz stützt sich ferner auf den Bericht der Regionalstelle St. Gallen für berufliche Eingliederung vom 8. Juli 1974, worin auf Grund von Abklärungen am Arbeitsplatz und zuhause jegliche Eingliederungsmöglichkeit des Versicherten verneint wird. Aber auch diese Beurteilung beruht auf dem bisherigen Zustandsbild und lässt die therapeutische Wirkung einer Abfindung unberücksichtigt.
Ist somit nicht dargetan, dass sich im vorliegenden Fall ein Abweichen von der Regel, wonach bei Unfallneurosen die abfindungsmässige Erledigung den Versicherten zur Wiedererlangung der Erwerbsfähigkeit führen werde, rechtfertigt, so durfte die SUVA die Invalidenrente durch eine Abfindung ersetzen. Und da diese in masslicher Hinsicht, wie sie mit Verfügung vom 27. Januar 1975 festgesetzt wurde, nicht bestritten ist, hat es bei jenem Verwaltungsakt sein Bewenden.
Dispositiv
Demnach erkennt das Eidg. Versicherungsgericht:
Die Verwaltungsgerichtsbeschwerde wird gutgeheissen und der Entscheid des Versicherungsgerichts des Kantons St. Gallen vom 5. Februar 1976 aufgehoben. | null | nan | de | 1,977 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
7c11e208-dd83-4b40-98bb-d9597cd1aba9 | Urteilskopf
118 Ib 536
66. Urteil der II. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 9. Dezember 1992 i.S. Denner AG gegen Eidgenössisches Volkswirtschaftsdepartement (Verwaltungsgerichtsbeschwerde) | Regeste
Art. 23 Abs. 1 lit. c LwG
und Geflügelverordnung; Pflicht der Importeure zur Übernahme von inländischem Geflügel.
1. Gefährdung des Absatzes einheimischer Erzeugnisse als Voraussetzung für die Übernahmepflicht durch die Importeure; Verhältnis zwischen dem privatrechtlichen Vertrag von Importeuren und Geflügelproduzentenvereinigung einerseits sowie der Übernahmepflicht aufgrund der Geflügelverordnung anderseits (E. 2).
2. Gleichartigkeit zwischen dem eingeführten und dem geschützten bzw. zu übernehmenden Erzeugnis (E. 4).
3. Die Geflügelverordnung selbst verpflichtet nur zur Übernahme von Erzeugnissen aus landwirtschaftlicher Produktion. Problematik der indirekten Stützung der privatwirtschaftlichen Marktordnung, nach welcher bisher auch Geflügel aus gewerblich-industrieller Produktion übernommen wurde (E. 5). | Sachverhalt
ab Seite 537
BGE 118 Ib 536 S. 537
Die Denner AG ersuchte das Bundesamt für Aussenwirtschaft, Abteilung für Ein- und Ausfuhr, um eine Einfuhrbewilligung für 16'000 kg Geflügel (Putenschenkel). Dem Gesuch wurde nicht entsprochen. Zur Begründung wies die Abteilung für Ein- und Ausfuhr darauf hin, dass die Verordnung betreffend die Übernahme von inländischem Geflügel vom 22. März 1989 (Geflügelverordnung, SR 916.335) die Importeure verpflichte, inländisches Geflügel zu übernehmen. Einfuhrbewilligungen würden nur erteilt, wenn der Importeur entweder inländisches Geflügel aufgrund des Vertrages zwischen den schweizerischen Geflügelimporteuren und der Vereinigung SEG der schweizerischen Geflügelwirtschaft übernehme oder wenn er individuelle Übernahmeverträge mit bäuerlichen Geflügelmästereien abschliesse. Einen entsprechenden Nachweis habe die Denner AG nicht geleistet.
Eine Beschwerde, mit der die Denner AG die Rechtmässigkeit der Geflügelverordnung bestritten hatte, wurde vom Eidgenössischen Volkswirtschaftsdepartement abgewiesen.
Mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde an das Bundesgericht beantragt die Denner AG, der Entscheid des Eidgenössischen Volkswirtschaftsdepartements sei aufzuheben und es sei festzustellen, dass der Import von Puten (Truten) nicht beschränkt werden könne. Zur Begründung macht sie geltend, die Voraussetzungen für eine Beschränkung der Einfuhr im Sinne von Art. 23 Abs. 1 des Landwirtschaftsgesetzes vom 3. Oktober 1952 (LwG; SR 910.1) seien nicht gegeben. Es fehle bereits an einer Gefährdung des Absatzes einheimischer landwirtschaftlicher Erzeugnisse. Sodann nehme die Geflügelverordnung keine "Rücksicht auf die andern Wirtschaftszweige". Weiter seien Truten- und Pouletfleisch nicht gleichartige Erzeugnisse, weshalb eine mengenmässige Beschränkung des Trutenimportes zugunsten einheimischer Pouletfleischproduktion nicht zulässig sei. Schliesslich stammten die geschützten Erzeugnisse nicht aus bäuerlichen, sondern aus industriellen Betrieben, deren Absatz nicht auf Grundlage der Landwirtschaftsgesetzgebung gesichert werden dürfe.
BGE 118 Ib 536 S. 538
Das Bundesgericht weist die Verwaltungsgerichtsbeschwerde ab
Erwägungen
aus folgenden Erwägungen:
1.
Die Beschwerdeführerin macht nicht geltend, die Geflügelverordnung sei in ihrem Fall unzutreffend angewendet worden. Sie stellt vielmehr die Rechtmässigkeit der Verordnung selbst, auf der der angefochtene Entscheid beruht, in Frage.
Auf Verwaltungsgerichtsbeschwerde hin kann das Bundesgericht vorfrageweise Verordnungen des Bundesrats auf ihre Gesetzes- und Verfassungsmässigkeit prüfen. Bei unselbständigen Verordnungen, die sich auf eine gesetzliche Delegation stützen, prüft es, ob sich der Bundesrat an die Grenzen der ihm im Gesetz eingeräumten Befugnisse gehalten hat. Soweit das Gesetz den Bundesrat nicht ermächtigt, von der Verfassung abzuweichen, befindet das Gericht auch über die Verfassungsmässigkeit der unselbständigen Verordnung. Wird dem Bundesrat durch die gesetzliche Delegation ein sehr weiter Ermessensspielraum für die Regelung auf Verordnungsebene eingeräumt, so ist dieser Spielraum nach Art. 113 Abs. 3 und 114bis Abs. 3 BV für das Bundesgericht verbindlich; es darf in diesem Falle bei der Überprüfung der Verordnung nicht sein eigenes Ermessen an die Stelle desjenigen des Bundesrates setzen, sondern es beschränkt sich auf die Prüfung, ob die Verordnung den Rahmen der dem Bundesrat im Gesetz delegierten Kompetenzen offensichtlich sprengt oder aus andern Gründen gesetz- oder verfassungswidrig sei (
BGE 114 Ib 19
E. 2 mit Hinweisen).
Die Geflügelverordnung stützt sich im wesentlichen auf
Art. 23 Abs. 1 lit. c LwG
. Sofern danach der Absatz landwirtschaftlicher Erzeugnisse zu angemessenen Preisen gefährdet ist, kann der Bundesrat, unter Rücksichtnahme auf die andern Wirtschaftszweige, die Importeure zur Übernahme von gleichartigen Erzeugnissen inländischer Herkunft verpflichten. Die Beschwerdeführerin macht geltend, mit dem Erlass der Geflügelverordnung habe der Bundesrat in verschiedener Hinsicht die ihm durch das Gesetz übertragenen Befugnisse überschritten und er habe eine gesetzwidrige Regelung erlassen.
2.
a) Nach Meinung der Beschwerdeführerin fehlt es schon an einer Gefährdung des Absatzes einheimischer Erzeugnisse. Hiezu ist vorab festzuhalten, dass der Bundesrat auf eine Prognose angewiesen ist, wenn er darüber zu befinden hat, ob der Erlass von
BGE 118 Ib 536 S. 539
Einfuhrbeschränkungen erforderlich ist oder nicht. Eine solche Entscheidung beruht auf "prospektivem Ermessen". Das Bundesgericht hat insoweit nur zu überprüfen, ob der Befund des Bundesrates schlechterdings unhaltbar ist (
BGE 100 Ib 435
).
b) Erlass und Ausgestaltung der Geflügelverordnung erklären sich wesentlich aus den Strukturen des Geflügelimportes. Wie das Bundesgericht bereits in publizierten Urteilen vom 12. Dezember 1991 (
BGE 117 Ib 450
ff., 465 ff. und 469 ff.) festgestellt hat, liegt der Geflügelimportmarkt in den Händen zweier verschiedener Kategorien von Importeuren. Die ersteren, welche über einen Marktanteil von rund 90% verfügen, sind über einen privatrechtlichen Vertrag mit der Vereinigung SEG der schweizerischen Geflügelwirtschaft verbunden. Dieser Vertrag geht auf die 30er Jahre zurück. Er ist in abgeänderten Fassungen mehrfach erneuert worden, so insbesondere am 29. April 1981 und - neuestens - am 1. Mai 1991. Die Importeure übernehmen danach eine bestimmte Menge einheimischen Geflügels, welche sich nach dem jeweiligen Importanteil bemisst. Sie finanzieren den Geflügelausgleichsfonds, der dazu dient, den Preis des einheimischen Geflügels zu senken. Dem Vertrag angeschlossen ist auch der Migros-Genossenschafts-Bund, für den allerdings aufgrund seines ökonomischen Gewichts ein Spezialstatut geschaffen wurde. Danach wird ein spezieller, vom Migros-Genossenschafts-Bund gespiesener Ausgleichsfonds geführt, der das über die Migros-Tochter Optigal produzierte Geflügel verbilligen soll. Dieses Import- und Übernahmesystem des Migros-Genossenschafts-Bundes bleibt jedoch Teil der privatrechtlich geschaffenen Marktordnung.
Da diese Marktordnung auf rein vertraglicher Basis beruht, können die Importeure nicht gezwungen werden, sich daran zu beteiligen. Das hat, insbesondere in den letzten zehn Jahren, zur Bildung einer zweiten Kategorie von Importeuren geführt, die an der vertraglichen Regelung nicht beteiligt waren. Diese Importeure konnten vor Inkrafttreten der Geflügelverordnung am 31. März 1989 Geflügel frei einführen. Weil im Laufe der Jahre ein immer grösser werdender Teil von Aussenseitern nicht mehr bereit war, sich an der Speisung des Geflügelausgleichsfonds zu beteiligen, hat der Bundesrat mit der Geflügelverordnung eine Regelung getroffen, die auch die am privatrechtlichen Vertrag nicht beteiligten Importeure verpflichtet, einheimisches Geflügel zu übernehmen, und die die Erteilung von Einfuhrbewilligungen hievon abhängig macht (vgl. zu diesen Entstehungsgründen der Geflügelverordnung
BGE 117 Ib 452
E. 2, 471 E. 2).
BGE 118 Ib 536 S. 540
c) Dem Bundesrat ging es also darum, mit einer subsidiären Ordnung die privatwirtschaftliche Einfuhrregelung für jene Importeure zu ergänzen, die sich am Vertrag zwischen den schweizerischen Geflügelimporteuren und der Vereinigung SEG der schweizerischen Geflügelwirtschaft nicht beteiligen wollten oder konnten. Die vom Bundesrat gehegte Befürchtung lässt sich nicht von der Hand weisen, dass die bisher funktionierende Marktordnung zerstört würde, wenn sich einmal eine nicht mehr vernachlässigbare Zahl von Importeuren der privatrechtlichen Regelung entzieht und sich dadurch Wettbewerbsvorteile verschafft. Dieses Verhalten hat zwangsläufig eine Sogwirkung zur Folge, welcher nur durch staatliche Eingriffe Einhalt geboten werden kann. Es kommt daher nicht darauf an, ob die von der Beschwerdeführerin und weiteren Aussenseitern getätigten Importe selbst schon dazu führen würden, dass einheimische Erzeugnisse nicht mehr zu angemessenen Preisen abgesetzt werden können. Die Beschwerdeführerin kritisiert zu Unrecht, der Bundesrat habe eine "präventiv angelegte Massnahme" angeordnet. Der Bundesrat durfte im Rahmen des ihm zustehenden Ermessens vielmehr annehmen, die privatwirtschaftliche Marktordnung werde durch das Verhalten der Aussenseiter zusehends in Frage gestellt und als Folge davon werde im Ergebnis auch die Abräumung des einheimischen Marktes und der Absatz zu kostendeckenden Preisen gefährdet.
d) Im übrigen sind die Angaben der Beschwerdeführerin unzutreffend, wonach lediglich sie selbst und eine kleinere Importeurin der privatrechtlichen Marktordnung nicht beigetreten seien. Das Bundesgericht selbst hatte sich schon mit sechs Fällen zu befassen, auf die die Ersatzregelung der Geflügelverordnung anwendbar war (Urteile vom 12. Dezember 1991); das Bundesamt für Aussenwirtschaft weist überdies darauf hin, dass bereits 19 Unternehmungen individuelle Übernahmeverträge nach Art. 3 Abs. 7 Geflügelverordnung abgeschlossen haben.
3.
Die nach
Art. 23 LwG
zu ergreifenden Massnahmen müssen unter "Rücksichtnahme auf die andern Wirtschaftszweige" getroffen werden. Ob hiezu auch die Konsumenten gehören, wie die Beschwerdeführerin meint, kann offenbleiben (vgl.
BGE 99 Ib 169
). Einfuhrbeschränkungen sind zwangsläufig mit einer Verteuerung der Produkte verbunden. Die Rücksichtnahme auf die Konsumenten kann daher nicht so weit gehen, dass eine Verteuerung der Produkte generell zu vermeiden wäre. Es ist gerade der Sinn der vom Gesetzgeber vorgesehenen Einfuhrbeschränkungen, den Absatz einheimischer
BGE 118 Ib 536 S. 541
Erzeugnisse zu angemessenen Preisen sicherzustellen. Die damit verbundenen Preiserhöhungen sind nicht nur unvermeidlich, sondern gewollt.
Dem Bundesrat steht sodann ein weites Ermessen in der Frage zu, auf welche Weise er auf die andern Wirtschaftszweige Rücksicht nehmen will (
BGE 104 Ib 111
). Dass hiebei die angeblich besondere Situation der Lebensmitteldiscounter hätte beachtet werden müssen, lässt sich nicht nachvollziehen. Auch wenn die Beschwerdeführerin bestrebt ist, ihre Waren zu möglichst tiefen Preisen anzubieten, kann sie hiefür nicht Wettbewerbsvorteile in Anspruch nehmen, die daraus resultieren, dass ihre Konkurrenten sich am Geflügelausgleichsfonds beteiligen, während sie selbst frei von solchen Verpflichtungen Importe tätigen würde.
4.
Die Statuierung einer Übernahmepflicht setzt voraus, dass zwischen dem eingeführten und dem geschützten bzw. zu übernehmenden Erzeugnis Gleichartigkeit besteht. Die Beschwerdeführerin ist der Ansicht, solche Gleichartigkeit bestehe zwischen Truten- und Pouletfleisch nicht. Indessen ging es dem Bundesrat auch darum, die einheimische Trutenproduktion zu schützen. Truten zählen beim privatwirtschaftlichen Vertragswerk ebenfalls zu den übernahmepflichtigen Erzeugnissen, weshalb der Bundesrat mit denselben Gründen wie beim Poulet von einer Gefährdung ausgehen und eine Ersatzregelung für die nicht angeschlossenen Importeure treffen konnte.
Abgesehen davon ist festzuhalten, dass
Art. 23 Abs. 1 LwG
nicht Gleichheit, sondern Gleichartigkeit der Erzeugnisse verlangt. Der Begriff der Gleichartigkeit ist vom Gesetz nicht näher umschrieben worden, vielmehr ist diese Aufgabe bewusst dem Bundesrat überlassen worden, dem je nach der Veränderung der wirtschaftlichen Verhältnisse ein weiter Spielraum zukommen sollte (Sten.Bull. 1951 N. 57 f., Votum des Kommissionspräsidenten Obrecht). Wenn der Bundesrat die Warengruppe des Geflügels zusammenfasste und in der Geflügelverordnung einheitlich behandelte, so lässt sich darin folglich kein Gesetzesverstoss erkennen. Schon in der Allgemeinen Landwirtschafts-Verordnung vom 21. Dezember 1953 (SR 916.01) wurde bei Umschreibung der der Einfuhrbewilligungspflicht unterliegenden Waren (Art. 28) der Begriff Geflügel im weiten Sinne der Zolltarifnummern 0207.1000/5000 (wo u.a. Hühner, Truthühner, Enten, Gänse und Perlhühner aufgezählt sind) verwendet. Daneben unterliegt das übrige Fleisch einer besonderen Importregelung. Wenn die Auffassung der Beschwerdeführerin zutreffen sollte,
BGE 118 Ib 536 S. 542
Trutenfleisch substituiere im Konsum eher Kalbfleisch als Pouletfleisch, wäre die Konsequenz, die Einfuhr von Truten in die Schlachtviehverordnung einzubeziehen. Die naheliegende Gleichbehandlung mit dem Geflügel entspricht aber der landwirtschaftsrechtlichen Zielgebung durchaus. Wenn auch die inländische Trutenproduktion im Vergleich zur Pouletproduktion gering sein mag, ist deren Importbindung an die Abräumung der inländischen Geflügelproduktion insgesamt gerechtfertigt.
5.
Schliesslich macht die Beschwerdeführerin geltend, die Geflügelverordnung schütze nicht bäuerliche, sondern gewerbliche und industrielle Geflügelproduktion.
a) Die in
Art. 23 Abs. 1 LwG
vorgesehenen Massnahmen sind, wie die Beschwerdeführerin zutreffend darlegt, für den Schutz landwirtschaftlicher, nicht gewerblicher und industrieller Erzeugnisse bestimmt (
BGE 102 Ib 360
E. 2). Die Geflügelverordnung verpflichtet aber ausdrücklich nur zur Übernahme von Geflügel aus "bäuerlichen Betrieben" (Art. 1 Abs. 1 lit. b Geflügelverordnung). Als bäuerlich gelten namentlich Betriebe, welche die Höchstbestandesvorschriften und die Auflagen des Tier- und Umweltschutzes einhalten sowie mindestens 50% des Betriebseinkommens aus nicht der Stallbauverordnung unterstehenden landwirtschaftlichen Produktionszweigen (also nicht aus Fleisch- und Eierproduktion stammenden Erzeugnissen) erzielen (Art. 1 Abs. 2 Geflügelverordnung in Verbindung mit Art. 3 Höchstbestandes- und Art. 13 Abs. 1 lit. c Stallbauverordnung).
b) In Betracht fallen kann daher nur, dass die Geflügelverordnung indirekt, indem sie das privatwirtschaftliche Vertragswerk stützt, allenfalls auch der industriellen oder gewerblichen Geflügelproduktion zugute kommen könnte.
Diesbezüglich muss aber beachtet werden, dass, solange die Marktabräumung auf rein privatwirtschaftlicher Basis betrieben wurde, es zum vornherein nicht Sache des Staates war, dafür zu sorgen, dass in den Genuss der vertraglichen Regelung nur bäuerliche Betriebe kommen konnten. Sodann hat die von der Beschwerdeführerin als industriell angesprochene Optigal AG bis zum 31. Dezember 1991, entsprechend der Übergangsfrist von Art. 25 der Höchstbestandesverordnung, ihre eigene Produktion abgebaut und sie in bäuerliche Betriebe verlegt. Und auch im übrigen erfüllen sämtliche Betriebe, die in den letzten Jahren aufgestockt wurden, die Voraussetzungen, welche in der Geflügelverordnung an bäuerliche Betriebe gestellt werden. Angesichts dieser Entwicklung lässt sich nicht
BGE 118 Ib 536 S. 543
sagen, die Geflügelverordnung sanktioniere indirekt eine Marktordnung, welche gewerbliche und industrielle Produktionsbetriebe fördere. Vielmehr wird diese privatwirtschaftliche Marktordnung gerade dahingehend umgestaltet, dass sie auch den Anforderungen der Geflügelverordnung genügen würde. Dass dies nicht schlagartig erfolgen kann, liegt auf der Hand und kann nicht zur Folge haben, dass auf die Abräumung der einheimischen Erzeugnisse überhaupt verzichtet würde, denn gerade dadurch würden die bäuerlichen Betriebe am meisten tangiert. Die Beschwerdeführerin selbst ist, soweit sie importiert, auf der Grundlage der Geflügelverordnung ohnehin nur verpflichtet, Geflügel aus bäuerlichen Betrieben zu übernehmen. | public_law | nan | de | 1,992 | CH_BGE | CH_BGE_003 | CH | Federation |
7c191cc0-e6c5-4a20-b0c8-92106fcc7b3f | Urteilskopf
125 V 470
77. Urteil vom 3. Dezember 1999 i.S. Kantonales Amt für Industrie, Gewerbe und Arbeit, Bern, gegen W. und Verwaltungsgericht des Kantons Bern | Regeste
Art. 13 Abs. 2bis und 2ter AVIG
;
Art. 11b Abs. 2 AVIV
: Wirtschaftliche Zwangslage; Berechnungsgrundlage.
Art. 11b Abs. 2 AVIV
lässt es zu, für die Beurteilung der Frage, ob eine wirtschaftliche Zwangslage besteht, ausnahmsweise auf die im Zeitpunkt der Anmeldung zum Bezug von Arbeitslosenentschädigung vorliegende finanzielle Situation abzustellen, wenn innerhalb der zwölf vorangegangenen Monate eine erhebliche Verschlechterung (oder Verbesserung) eingetreten ist. | Sachverhalt
ab Seite 470
BGE 125 V 470 S. 470
A.-
Die 1953 geborene W., Mutter zweier Kinder (geb. 1981 und 1982), lebt seit 1993 getrennt von ihrem Ehemann. Nachdem dieser auf Ende November 1996 seine Stelle als Direktor gekündigt hatte in der Absicht, künftig als Hausmann und Praxishilfe bei seiner neuen Lebensgefährtin tätig zu sein, stellte W. am 27. November 1996 Antrag auf Arbeitslosenentschädigung ab 1. Dezember 1996. Nach Abklärung der finanziellen Verhältnisse lehnte das Kantonale Amt für Industrie, Gewerbe und Arbeit, Bern, Abteilung Arbeitslosenversicherung (KIGA), die Anspruchsberechtigung mit Verfügung vom 28. Februar 1997 ab, weil die Erziehungsperiode mangels Vorliegens einer wirtschaftlichen Zwangslage nicht als Beitragszeit angerechnet werden könne.
BGE 125 V 470 S. 471
Als anrechenbares Einkommen berücksichtigte sie den vom Ehegatten der Leistungsansprecherin in den letzten zwölf Monaten vor Einreichung des Entschädigungsantrages erzielten Lohn, wodurch der für die Bestimmung der wirtschaftlichen Zwangslage massgebende Grundbetrag überschritten wurde.
B.-
In teilweiser Gutheissung der hiegegen eingereichten Beschwerde hob das Verwaltungsgericht des Kantons Bern die angefochtene Verfügung auf mit der Feststellung, dass W. sich ab 1. Dezember 1996 in einer wirtschaftlichen Zwangslage befunden habe, und wies die Sache an das KIGA zurück, damit es, nach Abklärung der weiteren Anspruchsvoraussetzungen, über den Entschädigungsanspruch neu befinde (Entscheid vom 10. Februar 1998). In der Begründung ging es davon aus, dass unter bestimmten Voraussetzungen, die hier erfüllt seien, für die Beurteilung der Frage, ob eine wirtschaftliche Zwangslage bestehe, auf die aktuellen Einkommensverhältnisse bei Einreichung des Antrags auf Arbeitslosenentschädigung abgestellt werden könne. Anrechenbar sei daher nur das vom Ehemann nach Aufgabe der Stelle als Direktor erzielte Einkommen als Praxishilfe, das sich auf lediglich Fr. 3'000.-- im Monat belaufe.
C.-
Mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde beantragt das KIGA, der vorinstanzliche Entscheid sei aufzuheben.
Während W. sich nicht vernehmen lässt, schliesst das Bundesamt für Wirtschaft und Arbeit (seit 1. Juli 1999: Staatssekretariat für Wirtschaft [seco]) auf Gutheissung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde.
Erwägungen
Das Eidg. Versicherungsgericht zieht in Erwägung:
1.
Der Versicherte hat Anspruch auf Arbeitslosenentschädigung, wenn er u.a. die Beitragszeit erfüllt hat oder von der Erfüllung der Beitragszeit befreit ist (
Art. 8 Abs. 1 lit. e AVIG
).
Die Beitragszeit hat erfüllt, wer innerhalb der dafür vorgesehenen Rahmenfrist für die Beitragszeit (zwei Jahre vor dem ersten Tag, für den sämtliche Anspruchsvoraussetzungen erfüllt sind;
Art. 9 Abs. 2 und 3 AVIG
) während mindestens sechs Monaten eine beitragspflichtige Beschäftigung ausgeübt hat (
Art. 13 Abs. 1 AVIG
). Abs. 2 derselben Gesetzesbestimmung zählt in lit. a-d Zeiten auf, die ebenfalls als Beitragszeiten angerechnet werden. Gemäss
Art. 13 Abs. 2bis AVIG
(in Kraft seit 1. Januar 1996) werden Zeiten, in denen Versicherte keine beitragspflichtige Beschäftigung ausgeübt haben,
BGE 125 V 470 S. 472
weil sie sich der Erziehung von Kindern unter 16 Jahren widmeten, als Beitragszeiten angerechnet, sofern die Versicherten im Anschluss an die Erziehungsperiode auf Grund einer wirtschaftlichen Zwangslage eine unselbstständige Erwerbstätigkeit aufnehmen müssen. Die Anrechenbarkeit von Erziehungszeiten als Beitragszeiten setzt einen Kausalzusammenhang zwischen der Kindererziehung und dem Verzicht auf die Ausübung einer Erwerbstätigkeit voraus (ARV 1998 Nr. 45 S. 258 f. Erw. 3a). Nach
Art. 13 Abs. 2ter AVIG
(in Kraft seit 1. Januar 1996) liegt eine wirtschaftliche Zwangslage vor, wenn das anrechenbare Einkommen der Versicherten und ihres Ehegatten einen vom Bundesrat festgelegten Grundbetrag nicht erreicht. Der Bundesrat legt den anrechenbaren Teil des Vermögens fest. Gestützt auf diese Delegationsnorm hat der Bundesrat
Art. 11b AVIV
erlassen. Gemäss Abs. 1 dieser Verordnungsbestimmung kann ein Anspruch nach
Art. 13 Abs. 2bis AVIG
geltend gemacht werden, wenn das anrechenbare Einkommen zusammen mit dem anrechenbaren Teil des Vermögens weniger als 35% des Höchstbetrags des versicherten Verdienstes nach
Art. 23 Abs. 1 AVIG
beträgt. Dieser Prozentsatz erhöht sich um 10%, wenn der Versicherte verheiratet ist (lit. a) sowie um 10% für das erste Kind und 5% für jedes weitere Kind, für das eine Unterhaltspflicht im Sinne von Art. 33 besteht, höchstens aber um 30% (lit. b).
Laut
Art. 11b Abs. 2 AVIV
werden das anrechenbare Einkommen und der anrechenbare Teil des Vermögens grundsätzlich auf Grund der Einkommens- und Vermögensverhältnisse der letzten zwölf Monate vor Einreichung des Entschädigungsantrages berechnet, wobei die gesamten Bruttoeinkommen des Versicherten und seines Ehegatten (lit. a) und 10% des Vermögens des Versicherten und seines Ehegatten (lit. b) anrechenbar sind.
2.
Streitig ist zunächst, ob zwischen der Kindererziehung und dem Verzicht der Beschwerdegegnerin, eine Erwerbstätigkeit auszuüben, ein Kausalzusammenhang besteht.
a) Während die Vorinstanz diese Frage ohne nähere Ausführungen bejahte, bestreitet das KIGA einen solchen Zusammenhang, indem es geltend macht, die Beschwerdegegnerin habe nicht nur der Kinder wegen, sondern auch deshalb auf eine Erwerbstätigkeit verzichtet, weil ihr Ehemann ein überdurchschnittliches Einkommen erzielt habe, womit der Unterhalt der ganzen Familie ohne weiteres sichergestellt gewesen sei. Nun berufe sie sich allein deshalb auf Erziehungszeiten, weil der von ihr getrennt lebende Ehemann absichtlich seine familiären Unterhaltspflichten vernachlässige.
BGE 125 V 470 S. 473
b) Zwar mag es zutreffen, dass die Beschwerdegegnerin nicht allein wegen der Kindererziehung, sondern auch auf Grund des hohen Einkommens ihres Ehemannes davon abgesehen hat, eine Erwerbstätigkeit auszuüben. Dadurch wird der erforderliche Kausalzusammenhang jedoch nicht unterbrochen. Würde der Auffassung des KIGA gefolgt, könnte nur diejenige Erziehungszeit als Beitragszeit angerechnet werden, während welcher für die mit Erziehungsaufgaben befasste Person eine wirtschaftliche Notwendigkeit bestand, eine Erwerbstätigkeit auszuüben, sie sich aber trotzdem nicht um Arbeit bemühte (vgl. ARV 1998 Nr. 45 S. 258 f. Erw. 3a). Ein solches Erfordernis geht jedoch weit über den von den gesetzgebenden Instanzen verfolgten Zweck hinaus, die Anspruchsberechtigung auf Personen zu beschränken, die sich im Anschluss an die Erziehungsperiode in einer wirtschaftlichen Zwangslage befinden (vgl.
BGE 125 V 131
Erw. 6b/aa mit Hinweisen auf die Gesetzesmaterialien).
3.
Zu prüfen bleibt, ob sich die Beschwerdegegnerin in einer wirtschaftlichen Zwangslage befand, als sie Antrag auf Arbeitslosenentschädigung stellte. Dies hängt zunächst davon ab, ob
Art. 11b Abs. 2 AVIV
, wonach das anrechenbare Einkommen und der anrechenbare Teil des Vermögens grundsätzlich auf Grund der Einkommens- und Vermögensverhältnisse der letzten zwölf Monate vor Einreichung des Entschädigungsantrages berechnet werden, ein Abstellen auf die aktuellen wirtschaftlichen Verhältnisse - im Zeitpunkt der Geltendmachung der Arbeitslosenentschädigung - zulässt.
Wie den Erläuterungen des damaligen Bundesamtes für Industrie, Gewerbe und Arbeit (heute Staatssekretariat für Wirtschaft, seco) vom 21. September 1995 zur Revision der AVIV auf den 1. Januar 1996 zu entnehmen ist, war in Art. 11b Abs. 2 zunächst vorgesehen, zur Bestimmung des anrechenbaren Einkommens und des anrechenbaren Teils des Vermögens grundsätzlich auf die letzte Steuerveranlagung des Versicherten und seines Ehegatten bei der Kantonssteuer (Staatssteuer) abzustellen (S. 9). Das Wort "grundsätzlich" wurde eingefügt, damit erhebliche Einkommensunterschiede zwischen dem Zeitpunkt der Steuererklärung und der Geltendmachung des Entschädigungsanspruchs berücksichtigt werden konnten; es müsse möglich sein, die Zahlen den aktuellen Verhältnissen anzupassen. Obwohl die Berechnungsgrundlage im definitiven Verordnungstext eine Änderung erfuhr, wurde das Wort "grundsätzlich" belassen. Dies ist dahin zu verstehen, dass auch bei
BGE 125 V 470 S. 474
grundsätzlichem Abstellen auf die Verhältnisse während der letzten zwölf Monate vor Einreichung des Entschädigungsantrages bei einer erheblichen Veränderung vom Grundsatz abgewichen werden kann und die aktuellen wirtschaftlichen Verhältnisse massgeblich sein sollen. Anders entscheiden hiesse, dass die Erziehungsperiode nur als Beitragszeit angerechnet werden könnte, wenn die wirtschaftliche Zwangslage bereits ein Jahr oder mindestens längere Zeit angedauert hat, während andererseits nach einjähriger Zwangslage Arbeitslosenentschädigung beansprucht werden könnte, obwohl sich die Einkommens- und Vermögenssituation im Zeitpunkt der Antragstellung (wieder) in einem wesentlich günstigeren Licht präsentiert. Zweck von
Art. 13 Abs. 2bis AVIG
ist indessen die grundsätzliche Gleichstellung von Perioden der Erwerbs- und Erziehungsarbeit als Beitragszeiten. Aus Kostengründen knüpfte das Parlament die Anrechnung der Erziehungszeit an das Erfordernis der Arbeitssuche auf Grund einer wirtschaftlichen Zwangslage (
BGE 125 V 131
f. Erw. 6b/aa). Die Annahme, dass diese Zwangslage bis zur Geltendmachung des Anspruchs in jedem Fall innerhalb eines Jahres bereits längere Zeit gedauert haben müsse, findet auch im Gesetz keine Grundlage. Eine gesetzeskonforme Auslegung (
BGE 125 V 4
Erw. 3b) führt somit ebenfalls zum Schluss, dass
Art. 11b Abs. 2 AVIV
es zulässt, ausnahmsweise auf die im Zeitpunkt der Gesuchseinreichung vorliegende finanzielle Situation abzustellen, wenn innerhalb der zwölf vorangegangenen Monate eine erhebliche Verschlechterung (oder Verbesserung) eingetreten ist (Nussbaumer, Arbeitslosenversicherung, in: Schweizerisches Bundesverwaltungsrecht [SBVR], Rz. 185).
4.
Das KIGA wendet schliesslich ein, auf Grund der Schadenminderungspflicht würde es der Beschwerdegegnerin obliegen, ihre Unterhaltsansprüche gegen ihren Ehemann mit rechtlichen Mitteln (Eheschutzverfahren, Strafverfahren) durchzusetzen, womit sie eine wirtschaftliche Zwangslage vermeiden könnte. Ein Verzicht auf die Durchsetzung dieser Ansprüche zu Lasten der Arbeitslosenversicherung sei nicht angängig.
Dieser Auffassung kann nicht gefolgt werden. Denn angesichts der Einkommensverhältnisse des unterhaltspflichtigen Ehegatten, der seit Dezember 1996 Fr. 3'000.-- im Monat verdient, ist nicht ersichtlich, dass die Beschwerdegegnerin bei Anstrengung der erwähnten Verfahren Unterhaltsbeiträge erhältlich machen könnte, welche eine Zwangslage ausschliessen würden. Vielmehr ist auf Grund der Unterlagen betreffend die finanziellen Verhältnisse des Ehemannes als erstellt zu betrachten, dass die
BGE 125 V 470 S. 475
Beschwerdegegnerin nicht wesentlich höhere Unterhaltsbeiträge als die ihr ab Dezember 1996 ausbezahlten Alimente von Fr. 2'685.-- im Monat realisieren könnte.
5.
Nach den zutreffenden Berechnungen des kantonalen Gerichts befand sich die Beschwerdegegnerin am 1. Dezember 1996 in einer wirtschaftlichen Zwangslage. Da dies sowohl bei Abstellen auf das Einkommen des Ehemannes wie auch bei Berücksichtigung allein der Unterhaltsbeiträge zutrifft, indem der vom KIGA ermittelte Grenzbetrag von Fr. 58'320.-- bei weitem nicht erreicht wird, kann im vorliegenden Fall offen bleiben, welche Berechnungsart bei faktisch getrennt lebenden Eheleuten anzuwenden ist. | null | nan | de | 1,999 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
7c1be7a8-8d9d-48fe-9b18-9541c6ccb28d | Urteilskopf
81 I 43
8. Urteil vom 9. März 1955 i. S. Vormundschaftsbehörde Meilen gegen Vormundschaftsbehörde der Stadt St. Gallen. | Regeste
Unzulässigkeit der Klage betreffend die Befugnisse und Obliegenheiten der Vormundschaftsbehörde der Heimat, wenn die Weigerung der angegangenen Behörde zum Gegenstand eines ordentlichen Rechtsmittels gemacht werden kann, also insbesondere für den Fall, wo streitig ist, ob die Behörde zur Anordnung von Massnahmen örtlich zuständig ist. | Sachverhalt
ab Seite 43
BGE 81 I 43 S. 43
Der in Meilen heimatberechtigte Karl von Tobel ist auf Grund eines Urteils des Kantonsgerichtes von St. Gallen vom 20. April 1953, das ihn zu einer Gefängnisstrafe von 2 Jahren verurteilt hat, am 8. Februar 1954 in die kantonale Strafanstalt St. Gallen eingewiesen worden. Die Anstaltsdirektion gab hievon der heimatlichen Vormundschaftsbehörde Kenntnis mit dem Ersuchen, die notwendigen
BGE 81 I 43 S. 44
Schritte einzuleiten, damit der Eingewiesene unter Vormundschaft gestellt werde. Die Vormundschaftsbehörde von Meilen erachtete sich als unzuständig, weil sich der letzte Wohnsitz von Tobels nicht in Meilen befunden habe. Sie versuchte abzuklären, wo von Tobel zuletzt gewohnt habe. Die darüber befragten Gemeinden bestritten ihre örtliche Zuständigkeit ebenfalls. Auf eine bezügliche Anfrage der Anstaltsdirektion erklärte das Departement des Innern des Kantons St. Gallen, es sei Sache der heimatlichen Behörde, die Zuständigkeitsfrage abzuklären und die Bevormundung durchzusetzen. Meilen ersuchte daraufhin die Vormundschaftsbehörde von St. Gallen, die Vormundschaft in die Wege zu leiten. Die angegangene Behörde lehnte ab, weil sich der letzte Wohnsitz von Tobels nicht in St. Gallen befunden habe (Entscheid vom 15./21. Oktober 1954). Ihr Entscheid blieb unangefochten. Dagegen hat die Vormundschaftsbehörde von Meilen am 2. Dezember 1954 beim Bundesgericht gestützt auf
Art. 83 lit. e OG
Klage erhoben auf Verpflichtung der Vormundschaftsbehörde von St. Gallen, das Entmündigungsverfahren im Sinne von Art. 371, eventuell
Art. 370 ZGB
einzuleiten, eventuell auf Bestimmung der sonst zuständigen Behörde.
Die Vormundschaftsbehörde von St. Gallen beantragt, die Klage abzuweisen; dem eventuellen Begehren wird nicht opponiert. Dieser Antrag wird damit begründet, dass sich der letzte Wohnsitz von Tobels nicht in St. Gallen befunden habe.
Erwägungen
Das Bundesgericht zieht in Erwägung:
1.
Art. 83 lit. e OG
räumt der heimatlichen Vormundschaftsbehörde gegenüber derjenigen des Wohnsitzes einer Person ein Klagerecht ein, wenn über die Befugnisse und Obliegenheiten der ersteren ein Anstand entsteht. Die Vorschrift stammt aus dem Bundesgesetz betreffend die zivilrechtlichen Verhältnisse der Niedergelassenen und Aufenthalter vom 25. Juni 1891, das in den Art. 14 und 15 Bestimmungen enthielt über die Befugnisse der Vormundschaftsbehörden
BGE 81 I 43 S. 45
der Heimat, und das in Art. 16 Streitigkeiten darüber dem Bundesgericht als Staatsgerichtshof übertrug. Dementsprechend bestimmte
Art. 180 Ziff. 4 a OG
, dass Anstände im Sinne der
Art. 14 und 15 NAG
nach dem für staatsrechtliche Entscheidungen vorgeschriebenen Verfahren zu beurteilen sind. Im aoG in der Fassung vom 6. Oktober 1911 wird statt dessen auf die einschlägigen Vorschriften des ZGB, die Art. 377 und 378 verwiesen. Das rev. OG hat diesen Hinweis fallen gelassen, offenbar ohne inhaltlich eine Änderung zu beabsichtigen (vgl. den Bericht Ziegler S. 83, wo ausgeführt wird, die Vorschrift sei etwas unbestimmter gefasst, um es dem Bundesgericht zu gegebener Zeit zu ermöglichen, sich darüber auszusprechen, ob auch die Vormundschaftsbehörde der Heimatgemeinde eines ausserehelichen Kindes befugt sei, die Ernennung eines Beistandes zu verlangen, wenn diese von allen von den mehreren dafür in Betracht fallenden Vormundschaftsbehörden verweigert werde).
Obwohl die Vorschrift des bisherigen Art. 180 Ziff. 4 aoG bei Anpassung des OG an das ZGB formell keine Änderung erfahren hat, ist sie seit diesem Zeitpunkt in ihrer Tragweite doch eingeschränkt worden. Denn einerseits gewährt das ZGB der Vormundschaftsbehörde der Heimat in Art. 378 Abs. 2 immer dann, wenn diese nach Abs. 1 ebenda die Bevormundung von Angehörigen in einem andern Kanton verlangen kann, ihr also ein Antragsrecht zusteht, ein Beschwerderecht gegenüber der angegangenen Behörde des Wohnsitzes, die die verlangte Bevormundung oder Verbeiständung ablehnt. Anderseits stellte Art. 86 Ziff. 3 aoG gegen letztinstanzliche Entscheide kantonaler Behörden wegen Verletzung von Bundesrecht bei Entmündigung, Stellung unter Beistandschaft oder Aufhebung solcher Verfügungen den Betroffenen den Rechtsbehelf der zivilrechtlichen Beschwerde zur Verfügung, den das rev. OG in Art. 44 lit. c durch das Rechtsmittel der Berufung ersetzt. Es kann nicht die Meinung des Gesetzgebers gewesen sein, insoweit dieses zivilrechtliche
BGE 81 I 43 S. 46
Rechtsmittel offensteht, ausserdem noch den ebenfalls ordentlichen, nicht bloss subsidiären Rechtsbehelf der staatsrechtlichen Klage im Sinne von
Art. 83 lit. e OG
einzuräumen. Denn nach dem System des OG, das ein öffentlichrechtliches Rechtsmittel nur zulässt, wenn nicht ein zivilrechtliches zur Verfügung steht, eine Ordnung, die in
Art. 84 Abs. 2 OG
ihren Ausdruck findet, können nicht in derselben Sache zwei ordentliche Rechtsbehelfe nebeneinander bestehen. Die Klage nach Art. 83 lit. e behält ihre Bedeutung nur insoweit, als das ordentliche Rechtsmittel des Zivilrechts versagt, also z.B. soweit der vorläufige Entzug der Handlungsfähigkeit (
Art. 386 ZGB
), die Abberufung eines Vormundes oder Beistandes, dessen Ersatz durch eine andere Person, überhaupt eine Massnahme in Frage steht, die nicht unter die Art. 369-372 oder 392-395 ZGB fällt, und, was die Vorschrift des
Art. 378 Abs. 1 ZGB
betrifft, soweit der heimatlichen Vormundschaftsbehörde nach den Bestimmungen des Zivilrechts ein Antragsrecht fehlen sollte. Dass
Art. 371 Abs. 2 ZGB
die Strafvollzugsbehörde anweist, der zuständigen Behörde Mitteilung zu machen, sobald ein zu einer Freiheitsstrafe von mindestens einem Jahr Verurteilter die Strafe antritt, bedeutet nicht, dass der heimatlichen Vormundschaftsbehörde kein Antragsrecht zukomme. Es handelt sich dabei um eine blosse Ordnungsvorschrift, die dem Antragsrecht der Vormundschaftsbehörde der Heimat des zu Entmündigenden nicht entgegensteht. Vollends kann nicht zweifelhaft sein, dass ein derartiges Antragsrecht bei der Bevormundung nach
Art. 370 ZGB
besteht, nach welcher Vorschrift der Klägerin die Bevormundung ebenfalls als angezeigt erscheint.
Ist für den Fall, dass ein Begehren im Sinne von
Art. 378 Abs. 1 ZGB
gestellt wird, schon die Frage streitig, ob die angegangene Behörde örtlich zuständig sei, die verlangte Massnahme zu treffen, so steht ebenfalls die Anwendung von Bundesrecht in Frage, nämlich diejenige von
Art. 376 ZGB
über die zur Einleitung des Verfahrens zuständige Vormundschaftsbehörde. Wäre dafür die Berufung verschlossen
BGE 81 I 43 S. 47
(
Art. 376 ZGB
ist in
Art. 44 lit. c OG
nicht besonders genannt), so könnte doch die Verletzung der eidgen. Zuständigkeitsvorschrift nach
Art. 68 lit. b OG
gerügt werden. Indes steht nach dem Meinungsaustausch mit der 2. Zivilabteilung vom 21./31. Januar 1955 auch in diesem Falle die Berufung offen, was nach dem bereits Ausgeführten die staatsrechtliche Klage ausschliesst. Übrigens könnte diese Frage den Gegenstand der Klage deshalb nicht bilden, weil das Urteil darüber nur die Frage betreffen könnte, welches materiell die Befugnisse und Obliegenheiten der Vormundschaftsbehörde der Heimat sind und ob die Weigerung der Wohnsitzbehörde, diese anzuerkennen und die verlangten Vorkehren zu treffen, auf eininer Verkennung der Rechte der Heimatbehörde beruhe. Die Beur teilung der Zuständigkeitsfrage könnte allenfalls bloss als Vorfrage in Betracht fallen, wenn die Voraussetzungen dafür erfüllt wären. Daran würde es hier - die Zulässigkeit der Klage vorausgesetzt -, schon deshalb fehlen, weil die Vormundschaftsbehörde des angeblichen Wohnsitzes über ihre Zuständigkeit bereits entschieden hätte, was deren vorfrageweise Behandlung durch das Bundesgericht ausschlösse (BIRCHMEIER, Organisation zu Art. 96 S. 411).
2.
Die beklagte Vormundschaftsbehörde stellt in Abrede, dass der zu Entmündigende in St. Gallen den letzten Wohnsitz gehabt habe, und bestreitet aus diesem Grunde ihre örtliche Zuständigkeit, vormundschaftliche Massnahmen zu treffen. Sie hat ihre Zuständigkeit bereits im Beschlusse vom 15. Oktober 1954 verneint. Jener Entscheid hätte nach
Art. 378 Abs. 2 ZGB
an die obere kantonale Vormundschaftsbehörde und deren die Klägerin allfällig abweisender Entscheid mit der Berufung an das Bundesgericht weitergezogen werden können. Die staatsrechtliche Klage ist daher ausgeschlossen.
3.
Eventuell wird beantragt, das Bundesgericht wolle die zur Anordnung der Vormundschaft sonst örtlich zuständige Behörde bestimmen, wobei es offenbar die Meinung
BGE 81 I 43 S. 48
hat, dass anhand der Akten oder eines noch durchzuführenden Beweisverfahrens festzustellen sei, wo der zu Entmündigende zuletzt gewohnt hat. Ein derartiges Begehren ist sowohl als Berufungsantrag gegenüber einem letztinstanzlichen kantonalen Entscheid, als auch als Klagebegehren im Sinne von
Art. 83 lit. e OG
unzulässig. Die zuständige Vormundschaftsbehörde kann verbindlich nur gegenüber einer als Partei ins Recht gefassten Behörde festgestellt werden. Eine blosse Feststellung in den Urteilsmotiven, dass eine bestimmte dritte, nicht am Verfahren beteiligte Behörde örtlich zuständig sei, brauchte von dieser mangels einer verbindlichen Entscheidung in diesem Punkt nicht beachtet zu werden. An der Unzulässigkeit dieses Antrages vermag auch der Umstand nichts zu ändern, dass die Beklagte sich ihm nicht widersetzt.
Dispositiv
Demnach erkennt das Bundesgericht:
Auf die Klage wird nicht eingetreten. | public_law | nan | de | 1,955 | CH_BGE | CH_BGE_001 | CH | Federation |
7c1ea444-19b7-4942-b332-519f10af609d | Urteilskopf
124 III 436
76. Auszug aus dem Urteil der II. Zivilabteilung vom 19. August 1998 i.S. Dresdner Forfaitierungs AG gegen Sezione Speciale per l'Assicurazione del Credito all'Esportazione (SACE) (Berufung) | Regeste
Art. 1 Abs. 1 LugÜ
,
Art. 12 Ziff. 1 LugÜ
,
Art. 17 Abs. 3 LugÜ
und
Art. 54 Abs. 1 LugÜ
; Begriff der "Zivil- und Handelssache"; Anwendbarkeit des LugÜ in Bezug auf eine vor dessen Inkrafttreten abgeschlossene Gerichtsstandsvereinbarung.
Werden in einer Rechtsbeziehung, an der ein Hoheitsträger beteiligt ist, keine hoheitlichen Befugnisse wahrgenommen, liegt eine "Zivil- und Handelssache" im Sinn von
Art. 1 Abs. 1 LugÜ
vor (E. 3).
Die Gültigkeit einer Gerichtsstandsvereinbarung, die vor dem Inkrafttreten des Lugano Übereinkommens abgeschlossen wurde, beurteilt sich gemäss
Art. 54 Abs. 1 LugÜ
nach den Bestimmungen dieses Übereinkommens, wenn die Klage nach dessen Inkrafttreten erhoben worden ist (E. 4). | Sachverhalt
ab Seite 437
BGE 124 III 436 S. 437
A.-
Mit Vertrag vom 3. März 1989 gewährte die Dresdner Forfaitierungs AG mit Sitz in Zürich (nachfolgend: die Klägerin), der Al Harthy Corporation mit Sitz in Ruwi (Sultanat Oman) ein Darlehen von US$ 15'986'000.--. Dieser Kredit war bestimmt für den Bau des Geschäftszentrums "Wattayah Center" in Ruwi und diente der Al Harthy Corporation zur Bezahlung von Waren und Dienstleistungen, die von der Incori Estero S.p.A mit Sitz in Rom nach Oman geliefert wurden. In der Folge liess die Klägerin das der Al Harthy Corporation gewährte Darlehen bei der Sezione Speciale per l'Assicurazione del Credito all'Esportazione (SACE) (nachfolgend: die Beklagte) gegen politische und kommerzielle Risiken versichern. Die entsprechende Versicherungspolice datiert vom 22. Februar 1989. In Art. 19 der Police trafen die Parteien eine Rechtswahl zugunsten des italienischen Rechts und vereinbarten Rom als Gerichtsstand für alle aus dem Vertragsverhältnis entstehenden Streitigkeiten.
B.-
Am 24. September 1996 erhob die Klägerin gegen die Beklagte beim Handelsgericht des Kantons Zürich Klage mit dem
BGE 124 III 436 S. 438
Antrag, dass die Beklagte zu verpflichten sei, die Versicherungsleistung zu erbringen, da sich die Al Harthy Corporation mit der Darlehensrückzahlung in Verzug befinde; weiter beantragte die Klägerin festzustellen, dass die gesamte Darlehensforderung einschliesslich Zins versichert sei. Die Beklagte beschränkte sich in ihrer Klageantwort vom 10. September 1997 auf die Frage der örtlichen Zuständigkeit und beantragte, auf die Streitsache mangels örtlicher Zuständigkeit nicht einzutreten. Mit Beschluss vom 2. März 1998 ist das Handelsgericht des Kantons Zürich auf die Klage nicht eingetreten.
C.-
Mit Berufung vom 6. April 1998 beantragt die Klägerin dem Bundesgericht, den Beschluss des Handelsgerichtes des Kantons Zürich vom 2. März 1998 aufzuheben, die Unzuständigkeitseinrede der Beklagten abzuweisen und die Sache zur Fortführung des Verfahrens ans Handelsgericht zurückzuweisen; eventualiter sei die Sache ans Handelsgericht zurückzuweisen zur Abweisung der Unzuständigkeitseinrede und anschliessenden Fortführung des Verfahrens. Die Beklagte beantragt die Abweisung der Berufung. Das Handelsgericht hat auf Gegenbemerkungen verzichtet.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
2.
a) Das Handelsgericht ist in seinem Beschluss vom 2. März 1998 zunächst der Auffassung der Klägerin gefolgt, dass im vorliegenden Fall eine "Zivil- und Handelssache" im Sinn von Art. 1 Abs. 1 des Übereinkommens über die gerichtliche Zuständigkeit und die Vollstreckung gerichtlicher Entscheidungen in Zivil- und Handelssachen (LugÜ, SR 0.275.11) vorliege, so dass die Frage der örtlichen Zuständigkeit nach den Bestimmungen des LugÜ zu beurteilen sei. In einem zweiten Schritt ist das Handelsgericht dann aber der Meinung der Beklagten gefolgt, dass eine internationale Entscheidzuständigkeit der schweizerischen Gerichte nicht gegeben sei, weil die Parteien in Art. 19 der Versicherungspolice die Zuständigkeit der Gerichte in Rom vereinbart hätten. Zwar werde in Art. 12 Ziff. 1 in Verbindung mit
Art. 17 Abs. 3 LugÜ
bestimmt, dass im Bereich von Versicherungssachen eine Gerichtsstandsklausel dann keine rechtliche Wirkung entfalte, wenn die Vereinbarung vor der Entstehung einer Streitigkeit getroffen werde. Da der Versicherungsvertrag und die darin enthaltene Gerichtsstandsvereinbarung vor dem Inkrafttreten des LugÜ abgeschlossen worden seien, rechtfertige es sich in intertemporalrechtlicher Hinsicht aber nicht, diese Bestimmungen
BGE 124 III 436 S. 439
auf den vorliegenden Fall anzuwenden; das Interesse der Beklagten am Schutz ihres Vertrauens in den Bestand der - seinerzeit gültig abgeschlossenen - Gerichtsstandsvereinbarung überwiege das Interesse der Klägerin an der Anwendbarkeit von Art. 12 Ziff. 1 in Verbindung mit
Art. 17 Abs. 3 LugÜ
.
b) Die Beklagte vertritt die Auffassung, dass im vorliegenden Fall keine "Zivil- und Handelssache" im Sinn von
Art. 1 Abs. 1 LugÜ
vorliege, so dass die Frage, ob die in Ziff. 19 der Versicherungspolice abgeschlossene Gerichtsstandsvereinbarung verbindlich sei, nicht aufgrund der Bestimmungen des Übereinkommens zu beurteilen sei (vgl. nachfolgend E. 3). Demgegenüber teilt die Klägerin die Meinung des Handelsgerichtes zur Anwendbarkeit des LugÜ, wirft ihm aber vor, seine internationale Entscheidzuständigkeit zu Unrecht verneint zu haben; im Bereich von Versicherungssachen seien Gerichtsstandsvereinbarungen, die vor der Entstehung einer Streitigkeit getroffen wurden, gemäss Art. 12 Abs. 1 Ziff. 1 in Verbindung mit
Art. 17 Abs. 3 LugÜ
rechtlich ohne Wirkung. Diese Bestimmungen seien auch auf Gerichtsstandsklauseln anwendbar, die vor dem Inkrafttreten des LugÜ vereinbart worden seien, weil gemäss
Art. 54 Abs. 1 LugÜ
allein die Rechtslage im Zeitpunkt der Klageerhebung massgebend sei. Ungeachtet dessen, dass die Parteien seinerzeit den Gerichtsstand Rom vereinbart hätten, sei sie somit berechtigt, die Klage gestützt auf
Art. 8 Abs. 1 Ziff. 2 LugÜ
an ihrem Sitz in Zürich zu erheben (vgl. nachfolgend E. 4).
c) Bei der Auslegung des LugÜ ist zu beachten, dass es sich nicht um nationales Recht, sondern wie beim Europäischen Gerichtsstands- und Vollstreckungsübereinkommen (EuGVÜ) um internationales Einheitsrecht handelt. Die Auslegung einer Bestimmung erfolgt deshalb vertragsautonom und nicht anhand eines der berührten staatlichen Rechte. Aufgrund der Parallelität zwischen dem LugÜ und dem EuGVÜ drängt sich eine einheitliche Auslegung der beiden Abkommen auf. Aus dem Protokoll Nr. 2 über die einheitliche Auslegung des Übereinkommens ergibt sich, dass die vor dem Abschluss des LugÜ ergangenen Entscheide des Europäischen Gerichtshofes (EuGH) zum EuGVÜ als verbindliche Entscheidungsgrundlage zu berücksichtigen sind (SR 0.275.11, Protokoll Nr. 2, Präambel). Die neueren Urteile des EuGH zum EuGVÜ sind insofern von Bedeutung, als es die Vertragsstaaten des LugÜ für angezeigt halten, dass ihre Gerichte bei der Auslegung des LugÜ den Grundsätzen gebührend Rechnung tragen, die sich aus der Rechtsprechung des EuGH zum EuGVÜ ergeben (SR 0.275.11,
BGE 124 III 436 S. 440
Protokoll Nr. 2, Art. 1); nur so kann die gewünschte Parallelität zwischen beiden Übereinkommen gewährleistet werden (
BGE 124 III 188
E. 4b S. 191;
123 III 414
E. 4 S. 421, je mit Hinweisen).
3.
Im Folgenden ist zunächst zu prüfen, ob das Handelsgericht zutreffend von einer "Zivil- und Handelssache" im Sinn von
Art. 1 Abs. 1 LugÜ
ausgegangen ist und damit die Frage der Wirksamkeit der umstrittenen Gerichtsstandsklausel zu Recht aufgrund der Bestimmungen des LugÜ geprüft hat.
a) Nach der Rechtsprechung des EuGH ist der Begriff der "Zivil- und Handelssache" im Sinn von Art. 1 Abs. 1 EuGVÜ - und damit auch die gleichlautende Bestimmung des LugÜ - weit auszulegen: So ist eine Klage nur dann vom Anwendungsbereich des Übereinkommens ausgeschlossen, wenn eine Rechtsbeziehung zu einem Hoheitsträger zu beurteilen ist, welcher in Ausübung hoheitlicher Befugnisse gehandelt hat; demgegenüber ist selbst dann von einer Zivil- und Handelssache auszugehen, wenn Befugnisse zwar von einem Hoheitsträger wahrgenommen werden, diese aber nicht von den im Verhältnis zwischen Privatpersonen geltenden Regeln abweichen (Rs. C-172/91, Urteil vom 21. April 1993, Slg. 1993, S. 1963 ff., S. 1996 f., Rz. 20 und insbes. 22). Damit erweist sich aber bereits der erste Einwand der Beklagten als unbegründet, das LugÜ sei schon deshalb nicht anwendbar, weil sie keine Privatperson, sondern eine juristische Person des öffentlichen Rechtes mit sozialpolitischen Zielen sei; entscheidend ist nicht, ob ein Hoheitsträger am Rechtsverhältnis beteiligt ist, sondern ob es sich um ein Rechtsverhältnis handelt, das auch zwischen Privatpersonen bestehen könnte.
b) Damit bleibt noch die Frage zu prüfen, ob die Beklagte in Ausübung hoheitlicher Befugnisse gehandelt hat. Die Beklagte stellt sich auf den Standpunkt, dass dem Abschluss der Exportrisikoversicherung zwingend eine Garantieverfügung des "Comitato di gestione" vorausgehe, so dass das Rechtsverhältnis zwischen den Parteien aufgrund der hoheitlichen Natur dieses Aktes als öffentlichrechtlich zu qualifizieren sei. Dieser Auffassung kann nicht gefolgt werden. Grundlage des geltend gemachten Anspruchs ist der zwischen den Parteien abgeschlossene Vertrag sowie die später am 22. Februar 1989 von den Parteien unterzeichnete Police. Insbesondere bestehen keine Anhaltspunkte dafür, dass die vorausgegangene Verfügung bereits ein Rechtsverhältnis zwischen den Parteien begründet hätte; es ist ihr auch nicht zu entnehmen, dass sie der Klägerin eröffnet worden wäre. Wenn aber auf das Rechtsverhältnis
BGE 124 III 436 S. 441
abgestellt wird, wie es aus der Police hervorgeht, ist nicht ersichtlich, inwiefern die Klägerin der Beklagten untergeordnet sein soll. Damit weicht aber die Rechtsbeziehung zwischen den Parteien nicht von den im Verhältnis zwischen Privatpersonen geltenden Regeln ab und ist infolgedessen nicht als hoheitlich einzustufen; unter diesen Umständen ist irrelevant, dass ein anderer Versicherer eine solche Versicherung mit Blick auf die Risiken möglicherweise nicht oder zu anderen Konditionen offerieren würde bzw. dass die Beklagte ihre Rechtsbeziehung aufgrund eines öffentlichrechtlichen Gesetzes eingegangen ist.
c) Aus diesen Gründen ist die Auffassung der Vorinstanz, es liege eine "Zivil- und Handelssache" im Sinn von
Art. 1 Abs. 1 LugÜ
vor, nicht zu beanstanden.
4.
Ist aber die Frage der Wirksamkeit der Gerichtsstandsvereinbarung aufgrund der Bestimmungen des LugÜ zu beurteilen, gilt es im Folgenden zu prüfen, ob das Übereinkommen aufgrund der Übergangsvorschrift von
Art. 54 LugÜ
auch dann zur Anwendung gelangt, wenn die Parteien vor Inkrafttreten des LugÜ für die Schweiz eine Gerichtsstandsvereinbarung abgeschlossen haben und diese den Zuständigkeitsbestimmungen des Übereinkommens zuwiderläuft. Nach
Art. 8 Abs. 1 Ziff. 2 LugÜ
kann nämlich der Versicherer, der seinen Wohnsitz im Hoheitsgebiet eines Vertragsstaates hat, u.a. in einem anderen Vertragsstaat vor dem Gericht des Bezirks verklagt werden, in dem der Versicherungsnehmer seinen Wohnsitz hat. Davon kann durch Vereinbarung u.a. nur dann abgewichen werden, wenn diese nach der Entstehung der Streitigkeit getroffen wird (
Art. 12 Abs. 1 Ziff. 1 LugÜ
). Gerichtsstandsvereinbarungen, die diesem Grundsatz zuwiderlaufen, haben keine rechtliche Wirkung (
Art. 17 Abs. 3 LugÜ
).
a) Nach
Art. 54 Abs. 1 LugÜ
sind die Vorschriften dieses Übereinkommens auf solche Klagen anzuwenden, die erhoben worden sind, nachdem das Übereinkommen im Ursprungsstaat in Kraft getreten ist. Da das LugÜ für die Schweiz am 1. Januar 1992 in Kraft getreten ist und die hier zu beurteilende Klage am 24. September 1996 eingereicht wurde, sind die Zuständigkeitsvorschriften des LugÜ nach der erwähnten übergangsrechtlichen Regelung anzuwenden. Keine Rolle spielt, dass die Gerichtsstandsvereinbarung in Ziff. 19 der Versicherungspolice, die vom 22. Februar 1989 datiert, vor Inkrafttreten des LugÜ abgeschlossen worden war. In einem Entscheid aus dem Jahr 1979 hat der EuGH die mit dem Wortlaut des LugÜ übereinstimmende übergangsrechtliche Regelung von
BGE 124 III 436 S. 442
Art. 54 Abs. 1 EuGVÜ ohne Einschränkung auch auf Gerichtsstandsvereinbarungen für anwendbar erklärt, die vor dem Inkrafttreten des Übereinkommens abgeschlossen worden sind. Nach der Rechtsprechung des EuGH ist eine Gerichtsstandsvereinbarung "ihrem Wesen nach eine Zuständigkeitsoption, die ohne rechtliche Folgen bleibt, solange kein gerichtliches Verfahren eingeleitet ist, und die erst dann Wirkungen entfaltet, wenn eine Klage erhoben ist." Wie aus Art. 54 hervorgehe, sei "die einzige notwendige und gleichzeitig ausreichende Voraussetzung für die Anwendung der Bestimmungen des Übereinkommens auf Rechtsstreitigkeiten, die vor dem Inkrafttreten des Übereinkommens entstandene Rechtsbeziehungen betreffen, dass die Klage nach diesem Zeitpunkt erhoben worden ist" (Rs. 25/79, Urteil vom 13. November 1979, SANICENTRAL/COLLIN, Slg. 1979, S. 3423 ff., S. 3429 f., Rz. 6). Ob auf eine Gerichtsstandsklausel abgestellt werden kann, die den zwingenden Zuständigkeitsbestimmungen des LugÜ zuwiderlaufen, hängt somit gemäss
Art. 54 Abs. 1 LugÜ
einzig davon ab, ob das Übereinkommen im Zeitpunkt der Klageerhebung im betreffenden Staat bereits in Kraft getreten ist. Dass der Zeitpunkt der Klageerhebung das einzige Kriterium für die Anwendbarkeit des Übereinkommens ist, kommt auch in der Ausnahmeregelung von
Art. 54 Abs. 3 LugÜ
zum Ausdruck, wo allein die Zuständigkeit der Gerichte Englands und Irlands ausdrücklich garantiert wird, wenn die Parteien in ihrem Vertrag vor dem Inkrafttreten des LugÜ eine Rechtswahl zugunsten des englischen oder irischen Rechtes getroffen haben. Wortlaut und -sinn von
Art. 54 Abs. 1 LugÜ
schliessen es aus, diese Bestimmung mit Rücksicht auf den Schutz des Vertrauens in den Bestand einer ursprünglich gültig abgeschlossenen Gerichtsstandsvereinbarung einschränkend und in Abwägung der beidseitigen Interessen der Parteien auszulegen.
b) Aber auch Sinn und Zweck der einschlägigen Zuständigkeitsbestimmungen gebieten in intertemporalrechtlicher Hinsicht eine strikte Anwendung von
Art. 54 Abs. 1 LugÜ
. Dabei ist in Betracht zu ziehen, dass im LugÜ zum Schutz der (in der Regel) sozial schwächeren Partei - nämlich zum Schutz des Versicherungsnehmers und Verbrauchers (Art. 12 Ziff. 1 bzw. Art. 15 Ziff. 1 je in Verbindung mit
Art. 17 Abs. 3 LugÜ
) sowie zum Schutz des Arbeitnehmers (
Art. 17 Abs. 5 LugÜ
) - derogationsfeste Gerichtsstände vorgesehen sind. In der Literatur wird denn auch die Meinung vertreten, dass die Klageerhebung als zeitliche Anwendungsvoraussetzung jedenfalls dann einleuchtend sei, wenn die Prorogation nach nationalem
BGE 124 III 436 S. 443
Recht zwar wirksam war, aber gemäss
Art. 17 Abs. 3 LugÜ
ein für derogationsfest erklärter Gerichtsstand abbedingt werden sollte (KROPHOLLER, Europäischen Zivilprozessrecht, 5. Auflage, Heidelberg 1996, N. 4 zu Art. 54 EuGVÜ). Irrelevant ist, dass im konkreten Fall die Klägerin - vorliegend eine international tätige Bank - nicht als sozial schwache und insoweit schutzbedürftige Vertragspartei gelten kann. Vielmehr gelten die
Art. 7 ff. LugÜ
grundsätzlich uneingeschränkt auch für internationale Grossversicherungen. Das Übereinkommen lässt von
Art 7 ff. LugÜ
abweichende Gerichtsstandsvereinbarungen für Versicherungsverträge nur in Bezug auf genau umschriebene Risiken im Bereich des See- und Lufttransportes zu (Art. 12 Ziff. 5 in Verbindung mit
Art. 12a LugÜ
; Schlosser, Bericht zum EuGVÜ, ABl. Nr. C 59 vom 5.3.79, S. 112, Rz. 136; diese Regel gilt auch für das LugÜ, vgl. JENARD/MÖLLER, Bericht zum LugÜ, ABl. Nr. C 189 vom 28.7.90, S. 70, Rz. 23).
c) Aus diesen Gründen kann gemäss Art. 17 Abs. 3 in Verbindung mit
Art. 12 LugÜ
einer Gerichtsstandsklausel aus dem Jahr 1989 keine rechtliche Wirkung mehr beigemessen werden, wenn die Klage in einem Zeitpunkt angehoben wurde, als das LugÜ bereits in Kraft getreten war. Die aus den erwähnten Bestimmungen ersichtliche Wertung, durch derogationsfeste Gerichtsstände den Versicherungsnehmer vor Gerichtsstandsvereinbarungen zu schützen, geht dem Gesichtspunkt des Vertrauensschutzes vor.
5.
Insgesamt ist somit festzuhalten, dass die Unzuständigkeitseinrede der Beklagten entgegen der Auffassung der Vorinstanz unbegründet ist, so dass die Vorinstanz unter dem Gesichtspunkt der internationalen Entscheidzuständigkeit hätte auf die Klage eintreten müssen. | null | nan | de | 1,998 | CH_BGE | CH_BGE_005 | CH | Federation |
7c1f12be-1024-497c-b915-b227b85cd1ba | Urteilskopf
84 I 167
24. Arrêt du 28 mai 1958 dans la cause Ries et consorts contre Conseil d'Etat du Canton de Vaud. | Regeste
1.
Art. 86 Abs. 2 OG
. Erschöpfung des kantonalen Instanzenzuges. Stellt die im waadtländischen Recht vorgesehene Einsprache gegen eine kantonale Planung ein kantonales Rechtsmittel dar? (Erw. 2).
2. Eigentumsgarantie.
a) Öffentlich-rechtliche Eigentumsbeschränkung; Voraussetzungen; Überprüfungsbefugnis des Bundesgerichts (Erw. 3).
b) Gesetzliche Grundlage für eine kantonale Planung zum Schutze einer Landschaft. Erfordernis einer klaren gesetzlichen Grundlage? (Erw. 4).
c) Öffentliches Interesse an einer solchen Planung. Umfang der Schutzmassnahmen (Erw. 5).
d) Materielle Enteignung. Offenstehen des Rechtswegs zur Geltendmachung einer Entschädigungsforderung (Art. 30 des waadtländischen Baupolizeigesetzes). Folgen dieses Umstands für die Frage der Verletzung der Eigentumsgarantie (Erw. 6). | Sachverhalt
ab Seite 168
BGE 84 I 167 S. 168
A.-
La loi vaudoise du 5 février 1941 sur la police des constructions (LPC) "fixe les règles destinées à assurer notamment ... la sauvegarde des beautés et des curiosités naturelles du pays" (art. 1er ch. 2). Elle prévoit que ce but peut être atteint en particulier par le moyen de plans d'extension cantonaux. Les art. 53 et 54 al. 1 LPC disposent à ce sujet ce qui suit:
BGE 84 I 167 S. 169
"Art. 53. - L'Etat peut établir des plans et règlements d'extension:
2. pour les rives du lac Léman...
3. pour les régions ou les sites du canton que détermine le Conseil d'Etat au für et à mesure des besoins.
Avant de procéder à l'élaboration d'un plan d'extension cantonal, le Département des travaux publics entend les municipalités des communes territoriales intéressées."
"Art. 54 al. 1. - Les art. 25 ... 30 ... sont applicable s par analogie aux plans et aux règlements d'extension cantonaux."
L'art. 25 LPC concerne les règlements communaux. Il prévoit notamment que ces "règlements ... peuvent fixer les règles et conditions relatives ... à la destination des immeubles". En vertu de l'art. 30 LPC, "la commune peut être tenue d'exproprier sitôt après l'approbation du plan toute parcelle non bâtie dont la valeur dépend principalement de la possibilité d'y construire, lorsque l'utilisation en est rendue impossible ou gênée dans une trop large mesure par l'interdiction de construire". Enfin l'art. 57 al. 1 LPC interdit toute construction de nature à compromettre l'aspect ou le caractère d'un site. Toutefois, lorsqu'une commune applique l'art. 57 al. 1, elle peut être tenue d'exproprier tout fonds dont la valeur dépend principalement de la possibilité d'y construire quand, du fait de l'interdiction, l'utilisation en est rendue impossible ou gênée dans une trop large mesure.
B.-
En 1953, le Département des travaux publics du canton de Vaud mit à l'enquête un plan d'extension cantonal tendant à sauvegarder l'aspect actuel de la région des Grangettes et du Vieux-Rhône, sur le territoire de la commune de Noville. Tenant compte des observations présentées par celle-ci, le département mit à l'enquête, du 8 octobre au 7 novembre 1955, un nouveau plan comportant un périmètre quelque peu réduit. Ce plan fit l'objet de nouvelles oppositions émanant de propriétaires de parcelles situées dans la zone du plan 56, notamment des communes de Villeneuve et de Noville ainsi que de Jean Ries, J. Tuchschmidt, Jean-Pierre Fontannaz, R. Robyr, François Arnaud, Jacques Breuer, Louis Bruchez, les hoirs
BGE 84 I 167 S. 170
de Georges Stettler, Gustave et Marthe Favrod, Auguste Chessex, Edouard Stettler, Louis et Emma Perret, Robert Favrod, les enfants de Robert Clausen, Marcel Favrod, Paul Dorsaz, Henri Fontannaz, l'hoirie de Fritz Brönimann, René Pernet, Albert Trollux, Emile Cathélaz, J. Puenzieux, Gustave Pernet et Henri Pernet. Ayant examiné ces diverses oppositions, le Conseil d'Etat décida de réduire encore le périmètre du plan. Le 15 novembre 1957, il adopta le plan d'extension cantonal no 56, qui comprend une bande de terrain de 500 m environ le long de la grève du lac entre Villeneuve et l'embouchure du Grand Canal et tout le secteur compris entre le Grand Canal, la rive du Léman et le Rhône jusqu'à environ 3 km en amont. Le plan porte l'inscription suivante:
"... Sont seules admises:
a) les constructions existantes ou destinées à compléter une exploitation existante;
b) les constructions et installations nécessaires à l'exploitation agricole et sylvicole;
Toutes ces constructions doivent être préalablement autorisées par le Département des travaux publics.
c) une utilisation du sol pour l'agriculture et la sylviculture (à l'exclusion de gravières, aérodromes, dépôts d'entreprises, camping, etc.)."
Le Département des travaux publics a informé les opposants de l'adoption du plan par une lettre-circulaire du 20 novembre 1957 où il explique que, selon le Conseil d'Etat, les terrains englobés dans le périmètre du plan ne sont pas de ceux dont la valeur dépend principalement de la possibilité d'y construire et que l'art. 30 LPC n'est donc pas applicable.
C.-
Le plan fait aujourd'hui l'objet d'un recours de droit public. Ce recours a été interjeté par les communes et particuliers qui ont fait opposition en procédure cantonale, par Emile Dufaux, Edouard Jordan, Robert Korkis, Fritz Riesen et l'entreprise Luini et Chabod qui, au moment de l'enquête, n'étaient pas encore propriétaires des parcelles qu'ils possèdent aujourd'hui dans la zone du plan, enfin par la commune de Rennaz et différents particuliers qui
BGE 84 I 167 S. 171
n'ont pas fait opposition devant les autorités cantonales. Ces particuliers sont Ernest Favrod, Rodolphe Mail, Hélène Borloz, Edmond Collomb, Robert Perriaz, Paul Favrod, Marguerite Favrod, Charles Pernet, Adèle Favrod, Charles Favre, Joseph Daven, Ed. Deppen, Robert Borloz, René Favrod, Elisa Culand, l'entreprise Fontannaz et Perriaz, dame veuve Henri Fontannaz et Aloïs Cathélaz.
Les recourants demandent l'annulation du plan 56 et de la décision du 15 novembre 1957 par laquelle le Conseil d'Etat a adopté ce plan. Ils se plaignent essentiellement d'une violation de la garantie de la propriété. Leurs moyens seront repris ci-après dans la mesure utile.
Le Conseil d'Etat conclut au rejet des recours, celui de la commune de Villeneuve étant toutefois déclaré irrecevable pour cause de tardiveté.
Une délégation du Tribunal fédéral a procédé à une inspection locale sur laquelle on reviendra en tant que de besoin.
Erwägungen
Considérant en droit:
1.
La commune de Villeneuve a reçu la décision attaquée le 27 novembre 1957, de sorte que, pour elle, le délai de trente jours prévu par l'art. 89 OJ expirait le 27 décembre 1957. Le recours de droit public qu'elle a mis à la poste conjointement avec les communes de Noville et de Rennaz le 28 décembre 1957 seulement est tardif en ce qui la concerne. L'exception d'irrecevabilité soulevée par le Conseil d'Etat sur ce point est donc fondée.
2.
Sous réserve de certaines hypothèses qui ne sont pas réalisées ici, les recours pour violation de droits constitutionnels des citoyens - et notamment le recours pour violation de la garantie de la propriété - ne sont recevables qu'après que les moyens de droit cantonal ont été épuisés (art. 86 al. 2 OJ). La notion de moyen de droit cantonal doit être entendue largement et comprend non seulement les recours proprement dits, mais toutes les voies de droit par lesquelles il est possible d'éliminer le
BGE 84 I 167 S. 172
préjudice juridique allégué dans le recours de droit public (RO 81 I 61/62
;
78 I 250
). La procédure d'opposition à un plan d'extension cantonal, qui s'est déroulée en l'espèce conformément aux prescriptions de la loi (art. 54 al. 2 et 36 LPC), est une procédure contradictoire, qui permet aux propriétaires intéressés de défendre ceux de leurs droits constitutionnels auxquels le projet porterait atteinte et qui, de fait, a permis en l'occurrence aux communes de Villeneuve et de Noville d'obtenir une réduction appréciable du périmètre de la zone frappée par le plan. Pareille procédure doit dès lors être considérée comme un moyen de droit cantonal au sens de l'art. 86 al. 2 OJ. Les recourants qui n'ont pas fait opposition lors de l'enquête n'ont donc pas épuisé les moyens de droit cantonal. Il s'ensuit que le recours est irrecevable en ce qui les concerne. On peut se demander s'il ne l'est pas également dans la mesure où il a été déposé par les cinq personnes qui, au moment de l'enquête, n'étaient pas encore propriétaires des parcelles qu'elles possèdent aujourd'hui. Cette question peut cependant demeurer indécise car, ainsi qu'on va le voir, le recours est en tout cas mal fondé.
3.
Le plan attaqué constitue une restriction de droit public à la propriété foncière au sens de l'art. 702 CC. Les restrictions de ce genre sont admissibles moyennant la réunion de certaines conditions.
Il faut tout d'abord que la restriction repose sur une base légale. Dans la mesure où, comme en l'espèce, le recourant ne soutient pas que la base légale choisie par l'autorité est elle-même contraire à la garantie de la propriété mais où il allègue simplement que l'acte attaqué ne repose pas sur une base légale, le sort du recours dépend exclusivement du lien qui peut être établi entre l'acte attaqué et le texte qui, d'après l'autorité intimée, lui sert de fondement. Comme ce texte est une règle de droit cantonal, le Tribunal fédéral ne s'écarte pas sans nécessité de l'interprétation qu'en donne l'autorité cantonale et ne
BGE 84 I 167 S. 173
revoit cette interprétation que sous l'angle de l'arbitraire. Il ne quitte ce terrain et n'exige une base légale non équivoque que lorsque l'atteinte que subit le propriétaire est particulièrement grave et dépasse largement ce qui est habituel en Suisse.
Il est nécessaire d'autre part que la restriction imposée au droit de propriété soit dans l'mtérêt public. A cet égard, le Tribunal fédéral reconnaît un pouvoir d'appréciation étendu aux autorités cantonales mieux placées que lui pour examiner le problème de l'intérêt général et des mesures que la sauvegarde de celui-ci exige. Il n'intervient que si, de toute évidence, les restrictions imposées au propriétaire dépassent le but visé ou qu'il ne peut manifestement pas être question d'un intérêt public. Sur ce point aussi, il ne revoit donc l'opinion des autorités cantonales que sous l'angle de l'arbitraire.
Enfin, dans les cas où la restriction équivaut à une véritable expropriation, elle doit donner lieu au paiement d'une indemnité. Toutefois, même si cette hypothèse est réalisée, il ne saurait être question d'une violation de la garantie de la propriété tant que le propriétaire qui se prétend lésé dispose d'une voie de droit pour réclamer une indemnité.
(Sur ces différents principes, voir RO 82 I 161, 162 b; (Sur ces différents principes, voir RO 82 I 161, 162 b
;
81 I 348
;
81 I 29
;
79 I 228
;
78 I 427
/8
;
77 I 218
;
76 I 334
;
74 I 150
/1
;
57 I 385
).
Les recourants contestent que ces conditions soient remplies. C'est ce qu'il convient d'examiner.
4.
Le Conseil d'Etat fonde le plan attaqué essentiellement sur les art. 1er ch. 2, 53 et 25 ch. 6 LPC. Les recourants, qui ne prétendent pas que ces dispositions sont elles-mêmes inconstitutionnelles, soutiennent en revanche qu'elles ne permettaient pas à l'autorité cantonale de décréter, au sujet d'une très vaste zone, une interdiction générale de construire ne souffrant d'exception que pour les bâtiments destinés à l'agriculture ou à la sylviculture.
BGE 84 I 167 S. 174
Toutefois, ainsi d'ailleurs que les communes recourantes le relèvent elles-mêmes, le plan litigieux vise uniquement à protéger un site. Or il n'est en tout cas pas arbitraire d'affirmer que ce but est conforme aux dispositions de la loi vaudoise sur la police des constructions. En effet, celle-ci permet aux autorités de sauvegarder les beautés et les curiosités naturelles du pays (art. 1er ch. 2) et d'interdire les constructions pouvant compromettre l'aspect ou le caractère d'un site (art. 57 al. 1). On peut se demander, il est vrai, si les mesures que l'Etat a prises pour atteindre ce but reposent elles aussi sur une base légale suffisante. Ces mesures consistent à admettre exclusivement, sur une zone comprenant non seulement les rives mêmes du lac mais aussi une large part de l'arrière-pays, "les constructions existantes ou destinées à compléter une exploitation existante", "les constructions et installations nécessaires à l'exploitation agricole et sylvicole", et "une utilisation du sol pour l'agriculture et la sylviculture". Quant à la zone frappée de l'interdiction, l'autorité cantonale peut, sans aucun arbitraire, invoquer l'art. 53 LPC puisque cette disposition l'autorise à établir des plans d'extension non seulement pour les rives du Léman mais aussi pour les régions et les sites du canton que le Conseil d'Etat détermine au für et à mesure des besoins. Quant à l'interdiction de construire, elle peut, sous l'angle de l'art. 4 Cst. en tout cas, être fondée sur l'art. 26 ch. 6 LPC concernant l'objet des règlements communaux et qui est applicable aux plans d'extension cantonaux. Cette disposition prévoit en effet que le règlement communal fixe "la destination des immeubles", c'est-à-dire le but auquel ceux-ci peuvent être affectés ou la manière dont ils peuvent être utilisés. S'agissant d'un plan d'extension cantonal visant à sauvegarder un site, cette disposition, qui est applicable par analogie, peut justifier non pas uniquement, ainsi que le soutiennent les recourants, la création de zones de construction dans une région urbaine, mais aussi des mesures
BGE 84 I 167 S. 175
consistant, comme en l'espèce, à restreindre les constructions et l'utilisation du sol à des fins agricoles ou sylvicoles et permettant d'atteindre le but recherché. Il n'est en effet pas arbitraire de considérer qu'une mesure de ce genre fixe la destination des immeubles compte tenu des fins particulières que poursuit l'autorité.
Les recourants invoquent la jurisprudence selon laquelle la base légale doit être claire et nette quand l'atteinte que subit le propriétaire est particulièrement grave et dépasse largement ce qui est habituel en Suisse (RO 74 I 156, 76 I 336, 77 I 218). Ils perdent toutefois de vue que cette jurisprudence ne vise que la création de zones de verdure ou de zones réservées à l'agriculture dans des régions à caractère urbain ou semi-urbain. Ils ne sauraient dès lors l'invoquer en l'espèce où il s'agit de la sauvegarde d'un site. Ils le peuvent d'autant moins que l'atteinte qu'ils subissent ne présente pas le caractère particulier de gravité exigé par cette jurisprudence et qu'en permettant certaines constructions nouvelles pour compléter par exemple les installations d'une industrie existante ou pour ouvrir de nouvelles exploitations agricoles ou sylvicoles, l'Etat leur a fait des concessions appréciables.
5.
Les recourants ne contestent pas que, dans son principe, le plan soit dans l'intérêt public. Ils font valoir en revanche que le but poursuivi par l'autorité cantonale ne justifie ni l'étendue de la zone frappée ni l'importance des restrictions imposées au droit de propriété. Ils affirment en particulier que le plan ne vise à sauvegarder que la région des rives du lac et que les mesures prises dépassent de beaucoup ce qui était nécessaire pour atteindre ce but. Ils se méprennent toutefois sur les fins que l'autorité cantonale poursuit. Il ne s'agit nullement pour elle de conserver dans leur état actuel les seules berges du lac. Elle entend bien plutôt sauvegarder à la fois la zone des grèves et celle du Vieux-Rhône. Or cette région forme un véritable tout. Ainsi que l'inspection locale l'a démontré, elle présente un
BGE 84 I 167 S. 176
intérêt certain du point de vue de la faune et de la flore et réserve au promeneur le charme de paysages variés et reposants que peu de régions offrent encore en Suisse. Dans ces conditions, l'autorité cantonale pouvait sans arbitraire considérer que l'ensemble de la région était un site et qu'il était conforme à l'intérêt public de la protéger, ainsi d'ailleurs que la jurisprudence l'admet.
Tout au plus pourrait-on se demander si la partie est de la zone comprise dans le plan correspond entièrement à la notion de site. Cette question peut cependant demeurer indécise car les terrains sis dans cette région appartiennent à la commune de Villeneuve dont le recours est irrecevable. Au reste, il est raisonnable, pour sauvegarder un site, d'ordonner des mesures restreignant le droit de propriété à une certaine distance déjà de l'objet même à protéger. Il n'y a donc pas de raison de considérer comme manifestement excessif le périmètre du plan attaqué. Quant aux mesures prises, elles ne dépassent pas non plus ce qui est nécessaire pour atteindre le but d'intérêt public que l'autorité poursuit. Le Tribunal fédéral a d'ailleurs déjà jugé que la protection des sites peut comporter des restrictions au droit de propriété et notamment l'interdiction de construire, dans des zones étendues, d'autres bâtiments que ceux destinés à l'exploitation agricole (cf. arrêts Messikommer du 22 mars 1950 relatif au lac de Pfäffikon, et Jucker du 12 juin 1957 concernant le Neeracherried).
6.
Les recourants exposent enfin que le plan les empêche d'utiliser leurs fonds notamment comme terrain à bâtir et restreint ainsi à tel point leur droit de propriété qu'il équivaut en fait à une expropriation. Ils en concluent qu'ils ont droit à une indemnité et que la décision approuvant le plan et qui ne leur en accorde aucune viole la garantie de la propriété. Toutefois, en l'état actuel de la cause, ce moyen n'est pas fondé. En effet, d'après l'art. 30 LPC, la commune peut être tenue d'exproprier toute parcelle non bâtie dont la valeur dépend principalement de la possibilité d'y construire, lorsque l'utilisation en est rendue
BGE 84 I 167 S. 177
impossible ou est gênée dans une trop large mesure par l'interdiction de construire. En instituant l'obligation d'exproprier le terrain, cette disposition prévoit implicitement l'obligation de payer une indemnité. Tant que cette voie n'est pas utilisée - et les recourants n'ont pas demandé expressément l'application de l'art. 30 LPC - la question de l'indemnité reste donc ouverte et, conformément à la jurisprudence, il ne saurait être question d'une violation de la garantie de la propriété.
Il est vrai que l'art. 30 LPC vise le cas où l'interdiction de construire est décrétée par la commune dans le cadre d'un plan d'extension communal. Toutefois, l'art. 54 al. 1 LPC prévoit expressément que l'art. 30 LPC est applicable par analogie aux plans d'extension cantonaux. La question de savoir quelle est exactement la procédure à suivre lorsqu'il s'agit d'un plan d'extension cantonal, et en particulier à qui la demande d'exproprier doit être adressée et quelles sont les autorités compétentes pour statuer, relève du droit cantonal et ne saurait être aujourd'hui préjugée par le Tribunal fédéral.
Il est vrai aussi que, dans sa lettre du 20 novembre 1957 aux opposants, le Département des travaux publics a expliqué que, selon le Conseil d'Etat, l'art. 30 LPC n'était pas applicable parce que les terrains frappés d'interdiction de bâtir n'étaient pas de ceux dont la valeur dépendait principalement de la possibilité d'y construire. Cependant, cette affirmation est faite en termes tout à fait généraux, de sorte qu'on ne saurait dire actuellement que le Conseil d'Etat a pris définitivement position, à l'égard de chacun des recourants, au sujet de l'application de l'art. 30 LPC, lequel d'ailleurs, d'après un avis de droit produit par le Conseil d'Etat, peut aussi être invoqué en cas de circonstances nouvelles.
Dispositiv
Par ces motifs, le Tribunal fédéral:
1. Déclare irrecevables les recours des communes de Villeneuve et Rennaz ainsi que des propriétaires mentionnés
BGE 84 I 167 S. 178
dans l'arrêt, qui n'ont pas fait opposition au plan dans l'instance cantonale;
2. Rejette les autres recours en tant qu'ils sont recevables. | public_law | nan | fr | 1,958 | CH_BGE | CH_BGE_001 | CH | Federation |
7c21ba05-f07a-45de-a456-36e12d4414ec | Urteilskopf
110 II 304
61. Extrait de l'arrêt de la IIe Cour civile du 7 juin 1984 dans la cause X. S.A. contre Commission cantonale de recours en matière foncière du canton de Vaud (recours de droit administratif) | Regeste
Art. 19 Abs. 1 lit. c EGG
.
Verkauf einer zu einem landwirtschaftlichen Heimwesen gehörenden Parzelle; Begriff der Existenzfähigkeit.
Die Existenzfähigkeit eines landwirtschaftlichen Heimwesens im Sinne von
Art. 19 Abs. 1 lit. c EGG
ist ein objektiver Begriff. Das Mindesteinkommen, das ein Heimwesen einbringen muss, um einem Bauern und seiner Familie als Lebenszentrum und Grundlage für den Betrieb eines landwirtschaftlichen Gewerbes zu dienen, bestimmt sich nach einem mittleren Jahresertrag unter Berücksichtigung einer normalen Verschuldung; die (zu hohen) auf dem Heimwesen lastenden Schulden dürfen bei der Berechnung des Mindesteinkommens nicht berücksichtigt werden (Bestätigung der Rechtsprechung). | Sachverhalt
ab Seite 304
BGE 110 II 304 S. 304
A.-
X. S.A., dont l'administrateur, Y., détient 230 actions et sa femme les 20 autres, est propriétaire, depuis 1964, d'un domaine
BGE 110 II 304 S. 305
agricole d'un seul tenant, situé à E. Ce domaine avait, à l'époque de son acquisition par cette société, une contenance de quelque 29 hectares (ha), dont environ 27 ha de prés-champs et 2 ha de forêts. Il comportait deux importants bâtiments, l'un, de 606 m2, comprenant une partie habitable, un rural, un hangar et une porcherie, l'autre, de 474 m2, ayant une partie habitable de quatre logements et un rural avec une écurie; un troisième bâtiment, plus petit, de 50 m2, renferme un logement au-dessus d'un réservoir et d'un garage. En janvier 1983, X. S.A., représentée par l'administrateur Y., a vendu une parcelle de 5200 m2, savoir 4594 m2 en nature de pré-champ et 606 m2, surface du bâtiment comprenant la porcherie, à dame Z., qui entraîne des chevaux de course; cette dernière a aménagé onze boxes pour chevaux dans l'ancienne porcherie et a transformé la partie habitable. Le domaine est grevé de dettes hypothécaires s'élevant à 950'000 francs en premier rang et 175'000 francs en second rang.
Dame Z. souhaite acquérir la parcelle No 320, de 62'810 m2, voisine de celle dont elle est propriétaire, afin d'y installer une piste d'entraînement pour chevaux et d'y produire du foin. X. S.A. a intérêt à cette opération, qui lui permettrait de diminuer les charges hypothécaires. Les parties ont saisi la Commission foncière, Section I, du canton de Vaud d'une requête "en vue d'obtenir une décision de renonciation à former opposition" à cette vente.
Le 25 mars 1983, ladite commission a rejeté cette requête et a refusé "l'autorisation sollicitée par X. S.A. de vendre à dame Z. la parcelle No ... de 62'810 m2 de la Commune d'E. pour le prix approximatif de 160'000 francs".
B.-
Par prononcé du 18 août 1983, la Commission cantonale vaudoise de recours en matière foncière (ci-après: CCR) a rejeté le recours formé par X. S.A. contre la décision de la Commission foncière, Section I, et l'a maintenue.
C.-
X. S.A. a formé un recours de droit administratif au Tribunal fédéral. Elle demande que la décision déférée soit réformée en ce sens que l'autorisation qu'elle sollicite de vendre à dame X. la parcelle ... de 62'810 m2 de la commune d'E. pour le prix approximatif de 200'000 francs est accordée.
Le Département fédéral de justice et police, Office fédéral de la justice, estime que l'opposition n'est pas fondée et conclut à l'admission du recours sur la base de l'
art. 104 lettre a OJ
.
BGE 110 II 304 S. 306
Erwägungen
Extrait des considérants:
2.
a) Aux termes de l'
art. 18 LPR
, les cantons sont autorisés à instituer pour leur territoire une procédure d'opposition aux contrats de vente portant sur des domaines agricoles ou des biens-fonds agricoles. Le canton de Vaud a fait usage de cette faculté. L'art. 19 al. 1 lettre c LPR dispose qu'il peut être fait opposition si la vente a pour effet de rendre une exploitation agricole non viable, à moins que les biens-fonds ne soient acquis en vue de bâtir ou d'utiliser le sol à des fins artisanales ou industrielles et qu'ils ne se prêtent à ces usages, ou que la suppression de l'exploitation ne soit commandée par d'autres justes motifs.
Il faut entendre par domaine agricole l'ensemble des terres et des bâtiments qui est propre à constituer, pour le paysan (propriétaire ou fermier) et sa famille, le centre de son existence et la base de l'exploitation d'une entreprise agricole (
ATF 107 II 378
consid. c bb,
ATF 94 I 176
,
ATF 92 I 316
,
ATF 89 I 57
, 231). Il s'agit d'une unité économique (cf. Message du Conseil fédéral à l'appui du projet de loi sur le maintien de la propriété foncière rurale du 30 décembre 1947, FF 1948 I, p. 54), formée d'un groupe de choses au sens juridique du terme, soit d'immeubles; la vente d'un domaine agricole revêt dès lors juridiquement la forme de la vente de plusieurs immeubles (
ATF 107 II 379
).
Selon la jurisprudence (
ATF 92 I 316
et les références), la procédure d'opposition de l'
art. 19 LPR
s'applique aussi aux petits domaines agricoles, qui ne suffisent pas à assurer l'existence d'une famille paysanne. Le Tribunal fédéral a précisé que la loi tend, par cette procédure, à maintenir en Suisse le plus grand nombre possible de domaines propres à servir de base à l'existence d'une famille paysanne (
ATF 97 I 551
consid. 4a et les références).
L'art. 19 al. 1 lettre c LPR, selon lequel il peut être formé opposition si la vente a pour effet de rendre une exploitation agricole non viable, vise, d'une part, l'aliénation partielle (soit d'un ou de plusieurs biens-fonds ou bâtiments qui sont des éléments constitutifs du domaine), à la suite de laquelle les immeubles restants ne suffisent pas pour servir de base à l'existence d'une famille paysanne, et, d'autre part, l'aliénation totale, lorsque celle-ci a pour conséquence la suppression d'une exploitation agricole (
ATF 97 I 551
consid. 4,
ATF 92 I 419
consid. 3).
Selon la jurisprudence, en cas d'aliénation d'un ou de plusieurs
BGE 110 II 304 S. 307
biens-fonds faisant partie d'un domaine agricole, celui-ci est rendu non viable au sens de l'art. 19 al. 1 lettre c LPR lorsque, amputé de la ou des parcelles vendues, il ne peut plus constituer la base de l'existence d'une famille de paysans (
ATF 88 I 327
/328 consid. 2), et ce, même si, avant la vente déjà, le domaine ne suffisait pas à lui seul à entretenir convenablement une famille paysanne (
ATF 89 I 59
consid. 3). Le revenu minimum nécessaire pour qu'un domaine puisse être considéré comme propre à être le centre de l'existence d'une famille paysanne et la base d'une exploitation agricole se détermine en partant d'un rendement annuel moyen compte tenu d'un endettement normal, et non pas des dettes grevant effectivement le domaine, si l'endettement est de fait trop élevé (
ATF 89 II 20
ss consid. 2; PIDOUX, Droit foncier rural, RDS 1979 II, p. 402).
b) En l'espèce, le domaine appartenant à X. S.A. constitue un domaine agricole au sens de l'
art. 19 LPR
. La CCR constate qu'il comprend 284'714 m2, dont 26 ha de prés-champs et 2 ha de bois, d'un seul tenant, et des bâtiments importants en parfait état (notamment une écurie double, une fosse à purin en ordre, des silos récents), qui ont été utilisés jusqu'en octobre 1982. Elle retient que l'administrateur Y. a exploité ce domaine personnellement jusqu'en 1979, en faisant de l'engraissement de bétail et de porcs, qu'actuellement il loue les quatre appartements de l'un des bâtiments, le rural étant inutilisé, et que deux agriculteurs exploitent respectivement 14 ha et demi et 5 ha, selon un arrangement provisoire passé avec lui.
L'autorité cantonale de dernière instance relève que le domaine est situé à 800 m d'altitude et a donc un rendement inférieur à une exploitation de plaine, qu'il se trouve dans une zone de non-ensilage et que le contingent laitier qui pourrait être obtenu serait minime, et qu'en outre il existe un certain déséquilibre entre l'importance des bâtiments et la surface des terres. Elle admet néanmoins que, même si la parcelle No ..., de 62'810 m2, était vendue et que la surface du domaine était ramenée à 221'904 m2, il serait en principe encore viable, comme le soutient X. S.A. Cependant, elle estime qu'il ne faut "pas raisonner dans l'abstrait, mais considérer l'ensemble des circonstances du cas pour déterminer la viabilité". A cet égard, elle retient que "le domaine ... est si lourdement hypothéqué qu'il est juste viable actuellement et ne le serait plus si on l'amputait de 6 ha, la vente ne permettant que de rembourser l'hypothèque en deuxième rang, que c'est un
BGE 110 II 304 S. 308
non-sens de diminuer la surface de ce domaine d'un seul tenant et d'accentuer encore le déséquilibre entre les bâtiments et les terres en laissant inutilisé le rural en parfait état". Elle conclut "que la vente de 6 ha ne résoudrait pas durablement les problèmes financiers de M. Y. qui, inéluctablement, devrait vendre peu à peu d'autres parcelles, qu'il s'agit donc bien là d'un démembrement au sens de l'art. 19 al. 1 c LPR".
La recourante soutient que la CCR a violé la disposition précitée en jugeant que l'opposition à cette opération se justifiait au motif que l'exploitation du domaine ne serait plus rentable. C'est également l'avis de l'Office fédéral de la justice. Selon lui, l'autorité cantonale a modifié la notion de viabilité "en en complétant la définition par des facteurs de démembrement qui lui sont étrangers: charge hypothécaire trop lourde pour que le domaine reste viable, danger de ventes ultérieures pour remédier aux difficultés de la situation présente". L'Office dit ne pas pouvoir "suivre une telle interprétation, car elle revient à étendre les cas d'opposition prévus limitativement par le droit fédéral; et aucun canton ne saurait aggraver pour son territoire l'atteinte portée à la garantie de la propriété et au principe de la liberté contractuelle (
ATF 93 I 679
...)".
Les critiques formulées par la recourante et l'Office fédéral de la justice à l'encontre de l'opinion de la CCR sont fondées. La viabilité d'un domaine agricole, au sens de l'art. 19 al. 1 lettre c LPR, est une notion objective: comme on l'a vu, est viable le domaine agricole qui a une surface suffisante et des bâtiments (habitation et rural) adéquats pour qu'il puisse servir de base à l'existence d'une famille paysanne, même s'il ne permet pas à lui seul de l'entretenir; le revenu du domaine nécessaire à cet effet se calcule en tenant compte d'un endettement normal. L'autorité cantonale de dernière instance admet que le domaine appartenant à la recourante, même après la vente de la parcelle No ..., continuerait à être viable, eu égard à la contenance restante de quelque 22 ha et aux bâtiments. Il s'ensuit que l'opposition à cette vente ne saurait être fondée au regard de l'art. 19 al. 1 lettre c LPR. La circonstance que le domaine est grevé de 950'000 francs de dettes hypothécaires en premier rang et d'une cédule en second rang de 175'000 francs, en sorte que la vente de la parcelle No ... pour quelque 200'000 francs ne suffirait pas à assainir la situation, est sans incidence sur la viabilité comme telle du domaine. Il n'importe pas non plus que, même après remboursement du montant de la cédule hypothécaire en deuxième rang au
BGE 110 II 304 S. 309
moyen du produit de la vente, le revenu du domaine ne suffirait pas à assurer le service de la dette hypothécaire en premier rang. La viabilité du domaine comme telle n'est pas influencée par le surendettement de la société propriétaire, ni non plus par la circonstance que celle-ci pourrait être inéluctablement amenée à vendre d'autres parcelles pour faire face à sa situation financière obérée. L'autorité cantonale fait une confusion entre la viabilité objective d'une exploitation agricole et la possibilité pour son propriétaire de payer les intérêts et les amortissements sur les dettes hypothécaires exagérées dont elle est grevée.
c) La CCR estime à tort qu'il n'y a pas, du côté de la venderesse, de justes motifs permettant de renoncer à une opposition à la vente projetée, dès lors que "la situation financière de M. Y. ne serait ... pas véritablement améliorée" par cette vente. Là encore, l'autorité cantonale méconnaît le but, le sens et la portée de l'art. 19 al. 1 lettre c LPR. Etant donné que la viabilité du domaine n'est pas atteinte, mais au contraire subsiste après la vente de 62'810 m2 à dame Z., il n'y a pas lieu d'examiner si des justes motifs, du côté de la venderesse ou de l'acheteuse, existent ou non, qui seraient de nature à fonder une renonciation à une opposition.
d) Il suit de là que la décision attaquée viole l'art. 19 al. 1 lettre c LPR: elle doit donc être annulée et l'opposition levée. | public_law | nan | fr | 1,984 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
7c249b97-df21-4fc7-9836-cb824ab1aa40 | Urteilskopf
103 Ib 134
24. Auszug aus dem Urteil vom 1. April 1977 i.S. Hunziker gegen Regierungsrat des Kantons St. Gallen | Regeste
Verfahren;
Art. 97 ff. OG
.
Rüge der Verletzung kantonaler Ausstandsvorschriften. Zulässigkeit der Verwaltungsgerichtsbeschwerde? (E. 2).
Tierseuchenverordnung (TSV).
1. Die Anordnung der in
Art 21 Ziff. 16 TSV
vorgeschriebenen Massnahmen durch die kantonalen Behörden erfordert nicht die Zustimmung des Eidg. Volkswirtschaftsdepartementes gemäss Art. 54 Abs. 2 Tierseuchengesetz (E. 3).
2. Gesetzmässigkeit von
Art. 21 Ziff. 16 TSV
(E. 4 u. E. 5). | Sachverhalt
ab Seite 135
BGE 103 Ib 134 S. 135
Der Bundesrat hat am 2. Juni 1975 einzelne Vorschriften der Verordnung vom 15. Dezember 1967 zum Bundesgesetz über die Bekämpfung von Tierseuchen (Tierseuchenverordnung; TSV) revidiert. Die Änderung ist am 1. September 1975 in Kraft getreten. Hinsichtlich der Tierkörperbeseitigung bestimmt die Verordnung im revidierten Art. 21 Ziff. 15 und 16:
"15 Die Kantone sind ermächtigt, die Abgabe von Tierkörpern als Tierfutter für Fleischfresser oder zur Herstellung von Tierfutterkonserven zuzulassen.
Sie haben die hierzu erforderlichen sichernden Bedingungen festzulegen und die Art der Tierkörper zu bezeichnen, die zum vorgesehenen Zweck abgegeben werden dürfen. Die Bestimmungen von Artikel 22 sowie der Fleischschaugesetzgebung bleiben vorbehalten.
16 1) Zur Fütterung an andere Tiere dürfen nur Tierkörper aus Schlacht- und Fleischverarbeitungsbetrieben verwertet werden, sofern sie vor dem Einbringen in den Tierhaltungsbetrieb durch Hitze sterilisiert worden sind.
2) Die Sterilisationsanlagen müssen vom Kantonstierarzt bewilligt sein, wobei die Bestimmungen der Artikel 21.6-21.8, mit Ausnahme der Genehmigung durch das Veterinäramt, sinngemäss anwendbar sind. Sie müssen baulich und personell von Tierhaltungsbetrieben vollständig getrennt sein. Der Transport hat vom einzelnen Liefer- zum Sterilisationsbetrieb direkt, unter Einhaltung der Vorschriften von Artikel 21.18 Absätze 1 und 2, zu erfolgen." Nach
Art. 21 Ziff. 18 TSV
hat der Transport von Tierkörpern so zu erfolgen, dass eine Seuchengefahr möglichst ausgeschlossen ist; insbesondere darf kein Material nach aussen gelangen. Abs. 2 schreibt vor, dass für den Transport nach Tierkörperbeseitigungsanlagen nur geeignete Behälter oder Spezialwagen verwendet werden dürfen. Für die Anpassung an die Bestimmungen von Art. 21 Ziff. 16 hat der Bundesrat eine Übergangsfrist bis zum 31. Dezember 1977 eingeräumt (Art. III Abs. 2 der Schlussbestimmungen der Änderung vom 2. Juni 1975; AS 1975, 996).
BGE 103 Ib 134 S. 136
Erwin Hunziker besitzt in Sigensee bei Münchwilen (TG) einen grossen Schweinemastbetrieb; er füttert die Schweine mit Schlachtabfällen und anderem Tierkörpermaterial. Die hierfür notwendigen Tierkörper beschafft er sich hauptsächlich bei Tierhaltungsbetrieben, aber auch bei Metzgereien aus den Kantonen Thurgau, Zürich und St. Gallen. Er führt zu diesem Zweck einen regelmässigen Sammeldienst durch, indem er mit einem speziell dafür eingerichteten Lastwagen die bereitgestellten Tierkörper einsammelt. Die eingesammelten Tierkörper werden anschliessend in vier Autoklaven mit einem Fassungsvermögen von insgesamt 30 000 Litern solange sterilisiert, bis die Weichteile unter der Einwirkung der Hitze zerfallen. Auf diese Weise entsteht eine Suppe, die anschliessend den Schweinen verfüttert wird. Ist der Anfall an Tierkörpern sehr gross, so wird die gekochte Suppe an Dritte veräussert.
Gestützt auf den revidierten
Art. 21 TSV
verbot das Veterinäramt des Kantons St. Gallen Erwin Hunziker mit Verfügung vom 29. Oktober 1975 ab sofort das Abholen von Kadavern umgestandener oder totgeborener Tiere aus Tierhaltungsbetrieben. Im Rahmen der vom Bundesrat eingeräumten Übergangsfrist gestattete es ihm, seinen Sammeldienst bei den von ihm schon vor der Revision der Verordnung angegangenen Metzgereien im Kanton St. Gallen noch bis Ende 1977 durchzuführen. Bei allen anderen Schlacht- und Fleischverarbeitungsbetrieben des Kantons wurde ihm das Abholen von Material nur unter der Bedingung erlaubt, dass
Art. 21 Ziff. 16 Abs. 2 TSV
eingehalten werde.
Erwin Hunziker führte hiegegen Beschwerde beim Regierungsrat des Kantons St. Gallen, welche am 22. Juni 1976 abgewiesen wurde. Er erhebt Verwaltungsgerichtsbeschwerde mit dem Begehren, der Entscheid des Regierungsrates und die Verfügung des kantonalen Veterinäramtes vom 29. Oktober 1975 seien aufzuheben. Er beanstandet, dass Dr. W. Krapf, der Leiter des kantonalen Veterinäramtes, nicht in den Ausstand getreten ist, obwohl er Präsident der Tiermehlfabrik Ostschweiz AG in Bazenheid (SG) ist. Der Beschwerdeführer erblickt darin eine Verletzung der kantonalen Ausstandsvorschriften, welche zugleich einen Verstoss gegen
Art. 4 BV
darstelle. Weiter rügt er eine Verletzung von Art. 54 Abs. 2 Tierseuchengesetz (TSG) bzw. von
Art. 62 Abs. 1 TSV
. In
BGE 103 Ib 134 S. 137
materieller Hinsicht macht er geltend, der der Verfügung zugrundeliegende
Art. 21 TSV
verstosse gegen die Vorschriften des TSG sowie gegen die Handels- und Gewerbefreiheit, die Eigentumsgarantie und
Art. 4 BV
.
Der Regierungsrat des Kantons St. Gallen beantragt die Abweisung der Beschwerde. Das Eidg. Volkswirtschaftsdepartement erklärt, es schliesse sich im wesentlichen den Ausführungen des Regierungsrates an und verzichtet auf ergänzende Bemerkungen.
Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab u.a. aus folgenden.
Erwägungen
Erwägungen:
2.
Der Beschwerdeführer ist der Ansicht, der Kantonstierarzt, Dr. W. Krapf, hätte in den Ausstand treten müssen, weil er Verwaltungsratspräsident der Tiermehlfabrik Ostschweiz AG in Bazenheid (SG) sei, welche ein Konkurrenzunternehmen zu seinem Betrieb darstelle.
a) Mit dieser Rüge macht der Beschwerdeführer geltend, die kantonalen Ausstandsbestimmungen seien nicht eingehalten worden. Im Rahmen einer Verwaltungsgerichtsbeschwerde kann indessen nur eine Verletzung von Bundesrecht geltend gemacht werden und nicht auch eine solche von kantonalem Recht (
Art. 104 OG
). Unter den Begriff des Bundesrechts fallen aber auch die verfassungsmässigen Rechte des Bundes (
BGE 100 Ib 147
E. II/1;
BGE 96 I 187
). Der Beschwerdeführer erblickt in der Verletzung der kantonalen Ausstandsvorschriften zugleich eine Verletzung von
Art. 4 BV
. Es ist somit zu prüfen, ob eine Verletzung von
Art. 4 BV
vorliegt.
b) Gemäss
Art. 7 Abs. 1 VRP
haben Beamte von sich aus in den Ausstand zu treten, u.a. wenn sie "Organe einer an der Angelegenheit beteiligten Person sind oder in der Sache Auftrag erteilt haben" (lit. b) oder "wenn sie aus anderen Gründen befangen erscheinen" (lit. c).
Die Tiermehlfabrik Bazenheid ist eine Tierkörperbeseitigungsanlage im Sinne der TSV. Sie ist als gemischtwirtschaftliches Unternehmen organisiert. Der Kanton St. Gallen ist mit fünf Prozent am Aktienkapital beteiligt. Dr. W. Krapf ist nicht als Privatmann, sondern aufgrund seiner Funktion als Kantonstierarzt vom Kanton in den Verwaltungsrat abgeordnet
BGE 103 Ib 134 S. 138
worden und hat dort die Interessen des ihn delegierenden Gemeinwesens wahrzunehmen. Er ist also am angefochtenen Entscheid nicht persönlich interessiert (vgl. auch Urteil des Verwaltungsgerichts des Kantons Aargau vom 10. Mai 1973 in ZBl 74/1973, S. 413 f.; Urteil des Verwaltungsgerichts des Kantons Solothurn vom 16. November 1973 in Bericht des Obergerichts des Kantons Solothurn 1973, S. 86 f.). Die öffentlichen Interessen, die er als Mitglied des Verwaltungsrates wahrnehmen muss, decken sich mit denjenigen, die er auch sonst bei seiner Tätigkeit als Kantonstierarzt wahrnehmen muss, und die er gegenüber der Tiermehlfabrik auch dann durchsetzen müsste, wenn er nicht Mitglied des Verwaltungsrates wäre. Denn die Tiermehlfabrik erfüllt als Tierkörperbeseitigungsanlage im Sinn der TSV eine seuchenpolizeiliche Funktion und steht als solche unter strenger seuchenpolizeilicher und hygienischer Aufsicht des Kantons (
Art. 21 Ziff. 6 Abs. 1; Ziff. 8 ff. TSV
). Praktisch obliegt die Durchführung dieser Aufsicht dem Kantonstierarzt, der insbesondere die Pläne für den Neu- und Umbau von Tierkörperbeseitigungsanlagen zu begutachten hat (
Art. 21 Ziff. 8 Abs. 1 TSV
); die Inbetriebnahme und den Betrieb einer Anlage bewilligen muss (
Art. 21 Ziff. 8 Abs. 3 TSV
) und über die Modalitäten der Ablieferung der Tierkörper bzw. deren anderweitigen unschädlichen Beseitigung zu befinden hat (
Art. 21 Ziff. 14 TSV
). Da im übrigen keine Anhaltspunkte bestehen, welche auf eine Befangenheit des Kantonstierarztes schliessen liessen, ist eine Verletzung der Ausstandspflicht sowohl unter dem Gesichtspunkt des kantonalen Rechts als auch unter demjenigen des
Art. 4 BV
zu verneinen.
3.
Nach Ansicht des Beschwerdeführers hätte für die Verfügung die Zustimmung des Eidg. Volkswirtschaftsdepartementes gemäss
Art. 54 Abs. 2 TSG
bzw.
Art. 62 Ziff. 1 TSV
eingeholt werden müssen. Das TSG bestimmt in Art. 54 Abs. 2:
"Massnahmen eines Kantons, die den Verkehr mit andern Kantonen betreffen,
sind nur mit Zustimmung des Eidgenössischen Volkswirtschaftsdepartementes
zulässig." Durch diese Vorschrift soll verhindert werden, dass die Kantone gegeneinander Sperren verhängen und Verkehrsbeschränkungen einführen, die seuchenpolizeilich nicht unbedingt erforderlich
BGE 103 Ib 134 S. 139
sind (FRITSCHI/NABHOLZ/RIEDI, Kommentar zum TSG und zur TSV, S. 49 N. 3 zu Art. 54). Sie soll die Koordination der von den Kantonen beim Vollzug des TSG angeordneten Verkehrsbeschränkungen gewährleisten und verhindern, dass jeder Kanton bei der Anordnung solcher Beschränkungen nach seinem Belieben vorgeht (vgl. die Ausführungen des Berichterstatters im Ständerat, Amtl. Bull. 1965 S, S. 201). Die im vorliegenden Fall angeordneten Massnahmen sind indessen bereits in
Art. 21 Ziff. 16 TSV
vorgeschrieben. Die angefochtene Verfügung beschränkt sich darauf, diese Vorschrift anzuwenden; der Kanton St. Gallen hat darüber hinaus keine eigene Vollzugsmassnahme angeordnet. Der Einwand des Beschwerdeführers erweist sich aus diesem Grund als unbegründet. Ob es sich überhaupt um eine Massnahme handelt, die im Sinne von
Art. 54 Abs. 2 TSG
"den Verkehr mit andern Kantonen betrifft" kann im übrigen dahingestellt bleiben.
4.
a) Das Bundesgericht ist an die von der Bundesversammlung erlassenen Gesetze und allgemein verbindlichen Beschlüsse sowie an die von ihr genehmigten Staatsverträge gebunden (Art. 113 Abs. 3 und 114bis Abs. 3 BV). Dagegen kann es Verordnungen des Bundesrates grundsätzlich auf ihre Rechtmässigkeit überprüfen. Es unterwirft dieser Kontrolle insbesondere die auf eine gesetzliche Delegation gestützten (unselbständigen) Verordnungen des Bundesrates. Dabei prüft es, ob diese den Rahmen der dem Bundesrat im Gesetz delegierten Kompetenzen sprengen oder aus anderen Gründen gesetz- oder verfassungswidrig sind. Soweit das Gesetz allerdings den Bundesrat ermächtigt, von der Verfassung abzuweichen, schliesst die Bindung an die Bundesgesetze die Prüfung der Verfassungsmässigkeit der unselbständigen Verordnungen aus (
BGE 101 Ib 144
;
BGE 99 Ib 165
mit Hinweisen).
b) Gemäss
Art. 9 TSG
obliegt es Bund und Kantonen, zur Bekämpfung der in
Art. 1 TSG
genannten Tierkrankheiten alle Massnahmen zu treffen, die nach dem jeweiligen Stand der Wissenschaft und der Erfahrung zur Verhinderung einer Ausdehnung der Krankheit und zum Schutz der Gesundheit von Menschen und Tieren angezeigt erscheinen.
Art. 10 TSG
ermächtigt den Bundesrat, in Ausführung von
Art. 9 TSG
sichernde Vorschriften aufzustellen. Er hat danach insbesondere auch die unschädliche Beseitigung der Kadaver und
BGE 103 Ib 134 S. 140
Materialien, die Träger des Ansteckungsstoffes einer Seuche sein können, zu regeln (Art. 10 Ziff. 3); desgleichen obliegt ihm die Regelung der Abschlachtung oder der unschädlichen Beseitigung verseuchter, seuchenverdächtiger oder ansteckungsgefährdeter Tiere (Art. 10 Ziff. 2). Auf diese Delegation stützt sich
Art. 21 Ziff. 16 TSV
.
c)
Art. 10 TSG
in Verbindung mit
Art. 9 TSG
räumt dem Bundesrat für die zu erlassenden Bekämpfungsvorschriften einen grossen Spielraum des Ermessens ein. Insbesondere umschreibt die Bestimmung die Art der zu treffenden Bekämpfungsmassnahmen nicht näher; es gilt in dieser Hinsicht einzig die Richtlinie des
Art. 9 TSG
, wonach alle Massnahmen zu ergreifen sind, "die nach dem jeweiligen Stande der Wissenschaft und der Erfahrung zur Verhinderung einer Ausdehnung der Krankheit und zum Schutze der Gesundheit von Menschen und Tieren angezeigt erscheinen". Diese weitgehende Regelungsbefugnis ist vom Gesetzgeber bewusst gewählt worden, um eine rasche Anpassung der Gesetzgebung an veränderte Verhältnisse zu erleichtern und zu ermöglichen, dass die Fortschritte der Wissenschaft ohne Verzug in den Dienst der Seuchenbekämpfung gestellt werden können (FRITSCHI/NABHOLZ/RIEDI a.a.O. S. 16 zu Art. 9; Botschaft des Bundesrates vom 3. September 1965, BBl 1965 II S. 1061). Das dem Bundesrat mit Rücksicht auf den oft raschen Wandel der Verhältnisse und der Erkenntnisse der Wissenschaft eingeräumte weite Ermessen entspricht somit dem Willen des Gesetzgebers, und diese Delegation ist nach
Art. 113 Abs. 3 BV
für das Bundesgericht verbindlich. Sie bedeutet, dass das Bundesgericht bei der Überprüfung der Gesetzmässigkeit der Bestimmung nicht sein eigenes Ermessen an die Stelle desjenigen des Bundesrates setzen darf; es hat bloss zu prüfen, ob die umstrittenen Verordnungsvorschriften den Rahmen der dem Bundesrat im Gesetz delegierten Kompetenzen offensichtlich sprengen oder aus anderen Gründen gesetz- oder verfassungswidrig sind (
BGE 101 Ib 145
E. 2 mit Hinweisen). Die seuchenpolizeiliche Ermessensfrage wirft zudem Probleme auf, deren Lösung tiermedizinisches Fachwissen und technische Erfahrung in der Seuchenbekämpfung voraussetzen. Das Bundesgericht kann daher in dieser Hinsicht jedenfalls nicht über die Zweckmässigkeit einer Massnahme befinden.
BGE 103 Ib 134 S. 141
5.
a) Es muss als Tatsache anerkannt werden, dass mit dem Einsammeln und Verfüttern von Fleischabfällen und Tierkadavern eine grosse Gefahr der Verbreitung hochansteckender Tierseuchen, wie der Maul- und Klauenseuche, des Milzbrandes, der Schweinepest, etc. verbunden ist, da die Ansteckung nicht nur durch unreines Futter, sondern durch Berührung mit Infektionsstoffen an Schuhen, Kleidern oder Händen, aber auch durch Nagetiere, Ungeziefer und unter Umständen sogar durch die Luft erfolgen kann (FRITSCHI/NABHOLZ/RIEDI a.a.O. S. 157 ff., 173, 201). Der Umstand, dass in den letzten Jahren keine ausgedehnten Seuchenzüge vorgekommen sind, darf nicht zum Schluss verleiten, vorbeugende Bekämpfungsmassnahmen seien nicht mehr im selben Ausmass erforderlich. Vielmehr ist eine konsequente Prophylaxe gerade Voraussetzung für diesen Zustand. Angesichts der zunehmenden Grösse der Tierbestände stösst die Bekämpfung bei einem Seuchenausbruch nach Aussage der sachkundigen Behörden auf immer grössere Schwierigkeiten und die Auswirkungen eines Ausbruchs sind entsprechend verheerender (Bericht des EVD vom 18 September 1974 an die Regierungen der Kantone zum Entwurf eines Bundesratsbeschlusses über Änderung von
Art. 21 und 22 TSV
, S. 2). Die Schweiz ist zudem zur Deckung der Nachfrage auf dem Fleischsektor in wachsendem Mass auf Importe aus einer grossen Zahl von Ländern angewiesen, wodurch die Gefahr der Ein- und Verschleppung auch weniger bekannter Seuchen gesteigert wird. Ferner lehrt die Erfahrung, dass in seuchenfreieren Zeiten eine Seuche oft nicht rechtzeitig erkannt wird, weil mit dem Ausbruch von Seuchen nicht mehr in gleicher Weise gerechnet wird und die Vertrautheit mit den Symptomen nicht mehr im selben Mass vorhanden ist. Unter diesen Umständen muss deshalb der umfassenden Seuchenbekämpfung nach wie vor vorrangige Bedeutung zugestanden werden.
b) Die Verfütterung von Tierkörpern gibt nach der Ansicht der massgeblichen tiermedizinischen Fachstellen seuchenpolizeilich zu grössten Bedenken Anlass. Die vom Beschwerdeführer beanstandete Regelung der TSV stützt sich in dieser Hinsicht auf Erfahrungen, die seit dem Inkrafttreten der 1967 letztmals revidierten TSV gemacht wurden (Bericht des EVD a.a.O.; Referat des st. gallischen Kantonstierarztes in TVF-Information Nr. 1, 1975, S. 5 f.).
BGE 103 Ib 134 S. 142
Vor der Revision vom 2. Juni 1975 war die Verwertung von Tierkörpern als Tierfutter "unter sichernden Bedingungen" zugelassen (Art. 21 Ziff. 3 alte Fassung TSV).
Art. 21 Ziff. 16 TSV
verbietet nun generell die Verwertung von Tierkörpern aus Tierhaltungsbetrieben zur Verfütterung an Nicht-Fleischfresser, zu denen in diesem Zusammenhang die Schweine gehören. Zur Fütterung dieser Tiere dürfen nur noch Tierkörper aus Schlacht- und Fleischverarbeitungsbetrieben verwertet werden. Angesichts der von der Fachwelt hervorgehobenen Seuchengefahr und des bedeutenden öffentlichen Interesses an der Verhinderung eines Seuchenausbruchs oder einer Seuchenverbreitung lässt sich das erwähnte Verbot unter rechtlichen Gesichtspunkten nicht beanstanden. Es erscheint danach ohne weiteres als sachlich begründet, dass Tierkörper aus Tierhaltungsbetrieben, insbesondere von umgestandenen oder totgeborenen Haustieren, von Fallwild und von Fischen (
Art. 21 Ziff. 1 lit. a und b TSV
) von der Verwertung zum Zwecke der Verfütterung an Schweine ausgeschlossen werden. Diese Tierkörper sind naturgemäss für die Verschleppung hochansteckender Seuchen besonders geeignet.
Der Einwand des Beschwerdeführers, die Verfütterung von Tierkadavern sei seuchenpolizeilich weniger gefährlich als diejenige von Küchenabfällen gemäss
Art. 22 Ziff. 1 lit. a TSV
, für welche eine freizügigere Regelung gilt, trifft nicht zu. Diese Ansicht findet keine Bestätigung in den massgeblichen Fachkreisen. Soweit von tiermedizinischer Seite die Verfütterung von Hotelabfällen als nicht weniger bedenklich eingestuft wird als diejenige von Abfällen aus Schlachthöfen und Metzgereien, wird vielmehr eine entsprechende Anpassung der Behandlung der Hotelabfälle an die Bestimmungen über die Tierkörperbeseitigung gefordert. Auf jeden Fall kann daraus inbezug auf die geltende Regelung nicht die Folgerung gezogen werden, die freizügigere Regelung des
Art. 22 TSV
sei auch auf die Verwertung von Schlachtabfällen oder von Tierkadavern im Sinne von
Art. 21 Ziff. 1 lit. a und b TSV
anzuwenden.
Aus der unterschiedlichen Regelung der Abgabe von Tierkörpern als Tierfutter für Fleischfresser (
Art. 21 Ziff. 15 TSV
) lässt sich ebenfalls nichts zugunsten der Argumentation des Beschwerdeführers ableiten. Eine allfällige Anpassung könnte auch hier höchstens im Sinne einer Angleichung der Regelung
BGE 103 Ib 134 S. 143
des
Art. 21 Ziff. 15 TSV
an die übrigen strengeren Vorschriften über die Tierkörperbeseitigung des
Art. 21 TSV
notwendig werden. Zudem besteht insofern ein wesentlicher Unterschied, als das Fleisch dieser Tiere im Gegensatz zum Schweinefleisch nicht als Nahrung für den Menschen verwendet wird.
c) Angesichts der bedeutenden Seuchengefahr und der von ihr bedrohten öffentlichen Gesundheit ist es sachlich auch gerechtfertigt, strenge Vorschriften für den Transport der zur Verwertung zugelassenen Tierkörper von den Lieferbetrieben zum Verwertungsbetrieb aufzustellen.
Art. 21 Ziff. 16 TSV
schreibt in dieser Hinsicht vor, dass der Transport vom einzelnen Liefer- zum Sterilisationsbetrieb direkt zu erfolgen hat. Dadurch werden eigentliche Sammeltouren, wie sie der Beschwerdeführer unternimmt, ausgeschlossen. Angesichts der leicht möglichen Ansteckung ist diese Massnahme gerade im Hinblick auf einen Sammeldienst in ländlichen Gegenden zweifellos geeignet, die Gefahr eines Seuchenausbruchs oder einer Seuchenverschleppung in möglichst niedrigem Rahmen zu halten; sie lässt sich angesichts der Bedeutung der dadurch geschützten Rechtsgüter auch schwerlich als unverhältnismässig bezeichnen. Es kann sich höchstens fragen, ob die Vorschrift deshalb ungerechtfertigt ist, weil nach der Verordnung ein entsprechender Sammeldienst durch die Tierkörperbeseitigungsanlagen zugelassen wird. Indes muss der Sammeldienst einer Tierkörperbeseitigungsanlage hauptsächlich kommunale Sammelstellen anfahren (
Art. 21 Ziff. 10 und 11 TSV
), welche in aller Regel ausserhalb der Siedlungen liegen und nicht in direkter Nachbarschaft von landwirtschaftlichen Betrieben stehen. Demgegenüber geht der Sammeldienst des Schweinemastbetriebes die Lieferbetriebe direkt an. Im Hinblick auf die Ansteckungsgefahr erscheint es daher jedenfalls sachlich nicht als ungerechtfertigt, den Transport eines Schweinemastbetriebes als gefährlicher zu veranschlagen als denjenigen einer Tierkörperbeseitigungsanlage.
d) Art. 21 Ziff. 16 Abs. 1 und 2 kann sich demnach inbezug auf die vom Beschwerdeführer beanstandete Regelung auf sachliche Gründe stützen und erscheint damit, soweit die Bestimmung nach dem Gesagten der Überprüfung durch das Bundesgericht zugänglich ist, weder willkürlich noch sprengt er den Rahmen der gesetzlichen Delegation. | public_law | nan | de | 1,977 | CH_BGE | CH_BGE_003 | CH | Federation |
7c26d666-e51a-47ca-84f7-a468de652657 | Urteilskopf
90 IV 28
7. Urteil des Kassationshofes vom 21. Februar 1964 i.S. Kneubühler gegen Staatsanwaltschaft des Kantons Luzern. | Regeste
Art. 32 Abs. 1 SVG
,
Art. 4 Abs. 5 VRV
.
1. Der Führer, der bei grünem Licht so langsam in die Kreuzung einfährt, dass er sich nach dem Wechsel von Gelb auf Rot noch darauf befindet, passt seine Geschwindigkeit nicht den Verkehrsverhältnissen an (Erw. 1 und 2).
2. Zum Verhältnis von Art. 32 Abs. 1 zu
Art. 27 Abs. 1 SVG
(Erw. 3). | Sachverhalt
ab Seite 28
BGE 90 IV 28 S. 28
A.-
Vom Hauptausgang des Luzerner Bahnhofgebäudes führt ein acht Meter breiter Fussgängerstreifen über eine Einbahnstrasse. Eine automatische Signalanlage regelt dort den Verkehr abwechslungsweise so, dass sie den Fussgängern die Überquerung auf dem Streifen durch grünes Licht freigibt, während sie die Durchfahrt Richtung Kunsthaus durch rotes Licht sperrt, und umgekehrt. Auf das grüne Licht folgt als Zwischensignal für zwei Sekunden ein gelbes.
Am 11. August 1963 gegen 10.45 Uhr führte Kneubühler seinen Personenwagen von der Seebrücke her über den Bahnhofplatz Richtung Kunsthaus. Dabei fuhr er bei grünem Licht so langsam auf den Streifen zu, dass er sich noch darauf befand, als etwa zehn Fussgänger, die den
BGE 90 IV 28 S. 29
Wechsel des Lichtsignals abgewartet hatten, bereits im Begriffe waren, die Strasse zu überqueren.
B.-
Am 20. September 1963 verfällte der Amtsstatthalter von Luzern-Stadt Kneubühler wegen Übertretung von
Art. 27 Abs. 1 SVG
in eine Busse von Fr. 30.-.
Das Amtsgericht Luzern-Stadt bestätigte am 15. November 1963 diesen Entscheid mit der Ausnahme, dass es Kneubühler auch der Übertretung von
Art. 32 Abs. 1 SVG
schuldig fand.
C.-
Der Verurteilte führt Nichtigkeitsbeschwerde mit dem Antrag, das Urteil des Amtsgerichtes aufzuheben und die Sache zu seiner Freisprechung an die Vorinstanz zurückzuweisen.
Die Staatsanwaltschaft des Kantons Luzern beantragt, die Beschwerde gutzuheissen.
Erwägungen
Der Kassationshof zieht in Erwägung:
1.
Nach
Art. 32 Abs. 1 SVG
ist die Geschwindigkeit stets den Umständen, namentlich den Strassen- und Verkehrsverhältnissen anzupassen. Das heisst, dass der Fahrzeugführer nicht zu schnell, unter Umständen aber auch, dass er ohne zwingende Gründe nicht so langsam fahren darf, dass sein Fahrzeug einen gleichmässigen Verkehrsfluss hindert (
Art. 4 Abs. 5 VRV
) oder sonst irgendwie Anlass zu Verkehrsstörung, Belästigung des Publikums oder Unfällen bieten könnte. Dies gilt insbesondere für Kreuzungen, die mit automatischen Lichtsignalanlagen versehen sind. Lichtsignalanlagen sollen verhindern, dass Verkehrsteilnehmer, deren Bahnen und Wege sich überschneiden, gleichzeitig in der Kreuzung eintreffen und dort einander behindern oder gefährden. Aus diesem Grunde geben sie, wie hier, eine Strasse z.B. dem Durchgangsverkehr durch grünes Licht frei, während sie den Querverkehr durch rotes Licht sperren. Die Dauer des gelben Zwischenlichtes, das jeweils unmittelbar vor der Sperre kurz aufleuchtet, hängt vom Ausmass und der Bedeutung der Kreuzung ab. Es soll Verkehrsteilnehmern, die sich
BGE 90 IV 28 S. 30
bereits in der Kreuzung befinden, oder Fahrzeugen, die ihr beim Wechsel von Grün auf Gelb so nahe sind, dass sie nicht mehr davor anhalten können, ohne jemanden zu gefährden, noch die gefahrlose Überquerung ermöglichen (
BGE 85 IV 157
).
Diese Überquerung darf indes nicht mit beliebig herabgesetzter Geschwindigkeit unternommen oder ausgeführt werden. Sowenig ein Fahrzeugführer so schnell auf eine Kreuzung zufahren darf, dass er bei Aufleuchten des roten Lichtes nicht mehr davor anhalten kann (
BGE 85 IV 158
), sowenig darf er bei grünem Licht so langsam in die Kreuzung einfahren, dass er sich nach dem Wechsel von Gelb auf Rot und damit nach dem Wiedereinsetzen des Querverkehrs noch darauf befindet. Sollen Signalanlagen ihren Zweck erfüllen und die unfallfreie Abwicklung des Verkehrs gewährleisten, so muss er sich nicht nur an die Lichtsignale halten, sondern seine Geschwindigkeit auch so bemessen, dass er die Kreuzung spätestens bis zum Erlöschen des nur für wenige Sekunden erscheinenden gelben Zwischensignals vollständig überqueren kann.
2.
Dieser Pflicht hat der Beschwerdeführer nicht genügt. Er ist nach der verbindlichen Feststellung der Vorinstanz sehr langsam auf den Fussgängerstreifen zugefahren und hat diesen nach seinen eigenen Angaben im Schrittempo, also mit etwa 5 km/Std. überquert. Dass ihn ein anderes Fahrzeug daran gehindert habe, schneller zu fahren, behauptet der Beschwerdeführer nicht. Laut Zeugenaussagen war seine langsame Fahrweise einzig darauf zurückzuführen, dass er vor dem Bahnhof einen Parkplatz suchte und deshalb umherschaute. Von zwingenden Gründen kann nicht die Rede sein, denn die Sicherheit des Verkehrs geht der Bequemlichkeit und anderen Interessen des Einzelnen vor (
BGE 81 IV 179
).
Da die Signalanlage für die Durchfahrt Richtung Kunsthaus schon grünes Licht zeigte, als Kneubühler sich über den Bahnhofplatz dem Streifen näherte, musste er jederzeit mit dem Aufleuchten des gelben Lichtes rechnen.
BGE 90 IV 28 S. 31
Zudem hätte der Beschwerdeführer sich sagen müssen, dass er, wenn er im Schrittempo weiterfahre, den acht Meter breiten Fussgängerstreifen nicht mehr rechtzeitig werde freigeben können, brauchte er doch allein zu dessen Überquerung drei bis vier Sekunden, also doppelt soviel Zeit, als nach dem gelben Zwischenlicht hiefür vorgesehen ist. Dazu kommt, dass er den bevorstehenden Wechsel von Grün auf Gelb nicht bis unmittelbar vor den Fussgängerübergang beobachten konnte, da die Lampen der Signalanlage seitlich abgeschirmt sind. Dieser Umstand hätte ihn ebenfalls bewegen sollen, die Fahrt zu beschleunigen. Hiezu hätte er umsomehr Anlass gehabt, als ihm angesichts der Örtlichkeit und der wartenden Fussgänger nicht entgehen konnte, dass er sich einer stark begangenen Stelle näherte. Indem er trotzdem im Schrittempo über den Streifen fuhr, hat er seine Geschwindigkeit nicht den Verkehrsverhältnissen, wie sie sich aus einer Signalanlage ergeben, angepasst, folglich
Art. 32 Abs. 1 SVG
verletzt. In diesem Sinne hat der Kassationshof schon Art. 25 Abs. 1 MFG ausgelegt (
BGE 81 IV 51
Erw. 3 b).
3.
Dagegen hat der Beschwerdeführer
Art. 27 Abs. 1 SVG
nicht übertreten. Eine solche Übertretung läge nur vor, wenn Kneubühler auf den Streifen gefahren wäre, obwohl er zuvor noch hätte sehen können, dass das grüne Licht bereits auf Gelb oder gar auf Rot wechselte. Dass dies der Fall war, stellt die Vorinstanz nicht fest. Das verkehrswidrige Verhalten des Beschwerdeführers erschöpfte sich somit darin, dass er sich nicht an die Mindestgeschwindigkeit hielt, die dem Wechsel von Grün auf Rot mit dem gelben Zwischensignal zugrunde liegt. Diese Übertretung fällt ausschliesslich unter
Art. 32 Abs. 1 SVG
. Aufgehoben zu werden braucht das angefochtene Urteil deswegen aber nicht. Der Vorwurf, der Beschwerde führer habe der Signalanlage zuwenig Aufmerksamkeit geschenkt, indem er seine Geschwindigkeit der sog. "grünen Welle" nicht anpasste, bleibt auch bei blosser Anwendung des
Art. 32 Abs. 1 SVG
aufrecht. Er deckt sich zudem
BGE 90 IV 28 S. 32
mit seinem Verschulden. Das Amtsgericht hat die vom Amtsstatthalter ausgefällte Busse denn auch nicht erhöht, obschon dieser nur eine, es aber beide Bestimmungen für anwendbar hielt.
Dispositiv
Demnach erkennt der Kassationshof:
Die Nichtigkeitsbeschwerde wird abgewiesen. | null | nan | de | 1,964 | CH_BGE | CH_BGE_006 | CH | Federation |
7c2ff0ae-0016-4081-88c7-010bbf7ab50e | Urteilskopf
110 III 97
26. Auszug aus dem Urteil der I. Zivilabteilung vom 22. November 1984 i.S. Raiffeisenbank Altach gegen Roterrag Etablissement (Berufung) | Regeste
Art. 278 SchKG
.
Die Arrestprosequierungsklage muss die Forderung betreffen, für welche der Arrest bewilligt worden ist.
Das Bundesrecht ermächtigt den Gläubiger nicht, mit dieser Klage auch andere Forderungen geltend zu machen. | Sachverhalt
ab Seite 97
BGE 110 III 97 S. 97
A.-
Im September 1977 verhandelte die Jersey GmbH, vertreten durch Hubert Weber, mit der Raiffeisenbank Altach (Österreich) über die Erhöhung eines Kredits. Die Raiffeisenbank war dazu gestützt auf ein Fernschreiben der Firma Roterrag Etablissement (Vaduz) vom 10. Oktober 1977 bereit, die darin der Bank bestätigte, dass zugunsten Webers noch in der gleichen Woche US $ 20'000.-- und bis Ende 1977 insgesamt weitere US $ 80'000.-- überwiesen würden. Der erste Betrag wurde bezahlt, der zweite nicht.
B.-
Am 22. August 1978 erwirkte die Raiffeisenbank in Zürich für den zweiten Betrag einen Arrest. Am 5. Oktober 1978 klagte sie gegen die Firma Roterrag auf Zahlung von US $ 80'000.-- nebst Zins sowie auf Ersatz von Verzugsschaden.
Das Handelsgericht des Kantons Zürich wies die Klage am 29. September 1983 ab. Eine Nichtigkeitsbeschwerde der Klägerin wurde vom Kassationsgericht des Kantons Zürich am 26. März 1984 ebenfalls abgewiesen.
C.-
Die Klägerin hat gegen das Urteil des Handelsgerichts Berufung eingelegt, mit der sie an ihrem Klagebegehren auf Zahlung von US $ 80'000.-- nebst Zins festhält; im übrigen sei die Sache zur Beweisabnahme über den Verzugsschaden an das Handelsgericht zurückzuweisen.
Das Bundesgericht weist die Berufung ab und bestätigt das angefochtene Urteil.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
2.
Der Klägerin ist am 22. August 1978 für eine Forderung von US $ 80'000.--, die sie aus einer unbedingten Zahlungszusicherung
BGE 110 III 97 S. 98
gemäss Fernschreiben der Beklagten vom 10. Oktober 1977 ableitete, in Zürich der Arrest bewilligt worden. Im Arrestprosequierungsprozess, den sie daraufhin gegen die Beklagte einleitete, verlangte sie neben dieser Summe mit separatem Begehren einen noch unbezifferten Schilling-Betrag für Verzugsschaden; in der Replik stützte sie sich überdies auf eine Provisionsforderung von US $ 350'000.--, die ihr von Weber abgetreten worden sei.
Das Handelsgericht hat die zusätzlichen Begehren abgewiesen, weil weder der Verzugsschaden noch die Provisionsforderung Gegenstand des Arrestverfahrens gewesen sei und weil beides daher nicht mit der Arrestprosequierungsklage geltend gemacht werden könne. Die Provisionsforderung sei zudem bereits Gegenstand eines neuen Arrestprosequierungsprozesses beim Bezirksgericht Zürich. Das Klagebegehren wegen des Währungsverlustes sei am ordentlichen Gerichtsstand der Beklagten anzubringen und das Handelsgericht trotz deren Einlassung auf die Klage nicht verpflichtet, es anzunehmen; dieses Begehren erscheine übrigens als unbegründet. Das Kassationsgericht bestätigte die Unzuständigkeit des Handelsgerichts auch für die Provisionsforderung.
Wer einen Arrest nehmen will, hat seine Forderung glaubhaft zu machen (
Art. 272 SchKG
). Die Forderung ist im Arrestbefehl anzugeben (
Art. 274 Abs. 2 Ziff. 2 SchKG
). Nach Betreibung und Rechtsvorschlag hat sodann der Gläubiger Klage auf Anerkennung seiner Forderung einzureichen, wenn er nicht schon vor der Bewilligung des Arrestes geklagt hat (
Art. 278 Abs. 2 und 3 SchKG
). Dem entspricht, dass die Klage die Arrestforderung betreffen muss (
BGE 93 III 77
) und im Arrestprosequierungsprozess zu prüfen ist, ob diese materiellrechtlich begründet ist (FRITZSCHE, Schuldbetreibungs- und Konkursrecht, 2. Aufl. II S. 237).
Das Bundesrecht gibt dem Gläubiger keinen Anspruch, in diesem Prozess eine Forderung geltend zu machen, die er auf andere tatsächliche oder rechtliche Gründe stützt, als sie im Arrestbefehl aufgeführt sind. Ob der Grundsatz der Prozessökonomie ein weiteres Entgegenkommen rechtfertigt, beurteilt sich nach kantonalem Prozessrecht. Vorliegend ist nach dem angefochtenen Urteil ein Gerichtsstand in Zürich für die Forderungen aus Verzugsschaden und aus Provisionen zu verneinen. Die Klägerin behauptet mit Recht nicht, dass das Handelsgericht in diesem Punkt Bundesrecht verletzt habe. | null | nan | de | 1,984 | CH_BGE | CH_BGE_005 | CH | Federation |
7c30c28a-5372-436e-9bb8-966fe54047a4 | Urteilskopf
122 IV 235
35. Auszug aus dem Urteil der Anklagekammer vom 6. August 1996 i.S. H., F., K. und N. gegen Eidg. Untersuchungsrichterin für die deutsche Schweiz | Regeste
Art. 91 ff., insb.
Art. 99 Abs. 2 BStP
;
Art. 22 Abs. 1 lit. b OG
. Ernennung von gerichtlichen Sachverständigen.
Durch die Bundesanwaltschaft bereits im gerichtspolizeilichen Ermittlungsverfahren beigezogene Büchersachverständige können durch den Eidg. Untersuchungsrichter nicht mehr als richterliche bzw. gerichtliche Sachverständige im Sinne von
Art. 91 ff. BStP
ernannt werden (E. 2).
Diese Spezialisten können indessen im Rahmen der Amtshilfe oder als Hilfspersonen auch durch den Eidg. Untersuchungsrichter zur Erstattung eines Schlussberichtes oder zu ergänzenden Abklärungen angehalten werden (E. 2f und 3). | Sachverhalt
ab Seite 236
BGE 122 IV 235 S. 236
Mit Verfügung vom 9. April 1996 ernannte die schweizerische Bundesanwaltschaft im gerichtspolizeilichen Ermittlungsverfahren gegen N., F., K. und H. wegen Urkundenunterdrückung, Bestechens, Amtsmissbrauchs, ungetreuer Amtsführung, Sichbestechenlassens ev. Annahme von Geschenken, Urkundenfälschung im Amt sowie Vermögensdelikten drei Inspektoren der Eidg. Steuerverwaltung, R., Z. und S., als Sachverständige; diese waren durch die Bundesanwaltschaft bereits am 14. Februar 1996 durch "Protokoll" als Experten eingesetzt und ausdrücklich auf ihre Pflichten aufmerksam gemacht worden.
Am 25. April 1996 erstatteten die eingesetzten Experten einen Zwischenbericht.
Mit Beschwerden vom 15. April 1996 beantragten N., F. und K. in ihren (Haupt)-Anträgen der Anklagekammer des Bundesgerichts, die Verfügung der Bundesanwaltschaft vom 9. April 1996 aufzuheben. Mit Urteil vom 13. Juni 1996 trat die Anklagekammer des Bundesgerichts auf die Beschwerde nicht ein.
Am 12. Juni 1996 eröffnete der Stellvertreter der Eidg. Untersuchungsrichterin gegen die vier Beschuldigten eine eidgenössische Voruntersuchung. Mit Verfügung vom 21. Juni 1996 ernannte er die drei Inspektoren der Eidg. Steuerverwaltung, Z., R. und S. als gerichtliche Sachverständige.
Mit Beschwerden vom 26. bzw. 27. Juni 1996 beantragen N., F., K. und H. der Anklagekammer des Bundesgerichts, die Verfügung des Stellvertreters der Eidg. Untersuchungsrichterin vom 21. Juni 1996 aufzuheben, soweit Z., R. und S. als gerichtliche Sachverständige ernannt worden seien.
Der Stellvertreter der Eidg. Untersuchungsrichterin beantragt, die Beschwerden abzuweisen.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
1.
Die vier Beschwerden richten sich gegen dieselbe Verfügung des Stellvertreters der Eidg. Untersuchungsrichterin in der gegen die vier Beschwerdeführer gerichteten eidgenössischen Voruntersuchung. Da die Beschwerden im wesentlichen auch dieselben Beschwerdegründe und Argumente anführen, sind sie im gleichen Urteil zu erledigen.
2.
a) Die Beschwerdeführer machen zunächst geltend, die angefochtene Ernennung von Sachverständigen verletze (in Verbindung mit
Art. 99 Abs. 2 BStP
)
Art. 22 Abs. 1 lit. b OG
.
BGE 122 IV 235 S. 237
b) Der Beschwerdegegner hält dem entgegen, die eingesetzten Sachverständigen seien tatsächlich nie in einer anderen Eigenschaft denn als Experten tätig geworden; mit der angefochtenen Verfügung sei lediglich ihr Auftrag perpetuiert worden; sie seien daher im vorliegenden Verfahren nie in anderer Eigenschaft tätig gewesen; Sachverständige könnten zudem im gleichen Verfahren zur Ergänzung ihres Gutachtens angehalten werden.
c)
Art. 99 Abs. 2 BStP
verweist bezüglich Ausschliessung und Ablehnung von Sachverständigen auf die entsprechenden Bestimmungen des Bundesrechtspflegegesetzes (OG). Gemäss
Art. 22 Abs. 1 lit. b OG
(in Verbindung mit
Art. 99 Abs. 2 BStP
) darf ein Sachverständiger daher sein Amt nicht ausüben in einer Angelegenheit, in der er schon in einer anderen Stellung, d.h. namentlich als Richter oder Mitglied einer administrativen oder richterlichen Behörde, als Justizbeamter, als Rechtsberater, Bevollmächtigter oder Anwalt einer Partei oder als Zeuge gehandelt hat. Dieser Anspruch auf funktionelle bzw. organisatorische Unvoreingenommenheit bzw. Nicht-Vorbefassung ergibt sich - ebenfalls für den gerichtlich bestellten Experten (vgl.
BGE 118 Ia 144
E. 1c) - auch aus
Art. 6 Ziff. 1 EMRK
; dabei kommt es unter dem Gesichtspunkt des Anscheins der Vorbefassung in erster Linie auf die objektive Kompetenzordnung an und weniger darauf, in welchem Umfang davon Gebrauch gemacht wird. Eine doppelte Mitwirkung unterläuft grundsätzlich den Sinn der Verfahrensordnung, der aus rechtsstaatlichen Überlegungen oft darin besteht, verschiedene Verfahrensabschnitte zu trennen (vgl.
BGE 117 Ia 157
E. 2a).
d) Der in
Art. 22 Abs. 1 lit. b OG
verwendete Ausdruck "Angelegenheit" ist nach der Rechtsprechung prozessrechtlich zu verstehen, indem Identität der betroffenen Parteien, des Verfahrens, aber auch der zur Beantwortung stehenden (Rechts-)Fragen verlangt wird (unveröffentlichtes Urteil des Eidg. Versicherungsgerichts vom 8. Oktober 1993 i.S. T., E. 2c mit Hinweis; unveröffentlichter Beschluss des Bundesgerichts vom 1. Oktober 1990 i.S. O., E. 4b, mit Hinweisen). Dies ist hier ohne Zweifel der Fall. Es bleibt daher zu prüfen, ob die durch den Stellvertreter der Eidg. Untersuchungsrichterin bestellten Sachverständigen bereits zuvor "in einer anderen Stellung" bzw. Funktion (
BGE 117 Ia 157
E. 2a) gehandelt haben ("à un autre titre/en une autre qualité: JEAN-FRANÇOIS POUDRET, Commentaire de la loi fédérale d'organisation judiciaire, Art. 22, N. 3.2.1). Anders als in den bisher beurteilten Fällen, bei welchen es oft um die Grenzziehung zwischen den Verfahrensabschnitten der Strafuntersuchung und
BGE 122 IV 235 S. 238
Anklageerhebung einerseits und der materiellen Beurteilung anderseits bzw. um die Mitwirkung des Richters im Untersuchungs- und im Urteilsverfahren ging, geht es hier um die Abgrenzung des gerichtspolizeilichen Ermittlungsverfahrens vom durch den Untersuchungsrichter geführten Voruntersuchungsverfahren.
e) Auch wenn die Stellung der Bundesanwaltschaft sich jener eines Untersuchungsrichters faktisch annähert, handelt es sich bei dem von ihr geleiteten gerichtspolizeilichen Ermittlungsverfahren (
Art. 17 Abs. 1 BStP
) um ein vom Voruntersuchungsverfahren klar abgegrenztes Verfahren (FRANZ STÄMPFLI, Der Entwurf eines Bundesgesetzes über die Bundesstrafrechtspflege, ZStrR 1929, S. 339 ff.). Ziel dieser Abgrenzung war es, die Stellung des Beschuldigten (in der Voruntersuchung) insbesondere durch eine Erweiterung seiner Verteidigungsrechte zu verbessern; mit der klaren Trennung sollte auch erreicht werden, dass in der vom Untersuchungsrichter geführten Voruntersuchung sich der Bundesanwalt und der Beschuldigte als Parteien vor einem unparteiischen, vom Ankläger unabhängigen Untersuchungsorgan gegenüberstehen (BBl 1929 II 605 ff.). Während die Bundesanwaltschaft unter der Aufsicht und Leitung des Bundesrates steht (
Art. 14 Abs. 1 BStP
), handelt es sich beim Eidg. Untersuchungsrichter um einen unabhängigen Beamten, der weder dem Bundesrat noch der Bundesanwaltschaft, sondern einzig der Aufsicht der Anklagekammer des Bundesgerichts untersteht.
f) Die Anklagekammer des Bundesgerichts hat in ihrem zur Publikation bestimmten Urteil vom 13. Juni 1996 entschieden, bei den (in der vorliegenden Bundesstrafsache) am 9. April 1996 durch die Bundesanwaltschaft bestellten Sachverständigen handle es sich nicht um gerichtliche Sachverständige im Sinne von
Art. 91 ff. BStP
; wenn die Bundesanwaltschaft im gerichtspolizeilichen Ermittlungsverfahren zahlreiche Akten zu sichten habe, deren Auswertung - im Hinblick auf die Frage, ob die gerichtspolizeilichen Ermittlungen einzustellen oder eine Voruntersuchung zu beantragen sei - buchhalterische bzw. finanzwissenschaftliche Spezialkenntnisse und damit den Beizug von Büchersachverständigen voraussetze, so könne sie entweder im Rahmen der Amtshilfe (
Art. 27 BStP
) an eine andere Bundesbehörde gelangen mit dem Ersuchen, ihr diese spezialisierten Beamten für die Klärung des Sachverhaltes zur Verfügung zu stellen, oder im Rahmen von
Art. 101bis BStP
ausnahmsweise auch ausserhalb der Bundesverwaltung stehende Sachverständige als Hilfspersonen der
BGE 122 IV 235 S. 239
gerichtlichen Polizei beiziehen; die beigezogenen Büchersachverständigen könnten im Rahmen ihrer Mitarbeit durch die Bundesanwaltschaft auch angewiesen werden, über ihre Feststellungen einen schriftlichen Bericht bzw. ein Gutachten zu erstellen (E. 3a und b).
g) Auch wenn es sich wie im vorliegenden Fall um von der Bundesanwaltschaft lediglich ad hoc beigezogene Spezialisten handelt, haben diese zwangsläufig den Status von Organen bzw. Hilfsorganen der gerichtlichen Polizei und unterstehen wenn nicht in administrativer, so doch zumindest in fachlicher Hinsicht der Leitung bzw. Aufsicht der Bundesanwaltschaft (
Art. 17 Abs. 1 BStP
). Im Gegensatz dazu handelt es sich bei den vom Eidg. Untersuchungsrichter zu ernennenden gerichtlichen Sachverständigen nicht um Hilfspersonen des Untersuchungsrichters; denn sie sind unabhängig und weder in administrativer noch in fachlicher Hinsicht jemandem unterstellt.
Diese grundlegenden Unterschiede machen deutlich, dass von der Bundesanwaltschaft im Rahmen des gerichtspolizeilichen Ermittlungsverfahrens beigezogene Sachverständige als Personen zu gelten haben, die im Verhältnis zur Sachverständigenfunktion im Sinne von
Art. 91 ff. BStP
schon in einer anderen Stellung gehandelt haben (
Art. 22 Abs. 1 lit. b OG
). Unter dem Gesichtspunkt des (genügenden) blossen Anscheins kann es auch nicht darauf ankommen, ob die im gerichtspolizeilichen Ermittlungsverfahren beigezogenen Spezialisten im konkreten Fall keine Weisungen erhalten und daher faktisch selbständig ermittelt haben. Dieser Umstand kann indessen im Rahmen der freien richterlichen Würdigung der Beweise bzw. der Ermittlungsergebnisse bedeutungsvoll sein.
Infolge ihrer dargelegten früheren Tätigkeit in einer anderen Stellung können die drei Beamten der Eidg. Steuerverwaltung im vorliegenden Bundesstrafverfahren nicht mehr als richterliche bzw. gerichtliche Sachverständige im Sinne von
Art. 91 ff. BStP
ernannt werden. Die angefochtene Verfügung ist daher aufzuheben.
h) Bei diesem Ergebnis braucht nicht geprüft zu werden, inwieweit der Ausstandsgrund der Befangenheit (
Art. 23 lit. c OG
) vorliegt. Es sei hier lediglich angemerkt, dass auch nach der Praxis des Europäischen Gerichtshofes für Menschenrechte zu
Art. 6 EMRK
der Angeschuldigte grundsätzlich Anspruch auf Unparteilichkeit des bestellten Experten hat; unter diesem Gesichtspunkt erscheint es zumindest problematisch, wenn das Gericht Experten benennt, deren Feststellungen zur Einleitung des Strafverfahrens geführt haben (vgl.
BGE 118 Ia 144
E. 1c). Dieselben
BGE 122 IV 235 S. 240
Bedenken gelten für den Fall, dass Experten herangezogen werden, um einen Entscheid darüber zu ermöglichen, ob eine Voruntersuchung zu eröffnen sei.
3.
Indessen steht nach dem oben Ausgeführten (insbesondere E. 2 f.) im vorliegenden Fall nichts entgegen, dass der Stellvertreter der Eidg. Untersuchungsrichterin die drei bereits durch die Bundesanwaltschaft eingesetzten Spezialisten zur Erstattung eines Schlussberichtes oder auch zu ergänzenden Abklärungen anhält. Ob es in der Folge überhaupt noch der Bestellung von gerichtlichen Sachverständigen bedarf, wird der Stellvertreter der Eidg. Untersuchungsrichterin - gegebenenfalls das zuständige Gericht - zu entscheiden haben. | null | nan | de | 1,996 | CH_BGE | CH_BGE_006 | CH | Federation |
7c324bf7-e388-4f71-b0ef-52565d9a72df | Urteilskopf
86 II 27
5. Auszug aus dem Urteil der I. Zivilabteilung vom 6. Januar 1960 i.S. Thomann gegen Mani. | Regeste
Gewährleistung im Viehhandel.
Die Vorschriften von
Art. 198 und 202 OR
gelten nicht nur für Krankheiten, sondern auch für funktionelle Mängel, z.B. Sprungunfähigkeit eines Zuchtstiers. | Sachverhalt
ab Seite 28
BGE 86 II 27 S. 28
A.-
Der Landwirt Thomann in Commugny (VD) kaufte am 14. Januar 1958 vom Viehzüchter Mani in Latterbach (BE) auf Grund vorgängiger Besichtigung den Zuchtstier "Harald" zum Preise von Fr. 4000.--. Der Verkäufer leistete schriftlich Gewähr für die Sprungfähigkeit des Stieres. Dieser wurde am 15. Januar 1958 dem Käufer abgeliefert.
In der Zeit zwischen dem 25. und dem 29. Januar 1958 weigerte sich der Stier wiederholt, Kühe zu springen, wovon Thomann dem Verkäufer telephonisch Kenntnis gab. Dieser kam am 7. Februar 1958 in Begleitung von zwei Bekannten, Lengacher und Wegmüller, nach Commugny zu Thomann. Nach erfolglosen Sprungversuchen schüttete Wegmüller dem Stier einen Trank ein, worauf der Stier den Sprung ausführte.
Spätere Sprungversuche blieben wieder erfolglos. Nachdem ein von Thomann beigezogener Tierarzt erklärt hatte, der Stier sei nicht fähig, einen normalen Sprung auszuführen, liess Thomann durch einen Anwalt mit Schreiben vom 24. Februar und 1. März 1958 dem Verkäufer mitteilen, er verlange Wandelung des Kaufes wegen Fehlens der zugesicherten Sprungfähigkeit, über welche ihn der Verkäufer absichtlich getäuscht habe.
Der Verkäufer bestritt eine Täuschung des Käufers und machte geltend, da dieser innert der gesetzlichen Frist von 9 Tagen weder Mängelrüge erhoben noch das Viehwährschaftsverfahren eingeleitet habe, sei der Verkäufer von der Gewährspflicht befreit.
B.-
Mit Klage vom 17. Juni 1958 forderte Thomann von Mani den bezahlten Kaufpreis von Fr. 4000.-- nebst Zinsen und Kosten zurück.
Der Beklagte bestritt seine Zahlungspflicht.
BGE 86 II 27 S. 29
C.-
Der Appellationshof des Kantons Bern, III. Zivilkammer, wies nach Durchführung eines Zeugenbeweisverfahrens und Einholung eines Sachverständigengutachtens die Klage mit Urteil vom 19. Juni 1959 ab.
D.-
Mit der vorliegenden Berufung beantragt der Kläger erneut Verurteilung des Beklagten zur Bezahlung von Fr. 4000.-- und Fr. 48.30, je nebst Zins zu 5% seit dem 15. Januar 1958, und einer Entschädigung für die Fütterung des Stieres ab 15. Januar 1958.
Der Beklagte beantragt Abweisung der Berufung und Bestätigung des angefochtenen Entscheides.
Erwägungen
Das Bundesgericht zieht in Erwägung:
1.
.....
2.
Der Kläger weist aufBGE 70 II 48ff. hin, der betone, dass im Viehhandel der Verkäufer die Krankheiten, an denen ein verkauftes Tier leide, nicht immer kenne, und dass eine Krankheit kurz nach dem Verkauf ausbrechen könne, ohne dass der Verkäufer dafür einzustehen habe. Daraus will der Kläger ableiten, dass die strengen Vorschriften der
Art. 198 und 202 OR
auf die Fälle von Krankheit beschränkt seien, beim Vorliegen eines funktionellen Mangels, wie z.B. gerade bei Sprungunfähigkeit eines Stieres, dagegen keine Anwendung finden. Denn diesen Mangel könne der Käufer erst entdecken, wenn er den Zuchtstier zum Springen verwende; innert der Frist von 9 Tagen stehe aber nicht immer eine stierige Kuh zur Verfügung. Da ein solcher funktioneller Mangel nicht erst nach dem Verkauf des Tieres entstehen könne, entfalle auch der Grund, aus dem das Gesetz die den Schutz des Verkäufers bezweckende kurze Frist von 9 Tagen vorsehe. Bei derartigen Mängeln sei daher auf die allgemeinen Bestimmungen der
Art. 197 und 201 OR
abzustellen.
Dieser Auffassung kann nicht beigepflichtet werden.
a) Die Vorschriften der
Art. 198 und 202 OR
beschränken für den Viehhandel die dem Käufer im allgemeinen gemäss den Art. 197, 199, 201 und 203 zu Gebote stehenden
BGE 86 II 27 S. 30
Gewährleistungsansprüche. Sie bevorzugen eindeutig den Verkäufer; das lag aber in der Absicht des Gesetzgebers (
BGE 70 II 51
).
Art. 198 und 202 OR
lassen eine einschränkende Auslegung im Sinne der Auffassung des Klägers nicht zu. Vom Falle der absichtlichen Täuschung abgesehen, besteht beim Handel mit Vieh ganz allgemein eine Gewährleistungspflicht nur insoweit, als sie der Verkäufer schriftlich zugesichert hat, der Mangel innerhalb der Frist von 9 Tagen entdeckt und angezeigt wird und innert der nämlichen Frist bei der zuständigen Behörde die Untersuchung des Tieres durch Sachverständige verlangt wird. Diese Sondervorschriften gelten für alle Mängel, seien es nun Krankheiten oder funktionelle Fehler.
b) Lediglich die Ansprüche aus Gewährleistung für Trächtigkeit sind nicht abhängig von der Einhaltung der neuntägigen Frist für die Mängelrüge und das Verlangen der amtlichen Untersuchung durch Sachverständige. Das ist die einzige Ausnahme, die
Art. 202 OR
vorsieht, und zwar deshalb, weil die Trächtigkeit in der ersten Zeit gar nicht mit Sicherheit festgestellt werden kann. Aber auch hier muss im Gegensatz zu den allgemeinen Bestimmungen des Kaufsrechts das Währschaftsversprechen schriftlich abgegeben werden.
Es gibt allerdings noch weitere Mängel, die innert der Frist von 9 Tagen nicht immer festgestellt werden können, wie z.B. gerade die Zeugungsunfähigkeit männlicher Tiere, Euterfehler bei Kühen, die während der Galtzeit nicht feststellbar sind, periodische Augenentzündungen bei Pferden (vgl. GYGI, Der Viehkauf und die Viehwährschaft im schweizerischen Recht, S. 31 f.). Darauf wurde in der Gesetzesberatung hingewiesen; es blieb aber trotzdem bei der erwähnten einen Ausnahme hinsichtlich der Trächtigkeit (Sten. Bull. NR 1909 S. 570 f.).
c) Diese Ordnung ist in der Literatur gelegentlich als stossend und anfechtbar bezeichnet worden (LIVER, Besonderheiten des Viehkaufes, in Festschrift Guhl, S. 133,
BGE 86 II 27 S. 31
GYGI S. 32), und es wird (GYGI, a.a.O.) die Auffassung vertreten, die Zusicherung einer besonderen Eigenschaft (gesundes Euter, Zuchtfähigkeit eines Stiers) könne nach Treu und Glauben und vernünftigerweise nicht anders aufgefasst werden, als dass der Verkäufer dem Käufer für diese Eigenschaft bis zu dem Zeitpunkt einstehen wolle, in welchem sich ihr Vorhandensein oder Nichtvorhandensein überhaupt feststellen lasse. In der schriftlichen Zusicherung einer solchen besonderen Eigenschaft seien die Wegbedingung der gesetzlichen Frist von 9 Tagen und die Vereinbarung einer längeren Gewährsfrist von entsprechender Dauer zu erblicken.
Diese Auffassung verträgt sich jedoch nicht mit der klaren gesetzlichen Regelung. Gewiss besteht nach
Art. 202 Abs. 1 OR
die Möglichkeit der Erstreckung der neuntägigen Frist durch Abrede zwischen den Vertragsparteien; auf grossen Zuchtstiermärkten soll dies sogar üblich sein (WIPRÄCHTIGER, Das Viehwährschaftsrecht in der Schweiz, 3. Aufl. S. 15). Eine solche Verlängerung muss aber nach dem eindeutigen Wortlaut von
Art. 202 Abs. 1 OR
und nach der Entstehungsgeschichte dieser Vorschrift, vom Fall der Gewährrleistung für Trächtigkeit abgesehen, entweder schon in der ursprünglichen schriftlichen Zusicherung enthalten sein oder durch nachträgliche schriftliche Erklärung des Verkäufers vereinbart werden. Nur auf diesem Wege, nicht dagegen durch blosse Auslegung eines ohne Fristangabe abgegebenen schriftlichen Gewährleistungsversprechens ist eine Verlängerung der gesetzlichen Frist von neun Tagen möglich. An einer so vereinbarten Erstreckung der Gewährleistungsfrist fehlt es aber im vorliegenden Falle.
d) Selbst wenn man übrigens der von GYGI, a.a.O., vertretenen Auffassung folgen wollte, müsste im vorliegenden Falle ein Anspruch des Klägers aus
Art. 202 OR
verneint werden. Nach der eigenen Darstellung des Klägers wollte der gekaufte Zuchtstier die ihm in der Zeit vom 25. bis 29. Januar 1958 zugeführte stierige Kuh des
BGE 86 II 27 S. 32
Nachbarn Uhlmann nicht springen, und das gleiche soll sich einige Tage später mit einer andern Kuh wiederholt haben. Zur Wahrung eines Gewährleistungsanspruches hätte der Kläger nun nicht nur den Mangel dem Verkäufer anzeigen, sondern überdies unverzüglich bei der zuständigen Behörde die Untersuchung des Tiers durch Sachverständige verlangen müssen (Verordnung betreffend das Verfahren bei der Gewährleistung im Viehandel, Art. 3 Abs. 2). Die Untersuchung durch behördlich Sachverständige ist also auch durchzuführen, falls die gesetzliche Garantiefrist durch Parteiabrede verlängert worden ist (RIEDI, Der Viehhandel in der Schweiz, S. 43 Beispiel Nr. 63 Abs. 2, S. 44 Mitte). Die private Beiziehung eines Tierarztes genügt nicht (GYGI, S. 26 unten). Da der Kläger keine Untersuchung durch amtliche Sachverständige veranlasst hat, würde es auf jeden Fall an einer unerlässlichen Voraussetzung zur Geltendmachung eines Anspruches aus
Art. 202 OR
fehlen.
e) Nach dem Gesagten kommen im Viehhandel hinsichtlich der Gewährleistung die Sondervorschriften der
Art. 198 und 202 OR
auch dort zur Anwendung, wo funktionelle Mängel in Frage stehen. Die Voraussetzungen des
Art. 202 OR
, die für eine Haftbarmachung des Verkäufers gegeben sein müssen, sind aber im vorliegenden Fall vom Käufer nicht erfüllt worden.
3.
(Eine absichtliche Täuschung des Käufers durch den Verkäufer ist nicht nachgewiesen).
Dispositiv
Demnach erkennt das Bundesgericht:
Die Berufung wird abgewiesen und das Urteil des Appellationshofes des Kantons Bern, III. Zivilkammer, vom 19. Juni 1959 wird bestätigt. | public_law | nan | de | 1,960 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
7c328303-b6b5-47dc-affa-2d707284dd66 | Urteilskopf
85 IV 142
37. Extrait de l'arrêt de la Cour de cassatlon pénale du 10 juillet 1959 dans la cause Perrenoud contre Procureur général du can- ton de Berne. | Regeste
Art. 286 StGB
. Nach dieser Bestimmung ist auch strafbar, wer ohne Leistung von Widerstand, insbesondere durch Flucht, einen Beamten an einer Handlung hindert, die innerhalb seiner Amtsbefugnisse liegt. Der Umstand, dass der Täter versucht, durch Flucht sich selber einer Strafverfolgung zu entziehen, bildet unter dem Gesichtspunkte des
Art. 286 StGB
keinen Entschuldigungsgrund (Erw. 2).
Art. 48 JVG
. Unter Verheimlichen im Sinne dieser Bestimmung ist jede Tätigkeit zu verstehen, durch die dem Berechtigten oder der Behörde das Auffinden des gefrevelten Wildes erschwert oder verunmöglicht wird (Erw. 4). | Sachverhalt
ab Seite 142
BGE 85 IV 142 S. 142
A.-
Le 2 novembre 1958 au matin, Jacques Perrenoud tira un coq de bruyères dans la réserve de "la Jeure", à Chasseral, et déposa cet oiseau, avec son arme, dans le coffre de sa voiture. Son frère Carlo, qui l'accompagnait, prit alors le volant et repartit, mais l'automobile fut bientôt arrêtée par un gendarme. Jacques Perrenoud, assis à côté du conducteur, mit un pied à terre et demanda au gendarme ce qu'il voulait. Apprenant qu'il s'agissait de contrôler le contenu du coffre et que le chef de l'agent allait arriver, il referma la portière et, sur son injonction, son
BGE 85 IV 142 S. 143
frère exécuta soudain une marche arrière sur 200 m., à une vitesse de 30 à 40 km/h, tourna la voiture et repartit à toute allure en direction du sommet de Chasseral pour éviter le contrôle. Ils ne purent être rejoints par le gendarme, qui avait été surpris par cette manoeuvre.
B.-
Le Président du Tribunal du district de La Neuveville puis, sur appel, la Première Chambre pénale de la Cour suprême du canton de Berne ont condamné Jacques Perrenoud, pour délit de chasse et opposition aux actes de l'autorité, et Carlo Perrenoud, pour recel de chasse et opposition aux actes de l'autorité, à des peines d'amende.
C.-
Les condamnés se pourvoient en nullité au Tribunal fédéral. Tandis que Jacques Perrenoud demande à être acquitté de l'inculpation d'opposition aux actes de l'autorité, son frère conclut à libération complète.
Erwägungen
Extrait des motifs:
2.
Les frères Perrenoud reprochent aux premiers juges de les avoir condamnés pour opposition aux actes de l'autorité au sens de l'art. 286 CP. Cette disposition vise celui qui empêche un fonctionnaire d'accomplir un acte entrant dans ses fonctions, sans user de violence ou de menace (cf. RO 81 IV 164 c. 2). Le contrôle du contenu du coffre, auquel voulait procéder le gendarme, entrait dans ses fonctions. Les recourants ne le nient pas et ne contestent pas davantage qu'en prenant la fuite, ils ont mis le gendarme dans l'impossibilité d'exécuter ce contrôle. Ils prétendent cependant que la fuite ne constituerait pas une opposition au sens de l'art. 286 CP.
Certes, alors que l'art. 285 réprime l'emploi de la violence et de la menace envers les autorités et les fonctionnaires, le législateur a-t-il voulu atteindre, à l'art. 286, avant tout la résistance passive, (Bull. st. CN p. 484; LOGOZ, Part. spéc. II, ad 286, p. 664 n. 1; RO 69 IV p. 3 c. 3). Cependant, le texte légal ne contient aucune restriction quant aux moyens utilisés; il vise donc également celui qui, sans résister, empêche un fonctionnaire de faire
BGE 85 IV 142 S. 144
un acte entrant dans ses fonctions. L'art. 286, comme l'art. 285, ne suppose pas nécessairement un empêchement absolu; il se contente d'une simple entrave (RO 71 IV 102). Aussi son application s'impose-t-elle à plus forte raison lorsque l'acte à accomplir a été rendu impossible par la fuite. Selon le pourvoi, on ne saurait étendre à l'excès la notion d'empêchement au sens de l'art. 286 CP et punir ainsi, par le détour de cette disposition, la simple désobéissance envers un fonctionnaire (RO 69 IV 1 ss; RO 81 IV 164 c. 2). C'est exact; toutefois les frères Perrenoud ont été condamnés non pour avoir désobéi au gendarme, mais pour l'avoir empêché de procéder à un acte entrant dans ses fonctions.
Les recourants invoquent enfin l'opinion de SCHWANDER (p. 366, no 745), selon lequel l'art. 286 CP ne réprimerait pas la fuite "denn Selbstbegünstigung ist straffrei (Art. 305 a contrario)". Il est exact que celui qui se soustrait luimême à une poursuite pénale ou à l'exécution d'une peine ne tombe pas sous le coup de l'art. 305 CP (RO 73 IV 239 c. 1). Cela ne signifie cependant pas qu'il bénéfice nécessairement de l'impunité. Son acte peut en effet constituer une autre infraction (cf. LOGOZ, op.cit., ad 305 CP, p. 718, no 3 litt. c) et tel est en particulier le cas lorsque la fuite a pour effet - voulu par le fuyard - d'empêcher l'agent d'accomplir l'acte qui lui incombe. Ainsi, le condamné qui prendrait la fuite pour échapper au policier chargé de le mener au pénitencier et l'empêcherait, ce faisant, de remplir sa mission, encourrait la peine prévue par l'art. 286 CP. Les raisons qui, en pareil cas, s'opposent à l'application de l'art. 305 ne valent pas à l'égard de l'art. 286 CP.
4.
L'art. 48 LCho frappe d'une amende celui qui recèle des animaux qu'il sait provenir du braconnage. Comme il vise aussi notamment celui qui acquiert ou aide à écouler de tels animaux, la notion de recel n'a pas ici un sens aussi étendu qu'à l'art. 144 CP, où elle comprend en particulier le fait d'acquérir ou d'aider à négocier le produit d'une infraction. Receler au sens de l'art. 48 LCho,
BGE 85 IV 142 S. 145
c'est dissimuler ("verheimlichen"). Selon l'arrêt Quain du 14 juillet 1944, il faut entendre par là le fait du tiers qui, sachant qu'un animal provient du braconnage, accepte néanmoins d'en prendre possession pour le soustraire aux recherches de l'autorité. Dans un arrêt ultérieur, le Tribunal fédéral a élargi cette notion: dissimule aussi un animal provenant du braconnage, celui qui en tait la possession, alors qu'il était tenu de renseigner, ou qui la nie mensongèrement et induit ainsi la police en erreur (RO 76 IV 190/191, c. 2). On peut en définitive, avec WAIBLINGER (RP 61, p. 271), qualifier de dissimulation tout acte qui a pour effet de rendre plus difficile ou même impossible la découverte de l'objet de l'infraction par le lésé ou l'autorité.
En l'espèce, Carlo Perrenoud, à qui le gendarme n'a rien demandé, n'a point tu ni contesté qu'un coq de bruyère se trouvait dans le coffre de la voiture. Il n'a pas davantage pris possession de cet oiseau, puisque c'est son frère Jacques qui, après l'avoir tué, l'a ramassé et placé dans le coffre (l'inadvertance signalée dans le pourvoi n'existe pas). En revanche, en exécutant la manoeuvre qui a empêché le gendarme de contrôler le contenu du coffre, Carlo Perrenoud a soustrait l'oiseau braconné aux recherches de l'autorité. Si des dénégations mensongères ou même le silence qui ont pour effet d'induire la police en erreur tombent sous le coup de l'art. 48 LCho, il en va à plus forte raison de même des actes matériels par lesquels on soustrait le gibier braconné au contrôle d'un gendarme. Carlo Perrenoud a donc été condamné avec raison pour recel de chasse. | null | nan | fr | 1,959 | CH_BGE | CH_BGE_006 | CH | Federation |
7c3dcc1e-a6f1-41cc-9669-dd50fc603eba | Urteilskopf
104 Ia 72
17. Urteil vom 3. Mai 1978 i.S. X. gegen Kassationsgericht des Kantons Zürich | Regeste
Art. 4 BV
; Voraussetzungen des Anspruchs auf Bestellung, eines unentgeltlichen Rechtsbeistandes in Verfahren, die ganz oder vorwiegend von der Offizialmaxime beherrscht werden (hier: Verfahren betr. Abänderung des Scheidungsurteils in Bezug auf die Kinderzuteilung). | Sachverhalt
ab Seite 72
BGE 104 Ia 72 S. 72
Am 27. März 1974 wurde die Ehe der Frau X., Theologin, geschieden und das aus der Ehe hervorgegangene Kind, geb. 1970, der Mutter zur Pflege und Erziehung zugewiesen. Mit Zustimmung der Mutter lebt die Tochter seit März 1977 bei ihrem Vater. Am 11. Mai 1977 stellte dieser das Gesuch, das Kind sei in Abänderung des Scheidungsurteils ihm zur Pflege und Erziehung zuzuweisen. Frau X. beantragte, es sei ihr die unentgeltliche Prozessführung zu bewilligen und ein unentgeltlicher Rechtsbeistand zu bestellen. Die unentgeltliche Prozessführung wurde vom Bezirksgericht Y. bewilligt, das Gesuch um Bestellung eines unentgeltlichen Rechtsbeistandes jedoch abgewiesen. Einen gegen die Abweisung des Gesuches um Bestellung eines unentgeltlichen Rechtsbeistandes erhobenen Rekurs wies die I. Zivilkammer des Zürcher Obergerichts ab. Das Kassationsgericht des Kantons Zürich wies mit Beschluss vom 12. Dezember 1977 eine gegen diesen Entscheid erhobene Nichtigkeitsbeschwerde ab. Dagegen führt Frau X. staatsrechtliche Beschwerde wegen Verletzung von
Art. 4 BV
.
Das zürcherische Kassationsgericht hat auf Antrag und Vernehmlassung zur eingereichten Beschwerde verzichtet. Das Bundesgericht heisst die Beschwerde gut aus folgenden
BGE 104 Ia 72 S. 73
Erwägungen
Erwägungen:
1.
Nach der Rechtsprechung des Bundesgerichts hat eine bedürftige Partei in einem für sie nicht aussichtslosen Zivilprozess unmittelbar aufgrund von
Art. 4 BV
Anspruch darauf, dass der Richter für sie ohne Hinterlegung oder Sicherstellung von Kosten tätig wird, und dass ihr ein unentgeltlicher Rechtsbeistand ernannt wird, wenn sie eines solchen zur gehörigen Wahrung ihrer Interessen bedarf (
BGE 99 Ia 327
E. 2, 439 E. 2;
BGE 98 Ia 341
/2). Dieser Anspruch der armen Partei auf Rechtsschutz umfasst alle Prozesshandlungen, die nicht offenbar prozessual unzulässig oder materiell aussichtslos sind.
2.
Es ist unbestritten, dass die Beschwerdeführerin bedürftig und ihr Prozessstandpunkt nicht aussichtslos ist. Streitig ist allein, ob sie Anspruch auf Bestellung eines unentgeltlichen Rechtsbeistandes hat. Das ist nach § 87 ZH/ZPO dann der Fall, wenn die Beschwerdeführerin "für die gehörige Führung des Prozesses eines solchen bedarf". Das entspricht der Umschreibung, die das Bundesgericht dem direkt aus
Art. 4 BV
abgeleiteten Anspruch auf Bestellung eines unentgeltlichen Rechtsbeistandes im Zivilprozess gibt (s. oben zit. Entscheide). Die Beschwerdeführerin macht denn auch im wesentlichen eine Verletzung dieses aus
Art. 4 BV
abgeleiteten Anspruchs geltend. Das Bundesgericht prüft in rechtlicher Hinsicht frei, ob dieser Anspruch verletzt worden ist.
3.
Das Kassationsgericht des Kantons Zürich hat das Gesuch der Beschwerdeführerin um Beiordnung eines unentgeltlichen Rechtsbeistandes mit der Begründung abgelehnt, das zürcherische Scheidungs- und Abänderungsverfahren unterstehe ganz der Offizialmaxime, d.h. der Instruktionsrichter habe den Sachverhalt von Amtes wegen abzuklären, und im vorliegenden Fall handle es sich um ein ganz einfaches Verfahren.
a) Nach der kantonalen Praxis zu § 87 wird die Beurteilung der Frage, ob eine Partei für die gehörige Führung des Prozesses eines unentgeltlichen Rechtsvertreters bedarf, davon abhängig gemacht, ob die Partei selbst rechtskundig, der Prozess schwierig und eventuell die Gegenpartei durch einen Anwalt vertreten ist (STRÄULI/MESSMER, Kommentar, N. 2 zu
§ 87 ZPO
). Im Entscheid vom 16. Mai 1977 (SJZ 73/1977 Nr. 70, S. 255) führte das Kassationsgericht aus, der Anspruch
BGE 104 Ia 72 S. 74
auf unentgeltliche Verbeiständung gelte grundsätzlich im Scheidungsverfahren. Es könne nicht gesagt werden, die Parteien könnten wegen der in diesem Prozess geltenden Offizialmaxime (
§ 54 Abs. 3 ZPO
) ihre Interessen auch ohne die Hilfe eines rechtskundigen Vertreters wahrnehmen. Auch wo die Offizialmaxime gelte, obliege es in erster Linie den Parteien, das in Betracht fallende Tatsachenmaterial dem Gericht zu unterbreiten und die Beweismittel zu nennen. Die Auswahl der dem Richter vorzutragenden Tatsachen müsse unter rechtlichen Gesichtspunkten erfolgen und setze Rechtskenntnisse voraus; sie sei daher in nicht ganz einfachen Fällen nur dem Rechtskundigen möglich.
b) Das Bundesgericht hatte die Frage der Notwendigkeit der Beiordnung eines unentgeltlichen Rechtsbeistandes im Zivilprozess bisher nur in einigen wenigen Fällen zu beurteilen.
In
BGE 64 I 5
E. 2 war der Anspruch auf unentgeltliche Rechtsverbeiständung in einem Scheidungsprozess streitig. Das Bundesgericht führte dazu aus, in einem solchen Verfahren sei der Tatbestand gemäss
Art. 158 ZGB
und st. gallischem Recht von Amtes wegen zu erforschen. Der Rekurrent bedürfe daher zur gehörigen Feststellung des Tatbestandes in diesem Verfahren, wo die Parteien nicht durch strenge Formvorschriften eingeengt seien, keines Rechtsbeistandes. Aber auch für die Behandlung der Rechtsfrage, ob die Ehefrau nach den festgestellten Tatsachen berechtigt gewesen sei, getrennt zu leben, habe der Beschwerdeführer keinen Rechtsbeistand nötig, da das Gericht auch diese Frage von Amtes wegen zu lösen habe und sie ziemlich leicht zu beantworten sei. Im übrigen war auch der klagenden Ehefrau der unentgeltliche Rechtsbeistand nicht gewährt worden.
Im Entscheid vom 13. März 1952 i.S. S. (
BGE 78 I 3
) ging es vornehmlich um die Frage, ob der Beschwerdeführer, der schon gemäss
Art. 392 Ziff. 2 ZGB
durch einen Rechtsanwalt verbeiständet war, in einem Ehelichkeitsanfechtungsprozess vor einem ausserkantonalen Gericht Anspruch auf die Bestellung eines unentgeltlichen Rechtsbeistandes habe. Die Frage wurde im damaligen Zeitpunkt des Verfahrens verneint, mit dem Hinweis, dass der Prozess im Untersuchungsverfahren durchgeführt würde und es "einstweilen nicht den Anschein mache, als ob der Prozess in tatsächlicher oder rechtlicher Hinsicht schwierige Fragen aufwerfen könnte". Es wurde dann
BGE 104 Ia 72 S. 75
allerdings beigefügt, dass einem neuen Gesuch um Bestellung eines Offizialanwalts entsprochen werden müsste, wenn Komplikationen eintreten sollten. Darin, dass der Ehelichkeitsanfechtungsprozess im Untersuchungsverfahren geführt wurde, erblickte das Bundesgericht kein absolutes Hindernis zur Gewährung des unentgeltlichen Rechtsbeistandes. Zu berücksichtigen war ferner, dass der Beschwerdeführer schon einen rechtskundigen, wenn auch auswärtigen Beistand hatte.
In
BGE 89 I 1
ff. ging es um einen ähnlichen Fall. Dort hatte der unmündige Beschwerdeführer im Hinblick auf den Ehelichkeitsanfechtungsprozess des "Registervaters" einen Beistand in der Person eines Amtsvormundes erhalten. Mit Rücksicht darauf hatte das kantonale Obergericht das Bedürfnis des Kindes nach einem Offizialanwalt verneint, in der Annahme, dass der eigens zur Prozessführung ernannte Beistand als zur Erfüllung dieser Aufgabe fähig betrachtet werden dürfe, zumal er Amtsvormund sei, in Ehelichkeitsprozessen eine Art Offizialmaxime herrsche und die Zivilprozessordnung Vorschriften zum Schutze der rechtsunkundigen Partei aufstelle. Das Bundesgericht hat die staatsrechtliche Beschwerde jedoch aus anderen, im wesentlichen folgenden Gründen abgewiesen: Wird ein Kind von seinem Vater auf Anfechtung der Ehelichkeit belangt, und ist ihm daher zur Wahrung seiner Interessen im Prozess ein Beistand zu ernennen, so ist dieses Amt einer Person zu übertragen, die den Prozess selber führen kann. Nur wenn eine solche im Vormundschaftskreis nicht zu finden ist, hat das Kind Anspruch auf Beigabe eines unentgeltlichen Rechtsbeistandes. Dabei ging das Bundesgericht stillschweigend davon aus, dass das verbeiständete Kind im hängigen Ehelichkeitsanfechtungsprozess eines rechtskundigen Vertreters bedürfe, ohne die Frage, inwieweit dieses Verfahren nach kantonalem Recht der Untersuchungsmaxime unterstehe, näher zu prüfen.
Auch im nicht publizierten Entscheid vom 2. März 1977 i.S. W. c. Regierungsrat des Kantons St. Gallen ging es um den Anspruch auf Beiordnung eines Offizialanwalts im Ehelichkeitsanfechtungsprozess. Das Bundesgericht erachtete die Bestellung in einem solchen Verfahren, das für die Beteiligten von grosser Tragweite ist, als wünschbar und führte aus, es könne nur dann auf die Beigabe eines unentgeltlichen Rechtsbeistandes für eine rechtsunkundige Person verzichtet werden, wenn
BGE 104 Ia 72 S. 76
der Prozess im Untersuchungsverfahren durchgeführt werde und keine besonderen Schwierigkeiten biete. An solchen fehlte es in jenem Fall. Denn Mutter und "Registervater" waren sich darüber einig, dass dieser nicht der Erzeuger des Kindes sei, und der wirkliche Vater hatte sich bereits formell zu seiner Vaterschaft bekannt und eine entsprechende Verpflichtung unterschrieben.
Schliesslich ist der Entscheid vom 11. Juli 1973 i.S. X. gegen Obergericht Uri (
BGE 99 Ia 430
ff) zu erwähnen. Hier ging es um den Anspruch eines von einem Landwirt verbeiständeten Kindes auf Beigabe eines unentgeltlichen Rechtsbeistandes in einem vor einem Urner Gericht hängigen Vaterschaftsprozess. Das Bundesgericht hiess die Beschwerde gegen die verweigerte Bestellung eines Offizialanwalts gut. Wie dem Entscheid zu entnehmen ist, stützte es sich dabei auf
BGE 78 I 1
ff, wonach dem Kind, dem die Vormundschaftsbehörde als Beistand im Ehelichkeitsanfechtungsprozess einen Rechtsanwalt bestellt hat, die Führung des Prozesses im Armenrecht nicht grundsätzlich zu verweigern ist, sondern nur dann und solange, als der Prozess keine Schwierigkeiten bietet. Mit Bezug auf die Frage der Notwendigkeit der Beigabe eines unentgeltlichen Rechtsvertreters in Verfahren, die vollständig oder weitgehend von der Offizialmaxime beherrscht werden, enthält der Entscheid eine gewisse Ungereimtheit: in Erwägung 2a wird ausgeführt, der Vaterschaftsprozess unterstehe im urnerischen Zivilprozess nicht vollständig der Untersuchungsmaxime, sodass der Beizug eines Rechtsanwaltes zur Prozessführung für das von einem rechtsunkundigen Beistand vertretene Kind nicht von vorneherein als unnötig erachtet werden könne. Daraus könnte man schliessen, dass die Offizialmaxime, die ein Verfahren ganz oder vorwiegend bestimmt, an und für sich schon Grund genug zur Verweigerung der Bestellung wäre. Einen solchen Schluss lassen aber weder
BGE 89 I 4
E. 4a, der in diesem Zusammenhang angeführt wird, noch
BGE 78 I 5
E. 3 zu. Im gleichen Entscheid (
BGE 99 Ia 430
) wird dann in Erwägung 2b ausdrücklich auf den Ehelichkeitsanfechtungsprozess (
BGE 78 I 5
E. 3), der ganz der Offizialmaxime unterstand, hingewiesen und der Anspruch auf Beigabe eines unentgeltlichen Rechtsbeistandes für das schon verbeiständete Kind unabhängig von der Frage, wie das Verfahren nach eidgenössischem oder kantonalem Recht gestaltet sei, bejaht.
BGE 104 Ia 72 S. 77
Anhand der zitierten Urteile kann somit nicht gesagt werden, das Bundesgericht schliesse in Verfahren, die von der Offizialmaxime beherrscht werden, die unentgeltliche Rechtspflege i.S. der Beigabe eines Offizialanwalts von vorneherein aus. Es hat vielmehr von jeher bei der Frage der Notwendigkeit der Beigabe eines solchen Anwalts im Zivilprozess verschiedene Kriterien berücksichtigt, wohl gerade deshalb, weil die Offizialmaxime nicht dahin zu verstehen ist, dass sich die Parteien an der Sammlung des Prozessstoffes überhaupt nicht zu beteiligen brauchen; auch wo die Offizialmaxime gilt, obliegt es in erster Linie den Parteien, das in Betracht fallende Tatsachenmaterial dem Gerichte zu unterbreiten. Das Gericht kann wohl von Amtes wegen Beweise erheben; doch hängt es weithin von den Angaben der Parteien ab, ob es überhaupt Kenntnis von den Beweismitteln erhält, welche die Feststellung des Sachverhalts ermöglichen (GULDENER: Schweizerisches Zivilprozessrecht, S. 145).
c) Ob ein Anspruch auf Beigabe eines unentgeltlichen Rechtsbeistandes besteht oder nicht, hängt weitgehend davon ab, wie leicht die sich im Prozess stellenden Fragen zu beantworten sind (
BGE 64 I 5
E. 2;
BGE 78 I 5
E. 3), ob die gesuchstellende Partei selbst rechtskundig ist - wobei unter Umständen selbst bei Rechtskundigkeit ein Anspruch nicht ausgeschlossen werden kann (
BGE 78 I 5
E. 3) - und ob sich die Gegenpartei ihrerseits von einem Anwalt vertreten lässt (
BGE 64 I 1
ff). Weiter ist auch die Tragweite des Entscheides von Bedeutung (Urteil vom 2. März 1977: i.S. W.); dabei ist eine gewisse Zurückhaltung am Platz, wo es ausschliesslich oder vorwiegend um finanzielle Interessen geht.
d) Auf den vorliegenden Fall angewendet, bedeutet dies, dass der Anspruch auf Beigabe eines unentgeltlichen Rechtsbeistandes unter dem Gesichtspunkt des
Art. 4 BV
zu bejahen ist.
Das in Frage stehende Abänderungsverfahren hat schon bisher verschiedene Eingaben der Anwältin der Beschwerdeführerin nötig gemacht. So hatte sich ihre Vertreterin schriftlich zum Antrag des geschiedenen Ehemannes auf Erlass einer superprovisorischen Verfügung sowie zu einem Bericht des Jugendsekretariats zu äussern. Das hängige Verfahren kann auch deshalb nicht als relativ einfach bezeichnet werden, weil das Kind beim Vater lebt und an dessen Wohnsitz zur Schule geht.
BGE 104 Ia 72 S. 78
Die Gesuchstellerin hat zwar die Hochschule besucht, hat aber nicht eine Ausbildung, die sie befähigen würde, die Probleme, die sich in tatsächlicher und rechtlicher Hinsicht in diesem Verfahren stellen, richtig einzuschätzen.
Andererseits ist die Gegenpartei durch einen Anwalt vertreten. Dem Postulat der anzustrebenden Waffengleichheit kommt in einem Fall wie dem vorliegenden, wo in besonderem Masse die Gefahr besteht, dass sich eine Partei im Prozess von Emotionen statt von sachlichen Überlegungen leiten lässt, erhebliche Bedeutung zu.
Wird in Rechnung gestellt, dass der Streitfall in tatsächlicher und rechtlicher Hinsicht immerhin nicht unerhebliche Schwierigkeiten bietet, dass es für die Beschwerdeführerin von grosser Tragweite ist, ob ihr die elterliche Gewalt über ihr Kind entzogen wird oder nicht, und dass sie sich als Beklagte im Prozess gegen eine Partei zur Wehr setzen muss, die ihrerseits durch einen Anwalt vertreten ist, so lässt es sich vor
Art. 4 BV
nicht rechtfertigen, der Beschwerdeführerin den unentgeltlichen Rechtsbeistand zu versagen. | public_law | nan | de | 1,978 | CH_BGE | CH_BGE_002 | CH | Federation |
7c4759d8-9752-440e-a299-2beee3ae7aa3 | Urteilskopf
100 V 164
41. Auszug aus dem Urteil vom 6. November 1974 i.S. Ausgleichskasse des Kantons Aargau gegen Suter und Obergericht des Kantons Aargau | Regeste
Art. 22ter und 25 Abs. 2 AHVG
.
Wann hat ein Unterbruch der Ausbildung den Unterbruch im Anspruch auf Kinderrente zur Folge? | Erwägungen
ab Seite 164
BGE 100 V 164 S. 164
Das Eidg. Versicherungsgericht zieht in Erwägung:
1.
Versicherte, denen eine Altersrente zusteht, haben gemäss
Art. 22ter AHVG
für jedes Kind, das im Fall ihres
BGE 100 V 164 S. 165
Todes eine Waisenrente beanspruchen könnte, Anspruch auf eine Kinderrente. Dieser Anspruch besteht - in sinngemässer Anwendung des
Art. 25 Abs. 2 AHVG
- für Kinder, die in Ausbildung begriffen sind, auch nach Vollendung des 18. Altersjahres, und zwar bis zum Abschluss ihrer Ausbildung, längstens jedoch bis zum vollendeten 25. Altersjahr.
Dem Sinn dieser Bestimmung entspricht es, dass ein Unterbruch der Ausbildung unter Umständen auch einen Unterbruch der Anspruchsberechtigung zur Folge hat. Dies trifft aber nach der Rechtsprechung jedenfalls dann nicht zu, wenn eine Ausbildung durch obligatorischen Militärdienst unterbrochen wird.
In dem in ZAK 1967 S. 550 publizierten Fall hatte das Eidg. Versicherungsgericht zu prüfen, ob dies auch gilt, wenn durch die Leistung obligatorischen Militärdienstes nicht ein bereits begonnenes Studium unterbrochen, sondern bloss die Aufnahme des Studiums hinausgeschoben wird. Das Gericht hatte diese Frage grundsätzlich bejaht, weil die Ausbildung mit dem Maturitätsexamen in der Regel nicht abgeschlossen wird. Anders wäre nur zu entscheiden, wenn Anhaltspunkte dafür vorliegen, dass die Aufnahme einer Erwerbstätigkeit nach bestandener Matura beabsichtigt ist, sei es definitiv oder bloss in erheblicher Unterbrechung der Ausbildung. Im übrigen hat das Gericht erklärt, dass der Begriff der Ausbildung weit ausgelegt werden muss. In diesem Sinn erachtete es im erwähnten Urteil das Studium als nicht rechtserheblich unterbrochen, wenn zwischen Matura und Hochschulstudium zwei Semester liegen, während derer der Sohn teils obligatorischen Militärdienst leistet, teils deshalb zwischen zwei Militärdiensten die Hochschule nicht besuchte, weil der Militärdienst ihm den Besuch während des ganzen Semesters ohnehin nicht erlaubt hätte. Dabei liess das Gericht dahingestellt, ob in der Zwischenzeit möglicherweise eine bescheidene Erwerbstätigkeit ausgeübt worden ist.
2.
Im vorliegenden Fall befindet sich Benjamin Suter seit anfangs Februar 1974 im obligatorischen Militärdienst, nachdem er im September 1973 das Maturitätsexamen bestanden und in der Zeit zwischen Matura und Militärdienst gegen Entschädigung in der Land- und Forstwirtschaft sich betätigt hatte.
Nach der in der Rentenwegleitung festgelegten und von der
BGE 100 V 164 S. 166
Ausgleichskasse angerufenen Verwaltungspraxis wäre ein Rentenanspruch für die Zeit vom Oktober 1973 hinweg nicht mehr gegeben, weil Rz. 198 voraussetzt, dass der Sohn sich "bis zum Eintritt in den Militärdienst in Ausbildung befand". Mit andern Worten bestände nach der Wegleitung kein Rentenanspruch, "wenn der Rentenbezüger in der Zeit zwischen Militärdienst und Ausbildung einem Erwerb nachgegangen ist". Mit Recht vertreten heute der kantonale Richter und das Bundesamt für Sozialversicherung selbst den Standpunkt, dass dies offensichtlich nicht gilt für den Fall, da in der Zeit zwischen Ende des Dienstes und Beginn des nächsten Semesters bzw. zwischen zwei Dienstleistungen oder zwischen Semesterende und Beginn des Militärdienstes eine lückenfüllende Erwerbstätigkeit ausgeübt wird. Ebensowenig wird die Ausbildung durch eine Erwerbstätigkeit, welche der Rentenansprecher nach bestandener Matura ausübt, um lediglich die Zeit bis zum Beginn des obligatorischen Militärdienstes gewinnbringend zu überbrücken, unterbrochen, vorausgesetzt, dass das Hochschulstudium oder eine -andere Berufsausbildung nach Beendigung des Militärdienstes aufgenommen wird.
Daraus folgt für den vorliegenden Fall, dass die Ausgleichskasse die Kinderrente für Benjamin Suter vom Oktober 1973 hinweg weiterhin auszurichten hat. | null | nan | de | 1,974 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
7c4761c4-c3c8-44f6-b26c-ecf61533f02f | Urteilskopf
84 IV 100
29. Urteil des Kassationshofes vom 10. Oktober 1958 i.S. X. gegen Staatsanwaltschaft des Kantons Zürich. | Regeste
Art. 191 Ziff. 1 StGB
.
Wer am Geschlechtsteil des Mädchens leckt, begeht eine beischlafsähnliche Handlung. | Sachverhalt
ab Seite 100
BGE 84 IV 100 S. 100
A.-
X. trieb im Oktober 1956 Unzucht mit einem weniger als 15-jährigen Mädchen, das sein Dienstbote war, indem er unter anderem einmal mit der Zunge am Geschlechtsteil des Kindes leckte.
B.-
Am 22. April 1958 erklärte ihn das Obergericht des Kantons Zürich wegen dieser Handlung, die es als beischlafsähnlich würdigte, der Unzucht im Sinne des
Art. 191 Ziff. 1 Abs. 2 StGB
und wegen anderer Handlungen der fortgesetzten Unzucht (Art. 191 Ziff. 2 Abs. 1, 3 und 5) sowie der unzüchtigen Veröffentlichung (
Art. 204 Ziff. 2 StGB
) schuldig und verurteilte ihn zu drei Jahren Zuchthaus und zur Einstellung in der bürgerlichen Ehrenfähigkeit für die Dauer von zehn Jahren.
C.-
Der Verurteilte beantragt mit der Nichtigkeitsbeschwerde, das Urteil des Obergerichts sei, soweit es Art. 191 Ziff. 1 Abs. 2 anwende, aufzuheben und die Sache zu neuer Beurteilung an die Vorinstanz zurückzuweisen. Er vertritt die Auffassung, das Lecken des Geschlechtsteils stelle keine beischlafsähnliche Handlung dar. Eine solche verlange, dass der männliche Täter das Kind mit dem Geschlechtsteil berühre.
BGE 84 IV 100 S. 101
D.-
Die Staatsanwaltschaft des Kantons Zürich beantragt Abweisung des Beschwerde.
Erwägungen
Der Kassationshof zieht in Erwägung:
Nach ständiger Rechtsprechung begeht der Mann eine beischlafsähnliche Handlung im Sinne des
Art. 191 Ziff. 1 StGB
, wenn er mit seinem Glied in die Scheide des Mädchens einzudringen versucht oder wenn er seinen Geschlechtsteil von vorne oder hinten einem Kinde zwischen die Oberschenkel stösst oder ihn in den After oder den Mund seines Opfers einführt (
BGE 71 IV 191
;
BGE 75 IV 165
;
BGE 76 IV 108
, 236). Allen diesen Handlungen ist gemeinsam, dass der männliche Täter sein Glied mit dem Körper des Kindes in so enge Berührung bringt, dass die Vereinigung an Innigkeit derjenigen beim natürlichen Beischlaf ähnlich ist. Diesen Fällen sind jene gleichzusetzen, in denen der Geschlechtsteil des Kindes sich mit dem Körper des Täters in beischlafsähnlicher Weise vereinigt. Dem widerspricht nicht, dass in
BGE 70 IV 159
erklärt wurde, eine Handlung sei nicht beischlafsähnlich, wenn der Geschlechtsteil des männlichen Täters das Kind nicht berühre. Dieser Grundsatz bezieht sich nur auf den (dort beurteilten) Fall, wo der Täter sich wie ein aktiver Beischläfer verhält. Wie der Kassationshof seither wiederholt entschieden hat, ist ein Kind zum Beischlaf oder zu einer beischlafsähnlichen Handlung auch dann missbraucht, wenn der Täter die Rolle des Beischläfers dem Kinde überlässt und selber die passive Rolle spielt. Daher macht die Rechtsprechung keinen Unterschied, ob beispielsweise der Täter sein Glied in den Mund des Kindes einführt oder ob umgekehrt das Glied des Knaben in den Mund des Täters genommen wird (
BGE 80 IV 173
). Daran ist festzuhalten.
Die Handlung, die der Täter begeht, wenn er seinen Mund an die Scham des Mädchens hält und dessen Geschlechtsteil mit der Zunge beleckt (sog. Cunnilinguus), gleicht dem natürlichen Geschlechtsakt ebenso sehr wie die Einführung des Gliedes des Knaben in den Mund des
BGE 84 IV 100 S. 102
Täters. Das eine ist das Gegenstück des anderen, und auch in den nachteiligen Wirkungen, welche die beiden Formen perverser Geschlechtshandlungen auf das Seelenleben und die sittliche Entwicklung des Kindes haben können, unterscheiden sie sich nicht wesentlich voneinander. Die Vereinigung von Mund und Zunge des Täters mit dem Geschlechtsteil des Kindes zeichnet sich durch einen besonders hohen Grad körperlicher Intimität aus, wie er bei bloss manuellen Betastungen nicht anzutreffen ist, ja selbst bei der immissio inter femora nicht erreicht wird. Ob der Täter längere oder nur kurze Zeit oder bloss oberflächlich am Geschlechtsteil des Kindes saugt oder leckt, ist unerheblich, wie es für den Begriff der beischlafsähnlichen Handlung auch nicht darauf ankommt, ob das Kind dabei Lustgefühle empfinde oder solcher überhaupt fähig sei. Es genügt, dass sich der Täter in beischlafsähnlicher Weise mit dem Kinde vereinigt.
Dispositiv
Demnach erkennt der Kassationshof:
Die Nichtigkeitsbeschwerde wird abgewiesen. | null | nan | de | 1,958 | CH_BGE | CH_BGE_006 | CH | Federation |
7c47debe-5999-43b1-bb1a-b9d99a866d6f | Urteilskopf
123 III 124
21. Auszug aus dem Urteil der I. Zivilabteilung vom 27. Februar 1997 i.S. B. AG gegen Z. (Berufung) | Regeste
Art. 257f Abs. 3 OR
,
Art. 101 OR
, 102 ff. OR. Ausserordentliche Kündigung eines Mietverhältnisses.
Eine Verpflichtung des Mieters, allfällige Bauhandwerkerpfandrechte abzulösen, welche im Zuge vertragskonformer Bauarbeiten eines Untermieters vorgemerkt oder eingetragen werden, fällt nicht unter den Regelungsbereich von
Art. 257f OR
(E. 2).
Löst der Mieter die Bauhandwerkerpfandrechte auf Mahnung nicht ab, verletzt er den Mietvertrag und gerät in Schuldnerverzug. Dem Vermieter steht alsdann das Kündigungsrecht gemäss Art. 107/108 OR zu. Gültigkeit der ausserordentlichen Kündigung trotz irrtümlicher Berufung auf
Art. 257f Abs. 3 OR
als Rechtsgrundlage (E. 3). | Sachverhalt
ab Seite 125
BGE 123 III 124 S. 125
Z. vermietete der B. AG per 1. September 1994 die Liegenschaft X. in Luzern auf eine feste Dauer von 10 Jahren. Mit ihrer Zustimmung wurde das Mietobjekt am 21. Februar 1995 an Y. untervermietet.
Der Mietvertrag bestimmt in seinen Allgemeinen Bedingungen u.a. was folgt:
"Der Mieter gewährleistet, dass seitens der beteiligten Handwerker, Unternehmer und Lieferanten keine Bauhandwerkerpfandrechte angemeldet werden. Geschieht dies trotzdem, hat der Mieter dafür zu sorgen, dass diese Pfandrechte sofort auf seine Kosten im Grundbuch gelöscht werden. Im Unterlassungsfall haftet er für den dem Vermieter daraus entstandenen Schaden."
Im Zusammenhang mit einem Umbau des Mietobjekts durch Y. bewilligte der Amtsgerichtspräsident I von Luzern die vorläufige Eintragung von Bauhandwerkerpfandrechten auf dem Mietobjekt im Betrage von vorerst Fr. 242'546.--. Z. setzte der B. AG mit Schreiben vom 19. März 1996 eine Frist von 30 Tagen, für deren Löschung besorgt zu sein, und drohte ihr für den Unterlassungsfall die fristlose Kündigung des Mietvertrages an. Mit Schreiben vom 2.April 1996 zeigte sie ihr die Vormerkung weiterer B auhandwerkerpfandrechte im Betrage von über Fr. 100'000.-- an und erneuerte ihre Kündigungsandrohung für den Fall deren Fortbestands. Am 22. April 1996 setzte sie ihr eine letzte Frist bis zum 3. Mai 1996, für die Löschung der Pfandrechte besorgt zu sein. Nach unbenütztem Ablauf dieser Frist kündigte sie den Mietvertrag am 7. Mai 1996
BGE 123 III 124 S. 126
unter Berufung auf
Art. 257f Abs. 3 OR
auf den 30. Juni 1996. Die B. AG focht diese Kündigung am 10. Mai 1996 bei der zuständigen Schlichtungsstelle an. Z. ihrerseits stellte am 18. Juni 1996 gegen die B. AG und Y. ein Ausweisungsbegehren.
Mit Entscheid vom 6. August 1996 stellte der Amtsgerichtspräsident III von Luzern die Ungültigkeit der Kündigung vom 7. Mai 1996 fest und wies das Ausweisungsgesuch ab.
Auf Rekurs von Z. hiess das Obergericht des Kantons Luzern, I. Kammer, das Ausweisungsbegehren gegen die B. AG mit Entscheid vom 15. Oktober 1996 gut.
Die B. AG führt eidgenössische Berufung, welche vom Bundesgericht abgewiesen wird.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
2.
Nach
Art. 257f Abs. 3 OR
kann der Vermieter den Vertrag ausserordentlich kündigen, wenn der Mieter trotz schriftlicher Mahnung seine Pflicht zu Sorgfalt und Rücksichtnahme verletzt, und dem Vermieter oder den Hausbewohnern die Fortsetzung des Mietverhältnisses nicht mehr zumutbar ist. Nach Auffassung der Vorinstanz steht diese Kündigungsbefugnis auch dem Vermieter zu, welcher entgegen einer Vertragspflicht des Mieters nicht von Bauhandwerkerpfandrechten entlastet wird, welche dieser zu vertreten hat. Diese Gesetzesauslegung ist rechtsirrtümlich.
a)
Art. 257f OR
steht unter der Marginalie "Sorgfalt und Rücksichtnahme" und befasst sich mit den Pflichten des Mieters beim Gebrauch der Mietsache. Abs. 3 der Bestimmung sanktioniert dementsprechend nur Verletzungen von mieterseitigen Gebrauchspflichten, nicht von Vertragspflichten schlechthin (HIGI, Zürcher Kommentar, N. 9 zu
Art. 257f OR
; SVIT-Kommentar zum Mietrecht, N. 9 zu
Art. 257f OR
). Der Gesetzeswortlaut ist bloss insoweit zu eng, als
Art. 257f OR
nicht allein zu einem sorgfältigen und rücksichtsvollen, sondern allgemein zu einem vertragsgemässen Gebrauch der Mietsache verpflichtet. Die Bestimmung untersagt daher beispielsweise auch vertragswidrige Nutzungsarten (etwa Umnutzungen von Wohn- und Geschäftsräumlichkeiten) oder verpflichtet zum vertraglichen Gebrauch (etwa bei der Geschäftsmiete), selbst wenn die Pflichtverletzung sich nicht in fehlender Sorgfalt oder Rücksichtnahme manifestiert (HIGI, a.a.O., N. 9 und 28 f. zu
Art. 257f OR
; SVIT-Kommentar zum Mietrecht, N. 7 zu
Art. 257f OR
; WEBER/ZIHLMANN, in: Kommentar zum Schweizerischen Privatrecht,
BGE 123 III 124 S. 127
2. Aufl., N. 1 zu
Art. 257f OR
; LACHAT/STOLL, Das neue Mietrecht für die Praxis, 3. Aufl., Zürich 1992, Rz. 3.1.2 S. 314; zum alten Recht SCHMID, Zürcher Kommentar, N. 1 zu Art. 261 aOR).
b) Eine Verpflichtung des Mieters, allfällige Bauhandwerkerpfandrechte abzulösen, welche im Zuge vertragskonformer Bauarbeiten vorgemerkt oder eingetragen werden, fällt nicht unter den Regelungsbereich von
Art. 257f OR
. Sie hat nicht unmittelbar den Gebrauch der Mietsache, sondern die Freistellung des Vermieters von Verbindlichkeiten zum Gegenstand, die nicht aus vertragswidrigem Gebrauch, sondern aus gesetzlicher Dritthaftung für vertragskonform eingegangene Verbindlichkeiten entstanden sind. Inhaltlich ist sie auf Befriedigung oder Sicherstellung (
Art. 839 Abs. 2 ZGB
) der pfandgesicherten Forderungen gerichtet, und steht damit ausserhalb des Gebrauchsnexus im Sinne von
Art. 257f OR
(vgl. SVIT-Kommentar zum Mietrecht, N. 9 zu
Art. 257f OR
). Die streitige Kündigung lässt sich daher nicht aus
Art. 257f Abs. 3 OR
begründen.
3.
Das bedeutet indessen nicht, dass die streitige Kündigung wirkungslos war und das Ausweisungsbegehren daher abzuweisen ist.
a) Vorauszuschicken ist, dass die Beklagte nach den Grundsätzen von
Art. 101 OR
für das Verhalten ihres Untermieters wie für eigenes einzustehen hat (
Art. 262 Abs. 3 OR
; BGE 117 II E. 2 S. 66 f. mit Hinweisen). Mithin war sie nach richtigem Vertragsverständnis auch verpflichtet, Bauhandwerkerpfandrechte abzulösen, welche durch Arbeitsvergebungen des Untermieters bewirkt wurden.
b) Indem die Beklagte die vorgemerkten Pfandrechte innert der ihr in zumutbarem Ausmass gesetzten und zusätzlich erstreckten Frist nicht ablöste, verletzte sie den Mietvertrag und geriet in Schuldnerverzug. Da nicht die rechtzeitige Tilgung einer Mietzins- oder Nebenkostenforderung ausblieb, findet darauf die mietrechtliche Sonderordnung des Schuldnerverzugs nach
Art. 257d OR
keine Anwendung (HIGI, a.a.O., N. 11 zu
Art. 257d OR
). Indessen konsumiert die Spezialregelung in
Art. 257d OR
das allgemeine Verzugsrecht nur im Umfang ihres Tatbestandes. Anderweitiger Schuldnerverzug untersteht den Bestimmungen des
Art. 102 ff. OR
(
BGE 54 II 183
E. 3 S. 187;
BGE 97 II 58
E. 3 S. 62/63; HIGI, a.a.O., N. 25 zu
Art. 257d OR
). Dabei tritt im Dauerschuldverhältnis, wie die Miete eines darstellt, an die Stelle des Rechts zum Vertragsrücktritt dasjenige zur Vertragskündigung (
BGE 97 II 58
E. 7 S. 66; WIEGAND, in: Kommentar zum Schweizerischen Privatrecht, 2. Aufl., N. 10 zu
Art. 109 OR
; GAUCH/SCHLUEP, Schweizerisches Obligationenrecht, Allgemeiner Teil, 6. Aufl., Rz. 3090 mit weiteren Hinweisen).
BGE 123 III 124 S. 128
Mit Schreiben vom 19. März und 2. April 1996 mahnte die Klägerin die ausstehende Vertragspflicht und setzte der Beklagten gleichzeitig eine Nachfrist zur Erfüllung von vorerst 30 Tagen und danach mit Schreiben vom 22. April 1996 bis zum 3. Mai 1996. Nach deren unbenütztem Ablauf kündigte sie den Mietvertrag am 7. Mai 1996 auf den 30. Juni 1996. Insoweit genügte sie ihren Obliegenheiten gemäss Art. 107/8 OR. Allerdings ist die zu beachtende Kündigungsfrist im allgemeinen Verzugsrecht nicht geregelt. Die Rechtsprechung scheint - jedenfalls altrechtlich - von der Möglichkeit einer fristlosen Kündigung auszugehen (
BGE 97 II 58
E. 6 S. 65). In der Literatur wird von einer ordentlichen Kündigung gesprochen, ohne dass indessen näher ausgeführt wird, was darunter im befristeten Vertragsverhältnis zu verstehen sei (HIGI, a.a.O., N. 25 zu
Art. 257d OR
). Sinn und Zweck des Verzugsrechts erheischen einerseits mindestens in der langjährig befristeten Miete die Möglichkeit einer - gegenüber der vertraglichen Beendigung - vorzeitigen Kündigung, andernfalls die verzugsrechtliche Lösungsbefugnis toter Buchstabe bliebe. Angesichts der für den Haupttatbestand des Mietvertrages getroffenen Ordnung ist andererseits aus systematischen Überlegungen die Möglichkeit einer fristlosen Kündigung zu verneinen und eine Lösung zu finden, die entweder die Frist von
Art. 257d Abs. 2 OR
oder diejenige der Kündigung aus wichtigem Grund nach
Art. 266g Abs. 1 OR
übernimmt. Ob das eine oder das andere sachgerecht ist, kann im vorliegenden Verfahren offenbleiben. Die von
Art. 257d OR
vorgeschriebenen Fristen wurden durch die Klägerin gewahrt. Wären sie analog
Art. 266g Abs. 1 OR
zu bestimmen, fände sinngemäss
Art. 266a Abs. 2 OR
Anwendung, und wäre die Kündigung auf eine Frist von sechs Monaten (
Art. 266d OR
) ab Empfang der Erklärung vom 7. Mai 1996 zu stellen, welche jedenfalls im Zeitpunkt der verfügten Räumung des Mietobjekts (30. November 1996) wirksam geworden wäre.
Die Parteien haben die Verpflichtung der Beklagten, für die Ablösung allfälliger Bauhandwerkerpfandrechte besorgt zu sein, vertraglich ausdrücklich geregelt. Daraus und aus der wirtschaftlichen Bedeutung der Bestimmung kann jedenfalls nicht auf das Vorliegen einer blossen Nebenleistungspflicht geschlossen werden, deren Verletzung nach wohl herrschender Auffassung eine Aufhebung des Vertrages nicht rechtfertigen würde (vgl. Gauch/Schluep, a.a.O., Rz. 3081).
d) Indessen bleibt zu prüfen, ob die zu Unrecht auf
Art. 257f Abs. 3 OR
gestützte Kündigung unter einem anderen Titel als zulässige - ausserordentliche - Kündigung wirksam geworden ist. Aus
BGE 123 III 124 S. 129
dem Begriff des Gestaltungsrechts folgt im allgemeinen ein Umdeutungsausschluss (HIGI, a.a.O., N. 72 zu Art. 257f und N. 16 zu
Art. 266g OR
; WEBER/ZIHLMANN, in: Kommentar zum Schweizerischen Privatrecht, 2. Aufl., N. 11 zu Art. 257d und N. 9 zu
Art. 257f OR
; a.A. SVIT-Kommentar zum Mietrecht, N. 53 zu
Art. 257f OR
). Dieser reicht indessen nicht weiter als die Gebote der Klarheit, der Unbedingtheit und der Unwiderruflichkeit der Ausübung von Gestaltungsrechten und findet seine Schranken an den Grundsätzen der Rechtsanwendung von Amtes wegen und der unschädlichen Falschbezeichnung analog
Art. 18 OR
. Wer daher gestützt auf einen klar umschriebenen Sachverhalt eine ausserordentliche Kündigung ausspricht, dem schadet nicht, wenn er - rechtsirrtümlich - als rechtliche Grundlage seiner Gestaltungserklärung eine unrichtige Gesetzesbestimmung anruft, sofern eine Ersatznorm zur Verfügung steht, welche seinen Anspruch stützt. Die unrichtige rechtliche Qualifikation kann ihm diesfalls nicht entgegengehalten werden, und seine Kündigung ist nach Massgabe der sachlich anwendbaren Norm zu beurteilen. So verhält es sich im vorliegenden Fall. Nach dem Gesagten hat daher die Vorinstanz im Ergebnis kein Bundesrecht verletzt, wenn sie eine rechtswirksame Kündigung der Klägerin bejaht und dementsprechend das Ausweisungsbegehren gutgeheissen hat. | null | nan | de | 1,997 | CH_BGE | CH_BGE_005 | CH | Federation |
7c4eb7dd-c6ab-4d3c-8834-e4a8b9e5d75e | Urteilskopf
117 Ia 5
2. Auszug aus dem Urteil der I. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 15. Mai 1991 i.S. K. gegen Bezirksanwaltschaft Zürich und Staatsanwaltschaft des Kantons Zürich (staatsrechtliche Beschwerde) | Regeste
Art. 4 BV
, rechtliches Gehör; interkantonale Rechtshilfe in Strafsachen.
Lässt das Prozessrecht des ersuchten Kantons ein Rechtsmittel gegen jede Rechtshilfeverfügung der Strafverfolgungsbehörde in vollem Umfang zu, so bedeutet es eine mit dem Anspruch auf rechtliches Gehör unvereinbare Einschränkung der Prüfungsbefugnis, wenn die Rechtsmittelinstanz nur jene Rügen prüft, welche die formelle Zulässigkeit der verlangten Rechtshilfehandlung betreffen. | Sachverhalt
ab Seite 6
BGE 117 Ia 5 S. 6
Der Untersuchungsrichter des Bezirkes Lausanne führt gegen P. eine Strafuntersuchung wegen Veruntreuung. Dem Angeschuldigten wird zur Last gelegt, er habe in den Jahren 1986-1989, als er bei einer Bank in Lausanne angestellt war, von einem bei dieser Bank bestehenden Konto des A. Gelder abdisponiert und einen Teil davon auf zwei Bankkonten in Zürich geleitet. Am 12. Oktober 1990 ersuchte der waadtländische Untersuchungsrichter die Bezirksanwaltschaft Zürich, bei zwei Banken in Zürich Abklärungen über die betreffenden Konten zu machen, die sachdienlichen Unterlagen vorzulegen und allfällige Guthaben zu sperren. Mit Verfügung vom 17. Oktober 1990 entsprach die Bezirksanwaltschaft dem Rechtshilfeersuchen. K., Inhaber eines von der Sperre betroffenen Kontos, legte am 5. November 1990 gegen die Rechtshilfeleistung Rekurs bei der Staatsanwaltschaft des Kantons Zürich ein. Diese wies den Rekurs mit Entscheid vom 4. Februar 1991 ab.
Gegen den Rekursentscheid der Staatsanwaltschaft erhob K. staatsrechtliche Beschwerde wegen Verletzung der
Art. 4 und 22ter BV
. Das Bundesgericht heisst die Beschwerde gut.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
1.
Der Beschwerdeführer kritisiert den angefochtenen Entscheid sowohl in formeller als auch in materieller Hinsicht. Er macht zunächst geltend, die Staatsanwaltschaft des Kantons Zürich habe im Rekursverfahren ihre Prüfungsbefugnis in unzulässiger Weise eingeschränkt und dadurch den ihm aufgrund von
Art. 4
BGE 117 Ia 5 S. 7
BV
zustehenden Anspruch auf rechtliches Gehör verletzt. Im weiteren führt er aus, die kantonale Instanz habe "durch unzulässige Sperre aller Konti" den durch
Art. 4 BV
gewährleisteten Grundsatz der Verhältnismässigkeit verletzt. Ausserdem habe sie dieses Prinzip dadurch missachtet, dass sie die von ihm beantragte Bankgarantie abgelehnt und die Aufrechterhaltung der Kontensperre bestätigt habe. Ferner sei
Art. 22ter BV
verletzt worden, indem ihm die Staatsanwaltschaft ohne ersichtlichen Grund die "Dispositionsmöglichkeit" über seine Vermögenswerte bzw. sein Eigentum entzogen habe.
a) Schränkt eine Behörde ihre Prüfungsbefugnis in unzulässiger Weise ein, so ist darin eine Verweigerung des rechtlichen Gehörs zu sehen (
BGE 92 I 81
, 84 I 227 ff.). Der Anspruch auf rechtliches Gehör ist formeller Natur. Seine Verletzung führt ungeachtet der Erfolgsaussichten der Beschwerde in der Sache selbst zur Aufhebung des angefochtenen Entscheids (
BGE 115 Ia 10
E. 2a mit Hinweisen). Die Rüge des Beschwerdeführers, die Staatsanwaltschaft habe ihre Kognitionsbefugnis willkürlich beschränkt, ist deshalb vorweg zu behandeln. Der Umfang des Anspruchs auf rechtliches Gehör wird zunächst durch die kantonalen Verfahrensvorschriften umschrieben, deren Auslegung und Anwendung das Bundesgericht unter dem Gesichtswinkel der Willkür prüft. Wo sich dieser kantonale Rechtsschutz als ungenügend erweist, greifen die unmittelbar aus
Art. 4 BV
folgenden Verfahrensregeln zur Sicherung des rechtlichen Gehörs Platz, die dem Bürger in allen Streitsachen ein bestimmtes Mindestmass an Verteidigungsrechten gewährleisten. Ob der unmittelbar aus
Art. 4 BV
folgende Anspruch auf rechtliches Gehör verletzt ist, prüft das Bundesgericht frei (BGE
BGE 115 Ia 10
E. 2a mit Hinweisen).
b) Nach § 402 Ziff. 1 der Strafprozessordnung des Kantons Zürich (StPO/ZH) ist gegen das Verfahren und die Verfügungen der Bezirksanwaltschaften der Rekurs an die Staatsanwaltschaft zulässig. Die hier in Frage stehende Verfügung der Bezirksanwaltschaft Zürich vom 17. Oktober 1990, mit der dem Rechtshilfeersuchen des Untersuchungsrichters von Lausanne entsprochen wurde, stellt eine Verfügung im Sinne dieser Vorschrift dar. In der ihr beigefügten Rechtsmittelbelehrung (Ziff. 5 des Dispositivs) wurde ausgeführt, gegen diese Verfügung könne an die Staatsanwaltschaft rekurriert werden, "sofern geltend gemacht werden sollte, der Kanton Zürich habe in Verletzung seines Prozess- und Verfahrensrechtes (GVG) zu Unrecht Rechtshilfe gewährt oder bei deren
BGE 117 Ia 5 S. 8
Ausführung hiesiges Verfahrensrecht verletzt". Falls "die Begründetheit des Requisitorials an sich" angefochten werden sollte, sei "die ersuchende Behörde anzugehen". Die Staatsanwaltschaft hielt bei der Behandlung des vom Beschwerdeführer gegen die erwähnte Verfügung der Bezirksanwaltschaft eingereichten Rekurses fest,
Art. 352 Abs. 1 StGB
verpflichte die Kantone zu gegenseitiger Rechtshilfe in Strafsachen. Dabei habe der ersuchte Richter nach ständiger Praxis die Gründe, welche den ersuchenden Richter zur Stellung des Ersuchens veranlassten, keiner materiellen Prüfung zu unterziehen. Der ersuchte Kanton habe lediglich über die grundsätzliche Zulässigkeit der von ihm verlangten prozessualen Massnahme zu befinden. Der Rekurrent sei deshalb mit allen Einwendungen und Gründen, die belegen sollten, dass er mit den dem Beschuldigten angelasteten Taten nicht in Verbindung stehe und dass die Beschlagnahme der Bankunterlagen und die Kontensperre einer rechtlichen Grundlage entbehrten, nicht zu hören. Die Zulässigkeit der auf Ersuchen des Waadtländer Untersuchungsrichters verfügten Zwangsmassnahmen sei nicht im Kanton Zürich, sondern bei der zuständigen Stelle im Kanton Waadt anzufechten. Mit dieser Begründung (E. 2 des angefochtenen Entscheids) trat die Staatsanwaltschaft in materieller Hinsicht auf den Rekurs nicht ein, ohne dies aber im Dispositiv ihres Entscheids zum Ausdruck zu bringen.
In der staatsrechtlichen Beschwerde wird geltend gemacht, die Staatsanwaltschaft habe in sachlich nicht vertretbarer Weise die Auffassung vertreten, sie sei nicht berechtigt zu prüfen, ob die materiellen Voraussetzungen für die anbegehrte Rechtshilfehandlung vorlägen, diese notwendig und verhältnismässig sei. Der Vorwurf ist begründet. Der Rekurs, wie er in der zürcherischen Strafprozessordnung ausgestaltet ist, stellt grundsätzlich ein vollkommenes Rechtsmittel dar, d.h., es kann mit ihm jeder Mangel des angefochtenen Entscheids gerügt werden (ADRIAN MEILI, Der Rekurs im Strafprozess nach zürcherischem Recht, Diss. Zürich 1968, S. 5 und 155). Das kantonale Recht enthält keine Vorschrift, wonach die Kognitionsbefugnis der Staatsanwaltschaft dann eingeschränkt wäre, wenn sie einen Rekurs gegen eine Rechtshilfeverfügung der Bezirksanwaltschaft zu behandeln hat. Die Staatsanwaltschaft nennt denn auch keine Bestimmung des zürcherischen Rechts, auf die sich eine Beschränkung der Prüfungsbefugnis der Rekursinstanz stützen liesse. Sie beruft sich für die von ihr vorgenommene Beschränkung der Kognition auf
Art. 352 StGB
, auf das
BGE 117 Ia 5 S. 9
Urteil
BGE 86 IV 140
sowie - in der Beschwerdeantwort - zudem auf das zur Publikation bestimmte Urteil des Bundesgerichts vom 8. März 1991 i.S. U. C. Aus der genannten Vorschrift des Strafgesetzbuches und den beiden bundesgerichtlichen Urteilen ergibt sich jedoch nicht, dass nach zürcherischem Recht die Rekursmöglichkeit gegen jene Verfügungen der Bezirksanwaltschaften, die rechtshilfeweise ergehen, eingeschränkt wäre. Gemäss
§ 402 Ziff. 1 StPO
/ZH ist der Rekurs gegen alle Verfügungen der Bezirksanwaltschaften zulässig, und es können mit diesem Rechtsmittel in solchen Fällen alle Mängel des Entscheids gerügt werden (MEILI, a.a.O., S. 5 und 155 ff.). Ist aber ein Rekurs gegen jede Rechtshilfeverfügung der Bezirksanwaltschaft in vollem Umfang zulässig, so lässt es sich sachlich nicht vertreten, wenn die Staatsanwaltschaft annimmt, bei der interkantonalen Rechtshilfe sei eine Verfügung der Bezirksanwaltschaft nur beschränkt mit einem Rekurs anfechtbar, nämlich nur hinsichtlich der formellen Zulässigkeit der verlangten Massnahme. Im gleichen Sinne hat das Bundesgericht in zwei Fällen, die ebenfalls eine interkantonale Rechtshilfeangelegenheit betrafen, die Auffassung der Rechtsmittelinstanzen der ersuchten Kantone, welche die Beschwerde- bzw. Weiterziehungsmöglichkeit gegen eine Rechtshilfeverfügung trotz Fehlens einer entsprechenden gesetzlichen Einschränkung nur in bezug auf den Vollzug der verlangten Massnahme zulassen wollten, als verfassungswidrig erklärt (unveröffentlichte Urteile vom 6. Oktober 1988 i.S. D. und vom 18. November 1987 i.S. Firma U. und Mitbeteiligte). Ferner ergibt sich aus zwei weiteren bundesgerichtlichen Entscheiden, dass dort, wo das Prozessrecht des ersuchten Kantons gegen Verfügungen der Strafverfolgungsbehörden allgemein ein Rechtsmittel einräumt, dieses auch dann uneingeschränkt ergriffen werden kann, wenn die Verfügung in einem interkantonalen Rechtshilfeverfahren ergangen ist (
BGE 105 Ib 211
ff. sowie das nicht publizierte Urteil vom 22. April 1988 i.S. M.).
Nach dem Gesagten konnte im hier zu beurteilenden Fall der Beschwerdeführer im Rekursverfahren gegen die von der Bezirksanwaltschaft Zürich auf Ersuchen des Untersuchungsrichters von Lausanne angeordnete Kontensperre sämtliche Rügen vorbringen. Er konnte somit - was er auch getan hat - geltend machen, dem Rechtshilfebegehren hätte deshalb nicht entsprochen werden dürfen, weil der vom Waadtländer Untersuchungsrichter behauptete Verdacht, dass die auf den gesperrten Konten befindlichen Gelder
BGE 117 Ia 5 S. 10
etwas mit den P. zur Last gelegten Handlungen zu tun hätten, jeder Grundlage entbehre, die verlangte Massnahme zudem nicht notwendig und unverhältnismässig sei. Ob diese Rügen, welche die materielle Zulässigkeit der verfügten Rechtshilfehandlung betreffen, stichhaltig seien, hätte die Staatsanwaltschaft prüfen müssen. Indem die Staatsanwaltschaft es unterliess, die erwähnten Einwände des Beschwerdeführers zu behandeln, hat sie ihre Prüfungsbefugnis in sachlich nicht vertretbarer Weise eingeschränkt und dadurch den aus
Art. 4 BV
folgenden Anspruch des Beschwerdeführers auf rechtliches Gehör verletzt. Da dieser Anspruch formeller Natur ist, hat seine Missachtung die Aufhebung des angefochtenen Entscheids auch dann zur Folge, wenn der Beschwerdeführer ein materielles Interesse daran nicht nachzuweisen vermag. Es kommt somit nicht darauf an, ob irgendwelche Aussicht besteht, dass die Staatsanwaltschaft bei einer neuerlichen Behandlung des Falles in der Sache anders entscheiden wird (
BGE 109 Ia 5
,
BGE 106 Ia 74
mit Hinweisen). Die Beschwerde ist demnach gutzuheissen und der angefochtene Rekursentscheid der Staatsanwaltschaft des Kantons Zürich vom 4. Februar 1991 aufzuheben. Bei dieser Sachlage erübrigt es sich, die weiteren Rügen des Beschwerdeführers zu behandeln. | public_law | nan | de | 1,991 | CH_BGE | CH_BGE_002 | CH | Federation |
7c6722ef-a9e5-4a40-adcd-98e70b2d49ff | Urteilskopf
139 V 327
41. Extrait de l'arrêt de la Ire Cour de droit social dans la cause La Mobilière Suisse Société d'Assurances SA contre D. (recours en matière de droit public)
8C_101/2012 du 2 mai 2013 | Regeste
Art. 6 Abs. 2 UVG
;
Art. 9 Abs. 2 lit. a UVV
; unfallähnliche Körperschädigungen.
Ein Fersenbeinbruch nach heftigem Schlag der Ferse gegen den Boden stellt eine unfallähnliche Körperschädigung dar, soweit er nicht eindeutig einer Krankheit oder einem degenerativen Zustand zuzuschreiben ist (E. 3). | Sachverhalt
ab Seite 327
BGE 139 V 327 S. 327
A.
D. est assurée obligatoirement contre le risque d'accident auprès de la Mobilière Suisse Société d'Assurances SA (ci-après: la Mobilière).
Le 23 janvier 2011, alors qu'elle était à son domicile, elle s'est blessé le pied droit en le frappant contre le sol en béton, dans un moment decolère. Les médecins consultés ont diagnostiqué une fracture-impactdu calcanéum droit et attesté une incapacité de travail de 100 % jusqu'au 7 mars 2011.
Par décision du 20 avril 2011, confirmée sur opposition le 9 juin suivant, la Mobilière a refusé de prendre en charge les suites de cet
BGE 139 V 327 S. 328
événement au titre de l'assurance-accidents obligatoire, motif pris qu'à défaut d'un facteur extérieur, l'atteinte ne constituait ni un accident ni une lésion corporelle assimilée à un accident.
B.
Par jugement du 7 décembre 2011, la Chambre des assurances sociales de la Cour de justice de la République et canton de Genève a annulé la décision sur opposition du 9 juin 2011 et condamné la Mobilière à prendre en charge les suites de l'événement du 23 janvier 2011 au titre des prestations dues en cas de lésions corporelles assimilées à un accident.
C.
La Mobilière a formé un recours en matière de droit public contre ce jugement dont elle demandait l'annulation, en concluant à la confirmation de sa décision sur opposition du 9 juin 2011, subsidiairement au renvoi de la cause à la juridiction cantonale pour nouveau jugement.
Le recours a été rejeté.
(résumé)
Erwägungen
Extrait des considérants:
3.
3.1
Aux termes de l'
art. 6 al. 2 LAA
, le Conseil fédéral peut inclure dans l'assurance-accidents des lésions corporelles qui sont semblables aux conséquences d'un accident. En vertu de cette délégation de compétence, il a édicté l'
art. 9 al. 2 OLAA
(RS 832.202), selon lequel certaines lésions corporelles sont assimilées à un accident même si elles ne sont pas causées par un facteur extérieur de caractère extraordinaire, pour autant qu'elles ne soient pas manifestement imputables à une maladie ou à des phénomènes dégénératifs. Les fractures figurent dans la liste exhaustive de l'
art. 9 al. 2 OLAA
à la let. a.
La notion de lésion assimilée à un accident a pour but d'éviter, au profit de l'assuré, la distinction souvent difficile entre maladie et accident. Aussi, les assureurs-accidents LAA doivent-ils assumer un risque qui, en raison de la distinction précitée, devrait en principe être couvert par l'assurance-maladie. Les lésions mentionnées à l'
art. 9 al. 2 OLAA
sont assimilées à un accident même si elles ont, pour l'essentiel, une origine vraisemblablement maladive ou dégénérative, pour autant qu'une cause extérieure ait, au moins, déclenché les symptômes dont souffre l'assuré (
ATF 129 V 466
;
ATF 123 V 43
consid. 2b p. 44;
ATF 116 V 145
consid. 2c p. 147;
ATF 114 V 298
consid. 3c p. 301).
3.2
La juridiction cantonale a admis l'existence d'une fracture du calcanéum droit due à un facteur extérieur consistant dans le violent
BGE 139 V 327 S. 329
coup de talon donné contre le sol. Bien qu'elle ait été facilitée par une carence en vitamine D consécutive à l'allaitement, les premiers juges ont considéré que cette lésion corporelle assimilée à un accident n'était pas manifestement imputable à une maladie ou à des phénomènes dégénératifs, du moment que le violent coup de talon donné contre le sol apparaît comme la condition
sine qua non
de la lésion. En ce qui concerne l'exigence d'un lien de causalité adéquate, la juridiction cantonale a relevé qu'il n'est certes pas dans le cours ordinaire des choses et l'expérience de la vie qu'un coup de talon contre le sol entraîne une fracture. Toutefois, en présence d'une atteinte à la santé physique, l'assureur-accidents répond aussi des complications les plus singulières et les plus graves qui ne se produisent habituellement pas selon l'expérience médicale, de sorte que la causalité adéquate a été admise par la juridiction cantonale.
3.3
La recourante conteste l'existence d'une lésion corporelle assimilée à un accident en faisant valoir que la fracture du calcanéum droit n'est pas due à un facteur extérieur.
3.3.1
Tout d'abord, elle allègue que le seul fait que l'intimée a éprouvé pour la première fois des douleurs après avoir frappé le sol de son pied ne suffit pas, selon la jurisprudence, pour admettre l'existence d'un facteur extérieur.
Ce moyen n'est pas pertinent. Le facteur doit être extérieur en ce sens qu'il doit s'agir d'une cause externe et non interne au corps humain (cf. FRÉSARD/MOSER-SZELESS, L'assurance-accidents obligatoire, in Soziale Sicherheit, SBVR vol. XIV, 2
e
éd. 2007, p. 859 n. 66). En l'espèce, les douleurs éprouvées ne sont pas apparues spontanément mais à la suite du coup porté contre le sol, lequel constitue un facteur extérieur clairement reconnaissable.
Par ailleurs, il faut admettre l'existence d'un facteur extérieur générant un risque de lésion accru lorsqu'un geste quotidien représente une sollicitation du corps plus élevée que ce qui est physiologiquement normal et psychologiquement contrôlé. C'est le cas en particulier lors de la survenance d'une circonstance qui rend incontrôlable un geste de la vie courante, comme un accès de colère au cours duquel une personne effectue un mouvement violent non maîtrisé.
3.3.2
Par un deuxième moyen, la recourante fait valoir que le coup de talon donné contre le sol a entraîné une fracture en raison notamment d'un phénomène dégénératif sous la forme d'une déminéralisation des os ou d'un déficit en vitamine D. Aussi, soutient-elle
BGE 139 V 327 S. 330
que ce geste ne représente pas un risque accru en regard d'une sollicitation normale de l'organisme et qu'il doit être qualifié objectivement de quotidien ou d'habituel.
Cette argumentation n'est toutefois pas apte à mettre en cause le point de vue des premiers juges. Le fait que le geste de frapper le sol du pied puisse être qualifié éventuellement de quotidien ou d'habituel permet, certes, de nier le caractère extraordinaire du facteur extérieur (
ATF 121 V 35
consid. 1a p. 38;
ATF 118 V 59
consid. 2b p. 61 et les références), mais il ne constitue pas un critère pour nier l'existence d'un tel facteur.
Par ailleurs, on ne saurait soutenir en l'occurrence que la fracture est manifestement imputable à des phénomènes dégénératifs (cf. art. 9 al. 2 in initio OLAA). Du reste, la recourante ne le prétend pas puisqu'elle évoque seulement une origine partiellement dégénérative. Au demeurant, le fait qu'il ait pu exister un terrain favorisant la survenance d'une fracture ressortit à la question de la causalité. Or, sur ce point, il n'y a pas de motif de mettre en cause le point de vue des premiers juges, selon lequel il existe un lien de causalité naturelle et adéquate entre la fracture du calcanéum droit et le violent coup de talon donné contre le sol. (...)
Enfin, la recourante ne saurait nier son obligation de prendre en charge les suites de l'événement du 23 janvier 2011 en excipant du caractère volontaire de l'atteinte. L'existence d'un accident - ou, comme en l'occurrence, d'une lésion corporelle assimilée à un accident - ne peut être niée que si l'intention porte sur l'atteinte à la santé et non sur le comportement qui produit l'atteinte dommageable (
ATF 115 V 151
consid. 4 p. 152). Or, en l'espèce, si le geste de l'intimée était volontaire, ses conséquences dommageables ne l'étaient pas.
3.3.3
Vu ce qui précède, la recourante était tenue de prendre en charge les suites de l'événement du 23 janvier 2011 au titre des prestations de l'assurance-accidents obligatoire en cas de lésions corporelles assimilées à un accident au sens de l'
art. 9 al. 2 let. a OLAA
. Le jugement entrepris n'est dès lors pas critiquable et le recours se révèle mal fondé. | null | nan | fr | 2,013 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
7c675222-46e1-4f35-84c0-384d60c4f558 | Urteilskopf
124 II 120
17. Extrait de l'arrêt de la Ie Cour de droit public du 18 février 1998 dans la cause X. contre Chambre d'accusation du canton de Genève (recours de droit administratif) | Regeste
Art. 3 Ziff. 1 EUeR
;
Art. 12 Abs. 1 IRSG
,
Art. 79 IRSG
,
Art. 79a IRSG
und
Art. 80a IRSG
; Konkordat über die Rechtshilfe und die interkantonale Zusammenarbeit in Strafsachen vom 5. November 1992.
Unter dem Aspekt des EUeR stellen die Konkordatsbestimmungen für die Schweiz als ersuchter Staat einen Teil der zur Erledigung der Rechtshilfeersuchen in
Art. 3 Ziff. 1 EUeR
erwähnten, von den nationalen Rechtsvorschriften vorgesehenen Formen dar.
Wenn ein Kanton in Anwendung von
Art. 79 IRSG
mit der Leitung des Verfahrens beauftragt worden ist, kann er gestützt auf Art. 3 und 4 des Konkordats in einem andern Kanton direkt Verfahrenshandlungen anordnen und durchführen (E. 4). | Erwägungen
ab Seite 121
BGE 124 II 120 S. 121
Extrait des considérants:
4.
La recourante soutient que l'ordonnance de perquisition et de saisie du 21 mai 1996, confirmée par l'ordonnance entreprise, violerait le Concordat sur l'entraide judiciaire et la coopération intercantonale en matière pénale du 5 novembre 1992 (RS 351.71, ci-après: le Concordat). Concrètement, elle estime que même si le canton de Genève a été désigné comme canton directeur par l'Office fédéral de la police, les autorités genevoises n'étaient pas habilitées à procéder à des perquisitions ou à des saisies sur le territoire bâlois sans agir par l'entremise des autorités de poursuite bâloises; prétendre le contraire reviendrait, selon elle, à admettre que le Concordat de 1992 a modifié l'art. 80a de la loi fédérale sur l'entraide internationale en matière pénale (EIMP, RS 351.1), dans sa teneur de 1996, ce que le législateur fédéral n'aurait précisément pas entendu faire. Elle demande en conséquence au Tribunal fédéral d'annuler la perquisition ordonnée par le juge genevois sur territoire bâlois.
a) La recourante invoque en substance une violation par la Chambre d'accusation du principe, ancré à l'art. 2 disp. trans. Cst., de la primauté du droit fédéral sur le droit cantonal, ou ici intercantonal. En soi, le moyen est recevable dans le cadre du recours de droit administratif, puisque celui-ci peut être formé pour violation du droit fédéral, et que cette notion inclut les droits constitutionnels des citoyens (
ATF 123 II 88
consid. 1a/bb p. 92;
ATF 122 IV 8
consid. 1a p. 11).
b) Il est vrai que l'articulation des dispositions de procédure de l'EIMP avec celles du Concordat, n'est pas évidente. Sans doute l'entraide judiciaire doit-elle être exécutée par la partie requise "dans les formes prévues par sa législation" (cf. art. 3 ch. 1 de la Convention européenne d'entraide judiciaire en matière pénale [CEEJ, RS 0.351.1]). On ne saurait toutefois en déduire, ou déduire des dispositions pertinentes de l'EIMP (art. 12 al. 1, 79 al. 1, 79a et 80a), que dans un Etat fédéral comme la Suisse, où l'organisation judiciaire, la procédure et l'administration de la justice relèvent en principe des cantons (
art. 64bis al. 2 Cst.
), l'entraide internationale en matière pénale serait pleinement soumise, dans ses prolongements ou préalables cantonaux, à une application stricte du principe de la territorialité (
art. 355 al. 2 CP
, principe "locus regit actum").
Comme le Tribunal fédéral l'a déjà souligné dans un contexte voisin, les art. 352 ss du Code pénal suisse - que l'art. 79 al. 1, 2ème phrase EIMP dit applicables par analogie en cas de délégation de
BGE 124 II 120 S. 122
l'exécution d'une demande d'entraide internationale à une seule autorité cantonale - ne représentent que des règles minimales (
ATF 122 I 85
consid. 3b/cc p. 89). Rien n'empêche donc les cantons d'y déroger par voie concordataire et autoriser les autorités judiciaires d'un canton à ordonner et effectuer des actes de procédure directement dans un autre canton (art. 3 ch. 1 du Concordat), en appliquant leur propre droit de procédure (art. 4 du Concordat). Tout au plus doivent-elles aviser préalablement, sauf cas d'urgence, l'autorité compétente du canton dans lequel l'acte de procédure doit être accompli (art. 3 ch. 2 et 3 et art. 24 du Concordat). L'un des buts poursuivis par le Concordat est de lutter efficacement contre la criminalité en favorisant la coopération intercantonale (art. 1er let. a du Concordat, ainsi que les art. 3 à 14 de son chapitre II). Il est manifeste que la coopération intercantonale mise en place par le Concordat, qui lie le canton de Genève depuis le 2 novembre 1993 et celui de Bâle-Ville depuis le 1er février 1994, ne saurait se limiter à la lutte contre la criminalité purement nationale, à une époque marquée de plus en plus par une criminalité aux ramifications internationales (
ATF 122 I 85
consid. 3b/cc p. 89).
c) En se fondant sur l'art. 2 ch. 1 du Concordat, qui précise que celui-ci n'est applicable "que dans les procédures entraînant l'application du droit pénal fédéral matériel", la recourante soutient que cet instrument ne serait pas applicable dans le contexte de l'EIMP, qui relèverait clairement du droit administratif.
L'entraide internationale, qu'elle soit régie par la CEEJ ou par l'EIMP, relève certes de ce que l'on peut qualifier, dans l'optique de la CEEJ, d'un droit administratif international (cf.
ATF 123 II 419
consid. 1a p. 421) ou, dans l'optique de l'EIMP, d'un droit interne à vocation transnationale. Il n'en demeure pas moins que cette coopération administrative internationale appelle toujours, en particulier à l'occasion du contrôle de la double incrimination, la vérification par l'Etat requis que l'infraction motivant la commission rogatoire est punissable selon son droit pénal matériel (
art. 5 ch. 1 let. a CEEJ
, et déclarations faites par la Suisse en application de l'
art. 5 ch. 2 CEEJ
;
art. 64 al. 1 EIMP
). Il faut donc considérer que la mise en oeuvre du droit de l'entraide internationale entraîne, ne serait-ce qu'indirectement, l'application du droit pénal fédéral matériel au sens de l'art. 2 ch. 1 du Concordat.
d) Il découle de ce qui précède que depuis le 1er février 1994 (dans les relations entre les cantons de Genève et de Bâle-Ville) et, de manière générale, dans les relations intercantonales depuis le 3 septembre
BGE 124 II 120 S. 123
1996 (date d'entrée en vigueur du Concordat pour le canton du Tessin, dernier des 26 cantons à avoir adhéré à cet instrument), le Concordat et les règles de procédure qu'il institue se substituent, dans la mise en oeuvre du droit de l'entraide internationale, aux règles minimales correspondantes de droit fédéral posées par l'EIMP. Autrement dit, envisagées dans l'optique de la CEEJ, les règles concordataires font comme telles partie, pour la Suisse en qualité d'Etat requis, des "formes prévues par sa législation" au sens de l'
art. 3 ch. 1 CEEJ
. Dans le système de l'EIMP, il faut admettre qu'au-delà de sa lettre, l'
art. 12 al. 1 EIMP
réserve également les dispositions contraires du Concordat du 5 novembre 1992 (notamment son chapitre II), dont les règles font désormais partie des "propres règles de procédure" que les autorités cantonales doivent appliquer en matière d'entraide internationale. Prévue à l'
art. 79 al. 1 EIMP
, l'application par analogie des art. 352 à 355 CP n'empêche donc nullement l'application directe des règles pertinentes du Concordat, car celui-ci consacre, comme le Tribunal fédéral l'a déjà relevé, une brèche dans le principe de la territorialité (cf.
ATF 122 I 85
consid. 3b/cc précité); de même, la délégation par l'Office fédéral à une autorité cantonale de l'exécution de l'entraide (
art. 79a EIMP
) et le droit de l'autorité cantonale d'exécution de procéder "aux actes d'entraide admis" (
art. 80a al. 1 EIMP
), conformément "à son propre droit de procédure" (
art. 80a al. 2 EIMP
), englobent nécessairement la prise en considération du droit concordataire, qui apparaît de nature à renforcer l'efficacité de l'entraide internationale accordée par la Suisse à des Etats étrangers.
e) Ce rôle de relais joué par le droit concordataire dans la mise en oeuvre du droit national et international de l'entraide judiciaire ne consacre nullement une violation du principe de la primauté du droit fédéral sur le droit intercantonal. La priorité accordée aux règles concordataires plus favorables que le droit fédéral à l'entraide internationale constitue bien plutôt le pendant du principe qui veut que, dans le domaine de l'entraide internationale, c'est - sous réserve de la protection des droits fondamentaux,
art. 1a et 2 EIMP
,
ATF 123 II 595
consid. 7c p. 616 ss - la règle la plus favorable à l'entraide qui prime, que celle-ci soit internationale ou, pour ce qui est des règles internes d'un Etat fédéral comme la Suisse, que cette règle soit fédérale ou intercantonale (cf.
ATF 122 II 140
consid. 2 p. 142). Le législateur avait d'ailleurs envisagé lui-même ce développement, en considérant, dans son message du 29 mars 1995 concernant la révision de l'EIMP, que le Concordat "devrait encore renforcer la
BGE 124 II 120 S. 124
portée de l'article 79 EIMP, puisqu'un juge pourra procéder à des mesures d'exécution dans un autre canton" (FF 1995 III 1, p. 12 ch. 222a). Contrairement à ce que soutient la recourante, le juge d'instruction genevois était donc fondé à agir directement dans le canton de Bâle-Ville. Dans la mesure de sa recevabilité, le moyen invoqué doit donc être rejeté. | public_law | nan | fr | 1,998 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
7c689d81-40fb-4eda-8516-b9458ffe4de1 | Urteilskopf
95 I 33
6. Auszug aus dem Urteil vom 22. Januar 1969 i.S. Gemeinde St. Moritz gegen N. Hartmann & Cie AG und Grosser Rat des Kantons Graubünden. | Regeste
Gemeindeautonomie.
Sie ist auch verletzt, wenn die zuständige kantonale Behörde eine autonome Satzung der Gemeinde willkürlich anwendet (Änderung der Rechtsprechung) (Erw. 2).
Die angefochtene Auslegung von Art. 32 der St. Moritzer Bauordnung durch den bündnerischen Grossen Rat hält dem Vorwurf der Willkür stand (Erw. 4). | Sachverhalt
ab Seite 33
BGE 95 I 33 S. 33
Aus dem Tatbestand:
A.-
Die Firma Nicolaus Hartmann & Cie AG unterhält seit Jahren im Gebiet "PLAUN SECH", St. Moritz, eine Kiesgrube mit Kiesaufbereitungsanlage. Im Januar 1967 ersuchte sie den Gemeindevorstand von St. Moritz, ihr im genannten Gebiet den Bau einer ständigen Betonaufbereitungsanlage zu bewilligen. Gemäss Projekt würde diese aus Kies- und Sandlagern, einem Schrapperkran, einer 3,5 m hohen Mischanlage sowie zwei Zementsilos von je 8,5 m Höhe bestehen.
Der Gemeindevorstand von St. Moritz wies die gegen das Bauvorhaben eingereichten Einsprachen ab und erteilte die Baubewilligung, wobei er u.a. verfügte:
BGE 95 I 33 S. 34
"1.- Die Anlage ist weitmöglichst nach Süden/SSO zu verschieben. Der maschinelle Teil der Betonaufbereitungsinstallationen muss fest umbaut werden zur Verhütung von Staubaustritten jeglicher Art. Der Antrieb der Maschinen wird nur mittels geräuscharmer Elektromotoren gestattet.
3.- Erneuerungen, Erweiterungen oder Vergrösserungen der eingereichten Anlage bedürfen einer neuen Bewilligung durch die Gemeindebehörde.
6.- Entlang der Via Surpunt ist in ordentlichem Abstand vom Strassenrand als Immissionsschutz eine dichte, hochwüchsige Baum- oder Staudenreihe anzupflanzen.
7.- Die Betriebszeiten der Anlage unterliegen Abs. 1 der Verfügung des Gememdevorstandes vom 12. Mai 1965 betreffend Lärmbekämpfung auf dem Bausektor (siehe Beilage, diese bildet einen integrierenden Bestandteil der Baubewilligung). Ausnahmebewilligungen sind frühzeitig beim Gemeindevorstand einzuholen.
Der Gemeindevorstand behält sich vor, im Interesse der Öffentlichkeit und zum Schutze der benachbarten Wohnsiedlung gegebenenfalls weitere Vorschriften zu verfügen."
Auf Rekurs privater Einsprecher hin hob der Gemeinderat von St. Moritz (als oberste Gemeinderekursbehörde) die vom Gemeindevorstand erteilte Baubewilligung wieder auf. Er berief sich auf Art. 32 der Gemeindebauordnung (BO) und führte aus, die zentral geplante Anlage lasse eine besonders starke Zunahme des Schwerverkehrs im fraglichen Gebiet erwarten; diese könne den Anwohnern, den Kur- und Badegästen sowie den zukünftigen Benützern des im Entstehen begriffenen Höhensportzentrums nicht zugemutet werden. Zudem sei die Staubentwicklung der Anlage selber gesundheitsschädlich und auch deshalb nicht duldbar.
B.-
Die Firma Hartmann & Cie AG beschwerte sich gegen den Entscheid des Gemeinderates beim Kleinen Rat des Kantons Graubünden. Dieser hiess ihre Beschwerde gut und stellte den Entscheid des Gemeindevorstandes wieder her. Zur Begründung führte er im wesentlichen aus, der Zonenplan der Gemeinde St. Moritz kenne weder eine Gewerbe- noch eine Industriezone; Industrieanlagen müssten deshalb auch in Wohnzonen zugelassen werden. Das Grundstück der Rekurrentin eigne sich wie kein anderes für die geplante Anlage. Es sei ausgesprochen exzentrisch gelegen und als Kiesgrube für Wohnbauten unverwendbar. Das in der Nähe befindliche Wohnquartier sei in Kenntnis dieser Nachbarschaft und vor
BGE 95 I 33 S. 35
allem auch der bestehenden Kiesaufbereitungsanlage entstanden. Der Gemeindevorstand habe festgestellt, dass die Aufbereitungsanlage auch unter den veränderten Verhältnissen keine gesundheitsschädlichen Auswirkungen haben werde, und auch der Vertreter des Gemeinderates habe dies anlässlich der Augenscheinsverhandlung zugestanden. Der Gemeinderat sehe das Hindernis im zu erwartenden Werkverkehr. Wenn dieser aber nachts ruhe, sei er nicht als gesundheitsschädlich zu betrachten. Ein intensiver Werkverkehr werde zwar im Bereich eines Kurortes unbestrittenermassen nicht besonders geschätzt. Doch handle es sich hierbei um Fragen der Verkehrspolizei. Mit der Handhabung der Baupolizei könne der rollende Verkehr auf den öffentlichen Strassen nicht allgemein gelenkt werden. Aufgrund von Art. 32 BO habe der Gemeinderat nur die Anlage selber beurteilen dürfen, ohne Rücksicht auf den durch sie bedingten Mehrverkehr. Der Entscheid des Gemeinderates verletze auch den Grundsatz der Verhältnismässigkeit; denn der Gemeindevorstand habe als erstinstanzliche Baubewilligungsbehörde alle ihm gutscheinenden Anordnungen auch in bezug auf den Werkverkehr getroffen, und er habe sich nötigenfalls weitere vorbehalten. Damit habe er das Verantwortbare getan. Ein Bauverbot sei nicht mehr verhältnismässig.
C.-
Gegen den Entscheid des Kleinen Rates reichte die Gemeinde St. Moritz beim Grossen Rat des Kantons Graubünden eine Beschwerde ein. Sie machte geltend, die Erteilung oder Verweigerung einer Baubewilligung sei weitgehend Ermessensfrage und daher der Überprüfung durch den Kleinen Rat entzogen. Der Kleine Rat verkenne die Bedeutung von Art. 32 BO, wenn er den Hinweis auf den zu erwartenden Schwerverkehr als unzulässig betrachte. Aber auch von der Anlage selber würden erhebliche Auswirkungen ausgehen, die gemäss einem vom Ärztlichen Bezirksverein Thun erstatteten Gutachten die Gesundheit der Menschen gefährde, die in der Umgebung wohnen. Die zu erwartende Luftverschmutzung zu verhindern, gehöre zu den wichtigsten Aufgaben eines Kurortes.
Der Grosse Rat wies die Beschwerde der Gemeinde St. Moritz ab, wobei er die Begründung des Kleinen Rates bestätigte.
D.-
Die Gemeinde St. Moritz, vertreten durch den Gemeinderat, ficht den Entscheid des Grossen Rates mit staatsrechtlicher Beschwerde an. Sie beantragt, den grossrätlichen Entscheid aufzuheben sowie den Grossen Rat anzuweisen, dass er
BGE 95 I 33 S. 36
die Beschwerde der Gemeinde St. Moritz gutheisse, den Rekursentscheid des Kleinen Rates aufhebe und den Entscheid des Gemeinderates St. Moritz bestätige. Es wird gerügt, der Grosse Rat habe die Gemeindeautonomie sowohl durch willkürliche Auslegung des kommunalen Baugesetzes als auch durch unbefugte Aufhebung eines kommunalen Ermessensentscheides verletzt.
E. - Die Firma Nicolaus Hartmann & Cie AG stellt den Antrag, auf die Beschwerde nicht einzutreten, evt. sie abzuweisen. Der Grosse Rat des Kantons Graubünden hat sich nicht vernehmen lassen.
Erwägungen
Das Bundesgericht zieht in Erwägung:
1.
a) Die Beschwerdegegnerin spricht der Beschwerdeführerin die Legitimation ab, weil die Gemeinde nach ständiger Praxis lediglich auf dem Gebiet der Rechtsetzung, nicht aber auf demjenigen der Rechtsanwendung zur Autonomiebeschwerde befugt sei. Jene Unterscheidung betrifft jedoch die Frage nach Bestand und Umfang der Gemeindeautonomie, also die Begründetheit und nicht die Zulässigkeit der Beschwerde (vgl.
BGE 93 I 431
E. 1 und 3 b). Zur Autonomiebeschwerde legitimiert ist eine Gemeinde demgegenüber schon dann, wenn der Entscheid der kantonalen Behörde sie in ihrer Eigenschaft als Trägerin hoheitlicher Gewalt trifft und sie mit hinreichender Begründung eine Verletzung der Gemeindeautonomie rügt (
BGE 93 I 157
/8 E. 3 mit Hinweisen, 431 E. 1). Ob es dabei um kommunale Rechtsetzung oder um Rechtsanwendung geht, ist in diesem Zusammenhang belanglos. Indem der Grosse Rat des Kantons Graubünden den Entscheid des Kleinen Rates bestätigte, hat er dem Baugesuch der Beschwerdegegnerin gegen den Willen des Gemeinderates von St. Moritz (als oberster Gemeinderekursbehörde) entsprochen. Sein Entscheid schränkt die Gemeinde demnach in der Ausübung ihrer Verwaltungstätigkeit ein, trifft sie mithin als Trägerin hoheitlicher Gewalt. Entgegen der Ansicht der Beschwerdegegnerin ist die nur wegen Verletzung der Gemeindeautonomie geführte Beschwerde grundsätzlich zulässig.
b) Indessen sind Beschwerden der vorliegenden Art ausschliesslich kassatorischer Natur. Soweit die Beschwerdeführerin mehr verlangt, als die Aufhebung des grossrätlichen Entscheides, ist auf ihre Begehren deshalb nicht einzutreten.
BGE 95 I 33 S. 37
2.
Die bündnerische Gemeinde hat nach Art. 40 Abs. 2 KV das Recht der selbständigen Verwaltung ihrer Angelegenheiten mit Einschluss der niederen Polizei. Sie ist befugt, die dahin einschlagenden Ordnungen festzusetzen, welche jedoch den Bundes- und Kantonsgesetzen und den Eigentumsrechten Dritter nicht zuwider sein dürfen. Wie das Bundesgericht in
BGE 94 I 64
erneut festgestellt hat und auch im vorliegenden Fall nicht bestritten ist, gehört das öffentliche Baurecht im Kanton Graubünden grundsätzlich zum Autonomiebereich der Gemeinde.
3.
Nach dem neuesten Stand der bundesgerichtlichen Praxis ist auf dem Gebiete der kommunalen Rechtsetzung die Gemeindeautonomie schon dann verletzt, wenn eine an sich zur Überprüfung des kommunalen Erlasses zuständige kantonale Behörde denselben rechtswidrig aufhebt, weil sie eine in Wirklichkeit nicht bestehende Rechtsverletzung annimmt oder sonstwie ihre Rechtskontrolle oder die ihr allenfalls zustehende Ermessenskontrolle willkürlich ausübt (
BGE 94 I 65
; zur Entwicklung der Rechtsprechnug vgl.
BGE 93 I 432
f. E. 3 c).
Die Beschwerdeführerin rügt u.a. als Verletzung ihrer Autonomie, der Grosse Rat habe die BO von St. Moritz willkürlich (anders als der Gemeinderat) angewandt. Ein solcher Vorwurf setzt voraus - und die Beschwerdeführerin verlangt es denn auch ausdrücklich -, dass die erwähnte neue Rechtsprechung auf den Bereich der kommunalen Verwaltungstätigkeit ausgedehnt wird. Das Bundesgericht hat diese Frage in
BGE 94 I 63
ff. offengelassen. Sie ist nunmehr zu entscheiden.
a) Wie das Bundesgericht schon in
BGE 94 I 65
angedeutet hat, geniesst die Gemeinde bezüglich ihrer Autonomie auch nach der neuen Praxis noch einen unvollkommenen Rechtsschutz. Zwar kann sie sich gegen willkürliche Eingriffe kantonaler Behörden in die Rechtsetzungsbefugnis selbst dann mit Erfolg wehren, wenn jene Behörden im Bereich ihrer Zuständigkeit geblieben sind. Geht es dagegen um die Anwendung des von ihr im Rahmen ihrer Autonomie gesetzten Rechtes, dann muss die Gemeinde hilflos zusehen, wie eine kantonale Behörde, die zwar im Bereich ihrer Zuständigkeit bleibt, dieses Recht willkürlich missachtet. Erfolgreich zur Wehr setzen kann sich die Gemeinde in diesem Fall nur, sofern die kantonale Instanz ihre Zuständigkeit überschritten hat. Bei der Genehmigung einer autonomen Satzung ist also die zuständige kantonale Behörde
BGE 95 I 33 S. 38
an das Willkürverbot gebunden, währenddem eine solche Bindung nach der bisherigen Praxis bei der Anwendung des Gemeinderechts entfällt. Dieses stossende Ergebnis ist nur dadurch zu beseitigen, dass auch im Falle der Rechtsanwendung eine Verletzung der Gemeindeautonomie schon bei willkürlichen Entscheiden der zuständigen Behörde angenommen wird. Die Einwände, die dagegen etwa vorgebracht werden könnten (vgl.
BGE 94 I 66
), halten näherer Prüfung nicht stand. So mag zwar zutreffen, dass eine in einem Einzelfall ergangene Verfügung einer kommunalen Verwaltungsbehörde nicht in gleichem Masse Schutz verdient wie eine autonome Satzung. Das ist hier aber nicht entscheidend, geht es doch nach dem Gesagten nicht um den Schutz einer Einzelverfügung, sondern um denjenigen der Autonomie. Auch die Möglichkeit der Gemeinde, ihre Erlasse zu ändern, bildet keinen ausreichenden Grund, um von der beabsichtigten Erweiterung des Schutzes der Autonomie abzusehen. Im Gegensatz zu dem der Gemeinde einzuräumenden Rechtsmittel vermöchte eine solche Änderung des Gemeindeerlasses Willkürakte des Kantons in der Rechtsanwendung nicht ungeschehen zu machen. Sie würde überdies die Gemeinde auch in der Zukunft nicht davor schützen, erneut willkürlich behandelt zu werden. Dass schliesslich immer mehr Verwaltungsstreitsachen von richterlichen statt wie bisher von politischen Behörden beurteilt werden, ist an sich begrüssenswert. Die gerichtliche Behandlung schliesst indessen keine Garantie dafür ein, dass das Gemeinderecht in allen Fällen frei von Willkür angewandt werde. Auch dieser letzte Einwand vermag demnach die Ausdehnung der bisherigen Praxis auf die Rechtsanwendung nicht als überflüssig erscheinen zu lassen.
b) Zeigt es sich, dass der Grosse Rat des Kantons Graubünden im Bereich seiner Zuständigkeit blieb, dann ist die vorliegende Autonomiebeschwerde mithin nicht schon aus diesem Grunde abzuweisen. Vielmehr hat das Bundesgericht auch zu prüfen, ob der Grosse Rat die St. Moritzer BO willkürlich ausgelegt und angewandt habe.
4.
a) Wie die Frage nach dem Bestand, so ist auch diejenige nach dem Umfang der Gemeindeautonomie aufgrund des betreffenden kantonalen Rechts zu beantworten. In ständiger Rechtsprechung hat das Bundesgericht erkannt, dass der Bündner Gemeinde in der Rechtsetzung auf dem Gebiete des öffentlichen Baurechts eine verhältnismässig grosse Freiheit zukomme
BGE 95 I 33 S. 39
(vgl.
BGE 91 I 42
E. 4,
BGE 92 I 375
E. 2 b). Damit wurde jedoch über den Umfang der Autonomie in der Rechtsanwendung auf dem selben Gebiet nichts ausgesagt. Dieser richtet sich nach der Ausgestaltung der Beschwerdegründe in der Beschwerde gegen Verwaltungsverfügungen der zuständigen Gemeindeorgane. Das Prüfungsrecht der kantonalen Rekursinstanzen (d.h. des Kleinen und des Grossen Rates, vgl.
BGE 94 I 65
oben) ist in Art. 4 der Verordnung über das Verfahren in Verwaltungsstreitsachen vor dem Kleinen Rat vom 1. Dezember 1942 (VVV) umschrieben. Die Bestimmung lautet:
"Mit dem Rekurs kann geltend gemacht werden, dass der angefochtene Erlass, die Verfügung oder der Entscheid dem materiellen Recht des Bundes, des Kantons oder der betreffenden Körperschaft oder Anstalt widerspreche, auf einer Überschreitung des pflichtgemässen Ermessens beruhe, unter Verletzung allgemeiner wesentlicher Grundsätze oder Vorschriften des Verfahrens zustande gekommen sei oder eine ungültige Vorschrift der Korporation zur Grundlage habe."
Ohne jede Willkür darf aus
Art. 4 VVV
geschlossen werden, dass die kantonalen Rekursinstanzen das Gemeinderecht frei auf die richtige Anwendung hin zu prüfen haben (vgl.
BGE 94 I 65
oben), dass sie dagegen in ihrer Kognition beschränkt sind, wenn es sich um die Kontrolle der Ermessensbetätigung handelt; diesbezüglich können sie nur bei Ermessensüberschreitung oder -missbrauch eingreifen. Eine Verletzung der Gemeindeautonomie liegt demnach nur vor, sofern die genannten Behörden diesen Rahmen verlassen oder aber die ihnen zustehende Kontrolle willkürlich handhaben.
b) Gegen den so umschriebenen Umfang der grossrätlichen Prüfungsbefugnis hat die Beschwerdeführerin an sich nichts einzuwenden. Strittig ist jedoch, ob sich der Grosse Rat an diesen Rahmen seiner Prüfungsbefugnis gehalten hat. Die Beschwerdeführerin hält dafür, es sei eine Ermessensfrage, ob die umstrittene Betonaufbereitungsanlage ein "Betrieb mit starker Staubentwicklung" im Sinne von Art. 32 BO sei; der Grosse Rat erblickt darin eine Rechtsfrage.
Zwar spricht der Grosse Rat am Schluss seines Entscheides davon, der Gemeinderat habe sein "pflichtgemässes Ermessen" überschritten. Wie jedoch den vorangehenden Erwägungen des grossrätlichen Entscheides zu entnehmen ist, legte die kantonale Instanz die Rechtsätze des Art. 32 BO in der Tat durchwegs
BGE 95 I 33 S. 40
frei aus und würdigte sie auch den Sachverhalt frei. Entgegen der Ansicht der Beschwerdeführerin war der Grosse Rat hiezu - wie zum mindesten ohne Willkür angenommen werden darf - auch in bezug auf Auslegung und Anwendung des Begriffes der "starken Staubentwicklung" berechtigt.
Wer den Sinn eines solchen sogenannten unbestimmten Rechtsbegriffes zu finden hat, betätigt nach herrschender Auffassung kein Ermessen, sondern beantwortet eine Rechtsfrage (vgl.
BGE 91 I 75
,
BGE 94 I 135
). Wohl sind diese Ausdrücke im einzelnen Fall näher zu bestimmen und auf den entsprechenden Sachverhalt anzuwenden. Sie lassen aber keine Wahl zwischen zwei oder mehreren gleichwertigen Lösungen. Richtig ist stets nur eine einzige Auslegung. Diese hat diejenige Behörde zu suchen, die einen gesetzlichen Erlass anzuwenden hat.
Wenn der Gemeinderat von St. Moritz dafür hielt, die geplante Betonaufbereitungsanlage der Beschwerdegegnerin habe eine starke Staubentwicklung im Sinne von Art. 32 lit. b BO zur Folge, dann hat er mithin kein Ermessen betätigt, sondern den erwähnten unbestimmten Rechtsbegriff ausgelegt und auf den konkreten Sachverhalt angewandt. Dadurch, dass der Grosse Rat auch diese Rechtsanwendung frei prüfte, hat er seine Zuständigkeit nicht überschritten und somit jedenfalls in diesem Punkte die Autonomie der Beschwerdeführerin nicht verletzt.
5.
Wie in Erw. 2 hievor dargelegt wurde, ist der angefochtene Beschluss des Grossen Rates ferner auch in materieller Beziehung zu prüfen. In Frage steht dabei die Auslegung des schon erwähnten Art. 32 der St. Moritzer Bauordnung. Die Bestimmung lautet:
"e) Sanitäre Vorschriften
Art. 32
a) Gewerbe, deren Einrichtungen und Betriebe Erscheinungen zur Folge haben, welche auf Gesundheit von Menschen und Tieren der Nachbarschaft schädlich wirken, sind untersagt.
b) Insbesondere sind in bebauten Quartieren des Kurortes untersagt: Einrichtungen und gewerbliche Betriebe, die üble Ausdünstungen, starke Rauch- und Staubentwicklung oder starken Lärm, Geräusche und Erschütterungen des Bodens verursachen oder sonstwie dem Kurort, dem Gedeihen desselben und der Nachbarschaft erheblichen Schaden bringen können..."
Nach Ansicht der Beschwerdeführerin hat der Grosse Rat den Art. 32 BO willkürlich ausgelegt. Zwar ist in dieser Rüge auch
BGE 95 I 33 S. 41
diejenige unrichtiger Auslegung enthalten. Indessen prüft das Bundesgericht bei Beschwerden der vorliegenden Art die Anwendung des kantonalen Rechts, das nicht der Verfassungsstufe angehört, lediglich unter dem beschränkten Gesichtswinkel der Willkür. Zu diesem kantonalen Recht gehört ebenfalls das Gemeinderecht. Auch bei der Prüfung der grossrätlichen Auslegung von Art. 32 BO ist deshalb die Kognition des Staatsgerichtshofs auf Willkür beschränkt.
a) Der Grosse Rat vertritt die Ansicht, eine unzumutbare Immission der geplanten Betonaufbereitungsanlage auf die unmittelbare Nachbarschaft sei nicht zu erwarten. Diese optimistische Voraussage stützt die kantonale Instanz im wesentlichen auf die Tatsache, dass die Baubewilligung des Gemeindevorstandes zahlreiche Auflagen enthält. Danach dürfen u.a. nur geräuscharme Elektromotoren verwendet werden. Die ganze Anlage ist ausserdem in weitmöglichster Entfernung vom benachbarten Wohngebiet zu errichten und zur Verhütung von Staubaustritten fest zu umbauen. Die Betriebszeiten sind beschränkt. Für den Fall, dass die bereits getroffenen Massnahmen nicht genügen sollten, werden schliesslich weitere Auflagen ausdrücklich vorbehalten. Die Auffassung der kantonalen Instanz, ein Verbot der Anlage sei nicht zulässig, hält unter solchen Umständen der Willkürrüge stand. Sie ist insbesondere auch deshalb nicht abwegig, weil sie dem Grundsatz der Verhältnismässigkeit ausreichend Rechnung trägt und zudem berücksichtigt, dass die Bauordnung der Gemeinde St. Moritz keine Gewerbe- oder Industriezone kennt.
Die Beschwerdeführerin hat sich im Verfahren vor dem Grossen Rat auf ein Gutachten berufen, das der Ärztliche Bezirksverein Thun seinerzeit über ein im Zentrum dieser Ortschaft geplantes Betonwerk erstattet hat. Dass der Grosse Rat diesem Gutachten keine wesentliche Bedeutung beimass, verletzt
Art. 4 BV
ebenfalls nicht. In der Tat enthält jene Ansichtsäusserung Feststellungen allgemeiner Art, sie ist nicht auf den vorliegenden Fall zugeschnitten.
b) Der Grosse Rat weicht noch in einer andern Richtung von der Auslegung ab, die der Gemeinderat von St. Moritz dem Art. 32 BO gegeben hat. Die kantonale Instanz nimmt nämlich an, Immissionen im Sinne jener Bestimmung (insbesondere deren lit. b) seien nur diejenigen, die von der zu erstellenden Anlage selber ausgingen. Hingegen beziehe sich Art. 32 BO
BGE 95 I 33 S. 42
nicht auf den Schwerverkehr mit Lastwagen, den die geplante Anlage mit sich bringe.
Man könnte sich bei freier Prüfung fragen, ob diese Auslegung richtig sei. Der möglicherweise zu erwartende starke Verkehrslärm in der unmittelbaren Umgebung der Anlage kann die Gesundheit und das Wohlbefinden der Anwohner ebenso beeinträchtigen wie allfällige Immissionen, die von der Baute selber ausgehen. Es ist nicht recht einzusehen, inwiefern eine Berücksichtigung auch dieser notwendigen Folgen des geplanten Betriebes dem Sinn des Schutzes widersprechen könnte, den der Art. 32 gewähren will (vgl.
BGE 91 I 421
). Indessen hat das Bundesgericht nur zu prüfen, ob die Auslegung der kantonalen Instanz sich nicht auf ernsthafte und sachliche Gründe stützen lässt, sinn- und zwecklos ist oder Unterscheidungen trifft, die schlechthin unvernünftig sind. Die Voraussetzungen der Willkür sind auch hier nicht erfüllt. Der Wortlaut von Art. 32 BO bezieht sich in erster Linie auf die geplante Anlage selber. Nach der Praxis ist aber eine dem Wortlaut entsprechende Auslegung nur willkürlich, wenn sie dem Sinn und Zweck der Vorschrift offensichtlich widerspricht und zu einem vom Gesetzgeber unmöglich gewollten Ergebnis führt (
BGE 89 I 72
E. 4 mit Hinweisen). Dass dies im vorliegenden Falle zutreffe, ist nicht nachgewiesen. Auch die Beschwerdeführerin vermag nicht darzutun, selber je dem Art. 32 BO jene Bedeutung gegeben zu haben, die sie ihm hier zuerkennen will. Von Willkür kann daher in diesem Punkte ebenfalls nicht die Rede sein.
Hält indessen der angefochtene Entscheid nach dem Gesagten auch einer materiellen Prüfung stand, dann hat der Grosse Rat des Kantons Graubünden die Autonomie der Beschwerdeführerin nicht verletzt.
Dispositiv
Demnach erkennt das Bundesgericht:
Die Beschwerde wird abgewiesen, soweit darauf einzutreten ist. | public_law | nan | de | 1,969 | CH_BGE | CH_BGE_001 | CH | Federation |
7c709e03-0990-41a2-96e4-7d0ed6183cd4 | Urteilskopf
126 I 257
33. Extrait de l'arrêt de la Ire Cour civile du 24 juillet 2000 dans la cause dame R. contre dame P. (recours de droit public) | Regeste
Zulässigkeit der staatsrechtlichen Beschwerde; Erschöpfung der kantonalen Rechtsmittel. Nichtigkeitsbeschwerde im Waadtländer Zivilprozessrecht.
Im Waadtländer Zivilprozess kann mit der Nichtigkeitsbeschwerde die willkürliche Würdigung von Beweisen gerügt werden (E. 1). | Sachverhalt
ab Seite 257
BGE 126 I 257 S. 257
Le 18 octobre 1996, dame R. a assigné dame P. en paiement de 300'000 fr., plus intérêts.
Par jugement du 22 février 1999, la Cour civile du Tribunal cantonal du canton de Vaud a rejeté les conclusions de la demanderesse. Après avoir examiné les éléments de preuve qui lui avaient été fournis, elle a retenu que la reconnaissance de dette signée par la défenderesse le 31 octobre 1977 était un acte simulé, les parties ayant conclu un prêt apparent pour dissimuler une donation sous-jacente.
BGE 126 I 257 S. 258
La demanderesse a formé un recours de droit public, fondé sur l'
art. 9 Cst.
, en vue d'obtenir l'annulation du jugement de le Cour civile. Elle y invoquait une appréciation arbitraire des preuves.
Le Tribunal fédéral a déclaré le recours irrecevable.
Erwägungen
Extrait des considérants:
1.
a) Le Tribunal fédéral examine d'office et librement la recevabilité du recours de droit public (
ATF 124 I 11
consid. 1).
Aux termes de l'
art. 86 al. 1 OJ
, le recours de droit public n'est recevable qu'à l'encontre des décisions prises en dernière instance cantonale. Cette disposition signifie que les griefs soulevés devant le Tribunal fédéral ne doivent plus pouvoir faire l'objet d'un recours ordinaire ou extraordinaire de droit cantonal (
ATF 119 Ia 421
consid. 2b).
Il faut donc examiner si, en procédure civile vaudoise, le grief tiré de l'appréciation arbitraire des preuves peut faire l'objet du recours en nullité de l'
art. 444 CPC
/VD, lequel est recevable contre tout jugement principal d'une autorité judiciaire quelconque, et plus particulièrement "pour violation des règles essentielles de la procédure" (
art. 444 al. 1 ch. 3 CPC
/VD).
Dans un arrêt non publié du 23 novembre 1995, en la cause 4P.145/1995 (consid. 1), le Tribunal fédéral a posé que, bien que la jurisprudence cantonale ne soit pas fixée fermement sur ce point et mériterait de l'être une fois pour toutes par un arrêt de principe, le grief tiré de l'appréciation arbitraire des preuves ne constituait apparemment pas un motif de nullité au sens de l'
art. 444 al. 1 ch. 3 CPC
/VD. Il s'est référé à trois arrêts cantonaux et à deux avis de doctrine, en relevant toutefois que deux arrêts relativement récents semblaient vouloir conférer à l'autorité cantonale de recours, saisie d'un recours en nullité, un pouvoir d'examen, certes fort restreint, dans le domaine de l'appréciation des preuves. Constatant que la situation n'était pas du tout claire et que, dans ces conditions, on ne pouvait affirmer avec certitude que le recourant aurait dû soumettre le grief de déni de justice matériel à la Chambre des recours du Tribunal cantonal vaudois avant de saisir le Tribunal fédéral, ce dernier a considéré que le doute qui subsistait à ce sujet permettait de faire abstraction, en l'occurrence, d'une éventuelle violation de la règle de l'épuisement préalable des instances cantonales (
art. 86 al. 1 OJ
), conformément à la jurisprudence en la matière (
ATF 116 Ia 442
consid. 1a). Il est donc entré en matière sur le recours de droit public.
BGE 126 I 257 S. 259
b) Toutefois, depuis lors, dans un arrêt du 4 février 1998, publié au JdT 1999 III p. 89 (consid. 1a), la Chambre des recours du Tribunal cantonal vaudois a estimé que l'on pouvait "exceptionnellement admettre un moyen de nullité fondé sur l'appréciation arbitraire des preuves lorsque le premier juge a[vait] par exemple établi un état de fait qui [était] choquant au regard des preuves administrées". Elle admet ainsi l'ouverture d'un recours en nullité cantonal à l'encontre de l'appréciation des preuves dans les mêmes limites restrictives que celles assignées par le Tribunal fédéral au recours de droit public pour arbitraire dans l'appréciation des preuves. Les rédacteurs du Journal des Tribunaux ont compris de la sorte le considérant précité, puisqu'ils l'ont résumé comme il suit dans l'en-tête de l'arrêt: "Le recours en nullité est ouvert pour appréciation arbitraire des preuves, celle-ci constituant la violation d'une règle essentielle de procédure, mais le pouvoir de l'autorité de recours est restreint et ne peut en particulier porter sur l'opportunité de procéder à des mesures d'instruction".
Sur le vu de ce dernier arrêt, on ne peut plus dire, comme dans l'arrêt précité du 23 novembre 1995, que la situation n'est pas du tout claire et que, dans ces conditions, il n'est pas possible d'affirmer avec certitude que la recourante aurait dû soumettre le grief de déni de justice matériel à la Chambre des recours du Tribunal cantonal vaudois avant de saisir le Tribunal fédéral. Force est, au contraire, de constater que la voie du recours en nullité cantonal pour appréciation arbitraire des preuves est bel et bien ouverte. La recourante aurait donc dû soumettre ses griefs d'arbitraire dans l'appréciation des preuves à la Chambre des recours du Tribunal cantonal vaudois avant de saisir le Tribunal fédéral. En agissant directement par la voie du recours de droit public, elle a dès lors violé la règle de l'épuisement préalable des instances cantonales, posée à l'
art. 86 al. 1 OJ
, de telle sorte que son recours doit être déclaré irrecevable.
c) Cette solution - il convient de le souligner - est en harmonie avec celle de la procédure pénale vaudoise, qui ouvre la voie du recours cantonal en nullité pour appréciation arbitraire des preuves (
art. 411 let. i CPP
/VD; BERSIER, Le recours à la Cour de cassation pénale du Tribunal cantonal vaudois en procédure vaudoise, in JdT 1996 III p. 65 ss, 83 s.). La Cour de cassation du Tribunal fédéral en a tiré les conséquences logiques en posant, dans un arrêt récent, que le recourant ne peut en principe pas critiquer, dans le cadre d'un recours de droit public, une constatation de fait pour arbitraire qu'il n'a pas précédemment contestée dans le recours en nullité à la Cour
BGE 126 I 257 S. 260
de cassation pénale vaudoise (arrêt non publié du 28 avril 1999, dans la cause 6P.22/1999, consid. 4b).
Le recours cantonal en nullité pour arbitraire dans l'appréciation des preuves ne peut ainsi plus être considéré comme étranger à la procédure vaudoise, tant au civil qu'au pénal. | public_law | nan | fr | 2,000 | CH_BGE | CH_BGE_001 | CH | Federation |
7c710520-1b3e-49c4-a750-fa09bd122c98 | Urteilskopf
95 I 356
53. Auszug aus dem Urteil vom 17. September 1969 i.S. Achermann gegen Kriminalgericht und Obergericht des Kantons Luzern | Regeste
Kantonaler Strafprozess, notwendige Verteidigung, Öffentlichkeit der Verhandlung.
§ 33 Abs. 3 Ziff. 1 luzern. StPO, wonach der Angeklagte in Kriminalfällen vor Kriminalgericht und Obergericht durch einen gewählten oder amtlichen Verteidiger verteidigt werden muss,
- verstösst nicht gegen die persönliche Freiheit (Erw. I 1 und 2);
- ist vereinbar mit § 20 Abs. 1 KV, wonach es jedem Bürger freigestellt ist, seine Rechtssachen persönlich zu verfechten (Erw. I 3).
Aus dem Grundsatz der Öffentlichkeit der Verhandlung (
§ 168 StPO
) folgt, wie ohne Willkür angenommen werden kann, kein Recht der Zuhörer, an der Verhandlung Bild- oder Tonaufnahmen zu machen (Erw. II). | Sachverhalt
ab Seite 357
BGE 95 I 356 S. 357
Aus dem Tatbestand:
A.-
§ 20 Abs. 1 der luzern. KV lautet:
"Jedem Bürger ist freigestellt, seine Rechtssachen entweder persönlich zu verfechten oder deren Verfechtung nach Massgabe eidgenössischer oder kantonaler Gesetze andern zu übertragen".
Die luzern. StPO vom 3. Juni 1957 enthält im Unterabschnitt über die "Parteien" u.a. folgende Bestimmungen (Fassung vom 26. Januar 1965):
"§ 33. Verteidiger.
1 Die Verteidigung wird besorgt durch die im Kanton Luzern zur Berufsausübung zugelassenen Anwälte und die amtlichen Verteidiger.
2 Der Angeschuldigte muss verteidigt werden:
1. in Kriminalfällen vor Kriminalgericht und Obergericht;
2. in den übrigen Strafsachen vor Amtsgericht und Obergericht, wenn der Gerichtspräsident die Verteidigung als notwendig erachtet;
3. im Untersuchungsverfahren nach gewährter Akteneinsicht, wenn der Amtsstatthalter die Verteidigung als notwendig erachtet.
§ 34. Amtliche Verteidigung.
1 Beauftragt der Angeschuldigte in den Fällen von § 33 Abs. 3 nicht selber einen Verteidiger oder lehnt der von ihm bezeichnete Anwalt die Verteidigung ab, so bestellt der Amtsstatthalter oder der Präsident des Gerichts, bei dem die Sache hängig ist, einen amtlichen Verteidiger.
...
4 Dem Wunsch des Angeschuldigten auf einen bestimmten amtlichen Verteidiger ist stattzugeben, wenn keine wichtigen Gründe dagegen sprechen. Lehnt der Angeschuldigte die Verteidigung durch einen gewählten amtlichen Verteidiger aus wichtigen Gründen ab, so kann ihm ein amtlicher Verteidiger aus dem Kreis der Anwälte bestellt werden.
BGE 95 I 356 S. 358
Ferner bestimmt die StPO im Unterabschnitt über die "Gerichtsverhandlung" in
"§ 168. Öffentlichkeit.
1 Die Verhandlung ist öffentlich.
2 Das Gericht schliesst die Öffentlichkeit aus, soweit eine Gefährdung der öffentlichen Ordnung, der Sittlichkeit oder der Staatssicherheit zu befürchten ist. Es kann auch in diesem Falle Angehörigen des Angeklagten den Zutritt gestatten".
B.-
Der Beschwerdeführer Anton Achermann ist Inhaber der "Hofgalerie" in Luzern. Im Sommer 1967 stellte er diese einem Jelle de Boer zur Ausstellung von van Gogh-Bildern zur Verfügung, deren Echtheit in der Folge bezweifelt wurde. Dies führte zur Eröffnung einer Strafuntersuchung gegen Achermann. Nachdem er unter der Anklage des gewerbsmässigen Betruges dem Kriminalgericht des Kantons Luzern überwiesen worden war, fasste dieses am 18. April 1969 einen Beschluss, durch den es die Verhandlung auf den 3. Oktober 1969 festsetzte und u.a. bestimmte:
"3. Es wird davon Kenntnis genommen, dass sich der Angeklagte selber verteidigen will, indem er sich auf § 20 der Staatsverfassung beruft.
5. Das Gesuch des Angeklagten um Zulassung des Fernsehens anlässlich der Kriminalgerichtsverhandlung wird abgewiesen. Das Photographieren im Gerichtsgebäude ist verboten".
Achermann führte gegen diesen Beschluss Beschwerde mit dem Antrag, Ziffer 5 dahin abzuändern, dass die Beteiligung des Fernsehens sowie der Photoreporter innerhalb des Gerichtsgebäudes zuzulassen sei.
Das Obergericht des Kantons Luzern wies die Beschwerde am 6. Mai 1969 ab; ferner hob es Ziffer 3 des Beschlusses von Amtes wegen auf und wies den Kriminalgerichtspräsidenten an, dem Beschwerdeführer einen amtlichen Verteidiger zu bestimmen, sofern er innert einer ihm zu setzenden Frist keinen Verteidiger beauftrage. Zur Begründung dieses Entscheids führte es im wesentlichen aus:
a) Das Obergericht habe in einem Beschluss vom 31. Oktober 1963 das Photographieren im kantonalen Gerichtsgebäude sowie in den Räumen der Amtsgerichte an Sitzungstagen gestützt auf §§ 10 GOG, 32 ZPO und 38 StPO in der Erwägung untersagt, dass es den Gerichtsbetrieb störe und zudem Persönlichkeitsrechte der am Prozess beteiligten oder beim Gericht tätigen
BGE 95 I 356 S. 359
Personen verletzen könne. Hieran habe sich das Kriminalgericht mit seinem Entscheid gehalten. Der Grundsatz der Öffentlichkeit der Gerichtsverhandlung habe seinen Grund und Zweck in der Kontrolle der Rechtspflege durch die Öffentlichkeit, und den gleichen Sinn habe das Recht der Tagespresse auf Gerichtsberichterstattung. Weit darüber hinaus ginge die Zulassung von Radio und Fernsehen zur Gerichtsverhandlung; diese erhielte dadurch einen Grad der Publizität, der mit der Kontrolle der Justiz durch die Öffentlichkeit nicht mehr zu rechtfertigen sei, sondern primär dem Sensationsbedürfnis der Menge diene. Photoreportagen hätten mit der öffentlichen Verfahrenskontrolle überhaupt nichts zu tun.
b) Dagegen verstosse Ziffer 3 des Beschlusses des Kriminalgerichts gegen
§ 33 Abs. 3 Ziff. 1 StPO
, wonach der Angeklagte in Kriminalfällen vor Kriminalgericht und Obergericht verteidigt werden müsse. Die Berufung des Beschwerdeführers auf § 20 Abs. 1 KV gehe fehl. Dass die Bestellung eines Offizialverteidigers mit § 20 KV vereinbar sei, entspreche einer seit über hundert Jahren vertretenen Auffassung. Die notwendige formelle Verteidigung gelte im modernen Strafprozessrecht geradezu als unerlässlich.
C.-
Mit der staatsrechtlichen Beschwerde beantragt Anton Achermann, der Entscheid des Obergerichts vom 6. Mai 1969 sei aufzuheben.
Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
I.
- Der Beschwerdeführer beanstandet in erster Linie, dass ihm das Obergericht das Recht abspricht, sich an der Verhandlung vor Kriminalgericht selber zu verteidigen. Er erblickt hierin eine Verletzung der in § 5 KV gewährleisteten persönlichen Freiheit sowie des § 20 KV.
I.1.
Die Garantie der persönlichen Freiheit gehört nach heute herrschender Auffassung dem ungeschriebenen Verfassungsrecht des Bundes an (
BGE 89 I 98
E. 3,
BGE 90 I 34
E. 3). Die entsprechenden Garantien in den kantonalen Verfassungen haben keine selbständige Bedeutung, sofern sie nicht weiter gehen als die bundesrechtliche Gewährleistung. Dass dies für § 5 KV zutreffe, behauptet der Beschwerdeführer mit Recht nicht. In
BGE 90 I 34
E. 3 a hat das Bundesgericht unter
BGE 95 I 356 S. 360
Hinweis auf seine frühere Rechtsprechung die grundlegende Bedeutung der persönlichen Freiheit für die Ausübung der andern Freiheitsrechte betont. Aus dieser zentralen Stellung und der Tatsache, dass die andern Freiheitsrechte nicht nur den menschlichen Körper, sondern auch ideale Werte schützen, hat das Bundesgericht abgeleitet, die persönliche Freiheit gewährleiste ausser der körperlichen Integrität und der Bewegungsfreiheit auch die dem Bürger eigene Fähigkeit, eine bestimmte Lage zu würdigen und danach zu handeln (
BGE 90 I 36
). Ob und inwieweit die persönliche Freiheit auch das Recht des Angeklagten, sich im Strafprozess selbst zu verteidigen, umfasse, kann dahingestellt bleiben, da im vorliegenden Falle die persönliche Freiheit selbst dann nicht verletzt ist, wenn ein solches aus dieser Freiheit folgendes Recht des Angeklagten anzuerkennen ist.
I.2.
Die persönliche Freiheit ist kein unbeschränktes Recht. Ein Eingriffin sie ist zulässig, wenn er aufgesetzlicher Grundlage beruht, im öffentlichen Interesse liegt und die persönliche Freiheit weder völlig unterdrückt noch ihres Gehaltes entleert (
BGE 90 I 36
/37,
BGE 91 I 34
E. 2).
a) Das Obergericht stützt sich auf
§ 33 Abs. 3 Ziff. 1 StPO
, wonach der Angeschuldigte in Kriminalfällen vor Kriminal- und Obergericht "verteidigt werden muss". Aus dieser Vorschrift und aus § 34 Abs. 1, der in den Fällen von § 33 Abs. 3 die Bestellung eines amtlichen Verteidigers vorschreibt, sofern der Angeschuldigte nicht selber einen Verteidiger beauftragt, ergibt sich klar, dass der Beschwerdeführer in der Verhandlung vor Kriminalgericht durch einen gewählten oder amtlichen Verteidiger verteidigt werden muss. Sein Einwand, § 33 Abs. 3 Ziff. 1 beziehe sich nur auf das Untersuchungsverfahren, keinesfalls auf die Verteidigung vor Gericht, geht offensichtlich fehl. § 33 steht entgegen der Behauptung des Beschwerdeführers nicht im Abschnitt über das "Untersuchungsverfahren" (§§ 49-157), sondern im "Allgemeinen Teil" (§§ 1-48), dessen Vorschriften, soweit es ihr Wortlaut und Sinn zulässt, im ganzen Bereich der StPO anzuwenden sind, also auch auf das "Gerichtsverfahren" (§§ 158-192). Wenn § 33 Abs. 3 Ziff. 1 ausdrücklich die Verteidigung "in Kriminalfällen vor Kriminalgericht" vorschreibt, so kann dies übrigens nicht anders verstanden werden, als dass der Angeschuldigte an der Verhandlung vor diesem Gericht verteidigt sein muss.
BGE 95 I 356 S. 361
b) Hieran besteht auch ein hinreichendes öffentliches Interesse. Nach der heute herrschenden Rechtsauffassung liegt in der Bestellung eines besondern, von der Person des Angeklagten verschiedenen Verteidigers in wichtigen Kriminalfällen nicht bloss eine Rechtswohltat zugunsten des Angeklagten, auf die er verzichten kann; vielmehr ist diese Verteidigung im öffentlichen Interesse geboten, und zwar nicht nur, um einen geordneten Ablauf des Verfahrens zu gewährleisten, sondern vor allem zur Erreichung des Zwecks des Verfahrens, d.h. um es dem Gericht zu ermöglichen, die Wahrheit zu finden und ein gerechtes Urteil zu fällen (THORMANN, Über die amtliche Verteidigung, ZBJV 40/1904 S. 257 ff.; PFENNINGER, Probleme des schweiz. Strafprozessrechtes, 1966, S. 147 ff.; LÖWE-ROSENFELD, Kommentar der deutschen StPO, 21. Aufl. 1963 N. I/1 zu § 140). Der moderne Anklageprozess verlangt grundsätzlich einen dem Staatsanwalt gleichgestellten Verteidiger, der alles vorbringt, was zugunsten des Angeklagten vorzubringen ist.
Der Beschwerdeführer wendet zu Unrecht ein, er verfüge über die nötigen Rechtskenntnisse, um sich selber zu verteidigen. Eine gute und richtige Verteidigung setzt die Unbefangenheit des Verteidigers voraus. Diese Unbefangenheit aber geht dem Angeklagten, der sich selber verteidigt, in der Regel ab, und zwar erfahrungsgemäss auch dann, wenn er rechtskundig ist. Denn es besteht auch dann die Gefahr, dass er wesentliche Entlastungsmomente übersieht oder unterschätzt und dafür andere, denen in Wirklichkeit nur geringe oder überhaupt keine Bedeutung zukommt, überschätzt. Wohl sollen die Untersuchungsbehörden und Strafgerichte alles, was zur Entlastung des Angeschuldigten dient, von Amtes wegen abklären und berücksichtigen. Allein dieses Gebot genügt oft nicht, um alles, was zu seinen Gunsten spricht, beizuziehen und dem Gericht bewusst zu machen und damit ein richtiges und gerechtes Urteil zu gewährleisten. An den Vorschriften moderner Strafprozessordnungen, nach welchen dem Angeklagten in schweren Straffällen auch gegen seinen Willen ein Verteidiger zu geben ist, bestehen daher hinreichende öffentliche Interessen, die schwerer wiegen als das Interesse, das der Angeschuldigte an einer selbständigen Verteidigung haben kann.
c) Schliesslich kann auch nicht gesagt werden, dass das System der notwendigen Verteidigung die Freiheit des Angeklagten völlig unterdrücke oder ihres Gehaltes entleere.
BGE 95 I 356 S. 362
Sollte der Beschwerdeführer, wie er andeutet, im Falle der Abweisung der staatsrechtlichen Beschwerde einen privaten Verteidiger beauftragen, so kann er sich mit diesem über die Wahrung seiner prozessualen Rechte verständigen und ist eine Verletzung der persönlichen Freiheit ausgeschlossen. Eine solche Verletzung kann nicht etwa darin erblickt werden, dass dem Beschwerdeführer aus der Bestellung eines privaten Verteidigers Kosten erwachsen.
Sollte der Beschwerdeführer dagegen nicht selber einen Anwalt beauftragen oder der von ihm gewünschte amtliche Verteidiger das Amt ablehnen, so könnte es dazu kommen, dass ein ihm nicht genehmer Anwalt als amtlicher Verteidiger ernannt würde (vgl.
§ 34 StPO
). Allein auch dadurch würde die persönliche Freiheit nicht verletzt. Selbst wenn sich der Beschwerdeführer weigern sollte, mit dem amtlichen Verteidiger zusammenzuarbeiten, hat dieser die Möglichkeit, ihn richtig und wirksam zu verteidigen, während es anderseits dem Beschwerdeführer unbenommen bleibt, durch eigene Vorkehren und Vorbringen diejenigen des amtlichen Verteidigers, der mehr als Beistand denn als Vertreter zu betrachten ist, zu ergänzen. Welches das Verhältnis zwischen dem Angeklagten und einem ihm gegen seinen Willen bestellten Verteidiger im Strafverfahren ist, braucht auch abgesehen davon, dass der Beschwerdeführer im Falle der Abweisung der staatsrechtlichen Beschwerde einen privaten Verteidiger zu beauftragen gedenkt, hier nicht näher untersucht zu werden. Bemerkt sei lediglich, dass
§ 66 StPO
den "Parteien", also auch dem Angeklagten selber, das Recht gibt, die Akten einzusehen und Anträge zu stellen, und dass der Angeklagte nach
§ 179 Abs. 4 StPO
"das letzte Wort" hat. Wenn
§ 179 Abs. 1 StPO
bestimmt, dass das Wort an dritter Stelle "dem Verteidiger oder dem Angeklagten, wenn er sich selbst verteidigt", zu erteilen ist, so bezieht sich die Alternative des Selbstverteidigung wohl auf das Verfahren vor dem Amtsgericht, wo (ausser im Falle von § 33 Abs. 3 Ziff. 2) kein Verteidiger bestellt werden muss und oft auch vom Angeklagten kein solcher beigezogen wird. Doch gewährleistet der gesetzliche Anspruch auf das letzte Wort dem Angeklagten durchaus das Recht, alles vorzubringen, was nach seiner Auffassung erforderlich ist, um das Plädoyer und die allfällige Duplik des Verteidigers durch Darlegung seines eigenen Standpunktes zu ergänzen. Dem Beschwerdeführer bleiben somit seine Verteidigungsrechte
BGE 95 I 356 S. 363
in allen wesentlichen Punkten auch dann gewahrt, wenn ihm ein amtlicher Verteidiger bestellt werden sollte. Sollten seine Verteidigungsrechte im Laufe des Gerichtsverfahrens wider Erwarten verletzt werden, so hat er sich dannzumal mit den dafür zur Verfügung stehenden Rechtsmitteln zu wehren. Der Nachteil der Bestellung eines amtlichen Verteidigers besteht für den Angeklagten im wesentlichen darin, dass er gegebenenfalls selbst im Falle des Freispruchs für dessen Kosten aufzukommen hat (§ 277 in Verbindung mit
§ 270 Abs. 2 StPO
). Darin liegt jedoch keine Verletzung der persönlichen Freiheit.
I.3.
Zu prüfen bleibt, ob die notwendige formelle Verteidigung, wie sie
§ 33 Abs. 3 StPO
vorsieht, vereinbar ist mit § 20 KV, der in Abs. 1 bestimmt, es sei jedem Bürger freigestellt, seine Rechtssachen entweder persönlich zu verfechten oder deren Verfechtung nach Massgabe eidgenössischer oder kantonaler Gesetze andern zu übertragen. Das Obergericht bejaht dies unter Hinweis auf die StPO von 1865 und eine über 100 Jahre alte Praxis. Der Beschwerdeführer bestreitet eine solche Praxis und behauptet, die StPO von 1865 habe das Recht auf Selbstverteidigung anerkannt.
§ 20 Abs. 1 KV geht zurück auf die KV von 1841, deren § 20 (wie dann auch § 21 der KV von 1848) in Abs. 1 und 2 bestimmte:
"Jedem Bürger ist freigestellt, seine Rechtssachen entweder persönlich zu verfechten oder deren Verfechtung Andern zu übertragen.
Allfällige Beschränkungen hinsichtlich der Übertragung von Rechtsgeschäften an Andere, welche Beschränkungen das öffentliche Wohl fordern sollte, wird das Gesetz aufstellen".
Aus den vom Bundesgericht beigezogenen Materialien zur KV von 1841 ergibt sich, dass es beim Erlass dieser Bestimmungen nicht so sehr um den Verzicht auf den "Anwaltszwang" ging, als um die Ablehnung der von verschiedener Seite verlangten "Freigabe der Advokatur". Der Bericht der vom Verfassungsrat eingesetzten Siebzehner-Kommission zur Vorberatung des Verfassungsentwurfs enthält dazu folgende Erläuterung:
"Das Institut eines ausschliesslichen Advokatenstandes ist erst eine Erfindung neuerer Zeit. Es lassen sich Gründe dafür und Gründe dagegen angeben; aber das Volk will auch hier mehr Freiheit und
BGE 95 I 356 S. 364
klagt über bittere Erfahrung. Der Gesetzgebung bleibt es aber anheimgestellt, diese Freiheit der Verteidigung in Rechtssachen gehörig einzuschränken, wenn das öffentliche Wohl dies erfordern sollte. Die Erfahrung wird hierüber die Lehrmeisterin sein".
Es sollte somit in Abs. 1 festgehalten werden, dass niemand verpflichtet sei, sich vor Gericht eines Advokaten zu bedienen, während Abs. 2 zum Ausdruck bringt, dass der Gesetzgeber diesen Grundsatz einschränken könne. Dagegen findet sich weder in den erwähnten Erläuterungen noch im Protokoll der Verhandlungen des Verfassungsrates ein Anhaltspunkt dafür, dass mit § 20 ein absolutes Recht zur Selbstverteidigung in Strafsachen in der Verfassung verankert werden sollte.
Der Gesetzgeber hat denn auch in der StPO von 1865 nicht nur das Amt des öffentlichen Verteidigers geschaffen (§ 7), sondern gleichzeitig bestimmt, dass dieser (in Kriminalfällen) dem Angeklagten angewiesen werde, wenn er keinen Verteidiger bezeichne oder kein von ihm Bezeichneter die Verteidigung übernehme (§ 174)... Die Auffassung des Beschwerdeführers, die StPO von 1865 habe die notwendige Verteidigung noch nicht gekannt bzw. dem Angeklagten die Möglichkeit eingeräumt, sich ausschliesslich selbst, ohne Beizug eines öffentlichen oder gewählten Verteidigers zu verteidigen, ist angesichts der klaren Ordnung der StPO von 1865 als unhaltbar zu bezeichnen.
Bei der Revision der KV im Jahre 1875 ist Abs. 2 des § 21 der KV von 1848 freilich gestrichen worden. Der Beschwerdeführer behauptet aber selbst nicht, dass mit dieser Streichung eine materielle Änderung des damaligen Rechtszustandes beabsichtigt war. Es ist deshalb anzunehmen, dass auch unter der KV von 1875 der Gesetzgeber die Freiheit behielt, das Recht der Bürger zur ausschliesslichen Selbstverteidigung in Strafsachen einzuschränken. Die §§ 33 und 34 der StPO von 1957 sind etwas weniger kategorisch formuliert als der § 174 der StPO von 1865 und als die 1965 revidierten
§
§ 33 und 34 StPO
, doch ist die KV seit 1875 die gleiche geblieben. Das erlaubt den Schluss, dass § 20 KV den kantonalen Gesetzgeber nicht hindert, in Kriminalfällen eine Verbeiständung des Angeklagten durch einen gewählten oder einen amtlichen Verteidiger vorzuschreiben, auf die der Angeklagte nicht verzichten kann.
II.
Der Beschwerdeführer hat unter Berufung auf den in
§ 168 StPO
aufgestellten Grundsatz der Öffentlichkeit der
BGE 95 I 356 S. 365
Verhandlung verlangt, das Fernsehen sowie Photoreporter seien zur Gerichtsverhandlung zuzulassen. Das Obergericht hat dieses Begehren in Übereinstimmung mit dem Kriminalgericht abgewiesen. Das Bundesgericht kann die Auslegung des
§ 168 StPO
nur unter dem beschränkten Gesichtswinkel des vom Beschwerdeführer denn auch angerufenen
Art. 4 BV
überprüfen, also nur daraufhin, ob die Auffassung des Obergerichts gegen den klaren Wortlaut und Sinn verstosse oder eine rechtsungleiche Behandlung darstelle.
II.1.
§ 168 StPO
, wonach die Verhandlung öffentlich ist, bezieht sich, wie ohne jede Willkür angenommen werden kann, nur auf die unmittelbare Öffentlichkeit und bedeutet, dass zur Gerichtsverhandlung jedermann Zutritt hat, soweit in dem für Zuhörer bestimmten Teil des Gerichtssaals Platz vorhanden ist. Dagegen begründet
§ 168 StPO
kein Recht der Zuhörer, an der Gerichtsverhandlung Bild- oder Tonaufnahmen zu machen. Das Gericht verfügt aufgrund der Gerichtspolizei über die Gerichtsräume und kann, mangels besonderer Vorschrift, allgemein oder im Einzelfall bestimmen, ob und wieweit Photographieren sowie Ton- und Filmaufnahmen im Gerichtsgebäude zugelassen oder verboten sind. In diesem Sinne wird der Grundsatz der Öffentlichkeit der Verhandlung auch von der deutschen Rechtsprechung und herrschenden Lehre verstanden (BGHSt 10, 202 und 16, 112; LÖWE-ROSENFELD a.a.O. Einleitung S. 139 und Anm. 4 i vor
§ 226 StPO
, die Bemerkungen zu
§ 169 GVG
sowie Anm. 4 zu
§ 176 GVG
); bei der Revision des deutschen GVG am 19. Dezember 1964 erhielt § 169 sogar einen Zusatz, der Ton- und Fernseh-Rundfunkaufnahmen sowie Ton- und Filmaufnahmen zum Zwecke der öffentlichen Vorführung oder Veröffentlichung ihres Inhalts ausdrücklich verbietet. Ein entsprechendes, auch das blosse Photographieren umfassendes Verbot enthält der französische Code de procédure pénale in den Art. 308, 403 und 535.
Weder der Beschwerdeführer als zukünftiger Angeklagter noch die Zuhörer selbst können daher aus
§ 168 StPO
ein Recht auf Ton- oder Bildaufnahmen an der Gerichtsverhandlung ableiten. Erst recht besteht kein Anspruch der "Öffentlichkeit", d.h. eines weiteren Publikums, durch Bildreportagen in der Presse oder im Fernsehen über den Verlauf der Gerichtsverhandlung unterrichtet zu werden. Mit Recht betont PFENNINGER (a.a.O. S. 41), dass Bildberichterstattung, Rundfunk
BGE 95 I 356 S. 366
und Fernsehen mit der Kontrolle der Strafrechtspflege, die durch die Öffentlichkeit der Verhandlung gesichert werden soll, nichts zu tun haben und deshalb abzulehnen sind.
Die Abweisung des Begehrens des Beschwerdeführers ist daher jedenfalls aus dem Gesichtspunkt der Willkür nicht zu beanstanden. Von rechtsungleicher Behandlung könnte nur die Rede sein, wenn das Obergericht in andern Fällen Bild- oder Tonaufnahmen gestattet hätte. Das hat der Beschwerdeführer aber nicht behauptet und noch weniger darzutun versucht. Der blosse Umstand, dass die Presse die Verhaftung des Beschwerdeführers u.a. aufgrund einer Pressekonferenz des Untersuchungsbeamten bekannt gemacht hat, bildet keinen Grund, den
§ 168 StPO
im Falle des Beschwerdeführers weiter als in andern Fällen auszulegen. Wird der Beschwerdeführer freigesprochen, so kann er wegen der durch die Strafuntersuchung erlittenen Unbill gegebenenfalls Entschädigung oder Genugtuung nach
§ 280 StPO
verlangen..... | public_law | nan | de | 1,969 | CH_BGE | CH_BGE_001 | CH | Federation |
7c750a04-9998-4936-b9f3-1820944580e7 | Urteilskopf
109 IV 51
14. Extrait de l'arrêt de la Ire Cour de droit public du 22 mars 1983 dans la cause dame X. contre Genève, Chambre d'accusation et Juge d'instruction (recours de droit public) | Regeste
1.
Art. 86 Abs. 3 OG
; freiwillige Erschöpfung des kantonalen Instanzenzuges.
Wer von der in
Art. 86 Abs. 3 OG
vorgesehenen Möglichkeit Gebrauch macht, verliert diejenige den erstinstanzlichen Entscheid anzufechten, es sei denn, die obere kantonale Instanz habe nur eine beschränkte Überprüfungsbefugnis (E. 1b).
2.
Art. 24 BetmG
; Einziehung von Vermögensvorteilen, die aus verbotenem Betäubungsmittelhandel im Ausland stammen und in der Schweiz angelegt wurden.
Die zuständigen kantonalen Behörden - im konkreten Fall diejenigen des Kantons Genf - können eine solche Einziehung anordnen, selbst wenn keines der in Art. 3 bis 6 StGB genannten Anknüpfungskriterien gegeben ist (E. 2). | Sachverhalt
ab Seite 52
BGE 109 IV 51 S. 52
Arrêté le 26 février 1981 à Miami (Floride/USA), alors qu'il se trouvait en possession de cocaïne, le citoyen colombien Y. a été inculpé d'infraction à la législation américaine sur les stupéfiants. Au moment de son arrestation, la police a découvert sur lui une lettre faisant état du transfert, sur un compte numéroté d'une banque genevoise, de la somme de 1'222'000 dollars. Le compte en question a tout d'abord été bloqué le 19 mai 1981 par le Juge d'instruction de Genève, agissant dans le cadre d'une procédure d'entraide ouverte à la requête des autorités américaines, sur la base du traité entre la Confédération suisse et les Etats-Unis d'Amérique sur l'entraide judiciaire en matière pénale du 25 mai 1973. Dame X., qui se prétendait titulaire du compte, a fait opposition à cette décision, en faisant valoir que le montant d'environ 1'520'000 dollars déposé à Genève était le produit des activités commerciales licites qu'elle exerçait en Colombie. Elle n'aurait eu recours à Y., dont elle ignorait les activités criminelles, que pour transférer cette somme en Suisse, l'intéressé dirigeant à Bogota un bureau de change spécialisé dans ce type d'opération. Par la suite, la mesure de blocage ordonnée dans le cadre de l'entraide judiciaire internationale fut levée. Cependant, lors de la communication de cette décision à dame X., l'Office fédéral de la police lui signala que, le 12 août 1981, le Juge d'instruction genevois avait à nouveau ordonné la saisie du compte en se fondant cette fois sur les art. 24 de la loi fédérale sur les stupéfiants du 3 octobre 1951 (LStup) et 58 CP. Dans sa nouvelle ordonnance, le Juge d'instruction faisait état de renseignements, donnés par les autorités américaines, qui accréditaient fortement la thèse selon laquelle les fonds déposés sur le compte litigieux pouvaient être le produit d'un trafic de stupéfiants.
Dame X. a formé contre cette ordonnance un recours auprès de la Chambre d'accusation du canton de Genève. Elle a soutenu, d'une part, que les autorités judiciaires suisses n'étaient pas compétentes pour saisir son compte bancaire et, d'autre part, qu'il n'existait pas contre elle de prévention suffisante pour justifier une telle mesure. Elle a toutefois été déboutée le 13 septembre 1982.
Agissant par la voie d'un recours de droit public fondé sur l'art. 84 al. 1 lettres a et d OJ, dame X. demande au Tribunal fédéral d'annuler les ordonnances de la Chambre d'accusation du 13 septembre 1982 et du Juge d'instruction du 12 août 1981.
Le Tribunal fédéral a rejeté son recours.
BGE 109 IV 51 S. 53
Erwägungen
Extrait des considérants:
1.
a) (Irrecevabilité de moyens de droit nouveaux dans les recours pour arbitraire.)
b) Les recours de droit public fondés sur l'art. 84 al. 1 lettre d OJ peuvent être formés sans épuisement préalable des instances cantonales (
ATF 107 Ia 173
consid. 2b,
ATF 106 Ia 146
consid. b et arrêts cités). L'
art 86 al. 3 OJ
permet toutefois à celui qui veut agir par cette voie de droit d'épuiser d'abord les moyens de droit cantonal. C'est ce qu'a fait la recourante. Or, celui qui use de cette faculté perd celle de s'en prendre à la décision de l'autorité cantonale de première instance, à moins que l'autorité supérieure cantonale à laquelle il s'est adressé n'ait qu'un pouvoir d'examen limité. Cette exception n'est pas réalisée ici. En effet, saisie d'un recours contre une ordonnance du Juge d'instruction au sens des
art. 190 ss CPP
gen., la Chambre d'accusation dispose d'un pouvoir d'examen illimité en fait et en droit. Sa décision remplace donc celle de l'autorité de première instance. Il en résulte que le recours de droit public est irrecevable dans la mesure où il est dirigé contre l'ordonnance du Juge d'instruction rendue le 12 août 1981.
c) (Le Tribunal fédéral doit se borner à examiner si l'
art. 24 LStup
a été correctement appliqué. Pour cela, il dispose d'un libre pouvoir d'examen. Il n'a pas à se prononcer en l'espèce sur une prétendue violation de l'
art 58 CP
.)
2.
L'
art. 24 LStup
prescrit que les avantages pécuniaires illicites qui se trouvent en Suisse seront également acquis à l'Etat lorsque l'infraction aura été commise à l'étranger. A défaut de for selon l'
art. 348 CP
, le canton dans lequel se trouvent les biens est compétent pour la confiscation. Selon la recourante, cette disposition n'aurait pas été introduite pour déroger aux règles générales de compétence posées aux art. 3 à 6 CP, mais simplement pour définir le for en matière de saisie d'avantages pécuniaires illicites résultant du trafic des stupéfiants et combler ainsi une lacune de l'
art. 348 CP
, lequel ne définirait le for que vis-à-vis des personnes à juger mais non des objets à confisquer.
La loi fédérale sur les stupéfiants du 3 octobre 1951 a été modifiée une première fois par une novelle du 10 décembre 1968, entrée en vigueur le 1er janvier 1970. Cette novelle avait pour but d'adapter le droit interne à la Convention unique sur les stupéfiants conclue à New York le 30 mars 1961, qui remplaçait toutes les
BGE 109 IV 51 S. 54
conventions internationales, à une seule exception, conclues par la Suisse depuis 1912 (Message du Conseil fédéral, FF 1968 I p. 784 ss). Bien que la Suisse l'ait signée le 20 avril 1961 déjà, la Convention unique n'a pu être ratifiée que le 23 janvier 1970, soit après l'entrée en vigueur de la novelle qui a créé les conditions juridiques permettant cette ratification.
Une deuxième modification a été le fait de la novelle du 20 mars 1975, entrée en vigueur le 1er août 1975. Contrairement à ce qui paraît être l'opinion de l'autorité intimée et de la recourante, cette modification n'a évidemment pas eu pour but d'adapter la législation nationale au droit international public, mais de tenir compte de l'évolution rapide de la société et des applications scientifiques en la matière (FF 1973 I p. 1303 ss). L'un des points importants de cette révision a été de modifier les dispositions répressives de la loi en allégeant les peines infligées aux consommateurs et en aggravant celles prévues pour les trafiquants. C'est dans ce contexte que l'
art. 24 LStup
, dans sa teneur actuelle, a été introduit. Les travaux préparatoires démontrent clairement que le législateur a voulu instituer des règles spéciales de confiscation pour le produit de ce type particulier d'infractions. Il s'agit fondamentalement de permettre la saisie des bénéfices du trafic illicite de stupéfiants à l'étranger, qui seraient placés en Suisse. L'art. 24 al. 2 du projet (l'actuel art. 24 première phrase) vise à empêcher que l'auteur qui aura agi à l'étranger ne reste, le cas échéant, en possession d'avantages pécuniaires illicites, les accords internationaux sur l'extradition de telles valeurs étant naturellement réservés (FF 1973 p. 1307 lettre d et p. 1323 ad art. 24). La confiscation de ces avantages illicites doit intervenir sans que l'on prenne en considération les circonstances de l'infraction, en particulier le fait que celle-ci a été commise à l'étranger et qu'elle n'est pas punissable en Suisse (Bst./CE 1973 p. 710). La modification de l'art. 24 du projet, décidée au cours des débats parlementaires, illustre cette intention du législateur. Dans le projet du Conseil fédéral, l'art. 24 comportait deux alinéas. L'alinéa premier prescrivait la dévolution à l'Etat de tout avantage pécuniaire illicite découlant d'une infraction au sens des art. 19 à 22; l'alinéa 2 avait, on l'a vu, une teneur identique à la première phrase de l'art. 24 actuel. Or, l'alinéa premier a été biffé parce qu'il ne donnait pas à l'autorité des moyens supérieurs à ceux qui lui étaient désormais offerts par les art. 58, nouvelle teneur, et 58bis CP qui devaient entrer en vigueur le 1er janvier 1975. En revanche,
BGE 109 IV 51 S. 55
l'alinéa 2 a été maintenu comme tel, évidemment parce qu'il allait au delà de ces deux dispositions du droit commun. En outre, on y a ajouté une phrase relative au for, pour les cas où l'
art. 348 CP
ne donnerait pas de solution. Cette adjonction confirme que l'art. 24, 1re phrase, LStup s'applique à tous les avantages pécuniaires illicites qui se trouvent en Suisse et qui découlent d'une infraction commise à l'étranger, alors même qu'aucun des critères de rattachement des art. 3 à 6 CP n'est réalisé. S'il n'en allait pas ainsi, l'adjonction de la deuxième phrase de l'art. 24 eût été inutile, puisque l'
art. 348 CP
résout la question du for lorsqu'une infraction commise à l'étranger est punissable en Suisse (BSt./CE 1974 p. 599, CN 1974 p. 1460).
Il résulte de ce qui précède que l'
art. 24 LStup
donne la compétence aux autorités genevoises de saisir, en vue de leur dévolution ultérieure à l'Etat, des avantages pécuniaires illicites qui se trouveraient à Genève et proviendraient d'un trafic de stupéfiants commis à l'étranger, alors même que l'auteur ne pourrait être puni en Suisse en vertu des art. 3 à 6 CP. La thèse contraire soutenue par la recourante pour faire échec à l'ordonnance rendue contre elle par le Juge d'instruction et confirmée par la Chambre d'accusation est dénuée de tout fondement. | null | nan | fr | 1,983 | CH_BGE | CH_BGE_006 | CH | Federation |
7c8a6800-c8e4-4280-9456-56ba68583565 | Urteilskopf
98 Ia 73
12. Auszug aus dem Urteil vom 2. Februar 1972 i.S. Kellermüller und Mitbeteiligte gegen Zürich, Kantonsrat | Regeste
Art. 4 BV
,
Art. 85 lit. a OG
; rechtliches Gehör; politische Stimmberechtigung, Pressefreiheit, Beeinflussung einer kantonalen Volksabstimmung durch Presse und Fernsehen.
1. Umfang des Anspruchs auf rechtliches Gehör im Verfahren über eine Einsprache gegen eine kantonale Volksabstimmung (Erw. 2).
2. Grundsätzliches zum Entscheid darüber, ob im Vorfeld einer Volksabstimmung die Presse oder Radio und Fernsehen in unzulässiger Weise auf die freie Willensbildung der Stimmbürger eingewirkt haben (Erw. 3).
3. Unter welchen Voraussetzungen besteht von Bundesrechts wegen ein Anspruch auf Nachzählung eines Abstimmungsergebnisses? (Erw. 4). | Sachverhalt
ab Seite 74
BGE 98 Ia 73 S. 74
A.-
Am 6. Juni 1971 fand im Kanton Zürich eine Volksabstimmung statt. Gegenstand des Urnengangs bildeten sechs kantonale Vorlagen, darunter das Gesetz über den Beitritt des Kantons Zürich zum Konkordat über die Schulkoordination und das Gesetz über die Verlegung des Schuljahrbeginns und die Dauer der Schulpflicht. Für sämtliche sechs Vorlagen wurde ein einziger Stimmzettel ausgegeben. Das Gesetz über den Beitritt zum Schulkonkordat wurde mit grosser Mehrheit angenommen (215'045 Ja; 84'957 Nein). Die Abstimmung über das Gesetz betreffend die Verlegung des Schuljahrbeginns, das den Herbstschulbeginn vorsieht, zeitigte das folgende Ergebnis:
Annehmende Stimmen: 152'081
Verwerfende Stimmen: 151'948
Ungültige Stimmen: 79
Leere Stimmen: 20'206
Die Vorlage wurde demnach mit einem Mehr von bloss 133 Stimmen angenommen.
Gegen dieses Abstimmungsergebnis erhoben Hans Kellermüller und sieben weitere Stimmbürger beim Kantonsrat Einsprache. Sie bezweifelten, dass das Abstimmungsergebnis richtig ermittelt worden sei und verlangten eine Nachzählung. Sodann rügten sie, dass in Wahlbüros der Stadt Zürich Minderjährige bei der Zählung mitgewirkt hätten. Endlich machten
BGE 98 Ia 73 S. 75
sie geltend, die Stimmberechtigten seien durch Presse und Fernsehen in unzulässiger Weise beeinflusst worden; deshalb sei für den Fall, dass die Überprüfung des Abstimmungsergebnisses die Annahme des Gesetzes über die Verlegung des Schuljahrbeginns bestätigen sollte, die Abstimmung aufzuheben und zu wiederholen.
Mit Bericht und Antrag vom 19. August 1971 beschloss das Büro des Kantonsrats mit Mehrheitsentscheid, dem Rat die Gutheissung des Nachzählungsbegehrens, im übrigen aber die Abweisung der Einsprache zu empfehlen. Eine Minderheit des Büros beantragte, sowohl das Nachzählungsbegehren als auch die Einsprache als solche abzuweisen.
Mit Beschluss vom 30. August 1971 folgte der Kantonsrat der Minderheit seines Büros und wies Nachzählungsbegehren und Einsprache ab. Er stellte fest, zur Begründung des Nachzählungsgesuchs würden keine bestimmt wahrgenommenen Verfahrensmängel genannt. Im Interesse der Rechtssicherheit sei von der Vermutung auszugehen, dass die protokollierten Abstimmungsergebnisse richtig seien, solange nicht glaubhaft gemacht werde, dass "bestimmte gesetzwidrige Tatbestände" vorlägen. Dass die Abstimmung äusserst knapp ausgegangen sei, erfordere für sich allein noch keine amtliche Nachprüfung der Einzelergebnisse. - Nach der einschlägigen Gesetzgebung dürfe der Präsident des Wahlbüros zur Ermittlung der Abstimmungsergebnisse Hilfskräfte beiziehen, die nicht stimmberechtigt zu sein brauchten. Der Mitwirkung fähiger Minderjähriger habe demnach nichts entgegen gestanden. Endlich sei es in einer direkten Demokratie nichts Aussergewöhnliches, wenn sich die politischen Parteien und andere interessierte Organisationen mit Hilfe der Massenmedien am Abstimmungsfeldzug beteiligten. Die Kritik am Vorgehen der am Ausgang des Urnengangs interessierten Gruppen sei daher nicht geeignet, die Aufhebung der angefochtenen Abstimmung als geboten erscheinen zu lassen. Eine unzulässige Beeinflussung der Stimmbürger könne nur in behördlichen Handlungen erblickt werden, die den Rahmen einer sachlichen Aufklärung sprengten. Die Einsprecher behaupteten jedoch nicht, dass sich die Behörden in unzulässiger Weise für die Vorlage eingesetzt hätten, weshalb die Einsprache abzuweisen sei. - Mit Beschluss vom gleichen Tag erwahrte der Kantonsrat sodann das Abstimmungsergebnis.
BGE 98 Ia 73 S. 76
B.-
Hans Kellermüller und sechs weitere Stimmbürger führen staatsrechtliche Beschwerde wegen Verletzung von
Art. 4 BV
und ihrer politischen Stimmberechtigung (
Art. 85 lit. a OG
). Sie beantragen, die Volksabstimmung vom 6. Juni 1971 betreffend das Gesetz über die Verlegung des Schuljahrbeginns und die Dauer der Schulpflicht sowie die erwähnten Beschlüsse des Kantonsrats vom 30. August 1971 aufzuheben. Die Beschwerdebegründung ergibt sich, soweit wesentlich, aus den nachfolgenden Erwägungen.
C.-
Der Kantonsrat beantragt, die Beschwerde abzuweisen.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
2.
Die Beschwerdeführer machen zunächst geltend, sie seien in ihrem Anspruch auf rechtliches Gehör verletzt, weil ihre Einsprache den Mitgliedern des Kantonsrats nur auszugsweise zur Kenntnis gebracht worden sei. Der Kantonsrat wendet dagegen ein, sämtliche Akten hätten jedem Ratsmitglied zur Einsicht offen gestanden.
Der Umfang des Anspruchs auf rechtliches Gehör bestimmt sich in kantonalen Angelegenheiten in erster Linie nach dem kantonalen Recht. Erweist sich indessen die kantonale Ordnung als ungenügend, so greifen die unmittelbar aus
Art. 4 BV
folgenden Regeln zur Sicherung des rechtlichen Gehörs Platz (
BGE 96 I 620
, Erw. 2). Ob der bundesrechtliche Gehörsanspruch verletzt ist, prüft das Bundesgericht frei (
BGE 96 I 527
Erw. 2 mit Verweisungen).
Nach § 19 lit. c des Gesetzes über die Organisation und die Geschäftsordnung des zürcherischen Kantonsrates vom 20. November 1932 (Organisationsgesetz) werden die Ergebnisse der Volksabstimmungen vom Kantonsrat erwahrt. Gemäss § 131 des Gesetzes über die Wahlen und Abstimmungen vom 4. Dezember 1955 (Wahlgesetz) hat der Kantonsrat sodann auch über Einsprachen gegen kantonale Abstimmungen zu entscheiden. Dabei handelt er als Organ der Verfassungs- bzw. Verwaltungsrechtspflege (Z. GIACOMETTI, Das Staatsrecht der schweizerischen Kantone, S. 340; V. PICENONI, Die Kassation von Volkswahlen und Volksabstimmungen, Diss. Zürich 1945, S. 229). Er ist demnach gehalten, den Beteiligten das rechtliche Gehör zu gewähren. Wie er dieser Verpflichtung im einzelnen nachzukommen hat, ergibt sich indessen weder aus dem Wahlnoch aus dem Organisationsgesetz. Zu prüfen bleibt daher bloss,
BGE 98 Ia 73 S. 77
ob das Vorgehen des Kantonsrats im vorliegenden Fall den bundesrechtlichen Gehörsanspruch der Beschwerdeführer verletzte.
Die Bestimmungen der §§ 137 ff. des Wahlgesetzes, die das Einspracheverfahren regeln, enthalten keine Vorschriften darüber, wie die vom Kantonsrat zu beurteilenden Abstimmungseinsprachen nach ihrem Eingang zu behandeln sind. Das Gesetz sieht lediglich vor, dass die Vernehmlassung des zuständigen Wahlbüros einzuholen ist (§ 137 Abs. 1 Satz 2). Nach § 40 des Organisationsgesetzes ist der Kantonsrat jedoch ermächtigt, jedes Geschäft einer Kommission zur Prüfung und Antragstellung zu überweisen. Wie sich aus der Vernehmlassung des Kantonsrats ergibt, werden Abstimmungseinsprachen dem Ratsbüro zum Bericht und Antrag übermittelt. Im Einspracheverfahren nach §§ 137 ff. des Wahlgesetzes kommt demnach dem Büro des Kantonsrats die Stellung einer Kommission im Sinne von § 40 des Organisationsgesetzes zu, deren Bericht den Ratsmitgliedern in der Regel gedruckt zugestellt wird (§ 47 Abs. 1 des Geschäftsreglements für den Kantonsrat vom 26. Juni 1933). Auch im vorliegenden Fall beschloss der Kantonsrat unbestrittenermassen gestützt auf einen Bericht seines Büros (Bericht und Antrag Nr. 1770 vom 19. August 1971). Damit verletzte er den bundesrechtlichen Gehörsanspruch der Beschwerdeführer nicht. Der Kantonsrat ist in erster Linie Gesetzgeber und amtet nur in Ausnahmefällen als Organ der Rechtspflege. Seine Organisation ist deshalb vorab auf die Bedürfnisse der Gesetzgebung ausgerichtet. Ist er ausnahmsweise als richterliche Behörde tätig, so dürfen an die entsprechenden Verfahrensvorschriften unter dem Gesichtswinkel des bundesrechtlichen Gehörsanspruchs keine hohen Anforderungen gestellt werden. Dies gilt namentlich für das Einspracheverfahren gemäss §§ 137 ff. des Wahlgesetzes, das kein eigentliches Parteiverfahren darstellt. Unter dem Blickwinkel des
Art. 4 BV
genügt es, wenn die wesentlichen Vorbringen und Begehren der Einsprecher aus dem Bericht des Büros hervorgehen und Gewähr dafür besteht, dass jedes Ratsmitglied sämtliche Aktenstücke einsehen kann (
BGE 91 I 277
). Die Beschwerdeführer behaupten nicht, das Büro habe die Ratsmitglieder nicht über die in der Einsprache enthaltenen wesentlichen Vorbringen orientiert und in diesem Zusammenhang massgebende Gesichtspunkte unberücksichtigt gelassen, sondern sie beanstanden bloss, dass das Büro nicht jedem
BGE 98 Ia 73 S. 78
Ratsmitglied vom Wortlaut der Einsprache Kenntnis gab. Diese Rüge ist jedoch nach dem Gesagten nicht geeignet, den Vorwurf einer Gehörsverweigerung zu begründen.
3.
Die Beschwerdeführer beantragen die Aufhebung der Volksabstimmung über den Herbstschulbeginn mit der Begründung, das Ergebnis entspreche infolge einer unzulässigen Beeinflussung durch Presse und Fernsehen nicht dem wirklichen Willen der Stimmbürger.
a) Unter welchen Voraussetzungen das Ergebnis einer kantonalen Volksabstimmung aufzuheben ist, ergibt sich in erster Linie aus dem kantonalen Recht. Nach § 138 des zürcherischen Wahlgesetzes ist eine Abstimmung als ungültig zu erklären, "wenn erhebliche Fehler festgestellt worden sind". Was darunter im einzelnen zu verstehen ist, wird im Gesetz nicht näher ausgeführt und ist deshalb durch Auslegung zu ermitteln. Das vom Verfassungsrecht des Bundes gewährleistete Stimmrecht gibt dem Bürger unter anderem Anspruch darauf, dass kein Abstimmungsergebnis anerkannt wird, das nicht den freien Willen der Stimmbürger zuverlässig und unverfälscht zum Ausdruck bringt (
BGE 97 I 662
/3 mit Verweisungen). Stellt das Bundesgericht in dieser Hinsicht Unregelmässigkeiten fest, die das Abstimmungsergebnis beeinflusst haben können, so hebt es die betreffende Abstimmung auf. Dabei verlangt es nicht, dass der Stimmbürger den Nachweis dafür erbringe, dass die gerügten Unregelmässigkeiten das Abstimmungsergebnis tatsächlich beeinflusst haben; es entspricht dem Begehren um Aufhebung der Abstimmung vielmehr schon dann, wenn die tatsächlichen Begebenheiten eine unzulässige Beeinflussung als möglich erscheinen lassen (vgl.
BGE 93 I 535
oben). Ob dies zutrifft, entscheidet es mit freier Kognition; die Sachverhaltsfeststellungen der kantonalen Behörden überprüft es indessen nur unter dem beschränkten Gesichtswinkel der Willkür (
BGE 97 I 663
Erw. 3).
Nach der Rechtsprechung ist eine unzulässige Beeinflussung des Stimmbürgers unter anderem dann anzunehmen, wenn die Behörden dem Bürger in der Erläuterung der Vorlage ein falsches Bild von Zweck und Tragweite der Volksbefragung geben und damit ihre Pflicht zur sachlichen Information verletzen (vgl.
BGE 93 I 439
Erw. 2,
BGE 89 I 443
Erw. 6 mit Hinweisen, ferner das Urteil vom 23. Dezember 1970 i.S. Vischer, Erw. 7, abgedruckt in ZBl 72/1971, S. 425 ff., sowie W. STAUFFACHER,
BGE 98 Ia 73 S. 79
Die Stellung der Behörden im Wahl- und Abstimmungskampf, ZBl 68/1967, S. 361 ff., 385 ff.). Bei der Beurteilung einer Wahlbeschwerde hat das Bundesgericht ferner anerkannt, dass unter Umständen auch eine private Beeinflussung des Stimmbürgers gegen die Verfassung verstossen kann (unveröffentlichtes Urteil vom 3. Februar 1939 i.S. Thomann teilweise wiedergegeben in ZBl 40/1939, S. 249 ff.; vgl. auch PICENONI, a.a.O., S. 85 ff.). Ob und unter welchen Voraussetzungen auch in einer privaten Beeinflussung einer Sachabstimmung eine Verletzung der politischen Stimmberechtigung erblickt werden kann, hat das Bundesgericht bisher nicht ausdrücklich entschieden. - Die Beschwerdeführer behaupten nicht, die Abstimmungsvorlage über den Schuljahrbeginn sei im "Beleuchtenden Bericht" des Regierungsrats in unsachlicher Weise dargestellt worden. Sie rügen vielmehr eine "private" unzulässige Beeinflussung der Stimmbürger mit der Begründung, ein Teil der Presse und das Fernsehen hätten einseitig zugunsten der Vorlage Partei ergriffen und damit den Ausgang der Abstimmung entscheidend beeinflusst.
b) Es ist unbestritten, dass die Presse den Gegnern des Herbstschulbeginns nur beschränkt zur Verfügung stand, da sich die politischen Parteien und die ihnen nahestehenden Zeitungen zugunsten der Vorlage aussprachen. Diese Tatsache genügt jedoch nicht, um eine Aufhebung des Abstimmungsergebnisses zu rechtfertigen. Es entspricht dem Wesen der Demokratie, dass nicht alle politischen Gruppen über gleich starke private Einflussmöglichkeiten verfügen. Die Beschwerdeführer behaupten übrigens nicht, dass es ihnen verwehrt gewesen sei, in der politischen Presse zur umstrittenen Vorlage Stellung zu nehmen. Sie anerkennen vielmehr ausdrücklich, dass sie auch in mehreren, für den Herbstschulbeginn eintretenden Zeitungen zum Wort gekommen sind, wobei die entsprechenden Einsendungen freilich nur in geringerem Umfang berücksichtigt wurden als jene der Befürworter der Vorlage.
Die demokratische Willensbildung ist unter anderem dadurch gekennzeichnet, dass die miteinander im Wettstreit stehenden Interessengruppen und Parteien ihre Anliegen und Meinungen ungehindert einer breiten Öffentlichkeit kundgeben können. Das Recht des Bürgers zur freien Meinungsäusserung bildet eine Voraussetzung der Demokratie (
BGE 96 I 224
). Vermag sich der Bürger dabei der Presse zu bedienen, so steht seine
BGE 98 Ia 73 S. 80
Meinungsäusserung unter dem Schutz der in
Art. 55 BV
verankerten Pressefreiheit, die als Freiheitsrecht eine Erscheinungsform der dem ungeschriebenen Verfassungsrecht angehörenden Meinungsäusserungsfreiheit darstellt (vgl.
BGE 96 I 224
und 592 Erw. 6 sowie zum Schutzobjekt der Pressefreiheit insbesondere P. SALADIN, Grundrechte im Wandel, S. 48 ff.). Angesichts der Vielfalt von Zeitungen folgt daraus ohne weiteres, dass eine einseitige Darstellung einer Abstimmungsvorlage in der Presse grundsätzlich selbst dann keine Kassation der Abstimmung zu rechtfertigen vermag, wenn es als möglich erscheint, dass die Darstellung den Ausgang der Abstimmung beeinflusst hat, denn die Zahl der voneinander unabhängigen und den verschiedensten Interessengruppen nahestehenden Zeitungen bietet hinreichende Gewähr dafür, dass für eine wirksame Gegendarstellung genügend Raum bleibt. Meinungsäusserungsfreiheit und Pressefreiheit bilden tragende Grundlagen der schweizerischen Demokratie, die dem Bürger zutraut, zwischen den verschiedenen gegensätzlichen Auffassungen zu unterscheiden, unter den Meinungen auszuwählen, Übertreibungen als solche zu erkennen und vernunftgemäss zu entscheiden. Hierzu ist der Bürger in der Regel bereits gestützt auf eine sachliche Erläuterung der fraglichen Abstimmungsvorlage durch die Behörden ohne weiteres in der Lage.
Freilich ist die Verwendung von falschen und irreführenden Angaben im Abstimmungskampf verwerflich. Sie lässt sich jedoch nie völlig ausschliessen und genügt grundsätzlich nicht, um eine Abstimmung zu kassieren. Von einer unzulässigen Beeinflussung der demokratischen Willensbildung kann nur dann gesprochen werden, wenn die Presse in einem so späten Zeitpunkt mit offensichtlich unwahren und irreführenden Angaben in den Abstimmungskampf eingreift, dass es dem Bürger nach den Umständen unmöglich ist, sich aus anderen Quellen ein zuverlässiges Bild von den tatsächlichen Verhältnissen zu machen, und wenn überdies keinerlei Zweifel darüber bestehen, dass die Abstimmung dadurch entscheidend beeinflusst worden ist. Sind diese Voraussetzungen erfüllt, so verletzt eine Erwahrung des Abstimmungsergebnisses durch die zuständige Behörde die politischen Rechte der Bürger. Solche Fälle sind indessen äusserst selten. Die Erwahrungsbehörde hat mithin bei der Kassation einer Abstimmung wegen unzulässiger Beeinflussung durch die Presse grösste Zurückhaltung zu üben.
BGE 98 Ia 73 S. 81
Die Beschwerdeführer behaupten, ein Teil der Presse habe wenige Tage vor der Abstimmung mittels unrichtiger Angaben über die Zahl der Kantone mit Herbstschulbeginn und über die interkantonalen Schülerwanderungen (Zu- und Wegzüge) in rechtswidriger Weise zugunsten der Vorlage Stellung bezogen. Richtig ist, dass die beanstandeten Artikel erst kurz vor der Abstimmung erschienen sind. Was die darin enthaltenen Ausführungen über die interkantonalen Schülerwanderungen anbelangt, so lassen indessen bereits die breiten Ausführungen in der staatsrechtlichen Beschwerde erkennen, dass die Artikel Fragen aufwarfen, bei denen sich in Ermangelung zuverlässiger statistischer Angaben nur schwerlich Einigkeit über den objektiven Sachverhalt erzielen lässt. Unter diesen Umständen darf davon ausgegangen werden, dass der Bürger die aus den unangefochtenen Zahlen über die Bevölkerungsbewegungen in der Stadt Zürich abgeleiteten Schätzungen der Verfasser kritisch zu würdigen vermochte und dass insoweit keine unzulässige Beeinflussung der Willensbildung vorlag. Was die beanstandeten Angaben über die Kantone mit Herbstschulbeginn betrifft, so war es dem Bürger ohne weiteres möglich, sich aufgrund des "Beleuchtenden Berichts" ein Bild von den tatsächlichen Verhältnissen zu machen. Nach den soeben dargelegten Grundsätzen sind die Vorbringen der Beschwerdeführer somit nicht geeignet, die angefochtene Erwahrung der Abstimmung als verfassungswidrig erscheinen zu lassen. Dass das Abstimmungsergebnis äusserst knapp ausgefallen ist, ändert daran nichts.
c) Die Beschwerdeführer bringen ferner vor, die Stimmbürger seien durch eine einseitige Fernsehsendung in unzulässiger Weise beeinflusst worden. - Der Inhalt der beanstandeten Sendung ergibt sich aus der von den Beschwerdeführern ins Recht gelegten Besprechung in der "Neuen Zürcher Zeitung" vom 28. Mai 1971 (Morgenausgabe Nr. 243). Es erübrigt sich deshalb, ihre Aufzeichnung beizuziehen.
Wären für die Beurteilung dieser Rüge die gleichen Grundsätze massgebend wie für die Würdigung der erwähnten Presseartikel, so erwiese sich der Vorwurf ohne weiteres als unbegründet. Die Einflussmöglichkeiten des Fernsehens sind jedoch weit grösser als jene einer Zeitung, die einer bestimmten politischen Gruppe nahesteht. Der Grund dafür liegt einerseits im Wesen des Fernsehens selbst, dessen Sendungen den Zuschauer unmittelbar anzusprechen vermögen, anderseits in rechtlichen
BGE 98 Ia 73 S. 82
Umständen, da das Fernsehregal dem Bund zusteht, der der Schweizerischen Radio- und Fernsehgesellschaft (SRG) letztmals am 27. Oktober 1964 die Monopolkonzession zur Ausstrahlung von Fernsehsendungen erteilt hat. Das Fernsehen ist zu einem hervorragenden Mittel sozialer Kommunikation geworden; insbesondere die politische Sendung wirkt in hohem Masse meinungsbildend und ist geeignet, Wahlen und Abstimmungen erheblich zu beeinflussen. Der Gefahr des Missbrauchs kommt demnach beim Fernsehen eine weit grössere Bedeutung zu als bei der als pluralistisch gekennzeichneten Presse. Daraus ergibt sich ein Spannungsfeld zwischen der Forderung nach Freiheit der Programmgestalter und dem schützenswerten Interesse des Bürgers an einer möglichst objektiven und umfassenden Behandlung der in einer Sendung aufgegriffenen Themen. Der Bundesrat hat dieser Problematik in Art. 13 Abs. 1 der erwähnten Konzession dadurch Rechnung getragen, dass er die SRG zur "objektiven, umfassenden und raschen Information" verpflichtet. Das Bundesgericht hat daraus abgeleitet (
BGE 97 I 734
Erw. 3), den verantwortlichen Programmgestaltern stehe in diesem Zusammenhang ein weites Feld der Ermessensbetätigung offen. Die Diskussion über das Verhältnis zwischen einer sog. "Radio- und Fernsehfreiheit" und dem Schutz der politischen Rechte des Bürgers, insbesondere dem Schutz vor unzulässiger Beeinflussung, ist in vollem Gang (vgl. vor allem die Verhandlungen des Schweizerischen Juristentags vom 21. September 1968, ZSR 87/1968 II S. 604 ff., sowie die nationalrätliche "Fernsehdebatte" vom 23. Juni 1971, StenB NR 1971, S. 867 ff.). Es ist deshalb in erster Linie Aufgabe des Verfassungs- und Gesetzgebers, klärend einzugreifen und eine angemessene Ordnung aufzustellen. Wie immer eine allfällige verfassungsmässige "Radio- und Fernsehfreiheit" ausgestaltet wird, so darf sie nach dem Gesagten nicht unbesehen der Pressefreiheit bzw. der Meinungsäusserungsfreiheit gleichgesetzt werden. Das verfassungsmässige Recht der politischen Stimmberechtigung erheischt insbesondere eine gewisse Zurückhaltung jener Programmgestalter, die in ihren Sendungen hängige Abstimmungen und bevorstehende Wahlen behandeln. Auch für den Meinungskampf am Fernsehen gilt das sich aus dem Wesen des demokratisch-freiheitlichen Rechtsstaats ergebende Grundgebot, dass den Meinungen und Gegenmeinungen angemessen Raum zu geben ist. Freilich steht dem Gestalter einer Sendung auch dabei
BGE 98 Ia 73 S. 83
ein verhältnismässig weiter Ermessensspielraum offen. Dies gilt insbesondere für die Auswahl der Gesprächspartner und für die Fragestellung im Rahmen einer Diskussion. Der Gesprächsleiter hat sich jedoch der Objektivität zu befleissigen.
Hat das Bundesgericht, wie im vorliegenden Fall, darüber zu entscheiden, ob der Stimmbürger durch eine Fernsehsendung in unzulässiger Weise beeinflusst und damit in seinen politischen Rechten verletzt worden ist, so steht ihm nach dem Gesagten die freie Prüfung zu (vgl. oben lit. a). Mit Rücksicht auf den erwähnten Ermessensspielraum der Programmgestalter und im Bewusstsein, dass absolute Objektivität ein unerreichbares Ideal darstellt, darf indessen eine zur Kassation der Abstimmung führende Beeinflussung der freien Willensbildung nicht leichthin bejaht werden. Doch sind an das Verhalten des Fernsehens strengere Anforderungen zu stellen als an jenes der Presse (vgl. oben lit. b). Dies rechtfertigt sich insbesondere wegen der besonderen rechtlichen Stellung des Fernsehens sowie wegen der technisch und organisatorisch bedingten Erschwerung der Gegendarstellungsmöglichkeiten. Immerhin kann von einer Verletzung der politischen Rechte des Stimmbürgers nur dann gesprochen werden, wenn aufgrund der tatsächlichen Verhältnisse, deren Feststellung durch die kantonalen Behörden das Bundesgericht nur auf Willkür hin überprüfen kann, eindeutige Anhaltspunkte für eine ins Gewicht fallende Missachtung der soeben aufgestellten Grundsätze vorhanden sind.
Im vorliegenden Fall reichen die Vorbringen der Beschwerdeführer nicht aus, um eine verfassungswidrige Beeinträchtigung der demokratischen Willensbildung durch das Fernsehen nachzuweisen. Wohl lehnte es die Programmleitung ab, eine besondere Sendung zur Abstimmung über den Schuljahrbeginn auszustrahlen, da sie dieses Problem im Rahmen einer allgemein gehaltenen Sendung über die Bestrebungen zur Schulkoordination bloss um der Aktualität willen streifen wollte. Im Verzicht auf eine eingehende Darstellung der Ziele, wie sie vom Aktionskomitee für den Schulbeginn im Frühjahr verfochten wurden, kann jedoch keine grobe Missachtung der Verpflichtung zur Objektivität erblickt werden. Die Sendung bestand aus einem Filmbericht über das kantonale Schulwesen, aus einem Ausschnitt aus einer Passantenumfrage in Embrach, aus einem Interview mit einem Mitglied des zürcherischen Kantonsrats,
BGE 98 Ia 73 S. 84
der dem Patronatskomitee für den Herbstschulbeginn angehörte, sowie aus je einem Interview mit einem Vertreter der BGB-Jugendfraktion über die von dieser Gruppe eingeleitete Volksinitiative und mit Ständerat Dr. H. Hürlimann (Präsident der Konferenz der Kantonalen Erziehungsdirektoren). Im Mittelpunkt der Sendung stand mithin das Konkordat über die Schulkoordination, das - wie das Abstimmungsergebnis vom 6. Juni 1971 zeigt - im Kanton Zürich nicht besonders umstritten war, obwohl es in Art. 2 lit. d ausdrücklich den Herbstschulbeginn vorsieht. Wenn eine ausführlichere Orientierung über die Argumente der Befürworter des Schulbeginns im Frühjahr auch wünschbar gewesen wäre, so erscheint die beanstandete Sendung unter diesen Umständen dennoch nicht als derart einseitig, dass von einer verfassungswidrigen Beeinträchtigung der demokratischen Willensbildung gesprochen werden könnte, zumal die Beschwerdeführer nicht behaupten, in der Sendung sei mit unwahren Angaben für den Herbstschulbeginn geworben worden. Das Verhalten des Fernsehens bewirkte höchstens eine gewisse Verschiebung der Schwerpunkte, wie sie im Widerstreit der Meinungen noch als angängig angesehen werden muss. Das Begehren um Aufhebung der Abstimmung über den Schuljahrbeginn erweist sich daher als unbegründet.
4.
Die Beschwerdeführer werfen dem Kantonsrat endlich vor, er habe zu Unrecht auf eine Nachzählung der abgegebenen Stimmen verzichtet.
Ob der einzelne Bürger bei der zur Erwahrung der Abstimmungsergebnisse zuständigen Behörde eine Nachzählung der Stimmzettel erwirken kann, ist vorab eine Frage des kantonalen Rechts. Im Gegensatz zur Regelung in anderen Kantonen (vgl. z.B. § 38 des bernischen Dekrets über das Verfahren bei Volksabstimmungen und Wahlen vom 10. Mai 1921, wonach drei stimmberechtigte Bürger durch ein "mit Begründung versehenes Gesuch" die Nachzählung der Abstimmungsergebnisse in ihrem Wahlkreis verlangen können) enthält das zürcherische Recht keine ausdrücklichen Bestimmungen darüber, ob und unter welchen Voraussetzungen die Ergebnisse kantonaler Abstimmungen nachzuprüfen sind. Über die Rüge der Beschwerdeführer ist deshalb aufgrund von Sinn und Tragweite der vom Bundesrecht geschützten politischen Stimmberechtigung des Bürgers zu entscheiden. Wie in Erw. 3 lit. a erwähnt,
BGE 98 Ia 73 S. 85
hat der Bürger einen durch die Verfassung geschützten Anspruch darauf, dass kein Wahl- und Abstimmungsergebnis anerkannt wird, das nicht den Willen der Wähler zuverlässig und unverfälscht zum Ausdruck bringt. Er hat mithin ein Recht auf ordnungsgemässe und sorgfältige Auszählung der Stimmen (vgl. W. BURCKHARDT, Die Beschwerde betr. Ungültigkeit eidgenössischer Gesetzesabstimmungen, ZBJV 39/1903, S. 390). Entgegen der Auffassung der Beschwerdeführer bedeutet dies jedoch nicht, dass ohne weiteres von Bundesrechts wegen ein Anspruch auf Nachzählung besteht, wenn das Ergebnis des fraglichen Urnengangs knapp ausgefallen ist. Wohl mag es als Gebot politischer Klugheit erscheinen, in solchen Fällen von Amtes wegen eine Nachzählung anzuordnen (vgl. z.B. Grundsätzliche Entscheidungen des Regierungsrats des Kantons Solothurn, Heft 1/1937 Nr. 6 S. 9). Ist jedoch das Abstimmungswesen - wie im Kanton Zürich - zweckmässig geordnet und bietet es Gewähr für eine sorgfältige Ermittlung der Abstimmungsergebnisse, so besteht eine sich aus dem Bundesrecht ergebende Verpflichtung zur Nachzählung bloss in jenen Fällen, in denen der Bürger auf konkrete Anhaltspunkte für eine fehlerhafte Auszählung oder für ein gesetzwidriges Verhalten der hiefür zuständigen Organe hinzuweisen vermag. Ein Mehreres lässt sich aus der verfassungsmässig gewährleisteten politischen Stimmberechtigung nicht ableiten.
Die Vorbringen der Beschwerdeführer, die in ihrer staatsrechtlichen Beschwerde kein gesetzwidriges oder unsorgfältiges Verhalten der Zählenden behaupten und - im Gegensatz zum kantonalen Verfahren - auch die Mitwirkung nicht stimmberechtigter Personen nicht mehr beanstanden, sondern eine angebliche Verletzung ihrer politischen Rechte bloss mit dem Hinweis auf das äusserst knappe Abstimmungsergebnis begründen, sind deshalb nicht geeignet, den Verzicht des Kantonsrats auf eine Nachzählung als verfassungswidrig erscheinen zu lassen. Aus der Tatsache, dass das Büro des Kantonsrats anlässlich der Regierungsratswahlen des Jahres 1963 eine Nachzählung anordnete, vermögen die Beschwerdeführer im übrigen schon deshalb nichts zu ihren Gunsten abzuleiten, weil diese Massnahme von Amtes wegen ergriffen wurde. Selbst wenn man annehmen wollte, ein sehr knappes Abstimmungsergebnis verschaffe dem Bürger von Bundesrechts wegen einen Anspruch auf Nachzählung, was nach dem Gesagten
BGE 98 Ia 73 S. 86
nicht angeht, so wäre ein Vergleich mit den erwähnten Regierungsratswahlen unbehelflich. Hat der Bürger unter einer Anzahl Kandidaten auszuwählen und mehrere Namen auf seinen Wahlzettel zu setzen, so schliesst die Auszählung weit erheblichere Fehlerquellen in sich als bei der Ermittlung des Ergebnisses einer Abstimmung, in der sich der Bürger bloss für die Ablehnung oder für die Zustimmung zu einer Vorlage zu entscheiden hat und bei der die Auszählung selbst dann keine wesentlichen Schwierigkeiten bereitet, wenn auf dem gleichen Stimmzettel mehrere Vorlagen aufgeführt sind. Die Beschwerde ist daher vollumfänglich abzuweisen.
Dispositiv
Demnach erkennt das Bundesgericht:
Die Beschwerde wird abgewiesen. | public_law | nan | de | 1,972 | CH_BGE | CH_BGE_002 | CH | Federation |
7c92b092-ef78-400e-b92f-203991e22570 | Urteilskopf
135 III 410
61. Extrait de l'arrêt de la Ire Cour de droit civil dans la cause X. contre Assurances Z. (recours en matière civile)
4A_9/2009 du 7 avril 2009 | Regeste
Art. 33 VVG
,
Art. 18 OR
; Berufshaftpflichtversicherungsvertrag (Anwalt); Vertragsauslegung; herkömmliche Tätigkeit des Anwalts.
Die herkömmliche Tätigkeit des Anwalts ist durch juristische Beratung geprägt, durch die Verfassung von juristischen Urkunden wie auch durch Unterstützung oder Vertretung von Personen vor einer Verwaltungs- oder Gerichtsbehörde (E. 3.3).
Wer als geschäftsführendes Organ von Offshore-Gesellschaften Bankkonten eröffnet und Formulare unterzeichnet, handelt als Verwalter, nicht als Anwalt (E. 3.4). | Sachverhalt
ab Seite 411
BGE 135 III 410 S. 411
A.
L'avocat genevois X. a été poursuivi pénalement, avec d'autres personnes, sous l'inculpation de blanchiment d'argent (
art. 305
bis
CP
), de défaut de vigilance en matière d'opérations financières (art. 305
ter
CP), ainsi que de faux dans les titres (
art. 251 CP
). (...) il lui était reproché d'avoir mis à disposition quatre sociétés offshore et, en qualité d'administrateur de ces sociétés, d'avoir ouvert des comptes auprès de plusieurs banques, en signant des attestations indiquant faussement l'ayant droit économique, afin de rendre plus difficile l'identification de l'origine des fonds qui ont transité par ce dispositif, lesquels provenaient en réalité de détournements commis par A. au préjudice de B. SA.
X. a chargé l'avocat C. d'assurer sa défense.
A la différence des autres prévenus, X. a été acquitté par la Cour correctionnelle avec jury le 8 octobre 2004.
Quelque temps plus tard, B. SA a retiré l'action civile qu'elle avait introduite le 10 mai 2002 dans la mesure où celle-ci était dirigée contre X.
Le 2 août 2005, l'avocat C. a adressé à X. une note d'honoraires s'élevant à 330'380 fr.
B.
X. avait conclu avec Assurances Z. un contrat d'assurance en vue de couvrir sa responsabilité civile professionnelle. Selon la police du 22 décembre 1999 (...), l'activité assurée était celle d'avocat. Les conditions générales d'assurance, incorporées au contrat, précisaient qu'une convention spéciale était nécessaire pour couvrir la responsabilité résultant d'une activité de membre d'un conseil d'administration, de fiduciaire, de "protector" dans des entités fiduciaires et trusts relevant du droit étranger, ainsi qu'en tant qu'"officer" ("treasurer, secretary") dans des personnes morales étrangères. Il n'est pas contesté qu'aucune convention spéciale de ce genre n'a été conclue. (...)
Soutenant que ses frais de défense au pénal constituaient des frais de sauvetage que l'assureur devait prendre en charge en vertu des
art. 61 et 70 LCA
(SR 221.229.1), X. a demandé à l'assureur de lui rembourser la note d'honoraires de l'avocat C.
L'assureur a refusé, en faisant valoir que l'acte dommageable qui avait été reproché à l'assuré n'entrait pas dans la couverture d'assurance, que les frais de défense au pénal ne faisaient pas partie des frais assurés (surtout pour des infractions intentionnelles) et que la déclaration de sinistre avait été tardive.
BGE 135 III 410 S. 412
C.
Le 4 avril 2007, X. a déposé au greffe du Tribunal de première instance du canton de Genève une demande en paiement, concluant à ce que l'assureur soit condamné à lui payer la somme de 297'792 fr. avec intérêts à 5 % l'an dès le 28 juillet 2005, ce montant correspondant à la note d'honoraires de l'avocat sous déduction de la franchise prévue dans le contrat d'assurance.
Par jugement du 13 mars 2008, le Tribunal de première instance a rejeté la demande avec suite de dépens.
Statuant sur appel de X., la Cour de justice du canton de Genève a confirmé le jugement attaqué, avec suite de dépens, par arrêt du 14 novembre 2008.
D.
X. a déposé un recours en matière civile au Tribunal fédéral contre l'arrêt du 14 novembre 2008. Invoquant (...) une violation des art. 33, 14, 61 et 70 LCA, le recourant conclut, sous suite de frais et dépens, à ce que sa partie adverse soit condamnée à lui payer la somme de 129'859 fr. avec intérêts à 5 % l'an dès le 28 juillet 2005. (...)
Le Tribunal fédéral a rejeté le recours.
(extrait)
Erwägungen
Extrait des considérants:
3.
3.1
Le recourant soutient qu'il a exercé une activité mixte, relevant en partie de la profession d'avocat, de sorte que sa responsabilité civile pour cette activité est couverte par l'assurance. La cour cantonale a retenu au contraire que l'activité dommageable avait été exercée en tant qu'organe de gestion des sociétés offshore étrangères et qu'elle n'était pas couverte par le contrat d'assurance.
3.2
Selon l'
art. 33 LCA
, l'assureur répond, sauf disposition contraire de la loi, de tous les événements qui présentent le caractère du risque contre les conséquences duquel l'assurance a été conclue, à moins que le contrat n'exclue certains événements d'une manière précise, non équivoque.
Les dispositions d'un contrat d'assurance, de même que les conditions générales qui ont été expressément incorporées, doivent être interprétées selon les mêmes principes que les autres dispositions contractuelles. Le juge doit tout d'abord s'efforcer de déterminer la commune et réelle intention des parties, sans s'arrêter aux expressions ou dénominations inexactes dont elles ont pu se servir, soit
BGE 135 III 410 S. 413
par erreur, soit pour déguiser la nature véritable de la convention (
art. 18 al. 1 CO
); s'il y parvient, il s'agit d'une constatation de fait qui lie en principe le Tribunal fédéral conformément à l'
art. 105 LTF
. Si la volonté réelle des parties ne peut pas être établie ou si leurs volontés intimes divergent, le juge doit interpréter les déclarations faites et les comportements selon la théorie de la confiance; il doit donc rechercher comment une déclaration ou une attitude pouvait être comprise de bonne foi en fonction de l'ensemble des circonstances; le principe de la confiance permet ainsi d'imputer à une partie le sens objectif de sa déclaration ou de son comportement, même s'il ne correspond pas à sa volonté intime. L'application du principe de la confiance est une question de droit que le Tribunal fédéral peut examiner librement (
art. 106 al. 1 LTF
); cependant, pour trancher cette question, il doit se fonder sur le contenu de la manifestation de volonté et sur les circonstances, dont la constatation relève du fait. Lorsqu'un assureur, au moment de conclure, présente des conditions générales, il manifeste la volonté de s'engager selon les termes de ces conditions; lorsqu'une volonté réelle concordante n'a pas été constatée, il faut se demander comment le destinataire de cette manifestation de volonté pouvait la comprendre de bonne foi. L'
art. 33 LCA
précise que c'est à l'assureur qu'il incombe de délimiter avec précision la portée de l'engagement qu'il entend prendre (
ATF 133 III 675
consid. 3.3 p. 681 s. et les références citées).
3.3
En l'espèce, le contrat concerne l'activité d'avocat; les conditions générales précisent qu'il fallait une convention spéciale - inexistante en l'espèce - pour couvrir une activité d'administrateur de société ou de gérant d'une entité étrangère. Le recourant, qui est lui- même juriste, a certainement compris correctement le texte clair de ces dispositions contractuelles. A supposer que l'on ait un doute à ce sujet, une interprétation selon la théorie de la confiance ne pourrait manifestement pas aboutir à une conclusion différente, la définition de l'objet du contrat étant claire et précise.
Dès lors que le contrat (et les conditions générales qui sont incorporées) font une distinction claire entre l'activité d'avocat (qui est couverte par l'assurance) et l'activité d'administrateur (qui ne l'est pas), il faut nécessairement en déduire que les parties avaient en vue l'activité traditionnelle de l'avocat. Peu importe en conséquence qu'il soit plus ou moins fréquent que des avocats se livrent à d'autres activités professionnelles en faisant valoir leur titre d'avocat ou que
BGE 135 III 410 S. 414
des connaissances juridiques soient plus ou moins utiles pour exercer d'autres activités économiques.
Il reste évidemment à circonscrire le cadre d'une activité d'avocat. Il n'y a pas de raison de se référer ici au droit genevois, puisque rien ne permet de penser (l'intimée a son siège à N.) que les parties aient voulu définir l'activité d'avocat en fonction du droit genevois. Il convient bien plutôt de se référer au sens ordinaire des mots.
Selon le Grand Robert de la langue française, l'avocat est une personne qui, régulièrement inscrite à un barreau, conseille en matière juridique ou contentieuse, assiste et représente ses clients en justice. Des juristes suisses ont défini l'avocat comme une personne physique ayant des connaissances juridiques et l'autorisation requise pour exercer professionnellement et de manière indépendante l'activité consistant à donner des conseils, défendre les intérêts d'autrui et intervenir devant tous les tribunaux d'un ressort pour assister ou représenter son client (BERNARD CORBOZ, Les infractions en droit suisse, vol. II, 2002, n° 10 ad
art. 321 CP
; HERBERT BRUNNER, Die Anwaltsgemeinschaft, 1977, p. 6; cf. également:
ATF 124 III 363
consid. II/2b p. 366). Par son contenu, l'activité de l'avocat se caractérise donc par des conseils juridiques, la rédaction de projets d'actes juridiques, ainsi que l'assistance ou la représentation d'une personne devant une autorité administrative ou judiciaire.
La jurisprudence a déjà eu l'occasion de souligner qu'il fallait distinguer l'activité de l'avocat d'autres activités qui sont également exercées fréquemment par des avocats, en particulier celle d'administrateur d'une société (
ATF 115 Ia 197
consid. 3d/bb p. 199;
ATF 114 III 105
consid. 3a p. 107; arrêt 1A.182/2001 du 26 mars 2002 consid. 6.3), celle qui relève de la gestion de fortune et du placement de fond (
ATF 112 Ib 606
), celle qui consiste exclusivement à effectuer ou encaisser des paiements pour le compte d'un tiers (arrêt 1P.32/2005 du 11 juillet 2005 consid. 3.4).
3.4
En l'espèce, on peut tout d'abord observer que l'on ne se trouve pas en présence d'une action en réparation interjetée contre l'avocat par un client qui invoque une mauvaise exécution du mandat. Cette remarque est toutefois sans pertinence, puisque, en vertu de l'art. 1 des conditions particulières de l'assurance, la couverture a été étendue aux prétentions en dommages-intérêts fondées sur la responsabilité civile, c'est-à-dire à des prétentions de tiers reposant sur une base extracontractuelle.
BGE 135 III 410 S. 415
Dans l'action en dommages-intérêts, il était soutenu que le recourant avait contribué, avec d'autres personnes, à causer un dommage illicite à un tiers, après avoir mis à disposition quatre sociétés offshore dans lesquelles il s'était fait inscrire comme administrateur, en faisant ouvrir auprès de plusieurs banques des comptes au nom de ces sociétés, agissant en tant qu'organe de celles-ci, et en signant des formulaires A qui faisaient apparaître faussement le nom de l'ayant droit économique, à l'effet de rendre plus difficile l'identification de l'origine des fonds qui ont transité ensuite par ce dispositif. Le recourant a ouvert les comptes bancaires et signé les formulaires A en tant que gérant des sociétés offshore. Il a donc agi en tant qu'administrateur de sociétés, activité qui était clairement exclue de la couverture d'assurance. Même le fait de mettre à disposition des sociétés offshore dans lesquelles le recourant jouait le rôle d'administrateur ne constitue pas une activité traditionnelle d'avocat, dès lors qu'elle est fort éloignée des conseils juridiques et de l'assistance ou de la représentation devant une autorité. En considérant que les actes dommageables invoqués à l'encontre du recourant dans l'action civile ne relevaient pas de l'activité d'avocat (seule couverte par l'assurance), la cour cantonale n'a pas violé le droit fédéral.
Le recourant fait grand cas de conseils juridiques qu'il a donnés en avril 1997 au sujet de la structure à mettre en place. Sur ce point, la cour cantonale a constaté, sur la base des propres déclarations du recourant, que cette entrevue n'avait pas eu de suite et qu'il n'avait plus été sollicité dans le même cadre. Elle n'a donc pas vu de lien de causalité entre ces conseils et les événements qui se sont produits ultérieurement. Le constat de l'absence de causalité naturelle relève du fait et lie le Tribunal fédéral (
ATF 130 III 591
consid. 5.3 p. 601,
ATF 130 III 699
consid. 4.1 p. 702), en l'absence de toute argumentation précise sur la question d'où l'on pourrait déduire que la causalité a été niée de façon manifestement inexacte ou en violation du droit au sens de l'
art. 95 LTF
(
art. 105 al. 2 LTF
). Au demeurant, on ne voit pas que de simples projets ou plans puissent constituer en l'espèce un fondement de responsabilité distinct, puisqu'ils apparaissent absorbés par les actes d'exécution accomplis ultérieurement par la même personne. Quant au contenu de la demande en réparation, il relève également des constatations de fait qui lient le Tribunal fédéral.
BGE 135 III 410 S. 416
3.5
Dès lors que l'activité du recourant sur laquelle se fondait l'action en responsabilité n'était pas une activité d'avocat, elle n'était pas couverte par le contrat conclu avec l'intimée. Il n'y a donc pas lieu de se demander si les frais d'avocat invoqués pourraient constituer des frais de sauvetage au sens des
art. 61 et 70 LCA
, ces dispositions ne concernant que des frais engagés pour éviter ou réduire un dommage que l'assureur doit supporter (arrêt 5C.18/2006 du 18 octobre 2006 consid. 7.1, in SJ 2007 I p. 238). Pour les mêmes raisons, il n'y a pas davantage à examiner si les frais de défense au pénal auraient pu être pris en compte à ce titre, notamment en regard du caractère intentionnel des infractions en cause (
art. 14 LCA
). Il est également vain de se demander si la déclaration de sinistre a été tardive. | null | nan | fr | 2,009 | CH_BGE | CH_BGE_005 | CH | Federation |
7c98a09d-b6ab-4e46-a52f-4677890174ac | Urteilskopf
105 IV 14
4. Auszug aus dem Urteil des Kassationshofes vom 26. Januar 1979 i. S. S. gegen Generalprokurator des Kantons Bern (Nichtigkeitsbeschwerde) | Regeste
Art. 49 Ziff. 3 StGB
, Umwandlung einer Busse in Haft.
1. Rechtsnatur des Umwandlungsentscheids.
2. Vollstreckungsverjährung (
Art. 74 StGB
). Sie beginnt mit dem Tag, an dem das Bussenurteil, nicht der Umwandlungsentscheid, rechtlich vollstreckbar wird. | Sachverhalt
ab Seite 15
BGE 105 IV 14 S. 15
A.-
Am 26. Februar 1975 verurteilte der Gerichtspräsident von Laufen S. wegen Verletzung von Verkehrsvorschriften (Führen eines nichtbetriebssicheren Motorfahrzeugs und Fahren mit übersetzter Geschwindigkeit) zu Fr. 220.-- Busse. Das Urteil erwuchs in Rechtskraft.
Am 5. Oktober 1976 beantragte die Amtsschaffnerei Delsberg dem Richteramt Laufen die Umwandlung der Busse in Haft, weil sie wegen unbekannten Aufenthalts des S. nicht eingetrieben werden konnte. Nachdem S. durch Publikation im Amtsblatt des Kantons Bern vom 20. Oktober 1976 erfolglos Gelegenheit zur Vernehmlassung gegeben worden war, verfügte der Gerichtspräsident von Laufen am 16. November 1976 die Umwandlung der Busse in acht Tage Haft. Dieser Entscheid wurde im Amtsblatt vom 27. November 1976 veröffentlicht. Zuvor, am 18. November 1976, hatte der Regierungsstatthalter von Laufen als Vollstreckungsbehörde S. zum Vollzug der Haftstrafe im Fahndungsblatt ausschreiben lassen, worauf dieser am 11. Oktober 1978 verhaftet wurde.
Auf Einsprache der S. erklärte das Obergericht des Kantons Bern mit Beschluss vom 24. November 1978 die vom Gerichtspräsidenten von Laufen ausgesprochene Umwandlung der Busse von Fr. 220.-- als nicht verjährt.
B.-
S. führt Nichtigkeitsbeschwerde mit dem Antrag, den Beschluss des Obergerichtes aufzuheben.
Der Generalprokurator des Kantons Bern beantragt Abweisung der Beschwerde.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
1.
Die Vorinstanz geht zutreffend davon aus, dass bei Übertretungen, wie sie dem Beschwerdeführer vorgeworfen wurden, die absolute Vollstreckungsverjährung nach drei Jahren eintritt (
Art. 75 Ziff. 2 Abs. 2, 109 StGB
) und dass sie mit dem Tag beginnt, an dem das Urteil rechtlich vollstreckbar wird (
Art. 74 StGB
). Sie nimmt aber an, "Urteil" im Sinne dieser Bestimmung sei im vorliegenden Fall nicht der Entscheid vom 26. Februar 1975, mit welchem die Busse ausgefällt, sondern jener vom 16. November 1976, mit dem sie in Haft umgewandelt wurde. Das ergebe sich einerseits aus
Art. 74 StGB
selber, wonach beim bedingten Strafvollzug und im Falle des Strafaufschubs
BGE 105 IV 14 S. 16
zugunsten einer Massnahme die Vollstreckungsverjährung auch nicht bereits mit dem Datum des Haupturteils beginne, sondern erst mit dem Tag, an dem der nachträgliche Vollzug der Strafe angeordnet werde. Anderseits folge aus
BGE 74 IV 60
, dass die Umwandlung einer Busse in Haft keine blosse Vollzugsmassnahme, sondern ein selbständiger materieller Entscheid sei. Im vorliegenden Fall sei die Verjährung der am 16. November 1976 ausgesprochenen Strafe von acht Tagen Haft erstmals am 18. November 1976 und ein weiteres Mal am 11. Oktober 1978 unterbrochen worden. Die absolute Verjährung würde deshalb erst am 16. November 1979 eintreten.
Demgegenüber macht der Beschwerdeführer geltend, die Vollstreckungsverjährung habe mit der rechtskräftigen Ausfällung der Busse begonnen und sei deshalb vor dem obergerichtlichen Entscheid endgültig abgelaufen.
2.
Wie schon in
BGE 63 I 189
und
BGE 64 I 64
erkannt wurde, ist der Umwandlungsentscheid eine Ergänzung des Bussenentscheides und bezweckt, diesen in anderer Form vollziehbar zu machen, damit er nicht überhaupt unvollzogen bleibt. Die Umwandlungsstrafe ist nur Ersatz für die eigentlich zu leistende Geldstrafe (
BGE 103 Ib 190
). Deshalb muss der Vollzug der Umwandlungsstrafe entfallen, wenn ihm eine nachträgliche Zahlung der Busse zuvorkommt, denn mit der Geldleistung ist das Bussenurteil erfüllt und bedarf keines Ersatzes mehr (
BGE 69 IV 155
,
BGE 64 I 65
). Den behelfsmässigen Charakter der Umwandlungsstrafe und ihre Abhängigkeit vom Bussenentscheid zeigt auch der Umstand, dass der Richter ihre auf drei Monate begrenzte Dauer nach der Höhe der Busse zu bestimmen hat (
Art. 49 Ziff. 3 Abs. 3 StGB
) und keine neue Wertung gemäss dem für Freiheitsstrafen sonst geltenden
Art. 63 StGB
vornehmen kann. Da der auf Geldleistung gerichtete Strafanspruch des Staates aber mit der Ausfällung des Bussenurteils und dessen Nichtanfechtung rechtskräftig festgestellt wird und der Grund der Umwandlung nicht darin liegt, dass das Bussenurteil nicht rechtlich vollstreckbar wäre, sondern nur darin, dass es faktisch nicht durchsetzbar ist, weil sich der Verurteilte seiner Zahlungspflicht entzieht (s. SCHULTZ, Einführung in den Allg. Teil des Strafrechts, 2. Aufl. S. 208), steht der Beginn der Vollstreckungsverjährung fest. Diese setzt gemäss
Art. 74 StGB
mit dem Tag ein, an dem das Bussenurteil rechtlich vollstreckbar wird. Die in dieser Bestimmung für den Fall des bedingten Strafvollzuges
BGE 105 IV 14 S. 17
und des Aufschubs der Strafe zugunsten einer Massnahme vorgesehene abweichende Ordnung kann nicht analog auf den Fall der Umwandlung einer Busse in Haft angewendet werden. Das Gesetz enthält hier eine ausdrücklich auf diese beiden Fälle beschränkte Ausnahme von der Regel (vgl. zum alten
Art. 74 StGB
:
BGE 90 IV 6
; zum rev. StGB: BBl I 583 unten). Zudem ist Analogie im Strafrecht nur zugunsten des Angeklagten bzw. Verurteilten zulässig, nicht zu seinem Nachteil (
BGE 103 IV 130
mit Verweisungen). Die Tatsache schliesslich, dass der Umwandlungsentscheid prozessual kein Vollzugs-, sondern ein materieller Entscheid ist, der als solcher mit Nichtigkeitsbeschwerde angefochten werden kann (
BGE 74 IV 60
), ändert nichts daran, dass die Umwandlung eine blosse Ergänzung des Bussenentscheides darstellt, dessen rechtliche Vollstreckbarkeit allein massgebend ist für den Beginn der Verjährungsfrist.
3.
Begann aber die Vollstreckungsverjährung nicht erst mit dem Umwandlungsentscheid, sondern bereits mit der nach kantonalem Prozessrecht zu bestimmenden (Schultz, a.a.O.) rechtlichen Vollstreckbarkeit des Bussenurteils, so war die Busse schon im Zeitpunkt des obergerichtlichen Entscheides vom 24. November 1978 absolut verjährt, und zwar selbst dann, wenn man neben der Appellationsfrist von 10 Tagen (Art. 298 Abs. 3 bern. StrV), die am 26. Februar 1975 mit der mündlichen Eröffnung des Urteils begann, noch die in Art. 361 bern. StrV für die Mitteilung des Strafurteils an die Vollstreckungsbehörden vorgeschriebene Höchstfrist von fünf Tagen einbezieht.
Dispositiv
Demnach erkennt das Bundesgericht:
Die Nichtigkeitsbeschwerde wird gutgeheissen und der Beschluss der II. Strafkammer des Obergerichts des Kantons Bern vom 24. November 1978 aufgehoben. | null | nan | de | 1,979 | CH_BGE | CH_BGE_006 | CH | Federation |
7c9cb9b4-4f4d-492d-9823-f675106d1b3f | Urteilskopf
94 III 4
2. Entscheid vom 31. Januar 1968 i.S. Kneubühl. | Regeste
Lohnpfändung (
Art. 93 SchKG
); Beitragspflicht der Ehefrau (Art. 192 Abs. 2, 246 Abs. 1 ZGB).
1. Bei der Lohnpfändung sind die Beiträge der Ehefrau des Schuldners an die ehelichen Lasten unabhängig von der Art der in Betreibung gesetzten Forderung als Einkünfte des Schuldners zu berücksichtigen.
2. Befugnis der Betreibungsbehörden, vorfrageweise über die Beitragspflicht der Ehefrau zu befinden. Gültiger Verzicht des Ehemanns auf Beiträge der Ehefrau?
3. Bemessung der Beiträge. Massgebende Umstände. Ermessen der Betreibungsbehörden. | Sachverhalt
ab Seite 5
BGE 94 III 4 S. 5
In der Betreibung, die Gempeler für eine Forderung von Fr. 863.15 gegen Kneubühl führt, vollzog das Betreibungsamt Bern 2 am 21. November 1967 eine Lohnpfändung von monatlich Fr. 200.--. Bei der Berechnung des Einkommens des Schuldners nahm es u.a. an, die Ehefrau des Schuldners, mit der dieser nach seinen Angaben vor der am 19. Mai 1967 erfolgten Heirat Gütertrennung vereinbart hat, habe aus ihrem Arbeitsverdienst von Fr. 750.-- einen Beitrag an die ehelichen Lasten von monatlich Fr. 200.-- zu leisten.
Die Beschwerde, mit welcher der Schuldner Aufhebung oder Herabsetzung der Lohnpfändung beantragte, wurde am 7. Dezember 1967 von der untern und am 27. Dezember 1967 auch von der obern kantonalen Aufsichtsbehörde abgewiesen.
Mit seinem Rekurs an das Bundesgericht erneuert der Schuldner seinen Beschwerdeantrag. Er macht geltend, die Annahme einer Beitragspflicht seiner Ehefrau sei gesetzwidrig. Die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer weist den Rekurs ab.
Erwägungen
Erwägungen:
1.
Nach
Art. 192 Abs. 2 ZGB
hat die Ehefrau ihren Arbeitserwerb, der nach
Art. 191 Ziff. 3 ZGB
zu ihrem gemäss
Art. 192 Abs. 1 ZGB
unter den Regeln der Gütertrennung stehenden Sondergut gehört, soweit erforderlich für die Bedürfnisse des Haushalts zu verwenden, und nach
Art. 246 Abs. 1 ZGB
kann der Ehemann bei Gütertrennung verlangen, dass ihm die Ehefrau zur Tragung der ehelichen Lasten einen angemessenen Beitrag leiste (vgl. zum Verhältnis zwischen Art. 192 Abs. 2 und Art. 192 Abs. 1 in Verbindung mit Art. 246 ZGBBGE 63 III 108ff. Erw. 2,
BGE 73 II 100
f. Erw. 2 und LEMP N. 15 zu Art. 192, N. 25 zu
Art. 246 ZGB
).
Die Leistungen, auf die der Ehemann nach diesen Bestimmungen
BGE 94 III 4 S. 6
Anspruch hat, sind beim Vollzug einer Lohnpfändung gegen ihn als Einkünfte zu berücksichtigen, da sich im Umfang dieser Leistungen der aus seinem Lohn zu deckende Aufwand für den Unterhalt der Familie vermindert, und zwar gilt dieser Grundsatz unabhängig davon, welcher Art die in Betreibung gesetzte Forderung ist (
BGE 63 III 108
ff.,
BGE 79 I 116
Erw. 3,
BGE 79 III 152
/153,
BGE 80 III 32
,
BGE 82 III 29
Erw. 2,
BGE 85 I 5
/6). Die vom Rekurrenten angerufenen
Art. 243 und 245 ZGB
, wonach bei der Gütertrennung für voreheliche Schulden eines Ehegatten nur dieser selbst haftet und der Erwerb dem Ehegatten gehört, von dessen Arbeit er herrührt, werden durch diese Praxis nicht verletzt; denn sie macht die Ehefrau nicht für die Schulden des Mannes haftbar und stellt ihr Eigentum an ihrem Arbeitserwerb nicht in Frage, sondern beschränkt sich darauf, beim Entscheid darüber, ob und in welchem Umfang der Lohn des Ehemannes nach
Art. 93 SchKG
pfändbar sei, die nach
Art. 192 und 246 ZGB
von der Ehefrau zu erbringenden Leistungen zu seinem Einkommen zu rechnen.
Das Betreibungsamt war also grundsätzlich befugt, bei der Lohnpfändung gegen den Rekurrenten die Beitragspflicht der Ehefrau zu berücksichtigen, obwohl die Betreibung eine voreheliche Schuld des Rekurrenten betrifft.
2.
Im Falle der Lohnpfändung haben die Betreibungsbehörden als Vorfrage zu entscheiden, ob und wieweit die Ehefrau des Schuldners nach
Art. 192 und 246 ZGB
beitragspflichtig ist, sofern nicht etwa schon die zuständige Behörde im Sinne des
Art. 246 Abs. 2 ZGB
hierüber geurteilt hat (
BGE 63 III 110
,
BGE 65 III 27
,
BGE 73 III 129
oben,
BGE 78 III 123
,
BGE 80 III 139
oben,
BGE 82 III 29
Erw. 2). Einen Verzicht des Ehemannes auf zukünftige Beiträge haben die Betreibungsbehörden zu beachten, wenn die Beitragspflicht durch Ehevertrag, zumal schon unter Brautleuten, wegbedungen wurde; eine solche Klausel ist für diese Behörden jedoch dann nicht verbindlich, wenn der Ehemann ohne einen Beitrag der Frau sog. privilegierte Unterhaltsforderungen, für die er betrieben ist, nicht zu erfüllen vermag; in einem solchen Falle verstösst die Berufung auf den Verzicht gegen die guten Sitten (
BGE 79 III 153
/154). Im übrigen bleibt den Gläubigern, die infolge des ehevertraglichen Verzichts auf Beiträge zu Verlust kommen, höchstens die Anfechtungsklage im Sinne von
Art. 285 ff. SchKG
vorbehalten (für Zulassung dieser KlageBGE 79 III 153in Übereinstimmung mit GMÜR,
BGE 94 III 4 S. 7
2. Aufl., N. 6 a, und EGGER, 2. Aufl., N. 3/4 zu
Art. 246 ZGB
; anderer Meinung namentlich LEMP N. 13 zu
Art. 246 ZGB
). Ein formloser Verzicht des Ehemannes auf zukünftige Beiträge ist dagegen auf jeden Fall dann unbeachtlich, wenn er eigens zur Vereitelung einer bevorstehenden Lohnpfändung ausgesprochen wurde (
BGE 79 III 153
,
BGE 60 III 57
). Die blosse Tatsache, dass der Ehemann Beiträge bisher nicht verlangt und die Ehefrau solche auch nicht geleistet hat, kann einer Nachforderung von Beiträgen für die Vergangenheit entgegenstehen (
BGE 39 I 262
= Sep. ausg. 16 S. 73, wo § 1427 [aufgehoben durch das Gleichberechtigungsgesetz vom 18. Juni 1957] statt § 1247 des deutschen BGB zitiert sein sollte; GMÜR N. 5, EGGER N. 4, LEMP N. 9 in Verbindung mit N. 10 zu
Art. 246 ZGB
). Ein Verzicht für die Zukunft ist jedoch aus dieser Tatsache nicht abzuleiten.
Im vorliegenden Falle wurde der Beitrag, den die Ehefrau des Rekurrenten aus ihrem Arbeitserwerb an die Kosten des Haushalts zu leisten hat, nicht bereits durch die zuständige Behörde im Sinne von
Art. 246 Abs. 2 ZGB
festgesetzt. Anderseits wurde die Beitragspflicht der Ehefrau im Ehevertrag, durch den der Rekurrent und seine Frau vor der Heirat Gütertrennung vereinbarten, nach dem Zugeständnis des Rekurrenten nicht ausdrücklich wegbedungen. Die in der Rekursschrift an das Bundesgericht aufgestellte Behauptung, der Ehevertrag sei u.a. gerade deswegen geschlossen worden, damit die Ehefrau in keiner Weise durch die vorehelichen Schulden des Rekurrenten berührt werde, und es habe dem Willen der Vertragschliessenden entsprochen, ihre Beitragspflicht auszuschliessen, ist neu. Sie ist nicht zu hören, da der Rekurrent schon im kantonalen Verfahren Gelegenheit hatte, sie vorzubringen (
Art. 79 Abs. 1 Satz 2 OG
). Im übrigen ist sie unbewiesen und überhaupt unerheblich; denn falls sie nachgewiesen wäre, hätte man es, da der Ehevertrag in diesem Punkte schweigt, nicht mit einem ehevertraglichen Ausschluss der Beitragspflicht zu tun, sondern mit einem unbeachtlichen formlosen Verzicht auf Beiträge zwecks Verhinderung künftiger Lohnpfändungen. - Neu und unerheblich ist auch die weitere Behauptung des Rekurrenten, er habe Beiträge bisher nicht verlangt.
Das Betreibungsamt war demnach befugt, vorfrageweise über die Beitragspflicht der Ehefrau des Rekurrenten zu befinden.
BGE 94 III 4 S. 8
3.
Bei der Festsetzung des Beitrags der Ehefrau sind die gegenwärtigen Lebensbedürfnisse der Familie (
BGE 63 III 112
oben), die Mittel und die Verpflichtungen des Mannes und der Frau (
BGE 82 III 30
,
BGE 63 III 111
,
BGE 61 III 15
ff.) und die sonstigen Leistungen der Ehefrau für die eheliche Gemeinschaft, insbesondere für den Haushalt (
BGE 65 III 27
/28,
BGE 78 III 125
unten) zu berücksichtigen (LEMP N. 20 ff. zu
Art. 246 ZGB
). Der Beitrag der Frau kann unter Umständen auf die Hälfte oder sogar auf zwei Drittel ihres Verdienstes festgesetzt werden, selbst wenn nicht eine Betreibung für Unterhaltsbeiträge (vgl. hiezuBGE 78 III 121ff.) in Frage steht (
BGE 65 III 28
,
BGE 73 II 101
,
BGE 82 III 30
).
Der eigene Verdienst des - überschuldeten - Rekurrenten deckt nur ungefähr den Notbedarf der Familie im weitern Sinne (Notbedarf des Rekurrenten und seiner Ehefrau; Unterhaltsleistungen für die geschiedene Frau des Rekurrenten und für seinen Sohn aus erster Ehe). Die Ehefrau verdient unstreitig Fr. 750.-- pro Monat, wovon sie Fr. 245.-- für die Abzahlung von Möbeln verwendet, die sie gekauft hat. Bei dieser Sachlage ist der von den kantonalen Behörden festgesetzte Beitrag von Fr. 200.-- pro Monat nicht übersetzt, selbst wenn die Ehefrau für eine von der Krankenkasse nur teilweise bezahlte Heilbehandlung gewisse Aufwendungen zu machen hat, wie das der Rekurrent im kantonalen Verfahren behauptet hat, ohne diese Auslagen zu beziffern. Die vom Rekurrenten erwähnte Möglichkeit, dass die Ehefrau ihre Erwerbstätigkeit aufgeben oder die monatlichen Abzahlungen erhöhen könnte, ist nicht zu berücksichtigen, weil das Betreibungsamt bei der Festsetzung des pfändbaren Lohnbetrags auf die Verhältnisse zur Zeit des Pfändungsvollzugs abzustellen hat (
BGE 77 III 162
/163).
Der kantonale Entscheid (der nur hinsichtlich des Beitrags der Ehefrau angefochten wurde) ist daher zu bestätigen. Die kantonalen Behörden haben das ihnen zustehende Ermessen bei der Würdigung der nach Bundesrecht zu beachtenden Umstände nicht überschritten. | null | nan | de | 1,968 | CH_BGE | CH_BGE_005 | CH | Federation |
7ca1ed7c-f0e9-4627-8957-9c8fa4550cee | Urteilskopf
95 IV 101
26. Arrêt de la Cour de cassation pénale du 25 avril 1969 dans la cause Arts ménagers SA et Ministère public du canton de Vaud contre Rediffusion SA et Télévision SA | Regeste
Art. 273 Abs. 1 lit. b BStP
.
Wenn die Frage im kantonalen Verfahren nicht aufgeworfen worden ist, kann der Kassationshof nicht prüfen, ob eine bestimmte Gesetzesvorschrift anwendbar sei (Erw. 2).
Mietkaufvertrag;
Art. 226 m Abs. 1 OR
.
Wann verfolgt ein Mietkaufvertrag die gleichen wirtschaftlichen Zwecke wie ein Kauf auf Abzahlung (Erw. 4)? | Sachverhalt
ab Seite 102
BGE 95 IV 101 S. 102
A.-
A partir du 3 septembre 1968, Rediffusion SA, à Lausanne, a fait paraître, dans la Feuille d'avis de Lausanne, une série d'annonces relatives au téléviseur "Philips automatic 23 T 650". Après avoir décrit l'appareil, elles donnent les indications suivantes:
"Son prix Fr. 1148.-- (escompte pour paiement au comptant). Location: Fr. 32.80 par mois + Fr. 3.- pour service.
Notre surprise
A l'achat de cet appareil, vous bénéficiez de l'abonnement gratuit d'une année au journal Radio TV Je vois tout (d'une valeur de Fr. 35.-)."
Tenant ces annonces pour contraires à l'art. 13 litt. h LCD, Arts Ménagers SA, à Genève, a porté plainte.
B.-
Estimant l'art. 13 LCD inapplicable, le juge informateur de l'arrondissement de Lausanne a refusé, le 1er novembre 1968, de donner suite à la plainte.
Le Tribunal d'accusation du canton de Vaud a rejeté, le 11 décembre, un recours de la plaignante.
C.-
Contre cet arrêt, le Procureur général et Arts Ménagers SA se pourvoient en nullité au Tribunal fédéral. Ils soutiennent que les annonces incriminées tombent sous le coup de l'art. 13 LCD.
D.-
Rediffusion Lausanne SA et Télévision SA pour installations de réception, à Lausanne, concluent au rejet du pourvoi.
Erwägungen
Considérant en droit:
1.
Ayant constaté que Rediffusion SA et Télévision SA avaient la même adresse, le même numéro de téléphone et que les contrats dits d'abonnement portant sur les téléviseurs Philips 23 T 650 étaient conclus entre le client, d'une part, et Télévision
BGE 95 IV 101 S. 103
SA, d'autre part, Arts Ménagers SA a précisé que sa plainte visait ces deux entreprises, à moins qu'elles ne forment une seule et même maison.
Bien que les pourvois aient été communiqués uniquement à Rediffusion SA, seule mentionnée dans l'arrêt attaqué, la réponse émane à la fois de Rediffusion Lausanne SA et de Télévision SA pour installations de réception. Elle ne donne aucun renseignement sur les liens existant entre les deux entreprises. Comme la plainte mentionnait également Télévision SA, il n'y a aucune raison de ne pas tenir cette dernière pour cointimée.
2.
Dans son pourvoi en nullité, la recourante allègue que les intimées auraient transgressé non seulement la lettre h, mais aussi la lettre b de l'art. 13 LCD. La cour de céans ne peut se saisir de cette question, que ne mentionnaient ni la plainte, ni le recours déposé devant le Tribunal d'accusation vaudois et que l'arrêt entrepris ne traite pas non plus.
3.
La plaignante a produit un "contrat d'abonnement" conclu le 5 septembre 1968 entre Télévision SA et Claude Golay. Il a trait à un téléviseur Philips 23 T 650. Il est libellé sur une formule imprimée. Les intimées ne contestent pas que les amateurs de l'appareil décrit dans les annonces incriminées sont invités à signer des contrats identiques. Ils contiennent notamment les clauses suivantes:
"1o La maison remet à l'abonné le téléviseur précité en location (évent. avec pieds). Les objets loués restent propriété intégrale de la maison. L'abonné s'engage à les manipuler avec soin...
2o L'abonné s'engage à payer le 1er mois de son abonnement avec taxe de service à la conclusion du contrat. En outre, toutes les taxes convenues d'avance, jusqu'au 5 du mois au plus tard...
3o La durée minimum de ce contrat est de 12 mois, à partir du mois qui suit la conclusion du contrat. En cas de cassation avant ce délai, l'abonné devra payer, en plus du reste des taxes d'abonnement pour la durée minimum, les frais d'installation et de démontage s'élevant à 50 francs. A la fin de la durée prescrite et à la fin de chaque mois suivant, le contrat peut être résilié moyennant un mois d'avertissement par écrit. Les déménagements hors du rayon de service, les décès, les longues maladies font exception.
4o L'entretien du téléviseur incombe exclusivement à l'entreprise. Le gros entretien (remplacement de pièces défectueuses, de lampes - y compris les tubes coûteux) est couvert par la taxe d'abonnement. La taxe de service couvre les frais de main-d'oeuvre, de transport du service des dérangements pour la localisation des défectuosités, de travaux effectués chez le client, dans le rayon urbain..."
BGE 95 IV 101 S. 104
Au verso, sous la rubrique possibilités d'achat, les contrats stipulent:
"La résiliation du contrat d'abonnement en vue de l'achat au comptant du téléviseur loué est possible à n'importe quel moment. En cas d'achat au cours des 6 premiers mois d'abonnement, les taxes d'abonnement et de service déjà payées seront déduites sur le prix de l'appareil. A partir du 7e mois, avec imputation de 70% des taxes d'abonnement déjà payées."
Le contrat ainsi résumé, qui assure à l'abonné l'usage d'un téléviseur moyennant paiement d'une redevance mensuelle et lui confère un droit d'emption qu'il peut exercer en tout temps, se caractérise comme un contrat de location-vente (RO 86 IV 162).
4.
Tout contrat de ce genre n'est pas régi par les art. 226 litt. a à 1 CO. Ces dispositions s'appliquent seulement s'il vise les mêmes buts économiques que la vente par acomptes (art. 226 m al. 1). Le message du Conseil fédéral expose à ce sujet (FF 1960 I 583):
"Si les intérêts des parties sont les mêmes qu'en matière de vente à tempérament, les dispositions relatives à la vente par acomptes sont applicables, qu'on ait voulu ou non éluder la loi. Il y a vente par acomptes dans tous les cas où, d'après la volonté des parties, une chose mobilière est remise, contre versement d'un prix payable par acomptes à l'acheteur pour qu'il en dispose librement. Il en est ainsi surtout pour le contrat de location-vente, où, généralement, ni le vendeur ni l'acheteur n'ont un intérêt économique à la remise de la chose pour le simple usage. Il serait en effet désavantageux pour l'acheteur de devoir rendre la chose après avoir payé un loyer élevé, et le vendeur a pour sa part intérêt à ce que l'acheteur exécute le contrat et conserve la chose."
Certains auteurs distinguent selon que les parties ont d'emblée la volonté de vendre et d'acheter ou qu'un achat futur n'apparaît d'abord que comme une simple possibilité; l'assimilation à une vente par acomptes se justifierait seulement dans la première éventualité (SCHMUCKI, Der Mietkaufvertrag, p. 79; GIGER, SJZ 1963 p. 197). D'après STOFER, lorsque la durée de l'usage est fonction des besoins de l'acquéreur, le contrat ne saurait être traité comme une vente à tempérament, même si un achat ultérieur est envisagé. En revanche, dit le même auteur, lorsqu'il s'agit de contrats caractérisés par un usage de longue durée, sans que l'acheteur ait un intérêt particulier à cette durée, le contrat de location-vente tend à devenir une vente à tempérament
BGE 95 IV 101 S. 105
(Kommentar zum schweiz. Bundesgesetz über den Abzahlungs- und Vorauszahlungsvertrag, p. 123). Le critère principal réside toutefois dans le versement des mensualités combiné avec le temps pendant lequel le bail ne peut être résilié (SCHMUCKI, p. 78, 79; STOFER, p. 127). Selon ce dernier auteur (p. 124), lorsque le locataire est tenu de prendre à bail une chose pour une période correspondant à un tiers, à la moitié ou aux deux tiers du laps de temps nécessaire pour acquérir la chose, le vendeur compte que l'acheteur, très vraisemblablement, ne rendra plus la chose. Dans le supplément au même ouvrage, il relève que les tribunaux tiennent actuellement presque toujours pour une vente par acomptes un contrat que le locataire ne peut dénoncer qu'après avoir payé deux tiers du prix total, soit une somme qui atteint ou approche le prix de l'achat au comptant. Dans ces conditions, dit-il, les contrats proposés fixent fréquemment à la moitié ou au tiers du prix le total des acomptes qui devront être payés en tout cas; on s'accommode alors d'un nombre accru de dénonciations, qui, dans la plupart des cas, proviennent de ce que les gens sont à court.
En l'espèce, l'abonné ne peut résilier le contrat avant douze mois. A cette échéance, il aura payé douze mensualités, c'est-à-dire - non compris la taxe de service - 393 fr. 60 (12 x 32.80), soit plus du tiers de la valeur de l'appareil. Le tiers de 1148 fr. représente en effet 382 fr. 66. Certes, s'il décide alors d'acheter le téléviseur, ce ne sont pas 393 fr. 60 qui seront imputés sur le prix, mais seulement 70% de cette somme, soit 275 fr. 40. Cependant l'abonné est surtout sensible au sacrifice pécuniaire déjà consenti; il trouvera peu avantageux de rendre l'appareil après avoir dépensé près de 400 fr. Les sommes déjà déboursées le pousseront, sinon à acheter l'appareil durant le treizième mois, du moins à prolonger le bail. Plus nombreuses seront les mensualités qu'il continuera de verser, plus augmentera la proportion entre les sommes payées et le prix du téléviseur et plus s'affermira sa décision de l'acheter.
C'est d'ailleurs précisément sur quoi comptent les intimées. La fixation d'un bail aussi long (sauf le cas de décès, de longues maladies et de déménagement hors du rayon de service) ne s'explique guère autrement. Manifestement, on a fixé la durée de l'engagement à douze mois pour exclure la résiliation du contrat pendant la période où elle pourrait présenter de l'intérêt pour l'abonné (SCHMUCKI, p. 78 n. 3).
BGE 95 IV 101 S. 106
Les intimées allèguent qu'avant d'acheter un téléviseur, bien des gens désirent moins expérimenter la qualité technique d'une marque déterminée qu'apprécier l'intérêt des programmes et les incidences de la présence d'un appareil sur leur vie sociale et familiale. Une telle appréciation exige assurément un certain temps. Mais la vente à l'essai s'y prête parfaitement (SCHMUCKI, p. 35-37; STOFER, supplément, p. 62). L'examen de l'acheteur peut en effet porter aussi bien sur les éléments indiqués dans la réponse au pourvoi que sur la qualité du téléviseur. Cette espèce de vente n'expose pas le vendeur àplus de risques que la location vente puisque, tant que la chose n'est pas agréée, il en reste propriétaire, même si elle est passée en la possession de l'acheteur (art. 223 al. 2 CO).
De ce qui précède, il suit que le contrat d'abonnement élaboré et utilisé par les intimées vise les mêmes buts économiques qu'une vente par acomptes et qu'il tend à éluder les dispositions protectrices des art. 226 a à 1 CO.
En ne considérant un contrat de location comme vente par acomptes que lorsque le locataire a déjà versé, au moment où la résiliation est possible, l'entier ou la majeure partie du prix de vente, le Tribunal d'accusation restreint à l'excès la portée de l'art. 226 m al. 1 CO. A son avis, quand un locataire peut se départir du contrat, après un usage d'une année, en ayant payé une somme inférieure au tiers du prix de vente de l'objet loué, son droit de résiliation n'est pas purement théorique et dénué d'intérêt. Il n'est pas nécessaire d'examiner cette hypothèse, puisque, en l'occurrence, les douze premières mensualités dépassent le tiers du prix de vente.
5.
Il s'ensuit que, contrairement à l'opinion des premiers juges, on est en présence d'annonces en matière de ventes par acomptes. Les juridictions vaudoises n'ont pas recherché si les autres éléments de l'infraction définie à l'art. 13 litt. h LCD étaient réunis. Il n'appartient pas à la cour de céans d'anticiper cet examen. Il lui suffit de constater que, tel qu'il est motivé, l'arrêt entrepris viole le droit fédéral.
Dispositiv
Par ces motifs, la Cour de cassation pénale:
Admet les pourvois, annule l'arrêt attaqué et renvoie la cause à l'autorité cantonale pour nouvelle décision. | null | nan | fr | 1,969 | CH_BGE | CH_BGE_006 | CH | Federation |
7ca2a53e-e0b1-48b5-983a-4a3138445dd5 | Urteilskopf
116 Ib 447
54. Arrêt de la Ire Cour de droit public du 24 octobre 1990 dans la cause hoirs X. contre Commission centrale des améliorations foncières du canton de Genève (recours de droit administratif) | Regeste
Art. 86 LwG
und
Art. 103 lit. a OG
; Ablehnung eines Gesuches betreffend Zerstückelung einer landwirtschaftlichen Parzelle und Beschwerdelegitimation der Mitglieder einer Erbengemeinschaft.
Tragweite des kantonalen Rechts (Art. 89 des Genfer Gesetzes über die Bodenmelioration vom 5. Juni 1987) im Verhältnis zum Bundesrecht (
Art. 86 LwG
) hinsichtlich des Zerstückelungsverbotes für landwirtschaftlichen Boden, der Bestandteil einer Güterzusammenlegung gebildet hat; Auswirkungen bezüglich des zur Verfügung stehenden Rechtsmittels (E. 1).
Grundsatz des gemeinschaftlichen Vorgehens der Erben und Ausnahmen von diesem Grundsatz. Für die Einreichung einer Verwaltungsgerichtsbeschwerde ist die Zustimmung sämtlicher Erben oder deren Vertreter notwendig, falls die Beschwerde, wie im vorliegenden Fall, geeignet erscheint, die Interessen der Erbengemeinschaft und der übrigen Miterben zu beeinträchtigen oder auch nur zu gefährden (E. 2). | Sachverhalt
ab Seite 448
BGE 116 Ib 447 S. 448
Les hoirs X. sont propriétaires indivis de la parcelle No 411 de la commune de Collex-Bossy. D'une surface de 34 097 m2, cette parcelle est classée en majeure partie en zone agricole (9/10 environ), le solde (1/10) appartenant à l'aire forestière. Incorporée dans le périmètre du remaniement parcellaire de Versoix mis à l'enquête en 1957, elle a bénéficié des subsides fédéraux et cantonaux qui ont été alloués pour ce remaniement parcellaire.
Le 30 septembre 1988, deux des hoirs X. ont saisi le Département de l'intérieur et de l'agriculture du canton de Genève d'un tableau de mutation visant à morceler la parcelle No 411 en deux sous-parcelles, respectivement de 13 864 et 20 233 m2. Ils indiquaient, à l'appui de leur demande, que cette opération devait permettre le partage de la succession. Le département s'étant opposé au morcellement, ils ont saisi la Commission centrale des
BGE 116 Ib 447 S. 449
améliorations foncières du canton de Genève qui, par prononcé du 6 juillet 1989, a rejeté leur recours.
Agissant par la voie du recours de droit administratif, les deux hoirs ont demandé au Tribunal fédéral d'annuler ce prononcé cantonal et de délivrer l'autorisation de morceler ou de renvoyer la cause au département pour nouvelle décision. Le Tribunal fédéral a déclaré le recours irrecevable.
Erwägungen
Considérant en droit:
1.
Les autorités cantonales ont fondé leur décision sur l'art. 86 de la loi fédérale sur l'agriculture (LAgr) et sur l'art. 89 de la loi genevoise sur les améliorations foncières du 5 juin 1987 (LAF). Cette dernière disposition, dans la mesure au moins où elle vise des parcelles qui, comme en l'espèce, ont bénéficié de subsides fédéraux, ne fait que reprendre l'interdiction de morceler des terrains agricoles remaniés résultant du droit fédéral. Elle n'en étend, ni n'en aggrave la portée et apparaît donc comme une simple disposition d'exécution de ce droit. Il n'est d'ailleurs pas contesté que la parcelle en cause doit être considérée comme remaniée au sens des dispositions précitées. La décision attaquée ayant ainsi été prise exclusivement - et à juste titre - en application du droit fédéral, c'est bien la voie du recours de droit administratif qui est ouverte dans le cas particulier.
2.
Des quatre membres qui constituent l'hoirie X., deux seulement sont intervenus en procédure cantonale, puis ont formé le présent recours. Ils n'ont à aucun moment prétendu représenter l'hoirie. Il apparaît au contraire qu'ils n'ont agi qu'en leur nom personnel. La question se pose donc de savoir s'ils avaient, à eux seuls, qualité à cet effet.
a) Le droit de recourir présuppose la capacité d'être partie et d'ester en justice. La communauté héréditaire comme telle n'a pas la personnalité juridique et n'a point qualité pour ester en justice. Tant que la succession n'est pas partagée, tous les biens qu'elle comporte sont la propriété commune des héritiers. Ceux-ci ne peuvent disposer de l'un ou l'autre d'entre eux, car la part héréditaire ne confère à l'héritier aucun droit direct sur un bien déterminé de la succession (
ATF 99 II 21
et 375). Seul l'ensemble des héritiers ou leur représentant est donc en droit de faire valoir les droits appartenant à la communauté (TUOR/PICENONI, n. 32 ss ad
art. 602 CC
; ESCHER, n. 4 et 58 ss ad
art. 602 CC
). Les héritiers doivent
BGE 116 Ib 447 S. 450
ainsi agir en commun pour obtenir une prestation ou pour faire constater un droit (
ATF 54 II 243
). Par ailleurs, l'action qui a pour objet une prétention dépendant d'une succession non partagée ne peut aboutir qu'à une condamnation en faveur des héritiers en commun ou, le cas échéant, en faveur d'un représentant ou d'un administrateur de la succession (
ATF 50 II 216
).
Le principe de l'action commune souffre toutefois certaines exceptions. Ainsi, un héritier qui est au bénéfice d'une renonciation des autres héritiers peut agir contre un tiers au nom de la communauté héréditaire; certains héritiers peuvent en effet se désolidariser de la communauté successorale par la voie d'une liquidation partielle et renoncer à leurs droits au profit de leurs cohéritiers (
ATF 54 II 197
). En outre, en cas d'urgence, un héritier a la compétence d'agir seul pour sauvegarder provisoirement les intérêts de la communauté (
ATF 93 II 14
ss,
ATF 58 II 200
). Une exception au principe de l'action commune est encore admise par la jurisprudence lorsqu'un ou plusieurs héritiers sont l'objet d'une réclamation relative à la succession de la part de tous les autres héritiers (
ATF 102 Ia 432
et les références, en particulier PIOTET, Traité de droit privé suisse, vol. IV, p. 594 ss).
b) La qualité pour agir par la voie du recours de droit administratif appartient à celui qui est atteint par la décision attaquée et a un intérêt digne de protection à ce qu'elle soit annulée ou modifiée (
art. 103 let. a OJ
). Cette disposition, contrairement à l'
art. 88 OJ
, n'exige pas que le recourant soit touché dans ses droits ou ses intérêts juridiquement protégés; un intérêt de fait suffit, mais le recourant doit être touché de façon plus intense que n'importe quel citoyen et se trouver avec l'objet du litige dans un rapport spécial, direct et digne d'être pris en considération (
ATF 112 Ib 158
ss). La doctrine et la jurisprudence s'accordent pour reconnaître aux membres d'une communauté héréditaire la qualité, au sens de l'
art. 103 let. a OJ
, pour recourir séparément lorsque le recours vise à combattre une mesure imposant des charges ou créant des obligations. La question est en revanche controversée s'agissant du recours intenté pour faire valoir un droit à des prestations. Quoi qu'il en soit, le consentement de l'ensemble des héritiers ou de leurs représentants est en tous les cas nécessaire lorsqu'il apparaît que le recours est susceptible de léser ou de simplement menacer les intérêts de la communauté et des autres coïndivis. A défaut d'accord de tous les héritiers, le recours
BGE 116 Ib 447 S. 451
doit dans ce cas être déclaré irrecevable, alors même que les conditions posées par l'
art. 103 let. a OJ
quant à la qualité pour agir seraient réalisées dans la personne des héritiers qui recourent (arrêt du 8 juillet 1987 publié dans ZBl 89/1988, p. 553 ss et les références).
c) Un nouveau morcellement de terres remaniées constitue un détournement d'affectation (art. 53 al. 2 let. b de l'ordonnance fédérale sur les améliorations foncières; RS 913.1). En cas de changement d'affectation, le canton décide en principe la restitution, par les propriétaires fonciers, du subside fédéral correspondant à l'importance de la modification apportée à l'affectation des immeubles concernés (art. 54 al. 1 de la même ordonnance). L'hoirie peut ainsi être appelée à effectuer des prestations en argent du seul fait de l'autorisation de nouveau morcellement (cf.
art. 86 al. 3 LAgr
), avant même donc que cette autorisation ne se concrétise dans un acte de partage. Certes, ni la loi sur l'agriculture ni l'ordonnance sur les améliorations foncières n'instaurent de droit de gage légal; il suffit cependant de l'autorisation de morcellement pour mettre en oeuvre la responsabilité des membres de l'hoirie non parties à la procédure. Pour ce motif déjà, le concours de tous les héritiers est donc nécessaire. Au demeurant, aucune des exceptions au principe de l'action commune, telles qu'elles ont été mentionnées ci-dessus, n'est réalisée dans le cas particulier. Le présent recours de droit administratif doit par conséquent être déclaré irrecevable.
d) Cette issue de la procédure maintient ainsi la décision attaquée sans changement. Celle-ci ne déployant toutefois d'effets qu'à l'égard des parties, sa force de chose jugée ne pourra pas être opposée, en cas de nouvelle demande, à l'ensemble de la communauté héréditaire. | public_law | nan | fr | 1,990 | CH_BGE | CH_BGE_003 | CH | Federation |
7ca88f25-a8eb-4125-83e3-f3ea5f241251 | Urteilskopf
81 I 139
25. Arrêt du 6 avril 1955 dans la cause D. contre S. et Cour des poursuites et faillites du Tribunal cantonal vaudois. | Regeste
Art. 84 A bs. 1 lit. c O G.
Die Verletzung eines Staatsvertrages über die Vollstreckung von Zivilurteilen ist mit staatsrechtlicher Beschwerde geltend zu machen.
- Überprüfungsbefugnis des Bundesgerichts, insbesondere hinsichtlich neuer tatsächlicher und rechtlicher Vorbringen.
Art. 15 und 17 Abs. 1 des schweizerisch-französischen Gerichtsstandsvertrages vom 15. Juni 1869.
Urteil des Strafrichters über adhäsionsweise geltend gemachte Zivilansprüche.
- Verweigerung der Vollstreckung eines solchen Urteils, das in Frankreich gefällt wurde gegenüber einem in der Schweiz bevormundeten Schweizerbürger, der vor Gericht weder gesetzlich vertreten noch ermächtigt war, sich selber zu verteidigen gegenüber den gegen ihn erhobenen Zivilansprüchen.
- Begriff der schweizerischen öffentlichen Ordnung. | Sachverhalt
ab Seite 140
BGE 81 I 139 S. 140
A.-
D., ressortissant suisse a fait l'objet d'une mesure d'interdiction. Son tuteur a été désigné en la personne de M. Le 8 juillet 1953, le Tribunal de première instance du département de la Seine, à Paris, l'a condamné, pour émission de chèques sans provision, à six mois d'emprisonnement et à 100 000 fr. fr. d'amende. Statuant sur les conclusions de l'une des parties civiles, la même cour l'a en outre condamné à verser à S. 619 427 fr. fr. à titre de restitution et 5000 fr. fr. à titre de dommages-intérêts. Se fondant sur ce jugement, S. a poursuivi D. en Suisse et, le débiteur ayant fait opposition au commandement de payer, a requis la mainlevée devant le président du Tribunal du district de Lausanne. Le 30 juillet 1954, ce magistrat a prononcé la mainlevée définitive de l'opposition. Le 21 octobre 1954, la Cour des poursuites et faillites du Tribunal cantonal vaudois a rejeté un recours formé par D. contre le prononcé présidentiel du 30 juillet, en bref par les motifs suivants:
BGE 81 I 139 S. 141
Bien que la convention franco-suisse du 15 juin 1869 sur la compétence judiciaire et l'exécution des jugements en matière civile (en abrégé: la Convention de 1869) accorde en principe au défendeur la garantie de son juge naturel, le for, en l'espèce, était au lieu de la commission du délit, c'est-à-dire à Paris, parce que l'action civile de S. était en étroite dépendance avec le délit pénal, lequel constituait l'élément essentiel de la condamnation (RO 56 II 120). Le recourant ne saurait exciper du fait que son tuteur n'a pas été cité devant le Tribunal de la Seine (art. 17 al. 1 ch. 2 de la Convention de 1869). Cette citation ne pouvait être exigée par le motif premièrement que, selon la loi française, le plaignant peut se porter partie civile jusqu'à la fin des débats, secondement, que la jurisprudence dominante en France admet l'incapable à résister lui-même à l'action civile portée par sa victime devant le juge de répression et troisièmement que, de son propre aveu, le tuteur M. a connu la date de l'audience de jugement, du 8 juillet 1953, mais ne s'est néanmoins pas présenté. Enfin, l'ordre public suisse ne s'oppose pas à ce que l'interdit, délinquant de droit commun, soit condamné, même sans le consentement de son tuteur (art. 19 al. 3 CC), à réparer civilement le dommage qu'il a causé à autrui par des actes délictueux.
B.-
M., agissant pour son pupille D., a formé un recours de droit public. Il conclut à l'annulation de l'arrêt du 21 octobre 1954, l'opposition à la poursuite requise par S. contre D. étant maintenue. Il invoque la violation de la Convention de 1869.
C.-
La Cour des poursuites et des faillites du Tribunal cantonal vaudois se réfère aux considérants de l'arrêt entrepris.
D.-
S. conclut au rejet du recours.
E.-
Une commission d'instruction du Tribunal fédéral a entendu M., tuteur de D., le 24 mars 1955. La production du dossier de l'autorité tutélaire a été ordonnée.
BGE 81 I 139 S. 142
Erwägungen
Considérant en droit:
1.
L'art. 84 al. 1 litt. c. OJ ouvre la voie du recours de droit public contre les décisions ou les arrêtés cantonaux pour violation des traités internationaux, sauf s'il s'agit d'une violation de leurs dispositions de droit civil ou de droit pénal. Dans la présente espèce, le recourant allègue la violation de l'art. 17 de la Convention de 1869. Il s'agit là d'une disposition relative à l'exécution forcée des jugements et qui, par conséquent, ne relève ni du droit civil, ni du droit pénal (RO 75 I 148, consid. 1 et les arrêts cités). La Cour de céans est dès lors compétente pour revoir l'application de cette règle conventionnelle. La violation d'un traité international étant alléguée, elle examine librement aussi bien les questions de fait que les questions de droit et n'est pas limitée au point de vue étroit de l'arbitraire (RO 77 I 47, consid. 4
;
78 I 357
, consid. 1). De plus, s'agissant d'une matière où la loi n'exige pas l'épuisement préalable des voies de droit cantonales (cf. art. 86 OJ, énumération limitative), elle connaît des faits et moyens qui lui sont soumis, alors même qu'ils ne l'auraient pas été au juge cantonal.
2.
Selon l'art. 15 de la Convention de 1869, les jugements rendus, en matière civile et commerciale, dans l'un des Etats contractants, sont en principe exécutoires dans l'autre. Constituent de tels jugements ceux que le juge pénal prononce sur les conclusions civiles qui lui sont soumises conjointement avec l'action publique (RO 25 I 496, consid. 1).
L'art. 17 al. 1 ch. 1 permet cependant de refuser l'exécution dans le cas où la décision émane d'une juridiction incompétente. Dans la présente espèce, il s'agissait d'une prétention élevée, devant le juge pénal français, contre un citoyen suisse incapable et soumis à une tutelle instituée en Suisse. Le recourant soutient qu'étant domicilié en Suisse au siège de l'autorité tutélaire, c'est là qu'il aurait dû être actionné, que le juge français était donc incompétent
BGE 81 I 139 S. 143
et que le jugement prononcé, le 8 juillet 1953, par le Tribunal de première instance du département de la Seine n'est dès lors pas exécutoire en Suisse. Cette question, cependant, peut rester ouverte, car le recours doit être admis par un autre motif déjà.
3.
L'art. 17 al. 1 ch. 2 de la Convention de 1869 permet de refuser l'exécution d'un jugement lorsqu'il a été rendu "sans que les parties aient été dûment citées et légalement représentées, ou défaillantes". Le recourant allégue que tel est bien le cas du jugement du Tribunal de la Seine, du 8 juillet 1953, parce que, dit-il, son tuteur n'a pas été régulièrement cité et n'a pas non plus assisté à l'audience.
De par l'art. 10 de la Convention de 1869, la tutelle de D., ressortissant suisse, demeurait soumise à la loi suisse, alors même qu'il résidait en France (art. 29 LRDC). Selon l'art. 17 CC, l'interdit n'a pas l'exercice des droits civils. Même capable de discernement, il ne peut contracter une obligation ou renoncer à un droit que si le tuteur consent expressément ou tacitement à l'acte ou le ratifie (art. 19 al. 1 et 410 CC). Son incapacité l'empêche d'ester en justice dans un litige civil (RO 42 II 555). Il répond, certes, du dommage que causent ses actes illicites (art. 19 al. 3 CC) ou les engagements qu'il a pris en se donnant faussement pour capable (art. 411 al. 2 CC). Mais autre chose est de répondre d'un dommage, et autre chose d'ester en justice.
En droit suisse, par conséquent, l'interdit ne peut résister à une action civile que par l'intermédiaire ou avec le consentement de son tuteur. Il n'y a pas lieu de faire de différence, à cet égard, selon que l'action est portée devant le juge civil ou devant le juge pénal par voie de jonction à l'action publique. Les mêmes raisons qui imposent l'assistance ou le consentement du tuteur devant le juge civil l'imposent aussi lorsque le juge pénal est appelé à connaître, conjointement avec l'action publique, d'une prétention civile élevée contre le pupille. Les
BGE 81 I 139 S. 144
particularités de la procédure pénale les rendent même plus impérieuses. Il n'y a du reste aucune contradiction dans le fait que, sans l'assistance ou le consentement de son représentant légal, l'incapable peut être condamné pénalement mais non pas civilement. Cela est conforme à l'institution de la tutelle.
On ne saurait objecter que, selon une jurisprudence française, l'action civile portée devant la juridiction de répression contre un incapable poursuivi à la requête du ministère public est recevable, bien qu'elle ne soit dirigée que contre l'incapable lui-même, sans assistance de son tuteur (DONNEDIEU DE VABRE, Traité de droit criminel et de législation pénale comparée, 3e éd., Paris 1947, p. 640 et n. 7). Car, on l'a dit plus haut, ce sont les règles du droit suisse qui doivent prévaloir en matière de tutelle.
4.
Dans la présente espèce, la grosse du jugement du Tribunal de la Seine, du 8 juillet 1953, produite au dossier, ne constate pas que M., tuteur de D., ait été régulièrement cité, ni même qu'il ait comparu à l'audience. Il est vrai que les notes prises par le greffier à l'audience mentionnent que l'inculpé et défendeur était "assisté" de M. Cependant, il n'est pas certain que ce terme indique la présence personnelle du tuteur. Au surplus, même si les notes du greffier, selon le droit français, avaient force de preuve légale, cette force ne pourrait leur être attribuée en l'espèce. Car, sur le point dont il s'agit, elles devraient servir de complément au jugement dont l'exécution est requise. Or, elles ne sont pas munies des légalisations que l'art. 16 al. 1 ch. 1 de la Convention de 1869 exige pour ce jugement. Enfin, entendu par le Tribunal fédéral sous la menace des peines de droit (art. 40 OJ et 64 PCF), M. a affirmé qu'il n'avait pas été cité à l'audience du Tribunal de première instance de la Seine, du 8 juillet 1953, et n'avait pas lui-même donné mandat à l'avocat qui a défendu son pupille, que cet avocat, enfin, n'avait pas reçu de l'autorité tutélaire pouvoir de conclure des
BGE 81 I 139 S. 145
actes juridiques quelconques au nom de D. Cette déposition doit être retenue; elle n'est pas infirmée par les pièces produites, notamment par celles qui figurent au dossier de l'autorité tutélaire. M. n'a donc pas été cité et n'a pas non plus comparu à l'audience. Quant à D., il n'a pas été autorisé à agir personnellement et son avocat n'a pas reçu pouvoir de le représenter.
5.
M. a reconnu, il est vrai, avoir appris, peu avant le 8 juillet, que son pupille comparaîtrait ce jour-là devant le juge pénal. En outre, il est constant qu'il n'a pas interjeté appel du jugement du Tribunal de première instance de la Seine, dont il avait eu connaissance en temps utile. Il n'est cependant pas nécessaire de rechercher, en principe, si le vice qui résulte de l'absence de citation formelle (art. 17 al. 1 ch. 2 de la Convention de 1869) peut être couvert, notamment lorsque l'intéressé a connu à temps la date de l'audience. Car s'agissant, comme en l'espèce, d'un défendeur incapable et qui, dans les litiges civils, doit être assisté ou autorisé par son tuteur, la question appelle en tout cas une solution négative.
En effet, l'art. 17 al. 1 ch. 3 de la Convention de 1869 prévoit que l'exécution d'un jugement peut être refusée si les intérêts de l'ordre public du pays où elle est requise s'y opposent. En matière d'exécution de jugements étrangers, la notion d'incompatibilité avec l'ordre public suisse doit recevoir une interprétation plus étroite que lorsqu'il s'agit de l'application directe de la loi étrangère par le juge suisse (RO 78 II 251). L'ordre public suisse s'oppose à l'exécution d'un jugement étranger lorsque ce jugement va, d'une manière intolérable, à l'encontre du sentiment du droit, tel qu'il existe généralement en Suisse, et viole les règles fondamentales de l'ordre juridique suisse (RO 64 II 97 ss
;
76 I 129
).
De ce point de vue, toutes les règles qui tendent à protéger l'incapable en justice intéressent l'ordre public au premier chef. Même lorsqu'il répond effectivement d'un dommage causé par ses actes illicites, voire délictueux,
BGE 81 I 139 S. 146
et qu'il est attaqué civilement par la voie de jonction à l'action publique, il doit être mis à même de se défendre, de discuter, par exemple, le montant du dommage, d'invoquer la compensation, la prescription, etc. L'interdit, qui n'a pas l'exercice des droits civils, ne peut le faire utilement. C'est pourquoi, on l'a vu plus haut, la loi suisse ne lui permet d'ester en justice, en matière civile, que par l'intermédiaire ou avec l'assentiment de son tuteur, lequel, sauf ce dernier cas, qui n'est pas donné en l'espèce, doit être formellement cité. Porter atteinte à cette règle serait rendre vaine et illusoire toute l'institution de la tutelle des incapables. Cela serait inadmissible du point de vue de l'ordre public suisse.
En l'espèce, la lésée, qui voulait obtenir en France, contre D., un jugement exécutoire en Suisse, aurait donc dû, si elle connaissait l'incapacité du défendeur, faire citer le tuteur à l'audience. Supposé qu'elle n'ait pas connu l'interdiction, elle se serait trouvée dans la même situation que n'importe quel demandeur agissant, en matière civile, contre une personne qui se révèle après coup incapable; elle doit recommencer la procédure.
6.
L'arrêt cantonal doit donc être annulé. Le recourant conclut en outre à ce que l'opposition élevée dans la poursuite contre D. soit maintenue. Ce chef des conclusions est sans portée, le recours de droit public, par sa nature même, ne pouvant tendre, en principe, qu'à l'annulation de la décision entreprise.
Dispositiv
Par ces motifs, le Tribunal fédéral:
Admet le recours et annule l'arrêt attaqué. | public_law | nan | fr | 1,955 | CH_BGE | CH_BGE_001 | CH | Federation |
7cac3796-a0ab-49b4-8582-f4f69d1ea1f4 | Urteilskopf
125 V 332
52. Urteil vom 26. April 1999 i.S. Schweizerische Unfallversicherungsanstalt gegen M. und Versicherungsgericht des Kantons Basel-Landschaft | Regeste
Art. 4 BV
;
Art. 96 UVG
;
Art. 19 VwVG
;
Art. 57 ff. BZP
: Beizug von Gutachten aus andern Verfahren.
Wenn die Schweizerische Unfallversicherungsanstalt (SUVA) von dritter Seite in Auftrag gegebene Gutachten beizieht und verwertet, sind nicht die verfahrensmässigen Anforderungen für von ihr selber eingeholte Expertisen gemäss VwVG und BZP massgebend; die Parteirechte des Versicherten sind in solchen Fällen im Rahmen der Gewährung des rechtlichen Gehörs und der Beweiswürdigung zu wahren. | Sachverhalt
ab Seite 332
BGE 125 V 332 S. 332
A.-
Der 1950 geborene M. war seit 18. März 1988 bei der Firma W., Strassen- und Tiefbau AG, im Strassenbau tätig und bei der Schweizerischen Unfallversicherungsanstalt (SUVA) gegen die Folgen von Unfällen und Berufskrankheiten versichert. Am 20. April 1988 erlitt er einen Arbeitsunfall.
Mit Verfügung vom 14. März 1994 schloss die SUVA den Schadenfall unter Einstellung der Versicherungsleistungen ab, da ab sofort volle Arbeitsfähigkeit bestehe und eine weitere Behandlung nicht mehr nötig sei. Dagegen liess M. Einsprache erheben. Am 1. September 1994 nahm die SUVA ihre Verfügung vom 14. März 1994 gestützt auf ein von der Invalidenversicherungs- Kommission Basel-Landschaft eingeholtes Gutachten des Zentrums für Medizinische Begutachtung (ZMB) Basel vom 4. August 1994 zurück, um nach Durchführung weiterer Abklärungen zur Sache materiell neu Stellung nehmen zu können. Mit Verfügung vom 3. August 1995 sprach sie dem Versicherten für die
BGE 125 V 332 S. 333
verbliebene Beeinträchtigung aus dem Unfall ab 1. Juli 1995 eine Invalidenrente auf Grund einer Beeinträchtigung der Erwerbsfähigkeit von 15% zu und verneinte den Anspruch auf eine Integritätsentschädigung. Die hiegegen erhobene Einsprache wies sie mit Entscheid vom 21. Oktober 1996 im Wesentlichen gestützt auf ein von der IV-Stelle des Kantons Basel-Landschaft eingeholtes Gutachten der Medizinischen Abklärungsstelle der Invalidenversicherung (MEDAS) am Kantonsspital St. Gallen vom 4. Juni 1996 ab.
B.-
M. liess gegen den Einspracheentscheid Beschwerde führen und beantragen, die SUVA habe ihm ab 1. Juli 1995 eine Invalidenrente basierend auf einem Invaliditätsgrad von mindestens 70% sowie eine Integritätsentschädigung von mindestens 50% zuzusprechen. Zur Begründung rügte er in erster Linie, dass die SUVA auf ein Gutachten abgestellt habe, welches nicht sie selber in Auftrag gegeben habe, weshalb er die ihm aus
Art. 4 BV
zustehenden Verfahrensrechte gegenüber der SUVA nicht habe wahrnehmen können. Das Versicherungsgericht des Kantons Basel-Landschaft hiess die Beschwerde mit Entscheid vom 28. Januar 1998 in dem Sinne gut, dass es den Einspracheentscheid aufhob und die Sache zur weiteren Abklärung im Sinne der Erwägungen und zum Erlass einer neuen Verfügung an die SUVA zurückwies.
C.-
Mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde beantragt die SUVA die Aufhebung des Entscheids des Versicherungsgerichts des Kantons Basel-Landschaft und die Bestätigung ihres Einspracheentscheids vom 21. Oktober 1996, eventualiter die Rückweisung der Sache zur materiellen Entscheidung an die Vorinstanz.
M. lässt auf Abweisung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde schliessen. Zudem ersucht er um Gewährung der unentgeltlichen Verbeiständung. Das Bundesamt für Sozialversicherung hat sich nicht vernehmen lassen.
Erwägungen
Das Eidg. Versicherungsgericht zieht in Erwägung:
1.
Streitig sind vorliegend die Höhe der dem Beschwerdegegner zufolge des Unfalles vom 20. April 1988 zustehenden Rente sowie der Anspruch auf eine Integritätsentschädigung. Bei der Beurteilung dieser Fragen im Rahmen des Einspracheverfahrens stützte sich die SUVA im Wesentlichen auf das von der IV-Stelle in Auftrag gegebene MEDAS-Gutachten vom 4. Juni 1996.
In formellrechtlicher Hinsicht hat der Versicherte im kantonalen Beschwerdeverfahren gerügt, dass die SUVA für den Einspracheentscheid auf ein
BGE 125 V 332 S. 334
Gutachten abgestellt habe, welches sie nicht selber in Auftrag gegeben habe. Er habe daher die ihm aus
Art. 4 BV
zustehenden Verfahrensrechte gegenüber der SUVA nicht wahrnehmen können. Die IV-Stelle habe die MEDAS mit der Begutachtung beauftragt, ohne dass ihm Gelegenheit gegeben worden wäre, sich zur Person des Gutachters zu äussern und insbesondere zu den dem Gutachter unterbreiteten Fragen Stellung zu nehmen. Besonders stossend sei der Umstand, dass dem Versicherten von Seiten der IV-Stelle am 15. Juni 1995 mitgeteilt worden sei, die Begutachtung betreffe bloss den psychischen Bereich, wohingegen am 14. Juni 1995 der Auftrag zu einer polydisziplinären Begutachtung erteilt worden sei.
2.
Die Vorinstanz hat in ihrem Entscheid vom 28. Januar 1998 erkannt, dass die Mitwirkungsrechte des Versicherten bei der Erstellung des MEDAS- Gutachtens krass verletzt worden seien, indem ihm weder die Möglichkeit eingeräumt worden sei, zur Person des Gutachters oder zu den ihm unterbreiteten Fragen Stellung zu nehmen, noch Gelegenheit gegeben worden sei, Ergänzungsfragen zu stellen. Darin liege eine schwere Verletzung des rechtlichen Gehörs, welche die Heilung des Verfahrensmangels ausschliesse. Auf das MEDAS-Gutachten könne daher nicht abgestellt werden. Es verneinte anschliessend die Frage, ob eine materielle Beurteilung auch ohne Gutachten der MEDAS, insbesondere gestützt auf das Gutachten des ZMB vom 4. August 1994 möglich sei, und wies daher die Sache zu einer erneuten Begutachtung insbesondere der psychischen Unfallfolgen und zum Erlass einer neuen Verfügung an die SUVA zurück.
Die SUVA rügt in ihrer Verwaltungsgerichtsbeschwerde, dass ihr eine allfällige Gehörsverletzung durch die IV-Stelle entgegengehalten werde. Sie habe auf Grund des Untersuchungsgrundsatzes das Recht und die Pflicht, alle bei ihr eingehenden ärztlichen Berichte wie auch diejenigen des Invalidenversicherungsverfahrens zu den Akten zu nehmen und zu würdigen. Es sei für die SUVA nicht überprüfbar, wieweit die Invalidenversicherung ihre Pflichten bei der Einholung von ärztlichen Gutachten erfüllt habe. Zudem sei darauf hinzuweisen, dass die MEDAS eine Gutachterstelle der Invalidenversicherung sei und die strengen Regelungen des Bundesgesetzes über den Zivilprozess (BZP) keine Anwendung finden könnten.
3.
a) Bezüglich des im sozialversicherungsrechtlichen Verwaltungs- und Verwaltungsgerichtsbeschwerdeverfahren geltenden Untersuchungsgrundsatzes
BGE 125 V 332 S. 335
sowie dessen Einschränkungen durch die Mitwirkungspflicht des betroffenen Versicherten einerseits und durch die im Anspruch auf rechtliches Gehör enthaltenen Parteirechte auf Teilnahme am Verfahren sowie auf Einflussnahme auf den Prozess der Entscheidfindung andrerseits kann auf die zutreffenden Ausführungen im vorinstanzlichen Entscheid verwiesen werden. Wie das kantonale Gericht im Weiteren darlegt, gehört zum rechtlichen Gehör insbesondere das Recht, an der Erhebung wesentlicher Tatsachen mitzuwirken oder sich zumindest zum Beweisergebnis zu äussern, wenn dieses geeignet ist, den Entscheid zu beeinflussen (
BGE 120 V 360
Erw. 1a,
BGE 117 V 283
Erw. 4a mit Hinweisen auf Lehre und Rechtsprechung). Im Verwaltungsverfahren gilt dieses Mitwirkungs- oder Äusserungsrecht des Betroffenen namentlich im Zusammenhang mit der Durchführung eines Augenscheins, der Befragung von Zeugen sowie bezüglich eines Expertengutachtens. Infolgedessen darf auf diese Beweismittel bei der Entscheidung nicht abgestellt werden, ohne dem Betroffenen Gelegenheit zu geben, an der Beweisabnahme mitzuwirken oder wenigstens nachträglich zum Beweisergebnis Stellung zu nehmen (
BGE 120 V 360
Erw. 1a mit Hinweisen).
b) Für das Verwaltungsverfahren in der obligatorischen Unfallversicherung bestimmt
Art. 96 UVG
, dass die Vorschriften des UVG anwendbar sind, soweit das Bundesgesetz über das Verwaltungsverfahren (VwVG) für Versicherer nicht gilt oder das UVG eine abweichende Regelung enthält. Als autonome eidgenössische Anstalt untersteht die SUVA den Verfahrensregeln des VwVG. Die in
Art. 97 ff. UVG
erlassenen und in
Art. 122 ff. UVV
näher umschriebenen Verfahrensbestimmungen sind deshalb für das Verwaltungsverfahren der SUVA nur anwendbar, soweit sie eine gegenüber dem VwVG abweichende Regelung enthalten. Das UVG enthält namentlich keine besonderen Regeln über das von den Unfallversicherern durchzuführende Beweisverfahren, insbesondere nicht über die den Parteien bei der Beweisabnahme zustehenden Mitwirkungsrechte. Die SUVA hat diesbezüglich die Vorschriften des VwVG zu beachten (
BGE 120 V 360
f. Erw. 1b,
BGE 115 V 299
Erw. 2b).
Das VwVG enthält in Art. 12 ff. Bestimmungen zur Feststellung des rechtserheblichen Sachverhalts, regelt in Art. 14 ff. insbesondere die Zeugeneinvernahme und bestimmt in Art. 19, dass auf das Beweisverfahren ergänzend die Art. 37, 39-41 und 43-61 BZP sinngemäss Anwendung finden. Dementsprechend hat die SUVA bei der Einholung von Sachverständigengutachten sinngemäss nach den Bestimmungen des Bundeszivilprozessrechts zu verfahren
BGE 125 V 332 S. 336
und insbesondere die in
Art. 57 ff. BZP
genannten Mitwirkungsrechte der Verfahrensbeteiligten zu beachten (
BGE 120 V 361
Erw. 1b; RKUV 1993 Nr. U 167 S. 96 Erw. 5b). Danach ist dem Betroffenen Gelegenheit zu geben, sich zu den Fragen an den Sachverständigen zu äussern und Abänderungs- sowie Ergänzungsanträge zu stellen (
Art. 57 Abs. 2 BZP
); des Weiteren ist ihm Gelegenheit zu geben, vor der Ernennung des Sachverständigen Einwendungen gegen die Person des in Aussicht genommenen Sachverständigen vorzubringen (
Art. 58 Abs. 2 BZP
); sodann ist ihm das Recht zu gewähren, nachträglich zum Gutachten Stellung zu nehmen sowie dessen Erläuterung oder Ergänzung sowie eine neue Begutachtung zu beantragen (
Art. 60 Abs. 1 BZP
).
Zu prüfen ist im Folgenden, inwieweit diese Bestimmungen vorliegend hätten Anwendung finden sollen.
4.
a) Der Vollständigkeit halber ist vorab festzuhalten, dass die SUVA im Rahmen ihrer Abklärungen Akten, insbesondere Gutachten, die in einem andern Verfahren erstellt worden sind, beiziehen kann. Dies ergibt sich bereits aus den im UVG und in der UVV normierten Auskunfts- und Amtshilfepflichten. So kann der Versicherer zur Ermittlung des Sachverhaltes die Bundes-, Kantons- oder Gemeindebehörden unentgeltlich in Anspruch nehmen (
Art. 47 Abs. 2 UVG
). Gemäss
Art. 101 UVG
sind die Verwaltungs- und Rechtspflegebehörden des Bundes, der Kantone, Bezirke, Kreise und Gemeinden sowie die Träger der Sozialversicherung verpflichtet, den zuständigen Organen die zur Durchführung der obligatorischen Unfallversicherung erforderlichen Auskünfte und Unterlagen kostenlos zu geben. Nach
Art. 54 UVV
(Mitwirkung der Behörden) sodann kann der Versicherer bei der zuständigen Behörde die erforderlichen Auskünfte einholen und unentgeltliche Kopien von amtlichen Berichten und Polizeirapporten einfordern. Eine andere Auffassung würde auf ein Beweisverwertungsverbot hinauslaufen, das zu unsinnigen Ergebnissen führen könnte. Zu denken ist etwa an einen Fall, wo ein ausserhalb eines unfallversicherungsrechtlichen Verfahrens erstattetes medizinisches Gutachten eine neue schlüssige (u.U. für den Versicherten günstige) Erkenntnis enthält, welche sich in den SUVA-Akten nicht findet und demzufolge nicht berücksichtigt werden dürfte. Zu beachten ist in diesem Zusammenhang schliesslich, dass das VwVG selber (Art. 12 lit. c) und die BZP (Art. 49) auch Angaben und Auskünfte von Amtsstellen und Dritten zulassen, somit wenig formalisierte Angaben, die der freien, pflichtgemässen und umfassenden Beweiswürdigung unterliegen.
BGE 125 V 332 S. 337
b) Dass die SUVA vorliegend das von der IV-Stelle eingeholte MEDAS-Gutachten vom 4. Juni 1996 zu den Akten nehmen durfte, räumt auch der Beschwerdegegner in der Vernehmlassung zur Verwaltungsgerichtsbeschwerde ein, doch macht er geltend, es hätten bei diesem Beweismittel die Anforderungen der BZP erfüllt sein müssen. Die Frage, inwieweit der Unfallversicherer beim Beizug von Gutachten, die von dritter Seite in Auftrag gegeben wurden, die Mitwirkungs- und Parteirechte gemäss
Art. 57 ff. BZP
zu beachten hat, wurde vom Eidg. Versicherungsgericht bisher offen gelassen (nicht veröffentlichte Urteile I. vom 2. November 1998, K. vom 19. September 1996 und B. vom 4. September 1995). Nicht beigepflichtet werden kann diesbezüglich der Auffassung des Beschwerdegegners. Vielmehr ist bei Sachverständigengutachten, auf welche die SUVA abstellt, zu unterscheiden zwischen Gutachten, die sie selber einholt und solchen, die sie aus andern Verfahren beizieht. Während bei von der SUVA in Auftrag gegebenen Gutachten die oben erwähnten Bestimmungen des VwVG und der BZP Anwendung finden müssen, ist die Forderung nach Beachtung derselben für von Dritten eingeholte Gutachten unbegründet. Vielmehr sind dafür jeweils die in den einzelnen Verfahren geltenden Bestimmungen massgebend. Ebenso sind Mängel bei der Einholung oder beim Zustandekommen des Beweismittels in diesen Verfahren geltend zu machen. Richtig ist, dass die Mitwirkung an der Einholung von Gutachten einen Teilaspekt des rechtlichen Gehörs bildet. Diese Mitwirkung kann indessen nur von derjenigen Instanz oder Behörde beachtet werden, welche das Gutachten selber einholt, ist doch andern eine Beteiligung am Verfahren gar nicht möglich. Werden Akten aus andern Verfahren beigezogen, muss das rechtliche Gehör ebenfalls gewährt werden. In diesem Rahmen sind auch allfällige unter Verletzung von Mitwirkungsrechten eingeholte Beweismittel aus andern Verfahren nicht einfach ohne Beweiswert. Vielmehr sind die Rechte des Betroffenen dahingehend zu wahren, dass vor der nun entscheidenden Behörde umfassend Gelegenheit eingeräumt werden muss, dazu Stellung zu nehmen. Bei Gutachten beinhaltet diese Gewährung des rechtlichen Gehörs die Möglichkeit, sich nachträglich zum Gutachten wie auch zur Person des Gutachters zu äussern und gegebenenfalls Ergänzungsfragen zu stellen. Im Rahmen der umfassenden, freien Beweiswürdigung ist sodann das Beweismaterial zu gewichten, wobei dazu auch gehört, zu Zweifeln am materiellen Gehalt eines Gutachtens Stellung zu nehmen.
BGE 125 V 332 S. 338
c) Für den vorliegenden Fall lässt sich aus den obigen Ausführungen schliessen, dass die SUVA - entgegen der Auffassung der Vorinstanz - das von der IV-Stelle in Auftrag gegebene MEDAS-Gutachten vom 4. Juni 1996 unabhängig von allfälligen Verfahrensmängeln beim Zustandekommen im Rahmen ihrer Sachverhaltsabklärungen zu den Akten nehmen durfte. Wie in Erwägung 4b dargelegt, musste sie, bevor sie im Einspracheentscheid vom 21. Oktober 1996 darauf abstellte, dem Betroffenen das rechtliche Gehör gewähren, was die Möglichkeit miteinschloss, sich ihr gegenüber nachträglich zum Gutachten und zur Person des Gutachters zu äussern und allenfalls Ergänzungsfragen zu stellen. Anschliessend war im Rahmen einer umfassenden Beweiswürdigung darüber zu befinden, wie weit auf das beigezogene Gutachten abgestellt werden kann.
5.
Zusammenfassend lässt sich festhalten, dass die Auffassung des kantonalen Gerichts, wonach das MEDAS-Gutachten vom 4. Juni 1996 wegen schwerwiegender Verfahrensfehler bei seiner Erstellung nicht hätte berücksichtigt werden dürfen, unzutreffend ist. Die gestützt darauf erfolgte Rückweisung an die SUVA lässt sich daher nicht bestätigen. Vielmehr hätte die Vorinstanz - davon ausgehend, dass der Beizug des Beweismittels zulässig ist - prüfen müssen, ob die SUVA dabei korrekt vorgegangen ist, namentlich ob sie - was aus den vorliegenden Akten nicht ersichtlich ist - das rechtliche Gehör gewährt und die Beweiswürdigung vorschriftsgemäss durchgeführt hat. Dies wird das kantonale Gericht nachzuholen haben.
6.
(Gerichtskosten, unentgeltliche Verbeiständung) | null | nan | de | 1,999 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
7cac3c54-59a4-47ac-a297-d7070b52a677 | Urteilskopf
94 IV 14
4. Auszug aus dem Urteil des Kassationshofes vom 6. Februar 1968 i.S. Zürcher gegen Staatsanwaltschaft des Kantons Zug. | Regeste
Art. 41, 70 und 74 StGB
.
1. Recht und Pflicht des Richters, den bedingten Strafvollzug zu widerrufen, sind nicht befristet (Erw. a).
2. Die Strafverfolgung ist mit der Ausfällung des letzten kantonalen Sachurteils beendet, gleichviel, ob dem Verurteilten der bedingte Strafvollzug gewährt oder verweigert wird (Erw. b). | Sachverhalt
ab Seite 15
BGE 94 IV 14 S. 15
A.-
Das Strafobergericht des Kantons Zug verurteilte Zürcher am 14. Dezember 1954 wegen wiederholten Wuchers (
Art. 157 Ziff. 1 StGB
) zu vier Monaten Gefängnis, schob den Vollzug der Strafe bedingt auf und setzte dem Verurteilten fünf Jahre Probezeit. Zürcher hatte die letzte der Straftaten, die zu seiner Verurteilung führten, bereits am 27. August 1946 begangen. Das Urteil blieb unangefochten.
Im Mai 1958 machte Zürcher sich des Betruges schuldig. Das Strafgericht Zug verurteilte ihn deswegen am 20. Januar 1967 zu einer Gefängnisstrafe von sechs Monaten.
B.-
Gestützt auf die neue rechtskräftige Verurteilung beschloss das Strafobergericht des Kantons Zug am 9. Oktober 1967, dass die am 14. Dezember 1954 ausgefällte Strafe zu vollziehen sei.
C.-
Zürcher führt gegen diesen Beschluss Nichtigkeitsbeschwerde mit dem Antrag, ihn aufzuheben.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
Der Beschwerdeführer macht geltend, Wucher verjähre nach der angedrohten Höchststrafe in spätestens 15 Jahren. Diese Frist habe im vorliegenden Falle mit der letzten Straftat am 27. August 1946 begonnen und sei mangels eines vollstreckbaren Urteils, das die Strafverfolgung vorher beendet hätte, am 27. August 1961 abgelaufen. Das Urteil vom 14. Dezember 1954 ändere daran nichts. Ein Urteil, das den Vollzug der Strafe bedingt aufschiebe, könne wohl rechtskräftig sein, sei vorläufig aber nicht vollstreckbar. Von Vollstreckbarkeit könne erst die Rede sein, wenn der Richter den bedingten Strafvollzug widerrufe. Das aber sei hier erst am 9. Oktober 1967 geschehen, zu einem Zeitpunkt also, als die absolute Verfolgungsverjährung längst eingetreten sei.
a) Nach ständiger Rechtsprechung, die in
BGE 80 IV 218
überprüft und bestätigt wurde, sind Recht und Pflicht des Richters, den bedingten Strafvollzug wegen Täuschung des Vertrauens zu widerrufen, nicht befristet. Der Widerruf nach
Art. 41 Ziff. 3 StGB
setzt in Fällen, wie hier, bloss voraus, dass die neue Straftat in die Probezeit fällt (Abs. 1) und kein besonders leichter Fall vorliegt (Abs. 2); auf den Zeitpunkt, in dem der Widerrufsentscheid gefällt wird, kommt nichts an. Diese Regelung mag fragwürdig erscheinen, wenn wie im vorliegenden Fall verhältnismässig lange Zeit verstreicht, bis der Strafvollzug
BGE 94 IV 14 S. 16
überhaupt angeordnet werden kann; sie beruht jedoch nicht auf einem Versehen des Gesetzgebers, sondern ist, wie auf Grund der Entstehungsgeschichte angenommen werden muss, bewusst und gewollt so getroffen worden. Es geht deshalb nicht an, den Widerruf auf dem Wege freier Rechtsfindung zeitlich beschränken zu wollen, indem die Anordnung des Strafvollzuges wegen Zeitablaufs als stossend erklärt wird. Eine Befristung kann allein vom Gesetzgeber eingeführt werden (
BGE 78 IV 8
,
BGE 79 IV 111
,
BGE 80 IV 221
Erw. 2).
b) Damit ist der Nichtigkeitsbeschwerde Zürchers, die auf eine solche Beschränkung des Widerrufs hinausläuft, zum vornherein der Boden entzogen. Sie geht auch sonst fehl. Wie abwegig die Überlegungen des Beschwerdeführers sind, erhellt schon aus den Folgen, die sich aus seiner Auffassung ergäben. Liesse man die Verfolgungsverjährung nach der Verurteilung zu einer bedingt vollziehbaren Strafe weiterlaufen, so wäre der bedingte Strafaufschub sehr oft entwertet und eine längere Probezeit überhaupt sinnlos. Bei Straftaten, die erst gegen Ende der Verfolgungsverjährung aufgedeckt werden oder einer kurzen Verjährungsfrist unterliegen, wie z.B. Abtreibung, Blutschande, Ehrverletzungen und Übertretungen, müsste der Richter entweder vom bedingten Strafvollzug absehen oder die Probezeit auf die noch nicht abgelaufene Verjährungsfrist beschränken. Und wenn erst nach Ablauf der Frist an den Tag käme, dass der Verurteilte sich nicht bewährte, so dürfte der Richter weder den Strafvollzug noch Ersatzmassnahmen mehr anordnen; der Verurteilte könnte sich vielmehr ungestraft über das Vertrauen hinwegsetzen, das ihm der Richter mit dem bedingten Aufschub der Strafe entgegenbrachte. Dass solche Folgen untragbar und mit dem Sinn und Zweck des
Art. 41 StGB
unvereinbar wären, bedarf keiner Begründung.
Aus den Bestimmungen über die Verjährung kann der Beschwerdeführer ebenfalls nichts für seine Auffassung ableiten. Gewiss beginnt die Vollstreckungsverjährung, falls ein bedingter Strafvollzug ausgesprochen worden ist, erst mit dem Tag, an dem die Vollstreckung angeordnet wird (
Art. 74 StGB
). Daraus folgt jedoch nicht, dass die Verfolgungsverjährung bei bedingtem Strafvollzug unbekümmert um die Aburteilung solange weiterlaufen könne. Der Beschwerdeführer übersieht, dass die Strafverfolgung mit der Ausfällung des letzten kantonalen Sachurteils im Sinne von
Art. 70 StGB
beendet ist, folglich auch
BGE 94 IV 14 S. 17
die Verfolgungsverjährung zu laufen aufhört. Vorbehalten bleibt lediglich der Fall, wo der Kassationshof das Urteil aufhebt und das kantonale Gericht neu urteilen, die Strafverfolgung also fortsetzen muss (
BGE 72 IV 107
,
BGE 73 IV 14
). Eine bedingt ausgesprochene Strafe hingegen rechtfertigt keine Ausnahme. Freilich wird diesfalls der VOIlzug der Strafe aufgeschoben und vom Verhalten des Verurteilten während der Probezeit abhängig gemacht. Vollstreckbarkeit des Urteils ist indes nicht, wie der Beschwerdeführer annimmt, gleichbedeutend mit Vollstreckbarkeit der Strafe. Ein Urteil kommt nach Abschluss der Strafverfolgung auch dann zur Vollstreckung, wenn die Strafe bedingt aufgeschoben wird, vorläufig also nicht vollziehbar ist; man denke nur an die Bewährungsprobe, den Eintrag des Urteils im Strafregister, an unbedingt ausgesprochene Nebenstrafen und die dem Verurteilten auferlegten Weisungen. Massgebend ist demnach bloss, ob der Täter vor Ablauf der Verfolgungsverjährung verurteilt wird, mag ihm der bedingte Strafvollzug gewährt oder verweigert werden.
Dispositiv
Demnach erkennt der Kassationshof:
Die Nichtigkeitsbeschwerde wird abgewiesen. | null | nan | de | 1,968 | CH_BGE | CH_BGE_006 | CH | Federation |
7cad5d6b-2bf5-4ba1-9b85-30a250a4cf68 | Urteilskopf
101 Ia 259
43. Auszug aus dem Urteil vom 2. Juli 1975 i.S. Gemeinde Ritzingen gegen Staatsrat des Kantons Wallis. | Regeste
Gemeindeautonomie; Genehmigung von Zonenplänen (Wallis).
1. Autonomie der Walliser Gemeinden bei der Festlegung von Zonenplänen (E. 2).
2. Umfang der dem Walliser Staatsrat im Genehmigungsverfahren zustehenden Überprüfungsbefugnis. Voraussetzungen, unter denen die Nichtgenehmigung eines kommunalen Zonenplanes wegen Verletzung der Autonomie angefochten werden kann (E. 3). | Sachverhalt
ab Seite 260
BGE 101 Ia 259 S. 260
Die Bürger der Gemeinde Ritzingen stimmten am 1. Oktober 1971 einem Bau- und Zonenreglement zu, das der Staatsrat des Kantons Wallis in der Folge mit einigen Vorbehalten genehmigte; u.a. beanstandete er die vorgesehene Aufnahme eines bestimmten Gebietes in die Bauzone und verweigerte insoweit dem beschlossenen Zonenplan die Genehmigung. Die Gemeinde Ritzingen führt hiegegen wegen Verletzung der Gemeindeautonomie staatsrechtliche Beschwerde. Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
2.
Die Walliser Kantonsverfassung gewährleistet den Gemeinden eine gewisse Selbständigkeit (Art. 69 KV), doch umschreibt sie deren sachlichen Bereich nicht selber. Der Umfang der kommunalen Autonomie bestimmt sich daher nach den Vorschriften des kantonalen Gesetzesrechtes (
BGE 100 Ia 84
). Art. 4 des kantonalen "Gesetzes betreffend das Bauwesen" vom 19. Mai 1924 (BauG) ermächtigt die Gemeinde zum Erlass von "Reglement über die Baupolizei". Diese bedürfen zu ihrer Rechtskraft der Genehmigung durch den Staatsrat (Art. 6 BauG). Art. 8 umschreibt den obligatorischen, Art. 9 BauG den fakultativen Inhalt dieser Reglemente. Der Staatsrat geht in seiner Vernehmlassung davon aus, aufgrund des kantonalen Baugesetzes seien die Gemeinden auch zum Erlass von Zonenplänen befugt, welche als Bestandteil der kommunalen Baureglemente aufzufassen seien. Da eine andere kantonale Rechtsgrundlage für derartige Planungsmassnahmen offenbar nicht besteht und das Baugesetz selber über die Ausgestaltung von Zonenplänen und die Ausscheidung des Baugebietes keine näheren Vorschriften enthält, lässt sich ohne weiteres annehmen, dass die Gemeinden in diesem Bereich im Sinne der Autonomierechtsprechung eine "relativ erhebliche Entscheidungsfreiheit" besitzen. Sie sind daher in bezug auf den Erlass und die Abänderung von Zonenplänen autonom und können
BGE 101 Ia 259 S. 261
sich gegenüber ungerechtfertigten Eingriffen des Staats zur Wehr setzen. Dass die kommunalen Zonenpläne ebenso wie die Baureglemente der Genehmigung durch die kantonale Behörde bedürfen, ändert am Bestehen eines geschützten Autonomiebereiches nichts. Nach dem Umfang dieser Kontrolle bestimmt sich aber, wann ein Eingriff in die Befugnis zur selbständigen Festlegung der Zonenpläne die Autonomie verletzt (
BGE 93 I 160
; vgl. auch
BGE 100 Ia 290
,
BGE 99 Ia 254
, 97 I 138 E. 3,
BGE 95 I 39
, sowie ZBl 1974 S. 431 ff.). Die Gemeinde ist nicht nur davor geschützt, dass eine kantonale Aufsichts- oder Rechtsmittelbehörde in einer in den kommunalen Autonomiebereich fallenden Frage einen unhaltbaren Sachentscheid fällt, sondern sie kann sich auch gegen eine Überschreitung der Überprüfungsbefugnis zur Wehr setzen. Soweit nicht Verfassungsrecht im Spiele steht, prüft aber das Bundesgericht die Auslegung und Anwendung der kantonalen Normen durch die zuständige kantonale Behörde - auch hinsichtlich des Umfanges der Überprüfungsbefugnis - nur unter dem beschränkten Gesichtswinkel der Willkür (
BGE 100 Ia 84
mit Hinweisen).
3.
Die Kantonsverfassung überträgt dem Staatsrat die Aufsicht über die Gemeindeverwaltungen (Art. 82 Abs. 1 KV). Alle Gemeindereglemente unterliegen seiner Genehmigung (Art. 82 Abs. 2 KV). Diese letztere Regel wird in Art. 6 BauG wiederholt: "Um Gesetzeskraft zu besitzen, müssen die Baureglemente der Gemeinden vom Staatsrate genehmigt sein".
Die beschwerdeführende Gemeinde macht geltend, dem Kanton stehe im Genehmigungsverfahren lediglich eine Rechtskontrolle zu; er werde durch das positive kantonale Recht nirgends ausdrücklich ermächtigt, "auch das Ermessen der Gemeinden" zu überprüfen. Der Staatsrat lehnt eine derartige Beschränkung seiner Kontrolle im Bauwesen ab und hält sich für befugt, im Genehmigungsverfahren auch die "Zweckmässigkeit" der kommunalen Baureglemente und Zonenpläne zu überprüfen.
Art. 82 KV, der die Gemeindereglemente allgemein für genehmigungspflichtig erklärt, äussert sich zu dieser Frage nicht. Es muss daher in erster Linie auf die Normen des kantonalen Baugesetzes abgestellt werden. Der den Grundsatz der Genehmigungspflicht wiederholende Art. 6 BauG lässt die
BGE 101 Ia 259 S. 262
Frage nach dem Umfang der Kontrollbefugnis ebenfalls offen. Einen Anhaltspunkt bildet jedoch die vorangehende Vorschrift in Art. 5 BauG, wonach der Staatsrat die Gemeinden anhalten kann, innert bestimmter Frist "ein den örtlichen Verhältnissen angepasstes Reglement aufzustellen" (franz. Text: "un règlement approprié aux conditions locales"), und im Unterlassungsfalle befugt ist, den Gemeinden "von Amtes wegen ein Reglement aufzuzwingen", wenn besondere Verhältnisse es erfordern. Hieraus kann zumindest ohne Willkür abgeleitet werden, dass der Staatsrat im Genehmigungsverfahren nach Art. 6 BauG die kommunalen Baureglemente nicht nur auf ihre Rechtmässigkeit, d.h. auf ihre Vereinbarkeit mit übergeordneten Vorschriften des Kantons und des Bundes, sondern auch auf ihre Zweckmässigkeit hin überprüfen darf (ebenso: nicht publiziertes Urteil des Bundesgerichtes vom 13. November 1968 i.S. Gemeinde Saas-Fee, E. 4a). Dasselbe muss alsdann für die Überprüfung der Zonenpläne gelten, wo eine klare Abgrenzung zwischen Rechtsfragen und Ermessensfragen ohnehin kaum möglich ist. Eine auf formalrechtliche Gesichtspunkte beschränkte Kontrolle würde den Zweck des Genehmigungsverfahrens nicht erfüllen. Selbst im Rahmen einer Rechtskontrolle hätte die Genehmigungsbehörde darauf zu achten, dass der Zonenplan nicht nur den Interessen der Gemeinde, sondern auch den übergeordneten Zielen der kantonalen und eidgenössischen Gesetzgebung sowie den Grundsätzen der Eigentumsgarantie Rechnung trägt, was im Ergebnis in mancher Hinsicht einer Zweckmässigkeitskontrolle nahekommt.
Dem Walliser Staatsrat kann somit keine willkürliche Überschreitung seiner Kompetenzen vorgeworfen werden, wenn er sich im Genehmigungsverfahren eine uneingeschränkte Überprüfung der kommunalen Planung vorbehält. Auch wenn er, um nicht in die Rolle einer Oberplanungsbehörde zu verfallen, eine gewisse Zurückhaltung übt und in der Regel nur eingreift, wenn der Mangel der kommunalen Planung eine gewisse Schwere erreicht oder überkommunale Interessen berührt, so fehlt es doch an einer kantonalrechtlichen Schranke, welche die Walliser Gemeinden vor einer weitergehenden Kontrolle schützen würde.
Verfügt aber der Staatsrat über eine uneingeschränkte Überprüfungsbefugnis, so verletzt er die Autonomie der Gemeinde
BGE 101 Ia 259 S. 263
nicht bereits dadurch, dass er einer allenfalls noch im Rahmen des Vertretbaren liegenden planerischen Massnahme die Genehmigung verweigert. Entscheidend ist vielmehr, ob sich die von der Genehmigungsbehörde verlangte Änderung sachlich rechtfertigen lässt. Nur wenn der mit der Nichtgenehmigung verbundene Eingriff in die kommunale Planungsfreiheit seinerseits der vernünftigen Begründung entbehrt, vermag die Gemeinde mit einer Autonomiebeschwerde durchzudringen.
4.
Dies wird im vorliegenden Fall von der Beschwerdeführerin behauptet, indem sie geltend macht, der Staatsrat habe im streitigen Punkt sein Ermessen missbraucht. Die Gemeinde rügt, durch die Verweigerung der Einzonung des Gebietes "Eige" werde ihre Entwicklung besonders hinsichtlich des Tourismus stark eingeschränkt; die Gemeinden im Berggebiet seien jedoch auf diese Einkommensquelle je länger je mehr angewiesen. Der Staatsrat weist demgegenüber in seiner Vernehmlassung darauf hin, dass das Gebiet "Eige" westlich des Dorfes vom Kanton mit Genehmigung der Bundesbehörde in die provisorische Schutzzone gemäss Art. 2 Abs. 1 des Bundesbeschlusses über dringliche Massnahmen auf dem Gebiete der Raumplanung vom 17. März 1972 einbezogen worden ist. Schon dieser Umstand genügt, um den von der Gemeinde erhobenen Vorwurf der Willkür zu entkräften, zumal die behauptete Beeinträchtigung der touristischen Entwicklung, die sich durch die angefochtene Massnahme ergeben soll, in keiner Weise näher belegt und begründet wird. Der Staatsrat stellt überdies fest, das eingezonte Gebiet sei auch ohne den streitigen Teil gross genug, um die touristische Entwicklung zu sichern; durch die Freigabe des Gebietes "Eige" würde das Gepräge des Dorfes zerstört und dessen Anziehungskraft beeinträchtigt; die Gemeinde habe die Möglichkeit, ihre Bauzone nötigenfalls im Süden der Strasse östlich des Dorfes auszudehnen.
Weder aus der staatsrechtlichen Beschwerde noch aus den Akten ergeben sich irgendwelche Anhaltspunkte dafür, dass die Auffassung des Staatsrates unhaltbar sein könnte, weshalb sich nähere Abklärungen oder ein bundesgerichtlicher Augenschein erübrigen. Soweit die Gemeinde die teilweise Nichtgenehmigung ihres Zonenplanes der Sache nach anficht, ist ihre Autonomiebeschwerde unbegründet. | public_law | nan | de | 1,975 | CH_BGE | CH_BGE_002 | CH | Federation |
7caf9db3-7d0e-4663-89f3-ad060ecd04f8 | Urteilskopf
141 IV 1
1. Extrait de l'arrêt de la Cour de droit pénal dans la cause X. Sàrl contre Ministère public de la République et canton de Neuchâtel et A. (recours en matière pénale)
6B_261/2014 du 4 décembre 2014 | Regeste a
Art. 81 Abs. 1 lit. a und b Ziff. 5 BGG; Legitimation der Privatklägerschaft zur Beschwerde in Strafsachen.
Zusammenfassung der Rechtsprechung zur Legitimation der Privatklägerschaft zur Beschwerde in Strafsachen, insbesondere hinsichtlich der Begründungspflicht im Zusammenhang mit Zivilforderungen (E. 1).
Regeste b
Art. 115 und 118 StPO
;
Art. 180, 181 und 325
bis
StGB
; Geschädigteneigenschaft einer juristischen Person im Falle von Drohung, Nötigung und Widerhandlungen gegen die Bestimmungen zum Schutz der Mieter von Wohn- und Geschäftsräumen.
Die von
Art. 180 StGB
geschützten Rechtsgüter sind die innere Freiheit und das Sicherheitsgefühl. Eine juristische Person hat keine solchen Gefühle und ist nicht Trägerin der von der Strafnorm geschützten Rechtsgüter. Demzufolge ist sie nicht geschädigt (E. 3.2).
Eine juristische Person kann nach
Art. 55 ZGB
durch ihre Organe einen Willen bilden, diesen zum Ausdruck bringen und entsprechend handeln.
Art. 181 und 325
bis
StGB
schützen die freie Willensbildung und die freie Willensbetätigung. Eine juristische Person ist bei den Tatbeständen der Nötigung und der Widerhandlungen gegen die Bestimmungen zum Schutz der Mieter von Wohn- und Geschäftsräumen geschädigt, wenn sie in diesen Rechtsgütern beeinträchtigt ist (E. 3.3 und 3.4). | Sachverhalt
ab Seite 3
BGE 141 IV 1 S. 3
A.
Par ordonnance du 25 février 2013, le Ministère public neuchâtelois a refusé d'entrer en matière sur la plainte déposée par X. Sàrl pour menaces, contrainte, inobservation des prescriptions légales sur la protection des locataires de locaux commerciaux et utilisation abusive d'une installation de télécommunication.
B.
Par arrêt du 3 février 2014, l'Autorité de recours en matière pénale du Tribunal cantonal neuchâtelois a rejeté le recours formé par X. Sàrl, mis les frais par 400 fr. à sa charge ainsi qu'une indemnité de dépens de 500 fr. en faveur de A.
En bref, il en ressort que X. Sàrl a déposé plainte pénale le 19 décembre 2011. Celle-ci a exposé avoir reçu un appel téléphonique le 14 décembre 2011. L'interlocuteur se serait présenté comme étant "Monsieur A.", aurait indiqué "être le propriétaire de la société B. SA" et aurait tenu les propos suivants "Si X. n'arrête pas de faire des histoires, on va les foutre dehors et vite. On en a marre ". Il aurait utilisé les termes "pulvériser X.", "anéantir X." et aurait ajouté "on a les moyens de le faire, on va vous foutre dehors très vite, vous avez avantage à annuler toutes les histoires que vous faites, sinon ça va mal aller pour vous et pour X., vous êtes chez nous, dans mon immeuble et on peut vous faire crever" [...] "on va vous foutre dehors très vite parce qu'on veut passer de bonnes fêtes de Noël".
La police a procédé à l'audition de A., administrateur de la société B. SA, ainsi qu'à celle de C. de D. SA, chargée de la gestion de l'immeuble dans lequel X. Sàrl loue ses locaux, propriété de l'entreprise B. SA. Elle a également tenté d'entendre le représentant de X. Sàrl, E., mais le policier en charge de son audition a mis rapidement fin à l'entretien en raison de l'attitude de E.
C.
X. Sàrl forme un recours en matière pénale au Tribunal fédéral contre cet arrêt. Elle conclut, avec suite de frais et dépens, principalement à son annulation, subsidiairement à sa réforme, au constat et à la correction des fautes manifestes dans la constatation des faits et
BGE 141 IV 1 S. 4
dans l'application du droit et à l'annulation de l'indemnité en faveur de A. Elle requiert, par ailleurs, l'effet suspensif sur le paiement des frais et dépens de l'instance précédente et l'assistance judiciaire, ainsi que la production au Tribunal fédéral de plusieurs dossiers objet de procédures devant différentes autorités neuchâteloises.
Invités à déposer des observations sur le recours, la cour cantonale y a renoncé cependant que A. et le Ministère public ont conclu à son rejet, ce dernier se référant à l'arrêt attaqué. X. Sàrl n'a pas déposé d'observations dans le délai imparti.
Erwägungen
Extrait des considérants:
1.
1.1
Selon l'art. 81 al. 1 let. a et b ch. 5 LTF, la partie plaignante qui a participé à la procédure de dernière instance cantonale est habilitée à recourir au Tribunal fédéral, si la décision attaquée peut avoir des effets sur le jugement de ses prétentions civiles. Constituent de telles prétentions celles qui sont fondées sur le droit civil et doivent en conséquence être déduites ordinairement devant les tribunaux civils. Il s'agit principalement des prétentions en réparation du dommage et du tort moral au sens des
art. 41 ss CO
.
Selon l'
art. 42 al. 1 LTF
, il incombe au recourant d'alléguer les faits qu'il considère comme propres à fonder sa qualité pour recourir (
ATF 138 III 537
consid. 1.2 p. 539;
ATF 133 II 353
consid. 1 p. 356). Lorsque le recours est dirigé contre une décision de non-entrée en matière ou de classement de l'action pénale, la partie plaignante n'a pas nécessairement déjà pris des conclusions civiles (
ATF 137 IV 246
consid. 1.3.1 p. 248). Quand bien même la partie plaignante aurait déjà déclaré des conclusions civiles (cf.
art. 119 al. 2 let. b CPP
), il n'en reste pas moins que le procureur qui refuse d'entrer en matière ou prononce un classement n'a pas à statuer sur l'aspect civil (cf.
art. 320 al. 3 CPP
). Dans tous les cas, il incombe par conséquent à la partie plaignante d'expliquer dans son mémoire au Tribunal fédéral quelles prétentions civiles elle entend faire valoir contre l'intimé. Comme il n'appartient pas à la partie plaignante de se substituer au Ministère public ou d'assouvir une soif de vengeance, la jurisprudence entend se montrer restrictive et stricte, de sorte que le Tribunal fédéral n'entre en matière que s'il ressort de façon suffisamment précise de la motivation du recours que les conditions précitées sont réalisées, à moins que l'on puisse le déduire directement et sans
BGE 141 IV 1 S. 5
ambiguïté compte tenu notamment de la nature de l'infraction alléguée (
ATF 138 IV 186
consid. 1.4.1 p. 189;
ATF 137 IV 219
consid. 2.4 p. 222 s.).
Indépendamment des conditions posées par cette disposition, la partie recourante est aussi habilitée à se plaindre d'une violation de ses droits de partie équivalant à un déni de justice formel, sans toutefois pouvoir faire valoir par ce biais, même indirectement, des moyens qui ne peuvent être séparés du fond (cf.
ATF 138 IV 78
consid. 1.3 p. 79 s.;
ATF 136 IV 29
consid. 1.9 p. 40 et les références citées).
1.2
La recourante fait grief à la cour cantonale de ne pas lui avoir reconnu la qualité de partie plaignante s'agissant des infractions de menaces (
art. 180 CP
), de contrainte (
art. 181 CP
) et d'inobservation des prescriptions légales sur la protection des locataires d'habitations et de locaux commerciaux (
art. 325
bis
CP
). Elle se plaint de la sorte de la violation de ses droits de partie et a, en ce sens, qualité pour former un recours en matière pénale au Tribunal fédéral.
Pour ce qui est de l'infraction d'utilisation abusive d'une installation de télécommunication (art. 179
septies
CP), pour laquelle la cour cantonale a reconnu à la recourante la qualité de partie plaignante, celle-ci ne dit rien à propos du dommage en relation avec cette infraction. Son recours étant insuffisamment motivé, elle ne dispose pas de la qualité pour recourir sur le fond à cet égard.
(...)
3.
La recourante fait grief à la cour cantonale de lui avoir dénié la qualité de lésée, partant celle de partie plaignante, s'agissant des infractions de menaces, de contrainte et d'inobservation des prescriptions légales sur la protection des locataires d'habitations et de locaux commerciaux.
3.1
Selon l'
art. 118 al. 1 CPP
, on entend par partie plaignante le lésé qui déclare expressément vouloir participer à la procédure pénale comme demandeur au pénal ou au civil. La notion de lésé est définie à l'
art. 115 CPP
. Il s'agit de toute personne dont les droits ont été touchés directement par une infraction.
En règle générale, seul peut se prévaloir d'une atteinte directe le titulaire du bien juridique protégé par la disposition pénale qui a été enfreinte (
ATF 138 IV 258
consid. 2.3 p. 263;
ATF 129 IV 95
consid. 3.1 p. 98 s. et les références citées). Les droits touchés sont les biens juridiques individuels tels que la vie et l'intégrité corporelle, la propriété, l'honneur, etc. (Message du 21 décembre 2005 relatif à l'unification du droit de la procédure pénale, FF 2006 1148 ch. 2.3.3.1).
BGE 141 IV 1 S. 6
La déclaration de partie plaignante doit avoir lieu avant la clôture de la procédure préliminaire (
art. 118 al. 3 CPP
), soit à un moment où l'instruction n'est pas encore achevée. Dès lors, tant que les faits déterminants ne sont pas définitivement arrêtés sur ce point, il y a lieu de se fonder sur les allégués de celui qui se prétend lésé pour déterminer si tel est effectivement le cas. Celui qui entend se constituer partie plaignante doit toutefois rendre vraisemblable le préjudice et le lien de causalité entre celui-ci et l'infraction dénoncée (arrêt 6B_549/2013 du 24 février 2014 consid. 2.1 et les références citées).
3.2
Aux termes de l'
art. 180 al. 1 CP
, celui qui, par une menace grave, aura alarmé ou effrayé une personne sera, sur plainte, puni d'une peine privative de liberté de trois ans au plus ou d'une peine pécuniaire.
La question du bien juridiquement protégé par l'
art. 180 CP
est discutée en doctrine.
3.2.1
Une partie de celle-ci soutient que cette disposition vise à protéger la libre formation et le libre exercice de la volonté (Willensbildung und -betätigung; ANDREAS DONATSCH, Delikte gegen den Einzelnen, 10
e
éd. 2013, p. 423; TRECHSEL/FINGERHUTH, in Schweizerisches Strafgesetzbuch, Praxiskommentar, Trechsel/Pieth [éd.], 2
e
éd. 2013, n° 1 ad
art. 180 CP
; STRATENWERTH/JENNY/BOMMER, Besonderer Teil I: Straftaten gegen Individualinteressen, 7
e
éd. 2010, n. 75 p. 149; v. aussi ESTHER OMLIN, Intersubjektiver Zwang & Willensfreiheit, 2002, p. 37 s., pour qui la menace implique nécessairement, même si ce n'est pas le but de l'auteur, que le lésé modifie sa volonté et/ou son comportement conformément à ce qu'il croit que l'auteur attend de lui). Pour ce faire, ce courant doctrinal se fonde en particulier sur une ancienne jurisprudence (
ATF 81 IV 101
consid. 3 p. 105 s.).
3.2.2
Selon une autre partie de la doctrine, l'
art. 180 CP
tend à garantir à tout être humain de vivre en paix intérieure et de se sentir en sécurité dans la société. Les biens juridiquement protégés sont ainsi le sentiment de sécurité et la paix intérieure. Ces éléments font partie de la liberté au sens large, raison pour laquelle l'infraction de menaces a été classée dans le Titre 4 du Code pénal regroupant les infractions contre la liberté (cf. DELNON/RÜDY, in Basler Kommentar, Strafrecht, vol. II, 2
e
éd. 2013, n
os
5, 10 et 11 ad
art. 180 CP
; DUPUIS ET AL., in CP, Code pénal, 2012, n° 2 ad
art. 180 CP
; PAUL LOGOZ, Commentaire du Code pénal suisse, partie spéciale, vol. I, 1955, n° 1d ad rem. prél. aux
art. 180-186 CP
et n° 1 ad
art. 180 CP
;
BGE 141 IV 1 S. 7
VITAL SCHWANDER, Das Schweizerische Strafgesetzbuch: unter besonderer Berücksichtigung der bundesgerichtlichen Praxis, 2
e
éd. 1964, n. 635 p. 410 s.; THORMANN/VON OVERBECK, Schweizerisches Strafgesetzbuch, Besonderer Teil, vol. II, 1941, n° 2 ad
art. 180 CP
). La libre formation de la volonté n'a pas besoin d'être atteinte, puisque la création d'une peur est suffisante pour réaliser l'infraction, et ne peut constituer le bien juridiquement protégé (DELNON/RÜDY, op. cit., n
os
5 et 11 ad
art. 180 CP
).
3.2.3
Ce dernier courant de doctrine doit être suivi. En effet, la réalisation de l'infraction de menaces implique que le lésé ait été effrayé ou alarmé, c'est-à-dire qu'il ait ressenti un sentiment de peur. Elle ne nécessite en revanche pas, contrairement à l'infraction de contrainte, que le lésé soit influencé dans sa volonté ou sa manière d'agir. Si l'auteur cherche à influencer le lésé, alors seule l'infraction de contrainte est applicable, la menace entrant en concours imparfait avec cette infraction (
ATF 99 IV 212
consid. 1b p. 216). Par conséquent, le bien juridique protégé ne peut pas être la libre formation de la volonté mais bien le sentiment de sécurité et la paix intérieure. Pour le surplus, la jurisprudence sur laquelle se fonde le premier courant de doctrine (cf. supra consid. 3.2.2) ne traite pas formellement de la question du bien juridique protégé par l'
art. 180 CP
. Elle concerne la distinction entre la "menace grave" de l'
art. 180 CP
et la "menace d'un dommage sérieux" de l'
art. 181 CP
. Ainsi, selon cette jurisprudence, il y a une gradation entre les deux notions. Il est nécessaire d'exercer une menace plus importante sur le lésé pour l'effrayer ou l'alarmer au sens de l'
art. 180 CP
que pour l'obliger à faire, à ne pas faire ou à laisser faire un acte au sens de l'
art. 181 CP
. Les exigences accrues posées par l'
art. 180 CP
s'expliquent aussi par le fait que la menace met en danger la libre formation de la volonté alors que la contrainte la lèse. Ainsi, la loi est plus exigeante quant à la réalisation d'une mise en danger d'un bien juridique que s'agissant de sa lésion (
ATF 81 IV 101
consid. 3 p. 105 s.). Ce n'est que pour marquer le degré d'exigence plus élevé pour une mise en danger (causée par la menace) et que pour une lésion (causée par la contrainte) qu'il est fait référence à la liberté de décision et d'action. Cette jurisprudence ne vise pas à trancher la question du bien juridiquement protégé par l'
art. 180 CP
.
3.2.4
Les biens juridiques protégés par l'
art. 180 CP
sont les sentiments de paix intérieure et de sécurité. Seule une personne physique peut éprouver de tels sentiments. Une personne morale, si elle
BGE 141 IV 1 S. 8
peut avoir une volonté (cf. infra consid. 3.3.2), ne peut ressentir ni sentiments de paix ou de sécurité, ni peur. Elle ne peut par conséquent pas être titulaire du bien juridique protégé par l'infraction, partant être lésée par celle-ci. Ainsi, même si la menace porte sur un dommage causé à la personne morale, seule la personne physique qui aura été effrayée ou alarmée par celle-ci pourra être lésée par l'infraction.
3.2.5
En l'occurrence, la recourante, personne morale, n'a pas pu être atteinte dans ses sentiments de paix intérieure et de sécurité dont elle est dépourvue. Elle n'a dès lors pas été lésée par l'infraction de menaces. C'est donc à bon droit que la cour cantonale a refusé de lui reconnaître la qualité de partie plaignante. La recourante soutient que si seule une personne physique pouvait être lésée par des menaces, elle n'aurait jamais de prétentions civiles à faire valoir lorsque la menace concerne une personne morale. Ce faisant, la recourante confond le préjudice dont l'auteur fait redouter la survenance, soit l'objet de la menace, avec le préjudice, en particulier le tort moral, subi par le destinataire de la menace. C'est bien ce dernier - et uniquement celui-ci - qui permet au lésé de fonder ses prétentions civiles. Infondé, le grief de la recourante doit être rejeté.
3.3
L'
art. 181 CP
prévoit que celui qui, en usant de violence envers une personne ou en la menaçant d'un dommage sérieux, ou en l'entravant de quelque autre manière dans sa liberté d'action, l'aura obligée à faire, à ne pas faire ou à laisser faire un acte sera puni d'une peine privative de liberté de trois ans au plus ou d'une peine pécuniaire.
3.3.1
Selon la jurisprudence, le bien juridiquement protégé par l'
art. 181 CP
est la liberté d'action, plus particulièrement la libre formation et le libre exercice de la volonté (
ATF 137 IV 326
consid. 3.6 p. 332;
ATF 134 IV 216
consid. 4.4.3 p. 221;
ATF 129 IV 6
consid. 2.1 p. 8 s.;
ATF 119 IV 301
consid. 3a p. 306;
ATF 108 IV 165
consid. 3 p. 167).
3.3.2
Aux termes de l'
art. 55 al. 1 CC
, la volonté d'une personne morale s'exprime par ses organes. L'al. 2 prévoit que ceux-ci obligent la personne morale par leurs actes juridiques et par tous autres faits. On peut en déduire que la loi reconnaît aux personnes morales la capacité de former et d'exprimer, au travers de leurs organes, une volonté et d'agir en conséquence. Il en découle que la libre formation et le libre exercice de la volonté d'une personne morale doivent être protégés, au même titre que ceux d'une personne physique, par l'
art. 181 CP
.
BGE 141 IV 1 S. 9
Ainsi, une personne morale qui est atteinte dans la libre formation ou le libre exercice de sa volonté doit être considérée comme lésée par l'infraction de contrainte. Elle peut ainsi revêtir la qualité de partie plaignante si elle a expressément déclaré vouloir participer à la procédure pénale comme demandeur au pénal ou au civil.
3.3.3
Selon les dires de la recourante, lors de l'appel téléphonique du 14 décembre 2011, l'interlocuteur l'aurait, en substance, menacée de la mettre dehors des locaux qu'elle occupe, si elle n'arrêtait pas de "faire des histoires", faisant référence aux différentes procédures qu'elle avait engagées contre son bailleur. L'interlocuteur aurait ainsi cherché à contraindre la recourante à mettre fin aux différentes procédures engagées, sous la menace de la mettre dehors des locaux qu'elle occupe. De cette manière, elle aurait porté atteinte, ou à tout le moins tenté de porter atteinte, à la libre formation et au libre exercice de la volonté de la recourante. Au stade de l'examen de la qualité de lésé, qui doit s'effectuer sous l'angle des allégations de la partie qui prétend revêtir cette qualité (cf. supra consid 3.1), la recourante doit être considérée comme potentiellement lésée par l'infraction de contrainte. Partant, sa qualité de partie plaignante doit être reconnue en relation avec l'éventuelle infraction de contrainte.
3.4
Selon l'
art. 325
bis
al. 1 CP
, se rend coupable d'inobservation des prescriptions légales sur la protection des locataires d'habitations et de locaux commerciaux celui qui, en menaçant le locataire de désavantages tels que la résiliation du bail, l'aura empêché ou aura tenté de l'empêcher de contester le montant du loyer ou d'autres prétentions du bailleur.
3.4.1
L'
art. 325
bis
CP
constitue une forme particulière de contrainte, ou à tout le moins de tentative de contrainte. Il vise ainsi, comme l'
art. 181 CP
, à protéger la libre formation et le libre exercice de la volonté du locataire, en particulier la liberté de faire valoir les droits que lui confère la loi (TRECHSEL/OGG, in Schweizerisches Strafgesetzbuch, Praxiskommentar, Trechsel/Pieth [éd.], 2
e
éd. 2013, n° 2 ad
art. 325
bis
CP
; STEFAN FLACHSMANN, in StGB Kommentar, Andreas Donatsch [éd.], 19
e
éd. 2013, n° 1 ad
art. 325
bis
CP
; DUPUIS ET AL., op. cit., n° 1 ad
art. 325
bis
CP
; cf. aussi MARIANNE WANNER, in Basler Kommentar, Strafrecht, vol. II, 2
e
éd. 2013, n° 3 ad
art. 325
bis
CP
; DAVID LACHAT, Le bail à loyer, 2008, p. 842). Les remarques formulées supra consid. 3.3.2 valent dès lors mutatis mutandis. Une personne morale peut, par conséquent, être lésée par l'infraction prévue à l'
art. 325
bis
CP
et, partant, revêtir la qualité de partie plaignante.
BGE 141 IV 1 S. 10
3.4.2
Au stade de l'examen de la qualité de lésé et au vu des allégations de la recourante (cf. supra consid. 3.3.3), celle-ci pourrait avoir été lésée sous l'angle de l'
art. 325
bis
CP
et c'est à tort que la cour cantonale ne lui a pas reconnu la qualité de partie plaignante s'agissant de cette infraction.
3.5
Au vu de ce qui précède, la qualité de partie plaignante doit être reconnue à la recourante s'agissant des infractions de contrainte et d'inobservation des prescriptions légales sur la protection des locataires d'habitations et de locaux commerciaux. Elle ne doit en revanche pas l'être pour l'infraction de menaces. Il incombera à la cour cantonale, à qui la cause est renvoyée, de garantir à la recourante le respect des droits procéduraux découlant de la qualité de partie plaignante. | null | nan | fr | 2,014 | CH_BGE | CH_BGE_006 | CH | Federation |
7cafd544-813c-43d0-845c-d0870ade80ad | Urteilskopf
111 III 13
4. Auszug aus dem Entscheid der Schuldbetreibungs- und Konkurskammer vom 8. Februar 1985 i.S. W. (Rekurs) | Regeste
Lohnpfändung für Unterhaltsansprüche (
Art. 93 SchKG
).
Wird für Unterhaltsansprüche in das Existenzminimum des Schuldners eingegriffen, so mag auch eine an sich geringe Differenz bei der Berechnung der pfändbaren Quote (in casu Fr. 53.05) Anlass zur Abänderung der Pfändungsurkunde sein (E. 5c).
Die Betreibungsbehörden müssen bei der Ermittlung des pfändbaren Einkommens von Amtes wegen abklären, ob der Alimentengläubiger auf die Unterhaltsbeiträge angewiesen ist. Trifft dies nicht zu, so darf nicht in den Notbedarf eingegriffen werden, sondern ist die Lohnpfändung nur noch bis zum Existenzminimum zulässig. Eine von dieser Regel abweichende Verfügung ist nichtig (E. 6, 7). | Sachverhalt
ab Seite 14
BGE 111 III 13 S. 14
Mit Scheidungsurteil vom 30. November 1978 hatte das Zivilgericht von Lausanne der geschiedenen Ehefrau die elterliche Gewalt über die beiden 1963 und 1967 geborenen Kinder R. und K. übertragen. Der geschiedene Ehemann W. war mit diesem Urteil zu Unterhaltsbeiträgen an die Kinder verpflichtet worden.
Nachdem W. wegen dieser Unterhaltsbeiträge betrieben und die Pfändung - mit einer Lohnpfändung von Fr. 431.-- im Monat - vollzogen worden war, verlangte er vom Betreibungsamt eine Neuberechnung des Existenzminimums. Er machte insbesondere geltend, sein Sohn werde am 22. August 1983 20jährig und damit falle für ihn ab 1. September 1983 die Unterhaltsleistung weg. Das veranlasste das Betreibungsamt, den Zwangsbedarf des Schuldners von bis dahin Fr. 2'971.-- um Fr. 400.-- auf Fr. 2'571.-- zu reduzieren und infolgedessen mit Pfändungsurkunde vom 13. Oktober 1983 die Lohnpfändung ab 1. September 1983 neu auf Fr. 719.30 monatlich festzusetzen.
Um die Höhe der pfändbaren Quote wurde in der Folge vor der unteren und der oberen kantonalen Aufsichtsbehörde über Schuldbetreibung und Konkurs gestritten. Schliesslich gelangte der Schuldner W. mit Rekurs an die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer des Bundesgerichts. Diese konnte wegen verspäteter
BGE 111 III 13 S. 15
Einreichung des Rekurses nicht darauf eintreten; sie änderte aber den angefochtenen Entscheid der oberen kantonalen Aufsichtsbehörde, weil zu Recht dessen Nichtigkeit geltend gemacht worden war, von Amtes wegen ab.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
4.
Der Schuldner erzielt ein Bruttoeinkommen aus Arbeitserwerb von monatlich Fr. 1'600.-- und bekommt von seiner jetzigen Gattin einen Beitrag an die ehelichen Lasten von Fr. 250.--. Diese Feststellung der kantonalen Behörde ist für das Bundesgericht verbindlich (Art. 63 Abs. 2 in Verbindung mit
Art. 81 OG
), weshalb auf die anderslautenden Vorbringen der Rekursgegnerin zu diesem Punkt nicht eingetreten werden kann. Sodann beträgt der Notbedarf des Schuldners nach der Feststellung der kantonalen Behörden Fr. 2'414.85. Die Unterhaltsbeiträge an die Kinder aus erster Ehe, zu deren Bezahlung der Schuldner durch das Scheidungsurteil verpflichtet wurde, sind von ihm nicht bezahlt worden und fallen daher bei der Berechnung des Existenzminimums ausser Betracht (
BGE 107 III 77
E. 1,
BGE 89 III 67
mit Hinweisen).
5.
Unter der Voraussetzung, dass der Gläubiger, der Anspruch auf Unterhaltsbeiträge hat, zur Deckung seines eigenen Notbedarfs auf diese angewiesen ist, kann in das Existenzminimum des Schuldners eingegriffen werden (
BGE 105 III 55
E. 5 mit Hinweisen). Doch ist das nur zulässig für Unterhaltsforderungen aus dem letzten Jahr vor Zustellung des Zahlungsbefehls (
BGE 106 III 19
,
BGE 89 III 67
,
BGE 87 III 7
). Der Eingriff ist so zu bemessen, dass sich der Schuldner und der Gläubiger im gleichen Verhältnis einschränken müssen (
BGE 106 III 19
,
BGE 105 III 49
und 53 E. 3 mit Hinweisen). Ein "absolutes" Existenzminimum in dem Sinne, dass ein bestimmter Betrag nicht einmal durch eine Pfändung zugunsten unterhaltsberechtigter Familienangehöriger unterschritten werden dürfte, gibt es nach bisheriger Praxis nicht (
BGE 68 III 27
,
BGE 105 III 49
f.).
a) Im angefochtenen Entscheid findet sich keine Feststellung darüber, dass die mit den Betreibungen Nrn. 940 und 991 eingeforderten Unterhaltsbeiträge im einen oder im anderen Fall weiter zurück reichten als ein Jahr vor Zustellung des Zahlungsbefehls. Den Akten lässt sich lediglich entnehmen, dass der Forderungsbetrag dieser Betreibungen niedriger ist als der Unterhaltsbeitrag eines Jahres für beide Kinder zusammen (12 x Fr. 400.-- je Kind = Fr. 9'600.--).
BGE 111 III 13 S. 16
Auch aus den in den Pfändungsurkunden genannten Daten, ab welchen die betriebenen Forderungen zu verzinsen sind (1. August 1982 bzw. 1. April 1983), lässt sich nicht ersehen, wie weit zurück die Unterhaltsbeiträge betrieben wurden. Darüber könnten nur die Zahlungsbefehle Aufschluss geben, die indessen nicht bei den Akten sind. Weitere Abklärungen zu diesem Punkt, insbesondere auch die Rückweisung an die Vorinstanz zur Aktenergänzung, erübrigen sich jedoch; denn der Rekurrent macht nicht geltend, es handle sich um Unterhaltsbeiträge, für welche der Eingriff in den Notbedarf unzulässig sei, weil sie nicht im letzten Jahr vor Zustellung des Zahlungsbefehls fällig waren.
b) Die Vorinstanz hat die pfändbare Quote entsprechend der in
BGE 71 III 177
f. E. 3 entwickelten Formel berechnet (vgl. auch AMONN, Grundriss des Schuldbetreibungs- und Konkursrechts, 3. Auflage Bern 1983, S. 185; FRITZSCHE/WALDER, Schuldbetreibung und Konkurs nach schweizerischem Recht, Zürich 1984, S. 338 Anm. 96), nämlich:
(Einkommen des Schuldners x Notbedarf des Gläubigers)/
(Notbedarf des Schuldners + Notbedarf des Gläubigers)
Unter dem Notbedarf des Gläubigers ist der Unterhaltsbeitrag zu verstehen, auf welchen die Kinder - als Notbedarf - Anspruch hätten, wenn sie zur Familie des Schuldners gehörten (AMONN, a.a.O.).
c) Für die Zeit vor dem 1. September 1983, als der Sohn R. noch minderjährig war, hat die kantonale Behörde den von diesem als Notbedarf zu beanspruchenden Unterhaltsbeitrag auf Fr. 340.-- festgesetzt, während für die Tochter K. Fr. 280.-- ermittelt wurden. Aufgrund dieser für das Bundesgericht verbindlichen Feststellung (Art. 63 Abs. 2 in Verbindung mit
Art. 81 OG
) sowie des Einkommens und des Existenzminimums des Schuldners (oben E. 4) ergibt sich folgende Rechnung:
(1'850.-- x 620.--)/(2'414.85 + 620.--) = Fr. 377.95
Die Fr. 431.--, welche das Betreibungsamt als pfändbare Quote bezeichnet hat, sind daher nicht richtig, wie schon die kantonale Instanz festgehalten hat. Indessen hält diese die Differenz von Fr. 53.05 für so gering, dass nach ihrer Auffassung von einer für den Schuldner absolut unhaltbaren Lage und damit von der Nichtigkeit der Pfändungsverfügungen nicht gesprochen werden kann.
BGE 111 III 13 S. 17
Aus den folgenden Überlegungen kann jedoch der Auffassung der Schuldbetreibungs- und Konkurskommission des Obergerichts des Kantons Aargau nicht gefolgt werden: Das Einkommen des Schuldners (von Fr. 1'850.--) liegt bereits Fr. 564.85 unter dem Existenzminimum (von Fr. 2'414.85). Zieht man von seinem Einkommen die pfändbare Quote von Fr. 377.95 ab, so bleiben dem Schuldner für seinen eigenen Lebensunterhalt sowie denjenigen seiner zweiten Ehefrau und des in ihrem Haushalt lebenden Kindes Fr. 1'472.05 im Monat. Selbst wenn man daran festhält, dass es kein "absolutes" Existenzminimum gibt, fällt bei diesem geringen Betrag jeder Franken mehr oder weniger, über welchen der Schuldner verfügen kann, ins Gewicht - demnach auch die festgestellte Differenz von Fr. 53.05. Sodann ist an den Wortlaut von
Art. 93 SchKG
zu erinnern, der klar sagt, dass Lohnguthaben des Schuldners nur soweit gepfändet werden können, als sie nicht für den Schuldner und seine Familie unumgänglich notwendig sind. Auch die Angehörigen aus erster Ehe, die Anspruch auf Unterhaltsbeiträge haben, gehören zur (weiteren) Familie des Schuldners und können gerade darum den Eingriff in das Existenzminimum verlangen. Es geht aber nicht an, dass die Angehörigen aus erster Ehe gegenüber den Angehörigen der zweiten Ehe bevorzugt werden (oder umgekehrt); vielmehr müssen die Familienmitglieder beider Seiten im gleichen Verhältnis Einschränkungen auf sich nehmen, wenn der Lohn des Schuldners nicht den Notbedarf der ganzen Familie mit Einschluss jenes der Alimentengläubiger deckt (
BGE 68 III 28
). Daher hätte die Vorinstanz die Pfändungsurkunden vom 25. Januar 1983 und 20. Juli 1983 dahingehend abändern sollen, dass die Lohnpfändung auf Fr. 377.95 festgesetzt worden wäre, soweit diese den Zeitraum vor dem 1. September 1983 erfasst.
d) Grundsätzlich richtig ist hingegen der Entscheid der Schuldbetreibungs- und Konkurskommission des Obergerichts des Kantons Aargau, insoweit er die mit Pfändungsurkunde vom 13. Oktober 1983 verfügte Lohnpfändung für den Zeitraum nach dem 1. September 1983 neu mit Fr. 228.30 festsetzt.
Nach der für das Bundesgericht verbindlichen Feststellung der kantonalen Behörde ist der Sohn R. Ende August 1983 volljährig geworden und seither in der Lage, durch Erwerbseinkommen seinen eigenen Lebensunterhalt zu bestreiten. Nun darf aber nach ständiger Rechtsprechung nur in den Notbedarf des Schuldners eingegriffen werden, wenn der Gläubiger zur Deckung seines eigenen
BGE 111 III 13 S. 18
Notbedarfs auf die Beiträge des Schuldners angewiesen ist (
BGE 106 III 19
, 105 III 55 E. 5,
BGE 68 III 106
; AMONN, a.a.O., S. 185; FRITZSCHE/WALDER, a.a.O., S. 339, Anm. 97). Wenn und soweit der Gläubiger über andere Mittel verfügt, kann nicht in den Notbedarf des Schuldners eingegriffen werden; das heisst, es ist nur die Pfändung bis zum Existenzminimum zulässig. Massgeblicher Zeitpunkt für die Beurteilung der Frage, ob und wieweit der Unterhaltsberechtigte auf die Beiträge des Schuldners angewiesen sei, ist der Tag des Pfändungsvollzugs. Bei der Lohnpfändung muss die wirtschaftliche Lage von Gläubiger und Schuldner im Augenblick, wo die einzelnen Löhne fällig werden, betrachtet werden. Deshalb kann, wenn seit dem Pfändungsvollzug beim unterhaltsberechtigten Gläubiger Veränderungen des Einkommens eingetreten sind, so dass er zur Deckung seines eigenen Existenzminimums nicht mehr auf die Zahlungen des Schuldners angewiesen ist, der Schuldner eine neue Berechnung der pfändbaren Quote verlangen (
BGE 72 III 95
f.).
Entscheidend dafür, dass die Pfändungsurkunden vom 25. Januar 1983 und 20. Juli 1983 zu korrigieren sind, ist nun etwa nicht die Volljährigkeit des Sohnes R. an sich, sondern der Umstand, dass er im Augenblick, wo er volljährig geworden ist, seinen Lebensunterhalt aus eigenen Mitteln zu bestreiten vermag (vgl.
Art. 277 ZGB
). Damit verliert er nach dem vorstehend Gesagten die Berechtigung, durch Lohnpfändung in das Existenzminimum des unterhaltspflichtigen Vaters einzugreifen.
Hiezu an sich berechtigt ist demgegenüber die Tochter K., wobei von einem Notbedarf für diese auszugehen ist, wie wenn sie Lebensunterhalt in der Familie des Schuldners hätte. Ihr Existenzminimum ist von der kantonalen Behörde für die Zeit nach dem 1. September 1983, wo die elterliche Unterhaltspflicht gegenüber dem erwerbsfähig gewordenen Sohn R. entfällt, auf Fr. 340.-- festgesetzt worden. Das führt nach der oben E. b eingeführten Formel zu folgender Rechnung:
(1'850.-- x 340.--)/(2'414.85 + 340.--) = Fr. 228.30
Insofern erweist sich die Berechnung, welche die Vorinstanz angestellt hat, als richtig.
6.
Nun macht aber der Rekurrent zur Begründung seines Antrags, die Pfändungen vom 25. Januar, 20. Juli und 13. Oktober 1983 seien nichtig zu erklären, geltend, die unterhaltsberechtigten
BGE 111 III 13 S. 19
Gläubiger hätten zu keinem Zeitpunkt in seinen Notbedarf eingreifen dürfen, weil sie während der ganzen Dauer des Betreibungsverfahrens auf die Unterhaltsbeiträge zur Deckung ihres eigenen Existenzminimums nicht angewiesen gewesen seien.
a) Diese Argumentation kann sich auf die oben E. 5 zitierte Rechtsprechung stützen. Obwohl zu vermuten ist, dass bei richterlich zugesprochenen Unterhaltsbeiträgen der Gläubiger auf diese angewiesen ist, müssen die Betreibungsbehörden bei der Ermittlung des pfändbaren Einkommens von Amtes wegen abklären, ob dies auch tatsächlich zutrifft (
BGE 105 III 55
E. 5).
b) Soweit der Rekurrent mit neuen Vorbringen darzutun versucht, dass Dritte - namentlich die Mutter und deren zweiter Ehemann - für den Lebensunterhalt der rentenberechtigten Gläubiger aufkommen, kann darauf nicht eingetreten werden (
Art. 79 Abs. 1 Satz 2 OG
). Der Rekurrent behauptet nicht, dass die Feststellungen, welche die letzte kantonale Instanz bezüglich der für die Ermittlung des pfändbaren Einkommens massgeblichen Verhältnisse getroffen hat, auf offensichtlichem Versehen beruhten oder unter Verletzung bundesrechtlicher Beweisvorschriften zustande gekommen wären (Art. 63 Abs. 2 in Verbindung mit
Art. 81 OG
).
c) In das Existenzminimum nicht mehr eingegriffen werden darf, wenn der Gläubiger seinen Notbedarf aus anderen Mitteln als den Unterhaltsbeiträgen des Schuldners decken kann, so durch Arbeitseinkommen (
BGE 105 III 55
E. 5), bei Wiederverheiratung der geschiedenen Frau, welche ihr Anspruch auf Unterhalt gemäss
Art. 160 Abs. 2 ZGB
gibt (
BGE 72 III 95
), oder wenn die Mutter der alimentenberechtigten Kinder eine Erbschaft angetreten hat, aus welcher sie deren Lebensunterhalt bestreiten kann (
BGE 68 III 105
f.).
d) Im vorliegenden Fall steht fest, dass die Kinder Anspruch auf Unterhalt durch die Mutter haben, welche die elterliche Gewalt ausübt (
Art. 276 ff. ZGB
). Wie bereits oben E. 5d festgestellt, entfällt dieser Anspruch für den Sohn R., der sich nicht mehr in Ausbildung befindet, vom Augenblick seiner Volljährigkeit an.
Die Mutter verfügt nach der für das Bundesgericht verbindlichen Feststellung der Vorinstanz weder über eigenes Einkommen noch über eigenes Vermögen. Sie trägt zum Unterhalt ihrer Kinder aus erster Ehe dadurch bei, dass sie diese in die Familie ihres zweiten Gatten aufgenommen hat. Die kantonale Behörde ist der
BGE 111 III 13 S. 20
Meinung, dass die Mutter durch die Pflege und Erziehung der Kinder ihren eigenen Unterhaltsverpflichtungen bereits nachkomme und nicht verpflichtet sei, die Unterhaltslast des Rekurrenten ganz oder teilweise selbst zu tragen. Auch hält sie dafür, der jetzige Ehemann sei in keiner Weise zur Bezahlung des Unterhalts an die Kinder verpflichtet.
e) Der Überlegung der Vorinstanz kann in dieser absoluten Form indessen nicht gefolgt werden. Richtig ist an sich, dass der jetzige Ehemann gegenüber den Kindern aus erster Ehe nicht unterhaltspflichtig ist. Jedoch muss er seiner Ehefrau in der Erfüllung der Unterhaltspflicht gegenüber den Kindern R. und K. in angemessener Weise beistehen (
Art. 278 Abs. 2 ZGB
;
BGE 108 II 277
).
Angesichts dessen, dass die Alimentengläubiger R. und K. im Hause des zweiten Ehemannes ihrer Mutter Pflege und Erziehung bekommen und dass nach dem Gesetz der heutige Gatte gegenüber ihrer Mutter zu Beistand verpflichtet ist, lässt sich nicht behaupten, dass sie zur Deckung ihres Notbedarfs auf die Unterhaltsbeiträge des Rekurrenten angewiesen seien. Dieser Notbedarf der Kinder aus erster Ehe beträgt, wie oben E. 5c festgestellt, Fr. 620.-- für die Zeit vor dem 1. September 1983 und Fr. 340.-- für die Zeit nachher. Er lässt sich aus anderen Mitteln als aus den Beiträgen des Rekurrenten, wofür in dessen Existenzminimum eingegriffen werden müsste, decken. Infolgedessen ist die Lohnpfändung nur bis zum Notbedarf des Rekurrenten zulässig (der im vorliegenden Fall durch das Einkommen des Schuldners vorweg unterschritten wird).
7.
In einem Fall wie dem hier zu beurteilenden, wo die dem Schuldner zur Verfügung stehenden Mittel kaum ausreichen, um sich und seine Familie - zweite Ehefrau und Kind - durchzubringen, verstösst jede Zwangsvollstreckung, die nicht durch unerträgliche und unabwendbare Not auf seiten der Gläubiger eindeutig gerechtfertigt ist, gegen die Grundsätze der Menschlichkeit und ist daher nichtig (
BGE 97 III 11
E. 2).
Als nichtig zu betrachten sind nicht nur die Pfändungen vom 25. Januar und 20. Juli 1983, sondern auch die korrigierte Pfändung vom 13. Oktober 1983. Seit 1. September 1983, auf welches Datum hin die Lohnpfändung durch das Betreibungsamt neu festgesetzt wurde, erhält nämlich auch die Tochter K. den lebensnotwendigen Unterhalt von ihrer Mutter, die - wie oben E. 6e dargelegt - mit dem Beistand ihres jetzigen Ehemannes rechnen kann.
BGE 111 III 13 S. 21
Die Alimentengläubiger sind, zur Deckung ihres Notbedarfs, nicht auf die Beiträge des betriebenen Rekurrenten angewiesen. | null | nan | de | 1,985 | CH_BGE | CH_BGE_005 | CH | Federation |
7cb5a5b0-ee43-440b-8a4c-e7a98ad10ede | Urteilskopf
120 II 34
9. Extrait de l'arrêt de la Ire Cour civile du 12 janvier 1994 dans la cause J. SA contre D. SA et X. (recours en réforme) | Regeste
Art. 111 und 402 Abs. 1 OR
; Pflichten des Auftraggebers gegenüber dem Beauftragten, welcher durch ein Versprechen der Leistung eines Dritten gebunden ist.
Die Befreiung des Beauftragten von der Schadenersatzpflicht aus einem Vertrag zu Lasten eines Dritten zählt zu den Verpflichtungen des Auftraggebers gemäss
Art. 402 Abs. 1 OR
. | Erwägungen
ab Seite 34
BGE 120 II 34 S. 34
Extrait des considérants:
6.
d) La défenderesse allègue que l'arrêt attaqué viole l'art. 402 CO. Ce moyen est tiré de la reprise du contrat de gérance par l'appelée en cause.
Le porte-fort (art. 111 CO) n'est pas une promesse pour autrui mais du fait d'autrui. Il s'agit d'une dette que le garant contracte en son nom et pour son propre compte, sans effet à l'égard du tiers, qu'il ne rend pas débiteur (SCYBOZ, Le contrat de garantie et le cautionnement,
BGE 120 II 34 S. 35
in Traité de droit privé suisse, vol. VII/2, p. 16). En règle générale, rien ne lie légalement le tiers, en l'espèce l'ancien propriétaire, au garant, qui ne possède dès lors aucun recours. Mais si le garant se porte fort à raison d'un rapport juridique particulier avec le tiers, par exemple en vertu d'un mandat, ce rapport peut ouvrir, le cas échéant, la voie à un recours (SCYBOZ, op.cit., p. 22).
Il en découle que, lorsqu'un mandataire s'est porté fort dans le cadre de l'exercice de son mandat, l'art. 402 CO trouve application (ENGEL, Traité des obligations en droit suisse, p. 296). Cette disposition oblige le mandant à rembourser au mandataire les avances et frais que celui-ci a faits pour l'exécution régulière du mandat et à le libérer des obligations qu'il a contractées (art. 402 al. 1 CO). Par obligations, il faut entendre celles que le mandataire contracte en son propre nom à l'égard d'un tiers mais dans l'intérêt du mandant (FELLMANN, Commentaire bernois, n. 88 ad art. 402 CO). Même si le porte-fort ne figure pas au nombre des exemples donnés par cet auteur (op.cit., n. 89), il constitue aussi une obligation de cette nature (ENGEL, ibid.; ENGEL, Contrats de droit suisse, p. 456)... | public_law | nan | fr | 1,994 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
7cb5e77d-4589-4a2c-b687-a16838180d69 | Urteilskopf
104 IV 192
44. Auszug aus dem Urteil des Kassationshofes vom 27. September 1978 i.S. R. gegen Staatsanwaltschaft des Kantons Schwyz | Regeste
Art. 35 Abs. 2 SVG
,
Art. 10 Abs. 2 VRV
.
Der von einem Automobilisten nach einem Überholmanöver beim Einbiegen auf das überholte und das voranfahrende Fahrzeug einzuhaltende Abstand hängt von den Geschwindigkeiten der beteiligten Fahrzeuge, aber auch von den Strassen- und Sichtverhältnissen im konkreten Fall ab (E. 2).
Art. 35 Abs. 7 SVG
.
Dem sich ankündigenden, schneller fahrenden Fahrzeuglenker ist die Strasse selbst dann zum Überholen freizugeben, wenn dieser das Überholmanöver nur unter Überschreitung der Höchstgeschwindigkeit durchführen kann (E. 4). | Erwägungen
ab Seite 193
BGE 104 IV 192 S. 193
Aus den Erwägungen:
2.
Nach verbindlicher Feststellung der Vorinstanz fuhr der Beschwerdeführer mit einer Geschwindigkeit von durchschnittlich 130 km/h rund 17 km auf der Überholspur der Autobahn N 3, obwohl er von mindestens einem Fahrzeuglenker aufgefordert wurde, die Fahrbahn freizugeben. Gegen die deswegen in Anwendung von
Art. 35 Abs. 7 SVG
erfolgte Verurteilung wendet der Beschwerdeführer ein, er habe während der ganzen 17 km keine Gelegenheit gehabt, ohne Gefährdung anderer Verkehrsteilnehmer in die mit 80-100 km/h auf der Normalspur fahrende "lockere Kolonne" einzubiegen.
a) Diesen bereits von der Vorinstanz zu beurteilenden Einwand wies die 2. Rekurskammer des Kantonsgerichts Schwyz u.a. mit der Begründung zurück, er widerspreche jeder Lebenserfahrung. Nach ständiger Rechtsprechung ist die Richtigkeit einer Folgerung aus der allgemeinen Lebenserfahrung vom Bundesgericht frei überprüfbar (
BGE 99 IV 74
,
BGE 88 II 469
; vgl. auch
BGE 103 IV 113
). Aus diesem Grunde steht einer nochmaligen Überprüfung des von der Vorinstanz zurückgewiesenen und nun in der Nichtigkeitsbeschwerde erneut vorgebrachten Einwandes durch den Kassationshof nichts im Wege.
Gewiss kann es vorkommen, dass über längere Strecken ein Einbiegen auf die Normalspur ohne Behinderung anderer Fahrzeugführer unmöglich ist. Das ist insbesondere dann denkbar, wenn wie beim Rückreiseverkehr von Sportanlässen und andern Grossveranstaltungen eine Vielzahl von Automobilisten in verhältnismässig kurzer Zeit die gleichen Strassen befahren. Davon ist jedoch im vorliegenden Fall nicht die Rede. Nach verbindlicher Feststellung der Vorinstanz fuhr auf der Normalspur eine "lockere Kolonne", in welcher sich die Fahrzeuge mit Abständen von 30-100 m und mehr vorwärts bewegten. Auf der Überholspur befanden sich nur vereinzelte Fahrzeuge und nicht etwa auch eine Kolonne, wie sie sich bei stärkerem Verkehr bildet. Nach der automatischen Frequenzzählung herrschte "schwacher Verkehr".
In Anbetracht dieser Verhältnisse kann mit der Vorinstanz ohne Bedenken festgestellt werden, nach allgemeiner Erfahrung finde ein mit durchschnittlich 130 km/h fahrender Automobilist auf einer Fahrstrecke von 17 km wiederholt Gelegenheit, gefahrlos in eine mit 80-100 km/h fahrende lockere Kolonne auf der Normalspur einzubiegen.
BGE 104 IV 192 S. 194
b) Die Vorinstanz hat sich nicht mit diesem Erfahrungsschluss begnügt, sondern auf Grund der vom Beschwerdeführer selbst anerkannten Tatsachen wie der Geschwindigkeit und der Abstände der überholten Autos festgestellt, er hätte mehrfach ohne Gefährdung anderer Automobilisten nach rechts in die langsamere Kolonne gelangen können. Der Beschwerdeführer wendet ein, auch Abstände von 100 m und etwas darüber hätten nicht ausgereicht; es wäre zu ungenügenden Sicherheitsabständen gekommen.
Die Feststellungen der Vorinstanz sind teilweise tatsächlicher Natur und insoweit für den Kassationshof verbindlich (
Art. 277bis Abs. 1 BStP
). Zu prüfen ist nur, ob das Kantonsgericht von unzutreffenden Überlegungen oder einem unrichtigen Begriff der Gefährdung und Behinderung ausgegangen ist.
Welche Abstände auf der Fahrt und insbesondere beim Einbiegen in eine Kolonne nach dem Überholen anderer Fahrzeuge einzuhalten sind, lässt sich nicht in genauen Zahlen ausdrücken. Die Strassenverkehrsordnung verlangt vom Fahrzeugführer, er müsse "ohne Behinderung" anderer Automobilisten wieder einbiegen können (
Art. 35 Abs. 2 SVG
) und fordert ihn auf, wieder auf die Normalspur zu wechseln, sobald für den überholten Strassenbenützer "keine Gefahr" mehr bestehe (
Art. 10 Abs. 2 VRV
). Die Abstände, die diesen Anforderungen entsprechen und deshalb von den Fahrzeuglenkern einzuhalten sind, hängen demnach von den Geschwindigkeiten der beteiligten Fahrzeuge, aber auch von den Strassen- und Sichtverhältnissen im konkreten Fall ab. Bei Tag und auf trockener, ebener Strasse wird regelmässig im Verhältnis zwischen Personenwagen ein Abstand von halb so viel Metern, als die Geschwindigkeit in Kilometern beträgt ("halber Tacho"), genügen. Diese Distanz entspricht ungefähr der Anhaltestrecke bei plötzlichem ordnungsgemässem Bremsen und Anhalten des vorausfahrenden Wagens. Die Vorinstanz stellte bei ihrem Urteil auf diese Faustregel ab. Sie hat damit kein Bundesrecht verletzt.
Sie hat sich auch zum Einbiegemanöver selbst durchaus richtig geäussert. Der Beschwerdeführer hätte, nachdem er einen Wagen vor einer der grösseren Lücken mit etwa 130 km/h überholt hatte, seine Geschwindigkeit so herabsetzen sollen, dass er kurz vor der Mitte dieser Lücke die Kolonnengeschwindigkeit von 80-100 km/h erreicht hätte. Zu Recht stellt die
BGE 104 IV 192 S. 195
Vorinstanz fest, dass er dann unter Einhaltung eines genügenden Abstandes nach hinten und nach vorn und ohne die Lenker des ihm voranfahrenden und des überholten Wagens im geringsten zu behindern (vgl.
BGE 100 IV 80
), auf die Normalspur hätte zurückwechseln können.
4.
Ebenfalls ohne Rechtsverletzung weist die Vorinstanz darauf hin, dass ein Fahrzeugführer - sofern das ohne Gefährdung der auf der Normalspur fahrenden Automobilisten möglich ist - einem sich ankündigenden schneller fahrenden Wagen die Strasse selbst dann zum Überholen freigeben muss, wenn er nach seiner Meinung mit der zulässigen Höchstgeschwindigkeit fährt und der Überholende nur unter Überschreitung der Höchstgeschwindigkeit an ihm vorbeifahren kann. Es kann richtigerweise nicht dem Urteil jedes Automobilisten überlassen bleiben, ob ein anderer Fahrzeuglenker, der ihn zu überholen wünscht, korrekt oder zu schnell fährt. Das wäre schon deshalb verfehlt, weil viele Geschwindigkeitsmesser vorgehen, so dass jemand mit 130 km/h zu fahren glaubt, während es tatsächlich nur 115-120 km/h sind. Da der Beschwerdeführer demnach sowohl die Gelegenheit wie die Pflicht gehabt hätte, dem ihm mit der Lichthupe Zeichen gebenden M. die Überholspur freizugeben, diese aber trotzdem über eine Strecke von 17 km nicht verliess, erfolgte seine Verurteilung wegen Verletzung von
Art. 35 Abs. 7 SVG
zu Recht.
Dispositiv
Demnach erkennt das Bundesgericht:
Die Nichtigkeitsbeschwerde wird abgewiesen, soweit darauf einzutreten ist. | null | nan | de | 1,978 | CH_BGE | CH_BGE_006 | CH | Federation |
7cb6c722-47eb-4d9d-ac5d-2d692d1449f1 | Urteilskopf
112 Ib 183
33. Extrait de l'arrêt de la IIe Cour de droit public du 2 septembre 1986 dans la cause Maison G. Sprl contre Direction générale des douanes (recours de droit administratif) | Regeste
Verordnung vom 12. September 1984 über die Schwerverkehrsabgabe.
Direkte Anwendbarkeit des Art. 7 des Zusatzprotokolls zum Abkommen zwischen dem Schweiz. Bundesrat und der Regierung des Königreichs Belgien über die internationalen Beförderungen auf der Strasse vom 25. Februar 1975? (E. 2).
Die Abgabe auf dem Schwerverkehr bewirkt keine Rechtsungleichheit (E. 3).
Umfang des der Oberzolldirektion gemäss Art. 3 Abs. 2 der Verordnung zustehenden Beurteilungsraumes (E. 4). | Sachverhalt
ab Seite 184
BGE 112 Ib 183 S. 184
Le 23 mai 1985, l'Inspectorat de douane de Chiasso-Strada a soumis à la redevance sur le trafic des poids lourds deux camions de la Maison G. Sprl, immatriculés en Belgique et chacun d'un poids total supérieur à 19 tonnes. La somme réclamée à ce titre s'est élevée à 15 fr. par véhicule, ce qui correspond à la redevance minimale pour une entrée en Suisse limitée à un jour.
Statuant sur recours, la Direction générale des douanes a confirmé, le 8 octobre 1985, les décisions de taxation en constatant que, dans la mesure où elle consiste en un droit d'utilisation du réseau routier, la redevance en cause respecte pleinement le droit international en vigueur.
La société belge propriétaire des camions a saisi le Tribunal fédéral d'un recours de droit administratif visant à obtenir l'annulation de la décision rendue le 8 octobre 1985. A l'appui de ses conclusions, elle soutient que les motifs retenus dans la décision entreprise reposent sur une qualification erronée de la taxe - qui serait un impôt et non pas un droit d'utilisation des routes -, que la perception de la redevance telle qu'aménagée par l'ordonnance du 12 septembre 1984 réglant la redevance sur le trafic des poids lourds (RS 741.71; ci-après OTPL) est discriminatoire et qu'elle entraîne en outre la violation de plusieurs accords internationaux conclus par la Suisse. Le Tribunal fédéral a rejeté le recours.
Erwägungen
Extrait des considérants:
2.
a) Les traités internationaux valablement conclus lient la Suisse dès l'échange des instruments de ratification et s'incorporent au droit fédéral. Pour autant qu'elles apparaissent directement applicables, les règles conventionnelles sont susceptibles d'imposer des obligations et de conférer des droits non seulement aux autorités, mais également aux particuliers. Ainsi, un citoyen peut invoquer un traité devant l'administration et les tribunaux si celui-ci pose des règles de droit suffisamment précises et claires pour s'appliquer comme telles à un cas d'espèce et constituer le
BGE 112 Ib 183 S. 185
fondement d'une décision concrète. Tel n'est pas le cas d'une disposition qui énonce un programme ou fixe les lignes directrices dont devra s'inspirer la législation des Etats contractants et qui s'adresse non aux autorités administratives ou judiciaires, mais au législateur national. L'applicabilité directe doit également être déniée aux normes qui se bornent à esquisser la réglementation d'une matière ou aménagent un pouvoir d'appréciation considérable (
ATF 106 Ib 187
ss,
ATF 105 II 57
,
ATF 100 Ib 230
; MÜLLER/WILDHABER, Praxis des Völkerrechts, 2e éd., Berne 1982, p. 116 ss; KOLLER, Die unmittelbare Anwendbarkeit völkerrechtlicher Verträge, Berne 1971, p. 71/72; CHOFFAT, L'applicabilité directe de l'Accord de libre-échange du 22 juillet 1972 entre la CEE et la Confédération suisse, thèse Lausanne 1977, p. 106 ss). Enfin, pour qu'un particulier puisse se prévaloir d'une convention internationale, il est encore impératif qu'une éventuelle violation de la règle conventionnelle soit à même d'entraîner une conséquence quelconque affectant la situation de l'intéressé; cette condition exclut, dès lors, la possibilité d'invoquer les dispositions d'un accord international, qui se limitent à permettre la constatation d'un comportement contraire au traité et, le cas échéant, l'ouverture de négociations, sans qu'une sanction soit prévue, hormis, éventuellement, celles qui sont propres aux rapports juridiques entre sujets de droit international (
ATF 104 IV 179
/180).
b) Le 25 février 1975, le Conseil fédéral a conclu avec le Gouvernement du Royaume de Belgique un Accord relatif aux transports internationaux par route (RO 1975 II 1442, RS 0.741.619.172). Réglant principalement le système des autorisations pour le transport de marchandises et de personnes, ce traité ne contient aucun engagement des Parties contractantes à ne pas percevoir de taxe sur le trafic des poids lourds empruntant leur réseau routier. Cette question est toutefois abordée indirectement par le biais des modalités d'application de la convention contenues dans un protocole annexe conclu en application de l'art. 9 de l'Accord. Réglant cette matière, l'art. 7 du Protocole a la teneur suivante:
"La législation suisse actuelle n'assujettit à aucun droit ou taxe de
transport ou de circulation les transporteurs belges effectuant en Suisse
des transports régis par les dispositions de l'accord au moyen de
véhicules immatriculés en Belgique. Par réciprocité, la Belgique accorde
l'exonération de la taxe de circulation sur les véhicules et de la taxe
BGE 112 Ib 183 S. 186
quotidienne de séjour aux transporteurs suisses qui effectuent sur
le territoire de la Belgique des transports régis par l'accord au moyen de
véhicules immatriculés en Suisse. Il est précisé que la législation belge
actuelle accorde l'exonération de la taxe sur la valeur ajoutée pour les
transports internationaux routiers de marchandises.
Demeure réservée la perception d'émoluments de concession et la taxe
sur la valeur ajoutée frappant les transports rémunérés de personnes ainsi
que, le cas échéant, de droits pour les routes, ponts, tunnels et pour
autoriser des dérogations à la législation sur la circulation routière
telles que le dépassement des poids, des dimensions des véhicules ou les
interdictions de circuler le dimanche."
Selon les termes clairs de cette disposition, les parties à la convention ont désiré instituer un système d'exonération des droits et taxes de transport ou de circulation en se fondant exclusivement sur le principe de la réciprocité. Dès lors, après avoir exposé à l'al. 1 la situation juridique prévalant au moment de la conclusion de l'Accord - ce qui est souligné par l'utilisation de l'expression "législation actuelle" -, les deux Etats ont déterminé à l'al. 2 les conditions dans lesquelles un traitement équilibré des transporteurs nationaux sera maintenu, certains émoluments, taxes et droits pouvant être perçus sans provoquer une rupture de l'équilibre organisé par le traité. Il s'ensuit qu'une éventuelle violation de cette disposition n'entraîne aucune conséquence susceptible d'être invoquée par un particulier, mais libère l'autre partie contractante des obligations imposées par la règle de la réciprocité.
C'est donc en vain que la recourante tente de démontrer que la taxe prélevée sur ses camions serait contraire au Protocole du 25 février 1975. Même si son allégation devait se révéler correcte - ce qui n'est pas établi -, elle ne pourrait pas s'en prévaloir pour obtenir l'annulation de la décision attaquée; une sanction du non-respect de la disposition conventionnelle ne pourrait se situer qu'au niveau international et dans ce cas, il appartiendrait à l'Etat cocontractant de prendre les mesures qu'il jugerait alors nécessaires. Dans ces conditions, l'applicabilité directe de la règle faisant défaut, le grief de violation de l'art. 7 du Protocole du 25 février 1975 doit être rejeté.
3.
Estimant que la taxe litigieuse constitue en réalité un impôt, la recourante prétend que celui-ci est discriminatoire et viole certains traités internationaux - autres que l'Accord du 25 février 1975 examiné précédemment -, ratifiés par la Suisse, sur la libre circulation des personnes et des biens.
BGE 112 Ib 183 S. 187
a) Il convient tout d'abord de relever que la nature juridique exacte de la redevance sur le trafic des poids lourds importe peu en l'espèce; le sort du présent litige demeure en effet identique quelle que soit la qualification retenue. Dès lors, la question de savoir si la redevance constitue un impôt ou une taxe d'utilisation des routes peut rester indécise.
b) La notion d'impôt ou de taxe discriminatoire suppose, pour le moins, l'existence d'une inégalité de traitement sensible entre deux catégories de personnes assujetties, soit, en l'occurrence, entre les détenteurs de véhicules étrangers et indigènes. Or, selon les art. 7 à 15 OTPL, les transporteurs suisses sont soumis au paiement de la redevance au même titre que leurs collègues belges, de sorte que le principe de la taxation ne consacre en lui-même aucun traitement discriminatoire des véhicules étrangers.
A cet égard, le fait que les détenteurs d'un poids lourd belge soient assujettis dans leur pays d'origine à un impôt sur les véhicules à moteur ne permet pas d'inférer que la taxe les frappe de manière particulière dès l'instant où les routiers suisses s'acquittent également d'un impôt analogue en plus de la redevance sur le trafic des poids lourds. En réalité, en formulant ce grief, la recourante ne conteste pas le caractère prétendument discriminatoire de la taxe, mais critique une éventuelle double imposition des transporteurs belges; un tel moyen, toutefois, ne peut être soulevé que dans la mesure où une convention internationale directement applicable prohibe la taxation. Or, tant les traités internationaux invoqués par la recourante (cf. ci-dessous consid. 3c) que l'Accord de double imposition conclu avec le Royaume de Belgique le 28 août 1978 (FF 1980 p. 1456, RS 0.672.917.21), qui ne concerne que les impôts sur la fortune et le revenu, n'interdisent pas la perception de la redevance.
Le principe de la taxation échappant ainsi à la critique, reste à examiner si le taux appliqué aux camions de la recourante concrétise une discrimination des transporteurs étrangers.
Appliquant correctement l'
art. 19 al. 4 lettre a OTPL
, l'autorité douanière a exigé le paiement de 15 fr. par camion, ce qui correspond au minimum dû pour un véhicule soumis à la redevance. Comparant ce montant à la somme réclamée à un camionneur suisse détenteur d'un poids lourd comparable taxé à l'année, la recourante prétend que le transporteur étranger doit payer 5 fr. de plus que son homologue indigène, injustement
BGE 112 Ib 183 S. 188
favorisé et à qui il ne serait proportionnellement demandé qu'une somme de 10 fr. par jour (3'000 fr. : 300 jours).
Le calcul qu'opère la recourante pour arriver à ce résultat se fonde cependant sur des prémisses erronées. Contrairement à ce qu'elle admet, un camion ne circule pas chaque jour ouvrable; les contingences liées à la maintenance et à la réparation du véhicule, de même que celles découlant de la disponibilité des chauffeurs (vacances, maladies), immobilisent les poids lourds une partie non négligeable de l'année et l'on peut, sans risque de se tromper, estimer à 200, voire à 220 jours la durée moyenne d'utilisation d'un véhicule par an (cf. Statistiques de la Suisse/578e fascicule, tableau No 52 selon lequel les 4080 véhicules de plus de 19 tonnes immatriculés en Suisse présentent une durée d'utilisation des routes de 5,25 millions d'heures par année ou 1287 heures par véhicule; A. MEYER, Die betriebswirtschaftlichen Kosten der Strassentransporte, NZZ du 21 janvier 1986, p. 16). Il s'ensuit, compte tenu de l'approximation imposée nécessairement par ce genre d'appréciation, que la redevance journalière minimale demandée pour un véhicule de plus de 19 tonnes correspond, proportionnellement, à celle qui est réclamée à l'année pour un poids lourd de même catégorie.
Au surplus, même si l'on devait accepter les allégations de la recourante et retenir une différence de taxe de 5 fr., cette situation ne suffirait pas à établir l'existence d'un traitement discriminatoire. La légère distorsion entre les montants perçus serait en effet justifiée par une différence objective: les frais administratifs occasionnés lors de chaque passage taxé à la journée se révèlent comparativement plus élevés que ceux engendrés par une taxation unique à l'année. Dans ces circonstances, en s'appuyant sur l'art. 17 al. 3 Disp. trans. Cst., qui impose expressément au Conseil fédéral de prendre en considération le coût de la perception, l'autorité pourrait à bon droit exiger que celui qui provoque l'activité administrative spéciale en assume le paiement. Comme, en outre, le supplément à verser n'entraînerait qu'une augmentation négligeable de la taxe par rapport à ce que doivent verser les autres transporteurs non soumis au minimum, le surplus en cause ne saurait être discriminatoire.
Enfin, il importe de souligner que, dans le cas de la taxation pour une année entière - soit dans la seule situation où une comparaison directe entre transporteurs suisses et étrangers se révèle possible -, les routiers belges et suisses s'acquittent de
BGE 112 Ib 183 S. 189
montants strictement identiques, excluant tout élément discriminatoire.
En conséquence, le grief relatif à une inégalité de traitement ne peut être que rejeté, étant entendu que le même argument appliqué aux autocars n'a pas à être examiné dans le cadre du présent recours, dès lors que la recourante n'a pas été taxée à ce titre.
c) Finalement, l'intéressée tient la décision entreprise pour contraire aux art. 13 et 18 de l'Accord conclu par la Suisse avec la Communauté européenne du 22 juillet 1972 (RO 1972 p. 3169) aux art. V al. 3 et VIII de l'Accord général sur les tarifs et le commerce (GATT; RO 1959 p. 1807) et à l'art. 10 de la Convention instituant l'Association européenne de libre-échange (RO 1960 p. 635).
Dans la mesure où la redevance critiquée n'est pas discriminatoire, sa perception ne provoque pas d'effets indirects comparables à une restriction quantitative des importations prohibée par l'art. 13 de l'Accord conclu avec la Communauté européenne (MALINVERNI, Avis de droit sur la compatibilité de la redevance sur le trafic des poids lourds avec les engagements internationaux contractés par la Suisse, non publié, p. 11; CHOFFAT, op.cit., p. 157). Pour le même motif, aucune violation de l'art. 18 de ce traité ou de la Déclaration commune des Parties contractantes relative aux transports de marchandises en transit (FF 1972 II 952) ne peut être reprochée aux autorités suisses (MALINVERNI, op.cit., p. 11/12; CHOFFAT, op.cit., p. 168).
De plus, s'il n'est pas insoutenable de prétendre que la redevance peut ne pas s'harmoniser avec les objectifs généraux énoncés dans le préambule ou à l'art. 1er de l'Accord, il faut cependant constater que ces dispositions constituent de simples déclarations à caractère de programme et ne contiennent aucune obligation juridique que le juge administratif se doit d'appliquer. S'adressant exclusivement à l'autorité politique, elles ne présentent en l'espèce aucune utilité pour la recourante (cf. CHOFFAT, op.cit. p. 139).
Quant aux deux autres traités, la recourante ne peut s'en prévaloir. En effet, alors que l'Accord général sur les tarifs et le commerce réglemente exclusivement les relations entre Etats et ne peut être invoqué par un particulier (SENTI, GATT, System der Welthandelsordnung, Zurich 1986, p. 45; Long, La place du droit et ses limites dans le système commercial multilatéral du GATT, in Académie de droit international, Recueil des cours, t. 182, p. 83), la Convention instituant l'Association européenne de
BGE 112 Ib 183 S. 190
libre-échange n'est pas applicable en l'occurrence, puisque la Belgique n'est pas partie au traité.
4.
Demeure la question de savoir si la Direction générale des douanes aurait dû autoriser une exception au système de la redevance en vertu de l'
art. 3 al. 2 OTPL
.
Dès l'instant où le Conseil fédéral a expressément édicté à l'
art. 3 al. 1 OTPL
une liste des exceptions à l'assujettissement, la compétence résiduelle octroyée en cette matière à l'autorité intimée par l'
art. 3 al. 2 OTPL
ne peut être que très restreinte; elle se limite strictement aux seuls cas dans lesquels la situation se révèle trop particulière pour justifier son inclusion dans la liste des exceptions de l'al. 1 et ne requiert qu'une décision d'espèce. Si l'on ne peut contester à la Direction générale des douanes la compétence d'exempter de la redevance les véhicules apportant les objets nécessaires au fonctionnement de bureaux de douane étrangers en Suisse conformément aux conventions conclues avec les Etats voisins sur la création de "bureaux à contrôles nationaux juxtaposés" (cf. p.ex. RS 0.631.252.913.690) ou les poids lourds se rendant à Büsingen en vertu du Traité du 23 novembre 1964 sur l'inclusion de la commune de Büsingen am Hochrhein dans le territoire douanier suisse (RO 1967, p. 1251), cette autorité n'a en revanche pas le pouvoir d'exonérer de manière générale tous les véhicules à moteur immatriculés dans un pays déterminé. Considérant que la grande majorité des poids lourds étrangers circulant en Suisse pourrait se prévaloir de conventions internationales du type de celle conclue avec la Belgique - non applicables directement -, une exonération prononcée sur cette base équivaudrait à vider de son sens non seulement la liste d'exceptions de l'
art. 3 al. 1 OTPL
, mais surtout l'article constitutionnel qui, à son al. 4, stipule que la réglementation d'exécution ne devra pas privilégier les véhicules immatriculés à l'étranger au détriment des véhicules suisses.
Dans ces conditions, il apparaît que la Direction générale des douanes n'a commis aucun abus ou excès du pouvoir d'appréciation réservé par l'
art. 3 al. 2 OTPL
en n'accordant pas l'exonération aux véhicules de la recourante. | public_law | nan | fr | 1,986 | CH_BGE | CH_BGE_003 | CH | Federation |
7cbcf87e-4189-42a3-892b-9f7bc2709af7 | Urteilskopf
83 II 409
55. Urteil der I. Zivilabteilung vom 19. November 1957 i.S. Schnurrenberger gegen "Zürich" Unfall- und Haftpflicht-Versicherungs-A.-G. | Regeste
Adäquater Kausalzusammenhang zwischen vorschriftswidrigem Überholen und Zusammenstoss zweier aus der Gegenrichtung kommender Fahrzeuge.
MFG Art. 37 Abs. 2 und 3, MFV Art. 46 Abs. 1 und 3, Art. 48 Abs. 1. | Sachverhalt
ab Seite 409
BGE 83 II 409 S. 409
A.-
Der Kläger Schnurrenberger erlitt am 5. Oktober 1953, 08.15 Uhr, einen Verkehrsunfall, der sich unter den folgenden Umständen zutrug: Der Kläger fuhr mit seinem Motorrad auf der 6 m breiten Kantonsstrasse von Sihlbrugg gegen Baar; er hatte eine Geschwindigkeit von ca. 70 km. Vor ihm her fuhr in einem gewissen Abstand Zollinger mit seinem Personenwagen; dessen Geschwindigkeit betrug ca. 80 km. Aus der entgegengesetzten Richtung kam mit einer Geschwindigkeit von 25-30 km ein von Roth gesteuerter Lastwagen mit Anhänger. Diesem folgte der Personenwagen des englischen Staatsangehörigen Masters mit einer Geschwindigkeit von ca. 45 km. Obwohl Masters in der Ferne den Wagen Zollingers erblickte, begann er den Lastwagen zu überholen. Als Zollinger dies wahrnahm, verlangsamte er seine Fahrt, indem er vo m Gas wegging. Da Masters entgegen der Annahme Zollingers nicht auf das Überholen verzichtete, bremste dieser allmählich. Das ermöglichte es Masters, wieder in die rechte Strassenhälfte einzuschwenken, doch streifte er dabei den Lastwagen des Roth, der sofort stoppte und
BGE 83 II 409 S. 410
nach einer Bremsspur von ca. 5 m zum Stehen kam. Das Geräusch dieses Zusammenstosses veranlasste auch Zollinger, seinen Wagen ganz anzuhalten. Einige Sekunden nachher prallte der Kläger mit seinem Motorrad gegen den Wagen Zollingers und wurde auf die Strasse geschleudert, wobei er sich schwere Verletzungen zuzog.
B.-
Der Kläger machte Masters für den Unfall verantwortlich und belangte die "Zürich" Unfall- und Haftpflichtversicherungs AG als Vertreterin des englischen Versicherers des Masters auf Bezahlung von Fr. 11'280.80 nebst 5% Zins seit 12. August 1954.
Die Beklagte bestritt die Verantwortlichkeit Masters für den Unfall des Klägers.
C.-
Das Kantonsgericht und das Obergericht des Kantons Zug, dieses mit Urteil vom 12. Februar 1957, wiesen die Klage mit der Begründung ab, es fehle an einem rechtserheblichen Kausalzusammenhang zwischen der Fahrweise Masters und dem Unfall des Klägers.
D.-
Mit der vorliegenden Berufung beantragt der Kläger erneut Gutheissung seiner Klage, eventuell Rückweisung der Sache an die Vorinstanz zur Bestimmung des Schadenersatzes.
Die Beklagte beantragt Abweisung der Berufung und Bestätigung des angefochtenen Urteils.
Erwägungen
Das Bundesgericht zieht in Erwägung:
1.
Die Vorinstanz ist auf Grund der im kantonalen Verfahren durchgeführten Beweiserhebungen zum Schlusse gelangt, die ursprüngliche Ursache des dem Kläger zugestossenen Unfalls liege im Verhalten Masters. Damit ist für das Bundesgericht das Vorliegen des natürlichen Kausalzusammenhanges verbindlich festgestellt; denn ob ein Ereignis als Wirkung eines andern zu betrachten sei, ist nach ständiger Rechtsprechung Tatfrage. Vom Bundesgericht überprüfbare Rechtsfrage ist dagegen, ob die beiden Ereignisse zu einander in einem adäquaten Verhältnis stehen und der zwischen ihnen vorhandene ursächliche
BGE 83 II 409 S. 411
Zusammenhang darum auch rechtserheblich sei. Als adäquate Ursache ist nach der Rechtsprechung ein Ereignis dann zu betrachten, wenn es nach dem gewöhnlichen Lauf der Dinge und der allgemeinen Lebenserfahrung an sich geeignet war, den eingetretenen Erfolg herbeizuführen und daher der Eintritt dieses Erfolges durch die betreffende Ursache allgemein als begünstigt erscheint (
BGE 80 II 342
,
BGE 66 II 172
und dort erwähnte Entscheide).
2.
Bei der Beurteilung dieser Frage fällt hier in Betracht, dass das Überholen immer, insbesondere für den Gegenverkehr, eine erhöhte Gefährdung schafft. Es ist nach
Art. 46 Abs. 1 MFV
darum nur gestattet, wenn die dazu erforderliche Strassenstrecke frei und übersichtlich ist und namentlich kein anderes Fahrzeug entgegen kommt; wer überholt, ist nach
Art. 46 Abs. 3 MFV
verpflichtet, besonders vorsichtig zu fahren und auf die andern Strassenbenützer Rücksicht zu nehmen. Diese besondere Vorsichtspflicht gilt in noch erhöhtem Masse auf Durchgangsstrassen, wo allgemein mit hoher Geschwindigkeit gefahren wird und deswegen auch die mit dem Überholen verbundene Gefährdung besonders ausgeprägt ist. Es kann ein scheinbar noch in weiter Ferne befindliches Fahrzeug infolge hoher, von vorne kaum abschätzbarer Geschwindigkeit vor der Beendigung des Überholens so nahe herangelangt sein, dass sein Führer zum Verlangsamen seiner Fahrt gezwungen ist, um einen Zusammenstoss mit dem überholenden Fahrzeug zu vermeiden. Solche Geschwindigkeitsverminderung kann dazu führen, dass das Fahrzeug ins Schleudern gerät und es so zu einem Unfall kommt. Darüber hinaus besteht aber immer die Gefahr, dass der Führer eines nachfolgenden Fahrzeugs durch die Geschwindigkeitsverminderung überrascht wird, infolgedessen unrichtig reagiert oder nicht mehr rechtzeitig zu bremsen vermag und darum in das vordere Fahrzeug hineinfährt; denn es kommt erfahrungsgemäss immer wieder vor, dass der Führer des hinteren Fahrzeugs seiner gesetzlich vorgeschriebenen Pflicht zur Einhaltung eines
BGE 83 II 409 S. 412
genügenden Abstandes (
Art. 48 Abs. 1 MFV
) nicht voll gerecht wird. Mit einem solchen Versagen hat nicht nur der Führer des vorderen Fahrzeugs (
BGE 81 IV 52
), sondern insbesondere auch der Überholende zu rechnen, da er allgemein für den Gegenverkehr eine erhöhte Gefährdung schafft. Die Möglichkeit eines solchen Zusammenstosses liegt daher nicht derart ausserhalb jedes normalen Geschehens, dass damit nicht gerechnet werden müsste und er deshalb zum vorneherein nicht mehr als adäquate Folge des Überholens anzusehen wäre. Aus diesen Erwägungen ist auch im vorliegenden Fall der adäquate Kausalzusammenhang entgegen der Auffassung der Vorinstanz als gegeben anzusehen.
Die Beklagte wendet ein, der Abstand des Klägers vom Wagen Zollingers habe mehr als 100 m betragen, so dass der Kläger bei einiger Aufmerksamkeit noch rechtzeitig hätte anhalten können, zumal Zollinger nicht plötzlich gebremst, sondern seine Geschwindigkeit nur allmählich vermindert habe. Die mangelnde Aufmerksamkeit des Klägers habe daher die massgebliche Unfallursache gebildet und den Kausalzusammenhang zwischen dem Überholen Masters und dem Unfall unterbrochen.
Dieser Einwand ist jedoch schon deshalb unbehelflich, weil nicht feststeht, wie gross der Abstand der beiden Fahrzeuge tatsächlich war. Nach den Ausführungen des angefochtenen Urteils besteht lediglich eine durch verschiedene Indizien gestützte Möglichkeit, dass der Abstand so gross war, wie die Beklagte behauptet. Das reicht nicht aus, um die nach dem Gesagten an sich vorhandene Erheblichkeit des Kausalzusammenhangs zu widerlegen. Es kann deshalb dahingestellt bleiben, ob bei einem Abstand von etwas mehr als 100 m der Unfall des Klägers nicht mehr als adäquate Folge des Verhaltens Masters betrachtet werden könnte.
3.
Von ihrer somit grundsätzlich gegebenen Haftung vermöchte sich die Beklagte nur durch den doppelten Nachweis zu befreien, dass den Kläger ein grobes Selbstverschulden,
BGE 83 II 409 S. 413
den Masters dagegen keinerlei Schuld am Unfall treffe (Art. 37 Abs. 2 MFG). An der zuletzt genannten Voraussetzung fehlt es offensichtlich. Indem Masters trotz des aus der Gegenrichtung herannahenden Wagens Zollingers den Lastwagenzug überholte, verletzte er schuldhaft die für das Überholen geltenden Vorschriften und gefährdete damit nicht nur die unmittelbar beteiligten Fahrzeuge des Zollinger und des Roth, sondern auch den hinter Zollinger fahrenden Kläger.
Dagegen kann der Kläger nicht vollen Ersatz seines Schadens beanspruchen, weil auch ihm ein Verschulden am Unfall zur Last zu legen ist (Art. 37 Abs. 3 MFG). Denn entweder hat er den nach
Art. 48 Abs. 1 MFV
gebotenen Abstand vom Wagen Zollingers nicht eingehalten und darum nicht mehr rechtzeitig bremsen können, als Zollinger verlangsamte und schliesslich ganz anhielt, oder dann hat er es an der nötigen Aufmerksamkeit fehlen lassen und deshalb zu spät bemerkt, dass er in gefährliche Nähe des vordern Wagens gelangt sei. Dass er möglicherweise durch das verkehrswidrige Vorfahren Masters und das Geräusch des Zusammenstosses zwischen dessen Wagen und dem Lastwagen erschreckt wurde und darum in seiner Reaktionsfähigkeit beeinträchtigt war, vermöchte ihn nicht von jedem Verschulden zu entlasten. Bei genügendem Abstand von Zollinger hätte er durch das Vorfahren Masters nicht derart überrascht sein können, dass ihm jede Möglichkeit gefehlt hätte, den Zusammenstoss mit Zollinger zu vermeiden oder doch vermehrt abzuschwächen.
Bei der Abwägung des gegenseitigen Verschuldens fällt zunächst ins Gewicht, dass das Verschulden Masters als schwer bezeichnet werden muss. Obwohl er den aus der Gegenrichtung herannahenden Wagen Zollingers sah, liess er sich nicht vom Überholen des Lastwagens abhalten. Damit verstiess er gröblich gegen die ihm nach
Art. 46 MFV
obliegenden besonderen Sorgfaltspflichten. Sein Verschulden wiegt, verantwortungsmässig betrachtet, schwerer
BGE 83 II 409 S. 414
als das des Klägers, der entweder zu nahe aufgeschlossen fuhr oder, plötzlich vor eine gefährrliche Situation gestellt, fehlerhaft reagierte. Da aber anderseits das Verschulden des Klägers dem Unfall ursächlich näher steht, rechtfertigt sich in Würdigung der gesamten Umstände eine hälftige Verschuldensteilung.
4.
Die Berufung ist deshalb dahin gutzuheissen, dass das angefochtene Urteil aufzuheben und die Sache zur Schadensermittlung und neuer Entscheidung im Sinne der vorstehenden Erwägungen an die Vorinstanz zurückzuweisen ist.
Dispositiv
Demnach erkennt das Bundesgericht:
Die Berufung wird dahin gutgeheissen, dass das Urteil des Obergerichts des Kantons Zug vom 12. Februar 1957 aufgehoben und die Sache zu neuer Entscheidung im Sinne der Erwägungen an die Vorinstanz zurückgewiesen wird. | public_law | nan | de | 1,957 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
7cbda508-6644-4cc6-901d-002ff93c32f8 | Urteilskopf
116 Ia 420
61. Auszug aus dem Urteil der I. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 19. Dezember 1990 i.S. X. gegen Untersuchungsrichterin 7 von Bern, Generalprokurator und Anklagekammer des Obergerichts des Kantons Bern (staatsrechtliche Beschwerde) | Regeste
Persönliche Freiheit; Verhältnismässigkeit der Untersuchungshaft; Hafterstehungsfähigkeit eines drogenabhängigen Aids-Kranken.
1. Kerngehalt der persönlichen Freiheit. Die Tatsache allein, dass ein Untersuchungsgefangener Aids-krank und suizidgefährdet ist, hat im allgemeinen nicht ein derart grosses, absolut wirkendes Gewicht, dass sie von vornherein jedem Haftzweck vorgeht und damit die Entlassung aus der Untersuchungshaft rechtfertigt (E. 3b).
2. Verhältnismässigkeit: Die Abwägung zwischen dem Haftzweck und den Auswirkungen der Haft auf den Betroffenen ergibt, dass im vorliegenden Fall die Untersuchungshaft nicht unverhältnismässig ist (E. 3). | Sachverhalt
ab Seite 421
BGE 116 Ia 420 S. 421
Der drogenabhängige und im vierten Stadium Aids-kranke X. wurde in den vergangenen drei Jahren insgesamt neun Mal verhaftet. Es wurden ihm Beschaffungsdelikte zum Betäubungsmittelerwerb vorgeworfen. Die ersten acht Male wurde er nach jeweils kurzer Zeit mangels Hafterstehungsfähigkeit wieder aus der Haft entlassen. Eine Zeitlang befand er sich wegen Suizidgefahr in der Klinik Waldau, wo am 12. Februar 1990 ein Gutachten erstellt wurde, welches seine Hafterstehungsfähigkeit verneinte. Immer wieder stellte sich die Frage, wie und wo er unterzubringen sei; eine befriedigende Lösung liess sich nicht finden. Seit dem 11. Oktober 1990 ist X. - zum neunten Mal - wieder in Untersuchungshaft im Regionalgefängnis Bern. Die Untersuchungsrichterin 7 von Bern und die Anklagekammer des Obergerichts des Kantons Bern lehnten die Haftentlassung wegen Wiederholungsgefahr ab; sie befürchten, dass im Fall der Freilassung den bisher rund 110 Strafanzeigen innert bloss drei Jahren weitere hinzugefügt würden. Die Aids-Erkrankung von X. dürfe nicht zu einem Freipass für deliktisches Handeln werden. Am 5. und 6. Dezember 1990 wurden zwei medizinische Berichte über die Hafterstehungsfähigkeit von X. erstattet.
Mit staatsrechtlicher Beschwerde vom 28. November 1990 beantragt X., der Entscheid der Anklagekammer des Obergerichts des Kantons Bern sei aufzuheben und diese anzuweisen, seine sofortige Freilassung zu veranlassen. Er macht geltend, da er schwer suizidgefährdet und Aids-krank sei, müsse er aus der Haft entlassen werden. Die Haftbelassung sei unverhältnismässig.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
1.
b) Der Beschwerdeführer macht geltend, der Beschluss, ihn trotz seiner Krankheit und Selbstmordgefährdung in Haft zu belassen, sei willkürlich und stelle eine Rechtsverweigerung dar (
Art. 4 BV
), verletze die persönliche Freiheit, das Recht auf Leben und das Verbot der unmenschlichen Behandlung (
Art. 65 BV
) sowie
Art. 3 EMRK
.
Die persönliche Freiheit steht auch dem Untersuchungsgefangenen zu (
BGE 113 Ia 328
E. 4;
BGE 106 Ia 280
f. E. 3a).
Art. 3 EMRK
gewährt keinen darüber hinausgehenden Schutz (
BGE 113 Ia 328
E. 4); indessen sind der Gehalt von
Art. 3 EMRK
und die diesbezügliche Rechtsprechung für die Konkretisierung der persönlichen Freiheit zu berücksichtigen (
BGE 114 Ia 282
f. E. 3). Das
BGE 116 Ia 420 S. 422
verfassungsmässige Recht auf Leben und das Verbot unmenschlicher Behandlung ruft der Beschwerdeführer vergeblich an; besondere diesbezügliche verfassungsmässige Rechte, die den Bürger über das Recht auf persönliche Freiheit hinaus schützen, sind hier nicht anzuerkennen. Insbesondere gewährt
Art. 65 BV
keinen zusätzlichen Schutz, denn es geht vorliegend weder um ein Todesurteil noch um eine körperliche Strafe. Die Rügen der Rechtsverweigerung und der Willkür (
Art. 4 BV
) sind nachfolgend als Teil der persönlichen Freiheit zu behandeln.
2.
Der Beschwerdeführer ist wegen Wiederholungsgefahr (vgl. Art. 111 Abs. 2 lit. c des Gesetzes über das Strafverfahren des Kantons Bern [StPO/BE) vom 20. Mai 1928] inhaftiert; er anerkennt diesen Haftgrund. Indessen macht er geltend, das psychiatrische Gutachten vom 12. Februar 1990 bezeichne ihn als nicht hafterstehungsfähig. Demnach verletze die Belassung in der Untersuchungshaft die persönliche Freiheit, da sie unverhältnismässig sei.
a) Nach der bundesgerichtlichen Rechtsprechung schützt die persönliche Freiheit als zentrales Freiheitsrecht und verfassungsrechtlicher Leitgrundsatz nicht nur die Bewegungsfreiheit und die körperliche Integrität, sondern darüber hinaus alle Freiheiten, die elementare Erscheinungen der Persönlichkeitsentfaltung darstellen. Sie garantiert ein bestimmtes Mindestmass an persönlicher Entfaltungsmöglichkeit und schützt den Bürger in der ihm eigenen Fähigkeit, eine gewisse tatsächliche Begebenheit zu würdigen und danach zu handeln, ohne dass sie in eine allgemeine Handlungsfreiheit ausuferte (
BGE 115 Ia 246
E. 5a). Im Zusammenhang mit dem Freiheitsentzug wird insbesondere die Menschenwürde durch die persönliche Freiheit geschützt (
BGE 102 Ia 285
;
BGE 99 Ia 272
). Selbstredend gilt die persönliche Freiheit aber nicht absolut. Einschränkungen sind zulässig, soweit sie auf einer hinreichenden gesetzlichen Grundlage beruhen, im öffentlichen Interesse liegen und verhältnismässig sind. Zudem darf die persönliche Freiheit weder völlig unterdrückt noch ihres Gehaltes als Institution der Rechtsordnung entleert werden (
BGE 115 Ia 247
E. b).
b) Offensichtlich ist die Untersuchungshaft geeignet, den Beschwerdeführer vor weiteren Straftaten abzuhalten. Auch bestreitet der Beschwerdeführer in der staatsrechtlichen Beschwerde nicht, dass sie erforderlich sei; mildere Massnahmen wie Schriftensperre, regelmässige persönliche Meldung bei einer Amtsstelle etc. (vgl.
Art. 111a StPO
/BE) oder die Unterbringung in einer geeigneten
BGE 116 Ia 420 S. 423
Anstalt sind weder erfolgversprechend noch realisierbar. Streitig ist einzig, ob zwischen dem Haftgrund und der Haftwirkung ein vernünftiges Verhältnis bestehe.
3.
Der Beschwerdeführer behauptet, die Untersuchungshaft gefährde sein Leben erheblich. Das Regionalgefängnis verfüge nicht über die für die medizinische Betreuung und die Reduzierung der Suizidgefahr geeigneten Einrichtungen. Der Stress des kranken Körpers wegen des Drogenentzugs (epileptische Anfälle), der Mangel längerfristiger Perspektiven zufolge absehbarem Tods an Aids und damit zusammenhängend die akute Suizidgefahr sowie die Bedrohung, dass Mitinsassen ihm lebenswichtige Medikamente wegnehmen, vernichteten seine Existenz.
a) Auf die Untersuchungshaft muss verzichtet werden, wenn ihre Auswirkung auf den Betroffenen in keinem vernünftigen Verhältnis zum Haftzweck stehen. Sie lässt sich umso weniger mit der persönlichen Freiheit und dem Verhältnismässigkeitsprinzip vereinbaren, je geringer das Interesse an der Fortsetzung der Haft ist und je eher der Tod oder eine dauernde, schwere Krankheit die Folge der Untersuchungshaft wäre (vgl.
BGE 113 Ia 328
E. 4;
BGE 108 Ia 71
E. b). Es ist demnach in jedem einzelnen Fall eine Interessenabwägung vorzunehmen, bei der insbesondere der Zweck der Untersuchungshaft, die Schwere der gesundheitlichen Gefährdung, die Möglichkeit der medizinischen Betreuung im Gefängnis etc. zu berücksichtigen sind.
b) Die Tatsache allein, dass ein Untersuchungsgefangener Aids-krank und suizidgefährdet ist, hat im allgemeinen nicht ein derart grosses, absolut wirkendes Gewicht, dass sie von vornherein jedem Haftzweck vorginge und die Entlassung aus der Untersuchungshaft rechtfertigte. Die Untersuchungshaft bedeutet für den Betroffenen immer ein Übel - sie wird vom einen besser, vom anderen weniger gut ertragen. Würde Aids-Kranken generell Haftverschonung gewährt, so liefe dies darauf hinaus, dass sich chronisch kranke oder gebrechliche Personen Angriffe auf strafrechtlich geschützte Rechtsgüter Dritter eher erlauben könnten, weil ihnen zwar eine Verurteilung drohte, sie aber weder in Untersuchungshaft noch in den Strafvollzug versetzt werden könnten. Dass dies nicht richtig sein kann, liegt auf der Hand. Die Untersuchungshaft kranker Personen greift somit im allgemeinen nicht derart stark in die persönliche Freiheit ein, dass diese völlig unterdrückt oder ihres Gehaltes als Institution der Rechtsordnung entleert würde (vgl.
BGE 115 Ia 247
E. b).
BGE 116 Ia 420 S. 424
Im vorliegenden, konkreten Fall ergeben sich weder aus der Beschwerde noch den übrigen bundesgerichtlichen Akten Anhaltspunkte dafür, dass die Untersuchungshaft in ihrer Wirkung einer Vernichtung der Persönlichkeit des Beschwerdeführers gleichkäme oder ihm schwere psychische Schäden zufügte. Die Haftbelassung verletzt demnach den Kerngehalt der persönlichen Freiheit nicht (vgl.
BGE 106 Ia 281
E. a). Somit ist auch im vorliegenden Fall, wo eine vorbestandene Krankheit besteht, eine umfassende Interessenabwägung vorzunehmen zwischen dem Eingriff in die Rechtsgüter des Betroffenen und dem öffentlichen Interesse an seiner Sicherung.
c) Der Beschwerdeführer konnte trotz Untersuchungshaft bisher einigermassen gut betreut werden (vgl.
BGE 106 Ia 292
E. b). Er bestreitet selber nicht, dass die Aids-Krankheit - soweit möglich - auch im Regionalgefängnis behandelt werden kann und dass er gegebenenfalls rechtzeitig in ein Spital überführt werden könnte. Auf den nebenbei erhobenen, pauschalen Vorwurf, die medizinische Betreuung fehle, darf das Bundesgericht nicht eingehen (
Art. 90 Abs. 1 lit. b OG
;
BGE 114 Ia 316
E. 1b). Zur Entwicklung des Gesundheitszustands des Beschwerdeführers hält die medizinische Universitäts-Poliklinik des Inselspitals Bern in ihrem Bericht vom 6. Dezember 1990 fest, es gebe keinen Grund anzunehmen, dass die blosse Haftentlassung den Gesundheitszustand verbessern bzw. länger stabil halten könnte. Der Gesundheitszustand hänge bei einer allfälligen Haftentlassung vom Verhalten des Beschwerdeführers ab (intravenöser Drogenkonsum, zuverlässige Medikamenteneinnahme, regelmässige ärztliche Konsultationen). Es gebe keine soliden Anhaltspunkte dafür, dass die Inhaftierung und die daraus folgende psychische Belastung einen negativen Einfluss auf den HIV-Krankheitsverlauf habe. Die psychiatrische Universitätsklinik Bern, Abteilung Forensische Psychiatrie, hält in ihrem Bericht vom 5. Dezember 1990 zum Gesundheitszustand des Beschwerdeführers nach einer Haftentlassung fest:
"Mit Sicherheit würde sich Herrn X. Gesundheitszustand nach einer Haftentlassung, wenn diese nicht mit der Aufnahme in eine geeignete Institution (s. oben) verbunden wäre, noch schneller verschlechtern. In Freiheit würde zwar gegenüber der Gefangenschaft die Stressbelastung aufgrund von klaustrophobischen Reaktionen, die sich ungünstig auf das Immunsystem auswirkt, wegfallen; hingegen käme es bei der sich unweigerlich einstellenden weiteren schweren Verwahrlosung mit qualitativ schlechter Ernährung und unkontrolliertem Drogenabusus zu vermehrten
BGE 116 Ia 420 S. 425
Sekundärkomplikationen seiner Erkrankung, abgesehen davon, dass kaum anzunehmen ist, dass sich der Patient ohne sofortige Delinquenz, wie die Erfahrung zeigt, würde halten können, was zu umgehender Wiederverhaftung führen würde. In diesem Zusammenhang muss auch die Gefährdung Dritter durch einen Patienten, der nichts mehr zu verlieren hat, nicht mehr zu Selbstkontrolle und verantwortungsbewusstem Handeln fähig ist, bedacht werden."
Somit würde die Haftentlassung die gesundheitlichen Aussichten des Beschwerdeführers nicht von vornherein verbessern, im Gegenteil. Zudem hat die Untersuchungshaft nach dem heutigen Wissensstand keine wesentliche negative Auswirkungen auf seinen Gesundheitszustand. Selbstverständlich kann die Gefahr einer Verschlimmerung seines Leidens während der Untersuchungshaft nicht ausgeschlossen werden, doch erscheint diese Gefahr heute als unabhängig von der Fortsetzung der Untersuchungshaft. Die beim Beschwerdeführer offenbar gerade im Freiheitsentzug vorhandene Suizidgefahr lässt sich im Untersuchungsgefängnis sogar besser auf das unvermeidbare Minimum reduzieren.
d) Im vorliegenden Fall besteht eine sehr grosse und unbestrittene Wiederholungsgefahr. Gegen den Beschwerdeführer wurden rund 110 Strafanzeigen eingereicht, er wurde in den letzten drei Jahren neun Mal verhaftet. Die ihm vorgeworfenen Vermögensdelikte wiegen schwer. In Betracht zu ziehen ist auch, dass die Krankheit den Beschwerdeführer offenbar nicht hindert, weiterhin zu delinquieren.
e) Die Abwägung zwischen dem öffentlichen Interesse an der Sicherung des Beschwerdeführers und damit an der Aufrechterhaltung der Untersuchungshaft und den Interessen des Beschwerdeführers an der Abwendung dieses Eingriffs in seine Rechtsstellung ergibt, dass die Haftbelassung verfassungsrechtlich nicht zu beanstanden ist. Der Gesundheitszustand des Beschwerdeführers verbietet im vorliegenden Fall die Fortsetzung der Haft nicht, jedenfalls solange nicht, als seine medizinische Betreuung zweckentsprechend aufrechterhalten werden kann (vgl.
BGE 106 IV 324
;
BGE 105 Ia 35
). Die angefochtene Lösung ist zweifellos nicht ideal, aber das Optimum, das zur Zeit erreicht werden kann. Die kantonalen Behörden haben sich angestrengt, eine besser geeignete Anstalt zu finden, bisher ohne Erfolg; die entsprechenden Abklärungen werden in zumutbarem Masse weitergeführt werden müssen. Das gilt auch für die Abwehr der Suizidgefahr. Mehr kann verfassungsrechtlich nicht verlangt werden.
Demgemäss ist die Beschwerde abzuweisen, soweit darauf einzutreten ist. | public_law | nan | de | 1,990 | CH_BGE | CH_BGE_002 | CH | Federation |
7ccc971c-dcde-4413-a1e4-e17ffc167a59 | Urteilskopf
119 II 46
12. Auszug aus dem Urteil der I. Zivilabteilung vom 16. Februar 1993 i.S. R. und B. G.-W. gegen G. AG (Verwaltungsgerichtsbeschwerde) | Regeste
Einsichtsrecht des Gläubigers (Art. 704 aOR i.V.m. Art. 85 aHRegV,
Art. 697h Abs. 2 OR
;
Art. 1 und 2 SchlT ZGB
).
Art. 704 aOR und
Art. 697h OR
sind materiell inhaltsgleich. Die Zuständigkeit des Richters gemäss
Art. 697h Abs. 2 OR
wurde nicht um der öffentlichen Ordnung und Sittlichkeit willen aufgestellt. Nach dem in
Art. 1 SchlT ZGB
verankerten Grundsatz der Nichtrückwirkung ist deshalb das vor dem 1. Juli 1992 geltende Aktienrecht anwendbar (E. 1b). | Sachverhalt
ab Seite 47
BGE 119 II 46 S. 47
A.-
Gestützt auf Art. 704 aOR unterbreiteten R. und B. G.-W. am 24. April 1992 dem Handelsregisteramt des Kantons Aargau das Gesuch, die G. AG, Zofingen, sei zur Auflegung der Gewinn- und Verlustrechnung sowie der Bilanz in der vom Aktionär genehmigten Fassung aufzufordern. Weil sich die Gesuchsgegner weigerten, dem Begehren stattzugeben, überwies das Handelsregisteramt die Angelegenheit am 5. Juni 1992 dem Departement des Innern des Kantons Aargau. Dieses vertrat den Standpunkt, anwendbar sei der seit dem 1. Juli 1992 in Kraft stehende
Art. 697h Abs. 2 OR
, und verfügte am 1. September 1992 die Überweisung des Gesuchs an den Gerichtspräsidenten des Bezirks Zofingen zum Entscheid. Der Bezirksgerichtspräsident wiederum leitete die Streitsache am 8. September 1992 an das Handelsgericht des Kantons Aargau weiter. Letzteres entschied am 17. September 1992, über die Zuständigkeit seines Instruktionsrichters werde erst nach Vorliegen einer bis zum 5. Oktober 1992 einzureichenden Erklärung der Gesuchsteller entschieden, ob sie das Gesuch zurückziehen oder an der Zuständigkeit der Justizabteilung des Departements des Innern festhalten oder einen Entscheid des Instruktionsrichters des Handelsgerichts bezüglich Zuständigkeit anstreben würden.
B.-
Nachdem R. und B. G.-W. am 5. Oktober 1992 gegenüber dem Handelsgericht erklärt hatten, sie hielten an der Zuständigkeit des Departements des Innern des Kantons Aargau zur Beurteilung ihres Begehrens fest, reichten sie dem Bundesgericht am 7. Oktober 1992 eine Verwaltungsgerichtsbeschwerde mit dem Antrag ein, es sei die Verfügung des Departements des Innern des Kantons Aargau vom 1. September 1992 aufzuheben und die Sache zur materiellen Entscheidung an diese Instanz zurückzuweisen.
Das Departement des Innern des Kantons Aargau beantragt kostenfällige Abweisung der Beschwerde. Das Eidgenössische Amt für das Handelsregister hat auf Vernehmlassung verzichtet. Das Bundesgericht heisst die Verwaltungsgerichtsbeschwerde gut und weist die Sache zur Behandlung des Gesuches um Einsichtnahme im Sinne von Art. 704 aOR an das Departement des Innern zurück.
BGE 119 II 46 S. 48
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
1.
Das Departement des Innern fand, ein Gesuch um Bilanzauflage, welches im Zeitpunkt des Inkrafttretens des revidierten Aktienrechts bereits bei der Aufsichtsbehörde hängig war, müsse nach der neuen Bestimmung von
Art. 697h Abs. 2 OR
vom Richter entschieden werden. Die Behörde begründete diese Auffassung damit, dass Zuständigkeitsregeln um der öffentlichen Ordnung willen aufgestellt seien, somit unter
Art. 2 SchlT ZGB
fielen, und deshalb sofort anwendbar seien. Das Gesuch um Bilanzauflage sei daher an den Präsidenten des Bezirksgerichts Zofingen zu überweisen. Die Beschwerdeführer bestreiten dagegen die Anwendbarkeit von
Art. 2 SchlT ZGB
, weil die durch die Rechtshängigkeit begründete Zuständigkeit nach dem Inkrafttreten der neuen Bestimmung nicht weggefallen sei. Die angefochtene Verfügung bewirke zudem, dass sie gezwungen wären, ein neues Gesuch um Auflegung der Bilanz beim Richter einzureichen, obwohl ihr Begehren bereits in zweiter Instanz rechtshängig sei.
a) Nach Art. 1 der Schlussbestimmungen zum 26. Titel über die Revision des Aktienrechts sind die im Schlusstitel des Zivilgesetzbuches aufgestellten Regeln über die Anwendung bisherigen und neuen Rechts massgebend. Gemäss
Art. 2 SchlT ZGB
finden die Bestimmungen dieses Gesetzes, die um der öffentlichen Ordnung und Sittlichkeit willen aufgestellt sind, mit dessen Inkrafttreten auf alle Tatsachen Anwendung, soweit das Gesetz eine Ausnahme nicht vorgesehen hat (Abs. 1). Demgemäss finden Vorschriften des bisherigen Rechtes, die nach der Auffassung des neuen Rechtes der öffentlichen Ordnung oder Sittlichkeit widersprechen, nach dessen Inkrafttreten keine Anwendung mehr (Abs. 2). Aufgabe dieses Vorbehalts ist es, dem überwiegenden entgegengesetzten öffentlichen Interesse zum Durchbruch zu verhelfen, was ein Abwägen der entgegenstehenden Vertrauens- und öffentlichen Interessen voraussetzt (VISCHER, Die allgemeinen Bestimmungen des schweizerischen intertemporalen Privatrechts, Diss. Zürich 1986, S. 96, 98, 101, 103). Die Bestimmung von
Art. 2 SchlT ZGB
sollte jedoch nur dann herangezogen werden, wenn es tatsächlich um die Verletzung grundsätzlicher sozialpolitischer und ethischer Anschauungen geht (BROGGINI, SPR I, S. 451).
b) Sowohl das alte wie das am 1. Juli 1992 in Kraft getretene revidierte Aktienrecht gewähren den Gläubigern von Aktiengesellschaften, die ihre Gewinn- und Verlustrechnung und die Bilanz bzw.
BGE 119 II 46 S. 49
die Jahresrechnung, die Konzernrechnung sowie die Revisionsberichte nicht veröffentlichen (müssen), ein Einsichtsrecht in die betreffenden Rechnungen und Berichte, wenn ein schutzwürdiges Interesse nachgewiesen wird (Art. 704 aOR und 697h Abs. 2 OR; für das alte Recht
BGE 111 II 282
ff. mit Hinweisen). Während es früher der Vermittlung des Handelsregisteramtes bedurfte, kann dieses Recht nach der neuen Vorschrift direkt gegenüber der Gesellschaft geltend gemacht werden (HOMBURGER, Leitfaden zum neuen Aktienrecht, 2. Aufl., S. 79; BÖCKLI, Das neue Aktienrecht, Rz. 1329). Im Streitfalle entschied während der Geltungsdauer von Art. 704 aOR gemäss Art. 85 Abs. 3 aHRegV (in Kraft bis 30. Juni 1992, BS 2 S. 705) die Aufsichtsbehörde über das kantonale Handelsregisteramt; nach
Art. 697h Abs. 2 OR
ist der Richter anzurufen.
Das Departement des Innern beruft sich auf die Kommentatoren zum Schlusstitel des Zivilgesetzbuches bzw. die Schluss- und Übergangsbestimmungen zum Obligationenrecht. Gemäss MUTZNER (N. 20 zu
Art. 2 SchlT ZGB
) fallen unter den Begriff der öffentlichen Ordnung alle Rechtssätze, die die Organisation und den Geschäftskreis der Behörden und Ämter regeln. Wo also der Träger eines vor dem Inkrafttreten des ZGB begründeten Rechts zur Verwirklichung desselben der Mitwirkung staatlicher Organe bedarf, sind nach Meinung des Autors sowohl für die Frage der Zuständigkeit als auch für das Verfahren die Vorschriften des neuen Rechts massgebend. Gerade diese Voraussetzung ist aber, wie dargelegt, mit dem neuen Aktienrecht nicht mehr gegeben. Aber auch die Auffassung von STAUFFER, wonach der Vorbehalt des ordre public am ehesten auf prozessualem Gebiet Bedeutung haben kann, da prozessrechtliche Vorschriften als um der öffentlichen Ordnung und Sittlichkeit willen aufgestellt zu erachten sind, ist hier nicht massgeblich (N. 49 zu Art. 1 Schluss- und Übergangsbestimmungen zum Obligationenrecht). Der Hinweis auf den Richter in
Art. 697h Abs. 2 OR
wurde nicht um der öffentlichen Ordnung und Sittlichkeit willen aufgestellt. Er ist an sich überflüssig, weil grundsätzlich jeder privatrechtliche Anspruch - und um einen solchen handelt es sich beim zur Diskussion stehenden Einsichtsrecht des Gläubigers - im Streitfall gerichtlich durchgesetzt werden kann. Die ausdrückliche Erwähnung des Richters in der neuen Gesetzesvorschrift kann daher ihren Sinn nur darin haben, allfällige Zweifel wegen des Dahinfallens der bisherigen Regelung zu verhindern.
Die frühere wie die geltende Bestimmung gewähren dem Gläubiger ein materiell gleiches Einsichtsrecht in bestimmte Unterlagen.
BGE 119 II 46 S. 50
Das neue Recht ist mit andern Worten lediglich als Fortentwicklung einer seit der Revision des Obligationenrechts von 1936 bestehenden Vorschrift aufzufassen. Ein Unterschied zeigt sich lediglich darin, dass sich die Einsicht in die Rechnungen und Berichte am Sitz der Gesellschaft vollzieht und nicht mehr, wie unter dem früheren Recht, auf dem Handelsregisteramt (BÖCKLI, a.a.O., unter Hinweis auf die Botschaft 1983). Die neue Zuständigkeitsnorm bietet dem Gläubiger im Vergleich mit Art. 704 aOR/Art. 85 Abs. 3 aHRegV allenfalls eine bessere Durchsetzung seines Anspruchs; diesem Umstand kommt jedoch nur untergeordnete Bedeutung zu.
Nach ständiger Rechtsprechung des Bundesgerichts würde es für die Anwendung des neuen Rechts zudem nicht genügen, dass dieses allein um der öffentlichen Ordnung und Sittlichkeit willen erlassen worden ist; vielmehr müsste auch die Abweichung von der bisherigen Regulierung einem Gebote der öffentlichen Ordnung oder Sittlichkeit entsprechen, oder anders ausgedrückt, die weitere Anwendung des alten Rechts auf altrechtliche Tatbestände müsste mit der öffentlichen Ordnung oder Sittlichkeit unvereinbar sein (
BGE 116 III 124
E. 3b;
BGE 84 II 184
;
BGE 43 II 8
). Niemand wird im Ernst behaupten, die bisherige Regelung der Streitschlichtung durch die kantonale Aufsichtsbehörde über den Handelsregisterführer erfülle diese Bedingung. Deshalb kommt vorliegendenfalls die altrechtliche Zuständigkeitsordnung zur Anwendung.
c) An diesen Überlegungen ändert der Umstand nichts, dass nach Meinung von STAUFFER (N. 54 zu Art. 2 Übergangsbestimmungen OR) dem Art. 704 aOR ein statutarisch nicht festsetzbares Verhältnis zugrunde liegt, so dass sofortiges Inkrafttreten des neuen Rechts anzunehmen sein dürfte. Wie bereits erwähnt, enthalten Art. 704 aOR und
Art. 697h Abs. 2 OR
die gleiche Aussage. Die Situation präsentiert sich zudem offensichtlich anders als beim Inkrafttreten von Art. 704 aOR (vgl. dazu BÜRGI, N. 4 f. zu Art. 704 aOR). | public_law | nan | de | 1,993 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
7cd8d187-e833-4fbd-9399-838182b00b11 | Urteilskopf
121 V 302
46. Arrêt du 13 décembre 1995 dans la cause Chrétienne-Sociale Suisse Assurance contre T. et Tribunal des assurances du canton de Vaud | Regeste
Art. 12 Abs. 2 Ziff. 1 lit. a KUVG, Art. 21 Abs. 1 Vo III: Homologe künstliche Insemination.
Im vorliegenden Fall ist die Massnahme von der Krankenkasse als Pflichtleistung zu übernehmen.
Anwendung der Grundsätze gemäss
BGE 121 V 289
. | Sachverhalt
ab Seite 302
BGE 121 V 302 S. 302
A.-
T., née en 1955, est affiliée à la caisse-maladie Chrétienne-Sociale Suisse, notamment pour l'assurance des soins médicaux et pharmaceutiques. Depuis 1981, elle vit maritalement avec C. Après trois ans de vie commune, le couple a décidé d'avoir des enfants. Il est apparu que T. souffrait de stérilité primaire d'origine multifactorielle. Entre les mois de février et juillet 1990, elle a subi, mais sans succès, plusieurs tentatives d'insémination artificielle homologue au Département de gynécologie et d'obstétrique du Centre hospitalier universitaire vaudois (CHUV).
Par décision du 15 mars 1991, la Chrétienne-Sociale Suisse a refusé de prendre en charge diverses factures en relation avec ce traitement, pour un montant total de 2'915 fr. 05. Elle a considéré que l'insémination artificielle n'était pas une mesure thérapeutique au sens de la LAMA, car elle ne permettait pas de guérir les troubles de la fertilité.
BGE 121 V 302 S. 303
B.-
T. a recouru contre cette décision devant le Tribunal des assurances du canton de Vaud, qui a admis son recours par jugement du 30 janvier 1992; il a annulé la décision attaquée "en ce sens que les traitements litigieux sont à la charge de la caisse" et il a renvoyé l'affaire à la Chrétienne-Sociale Suisse pour qu'elle fixe par une nouvelle décision le montant de ses prestations.
Le tribunal a considéré, tout d'abord, que l'insémination artificielle était une mesure thérapeutique; il s'agit, en effet, d'un traitement qui se rapproche davantage d'une thérapeutique symptomatique (comme l'hémodialyse ou l'administration de plasma anti-hémophilique), qui vise à combattre les effets d'une maladie, que des traitements prophylactiques, esthétiques ou sociaux, qui ne visent pas à éliminer une atteinte corporelle ou psychique à la santé. En outre, l'insémination artificielle doit être considérée comme une mesure scientifiquement reconnue, eu égard à son taux de réussite, qui atteint 24 pour cent en moyenne et 43 pour cent en cas d'hostilité cervicale. Ces chiffres permettent d'admettre que la méthode de traitement en cause a dépassé le stade expérimental. Enfin, il n'apparaît pas que les frais occasionnés par le traitement soient disproportionnés par rapport au succès escompté; il n'est pas non plus établi qu'il existe un traitement plus économique pour ce type d'affection. Par conséquent, la condition du caractère économique de la mesure est également remplie.
C.-
La Chrétienne-Sociale Suisse interjette un recours de droit administratif en concluant à l'annulation de ce jugement.
T. conclut au rejet du recours. Quant à l'Office fédéral des assurances sociales, il propose de l'admettre.
Erwägungen
Considérant en droit:
1.
(Pouvoir d'examen)
2.
A dire de médecin (rapport du docteur G. du 6 novembre 1990), l'intimée souffre d'une stérilité primaire d'origine multifactorielle (tubaire, cervicale, facteur cervical). Les inséminations ont été entreprises après dépistage du moment de l'ovulation, au vu du caractère cervical. Ces faits ne sont pas contestés et le litige porte sur la prise en charge par la recourante des frais en relation avec ces inséminations.
3.
Les prestations obligatoires en vertu de l'
art. 12 LAMA
ne sont dues que si l'assuré souffre d'une maladie (art. 14 al. 1 Ord. III sur l'assurance-maladie du 15 janvier 1965; RS 832.140). Savoir s'il existe une
BGE 121 V 302 S. 304
maladie au sens de la LAMA dépend des circonstances du cas concret. L'on ne saurait toutefois parler de maladie, dans un cas d'espèce, s'il n'existe aucun trouble dû à des phénomènes pathologiques (
ATF 116 V 240
consid. 3a).
En règle ordinaire, l'existence de tels troubles doit être reconnue en cas de stérilité. Par conséquent, selon la jurisprudence constante, la stérilité a valeur de maladie, pour laquelle les caisses peuvent être amenées à verser des prestations (
ATF 119 V 28
consid. 2 et les références; voir aussi RJAM 1971 p. 40). Ce point n'est du reste pas remis en cause par la caisse recourante.
Celle-ci conteste la valeur thérapeutique du traitement appliqué et invoque également des motifs d'ordre éthique s'agissant de l'insémination artificielle pratiquée sur des couples non mariés.
4.
a) Selon l'
art. 12 al. 2 ch. 1 LAMA
, les caisses-maladie doivent prendre en charge, dans l'assurance des soins médicaux et pharmaceutiques, en cas de traitement ambulatoire, au moins les soins donnés par un médecin (let. a) et les traitements scientifiquement reconnus auxquels procède le personnel paramédical sur prescription d'un médecin (let. b). Par soins donnés par un médecin obligatoirement à la charge des caisses conformément à la loi, il faut entendre toute mesure diagnostique ou thérapeutique, reconnue scientifiquement, qui est appliquée par un médecin; ces mesures doivent être appropriées à leur but et économiques (art. 21 al. 1 de l'ordonnance III sur l'assurance-maladie). Si le caractère scientifique, la valeur diagnostique ou thérapeutique ou le caractère économique d'une mesure est contesté, le Département fédéral de l'intérieur (DFI), sur préavis de la Commission de spécialistes prévue à l'art. 26 Ord. III, décide si la mesure doit être prise en charge obligatoirement par les caisses (art. 21 al. 2 Ord. III).
b) Les décisions du DFI, en cas de contestation sur le caractère scientifique, la valeur diagnostique ou thérapeutique ou encore le caractère approprié ou économique d'une mesure sont publiées dans l'annexe à l'Ordonnance 9 de ce même département du 18 décembre 1990, concernant certaines mesures diagnostiques ou thérapeutiques à la charge des caisses-maladie reconnues (RS 832.141.13).
Dans sa version modifiée par l'ordonnance du 23 décembre 1992, valable depuis le 1er janvier 1993 (RO 1993 I 351 ss), l'annexe comprend, sous chiffre 3 (gynécologie et obstétrique), une disposition selon laquelle l'insémination artificielle n'est pas une prestation obligatoire des caisses-maladie (disposition reprise sans changement dans l'annexe lors des
BGE 121 V 302 S. 305
modifications successives de l'ordonnance des 8 mars 1994 et 31 janvier 1995).
Selon le symbole marginal placé à côté de la date de validité de cette décision négative, en corrélation avec le chiffre 5 des remarques préliminaires de l'annexe à l'ordonnance, ladite décision se fonde sur un préavis de la Commission fédérale des prestations générales de l'assurance-maladie (Commission des prestations) du 22 mars 1973, qui est valable, depuis lors, en tant que pratique administrative. L'avis de la commission est publié dans RJAM 1973 p. 136. Il en ressort que l'insémination artificielle n'est pas une mesure thérapeutique au sens de l'assurance-maladie, car elle ne permet pas de guérir les troubles comme tels, de sorte que les caisses ne sont pas tenues de prendre à leur charge les frais relatifs à cette mesure.
5.
a) Les avis de la Commission des prestations ne lient pas le juge. Toutefois, lorsqu'il s'agit d'apprécier des situations qui relèvent exclusivement de considérations d'ordre médical, le juge n'est généralement pas en mesure de se prononcer sur la pertinence des conclusions auxquelles sont arrivés les spécialistes en la matière. Aussi doit-il alors s'en remettre à l'opinion de ceux-ci, à moins qu'elle ne paraisse insoutenable (
ATF 118 V 110
et les références).
L'Ordonnance 9 du 18 décembre 1990, édictée par le DFI en application de l'art. 21 al. 2 et 3 de l'Ord. III sur l'assurance-maladie, est une réglementation qui repose sur une subdélégation et qui lie en principe le juge, pour autant qu'elle soit conforme à la loi. En ce domaine, un certain pouvoir d'appréciation doit être réservé au Département. Par conséquent, le juge ne déclarera contraire à la loi une décision du DFI et n'en censurera l'application que si elle repose sur une erreur d'appréciation évidente, en particulier en cas d'arbitraire dans l'appréciation du caractère scientifiquement reconnu de la mesure (
ATF 105 V 184
consid. 2c).
b) Il résulte du préavis de la Commission des prestations, qui est à la base de la réglementation correspondante de l'annexe à l'Ordonnance 9 du DFI (dans sa version en vigueur depuis le 1er janvier 1993; voir aussi l'annexe 1 à l'ordonnance sur les prestations de l'assurance des soins [OPAS] du 29 septembre 1995), que le refus d'une prise en charge par les caisses-maladie est motivé, exclusivement, par le fait qu'il ne s'agit pas d'une mesure thérapeutique au sens de la LAMA, parce qu'elle ne permet pas une guérison des troubles existants (c'est-à-dire la stérilité).
Toutefois, comme le relèvent avec raison les juges cantonaux, cette motivation n'apparaît pas fondée. Sans doute est-il vrai que le but du
BGE 121 V 302 S. 306
traitement médical, en tant que prestation obligatoire selon l'
art. 12 al. 2 LAMA
, est d'éliminer de la manière la plus complète que possible les atteintes physiques ou psychiques à la santé (
ATF 113 V 45
consid. 4c). Cependant, le traitement médical ne comprend pas uniquement les mesures médicales qui servent à la guérison de la maladie, mais il englobe aussi les thérapies seulement symptomatiques, de même que les mesures qui servent à l'élimination d'atteintes secondaires dues à la maladie (
ATF 111 V 232
consid. 1c,
ATF 104 V 96
,
ATF 102 V 71
sv.; RAMA 1985 no K 638 p. 199 consid. 1b). Par conséquent, on ne saurait interpréter la notion de "mesure thérapeutique" au sens de l'art. 21 al. 1 Ord. III sur l'assurance-maladie d'une manière si restrictive que seules entreraient dans cette notion les mesures médicales destinées à la guérison d'une atteinte à la santé.
Dès lors, l'exclusion de l'insémination artificielle du domaine des prestations obligatoires, pour les motifs retenus par la Commission des prestations dans son préavis du 22 mars 1973 et par le DFI sous ch. 3 de l'annexe à l'Ordonnance 9, se fonde sur des réflexions, non pas d'ordre médical, mais de caractère juridique, qui ne se concilient pas avec la loi et avec l'ordonnance. Face à une telle situation, le juge examine librement si le traitement en cause remplit ou non les conditions requises pour être pris en charge par les caisses-maladie.
6.
a) Le but de la mesure médicale, en cas de stérilité, n'est pas tant de remédier à la stérilité comme telle que de rendre possible une grossesse et donc de permettre à un couple d'avoir une progéniture.
Le fait que le traitement a pour but, non de combattre la stérilité, mais de satisfaire le désir d'enfant des parents, ne suffit pas, à lui seul, pour lui dénier le caractère de mesure thérapeutique. Du point de vue de son but, l'insémination artificielle ne se distingue pas des autres méthodes destinées à remédier à la stérilité - en particulier le traitement opératoire ou médicamenteux - et qui sont, quant à eux, obligatoirement à la charge des caisses-maladie. L'insémination artificielle vise, comme les autres méthodes citées, à provoquer dans le corps de la femme une fécondation naturelle qui n'a pu avoir lieu, pour des raisons médicales, par la voie de la conception naturelle. Il n'y a pas, dans ce cas, de fécondation artificielle; la fécondation intervient par voie naturelle, le seul procédé qui soit artificiel étant l'introduction du sperme dans l'appareil génital de la femme (FRANK, Die künstliche Fortpflanzung beim Menschen im geltenden und im künftigen Recht, Zurich 1989, p. 26;
BGE 121 V 302 S. 307
BUCHLI-SCHNEIDER, Künstliche Fortpflanzung aus zivilrechtlicher Sicht, thèse Berne 1987, p. 30 ss). A cet égard, l'insémination artificielle se distingue d'autres méthodes de procréation assistée, telle que la fécondation in vitro et transfert d'embryon (FIVETE). Le point de savoir si la FIVETE représente une mesure thérapeutique a jusqu'à présent été laissé indécis par la jurisprudence (
ATF 119 V 35
consid. 6,
ATF 113 V 47
consid. 4d/dd) et n'a pas à être tranché dans la présente procédure.
b) Comme on l'a vu, les mesures thérapeutiques au sens de la LAMA ne se limitent pas aux mesures médicales destinées à la guérison d'une atteinte à la santé. Il n'y a pas lieu, sur ce point, de se montrer plus restrictif en ce qui concerne les traitements de la stérilité: cela conduirait à des inégalités choquantes, car une guérison n'est possible que dans des cas tout à fait particuliers, par exemple là où un traitement opératoire permet d'éliminer des anomalies anatomiques ou organiques. En revanche, les traitements hormonaux, notamment, ne sont pas aptes, en principe, à guérir les troubles de la fertilité, car ils ne modifient que provisoirement l'état de stérilité. Or, la recourante ne conteste pas le caractère thérapeutique de ces traitements.
Il est vrai, d'autre part, que l'insémination artificielle, par rapport à d'autres formes de traitement de la stérilité, en particulier les traitements hormonaux, ne s'attaque pas directement aux causes de l'infertilité. L'on cherche plutôt à atteindre le but désiré, à savoir une fécondation et, par là même, une grossesse, d'une manière indirecte: c'est l'introduction du sperme, par voie instrumentale, dans l'appareil génital de la femme qui permet de surmonter les difficultés organiques ou immunologiques. Cependant, le point de savoir si une mesure médicale revêt un caractère thérapeutique au sens des dispositions de l'ordonnance ne dépend pas de la méthode de traitement utilisée, mais de son but (RJAM 1973 no 161 p. 32). Une mesure peut aussi revêtir un caractère thérapeutique au sens de l'art. 21 Ord. III sur l'assurance-maladie si elle remplace une thérapie dite "causale" ou si elle la complète; il en est ainsi, par exemple, de l'implantation d'un stimulateur en vue de régulariser le rythme cardiaque. Certes, l'insémination artificielle présente la particularité, par rapport à de semblables mesures, qu'elle n'a pas de répercussions sur l'affection de base comme telle. Mais cette singularité n'est pas un critère de distinction pour délimiter les mesures thérapeutiques si l'on sait qu'il existe des thérapies de pure substitution (par exemple l'administration d'insuline en cas de diabète sucré de type I) qui sont
BGE 121 V 302 S. 308
également obligatoirement à la charge des caisses-maladie. La condition n'est pas nécessairement que ces thérapies permettent de maintenir le patient en vie ou, à tout le moins, d'éviter la survenance d'une grave atteinte à la santé. Le traitement hormonal de la stérilité en est justement une illustration.
c) On pourrait encore objecter qu'aucune nécessité médicale n'impose un traitement en cas de troubles de la fertilité. Mais, indépendamment du fait que cette circonstance conduirait, pratiquement, à nier l'obligation des caisses-maladie d'allouer des prestations pour tous les traitements de la stérilité, la nécessité médicale n'est pas non plus un critère de distinction adéquat en matière de remboursement de soins médicaux. Ce ne saurait être l'affaire des caisses-maladie ou du juge de décider ce qui, du point de vue médical, est ou non indispensable dans un cas concret. A cet égard et pour autant que les autres conditions de l'art. 21 al. 1 Ord. III sur l'assurance-maladie soient remplies, il suffit, pour qu'une mesure soit obligatoirement à la charge des caisses-maladie, qu'elle apparaisse médicalement indiquée (cf. RAMA 1986 no K 679 p. 226).
En l'occurrence, il existait assurément une indication médicale. Entendu en procédure cantonale, le docteur G. a précisé que l'intimée présentait une hostilité cervicale (difficulté pour les spermatozoïdes de passer le col de l'utérus), ainsi qu'une affection tubaire (risque de grossesse extra-utérine), qui justifiaient le recours à l'insémination artificielle. Selon ce médecin toujours, pour ce type de stérilité, l'insémination artificielle est spécialement indiquée par rapport aux autres méthodes de procréation assistée, car elle permet d'aboutir à des résultats qualifiés d'excellents. Auparavant, l'intimée avait subi, mais en vain, un traitement de stimulation ovarienne. On notera que la mesure répond aussi aux conditions fixées dans l'avant-projet relatif à une loi fédérale concernant la procréation médicalement assistée et instituant une Commission nationale d'éthique (loi sur la médecine humaine). En effet, selon l'art. 5 al. 1 let. a de l'avant-projet, il existe une indication médicale pour la procréation médicalement assistée lorsqu'il y a lieu de remédier à la stérilité d'un couple et que les autres traitements ont échoué ou paraissent vains.
d) Force est donc de constater, au terme de cet examen, que l'insémination artificielle constitue en l'occurrence une mesure thérapeutique au sens de la LAMA et de ses dispositions d'exécution.
BGE 121 V 302 S. 309
7.
Il faut encore examiner si l'insémination artificielle homologue pratiquée sur l'intimée est une mesure scientifiquement reconnue, appropriée à son but et économique (art. 21 al. 1 Ord. III sur l'assurance-maladie).
a) Selon la jurisprudence, une méthode de traitement est considérée comme éprouvée par la science médicale, c'est-à-dire réputée scientifiquement reconnue, si elle est largement admise par les chercheurs et les praticiens. L'élément décisif à cet égard réside dans le résultat des expériences et dans le succès d'une thérapie déterminée (
ATF 120 V 122
consid. 1a, 211 consid. 7a).
L'insémination artificielle est pratiquée en Suisse depuis des décennies et elle est, depuis longtemps déjà, médicalement éprouvée. Contrairement à d'autres méthodes de procréation assistée (voir à ce sujet
ATF 119 V 29
consid. 3b), elle n'en est plus au stade expérimental et ne comporte pas de risques particuliers. Selon le rapport explicatif de l'avant-projet de loi sur la médecine humaine, il est largement recouru à l'insémination artificielle homologue (plusieurs milliers de cas par année), tandis que le nombre des inséminations artificielles hétérologues est en régression (p. 27 ch. 151.2).
Le caractère scientifiquement reconnu de l'insémination artificielle doit aussi être admis au regard du critère - déterminant selon la jurisprudence - de son taux de réussite. Le rapport de la Commission d'experts pour la génétique humaine et la médecine de la reproduction du 19 août 1988 indique que le taux de grossesse en cas d'insémination artificielle homologue, qui est fonction des causes de la stérilité, oscille entre 3 et 10 pour cent par tentative; il se situe entre 10 et 15 pour cent par tentative en cas d'insémination hétérologue. La proportion de succès du traitement dans son ensemble est plus élevée; elle est de 50 à 90 pour cent pour l'insémination hétérologue (FF 1989 III 997 sv.). Le rapport explicatif de l'avant-projet de loi sur la médecine humaine, qui se fonde manifestement sur des données plus récentes, mentionne un taux de succès qui varie entre 3 et 15 pour cent par tentative pour l'insémination homologue. On remarque donc que le taux de réussite de l'insémination artificielle a plutôt augmenté ces derniers temps; aujourd'hui, il peut sans conteste être qualifié d'appréciable. A la différence de la FIVETE, pour laquelle le Tribunal fédéral des assurances a jugé qu'un taux de réussite de 25 pour cent n'était pas suffisant (
ATF 119 V 30
consid. 3d), il faut considérer, pour ce qui est de l'insémination artificielle, que la fécondation, ainsi qu'on l'a rappelé, intervient par la voie naturelle, ce qui aboutit à un plus faible taux de grossesse. En conséquence, on doit admettre que
BGE 121 V 302 S. 310
l'insémination artificielle remplit la condition du caractère scientifiquement reconnu.
b) S'agissant du caractère approprié de la mesure, il y a lieu de constater, sans développements particuliers, que cette exigence est également réalisée, dès lors qu'une indication médicale est clairement établie en l'espèce.
c) Comme cela ressort du rapport explicatif de l'avant-projet de loi sur la médecine humaine, déjà cité, le coût de l'insémination homologue est d'environ 200 francs; il est de 200 à 300 francs en cas d'insémination hétérologue (p. 27 sv., ch. 151.2). Sur cette base, il y a lieu d'admettre, de manière générale, qu'il s'agit d'un traitement économique, surtout si l'on considère que le coût des traitements hormonaux est en règle ordinaire sensiblement plus élevé.
Quant à savoir quel est le nombre maximum de tentatives d'insémination artificielle qui serait admissible au regard de l'exigence du caractère économique du traitement, dans un cas donné, c'est une question à laquelle il n'y a pas lieu de répondre ici. Selon les indications du docteur G., les factures litigieuses se rapportent à des consultations en vue d'établir un diagnostic précis et à un premier cycle d'insémination comprenant cinq tentatives, ce qui ne peut pas être considéré, dans l'ensemble, comme un traitement non économique. Peu importe, à cet égard, que les tentatives en question soient demeurées vaines.
8.
La recourante invoque des arguments d'ordre éthique. Elle fait valoir que l'intimée n'est pas mariée et qu'il importe de ne pas augmenter le nombre des enfants qui n'ont pas de père légal. Le traitement par insémination artificielle aurait en l'occurrence été pratiqué en passant outre à des "règles de déontologie claires et largement admises."
Il est cependant généralement admis, contrairement à ce qu'affirme la recourante, qu'aucun motif d'ordre éthique ne s'oppose à l'insémination artificielle, en tout cas homologue, lorsque son accès est réservé aux couples mariés et aux couples stables non mariés. Les recommandations et directives d'éthique médicale de l'Académie suisse des sciences médicales (ASSM) en matière de procréation assistée, de 1981 et de 1985 (Bulletin des médecins suisses 1982 p. 623, 1985 p. 1127; également publiées par Frank, op.cit., annexe no 1 et 2) ne contenaient aucune indication au sujet de l'insémination artificielle homologue, ce qui donne à penser que cette mesure ne soulevait aucun problème particulier d'ordre éthique (voir également le rapport de la Commission d'experts pour la génétique humaine
BGE 121 V 302 S. 311
et la médecine de la reproduction, FF 1989 III 1053, 1060, ainsi que BUCHLI-SCHNEIDER, op.cit., p. 63). Quant aux directives médico-éthiques pour la procréation médicalement assistée de l'ASSM du 31 décembre 1990, qui remplacent les deux textes précédents, elles précisent, relativement aux futurs parents, que les méthodes en cause ne doivent être pratiquées que sur des couples mariés ou sur des couples non mariés vivant dans des conditions analogues à celles de la vie conjugale et décidés à assumer eux-mêmes leurs obligations de parents envers l'enfant (Bulletin des médecins suisses 1991 p. 377). Enfin, l'avant-projet de loi sur la médecine humaine (soit le projet de législation d'exécution de l'
art. 24novies Cst.
) prévoit que seul un couple marié peut recourir à un don de sperme (art. 4 al. 3), tandis qu'il laisse la porte ouverte à l'insémination homologue pratiquée sur des couples non mariés. Une limitation existe seulement en ce qui concerne l'interdiction d'utiliser les gamètes du compagnon après sa mort (art. 4 al. 5).
9.
En conclusion, l'insémination artificielle pratiquée sur l'intimée constitue une prestation obligatoire des caisses-maladie au sens de l'art. 12 al. 2 ch. 1 let. a LAMA et 21 al. 1 Ord. III sur l'assurance-maladie. C'est donc à bon droit que les premiers juges ont condamné la recourante à verser à l'intimée des prestations à ce titre.
10.
(Frais de justice) | null | nan | fr | 1,995 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
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