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Urteilskopf 90 IV 50 12. Sentenza 17 marzo 1964 della Corte di cassazione penale nella causa Ministero pubblico della Confederazione contro Bianchi.
Regeste Vorschrift des kantonalen Rechts, derzufolge das Strafurteil dem Rechtsbeistand und dem Angeklagten persönlich zuzustellen ist. Zustellung an den im Ausland wohnhaften Angeklagten. 1. Die Rechtshilfe mit Italien erstreckt sich nicht auf Verfahren bei Übertretungen fiskalischer Bundesgesetze (Erw. 1 und 2). 2. Wird ein Strafurteil durch die Post im Ausland zugestellt, ist das internationale Recht verletzt. Wer einen derartigen Verstoss nicht rechtzeitig gerügt hat, kann sich indessen dem Entscheid auf Umwandlung der Busse in Haft nicht mit dem Einwand widersetzen, die unzulässige Postzustellung im Ausland habe das Strafurteil gehindert, in Rechtskraft zu erwachsen (Erw. 3).
Sachverhalt ab Seite 50 BGE 90 IV 50 S. 50 A.- Con sentenza 14/16 novembre 1962, il Pretore del distretto di Mendrisio ha riconosciuto Armando Bianchi colpevole (come coautore con il fratello Bruno Bianchi e BGE 90 IV 50 S. 51 con Isaak Dudelczik) di contrabbando in Svizzera di braccialetti d'oro per orologi e di sottrazione di dazio [fr. 572,40], di ICA [fr. 13 981,48] e di imposta sul lusso [fr. 6455,83]. In conseguenza lo ha condannato ad una multa di fr. 20 972,20 (pari ad una volta e mezzo l'importo della cifra d'affari sottratta) oltre alle spese. Dopo la lettura del dispositivo, avvenuta alla presenza delle parti, il Pretore avvertì che la sentenza motivata sarebbe stata intimata agli interessati entro dieci giorni e che, nei dieci giorni successivi, le parti avrebbero avuto la possibilità di ricorrere per cassazione. La sentenza del 14 novembre 1962 venne intimata il 16 novembre, oltre che alle autorità della Confederazione e del Cantone, per lettera raccomandata, a Angelo Bianchi a Campione d'Italia ed al patrocinatore del medesimo avv. Gilardi di Lugano. Il 2 aprile 1963, l'avv. Campana, nuovo patrocinatore di Bianchi, scrisse al Pretore, contestando che l'intimazione della sentenza in Italia fosse valida, la stessa non essendo stata effettuata per il tramite delle competenti autorità italiane, e l'8 luglio 1963 invitò detto giudice a procedere ad una nuova regolare intimazione della sentenza. Il Pretore si rifiutò di dar seguito alla richiesta. B.- Il 15 luglio 1963, il giudice, preso atto di una domanda della Direzione circondariale delle dogane e costatata l'inadempienza di Bianchi, commutò la multa in 90 giorni di arresto da scontare nelle carceri pretoriali. Il 2 agosto 1963, Bianchi si aggravò alla Corte cantonale di cassazione e di revisione penale, domandando che la decisione di commutazione della pena fosse annullata. Egli fece valere che la sentenza di condanna del 14/16 novembre 1962 gli era stata intimata in modo invalido e che, pertanto, non era cresciuta in cosa giudicata. In conseguenza, la decisione di commutazione della pena, oltre ad esser in contrasto con chiare norme di diritto internazionale, costituiva un diniego di giustizia. BGE 90 IV 50 S. 52 Con sentenza 23 settembre 1963, la Corte cantonale ha accolto il ricorso, annullando la decisione 15 luglio 1963 e rimandando la causa alla prima istanza per nuovo giudizio. Le sue motivazioni possono essere riassunte come segue. La notificazione diretta all'estero, a mezzo posta, di un atto processuale deve essere parificata al compimento di un atto ufficiale su territorio estero: la stessa costituisce perciò una violazione della sovranità nazionale e, quindi, di un principio di diritto internazionale riconosciuto anche dalla legge svizzera (art. 269, 271, 275 e 299 cpv. 1 CP). In concreto, la sentenza penale di condanna alla multa non può essere stata resa definitiva sulla base di una siffatta intimazione e non può, pertanto, costituire l'indispensabile presupposto del decreto di commutazione della pena. Ne consegue che questo decreto è nullo. C.- Il Ministero pubblico della Confederazione ha tempestivamente interposto al Tribunale federale un ricorso per cassazione. Le sue argomentazioni possono essere così riassunte. La Corte cantonale, giudicando che la sentenza del 14/16 novembre 1962 doveva essere intimata a Bianchi in Italia per il tramite delle autorità italiane, ha erroneamente interpretato le norme di diritto internazionale applicabili, perchè le autorità di entrambi i paesi sono concordi che la relativa assistenza giudiziaria non vige per le cause fiscali. La tesi dell'autorità cantonale, secondo cui il Pretore avrebbe dovuto intimare la sentenza del 14/16 novembre 1962 per il tramite delle autorità giudiziarie italiane, è pertanto fondata su un'errata interpretazione delle norme suesposte. Nel caso particolare, la sentenza è stata comunque intimata all'avvocato dell'accusato. D.- Bianchi propone che il ricorso sia respinto. Egli fa rilevare che, ad ogni modo, l'intimazione di una sentenza all'estero, mediante raccomandata postale, costituisce una violazione della sovranità nazionale dello Stato estero. Il fatto che nel caso particolare si trattava del perseguimento di un reato fiscale è pertanto irrilevante. BGE 90 IV 50 S. 53 Peraltro, tanto la sentenza di commutazione della pena, quanto quella della Corte cantonale di cassazione hanno potuto essere intimate tramite la competente autorità giudiziaria. Erwägungen Considerando in diritto: 1. Per i procedimenti penali in materia di contravvenzioni alle leggi fiscali della Confederazione che si svolgono davanti ai tribunali cantonali, l'art. 306 cpv. 2 PPF prescrive soltanto che la sentenza deve essere comunicata per scritto agli interessati, indicando i termini e le autorità di ricorso. Il diritto cantonale può nondimeno prescrivere ulteriori modalità. Tale deve essere il caso anche per il Ticino, perchè dalla sentenza della Corte cantonale si deve necessariamente dedurre che il diritto ticinese fa obbligo di intimare la sentenza personalmente all'accusato: altrimenti, essendo pacifico che il giudizio 14/16 novembre 1962 del Pretore è stato regolarmente intimato anche al patrocinatore avv. Gilardi, la sentenza impugnata non avrebbe senso. I rapporti con l'estero sono tuttavia disciplinati dai trattati internazionali. Del resto, la Corte cantonale ha cassato la sentenza del Pretore fondandosi esclusivamente sulla costatazione di una violazione delle regole di diritto internazionale relative alle notificazioni all'estero degli atti giudiziari. Poichè in questa sede tale diritto è equiparato al diritto federale, il ricorso è ricevibile (RU 87 IV 165). 2. Come giustamente afferma la Corte cantonale, l'intimazione di una sentenza costituisce un atto ufficiale della pubblica autorità e come tale, in quanto effettuato in territorio straniero - sia pure a mezzo di lettera raccomandata -, non è compatibile con il rispetto della sovranità territoriale del paese in cui l'intimazione si perfeziona (Giurisprudenza delle autorità amministrative della Confederazione 1956, p. 26 e 27; SCHEIM/MARKEES nella Fiche juridique Suisse N. 755 pag. 12). L'effettuazione di tali BGE 90 IV 50 S. 54 atti deve pertanto svolgersi nell'ambito dell'assistenza giudiziaria. Per i rapporti con l'Italia, il relativo procedimento è stato regolato, in applicazione dell' art. 9 del trattato di domicilio e consolare e dell' art. 13 del trattato di estradizione (entrambi del 22 luglio 1868), nel protocollo di esecuzione del 10 maggio 1869 (CS XI 666), secondo il cui art. III le autorità giudiziarie dei due paesi si prestano diretta vicendevole assistenza. Questa regola si applica, in virtù di uno scambio di note non pubblicato del 27 gennaio/6 febbraio 1911, alla notificazione in genere degli atti giudiziari e quindi anche alla intimazione delle sentenze. Sennonchè, per concorde ammissione delle parti, fanno eccezione a detta regola proprio i procedimenti che, come quello in esame, concernono l'applicazione delle leggi fiscali. Tale eccezione corrisponde al principio stabilito all'art. 11 della LF sulla estradizione agli Stati stranieri del 22 gennaio 1892 ed alla prassi delle autorità federali (BURCKHARDT, Bundesrecht N. 1759 I e II, 1760 I). La relativa situazione giuridica non cambia anche se in determinati singoli casi le autorità giudiziarie svizzere e italiane, ignorando o disattendendo l'eccezione suindicata, possono aver accordato l'assistenza giudiziaria anche per la notificazione di sentenze fiscali; come può essere stato il caso in concreto per la notificazione della sentenza di commutazione della pena e di quella pronunciata su ricorso dalla Corte cantonale, che Bianchi ha invocato nella risposta al ricorso. Ne consegue che nel caso particolare la notificazione della sentenza, personalmente all'accusato domiciliato all'estero, non era giuridicamente possibile. Ciò stante, la Corte cantonale, presupponendo che il Pretore avrebbe dovuto effettuare l'intimazione della sentenza personalmente a Bianchi, valendosi dell'assistenza giudiziaria, ha erroneamente interpretato il diritto internazionale. BGE 90 IV 50 S. 55 3. Nel caso particolare, il giudizio del Pretore è stato comunque regolarmente intimato al patrocinatore dell'accusato. Bianchi non può far valere che, a conoscenza della norma di diritto cantonale prescrivente di notificargli la sentenza personalmente, non era più tenuto a mantenere alcun rapporto con il suo patrocinatore e che, in mancanza di una valida notificazione personale, egli sarebbe stato praticamente frustrato del suo diritto di essere sentito. Di questa contestazione si potrebbe tener conto, al massimo, se si potesse ammettere che l'accusato abbia agito in buona fede. In concreto, tale non può essere il caso. L'irregolarità della notificazione all'estero non ha impedito a Bianchi di prendere tempestivamente atto della sentenza e di valersi dei rimedi ivi indicati o di incaricare al riguardo un avvocato. Se l'intimazione in Italia gli avesse arrecato dei pregiudizi, avrebbe dovuto indicarli tempestivamente. Egli ha invece atteso oltre quattro mesi, quando la commutazione della pena doveva apparire imminente, per esigere una valida notificazione e si è limitato a fondare la sua richiesta su una violazione della sovranità territoriale dello Stato italiano. In realtà, le contestazioni del Bianchi non potevano costituire altro che pretesti intesi a guadagnar tempo o, comunque, ad ostacolare l'esecuzione delle sanzioni legali che la contravvenzione imputatagli comporta. Di siffatte contestazioni, contrarie al più elementare principio della buona fede processuale e volte a conseguire per l'accusato all'estero una situazione processuale più favorevole di quella riconosciuta all'accusato in Svizzera, non può essere tenuto conto nell'applicazione del diritto federale. Dispositiv Il Tribunale federale pronuncia Il ricorso è accolto, la sentenza impugnata è annullata e la causa rimandata alla Corte cantonale per nuovo giudizio BGE 90 IV 50 S. 56 nel senso di respingere il ricorso Bianchi contro la commutazione della pena.
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Urteilskopf 135 II 60 7. Auszug aus dem Urteil der II. öffentlich-rechtlichen Abteilung i.S. Credit Suisse und Mitb. gegen Wettbewerbskommission (Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten) 2C_292/2008 vom 12. Dezember 2008
Regeste Art. 26-30, Art. 49a Abs. 1 und Abs. 3 lit. a sowie Art. 39 KG , Art. 25 VwVG ; Gesuch um Erlass einer (Feststellungs-)Verfügung im Melde- und Widerspruchsverfahren bezüglich direkter kartellrechtlicher Sanktionen. Das Melde- und Widerspruchsverfahren nach Art. 49a Abs. 3 lit. a KG ist ein kartellrechtliches Sonderverfahren, das zu keinem eigenständigen Entscheid über die Zulässigkeit eines gemeldeten wettbewerbsrelevanten Verhaltens führt; es soll als Vorverfahren sui generis den Betroffenen in Konkretisierung der offen formulierten Gesetzesgrundlage eine eigene Einschätzung der Zulässigkeit der gemeldeten Wettbewerbsbeschränkung erlauben (E. 2-3.2). Zwar lässt Art. 25 Abs. 1 VwVG auch Feststellungsverfügungen über Rechte und Pflichten zu, die auf einem sich erst zukünftig verwirklichenden Sachverhalt beruhen; die entsprechende Regelung findet im Verfahren von Art. 49a Abs. 3 lit. a KG indessen keine Anwendung, soweit damit ein Entscheid im Sinne von Art. 30 KG vorweggenommen werden soll (E. 3.3).
Sachverhalt ab Seite 61 BGE 135 II 60 S. 61 Die Credit Suisse AG (CS), die Raiffeisen Schweiz Genossenschaft, die UBS AG und die Zürcher Kantonalbank planen, für inländische Maestro-Kartentransaktionen eine multilateral ausgehandelte Domestic Interchange Fee (DMIF) einzuführen. Am 30. Juli 2004 meldeten sie die vorgesehene Absprache im Namen aller an der DMIF beteiligten "Issuer" dem Sekretariat der Wettbewerbskommission (vgl. Art. 49a Abs. 3 lit. a des Bundesgesetzes vom 6. Oktober 1995 über Kartelle und andere Wettbewerbsbeschränkungen [Kartellgesetz, KG; SR 251]), worauf dieses am 15. September 2004 beschloss, eine Vorabklärung ( Art. 26 KG ) einzuleiten. In der Folge verzichteten die meldenden Unternehmen vorläufig darauf, ihre Abrede umzusetzen. Am 5. Dezember 2005 bezeichnete die Wettbewerbskommission die zwischen den "Issuern" und "Acquirern" im sachlich verwandten Markt für VISA- und MasterCard-Kreditkarten getroffene Absprache als Preisabrede, die den Wettbewerb erheblich beeinträchtige und aus Effizienzgründen nur insoweit gerechtfertigt werden könne, als dabei ausschliesslich die funktionsnotwendigen Netzwerkkosten berücksichtigt würden; sie genehmigte in diesem Sinn für vier Jahre eine angepasste, zwischen dem Sekretariat, den Kreditkartenherausgebern und den "Acquiring"-Unternehmen am 29. März BGE 135 II 60 S. 62 2005 getroffene einvernehmliche Regelung (veröffentlicht in: Recht und Politik des Wettbewerbs [im Folgenden: RPW] 2006/1 S. 65 ff.). Am 6. April 2006 forderten die Credit Suisse AG (CS), die Raiffeisen Schweiz Genossenschaft, die UBS AG und die Zürcher Kantonalbank den Präsidenten der Wettbewerbskommission bzw. deren Sekretariat auf, die Vorabklärung bezüglich der DMIF für Maestro-Transaktionen weiterzuführen und baldmöglichst mit einer einvernehmlichen Regelung abzuschliessen, wie dies im "Kreditkartenverfahren" geschehen sei; eventuell sei das Verfahren durch eine Feststellungsverfügung der Kommission zu beenden. Am 10. Juli 2006 beschloss das Sekretariat der Wettbewerbskommission im Rahmen des Schlussberichts seiner Vorabklärung (veröffentlicht in: RPW 2006/4 S. 601 ff.), "für den Fall, dass eine DMIF oder die internationale Fallback Interchange Fee für inländische Transaktionen eingeführt und das Gebührenmodell von Telekurs angepasst wird", eine Untersuchung gemäss Art. 27 KG zu eröffnen und zu gegebener Zeit hierfür um das Einverständnis eines Mitglieds des Präsidiums zu ersuchen. Die Credit Suisse AG, die Raiffeisen Schweiz Genossenschaft, die UBS AG und die Zürcher Kantonalbank beantragten am 8. Dezember 2006, es sei durch die Wettbewerbskommission festzustellen, dass sich die am 30. Juli 2004 im Sinne von Art. 49a Abs. 3 KG gemeldete multilateral ausgehandelte Interchange Fee für inländische Maestro-Transaktionen unter dem Kartellgesetz als zulässig erweise. Mit Verfügung vom 7. Mai 2007 (veröffentlicht in: RPW 2007/3 S. 478 ff.) trat die Wettbewerbskommission auf den Antrag nicht ein, was das Bundesverwaltungsgericht mit Urteil vom 29. Februar 2008 bestätigte. Das Bundesgericht weist die bei ihm hiergegen eingereichte Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten ab, soweit es darauf eintritt. Erwägungen Aus den Erwägungen: 1. Verwaltungsrechtliche Entscheide der Wettbewerbskommission können beim Bundesverwaltungsgericht und hernach mit Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten beim Bundesgericht angefochten werden (Art. 31, Art. 32 i.V.m. Art. 33 lit. f VGG [SR 172.32] bzw. Art. 82, Art. 83 i.V.m. Art. 86 Abs. 1 lit. a BGG ; vgl. BGE 130 II 149 E. 1 [zum OG]). Gegenstand des vorliegenden Verfahrens bildet ausschliesslich die verfahrensrechtliche Frage, ob BGE 135 II 60 S. 63 die Wettbewerbskommission zu Unrecht auf das Begehren der Beschwerdeführerinnen nicht eingetreten ist, im Anschluss an ihre Meldung eine wettbewerbsrechtliche Untersuchung zu eröffnen bzw. sich im Rahmen einer Feststellungsverfügung zur materiellen Zulässigkeit der geplanten DMIF für Maestro-Transaktionen zu äussern. Der Antrag, die Wettbewerbskommission anzuweisen, die multilateral ausgehandelte Interchange Fee materiellrechtlich als zulässig zu erklären, geht hierüber hinaus und ist deshalb unzulässig (vgl. BGE 129 V 289 E. 3). Nachdem das Bundesverwaltungsgericht den Entscheid der Wettbewerbskommission, das Feststellungsgesuch der Beschwerdeführerinnen nicht zu behandeln, geschützt hat, liegt kein materieller Entscheid vor, der hier überprüft werden könnte. Streitgegenstand bildet nur die Frage, ob die durch das Bundesverwaltungsgericht bestätigte Verfügung der Wettbewerbskommission, auf das (Feststellungs-)Gesuch der Beschwerdeführerinnen nicht einzutreten, vor Bundesrecht standhält. 2. 2.1 Nach Art. 49a Abs. 1 KG kann ein an einer unzulässigen Abrede gemäss Art. 5 Abs. 3 (Preis-, Mengen- und Gebietsabreden zwischen direkten Konkurrenten [harte Horizontalkartelle]) oder Abs. 4 KG (Preisbindungen und absoluter Gebietsschutz in Vertikalverträgen) beteiligtes Unternehmen oder ein Unternehmen, das sich nach Art. 7 KG (Missbrauch einer marktbeherrschenden Stellung [Marktmissbrauch]) unzulässig verhält, mit einer Busse bis zu zehn Prozent des in den letzten drei Geschäftsjahren in der Schweiz erzielten Umsatzes belastet werden. Der Betrag bemisst sich nach der Dauer und der Schwere des Verhaltens; zudem ist der mutmassliche Gewinn "angemessen zu berücksichtigen", den das Unternehmen dadurch erzielt hat. Der Erlass von Art. 49a KG - und damit die Möglichkeit direkter Sanktionen für die schädlichsten horizontalen und vertikalen wettbewerbsbeschränkenden Abreden sowie alle Formen des Marktmissbrauchs - bildet eine der zentralen Neuerungen der Revision des Kartellgesetzes von 2003 (in Kraft seit 1. April 2004). Bis zu diesem Zeitpunkt konnten die Wettbewerbsbehörden Unternehmen nur verpflichten, kartellrechtswidrige Verhaltensweisen zu unterlassen; erst im Wiederholungsfall bzw. bei Verletzung einer Verfügung der WEKO waren gestützt auf Art. 50 KG (indirekte) Sanktionen zulässig. Diese Regelung gilt heute für alle nicht in Art. 49a Abs. 1 KG genannten Verstösse gegen das Kartellgesetz und für jene Fälle des Art. 49a Abs. 1 KG fort, bei BGE 135 II 60 S. 64 denen die Wettbewerbsbehörden in der Sache bereits entschieden haben (statt vieler: CHRISTOPH TAGMANN, Die direkten Sanktionen nach Art. 49a Abs. 1 Kartellgesetz, 2007, S. 2 f.; JÜRG BORER, Kartellgesetz, 2005, N. 4 f. zu Art. 49a KG ; ROGER ZÄCH, Schweizerisches Kartellrecht, 2. Aufl. 2005, N. 1112-1114; WALTER A. STOFFEL, Das revidierte Wettbewerbsgesetz [...], in: Kartellgesetzrevision 2003, Neuerungen und Folgen, Stoffel/Zäch [Hrsg.], 2004, S. 1 ff., dort S. 3 ff., 7 f., 11). 2.2 Die Sanktionsmöglichkeit ("Belastung") entfällt, wenn das Unternehmen die Wettbewerbsbeschränkung meldet, bevor diese Wirkung entfaltet ( Art. 49a Abs. 3 lit. a KG ). Wird ihm jedoch innert fünf Monaten die Eröffnung eines Verfahrens nach den Artikeln 26-30 KG mitgeteilt und hält es dennoch an der Wettbewerbsbeschränkung fest, kann es hierfür wiederum (direkt) sanktioniert werden ( Art. 49a Abs. 3 lit. a KG : "entfällt die Belastung nicht"; frz.: "... toutefois une sanction peut tout de même être prise si, dans un délai de cinq mois à compter de l'annonce, l'ouverture d'une procédure au sens des art. 26 à 30 est communiquée à l'entreprise et que celle-ci maintient la restriction"; ital.: "se nei cinque mesi dall'annuncio le viene comunicata l'apertura di una procedura secondo gli articoli 26-30, la sanzione non decade qualora l'impresa mantenga la limitazione"). 2.3 2.3.1 Die Wettbewerbskommission und ihr nahestehende Autoren sowie das Bundesverwaltungsgericht gehen davon aus, dass das Melde- und Widerspruchsverfahren nach Art. 49a Abs. 3 lit. a KG nicht dazu dient, die materiellrechtliche Zulässigkeit einer wettbewerbsrelevanten Verhaltensweise definitiv zu klären; es soll - als Verfahren sui generis - vor direkten Sanktionen schützen, bis das Sekretariat der Wettbewerbskommission seine Bedenken (innert 5 Monaten seit der Meldung) durch die Eröffnung eines (ordentlichen) Kartellverfahrens (Vorabklärung [ Art. 26 KG ] oder Untersuchung [ Art. 27 ff. KG ]) kundgetan hat oder die entsprechende Frist unbenützt verstreichen liess. Das Widerspruchsverfahren wird eingestellt, falls das gemeldete Vorhaben nicht umgesetzt oder nach dem Widerspruch nicht weitergeführt wird. Setzen die Betroffenen das Vorhaben trotz Widerspruchs bzw. Verfahrenseröffnung um oder fort, bleiben Sanktionen gemäss Art. 49a Abs. 1 KG möglich, falls sich im Untersuchungsverfahren ergibt, dass es sich tatsächlich um eine unzulässige Wettbewerbsbeschränkung im Sinne BGE 135 II 60 S. 65 von Art. 49a Abs. 1 KG handelt; das meldende Unternehmen muss das damit verbundene Risiko selber abschätzen (TAGMANN, a.a.O., S. 5 ff.; KRAUSKOPF/SCHALLER/BANGERTER, in: Schweizerisches und europäisches Wettbewerbsrecht, Geiser/Krauskopf/Münch [Hrsg.], 2005, N. 12.42; ZÄCH, a.a.O., N. 1136; PATRIK DUCREY, Meldung und Widerspruchsverfahren nach revidiertem Kartellgesetz [Art. 49a Abs. 3 Bst. a KG] [nachfolgend: Meldung], in: Kartellgesetzrevision 2003, a.a.O., S. 151 ff., dort S. 58 ff., 164 ff.; derselbe , Erste Erfahrungen der Wettbewerbsbehörden mit den revidierten Bestimmungen - insbesondere mit der Meldung gemäss Art. 49a Abs. 3 Bst. a KG, Jusletter 27. September 2004, Rz. 2 ff.). Wird innert 5 Monaten kein Verfahren eröffnet oder informiert das Sekretariat das meldende Unternehmen bereits vorher darüber, dass es hierauf verzichtet, ist der Meldende im Umfang des von ihm dargelegten Sachverhalts von der Sanktion nach Art. 49a Abs. 1 KG definitiv befreit; das schliesst indessen nicht aus, dass die Behörden zu einem späteren Zeitpunkt die gemeldete Wettbewerbsbeschränkung wieder aufgreifen, überprüfen und materiell allenfalls anders beurteilen ( Art. 26 ff. KG ; KRAUSKOPF/SCHALLER/BANGERTER, a.a.O., N. 12.43; ZÄCH, a.a.O., N. 1137; DUCREY, Meldung, a.a.O., S. 166). Die entlastende Mitteilung ("Comfort-Letter") oder der unbenutzte Fristablauf befreit somit von der direkten Sanktion, sagt jedoch nichts über die definitive Zulässigkeit oder Unzulässigkeit des gemeldeten Verhaltens aus (ZURKINDEN/TRÜEB, Das neue Kartellgesetz, Handkommentar, 2004, N. 13 zu Art. 49a KG ; DUCREY, Meldung, a.a.O., S. 166 f.; OLIVIER SCHALLER, Annonce et procédure d'opposition selon la loi sur les cartels révisée [art. 49a al. 3 let. a LCart], in: Kartellgesetzrevision 2003, a.a.O., S. 169 ff., dort S. 178 ff., 181). 2.3.2 Die Beschwerdeführerinnen und ein Teil der Doktrin beanstanden diese Sicht der Dinge als verfassungs- und gesetzwidrig: Sie gehen davon aus, dass die meldenden Unternehmen einen Anspruch auf einen definitiven Entscheid der Wettbewerbskommission über die Zulässigkeit des gemeldeten Vorhabens - zumindest hinsichtlich der direkten Sanktionsfolgen - hätten. Sie leiten diesen Anspruch aus Art. 49a Abs. 3 KG in Verbindung mit Art. 26 und Art. 27-30 KG bzw. Art. 25 VwVG (SR 172.021) ab. Für sie ist das bisherige verfahrensrechtliche System um ein Vorverfahren ergänzt worden, das in sämtlichen Fällen definitiv Rechtssicherheit bezüglich des Risikos direkter Sanktionen bei einer Umsetzung der gemeldeten Verhaltensweise schaffen will. Der Zweck der Meldung BGE 135 II 60 S. 66 bestehe gerade darin, dem meldenden Unternehmen Klarheit über die Zulässigkeit eines bestimmten Verhaltens oder einer Wettbewerbsabrede zu verschaffen, ansonsten wettbewerbliche Verhaltensweisen, die sich allenfalls als gesetzlich zulässig und volkswirtschaftlich effizient erwiesen, nur verzögert oder gar nicht umgesetzt werden könnten (vgl. so PETER REINERT, in: Kartellgesetz, Baker & McKenzie [Hrsg.], 2007, N. 33 zu Art. 49a KG ; derselbe , Die Sanktionsregelung gemäss revidiertem Kartellgesetz, in: Das revidierte Kartellgesetz in der Praxis, Zäch [Hrsg.], 2006, S. 147 ff., dort S. 162 f.; CHRISTIAN BRAUCHLIN, Die Meldung künftiger Wettbewerbsbeschränkungen nach Art. 49a Abs. 3 lit. a KG , Jusletter 17. Oktober 2005, Rz. 33 ff.; IRENE KLAUER, Die Übergangsbestimmung im neuen Kartellgesetz: Sanktionen trotz Meldung?, sic! 9/2004 S. 709 ff.; RETO JACOBS, Sanktionen vermeiden - Meldung gemäss revidiertem Kartellgesetz, Jusletter 27. September 2004, Rz. 4 ff., 34). Sie beabsichtigten - so die Beschwerdeführerinnen - nach wie vor, die Abrede bezüglich der Maestro-Interchange-Fee umzusetzen, falls sie sich als zulässig erweise, wovon sie überzeugt seien. Es könne ihnen nicht zugemutet werden, hierbei eine Busse in der Höhe eines dreistelligen Millionenbetrags zu riskieren. Es lägen somit sämtliche Voraussetzungen für den Erlass einer Feststellungsverfügung vor und die Wettbewerbskommission sei deshalb gehalten, eine Untersuchung gemäss Art. 27 KG einzuleiten, ohne dass sie ihr Vorhaben mit dem entsprechenden Sanktionsrisiko zuerst umsetzen müssten. Dies ergebe sich sowohl aus einer historischen als auch einer verfassungskonformen Auslegung von Art. 49a Abs. 3 lit. a KG . Die Einwände der Vorinstanzen, dass nur bei einer erfolgten Umsetzung der Abrede deren Auswirkungen im Markt genügend sicher festgestellt werden könnten, überzeugten nicht. Das Bundesgericht habe der erhöhten Komplexität kartellrechtlicher Sachverhalte insofern Rechnung getragen, als diese nicht "strikt" nachgewiesen werden müssten, wo das der Sache nach nicht möglich sei; in entsprechenden Fällen genügten Annahmen und Hypothesen. Im Übrigen sei nicht ersichtlich, wie die heute erhebbaren Marktanteile, Umsätze und Kosten bloss "hypothetisch" sein könnten. 3. Die Ausführungen der Beschwerdeführerinnen sind wegen der drohenden massiven Sanktionen von Art. 49a Abs. 1 KG verständlich; der angefochtene Entscheid verletzt indessen kein Bundes(verfassungs)recht: BGE 135 II 60 S. 67 3.1 3.1.1 Nach Art. 96 BV erlässt der Bund Vorschriften gegen "volkswirtschaftlich oder sozial schädliche Auswirkungen" von Kartellen und anderen Wettbewerbsbeschränkungen. Diese Bestimmung schliesst partielle Verbote von nachweislich besonders schädlichen Abreden oder Verhaltensweisen nicht aus ("selektive" per-se-Verbote); sie lässt jedoch kein generelles Kartellverbot mit Erlaubnisvorbehalt zu. Ausschliesslich die volkswirtschaftlich oder sozial schädlichen Konsequenzen von wettbewerbsrelevanten Verhaltensweisen und Absprachen sollen bekämpft werden (vgl. Art. 1 KG ; RETO JACOBS, in: Die schweizerische Bundesverfassung, Kommentar, Ehrenzeller/Mastronardi/Schweizer/Vallender [Hrsg.], 2. Aufl. 2008, N. 13-22 zu Art. 96 BV mit weiteren Hinweisen; GIOVANNI BIAGGINI, BV, Kommentar, 2007, N. 5 f. zu Art. 96 BV ; JEAN-FRANÇOIS AUBERT, in: Petit commentaire de la Constitution fédérale [...], Aubert/Mahon [Hrsg.], 2003, N. 9 zu Art. 96 BV ). Die Kartellaufsicht will die Wettbewerbsfunktionen und damit das Erreichen möglichst optimaler Marktergebnisse sichern (ZURKINDEN/TRÜEB, a.a.O., N. 1 ff. zu Art. 1 KG ; PATRIK DUCREY, Kartellrecht, in: Immaterialgüter- und Wettbewerbsrecht, von Büren/Marbach/Ducrey [Hrsg.], 3. Aufl. 2008, N. 1238). Eine Verhaltensweise ist deshalb kartellrechtlich nur unzulässig und allenfalls direkt sanktionierbar, wenn sich tatsächlich erweist, dass eine den Wettbewerb beseitigende Abrede im Sinne von Art. 5 Abs. 3 oder Abs. 4 KG vorliegt, die den Wettbewerb zumindest erheblich beeinträchtigt, ohne dass wirtschaftliche Effizienzgründe sie zu rechtfertigen vermöchten (vgl. Art. 5 Abs. 2 KG ; TAGMANN, a.a.O., S. 5). 3.1.2 Der Gesetzgeber hat mit der Vorabklärung ( Art. 26 KG ) und der Untersuchung ( Art. 27-30 KG ) spezialgesetzlich geregelte Verfahren geschaffen, in denen dies geprüft wird. In deren Rahmen steht den Wettbewerbsbehörden - auch hinsichtlich der Opportunität der Abklärungen - ein grosser Ermessens- und Beurteilungsspielraum zu. Die Vorabklärung hat "Triage"-Funktion; weder die an einem wettbewerbsbeschränkenden Verhalten oder an einer Absprache Beteiligten noch Dritte haben einen Anspruch darauf, dass das Sekretariat der Wettbewerbskommission tätig wird und eine Vorabklärung einleitet; der Entscheid darüber liegt in seinem pflichtgemässen Ermessen (KRAUSKOPF/SCHALLER/BANGERTER, a.a.O., N. 12.11; BORER, a.a.O., N. 5 zu Art. 26 KG ; ZURKINDEN/TRÜEB, a.a.O., N. 1 zu Art. 26 KG ; DANIEL ZIMMERLI, Zur Dogmatik des Sanktionssystems BGE 135 II 60 S. 68 und der "Bonusregelung" im Kartellrecht, 2007, S. 557; STEFAN BILGER, Das Verwaltungsverfahren zur Untersuchung von Wettbewerbsbeschränkungen, 2002, S. 154 f.). Da die Eröffnung bzw. Nichteröffnung der Vorabklärung unmittelbar keine Rechte und Pflichten begründet, sondern nur eine Vorstufe zum Entscheid der Wettbewerbskommission darstellt, bildet sie keine Verfügung im Sinne von Art. 5 VwVG (Frage noch offengelassen in BGE 130 II 521 ff.). Die Vorabklärung findet ihren Abschluss (a) mit der Einstellung des Verfahrens, (b) mit einer einvernehmlichen Regelung oder (c) mit dem Schlussbericht; weder dieser noch der Beschluss, gestützt darauf eine Untersuchung im Sinne von Art. 27 KG zu eröffnen, sind anfechtbar. Da kein Rechtsanspruch auf die Eröffnung eines verwaltungsrechtlichen Kartellverfahrens besteht, weil dieses in erster Linie das öffentliche Interesse an einem funktionierenden Markt und nicht private Anliegen schützt (vgl. BGE 130 II 521 E. 2.9, BGE 130 II 149 E. 2.4 S. 156), ist (auch) eine Rechtsverweigerungs- oder Rechtsverzögerungsbeschwerde in diesem Zusammenhang ausgeschlossen (DUCREY, in: von Büren/Marbach/Ducrey [Hrsg.], a.a.O., N. 1726; JOACHIM FRICK, in: Kartellgesetz, Baker & McKenzie [Hrsg.], 2007, N. 2 f. zu Art. 27 KG ; BORER, a.a.O., N. 11 zu Art. 26 KG und N. 6 und 7 zu Art. 27 KG ; KRAUSKOPF/SCHALLER/BANGERTER, a.a.O., N. 12.47; ZURKINDEN/TRÜEB, a.a.O., N. 3 zu Art. 27 KG ; BILGER, a.a.O., S. 181; BENOÎT CARRON, in: Droit de la concurrence, Tercier/Bovet [Hrsg.], 2002, N. 14, 17 ff. zu Art. 26 KG ). 3.1.3 Ein Feststellungsverfahren über die materiellrechtliche Frage der Zulässigkeit einer Verhaltensweise im Sinne von Art. 5 bzw. 7 KG ausserhalb des Untersuchungsverfahrens ist diesem System fremd: Stellt der Beschluss, eine Untersuchung zu eröffnen oder nicht, keine Verfügung dar, weil damit gegenüber den Betroffenen unmittelbar keine Rechtswirkungen verbunden sind, und besteht kein Anspruch auf die Einleitung einer Untersuchung, so liegt auch kein nach den allgemeinen verfahrensrechtlichen Grundsätzen feststellungsfähiges Rechtsverhältnis vor; die spezifische Ausgestaltung des kartellrechtlichen Sonderverfahrens schliesst die Anwendung von Art. 25 VwVG auf diese Frage aus (vgl. MATTHIAS COURVOISIER, in: Kartellgesetz, Baker & McKenzie [Hrsg.], 2007, N. 19 zu Art. 39 KG ; BORER, a.a.O., N. 15 ff. zu Art. 39 KG ; BILGER, a.a.O., S. 189 ff., 196). Die Vorabklärung und die Untersuchung enthalten verschiedene konsensorientierte Elemente (Art. 26 Abs. 2 bzw. Art. 29 KG ; vgl. zum Kartellgesetz 1985: BGE 117 Ib 481 ff.); soweit diese nicht BGE 135 II 60 S. 69 bzw. erst im Untersuchungsverfahren zum Tragen kommen, endet bloss das kartellrechtliche (Gesamt-)Verfahren mit einer Verfügung im Sinne von Art. 5 VwVG , indem die Wettbewerbskommission auf Antrag des Sekretariats "über die zu treffenden Massnahmen oder die Genehmigung einer einvernehmlichen Regelung" entscheidet. Erst im Untersuchungsverfahren, das - soweit nötig - allein in der Sache selber zu einem anfechtbaren verbindlichen Hoheitsakt führt, findet das VwVG (vollumfänglich) Anwendung, soweit dem nicht spezifische kartellrechtliche Regeln entgegenstehen; diese sind im Rahmen ihres wettbewerbsrechtlichen Zwecks indessen jeweils möglichst VwVG-konform auszulegen; zuvor gelten nur (aber immerhin) die allgemeinen verfassungsrechtlichen Fairnessprinzipien (vgl. BGE 117 Ib 481 E. 5-8; BORER, a.a.O., N. 1 ff. und 12 ff. zu Art. 39 KG ). Art. 25 VwVG bietet nicht Grundlage für einen (anfechtbaren) Entscheid, den die Ausgestaltung des spezifischen Verfahrensrechts (zivilrechtliches neben verwaltungsrechtlichem Kartellverfahren [vgl. zum Fusionsrecht: BGE 131 II 497 E. 5.5; zum Kartellrecht: BGE 130 II 521 E. 2.9, BGE 130 II 149 E. 2.4 S. 156]) gerade ausschliesst. Anfechtbar sind nur der Endentscheid der Wettbewerbskommission nach Art. 30 KG bzw. allfällige Zwischen- oder Teilentscheide im Untersuchungsverfahren nach den einschlägigen Verfahrensregeln, hingegen nicht die im Kartellgesetz enhaltenen spezifischen Verfahrensschritte auf dem Weg zu diesem. 3.2 Mit der Einführung von Art. 49a KG hat sich an dieser spezialgesetzlichen Verfahrensordnung grundsätzlich nichts geändert: 3.2.1 Im Vernehmlassungsverfahren war zwar die Verfassungsmässigkeit der Direktsanktionen umstritten, was das Eidgenössische Volkswirtschaftsdepartement dazu veranlasste, ein Rechtsgutachten dazu einzuholen (RHINOW/GUROVITS, Gutachten vom 5. Juli 2001 über die Verfassungsmässigkeit der Einführung von direkten Sanktionen im Kartellgesetz, RPW 2001/3 S. 592 ff.). Dieses kam zum Schluss, dass die "immanente Unbestimmtheit der Kartellgesetzgebung" mit Blick auf das "durch das Legalitätsprinzip gebotene Erfordernis der genügenden Bestimmtheit" durch geeignete verfahrensrechtliche Vorkehren zu mildern sei; die Anknüpfung direkter Sanktionen an den Vermutungstatbestand von Art. 5 Abs. 3 KG oder an den Missbrauchstatbestand von Art. 7 KG wäre "ohne Möglichkeit einer vorgängigen Klarstellung der Rechtslage" - so die Gutachter - "verfassungsrechtlich bedenklich". Der Vorentwurf zur Gesetzesrevision sehe jedoch vor, dass eine Sanktion bei unzulässigen BGE 135 II 60 S. 70 Wettbewerbsbeschränkungen entfalle, wenn das Unternehmen diese freiwillig melde, bevor sie Wirkung entfalteten, was bewirke, "dass die Unternehmen das Risiko einer Fehlbeurteilung des eigenen Verhaltens nicht selber tragen" müssten; mit diesem Instrument hätten sie es in der Hand, die materielle Rechtslage im Zweifelsfall abklären zu lassen und damit der Gefahr einer Sanktion zu entgehen (RHINOW/GUROVITS, a.a.O., S. 612). Der Bundesrat hat diese Auffassung in seinem Entwurf weitgehend übernommen: Es sei mit seiner Gesetzesvorlage sichergestellt, dass die Unternehmen das Risiko einer Fehlbeurteilung des eigenen Verhaltens nicht selbst tragen müssten (BBl 2002 2039 f.). 3.2.2 Ziel der Regelung ist es damit zwar - wie die Beschwerdeführerinnen zu Recht geltend machen -, die Rechtssicherheit für die Betroffenen zu erhöhen; hieran hat die Ergänzung des Meldeverfahrens durch das Widerspruchsverfahren in den parlamentarischen Beratungen grundsätzlich nichts geändert (vgl. Protokoll der ständerätlichen Kommission für Wirtschaft und Abgaben vom 26./27. Februar 2003, S. 24 ff.; AB 2003 S 333 ff., N 832). Die beabsichtigte Konkretisierung der sanktionierbaren Tatbestände sollte jedoch nicht so weit gehen, dass im Melde- und Widerspruchsverfahren - allein wegen des Sanktionsrisikos - die Zulässigkeit bzw. Unzulässigkeit der umstrittenen, allenfalls nach dem Widerspruch eingestellten bzw. trotz Meldung nicht umgesetzten Massnahme in einem eigenen Verfahren definitiv festgestellt werden müsste: Nach dem Wortlaut von Art. 49a Abs. 3 lit. a KG entfällt die Belastung mit direkten Sanktionen bereits dann nicht mehr, wenn dem Unternehmen innert fünf Monaten nach der Meldung die Eröffnung eines Verfahrens gemäss den Artikeln 26-30 KG mitgeteilt wird und jenes an der Wettbewerbsbeschränkung dennoch "festhält". Der Bundesrat hat unterstrichen, dass die direkte Verwaltungssanktion "nur zusammen mit einer Endverfügung, welche die Unzulässigkeit der fraglichen Wettbewerbsbeschränkung feststellt, verhängt werden" kann (BBl 2002 2034). Wäre der Gesetzgeber davon ausgegangen, dass bereits die Meldung im Sinne von Art. 49a Abs. 3 lit. a KG in Abweichung vom kartellrechtlichen Verfahren zu einem rechtsmittelfähigen (Feststellungs-)Entscheid nach Art. 25 VwVG führen müsste, wäre in den Beratungen hierauf hingewiesen worden. Ziel der Melderegelung war es, den Unternehmen zu ermöglichen, "sofort und mit minimalem Aufwand" eine allfällige Rechtsunsicherheit beseitigen zu können (BBl 2002 2039 f., vgl. DUCREY, Meldung, S. 154; SCHALLER, BGE 135 II 60 S. 71 a.a.O., S. 179), nicht mit dem Melderecht ein eigenständiges, neues Verfahren zu schaffen, in dem die gleiche Frage geprüft wird, wie dies an sich erst aufgrund zusätzlicher Abklärungen im Untersuchungsverfahren definitiv möglich ist. Während die Gutachter RHINOW/GUROVITS - ohne sich jedoch mit dem bestehenden wettbewerbsrechtlichen Verfahrenssystem und der Doktrin bzw. der Praxis dazu vertieft auseinanderzusetzen - noch davon ausgingen, dass die Wettbewerbsbehörde die Unzulässigkeit der Abrede respektive Verhaltensweise "mit Verfügung festzustellen" habe, so dass der Rechtsweg geöffnet werde (RHINOW/GUROVITS, a.a.O., S. 613), übernahm der Bundesrat diese Formulierung (gerade) nicht; er wies vielmehr darauf hin, dass das Sekretariat der Wettbewerbskommission auf Wunsch der beteiligten Unternehmen Zusammenarbeitsvorhaben "ohne besondere Förmlichkeiten" prüfen und den Unternehmen gegebenenfalls ausdrücklich mitteilen werde, "dass es aufgrund der eingereichten Unterlagen und Angaben keinen Anlass zum Einschreiten" sehe (BBl 2002 2039 f.; vgl. auch STOFFEL, a.a.O., S. 11 ff.). 3.2.3 Die im Gutachten RHINOW/GUROVITS geäusserten Bedenken bezogen sich auf die hinreichende Bestimmtheit der gesetzlichen Grundlage für direkte Sanktionen, denen (auch) Strafcharakter zukommt. Leitet das Sekretariat der Wettbewerbskommission ein Vorabklärungsverfahren ein, das nicht eingestellt wird, sondern - wie hier - mit einem (detaillierten) Schlussbericht endet, der die Anhaltspunkte nennt, die für eine unzulässige und damit allenfalls direkt sanktionierbare Beschränkung des Wettbewerbs sprechen, verliert dieser Einwand weitgehend seine Berechtigung. Bei der parlamentarischen Neuformulierung von Art. 49a Abs. 3 KG ging es darum, Verhaltensweisen nicht sanktionsfrei zu lassen, bei denen nach einer ersten Prüfung durch das Sekretariat nicht ausgeschlossen werden kann, dass sie wettbewerbswidrig sind, sollten sie weitergeführt, d.h. nicht sofort bis zum Abschluss der eingeleiteten kartellrechtlichen Verfahren eingestellt werden. Nicht jede Meldung schliesst somit die Möglichkeit direkter Sanktionen aus. Mit Blick auf die Offenheit der gesetzlichen Formulierungen wollte der Gesetzgeber die Unternehmen lediglich das Risiko einer allfälligen Rechtsunsicherheit nicht alleine tragen lassen, sondern das Sekretariat der Wettbewerbskommission in die Beurteilung bzw. Konkretisierung der offen formulierten Wettbewerbsbestimmungen einbinden. Absolute Rechtssicherheit hinsichtlich allfälliger direkter Sanktionen sah er nur für den Fall vor, dass das Sekretariat nicht BGE 135 II 60 S. 72 fristgerecht reagiert oder vor Fristablauf einen "Comfort-Letter" ausstellt; hingegen nicht, falls der Betroffene nach der Meldung trotz des Widerspruchs der Behörde an der bereits praktizierten Beschränkung festhält oder - wie hier - in Kenntnis des Schlussberichts diese dennoch unverändert umsetzen will. Das Melde- und Widerspruchsverfahren nach Art. 49a Abs. 3 lit. a KG konkretisiert die Gesetzesgrundlage, damit die Meldenden in geeigneter Weise eine Selbstsubsumption vornehmen und ein allfälliges Sanktionsrisiko abschätzen können. 3.2.4 Das Bundesgericht hat sich in drei Entscheiden betreffend die übergangsrechtliche Anwendbarkeit der Direktsanktionen denn auch bereits in diesem Sinn geäussert: Die Unternehmen hätten es mit dem Instrument der Meldung in der Hand, "dem Risiko einer direkten Sanktion in Fällen zu entgehen, in denen die Beurteilung der Zulässigkeit ihres Verhaltens unsicher" sei. Im Unterschied zum Sanktionsausschluss nach Art. 49a Abs. 3 lit. a KG beziehe sich jener nach den Schlussbestimmungen nicht auf neue Sachverhalte, sondern auf im Zeitpunkt des Inkrafttretens der Gesetzesänderung am 1. April 2004 bereits existierende Wettbewerbsbeschränkungen. Diese Beeinträchtigungen würden einer Ordnung unterstellt, die "günstiger" sei als jene von Art. 49a Abs. 3 lit. a KG , weil der Ausschluss nicht durch eine Meldung, sondern auch durch die Auflösung der fraglichen Wettbewerbsbeschränkung herbeigeführt und grundsätzlich nicht wieder beseitigt werden könne. Der Gesetzgeber stelle an den intertemporalrechtlichen Sanktionsausschluss damit weniger hohe Anforderungen als an jenen nach Art. 49a Abs. 3 lit. a KG . Trotz kleiner Unterschiede in der Ausgestaltung liege es nahe, "der Meldung gemäss Schlussbestimmung die gleiche Funktion einzuräumen wie jener gemäss Art. 49a Abs. 3 lit. a KG ": Entscheidend für die Auslegung sei in beiden Fällen, ob für die Wirtschaftssubjekte mit dem Inkrafttreten der Gesetzesrevision tatsächlich eine Unsicherheit verbunden sei, welche ein Korrektiv in Form der Meldemöglichkeit erfordere. Entsprechend dieser Funktion sei der Gegenstand der Meldung gemäss Schlussbestimmung auf Sachverhalte zu beschränken, bei denen das Inkrafttreten des neuen Rechts (überhaupt) zu einer Ungewissheit über das Risiko direkter Sanktionen führe. Eine solche bestehe für Verhaltensweisen nicht, die im Zeitpunkt des Inkrafttretens der Revision bereits Gegenstand einer Vorabklärung oder Untersuchung der Wettbewerbsbehörden bildeten, da die Betroffenen aufgrund der eingeleiteten Massnahmen BGE 135 II 60 S. 73 wüssten, dass die Zulässigkeit der Weiterführung ihrer Verhaltensweise zweifelhaft erscheine und unter dem neuen Recht direkt sanktioniert werden könne; sie befänden sich "in einer vergleichbaren Situation", wie wenn die Behörden nach einer Meldung gegen das fragliche Unternehmen innert der Widerspruchsfrist ein Verfahren gemäss Art. 49a Abs. 3 lit. a KG eröffneten (so das Urteil 2A.287/2005 vom 19. August 2005 E. 3.4 und 3.5; vgl. auch die Urteile 2A.288/2005 und 2A.289/2005 vom 8. Juni 2006). 3.2.5 Aufgrund des Wortlauts von Art. 49a Abs. 3 lit. a KG , seines systematischen Zusammenhangs mit der Übergangsbestimmung und des Gesetzeszwecks ist auch im vorliegenden Zusammenhang entscheidend, ob eine Unsicherheit bzw. eine verfassungsrechtlich bedenkliche Unbestimmtheit besteht, die nach einer Korrektur ruft. Gestützt auf den Schlussbericht des Sekretariats vom 10. Juli 2006 und den Ausgang des Parallelverfahrens betreffend die VISA- und MasterCard-Kreditkarten ist dies nicht der Fall. Wollen die Beschwerdeführerinnen ihre Abrede umsetzen, haben sie das Risiko zu tragen, dass sich die Einschätzung des Sekretariats im Untersuchungsverfahren erhärten könnte. Hierin liegt keine stossende Rechtsschutzlücke, steht es ihnen doch jederzeit frei, die Ausgestaltung der umstrittenen Abrede den Überlegungen des Sekretariats bzw. der Wettbewerbskommission im Verfahren VISA und Master Card anzupassen und hernach im Rahmen von Art. 49a Abs. 3 lit. a KG - ohne ein Sanktionsrisiko - ein neues Melde- und Widerspruchsverfahren einzuleiten. 3.3 Nichts anderes ergibt sich aus den allgemeinen verfahrensrechtlichen Regeln und insbesondere aus Art. 25 VwVG : 3.3.1 Nach Art. 39 KG finden die Bestimmungen des Verwaltungsverfahrensgesetzes Anwendung, soweit das Kartellgesetz nicht hiervon abweicht. Art. 49a und Art. 26-30 KG sehen - wie dargelegt - eine eigenständige Verfahrensregelung vor, welche einen selbständigen Feststellungsentscheid über die Unzulässigkeit bzw. Sanktionierbarkeit einer Wettbewerbsbeschränkung ausschliesst. Hätte der Gesetzgeber gewollt, dass das Melde- und Widerspruchsverfahren einen Anspruch auf eine (definitive) Beurteilung durch die WEKO begründet, hätte er für das Wiederaufleben der Sanktionsdrohung nicht bereits die Mitteilung der Eröffnung einer Vorabklärung ( Art. 26 KG ) genügen lassen, sondern direkt die Einleitung eines Untersuchungsverfahrens verlangt ( Art. 27 ff. KG ). Die Frage, ob BGE 135 II 60 S. 74 ein missbräuchliches Verhalten vorliegt, kann sinnvollerweise nicht im Rahmen eines Feststellungsverfahrens ohne die entsprechenden spezifischen Untersuchungsmöglichkeiten (vgl. etwa Art. 42 KG : Zeugeneinvernahmen, Hausdurchsuchungen und Beschlagnahmungen) beantwortet werden; ein Feststellungsanspruch gestützt auf Art. 25 VwVG würde die spezialgesetzliche Verfahrensregelung umgehen bzw. ihres Sinnes entleeren. Durch die Anerkennung eines solchen hätten es die Unternehmen in der Hand - selbst ohne Umsetzung ihres Vorhabens - über die Sanktionsproblematik weitgehend auf hypothetischen Grundlagen vorweg eine definitive Beurteilung in der Sache selber zu erwirken, was dem Kartellverfahrensrecht fremd ist. Verboten sind nicht Wettbewerbsabreden schlechthin, sondern allenfalls damit verbundene konkrete volkswirtschaftlich oder sozial schädliche Auswirkungen auf dem einschlägigen Markt; deren Erhebung und Gewichtung setzt voraus, dass die Absprache - zumindest vorübergehend - umgesetzt worden ist; nach Art. 30 Abs. 1 KG entscheidet die Wettbewerbskommission "über die zutreffenden [den Wettbewerb wiederherstellenden] Massnahmen", was sie vernünftigerweise nur tun kann, wenn die Auswirkungen auf dem einschlägigen Markt eingetreten sind, so dass über deren Schädlichkeit für die definitive kartellrechtliche Beurteilung nicht nur - mehr oder weniger begründet - spekuliert werden kann. 3.3.2 Unter diesen Umständen muss an sich nicht weiter auf die Frage eingegangen werden, ob das zur Begründung des Feststellungsanspruchs erforderliche schutzwürdige Interesse bei meldefähigen, aber unkomplizierten Vorhaben, wie das Bundesverwaltungsgericht annimmt, "ohne weiteres" verneint werden müsste, hingegen wegen der "wettbewerbspolitisch offenen Normierung" des Kartellgesetzes sowie der "Komplexität der geplanten DMIF" im vorliegenden Fall zu bejahen wäre. Bei klar unproblematischen Sachverhalten (etwa beim Bestehen einer Freistellungsregelung) dürfte das Sekretariat der Wettbewerbskommission im Rahmen von Art. 49a Abs. 3 lit. a KG von vornherein kein Verfahren nach den Art. 26 ff. KG einleiten bzw. bereits vor Ablauf der entsprechenden Frist eine "Unbedenklichkeitserklärung" ausstellen, womit eine nachträgliche direkte Strafsanktion entfällt und sich die Frage nach dem Erlass einer Feststellungsverfügung gar nicht (mehr) stellen dürfte; auch Dritte könnten mangels Parteistellung keine solche erwirken ( Art. 43 KG ; vgl. BGE 130 II 521 ff.). Gegenstand einer BGE 135 II 60 S. 75 Feststellungsverfügung kann zudem nicht das Bestehen oder Nichtbestehen eines Sachverhalts als solches bilden (ANDREAS KLEY, Die Feststellungsverfügung - eine ganz gewöhnliche Verfügung?, in: Der Verfassungsstaat vor neuen Herausforderungen, Festschrift für Yvo Hangartner, 1998, S. 229 ff., dort S. 237; BEATRICE WEBER-DÜRLER, in: Kommentar zum Bundesgesetz über das Verwaltungsverfahren [VwVG], Auer/Müller/Schindler [Hrsg.], 2008, N. 6 zu Art. 25 VwVG ). Im kartellrechtlichen Verfahren sind Sachverhalt und rechtliche Konsequenz derart eng verknüpft, dass die Verfügung über die wettbewerbsrechtliche Zulässigkeit einer Verhaltensweise gleichzeitig weitgehend (auch) die Feststellung des rechtsrelevanten Sachverhalts beschlägt, wofür der Gesetzgeber gerade die wettbewerbsrechtlichen (Sonder-)Verfahren ( Art. 26 ff. KG ) geschaffen hat. Deren Eigenheiten schliessen die Anwendung von Art. 25 VwVG in Fällen aus, in denen - wie hier - über die Frage der Zulässigkeit oder Unzulässigkeit der Wettbewerbsbeschränkung (definitiv) entschieden werden müsste. Diese Beurteilung kann ausschliesslich in den Verfahren nach den Art. 26 ff. KG erfolgen, was einem Feststellungsanspruch wegen dessen subsidiären Charakters entgegensteht (vgl. WEBER-DÜRLER, a.a.O., N. 16 zu Art. 25 VwVG ). 3.3.3 In diesem Sinn sind die Ausführungen der Vorinstanzen zu verstehen, dass keine "feststellungsfähige Einzelrechtsfrage" bzw. ein "dynamischer Prozess" vorliege, welcher dem Erlass einer Feststellungsverfügung entgegenstehe. In der Sache geht es um die Frage, ob und wieweit ein bestimmter künftiger Sachverhalt hinreichend konkretisiert ist, um darauf beruhende Rechte und Pflichten bereits verbindlich feststellen zu können (vgl. WEBER-DÜRLER, a.a.O., N. 3 zu Art. 25 VwVG ). Zwar lässt Art. 25 Abs. 1 VwVG auch Feststellungsverfügungen über Rechte und Pflichten zu, die auf einem erst in der Zukunft zu verwirklichenden Sachverhalt beruhen (vgl. BGE 98 Ib 457 E. 6b S.460; BGE 108 Ib 540 E. 3); hiervon ausgenommen sind indessen Gesuche, mit denen die verfügenden Behörden und die Rechtsmittelinstanzen sich - unter Umständen wiederholt - zu theoretischen Vorgehensvarianten äussern müssten, um der gesuchstellenden Person eine optimale Gestaltung ihrer Verhältnisse zu ermöglichen. Das Feststellungsinteresse ist in diesem Fall nur schutzwürdig, wenn es der Verwaltungsökonomie vorgeht (vgl. WEBER-DÜRLER, a.a.O., N. 18 zu Art. 25 VwVG ; vgl. BGE 108 Ib 540 E. 3 S. 546). Dies ist hier nicht der Fall: Das kartellrechtliche (Gesamt-) Verfahren sieht die Möglichkeit des Abschlusses einvernehmlicher BGE 135 II 60 S. 76 Regelungen vor, in deren Rahmen zwischen den Behörden und den meldenden Unternehmen verhandelt werden kann; es ist für Optimierungsmöglichkeiten deshalb in erster Linie dieses zu durchlaufen. Im Widerspruchsverfahren nach Art. 49a Abs. 3 KG erhält der Betroffene eine Einschätzung durch das Sekretariat der Wettbewerbskommission, die es ihm erlaubt, seine Verhaltensweise so anzupassen, dass er keine direkten Sanktionen zu befürchten hat; allfällige Korrekturen kann er wiederum melden, womit er sich über das Widerspruchsverfahren bezüglich des Sanktionsrisikos jederzeit Klarheit verschaffen und im Rahmen einer Kosten-Nutzen-Analyse einen definitiven, anfechtbaren Entscheid der Wettbewerbsbehörden erwirken kann, falls er - trotz Widerspruchs - an seiner Verhaltensweise festhalten und diese definitiv umsetzen will. Es besteht deshalb keine Veranlassung, neben den kartellrechtlichen Verfahren einen eigenen Feststellungsanspruch in Bezug auf Rechte und Pflichten bezüglich eines hypothetischen, zukünftigen Sachverhalts anzuerkennen, zumal die Beschwerdeführerinnen am 6. April 2006 selber beantragt haben, das Verfahren "baldmöglichst" mit einer "einvernehmlichen Regelung" abzuschliessen, wie dies im "Kreditkartenverfahren" geschehen sei, und sie damit zu erkennen gaben, dass sie die Abrede unter Umständen gar nicht in der ursprünglichen Form umzusetzen beabsichtigten. Sie können im Rahmen von Art. 49a Abs. 3 lit. a KG dem Sekretariat der Wettbewerbskommission jederzeit wieder ein entsprechend modifiziertes Vorhaben melden. 3.4 Zusammengefasst ergibt sich somit, dass das Melde- und Widerspruchsverfahren nach Art. 49a Abs. 3 lit. a KG ein kartellrechtliches Sonderverfahren darstellt, das nicht durch eine Verfügung abgeschlossen wird und zu keinem eigenständigen Entscheid über die Zulässigkeit oder Unzulässigkeit eines gemeldeten wettbewerbsrelevanten Verhaltens führt. Das Widerspruchsverfahren dient in Ergänzung zur allgemeinen Beratungstätigkeit des Sekretariats ( Art. 23 Abs. 2 KG ) als Vorverfahren dazu, den Betroffenen eine erste Einschätzung der von ihnen geplanten Verhaltensweise zu ermöglichen. Sie haben nach der Meldung ein Recht auf eine "angemessene Reaktion" der Wettbewerbsbehörden, andernfalls die (direkte) Sanktionsmöglichkeit entfällt; es besteht in diesem Verfahrensabschnitt indessen kein Anspruch auf eine abschliessende, abstrakte materielle Beurteilung der Abrede oder Verhaltensweise als solche (vgl. DUCREY, Meldung, a.a.O., S. 164; SCHALLER, a.a.O., S. 179 f.). BGE 135 II 60 S. 77 Das Widerspruchsverfahren führt zu keiner definitiven Beurteilung des Sachverhalts; eine solche kann auch nicht über Art. 25 VwVG erzwungen werden, da ohne Umsetzung der Abrede der (künftige) Sachverhalt nicht hinreichend bestimmt erscheint, um die wettbewerbsrechtlichen Auswirkungen bereits genügend sicher abschätzen zu können. Es ist praktisch unmöglich, die Rechtslage vor der Umsetzung der Wettbewerbsabrede vollumfänglich zu erfassen, wenn diese nur direkt sanktionierbar sein soll, falls sie tatsächlich sozial oder wirtschaftlich schädliche Auswirkungen im Markt nach sich zieht. Der institutionelle Widerspruch zwischen der gewünschten Rechtssicherheit einerseits und der präventiven Wirkung der direkten Sanktionen andererseits wird durch die Meldemöglichkeit zwar nicht behoben (vgl. TAGMANN, a.a.O., S. 8), aber auf ein verfassungsrechtlich tragbares Mass reduziert. Entscheidend ist die Absehbarkeit der Sanktion aufgrund einer durch das Sekretariat im Einzelfall gestützt auf Art. 49a Abs. 3 lit. a KG vorgängig konkretisierten Beurteilung der Rechtslage. Teilt das betroffene Unternehmen dessen Einschätzung nicht, trägt es das entsprechende (direkte) Sanktionsrisiko, falls es seine Verhaltensweise dennoch um- oder fortsetzt und die Wettbewerbskommission im Untersuchungsverfahren bzw. die Rechtsmittelinstanzen im Anschluss hieran zur gleichen Beurteilung kommen wie zuvor bereits das Kommissionssekretariat.
public_law
nan
de
2,008
CH_BGE
CH_BGE_004
CH
Federation
709b66fa-757d-405d-a0c0-6dbc33994579
Urteilskopf 89 I 527 74. Sentenza della II Corte civile 18 ottobre 1963 nella cause Società anonima Tamaro, Mariotta e Confederazione svizzera contro il Dipartimento di giustizia del Cantone Ticino
Regeste Tessinischer Tarif für grundbuchliche Vorkehrungen. Art. 4 BV . Es ist nicht willkürlich, den Verkehrswert als "valore della contrattazione" im Sinne von Art. 5 des Tarifs zu betrachten.
Sachverhalt ab Seite 527 BGE 89 I 527 S. 527 A.- Il decreto legislativo ticinese 9 settembre 1941 che stabilisce la tariffa per le operazioni nel registro fondiario (DTRF) dispone fra altro quanto segue: "Art. 5. La tassa proporzionale è calcolata in base al valore della contrattazione di cui è chiesta l'iscrizione. Nel caso di iscrizione di trapasso a titolo oneroso, di successione, di legato o di donazione, il valore tassabile non sarà mai inferiore al valore officiale di stima degli immobili trasferiti. Art. 6. L'Ufficio del registro procede alla determinazione del valore dell'operazione e della tassa imponibile subito dopo aver accertato l'ammissibilità dell'iscrizione e ne dà immediata comunicazione agli interessati." Il 21 dicembre 1960, la Tamaro SA, Muralto, vendette all'architetto Mariotta e alla Confederazione svizzera BGE 89 I 527 S. 528 (Amministrazione PTT), in ragione rispettivamente di 4/5 e di 1/5, il fondo a Muralto, particella N. 298 di mq 1252, per il prezzo di fr. 650.000. L'Ufficio dei registri di Locarno effettuò l'iscrizione nel registro fondiario, ma, applicando la tariffa suesposta, rifiutò di fondarsi sul prezzo risultante dal contratto e determinò il valore imponibile in fr. 1.252.000. B.- Le parti interessati si aggravarono al Dipartimento cantonale di giustizia, il quale, accogliendo le conclusioni dell'Ufficio cantonale di stima, respinse il ricorso. Esso fece rilevare che per valore di contrattazione nel senso dell'art. 5, cpv. 1, DTRF non poteva intendersi il prezzo convenzionalmente stipulato, risultante dall'atto notarile, bensì il valore reale e intrinseco del fondo oggetto dell'iscrizione. La tassa riscossa - prosegue in sostanza il Dipartimento - concerne, in parte, una tassa in senso stretto da considerare come controprestazione per il servizio del registro fondiario assunto dallo Stato e, in parte, un'imposta cantonale indiretta di scambio. Entrambe queste contribuzioni gravano non il prezzo ma il valore reale dell'immobile; lo dimostra il fatto che anche le donazioni vi sono assoggettate. Il fondo venduto, fronteggiando il piazzale della stazione e il viale Cattori, è situato in posizione particolarmente favorevole dal lato commerciale. Tenendo conto dei confronti fatti dall'Ufficio dei registri con fondi di minor pregio venduti persino a fr. 845 il mq, si deve considerare prudenziale la stima di fr. 1.000 il mq stabilita da detto ufficio. Peraltro, non si può ammettere che un fondo, di cui una parte è stata pagata nel 1950 fr. 597 il mq dalla venditrice, sia stato rivenduto nel 1960 a circa fr. 520 il mq. C.- Gli interessati hanno tempestivamente interposto un ricorso di diritto pubblico fondato sull'art. 4 CF. Nel contempo, essi presentarono un ricorso di diritto amministrativo nel senso dell'art. 99, n. I, lett. c, OG, di testo uguale. BGE 89 I 527 S. 529 Le argomentazioni dei ricorrenti possono essere riassunte come segue: Il principio, secondo cui deve essere imposto il valore risultante da stima, può essere applicato, al massimo, quando vi sia fondato sospetto di simulazione del prezzo, ma non quando - come in concreto - il prezzo dichiarato è conforme al valore economico del fondo. Comunque, nel caso particolare, è fuori discussione che il prezzo risultante dall'atto notarile è veritiero e il fatto che uno dei compratori è la Confederazione costituisce garanzia di corretta stipulazione. In quanto imposta, la controversa tassa si aggiunge alle contribuzioni immobiliari ordinarie e a quella sul maggior valore, per cui si ha ragione di dubitare che costituisca doppia imposizione. A ogni modo, l'interpretazione data dall'autorità cantonale all'art. 5, cpv. 1, DTRF, secondo la quale per "valore della contrattazione" si deve intendere una cosa diversa dal prezzo determinato dalla legge economica della domanda e dell'offerta, è arbitraria. Nei casi in cui ha inteso stabilire un imponibile speciale, il legislatore l'ha dichiarato espressamente, come ha fatto per l'imposta sul maggior valore immobiliare. La parte della controversa contribuzione costituente tassa in senso materiale sopperisce già largamente alle spese dello Stato per il registro fondiario. L'estensione dell'imposizione oltre il valore effettivamente pagato è pertanto arbitraria. Ma è anche maggiormente arbitrario prelevare un'imposta su valori maggiorati, dal momento che tutte le imposte dello Stato, salvo quella speciale sul maggior valore, colpiscono solo i valori di stima, indipendentemente dal prezzo effettivamente pagato. D'altronde, nel caso in esame, si tratta di un'imposta su un negozio giuridico che deve, perciò, essere commisurata al medesimo e non a un valore arbitrariamente fissato dall'autorità di tassazione. D.- Il Dipartimento cantonale di giustizia ha presentato le sue osservazioni di risposta, proponendo che il BGE 89 I 527 S. 530 ricorso di diritto pubblico sia respinto parzialmente in ordine e totalmente nel merito. E.- Nella replica, i ricorrenti hanno ribadito i loro argomenti, segnatamente che il "valore della contrattazione" nel senso dell'art. 5 DTRF sia il prezzo dichiarato nell'atto pubblico, e hanno confermato le conclusioni del ricorso. Nella duplica, il Dipartimento cantonale di giustizia ha proposto, in via subordinata, il rigetto del ricorso soltanto per quanto concerne i 4/5 acquistati in comproprietà dall'Architetto Mariotta, considerando che "con un comproprietario la venditrice può stipulare un prezzo (simulato) e un altro prezzo (non simulato) con l'altro comproprietario" e che il prezzo chiesto all'Amministrazione PTT è compensato con i vantaggi conseguibili dall'acquirente principale, presidente del Consiglio di amministrazione della società anonima venditrice, per mezzo dell'insediamento delle PTT nel proprio edificio. F.- Il ricorso di diritto amministrativo è stato dichiarato irricevibile dal Tribunale federale, con decisione del 27 giugno 1963, perchè i ricorrenti non vi esponevano le norme giuridiche pretese violate nè in che consistesse la violazione, non soddisfacendo, in tal modo, l'art. 90, cpv. 1, lett. b, OG, applicabile anche ai ricorsi di diritto amministrativo in virtù dell'art. 107 della stessa legge. Erwägungen Considerando in diritto: 1. In seguito alla citata decisione del Tribunale federale sul ricorso di diritto amministrativo, rimane da giudicare se l'interpretazione dell'art. 5 DTRF da parte dell'autorità cantonale sia o no arbitraria. Il DTRF è un atto legislativo di diritto cantonale. Se una autorità cantonale abbia o no interpretato arbitrariamente una prescrizione cantonale può essere esaminato soltanto dal profilo della violazione dei diritti costituzionali dei cittadini (art. 84, cpv. 1, lett. a, OG), precisamente dal profilo della violazione dell'art. 4 CF. E', quindi, dato, nel caso, il ricorso di diritto pubblico fondato sull'art. 4 CF. 2. Si tratta di decidere se, determinando la contribuzione BGE 89 I 527 S. 531 non già secondo il prezzo di vendita pattuito dai contraenti, ma secondo la stima dell'Ufficio del registro fondiario, rispettivamente dell'Ufficio di stima, l'art. 5 DTRF sia stato o no interpretato arbitrariamente. I ricorrenti ritengono che la contribuzione debba essere determinata secondo il prezzo di vendita o, se questo prezzo fosse inferiore al valore ufficiale di stima, secondo tale valore: una derogazione sarebbe possibile soltanto qualora il prezzo dichiarato nel contratto fosse simulato. Orbene, il testo dell'art. 5 DTRF non obbliga a una siffatta interpretazione. Il capoverso 1 stabilisce che la tassa è calcolata in base al "valore della contrattazione". Questa espressione non dice che determinante sia il prezzo indicato nel contratto: "valore della contrattazione" non significa "prezzo di vendita", ma attiene al valore dell'oggetto del contratto. Il Tribunale federale l'ha già affermato nella sentenza non pubblicata del 4 dicembre 1944 su ricorso Catenazzi e Ganzoni. Ad esempio, la legge ticinese del 9 febbraio 1954 concernente l'imposta sul maggior valore immobiliare distingue chiaramente fra i "prezzi di alienazione e di acquisto", che sono quelli "risultanti dagli istromenti notarili e dai registri pubblici" (art. 5, cpv. 1) e il "valore commerciale" (art. 5 §). D'altronde, se il DTRF consentisse di calcolare la tassa soltanto in base al prezzo dichiarato nel contratto o al prezzo ufficiale di stima (art. 5, cpv. 2), superflua sarebbe la disposizione del suo art. 6, secondo la quale l'Ufficio del registro procede alla determinazione del valore dell'operazione. Dalla predetta ipotesi, poi, conseguirebbe parimente che, anche nel caso di successione, determinante dovrebbe sempre essere il valore ufficiale: orbene, il Tribunale federale ha già deciso, nelle sentenze non pubblicate del 23 novembre 1955 su ricorso Soldati e del 12 novembre 1958 su ricorso Hofer e Liebetrau, che il calcolo della tassa secondo il valore commerciale, cioè secondo il valore determinato dall'Ufficio del registro fondiario, non è arbitrario. Lo stesso dicasi per il caso di donazione, conformemente alla sentenza che il Tribunale federalle ha pronunciato il 17 maggio 1950 su ricorso della BGE 89 I 527 S. 532 Confederazione svizzera (Amministrazione delle poste, dei telegrafi e dei telefoni). Nel caso in esame, non è essenziale che l'istanza cantonale abbia calcolato la contribuzione secondo il valore commerciale indipendentemente dal fatto che il prezzo dichiarato nel contratto sia o no simulato, perchè il problema giuridico posto è esclusivamente quello di sapere se è arbitrario interpretare il "valore della contrattazione", nel senso dell'art. 5 DTRF, come "valore commerciale". È vero, come affermano i ricorrenti, che la citata legge concernente l'imposta sul maggior valore immobiliare prescrive appositamente, per la determinazione di tale imposta, l'assunzione del valore commerciale, qualora il prezzo dichiarato si rivelasse manifestamente inferiore a questo valore (art. 5 §), ma è errato dedurvi, come i ricorrenti deducono, che, nell'applicazione del DTRF, l'assunzione del valore commerciale sarebbe possibile soltanto se lo stesso DTRF la prescrivesse espressamente: i ricorrenti, infatti, trascurano che la legge concernente l'imposta sul maggior valore immobiliare, per consentire in determinati casi l'assunzione del valore commerciale come base di tassazione, deve necessariamente contenere, in tal senso, una norma particolare, perchè essa muove dal prezzo di alienazione e di acquisto, contrariamente al DTRF che muove dal valore della contrattazione. Ne consegue che l'interpretazione pluriennale del Dipartimento di giustizia circa l'art. 5 DTRF non può essere considerata ingiustificata nè manifestamente infondata, onde neppure può essere ritenuta arbitraria nel senso della giurisprudenza del Tribunale federale sull'art. 4 CF (RU 88 I 205 b e citazioni). Altri motivi a sostegno della pretesa arbitrarietà della decisione dell'istanza cantonale, i ricorrenti non sollevano; in particolare, essi non affermano che la stima del valore commerciale sia stata effettuata in modo arbitrario. Dispositiv Il Tribunale federale pronuncia: Il ricorso di diritto pubblico è respinto.
public_law
nan
it
1,963
CH_BGE
CH_BGE_001
CH
Federation
709fc709-6947-43b2-8604-dc92b0ef7c18
Urteilskopf 89 II 222 31. Auszug aus dem Urteil der I. Zivilabteilung vom 2. Juli 1963 i.S. Abbt gegen Bisciotti.
Regeste Haftung des Dienstherrn wegen Unterlassung genügender Schutzmassregeln gegen die Betriebsgefahren ( Art. 339 OR ). Unfall beim Betrieb einer Mistzettmaschine. Pflicht des Landwirts, seinen Arbeitern dcn Aufenthalt auf der fahrenden Maschine zu verbieten (Erw. 2, 3). Mitverschulden des Verunfallten (Erw. 5). Schadenersatz bei Körperverletzung (Art. 99 Abs. 3 in Verbindung mit Art. 46 OR ). Berechnung der künftigen Erwerbseinbusse. Zumutbarkeit eines Berufswechsels? Massgebender Jahresverdienst (Erw. 6).
Sachverhalt ab Seite 223 BGE 89 II 222 S. 223 Gekürzter Tatbestand: A. - Der italienische Landarbeiter Bisciotti, geb. 1923, trat am 28. August 1955 in den Dienst des aargauischen Landwirts Abbt. Am Nachmittag des 6. Oktober 1955 half er seinem Arbeitgeber zusammen mit seinem Landsmann Urban beim Streuen von Mist. Abbt benützte hiefür eine an seinen Traktor angehängte Mistzettmaschine Marke Agrar, Typ ZMA, Modell 1955, die er für diesen Tag gemietet hatte. Die Maschine bestand aus einem einachsigen Fahrgestell mit zwei Pneurädern, einem darauf ruhenden offenen Stahlkasten von 2,5 m Länge mit einem Fassungsvermögen von 2 m3 und einer am hintern Ende des Laderaums anstelle einer Rückwand angebrachten Streutrommel mit quer zur Fahrrichtung liegender Achse. Sechs auf dem Mantel dieser Trommel befestigte Leisten trugen je fünf oder sechs schräg zur Drehrichtung aufgeschweisste Stahlplättchen (sog. Schaufeln oder Flügel). Wurde die Maschine in Betrieb gesetzt, so bewegte ein aus gehobelten Holzlatten zusammengesetzter Rollboden (Förderband) den in den Laderaum eingefüllten Mist langsam gegen die sehr rasch umlaufende Streutrommel, deren Flügel ihn von unten her abfrästen und nach hinten auswarfen. In der Nähe der Trommel war der Laderaum durch ein aufklappbares Brett gedeckt. Während Abbt den Traktor lenkte, begleitete Urban die Mistzettmaschine. Bisciotti hatte diese jeweilen von einem auf dem Felde angelegten Miststock aus neu zu beladen. Erst vor der letzten Fahrt bestieg er sie, um den Mist im Laderaum nach hinten zu stossen. Er blieb dort, als Abbt die Maschine in Bewegung setzte. Bei dieser Fahrt geriet er mit dem rechten Fuss in den Bereich der Streutrommel. Diese erfasste den Fuss, zog das Bein nach und zerhackte es derart, dass es bis auf einen kurzen Stumpf abgenommen werden musste. BGE 89 II 222 S. 224 B.- Mit Klage vom 6. Oktober 1958 belangte Bisciotti seinen frühern Arbeitgeber wegen Vernachlässigung der diesem nach Art. 339 OR obliegenden Schutzmassregeln auf Schadenersatz im Betrage von Fr. 77'115.-- nebst Zins. Das Bezirksgericht Bremgarten bejahte ein Verschulden des Beklagten, ermässigte jedoch seine Ersatzpflicht wegen Mitverschuldens des Klägers um die Hälfte, bemass den geltend gemachten Schaden, dessen Hauptposten in der künftigen Erwerbseinbusse besteht, unter Annahme eines Jahresverdienstes von Fr. 5000.-- und eines Invaliditätsgrades von 45% auf Fr. 53'752. -, zog von der dem Kläger zuerkannten Hälfte dieses Betrages Versicherungsleistungen von Fr. 5300. - ab und sprach dem Kläger demgemäss Fr. 21'576. - nebst Zins zu. Das Obergericht des Kantons Aargau, an das beide Parteien appellierten, verneinte ein Mitverschulden des Klägers, rechnete wie das Bezirksgericht mit einem Jahresverdienst von Fr. 5000.--, schätzte die Beeinträchtigung der Erwerbsfähigkeit auf 60%, gelangte so zu einem Schaden von Fr. 76'280. -, zog davon die erwähnten Versicherungsleistungen ab und verurteilte den Beklagten daher zur Zahlung von Fr. 70'980. - nebst Zins. C.- Gegen dieses Urteil hat der Beklagte die Berufung an das Bundesgericht erklärt mit dem Antrag, die Klage sei abzuweisen; eventuell sei das Urteil des Bezirksgerichtes wiederherzustellen. Das Bundesgericht bestätigt die Schadensberechnung des Obergerichts, zieht vom Schadensbetrage von Fr. 76'280.-- neben den Versicherungsleistungen von Fr. 5300. - wegen Mitverschuldens des Klägers einen Fünftel (Fr. 15'256.--) ab und setzt den vom Beklagten zu leistenden Schadenersatz deshalb auf Fr. 55'724.-- nebst Zins fest. Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. Nach Art. 339 OR hat der Dienstherr, soweit es ihm mit Rücksicht auf das einzelne Dienstverhältnis und BGE 89 II 222 S. 225 die Natur der Dienstleistung billigerweise zugemutet werden darf, für genügende Schutzmassregeln gegen die Betriebsgefahren zu sorgen. Unter Schutzmassregeln sind dabei nicht nur technische Vorkehren zu verstehen, sondern es kommen auch organisatorische Massnahmen, Anweisungen für das Verhalten der Dienstpflichtigen und Warnungen vor bestimmten Gefahren in Betracht. Der Beklagte hat den Kläger, der die stillstehende Mistzettmaschine gemäss einer von ihm erteilten Weisung bestiegen hatte, um den darin liegenden, nicht mehr kompakten Mist mit der Gabel nach hinten zu stossen, unstreitig nicht aufgefordert, von der Maschine abzusteigen, bevor er diese wieder in Bewegung setzte. Er duldete vielmehr, dass der Kläger während der Fahrt auf der Maschine stehen blieb, obwohl er dort nichts mehr zu tun hatte. Der Aufenthalt auf der fahrenden Maschine war für einen Mitfahrer sehr gefährlich, selbst wenn er sich bestrebte, im vordern Teil des Laderaums zu bleiben. Wie die Vorinstanz feststellt, war auf dem nach hinten fliessenden, mit Mist verschmierten Förderband in Gummistiefeln, wie der Kläger sie mit Rücksicht auf die Art der zu verrichtenden Arbeit trug, ein fester Stand von vornherein nicht möglich. Zudem war die Maschine als einachsiges Fahrzeug bei der Fahrt über das holprige Feld starken Stössen ausgesetzt. Sich darin irgendwo festzuhalten, war ausgeschlossen; die Wände des Laderaums waren hiefür zu niedrig. Daher bestand offenkundig eine erhebliche Sturzgefahr. Ein Sturz in dem nur 2,5 m langen Laderaum brachte aber gemäss einleuchtender Feststellung der Vorinstanz "die grösste Gefahr, in die Streutrommel zu geraten." Unter diesen Umständen durfte der Beklagte keinesfalls dulden, dass der Kläger während der Fahrt auf der Maschine blieb, sondern war verpflichtet, ihn zum Absteigen aufzufordern, als er sah, dass der Kläger sich zum Verweilen auf der Maschine anschickte. Diese einfache Schutzmassregel drängte sich auf und war dem Beklagten ohne weiteres zuzumuten. Indem er es unterliess, dem Kläger den Befehl BGE 89 II 222 S. 226 zum Absteigen zu geben, verstiess er also gegen die in Art. 339 OR niedergelegte Pflicht. 3. Der Beklagte macht freilich geltend, er habe die besondern Gefahren der Maschine, die er am 6. Oktober 1955 erst zum zweiten Mal benützte, nicht erkennen können. Die Herstellerfirma habe es damals selber noch nicht für nötig gefunden, auf diese Gefahren aufmerksam zu machen und namentlich darauf hinzuweisen, dass während der Fahrt niemand auf der Maschine bleiben dürfe, wie sie es seither wegen der eingetretenen Unfälle getan hat. Auch die Warnungen der Beratungsstelle für Unfallverhütung in Brugg seien erst später erfolgt. Zur Zeit des Unfalls sei das Mitfahren auf der Maschine in vielen Gegenden noch üblich gewesen. Urban habe den Kläger wiederholt davor gewarnt, auf der fahrenden Maschine nach hinten zu gehen und den Mist mit den Füssen nachzustossen. Mit Rücksicht auf diese Warnungen seien zusätzliche Anweisungen des Beklagten nicht nötig gewesen. Die Gefahr einer Annäherung an die laufende Streutrommel sei im übrigen so offensichtlich, dass der mit einer guten Auffassungsgabe ausgestattete Kläger nicht besonders darauf habe hingewiesen werden müssen. Diese Einwendungen sind jedoch nicht stichhaltig. a) Der Beklagte gibt zu, dass die Gefährlichkeit der Streutrommel in die Augen sprang. Dass auf der Maschine mitfahrende Personen in Gefahr standen, zu stürzen oder wenigstens auszugleiten und dabei in den Bereich dieser Trommel zu geraten, war für ihn sehr wohl erkennbar, auch wenn die Herstellerfirma und die Unfallverhütungsstelle damals noch nicht vor dieser Gefehr gewarnt hatten oder solche Warnungen ihm nicht bekannt geworden waren. Wie die Vorinstanz zutreffend bemerkt, konnte sich auch ein Landwirt, der nicht über besondere technische Kenntnisse verfügte, von dieser Gefahr Rechenschaft geben. Das Mass an praktischem Verständnis, über das ein mit Maschinen arbeitender Landwirt heute verfügen muss, genügte hiefür vollauf. Wenn das - arbeitstechnisch unnötige BGE 89 II 222 S. 227 - Mitfahren auf Mistzettmaschinen damals noch üblich gewesen sein sollte, so hätte es sich dabei um eine offensichtlich missbräuchliche Gepflogenheit gehandelt, die der Beklagte in seinem Betriebe nicht dulden durfte. Unerheblich ist auch der Umstand, dass der Beklagte die in Frage stehende Maschine vor dem Unfalltag erst einmal benützt hatte. Wer in seinem Betrieb Maschinen einsetzt, hat sich mit den damit verbundenen Gefahren zum voraus vertraut zu machen. Die Gefährdung eines auf der Maschine mitfahrenden Arbeiters war für den Beklagten sofort erkennbar. b) Die behaupteten Warnungen durch Urban sind nach den tatsächlichen Feststellungen der Vorinstanz nicht bewiesen. Es kann keine Rede davon sein, dass diese Feststellungen im Sinne von Art. 55 lit. d und Art. 63 Abs. 2 OG (vgl. hiezu BGE 81 II 86 , BGE 83 II 341 , BGE 87 II 232 /33) offensichtlich auf Versehen beruhen, wie das der Beklagte behauptet. Was zur Begründung dieser Rüge vorgebracht wird, ist nichts anderes als eine Kritik an der Beweiswürdigung der Vorinstanz, die nach Art. 55 lit. c OG nicht zu hören ist. Dass die Beweise willkürlich gewürdigt worden seien, kann im Berufungsverfahren nicht geltend gemacht werden. Eine Verletzung bundesrechtlicher Beweisvorschrift wirft der Beklagte der Vorinstanz mit Recht nicht vor. Die angefochtenen Feststellungen sind daher für das Bundesgericht verbindlich ( Art. 63 Abs. 2 OG ). Im übrigen hätte die Weisung, nicht nach hinten zu gehen, sondern vorn im Laderaum zu bleiben, nicht genügt, sondern die einzige Massregel, die einen zuverlässigen Schutz vor der Berührung mit der laufenden Streutrommel versprach, bestand nach dem Gesagten im Befehl, die Maschine zu verlassen. c) Von der Erteilung dieses Befehls durfte der Beklagte nicht im Vertrauen darauf absehen, dass der Kläger die Gefahr einer Annäherung an die sich drehende Streutrommel selber erkennen könne und deshalb nicht besonders davor gewarnt zu werden brauche. Der Beklagte musste BGE 89 II 222 S. 228 sich eben sagen, dass der Kläger beim Mitfahren auf der Maschine infolge Verlustes des Gleichgewichts auch dann in den Bereich der Streutrommel geraten und von ihr erfasst werden könne, wenn er die Gefährlichkeit dieses Maschinenteils erkannte und sich deshalb bestrebte, im vordern Teil des Laderaums zu bleiben. Daher musste er den Kläger von der Maschine wegweisen, selbst wenn er erwarten durfte, dieser würde sich im Falle des Mitfahrens aus eigenem Antrieb bemühen, sich von der Streutrommel fernzuhalten. Dass der Kläger die Maschine im Hinblick auf die schon mit dem blossen Mitfahren verbundene Gefahr von sich aus verlassen werde und dass sich ein Befehl zum Absteigen aus diesem Grund erübrige, nahm der Beklagte nach seiner eigenen Darstellung nicht an. Zu einer solchen Annahme wäre er denn auch auf jeden Fall von dem Zeitpunkte an nicht mehr berechtigt gewesen, als er sah, dass der Kläger sich anschickte, auf der Maschine zu bleiben. Ein Dienstherr, der bemerkt, dass ein Dienstpflichtiger im Begriffe steht, eine Unvorsichtigkeit zu begehen, hat dagegen einzuschreiten, auch wenn er bis zu dieser Wahrnehmung annehmen durfte, der Dienstpflichtige werde die in Frage stehende Gefahr von sich aus vermeiden. Es bleibt also dabei, dass der Beklagte die ihm nach Art. 339 OR obliegende Pflicht zur Ergreifung von Schutzmassregeln verletzte, indem er es unterliess, den Kläger zum Verlassen der Maschine aufzufordern. Der Nachweis, dass ihn keinerlei Verschulden treffe ( Art. 97 Abs. 1 OR ), ist ihm nicht gelungen. 5. Die Vorinstanz verneint ein Mitverschulden des Klägers, das nach Art. 99 Abs. 3 in Verbindung mit Art. 44 Abs. 1 OR eine Ermässigung der Ersatzpflicht des Beklagten rechtfertigen würde, weil dem Kläger bei den gegebenen Umständen nicht zuzumuten gewesen sei, die Maschine aus eigenem Antrieb zu verlassen. In diesem Punkte kann das Bundesgericht der Vorinstanz nicht folgen. Die Gefahr des Verbleibens auf der Maschine während der Fahrt BGE 89 II 222 S. 229 war so offenkundig, dass auch der Kläger sie erkennen musste. Die Gefahrenmomente (glitschige Standfläche; Bewegung des Rollbodens gegen die rasch laufende, mit scharfkantigen Schaufeln bestückte Streutrommel; Erschütterung des einachsigen Fahrzeugs bei der Fahrt über das holprige Feld) waren auch für einen einfachen Landarbeiter aus Süditalien, der zwar mit landwirtschaftlichen Maschinen nicht vertraut war, die streitige Maschine aber einige Zeit im Betrieb beobachten konnte, bevor er sie bestieg, klar ersichtlich. Der hiefür erforderliche Blick für praktische Dinge fehlte dem Kläger nicht; stellt die Vorinstanz doch in anderm Zusammenhang fest, er verfüge offenbar "über die nötige Geschicklichkeit, um irgend in einer Fabrik arbeiten zu können." Es war daher ein Fehler, dass er während der Fahrt auf der Maschine blieb. Eine dahingehende Weisung hatte ihm der Beklagte nicht erteilt, und es kann ihm entgegen der Auffassung der Vorinstanz auch nicht zugute gehalten werden, er habe "annehmen müssen, dass es zur richtigen Erfüllung der ihm übertragenen Arbeit gehöre, oben zu bleiben." Die Vorinstanz hat zwar in für das Bundesgericht verbindlicher Weise festgestellt, vorher habe sich Urban "während der Arbeit" auch auf der Maschine aufgehalten, was nach dem Zusammenhang und den von der Vorinstanz angezogenen Aktenstellen (Aussagen des Beklagten) bedeutet, dass Urban jeweils auf der Maschine mitfuhr. Dieser Umstand bot jedoch dem Kläger keinen genügenden Grund zur Annahme, er habe während der Fahrt trotz der damit offensichtlich verbundenen Gefahr auf der Maschine zu bleiben, wo er nach Ausführung des Auftrags, den Mist nachzustossen, nichts mehr zu tun hatte. Dass die Anwesenheit eines Arbeiters auf der fahrenden Mistzettmaschine notwendig sei, konnte er um so weniger annehmen, als sich während der vorausgegangenen Fahrt, die der Beklagte abbrach, um den Mist nachstossen zu lassen, niemand auf der Maschine befunden hatte. Der Kläger hätte also ungeachtet des schlechten Beispiels, das ihm Urban BGE 89 II 222 S. 230 mit Duldung des Beklagten gegeben hatte, absteigen sollen. Im Verhältnis zum Verschulden des Beklagten ist das Selbstverschulden des Klägers indessen von untergeordneter Bedeutung. Auch wenn der Beklagte die streitige Maschine vor dem Unfalltag erst einmal benützt hatte, war er doch als in der Schweiz aufgewachsener Landwirt mit der Verwendung von Maschinen und den damit allgemein verbundenen Gefahren besser vertraut als der Kläger. Schon deswegen wiegt seine Fahrlässigkeit schwerer als diejenige des Klägers. Entscheidend ist aber vor allem, dass es in erster Linie dem Dienstherrn obliegt, sich die Gefahren zu vergegenwärtigen, welche der Gebrauch einer bestimmten Maschine mit sich bringt, sich zu überlegen, wie diesen Gefahren zu begegnen sei, und hierauf entsprechend zu handeln. Hiezu gehört namentlich, dass er ungeschulte Hilfskräfte, die mit der Maschine umzugehen haben, durch klare Befehle zu einem Verhalten anweist, bei dem sie die drohenden Gefahren so gut als möglich vermeiden. Der Dienstherr, der dies versäumt, begeht einen gröbern Fehler als der Dienstpflichtige, der es unterlässt, von sich aus die nötige Vorsicht anzuwenden. Dazu kommt hier, dass der Beklagte bei frühern Fahrten den Aufenthalt Urbans auf der Maschine geduldet hatte. Wenn der Kläger hieraus auch nicht schliessen durfte, dass das Mitfahren geboten sei, so erlaubte ihm das Verhalten des Beklagten doch den Schluss, dass dieser das Verweilen auf der Maschine während der Fahrt als zulässig betrachtete. In Würdigung aller dieser Umstände ist die Ersatzpflicht des Beklagten wegen des festgestellten Selbstverschuldens des Klägers um 20% zu ermässigen. 6. Der Beklagte beanstandet die Annahme der Vorinstanz, dass der Unfall die Erwerbsfähigkeit des Klägers um 60% vermindert habe, für den Fall der Beibehaltung des bisherigen Berufs mit Recht nicht als bundesrechtswidrig. Er macht dagegen geltend, dem Kläger sei zuzumuten, sich auf einen andern Beruf, in welchem er durch BGE 89 II 222 S. 231 den Verlust eines Beins weniger behindert wäre, umschulen zu lassen. Er denkt dabei namentlich an die Berufe eines Fräsers, Bohrers oder Drehers, die nach seiner Auffassung auch sitzend ausgeübt werden können und für welche der Kläger die nötige Geschicklichkeit besässe. Bei der Berechnung der künftigen Erwerbseinbusse des Klägers eine solche Berufsänderung in Betracht zu ziehen, rechtfertigt sich jedoch nicht. Der Kläger hat eine sehr schwere Verletzung erlitten, die eine Umstellung auf eine andere körperliche Arbeit, für die er sich nach seinen Fähigkeiten eignen würde, von vornherein stark erschwert. Zudem ist nicht dargetan, dass die vom Beklagten erwähnten Berufe wirklich sitzend ausgeübt werden können, und der Kläger hätte nach den Ausführungen des Orthopäden, auf welche die Vorinstanz abstellt, auch bei sitzender Tätigkeit mit Schwierigkeiten zu rechnen, weil die Prothese dabei zu "Drücken" (und damit zu Hemmungen der ohnehin beeinträchtigten Blutzirkulation im Beinstumpf) führen könnte. Ferner ist fraglich, ob der Kläger in der Metallindustrie wirklich Arbeit fände. Nach den Schreiben der Firma Brown, Boveri & Cie AG in Baden, auf welche die Vorinstanz verweist, war es dieser Firma - trotz Hochkonjunktur - nicht möglich, den Kläger zu beschäftigen, obwohl ein solches Grossunternehmen noch am ehesten in der Lage sein dürfte, Arbeitsplätze für Invalide zu schaffen. In Italien, wohin der Kläger aus armenrechtlichen Gründen heimgeschafft wurde und wohin er mit Rücksicht auf seine Invalidität wohl ohnehin zurückgekehrt wäre, sind für ihn die Aussichten auf eine Stelle in der Metallindustrie kaum besser. Unter diesen Umständen ist ihm ein Berufswechsel nicht zuzumuten. Bei dem von der Vorinstanz angenommenen Invaliditätsgrad muss es daher sein Bewenden haben. Entgegen der Auffassung des Beklagten ist auch nichts dagegen einzuwenden, dass die Vorinstanz der Berechnung der künftigen Erwerbseinbusse des Klägers das von ihr auf Fr. 5000.-- geschätzte Einkommen eines Landarbeiters BGE 89 II 222 S. 232 in der Schweiz zugrunde gelegt hat. Die Invaliditätsentschädigungen werden regelmässig auf Grund des bisherigen Einkommens berechnet, das hier dasjenige eines Landarbeiters in der Schweiz war. Die Vorinstanz hat im übrigen mit guten Gründen angenommen, der Kläger wäre ohne den Unfall auf absehbare Zeit in der Schweiz geblieben und hätte angesichts seiner Geschicklichkeit auch im Falle einer Rückkehr nach Italien in einem andern Beruf ein Einkommen von der genannten Höhe erzielen können. In den übrigen Punkten ist die Schadensberechnung der Vorinstanz nicht angefochten. Auch über die Anrechnung der Versicherungsleistungen von Fr. 5300. - und über den Zinsenlauf herrscht kein Streit.
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de
1,963
CH_BGE
CH_BGE_004
CH
Federation
70a04a79-0b3f-449e-ae4c-cd9c6a8619a9
Urteilskopf 101 Ib 405 69. Auszug aus dem Urteil vom 3. Dezember 1975 i.S. Lehmann und Fuhrer gegen Kanton Bern und Eidg. Schätzungskommission 6. Kreis
Regeste Enteignung nachbarrechtlicher Unterlassungsansprüche; Minderwertsentschädigung ( Art. 19 lit. a EntG ). Voraussetzungen der von Nationalstrassen ausgehenden übermässigen Lärmeinwirkungen: Bedeutung der sog. Grenzrichtwerte für die Spezialität des Schadens (E. a, aa); Begriff der ruhigen Wohnzone (E. a, cc); ein Minderwert von 10% kann noch als schwerer Schaden gelten (E. b).
Sachverhalt ab Seite 406 BGE 101 Ib 405 S. 406 Die N6 führt bei Oberwichtrach in einem Abstand von 57,5 m bzw. 77,5 m westlich der landwirtschaftlichen Liegenschaften des Fritz Fuhrer und der Frau R. Lehmann vorbei, die ungefähr 1100 m vom Dorfkern entfernt sind. Die betreffende Autobahnstrecke ist am 10. Mai 1972 dem Verkehr übergeben worden. Am 3. Juli 1972 stellten die beiden Grundeigentümer bei der Eidg. Schätzungskommission des 6. Kreises (kurz: ESchK) das Begehren, der Staat Bern sei zu verpflichten, auf eine Länge von 500 m eine schallschluckende Mauer oder einen Damm zu errichten, oder ihnen allenfalls Entschädigungen von Fr. 32'000.-- und Fr. 20'000.-- zu bezahlen, weil wegen des Verkehrslärms der N6 im Bereich ihrer Liegenschaften ein Wohnen unerträglich geworden sei. Am 26. März 1974 wies die ESchK die Begehren ab. Mit einer gemeinsamen Verwaltungsgerichtsbeschwerde wiederholen die Gesuchsteller ihre Begehren vor Bundesgericht. Dieses heisst die Beschwerde nach zwei Augenscheinen mit den Experten Prof. W. Furrer und dipl. Arch. T. Rimli teilweise gut. Erwägungen Aus den Erwägungen: 3. Nach der Rechtsprechung ist eine Entschädigung für Nachteile aus Immissionen nur geschuldet, wenn diese schwer und intensiv sind, den Eigentümer in besonderer Weise treffen und nicht vorhergesehen werden konnten ( BGE 94 I 300 , BGE 95 I 493 , BGE 98 Ib 331 ). BGE 101 Ib 405 S. 407 a) Voraussetzung der Spezialität des Schadens aa) Diese Voraussetzung ist erfüllt, wenn die Einwirkung ausserhalb des Normalen liegt (nicht veröffentlichtes Urteil i.S. Knecht und Kons. vom 8. Mai 1974). Das trifft in der Regel zu, wenn der Lärm von solcher Stärke ist, dass er die von der Eidg. Expertenkommission in ihrem Bericht an den Bundesrat von 1963 unter dem Titel "Lärmbekämpfung in der Schweiz" aufgestellten Grenzrichtwerte klar übersteigt. Auch wenn diese Werte keine gesetzliche Geltung haben, so kommt ihnen doch als Arbeitsergebnis von Fachleuten die Bedeutung von Richtlinien zu, von denen der Richter nicht ohne wichtigen Grund abweicht. In bereits vergleichsweise erledigten Fällen von Lärmimmissionen an der N6 (Dr. Sigrist und L'Eplattenier/Martig) wurde die Übermässigkeit der Immission als erfüllt angesehen, wenn insbesondere die häufigen Spitzen (L 1) nachts den Grenzrichtwert um 9 und mehr dB (A) überschritten. Da sich nämlich der Strassenlärm in sog. stochastischen Geräuschen äussert, die vom Unterbewusstsein nur sehr schwer oder überhaupt nicht programmiert werden und an die sich daher der Mensch nicht gewöhnt, wirken sich vor allem die Lärmspitzen während der Nacht äusserst störend aus, wenn sie über die bei 45-50 dB (A) liegende Weckschwelle deutlich hinausgehen (vorgenanntes Urteil i.S. Knecht; Bericht der vorgenannten Expertenkommission von 1963, S. 59; GRANDJEAN/LAUBER, Lärmimmissionen von Autobahnen, NZZ Nr. 94 vom 26.2.1973, S. 39). Das ist hier nach den Feststellungen des Experten Furrer bei beiden Liegenschaften der Fall. Die Grenzrichtwerte 1963 liegen nämlich für ruhige Wohnzonen und nachts für die häufigen Spitzen L 1 bei 55 dB (A). Sie werden im Fall Fuhrer um 9-10 dB (A), im Fall Lehmann um 10 dB (A) im Durchschnitt überschritten. Damit ist in beiden Fällen jene Intensität der Lärmeinwirkung erreicht, die über den Rahmen des Normalen klar hinausgeht. bb) (Einwand betreffend der anzuwendenden Grenzrichtwerte) cc) Das weitere Vorbringen des Beschwerdegegners, dass jedenfalls die für eine ruhige Wohnzone geltenden Grenzrichtwerte BGE 101 Ib 405 S. 408 ausser Betracht fallen müssten, weil die beiden Liegenschaften nicht in einer "Wohnzone", sondern "im übrigen Gemeindegebiet" lägen, geht fehl. Es verkennt, dass die in beiden Berichten erwähnten Zonen sog. Geräuschzonen sind, die sich mit den baurechtlichen Zonen der Gemeinde keineswegs decken müssen. Ob im gegebenen Fall eine ruhige Wohnzone im Sinne einer Geräuschzone vorliegt und wieweit sich diese erstreckt, bestimmt sich nach den tatsächlichen Gegebenheiten (Bericht von 1963, S. 64), d.h. den wirklich vorhandenen Geräuschverhältnissen. Dass so betrachtet die Liegenschaften Fuhrer und Lehmann vor dem Bau der N6 in einer ausgesprochen ruhigen Gegend lagen, wird auch vom Staat Bern nicht in Abrede gestellt. Es rechtfertigte sich daher, diese tatsächlichen Geräuschverhältnisse jenen einer ruhigen Wohnzone gleichzustellen und die hiefür von der Fachkommission in ihrem Bericht von 1963 angegebenen Grenzrichtwerte anzuwenden. Schliesslich ist unerheblich, dass es sich bei den fraglichen Liegenschaften um landwirtschaftliche Heimwesen und nicht um ausschliessliche Wohnbauten handelt. Auch die Bewohner eines Bauernhauses in ruhiger Lage haben Anspruch darauf, in ihrer Nachtruhe geschützt oder bei deren erheblicher Beeinträchtigung durch den Betrieb eines öffentlichen Werkes dafür entschädigt zu werden. b) Voraussetzung der Schwere des Schadens aa) Aufgrund eines Vergleichs der in den vorliegenden Fällen gemessenen Überschreitung der Grenzrichtwerte mit den überschiessenden Lärmquoten früher erledigter Fälle und den hiefür nach einem in Folgen von je 5% aufsteigenden Rastersystem berechneten Minderwerte gelangten die beiden Experten zum Schluss, dass im Fall Lehmann der Schaden 10% beträgt. Diese auch vom Staat Bern als solche nicht bemängelte Wertung ist sachlich begründet; sie ist weder offensichtlich falsch noch lückenhaft noch widersprüchlich, weshalb für das Bundesgericht kein Anlass besteht, von ihr abzuweichen ( BGE 87 I 90 , BGE 94 I 291 ). Es bleibt indessen die Frage, ob ein Minderwert von 10% noch rechtlich erheblich sei. Die Erwägungen in BGE 98 Ib 329 könnten auf den ersten Blick zur Annahme verleiten, es sei darin die Grenze bei 15% gezogen worden. Das entspricht BGE 101 Ib 405 S. 409 jedoch nicht ihrem wahren Sinn; jener Entscheid verweist ausdrücklich auf BGE BGE 95 I 495 , wo einzig erklärt wurde, ein Einschlag von 15% auf den Verkehrswert müsse im Sinne von BGE 94 I 302 als erheblich gelten. Der letztgenannte Entscheid aber bezeichnete mit keinem Wort einen Minderwert von 15% als unterste Grenze, sondern hielt unmissverständlich fest, der unterste Grenzwert könne nicht allgemein bestimmt werden; es sei nach den gesamten Umständen des Einzelfalles "équitablement" zu wägen, ob die Beeinträchtigung eine erhebliche sei. Ausgeschlossen wurde nur "un tort bénin", ein geringfügiger Schaden. Dementsprechend hat sich das Bundesgericht in der neuesten Rechtsprechung (genanntes Urteil i.S. Knecht) nicht auf eine bestimmte Wertgrenze festgelegt. Im vergleichsweise erledigten Parallelfall des Dr. Sigrist hatte die Instruktionskommission mit Zustimmung des Staates Bern einen Minderwert von 10% noch als erheblich erachtet. Auch im vorliegenden Fall rechtfertigt dies eine billige Würdigung aller Umstände, namentlich der bescheidenen Verhältnisse, in denen die Beschwerdeführerin lebt und die es ihr nicht gestatten, aus eigenen Mitteln das Nötige vorzukehren, um die störenden Einwirkungen des Verkehrs auf der N6 in ihrem Hause zu dämpfen. Der Experte Rimli hat die Entschädigung für 10% Minderwert nach sachlicher Prüfung aller Faktoren auf Fr. 5'000.-- berechnet. Keine Partei macht etwas geltend, was zu einer anderen Wertung zwingen würde. Der Beschwerdeführerin Nr. 1 ist daher dieser Betrag zuzusprechen. bb) (Verhältnisse im Fall Fuhrer.)
public_law
nan
de
1,975
CH_BGE
CH_BGE_003
CH
Federation
70a05261-949c-4d7e-b8ab-8211bbad2c9a
Urteilskopf 105 IV 343 88. Arrêt de la Cour de cassation pénale du 23 novembre 1979 dans la cause B. contre Ministère public du canton de Valais (pourvoi en nullité)
Regeste 1. Art. 273 Abs. 1 lit. b und 277 bis Abs. 1 BStP. Ob der Grad der Alkoholisierung rechtsgenüglich festgestellt worden ist, um als erwiesen zu gelten, ist eine Frage der Beweiswürdigung und daher mit Nichtigkeitsbeschwerde nicht anfechtbar (Erw. 2 a). 2. Art. 91 SVG . Der Täter ist strafbar, sobald seine Fahrfähigkeit merklich beeinträchtigt ist. Dass er fahrunfähig sei, braucht nicht nachgewiesen zu werden, selbst wenn eine Blutalkoholkonzentration von 0,8%0 nicht festgestellt ist (Erw. 2 c).
Sachverhalt ab Seite 344 BGE 105 IV 343 S. 344 A.- Le lundi 18 septembre 1978, B. a annoncé à la police municipale de Monthey que sa voiture, une "Opel Manta", avait été utilisée à son insu au cours de la nuit précédente, alors qu'elle était stationnée à Champéry. Comme il paraissait ivre, il a été conduit auprès de la police cantonale. Celle-ci lui a fait subir un test au breathaliser qui a révélé une alcoolémie de 2,05%o à 21 h 25 et de 2,02%o cinq minutes plus tard. Il a refusé de se soumettre à une prise de sang. Interrogé le jour même, puis le lendemain, il a déclaré que, le lundi 18 septembre, il n'avait bu que cinq verres de vin, une bière-limonade et une bière normale. La requête d'une expertise destinée à établir que le prévenu n'était pas pris de boisson lorsqu'il s'est rendu à Monthey en voiture dans la soirée du 18 septembre ayant été rejetée, l'instruction a été déclarée close le 9 mars 1979. Le 3 mai 1979, le juge-instructeur du district de Monthey, reconnaissant B. coupable de conduite d'un véhicule automobile en étant pris de boisson, l'a condamné de ce chef à un mois d'emprisonnement, sous déduction d'un jour de détention préventive. B. a fait appel, soutenant que, faute d'une prise de sang établissant à sa charge une alcoolémie de 0,8%o (conformément à l'art. 55 introduit le 20 mars 1975 dans la LCR), il n'aurait pu être condamné que si son inaptitude à conduire avait été démontrée par tout autre moyen de preuve et qu'il devait partant être libéré, aucune preuve en ce sens n'ayant été rapportée. Statuant le 7 septembre 1979, le BGE 105 IV 343 S. 345 Tribunal du IIIe arrondissement pour le district de Monthey a confirmé le premier jugement. C.- B. se pourvoit en nullité au Tribunal fédéral. Reprenant pour l'essentiel l'argumentation soutenue en deuxième instance cantonale, il conclut à libération. Erwägungen Considérant en droit: 1. Le recourant n'ayant pas déposé en temps utile le recours de droit public qu'il annonçait, pour faire constater l'arbitraire dont l'autorité cantonale aurait le cas échéant fait preuve dans l'établissement des faits de la cause, il sera statué dans le cadre du pourvoi en nullité sur la base des constatations figurant dans la décision attaquée ( art. 277bis al. 1 PPF ). L'autorité cantonale ayant constaté - le recourant admet lui-même qu'il s'agit là d'une constatation de fait - que le recourant présentait une alcoolémie supérieure à 0,8%o, on ne voit pas comment l'on peut contester en droit que l'incapacité de conduire ait été démontrée. Il s'ensuit que la condamnation du recourant pour conduite en état d'ébriété ne viole nullement le droit fédéral. 2. Certes, le recourant fait valoir que les art. 55 et 91 al. 1 LCR ont été violés en ceci que l'alcoolémie qui lui est reprochée n'a pas été établie au moyen d'une prise de sang et que, pour le reste, son incapacité de conduire ne résulte d'aucun élément de preuve suffisant. a) Savoir si le degré d'alcoolémie a été établi d'une manière suffisante pour être tenu pour acquis est une question relevant de l'administration et de l'appréciation des preuves. Comme telle elle ne peut être abordée dans le cadre d'un pourvoi en nullité. On a vu plus haut qu'en renonçant à déposer un recours de droit public, le recourant a perdu la faculté de revenir sur les constatations de l'autorité cantonale et notamment sur le fait qu'il présentait une alcoolémie supérieure à 0,85%o. b) Quant à se plaindre de la manière dont son alcoolémie a été constatée, le recourant ne saurait le faire dès lors qu'il a lui-même refusé la prise de sang que l'on voulait effectuer sur lui. Dans une telle hypothèse, même si l'absence de prise de sang n'était pas imputable au recourant, l'autorité cantonale était fondée à former sa conviction au moyen d'autres éléments de preuve, tels ceux qu'elle a retenus ( ATF 103 IV 46 ). BGE 105 IV 343 S. 346 c) Il est évidemment faux de soutenir que, selon l' art. 91 LCR , lorsqu'une alcoolémie supérieure à 0,8%o n'est pas établie - elle l'est toutefois en l'espèce, rappelons-le - il convient de démontrer que l'ivresse est cause d'une incapacité de conduire. L'auteur est en effet punissable aussitôt qu'en raison de sa consommation d'alcool il est seulement entravé d'une façon non négligeable dans sa capacité de conduire. Il s'ensuit que l' art. 91 LCR n'est pas applicable du seul fait qu'il y a alcoolémie, ni seulement quand l'auteur est manifestement ivre et présente des troubles physiques ou psychiques incompatibles avec la conduite d'un véhicule. La limite de 0,8%o qui est aujourd'hui fixée par la jurisprudence et qui figurera peut-être expressément dans la loi le démontre bien: elle correspond à l'ingestion d'une quantité d'alcool certes importante mais qui, tout en amoindrissant la capacité de conduire d'une manière non négligeable, n'implique pas nécessairement chez le consommateur des signes patents de son état. Au vu de ce qui précède, on ne saurait reprocher à l'autorité cantonale d'avoir admis, même si elle n'avait pas constaté une alcoolémie, que le recourant avait bu assez d'alcool pour se trouver diminué dans sa faculté de conduire un véhicule. Elle n'a donc violé ni l'art. 55, ni l' art. 91 LCR . Dispositiv Par ces motifs, le Tribunal fédéral: Rejette le pourvoi dans la mesure où il est recevable.
null
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fr
1,979
CH_BGE
CH_BGE_006
CH
Federation
70a1e422-0ffa-4da7-9154-464b233078de
Urteilskopf 111 Ia 220 39. Auszug aus dem Urteil der II. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 31. Oktober 1985 i.S. X. Immobilien AG gegen Kanton Nidwalden, Verwaltungsgericht des Kantons Nidwalden und Kanton Basel-Stadt (staatsrechtliche Beschwerde)
Regeste Art. 46 Abs. 2 BV ; Unkostenabzug bei der Ermittlung des steuerbaren Grundstückgewinnes einer interkantonalen Immobiliengesellschaft. 1. Der von einer kantonalen Steuerverwaltung unterbreitete Vorschlag für die interkantonale Repartition der Erträge und Unkosten ist kein mit Doppelbesteuerungsbeschwerde anfechtbarer Hoheitsakt (E. 1b). 2. Die für gewerbsmässige Liegenschaftenhändler und Generalbauunternehmer entwickelte bundesgerichtliche Kollisionsregel, wonach der Liegenschaftskanton bei der Ermittlung des steuerbaren Grundstückgewinnes einen Anteil an den mit dem Verkauf zusammenhängenden Unkosten des Liegenschaftenhändlers am Hauptsitz zu übernehmen hat, kann bei Immobiliengesellschaften nicht angewandt werden (E. 2 und 3).
Sachverhalt ab Seite 221 BGE 111 Ia 220 S. 221 Die X. Immobilien AG mit Sitz in Basel war 1976 Eigentümerin von Liegenschaften in zehn weiteren Kantonen. Ihre Aktien gehören zum Liegenschaften-Anlagefonds X. Fondsleitung ist die X. AG, Basel. 1976 verkaufte die X. Immobilien AG sechs ihrer Liegenschaften, nämlich je eine in den Kantonen Aargau, Basel-Landschaft, Bern und Luzern sowie ihre beiden einzigen Liegenschaften in Nidwalden. Bei der Ermittlung des steuerbaren Grundstückgewinnes liess die Kantonale Steuerverwaltung Nidwalden nebst weiteren, nicht bestrittenen Beträgen nur nach Ermessen mit Fr. 10'000.-- pauschal geschätzte Verkaufsauslagen zum Abzug zu. Die X. Immobilien AG liess einen entsprechenden Einsprache-Entscheid in Rechtskraft erwachsen. Am 12. September 1978 erhielt die X. Immobilien AG von der Steuerverwaltung ihres Sitzkantons Basel-Stadt einen Vorschlag für die interkantonale Ausscheidung des im Jahre 1976 erzielten Ertrages. Danach fiel ihr Reinertrag ausschliesslich den drei Kantonen Basel-Landschaft, Luzern und Nidwalden zu, in denen sie 1976 Kapitalgewinne erzielt hatte, während für Basel-Stadt und die übrigen Liegenschaftskantone nur Verluste resultierten. In der Repartitionsrechnung wurde unter anderem ein Unkostenanteil von 5% des Bruttoverkaufspreises der veräusserten Liegenschaften auf die Liegenschaftskantone verlegt, was für Nidwalden einen Betrag von Fr. 135'000.-- ergab. Mit Verfügung vom 23. Januar 1979 wurde die X. Immobilien AG im Kanton Basel-Stadt mit einem steuerbaren Reinertrag pro 1976 von Fr. Null und einer an die Stelle der Kapital- und Ertragssteuer tretenden Grundstücksteuer von Fr. ... veranlagt. Die gegen die Grundstücksteuerveranlagung erhobene Einsprache ist noch hängig. Am 21. September 1978 erhob die X. Immobilien AG bei der Kantonalen Steuerverwaltung Nidwalden unter Hinweis auf die von Basel-Stadt vorgeschlagene Steuerausscheidung erneut Einsprache gegen die Grundstückgewinnsteuerveranlagung. Sie machte geltend, durch den von Basel-Stadt festgesetzten Anteil an Verkaufsunkosten von 5% des Verkaufserlöses oder Fr. 135'000.-- entstehe eine Doppelbesteuerung, die zu beseitigen BGE 111 Ia 220 S. 222 sei, indem der steuerbare Grundstückgewinn um Fr. 125'000.-- (Fr. 135'000.-- abzüglich bereits berücksichtigter Unkosten von pauschal Fr. 10'000.--) zu ermässigen sei. Die Steuerverwaltungs-Kommission Nidwalden wies die Einsprache mit der Begründung ab, der von Basel-Stadt pauschal errechnete Verkaufsunkostenanteil von 5% sei übersetzt; die ermessensweise mit Fr. 10'000.-- veranlagten Nebenkosten dagegen seien angemessen, da über die tatsächlich entstandenen Kosten keine Angaben gemacht und keine Belege eingereicht worden seien. Eine Beschwerde gegen den Einsprache-Entscheid wies das Verwaltungsgericht des Kantons Nidwalden mit Urteil vom 27. September 1982 ab. Die X. Immobilien AG führt gegen das Urteil des Verwaltungsgerichts Nidwalden vom 27. September 1982 und gegen den Repartitionsvorschlag vom 12. September 1978 der Steuerverwaltung Basel-Stadt staatsrechtliche Beschwerde mit dem Antrag, der zwischen diesen beiden Kantonen entstandene Doppelbesteuerungskonflikt sei zu beseitigen. Das Bundesgericht tritt auf die Beschwerde gegen den Kanton Basel-Stadt nicht ein und weist die Beschwerde gegen den Kanton Nidwalden ab aus den folgenden Erwägungen Erwägungen: 1. a) Die staatsrechtliche Beschwerde wurde fristgerecht ( Art. 89 Abs. 1 OG ) gegen das Urteil des Verwaltungsgerichts Nidwalden eingereicht. Es handelt sich dabei um einen Entscheid, mit dem das Verwaltungsgericht als letzte kantonale Instanz es ablehnte, wegen der von der Beschwerdeführerin gerügten Doppelbesteuerung die längst rechtskräftige Veranlagung der Grundstückgewinnsteuer in Wiedererwägung zu ziehen. Ob die Steuerverwaltungs-Kommission und das Verwaltungsgericht des Kantons Nidwalden gehalten waren, auf die nachträgliche Einsprache und den anschliessenden Rekurs der Beschwerdeführerin noch einzutreten, kann dahingestellt bleiben, nachdem beide Instanzen eingetreten sind und eine Wiedererwägung aus materiellen Gründen abgelehnt haben. Die Doppelbesteuerungsbeschwerde kann nicht nur gegen eine kantonale Verfügung oder einen kantonalen Entscheid über die Steuerveranlagung, sondern auch gegen einen nachträglichen materiellen Entscheid über die Wiedererwägung einer rechtskräftigen Veranlagung wegen geltend gemachter Doppelbesteuerung erhoben werden BGE 111 Ia 220 S. 223 (STUDER, Der Doppelbesteuerungsprozess, ZBl 47 (1946) S. 486 lit. c; LOCHER, Doppelbesteuerung, § 12, III A, 2 Nr. 6). b) Das Bundesgericht prüft in Doppelbesteuerungssachen nach seiner früheren und in neueren Urteilen wieder aufgenommenen Rechtsprechung nicht von Amtes wegen, ob die vom Beschwerdeführer nicht angefochtene konkurrierende Veranlagung das Verbot der Doppelbesteuerung verletzt ( BGE 111 Ia 46 E. 1b, mit zahlreichen Nachweisen). Die von der X. Immobilien AG in der staatsrechtlichen Beschwerde nicht angefochtene Veranlagungsverfügung des Kantons Basel-Stadt vom 23. Januar 1979 ist somit nicht in das Verfahren einzubeziehen. Ob diese Verfügung, soweit die Beschwerdeführerin zu einem im Jahre 1976 steuerbaren Ertrag von Fr. Null veranlagt wurde, überhaupt zu einer (aktuellen) Doppelbesteuerung führen könnte, braucht daher nicht entschieden zu werden (vgl. dazu ASA 53, 296 E. 2 sowie das Urteil vom 25. Mai 1984 i.S. L. AG in NStP 38 (1984) S. 154/5 E. 2). Mit der vorliegenden Beschwerde gegen den Kanton Basel-Stadt ficht die X. Immobilien AG nur die Ausscheidung der steuerbaren Erträge und der Unkosten vom 12. September 1978 an. Diese vom Kanton Basel-Stadt vorgenommene interkantonale Repartition als solche ist jedoch weder für die Beschwerdeführerin noch für einen der beteiligten Kantone, insbesondere auch nicht für den Kanton Basel-Stadt, rechtsverbindlich und stellt daher keinen mit staatsrechtlicher Beschwerde anfechtbaren Hoheitsakt dar. Offen bleiben kann, ob diese Repartition für den Kanton Basel-Stadt und die Beschwerdeführerin allenfalls zusammen mit der einen steuerbaren Ertrag von Fr. Null ausweisenden Veranlagungsverfügung vom 23. Januar 1979 insoweit verbindlich geworden wäre, als dem Kanton Basel-Stadt ein mit allenfälligen Reinerträgen späterer Jahre verrechenbarer Ausscheidungsverlust (vgl. § 73 Abs. 3 lit. f des baselstädtischen Gesetzes über die direkten Steuern vom 22. Dezember 1949) zugewiesen wurde; die Frage hätte sich nur gestellt, wenn die Beschwerdeführerin keine Einsprache erhoben hätte und die Veranlagungsverfügung rechtskräftig geworden wäre. Unter diesen Umständen kann auf die Beschwerde nicht eingetreten werden, soweit sie sich gegen den Kanton Basel-Stadt richtet. c) Gegen die Veranlagungen in Basel-Landschaft und Luzern sowie in den weiteren Liegenschaftskantonen richtet sich die Beschwerde nicht. Zu prüfen bleibt einzig, ob der Kanton Nidwalden BGE 111 Ia 220 S. 224 mit seiner rechtskräftigen Veranlagung zur Grundstückgewinnsteuer das Besteuerungsrecht überschritt, das ihm nach den bundesgerichtlichen Regeln über die interkantonale Doppelbesteuerung zusteht. Auf das Beschwerdebegehren Ziff. 1 ist insoweit einzutreten, als die Beschwerdeführerin beantragt, es sei die durch die Veranlagung der Grundstückgewinnsteuer des Kantons Nidwalden entstandene Doppelbesteuerung zu beseitigen. Zwar ist eine staatsrechtliche Beschwerde grundsätzlich kassatorischer Natur ( BGE 108 Ia 199 E. 1, 288, mit weiteren Hinweisen). Eine positive Anordnung kann damit nur ausnahmsweise verlangt werden, wenn die von der Verfassung geforderte Lage nicht schon mit der Aufhebung des kantonalen Entscheids hergestellt wird ( BGE 107 Ia 257 E. 1). Dies kann namentlich bei Doppelbesteuerungsbeschwerden der Fall sein ( BGE 111 Ia 46 /7 E. 1c; BGE 85 I 17 ; BGE 81 I 219 ) und dürfte hier zutreffen, sofern der Kanton Nidwalden seine Besteuerungsbefugnis überschritten haben sollte, wie die Beschwerdeführerin geltend macht. 2. a) Eine gegen Art. 46 Abs. 2 BV verstossende Doppelbesteuerung liegt vor, wenn ein Steuerpflichtiger von zwei oder mehreren Kantonen für das nämliche Steuerobjekt und für die gleiche Zeit zu Steuern herangezogen wird (aktuelle Doppelbesteuerung) oder wenn ein Kanton in Verletzung der geltenden Kollisionsnormen seine Steuerhoheit überschreitet und eine Steuer erhebt, zu deren Erhebung ein anderer Kanton zuständig wäre (virtuelle Doppelbesteuerung). Ausserdem hat das Bundesgericht aus Art. 46 Abs. 2 BV abgeleitet, ein Kanton dürfe einen Steuerpflichtigen nicht deshalb stärker belasten, weil er nicht in vollem Umfange seiner Steuerhoheit unterstehe, sondern zufolge seiner territorialen Beziehungen auch noch in einem andern Kanton steuerpflichtig sei. Eine unzulässige Doppelbesteuerung ist daher grundsätzlich gegeben, wenn ein Steuerpflichtiger in mehreren auf dem Boden der Reineinkommenssteuer stehenden Kantonen zusammen für die gleiche Zeit mehr als sein gesamtes Reineinkommen zu versteuern hat, also mehr als bei Konzentration der Steuerpflicht in einem Kanton ( BGE 111 Ia 47 /8 E. 3; BGE 107 Ia 42 E. 1a, mit Hinweisen). Diese allgemeine Regel hat allerdings gegebenenfalls zurückzutreten vor dem besonderen Grundsatz, wonach das Grundeigentum dem Kanton, in dem es gelegen ist, zur ausschliesslichen Besteuerung vorbehalten bleibt ( BGE 93 I 241 /2 E. 2). BGE 111 Ia 220 S. 225 b) Die Beschwerdeführerin und die beteiligten Kantone sind sich darin einig, dass der Gewinn aus der Veräusserung der beiden Liegenschaften im Kanton Nidwalden ausschliesslich diesem Liegenschaftskanton zur Besteuerung zusteht. Die Beschwerdeführerin und die Steuerverwaltung des Kantons Basel-Stadt sehen eine unzulässige Doppelbesteuerung einzig darin, dass der Kanton Nidwalden bei der Berechnung des steuerbaren Grundstückgewinns Verkaufskosten nicht in Abzug brachte, die er nach der Ausscheidung des steuerbaren Reinertrags, welche die Steuerverwaltung Basel-Stadt am 12. September 1978 vorschlug, zu seinen Lasten übernehmen müsste. c) Das Bundesgericht hat die Besteuerung des Wertzuwachses auf Liegenschaften insoweit, als er nicht Folge einer gewerblichen Tätigkeit ist, stets dem Liegenschaftskanton vorbehalten ( BGE 79 I 140 E. 3c; BGE 54 I 240 /1 E. 2, mit weiteren Hinweisen). Das folgt aus dem in seiner ständigen Rechtsprechung befolgten Grundsatz, dass das Grundeigentum als einziges der Gebietshoheit unentziehbar unterliegendes Gut dem Träger dieser Gebietshoheit zur ausschliesslichen Besteuerung vorbehalten sein soll. Dieser Grundsatz gilt insbesondere auch für Immobiliengesellschaften und im System der Reinertrags- und Reinvermögens-Besteuerung. Solche Gesellschaften, deren Geschäftstätigkeit nach dem statutarischen Zweck im An- und eventuellen Verkauf, in der Überbauung und in der Verwaltung von Liegenschaften besteht ( BGE 104 Ia 253 E. 3a), haben ausserhalb ihres Sitzkantons dort, wo sie Liegenschaften besitzen, kein sekundäres Steuerdomizil (vgl. zu diesem Begriff HÖHN, Interkantonales Steuerrecht, S. 95/6), sondern ihr Liegenschaftsbesitz dient ausschliesslich der Vermögensanlage. Das hat, zunächst was die Besteuerung des laufenden Ertrags betrifft, zur Folge, dass der Liegenschaftskanton nicht befugt ist, sie durch Erfassung einer Quote ihres Gesamtertrags für den Geschäftsbetrieb als solchen zu besteuern. Er darf sie nur für den Reinertrag der im Kanton gelegenen Liegenschaft - d.h. für die Mietzinseinnahmen unter Abzug der Liegenschaftskosten und eines proportionalen Schuldzinsenanteils - besteuern, aber für diesen Reinertrag voll und unter Ausschluss aller übrigen Besteuerungsrechte ( BGE 91 I 396 /7; BGE 79 I 31 /2, mit weiteren Hinweisen; vgl. auch BGE 111 Ia 123 E. 2; BGE 109 Ia 316 f. E. 4). Ihren Gesamtreinertrag darf er höchstens bei der Bemessung ihrer wirtschaftlichen Leistungsfähigkeit berücksichtigen (vgl. ASA 54, 235 E. 2b). Die Kosten für die Erzielung des Liegenschaftsertrags sind BGE 111 Ia 220 S. 226 objektmässig auszuscheiden und vom Liegenschaftskanton zu tragen ( BGE 104 Ia 261 E. 4a). Dasselbe gilt für die Ausscheidung des dem Liegenschaftskanton zur ausschliesslichen Besteuerung zustehenden Wertzuwachses auf den Liegenschaften. Das heisst, der Liegenschaftskanton hat die für die Erzielung des von ihm ausschliesslich besteuerten Liegenschaftsgewinns notwendigen Aufwendungen der Immobiliengesellschaft objektmässig ausgeschieden zum Abzug zu übernehmen (HÖHN, a.a.O., S. 460). Dagegen hat er keinen verhältnismässigen Anteil an den gesamten Verwaltungskosten der Gesellschaft abzuziehen, da er auch nicht befugt ist, ihren allfälligen Gesamtreinertrag anteilmässig zu besteuern. d) Erheblich andere Kollisionsregeln stellte das Bundesgericht in seiner Rechtsprechung für gewerbsmässige Liegenschaftenhändler und Generalbauunternehmer auf, bei denen die zum Geschäftsvermögen gehörenden Liegenschaften in der Regel Umlaufvermögen sind und die Erzielung von Gewinn durch die Veräusserung der Liegenschaften einen eigentlichen Geschäftszweck darstellt (HÖHN, a.a.O., S. 467 ff.). Nachdem die von Liegenschaftenhändlern erzielten Kapitalgewinne in der frühern Rechtsprechung ausschliesslich dem Sitzkanton (Wohnsitzkanton) zur Besteuerung zugewiesen worden waren (Zusammenfassung der Rechtsprechung in BGE 79 I 146 /7), änderte das Bundesgericht zwar 1953 seine Praxis und erklärte seither ausschliesslich den Kanton der gelegenen Sache zur Besteuerung der Liegenschaftsgewinne auch der Liegenschaftenhändler zuständig ( BGE 79 I 148 ). Dagegen verlangt es vom Liegenschaftskanton, dass er allen Aufwendungen Rechnung trage, die dem Händler im Hinblick auf die Erzielung des Gewinns erwachsen ( BGE 88 I 341 ). Daher wurde der Liegenschaftskanton zunächst verpflichtet, unabhängig von der Ausgestaltung der Grundstückgewinnbesteuerung die objektmässig ausgeschiedenen vollen Schuldzinsen auf Fremdgeldern zum Abzug zuzulassen, die der Liegenschaftenhändler zur Finanzierung des Geschäfts mit der im Kanton gelegenen Liegenschaft aufnahm ( BGE 88 I 341 ff., bestätigt in BGE 92 I 199 E. 2 und 467 E. 2a sowie BGE 95 I 434 ; ZUPPINGER, Die Besteuerung des Liegenschaftenhändlers im interkantonalen Verhältnis, S. 28; HÖHN, a.a.O., S. 468 N. 46 und S. 470 N. 51; DÄTWYLER, Die Behandlung von Unternehmungsliegenschaften im interkantonalen Steuerrecht, Diss. St. Gallen 1969, S. 109). Ferner wurde der Liegenschaftskanton in der Folge verhalten, auch einen Anteil an den BGE 111 Ia 220 S. 227 Unkosten des Liegenschaftenhändlers am Hauptsitz zu übernehmen, die mit dem Verkauf von Liegenschaften zusammenhängen ( BGE 92 I 467 /8; ASA 38, 420 E. 3; 33, 300 E. 3; ZUPPINGER, a.a.O., S. 30; HÖHN, a.a.O. S. 472 N. 53; DÄTWYLER, a.a.O., S. 110). Aus Gründen der Praktikabilität kann der vom Liegenschaftskanton zu übernehmende Unkostenanteil pauschal in Prozenten des Verkaufspreises bestimmt werden ( BGE 92 I 468 E. 2b; ASA 38, 420 E. 3; 33, 300 E. 3). Im Sinne einer Faustregel hat sich dabei in der Praxis der Kantone ein Satz von 5% eingespielt (HÖHN, a.a.O., S. 472 N. 53). 3. Die Steuerverwaltung Basel-Stadt hat in ihrem Ausscheidungsvorschlag die bundesgerichtlichen Ausscheidungsregeln frei kombiniert, indem sie einerseits Nidwalden (sowie Basel-Landschaft, Bern und Luzern) pauschal 5% des Veräusserungserlöses aus den dort gelegenen Liegenschaften als Anteil an den allgemeinen Geschäftsunkosten der Gesellschaft an ihrem Sitz in Basel überband, wie dies bei gewerbsmässigen Liegenschaftenhändlern und Generalbauunternehmern zulässig ist, andererseits aber die Schuldzinsen proportional zum Wert der lokalisierten Aktiven auf sämtliche Liegenschaftskantone verlegte, wie dies bei Immobiliengesellschaften und anderen nicht gewerbsmässig mit Liegenschaften handelnden Steuerpflichtigen zutreffend ist. a) Das Bundesgericht hat eine solche Kombination einzelner Regeln aus den beiden von ihm unterschiedenen und in verschiedener Hinsicht abweichend behandelten Bereichen bisher im allgemeinen nicht in Betracht gezogen. Einen Abzug objektmässig gesonderter Baukreditzinsen hat es dem Liegenschaftskanton bei Steuerpflichtigen, die keine Liegenschaftenhändler sind, nur vorgeschrieben, soweit der Liegenschaftskanton diese Zinsen bei unbeschränkter Steuerpflicht im Kanton im Rahmen der Reineinkommensbesteuerung zum Abzug zuliesse (vgl. ASA 52, 173 ff. E. 3 und 4). Es besteht kein Anlass, von der bisherigen Praxis abzuweichen und eine Kombination der für Nicht-Liegenschaftenhändler einerseits und für Liegenschaftenhändler andererseits geltenden doppelbesteuerungsrechtlichen Ausscheidungsregeln zuzulassen. Eine Kombination des Abzugs von pauschalierten Geschäftsunkosten, wie er für Liegenschaftenhändler Praxis ist, mit dem für Nicht-Liegenschaftenhändler zutreffenden proportionalen Schuldzinsenabzug könnte allerdings bei Immobiliengesellschaften - vielleicht nicht selten - vermeiden, dass ein Liegenschaftskanton einen Veräusserungserlös gesondert besteuert, während die Geschäftstätigkeit BGE 111 Ia 220 S. 228 am Hauptsitz oder die Liegenschaftsverwaltung in einzelnen Kantonen mit Verlust abschliesst. Nach der geltenden Praxis ist ein solches Ergebnis möglich, was jeweils zur Folge hat, dass die besteuerten Liegenschaftsgewinne den gesamten Reinertrag der Gesellschaft übersteigen und diese steuerlich stärker belastet wird, als wenn sie nur der Steuerhoheit in einem einzigen Kanton unterstünde. Dies stellt jedoch, wie das Bundesgericht immer wieder entschieden hat, keine unzulässige Doppelbesteuerung dar, sondern ist unvermeidlich, wenn die Besteuerung der Liegenschaftsgewinne dem Kanton der gelegenen Sache zur ausschliesslichen Besteuerung vorbehalten bleiben soll ( BGE 111 Ia 123 E. 2a; BGE 94 I 41 /2; BGE 91 I 397 /8). b) Zwar liesse sich auch eine Pauschalierung in Prozenten des Verkaufserlöses für die einer Immobiliengesellschaft (in der eigenen Verwaltung) entstehenden objektmässig ausgeschiedenen Unkosten beim Verkauf einer ausserkantonalen Liegenschaft denken, die der Liegenschaftskanton bei der Ermittlung des steuerbaren Gewinnes zum Abzug zuzulassen hat. Das Verwaltungsgericht des Kantons Nidwalden selbst schliesst dies nicht aus. Offensichtlich käme aber nicht der Pauschalansatz für gewerbsmässige Liegenschaftenhändler in Betracht, deren Geschäftsunkosten bzw. (bei Kapitalgesellschaften) Verwaltungskosten sehr weitgehend in engem Zusammenhang mit der Erzielung solcher Liegenschaftsgewinne stehen. Bei Immobiliengesellschaften, deren Geschäftszweck - nämlich die Vermögensanlage - eine Veräusserung von Liegenschaften nur bei ungenügender Rendite oder Wertzuwachserwartung erfordert und allenfalls bei besonders günstiger Gelegenheit nahelegt, dürften die dadurch verursachten Kosten des eigenen Geschäftsbetriebs demgegenüber verhältnismässig gering sein. Bei solchen Gesellschaften besteht indessen auch nicht dieselbe Notwendigkeit wie bei den Liegenschaftenhändlern, die Verkaufsunkosten zu pauschalieren. Einer Immobiliengesellschaft ist es bei den seltenen Verkäufen eher zumutbar, die Verkaufsunkosten im Einzelfall zu belegen oder mindestens glaubhaft zu machen. Unter diesen Umständen drängt es sich nicht auf, dem Liegenschaftskanton einen nicht zumindest glaubhaft gemachten pauschalen Anteil der Unkosten zum Abzug zuzuweisen. 4. Weder die Beschwerdeführerin noch die Steuerverwaltung Basel-Stadt machen geltend, die X. Immobilien AG betreibe gewerbsmässigen Liegenschaftenhandel. Den Akten lässt sich dies ebenfalls nicht entnehmen. Wenn das dennoch der Fall wäre, ginge BGE 111 Ia 220 S. 229 es im übrigen nicht an, dass die Beschwerdeführerin mit ihren sämtlichen Aktien einem Immobilienanlagefonds gehört (vgl. dazu die Botschaft des Bundesrates zum Entwurf eines Bundesgesetzes über die Anlagefonds vom 23. November 1965, BBl 1965 III 302 und 305/6). Es ist somit davon auszugehen, dass es sich bei der Beschwerdeführerin um eine (blosse) Immobiliengesellschaft handelt. a) Im Lichte der vorstehenden Erwägungen (E. 3a) kann der Liegenschaftskanton Nidwalden nicht dazu verhalten werden, bei der Ermittlung des steuerbaren Grundstückgewinnes einen pauschalen Anteil an den am Geschäftssitz der Beschwerdeführerin angefallenen Geschäftsunkosten zu berücksichtigen, wie dies bei einem Liegenschaftenhändler zu geschehen hätte. In der Hauptsache erweist sich die Beschwerde, soweit sie sich gegen den Kanton Nidwalden richtet, somit auf jeden Fall als unbegründet. b) Dem Kanton Nidwalden sind unter dem Gesichtswinkel von Art. 46 Abs. 2 BV auch sonst keine weiteren, im angefochtenen Urteil nicht berücksichtigten Unkosten zum Abzug zuzuweisen. Die Beschwerdeführerin macht zwar geltend, der Kanton Nidwalden habe die bundesgerichtlichen Ausscheidungsregeln verletzt, indem er nicht sämtliche ausgewiesenen Verkaufsunkosten vom besteuerten Grundstückgewinn abzog. Sie nennt und spezifiziert in ihrer Beschwerde aber einzig die 1%ige Verkaufskommission, welche die Fonds-Leitung gemäss Art. 18 lit. A/c des Fonds-Reglements im Betrag von Fr. 27'000.-- beansprucht habe. Ihr Hinweis auf ihre "erheblichen Bemühungen bei den Verkaufsverhandlungen" ist dagegen nicht genügend spezifiziert, und weitere Aufwendungen (Steuerberatung, Verwaltung der Liegenschaft) stehen nicht in ersichtlichem Zusammenhang mit dem erzielten Verkaufserlös. Das gleiche gilt für die in der Vernehmlassung der Steuerverwaltung Basel-Stadt erwähnten, 1977 angefallenen "Restkosten für die Liegenschaft" und Folgekosten. Das Verwaltungsgericht und die Steuerverwaltungs-Kommission Nidwalden nahmen nicht dazu Stellung, ob die Beschwerdeführerin eine an die Fonds-Leitung geschuldete Provision von 1% des Verkaufserlöses belegt habe und unter dem Gesichtspunkt der Doppelbesteuerung deren Abzug vom steuerbaren Grundstückgewinn beanspruchen könne. Im ersten Einsprache-Entscheid vom 28. Juli 1977 hatte die Steuerverwaltungs-Kommission eine solche Provision noch unter dem Gesichtspunkt von Art. 4 Ziff. 4 des anwendbaren Grundstückgewinnsteuergesetzes vom 24. April 1960 BGE 111 Ia 220 S. 230 nicht zum Abzug zugelassen, weil die Fonds-Leitung nicht als Dritte betrachtet werden könne. Mit dieser Begründung könnte doppelbesteuerungsrechtlich wohl in der Tat der Abzug nicht verweigert werden, wie die Steuerverwaltung Basel-Stadt in ihrer Vernehmlassung bemerkt. Was die Beschwerdeführerin zur Begründung ihres Begehrens anführt, erweckt zudem unter dem Gesichtspunkt von Art. 46 Abs. 2 BV gewisse Zweifel, ob die Steuerverwaltung des Kantons Nidwalden auf ihrem Standpunkt beharren durfte, es sei nicht genügend nachgewiesen, dass die Beschwerdeführerin eine Verkaufskommission von Fr. 27'000.-- (also Fr. 17'000.-- mehr als die nach Ermessen geschätzten Fr. 10'000.--) schuldete. Die X. Immobilien AG erbringt aber auch in der staatsrechtlichen Beschwerde diesen Nachweis nicht. Gewiss hatte die X. AG als Fonds-Leitung nach Art. 18 lit. A/c des Fonds-Reglements gegenüber dem Liegenschaften-Anlagefonds X. Anspruch auf eine Kommission von 1% auf Liegenschaftenverkäufen. Auf welcher Rechtsgrundlage diese Kommission direkt der Beschwerdeführerin belastet und in ihrer Gewinn- und Verlustrechnung als Aufwand verbucht wurde, erwähnt sie indessen nicht. Da die Beschwerdeführerin weder bewiesen noch genügend glaubhaft gemacht hat, dass sie selbst gehalten war, der Fonds-Leitung die 1%ige Kommission auszurichten, hat der Kanton Nidwalden Art. 46 Abs. 2 BV nicht verletzt, wenn er als Verkaufskosten bloss nach Ermessen geschätzte Fr. 10'000.-- zum Abzug zuliess. Der Kanton Nidwalden besteuert nicht den Anlagefonds, hat aber auch dessen Verwaltungskosten nicht zu berücksichtigen, sondern nur die mit dem Verkauf verbundenen Unkosten der Immobiliengesellschaft selber.
public_law
nan
de
1,985
CH_BGE
CH_BGE_002
CH
Federation
70a222a9-4c29-4626-bea1-b212f227bce6
Urteilskopf 123 II 115 16. Auszug aus dem Urteil der II. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 10. März 1997 i.S. X. gegen Schweizerische Radio- und Fernsehgesellschaft (SRG) und Unabhängige Beschwerdeinstanz für Radio und Fernsehen (Verwaltungsgerichtsbeschwerde)
Regeste Art. 103 lit. a OG , Art. 60 ff. RTVG ; Legitimation des Popularbeschwerdeführers und Natur des rundfunkrechtlichen Ombudsverfahrens. Der Popularbeschwerdeführer im Sinne von Art. 63 Abs. 1 lit. a RTVG ist trotz fehlenden schutzwürdigen Interesses in der Sache selber befugt, einen Nichteintretensentscheid der Unabhängigen Beschwerdeinstanz für Radio und Fernsehen mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde anzufechten (E. 2). Erfordernis des Ombudsberichts bei einer Zeitraumbeschwerde (E. 3).
Sachverhalt ab Seite 116 BGE 123 II 115 S. 116 X. beanstandete bei der Ombudsstelle von Fernsehen DRS wiederholt verschiedene in der Zeit vom 25. Juli bis zum 18. Oktober 1995 ausgestrahlte Sendungen. Dabei ging es um den "Zischtigsclub" vom 25. Juli 1995, der anhand konkreter Beispiele der Frage nach dem Funktionieren des Einbürgerungs-Mechanismus nachging; um die "Arena" vom 25. August 1995, die unter dem Titel "Soll die Schweiz Flüchtlinge aufnehmen?" der Asylproblematik gewidmet war; um zwei Beiträge im Sendegefäss "Sternstunde Philosophie" vom 17. bzw. 24. September 1995 zum Thema "Ordnung im Namen Gottes: Christliche Staatslehren und deren Auswirkungen" bzw. "Ordnung muss sein! Wurzeln und Ableger des Rechtsradikalismus" und um die "Rundschau" vom 18. Oktober 1995 betreffend Rechtsextremismus. Am 2. November 1995 trat die Unabhängige Beschwerdeinstanz für Radio und Fernsehen (im weitern auch: Unabhängige Beschwerdeinstanz oder UBI) auf eine Beschwerde von X. gegen den "Zischtigsclub" vom 25. Juli 1995 nicht ein, da er zum Sendegegenstand trotz seiner publizistischen Tätigkeit nicht in der von Art. 63 Abs. 1 lit. b des Bundesgesetzes vom 21. Juni 1991 über Radio und Fernsehen (RTVG; SR 784.40) geforderten Beziehungsnähe stehe. Aus dem gleichen Grund nahm sie am 2. Februar 1996 eine Zeitraumbeschwerde gegen den "Zischtigsclub" und die "Arena" vom 25. August 1995 nicht an die Hand. Am 30. Dezember 1995 beschwerten sich X. und 28 Mitunterzeichner bei der Unabhängigen Beschwerdeinstanz gegen sämtliche obgenannten Sendungen, worauf die Präsidentin der UBI am 25. Juni 1996 im Sinne eines "Teilentscheids" X. unter anderem mitteilte, dass die Unabhängige Beschwerdeinstanz am 24. Mai 1996 beschlossen habe, auf die Zeitraumbeschwerde betreffend "Zischtigsclub" vom 25. Juli 1995, "Arena" vom 25. August 1995, "Sternstunde Philosophie" vom 3. September, 10. September, 17. September, 24. September und 1. Oktober 1995 sowie "Rundschau" vom 18. Oktober 1995 nicht einzutreten, da insofern kein gemeinsamer Bericht der Ombudsstelle vorliege (Ziffer 1 ihres Teilentscheids). Das Bundesgericht heisst in diesem Punkt die von X. eingereichte Verwaltungsgerichtsbeschwerde gut; im übrigen weist es sie ab, soweit es darauf eintritt. BGE 123 II 115 S. 117 Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. a) Die Befugnis, gegen Entscheide der Unabhängigen Beschwerdeinstanz an das Bundesgericht zu gelangen, richtet sich ausschliesslich nach Art. 103 OG und ergibt sich nicht bereits aus der Beteiligung am vorinstanzlichen Verfahren. An dieser zu Art. 25 des Bundesbeschlusses vom 7. Oktober 1983 über die Unabhängige Beschwerdeinstanz für Radio und Fernsehen (BB/UBI; AS 1984 153 ff.) entwickelten Rechtsprechung hat sich mit dem Radio- und Fernsehgesetz nichts geändert ( BGE 121 II 359 E. 1a S. 361, 454 E. 1a S. 455). Verwaltungsgerichtsbeschwerde gegen Entscheide der Unabhängigen Beschwerdeinstanz kann demnach nur führen, wer durch den angefochtenen Entscheid berührt ist und ein schutzwürdiges Interesse an dessen Aufhebung oder Änderung hat ( Art. 103 lit. a OG ). Der Beschwerdeführer muss stärker als jedermann betroffen sein und in einer besonderen, beachtenswerten, nahen Beziehung zur Streitsache stehen. Ein schutzwürdiges Interesse in diesem Sinne liegt nur vor, wenn die tatsächliche oder rechtliche Situation des Beschwerdeführers durch den Ausgang des Verfahrens beeinflusst werden kann (vgl. BGE 121 II 176 E. 2a S. 177 f., mit Hinweisen). Art. 103 lit. a OG setzt zudem voraus, dass der Beschwerdeführer am Verfahren vor der Unabhängigen Beschwerdeinstanz beteiligt war und mit seinen Anträgen ganz oder teilweise unterlegen ist (formelle Beschwer). Er verlangt indessen nicht, dass der Beschwerdeführer vor der Vorinstanz bereits als Betroffener ( Art. 63 Abs. 1 lit. b RTVG ) aufgetreten ist ( BGE 115 Ib 387 E. 1b S. 389 letzter Satz). Auch der Popularbeschwerdeführer ( Art. 63 Abs. 1 lit. a OG ), der die Voraussetzungen von Art. 103 lit. a OG erfüllt, kann zur Verwaltungsgerichtsbeschwerde legitimiert sein (vgl. BGE 121 II 359 E. 1 S. 361 f.). Obwohl ihm in der Regel die erforderliche Nähe zum Verfahrensgegenstand fehlen dürfte ( BGE 121 II 359 E. 1b/cc S. 362; BGE 114 Ib 200 E. 1b S. 202), ist die Frage jeweils im Einzelfall zu prüfen (vgl. zu Art. 14 lit. a BB/UBI: BGE 114 Ib 200 E. 1b S. 202). b) Der Beschwerdeführer macht geltend, er sei als Betroffener aufgrund seiner engen Beziehungen zu den einzelnen Sendungen legitimiert, die verschiedenen Beiträge als rundfunkrechtswidrig zu beanstanden. Er beruft sich in diesem Zusammenhang auf seine publizistische Tätigkeit im Bereich der Ausländerpolitik und auf seine politischen Rechte. aa) Wer vor der Unabhängigen Beschwerdeinstanz nicht zur Betroffenenbeschwerde zugelassen wird, kann hiergegen Verwaltungsgerichtsbeschwerde BGE 123 II 115 S. 118 führen. Das Bundesgericht bejaht in diesen Fällen die Beschwerdebefugnis unabhängig vom Rechtsschutzinteresse in der Sache selber ( BGE 123 II 69 E. 1b; BGE 121 II 454 E. 1b S. 456). Die UBI nahm die Beschwerde vorliegend nicht mangels Beschwerdeberechtigung nicht an die Hand, sondern aus einem andern Grund; die Frage der Legitimation des Beschwerdeführers bildet deshalb nicht Gegenstand des angefochtenen Entscheids. Das Problem hängt jedoch eng mit der ebenfalls angefochtenen Zwischenverfügung (Unterschriftserfordernis bei der Popularbeschwerde) bzw. mit Art. 103 lit. a OG zusammen. Wäre der Beschwerdeführer als Betroffener zur Beschwerde zuzulassen, stellte sich die entsprechende Frage nicht. Es rechtfertigt sich unter diesen Umständen, hier trotzdem kurz darauf einzugehen. bb) Zur Beschwerde an die Unabhängige Beschwerdeinstanz ist nach Art. 63 Abs. 1 lit. b RTVG befugt, wer am Verfahren vor der Ombudsstelle beteiligt war, mindestens 18 Jahre alt ist, über das Schweizerbürgerrecht oder als Ausländer über die Niederlassungs- oder Aufenthaltsbewilligung verfügt und eine "enge Beziehung zum Gegenstand einer oder mehrerer Sendungen" nachweist. Eine solche besteht, wenn der Beschwerdeführer selber direkt Gegenstand des beanstandeten Beitrags gebildet hat oder sonst durch seine Tätigkeit in einem besonderen persönlichen Verhältnis zu dessen Inhalt steht und sich dadurch von den übrigen Programmkonsumenten unterscheidet (unveröffentlichtes Urteil des Bundesgerichts vom 23. August 1996 i.S. Hool, E. 2a; Entscheide der Unabhängigen Beschwerdeinstanz in VPB 59/1995 NR. 14 [S. 109], 53/1989 NR. 49 [S. 349] und 52/1988 nr. 12 [s. 57]; MARTIN DUMERMUTH, die Programmaufsicht bei Radio und Fernsehen in der Schweiz, Basel 1992, s. 207 ff.; LEO SCHÜRMANN/PETER NOBEL, Medienrecht, 2. Aufl., Bern 1993, S. 204). Die Beschwerdelegitimation nach Art. 63 Abs. 1 lit. b OG ist nur zurückhaltend anzunehmen. Genügte hierfür ein beliebiger Zusammenhang zwischen dem Tätigkeitsgebiet des Beschwerdeführers und dem Sendegegenstand, würde die Befugnis übermässig ausgedehnt (vgl. BGE 114 Ib 200 ff.; DUMERMUTH, a.a.O., S. 209), zumal das Radio- und Fernsehgesetz in Art. 63 Abs. 1 lit. a - im Gegensatz zu den allgemeinen verwaltungsprozessualen Regeln - gerade ein spezifisches Popularbeschwerderecht kennt (unveröffentlichtes Urteil vom 23. August 1996 i.S. Hool, E. 2a). cc) Vorliegend bestand keine solche enge Beziehung. Der Beschwerdeführer war nicht nach Art. 63 Abs. 1 lit. b RTVG beschwerdebefugt, BGE 123 II 115 S. 119 und er kann sich auch vor Bundesgericht nicht auf eine besondere, beachtenswerte, nahe Beziehung zum Sendegegenstand im Sinne von Art. 103 lit. a OG berufen: Der Beschwerdeführer bildete nicht Gegenstand der verschiedenen von ihm beanstandeten Beiträge. Dem Stimmbürger fehlt aber zum vornherein die Legitimation, allein gestützt auf seine politischen Rechte einen Entscheid der Unabhängigen Beschwerdeinstanz über die Einhaltung rund-funkrechtlicher Vorschriften mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde anzufechten ( BGE 115 Ib 387 ff.; SCHÜRMANN/NOBEL, a.a.O., S. 207). Auch wer sich engagiert zu einer politischen Frage äussert, ist nicht bereits deshalb befugt, deren Darstellung als rundfunkrechtswidrig zu rügen (vgl. BGE 114 Ib 200 E. 2c S. 203; unveröffentlichtes Urteil vom 2. Dezember 1996 i.S. Weigelt/Bradke, E. 2b/aa). Ein besonderes persönliches Interesse an einem Thema verschafft für sich allein keine legitimationsbegründende enge Beziehung zum Gegenstand einer entsprechenden Sendung (vgl. VPB 50/1986 Nr. 20; SCHÜRMANN/NOBEL, a.a.O., S. 204; GABRIEL BOINAY, La contestation des émissions de la radio et de la télévision, Porrentruy 1996, Rz. 435). Es steht in diesen Fällen ausschliesslich die Popularbeschwerde an die Unabhängige Beschwerdeinstanz offen. c) Der Beschwerdeführer ficht den Nichteintretensentscheid der UBI auch als Popularbeschwerdeführer an. Hierzu ist er trotz fehlenden schutzwürdigen Interesses in der Sache selber legitimiert. aa) Zwar ging das Bundesgericht in seiner Rechtsprechung zum alten Recht (BB/UBI) davon aus, dass der Popularbeschwerdeführer über kein schutzwürdiges Interesse verfüge, um mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde Verfahrensmängel vor der UBI zu rügen. Der Bundesbeschluss räume dem Beanstander einer Sendung keine Parteirechte ein; vielmehr sei die Anwendung des Verwaltungsverfahrensgesetzes ausdrücklich ausgeschlossen (Art. 3 lit. ebis VwVG). Parteirechte bestünden lediglich, wenn der private Beanstander einer Sendung in der Sache selber zur Erhebung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde an das Bundesgericht legitimiert sei; nur dann dürften nach dem Grundsatz der Einheit des Verfahrens die Parteirechte im vorinstanzlichen Verfahren nicht enger sein als im anschliessenden bundesgerichtlichen ( BGE 111 Ib 294 E. 2b S. 298). Da mit der Popularbeschwerde keine Parteistellung verbunden sei, verfüge der Popularbeschwerdeführer über keine Parteirechte, weshalb er kein schutzwürdiges Interesse habe, mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde eine entsprechende Verletzung geltend zu machen (unveröffentlichtes Urteil vom 7. November 1991 i.S. B., E. 3). BGE 123 II 115 S. 120 bb) Diese Rechtsprechung kann nicht unbesehen auf den vorliegenden Fall und die neue Regelung im Radio- und Fernsehgesetz übertragen werden. Ging es im zitierten Entscheid um die Frage eines zweiten Schriftenwechsels, worauf kein Anspruch bestand, steht vorliegend die Rechtmässigkeit eines Nichteintretensentscheids zur Diskussion. Art. 63 Abs. 1 lit. a RTVG räumt jedermann, der die gesetzlichen Voraussetzungen erfüllt, das Recht ein, mit 20 weiteren Personen im öffentlichen Interesse das Programmaufsichtsverfahren auszulösen. Die UBI ist in diesem Fall gehalten, die Eingabe materiell zu prüfen. Nach Art. 63 Abs. 3 RTVG tritt sie auch auf Popularbeschwerden ein, die nicht von mindestens 20 Mitunterzeichnern getragen sind, wenn ein öffentliches Interesse an einem Entscheid besteht; in diesem Fall haben die Beschwerdeführer jedoch keine Parteirechte. Mit dieser Regelung hat der Gesetzgeber neben der formalisierten Popularbeschwerde wieder eine eigentliche Aufsichtsbeschwerde im klassischen Sinn eingeführt. Mit dem Hinweis, dass den Beschwerdeführern dabei keinerlei Parteirechte eingeräumt würden, brachte er zum Ausdruck, dass umgekehrt bei Erfüllung der formellen Voraussetzungen von Art. 63 Abs. 1 lit. a RTVG grundsätzlich ein Anspruch auf materielle Behandlung besteht (so schon für das alte Recht DUMERMUTH, a.a.O., S. 244, mit Hinweis auf die Ausführungen von Kommissionssprecher Koller im Nationalrat [Amtl.Bull. N 1983 S. 473]). Der Beschwerdeführer, der sich gegen einen Nichteintretensentscheid der UBI wendet, steht zu diesem und damit zur Streitsache vor Bundesgericht näher als irgendein Dritter, der am Verfahren vor der Ombudsstelle nicht beteiligt war. Seine tatsächliche oder rechtliche Situation wird bei einer Gutheissung der Beschwerde insofern verbessert, als die Vorinstanz die verlangte Prüfung der Sendungen vorzunehmen und den Popularbeschwerdeführer über den Verfahrensausgang zu informieren hat (vgl. BOINAY, a.a.O., Rz. 536). Der Beschwerdeführer ist deshalb - trotz fehlender Sachlegitimation - als Popularbeschwerdeführer berechtigt, den Nichteintretensentscheid der UBI mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde anzufechten. Hieran ändert auch Art. 101 lit. a OG nichts, wonach die Verwaltungsgerichtsbeschwerde gegen Zwischenverfügungen und Entscheide über Rechtsverweigerungs- oder Rechtsverzögerungsbeschwerden ausgeschlossen ist, soweit sich die Verwaltungsgerichtsbeschwerde gegen die Endverfügung als unzulässig erweist. Diese Bestimmung bezieht sich auf den Ausschluss des Rechtsmittels nach dem Gegenstand der Verfügung bzw. nach dem Sachgebiet (vgl. BGE 119 Ib 412 E. 1b S. 413 BGE 123 II 115 S. 121 [Asyl]; 115 Ib 424 E. 2b S. 429 [Plangenehmigung]; 111 Ib 73 E. 2a S. 75 [Asyl]; 110 Ib 197 E. 2a S. 199 [Entscheid über das Ergebnis einer Berufs-, Fach- oder anderen Fähigkeitsprüfung]; 104 Ib 307 E. 2a S. 312 [Konzessionserteilung, auf die kein Anspruch besteht]). Sie beschlägt indessen nicht auch Fälle, für welche die Spezialgesetzgebung die Verwaltungsgerichtsbeschwerde ausdrücklich vorsieht, auf die im Einzelfall jedoch mangels Legitimation unter Umständen nicht eingetreten werden kann (für die Beschwerdeberechtigung des Popularbeschwerdeführers gegen einen Nichteintretensentscheid: DUMERMUTH, a.a.O., S. 243 f.; ähnlich: BERNARD CORBOZ, Le contrôle populaire des émissions de la radio et de la télévision, in Mélanges Robert Patry, Lausanne 1988, S. 293 FN 50; ablehnend: BOINAY, a.a.O., Rz. 570; Frage zum alten Recht offengelassen im unveröffentlichten Entscheid des Bundesgerichts vom 14. Februar 1986 i.S. Association vaudoise des téléspectateurs et auditeurs). 3. a) Nach Art. 60 Abs. 1 RTVG kann jedermann innert 20 Tagen eine Sendung bei der Ombudsstelle beanstanden. Bezieht sich die Beanstandung auf mehrere Sendungen, beginnt die Frist mit der Ausstrahlung des letzten Beitrags. In diesem Fall darf die erste Sendung nicht länger als drei Monate vor der letzten liegen. Diese sogenannte "Zeitraumbeschwerde" setzt einen thematischen Zusammenhang zwischen den einzelnen Sendungen voraus (vgl. hierzu VPB 55/1991 Nr. 34 bzw. 59/1995 Nr. 42 [S. 350]) und dient in erster Linie der Durchsetzung des Vielfaltsgebots, das nicht in jeder Einzelsendung, sondern bloss innerhalb des Programms insgesamt zu erfüllen ist (Martin Dumermuth, Rundfunkrecht, Rz. 444 bzw. 454, in: Koller/Müller/Rhinow/Zimmerli, Schweizerisches Bundesverwaltungsrecht, Basel/Frankfurt a.M. 1996). Die Ombudsstelle informiert die Beteiligten spätestens innert 40 Tagen nach Einreichung der Beanstandung schriftlich über die Ergebnisse ihrer Abklärungen und die Art der Erledigung ( Art. 61 Abs. 3 RTVG ). Innert 30 Tagen nach Eintreffen der Mitteilung kann gegen die beanstandeten Sendungen an die Unabhängige Beschwerdeinstanz gelangt werden, wobei der Eingabe der Bericht der Ombudsstelle beizulegen ist ( Art. 62 Abs. 1 RTVG ). b) Die Unabhängige Beschwerdeinstanz ging im angefochtenen Entscheid davon aus, bei einer Zeitraumbeschwerde habe sich der Bericht der Ombudsstelle nicht allein auf die einzelnen Sendungen, sondern auf alle beanstandeten Beiträge insgesamt zu beziehen. Art. 60 RTVG , der die Zeitraumbeschwerde regle, betreffe das BGE 123 II 115 S. 122 Verfahren vor der Ombudsstelle, da bezüglich der Einreichung der Beschwerde bei ihr - im Unterschied zur bisherigen Regelung - eine entsprechende Bestimmung fehle. Für eine schlichtungsweise Erledigung des Verfahrens vor der Ombudsstelle sei es unabdingbar, dass diese "in ihrem Entscheid sämtliche unter dem Titel einer Zeitraumbeschwerde eingereichten Beanstandungen als Ganzes unter dem Gesichtspunkt des behaupteten sachlichen Zusammenhangs würdigen kann. Die diesbezüglichen Erwägungen finden Eingang in den alle gerügten Sendungen übergreifenden Ombudsbericht", der gemäss Art. 62 Abs. 1 (in fine) RTVG Voraussetzung einer Beschwerde an die UBI bilde. c) Diese Auffassung ist - zumindest im vorliegenden Fall - überspitzt formalistisch und trägt der Natur des Schlichtungsverfahrens und des Berichts der Ombudsstelle sowie den konkreten Umständen zu wenig Rechnung. aa) Nach Art. 61 RTVG prüft die Ombudsstelle die bei ihr eingereichten Beanstandungen und vermittelt zwischen den Beteiligten. Dabei kann sie insbesondere die Angelegenheit mit dem Veranstalter besprechen bzw. ihm in leichten Fällen zur direkten Erledigung überweisen (Abs. 1 lit. a); für eine direkte Begegnung zwischen den Beteiligten sorgen (Abs. 1 lit. b); Empfehlungen an den Veranstalter abgeben (Abs. 1 lit. c) sowie die Beteiligten über die Zuständigkeiten, das massgebende Recht und den Rechtsweg orientieren (Abs. 1 lit. d). Die Ombudsstelle hat keine Entscheidungs- oder Weisungsbefugnis ( Art. 61 Abs. 2 RTVG ). Es handelt sich bei ihr nicht um eine Vorinstanz der UBI, und es bestehen ihr gegenüber dementsprechend umgekehrt auch keinerlei entsprechende Weisungsbefugnisse (BOINAY, a.a.O., Rz. 354 f.). Der Gesetzgeber hat das Ombudsverfahren bewusst formlos gehalten (vgl. Amtl.Bull. 1990 StR 611 Votum Josi Meier) und der Ombudsstelle die Möglichkeit belassen, ihre Erledigung jeweils dem Einzelfall und der Art der Beanstandung anzupassen (BOINAY, a.a.O., Rz. 353, 366 und 368). Ihr Bericht informiert über die Ergebnisse der Abklärungen und die Art der Erledigung der Beanstandung. Er folgt nicht streng rechtlichen Überlegungen, sondern bringt weitgehend die persönliche Ansicht der Ombudsstelle zum Ausdruck. Gemäss Art. 61 Abs. 4 RTVG kann im beiderseitigen Einverständnis auf den Bericht auch verzichtet und die Sache mündlich erledigt werden. In der Regel wird sich die Ombudsstelle bei einer Zeitraumbeschwerde zwar überdachend auch zur Frage der Einhaltung des Vielfaltsgebots äussern, tut sie dies jedoch nicht, kann die Unabhängige Beschwerdeinstanz nicht BGE 123 II 115 S. 123 einfach auf eine entsprechende Beschwerde nicht eintreten. Sie hat in diesem Fall vielmehr die konkreten Umstände und den Inhalt der verschiedenen Eingaben zu würdigen. bb) Der Beschwerdeführer hat sich vorliegend wiederholt an die Ombudsstelle und an die Unabhängige Beschwerdeinstanz gewandt und seine Absicht, eine Zeitraumbeschwerde einzureichen, zum Ausdruck gebracht. Bereits am 13. September 1995 wandte er sich gegen den "Zischtigsclub" vom 25. Juli 1995 und die "Arena" vom 25. August 1995 mit einer solchen an die Ombudsstelle. Am 18. September 1995 gelangte er mit einem Schreiben an die UBI, worin er um Auskunft über die Möglichkeiten einer Zeitraumbeschwerde bat. Am 20. September 1995 ersuchte er die Ombudsstelle um Mitteilung von Urteilen zu diesem Problemkreis. In den jeweiligen Antworten wurde er nie darauf aufmerksam gemacht, dass die UBI einen gemeinsamen überdachenden Ombudsbericht voraussetzen werde. Am 31. Oktober 1995 legte die Ombudsstelle ihren Bericht zur "Arena" vor; dabei hielt sie zum Problem der Zeitraumbeschwerde fest, die Themen der Sendungen seien so verschieden gewesen, dass sich die Zulassung einer Zeitraumbeschwerde nicht rechtfertige. Es werde allenfalls an der Unabhängigen Beschwerdeinstanz sein, diese Frage zu klären. Zumindest insofern lag somit ein Ombudsbericht vor. Gegen die Sendungen "Sternstunde Philosophie" vom 17. und 24. September 1995 gelangte der Beschwerdeführer am 13. Oktober 1995 an die Ombudsstelle, wobei er nicht ausdrücklich geltend machte, seine Beanstandung sei auch mit Blick auf eine Zeitraumbeschwerde zu behandeln. Dies tat er jedoch am 6. November 1995 in seiner Eingabe bezüglich der letzten von ihm eingereichten Beanstandung betreffend die "Rundschau" vom 18. Oktober 1995 und damit noch vor dem Schlussbericht der Ombudsstelle vom 4. Dezember 1995 bezüglich der Sendungen "Sternstunde Philosophie". Die Ombudsstelle ging auf diesen Antrag in der Folge nicht ein und äusserte sich in ihren weiteren Stellungnahmen zur Frage der Zeitraumbeschwerde - vermutlich mit Blick auf ihre bereits am 31. Oktober 1995 abgegebene Beurteilung - nicht mehr. Der Beschwerdeführer ist seinen Verfahrenspflichten, so gut er konnte, nachgekommen. Wenn die Ombudsstelle auf die Problematik der Zeitraumbeschwerde in ihrem letzten Bericht nicht mehr einging, darf dies nicht zu seinen Lasten gehen. Dies um so weniger, als er bereits am 11. November 1995 auch in seiner Beschwerde an die UBI gegen die "Arena" geltend gemacht hatte, gegen alle fünf beanstandeten Beiträge eine Zeitraumbeschwerde BGE 123 II 115 S. 124 führen zu wollen, ohne dass er in der Folge auf die entsprechenden Formerfordernisse aufmerksam gemacht worden wäre. Der Nichteintretensentscheid der UBI mit der Begründung, es liege kein umfassender Ombudsbericht vor, ist unter diesen Umständen überspitzt formalistisch und verstösst auch gegen Treu und Glauben. Ziffer 1 des angefochtenen Teilentscheids ist deshalb aufzuheben und die Sache zu neuem Entscheid an die Vorinstanz zurückzuweisen. Es wird an dieser liegen, zu prüfen, ob allenfalls auf die Zeitraumbeschwerde aus einem andern Grund nicht einzutreten ist (hinreichend klar zuzuordnende Unterschriften, Begründungspflicht, Sachzusammenhang der verschiedenen Sendungen usw.) oder die Eingabe als zum vornherein offensichtlich unbegründet zu gelten hat (vgl. BOINAY, a.a.O., S. 445 ff.).
public_law
nan
de
1,997
CH_BGE
CH_BGE_004
CH
Federation
70a858c4-6628-41da-9a56-ece98d270729
Urteilskopf 86 II 286 44. Extrait de l'arrêt de la Ire Cour civile du 12 septembre 1960 dans la cause Vouilloz contre Crittin.
Regeste Berufung. Einreichung der Berufungsantwort bei der kantonalen Instanz, die sie verspätet an das Bundesgericht weiterleitet; Folgen.
Erwägungen ab Seite 286 BGE 86 II 286 S. 286 La réponse au recours en réforme doit être adressée au Tribunal fédéral dans le délai légal de vingt jours (art. 61 al. 1 OJ). Le délai est observé lorsque, le dernier jour au plus tard, la réponse parvient au Tribunal fédéral ou est remise à son adresse à un bureau de poste suisse (art. 32 al. 3 OJ). En revanche, il ne suffit pas qu'elle soit adressée à une autre autorité dans le délai fixé (cf. RO 74 II 46). Quand la réponse n'est pas produite à temps, on n'en peut tenir compte (BIRCHMEIER, Bundesrechtspflege, ad art. 32, rem. 6 i. f.). En l'espèce, le délai imparti à l'intimé pour fournir sa réponse expirait le 8 juin 1960. Or c'est le lendemain seulement que le Tribunal cantonal, à qui elle avait été envoyée par erreur, l'a mise à la poste à l'adresse du Tribunal fédéral. Cette réponse est donc tardive et ne peut être prise en considération. De plus, l'intimé n'étant pas intervenu valablement, il n'aura pas droit à des dépens pour la procédure fédérale si le recours est rejeté.
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Urteilskopf 123 III 494 77. Extrait de l'arrêt de la IIe Cour civile du 2 octobre 1997 dans la cause dame E. contre Hoirie de feu E. et Cour de justice du canton de Genève (recours de droit public)
Regeste Art. 271 Abs. 1 Ziff. 4 SchKG ; Voraussetzungen für die Annahme eines genügenden Bezugs zur Schweiz. Der Begriff des "genügenden Bezugs zur Schweiz" ist nicht einschränkend auszulegen. Bei zweiseitigen Verträgen - hier ein Darlehen - kann sich der genügende Bezug daraus ergeben, dass der Erfüllungsort für die Leistung des Arrestgläubigers, die als Gegenleistung zu derjenigen des Arrestschuldners zu erbringen ist, in der Schweiz liegt.
Sachverhalt ab Seite 495 BGE 123 III 494 S. 495 Le 18 février 1997, dame E., domiciliée en France, a requis le Président du Tribunal de première instance de Genève d'autoriser, en vertu de l' art. 271 al. 1 ch. 4 LP , un séquestre à concurrence de 2'690'370 fr., avec intérêts à 5% dès le 10 novembre 1994, au préjudice de l'hoirie de feu E., "prise en tant que de besoin en la personne de sa fille mineure M. R. E.". Par ordonnance du même jour, l'autorité de séquestre a fait droit à la réquisition et astreint la requérante à fournir une garantie bancaire de 300'000 fr. à titre de sûretés. Par décision du 14 mai 1997, le Vice-président du Tribunal de première instance a admis l'opposition formée par la débitrice et révoqué l'ordonnance de séquestre. Statuant le 10 juillet suivant, la Cour de justice du canton de Genève a confirmé cette décision. Agissant par la voie du recours de droit public, dame E. conclut à l'annulation de cet arrêt. Le Tribunal fédéral a rejeté le recours. Erwägungen Extrait des considérants: 3. a) ... La recourante se prétend créancière sur la base d'un prêt consenti à feu son fils, alors domicilié en France, cet accord n'ayant pas été "régularisé par écrit" en raison des relations "familiales étroites et continues" qu'entretenaient les parties. A juste titre, elle concède que le droit suisse n'est pas applicable à ce contrat (cf. art. 117 al. 3 let. b de la loi fédérale sur le droit international privé, LDIP [RS 291]), en sorte que, de ce point de vue, l'exigence d'un lien suffisant n'est pas réalisée (LOUIS GAILLARD, Le séquestre des biens du débiteur domicilié à l'étranger, in Le séquestre selon la nouvelle LP, p. 40, ch. 38; WALTER A. STOFFEL, Das neue Arrestrecht, in AJP 1996 p. 1407). En outre, les pièces du dossier ne permettent pas d'établir clairement que le prêt devait être remboursé en Suisse, auprès d'une banque suisse, et en francs suisses (BERTRAND REEB, Les mesures provisoires dans la procédure de poursuite, in RDS 116/1997 II, p. 440). Contrairement à ce qu'affirme la recourante, les banques en main desquelles le séquestre a été autorisé n'apparaissent qu'en qualité de détentrices des avoirs appréhendés, élément qui, en soi, ne saurait être retenu (FF 1991 III p. 188; GAILLARD, op.cit., p. 42; REEB, BGE 123 III 494 S. 496 op.cit., p. 439; FELIX C. MEIER-DIETERLE, Der "Ausländerarrest" im revidierten SchKG, in AJP 1996 p. 1421 et n. 50). La recourante voit, enfin, un lien suffisant dans la circonstance que le lieu d'exécution de sa propre prestation, qui est considérée comme "caractéristique" d'après les règles de rattachement du droit international privé ( art. 117 al. 3 let. b LDIP ; FRANÇOIS KNOEPFLER/SIMON OTHENIN-GIRARD, in FJS no 242B p. 4), est situé en Suisse, car l'argent prêté a été viré sur un compte ouvert auprès d'une banque suisse. Certes, le "lieu d'exécution" s'apprécie, principalement, par rapport à l'obligation de l'emprunteur (cf. ATF 104 Ia 367 consid. 4d p. 376; ATF 82 I 75 consid. 11 p. 92; ATF 56 I 237 consid. 3 p. 251; ATF 44 I 49 consid. 4 p. 55), que le séquestre a précisément pour but de garantir (GAILLARD, op.cit., p. 41). Mais, s'agissant de contrats bilatéraux, le lien suffisant peut aussi résulter du lieu d'exécution en Suisse de la prestation du créancier séquestrant, dont la prestation du débiteur séquestré est la contrepartie (cf. MEIER-DIETERLE, op.cit., p. 1422; PASCAL SIMONIUS, Privatrechtliche Forderung und Staatenimmunität, in Festgabe zum Schweizerischen Juristentag 1985, p. 346). Cette opinion peut s'appuyer tant sur le texte actuel de l' art. 271 al. 1 ch. 4 LP , qui n'exige plus un rapport "étroit" avec la Suisse (REEB, op.cit., p. 439; PIERRE-ROBERT GILLIÉRON, Le séquestre dans la LP révisée, in BlSchK 59/1995 p. 125/126 et les renvois aux travaux préparatoires), que sur la doctrine qui préconise une interprétation large de cette notion (REEB, op.cit., p. 440/441 et les références citées).
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Urteilskopf 125 III 451 76. Auszug aus dem Urteil der I. Zivilabteilung vom17. September 1999 i.S. SodaStream Ltd. gegen Urs Jäger AG und Instruktionsrichter des Handelsgerichts des Kantons Aargau(staatsrechtliche Beschwerde)
Regeste Art. 24 LugÜ ; Zuständigkeit zur Anordnung einstweiliger Massnahmen im Fall des Bestehens einer Gerichtsstandsvereinbarung; Zulässigkeit von Leistungsverfügungen. Trotz Gerichtsstandsvereinbarung kann vor einem anderen als dem ausschliesslich prorogierten Gericht um einstweiligen Rechtsschutz nachgesucht werden, wenn dieses andere Gericht allein in der Lage ist, eine sofort vollstreckbare Massnahme rechtzeitig anzuordnen (E. 3a). Die Anordnung vorläufiger Erfüllung darf nur unter einschränkenden Voraussetzungen als einstweilige Massnahme im Sinne von Art. 24 LugÜ erfolgen; Umschreibung dieser Voraussetzungen (E. 3b). Zulässigkeit der Anordnung vorläufiger Erfüllung eines Vertriebsvertrages im Rahmen des einstweiligen Rechtsschutzes nach kantonalem Recht und Bundesrecht (E. 3c).
Sachverhalt ab Seite 452 BGE 125 III 451 S. 452 Die Urs Jäger AG schloss im Dezember 1991 mit der Soda-Stream Ltd. einen als "Distributorship Agreement" bezeichneten Vertrag über die Vermarktung von Geräten zur Anreicherung von Leitungswasser mit Kohlensäure sowie von Kohlendioxid-Zylindern, Aromazusätzen und sonstigem Gerätezubehör. Der Vertrag sollte mindestens bis 31. Dezember 1997 gelten und anschliessend beidseits mit einer Frist von drei Monaten kündbar sein. In einer Zusatzvereinbarung vom 26. Februar 1997 verlängerten die Vertragsparteien die Kündigungsfrist auf sechs Monate und erstreckten die Mindestvertragsdauer bis zum 31. Dezember 1999. Mit Schreiben vom 22. Februar 1999 liess die SodaStream Ltd. den Vertrag fristlos kündigen und stellte ihre Lieferungen an die Urs Jäger AG ein. Als diese die Rechtmässigkeit und Wirksamkeit der Kündigung bestritt, stellte ihr die SodaStream Ltd. in Aussicht, die vor dem 22. Februar 1999 bestellten Waren zu liefern, was jedoch in der Folge unterblieb. Am 30. März 1999 ersuchte die Urs Jäger AG das Handelsgericht des Kantons Aargau, die SodaStream Ltd. im Sinne einer vorsorglichen Massnahme zur Lieferung bestimmter Waren zu verpflichten. Im Laufe des Verfahrens ergänzte sie ihre Begehren dahin, dass der SodaStream Ltd. zu verbieten sei, ihre Produkte der Marken "SODASTREAM" und "SODASTAR" in der Schweiz auf anderen Vertriebswegen, insbesondere über die Firma Mélior SA in Le Mont-sur-Lausanne, zu vertreiben. Mit vorsorglicher Verfügung vom 16. April 1999 verpflichtete der Instruktionsrichter des Handelsgerichts die SodaStream Ltd. unter Strafandrohung, die Urs Jäger AG bis zu bestimmten Daten mit bestimmten Waren zu beliefern. Weiter verbot er der SodaStream Ltd. mit sofortiger Wirkung, ihre Produkte der Marken "SODASTREAM" und "SODASTAR" in der Schweiz auf anderen Vertriebswegen als über die Urs Jäger AG zu BGE 125 III 451 S. 453 vertreiben, insbesondere die Firma Mélior SA zu beliefern. Die Urs Jäger AG wurde hinsichtlich der vorsorglich angeordneten Belieferung zu Sicherheitsleistungen von insgesamt 2,5 Mio. Franken und hinsichtlich des der SodaStream Ltd. auferlegten Lieferverbots zu einer Sicherheitsleistung von Fr. 50'000.-- verhalten. Das Bundesgericht weist die von der SodaStream Ltd. gegen die vorsorgliche Verfügung erhobene staatsrechtliche Beschwerde ab, soweit es auf sie eintritt. Erwägungen Aus den Erwägungen: 3. Die Beschwerdeführerin wendet sich in ihrer Beschwerde vor allem auch dagegen, dass der Instruktionsrichter des Handelsgerichts seine Zuständigkeit zur vorsorglichen Anordnung einer Lieferverpflichtung bejaht hat. Sie macht in diesem Zusammenhang einerseits eine Verletzung von Art. 24 des Lugano-Übereinkommens (LugÜ; SR 0.275.11), anderseits Willkür bei der Anwendung von § 302 lit. b ZPO /AG geltend. a) Nach den Feststellungen im angefochtenen Entscheid haben die Parteien in ihrem Vertriebsvertrag vom Dezember 1991 vereinbart, dass zur Beurteilung der aus dem Vertragsverhältnis entstehenden Streitigkeiten die englischen Gerichte zuständig sein sollen. Es ist unbestritten, dass diese Gerichtsstandsvereinbarung den Anforderungen von Art. 17 LugÜ entspricht. Mit dem Instruktionsrichter des Handelsgerichts ist davon auszugehen, dass sich die Derogationswirkung einer Gerichtsstandsvereinbarung im Sinne von Art. 17 LugÜ grundsätzlich auch auf Massnahmen des vorsorglichen Rechtsschutzes bezieht. Das derogationswidrig angerufene Gericht kann sich deshalb für vorsorgliche Massnahmen nicht auf eine nach dem Lugano-Übereinkommen gegebene Zuständigkeit stützen (JAN KROPHOLLER, Europäisches Zivilprozessrecht, 6. Aufl., Heidelberg 1998, N. 109 zu Art. 17; REINOLD GEIMER/ROLF A. SCHÜTZE, Europäisches Zivilverfahrensrecht, München 1997, N. 192 zu Art. 17; HANS REISER, Gerichtsstandsvereinbarungen nach IPR-Gesetz und Lugano-Übereinkommen, Zürich 1995, S. 92 f.; ISAAK MEIER, Besondere Vollstreckungstitel nach dem Lugano-Übereinkommen, in: Schwander (Hrsg.), Das Lugano-Übereinkommen, St. Gallen 1990, S. 170; INGO SAENGER, Internationale Gerichtsstandsvereinbarungen nach EuGVÜ und LugÜ, Zeitschrift für Zivilprozess (Köln) 110/1997, S. 496; a.M. PETER F. SCHLOSSER, EuGVÜ, Europäisches Gerichtsstands- und Vollstreckungsübereinkommen mit Luganer Übereinkommen und den Haager BGE 125 III 451 S. 454 Übereinkommen über Zustellung und Beweisaufnahme, München 1996, N. 42 zu Art. 17). Zu beachten bleibt jedoch der Vorbehalt von Art. 24 LugÜ (DONZALLAZ, La Convention de Lugano, Bd. III, Bern 1998, S. 918 Rz. 6495; KROPHOLLER, a.a.O.). Nach dieser Bestimmung können die im Recht eines Vertragsstaats vorgesehenen einstweiligen Massnahmen einschliesslich solcher, die auf eine Sicherung gerichtet sind, bei den Gerichten dieses Staates auch dann beantragt werden, wenn für die Entscheidung in der Hauptsache die Gerichte eines anderen Vertragsstaats zuständig sind. Ob und unter welchen Voraussetzungen anzunehmen ist, dass die Parteien den damit vorbehaltenen nationalen Zuständigkeitsregeln ebenfalls rechtswirksam derogiert haben, beurteilt sich nach dem jeweiligen nationalen Recht (vgl. REISER, a.a.O., S. 93). Auch in diesem Zusammenhang ist - jedenfalls für das schweizerische Recht - zunächst festzuhalten, dass die in der Gerichtsstandsvereinbarung enthaltene Derogation grundsätzlich auch für den einstweiligen Rechtsschutz gelten muss. Denn soll die Abrede, Streitigkeiten ausschliesslich vor dem prorogierten Gericht auszutragen, nicht ausgehöhlt werden, so darf es nicht ins Belieben einer Partei gestellt bleiben, der Gegenpartei gegen deren Willen ein Massnahmeverfahren vor einem anderen Gericht aufzudrängen. Auf der anderen Seite ist jedoch nicht anzunehmen, dass die übereinstimmende Regelungsabsicht der Parteien dahin ging, einen effektiven Rechtsschutz überhaupt zu vereiteln; deshalb muss es trotz der Gerichtsstandsvereinbarung möglich bleiben, wenigstens dann vor einem anderen als dem ausschliesslich prorogierten Gericht um einstweiligen Rechtsschutz nachzusuchen, wenn dieses andere Gericht allein in der Lage ist, eine sofort vollstreckbare Massnahme rechtzeitig anzuordnen (REISER, a.a.O., S. 91; vgl. auch MEIER, a.a.O., S. 170 f.). Aufgrund der gesamten Umstände des Falles, insbesondere aufgrund der Tatsache, dass die umfangreichen vorprozessualen Verhandlungen zwischen in der Schweiz ansässigen Rechtsanwälten erfolgten und alle diesbezügliche Korrespondenz in deutscher Sprache geführt worden ist, geht der Instruktionsrichter des Handelsgerichts davon aus, dass es der Beschwerdegegnerin nicht möglich gewesen wäre, den Erlass vorsorglicher Massnahmen rechtzeitig vor dem in der Hauptsache zuständigen englischen Gericht zu erwirken. Das führt ihn zum Schluss, dass es der Beschwerdegegnerin unbenommen sein müsse, einstweiligen Rechtsschutz vor dem bei objektiver Anknüpfung gestützt auf Art. 113 IPRG innerstaatlich zuständigen schweizerischen Gericht zu suchen. BGE 125 III 451 S. 455 Die tatsächliche Feststellung, dass das in der Hauptsache zuständige englische Gericht nicht in der Lage gewesen wäre, vorsorgliche Massnahmen rechtzeitig anzuordnen, beanstandet die Beschwerdeführerin in ihrer Beschwerde nicht. Sie behauptet auch nicht, dass der Instruktionsrichter des Handelsgerichts die Gerichtsstandsklausel im Vertriebsvertrag vom Dezember 1991 unzutreffend ausgelegt hätte. Hingegen macht sie geltend, die in der angefochtenen Verfügung angeordnete Belieferung der Beschwerdegegnerin laufe auf die Vollstreckung bestrittener Leistungsansprüche im Verfahren um einstweiligen Rechtsschutz hinaus. Das aber ist nach Ansicht der Beschwerdeführerin sowohl mit Art. 24 LugÜ (E. b hienach), als auch mit dem Willkürverbot von Art. 4 BV unvereinbar (E. c hienach). b) Die Rüge der Verletzung von Art. 24 LugÜ ist im vorliegenden Verfahren zulässig; sie ist zudem nicht bloss der Willkürprüfung, sondern freier Prüfung zugänglich (vgl. Art. 84 Abs. 1 lit. c und d OG ). Zur Auslegung von Art. 24 LugÜ werden in der Lehre unterschiedliche Auffassungen vertreten. Umstritten ist namentlich, ob gestützt auf diese Bestimmung auch - im nationalen Recht vorgesehene - einstweilige Massnahmen angeordnet werden können, die nicht nur auf Sicherung eines gefährdeten Anspruchs, sondern auf dessen vorläufige Befriedigung abzielen. Ein Teil der Lehre möchte solche sogenannten Leistungsverfügungen aus dem Anwendungsbereich von Art. 24 LugÜ ausklammern (DONZALLAZ, a.a.O., Bd. I, Bern 1996, S. 605 f. Rz. 1595; GEROLD ZEILER, Europäisches Sicherungsverfahren: Die Regelungen der Europäischen Gerichtsstands- und Vollstreckungsübereinkommen über einstweilige Massnahmen, Juristische Blätter (Wien) 118/1996, S. 637 ff.; derselbe, Einstweiliger Rechtsschutz: Ermöglichen die Europäischen Gerichtsstands- und Vollstreckungsübereinkommen europaweite einstweilige Verfügungen, in: Bajons/Mayr/Zeiler (Hrsg.), Die Übereinkommen von Brüssel und Lugano, Wien 1997, S. 240 f.; vgl. ferner auch HAIMO SCHACK, Internationales Zivilverfahrensrecht, 2. Aufl., München 1996, S. 167 Rz. 425; LAWRENCE COLLINS, Provisional and Protective Measures in International Litigation, in: Collected Courses of the Hague Academy of International Law, Bd. 234 (1992 III), S. 57 f.). Andere Autoren halten demgegenüber dafür, dass im Rahmen von Art. 24 LugÜ grundsätzlich auch Leistungsverfügungen zulässig sind (KROPHOLLER, a.a.O., N. 5 zu Art. 24; GEIMER/SCHÜTZE, a.a.O., N. 20 ff. zu Art. 24; SCHLOSSER, a.a.O., N. 7 zu Art. 24; MEIER, a.a.O., S. 159; wohl auch ANDREAS SCHMUTZ, BGE 125 III 451 S. 456 Massnahmen des vorsorglichen Rechtsschutzes im Lugano-Über-einkommen aus schweizerischer Sicht, Diss. Bern 1993, S. 28 ff.; unentschieden DANIÈLE ALEXANDRE, Convention de Bruxelles (Compétence), 1998, in: Encyclopédie Dalloz, Répertoire de droit communautaire, S. 45 Rz. 298), wobei allerdings zum Teil betont wird, dass die Anordnung vorläufiger Erfüllung strikte auf jene Fälle zu beschränken ist, in denen sich der Antragsteller auf ein besonderes Eilbedürfnis und auf ein besonderes Schutzbedürfnis berufen kann (GEIMER/SCHÜTZE, a.a.O., N. 22 zu Art. 24; ähnlich SCHLOSSER, a.a.O.; zu "Zurückhaltung" mahnt auch KROPHOLLER, a.a.O.). Das Lugano-Übereinkommen schliesst sich eng an das für die Länder der Europäischen Union geltende Brüsseler Übereinkommen an (Europäisches Übereinkommen über die gerichtliche Zuständigkeit und die Vollstreckung gerichtlicher Entscheidungen in Zivil- und Handelssachen vom 27. September 1968; EuGVÜ). Die zu dessen parallelen Bestimmungen ergangene Rechtsprechung des Gerichtshofs der Europäischen Gemeinschaften (EuGH) ist bei der Auslegung des Lugano-Übereinkommens mitzuberücksichtigen ( BGE 125 III 108 E. 3c S. 110; BGE 124 III 188 E. 4b S. 191, 382 E. 6c und e S. 394 ff., je mit Hinweisen). Der EuGH umschreibt in einem Urteil aus dem Jahre 1992 den Begriff der "einstweiligen Massnahmen" im Sinne von Art. 24 des Brüsseler Übereinkommens dahin, dass darunter Massnahmen zu verstehen sind, die eine Sach- oder Rechtslage erhalten sollen, um Rechte zu sichern, deren Anerkennung im Übrigen bei dem in der Hauptsache zuständigen Gericht beantragt wird (Urteil vom 26. März 1992 i.S. MARIO REICHERT u.a. gegen Dresdner Bank AG, Rs. C-261/90, Slg. 1992 I-2149, E. 34 S. 2184). In einem Urteil vom 17. November 1998 (i.S. Van Uden Maritime BV gegen Kommanditgesellschaft in Firma Deco-Line u.a., Rs. C-391/95, Slg. 1998 I-7091; bestätigt in einem Urteil vom 27. April 1999 i.S. Hans-Hermann Mietz gegen Intership Yachting Sneek BV, Rs. C-99/96; siehe dazu EuZ 1999, S. 97 f.) hält der EuGH sodann fest, es könne nicht zum Vornherein abstrakt und generell ausgeschlossen werden, dass die Anordnung der vorläufigen Erbringung einer vertraglichen Hauptleistung, auch wenn ihr Betrag dem des Klageantrags entspreche, zur Sicherstellung der Wirksamkeit des Urteils in der Hauptsache erforderlich sei und gegebenenfalls angesichts der Parteiinteressen gerechtfertigt erscheine. Die Anordnung einer vorläufigen Leistung könne jedoch ihrem Wesen nach die Entscheidung in der Hauptsache vorwegnehmen. Ausserdem könnten die Zuständigkeitsvorschriften des Übereinkommens umgangen BGE 125 III 451 S. 457 werden, wenn dem Antragsteller das Recht eingeräumt würde, die vorläufige Erbringung einer vertraglichen Hauptleistung beim Gericht seines Wohnsitzes zu erwirken und die Anordnung sodann im Staat des Antragsgegners anerkennen und vollstrecken zu lassen. Deshalb stelle die Anordnung der vorläufigen Erbringung einer vertraglichen Hauptleistung nur dann eine einstweilige Massnahme im Sinne von Art. 24 des Übereinkommens dar, wenn die Rückzahlung des zugesprochenen Betrags an den Antragsgegner in dem Fall, dass der Antragsteller nicht in der Hauptsache obsiege, gewährleistet sei und wenn die beantragte Massnahme nur bestimmte Vermögensgegenstände des Antragsgegners betreffe, die sich im örtlichen Zuständigkeitsbereich des angerufenen Gerichts befinden oder befinden müssten (a.a.O., E. 45-47, S. 7136 f.). Im Lichte der Rechtsprechung des EuGH und der Lehre ist davon auszugehen, dass von einem anderen als dem in der Hauptsache zuständigen Gericht vorsorglich angeordnete Leistungsmassnahmen unter dem Blickwinkel von Art. 24 LugÜ nicht zum Vornherein unzulässig sind. Darauf weist im Übrigen auch bereits der Wortlaut dieser Bestimmung hin. Wenn dort von "einstweiligen Mass-nahmen einschliesslich solcher, die auf eine Sicherung gerichtet sind," die Rede ist, so ergibt sich daraus, dass sich die Bestimmung jedenfalls nicht nur auf sichernde Massnahmen bezieht (so KROPHOLLER, a.a.O., N. 5 zu Art. 34). Nicht zu übersehen ist jedoch, dass Leistungsverfügungen im praktischen Ergebnis häufig endgültige Zustände schaffen (GEIMER/SCHÜTZE, a.a.O., N. 22 zu Art. 24). Die Anordnung vorläufiger Erfüllung ist daher nur unter einschränkenden Voraussetzungen als einstweilige Massnahme im Sinne von Art. 24 LugÜ anzuerkennen. Zunächst ist vorauszusetzen, dass die vorgezogene Befriedigung des Gläubigers zur Sicherstellung der Wirksamkeit des Urteils in der Hauptsache sachlich erforderlich und zeitlich dringend ist. Dabei rechtfertigt sich die Begründung einer vom sonst geltenden Gerichtsstand abweichenden Zuständigkeit für einstweiligen Rechtsschutz nur, wenn das in der Hauptsache zuständige Gericht nicht in der Lage ist, rechtzeitig vorsorgliche Mass-nahmen zu erlassen, die sicherstellen, dass der praktische Wert der im Hauptverfahren geltend zu machenden Ansprüche erhalten bleibt, bis ein rechtskräftiges Haupturteil vorliegt. Der Rechtsuchende muss mithin darauf angewiesen sein, ein anderes Gericht anrufen zu können, das im Gegensatz zum in der Hauptsache zuständigen Gericht den für einen rechtzeitigen und wirksamen einstweiligen Rechtsschutz nötigen nahen Bezug zum Gegenstand der beantragten Massnahme BGE 125 III 451 S. 458 hat (vgl. ZEILER, a.a.O. Einstweiliger Rechtsschutz, S. 236 ff.). Ausserdem ist im Hinblick darauf, dass Leistungsverfügungen zu einer vorgezogenen Anspruchserfüllung führen, zu verlangen, dass die Massnahmen zumindest insoweit einstweiligen Charakter behalten, als für den Fall des Unterliegens des Antragstellers im Hauptverfahren die Schadloshaltung des Antragsgegners gewährleistet ist. Das Gericht hat deshalb die Anordnung der Massnahmen von entsprechenden Sicherheitsleistungen des Antragstellers abhängig zu machen (vgl. EuGH, Urteil "van Uden", a.a.O., E. 38 und 41, S. 7134 f.). Die genannten Voraussetzungen sind im vorliegenden Fall gegeben. Der Instruktionsrichter des Handelsgerichts hat die Beschwerdegegnerin im Hinblick auf allfällige Schäden der Beschwerdeführerin aus den vorsorglich angeordneten Lieferungen zu Sicherheitsleistungen im Umfang von insgesamt 2,5 Mio. Franken verhalten. Dass damit eine entsprechende Schadloshaltung für den Fall, dass die Beschwerdegegnerin im Hauptprozess vor den englischen Gerichten unterliegen sollte, nicht gewährleistet wäre, behauptet die Beschwerdeführerin nicht; sie bezeichnet in ihrer Beschwerde vielmehr bloss die zusätzliche Sicherheitsleistung von Fr. 50'000.-- als zu niedrig, welche der Instruktionsrichter des Handelsgerichts der Beschwerdegegnerin im Zusammenhang mit dem an die Beschwerdeführerin gerichteten Verbot der Belieferung Dritter auferlegt hat (dazu E. 5d hienach). Weiter ist aufgrund der - insoweit unbeanstandet gebliebenen - Feststellungen des Instruktionsrichters des Handelsgerichts davon auszugehen, dass angesichts der gesamten Umstände eine vorsorgliche Anordnung vertragsgemässer Belieferung vor den englischen Gerichten nicht rechtzeitig hätte erlangt werden können. Die im angefochtenen Entscheid angeordnete Leistungsmassnahme erweist sich deshalb im Hinblick auf einen effektiven Rechtsschutz als unerlässlich. Es liegt auf der Hand, dass die Beschwerdegegnerin auf die Lieferungen der Beschwerdeführerin angewiesen ist, um sich ihre Stellung als Vertreiberin von deren Produkten auf dem schweizerischen Markt erhalten zu können. In diesem Sinne dient die vom Instruktionsrichter des Handelsgerichts getroffene Leistungsmassnahme durchaus der einstweiligen Erhaltung einer Sachlage. Nur durch die vorläufige Belieferung der Beschwerdegegnerin lässt sich verhindern, dass die vertraglichen Lieferungsansprüche, die Gegenstand des vor den englischen Gerichten zu führenden Hauptverfahrens bilden, ihren praktischen Wert verlieren, bevor ein vollstreckbares Haupturteil BGE 125 III 451 S. 459 vorliegt. Von einer Verletzung von Art. 24 LugÜ kann daher keine Rede sein. c) Zu prüfen bleibt, ob und wieweit das innerstaatliche Recht die Anordnung der vorläufigen Erfüllung eines Vertriebsvertrags im Rahmen des einstweiligen Rechtsschutzes zulässt. Dabei kann die Frage, ob sich die Zulässigkeit derartiger Massnahmen nach kantonalem oder nach Bundesrecht bestimmt (vgl. dazu VINCENT PELET, Mesures provisionnelles: droit fédéral ou cantonal?, Diss. Lausanne 1987, S. 19 ff.), offen bleiben. Nach § 302 Abs. 1 lit. b ZPO /AG können vorsorgliche Verfügungen allgemein zur Aufrechterhaltung eines tatsächlichen Zustandes oder zur Abwehr eines drohenden, nicht leicht wieder gutzumachenden Nachteils getroffen werden. Einschränkungen in Bezug auf den Inhalt vorsorglicher Verfügungen lassen sich dieser Bestimmung nicht entnehmen. Nach Ansicht der Kommentatoren ermöglicht sie denn durchaus auch den Erlass von Leistungsverfügungen (BÜHLER/EDELMANN/KILLER, Kommentar zur aargauischen Zivilprozessordnung, N. 9 zu § 302; EICHENBERGER, Zivilrechtspflegegesetz des Kantons Aargau, N. 8 zu § 302; vgl. zur ähnlichen Vorschrift von Art. 326 Ziff. 3 lit. b ZPO /BE auch LEUCH/MARBACH/KELLERHALS, Die Zivilprozessordnung für den Kanton Bern, 4. Aufl. 1995, N. 8a, c und e zu Art. 326). Unter diesen Umständen ist nicht ersichtlich, inwiefern der Instruktionsrichter des Handelsgerichts § 302 Abs. 1 lit. b ZPO /AG willkürlich angewendet haben soll. Die Willkürrüge der Beschwerdeführerin erweist sich als unbegründet. Daran vermag auch der Hinweis der Beschwerdeführerin auf den Kommentar STRÄULI/MESSMER/FRANK zur Zürcher Zivilprozessordnung (3. Aufl., Zürich 1997) nichts zu ändern. Dort wird zwar die Auffassung vertreten, bei Leistungsklagen seien vorsorgliche Massnahmen auf vorläufige Vollstreckung unzulässig, weil eine Verurteilung aufgrund eines nicht bewiesenen, sondern nur glaubhaft gemachten Anspruchs dem materiellen Recht widersprechen würde (N. 36 zu § 110 und N. 33 zu § 222 Ziff. 3 ZPO /ZH; ähnlich äussern sich auch andere Autoren: vgl. die Nachweise bei ISAAK MEIER, Grundlagen des einstweiligen Rechtsschutzes, Zürich 1983, S. 155 ff.). Die einstweilige Vollstreckung von Leistungsansprüchen kann jedoch nicht von Bundesrechts wegen zum Vornherein generell ausgeschlossen sein (vgl. ISAAK MEIER, a.a.O., S. 38 f. und S. 298 f.; PELET, a.a.O., S. 104). Es gibt Fälle, in denen sie "nicht wohl zu umgehen ist" (GULDENER, Schweizerisches Zivilprozessrecht, 3. Aufl. 1979, S. 575 Anm. 5), wie dies etwa auf Unterhaltsansprüche zutrifft, BGE 125 III 451 S. 460 deren vorläufige Erfüllung für die berechtigte Person eine Lebensnotwendigkeit darstellt (vgl. Art. 281 Abs. 1, Art. 283 und Art. 329 Abs. 3 ZGB ; BGE 111 II 308 E. 3 S. 312). Im Hinblick auf einen effektiven Rechtsschutz kann sich eine Leistungsmassnahme aber auch dann als unerlässlich erweisen, wenn bei längerem Ausbleiben der Anspruchserfüllung Verspätungsschäden, beispielsweise unübersehbare Kundenverluste, drohen, die einen Erfolg im Hauptverfahren aushöhlen oder gar nutzlos machen würden (so für das österreichische Recht ANDREAS KONECNY, Der Anwendungsbereich der einstweiligen Verfügung, Wien 1992, S. 73). Genau darum geht es im vorliegenden Fall: Wie im angefochtenen Entscheid mit Recht festgehalten wird, liegt auf der Hand, dass eine längere Nichtbelieferung der Beschwerdegegnerin geeignet ist, deren Kundenstamm für SodaStream-Produkte nachhaltig zu erodieren, was zu Einbussen führt, die im Einzelnen nur schwer zu beweisen und mit Geld allein nicht zu reparieren sind. Dass der Instruktionsrichter des Handelsgerichts die Beschwerdeführerin zur vorläufigen Erfüllung der Lieferansprüche der Beschwerdegegnerin verpflichtet hat, wäre demnach auch unter dem Gesichtswinkel des Bundesrechts nicht zu beanstanden.
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Urteilskopf 108 II 247 52. Arrêt de la IIe Cour civile du 18 août 1982 dans la cause Bonvin contre Conseil d'Etat du canton du Valais (recours en réforme)
Regeste Namensänderung ( Art. 30 Abs. 1 ZGB ). Das Interesse einer berühmten Familie daran, dass ihr Name nicht ausstirbt, kann nicht als wichtiger Grund für eine Namensänderung vorgebracht werden: einzig das Interesse des Gesuchstellers als Individuum fällt in Betracht.
Sachverhalt ab Seite 247 BGE 108 II 247 S. 247 A.- Alexandre-Gaspard et William-André Bonvin, nés BGE 108 II 247 S. 248 respectivement en 1975 et en 1979, sont les enfants d'André Bonvin et de Viviane Catherine Bonvin, née von Stockalper. Les époux Bonvin-von Stockalper ont demandé au Conseil d'Etat du canton du Valais d'autoriser leurs fils à porter le nom de von Stockalper, pour éviter que le patronyme von Stockalper ne s'éteignît faute de descendants mâles. La famille von Stockalper a donné au Valais de nombreux magistrats, chefs militaires et dignitaires religieux (cf. Almanach généalogique suisse 1936, p. 684-695). Elle établit avec précision son ascendance dès la fin du XVe siècle, mais aurait déjà été anoblie par Charlemagne, vers l'an 800. Son représentant le plus illustre est Gaspard-Jodoc (1609-1691), dit le Grand Stockalper, qui joua un rôle économique et politique capital. On lui doit notamment le canal Stockalper, de Vouvry à Collombey, le château de Brigue, l'ancien hospice du col du Simplon et la tour fortifiée de Gondo. Il fut fait chevalier romain par le nonce du pape, reçut de l'empereur Ferdinand III la dignité de chevalier de l'Empire et obtint du duc Charles-Emmanuel de Savoie la baronnie de Duin, en Genevois; le roi de France l'avait décoré des ordres de Saint-Michel et du Saint-Esprit. Le dernier représentant mâle de la famille était le Dr Adrien von Stockalper, médecin à Lucerne (1888-1978), du premier rameau de la deuxième branche. Viviane Catherine Bonvin est la fille de Pierre von Stockalper (1904-1967), fils de Joseph (1868-1955), représentants de la première branche. B.- Le Conseil d'Etat a rejeté la requête. C.- Alexandre-Gaspard et William-André Bonvin, représentés par leurs père et mère, ont recouru en réforme au Tribunal fédéral. Ils demandaient que la décision cantonale fût annulée et leur requête admise. Le recours a été rejeté. Erwägungen Extrait des considérants: 3. En cas de changement de nom, il y a deux opérations soit l'abandon d'un nom, d'une part, et l'adoption d'un nom nouveau, d'autre part. Les justes motifs doivent exister aussi bien pour l'une que pour l'autre opération (H. ROGGWILLER, Der "wichtige Grund" und seine Anwendung in ZGB und OR, thèse Zurich 1956, p. 99 ch. III; cf. ATF 72 II 152 /153, ATF 52 II 105 ). 4. a) Lors de la modification de l' art. 30 CC , le Conseil fédéral avait envisagé d'énumérer des cas de justes motifs, à titre BGE 108 II 247 S. 249 d'exemples, et proposait le texte suivant (FF 1974 II 135; cf. p. 95): "Il a y justes motifs, en particulier: 1. Lorsque le requérant est entravé dans l'existence par un nom ridicule ou choquant; 2. Lorsque le requérant perd ensuite de divorce le nom de famille qu'il portait et que les enfants issus du mariage lui sont attribués, ou lorsque le mariage a duré longtemps, ou lorsque des intérêts professionnels sont lésés; 3. Lorsque le requérant mineur porte un autre nom de famille que le père ou la mère sous l'autorité parentale ou sous la garde duquel il est élevé; 4. Lorsque le mineur est élevé chez des parents nourriciers." Sur proposition du conseiller national Bonnard, le Conseil national a supprimé ce texte, non parce qu'il ne correspondait pas à la conception usuelle de justes motifs, mais seulement par souci de ne pas alourdir la législation et ne pas restreindre le pouvoir d'appréciation de l'autorité cantonale et de la juridiction fédérale de réforme (Bulletin officiel de l'Assemblée fédérale, Conseil national, 1975, p. 1791). b) Avant l'entrée en vigueur, le 1er janvier 1978, de l' art. 30 CC dans sa nouvelle teneur, le Tribunal fédéral, dont le pouvoir se bornait à la censure de l'arbitraire, a énoncé les principes suivants: "En règle générale, on admet l'existence de justes motifs pouvant fonder un changement de nom lorsque le nom légal cause à la partie requérante un préjudice sérieux et durable; il ne s'agit cependant pas là d'une condition nécessaire, car l'autorisation de changement de nom peut également être justifiée par des intérêts d'ordre moral, spirituel ou affectif." ( ATF 98 Ia 452 consid. 2). Ces principes demeurent valables dans le cadre du recours en réforme ( ATF 108 II 4 consid. 5a, 105 II 243 consid. I 2). Statuant depuis le 1er janvier 1978 comme juridiction de réforme, le Tribunal fédéral a posé comme prémisses qu'il faut un intérêt légitime au changement l'emportant manifestement sur l'intérêt public à l'immutabilité du nom ( ATF 105 II 243 consid. I 3, 249 consid. 3). Il a autorisé un changement de nom pour un intérêt d'ordre moral, spirituel ou affectif s'agissant d'enfants nés hors mariage qui demandaient à porter le patronyme de leur père vivant en concubinage avec leur mère, afin d'éviter qu'apparût leur condition d'enfants de parents non mariés ( ATF 105 I 244 ss consid. II 1-4, 249 ss consid. 4-7), pourvu que l'union des concubins fût durable ( ATF 107 II 290 ), et s'agissant d'un adopté majeur qui tenait à reprendre son nom antérieur, révélateur d'une identité religieuse et culturelle à laquelle il était BGE 108 II 247 S. 250 profondément attaché ( ATF 108 II 4 ss consid. 5). Il a aussi relevé incidemment qu'une femme divorcée peut avoir un intérêt affectif ou moral à reprendre le nom de son ex-mari lorsqu'elle vit avec les enfants mineurs issus du mariage et veut porter le même nom qu'eux ( ATF 105 II 69 consid. 5). c) Analysant la jurisprudence fédérale et les pratiques cantonales, la doctrine relève que les justes motifs doivent résider dans les circonstances personnelles du requérant (HAFTER, n. 5 ad art. 30 CC ), plus précisément lorsque le nom entraîne, pour celui qui le porte, une atteinte aux droits de la personnalité (ROGGWILLER, op.cit., p. 92 ss; P. MÜLLER, Die Namensänderung nach Art. 30 ZGB, thèse Zurich 1972, p. 22). Le cas le plus souvent cité est celui où le requérant porte un nom inadapté, ridicule, choquant ou odieux (EGGER, n. 5 ad art. 30 CC ; GROSSEN, Les personnes physiques, Traité de droit civil suisse, II, 2, p. 61; TUOR/SCHNYDER, Das schweizerische Zivilgesetzbuch, 9e éd., p. 89; J. GUINAND, L'évolution de la jurisprudence en matière de changement de nom, Revue de l'état civil 48 (1980) p. 353; M. PEDRAZZINI, Grundriss des Personenrechts, Berne 1982, p. 151; cf. ATF 98 Ia 458 ss). Sont également pris en considération des motifs familiaux tenant notamment à la situation de l'enfant né hors mariage ou de celui dont les parents sont divorcés, ainsi que des motifs professionnels, si un changement de nom imposé par la loi entraîne un désavantage patrimonial qui peut être réparé par le maintien du nom porté auparavant (cf., en particulier, EGGER, n. 6-7 ad art. 30 CC ; MÜLLER, op.cit., p. 23; TUOR/SCHNYDER, op.cit., p. 89/90; GUINAND, op.cit., p. 353/354; M. PEDRAZZINI, op.cit., p. 151/152). d) Au terme de cet examen de la genèse de la loi, de la jurisprudence et de la doctrine, on constate que, s'il n'y a pas unanimité quant à l'étendue des justes motifs, un critère d'appréciation est en revanche toujours le même: c'est l'intérêt du requérant, en tant qu'individu, et de lui seul, qui est pris en considération. Quand il est tenu compte de l'appartenance à un groupe familial - composé du père, de la mère et de leurs enfants mineurs - c'est dans la mesure où le requérant lui-même a un intérêt à manifester cette appartenance. 5. a) Les recourants, qui font valoir un prétendu intérêt de la famille von Stockalper à ne pas voir disparaître son nom ou, plus exactement, à éviter que son nom ne soit plus porté, se prévalent de l'arrêt Eynard contre Eynard, du 18 février 1926 ( ATF 52 II 103 ss). BGE 108 II 247 S. 251 Il ressort de cet arrêt que Paul Spiess, fils de Karl Spiess et de son ex-épouse Rachel Eynard, avait obtenu du Conseil d'Etat du canton de Berne l'autorisation de changer de nom pour porter celui de Eynard. Il avait fait valoir que, seul descendant mâle, en Suisse, de la vieille et illustre famille Eynard, de Genève, il était particulièrement qualifié pour la perpétuer: le changement de nom sollicité constituait, selon le requérant, un hommage rendu aux ancêtres de la mère et du fils. Le Tribunal fédéral dit à cet égard que le nom n'a pas pour seule fonction de désigner une personne, mais rattache aussi son possesseur à une famille: le fait d'appartenir à une famille est un bien personnel susceptible de protection légale, pour autant que la famille transfère, au moyen de l'hérédité, de l'éducation et de la tradition, des valeurs réelles ou supposées telles, notamment un certain prestige dans la société et des chances de réussite dans la vie ( ATF 52 II 106 consid. 2). Toutefois, dans la cause Eynard, comme dans d'autres causes relatives à des noms de familles célèbres ou importantes ( ATF 60 II 387 ss, ATF 67 II 191 ss) le Tribunal fédéral n'intervenait pas pour contrôler l'application de l' art. 30 al. 1 CC , mais dans le cadre de l'action de l' art. 30 al. 3 CC . Il prenait donc en considération l'intérêt du porteur du nom à ne pas voir son patronyme attribué à un tiers, et non pas l'intérêt du tiers à s'en parer. Dans l'affaire Eynard, notamment, la question de savoir si le nom ne risquait pas, comme en l'espèce, de s'éteindre en tombant en quenouille ne se posait pas: le demandeur, domicilié à l'étranger, avait un fils ( ATF 52 II 107 /108). On ne saurait donc tirer de cet arrêt la conclusion que l'on peut retenir, parmi les justes motifs de l' art. 30 al. 1 CC , non pas seulement les intérêts personnels du requérant lui-même, en tant qu'individu, mais aussi l'intérêt de la famille au sens large, voire ceux de la communauté, à ce qu'un nom illustre ne disparaisse pas. b) Certes, la préoccupation de ne pas voir s'éteindre un nom a pu avoir un certain poids il y a encore cinquante ou soixante ans: c'est ce qui ressort de la décision prise en 1923 par le Conseil d'Etat du canton de Berne dans l'affaire Eynard et de deux espèces (citées par EGGER, n. 5 in fine ad art. 30 CC ) dans lesquelles des autorités cantonales avaient admis comme justes motifs le désir de reprendre la graphie originelle d'un ancien patronyme, d'une part (Conseil d'Etat du canton de Zurich, 1922, résumé dans Der Zivilstandsbeamte 12 (1923) p. 616), et, d'autre part, le souci de ne pas laisser disparaître le patronyme de la mère du requérant, en donnant à BGE 108 II 247 S. 252 ce dernier l'autorisation de porter un double nom (Conseil d'Etat de Bâle-Ville, résumé dans Der Zivilstandsbeamte 17 (1928) p. 470/471, décision prise en 1887, soit sous l'empire du droit civil cantonal). Mais tel n'est plus le cas actuellement: c'est aujourd'hui, on l'a vu, tout au plus, la "petite famille" qui est prise en considération, soit la communauté des père et mère et de leurs enfants mineurs. Une telle évolution des moeurs est illustrée par la jurisprudence fédérale, précisément à propos du changement de nom. En 1950, la IIe Cour civile a dit incidemment que, si le père, qui a le droit de s'exprimer au sujet du changement de nom de ses enfants mineurs, est décédé, ce droit passe aux grands-parents, respectivement aux oncles et tantes du requérant ( ATF 76 II 342 consid. 2). Mais, en 1979, la Ire Cour de droit public a expressément écarté une telle possibilité, jugeant qu'elle ne correspond plus à l'état des moeurs ( ATF 105 Ia 284 ). Elle relève que l'opinion soutenue par la IIe Cour civile était justifiée par les caractéristiques de la cellule familiale de l'époque, où les relations personnelles et les liens entre parents étaient généralement bien plus intenses. Actuellement, en revanche, dit la Cour, ces liens se sont relâchés et les grandes familles de type patriarcal, où les grands-parents et tous leurs descendants vivent encore ensemble, sont devenues l'exception. Certes, le grand-parent pourrait aussi s'opposer au changement de nom envisagé en avançant des arguments compréhensibles et dignes d'intérêt, tels que la compassion et le respect envers un enfant défunt, ou encore le désir de voir sa lignée se poursuivre, mais ces motifs sont d'ordre affectif; ils ne ressortissent plus au droit et, partant, ne permettent pas au grand-parent de se prévaloir d'un intérêt juridique digne de protection dans une procédure de changement de nom: selon les conceptions modernes, ce qui est déterminant dans de telles circonstances, c'est l'intérêt de l'enfant. La Ire Cour de droit public se réfère notamment à un arrêt de 1971 ( ATF 97 I 623 ), dans lequel les mêmes motifs de piété et le désir de voir durer son nom ont été jugés insuffisants pour permettre au propre père d'un enfant majeur de s'opposer au changement de nom de ce dernier: ce qui fonde le droit du père à s'exprimer au sujet d'un changement de nom, c'est qu'il doit pourvoir à l'entretien de son enfant et qu'il a le droit d'avoir des relations personnelles avec lui. Ainsi, en l'état actuel de la jurisprudence, l'intérêt de la famille au sens large est un intérêt de pur fait, que le droit ne sanctionne pas. BGE 108 II 247 S. 253 Une telle conception des choses apparaît également dans la modification apportée à l' art. 30 al. 1 CC par la loi fédérale du 25 juin 1976, quand la compétence pour autoriser le changement de nom a été transférée du gouvernement du canton d'origine du requérant au gouvernement du canton de domicile. Le gouvernement du canton d'origine peut être soucieux de la conservation des noms en usage sur son territoire et ainsi empêcher que ne s'éteignent des patronymes. Mais une telle préoccupation n'est pas même évoquée dans le message du 5 juin 1974: on y lit, au contraire, que le nom de famille touche en premier lieu les intérêts du requérant et que le gouvernement du canton de domicile est mieux à même d'en juger que le gouvernement du canton d'origine, avec lequel le requérant n'a souvent plus aucun rapport (FF 1974 II 95). Ce point de vue n'a été l'objet d'aucune remarque, ni lors des débats aux Chambres, ni, par la suite, dans la doctrine et la jurisprudence: l'accent est mis sur le fait que les autorités du canton de domicile connaissent les circonstances personnelles au requérant (cf. ATF 108 II 2 consid. 2 et les références). c) D'après ce qui précède, on ne saurait dire qu'en ne tenant pas compte de l'intérêt de la famille von Stockalper à ne pas voir son nom s'éteindre, le Conseil d'Etat valaisan n'a pas usé de son pouvoir d'appréciation dans l'esprit de la règle appliquée (cf. ATF 107 II 289 et les références): un tel intérêt n'est pas un juste motif au sens de l' art. 30 al. 1 CC . Les intérêts individuels des requérants devant seuls être pris en considération, l'autorité cantonale aurait pu se dispenser de demander à des tiers (parents, communes et bourgeoisies d'origine des Stockalper) s'ils partageaient le désir de voir survivre le patronyme Stockalper: de telles démarches étaient inutiles. 6. En dehors de l'intérêt éventuel de la famille von Stockalper à éviter que son nom ne soit plus porté, les recourants ne font valoir aucun argument. Ils n'invoquent pas de motif individuel d'abandonner le nom de Bonvin. Ce patronyme n'a rien de ridicule; il a été illustré et il est honorablement et largement porté en Valais. Il indique l'appartenance des recourants au groupe familial qu'ils forment avec leurs père et mère, témoignant aussi qu'ils sont issus du mariage de leurs parents. Par ailleurs, pour justifier leur demande de porter le nom de von Stockalper, les requérants ne se prévalent d'aucun élément qui leur soit personnel et qui ait trait à leur individualité. Ils n'affirment même pas attendre une amélioration de leur position sociale et de BGE 108 II 247 S. 254 leurs perspectives d'avenir s'ils sont parés d'un nom illustre. On n'a donc pas à examiner si une telle prétention pourrait se qualifier de juste motif au sens de l' art. 30 al. 1 CC , pour autant qu'elle serait légitime au regard de l'art. 4 al. 1 deuxième phrase Cst. 7. En conclusion, rien ne permet de dire qu'il y ait eu en l'espèce violation du droit fédéral.
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fr
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70b5ede5-99d3-4f00-bbe8-7324473a0f53
Urteilskopf 117 IV 276 49. Urteil des Kassationshofes vom 21. Juni 1991 i.S. B. gegen Staatsanwaltschaft des Kantons Zürich (Nichtigkeitsbeschwerde)
Regeste Art. 204 StGB ; unzüchtige Veröffentlichung, Kinovorführungen. Für Filme, die nicht unter die harte Pornographie fallen, ist die Toleranzgrenze aufgrund der gewandelten Anschauungen höher anzusetzen, sofern die Besucher im voraus auf Gegenstand und Charakter des Films aufmerksam gemacht werden und Jugendlichen der Zutritt untersagt ist (Änderung der Rechtsprechung).
Sachverhalt ab Seite 276 BGE 117 IV 276 S. 276 B. ist Eigentümer des Kinos X. in Zürich. Er führte vom 9. bis 11. Dezember 1985 den Film "Sex mit Sechzehn - kann man sexbesessene Schulmädchen überhaupt in Schach halten" einem mit Ausnahme der Altersgrenze von 18 Jahren nicht beschränkten Zuschauerkreis vor. Die II. Strafkammer des Obergerichts des Kantons Zürich büsste ihn am 25. August 1989 wegen fortgesetzter unzüchtiger Veröffentlichung im Sinne von Art. 204 Ziff. 1 StGB mit Fr. 500.--. Eine dagegen gerichtete kantonale Nichtigkeitsbeschwerde wies das Kassationsgericht des Kantons Zürich am 10. Mai 1990 ab, soweit darauf eingetreten werden konnte. B. führt eidgenössische Nichtigkeitsbeschwerde mit dem Antrag, das Urteil des Obergerichts vom 25. August 1989 sei aufzuheben und er sei freizusprechen. Die Vorinstanz hat auf eine Vernehmlassung verzichtet. Die Staatsanwaltschaft des Kantons Zürich beantragt, die Beschwerde sei abzuweisen. Der Kassationshof des Bundesgerichtes hat den in Frage stehenden Film am 8. Februar 1991 vollständig visioniert. BGE 117 IV 276 S. 277 Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Die eidgenössische Nichtigkeitsbeschwerde in Strafsachen hat rein kassatorischen Charakter. Das Bundesgericht kann daher, wenn es eine Beschwerde für begründet hält, nicht selber ein materiell neues Urteil fällen, sondern nur das angefochtene Urteil aufheben und die Sache zur neuen Entscheidung an die Vorinstanz zurückweisen ( Art. 277ter BStP ; BGE 108 IV 156 E. 1b). Soweit mit dem Begehren, der Beschwerdeführer sei freizusprechen, mehr verlangt wird, ist auf die Nichtigkeitsbeschwerde daher nicht einzutreten. 2. a) Im in Frage stehenden Film - dessen Handlung im wesentlichen nur der Überleitung von einer Sexszene zur anderen dient - werden sexuelle Aktivitäten in verschiedenen Variationen gezeigt; dargestellt werden neben dem Geschlechtsverkehr in unterschiedlichen Stellungen insbesondere auch Fellatio und Cunnilingus. Ejakulationen werden nicht gezeigt. Die Vorinstanz hielt fest, der Film enthalte keine leinwandfüllende Abbildung von Geschlechtsteilen. Sadistische, masochistische oder sonst brutale oder abartige Sexualpraktiken (z.B. mit Kindern, Tieren, Ausscheidungen etc.) werden nicht dargestellt. b) Vorinstanz und Beschwerdeführer gehen davon aus, dass der in Frage stehende Kinofilm Darstellungen enthält, die unzüchtig im Sinne der bisherigen Bundesgerichtspraxis sind (vgl. dazu insbesondere BGE 114 IV 24 E. 3a und BGE 97 IV 99 Nr. 23). Der Beschwerdeführer bemängelt diese Rechtsprechung, weil sich die Anschauungen der Allgemeinheit über Moral und Sitte in diesem Bereich geändert hätten; dies ergebe sich insbesondere aus der im Revisionsentwurf zum Sexualstrafrecht als Ersatz für Art. 204 StGB enthaltenen Bestimmung, die zweifellos in absehbarer Zeit Gesetzeskraft erlangen werde; die Strafverfolgungsbehörden der gesamten Schweiz griffen bei Sexfilmen der vorliegenden Art denn auch nicht mehr ein. 3. a) Der Begriff "unzüchtig" ist ein unbestimmter Rechtsbegriff, der wertender Auslegung durch den Richter bedarf ( BGE 109 IV 122 , BGE 103 IV 97 , BGE 100 Ib 386 E. 4a). Die Interpretation eines solchen Begriffs durch die kantonale Instanz als Frage des Bundesrechts wird vom Bundesgericht grundsätzlich in freier Kognition überprüft. In Grenzfällen weicht das Bundesgericht aber nur mit einer gewissen Zurückhaltung von der Auffassung der Vorinstanz BGE 117 IV 276 S. 278 ab (vgl. dazu BGE 116 IV 314 , E. 2c zum Begriff des besonders gefährlichen Raubes). b) Art. 204 StGB soll primär die öffentliche Moral und Sittlichkeit als Teil der öffentlichen Ordnung schützen ( BGE 114 IV 24 /5, BGE 100 IV 236 , BGE 89 IV 137 ). Die für eine Gemeinschaft wesentlichen sittlichen Werte sollen also nicht durch unzüchtige Veröffentlichungen gefährdet werden. Nach der Rechtsprechung ist unzüchtig, was den geschlechtlichen Anstand verletzt, indem es in nicht leicht zu nehmender Weise gegen das Sittlichkeitsgefühl in geschlechtlichen Dingen verstösst; für die Grenzziehung zwischen unzüchtigen Darstellungen und solchen, die gewagt, aber noch erlaubt sind, ist das Sittlichkeits- und Schamgefühl des normal empfindenden Bürgers, der weder besonders empfindsam noch sittlich verdorben ist, massgebend ( BGE 100 IV 236 , 96 IV 69, 89 IV 197/8, 87 IV 74, 86 IV 19, 83 IV 24/5, 79 IV 126/7). In BGE 96 IV 68 E. 3 hatte das Bundesgericht in bezug auf Filme, die nicht unter die eigentliche Pornographie fallen, erkannt, bei der Beurteilung des Charakters einer Veröffentlichung seien auch die gesamten Begleitumstände wie der Ort und die Art der Veröffentlichung sowie der Kreis der Personen, für den sie bestimmt ist, zu berücksichtigen. Bei Filmvorführungen in Kinotheatern sei zu beachten, dass die Gefahr der Weiterverbreitung der Bilder an Unbefugte nicht bestehe; im Gegensatz zu allgemein zugänglichen Schriften und Bildern entfalle bei Filmvorführungen auch weitgehend die Gefahr, dass das Publikum gegen seinen Willen mit Darstellungen sexuellen Inhalts konfrontiert werde, namentlich wenn die Kinobesucher durch entsprechende Anzeigen zum voraus auf Gegenstand und Charakter des Films aufmerksam gemacht würden; erwachsene Personen, die unter solchen Voraussetzungen wissentlich der Vorführung eines Films mit gewagten Szenen beiwohnten, fänden sich in der Regel damit ab oder nähmen doch keinen Anstoss daran und seien infolgedessen auch weniger schutzbedürftig, so dass in derartigen Fällen die Toleranzgrenze weitergezogen werden dürfe als bei Veröffentlichungen, bei denen Möglichkeiten der Sicherung und Kontrolle fehlten. In Betracht zu ziehen sei auch die Tatsache, dass die zeitbedingten Anschauungen der Allgemeinheit über Moral und Sitte sich in der Vergangenheit geändert hätten; abgesehen davon, dass Sexualität in ständig steigendem Mass in den Dienst der Werbung, Anregung und Unterhaltung einbezogen werde, und sexuell betonte Darstellungen BGE 117 IV 276 S. 279 nicht mehr als ungewöhnlich empfunden würden, sei unverkennbar, dass auf dem Gebiete der Sexualmoral eine Neubesinnung im Gange sei, die sich darin auswirke, dass geschlechtliche Vorgänge offen und frei erörtert würden; diesem Wandel könne sich auch die Rechtsprechung nicht verschliessen. Die spätere Praxis betonte dann allerdings, diese Erweiterung der Grenze des Zulässigen gelte nur für Grenzfälle ( BGE 109 IV 123 , BGE 100 IV 236 ); dass dem Wandel in der Einstellung zur Sexualität auch vom Strafrichter Rechnung zu tragen sei, besage insbesondere nicht, dass die deswegen gebotene Zurückhaltung in der Beurteilung geschlechtlicher Darstellungen soweit gehen müsse, dass in diesem Bereich praktisch überhaupt kein Raum mehr für die Anwendung von Art. 204 StGB bestehe ( BGE 109 IV 123 , BGE 97 IV 101 ). c) Zunächst ist an der ständigen bundesgerichtlichen Rechtsprechung festzuhalten, dass es bei der Frage, ob ein Gegenstand oder ein Film unzüchtig ist, auf das Sittlichkeits- und Schamgefühl des normal empfindenden Bürgers ankommt, wobei sich die Anschauungen der Allgemeinheit über Sitte und Anstand und damit auch über den Begriff des Unzüchtigen ändern können. Die zu einem bestimmten Zeitpunkt vorherrschenden Anschauungen auf diesem Gebiet lassen sich allerdings nicht mit exakter Sicherheit feststellen. Das Bundesgericht hat festgehalten, dass Meinungsumfragen dazu eher untauglich sind (vgl. BGE 103 IV 96 ). Demgegenüber können beispielsweise in einem Gesetzes- oder Revisionsentwurf enthaltene Grundgedanken, insbesondere wenn sie unumstritten sind, als Ausdruck der allgemeinen "Entwicklungstendenz" auf einem bestimmten Rechtsgebiet gewürdigt und in diesem Sinn - mit der notwendigen Zurückhaltung - übernommen werden ( BGE 51 II 427 ; vgl. auch BGE 110 II 296 E. 2a am Ende; MEIER-HAYOZ, Berner Kommentar, Einleitungsband, N 395 zu Art. 1 ZGB mit Hinweisen auf weitere Entscheidungen des Bundesgerichts). Die Tatbestände der strafbaren Handlungen gegen die Sittlichkeit, zu denen die Bestimmung über die unzüchtige Veröffentlichung gehört, sollen nach Ansicht des Bundesrates geändert und "den heutigen kriminalpolitischen Bedürfnissen" und den veränderten gesellschaftlichen Auffassungen angepasst werden (Botschaft des Bundesrates über die Änderung des Schweizerischen Strafgesetzbuches und des Militärstrafgesetzes vom 26. Juni 1985, BBl 1985 II S. 1011 und 1064). Insbesondere soll zwischen weicher BGE 117 IV 276 S. 280 und harter Pornographie unterschieden werden (S. 1013). Gegenstände und Darstellungen, die weder unter die weiche noch unter die harte Pornographie fallen, sollen nur in Ausnahmefällen strafrechtlich bedeutsam sein (vgl. S. 1088 f. mit Hinweis auf BGE 96 IV 68 E. 3, BGE 100 Ib 395 ). Demgegenüber hält der neue Entwurf eines Art. 197 StGB (Marginale: "Pornographie"), der weitgehend dem Vorschlag der Expertenkommission, aber auch den in der Vernehmlassung erhobenen Einwendungen Rechnung trägt (S. 1089), in Ziff. 3 an einem generellen Verbot harter pornographischer Gegenstände oder Vorführungen fest, die - abschliessend aufgezählt - geschlechtliche Handlungen mit Kindern, Tieren, menschlichen Ausscheidungen oder sexuell gefärbte Gewalttätigkeiten zum Inhalt haben (vgl. S. 1091). Die Ziffern 1 und 2 können sich somit nur auf die übrige, weiche Pornographie beziehen. Diese darf Personen über 16 Jahren grundsätzlich zugänglich gemacht werden, sofern dies nicht über Radio oder Fernsehen geschieht und sie nicht öffentlich ausgestellt oder gezeigt oder sonst jemandem unaufgefordert angeboten wird. Vorführungen weicher Pornographie an über 16jährige erfüllen also den Tatbestand nicht, sofern sie entsprechend angekündigt werden und der Besucher damit auf den Charakter der Vorführung hingewiesen und vorbereitet wird (S. 1090 unten mit Hinweis auf BGE 96 IV 70 ). Gesamthaft gesehen entspricht die Vorlage den vom Bundesrat für den vorliegenden Bereich genannten drei Aufgaben des Strafrechts, welches nebst einem generellen Verbot der harten Pornographie junge Menschen vor der Wahrnehmung jeglicher pornographischer Darstellungen bewahren und verhindern soll, dass die übrige Bevölkerung gegen ihren Willen mit Darstellungen sexuellen Inhalts konfrontiert wird (S. 1089; ähnlich die deutsche Regelung in § 184 dtStGB). Bei den parlamentarischen Beratungen erwuchs dem neuen Art. 197 StGB sowohl im Ständerat als auch im Nationalrat in den hier interessierenden Grundzügen keine Opposition (vgl. Amtl.Bull. 1987 S 401-403 und 408 ; 1990 N 2329 -2331 und 2334). Die Räte ergänzten den Antrag des Bundesrates ausdrücklich dahin, dass straflos bleibe, wer die Besucher von Ausstellungen oder Vorführungen in geschlossenen Räumen im voraus auf deren pornographischen Charakter hinweise (Ziff. 2 Abs. 2; vgl. Amtl.Bull. 1987 S 401 f., 1990 N 2331: Votum Bundesrat Koller). Zwar hat dieser Entwurf eines neuen Art. 197 StGB noch keine Gesetzeskraft. Der Umstand, dass ihm im heute interessierenden BGE 117 IV 276 S. 281 Umfang im breit abgestützten Vernehmlassungsverfahren und im Parlament keine Opposition erwachsen ist - selbst von kritisch eingestellter Seite wurde Zustimmung zum Entwurf des Bundesrates beantragt (Amtl.Bull. 1990 N 2329) -, ist jedoch ein überzeugender und deutlicher Ausdruck der veränderten "sozialethischen Auffassungen, die im Sexualstrafrecht Milderungen angezeigt erscheinen lassen" (Schultz in ZSR 110/1991 S. 183). d) In den Materialien wurde verschiedentlich auf BGE 96 IV 64 Nr. 16 Bezug genommen. An den darin enthaltenen Grundgedanken ist festzuhalten. Das Bundesgericht hatte - zu Recht, wie die Revisionsbestrebungen des Sexualstrafrechts zeigen - auf die Tatsache hingewiesen, dass die zeitbedingten Anschauungen der Allgemeinheit über Moral und Sitte sich ständig ändern. Die Ausführungen des Bundesrates und die Voten im Parlament zeigen, dass sexuell betonte Darstellungen (sofern sie ein bestimmtes Mass nicht überschreiten) nicht mehr als strafwürdig empfunden werden. Wie das Bundesgericht schon damals feststellte, kann sich auch die Rechtsprechung diesem Wandel nicht verschliessen. Bei Kinovorführungen entfällt die Gefahr, dass das Publikum gegen seinen Willen mit Darstellungen sexuellen Inhalts konfrontiert wird, wenn die Kinobesucher durch einen entsprechenden Aushang im voraus auf Gegenstand und Charakter des Films aufmerksam gemacht werden. Der notwendige Jugendschutz kann durch eine entsprechende Zutrittskontrolle am Eingang sichergestellt werden. Es rechtfertigt sich also, bei Kinovorführungen, die diese beiden Voraussetzungen (die auch eine Grundlage des Revisionsentwurfes bilden) erfüllen, die Toleranzgrenze weiter zu ziehen, als bei für jedermann allgemein zugänglichen Veröffentlichungen (so schon BGE 96 IV 64 ). Nach dem Revisionsentwurf soll in Fällen weicher Pornographie denn auch ausdrücklich straflos bleiben, wer die Besucher von Ausstellungen oder Vorführungen in geschlossenen Räumen im voraus auf deren pornographischen Charakter hinweist. e) Aus dem Gesagten ergibt sich, dass den veränderten Anschauungen jedenfalls insoweit Rechnung zu tragen ist, als entgegen BGE 109 IV 123 auch sogenannte weiche Pornographie nicht mehr in jedem Fall unter Art. 204 StGB fallen muss. Bei Kinovorführungen ist dies vielmehr zu verneinen, wenn gewährleistet ist, dass der Kinobesucher im voraus über den Charakter des Films aufgeklärt wird und noch nicht 18jährigen Personen der Zutritt untersagt ist. Bei dieser Betrachtungsweise bleibt durchaus noch BGE 117 IV 276 S. 282 Raum für die Anwendung von Art. 204 StGB . Wo genau die Grenze zur strafbaren unzüchtigen Veröffentlichung gezogen werden muss, kann offenbleiben. Insbesondere muss nicht entschieden werden, ob die Grenze zwischen weicher und harter Pornographie so wie im Revisionsentwurf zu ziehen ist. Wie im folgenden darzulegen ist, kann jedenfalls die vorliegend zu beurteilende Vorführung des Films "Sex mit Sechzehn" nicht als unzüchtig im Sinne von Art. 204 StGB eingestuft werden. 4. a) Aus den kantonalen Entscheiden ergibt sich, dass der Zutritt zum Kino X. auf über 18jährige Personen beschränkt ist. Dass die Zürcher Kinos, die sich auf Sexfilme spezialisiert haben, von aussen (wie auch in der Zeitungswerbung) deutlich als solche gekennzeichnet sind, ist gerichtsnotorisch. b) Der Inhalt des Films erschöpft sich in der Wiedergabe von Darstellungen mehr oder weniger üblicher sexueller Handlungen, die eine weitergehende Bedeutung vermissen lassen und keinen über die Erregung oder Befriedigung der Geschlechtslust hinausgehenden Anspruch erheben können. Frauen lutschen am erigierten Glied des jeweiligen Geschlechtspartners, Frauen und Männer lecken die Vaginen der jeweiligen Geschlechtspartnerin. Ferner wird zum Teil in Nah-, aber nicht leinwandfüllender Aufnahme der Geschlechtsverkehr zwischen weiblichen und männlichen Partnern vollzogen. Schliesslich wird ein Akt der Selbstbefriedigung durch eine Frau vorgeführt, bevor sich diese zum Geschlechtsverkehr hingibt. Gesamthaft gesehen handelt es sich - wie auch die Visionierung durch das Bundesgericht gezeigt hat - um ein pornographisches Werk, an dem jemand durchaus dann Anstoss nehmen kann, wenn er damit ohne seinen Willen konfrontiert wird. Aufgrund der gewandelten Anschauungen ist dies bei Besuchern, die sich den Film in Kenntnis dessen ansehen, was sie erwartet, jedoch nicht der Fall, und nimmt auch der übrige Durchschnittsbürger keinen Anstoss daran, dass solche Filmvorführungen besucht werden können. In entsprechend bezeichneten Kinos verletzt dessen Vorführung an mehr als 18jährige Personen daher Art. 204 StGB nicht. c) Wie in E. 3a dargelegt, ist "unzüchtig" ein unbestimmter Rechtsbegriff, dessen Interpretation durch die kantonale Instanz als Frage des Bundesrechts vom Bundesgericht grundsätzlich in freier Kognition überprüft wird. Indem die Vorinstanz feststellte, der vorliegend zu beurteilende Film verstosse in nicht leicht zu nehmender Weise gegen das massgebliche Durchschnittsempfinden BGE 117 IV 276 S. 283 in geschlechtlichen Dingen, hat sie Bundesrecht verletzt. Da dem Wandel der Anschauungen auf diesem Gebiete Rechnung zu tragen ist, kann an der bisherigen Rechtsprechung, wie dargelegt wurde, nicht mehr in allen Teilen festgehalten werden. 5. Nach dem Gesagten erweist sich die Beschwerde als begründet. Das angefochtene Urteil ist daher aufzuheben und die Sache zur Freisprechung des Beschwerdeführers an die Vorinstanz zurückzuweisen. Bei diesem Ausgang des Verfahrens sind keine Kosten zu erheben und ist der Beschwerdeführer angemessen zu entschädigen.
null
nan
de
1,991
CH_BGE
CH_BGE_006
CH
Federation
70bf2b35-cea7-4314-8bbe-f9e659fd57e9
Urteilskopf 141 II 429 32. Extrait de l'arrêt de la Ire Cour de droit public dans la cause A. et B. contre Chemins de fer fédéraux suisses (CFF) SA et Office fédéral des transports (recours en matière de droit public) 1C_115/2015 du 26 novembre 2015
Regeste Art. 20 Abs. 2 bis VwVG ( Art. 44 Abs. 2 BGG , Art. 38 Abs. 2 bis ATSG ); Fiktion der Zustellung einer Gerichtsurkunde bei einem Postrückbehaltungsauftrag (Bestätigung der Rechtsprechung). Bei einem Postrückbehaltungsauftrag gilt eine Gerichtsurkunde als zugestellt am letzten Tag der Frist von sieben Tagen ab Eingang der Sendung bei der Poststelle am Wohnort des Empfängers. Daran wollte der Gesetzgeber anlässlich der Totalrevision der Bundesrechtspflege nichts ändern. Die von der früheren Rechtsprechung entwickelten Grundsätze bleiben anwendbar (E. 3.3). Wer weiss, dass er Partei eines gerichtlichen Verfahrens ist, muss im Falle seiner Abwesenheit die geeigneten Massnahmen treffen, damit ihm richterliche Mitteilungen zukommen, oder zumindest die Behörde über seine Abwesenheit informieren; ein Postrückbehaltungsauftrag stellt keine genügende Massnahme dar (E. 3.1 und 3.2).
Sachverhalt ab Seite 430 BGE 141 II 429 S. 430 A. Le 5 mars 2012, les Chemins de fer fédéraux suisses CFF SA (ci-après: les CFF) ont soumis à l'approbation de l'Office fédéral des transports (ci-après: l'OFT) les plans concernant le projet "Coppet-Genève" portant sur des mesures visant à augmenter la cadence du trafic régional sur ce tronçon; il est notamment prévu de construire un îlot de croisement à Chambésy. L'OFT a ouvert une procédure ordinaire d'approbation des plans le 19 avril 2012, avec mise à l'enquête publique dans les communes concernées par les travaux. Le projet a suscité plusieurs oppositions, dont celle de A. et B. Le 20 décembre 2013, l'OFT a approuvé le projet des CFF et rejeté l'opposition des intéressés. Par acte du 5 février 2014, A. et B. ont recouru au Tribunal administratif fédéral contre cette décision. Dans le cadre de l'instruction, interpellé par le Tribunal administratif fédéral sur la question de la recevabilité du recours, l'OFT a BGE 141 II 429 S. 431 produit un relevé du service postal track & trace . Selon ce document, la décision attaquée a fait l'objet d'une première notification infructueuse le 23 décembre 2013, à la poste du Grand-Saconnex; elle a cependant, en raison d'une demande de garde du courrier formulée le 21 novembre 2013 par les intéressés, été conservée par La Poste jusqu'à leur retour de vacances, le 6 janvier 2014, date à laquelle elle a effectivement été retirée à l'office de Chambésy. Il ressort également de ce relevé que la décision de l'OFT a été remise à ce dernier office postal le 24 décembre 2013. Estimant que la distribution est intervenue au plus tard à cette date, et non le 6 janvier 2014, le tribunal a, dans son arrêt du 16 janvier 2015, jugé que le délai pour recourir est arrivé à échéance au plus tard le 3 février 2014 et que le recours, déposé le 5 février 2014, était par conséquent tardif. B. A. et B. ont déféré cet arrêt à l'autorité de céans, qui a rejeté leur recours en matière de droit public. (résumé) Extrait des considérants: Erwägungen 3. Sur le fond, les recourants se plaignent d'une violation des règles sur la computation des délais, en particulier des art. 20 et 50 PA (RS 172.021). 3.1 Aux termes de l' art. 50 al. 1 PA , le recours doit être déposé dans les 30 jours qui suivent la notification de la décision. Ce délai légal ne peut pas être prolongé ( art. 22 al. 1 PA ). Il ne court toutefois pas du 7 e jour avant Pâques au 7 e jour après Pâques inclusivement ( art. 22a al. 1 let. a PA ), du 15 juillet au 15 août inclusivement (let. b), et du 18 décembre au 2 janvier inclusivement (let. c). Selon l' art. 20 al. 1 PA , si le délai compté par jours doit être communiqué aux parties, il commence à courir le lendemain de la communication. Une communication qui n'est remise que contre la signature du destinataire ou d'un tiers habilité est réputée reçue au plus tard sept jours après la première tentative infructueuse de distribution ( art. 20 al. 2 bis PA ). Enfin, le délai est observé si le recours est remis à l'autorité ou, à son adresse, à un bureau de poste suisse ou à une représentation diplomatique ou consulaire suisse le dernier jour du délai au plus tard. De jurisprudence constante, celui qui se sait partie à une procédure judiciaire et qui doit dès lors s'attendre à recevoir des actes du juge - condition en principe réalisée pendant toute la durée d'un procès (cf. ATF 130 III 396 consid. 1.2.3 p. 399) -, est tenu de relever son courrier ou, s'il s'absente de son domicile, de prendre des BGE 141 II 429 S. 432 dispositions pour que celui-ci lui parvienne néanmoins. À ce défaut, il est réputé avoir eu, à l'échéance du délai de garde, connaissance du contenu des plis recommandés que le juge lui adresse. Une telle obligation signifie que le destinataire doit, le cas échéant, désigner un représentant, faire suivre son courrier, informer les autorités de son absence ou leur indiquer une adresse de notification ( ATF 139 IV 228 consid. 1.1 p. 230 et les références citées). Le délai de garde de sept jours n'est pas prolongé lorsque La Poste permet de retirer le courrier dans un délai plus long, par exemple à la suite d'une demande de garde. En effet, des accords particuliers avec La Poste ne permettent pas de repousser l'échéance de la notification, réputée intervenue à l'échéance du délai de sept jours ( ATF 127 I 31 consid 2a/aa p. 34; arrêt 6B_239/2011 du 22 mars 2012 consid. 3.5). Ainsi, lorsque le destinataire donne l'ordre au bureau de poste de conserver son courrier, l'envoi recommandé est réputé notifié non pas au moment de son retrait effectif, mais le dernier jour du délai de garde de sept jours suivant la réception du pli par l'office de poste du lieu de domicile du destinataire ( ATF 127 I 31 consid. 2a/aa p. 34; arrêt 1P.81/2007 du 26 mars 2007 consid. 3.2). L'ordre donné au bureau de poste de conserver les envois ne constitue pas une mesure appropriée afin que les communications de l'autorité puissent être notifiées (cf. arrêt 1P.81/2007 du 26 mars 2007 consid. 3.2). 3.2 En l'espèce, le Tribunal administratif fédéral a jugé que c'est en vain que les recourants ont tenté de démontrer qu'ils ne pouvaient pas s'attendre à recevoir la décision de l'OFT, sous prétexte qu'ils imaginaient devoir être encore entendus en personne et qu'une inspection locale serait mise en oeuvre. L'instance précédente a rappelé que la procédure d'opposition n'implique pas nécessairement le droit d'être entendu oralement et que l'autorité peut, par ailleurs, renoncer à un transport sur place par appréciation anticipée des preuves. Ce raisonnement ne prête pas le flanc à la critique et les recourants ne le remettent au demeurant pas directement en cause. Devant le Tribunal fédéral, se référant notamment à la jurisprudence de l'instance précédente (en particulier à l'arrêt du Tribunal administratif fédéral A-1157/2010 du 2 août 2008 consid. 1.2), ils soutiennent qu'ils ne pouvaient s'attendre à ce que l'autorité cherche à leur notifier sa décision pendant les vacances de Noël, période durant laquelle de nombreuses familles suisses seraient absentes de leur domicile. Cette argumentation ne leur est toutefois d'aucun secours, le tribunal ayant, BGE 141 II 429 S. 433 dans l'affaire précitée, jugé que l'intéressé ne pouvait escompter recevoir une décision, non pas à cause de la notification durant la période de Noël, mais principalement en raison du fait que l'autorité concernée ne s'était pas déterminée pendant plus d'une année avant de statuer. En l'espèce, il n'en va en revanche pas de même et il faut à cet égard, avec l'instance précédente, reconnaître que l'écoulement d'un délai de quatre mois entre la dernière communication de l'OFT et la notification de la décision litigieuse constitue un délai raisonnable dans une procédure complexe d'approbation des plans, ce que les recourants ne discutent d'ailleurs pas. Ceux-ci pouvaient dès lors, dans ce délai, supposer qu'une décision serait rendue, ce d'autant plus que le dernier avis de l'autorité, daté du 28 août 2013, les informait que l'échange d'écritures était terminé et la cause gardée pour traitement. Par ailleurs, en tant que parties à une procédure judiciaire, il incombait à tout le moins aux recourants, s'ils entendaient se prévaloir de leur absence, d'en informer l'autorité, comme le commande la jurisprudence (cf. ATF 139 IV 228 consid. 1.1 p. 230 et les références citées; arrêts 2C_832/2014 du 20 février 2015 consid. 4.3.2; 6B_463/2014 du 18 septembre 2014 consid. 1.1; 4A_660/2011 du 9 février 2012 consid. 2.4.2). 3.3 Dès lors que les recourants devaient s'attendre à la notification de la décision attaquée, le Tribunal administratif fédéral a considéré que celle-ci, adressée sous pli recommandé (acte judiciaire), leur a été communiquée au plus tard le 24 décembre 2013, lorsqu'elle est parvenue à l'office postal de leur domicile. Les recourants ayant requis de La Poste qu'elle garde leur courrier entre le 21 décembre 2013 et le 6 janvier 2014, le tribunal a estimé qu'il était superflu de tenter une distribution effective et que la réception du pli par l'office de poste du domicile devait être assimilée à une "tentative infructueuse de distribution" au sens de l' art. 20 al. 2 bis PA . Selon l'instance précédente, en application de cette disposition, la notification de la décision est ainsi intervenue - par fiction - sept jours plus tard, le 31 décembre 2013. Compte tenu des féries de Noël ( art. 22a al. 1 let . c PA), le point de départ du délai de recours ( dies a quo ) a toutefois été reporté au premier jour ouvrable suivant, en l'occurrence le 3 janvier 2014 (cf. art. 20 al. 3 PA ); le délai de trente jours est donc, selon le Tribunal administratif fédéral, venu à échéance le dimanche 2 février 2014, échéance reportée au lundi 3 février 2014 ( dies ad quem ; cf. art. 20 al. 3 PA ), de sorte que le recours déposé le 5 février 2014 l'a été tardivement. BGE 141 II 429 S. 434 3.3.1 Sous couvert d'une interprétation littérale et historique de l' art. 20 al. 2 bis PA , les recourants soutiennent que le Tribunal administratif fédéral ne pouvait pas assimiler la réception de la décision par l'office postal de leur domicile à une tentative infructueuse de distribution. Selon eux, par l'adoption de l' art. 20 al. 2 bis PA (mais également des art. 44 al. 2 LTF et 38 al. 2 bis de la loi fédérale du 6 octobre 2000 sur la partie générale du droit des assurances sociales [LPGA; RS 830.1] adoptés dans le cadre de la révision totale de l'organisation judiciaire et entrés en vigueur le 1 er janvier 2007), le législateur fédéral a entendu régler de manière exhaustive les conditions d'une notification fictive. Ils estiment qu'à rigueur de texte seule une tentative matérielle et effective de distribution d'une communication est de nature à faire partir le délai de sept jours à l'issue duquel celle-ci est réputée notifiée; à les suivre, le législateur fédéral aurait, en adoptant ces nouvelles dispositions, voulu s'écarter de la jurisprudence antérieure, en particulier celle fixant la date de réception d'un pli recommandé, en cas de demande de garde du courrier, au jour de sa remise au bureau de poste de l'adresse de domicile du destinataire (cf. ATF 123 III 492 consid. 1 p. 492 ss). Ils appuient également cette interprétation sur les travaux préparatoires, en particulier sur le message du Conseil fédéral du 28 février 2001 concernant la révision totale de l'organisation judiciaire fédérale (ci-après: le Message du Conseil fédéral; FF 2001 4000, 4067 ch. 2.6.3.2.1). 3.3.2 Comme le soulignent les recourants, cette problématique a été examinée par le Tribunal fédéral à la lumière du nouveau droit, dans un arrêt publié du 7 janvier 2008 ( ATF 134 V 49 consid. 4 p. 51 s. et les références). Approuvée par les autres cours selon la procédure de l' art. 23 al. 2 LTF , la II e Cour de droit social du Tribunal fédéral a jugé qu'en vertu de l' art. 38 al. 2 bis LPGA - dont la teneur est identique à celle des art. 44 al. 2 LTF et 20 al. 2 bis PA - le délai de sept jours, à l'issue duquel une communication est réputée notifiée, commence à courir, en cas de demande de garde du courrier, à la remise de l'envoi à l'office de poste du domicile du destinataire. Elle a estimé que les principes dégagés à ce sujet par la jurisprudence antérieure demeuraient applicables (cf. ATF 134 V 49 précité, confirmé plus récemment dans un arrêt 2C_832/2014 du 20 février 2015 consid. 4.3.2; cf. également arrêts 6B_463/2014 du 18 septembre 2014 consid. 1.1; 4A_476/2013 du janvier 2014 consid. 2.1, in SJ 2014 I p. 233; 9C_1005/2012 du 19 décembre 2012 consid. 3.3). BGE 141 II 429 S. 435 Il n'y a pas lieu de s'écarter de cette jurisprudence. En effet, contrairement à ce que prétendent les recourants, il ne ressort pas du Message du Conseil fédéral que le législateur a souhaité s'écarter de la pratique antérieure à l'occasion de la réforme (cf. FF 2001 4000, 4095 ad art. 40; cf. également Message du 28 juin 2006 relatif au code de procédure civile suisse, FF 2006 6841, 6918 ad art. 136 et la référence à l' ATF 127 III 173 : dans cette affaire, citée pour illustrer la volonté de maintenir la jurisprudence constante en matière de notification, sont notamment rappelés les principes applicables en cas de demande de garde du courrier [cf. consid. 1a p. 175 et la référence à l' ATF 123 III 492 précité], mentionnés ci-dessus). Bien au contraire, il apparaît que l' art. 44 al. 2 LTF (identique aux art. 20 al. 2 bis PA et 38 al. 2 bis LPGA) résulte de la codification de cette jurisprudence rendue sous l'égide des art. 145 et 169 al. 1 let . d et e de l'ancienne ordonnance (1) du 1 er septembre 1967 relative à la loi sur le Service des Postes (OSP 1; RO 1967 1447). Comme ces dispositions ont été abrogées au 1 er janvier 1998 avec l'entrée en vigueur de l'ordonnance du 29 octobre 1997 sur la poste (OPO, art. 13 let. a [abrogé depuis lors]; RO 1997 2461), une réglementation explicite dans la loi a été jugée nécessaire (cf. JEAN-MAURICE FRÉSARD, in Commentaire de la LTF, 2 e éd. 2014, n° 3 ad art. 44 LTF ). Le maintien de cette jurisprudence, qui n'est d'ailleurs pas remise en cause par la doctrine récente (cf. FRÉSARD, op. cit., n° 16 ad art. 44 LTF ; BORIS RUBIN, Commentaire de la loi sur l'assurance-chômage, 2014, n° 32 ad art. 1 LACI ; KASPAR PLÜSS, in Kommentar zum Verwaltungsrechtspflegegesetz des Kantons Zürich [VRG], 2014, n° 100 ad § 10 VRG; MOSER/BEUSCH/KNEUBÜHLER, in Prozessieren vor dem Bundesverwaltungsgericht, 2013, n. 2.115 p. 78; THIERRY TANQUEREL, Manuel de droit administratif, 2011, n. 1571 p. 520; MAITRE/THALMANN [PLÜSS], in VwVG, Praxiskommentar zum Bundesgesetz über das Verwaltungsverfahren, 2009, n° 39 ad art. 20 PA ), s'impose et se justifie également au regard de la sécurité du droit, du principe d'égalité de traitement et l'interdiction de l'abus de droit, qui commandent que les règles sur la communication des décisions soient d'une application claire et uniforme, ce qui exclut que le moment où naissent les conséquences procédurales de la notification soit déterminé par les instructions particulières données par un administré à La Poste (cf. ATF 134 V 49 consid. 4 p. 52; ATF 123 III 492 consid. 1 p. 493 s.; cf. également YVES DONZALLAZ, Loi sur le Tribunal fédéral, Commentaire, 2008, n° 1128 ad art. 44 LTF et les références citées). BGE 141 II 429 S. 436 3.3.3 Par ailleurs, en demandant à La Poste de garder leur courrier, les recourants ont implicitement renoncé à la notification de tout envoi. Ils ne peuvent dès lors pas se prévaloir de l'absence de dépôt, dans leur boîte aux lettres, d'une invitation à retirer l'acte judiciaire pour faire échec à la présomption de notification (cf. arrêt 1P.81/ 2007 du 26 mars 2007 consid. 3.2; voir également MAITRE/THALMANN [PLÜSS], op. cit., n° 39 ad art. 20 PA ); ils ne sauraient pas non plus tirer argument du fait qu'il leur était prétendument impossible, à défaut d'une telle invitation, de connaître la date de réception effective par l'office postal. Les recourants supportent en effet les risques découlant des accords particuliers intervenus avec La Poste (DONZALLAZ, op. cit., n° 1079 ad art. 44 LTF et les références citées), de sorte qu'il leur incombait - la présomption de notification n'ayant pas entraîné la forclusion, mais le raccourcissement du délai de recours - de se renseigner sur la date de remise à la poste, le cas échéant directement auprès de l'autorité, dans l'hypothèse où, comme ils le prétendent, les données relatives au suivi ne seraient accessibles qu'au seul expéditeur (ce dont il est permis de douter, le numéro de référence permettant le suivi track & trace figurant en principe sur l'enveloppe contenant l'acte judiciaire).
public_law
nan
fr
2,015
CH_BGE
CH_BGE_004
CH
Federation
70c2729b-bedf-4fdf-baee-1efcc94a4ea1
Urteilskopf 122 II 165 24. Auszug aus dem Urteil der I. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 3. April 1996 i.S. VCS, SHS und WWF gegen Kanton Zürich und Regierungsrat des Kantons Zürich (Verwaltungsgerichtsbeschwerde)
Regeste Einsprache gegen Nationalstrassen-Ausführungsprojekt; Umweltverträglichkeitsprüfung. Zulässigkeit von privaten Bauvorhaben und Nationalstrassen-Projekten in Gebieten, in denen die in der Luftreinhalte-Verordnung festgelegten Immissionsgrenzwerte überschritten werden (E. 13). "Flankierende Massnahmen" beim Nationalstrassenbau (E. 14). Erweisen sich im Zusammenhang mit einem Nationalstrassen-Projekt sog. flankierende Massnahmen zur Luftreinhaltung auf dem bestehenden Strassennetz als erforderlich, sind diese grundsätzlich im Rahmen der Massnahmenplanung ( Art. 31 und 33 LRV ) anzuordnen. Sie müssen dann noch nicht bei der Projektgenehmigung festgelegt werden, wenn über die lufthygienische Situation im Zeitpunkt der Inbetriebnahme der Strasse keine gesicherten Annahmen getroffen werden können, doch ist für ihre Verwirklichung auf diesen Zeitpunkt hin zu sorgen. Das gleiche gilt für verkehrslenkende Massnahmen, insbesondere Geschwindigkeitsbeschränkungen, auf der Autobahn selbst (E. 15). Die sog. flankierenden Massnahmen im Sinne von Art. 10 in Verbindung mit Art. 9 der Lärmschutz-Verordnung im Einzugsgebiet einer zukünftigen Nationalstrasse sind grundsätzlich im Rahmen der Ausführungsprojektierung anzuordnen, können aber in gewissen Fällen in einem späteren Bewilligungsverfahren festgelegt werden. Vorgehen bei Kantonsgrenzen überschreitenden Immissionen (E. 16).
Sachverhalt ab Seite 166 BGE 122 II 165 S. 166 Mit Beschluss vom 4. August 1993 stimmte der Regierungsrat des Kantons Zürich dem Ausführungsprojekt für die Westumfahrung Zürich, Abschnitte N BGE 122 II 165 S. 167 20.1.4 (Umfahrung Birmensdorf), N 4.1.5 (Uetlibergtunnel) und N 4.1.4 (Brunau-Uetliberg-Ost) zu. Gleichzeitig wies er die gegen das Projekt erhobenen Einsprachen ab, soweit auf sie eingetreten und ihnen nicht entsprochen werden konnte. Gegen den Regierungsratsentscheid haben neben anderen die drei gemeinsam handelnden Vereinigungen Verkehrsclub der Schweiz (VCS), Schweizer Heimatschutz (SHS) und World Wildlife (WWF) Schweiz Verwaltungsgerichtsbeschwerde erhoben. Die Beschwerdeführer beantragen in erster Linie, der angefochtene Beschluss sei aufzuheben, die zuständigen Behörden seien einzuladen, das generelle Projekt in Wiedererwägung zu ziehen, und die Sache sei zur Vornahme der notwendigen Projektanpassungen sowie zur Überarbeitung des Umweltverträglichkeitsberichts und zum Erlass eines mit dem Projekt koordinierten Massnahmenplans an den Regierungsrat zurückzuweisen. Das Bundesgericht weist die Beschwerde im wesentlichen ab. Erwägungen Aus den Erwägungen: 12. (Zusammenfassung der Rechtsprechung über die Vorkehren zur Luftreinhaltung beim Nationalstrassenbau; BGE 117 Ib 285 E. 8c S. 306, 425 E. 5, BGE 118 Ib 206 E. 11 S. 222, BGE 119 Ib 458 nicht publ. E. 8, nicht publ. Entscheid vom 28. September 1993 i.S. WWF und Mitbet. gegen Kanton Solothurn, E. 8). 13. Die Beschwerdeführer fordern das Bundesgericht auf, seine Rechtsprechung zu den lufthygienischen Anforderungen an Nationalstrassen-Ausführungsprojekte noch einmal zu überdenken. Die bisherige Praxis laufe auf eine ungerechtfertigte Privilegierung der Verkehrsanlagen und eine Missachtung der Immissionsgrenzwerte hinaus. Die Immissionsgrenzwerte stellten aber verbindliche Rechtssätze dar. Es ist eine - überaus unerfreuliche - Tatsache, dass heute in fast allen Städten und Agglomerationen der Schweiz die Immissionsgrenzwerte für NO2 und Ozon (O3) überschritten werden (vgl. etwa: Die Bedeutung der Immissionsgrenzwerte der Luftreinhalte-Verordnung, hrsg. BUWAL, 1992, Schriftenreihe Umwelt Nr. 180 Luft). Vor diesem Hintergrund hat sich das Bundesgericht unlängst mit der Frage befasst, ob in solchen Gebieten private Bauvorhaben überhaupt noch bewilligt werden könnten. Es hat in BGE 119 Ib 480 festgestellt, einem Bauprojekt könne die Zulässigkeit nicht allein deshalb abgesprochen worden, weil die Luftbelastung im Baugebiet BGE 122 II 165 S. 168 übermässig sei. Die Bautätigkeit könne mit Rücksicht auf die Luftbelastung nur eingeschränkt werden, wenn vorgängig die Bau- und Zonenordnung in den dafür vorgesehenen Verfahren abgeändert worden sei. Entspreche das Vorhaben den geltenden planerischen Vorschriften und gingen von der projektierten Baute bloss durchschnittliche Emissionen aus, so dürfe diesem die Bewilligung nicht verweigert werden. Allerdings müsse das fragliche Baugebiet in eine Massnahmenplanung nach Art. 31 der Luftreinhalte-Verordnung vom 16. Dezember 1985 (LRV; SR 814.318.142.1) einbezogen werden und sei diese, falls die neue Baute allein schon zu übermässigen Immissionen führen werde, im Rahmen des Baubewilligungsverfahrens entsprechend zu ergänzen. In BGE 120 Ib 436 ist diese Rechtsprechung grundsätzlich bestätigt worden. Umstritten war in diesem Fall, ob ein Sondernutzungsplan für ein Einkaufszentrum, dessen Betrieb mit überdurchschnittlichen Immissionen verbunden sein wird, vor Erlass des Massnahmenplanes genehmigt werden dürfe. Das Bundesgericht hat dies - ähnlich wie im Entscheid vom 20. Januar 1993 i.S. Association suisse des transports c. Consortium de la Gare Sud/Ville de Fribourg (publ. in URP 1993 S. 169 ff.) - verneint und verlangt, dass zunächst im Rahmen der Massnahmenplanung auf das Bauvorhaben zugeschnittene Emissionsbeschränkungen festgelegt würden bzw. der Sondernutzungsplan auf die Massnahmenplanung abgestimmt werde. Zugleich ist jedoch klargestellt worden, dass die für private Bauvorhaben aufgestellten Regeln nicht unbesehen auf öffentliche Werke, insbesondere die Nationalstrassen-Projekte, übertragen werden könnten. Es ist darauf hingewiesen worden, dass der Verfassungsgeber selbst in Art. 36bis BV den Bund mit der gesetzlichen Sicherstellung des Nationalstrassenbaus und -betriebs betraut und den Kantonen die Erstellung und den Unterhalt dieser Verkehrsanlagen übertragen hat. Diesem Verfassungsauftrag müsse im Rahmen von Interessenabwägungen, die bei Konflikten zwischen den Anliegen des Nationalstrassenbaus und den Zielen der Umweltschutzgesetzgebung vorzunehmen seien, Rechnung getragen werden. Auf diesem Gebiet fielen daher Sonderlösungen in Betracht, welche die Privaten für ihre Bauvorhaben nicht beanspruchen könnten ( BGE 120 Ib 436 E. 2c/cc S. 447). Das Bundesgericht hat keinen Grund, auf die Vorbringen der Beschwerdeführer hin von seiner wie dargelegt in der Zwischenzeit bestätigten Rechtsprechung abzuweichen. Soweit in der Beschwerde verlangt wird, es müsse bereits im BGE 122 II 165 S. 169 Rahmen der Plangenehmigung nachgewiesen werden, dass längs der Autobahn die Immissionsgrenzwerte eingehalten werden könnten, bedeutete dies, dass an die im öffentlichen Interesse liegende Verkehrsanlage strengere Anforderungen gestellt würden als an private Bauvorhaben. Da die Immissionsgrenzwerte zur Zeit auch ohne das Projekt in den Siedlungsgebieten überschritten werden und durch den Bau der Nationalstrasse die lufthygienische Situation jedenfalls in deren Nahbereich nicht verbessert wird, läuft das Begehren der Beschwerdeführer im Ergebnis darauf hinaus, die Realisierung des Werkes zu verhindern oder hinauszuschieben. Würde einem solchen Ansuchen stattgegeben, würde aber dem Verfassungsauftrag von Art. 36bis BV und dem Willen des eidgenössischen Parlamentes zuwidergehandelt. Wie im Sachverhalt eingehend dargestellt (...), hat die Bundesversammlung in einem Zeitpunkt, in dem über die Schwierigkeiten im Bereiche der Luftreinhaltung bereits Klarheit herrschte, den ursprünglichen Netzbeschluss überprüft und mit Rücksicht auf wirtschaftliche, verkehrspolitische und - im Hinblick auf die Verbindung Innerschweiz - Flughafen Kloten/Ostschweiz - auch föderalistische Interessen Festhalten an den Nationalstrassen-Linienführungen in der Region Zürich beschlossen. An dieser durch die Bundesversammlung selbst vorgenommenen Wertung kann nicht einfach vorbeigesehen werden. Dass damit allerdings den für die Luftreinhaltung verantwortlichen Behörden kein Freipass für die Inkaufnahme von Autobahn-Immissionen erteilt worden ist, ergibt sich aus dem ebenfalls vom Verfassungsgeber erlassenen Gebot, die für den Menschen und seine Umwelt schädlichen Einwirkungen, so insbesondere die Luftverunreinigungen, zu bekämpfen ( Art. 24septies Abs. 1 BV ). Die Lösung des nicht leicht zu überwindenden Zielkonflikts fordert von allen beteiligten Behörden ein grosses Mass an Anstrengung und Bereitschaft zur Zusammenarbeit. 14. Die Parteien sind sich darüber einig, dass im Zusammenhang mit dem Nationalstrassenbau "flankierende Massnahmen" zu ergreifen sind. Uneinigkeit herrscht dagegen darüber, welche Massnahmen zu treffen sind und wann die Massnahmen konkret festgelegt und realisiert werden müssen. Vorauszuschicken ist, dass unter den sog. flankierenden Massnahmen nicht nur Massnahmen gegen übermässige Immissionen im Sinne von Art. 31 ff. LRV verstanden werden können, sondern auch andere projektbegleitende Vorkehren, die der Vermeidung oder Verminderung von werkbedingten Beeinträchtigungen dienen. So ist der Werkeigentümer etwa aufgrund des Enteignungsrechts BGE 122 II 165 S. 170 verpflichtet, für in Mitleidenschaft gezogene öffentliche Einrichtungen - wie Strassen, Brücken oder Leitungen - Ersatzvorkehren zu treffen oder Schutzmassnahmen zur Erhaltung von landschaftlichen Schönheiten, Ortsbildern und Denkmälern zu ergreifen (vgl. Art. 7 und 9 des Bundesgesetzes über die Enteignung [EntG, SR 711] in Verbindung mit Art. 12 Abs. 1 und Art. 3 Abs. 2 lit. a des Bundesgesetzes über den Natur- und Heimatschutz [NHG, SR 451]). Die Pflicht zum Schutz und zur Wiederherstellung öffentlicher Einrichtungen wird für den Nationalstrassen- und den Eisenbahnbau zusätzlich noch in der Spezialgesetzgebung verankert (vgl. Art. 42 Abs. 1 und 2 des Bundesgesetzes über die Nationalstrassen [NSG, SR 725.11] und Art. 19 Abs. 1 des Eisenbahngesetzes [SR 742.101]). Diese Ersatz- und Schutzvorkehren bilden grundsätzlich Bestandteil des Werkes bzw. des Ausführungsprojekts und sind mit diesem festzulegen. Erweisen sich solche Massnahmen aber erst nachträglich als erforderlich oder muss deren Ausgestaltung in einem nachfolgenden Detailprojektierungsverfahren noch im einzelnen festgelegt werden, so können die Pläne für Ersatzvorkehren auch Gegenstand eines zusätzlichen Bewilligungsverfahrens sein (nicht publ. Entscheid vom 28. Dezember 1995 i.S. St. gegen BLT Baselland Transport AG; s.a. BGE 121 II 378 E. 6). Als "flankierende Massnahmen" fallen weiter Schutzvorkehren für die Tier- und Pflanzenwelt gemäss Art. 18 Abs. 1ter NHG , Ersatzaufforstungen nach Art. 7 Abs. 1 des Bundesgesetzes über den Wald vom 4. Oktober 1991 (SR 921.0) und die Wiederherstellung zerstörter Lebensräume im Sinne von Art. 7 Abs. 2 des Bundesgesetzes über die Fischerei vom 21. Juli 1991 (SR 923.0) in Betracht. Soweit im vorliegenden Fall von "flankierenden Massnahmen" gesprochen wird, sind offensichtlich allein Massnahmen zur Reduktion der durch den Strassenverkehr verursachten Luftverunreinigung, das heisst Massnahmen im Sinne von Art. 19, 31 und 33 LRV gemeint. Unter diesem Titel verlangen die Beschwerdeführer unter anderem einen nur zweispurigen Ausbau des Uetlibergtunnels sowie den Verzicht auf einen Vollanschluss N 3/N 4 in Zürich-Brunau als verkehrsbeschränkende bauliche Massnahme an der Anlage selbst. Eine solche Änderung des Projektes ist jedoch, wie schon ausgeführt (E. 6), aufgrund des Netzbeschlusses und des generellen Projekts ausgeschlossen, und auf diese Begehren daher nicht mehr einzutreten. 15. Die Koordinationsstelle für Umweltschutz des Kantons Zürich und das Bundesamt für Umwelt, Wald und Landschaft (BUWAL) haben im kantonalen BGE 122 II 165 S. 171 Verfahren in bezug auf die Luftreinhaltung beantragt, in der Stadt Zürich seien auf den Zeitpunkt der Eröffnung der N 20/N 4 - unter Berücksichtigung der Entwicklung der lufthygienischen Situation in der Zwischenzeit - flankierende Massnahmen zur Verminderung bestehender Achsen für den Motorfahrzeugverkehr zu ergreifen. Weiter sei der Massnahmenkatalog im Sinne von Art. 31 ff. LRV in dem Sinne zu ergänzen, dass auf den Zeitpunkt der Inbetriebsetzung die durch die neue Westumfahrung Zürich verursachten Mehremissionen kompensiert würden. Die Auswirkungen des Autobahnbetriebs seien durch Immissionsmessungen und Verkehrszählungen zu erfassen, deren Resultate als Grundlage für die Optimierung des Betriebs der Tunnelbelüftungen sowie für die Beurteilung von Geschwindigkeitsbeschränkungen herbeigezogen werden könnten. Schliesslich sei die Fahrgeschwindigkeit auf den Autobahnabschnitten auf 80 km/h für Personenwagen und 60 km/h für Lastwagen zu beschränken. Im angefochtenen Entscheid bemerkt der Regierungsrat zu diesen Anträgen, dass die Baudirektion Kontakt mit den Behörden der Stadt Zürich aufnehmen werde, um im Rahmen des Luft-Programms, Massnahmenplan Lufthygiene, flankierende Massnahmen zur Verminderung der Attraktivität bestehender Achsen für den Motorfahrzeugverkehr zu erarbeiten. Dieselben sollten bis zur Eröffnung der Nationalstrasse soweit vorbereitet sein, dass sie realisiert werden könnten. Weitere Möglichkeiten zur Verminderung der durch die Verkehrsverlagerung verursachten Immissionen seien im Rahmen der Ergänzung des Massnahmenplans zu prüfen. Die Geschwindigkeitsbeschränkung auf einzelnen Autobahnabschnitten sei nicht Gegenstand des Projekteinspracheverfahrens; die Frage sei gesamthaft im Rahmen einer Ergänzung des Massnahmenplans zu überprüfen. In der Beschwerde wird bemängelt, dass der Regierungsratsbeschluss nur vage Absichtserklärungen enthalte und kein konkreter, projektbezogener Massnahmenplan vorgelegt werde. Die von den Umweltfachorganen gestellten Bedingungen würden also nicht erfüllt. Es fehle denn auch offensichtlich am politischen Willen zur Umsetzung der Massnahmenplanung und bestehe die Gefahr, dass auch im vorliegenden Fall die zu ergreifenden Vorkehren auf die lange Bank geschoben würden. Im übrigen sei es angesichts der bestehenden Luftbelastung objektiv ausgeschlossen, die projektinduzierten Belastungen durch flankierende Massnahmen zu kompensieren. Das Projekt erweise sich damit als umweltunverträglich. BGE 122 II 165 S. 172 Hiegegen wendet der Regierungsrat in der Beschwerdeantwort ein, es genüge für die Rechtmässigkeit des Ausführungsprojektes unter dem Gesichtspunkt der Luftreinhalteverordnung, dass ein Massnahmenplan im Zeitpunkt des angefochtenen Projektfestsetzungsbeschlusses bestehe. Es könne nicht angeordnet werden, dass der Massnahmenplan im Zusammenhang mit einem bestimmten Projekt derart ergänzt werde, dass einzelne konkrete Vorkehren, wie etwa flankierende verkehrsbeeinflussende Massnahmen in der Stadt Zürich, darin aufgenommen würden. Die Planung sei ohnehin laufend der Entwicklung anzupassen. - An der Parteiverhandlung vom 8. Juli 1994 hat der den Regierungsrat vertretende Vorsteher der Direktion der öffentlichen Bauten verbindlich erklärt, dass flankierende Massnahmen in Zusammenarbeit mit der Stadt festgelegt und realisiert würden. Sie müssten aber nicht schon heute angeordnet werden, da dies auf eine reine "Alibi-Übung" hinauslaufen würde; vielmehr seien sie zeitlich so zu planen, dass sie auf die Eröffnung hin realisiert werden könnten. a) Der in der Beschwerdeantwort vertretenen Auffassung, es genüge, dass ein Massnahmenplan vorliege, und sei nicht erforderlich, dass dieser auf ein einzelnes Nationalstrassen-Ausführungsprojekt ausgerichtet werde, kann nicht zugestimmt werden. Art. 31 Abs. 2 lit. a LRV schreibt vor, dass die Quellen von Emissionen, die für die Entstehung der übermässigen Immissionen verantwortlich sind, und ihre Bedeutung für die Gesamtbelastung aufzuzeigen sind. Schon aus dieser Vorschrift ergibt sich, dass die Autobahnen, welche erhebliche Verkehrsverlagerungen sowie Neuverkehr bewirken und bedeutende Emissions-Quellen bilden, durch die Massnahmenplanung zu erfassen sind und diese Planung auch auf Projekte für neue Abschnitte ausgerichtet werden muss. Nun hat die kantonale Behörde trotz ihrer Auffassung, speziell auf einen einzelnen Autobahn-Abschnitt ausgerichtete Massnahmen seien nicht erforderlich, im angefochtenen Entscheid festgehalten, dass der kantonale Massnahmenplan ohnehin überarbeitet und ergänzt werde, wobei auch die durch Verkehrsverlagerungen bedingten Mehrimmissionen bekämpft werden sollen. Zudem ist verbindlich zugesagt worden, dass die nötigen flankierenden Massnahmen in der Stadt Zürich ergriffen werden. Damit wird dem Erfordernis, auch Massnahmen gezielt für das Projekt vorzusehen, der Sache nach Genüge getan. Ob diese projektbezogenen Vorkehren im Rahmen des kantonalen Massnahmenplanes Lufthygiene oder ergänzend in einer separaten Planung "flankierende Massnahmen" oder unter einem anderen Titel festgelegt BGE 122 II 165 S. 173 werden, spielt unter dem Gesichtswinkel von Art. 31 ff. LRV keine Rolle. Umstritten bleibt somit lediglich, in welchem Zeitpunkt die fraglichen Massnahmen angeordnet werden müssen. b) In BGE 118 Ib 206 E. 11f hat das Bundesgericht erklärt, dass der Massnahmenplan als Entscheidelement für die Beurteilung der Umweltverträglichkeit des Projektes grundsätzlich im Zeitpunkt des Einspracheentscheides vorliegen müsse. Andererseits lasse sich eine - unter Umständen jahrelange - Verzögerung des Genehmigungsverfahrens zur Vornahme der Massnahmenplanung dort nur schwer rechtfertigen, wo auch die Bauzeit etliche Jahre daure und deshalb nicht auszuschliessen sei, dass der im Baubewilligungsverfahren vorgelegte Plan im Zeitpunkt der Inbetriebnahme der Strasse den dannzumal gegebenen Umständen nicht mehr entspreche. Es müssten daher Ausnahmen von der Vorlagepflicht möglich sein und könne der Behörde insbesondere gestattet werden, gewisse Punkte offenzulassen und die Planung später nachzuführen bzw. den allenfalls geänderten Verhältnissen und den neuen technischen Möglichkeiten anzupassen. Im Lichte dieser Rechtsprechung kann aus dem Umstand, dass im Zeitpunkt des Einspracheentscheides noch kein Beschluss über projektbezogene Massnahmen vorgelegen hat, nicht auf die Rechtswidrigkeit des Ausführungsprojektes geschlossen werden. Der Kanton Zürich verfügt seit dem 25. April 1990 über einen Massnahmenplan Lufthygiene. Dieser steht in Überarbeitung und wird den neuen Verhältnissen angepasst. Dass an der projektierten Strassenanlage alle notwendigen baulichen Massnahmen zur Einschränkung der Immissionen vorgesehen sind, bestreiten auch die Beschwerdeführer nicht. Ein Verzicht auf die geplanten Autobahn-Anschlüsse fällt wie geschildert ausser Betracht. Die weiteren Vorkehren zur Reduktion der Luftverunreinigung werden vor allem im Bereich der Verkehrslenkung auf der Nationalstrasse selbst und dem bestehenden Strassennetz sowie auf dem Gebiet der Abgasvorschriften zu treffen sein. Für die hier umstrittenen Nationalstrassenabschnitte ist aber mit einer Bauzeit von zehn bis fünfzehn Jahren zu rechnen. Wie im Zusammenhang mit der Kritik an der Verkehrsprognose dargelegt (vgl. E. 10), ist es recht schwierig, über einen solchen Zeitraum hinweg einigermassen fundierte Annahmen über die dannzumal herrschende lufthygienische Situation, über die durch den Verkehr verursachte Belastung und über die zur Eindämmung der Luftverunreinigung zur Verfügung stehenden Mittel zu treffen. Dem bereits zitierten Bericht BGE 122 II 165 S. 174 "Luftschadstoff-Emissionen des Strassenverkehrs 1950-2010" (Schriftenreihe Umwelt Nr. 255 Luft, hrsg. vom BUWAL) lässt sich beispielsweise entnehmen, dass sich durch technische Verbesserungen an den Fahrzeugen noch erhebliche Reduktionen des Schadstoffausstosses erzielen lassen, andererseits aber auch bei einer Teilnahme der Schweiz am europäischen Integrationsprozess mit stärkerem Verkehrswachstum gerechnet werden müsste (S. 23 ff.). Angesichts all dieser Unsicherheiten hätte es tatsächlich wenig Sinn, wenn bereits heute verkehrslenkende Anordnungen, insbesondere Geschwindigkeitsbeschränkungen, für die projektierte Autobahn selbst getroffen würden. Im übrigen richtet sich ja das Verfahren zum Erlass der Geschwindigkeitsbeschränkungen nach den einschlägigen eidgenössischen Vorschriften ( Art. 33 Abs. 2 LRV ), und muss nach diesen in einem Gutachten abgeklärt werden, ob die Massnahme nötig, zweck- und verhältnismässig sei oder ob andere Massnahmen angezeigt wären (vgl. Art. 32 Abs. 3 und 4 SVG [SR 741.01], Art. 108 Abs. 4 der Signalisationsverordnung vom 5. September 1979 [SR 741.21] ). Eine solche Beurteilung lässt sich aber kaum aufgrund einer blossen Prognose vornehmen. Es wäre daher auch im vorliegenden Fall unverhältnismässig und unzweckmässig, die Sache zur Ergänzung der kantonalen Massnahmenplanung an den Regierungsrat zurückzuweisen. Allerdings betonen die Beschwerdeführer zu Recht, dass die Anordnung und der Vollzug gewisser flankierender Vorkehren, so der verkehrslenkenden und -beschränkenden Massnahmen auf dem bestehenden kantonalen und kommunalen Strassennetz, schon der unterschiedlichen Kompetenzen wegen zeitraubende Verfahren bedingen und daher möglichst rasch in Angriff genommen werden müssen. Der Regierungsrat ist daher bei seiner Zusicherung zu behaften, dass er die nötigen flankierenden Massnahmen in Zusammenarbeit mit der Stadt Zürich bis zur Inbetriebnahme der projektierten Nationalstrassen-Abschnitte festlegt und verwirklicht. c) Soweit die Beschwerdeführer auf das Sanierungsdefizit im Bereich der Luftverschmutzung aufmerksam machen und vermuten, dass es am Willen oder an den Möglichkeiten der zuständigen Behörden zur Erreichung der von der Luftreinhalte-Verordnung gesetzten Ziele fehle, sind ihre Befürchtungen zwar verständlich. Indessen muss in diesem Zusammenhang einmal mehr auf die Aufgabe des Bundesgerichtes hingewiesen werden, das auf dem Gebiet des Umweltschutzes weder als Vollzugs- noch als Aufsichtsbehörde zu amten hat, sondern nur zur Kontrolle der Rechtsanwendung berufen ist. Insofern BGE 122 II 165 S. 175 sinngemäss bemängelt wird, dass die Massnahmenplanung der unterschiedlichen Zuständigkeiten und der fehlenden Überprüfungsmöglichkeiten wegen kein griffiges Instrument zur Durchsetzung der Vorschriften über die Immissionsgrenzwerte bilde, erscheint der gegenüber dem Verordnungsgeber erhobene Vorwurf als unbegründet. Wohl verlangt das in den Art. 31 ff. LRV vorgesehene Verfahren von den beteiligten Behörden ein hohes Mass an Umsicht und Kooperationsbereitschaft, doch stellt die Massnahmenplanung gerade zur Koordination der verschiedenen auf dem Gebiet der Luftreinhaltung zu unternehmenden Anstrengungen ein überaus geeignetes Mittel dar (vgl. BGE 117 Ib 425 E. 5c). d) Für die Belastung des Bodens mit Schadstoffen gelten die angestellten Erwägungen analog. Auch in dieser Beziehung wird eine Massnahmenplanung durchzuführen sein, wenn die Beobachtung ergibt, dass die Richtwerte überschritten werden (vgl. Art. 4 und 6 der Verordnung über Schadstoffe im Boden vom 9. Juni 1986 [SR 814.12] ). 16. Hinsichtlich der Lärmbelastung wird unter Berufung auf die Stellungnahme des BUWAL geltend gemacht, im Rahmen des Ausführungsprojektes hätten auch für das Gebiet des Kantons Aargau konkrete Lärmschutzmassnahmen vorgesehen werden müssen. Gemäss den Verkehrs- und Lärmprognosen würden nach Eröffnung der Verkehrsanlage und insbesondere des Anschlusses Birmensdorf auf dem zum Teil sanierungsbedürftigen Strassennetz in den aargauischen Gemeinden Lieli, Oberwil, Zufikon und Arni deutliche wahrnehmbare Mehrimmissionen entstehen. Das Projekt stehe daher zu Art. 9 der Lärmschutz-Verordnung vom 15. Dezember 1986 (LSV, SR 814.41) in Widerspruch, solange nicht sichergestellt sei, dass auch auf aargauischem Gebiet bis zur Inbetriebnahme des Werkes die notwendigen flankierenden Massnahmen ergriffen seien. Dem angefochtenen Entscheid lässt sich entnehmen, dass der Kanton Aargau im Einspracheverfahren gefordert hat, dass einerseits die Nationalstrasse nicht dem Verkehr übergeben werde, bevor die aargauischen Massnahmen realisiert seien, und dass andererseits die Massnahmen im Kanton Aargau als Ergänzung des Projektes N 20/N 4 in das Verfahren gemäss Bundesgesetz über die Nationalstrassen verwiesen werden müssten. Hiezu bemerkt der Regierungsrat vorweg, dass der Entscheid über die Inbetriebnahme der Nationalstrasse sowie die Abgrenzung der Auflageprojekte und die BGE 122 II 165 S. 176 Koordination der notwendigen Vorkehren in den beiden Kantonen Sache der Bundesbehörden sei. Die zürcherischen Behörden seien nicht in der Lage, insofern verbindliche Entscheidungen zu treffen. In materieller Hinsicht erschienen indessen die Anliegen des Kantons Aargau, insbesondere das Begehren um bestmögliche Koordination der projektbedingten Massnahmen, als berechtigt. Nach Ansicht des Bundesamtes für Strassenbau seien jedoch die flankierenden Massnahmen nicht unbedingt in das Projektierungsverfahren nach eidgenössischem Recht einzubeziehen, sondern genüge es, wenn die projektbedingten verkehrsplanerischen und baulichen Massnahmen auf aargauischem Gebiet zu Lasten der Nationalstrassenrechnung finanziert würden. Eine diesbezügliche Zusicherung sei dem Kanton Aargau bereits abgegeben worden. Im übrigen sei die Zusammenarbeit zwischen den Tiefbauämtern der Kantone Aargau und Zürich zur Abstimmung der zu treffenden Massnahmen bereits im Gange. a) Zunächst ist festzuhalten, dass der Kanton Aargau selbst nicht Beschwerde führt, obschon er Einsprache erhoben hat und aufgrund von Art. 7 Abs. 3 EntG und Art. 56 Abs. 2 des Bundesgesetzes über den Umweltschutz (USG, SR 814.01) zur Teilnahme am bundesgerichtlichen Verfahren ohne weiteres befugt wäre. Er ist allerdings, wie im Sachverhalt erwähnt (...), mit zwei Eingaben an das Bundesgericht herangetreten, hat auf das Problem der Koordination von flankierenden Massnahmen auf den beiden Kantonsgebieten hingewiesen und das Bundesgericht ersucht, die Interessen des Kantons Aargau bei der Urteilsfindung mitzuberücksichtigen und die Inbetriebnahme der N 20/N 4 an die Fertigstellung der aargauischen Folgemassnahmen zu knüpfen. Auf diese Anträge kann jedoch aus formellen Gründen nicht eingetreten werden, da der Kanton Aargau im vorliegenden Verfahren nicht Partei ist. Das Bundesgericht hat indessen von Amtes wegen und auf die Rüge der beschwerdeführenden Organisationen hin zu prüfen, ob das Ausführungsprojekt insofern gegen Bundesrecht verstosse, als es die nationalstrassenbedingten Lärmschutzmassnahmen auf aargauischem Gebiet nicht miteinschliesst. b) Die Frage, was zum Ausführungsprojekt gehöre und wie dieses abgegrenzt werden müsse, ist nicht immer leicht zu beantworten. Art. 6 NSG vermag darüber keinen Aufschluss zu geben, da er nur die Nationalstrassen-Anlage selbst umschreibt, während im Rahmen der Ausführungsprojektierung auch weitere bauliche und gestaltende Vorkehren, insbesondere Anpassungen der bestehenden Strassen, und andere flankierende Massnahmen ausserhalb der BGE 122 II 165 S. 177 eigentlichen Nationalstrasse ergriffen werden müssen. Wie bereits geschildert (E. 13), bilden gewisse dieser flankierenden oder Folge-Massnahmen klarerweise Bestandteil des Ausführungsprojekts - so die Ersatzmassnahmen für beeinträchtigte öffentliche Einrichtungen - und unterliegen daher dem nationalstrassenrechtlichen Genehmigungsverfahren. Andere, wie die im Rahmen der Massnahmenplanung nach Art. 31 ff. LRV zu treffenden Vorkehren zur Bekämpfung übermässiger Luftverschmutzung, richten sich nach den "einschlägigen eidgenössischen und kantonalen Vorschriften" (vgl. Art. 33 Abs. 2 LRV ). Setzt der Luftreinhalte-Massnahmenplan die Mitwirkung eines anderen Kantons voraus, so unterbreitet die Behörde den Plan dem betroffenen Kanton und stellt die entsprechenden Anträge; der Bundesrat koordiniert wenn nötig die Massnahmenpläne der Kantone ( Art. 34 Abs. 2 LRV ). Das heisst indessen nicht, dass die verkehrslenkenden oder -beschränkenden baulichen Massnahmen auf dem Kantons- oder Gemeindestrassennetz nicht auch in das nationalstrassenrechtliche Projektierungs- und Genehmigungsverfahren einbezogen werden könnten, wenn sie für den Betrieb der Nationalstrasse oder einen bestimmten Abschnitt als unabdingbar erscheinen. c) Im vorliegenden Fall geht der Streit in erster Linie darum, ob die Lärmschutzmassnahmen, die in Anwendung von Art. 9 lit. b und allenfalls Art. 10 LSV in den aargauischen Gemeinden an der Zufahrtsstrecke zum Anschluss Birmensdorf getroffen werden sollen, zusammen mit dem Ausführungsprojekt hätten beschlossen werden müssen. Die Lärmschutz-Verordnung sieht für die Projektierung und Genehmigung von Lärmschutzvorkehren bei neuen oder geänderten Anlagen sowie für Schallschutzmassnahmen an bestehenden Gebäuden kein besonderes Verfahren vor. Ebensowenig wird das Verfahren bei Kantonsgrenzen überschreitenden Immissionen geregelt. Aus der Ordnung von Art. 25 USG und Art. 7 bis 12 LSV ergibt sich jedoch dem Sinne nach, dass über die Vorkehren zur Bekämpfung des von einer neuen oder geänderten Anlage ausgehenden Lärms grundsätzlich im Bewilligungs- oder Genehmigungsverfahren für die Anlage selbst zu entscheiden ist. Diese Lösung drängt sich auch aufgrund des Koordinationsgebotes auf. Nun ist klar, dass dem Kanton Zürich keine Planungshoheit über aargauisches Territorium zusteht und er daher in dem von ihm erarbeiteten Nationalstrassen-Ausführungsprojekt keine baulichen Lärmschutzmassnahmen für die aargauischen Gemeinden vorsehen konnte. Der Kanton Aargau hätte daher auf Aufforderung des Kantons Zürich oder in BGE 122 II 165 S. 178 eigener Initiative in Zusammenarbeit mit dem Kanton Zürich ein Ergänzungs-Projekt ausarbeiten sollen. Es wäre wohl auch Sache der Bundesbehörden gewesen, ähnlich wie im Verfahren nach Art. 34 Abs. 2 LRV für die nötige Koordination zu sorgen. Dass aber ein solches aargauisches Ergänzungs-Projekt nicht zusammen mit dem zürcherischen Projekt aufgelegt worden ist und offenbar erst noch endgültig festgelegt werden muss, könnte die Rechtmässigkeit des hier angefochtenen Ausführungsprojektes nur dann in Frage stellen, wenn entweder die Einhaltung der bundesrechtlichen Lärmschutzvorschriften auf aargauischem Gebiet als von vornherein ausgeschlossen erschiene oder die vorläufige Ausklammerung dieses Projektbestandteiles unzulässig wäre. Einerseits behaupten aber die Beschwerdeführer selbst nicht, dass den Anforderungen der Lärmschutz-Verordnung nicht durch geeignete Massnahmen in den Aargauer Gemeinden entsprochen werden könnte, ganz abgesehen davon, dass zugunsten des Nationalstrassenbaus weitgehende Erleichterungen gewährt werden dürfen (vgl. Art. 25 USG ). Andererseits ist schon darauf hingewiesen worden, dass Ersatz- und Schutzvorkehren, die wie hier aufgrund von Art. 7 Abs. 3 EntG bzw. der Lärmschutz-Verordnung zugunsten der Öffentlichkeit oder der Nachbarn zu treffen sind, bei Vorliegen sachlicher Gründe in ein nachlaufendes Bewilligungsverfahren verwiesen werden können (vgl. oben E. 14). Dass das Nationalstrassenrecht solche Ergänzungs- oder Detailprojektierungsverfahren bisher nicht ausdrücklich vorgesehen hat, steht nach bundesgerichtlicher Rechtsprechung deren Zulässigkeit nicht entgegen (nicht publ. Entscheid vom 13. Dezember 1995 i.S. W. gegen Kanton Zürich, E. 5b; vgl. nun neu: Art. 14 NSV ). Solche sachlichen Gründe für eine nachträgliche Durchführung des Projektierungsverfahrens für das Gebiet des Kantons Aargau dürfen hier etwa darin gesehen werden, dass im Kanton Aargau offenbar zunächst noch die Richtplanung und das Verkehrskonzept angepasst werden müssen, dass der Kanton seinerseits erklärt hat, das Haupt-Projekt nicht verzögern zu wollen und mit einem gestaffelten Verfahren für sein Kantonsgebiet einverstanden zu sein, und dass die Ausgestaltung der Massnahmen auf aargauischem Gebiet jene der Nationalstrassen-Anlage selbst nicht beeinflussen. Jedenfalls läge es nicht im öffentlichen Interesse, das Genehmigungsverfahren für die Nationalstrasse bis zur Vorlage des Ergänzungs-Projektes zu sistieren. d) Damit ist nicht gesagt und ist hier nicht zu entscheiden, dass - über die nach der Lärmschutz-Verordnung zu treffenden Vorkehren hinaus - das BGE 122 II 165 S. 179 ganze Paket von Massnahmen, die in der (aargauischen) Planungsstudie "Folgemassnahmen N 20/N 4 in der Region Mutschellen" untersucht worden sind, nach Nationalstrassenrecht zu projektieren und zu genehmigen sei. Wohl sind diese Massnahmen in einem möglichst einheitlichen Verfahren anzuordnen, in dem die zusammenhängenden Fragen gesamthaft überprüft werden können. Andererseits liesse es sich nicht rechtfertigen, alle im Einzugsgebiet einer Nationalstrasse notwendigen Sanierungen des Kantonsstrassennetzes, die vernünftigerweise zusammen mit den Anpassungen an den Nationalstrassenbau vorgenommen werden, ins Nationalstrassenprojekt selbst aufzunehmen. Zwar hat der Bundesrat in seinem Beschluss zum generellen Projekt zugesichert, dass sich der Nationalstrassenbau an allfällig auf dem Gebiet des Kantons Aargau erforderlichen und nationalstrassenbedingten verkehrsplanerischen sowie baulichen Massnahmen beteilige. Damit hat er aber weder sämtliche Massnahmen zum Bestandteil des Ausführungsprojektes erklärt, noch ihre Verwirklichung geradezu zur Bedingung für den Bau oder die Eröffnung der Autobahn gemacht. Welche Vorkehren an welchen Strassenabschnitten schliesslich als "nationalstrassenbedingt" gelten können und nach Nationalstrassenrecht zu projektieren und welche allenfalls in ein kantonales Verfahren zu verweisen sind, kann nur anhand eines konkreten Vor-Projekts entschieden werden.
public_law
nan
de
1,996
CH_BGE
CH_BGE_004
CH
Federation
70ca45cc-948d-423f-8708-af267a600c3b
Urteilskopf 107 V 113 24. Urteil vom 10. Februar 1981 i.S. M. gegen Öffentliche Arbeitslosenkasse Thun-Oberland und Versicherungsgericht des Kantons Bern
Regeste Art. 9 Abs. 2 AlVB, Art. 13 Abs. 4 und Art. 15 Abs. 1 AlVV . - Begriff des Teilzeitbeschäftigten (Erw. 2b). - Begriff der regelmässigen Beschäftigung eines Teilzeitbeschäftigten (Erw. 3). - Bei Teilzeitbeschäftigung sind 8 2/3 Wochen, während denen der Versicherte nachweisbar arbeitslos war, einer beitragspflichtigen Beschäftigung gleichgestellt (Erw. 2a).
Sachverhalt ab Seite 114 BGE 107 V 113 S. 114 A.- M. war nach ihrer Rückkehr von einem Auslandaufenthalt vom 20. Oktober 1976 hinweg arbeitslos und besuchte am 30. November 1976 und wiederum vom 13. bis 24. Dezember 1976 die Stempelkontrolle. Vom 10. Januar bis 30. April 1977 arbeitete sie wöchentlich an 4 Tagen während insgesamt 16 Stunden bei der Firma L. SA. Ferner war sie im Zeitraum vom 1. Februar bis 15. April 1977 wöchentlich an 5 Tagen während insgesamt 20 Stunden bei der Bank X tätig. Eine weitere Erwerbstätigkeit übte sie in der Zeit vom 13. Juni bis 31. Juli 1977 an 5 Tagen pro Woche mit insgesamt 25 Arbeitsstunden im Zürcher Organisationsbüro H. aus. Am 20. Oktober 1977 reichte M. der Arbeitslosenkasse der Gemeinde Thun ein Taggeldgesuch ein, das am 6. Dezember 1977 verfügungsweise abgewiesen wurde mit der Begründung, sie könne lediglich 131 Arbeitstage und 11 Stempeltage nachweisen und erfülle damit die Voraussetzung von 150 Arbeitstagen oder 100 Arbeitstagen und 50 Stempeltagen innerhalb der der Arbeitslosigkeit vorangegangenen 365 Tage nicht. B.- M. beschwerte sich gegen diese Verfügung beim Versicherungsgericht des Kantons Bern. Dieses ermittelte für die 365tägige Berechnungsperiode 94,5 Arbeitstage und wies die Beschwerde mit Entscheid vom 25. Juli 1978 ab. C.- Die Versicherte führt Verwaltungsgerichtsbeschwerde, indem sie ihren Antrag auf Gewährung von Arbeitslosenentschädigung ab 20. Oktober 1977 erneuert. Die Arbeitslosenkasse und das Bundesamt für Industrie, Gewerbe und Arbeit (BIGA) beantragen die Abweisung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde, das Bundesamt mit der Begründung, die Versicherte habe im massgebenden Zeitraum vom 20. Oktober 1976 bis 19. Oktober 1977 bloss während 23 statt während der erforderlichen 26 Wochen eine regelmässige beitragspflichtige Erwerbstätigkeit ausgeübt. Erwägungen Das Eidg. Versicherungsgericht zieht in Erwägung: 1. Gemäss Art. 12 Abs. 1 AlVV in Verbindung mit Art. 9 Abs. 2 AlVB BGE 107 V 113 S. 115 hat der Versicherte bei der erstmaligen Geltendmachung eines Anspruchs auf Arbeitslosenentschädigung im Kalenderjahr nachzuweisen, dass er in den 365 Tagen, die dem Beginn der Arbeitslosigkeit vorausgegangen sind, eine beitragspflichtige Beschäftigung von 150 vollen Tagen ausgeübt hat. Bei andauernder erheblicher Arbeitslosigkeit konnte bis Ende März 1977 das BIGA ( Art. 1 Abs. 7 AlVV in der Fassung vom 19. November 1975) und nachher das Eidgenössische Volkswirtschaftsdepartement ( Art. 13 Abs. 4 AlVV in der heute geltenden Fassung vom 14. März 1977) anordnen, dass 50 Werktage, an denen der Versicherte nachweisbar arbeitslos war, einer beitragspflichtigen Beschäftigung gleichgestellt werden. Mit Kreisschreiben Nr. 22 vom 25. November 1975 machte das BIGA von der ihm eingeräumten Kompetenz des Art. 1 Abs. 7 AlVV Gebrauch. Eine neue Anordnung ist vom Eidgenössischen Volkswirtschaftsdepartement erst am 24. August 1979 mit Wirkung ab 1. September 1979 getroffen worden (AS 1979 S. 1246). Bis zu diesem Zeitpunkt blieb die seinerzeitige bundesamtliche Anordnung trotz Übergangs der entsprechenden Befugnisse an das Volkswirtschaftsdepartement in Kraft, da sie von der damals zuständigen Stelle ausgegangen war, später nie ausdrücklich widerrufen worden ist und ihre stillschweigende Aufhebung mit der neuen Kompetenzverteilung durch die Verordnung vom 14. März 1977 weder beabsichtigt war noch sinnvollerweise angenommen werden kann (nicht veröffentlichtes Urteil Zitterli vom 9. Mai 1980). Die diesbezüglichen, im angefochtenen Entscheid geäusserten Bedenken sind daher unbegründet. 2. a) Nach Art. 15 Abs. 1 AlVV gilt für Teilzeitbeschäftigte das Erfordernis der ausreichenden beitragspflichtigen Beschäftigung im Sinne von Art. 12 Abs. 1 AlVV als erfüllt, wenn sie in den 365 Tagen vor Beginn der Arbeitslosigkeit während mindestens 26 Wochen eine regelmässige beitragspflichtige Beschäftigung von mindestens 15 Stunden wöchentlich als Arbeitnehmer ausgeübt haben. Art. 13 AlVV über die Anrechnung von Tagen ohne Beschäftigung gilt sinngemäss. Das bedeutet, dass 8 2/3 Wochen, an denen der Versicherte nachweisbar arbeitslos war, einer beitragspflichtigen Beschäftigung gleichzustellen sind. Daher ist bei Teilzeitbeschäftigten im Sinne von Art. 15 Abs. 1 AlVV das Erfordernis von 26 Arbeitswochen schon dann erfüllt, wenn der Versicherte in der 365tägigen Berechnungsperiode 17 1/3 Wochen beitragspflichtiger Beschäftigung und 8 2/3 Wochen Arbeitslosigkeit nachzuweisen vermag. BGE 107 V 113 S. 116 b) Das kantonale Versicherungsgericht hat in Übereinstimmung mit der Arbeitslosenkasse im vorliegenden Falle die Vorschrift von Art. 12 Abs. 1 AlVV zur Anwendung gebracht und die Frage, ob nicht allenfalls Art. 15 AlVV anzuwenden sei, nicht geprüft. Die Beschwerdeführerin macht geltend, sie sei als Teilzeitbeschäftigte zu behandeln, weshalb Art. 15 Abs. 1 AlVV Anwendung finde. Die Kasse lehnt diese Auffassung ab mit der Begründung, die Beschwerdeführerin habe nicht stundenweise, sondern mindestens halbtags gearbeitet und könne somit nicht als Teilzeitbeschäftigte gelten. Der Arbeitslosenkasse kann - wie auch das BIGA einräumt - nicht beigepflichtet werden. Nach allgemeinem Sprachgebrauch liegt eine Teilzeitbeschäftigung dann vor, wenn ein Arbeitnehmer vereinbarungsgemäss nur während eines Teils der im allgemeinen üblichen oder normalerweise vertraglich festgelegten Arbeitszeit für einen Arbeitgeber tätig ist. Dabei ist unerheblich, ob der Arbeitseinsatz stunden-, halbtags- oder tageweise im Dienste eines Arbeitgebers erfolgt (BRÜHWILER, Handkommentar zum Einzelarbeitsvertrag, S. 16). Es besteht kein Anlass, davon in der Arbeitslosenversicherung abzuweichen und hier dem Begriff des Teilzeitbeschäftigten einen andern Inhalt zu geben. Ein Arbeitnehmer bleibt auch dann ein Teilzeitbeschäftigter, wenn er durch mehrere nebeneinander ausgeübte Beschäftigungen allenfalls insgesamt die übliche Arbeitszeit erreicht oder sogar überschreitet, sofern jedes einzelne Arbeitsverhältnis den Charakter einer Teilzeitbeschäftigung hat. Diese Merkmale trafen auf die Beschwerdeführerin zu, weshalb Art. 15 Abs. 1 AlVV zur Anwendung gelangt. 3. Die Beschwerdeführerin behauptet, sie erfülle die Voraussetzungen von Art. 15 Abs. 1 AlVV , da sie in den 365 Tagen vor dem 20. Oktober 1977, von welchem Zeitpunkt hinweg sie Taggeld verlangt, während insgesamt 23 Wochen als Teilzeitbeschäftigte gearbeitet habe (nämlich vom 10. Januar bis 30. April 1977 während 16 Wochen bei der L. SA und vom 13. Juni bis 31. Juli 1977 während 7 Wochen im Organisationsbüro H.) und während mehr als 3 Wochen arbeitslos gewesen sei. Die behauptete Beschäftigungsdauer von insgesamt 23 Wochen ist durch entsprechende Bescheinigungen der damaligen Arbeitgeberfirmen belegt. Das BIGA wendet aber ein, diese Beschäftigungen seien nicht im Sinne von Art. 15 Abs. 1 AlVV regelmässig gewesen, weil die Beschwerdeführerin vom 1. Februar bis 15. April BGE 107 V 113 S. 117 1977 gleichzeitig bei zwei verschiedenen Arbeitgebern (L. SA und Bank X.) je während 4 Stunden täglich, zusammen also ganztägig gearbeitet habe. Es fragt sich somit zunächst einmal, was unter einer regelmässigen Beschäftigung zu verstehen ist. Wollte man annehmen, bei Einhaltung der erforderlichen wöchentlichen Mindestzahl an Arbeitsstunden liege eine regelmässige Beschäftigung im Sinne von Art. 15 Abs. 1 AlVV nur vor, wenn die Zahl der wöchentlich tatsächlich geleisteten Arbeitsstunden keinen Schwankungen unterworfen ist (oder allenfalls nur periodisch regelmässig auftretenden Schwankungen), dann würde ein grosser Teil der Teilzeitbeschäftigten nie die entsprechende Voraussetzung für den Anspruch auf Taggeld der Arbeitslosenversicherung erfüllen. Die Teilzeitbeschäftigung dient nämlich aus betrieblicher Sicht oft zur Bewältigung momentaner Beschäftigungsspitzen oder zur Überwindung von Ausfällen beim ständigen Personal. Ferner hätte eine solche Interpretation des Begriffs "regelmässig" zur Folge, dass jede Erhöhung des Arbeitseinsatzes eines Versicherten bei Teilzeitbeschäftigung das Risiko eines Verlusts des Taggeldanspruchs in sich schliessen würde. Diese wenig sinnvolle Konsequenz führt zur Feststellung, dass dem Begriff der regelmässigen Beschäftigung im Rahmen der übrigen Anspruchsvoraussetzungen keine selbständige Bedeutung zukommt. Die Beschäftigung der Beschwerdeführerin während der ausgewiesenen 23 Wochen ist damit als regelmässige beitragspflichtige Beschäftigung im Sinne von Art. 15 Abs. 1 AlVV zu qualifizieren. 4. Zu prüfen ist im weitern, ob die Beschwerdeführerin im Sinne des Verweises von Art. 15 Abs. 1 letzter Satz AlVV auf Art. 13 Abs. 4 AlVV die für den geltend gemachten Anspruch ab 20. Oktober 1977 notwendige Voraussetzung der hinreichend langen Dauer nachweisbarer, der beitragspflichtigen Beschäftigung gleichzustellender Arbeitslosigkeit zu erfüllen vermag. Nachdem sie in der massgebenden Berechnungsperiode vom 18. Oktober 1976 bis 19. Oktober 1977 23 Arbeitswochen aufweist, wäre diese Voraussetzung gegeben, wenn sie im gleichen Zeitraum noch drei arbeitslose Wochen nachweisen könnte. Im unveröffentlichten Urteil vom 7. Oktober 1976 i.S. Kellerhals hat das Eidg. Versicherungsgericht zu Art. 1 Abs. 7 AlVV in der Fassung vom 19. November 1975 (der sich inhaltlich mit dem heute geltenden Art. 13 Abs. 4 AlVV deckt) unter Hinweis auf die damals gültigen Art. 6 und 15 AlVV (heute Art. 5 und 22 AlVV ) festgehalten, als Tage der Arbeitslosigkeit im Sinne dieser Bestimmung BGE 107 V 113 S. 118 würden nur Werktage gelten, die durch Stempel des Arbeitsamtes auf der Kontrollkarte des Versicherten oder durch eine Bescheinigung des Arbeitgebers als Arbeitslosentage ausgewiesen seien. Daran ist festzuhalten. In der Berechnungsperiode vom 20. Oktober 1976 bis 19. Oktober 1977 besuchte die Beschwerdeführerin am 30. November 1976 und vom 13. bis 24. Dezember 1976 oder während insgesamt 11 Tagen die Stempelkontrolle. Sie war also in den 365 Tagen vor dem 20. Oktober 1977 weniger als 3 Wochen nachweisbar arbeitslos und erfüllt damit eine wesentliche Voraussetzung für den Taggeldanspruch ab 20. Oktober 1977 nicht. Sie unterzog sich aber vom 20. Oktober 1977 hinweg weiterhin der Stempelkontrolle. Zusammen mit den bereits erwähnten 11 Stempeltagen vom November und Dezember 1976 erreichte sie am 25. Oktober 1977 15 Stempeltage. Dabei wurden die Samstage jeweils weder vor- noch nachgestempelt, obwohl die Beschwerdeführerin auch an diesen Tagen unbestrittenermassen arbeitslos war. Die 15 Stempel entsprechen daher vorliegend (auf der Basis von wöchentlich 5 Stempeltagen) 3 Arbeitswochen. M. erfüllte somit die Voraussetzungen von Art. 15 Abs. 1 in Verbindung mit Art. 13 Abs. 4 AlVV in den 365 Tagen vom 26. Oktober 1976 bis 25. Oktober 1977 und hat - unter Berücksichtigung des Karenztages gemäss Art. 26 Abs. 1 AlVG - vom 27. Oktober 1977 hinweg Anspruch auf Taggeld, sofern auch die übrigen Anspruchsvoraussetzungen (Art. 8 Abs. 1 AlVB) erfüllt sind, was von der Arbeitslosenkasse noch zu prüfen sein wird. Dispositiv Demnach erkennt das Eidg. Versicherungsgericht: Die Verwaltungsgerichtsbeschwerde wird in dem Sinne gutgeheissen, dass der Entscheid des Versicherungsgerichts des Kantons Bern vom 25. Juli 1978 sowie die Kassenverfügung vom 6. Dezember 1977 aufgehoben werden und die Sache an die Arbeitslosenkasse der Gemeinde Thun zurückgewiesen wird, damit diese nach der Aktenergänzung im Sinne der Erwägungen über den Taggeldanspruch ab 27. Oktober 1977 neu befinde.
null
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de
1,981
CH_BGE
CH_BGE_007
CH
Federation
70cae4fe-9a7f-4801-81e4-bf1d139cacd3
Urteilskopf 92 I 176 29. Urteil vom 11. Mai 1966 i.S. Emser Werke AG gegen Kanton Graubünden.
Regeste Nachträgliche Enteignung. Anwendbarkeit des Art. 41 EntG und der dort vorgesehenen Säumnisfolgen; Änderung der Rechtsprechung (Erw. 1, 2, 3). Der Bundesrat ist ermächtigt, einen Werkunternehmer im Weigerungsfalle zur Einleitung des Enteignungsverfahrens zu zwingen (Erw. 4). Dieser Grundsatz greift auch beim Bau einer Nationalstrasse Platz (Erw. 5). Rechtsstellung des Geschädigten (Erw. 6).
Sachverhalt ab Seite 176 BGE 92 I 176 S. 176 A.- Beim Bau der Nationalstrasse N 13 im Raume Ems-Bonaduz-Tamins wurde der Landerwerb im Landumlegungsverfahren durchgeführt. Die Emser Werke AG hatte dabei von ihrer Liegenschaft "Isla", auf der ein Wohnhaus steht, unüberbautes Land abzutreten; es wurde ihr dafür entsprechender Ersatz zugeteilt. Die Zuteilungen sind in Rechtskraft erwachsen. Die N 13 wurde im Bereiche der Liegenschaft "Isla" am 7. Dezember 1964 dem Betrieb übergeben. BGE 92 I 176 S. 177 B.- Am 15. Juni 1965 machte die Emser Werke AG gegenüber dem Tiefbauamt des Kantons Graubünden geltend, ihr Haus habe an Wert eingebüsst, da es nun an vier Seiten von Strassen umgeben sei und die Bewohner Tag und Nacht vom Lärm und Scheinwerferlicht gestört würden. Die Einbusse werde auf 45 000 bis 55 000 Franken geschätzt, in welchem Umfang Ersatz verlangt werde. Das Tiefbauamt antwortete am 20. Oktober 1965, dass es zur Zeit nicht in der Lage sei, das Begehren präjudizierlich zu behandeln; es ziehe vor, dass die Emser Werke AG ihre Forderung bei der Eidg. Schätzungskommission VII gemäss Art. 41 Abs. 1 lit. c EntG anmelde. Dies geschah am 5. November 1965. C.- Der Präsident der Eidg. Schätzungskommission ist auf das Begehren nicht eingetreten. Der Begründung ist zu entnehmen: Die behauptete Schädigung der Liegenschaft sei schon zur Zeit der Planauflage im Jahre 1962 erkennbar gewesen. Die Emser Werke AG könne sich daher nicht auf den Restitutionsgrund des Art. 41 Abs. 1 lit. c EntG berufen. Aber selbst wenn ein solcher Grund vorläge, wäre die Eingabefrist, die am 7. Dezember 1964 mit der Übergabe der Strasse an den Verkehr zu laufen begonnen habe, verpasst. In jedem Falle hätte die Eigentümerin nicht 300 Tage zuwarten dürfen, bis sie ihre Ansprüche geltend machte. Sie vermöge denn auch nicht nachzuweisen, dass sie während dieser Zeit durch Vergleichsverhandlungen von der nachträglichen Eingabe beim Präsidenten der Schätzungskommission abgehalten worden sei. D.- Diesen Entscheid hat die Emser Werke AG an das Bundesgericht weitergezogen. Sie macht geltend, erst Ende Mai/Anfangs Juni 1965 habe man sich Rechenschaft geben können, wie sich der Verkehr auf der Nationalstrasse auf die Liegenschaft auswirke. Schon am 12. April 1965 habe sie jedoch einen Anwalt beigezogen und in der Folge sei sie immer mit dem Kanton in Fühlung geblieben. Eine Verwirkung sei daher nicht eingetreten. E.- Der Kanton Graubünden beantragt, die Beschwerde sei abzuweisen. Der Landerwerb sei nicht, wie sich aus dem Rekurs zu ergeben scheine, im Enteignungs-, sondern im Landumlegungsverfahren erfolgt. Die Immissionen seien schon seit der Planauflage voraussehbar gewesen. Zumindest hätten die behaupteten Lärm- und Lichteinwirkungen innert der Notfrist BGE 92 I 176 S. 178 des Art. 41 Abs. 2 EntG , d.h. 30 Tage nach dem 7. Dezember 1964, geltend gemacht werden müssen. Der Präsident der Schätzungskommission beantragt ebenfalls, die Beschwerde sei abzuweisen. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Die Anwendung des Art. 41 EntG erfordert ein vorausgegangenes Enteignungsverfahren. Dies ergibt sich schon aus der Stellung des Art. 41 im Gesetz und aus dessen Wortlaut. Die Art. 35-41 EntG stehen unter dem zusammenfassenden Titel "VI. Einsprachen und Forderungen". Art. 35 handelt von der Eingabefrist der Einsprachen, Art. 36 von der allfälliger Forderungen. Die Art. 39 bis 41 ordnen die Säumnisfolgen. Art. 41 EntG umschreibt insbesondere die Zulässigkeit nachträglicher Entschädigungsforderungen. Dies zeigt, dass in Art. 41 nur die Folgen der versäumten Forderungseingabe in einem Enteignungsverfahren geregelt werden wollten. Auch der Wortlaut des Art. 41 EntG knüpft mit den Ausdrücken "Ablauf der Eingabefrist" und "Durchführung des Schätzungsverfahrens" an das vorausgegangene Verfahren an. 2. Das Bundesgericht hat aus den genannten Gründen die Anwendung des Art. 41 EntG zunächst allein von einem vorgängigen Enteignungsverfahren abhängig gemacht ( BGE 67 I 172 ff.). Es hat darüber hinaus in BGE 88 I 194 ff. erkannt, dass auch derjenige nach Art. 41 EntG vorgehen könne, dessen Grundstück von der Planauflage nicht berührt worden sei, weil das Unternehmen in der betreffenden Gegend gar nicht auf den zwangsweisen Erwerb von Rechten angewiesen war; es genüge, dass das Unternehmen das Enteignungsrecht für das Werk als solches erhalten und dass es davon für andere Teile des Werks Gebrauch gemacht habe. Der genannte Entscheid wirft ferner die Frage auf, ob Art. 41 EntG nicht zudem "analog" anwendbar sei, falls ein Enteignungsverfahren zwar durchgeführt, dabei aber demjenigen, der nachträglich Entschädigungsansprüche erhebt, keine Eingabefrist angesetzt worden sei (S. 198/99). An der Betrachtungsweise dieses Urteils kann nicht festgehalten werden. Der Geschädigte wird nur säumig, wenn ihm Gelegenheit geboten worden ist, seine Forderungen rechtzeitig anzumelden. Diese Gelegenheit besass er nicht schon, wenn irgendwo für das betreffende Werk eine Enteignung durchgeführt BGE 92 I 176 S. 179 wurde, sondern nur, wenn eine öffentliche Auflage in der Gemeinde der gelegenen Sache erfolgte oder ihm eine persönliche Anzeige zuging. Es besteht kein Anlass, einen Geschädigten, der nicht in diesem Sinne säumig geworden ist, mit den Nachteilen zu belasten, denen die Durchsetzung der Forderungen nach Art. 41 EntG begegnet. In diesem Sinne hat auch der Bundesrat entschieden (Verwaltungsentscheide der Bundesbehörden [VE] 1948/50 Nr. 180). 3. Zwar hat im vorliegenden Fall eine Planauflage stattgefunden, doch handelte es sich dabei um die Projektauflage nach Art. 26 des Bundesgesetzes über die Nationalstrassen vom 8. März 1960. Während einer solchen können Einsprachen gegen das Ausführungsprojekt oder die darin enthaltenen Baulinien (Art. 27) angemeldet werden. Forderungen sind dagegen nach Art. 39 Abs. 2 des erwähnten Gesetzes in einem besonders einzuleitenden Enteignungsverfahren anzumelden. Im Bereich der Liegenschaft "Isla" wurde ein Landumlegungsverfahren durchgeführt. Es fehlt daher an einem Enteignungsverfahren, in dem die Emser Werke AG hätte säumig werden können und auf welches die Säumnisvorschriften des Art. 41 EntG anzuwenden wären. Die Beschwerde ist daher grundsätzlich abzuweisen. 4. Dies bedeutet jedoch nicht, dass die Emser Werke AG des Rechtsschutzes entbehre. Wohl ist ihr der direkte Weg zur Schätzungskommission versperrt; denn diese ist - ausser im Säumnisfalle des Art. 41 EntG - nicht befugt, den Werkunternehmer zur Einleitung des Enteignungsverfahrens zu zwingen ( BGE 67 I 172 /3, BGE 88 I 196 ). Einzig der Werkeigentümer, dem das Enteignungsrecht verliehen worden ist, kann ein Enteignungsverfahren anhängig machen ( Art. 2 und 3 EntG ). Das Gesetz sagt zwar nicht, was zu geschehen habe, wenn ein im Besitze des Enteignungsrechts befindlicher Unternehmer sich weigert, das Verfahren einzuleiten. Das heisst aber nicht, dass insofern eine Lücke bestehe. Vielmehr gilt die Ordnung, die sich aus Art. 102 Ziff. 2 BV ergibt; denn das Enteignungsgesetz ist ein Administrativgesetz des Bundes, dessen Beachtung der Aufsicht des Bundesrates untersteht. Dieser ist somit ermächtigt, einen Werkunternehmer nötigenfalls zur Einleitung des Expropriationsverfahrens zu veranlassen ( BGE 67 I 172 unten, BGE 88 I 196 ; VE 1948/50 Nr. 180). BGE 92 I 176 S. 180 5. Diese Grundsätze greifen auch Platz, falls es, wie im vorliegenden Fall, um den Bau einer Nationalstrasse geht. Das Bundesgesetz über die Nationalstrassen sieht vor, dass der Landerwerb, abgesehen vom freihändigen Kauf, nicht bloss auf dem Wege der Enteignung, sondern auch durch Landumlegung erfolgen kann. Was zu geschehen habe, wenn der Schaden - wie hier behauptet - durch den Landabtausch nicht voll gedeckt wird, sagt das Gesetz selber nicht. Hingegen können Art. 21 und 23 der Vollziehungsverordnung des Bundesrates vom 23. März 1964 nach ihrem Wortlaut dahin ausgelegt werden, dass bei Wahl des Landumlegungsverfahrens zur Deckung auf diesem Wege nicht erfassbaren Schadens zusätzlich ein Enteignungsverfahren eingeleitet werden soll. Diese Auslegung ist sinnvoll; denn die Landumlegung enthält, soweit sie die Überführung bestimmter Parzellen in die Hände des Gemeinwesens bezweckt, einen eigentlichen Expropriationsvorgang (MEIER-HAYOZ, Kommentar zum Sachenrecht, 1. Teilband Systematischer Teil, 4. Aufl., S. 175 N. 232 c). Ein Enteignungsverfahren kann sich auch bei im übrigen freihändigem Landerwerb zum Schutze von Nachbarrechten als notwendig erweisen. Der Wortlaut des Art. 32 BG über die Nationalstrassen lässt den Schluss zu, dass es Sache der Kantone ist, das Enteignungsverfahren anzuordnen. Am 30. Mai 1961 hat der Grosse Rat des Kantons Graubünden die Verordnung über den Vollzug des Bundesgesetzes über die Nationalstrassen erlassen. Diese verfügt in Art. 17 Abs. 2, dass der Kleine Rat die für den Landerwerb anwendbare Erwerbsart bestimme. Offenbar bedeutet dies auch, dass der Kleine Rat die Ermächtigung erteilt, das Enteignungsverfahren durchzuführen. Er wird daher - in Nachachtung von Art. 23 der eidgenössischen Vollzugsverordnung - das Enteignungsverfahren zu verfügen haben, wenn behauptet wird, das Landumlegungsverfahren habe berechtigten Ersatzansprüchen eines Grundeigentümers nicht genügt. Sollte sich der Kleine Rat weigern, das Verfahren einzuleiten, so steht den Geschädigten nach dem in Erwägung 4 Gesagten die Beschwerde an den Bundesrat offen. 6. Geht man hievon aus, so hat die Emser Werke AG einen Anspruch, dass der Kleine Rat im vorliegenden Streitfall das Enteignungsverfahren eröffne, allenfalls einen begründeten, an den Bundesrat weiterziehbaren Entscheid erlasse. Da sie BGE 92 I 176 S. 181 nicht säumig ist (vgl. Erw. 3), geniesst sie die vollen Rechte eines Geschädigten im Enteignungsverfahren; insbesondere entfallen ihr gegenüber die Verwirkungseinreden des Art. 41 EntG . Dadurch, dass der Kleine Rat auf Ersuchen der Emser Werke AG das Enteignungsverfahren eröffnet, anerkennt er deren Forderung weder grundsätzlich noch der Höhe nach (vgl. hiezu VE 1948/50 Nr. 180 letzter Absatz). 7. Muss zwar die Beschwerde im Sinne der Erwägungen abgewiesen werden, so besteht trotzdem kein Anlass, der Beschwerdeführerin Kosten aufzuerlegen. Indem sie sich seinerzeit an die Verwaltung wandte, hat sie grundsätzlich den richtigen Weg beschritten. Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: 1.- Die Beschwerde wird im Sinne der Erwägungen abgewiesen. 2.- Es werden keine Kosten erhoben.
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70cbb3d7-ced9-4255-98db-a5481367584a
Urteilskopf 105 V 262 56. Urteil vom 21. November 1979 i.S. Bundesamt für Sozialversicherung gegen Gallner und Versicherungsgericht des Kantons Basel-Landschaft
Regeste Art. 88a Abs. 2 und 88bis Abs. 1 lit. a IVV. - Vor Ablauf der Wartefrist im Sinne des Art. 88a Abs. 2 IVV kann auch unter den Voraussetzungen des Art. 88bis Abs. 1 lit. a IVV keine Erhöhung der Rente oder Hilflosenentschädigung erfolgen. - Muss die Wartefrist des Art. 88a Abs. 2 IVV auch bei Vorliegen eines stabilisierten Zustandes erfüllt werden (Erw. 3c)? Frage offen gelassen.
Sachverhalt ab Seite 262 BGE 105 V 262 S. 262 A.- Der 1928 geborene Josef Gallner leidet an Angina pectoris. Er bezog seit 1. Mai 1977 eine halbe Invalidenrente. Wegen Verschlechterung seines Gesundheitszustandes stellte er die Erwerbstätigkeit gegen Ende November 1977 ein; der behandelnde Arzt bezeichnete ihn zu 100% arbeitsunfähig. Mit Schreiben vom 10. Januar 1978 ersuchte Josef Gallner um BGE 105 V 262 S. 263 Zusprechung einer ganzen (anstelle der halben) Rente. Dem wurde mit Verfügung vom 1. September 1978 entsprochen, und zwar mit Wirkung ab 1. März 1978; der Revisionszeitpunkt wurde in Anwendung von Art. 88a Abs. 2 IVV "nach Ablauf von den drei Monaten" seit Einstellung der Erwerbstätigkeit festgelegt. B.- Beschwerdeweise ersuchte Josef Gallner um rückwirkende Zusprechung der ganzen Rente ab 1. Dezember 1977. Das Versicherungsgericht des Kantons Basel-Landschaft hiess die Beschwerde insofern gut, als es den Revisionszeitpunkt vom 1. März 1978 auf den 1. Januar 1978 vorverlegte, d.h. auf den Monat der Gesuchseinreichung. Nach der Auffassung des kantonalen Richters handelt es sich bei der Dreimonatsfrist des Art. 88a Abs. 2 IVV nicht um eine eigentliche Wartefrist; diese Frist könne nur die Bedeutung haben, "eine bestimmte Zeit verstreichen zu lassen, bevor die anspruchsbeeinflussende Änderung zu berücksichtigen ist, damit die Ausgleichskasse Gewähr hat, dass es sich effektiv um eine anspruchsbeeinflussende Änderung handle. Die Ausrichtung einer eventuell höheren Rente hat jedoch rückwirkend zu erfolgen." C.- Das Bundesamt für Sozialversicherung erhebt Verwaltungsgerichtsbeschwerde und beantragt, den Beginn der ganzen Rente auf 1. Februar 1978 festzusetzen, d.h. auf den Beginn des Monats, in dem die drei Monate des Art. 88a Abs. 2 IVV abgelaufen waren. Erwägungen Das Eidg. Versicherungsgericht zieht in Erwägung: 1. Streitig ist allein die Frage, auf welchen Zeitpunkt der Beginn der ganzen Rente festzusetzen ist. Da die Verschlechterung der Erwerbsfähigkeit, welche zur Rentenerhöhung geführt hat, unbestrittenermassen einem labilen pathologischen Geschehen zuzuschreiben ist, muss die Streitfrage lediglich unter diesem Gesichtswinkel beurteilt werden. 2. Der auf 1. Januar 1977 in die Verordnung über die Invalidenversicherung eingefügte Art. 88a bestimmt in seinem Abs. 2, dass bei einer Verschlechterung der Erwerbsfähigkeit die anspruchsbeeinflussende Änderung zu berücksichtigen ist, sobald sie ohne wesentliche Unterbrechung drei Monate angedauert hat; Art. 29bis IVV ist sinngemäss anwendbar. BGE 105 V 262 S. 264 Nach Art. 88bis Abs. 1 lit. a IVV (in der seit 1. Januar 1977 geltenden Fassung) erfolgt die Rentenerhöhung im Falle, wo der Versicherte die Revision verlangt, frühestens von dem Monat an, in dem das Revisionsbegehren gestellt wurde. Das Eidg. Versicherungsgericht hat erkannt, dass Art. 88a IVV sich im Rahmen der gesetzlichen Ordnung hält und geeignet ist, eine rechtsgleiche und den jeweiligen tatsächlichen Verhältnissen entsprechende Festsetzung der Renten zu gewährleisten ( BGE 104 V 147 ). Des weiteren hat das Gericht festgestellt, dass die Bestimmung von Art. 88a Abs. 2 jener von Art. 88bis Abs. 1 lit. a vorgeht, so dass im Falle, wo der Versicherte die Revision verlangt, die Rente nur dann vom Anmeldemonat an erhöht werden kann, wenn in diesem Monat die dreimonatige Frist des Art. 88a Abs. 2 abgelaufen ist (Urteil Salchli vom 11. Oktober 1978). 3. Die Vorinstanz will die Dreimonatsfrist des Art. 88a Abs. 2 IVV nicht als eigentliche Wartefrist (wie diejenige des Art. 29 Abs. 1 IVG ), sondern als eine Art Beobachtungsperiode verstanden wissen; gegebenenfalls habe die Ausrichtung der erhöhten Rente rückwirkend auf den Zeitpunkt des Eintritts der anspruchsbeeinflussenden Änderung selbst zu erfolgen. Dieser Betrachtungsweise kann nicht gefolgt werden. a) Zur Begründung ihres Standpunktes führt die Vorinstanz an, die 360tägige Wartefrist des Art. 29 Abs. 1 IVG müsse als abschliessende Regelung betrachtet werden und dürfe als solche nicht durch eine Verordnungsbestimmung verlängert werden. Richtig ist, dass auf dem Verordnungsweg nichts an der bei Variante II des Art. 29 Abs. 1 IVG zu berücksichtigenden Wartefrist von 360 Tagen geändert werden dürfte. Indes gilt dies nur im Rahmen eines und desselben Anspruchs. Wenn ein neuer oder veränderter Anspruch geltend gemacht wird, so steht nichts entgegen, die für die Variante II geltenden Regeln erneut anzuwenden. Das war unter dem bis Ende 1976 geltenden Recht konstante Praxis, indem durch sinngemässe Anwendung von Art. 29 Abs. 1 IVG die 360 Tage durchschnittlicher Arbeitsunfähigkeit von zwei Dritteln (nebst weiterdauernder Erwerbsunfähigkeit von gleichem Ausmass) vorausgesetzt waren. Wie das Bundesamt für Sozialversicherung darlegt, bringt die neue Regelung ab 1. Januar 1977 keine grundsätzliche Änderung, sondern eine Vereinfachung, indem im Revisionsfalle BGE 105 V 262 S. 265 nach Variante II die Wartefrist nicht mehr kasuell errechnet werden muss, sowie eine Verbesserung, indem die Renten flexibler an die tatsächlichen Verhältnisse angepasst werden können. Es kann keine Rede davon sein, dass diese Neuregelung dem Gesetz widerspräche. b) Sodann verweist die Vorinstanz auf den in Art. 88a Abs. 2 sinngemäss anwendbar erklärten Art. 29bis IVV , der keine neue Wartefrist vorschreibe und damit ebenfalls zeige, dass Art. 29 Abs. 1 IVG als abschliessend zu betrachten sei. Es sei nicht einzusehen, weshalb es in den Fällen des Art. 88a Abs. 2 IVV anders sein sollte. Entgegen dieser Auffassung wird im Art. 29bis IVV die (bei der Variante II grundsätzlich zu bestehende) Wartefrist nicht generell eliminiert, sondern es wird für einen Spezialfall bestimmt, wie sie zu berechnen ist, nämlich durch Anrechnung einer früher zurückgelegten Wartezeit auf die bei Renten-Neubeginn im Prinzip zu bestehende Wartefrist. Wie das Bundesamt für Sozialversicherung zutreffend darlegt, gibt es auch im Rahmen des Art. 29bis IVV Fälle, wo eine neue Wartefrist zu absolvieren ist, insbesondere wenn nach dem Unterbruch einer halben Rente neu eine ganze Rente (auf Grund der Variante II) beansprucht wird. Aus Art. 29bis IVV lässt sich somit nichts zugunsten der vorinstanzlichen Auffassung ableiten. c) Schliesslich stösst sich der vorinstanzliche Richter daran, dass Art. 88a Abs. 2 IVV nicht die Möglichkeit einer sofortigen Anpassung des Rentenanspruchs bei Vorliegen eines stabilisierten Zustandes vorsieht, wie es der I. Variante des Art. 29 Abs. 1 IVG entsprechen würde. Ob die dreimonatige Wartefrist auch in Fällen der Variante I - welche im übrigen eher selten eintreten werden, weil die Rentenrevision meistens durch eine evolutive Entwicklung ausgelöst wird - bestanden werden müsste, kann jedoch für heute dahingestellt bleiben, da unbestrittenermassen ein labiles pathologisches Geschehen vorlag. 4. Zusammenfassend ergibt sich somit, dass im vorliegenden Fall die anspruchsbeeinflussende Änderung erst mit Ablauf der Dreimonatsfrist gemäss Art. 88a Abs. 2 IVV berücksichtigt werden durfte. Das Bundesamt für Sozialversicherung geht davon aus, dass diese Frist am 30. November 1977 zu laufen begonnen habe. Dies steht in Übereinstimmung mit den Berichten des behandelnden Arztes Dr. med. S. vom 9. Februar und 10. Juni 1978, BGE 105 V 262 S. 266 wonach der Versicherte "Ende November 1977" für eine weitere Operation ins Kantonsspital Basel eintrat, ab welchem Zeitpunkt er als zu 100% arbeitsunfähig taxiert wurde und effektiv auch keine Erwerbstätigkeit mehr aufgenommen hat. Die Dreimonatsfrist lief somit gegen Ende Februar 1978 ab, so dass die ganze Rente ab 1. Februar 1978 zu gewähren ist (Rz 204 der Wegleitung des Bundesamtes für Sozialversicherung über Invalidität und Hilflosigkeit, Druckvorlage vom 1. Juni 1978), wie das Bundesamt für Sozialversicherung zutreffend beantragt. Der Umstand, dass das Revisionsgesuch bereits im Januar gestellt wurde, ist unbeachtlich, da Art. 88a Abs. 2 dem Art. 88bis Abs. 1 lit. a IVV vorgeht und im Januar die Dreimonatsfrist noch nicht abgelaufen war. Dispositiv Demnach erkennt das Eidg. Versicherungsgericht: In Gutheissung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde wird das Urteil des Versicherungsgerichts des Kantons Basel-Landschaft vom 24. Januar 1979 aufgehoben und die Kassenverfügung vom 1. September 1978 in dem Sinne abgeändert, dass der Beginn der ganzen Rente auf 1. Februar 1978 festgesetzt wird.
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Federation
70d441d8-6e72-4afa-9033-3b82aa7b53a9
Urteilskopf 111 V 310 58. Urteil vom 14. November 1985 i.S. Bundesamt für Sozialversicherung gegen Di Matteo und Di Matteo gegen Ausgleichskasse des Kantons Schaffhausen und Obergericht des Kantons Schaffhausen
Regeste Art. 42 Abs. 4, 43 Abs. 3 IVG; Art. 35 Abs. 2, 36 Abs. 3 lit. d IVV. - Anspruch auf Hilflosenentschädigung nach Art. 36 Abs. 3 lit. d IVV , wenn der Versicherte sich im Sinne von Art. 35 Abs. 2 IVV in einer Anstalt aufhält: Die Entschädigung wegen leichter Hilflosigkeit nach Art. 36 Abs. 3 lit. d IVV führt bei einem von der Invalidenversicherung übernommenen Anstaltsaufenthalt in aller Regel nicht zu einer Überentschädigung, welche gemäss Art. 43 Abs. 3 IVG auf dem Verordnungsweg zu verhindern ist. - Gesetzeskonforme Auslegung einer Verordnungsbestimmung.
Sachverhalt ab Seite 311 BGE 111 V 310 S. 311 A.- Die Versicherte leidet seit ihrer Geburt (26. Juli 1965) an Retinopathia pigmentosa beidseits, die eine fortschreitende, schwere Sehbehinderung zur Folge hatte. Die Invalidenversicherung übernahm die invaliditätsbedingten Mehrkosten der erstmaligen beruflichen Ausbildung zur Telefonistin in einer Eingliederungsstätte für Sehbehinderte. Im Rahmen dieser Ausbildung absolvierte sie ab Mitte Januar 1984 bei einer Bank in Bern ein Praktikum. Während dieser Zeit mietete sie im Blindenheim Bern ein Zimmer; für die Kosten von Unterkunft und Verpflegung kam die Invalidenversicherung auf. Am 3. Januar 1984 hatte sich die Versicherte gestützt auf Art. 36 Abs. 3 lit. d IVV bei der Invalidenversicherung zum Bezug einer Hilflosenentschädigung leichten Grades angemeldet. Diesen Anspruch lehnte die Ausgleichskasse des Kantons Schaffhausen unter Hinweis auf Art. 35 Abs. 2 IVV ab; da die Invalidenversicherung während der Ausbildungszeit auch die Kosten für Unterkunft und Verpflegung übernehme, bestehe bis zum Abschluss der Ausbildung kein Anspruch auf eine Hilflosenentschädigung (Verfügung vom 23. Februar 1984). B.- Das Obergericht des Kantons Schaffhausen hiess die hiegegen erhobene Beschwerde in dem Sinne gut, dass es die Ablehnungsverfügung aufhob und die Sache an die Verwaltung zurückwies, damit diese prüfe, ob der Versicherten während ihres Aufenthaltes im Blindenheim Bern die Möglichkeit zur Pflege gesellschaftlicher Kontakte geboten werde; treffe dies zu, sei das Gesuch um Ausrichtung einer Hilflosenentschädigung abzuweisen, andernfalls gutzuheissen (Entscheid vom 28. Dezember 1984). C.- Gegen diesen Entscheid führen das Bundesamt für Sozialversicherung (BSV) und die Versicherte je Verwaltungsgerichtsbeschwerde. Während das BSV die Aufhebung des kantonalen Gerichtsentscheides beantragt, stellt die Versicherte das Rechtsbegehren, es sei ihr, unter Aufhebung des vorinstanzlichen BGE 111 V 310 S. 312 Entscheides, ab 1. August 1983 eine Entschädigung für Hilflosigkeit leichten Grades zuzusprechen. Die Ausgleichskasse schliesst auf Abweisung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde der Versicherten. Das BSV und die Versicherte lassen sich zur Verwaltungsgerichtsbeschwerde der Gegenpartei je in ablehnendem Sinne vernehmen. Erwägungen Das Eidg. Versicherungsgericht zieht in Erwägung: 1. a) Art. 42 Abs. 1 IVG , soweit vorliegend von Bedeutung, gibt in der Schweiz wohnhaften invaliden Versicherten, die hilflos sind, Anspruch auf eine Hilflosenentschädigung. Als hilflos gilt, wer wegen der Invalidität für die alltäglichen Lebensverrichtungen dauernd der Hilfe Dritter oder der persönlichen Überwachung bedarf ( Art. 42 Abs. 2 IVG ). Absatz 4 der Gesetzesbestimmung ermächtigt den Bundesrat, ergänzende Vorschriften zu erlassen, namentlich über die Bemessung der Hilflosigkeit sowie über den Anspruch des Versicherten auf eine Hilflosenentschädigung, wenn dieser wegen eines schweren Gebrechens für den Kontakt mit der Umwelt einer besonderen Hilfe von erheblichem Umfang bedarf. Diese letzte Erweiterung der Delegationsnorm geht auf das seit 1. Januar 1979 in Kraft stehende Bundesgesetz vom 24. Juni 1977 über die 9. AHV-Revision zurück (AS 1978 I 407). Bereits vorher hatte der Bundesrat mit der Verordnungsänderung vom 29. November 1976, in Kraft seit 1. Januar 1977 (AS 1976 II 2655 f.), in Art. 36 IVV drei Grade der Hilflosigkeit umschrieben, nämlich die schwere (Abs. 1), die mittelschwere (Abs. 2) und die leichte Hilflosigkeit (Abs. 3). Nach der erwähnten Erweiterung der Delegationsbestimmung des Art. 42 Abs. 4 IVG hat der Bundesrat mit der seit anfangs 1979 geltenden Verordnungsänderung vom 5. April 1978 (AS 1978 I 440) den bisherigen Tatbeständen der leichten Hilflosigkeit gemäss Art. 36 Abs. 3 lit. a bis c IVV eine lit. d angefügt. Danach liegt eine leichte Hilflosigkeit auch dann vor, wenn der Versicherte trotz der Abgabe von Hilfsmitteln wegen einer schweren Sinnesschädigung oder eines schweren körperlichen Gebrechens nur dank regelmässiger und erheblicher Dienstleistungen Dritter gesellschaftliche Kontakte pflegen kann. b) Laut Bericht des Blinden-Leuchtturms Zürich vom 8. Oktober 1981 hat der Sehrest der Versicherten seit einem Jahr BGE 111 V 310 S. 313 bedeutend abgenommen, nämlich von 0,5 auf 0,1 mit einer nicht unbedeutenden Gesichtsfeldeinschränkung. Angesichts dieser Verhältnisse sind vorliegend die Voraussetzungen zur Annahme einer leichten Hilflosigkeit im Sinne von Art. 36 Abs. 3 lit. d IVV offensichtlich erfüllt (vgl. BGE 107 V 29 ), was denn auch von keiner Seite in Abrede gestellt wird. 2. Streitig und näher zu prüfen ist, ob der Entschädigungsanspruch wegen leichter Hilflosigkeit unter dem Gesichtspunkt der Überentschädigung dahinfällt, was das BSV gestützt auf Art. 35 Abs. 2 IVV behauptet, die Versicherte dagegen bestreitet. Das kantonale Gericht hat die Beantwortung dieser Frage davon abhängig gemacht, ob der Versicherten im Rahmen der von der Invalidenversicherung übernommenen Unterkunft und Verpflegung im Blindenheim Bern tatsächlich die Möglichkeit zur Pflege gesellschaftlicher Kontakte geboten wird. a) Die gesetzliche Grundlage für die Einschränkung von Überentschädigungen beim Zusammenfallen von Leistungen der AHV und IV bildet Art. 43 IVG . Nach dessen Abs. 2 besteht u.a. kein Anspruch auf eine Rente der Invalidenversicherung, wenn diese bei Eingliederungsmassnahmen die Kosten für Unterkunft und Verpflegung überwiegend oder vollständig übernimmt, wobei der Bundesrat Ausnahmen vorsehen kann. Durch Abs. 3 von Art. 43 IVG erteilte der Gesetzgeber dem Bundesrat den Auftrag und die Kompetenz zum Erlass von Vorschriften zur Verhinderung von Überentschädigungen u.a. beim Zusammenfallen von mehreren Leistungen der Invalidenversicherung. Im Rahmen dieser Delegationsnormen hat der Bundesrat für das Zusammenfallen von Renten sowie Verpflegungs- und Unterkunftskosten bei Abklärungs- und Eingliederungsmassnahmen die Art. 24bis und Art. 28 Abs. 3 IVV erlassen. Diese Ordnung über die Leistungskumulation von Renten und Verpflegungs-/Unterkunftskosten ist auf Hilflosenentschädigungen sinngemäss anwendbar ( BGE 108 V 81 Erw. 2a). Was speziell die Hilflosenentschädigung anbelangt, schliesst Art. 35 Abs. 2 IVV den Anspruch aus, solange der Versicherte sich zur Durchführung von Massnahmen gemäss den Art. 12, 13, 16 (erstmalige berufliche Ausbildung), 17, 19 oder 21 IVG in einer Anstalt aufhält (wobei im übrigen gemäss Verordnungsänderung vom 12. September 1984, in Kraft seit 1. Januar 1985, dieser Aufenthalt mindestens 24 Tage im Kalendermonat dauern muss; AS 1984 II 1187). Bei der erwähnten Einführung der lit. d von Art. 36 Abs. 3 IVV auf den 1. Januar 1979 war der BGE 111 V 310 S. 314 vorstehende Art. 35 Abs. 2 IVV unverändert belassen worden (AS 1978 I 440). b) Das BSV macht zu Art. 35 Abs. 2 IVV geltend, diese Bestimmung beruhe auf der Überlegung, dass der Versicherte von der Invalidenversicherung nicht zwei Leistungen erhalten solle, die gleiche oder ähnliche Zwecke erfüllen. Bei Körperbehinderten erbringe das Pflegepersonal während des Aufenthalts in einer Anstalt weitgehend die Hilfe in den alltäglichen Lebensverrichtungen. Die Sehbehinderten befänden sich zwar in einer teilweise unterschiedlichen Situation, weil sie die Hilflosenentschädigung nach Art. 36 Abs. 3 lit. d IVV nicht als Abgeltung für die Hilfe Dritter bei der Pflege und Betreuung, sondern für die Dienstleistungen zur gesellschaftlichen Kontaktnahme erhalten würden, wozu das Anstaltspersonal nur ausnahmsweise in der Lage sei. Dennoch müsse Art. 35 Abs. 2 IVV auch auf Hilflosenentschädigungen nach Art. 36 Abs. 3 lit. d IVV angewendet werden, weil "keine diesbezügliche Ausnahmebestimmung" vorliege; eine andere Regelung bedürfte "einer Verordnungsänderung". Diese am Wortlaut von Art. 35 Abs. 2 IVV verhaftete Argumentation geht fehl. Art. 35 Abs. 2 IVV ist als Norm einer vom Bundesrat gestützt auf das IVG erlassenen unselbständigen Rechtsverordnung auf seine Gesetzmässigkeit hin überprüfbar ( BGE 110 V 256 Erw. 4a mit Hinweisen). Im Streitfall hat der Richter von Amtes wegen zu prüfen, ob sich die angewendete Verordnungsbestimmung im Rahmen der generellen Vollzugsermächtigung oder gegebenenfalls einer speziellen formellgesetzlichen Delegationsnorm hält ( BGE 110 V 68 ). Dabei ist die Verordnungsbestimmung gesetzeskonform auszulegen. Dies ergibt sich aus dem Prinzip des Vorranges des Gesetzes, wonach kein Rechtssatz einem ranghöheren Rechtssatz widersprechen darf (IMBODEN/RHINOW, Schweizerische Verwaltungsrechtsprechung, 5. Aufl., Bd. I, S. 352). Die Auslegung der Verordnungsbestimmung hat sich demnach an den Grundsätzen und Regeln des übergeordneten formellen Gesetzes zu orientieren (vgl. GRISEL, Traité de droit administratif, S. 135). Unter diesem Gesichtspunkt der gesetzeskonformen Verordnungsauslegung kann Art. 35 Abs. 2 IVV nicht dahingehend verstanden werden, dass allein der Umstand des Anstaltsaufenthaltes eines in Eingliederung befindlichen Versicherten dessen Anspruch auf Hilflosenentschädigung ausschliesst. Die Anwendbarkeit von Art. 35 Abs. 2 IVV setzt vielmehr voraus, dass die Zusprechung einer Hilflosenentschädigung an einen Versicherten, BGE 111 V 310 S. 315 der sich zum Zwecke der erwähnten Eingliederungsmassnahmen in einer Anstalt aufhält, zu einer gemäss Art. 43 Abs. 3 IVG auf dem Verordnungswege zu verhindernden Überentschädigung führen würde. Nichts anderes ergibt sich im Lichte von Art. 42 Abs. 4 IVG , auf den sich das BSV ebenfalls beruft. Denn diese Gesetzesbestimmung ermächtigt den Bundesrat lediglich, "ergänzende Vorschriften" zu erlassen, was durch die nähere Umschreibung der verschiedenen Hilflosigkeitsgrade in Art. 36 IVV geschehen ist. Erst wenn einer dieser Tatbestände erfüllt ist, stellt sich unabhängig davon die andere, im Rahmen von Art. 35 Abs. 2 IVV zu entscheidende Frage, um die es hier geht, ob sich aus der dem Versicherten grundsätzlich zustehenden Hilflosenentschädigung durch das Zusammentreffen mit andern Leistungen der Invalidenversicherung eine Überentschädigung ergibt. c) Tritt der Bezüger einer Entschädigung wegen schwerer oder mittelschwerer Hilflosigkeit ( Art. 36 Abs. 1 und Abs. 2 IVV ) zu einem der in Art. 35 Abs. 2 IVV genannten Zwecke in eine Anstalt ein, so würde die Weitergewährung der Hilflosenentschädigung in solchen Fällen tatsächlich regelmässig zu einer Überentschädigung führen. Das gleiche gilt auch für die Tatbestände der leichten Hilflosigkeit gemäss lit. a bis c von Art. 36 Abs. 3 IVV . Denn bei einem Anstaltsaufenthalt dürfte in diesen Fällen die leichte Hilfsbedürftigkeit regelmässig schon durch die dort gebotene Betreuung oder sonstige Dritthilfe abgegolten sein. Unter diesem Gesichtspunkt unterscheidet sich der vorliegend erfüllte Tatbestand der leichten Hilflosigkeit gemäss Art. 36 Abs. 3 lit. d IVV wesentlich von den vorstehenden lit. a bis c. Die Versicherte wendet zutreffend ein, dass keine Überentschädigung vorliegen kann, wenn die Invalidenversicherung einerseits im Rahmen eines Anstaltsaufenthaltes Pflege und Unterkunft übernimmt und anderseits durch Gewährung einer Hilflosenentschädigung nach Art. 36 Abs. 3 lit. d IVV die erforderlichen Dienstleistungen zum Besuch auswärtiger Veranstaltungen vergütet. Wie selbst das BSV einräumt, werden die für schwer Sehbehinderte (und die andern in Art. 36 Abs. 3 lit. d IVV erwähnten Versicherten) erforderlichen Dienstleistungen zur gesellschaftlichen Kontaktnahme nur ausnahmsweise vom Anstaltspersonal erbracht. Aus den Materialien zu dem im Rahmen der 9. AHV-Revision neugefassten Art. 42 Abs. 4 IVG geht denn auch klar hervor, dass mit der Einführung der neuen Entschädigung eine besondere Art der Hilfsbedürftigkeit abgegolten werden sollte. Mit einer Sonderleistung für BGE 111 V 310 S. 316 Schwerinvalide sollte "an die zur Herstellung des Kontaktes mit der Umwelt" erforderlichen invaliditätsbedingten Mehrkosten ein Beitrag entrichtet werden können (BBl 1976 III 34 f.). Während somit Art. 36 Abs. 3 IVV in den lit. a bis c jene Formen leichter Hilflosigkeit entschädigt, auf die bei einem Anstaltsaufenthalt regelmässig durch interne Vorkehren der Betreuung etc. Rücksicht genommen wird, will lit. d die Hilfsbedürftigkeit nach aussen abgelten. Auch ist es nicht entscheidend, ob der Versicherte effektiv den Kontakt mit der Umwelt sucht und wegen gebrechensbedingt notwendiger, erheblicher Dritthilfe tatsächlich Unkosten hat; die spezielle Leistungsart des Art. 36 Abs. 3 lit. d IVV entschädigt vielmehr die Möglichkeit des Versicherten, mit seiner Umwelt in Kontakt zu treten. Es ist deshalb, entgegen der Auffassung des BSV, auch nicht von Belang, ob die Kontakte während des Anstaltsaufenthaltes oder am Wochenende, wenn sich der Versicherte zu Hause aufhält, gepflegt werden. d) Nach dem Gesagten führt die Zusprechung einer Entschädigung wegen leichter Hilflosigkeit nach Art. 36 Abs. 3 lit. d IVV an einen Versicherten, der sich im Sinne von Art. 35 Abs. 2 IVV zur Eingliederung in einer Anstalt aufhält, regelmässig nicht zu einer Überentschädigung. In solchen Fällen vermag deshalb Art. 35 Abs. 2 IVV den Anspruch auf eine Hilflosenentschädigung in aller Regel nicht auszuschliessen. Es besteht kein Anlass, die Voraussetzungen, unter denen dies doch ausnahmsweise der Fall sein könnte, vorliegend näher zu umschreiben. Die weiteren vom BSV erwähnten Gesichtspunkte der Verfahrensökonomie bzw. administrativen Einfachheit vermögen zu keinem anderen Ergebnis zu führen. 3. Im vorliegenden Fall hat die Versicherte für die Zeit ihres Praktikums ab 15. Januar 1984 im Blindenheim Bern ein Zimmer gemietet. Für die Kosten von Unterkunft und Verpflegung kommt die Invalidenversicherung auf. Diese Leistungszusprechung durch die Invalidenversicherung ist nach den Darlegungen in Erw. 2 nicht geeignet, den Anspruch der Versicherten auf eine Entschädigung wegen leichter Hilflosigkeit im Sinne von Art. 36 Abs. 3 lit. d IVV auszuschliessen. Die Sache ist daher an die Ausgleichskasse zurückzuweisen, damit sie in zeitlicher ( Art. 42 Abs. 1 IVG ) und masslicher Hinsicht ( Art. 42 Abs. 3 IVG , Art. 37 IVV ) über den Anspruch auf eine Entschädigung wegen leichter Hilflosigkeit erneut verfüge. BGE 111 V 310 S. 317 Dispositiv Demnach erkennt das Eidg. Versicherungsgericht: I. In Gutheissung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde der Versicherten werden der Entscheid des Obergerichts des Kantons Schaffhausen vom 28. Dezember 1984 und die Kassenverfügung vom 23. Februar 1984 aufgehoben, und es wird die Sache zur Zusprechung einer Entschädigung wegen leichter Hilflosigkeit an die Ausgleichskasse des Kantons Schaffhausen zurückgewiesen. II. Die Verwaltungsgerichtsbeschwerde des Bundesamtes für Sozialversicherung wird abgewiesen.
null
nan
de
1,985
CH_BGE
CH_BGE_007
CH
Federation
70d82cb8-b002-4bbe-bdc3-b22f25a20d00
Urteilskopf 82 III 137 36. Urteil der II. Zivilabteilung vom 4. Oktober 1956 i.S. Konkursmasse der Hotel Rigi-First AG gegen Dubs.
Regeste Grundstückssteigerung; Zahlungsverzug; Haftung für die Verwertungskosten. Haftet der erste Ersteigerer für die gesamten Verwertungskosten, wenn die Steigerung wegen seines Verzugs wiederholt werden muss? Hierüber hat in Anwendung von Art. 143 Abs. 2 SchKG der Richter zu entscheiden; die Steigerungsbedingungen können darüber keine Verfügung im Sinne von Art. 17 SchKG treffen. Die Haftung setzt voraus, dass aus der Nichterfüllung des ersten Steigerungskaufs ein Schaden entstanden ist.
Sachverhalt ab Seite 137 BGE 82 III 137 S. 137 A.- Im Konkurs der Hotel Rigi-First AG wurde die Hotelliegenschaft samt Zugehör bei der öffentlichen Versteigerung vom 15. Juli 1948 zum Preise von Fr. 500 000.-- Karl Dubs zugeschlagen, nachdem er unmittelbar vorher eine Anzahlung von Fr. 10'000.-- geleistet hatte. Ziffer 7 der Steigerungsbedingungen regelte die auf Abrechnung an BGE 82 III 137 S. 138 der Kaufsumme zu leistenden Barzahlungen und Ziffer 8 a) bestimmte, dass der Ersteigerer ohne Abrechnung an der Kaufsumme "die Verwertungskosten, sowie die Kosten der Eigentumsübertragung und der in bezug auf Grundpfandrechte, Dienstbarkeiten usw. erforderlichen Löschungen und Änderungen im Grundbuch und in den Pfandtiteln" zu übernehmen bezw. bar zu bezahlen habe (vgl. Formular VZG Nr. 13 b). Nach Ziffer 10 hatte der Käufer die Barzahlungen im Sinne von Ziffern 7 und 8 bis zum 5. August 1948 zu erbringen. B.- In der Nacht vom 24. auf den 25. Juli 1948 brannte das Hotel bis auf die Grundmauern nieder. Am 29. Juli 1948 wurde Dubs unter dem Verdacht, am Brand irgendwie beteiligt zu sein, in Untersuchungshaft gesetzt. Da er seinen Zahlungsverpflichtungen nicht nachkam und mehrere zu Verlust gekommene Grundpfandgläubiger sich der von ihm nachgesuchten Erstreckung der Zahlungsfrist widersetzten, hob die Konkursverwaltung am 19. August 1948 den Zuschlag auf. Die Beschwerde, die Dubs hiegegen führte, wurde letztinstanzlich am 17. Januar 1949 abgewiesen. C.- Die Versicherungsgesellschaften, bei denen das Hotel gegen Feuerschaden versichert war, zahlten dem Konkursamt für Gebäudeschaden (Verkehrswert) und Zugehör insgesant Fr. 423'866.-- aus. D.- Am 24. Mai 1950 fand die zweite Steigerung statt. Versteigert wurden die Hotelliegenschaft mit der Brandruine und der im Falle des Wiederaufbaus des Hotels vor dem 1. April 1952 bestehende Versicherungsanspruch auf Zahlung der "Differenz zwischen dem Ersatzwert bei Wiederaufbau des Hotelgebäudes von Fr. 1193 000.-- und dem Verkehrswert von Fr. 228'000.--" in Höhe von Fr. 965'000.--. Ziffer 1 der "Besondern Steigerungsbedingungen" bestimmte: "Der frühere Ersteigerer haftet für den Ausfall und allen weitern Schaden. Der Zinsverlust wird hiebei zu 5% berechnet. Insbesondere fallen die Verwertungskosten dieses Verfahrens zu seinen Lasten." BGE 82 III 137 S. 139 Dubs nahm an dieser Steigerung teil. Den Zuschlag erhielt zu Fr. 180'000.-- ein anderer Bieter. E.- Mit Schreiben vom 22. August 1950 verlangte Dubs von der Konkursmasse auf den 26. August 1950 die Rückerstattung der am 15. Juli 1948 geleisteten Anzahlung von Fr. 10'000.-- und die Auszahlung des Betrages von Fr. 22'591.65, auf den sich seine durch den Ganterlös gedeckte Grundpfandforderung samt den Zinsen belief. Am 29. August 1950 hinterlegte er beim Konkursamt gegen Freigabe von zwei Schuldbriefen, die er nach der ersten Steigerung bei diesem Amte hinterlegt hatte, den Betrag von Fr. 10'000.--. Da die Konkursmasse seinen Anspruch auf diese Beträge ablehnte, leitete er im Jahre 1954 gegen sie beim Vermittleramt Arth Klage auf Zahlung von Fr. 42'591.65 nebst 5% Zins seit 26. August 1950 ein. Die Beklagte anerkannte bei der Sühnverhandlung vom 5. Juni 1954, dass er Fr. 21'380.94 zugut habe, und zahlte ihm diesen Betrag aus. Die Restforderung des Klägers von Fr. 21'210.71 bestritt sie infolge Verrechnung mit einer Schadenersatzforderung gegen den Kläger, die sich wie folgt zusammensetzt: "1. Verwaltungskosten bis zur Aufhebung des Gantzuschlages durch Urteil des Schweiz. Bundesgerichtes vom 17. Januar 1949 Fr. 15'634.18 2. Kosten der ersten Steigerung vom 15. Juli 1948 " 1'666.48 3. Kosten der zweiten Steigerung vom 24. Mai 1950 " 740.85 4. Gebühren- und Auslagenrechnung des Konkursamtes Arth " 2'849.20 5. Grundbuchgebühren Arth & Vitznau " 320.-- Total Fr. 21'210.71." Hierauf belangte der Kläger die Beklagte vor Bezirksgericht Schwyz auf Zahlung von Fr. 21, 210.71 nebst Zins... Das Bezirks- und das Kantonsgericht Schwyz haben die Klage für den Betrag von Fr. 19'544.23 nebst Zins ... geschützt und sie für die restlichen Fr. 1666.48 abgewiesen. F.- Gegen das kantonsgerichtliche Urteil vom 27. Februar 1956 hat die Beklagte die Berufung an das Bundesgericht BGE 82 III 137 S. 140 erklärt mit dem Antrag auf gänzliche Abweisung der Klage. Der Kläger hat die Anschlussberufung erklärt mit dem Antrag, es sei ihm auch der abgewiesene Betrag von Fr. 1666.48 zuzusprechen. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Die Beklagte ist der Ansicht, der Kläger sei durch eine in Rechtskraft erwachsene Verfügung der Konkursverwaltung zur Zahlung der gesamten Kosten des Verwertungsverfahrens verpflichtet worden; Ziff. 1 der für die zweite Gant aufgestellten "Besondern Steigerungsbedingungen", gegen die Beschwerde zu führen der Kläger unterlassen habe, bestimme nämlich unzweideutig, dass der erste Ersteigerer neben dem Ausfall, dem weitern Schaden und dem Zinsverlust noch die Verwertungskosten zu ersetzen habe. Diese Auslegung widerspricht jedoch dem Wortlaut der angerufenen Steigerungsbedingung, wonach "insbesondere" die Verwertungskosten zulasten des frühern Ersteigerers fallen sollen. Nach dem Sprachgebrauch pflegt das Wort "insbesondere" dazu verwendet zu werden, einen "besondern" Tatbestand unter eine allgemeine Regel zu stellen. Hier kam als solche Regel nur der Grundsatz der Haftung des frühern Ersteigerers für den "weitern Schaden" aus der Nichterfüllung des Gantkaufes in Betracht. Der Wortlaut der Gantbedingungen liess daher die angebliche Absicht der Konkursverwaltung, den Kläger unter allen Umständen für die Verwertungskosten haften zu lassen, nicht erkennen. Die Beklagte weist freilich darauf hin, dass die Gantbedingungen dem zweiten Ersteigerer keine Kosten auferlegten, woraus ersichtlich gewesen sei, dass der frühere Ersteigerer sie tragen sollte, da doch keine Rede davon habe sein können, dass sie der "unschuldigen" Konkursmasse aufgebürdet würden. Daraus allein musste jedoch der Kläger keineswegs den Schluss ziehen, die seine Haftung betreffende Ziffer 1 der Gantbedingungen sei anders als wörtlich zu verstehen. Die Konkursverwaltung konnte BGE 82 III 137 S. 141 ja aus andern Gründen als im Hinblick auf die Haftung des frühern Ersteigerers davon absehen, dem zweiten Ersteigerer Kosten aufzuerlegen, z.B. aus der Überlegung heraus, dass ein dem Erwerber ohne Abrechnung am Kaufpreis überbundener Kostenbetrag von über Fr. 20'000.-- eine entsprechende Zurückhaltung der Bieter zur Folge haben müsste; es ist doch wohl anzunehmen, dass der an der zweiten Gant erzielte Erlös von Fr. 180'000.-- den Betrag darstellt, den der letzte Bieter insgesamt auszulegen bereit war. Abgesehen hievon ist aber die Auffassung der Beklagten auch deshalb unrichtig, weil es sich bei Ziffer 1 der Gantbedingungen nicht um eine "Verfügung" im Sinne des Art. 17 SchKG handeln konnte. Die Konkursverwaltung hatte keine rechtliche Möglichkeit, in einer für den Kläger verbindlichen Weise zu verfügen, dass und in welchem Umfang er für die Folgen der Nichterfüllung des Gantkaufs einzustehen habe. Über das Bestehen einer Haftung aus Art. 143 Abs. 2 SchKG hat im Streitfall der Richter zu befinden (vgl. JAEGER N. 2 zu Art. 143). Deshalb behandelt Art. 131 VZG richtigerweise die Ausfallforderung im Konkurs als einen Rechtsanspruch der Masse, in Ansehung dessen der Konkursverwaltung nur die Befugnis zum Inkasso oder zur Abtretung an die Gläubiger zusteht. Unter diesen Umständen konnte in Ziffer 1 der Gantbedingungen ohnehin nur ein Hinweis auf die gegebenenfalls zur Anwendung kommenden gesetzlichen Bestimmungen oder die Ankündigung eines Anspruchs der Masse liegen, nicht aber eine Verfügung, die mangels Anfechtung durch Beschwerde rechtskräftig geworden wäre. Hätte die Konkursmasse im vorliegenden Falle nicht zufälligerweise die tatsächliche Möglichkeit der Verrechnung gehabt, so wäre ihr bezw. den allfälligen Abtretungsgläubigern zur Durchsetzung ihres angeblichen Anspruchs von vornherein kein anderer Weg offen gestanden als die Anrufung des Richters. 2. Nach Art. 143 Abs. 2 SchKG hat der Ersteigerer, der den Gantkauf nicht hält, den bei der zweiten Steigerung BGE 82 III 137 S. 142 allfällig entstehenden Ausfall und den weitern Schaden zu ersetzen. Einen Ausfall macht die Beklagte nicht geltend. Dagegen will sie um den Betrag der Verwertungskosten von Fr. 21'210.71 geschädigt sein. Nach ihrer Meinung dürfen die der Konkursmasse ausbezahlten Brandversicherungsbeträge bei der Schadensermittlung nicht in Rechnung gestellt werden. Ob ihr aus der Nichterfüllung des Gantkaufs durch den Kläger ein Schaden erwachsen sei, lässt sich aber schlechterdings nicht anders feststellen als durch Vergleichung der Lage, in der sie sich bei Erfüllung befunden hätte, mit derjenigen, die sich aus der Nichterfüllung ergeben hat. Dabei kann selbstverständlich die Tatsache nicht unberücksichtigt bleiben, dass sie Brandversicherungsbeträge empfangen hat, die bei Erfüllung des Gantkaufs nicht an sie ausbezahlt worden wären. Ihr Hinweis auf Mühen und Kosten, die sie zur Einbringung der Versicherungsleistungen habe aufwenden müssen, ist unbehelflich, da sie diese Aufwendungen nicht näher bezeichnet und insbesondere nicht angegeben hat, auf welchen Betrag sie zu beziffern seien. Es muss daher bei der Feststellung der Vorinstanz bleiben, dass der Erlös aus der zweiten Gant zusammen mit den Brandversicherungsleistungen nicht nur den frühern Zuschlagspreis erreichte, sondern dass daraus auch noch die sämtlichen Kosten im Betrag von Fr. 21'210.71, welche die Beklagte als Schaden geltend macht, "mehr als gedeckt werden konnten". Durch die Nichterfüllung des ersten Gantkaufs hat somit die Konkursmasse nicht einen Schaden erlitten, sondern im Gegenteil einen bedeutenden Vorteil erlangt. 3. Auf S. 8 der Berufungsschrift versucht die Beklagte ihre Schadenersatzforderung damit zu begründen, dass ihr der Kläger durch Unterlassung einer Beschwerde gegen Ziffer 1 der Steigerungsbedingungen die Möglichkeit genommen habe, die Verwertungskosten dem zweiten Ersteigerer aufzulegen. Diese Ausführungen gehen schon deshalb fehl, weil es sich, wie in Erwägung 1 ausgeführt, bei jener "Bedingung" nicht um eine der Beschwerde BGE 82 III 137 S. 143 zugängliche Verfügung handelte. Zudem ist auch in diesem Zusammenhang darauf hinzuweisen, dass es keineswegs sicher, sondern im Gegenteil durchaus unwahrscheinlich ist, dass die zweite Gant auch bei Überbindung der Kosten einen Erlös von Fr. 180 000.-- ergeben hätte. Für den Gantkäufer machte es ja keinen Unterschied, ob er diesen Betrag als reinen Kaufpreis zahlte oder ob darin Verwertungskosten enthalten waren. Bei Überbindung der Kosten wäre daher der Zuschlagspreis aller Wahrscheinlichkeit nach entsprechend niedriger geblieben. Aus diesen Gründen ist die Hauptberufung abzuweisen. 4. Die Vorinstanz hat dem Kläger die Kosten der ersten Gant im Betrage von Fr. 1666.48 belastet mit der Begründung, diese Kosten habe er gemäss den Gantbedingungen der ersten Steigerung ohne Abrechnung an der Kaufsumme, also "unabhängig vom bezahlten Kaufpreis" zu tragen. Die Bestimmung in den Gantbedingungen, auf welche die Vorinstanz abstellt, wäre jedoch nur massgebend, wenn der Kaufpreis bezahlt, der Gantkauf also erfüllt worden wäre. Die Folgen der Nichterfüllung ordnet abschliessend der Art. 143 SchKG . Darnach hat der frühere Ersteigerer die Kosten der ersten Versteigerung nur dann und nur insoweit zu bezahlen, als die Konkursmasse sonst zu Schaden käme. Mit Recht erklärt die Beklagte auf S. 11 der Berufungsschrift, entweder sei durch die Nichterfüllung des ersten Gantkaufs ein Schaden entstanden, dann hafte der Kläger für alle Kosten, oder es sei kein Schaden vorhanden, dann habe er auch nicht die Kosten der ersten Steigerung zu übernehmen. Über diesen Punkt sind die Parteien einig. Wie in Erwägung 2 dargetan, hat aber die Masse keinen Schaden erlitten, sondern aus der Nichterfüllung des ersten Gantkaufs einen beträchtlichen Nutzen bezogen, durch den, wie die Vorinstanz selber festgestellt hat, "die sämtlichen Kosten im Betrage von Fr. 21'210.71 ... mehr als gedeckt werden konnten". Die Anschlussberufung ist daher begründet. 5. (Zinsberechnung.) BGE 82 III 137 S. 144 Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Hauptberufung wird abgewiesen. In Gutheissung der Anschlussberufung wird das angefochtene Urteil dahin abgeändert, dass die Beklagte verpflichtet wird, dem Kläger Fr. 21'210.70 nebst Zins... zu bezahlen.
null
nan
de
1,956
CH_BGE
CH_BGE_005
CH
Federation
70dd2877-1fbf-453e-8670-761432608848
Urteilskopf 125 I 173 18. Auszug aus dem Urteil der II. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 3. März 1999 i.S. H. und Mitbeteiligte gegen Regierungsrat des Kantons Basel-Stadt (staatsrechtliche Beschwerde)
Regeste Handels- und Gewerbefreiheit; Gewaltentrennung; Legalitätsprinzip im Abgaberecht; Zulassungsbeschränkung zum Medizinstudium (Basler Numerus clausus). Die Handels- und Gewerbefreiheit gibt keinen Anspruch auf freien Zugang zu einem Universitätsstudium (E. 3). Das Erfordernis einer formellgesetzlichen Grundlage für eine Zulassungsbeschränkung ist erfüllt (E. 4). Die Rechtsgleichheit wird nicht verletzt, wenn der Numerus clausus nur für das Medizinstudium und nur in der Deutschschweiz eingeführt wird (E. 6). Fehlende gesetzliche Grundlage für die Erhebung einer Gebühr für die Durchführung des Eignungstests (E. 9).
Sachverhalt ab Seite 173 BGE 125 I 173 S. 173 Der Regierungsrat des Kantons Basel-Stadt erliess am 24. März 1998 eine Verordnung über die Zulassungsbeschränkung zum Studium der Medizin an der Universität Basel. Die Verordnung regelt BGE 125 I 173 S. 174 gemäss ihrem § 1 Zulassungsbeschränkungen für das Studium der Human-, Zahn- und Veterinärmedizin an der Universität Basel durch das Verfahren eines Eignungstests. Nach § 2 legt der Regierungsrat jährlich die maximale Aufnahmekapazität für das erste Studienjahr fest. Wenn die Anzahl der Voranmeldungen die Aufnahmekapazität um einen vom Regierungsrat festzulegenden Prozentsatz überschreitet, beschliesst der Regierungsrat, ob ein Eignungstest durchzuführen ist (§ 3). Die §§ 4-8 regeln das Verfahren des Eignungstests. § 5 beauftragt mit der Organisation und Durchführung des Eignungstests das Generalsekretariat der Schweizerischen Hochschulkonferenz (SHK) oder ein anderes in Absprache mit den übrigen Hochschulkantonen bestimmtes Organ. Gemäss § 9 haben sich die Studienanwärter mit Fr. 200.-- an den Kosten der Durchführung des Tests zu beteiligen. Die §§ 10-13 enthalten weitere Vorschriften über den Zulassungsentscheid und das Testverfahren. Gegen Verfügungen des Rektorats kann nach Massgabe des Universitätsgesetzes rekurriert werden (§ 14). Die Verordnung wird sofort wirksam (§ 15). Die Verordnung wurde im Kantonsblatt Basel-Stadt vom 8. April 1998 publiziert. H., S., T., R. sowie die Studentische Körperschaft der Universität Basel (skuba) erhoben am 15. Mai 1998 staatsrechtliche Beschwerde mit dem Antrag, die Verordnung, eventuell ihren § 9, aufzuheben. Sie rügen eine Verletzung der derogatorischen Kraft des Bundesrechts, der Handels- und Gewerbefreiheit, der persönlichen Freiheit, der Gewaltenteilung sowie von Art. 4 BV (Rechtsgleichheit, Legalitätsprinzip). Das Bundesgericht heisst die Beschwerde teilweise gut und hebt § 9 der Verordnung auf. Im Übrigen weist es die Beschwerde ab, soweit es darauf eintritt. Erwägungen Aus den Erwägungen: 1. b) Zur staatsrechtlichen Beschwerde gegen einen kantonalen Erlass auf dem Wege der abstrakten Normenkontrolle ist legitimiert ( Art. 88 OG ), wer durch die angefochtenen Bestimmungen unmittelbar oder zumindest virtuell, das heisst mit einer minimalen Wahrscheinlichkeit früher oder später einmal, in seinen rechtlich geschützten Interessen betroffen ist ( BGE 123 I 221 E. 2 S. 224 f.). Das ist zumindest beim Beschwerdeführer 2 zu bejahen, welcher in Liestal das Gymnasium besucht und nach dessen Abschluss das Medizinstudium an der Universität Basel in Angriff zu nehmen BGE 125 I 173 S. 175 beabsichtigt. Die Beschwerdeführer 3 und 4 sind nach ihren Angaben zur Zeit an anderen Fakultäten der Universität Basel immatrikuliert, beabsichtigen jedoch, später ein Zweitstudium in Medizin aufzunehmen. Das liegt nicht jenseits jeglicher Wahrscheinlichkeit, so dass auch ihre Legitimation bejaht werden kann. Der Beschwerdeführer 1 legt hingegen nicht dar, woraus er seine Legitimation ableitet. Gemäss Art. 90 Abs. 1 lit. b OG muss die staatsrechtliche Beschwerde unter anderem die wesentlichen Tatsachen enthalten. Das gilt auch für diejenigen Tatsachen, auf welche der Beschwerdeführer seine Legitimation gründet ( BGE 113 Ia 247 E. 4b S. 252 f.). Auf die Beschwerde ist insoweit nicht einzutreten. Die Studentische Körperschaft der Universität Basel (Beschwerdeführerin 5) ist gemäss § 21 des Gesetzes vom 8. November 1995 über die Universität Basel (Universitätsgesetz) eine öffentlich-rechtliche Körperschaft des kantonalen Rechts. Die staatsrechtliche Beschwerde ist ein Rechtsmittel zum Schutze der Träger verfassungsmässiger Rechte gegen Übergriffe der Staatsgewalt. Solche Rechte stehen grundsätzlich nur Privaten zu, nicht dagegen dem Gemeinwesen als Inhaber hoheitlicher Gewalt. Öffentlichrechtliche Körperschaften sind zur staatsrechtlichen Beschwerde legitimiert, wenn sie nicht hoheitlich auftreten, sondern durch einen staatlichen Akt wie eine Privatperson betroffen werden. Gemeinden und andere öffentlichrechtliche Körperschaften können sich zudem mit staatsrechtlicher Beschwerde gegen eine Verletzung ihrer durch das kantonale Recht gewährleisteten Autonomie oder Bestandesgarantie zur Wehr setzen ( BGE 121 I 218 E. 2a S. 220; 120 Ia 95 E. 1a S. 97; je mit Hinweisen). Die Beschwerdeführerin 5 ist durch den angefochtenen Erlass weder wie eine Privatperson noch in ihrer Autonomie, sondern höchstens in der Wahrnehmung ihrer öffentlichen Aufgaben betroffen und daher zur staatsrechtlichen Beschwerde nicht legitimiert. 3. a) Die Beschwerdeführer rügen eine Verletzung der Handels- und Gewerbefreiheit: Der Regierungsrat greife mit der angefochtenen Verordnung regulierend in den Ärztemarkt ein, was mit der Handels- und Gewerbefreiheit unvereinbar sei. Zudem werde dadurch die Berufswahlfreiheit verletzt, die nicht nur durch die Handels- und Gewerbefreiheit, sondern auch durch die persönliche Freiheit geschützt werde. b) Durch die angefochtene Verordnung wird entgegen der Ansicht der Beschwerdeführer nicht in einen freien Markt eingegriffen, sondern die Zulassung zu einem staatlichen Ausbildungsangebot geregelt. BGE 125 I 173 S. 176 Insoweit kann von einem freien Markt von vornherein nicht die Rede sein. c) Das Bundesgericht hat sich bisher wiederholt mit der Problematik von Zulassungsbeschränkungen zu staatlichen Bildungseinrichtungen befasst. Es hat dabei weder aus der Handels- und Gewerbefreiheit noch aus der persönlichen Freiheit einen verfassungsrechtlichen Anspruch auf freien Zugang zu einem Universitätsstudium abgeleitet ( BGE 121 I 22 E. 2 S. 24 f., mit Hinweisen). Auch aus dem Entwurf für eine neue Bundesverfassung ergibt sich kein derartiger Anspruch: Gewährleistet ist bloss der Anspruch auf ausreichenden und unentgeltlichen Grundschulunterricht (Art. 19 E-BV), während die berufliche Aus- und Weiterbildung nicht als einklagbares verfassungsmässiges Recht, sondern als ein vom Gesetzgeber zu konkretisierendes Sozialziel genannt ist (Art. 41 Abs. 1 lit. f E-BV). Das gilt insbesondere für universitäre Ausbildungen: Die Kantone sind von Bundesrechts wegen nicht verpflichtet, überhaupt Universitäten zu unterhalten; die Mehrheit der Kantone betreibt denn auch selber keine Universität. Umso weniger können die Kantone verpflichtet sein, eine bestimmte Zahl von Studienplätzen anzubieten. Wie alle staatlichen Leistungen sind auch Studienplätze zwangsläufig ein beschränkt vorhandenes Gut. Verfassungsrechtlich besteht ein Anspruch auf eine willkürfreie und rechtsgleiche Regelung bei der Zulassung zu den vorhandenen Studienplätzen (vgl. BGE 117 Ib 387 E. 6d S. 395; BGE 103 Ia 394 E. 2b S. 399), aber kein Anspruch darauf, dass die Kantone jedem Studienwilligen den gewünschten Studienplatz zur Verfügung stellen. 4. a) Unabhängig davon, ob ein Eingriff in ein spezielles Grundrecht vorliegt, ergibt sich aus dem Grundsatz der Gewaltentrennung, dass wichtige bildungs- und hochschulpolitische Entscheide wie die Einführung von Zulassungsbeschränkungen zumindest in den Grundzügen auf der Stufe des formellen Gesetzes getroffen werden müssen ( BGE 121 I 22 E. 4a S. 27; BGE 104 Ia 305 E. 3c S. 311; BGE 103 Ia 369 E. 7d/dd S. 390 f., 394 E. 3b/bb S. 404; ZBl 88/1987 S. 459, E. 3c; PETER SALADIN/MARTIN AUBERT, Zulassungsbeschränkungen an schweizerischen Hochschulen, ZSR Beiheft 17, S. 153-214, 186). b) Die angefochtene Verordnung hat eine gesetzliche Grundlage in § 23 des Universitätsgesetzes. Diese Bestimmung lautet: «7. Zulassungsbeschränkungen § 23. Der Regierungsrat kann, soweit und solange dies mit Rücksicht auf ein ordnungsgemässes Studium oder auf die durch die Möglichkeiten des Kantons bedingte Aufnahmefähigkeit der Universität erforderlich ist, BGE 125 I 173 S. 177 für bestimmte Fakultäten oder Lehrgebiete die Zulassung zur Immatrikulation sowie die Dauer derselben beschränken. 2 Voraussetzung hiefür sind die Anhörung des Universitätsrates, des Rektorats, der betroffenen Fakultät, der Regenz und der Planungskommission. 3 Die Ausführungsbestimmungen werden nach Anhörung des Universitätsrates, des Rektorats und der Regenz durch den Regierungsrat erlassen.» Zulassungsbeschränkungen sind somit - anders als im Falle von BGE 121 I 22 - im formellen Gesetz ausdrücklich vorgesehen. Die Beschwerdeführer rügen jedoch, § 23 des Universitätsgesetzes sei keine genügend bestimmte gesetzliche Grundlage für eine Zulassungsbeschränkung, da er weder die Art der Selektion noch deren Folgen erwähne und nichts über die Zuständigkeit hinsichtlich der Durchführung des Numerus clausus aussage. Insbesondere bedürfe die Übertragung der Testdurchführung an die Schweizerische Hochschulkonferenz einer gesetzlichen Grundlage. c) Das Bundesgericht hat bereits in BGE 103 Ia 369 den § 34a des alten basel-städtischen Universitätsgesetzes, der in den massgebenden Teilen praktisch gleich lautete wie § 23 des neuen Gesetzes, als genügende gesetzliche Grundlage für die Einführung von Zulassungsbeschränkungen bezeichnet. Zur Frage der Zulassungskriterien hat es damals ausgeführt, das Fehlen jeglicher Kriterien auf Gesetzesstufe sei zwar verfassungsrechtlich bedenklich, da mehrere Kriterien möglich seien; doch dürften die Anforderungen, die sich aus dem demokratischen Prinzip ergeben, nicht überspannt werden, zumal das Gesetz jederzeit vom Grossen Rat oder auf dem Weg der Volksinitiative geändert werden könne; die zu treffende Lösung hange von einer Vielzahl tatsächlicher Umstände ab und sei zudem zwischen den verschiedenen Hochschulen, dem Bund und den Nichtuniversitätskantonen zu koordinieren; die Schaffung einer in Bezug auf die Auswahlkriterien unbestimmten Delegationsnorm erscheine im Hinblick auf die Erleichterung der Koordination geradezu als wünschenswert. Die in § 34a des alten Universitätsgesetzes enthaltene Regelung wurde daher als genügend bestimmt beurteilt ( BGE 103 Ia 369 E. 7d S. 387 ff.). d) Diese Überlegungen sind weiterhin gültig. Die Beschwerdeführer bringen nichts vor, was zu einer anderen Beurteilung führen könnte. Im Gegenteil beauftragt heute Art. 13 des Bundesgesetzes vom 22. März 1991 über die Hochschulförderung (HFG; SR 414.20) ausdrücklich die Schweizerische Hochschulkonferenz mit Koordinationsaufgaben, insbesondere in Bezug auf die Zulassungsvoraussetzungen BGE 125 I 173 S. 178 (Abs. 3 lit. a). Das Bedürfnis nach einer Koordination zwischen den kantonalen Hochschulen ist somit auf der Stufe eines formellen Bundesgesetzes verankert. Umso mehr lässt es sich rechtfertigen, auf eine Festlegung der Zulassungskriterien in den kantonalen Gesetzen zu verzichten, würde doch dadurch eine Koordination wesentlich erschwert. e) Aus den gleichen Überlegungen ist auch nicht zu beanstanden, dass die Verordnung die Durchführung der Tests an die Schweizerische Hochschulkonferenz delegiert. Diese ist nicht eine private Organisation, bei welcher erhöhte Anforderungen an die Übertragung staatlicher Aufgaben zu stellen wären, sondern ein vom formellen Bundesgesetzgeber ( Art. 13 HFG ) eingesetztes öffentliches Organ. 6. a) Die Beschwerdeführer rügen eine Verletzung der Rechtsgleichheit, indem die Zulassungsbeschränkung nur für die medizinische Fakultät, nicht aber für andere Disziplinen und zudem nur an den Deutschschweizer Universitäten, nicht jedoch in der Westschweiz eingeführt worden sei. Zudem sei die Chancengleichheit verletzt, weil Studierende, die es sich finanziell leisten könnten, in der Lage seien, vorbereitende Kurse zu besuchen. b) Ein Erlass verletzt den Grundsatz der Rechtsgleichheit und damit Art. 4 Abs. 1 BV , wenn er rechtliche Unterscheidungen trifft, für die ein vernünftiger Grund in den zu regelnden Verhältnissen nicht ersichtlich ist, oder Unterscheidungen unterlässt, die sich aufgrund der Verhältnisse aufdrängen. Die Rechtsgleichheit ist verletzt, wenn Gleiches nicht nach Massgabe seiner Gleichheit gleich oder Ungleiches nicht nach Massgabe seiner Ungleichheit ungleich behandelt wird. Vorausgesetzt ist, dass sich der unbegründete Unterschied oder die unbegründete Gleichstellung auf eine wesentliche Tatsache bezieht. Die Frage, ob für eine rechtliche Unterscheidung ein vernünftiger Grund in den zu regelnden Verhältnissen ersichtlich ist, kann zu verschiedenen Zeiten verschieden beantwortet werden je nach den herrschenden Anschauungen und Zeitverhältnissen. Dem Gesetzgeber bleibt im Rahmen dieser Grundsätze und des Willkürverbots ein weiter Spielraum der Gestaltungsfreiheit ( BGE 123 I 1 E. 6a S. 7; BGE 121 I 102 E. 4a S. 104; je mit Hinweisen). c) Das Medizinstudium setzt für eine gründliche Ausbildung der Studierenden eine aufwendige Infrastruktur voraus. Gerichtsnotorisch ist die Ausbildung eines Medizinstudenten wesentlich teurer als diejenige in anderen Studienrichtungen (vgl. auch BGE 120 Ia 1 E. 3f S. 5). Die Ausbildungskapazität kann deshalb weniger gut als in anderen Fächern erhöht werden, wenn - wie das nach den unbestrittenen BGE 125 I 173 S. 179 Angaben des Regierungsrates der Fall ist - die Zahl der Studienwilligen die vorhandenen Kapazitäten übersteigt. Das sind sachlich haltbare Gründe, welche es rechtfertigen, die Zulassungsbeschränkung nur in der Medizin vorzusehen. d) Unbegründet ist die Rüge, die Rechtsgleichheit sei verletzt, weil in der Westschweiz keine Zulassungsbeschränkungen eingeführt worden seien. Die Rechtsgleichheit bezieht sich nur auf den Zuständigkeitsbereich ein und derselben Behörde bzw. Gebietskörperschaft ( BGE 121 I 49 E. 3c S. 51). Aus der föderalistischen Staatsstruktur der Schweiz ergibt sich, dass die Kantone in ihrem Zuständigkeitsbereich auch unterschiedliche Regelungen treffen können ( BGE 122 I 44 E. 3b/cc S. 47; BGE 120 Ia 126 E. 6c S. 145). Wenn einige Kantone Zulassungsbeschränkungen für ihre Universitäten eingeführt haben, während andere darauf verzichten, so kann darin keine Verletzung der Rechtsgleichheit liegen. e) Dass allenfalls mit dem Besuch kostspieliger Vorbereitungskurse die Wahrscheinlichkeit für ein erfolgreiches Bestehen des Tests erhöht werden mag, kann für sich allein jedenfalls nicht zu einer Verletzung der Rechtsgleichheit führen. Denn dies trifft grundsätzlich für jede Prüfung zu. 9. Die Beschwerdeführer beantragen eventualiter die Aufhebung von § 9 der angefochtenen Verordnung, weil die dort festgelegte Gebühr von Fr. 200.-- für die Durchführung des Eignungstests keine gesetzliche Grundlage habe. a) Nach der Rechtsprechung des Bundesgerichts bedürfen öffentliche Abgaben der Grundlage in einem formellen Gesetz. Delegiert das Gesetz die Kompetenz zur rechtssatzmässigen Festlegung einer Abgabe an den Verordnungsgeber, so muss es zumindest den Kreis der Abgabepflichtigen, den Gegenstand und die Bemessungsgrundlagen selber festlegen ( BGE 124 I 247 E. 3 S. 249, mit Hinweisen). Diese Anforderungen können, was die Vorgaben über die Abgabenbemessung betrifft, für gewisse Arten von Kausalabgaben gelockert werden, wenn das Mass der Abgabe durch überprüfbare verfassungsrechtliche Prinzipien (Kostendeckungs- und Äquivalenzprinzip) begrenzt wird ( BGE 124 I 11 E. 6a S. 19; BGE 123 I 248 E. 2 S. 249, 254 E. 2a S. 255; je mit Hinweisen). Eine solche Lockerung ist jedoch nur möglich, wenn aus dem formellen Gesetz hervorgeht, dass eine kostendeckende Gebührenbemessung dem Zweck und Charakter der Abgabe entspricht ( BGE 123 I 254 E. 2b/aa S. 256, mit Hinweisen). b) Eine Ausnahme vom Erfordernis der formellgesetzlichen Grundlage gilt für Kanzleigebühren. Darunter sind Abgaben für einfache BGE 125 I 173 S. 180 Tätigkeiten der Verwaltung zu verstehen, die ohne besonderen Prüfungs- und Kontrollaufwand erbracht werden und sich in ihrer Höhe in einem bescheidenen Rahmen halten ( BGE 112 Ia 39 E. 2a S. 44; BGE 107 Ia 29 E. 2c S. 32; ULRICH HÄFELIN/GEORG MÜLLER, Grundriss des Allgemeinen Verwaltungsrechts, 3. Aufl., Zürich 1998, S. 537 Rz. 2100; MAX IMBODEN/RENÉ A. RHINOW, Schweizerische Verwaltungsrechtsprechung, 5. Aufl., Basel 1976, Nr. 110.B.II S. 778 und Nr. 113.B.I S. 798). Die vorliegend streitige Gebühr kann jedoch nicht als blosse Kanzleigebühr betrachtet werden. Zum Einen erscheint die Höhe von Fr. 200.-- kaum als «bescheiden», zumal für Studienanfänger, welche typischerweise kein oder nur ein geringes Einkommen haben. Sodann handelt es sich bei der Durchführung des Eignungstests nicht um eine einfache, routinemässige Tätigkeit, sondern um eine eingehendere Prüfung, die nicht mehr unter den Begriff der Kanzleitätigkeit fällt (vgl. BGE 93 I 632 E. 3 S. 635). Die dafür erhobene Gebühr bedarf somit einer Grundlage in einem formellen Gesetz. c) Der Regierungsrat räumt ein, dass das Universitätsgesetz keine Grundlage für die fragliche Gebühr enthält. Er macht jedoch geltend, die verfassungsrechtlichen Prinzipien der Kostendeckung und der Äquivalenz seien vorliegend eingehalten, so dass die Bemessung der Abgabe an die Exekutive delegiert werden dürfe. Indessen vermögen die genannten Prinzipien nur die Anforderungen an die gesetzliche Festlegung der Abgabenbemessung zu lockern, aber nicht eine formell-gesetzliche Grundlage völlig zu ersetzen ( BGE 123 I 254 E. 2b/aa S. 255). Das gilt insbesondere für Universitätsgebühren, weil hier der Staat seit je darauf verzichtet hat, auch nur entfernt kostendeckende Gebühren zu verlangen; eine Abweichung von dieser bisher verfolgten Politik ist ein wesentlicher bildungspolitischer Entscheid, der vom formellen Gesetzgeber zu treffen ist ( BGE 123 I 254 E. 2b/bb S. 256; BGE 120 Ia 1 E. 3f S. 6). d) Subsidiär erblickt der Regierungsrat eine gesetzliche Grundlage im Gesetz vom 9. März 1972 über die Verwaltungsgebühren. Dessen § 1 Abs. 1 und § 4 lauten: «Verwaltungsgebühren, Benützungsgebühren § 1. Die Verwaltungsbehörden des Kantons und der Gemeinden erheben für Tätigkeiten, die sie in Erfüllung ihrer Aufgaben vornehmen, sowie für die Erteilung von Bewilligungen und Konzessionen und für die Benützung öffentlicher Einrichtungen Gebühren nach den Bemessungsgrundsätzen in den §§ 2 und 3. BGE 125 I 173 S. 181 Gebührenrahmen oder Tarife § 4. Die Gebührenrahmen oder Tarife werden durch den Regierungsrat oder die obersten Exekutivbehörden der Gemeinden nach den Grundsätzen der §§ 2 und 3 auf dem Verordnungswege festgelegt.» Das Bundesgericht hat in BGE 123 I 248 ein kantonales Gesetz, welches eine ähnlich lautende Formulierung enthielt («Die Behörden können für ihre Amtshandlungen den Beteiligten Kosten auferlegen») als zu unbestimmt beurteilt, um als Grundlage für die Erhebung einer Verwaltungsgebühr dienen zu können, da der Begriff der gebührenpflichtigen Handlung zu weit gefasst und auch nicht durch eine untergesetzliche rechtssatzmässige Regelung konkretisiert sei. Im Unterschied zu jenem Fall besteht vorliegend zwar eine klare und eindeutige rechtssatzmässige Konkretisierung auf Verordnungsstufe. Es fragt sich jedoch, ob dafür die formellgesetzliche Grundlage ausreicht. e) Das Bundesgericht hat in BGE 104 Ia 113 entschieden, dass § 39 des alten basel-städtischen Universitätsgesetzes sowie subsidiär § 1 des genannten Gesetzes über die Verwaltungsgebühren eine genügende gesetzliche Grundlage für die Erhebung von Kollegiengeldern darstelle. Massgebend dafür war, dass die Kollegiengelder seit Jahrhunderten in real annähernd unveränderter Höhe erhoben worden waren und sich der Regierungsrat bei der Festlegung der Gebühr in einem weitgehenden Masse als durch die bisherige Übung gebunden betrachtete ( BGE 104 Ia 113 E. 4c S. 118). Das Element einer langandauernden Übung, welche in einem gewissen Sinne eine formellgesetzliche Regelung zu ersetzen vermag, wurde auch in der seitherigen Rechtsprechung des Bundesgerichts namentlich im Zusammenhang mit Universitätsgebühren betont ( BGE 123 I 254 E. 2f S. 258; BGE 121 I 273 E. 5a S. 277 f.; BGE 120 Ia 1 E. 3g S. 6 f.). Daran fehlt es vorliegend: Es gab bis vor Kurzem an den schweizerischen Universitäten keine Zulassungsbeschränkungen und demzufolge auch keine Eignungstests, so dass nicht gesagt werden kann, die Erhebung von Gebühren für diese Tests entspreche einer langen Übung. Hinzu kommt, dass das geltende Universitätsgesetz aus dem Jahre 1995 stammt, mithin aus einer Zeit, da - anders als beim Erlass des alten Universitätsgesetzes von 1937, welches BGE 104 Ia 113 zu Grunde lag - die neuere bundesgerichtliche Rechtsprechung zum Legalitätsprinzip im Abgaberecht bekannt war. Es wäre dem Gesetzgeber zumutbar gewesen, zumindest den Grundsatz einer Kostenbeteiligung im Gesetz zu verankern, wenn er dies beabsichtigt hätte.
public_law
nan
de
1,999
CH_BGE
CH_BGE_001
CH
Federation
70e186bc-7cdc-49e9-8cd7-c01f994f9ca7
Urteilskopf 121 II 454 59. Auszug aus dem Urteil der II. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 20. Dezember 1995 i.S. Schweizerische Genossenschaft für Schlachtvieh- und Fleischversorgung gegen SRG und Unabhängige Beschwerdeinstanz für Radio und Fernsehen (Verwaltungsgerichtsbeschwerde)
Regeste Art. 103 lit. c OG und Art. 63 Abs. 2 RTVG ; Zulässigkeit der Behördenbeschwerde der Schweizerischen Genossenschaft für Schlachtvieh- und Fleischversorgung. Der Entscheid der Unabhängigen Beschwerdeinstanz für Radio und Fernsehen, auf eine Beschwerde mangels Legitimation nicht einzutreten, ist mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde anfechtbar (E. 1). Der Begriff der Behörde in Art. 63 Abs. 2 RTVG ist weit zu verstehen; er umfasst auch Träger öffentlichrechtlicher Aufgaben ausserhalb der Verwaltung, denen hoheitliche Verfügungsbefugnisse zukommen (E. 2).
Sachverhalt ab Seite 455 BGE 121 II 454 S. 455 Das Fernsehen DRS strahlte unter dem Titel "Die Kinder von Magnitogorsk" am 27. Oktober 1994 in der Sendung "10 vor 10" einen Beitrag über Hilfslieferungen nach Osteuropa aus. Hiergegen gelangte die Schweizerische Genossenschaft für Schlachtvieh- und Fleischversorgung an die Unabhängige Beschwerdeinstanz für Radio und Fernsehen (im weitern: UBI bzw. Unabhängige Beschwerdeinstanz). Sie machte im wesentlichen geltend, sie habe im Rahmen der freiwilligen Überschussverwertung im Winter 1991/92 nach den Weisungen des Bundesamts für Landwirtschaft 500 Tonnen Fleisch in die Krisengebiete Osteuropas und dabei unter anderem auch 100 Tonnen nach Magnitogorsk verschenkt. Dieses Fleisch sei kontrolliert und durch einen Beamten des Eidgenössischen Veterinäramts begleitet worden. Gemäss dem beanstandeten Beitrag habe eine Beamtin des Sozialamts von Magnitogorsk jedoch erklärt, bis zu 25% des Fleischs sei ungeniessbar gewesen. Diese "abschätzige Beurteilung" sei in der Sendung unwidersprochen geblieben, was beim Zuschauer den falschen Eindruck erweckt habe, es sei ungeniessbare Ware verschenkt worden. Die Unabhängige Beschwerdeinstanz trat am 8. Februar 1995 auf die Beschwerde nicht ein, da nach dem Bundesgesetz vom 21. Juni 1991 über Radio und Fernsehen (Radio- und Fernsehgesetz, RTVG; SR 784.40) juristische Personen nicht beschwerdebefugt seien. Die Schweizerische Genossenschaft für Schlachtvieh- und Fleischversorgung hat hiergegen Verwaltungsgerichtsbeschwerde eingereicht, die das Bundesgericht gutheisst. Erwägungen Aus den Erwägungen: 1. a) Entscheide der Unabhängigen Beschwerdeinstanz für Radio und Fernsehen über Beschwerden betreffend die Verletzung von Programmbestimmungen des Radio- und Fernsehgesetzes, seiner Ausführungsbestimmungen oder der Konzession können mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde beim Bundesgericht angefochten werden ( Art. 65 Abs. 2 RTVG ). Die Beschwerdebefugnis richtet sich dabei ausschliesslich nach Art. 103 OG und ergibt sich nicht bereits aus der Beteiligung am Verfahren vor der Unabhängigen Beschwerdeinstanz ( BGE 121 II 359 E. 1a S. 361). BGE 121 II 454 S. 456 b) Die Beschwerdeführerin macht geltend, ihr sei durch den Nichteintretensentscheid das gemäss Art. 63 Abs. 2 RTVG gewährte Beschwerderecht der Behörden verweigert worden. Zu dieser Rüge ist sie berechtigt ( Art. 103 lit. c OG in Verbindung mit Art. 63 Abs. 2 RTVG ): Losgelöst vom Rechtsschutzinteresse in der Sache selber hat das Bundesgericht die Legitimation des von der Unabhängigen Beschwerdeinstanz ausgeschlossenen Beschwerdeführers bejaht, weil dieser ein schutzwürdiges Interesse an der Prüfung der Frage hat, ob ihm die Parteistellung zu Recht verweigert worden ist (unveröffentlichtes Urteil vom 12. Juli 1991 i.S. G. K., E. 2d). In BGE 114 Ib 202 E. 2a war dementsprechend zu prüfen, ob der Beschwerdeführerin vor der Unabhängigen Beschwerdeinstanz Parteistellung hätte zukommen sollen, weil sie von der Sendung in schutzwürdigen Interessen betroffen war. Schon vor Inkrafttreten des Bundesbeschlusses vom 7. Oktober 1983 über die Unabhängige Beschwerdeinstanz für Radio und Fernsehen (BB/UBI, AS 1984 153) hatte das Bundesgericht die Legitimation eines Beschwerdeführers bejaht, der geltend gemacht hatte, seine gegen die Schweizerische Radio- und Fernsehgesellschaft erhobene Beschwerde hätte richtigerweise als förmliche Verwaltungs- und nicht als Aufsichtsbeschwerde behandelt werden müssen ( BGE 104 Ib 242 E. 3). Auch die Frage, ob es sich bei einer Organisation um eine beschwerdebefugte Behörde im Sinne des Radio- und Fernsehgesetzes handelt und die Unabhängige Beschwerdeinstanz zu Unrecht auf ihre Eingabe nicht eingetreten ist, kann dem Bundesgericht mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde unterbreitet werden. Auf die frist- und formgerecht eingereichte Eingabe ist einzutreten. 2. a) Die Beschwerdeführerin geht zu Recht nicht davon aus, sie sei bereits als juristische Person zur Beschwerde an die Unabhängige Beschwerdeinstanz legitimiert. Nach Art. 14 lit. c BB/UBI waren neben Behörden zwar auch "Vereinigungen" beschwerdebefugt, die eine enge Beziehung zum Gegenstand einer oder mehrerer beanstandeter Sendungen nachwiesen. Dieses Beschwerderecht ist mit dem Radio- und Fernsehgesetz indessen dahingefallen (LEO SCHÜRMANN/PETER NOBEL, Medienrecht, 2. Aufl., Bern 1993, S. 204; zum alten Recht: MARTIN DUMERMUTH, Die Programmaufsicht bei Radio und Fernsehen in der Schweiz, Basel und Frankfurt a.M. 1992, S. 214 ff.). Nach dessen Art. 63 ist zur Beschwerde heute noch befugt, wer im Beanstandungsverfahren vor der Ombudsstelle beteiligt war, mindestens 18 Jahre alt ist, über das Schweizerbürgerrecht oder als Ausländer über eine Niederlassungs- oder Aufenthaltsbewilligung verfügt und entweder eine BGE 121 II 454 S. 457 Beschwerde einreicht, die von mindestens weiteren 20 Personen unterzeichnet ist, die ebenfalls legitimiert wären, wenn sie selber an die Ombudsstelle gelangt wären (Abs. 1 lit. a), oder aber eine enge Beziehung zum Gegenstand einer oder mehrerer Sendungen nachweist (Abs. 1 lit. b). Diese Regelung ist auf natürliche Personen zugeschnitten. Daneben sind alle Behörden beschwerdeberechtigt, soweit sie in ihrem Tätigkeitsbereich betroffen sind, sowie - voraussetzungslos - das Eidgenössische Verkehrs- und Energiewirtschaftsdepartement ( Art. 63 Abs. 2 RTVG ). b) aa) Der Begriff der Behörde hat keinen festen Inhalt. Es werden darunter regelmässig die Organe des Gemeinwesens verstanden, welche die Staats- und Verwaltungsorganisation gegen aussen repräsentieren (so FRITZ GYGI, Verwaltungsrecht, Bern 1986, S. 65). Neben den gesetzgebenden und gerichtlichen Staatsorganen fallen darunter primär die Repräsentanten der Zentralverwaltung, doch kann der Begriff auch andere Verwaltungsträger erfassen. Bei einer formalen Betrachtungsweise gelten jene Instanzen als Behörden, die hoheitlich zu verfügen befugt sind (THOMAS FLEINER-GERSTER, Grundzüge des allgemeinen und schweizerischen Verwaltungsrechts, 2. Aufl., Zürich 1980, S. 449). In diesem Sinne werden - auf Bundesebene - in Art. 1 Abs. 2 lit. e VwVG auch Organisationen ausserhalb der Bundesverwaltung als Behörden bezeichnet, soweit sie in Erfüllung ihnen übertragener öffentlichrechtlicher Aufgaben des Bundes verfügen. Auch der Behördenbegriff in Art. 103 lit. c OG ist nicht auf die Träger der Zentralverwaltung beschränkt. So hat das Bundesgericht beispielsweise die Beschwerdebefugnis des Zentralverbands Schweizerischer Milchproduzenten, der öffentliche Aufgaben auf dem Gebiet der Konsummilchversorgung versieht, aber privatrechtlich organisiert ist, nach dieser Bestimmung und nicht nach dem auf Private zugeschnittenen Art. 103 lit. a OG beurteilt ( BGE 113 Ib 363 E. 1 S. 364, BGE 112 Ib 128 E. 2a S. 130). bb) Dementsprechend ist der Begriff der Behörde in Art. 63 Abs. 2 RTVG ebenfalls weit zu fassen (MARTIN DUMERMUTH, a.a.O., S. 215; vgl. auch FRITZ GYGI, Bundesverwaltungsrechtspflege, 2. Aufl., Bern 1983, S. 173). Es besteht keine Veranlassung, ausserhalb der Verwaltung stehende Träger öffentlichrechtlicher Aufgaben davon auszunehmen. Der Gesetzgeber wollte mit der Beschwerdemöglichkeit an die Unabhängige Beschwerdeinstanz dem Gemeinwesen bzw. dessen Organen ein Mittel in die Hand geben, sich gegen BGE 121 II 454 S. 458 unsachliche Berichterstattungen in Radio und Fernsehen zu wehren, die der Erfüllung der ihnen obliegenden öffentlichen Aufgaben abträglich sein könnten (vgl. FRITZ GYGI, Bundesverwaltungsrechtspflege, S. 173). Überträgt das Gemeinwesen öffentliche Aufgaben an Organisationen ausserhalb der Verwaltung, steht deshalb auch diesen die Befugnis zu, Sendungen, die den ihnen übertragenen Bereich betreffen, im öffentlichen Interesse zu beanstanden. c) Die beschwerdeführende Schweizerische Genossenschaft für Schlachtvieh- und Fleischversorgung wird in der Doktrin teils als privatrechtliche Genossenschaft gemäss Art. 828 ff. OR bezeichnet (LEO SCHÜRMANN, Wirtschaftsverwaltungsrecht, 3. Aufl., Bern 1994, S. 210; eher skeptisch FRITZ GYGI, Verwaltungsrecht, S. 58), teils als Genossenschaft des öffentlichen Rechts (ANDRÉ GRISEL, Traité de droit administratif, Neuenburg 1984, Bd. I, S. 279). Wie es sich damit verhält, kann dahingestellt bleiben: Die Beschwerdeführerin wirkt auf jeden Fall gemäss Art. 93 Abs. 1 der Verordnung vom 22. März 1989 über den Schlachtviehmarkt und die Fleischversorgung (Schlachtviehverordnung, SV; SR 916.341) als gemeinsame Dachorganisation der an der Schlachtvieh- und Fleischversorgung interessierten Kreise beim Vollzug dieser Verordnung mit und erfüllt insoweit öffentliche Aufgaben (vgl. Art. 94 SV ). Sie hat mit ihren Mitgliedern insbesondere die Marktabräumung und die Überschussverwertung zu organisieren (Art. 94 Abs. 1 lit. d in Verbindung mit Art. 63 und Art. 64 ff. SV ). Die Geschäfts- und Rechnungsführung für ihre öffentlichen Aufgaben steht unter der Aufsicht des Bundesrats, dem sie ihre Statuten zur Genehmigung zu unterbreiten hat; die Verantwortlichkeit ihrer Organe und ihres Personals richtet sich nach dem Verantwortlichkeitsgesetz ( Art. 96 SV ). Im Rahmen der ihr übertragenen Aufgaben kann die Beschwerdeführerin schliesslich auch Verfügungen erlassen (vgl. Art. 98 Abs. 2 SV ). Sind ihr somit öffentliche Aufgaben übertragen und kommen ihr hierbei hoheitliche Befugnisse zu, ist sie eine Behörde im Sinne von Art. 63 Abs. 2 RTVG . Da sie durch den beanstandeten Beitrag, in dem über eine von ihr durchgeführte Massnahme im Bereich der Fleischverwertung berichtet wurde, überdies unbestrittenermassen in ihrem (öffentlichen) Tätigkeitsbereich betroffen ist, hätte ihr die Vorinstanz die Beschwerdeberechtigung nicht absprechen dürfen. Die Verwaltungsgerichtsbeschwerde ist somit gutzuheissen, der angefochtene Entscheid aufzuheben und die Sache zur materiellen Beurteilung an die Vorinstanz zurückzuweisen.
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Urteilskopf 94 II 96 14. Auszug aus dem Urteil der I. Zivilabteilung vom 28. Mai 1968 i.S. Erben des Hermann Alfred Roth gegen Erben des Werner Roth
Regeste Eine Eigentumsübertragung im Sinne des Art. 657 ZGB findet dann nicht statt, wenn ein Gesamthandverhältnis durch ein anderes ersetzt wird und die Beteiligten nicht wechseln. Daher genügt eine schriftliche Erklärung der Gesamthänder, um die Berichtigung des Grundbuches zu erwirken.
Sachverhalt ab Seite 96 BGE 94 II 96 S. 96 A.- Werner Roth und Hermann Alfred Roth gründeten im Jahre 1929 die Kollektivgesellschaft Roth & Co. Thusis und betrieben unter dieser Firma eine Papeterie, eine Buchdruckerei und einen Verlag. Im Jahre 1964 kamen sie überein, dass BGE 94 II 96 S. 97 Hermann Roth aus der Gesellschaft ausscheide und abgefunden werde,Werner Roth dagegen das Geschäft in eine zu gründende Aktiengesellschaft einbringe. Die Liegenschaft Kat. Nr. 312 in Thusis sollte von der Liquidation ausgenommen werden und weiterhin den Gesellschaftern verbleiben. Diese trafen am 30. Juli 1964 folgende Vereinbarung: "1. Als Kollektivgesellschafter der Firma Roth & Co. Thusis beschliessen die Partner, die sich im Eigentum der obengenannten Firma befindende Liegenschaft an der Hauptstrasse Nr. 86 in Thusis auf den Namen der beiden Vertragspartner zu übertragen. ... 5. Als Miteigentümer der Liegenschaft Nr. 86 an der Hauptstrasse in Thusis ist Hermann Roth-Delnon bereit, den beiliegenden Mietvertrag zu unterzeichnen. ..." Nach dem Abschluss dieser Vereinbarung wurden die Firma Roth AG und die Liquidation der Kollektivgesellschaft Roth & Co. zur Eintragung in das Handelsregister angemeldet. In der Folge lehnte es Hermann Roth ab, die Löschungserklärung mitzuunterzeichnen. Da seines Erachtens die Abfindungssumme zu tief angesetzt worden war, widerrief er die Vereinbarung vom 30. Juli 1964. Zudem machte er geltend, der Vertrag hätte der öffentlichen Beurkundung bedurft, da darin über ein Grundstück verfügt werden sollte. B.- In der Folge klagten die Erben des inzwischen verstorbenen Werner Roth beim Bezirksgericht Heinzenberg gegen Hermann Roth mit folgenden Anträgen: "1. a) Es sei gerichtlich festzustellen, dass die Firma Roth & Co. durch Vereinbarung vom 30. 7. 1964 aufgelöst und gemäss dieser Vereinbarung liquidiert worden ist. b) Gerichtliche Anweisung an das Handelsregisteramt des Kantons Graubünden, die Firma Roth & Co. im Handelsregister zu löschen. c) Gerichtliche Anweisung an das Grundbuchamt Thusis, die Liegenschaft Nr. 86 an der Hauptstrasse in Thusis als Gesamteigentum der Kläger einerseits und des Beklagten andererseits einzutragen. 2. Eventuell: a) Gerichtliche Feststellung, dass durch die Vereinbarung vom 30. Juli 1964 die Auflösung der Firma Roth & Co. beschlossen wurde. b) Gerichtliche Durchführung der Liquidation und Löschung der Firma im Handelsregister. BGE 94 II 96 S. 98 3. Subeventuell: a) Gerichtliche Feststellung, dass die Firma Roth & Co. durch den am 22. August 1965 erfolgten Tod des Gesellschafters Werner Roth-Studer sel. aufgelöst worden ist. b) Gerichtliche Durchführung der Liquidation und Löschung der Firma im Handelsregister." Das Bezirksgericht Heinzenberg schützte am 16. März 1967 die Klage und stellte fest, dass die Kollektivgesellschaft Roth & Co. aufgelöst und liquidiert sei; ferner verfügte es die Löschung dieser Firma im Handelsregister und ordnete die Eintragung der Liegenschaft Kat. Nr. 312 als Miteigentum von Werner und Hermann Roth an. Gegen dieses Urteil appellierten die Erben des inzwischen ebenfalls verstorbenen Hermann Roth an das Kantonsgericht Graubünden. Dieses bestätigte am 16. November 1967 das angefochtene Urteil mit der Änderung, dass die Eintragung der Liegenschaft nicht zu Miteigentum, sondern zu Gesamteigentum erfolgen müsse. C.- Gegen dieses Urteil haben die Beklagten die Berufung an das Bundesgericht erklärt. Sie beantragen, das angefochtene Urteil aufzuheben und die Klage abzuweisen, ferner festzustellen, dass in der Vereinbarung vom 30. Juli 1964 Miteigentum begründet worden sei, und diese Vereinbarung ungültig zu erklären. Das Bundesgericht weist die Berufung ab. Erwägungen Aus den Erwägungen: Die Beklagten verzichten im Berufungsverfahren auf die Geltendmachung von Willensmängeln. Sie beschränken sich auf den im kantonalen Verfahren erhobenen Einwand, die Liquidations- vereinbarung vom 30. Juli 1964 sei formungültig, weil die darin vorgesehene Übertragung des Eigentums an der Liegenschaft in Thusis hätte öffentlich beurkundet werden müssen. a) Zunächst fragt sich, ob an der streitigen Liegenschaft Miteigentum oder Gesamteigentum der beiden Vertragspartner begründet werden sollte. Grundlage für die Beurteilung dieser Frage ist zunächst die Liquidationsvereinbarung vom 30. Juli 1964. Massgebend für ihre Auslegung ist nicht die unrichtige Bezeichnung oder Ausdrucksweise, sondern der Inhalt, den die Parteien entweder übereinstimmend wirklich wollten ( Art. 18 OR ) oder nach den BGE 94 II 96 S. 99 Umständen und den ausgetauschten Willensäusserungen auf Grund der sogenannten Vertrauenstheorie als vereinbart erachten durften. Ziff. 1 der Vereinbarung sagt nur, dass die im Eigentum der Firma Roth & Co. stehende Liegenschaft auf die beiden Vertragspartner zu übertragen sei; dagegen spricht Ziff. 5 verdeutlichend davon, dass Hermann Roth als. "Miteigentümer" einen Mietvertrag über die Liegenschaft abschliessen werde. Dieser Rechtsbegriff darf, auch wenn die Parteien seine Bedeutung nicht notwendigerweise im juristischtechnischen Sinne verstanden haben, nicht ohne weiteres ausser acht gelassen werden. Das Miteigentum ist die herkömmliche Form gemeinschaftlichen Eigentums, sofern nicht durch Gesetz oder Vertrag eine andere Ordnung Platz greift. Wenn daher die Parteien die Absicht hatten, die gesellschaftlichen Bindungen vollständig zu lösen, so konnte dieses Ziel durch Umwandlung des Gesamteigentums in Miteigentum erreicht werden. Die Vorinstanz stellt jedoch fest, die Parteien hätten die bestehenden Eigentumsverhältnisse an der Liegenschaft nicht ändern wollen. Das ergebe sich aus dem Brief von Dr. Wettstein, dem Rechtsvertreter Hermann Roths, vom 4. September 1964, der darauf hinweise, dass die Aufrechterhaltung des Gesamteigentums an der Liegenschaft unter den Parteien zu Schwierigkeiten Anlass geben könnte. Diese Auffassung werde von der Gegenpartei durch die Klage auf Eintragung von Gesamteigentum bestätigt. Zudem hätten die Gesellschafter nur eine teilweise Auflösung des durch die Kollektivgesellschaft begründeten Gesamthandverhältnisses angestrebt. Diese Feststellungen über den inneren Parteiwillen dürfen vom Bundesgericht im Berufungsverfahren nicht überprüft werden ( Art. 63 Abs. 2 OG ; BGE 88 II 34 Erw. 4; BGE 90 II 453 Erw. 1 und 498 Erw. 5). Demnach ist davon auszugehen, dass die Parteien beim Abschluss der Liquidationsvereinbarung das Gesamteigentum an der streitigen Liegenschaft aufrechterhalten wollten. Sie bildeten somit eine auf die Verwaltung und Bewirtschaftung der Liegenschaft beschränkte einfache Gesellschaft ( Art. 530 OR ). b) Zu prüfen ist, ob in der Übernahme der auf die Firma der Kollektivgesellschaft eingetragenen Liegenschaft durch eine aus den bisherigen Gesellschaftern gebildete einfache Gesellschaft eine Eigentumsübertragung zu erblicken sei, die der öffentlichen Beurkundung bedürfte ( Art. 657 ZGB ). BGE 94 II 96 S. 100 Im vorliegenden Fall wechselten weder die Rechtssubjekte noch änderte sich die Art ihres Eigentums. Die Vertragschliessenden ersetzten nur das der gesamthänderischen Berechtigung zugrundeliegende Rechtsverhältnis, indem sie die Kollektivgesellschaft durch eine einfache Gesellschaft ablösten. Aber auch diese Umgestaltung änderte wenig, gelten doch für das Rechtsverhältnis der Kollektivgesellschafter untereinander mangels anderer Abrede grundsätzlich die Vorschriften über die einfache Gesellschaft ( Art. 557 Abs. 2 OR ). Nach der Rechtsprechung liegt in einem solchen Falle eine Eigentumsübertragung nicht vor. In diesem Sinne lautet ein Entscheid des Bundesrates vom 10. August 1923, wo ein gleicher Tatbestand zu beurteilen war (vgl. SALIS/BURCKHARDT, Schweiz. Bundesrecht, 3. Bd. Nr. 1334 II). Der Bundesrat stellte sich damals auf den Standpunkt, die Umwandlung einer Kollektivgesellschaft in eine einfache Gesellschaft müsse im Grundbuch dadurch kenntlich gemacht werden, dass die Firma der Kollektivgesellschaft gelöscht werde und durch die Namen der Gesellschafter mit einem das Gemeinschaftsverhältnis angebenden Zusatz, z.B. "als Gesellschafter" eingetragen werde (Art. 31-33 der Grundbuchverordnung). Für diese Änderung bedürfe es aber keiner öffentlichen Urkunde, sondern es genüge eine schriftliche Erklärung der aus dem Eintrage berechtigten Personen, d.h. der bisherigen Kollektivgesellschafter ( Art. 61 Abs. 2 GBV ). Diese Betrachtungsweise wird in BGE 59 III 109 geteilt. In BGE 60 III 97 erachtete das Bundesgericht diese Auffassung als "diskutabel", da die Kollektivgesellschaft ein vom Vermögen der Gesellschafter ausgeschiedenes Sondervermögen habe ( Art. 559 OR ), das, soweit aus Grundstücken bestehend, im Grundbuch auf die Gesellschaftsfirma ohne irgendwelche Erwähnung der Namen der Gesellschafter einzutragen sei ( Art. 31 GBV ). Damit liess das Bundesgericht die Frage offen. Immerhin räumte es ein, dass auf Grund einer schriftlichen Erklärung der aus dem Eintrag Berechtigten die Berichtigung des Grundbuches mit der erforderlichen Bestimmtheit erfolgen könne. Auch nach der Lehre findet keine Eigentumsübertragung statt, wenn ein Gesamthandverhältnis durch ein anderes ersetzt wird und die Beteiligten nicht wechseln. Eine schriftliche Erklärung der Gesamthänder wird daher als genügend erachtet, um die Berichtigung des Grundbuches zu erwirken (vgl. MEIER- BGE 94 II 96 S. 101 HAYOZ, N. 46-49 zu Art. 652 und N. 66 zu Art. 657 ZGB ; HAAB, N. 32 zu Art. 652-654 ZGB ; SIEGWART, N. 68 zu Art. 530 OR ; LEMP, N. 87 zu Art. 215 ZGB ; ESCHER, N. 46 zu Art. 602 ZGB ). Die Auffassung der Vorinstanz, die Liquidationsvereinbarung vom 30. Juli 1964 sei ein hinreichender Ausweis für die grundbuchliche Berichtigung, verstösst somit nicht gegen Bundesrecht.
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Urteilskopf 110 III 87 24. Entscheid der Schuldbetreibungs- und Konkurskammer vom 1. Juni 1984 i.S. KIMA Treilerservice (Rekurs)
Regeste Sicherung des Massevermögens. 1. Das Konkursamt ist nicht befugt, Gegenstände, die im Besitze eines Dritten sind, der daran das Eigentum beansprucht, herbeiführen zu lassen oder dem Dritten zu verbieten, darüber zu verfügen (E. 1). 2. Die Konkurseröffnung ist der massgebliche Zeitpunkt, um zu bestimmen, wer an einer im Konkurs strittigen Sache den Gewahrsam hat (E. 2).
Sachverhalt ab Seite 87 BGE 110 III 87 S. 87 Über die Rytag AG Internationale Transporte wurde am 4. Juli 1983 der Konkurs eröffnet. Im Inventar der Konkursitin wurden unter anderem sieben Sattelschlepper, Baujahr 1983, der Marke "Kögel", die im Kanton Basel-Stadt unter den Nummern BS 10 668-10 674 immatrikuliert waren, aufgeführt. Diese Lastwagen waren der Rytag AG von der Firma Greyhound Financial & Leasing Corp. AG in Zug (kurz GAG) in Leasing gegeben worden. Als Standort wurde für sechs Lastwagen "Nord-Afrika" und für einen "D-Irschenberg, Unfall" vermerkt. Die GAG, die im Konkurs eine Forderung von Fr. 980'000.-- eingab, beanspruchte das Eigentum an den Lastwagen. Mit Zirkular vom 15. Dezember 1983 beantragte das Konkursamt Basel-Stadt in seiner Eigenschaft als Konkursverwalterin den Gläubigern, die sieben Lastwagen der GAG freizugeben. Dem Antrag wurde zugestimmt. Einzig die Firma KIMA Treilerservice, Bergen op Zoom, Niederlande, war nicht einverstanden und verlangte von der Konkursmasse die Abtretung der Rechte gegen die GAG. Am 1. Februar 1984 stellte das Konkursamt der KIMA eine entsprechende Abtretungsurkunde aus. Gleichentags teilte es der KIMA mit, dass die Konkursmasse nie den Gewahrsam über die sieben Lastwagen gehabt habe BGE 110 III 87 S. 88 und dass sie als Abtretungsgläubigerin deshalb in einem Prozess die Klägerrolle zu übernehmen habe. Mit Beschwerde vom 13. Februar 1984 stellte die KIMA folgende Begehren: "1. Das Konkursamt Basel-Stadt sei anzuweisen, in Anwendung von Art. IV der Übereinkunft zwischen der Schweizerischen Eidgenossenschaft und der Krone Württemberg betreffend die Konkursverhältnisse und gleiche Behandlung der beidseitigen Staatsangehörigen in Konkursfällen vom 12. Dezember 1825/13. Mai 1826, die sieben Auflieger "Kögel" (Inv. Nr. V 7) zu admassieren; 2. Das Konkursamt Basel-Stadt sei anzuweisen, der Dritteigentumsansprecherin, Fa. Greyhound Financial & Leasing Corporation AG, Zug, gemäss Art. 242 SchKG Frist zur Geltendmachung ihres Aussonderungsanspruches anzusetzen; 3. Das Konkursamt Basel-Stadt sei unabhängig davon anzuhalten, die Vorgänge um den Verbleib der erwähnten Auflieger abzuklären." Die Aufsichtsbehörde über das Betreibungs- und Konkursamt des Kantons Basel-Stadt wies die Beschwerde mit Entscheid vom 2. April 1984 ab. Mit Rekurs an die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer des Bundesgerichts wiederholt die KIMA ihre Rechtsbegehren an die Basler Aufsichtsbehörden mit der Ergänzung in Ziffer 3, dass das Konkursamt anzuweisen sei, "bei Feststellen strafrechtlich relevanter Tatbestände die Akten an die zuständigen Strafverfolgungsbehörden weiterzuleiten". Das Konkursamt und die GAG schliessen in ihren Vernehmlassungen auf Abweisung des Rekurses. Erwägungen Die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer zieht in Erwägung: 1. a) Die Rekurrentin macht zunächst eine Verletzung von Art. 221 SchKG geltend. Sie wirft dem Konkursamt vor, es habe die erforderlichen Massnahmen unterlassen, um den Ort ausfindig zu machen, wo sich die Lastwagen befanden. Es habe zudem unterlassen, sich um deren Rückführung in die Schweiz zu bemühen. Sie kritisiert auch, das Konkursamt habe das Strassenverkehrsamt nicht darauf aufmerksam gemacht, dass die Lastwagen zur Konkursmasse gehörten und dass deshalb das Konkursamt allein über die Fahrzeugausweise und Nummernschilder verfügen könne. Im weiteren hätte das Konkursamt beim Bekanntwerden, dass sich die Lastwagen auf dem Gebiete des ehemaligen Königreiches Württemberg befinden, diese durch die deutschen Behörden BGE 110 III 87 S. 89 aufgrund des Staatsvertrages von 1825 mit der Krone Württemberg beschlagnahmen lassen müssen. Sobald es erfahren habe, dass die GAG im Besitze der Fahrzeugausweise und der Nummernschilder sei, hätte es zudem von der GAG Auskunft über den Standort der Fahrzeuge verlangen und sich die Papiere herausgeben lassen müssen. Die Tatsache, dass die Rechte der Masse an die Rekurrentin abgetreten worden seien, ändere nichts an der grundsätzlichen Pflicht des Konkursamtes, die umstrittenen Fahrzeuge zu beschlagnahmen. b) Soweit die Rekurrentin dem Konkursamt vorwirft, es habe in der Vergangenheit nicht richtig gehandelt, ist ihr Rekurs unzulässig. Der Rekurs kann nur bezwecken, dem Konkursamt gemäss Art. 21 SchKG ausführbare Anweisungen zu erteilen, nicht jedoch, allfällige, in der Vergangenheit liegende Fehler des Konkursamtes feststellen zu lassen, um so einer eventuellen Verantwortlichkeitsklage eine bessere Ausgangslage zu verschaffen ( BGE 105 III 36 /37 mit Hinweisen). c) Im übrigen ist eine Verletzung von Art. 221 SchKG keineswegs erstellt. Diese Bestimmung weist das Konkursamt ganz allgemein an, die erforderlichen Massnahmen zur Erhaltung des Vermögens des Konkursiten zu ergreifen. Sie wird ergänzt und präzisiert durch Art. 223 SchKG , der bestimmt, welche konkreten Sicherungsmassnahmen das Konkursamt ergreifen soll ( BGE 99 III 16 E. 3; FRITZSCHE, Schuldbetreibungs- und Konkursrecht nach schweizerischem Recht, 2. Aufl., Bd. II, S. 109/110). Das Amt hat nun aber Gegenstände, die im Besitze eines Dritten sind, der daran das Eigentum beansprucht, nicht in Gewahrsam zu nehmen. Es ist auch nicht befugt, sie herbeiführen zu lassen oder dem Dritten zu verbieten, darüber zu verfügen. Im vorliegenden Fall befanden sich die strittigen Sattelschlepper nicht auf einer Liegenschaft der Konkursitin. Sie konnten daher weder in Gewahrsam genommen noch mit einem Siegel versehen werden. Vielmehr behauptete der einzige Verwaltungsrat der Konkursitin bei der Konkurseröffnung und Inventaraufnahme, er wisse nicht, wo sich die Lastwagen genau befänden und er könne die Lastwagenführer auch nicht erreichen. Die in Art. 223 SchKG vorgesehenen Massnahmen waren praktisch ausgeschlossen. Soweit der Verwalter der Konkursitin dem Konkursamt falsche Auskünfte erteilt haben sollte, wäre er gestützt auf die Art. 163, 169 und 323 Abs. 4 StGB strafrechtlich zu belangen. Nachdem jedoch das Konkursamt vergeblich die notwendigen Auskünfte zu erhalten BGE 110 III 87 S. 90 versucht hatte, war es ihm nicht möglich, irgendwelche Massnahmen über ihm unzugängliche Vermögenswerte zu ergreifen. 2. Die Rekurrentin rügt auch eine Verletzung von Art. 242 Abs. 2 SchKG und Art. 52 KOV , weil die Konkursverwaltung ihr die Klägerrolle im Prozess um die Herausgabe der Lastwagen übertragen habe. a) Art. 242 Abs. 2 SchKG ist nur anwendbar, wenn die Konkursmasse Gewahrsam über die Vermögenswerte hat, welche Gegenstand von Aussonderungsansprüchen bilden. Aus Art. 45 KOV , welcher die Anwendbarkeit der Art. 46 bis 54 KOV abgrenzt, ergibt sich ausdrücklich, dass diese Bestimmungen zur Anwendung gelangen, wenn sich die von einem Dritten zu Eigentum angesprochenen Sachen in der Verfügungsgewalt der Masse befinden. Hat die Masse die umstrittene Sache nicht in Gewahrsam, so obliegt es ihr oder ihrem Zessionar, gegen den gewahrsamhabenden Dritten auf Herausgabe der Sache zu klagen; dabei ist der Kläger an keine Frist gemäss SchKG gebunden ( BGE 99 III 15 mit Hinweisen). Unter Gewahrsam ist die ausschliessliche tatsächliche Verfügungsgewalt über die Sache zu verstehen ( BGE 93 III 102 /103, BGE 85 III 51 , 145, BGE 76 III 12 ). Diese Verfügungsgewalt ist auch massgebend für die Verteilung der Prozessrollen in einem Widerspruchsverfahren gemäss Art. 106 bis 109 SchKG ( BGE 87 III 12 mit Hinweisen, BGE 60 III 219 ). Die Betreibungsbehörden haben grundsätzlich nicht zu prüfen, ob die tatsächliche Verfügungsgewalt rechtens ist ( BGE 87 III 12 ). Falls der Dritte den Gewahrsam durch ein anfechtbares Rechtsgeschäft erworben hat, fällt nur der obligatorische Anspruch auf Rückübertragung in die Konkursmasse ( BGE 99 III 15 /16 mit Hinweisen). b) Im vorliegenden Fall steht fest, dass der Verwalter der Konkursitin im Zeitpunkt der Konkurseröffnung und Inventaraufnahme erklärt hat, er wisse nicht, wo sich die umstrittenen Lastwagen befänden. Die Vorinstanz hat diesbezüglich für das Bundesgericht verbindlich festgestellt, dass sich die Lastwagenfahrer seit dem 2. Juli 1983 nicht mehr als Angestellte der Rytag AG betrachteten. Es kann demnach nicht ernstlich behauptet werden, die Konkursitin habe den Besitz an den Lastwagen nicht verloren, weil sie nur wegen einer der Natur nach vorübergehenden Verhinderung den Gewahrsam nicht ausüben konnte ( Art. 921 ZGB ). Hätte sie die Fahrzeuge verloren oder wären sie ihr sonstwie gegen ihren Willen abhanden gekommen, hätte sie diese gemäss Art. 934 ZGB zurückverlangen können. BGE 110 III 87 S. 91 Das ist allerdings für die Frage, wer den Gewahrsam im massgebenden Zeitpunkt innehatte, unerheblich. Die Rekurrentin macht geltend, die Konkursitin habe am Tage der Konkurseröffnung den Gewahrsam über die Lastwagen gehabt, weil ein solcher sich aus den Fahrzeugausweisen ergebe. Den Akten ist zu entnehmen, dass die GAG am 24. Januar 1984 die Nummernschilder und die Fahrzeugausweise dem Basler Strassenverkehrsamt übergeben hat. Es geht aus den Akten nicht hervor, auf welchen Namen die Fahrzeugausweise ausgestellt waren. Auch ist nicht bekannt, von wem die GAG die Wagenpapiere und die Nummernschilder hatte. Angesichts der Vorschrift von Art. 81 VZV (SR 741.51) könnte vermutet werden, dass, falls die GAG die Annullierung der Fahrzeugausweise veranlasst hat, sie auch als Fahrzeughalterin aufgeführt war. Das mag jedoch dahingestellt bleiben, denn die frühere Rechtsprechung, wonach der im Fahrzeugausweis aufgeführte Halter automatisch den Gewahrsam am Fahrzeug innehabe ( BGE 60 III 219 , BGE 64 III 138 ), wurde später abgeschwächt ( BGE 80 III 28 , BGE 76 III 38 , BGE 67 III 144 ). Danach hat der in den Wagenpapieren aufgeführte Halter ungeachtet der Rechtslage jedenfalls dann keinen Gewahrsam mehr an seinem Fahrzeug, wenn dieses gestohlen wurde, verlorenging oder von ihm aufgegeben wurde. c) Die kantonale Aufsichtsbehörde ist davon ausgegangen, dass der Gewahrsam an den strittigen Lastwagen jedenfalls im Dezember 1983 an die GAG übergegangen war, als diese sie in eine Reparaturwerkstätte hatte führen lassen. Sie vertritt demnach die Meinung, dass die GAG die tatsächliche Verfügungsgewalt über die Lastwagen noch vor dem Entscheid der Konkursverwaltung über die Anerkennung der Eigentumsansprache hatte und dass die Gewährsverhältnisse in diesem Zeitpunkt massgebend seien. Sie beruft sich dabei auf BGE 24 I 723 und auf FRITZSCHE, a.a.O., Bd. II, S. 135. FAVRE (Droit des poursuites, S. 324, Ziff. 2, lit. A, b, beta) vertritt die gleiche Auffassung. Auch JAEGER (Bundesgesetz betreffend Schuldbetreibung und Konkurs, Bd. II, N. 3A zu Art. 242 SchKG ) meint, auf den Moment des Konkursausbruches komme es nicht an, vielmehr sei der Augenblick des Entscheides über den Aussonderungsanspruch massgebend. Immerhin meint dieser Autor, dass der Drittansprecher sich nicht auf eine durch ihn willkürlich herbeigeführte Veränderung des Gewahrsams nach der Konkurseröffnung berufen dürfe, genausowenig wie auf eine gemäss Art. 204 SchKG für die Konkursgläubiger ungültige Übertragung BGE 110 III 87 S. 92 des Gewahrsams durch den Kridar. PIGUET (Les contestations de droit matériel dans la poursuite pour dettes et la faillite, diss. Lausanne 1950, S. 125, N. 144) schreibt, für die Beantwortung der Frage, wer Gewahrsam an einer Sache habe, sei nicht der Zeitpunkt der Konkurseröffnung, sondern jener der Entscheidung über eine Drittansprache massgebend. Er meint jedoch, dass der Zeitpunkt der Konkurseröffnung vernünftiger wäre. GILLIÉRON (Cours de LP, S. 438) stellt fest, dass die Mehrheit der Lehre und das Bundesgericht die Meinung verträten, der massgebliche Zeitpunkt für die Bestimmung des Gewahrsams sei nicht die Konkurseröffnung, sondern jener, an dem die Konkursmasse sich entscheide, die Drittansprache zu bestreiten. Er fügt aber bei, dass die Masse in den meisten Fällen den Gewahrsam nur innehaben könne, wenn der Gemeinschuldner vor der Konkurseröffnung bereits die ausschliessliche Verfügungsgewalt gehabt habe. BRAND schliesslich (SJK, 1172, S. 3 N. 4) hält den Zeitpunkt der Konkurseröffnung als ausschlaggebend. Die Rechtsprechung hatte bisher keine Veranlassung, diese Frage wieder aufzugreifen. In BGE 85 III 144 hat das Bundesgericht geprüft, ob der Gewahrsam an einer von einem Dritten beanspruchten Sache im Zeitpunkt der Konkurseröffnung auf die Masse übergegangen sei, beziehungsweise, ob die ausgeschlagene Erbschaft Gewahrsam innehabe. Es hat in diesem Entscheid implizit anerkannt, dass der massgebliche Zeitpunkt für die Beurteilung, wer Gewahrsam habe, jener der Konkurseröffnung sei und nicht jener des Entscheides über die Drittansprache. In BGE 93 III 103 hat es erwogen, dass die tatsächliche Verfügungsgewalt über eine Sache bis zur Eröffnung des Konkurses dem Gemeinschuldner zukomme, nachher gehe sie auf die Konkursmasse über. Beim Streit um die Prozessrollenverteilung im Widerspruchsverfahren nach Art. 106 bis 109 SchKG hat sich die Rechtsprechung im Falle einer Drittansprache bei einer Pfändung ganz klar dafür ausgesprochen, dass sich der Gewahrsam nach dem Zeitpunkt der Pfändung bestimme ( BGE 80 III 115 mit Hinweisen). Gegebenenfalls müsse man auf einen früheren Zeitpunkt abstellen, nämlich auf den Zeitpunkt der Arrestierung, wenn die Pfändung infolge einer Arrestbetreibung erfolgt sei. Im Grunde komme es nur auf den Zeitpunkt an, in dem der Betriebene die tatsächliche Verfügungsgewalt über die Sache verliere, sei es aufgrund der Pfändung ( Art. 96 SchKG ), sei es aufgrund eines Arrestes ( Art. 275 SchKG , welcher für den Vollzug des Arrests auf die Vorschriften bei der BGE 110 III 87 S. 93 Pfändung verweist; BGE 76 III 89 /90). Diese Regel ist nunmehr sinngemäss auch beizuziehen, wenn es gilt, den massgeblichen Zeitpunkt des Gewahrsams an einer strittigen Sache im Konkurs zu bestimmen. Es kommt demnach auf den Zeitpunkt des Gewahrsams bei der Konkurseröffnung an (vgl. Art. 204 SchKG ). Diese Meinung vertritt im Ergebnis auch JAEGER (a.a.O., N. 3A in fine zu Art. 242 SchKG ). Die Rekurrentin macht daher zu Recht geltend, die Vorinstanz hätte nicht auf Umstände, die nach der Konkurseröffnung eingetreten sind, abstellen dürfen, um zu bestimmen, wer die tatsächliche Verfügungsgewalt über die strittigen Sattelschlepper hatte. Die unzutreffende Rechtsauffassung der Vorinstanz ändert allerdings im vorliegenden Fall nichts am Ergebnis; denn die Konkursitin hatte bereits im Zeitpunkt der Konkurseröffnung den Gewahrsam an den Lastwagen verloren. Da sie die Verfügungsgewalt im Sinne von Art. 45 KOV in diesem massgebenden Zeitpunkt nicht hatte, konnte sie die Konkursmasse von ihr auch nicht erwerben. 3. Aus dem Gesagten folgt, dass die Konkursverwaltung keine Schritte zu unternehmen hat, um die im Inventar aufgenommenen Lastwagen auch materiell in die Masse zurückzuholen. Es wird allenfalls Sache des mit der Klage auf Herausgabe der Lastwagen befassten Richters sein, entsprechend vorsorgliche Massnahmen zu ergreifen ( BGE 99 III 16 E. 3 mit Hinweisen). Ihm wird es auch obliegen, zu prüfen, welche Folgen der zwischen der Konkursitin und der GAG geschlossene Leasingvertrag in bezug auf das Eigentum an den Lastwagen hat. Das Rechtsbegehren 3 des Rekurses, das erstmals vor Bundesgericht gestellt wurde und deshalb unzulässig ist, wäre deshalb unbegründet, falls darauf eingetreten werden könnte. Dispositiv Demnach erkennt die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer: Der Rekurs wird abgewiesen, soweit darauf einzutreten ist.
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Urteilskopf 97 I 731 106. Extrait de l'arrêt du 22 novembre 1971 dans la cause Vigilance, Mouvement politique genevois, contre Société suisse de radiodiffusion et télévision et Département fédéral des transports et communications et de l'énergie.
Regeste Teilnahme einer politischen Bewegung an Fernsehsendungen betreffend eidgenössische Wahlen. Die Verfügung des Departements, welche den der Bewegung von der konzessionierten Gesellschaft erteilten abschlägigen Bescheid bestätigt, unterliegt der Verwaltungsgerichtsbeschwerde (Erw. 1). Das Verwaltungsgericht kann nur einschreiten, wenn die konzessionierte Gesellschaft das ihr in der Konzession eingeräumte Ermessenüberschritten oder missbraucht hat, was im vorliegenden Fall nicht zutrifft (Erw. 3).
Sachverhalt ab Seite 732 BGE 97 I 731 S. 732 Du 27 septembre au 28 octobre 1971, la "Société suisse de radiodiffusion et télévision" (SSR) a consacré des émissions aux dernières élections au Conseil national et au Conseil des Etats. Selon les directives qu'elle a établies le 23 août 1971, le droit de participer aux émissions de la "Radio- und Fernsehgesellschaft der deutschen und der rätoromanischen Schweiz" et de la "Société de radiodiffusion et de télévision de la Suisse romande" sur les élections proprement dites était accordé: 10 aux partis qui avaient formé un groupe aux Chambres fédérales pendant la législature de 1967 à 1971; 2o aux partis, groupements de partis et mouvements politiques qui déposaient, par région linguistique, une liste dans deux cantons au moins. En août 1971, l'association "Vigilance, Mouvement politique genevois" a demandé à la SSR de pouvoir participer aux émissions organisées durant la campagne électorale. Elle s'est heurtée à un refus, motif pris qu'elle ne présentait de candidats que dans le canton de Genève. Le 5 octobre 1971, le Département fédéral des transports et communications et de l'énergie a rejeté le recours que Vigilance lui avait adressé contre cette décision. Il informait en même temps la recourante de son droit de recourir au Conseil fédéral dans les 30 jours. Par le présent recours de droit administratif, Vigilance requiert le Tribunal fédéral d'annuler le prononcé départemental et d'inviter la SSR à faire une place à la recourante dans les émissions relatives aux élections fédérales. Subsidiairement, elle conclut au renvoi de l'affaire. Le Département des transports et communications et de l'énergie propose le rejet du recours. Tout en contestant la compétence du Tribunal fédéral, la SSR considère le recours comme mal fondé. BGE 97 I 731 S. 733 Le Conseil fédéral ayant été également saisi d'un recours, le Département fédéral de justice et police a engagé un échange de vues avec le Tribunal fédéral. Il exprime l'avis que la cause ressortit à l'autorité judiciaire. Le Tribunal fédéral admet sa compétence et rejette le recours. Erwägungen Considérant en droit: 1. La décision attaquée se fonde sur la concession accordée le 27 octobre 1964 par le Conseil fédéral à la SSR, soit sur un texte qui confie une tâche de droit public à une organisation indépendante de l'administration; tranchant un cas d'espèce, elle rejette une demande qui tend à l'attribution d'un droit; dès lors, elle répond à la définition de l'art. 5 al. 1 LPA, ce qui implique qu'en principe, elle est sujette au recours de droit administratif en vertu de l'art. 97 al. 1 OJ. De plus, elle émane d'un département fédéral, c'est-à-dire qu'elle est soumise à la même voie de droit d'après l'art. 98 lit. b OJ. Enfin, elle ne tombe pas sous le coup des dispositions qui excluent le recours de droit administratif; notamment, si l'art. 99 lit. d OJ soustrait à ce moyen l'octroi ou le refus d'une concession à laquelle la législation fédérale ne confère pas un droit, il ne vise pas les mesures prises dans l'exercice d'une concession, tel le refus de mettre les installations du concessionnaire à la disposition de tiers. Aussi, toutes les conditions de recevabilité du recours de droit administratif étant remplies, le Tribunal fédéral doit-il entrer en matière sur le présent recours. Point n'est besoin d'examiner si le Département des transports et communications et de l'énergie a statué en tant qu'autorité de surveillance ou à un autre titre; la question de recevabilité se résout uniquement suivant les dispositions précitées, d'où résulte une réponse affirmative. Il est en outre indifférent qu'aux termes de l'art. 30 al. 4 de la concession du 27 octobre 1964, le droit de recourir contre les décisions des organes de la SSR, des sociétés régionales et des sociétés-membres soit réglé par les statuts et règlements de la concessionnaire; quelles que soient les prescriptions statutaires et réglementaires en vigueur, elles cèdent le pas devant les dispositions revisées de la loi fédérale d'organisation judiciaire. 2. Conformément à l'art. 103 lit. a OJ, la recourante a qualité pour agir. D'une part, elle est touchée par le refus que lui oppose la décision attaquée. D'autre part, elle a un intérêt BGE 97 I 731 S. 734 digne de protection à l'annulation ou à la modification de cette décision. Sans doute, les élections au Conseil national ayant déjà eu lieu, la recourante ne peut-elle plus participer aux émissions qui devaient les précéder; toutefois, il lui importe encore de savoir si ses droits ont été violés dans une situation où elle se retrouvera peut-être ultérieurement. Contrairement à l'avis du Département des transports et communications et de l'énergie, l'art. 13 al. 4 de la concession du 27 octobre 1964 ne fait pas obstacle en l'espèce à l'exercice du droit de recours. Certes, selon cette disposition, "nul n'a le droit d'exiger la diffusion, par la radiodiffusion sonore ou par la télévision, d'oeuvres ou d'idées déterminées, ni l'utilisation du matériel et des installations de la SSR". Néanmoins, rien n'empêche la recourante de se fonder sur d'autres clauses de la concession ou sur certaines règles juridiques pour invoquer la violation des droits qu'elle prétend. 3. En premier lieu, la recourante reproche au Département des transports et communications et de l'énergie d'avoir méconnu l'étendue des devoirs que l'art. 13 al. 1 de la concession impose à la SSR en ces termes: "Les programmes diffusés par la SSR doivent défendre et développer les valeurs culturelles du pays et contribuer à la formation spirituelle, morale, religieuse, civique et artistique. Ils doivent donner une information aussi objective, étendue et rapide que possible, et répondre au besoin de divertissement. Les programmes doivent servir l'intérêt du pays, renforcer l'union et la concorde nationales et contribuer à la compréhension internationale..." Fixant en termes généraux les buts assignés à la SSR, cette clause lui accorde un pouvoir d'appréciation au sens propre du terme. L'autorité judiciaire ne saurait se prononcer librement sur la manière dont la SSR s'acquitte de sa tâche. Sans se borner à faire preuve d'une simple retenue, elle n'interviendra qu'en cas d'excès ou d'abus du pouvoir d'appréciation. En adoptant le 23 août 1971 des directives en vue des émissions sur les élections fédérales, la SSR n'a pas dépassé le cadre de ses pouvoirs et ne les a pas exercés contrairement à leur but. En particulier, ce n'était pas compromettre la formation civique ni répandre des informations dépourvues d'objectivité que de réserver aux partis qui formaient un groupe à l'Assemblée fédérale et aux mouvements politiques qui présentaient des candidats dans plus d'un canton par région linguistique, le BGE 97 I 731 S. 735 droit de participer aux émissions. Les abonnés de la SSR appartenant à tous les milieux, il s'impose d'avoir égard, dans la composition des programmes, à la diversité des besoins qu'il s'agit de satisfaire. Aussi, même pendant les semaines qui précédaient les élections, se justifiait-il de limiter les émissions de nature politique pour continuer d'offrir d'autres émissions aux auditeurs ou aux spectateurs. Dès lors, une trentaine de groupements ayant déposé des listes de candidats au Conseil national, il était admissible de n'accorder qu'aux plus importants d'entre eux la faculté de prendre part aux émissions électorales. En outre, pour procéder à un choix opportun, il convenait de tenir compte que les émissions des sociétés de la Suisse allemande et de la Suisse française sont destinées aux habitants de plusieurs cantons. Dans ces conditions, il n'était pas déraisonnable de mettre les installations de la SSR, en Suisse allemande et en Suisse française, à la disposition exclusive des mouvements prévus dans les directives du 23 août 1971. Assurément, les critères utilisés sont contestables; peut-être même ne sont-ils pas les plus judicieux. Ils eussent pu exclure un grand mouvement dont les adhérents se recrutent dans un seul canton populeux, et profiter en revanche à un groupement moins nombreux, mais implanté dans deux petits cantons. Tel parti aurait pu être incité à déposer des listes dans deux cantons au moins à la seule fin de participer aux émissions. Ces considérations ne sont cependant pas décisives. Si discutables soientelles, les solutions adoptées n'étaient pas dépourvues de justification; à tout le moins, elles avaient l'avantage d'être facilement applicables. La SSR échappe donc au grief d'excès ou d'abus de pouvoir. A la vérité, la SSR aurait manqué à son devoir d'objectivité en ne faisant place qu'aux partis déjà représentés au Parlement. Ainsi, la jurisprudence allemande tient un tel monopole pour incompatible avec le principe de l'égalité des chances (Entscheidungen des Bundesverfassungsgerichts 14, 137; 24, 345; Deutsches Verwaltungsblatt 1971 p. 73 ss.). Toutefois, au lieu de prononcer une exclusive à l'égard des nouveaux partis, la SSR s'est mise à leur service à une condition que, dans les limites de son pouvoir d'examen, le Tribunal fédéral doit juger acceptable.
public_law
nan
fr
1,971
CH_BGE
CH_BGE_001
CH
Federation
70f6e388-de22-49be-9811-9e277bd22c6c
Urteilskopf 124 V 137 24. Arrêt du 30 avril 1998 dans la cause Caisse publique cantonale valaisanne de chômage contre G. et Commission cantonale de recours en matière de chômage, Sion
Regeste Art. 22 Abs. 1 AVIG ; Art. 34 AVIV : Berechnung des Zuschlages für Familienzulagen. Kognition des Eidg. Versicherungsgerichts bei der für die Bestimmung des in Art. 22 Abs. 1 AVIG vorgesehenen Zuschlages vorzunehmenden Auslegung kantonalen Rechts über Kinderzulagen.
Sachverhalt ab Seite 137 BGE 124 V 137 S. 137 A.- Née en 1958, G., qui assumait seule l'autorité parentale sur ses deux enfants, a bénéficié des prestations de l'assurance-chômage à partir du 1er avril 1995. Elle a déclaré dans sa demande d'indemnités qu'elle cherchait à exercer une activité à plein temps. Elle a trouvé un travail à 50% pour la période allant du 18 mai au 18 novembre 1995. Son engagement a passé à 70% dès le 1er septembre 1995, pour une durée indéterminée, selon contrat du 26 juillet. L'assurée a alors fait savoir à la Caisse publique cantonale valaisanne de chômage (ci-après: la caisse publique) qu'elle renonçait à toute indemnité de chômage à partir du 1er septembre 1995. Par décision du 12 octobre 1995, la caisse publique a communiqué à l'assurée que le paiement des allocations familiales ne lui incombait plus depuis le 18 mai mais était dorénavant du ressort de BGE 124 V 137 S. 138 l'employeur ou de sa caisse d'allocations familiales. De son côté, par décision du 30 octobre 1995, la Caisse interprofessionnelle valaisanne d'allocations familiales (ci-après: la CIVAF) - à laquelle étaient affiliés tant l'ancien que le nouvel employeur de G. - a signifié à l'assurée qu'il appartenait à la caisse publique de prendre en charge le 50% des allocations familiales du 18 mai au 31 août 1995. B.- G. a recouru seulement contre la décision de la caisse publique. La Commission cantonale valaisanne de recours en matière de chômage (ci-après: la commission) a admis le recours par jugement du 14 mars 1996. C.- Par mémoire du 5 juillet 1996, intitulé "Recours de droit public", la caisse publique a déféré ce jugement au Tribunal fédéral, en demandant son annulation et la confirmation de sa décision du 12 octobre 1995, sous suite de frais et dépens. Considérant que cette décision semblait être fondée principalement sur la loi fédérale sur l'assurance-chômage, et non pas exclusivement sur le droit cantonal, le Tribunal fédéral a transmis ce recours au Tribunal fédéral des assurances, qui l'a accepté, par lettre du 23 juillet 1996, comme objet de sa compétence, conformément à l' art. 96 al. 1 OJ . Par lettre du 6 août 1996, la commission a confirmé son interprétation du droit cantonal et a conclu au rejet du recours. Dans le cadre d'observations circonstanciées du 28 août 1996, la CIVAF s'est prononcée implicitement en faveur du rejet du recours. Telle est également, explicite, la position de l'assurée. L'Office fédéral du développement économique et de l'emploi n'a pas jugé utile de se déterminer sur le recours. Erwägungen Considérant en droit: 1. a) Selon l' art. 128 OJ , le Tribunal fédéral des assurances connaît en dernière instance des recours de droit administratif contre des décisions au sens des art. 97, 98 let. b à h et 98a OJ en matière d'assurances sociales. Quant à la notion de décision pouvant faire l'objet d'un recours de droit administratif, l' art. 97 OJ renvoie à l' art. 5 PA . Selon le premier alinéa de cette disposition, sont considérées comme décisions les mesures prises par les autorités dans des cas d'espèce, fondées sur le droit public fédéral (et qui remplissent par ailleurs certaines conditions relatives à leur objet). Il s'ensuit que le recours de droit administratif serait en principe irrecevable s'il avait trait uniquement au régime des allocations BGE 124 V 137 S. 139 familiales du droit cantonal ( ATF 119 V 68 consid. 2a, ATF 118 V 69 consid. 1b). b) Dans la mesure, toutefois, où le litige porte sur le point de savoir si l' art. 22 al. 1 LACI a été correctement appliqué par les premiers juges en lieu et place du droit cantonal, l'examen du recours incombe à la Cour de céans. 2. a) La simple erreur de droit commise dans l'application du droit cantonal ne constitue pas en tant que telle une violation du droit fédéral. Il n'y a violation du droit fédéral que si le droit cantonal est appliqué de manière arbitraire ( ATF 123 V 33 consid. 5c/cc et les références). b) Selon la jurisprudence, une décision est arbitraire et viole dès lors l' art. 4 al. 1 Cst. lorsqu'elle méconnaît gravement une règle de droit ou un principe juridique clair et indiscuté, ou qu'elle contredit de manière choquante le sentiment de l'équité. La violation incriminée doit être manifeste et reconnaissable d'emblée. Il n'y a pas arbitraire du seul fait qu'une solution autre que celle de l'autorité cantonale apparaît concevable ou même préférable. Enfin, une décision ne sera annulée que si elle est arbitraire dans son résultat, mais non lorsque seuls ses motifs sont insoutenables, ou encore qu'elle n'est pas motivée ( ATF 123 I 5 consid. 4a, ATF 122 I 66 consid. 3a, ATF 121 I 114 consid. 3a, ATF 120 Ia 373 consid. 3a). 3. Selon l' art. 22 al. 1 LACI , l'indemnité journalière pleine et entière s'élève à 80% du gain assuré. L'assuré touche en outre un supplément qui correspond au montant, calculé par jour, des allocations légales pour enfants et formation professionnelle auxquelles il aurait droit s'il avait un emploi. Le supplément n'est versé que dans la mesure où les allocations pour enfants ne sont pas servies durant la période du chômage. Aux termes de l' art. 34 al. 1 OACI , le supplément correspondant aux allocations légales pour enfants et formation professionnelle est calculé d'après la loi régissant les allocations familiales dans le canton où l'assuré est domicilié. La législation sur l'assurance-chômage prévoit donc que le droit aux allocations légales pour enfants et formation professionnelle est également reconnu en période de chômage. L'art. 6 al. 2 de la loi valaisanne sur les allocations familiales aux salariés et sur le fonds cantonal pour la famille du 20 mai 1949 (ci-après: LAFS) prévoit que: "Le droit à l'allocation naît en même temps que le droit au salaire. Il subsiste tant que le salaire est légalement dû ou BGE 124 V 137 S. 140 effectivement payé. Le droit aux allocations prescrites par la LAFS est maintenu pendant 360 jours lorsque l'interruption de travail est indépendante de la volonté du salarié. Il sera tenu compte des allocations versées par d'autres instances auprès desquelles les salariés sont obligatoirement assurés...". Le litige se résume ainsi au point de savoir qui de la caisse publique ou de la CIVAF - laquelle en a versé déjà la moitié - doit prendre en charge le 50% des allocations familiales de l'assurée, au chômage dans cette proportion, entre le 18 mai et le 31 août 1995. 4. a) La caisse publique est d'avis que l' art. 22 al. 1 LACI consacre le principe de la subsidiarité du paiement des allocations familiales par la caisse de chômage. Or, selon l'art. 9bis du règlement d'exécution de la loi valaisanne sur les allocations familiales aux salariés et sur le fonds cantonal pour la famille du 8 novembre 1949 (ci-après: RAFS), "les règles de fractionnement de l'allocation sont assouplies lorsqu'il s'agit de salariés responsables d'une famille monoparentale. L'allocation complète est due: - pour les salariés rémunérés au mois dès que l'activité atteint 50%; (...)". D'après la recourante, le législateur a donc "clairement posé une exception en faveur du salarié responsable d'une famille monoparentale, le désignant comme l'ayant droit à cette prestation sociale, pour peu qu'il soit au service d'un employeur affilié à la présente loi, qu'il en perçoive un salaire et qu'il exerce son activité professionnelle dans une proportion égale ou supérieure à 50%". G., qui était salariée au mois, dont l'activité atteignait 50% et qui était responsable d'une famille monoparentale, remplissait les conditions posées par cette disposition, de sorte que l'allocation complète lui est due par la CIVAF. b) De son côté, la CIVAF, dont le point de vue a été adopté par la commission, est d'avis que l'art. 9bis RAFS ne s'applique pas en l'espèce: G. n'était pas seulement salariée à 50%, mais également chômeuse dans la même proportion, son voeu étant alors d'exercer une activité à plein temps; elle a donc droit au supplément prévu par l' art. 22 al. 1 LACI , à charge de la caisse publique; en d'autres termes, "la caisse publique de chômage remplit toutes les conditions légales qui définissent l'employeur au sens de la législation de l'AVS et de la LAFS/RAFS, lorsqu'elle verse des indemnités journalières qui sont considérées comme un salaire, selon l' art. 22 al. 2 LACI ...". Enfin, l'art. 11 al. 3 RAFS prévoit que les indemnités versées par les caisses de chômage doivent être déduites du montant des BGE 124 V 137 S. 141 allocations dues par les caisses d'allocations familiales. c) A la requête de la commission, l'Office fédéral des assurances sociales s'est exprimé en procédure cantonale. Il est d'avis qu'il découle de l'art. 11 al. 1 et 3 RAFS "qu'en cas de chômage, il appartient en premier lieu aux caisses de chômage de verser les allocations pour enfants et de formation professionnelle". L'art. 9bis RAFS ne trouve pas application "puisqu'il est destiné à venir en aide aux chefs de famille monoparentale qui ne peuvent ou ne veulent travailler à 100% pour pouvoir s'occuper de leurs enfants". 5. a) Il y a lieu de se demander si la commission a, d'une part, violé la LACI et, d'autre part, appliqué le droit cantonal de façon arbitraire en considérant que les articles 6 LAFS/11 RAFS concernent essentiellement les salariés et, qu'en conséquence, en cas de chômage, il appartient en premier lieu aux caisses de chômage de verser les allocations familiales au regard de l' art. 22 al. 1 LACI . b) Le texte clair de l' art. 22 al. 1 LACI met le chômeur sur le même pied que le salarié en ce qui concerne les allocations pour enfants. Le supplément à l'indemnité journalière n'est toutefois versé que dans la mesure où ces prestations ne sont pas servies durant la période de chômage. c) La législation valaisanne sur les allocations familiales ne prévoit en principe pas, pour le chômeur qui n'exerce pas d'activité lucrative à temps partiel pendant les périodes de contrôle, un droit à de telles prestations. Ainsi, en cas de chômage à 100%, le supplément, calculé selon les normes valaisannes, sera versé par la caisse de chômage. De même, un assuré au chômage à 50%, qui n'est pas responsable d'une famille monoparentale, recevra de cet organe le 50% du supplément. d) Selon un arrêt récent du Tribunal fédéral, l' art. 22 al. 1 LACI ne concerne que les allocations familiales qui s'ajoutent aux indemnités de chômage et non pas celles, régies par le droit cantonal, qui sont versées en sus des gains intermédiaires réalisés par une personne au chômage. Cette disposition institue notamment une responsabilité subsidiaire de l'assurance-chômage par rapport aux cantons pour le versement de ces allocations (arrêt non publié M. du 10 juin 1997). e) Dans l'arrêt cité, au consid. 2d, le Tribunal fédéral a également jugé que les art. 6 al. 2 LAFS/11 al. 3 RAFS n'ont pas le même objet que l' art. 22 al. 1 LACI et ne contiennent dès lors aucune réglementation qui lui soit contraire. BGE 124 V 137 S. 142 f) Il n'apparaît pas que le jugement attaqué serait ou directement contraire au droit fédéral ou inopportun lorsqu'il considère que le droit aux allocations familiales de l'intimée, au chômage à raison de 50%, est régi, pour ce même pourcentage, par l' art. 22 al. 1 LACI , alors que les prestations litigieuses sont dues en vertu du droit cantonal en ce qui concerne l'activité professionnelle qu'elle exerce à 50%. En particulier, les art. 6 al. 2 LAFS/11 RAFS imposent à la CIVAF l'obligation légale de payer les allocations familiales, sous déduction des montants versés par la caisse publique durant le chômage. Au-delà de la distinction qu'elles opèrent entre les tâches respectives des organes de l'assurance-chômage (la caisse publique) et ceux du régime cantonal des allocations familiales (la CIVAF), ces dispositions tendent à éviter que les assurés ne perçoivent un montant d'allocations supérieur au maximum légal, par le biais, par exemple, de l'assouplissement des règles de fractionnement de la prestation prévu par le droit cantonal pour les familles monoparentales (art. 9bis RAFS). Les art. 6 al. 2 LAFS/11 RAFS ne sauraient dès lors être interprétés dans le sens d'un principe de subsidiarité du paiement des allocations familiales par la caisse publique à des assurés qui se trouveraient au chômage. Accepter ce point de vue reviendrait à vider l' art. 22 al. 1 LACI d'une partie de sa substance. Cette interprétation ne contredit pas la jurisprudence du Tribunal fédéral évoquée aux consid. 5d et 5e ci-dessus, en ce sens que, pour l'activité dont G. tire un gain intermédiaire, les allocations familiales sont allouées en vertu du droit cantonal, les prestations prévues par la LACI n'étant versées qu'en relation avec les périodes de chômage de l'assurée correspondant, à l'époque considérée, à 50% de son temps. Il y a dès lors lieu de distinguer, en ce qui concerne le droit aux allocations familiales, entre les périodes d'activité et de chômage, auxquelles s'appliquent des réglementations différentes, indépendamment du rythme d'alternance des unes et des autres (journalier, bihebdomadaire, sporadique, etc.). 6. Il reste à examiner si les premiers juges ont violé le droit fédéral en appliquant de façon arbitraire les règles du droit cantonal relatives aux prétentions des salariés responsables d'une famille monoparentale. Il convient d'interpréter l'art. 9bis RAFS susmentionné, dont le texte même, à première vue, paraît donner raison à la caisse publique. L'argumentation de la CIVAF doit pourtant l'emporter: dans le contexte d'une loi cantonale qui ne prévoit en principe pas, ainsi qu'on l'a vu, le versement d'allocations pour enfants en cas de chômage, il y a lieu de considérer que l'intimée, BGE 124 V 137 S. 143 durant la période litigieuse, était non seulement salariée à 50%, mais encore en situation de chômage dans la même proportion. L'assimilation des indemnités de chômage au salaire, admise par la Cour de céans en diverses occasions (cf. VSI 1996 p. 135, RCC 1990 p. 456 consid. 3), trouve tout son sens en l'occurrence: G., en définitive, est dans la même situation que si elle avait deux emplois à 50%. Ce n'est pas l'hypothèse qui est visée par l'art. 9bis RAFS, qui répond à un souci de politique sociale: cette disposition s'adresse à ceux qui n'ont pour tout revenu que celui résultant d'une activité (ou d'un chômage), à 50% au moins. Sur le vu de ce qui précède, le jugement cantonal n'est contraire au droit fédéral ni par l'application directe de ce droit, ni par l'application arbitraire du droit cantonal. Le recours doit ainsi être rejeté.
null
nan
fr
1,998
CH_BGE
CH_BGE_007
CH
Federation
70fd7f4c-b3d4-441f-b328-c038e6bbad86
Urteilskopf 118 IV 148 28. Urteil des Kassationshofes vom 8. April 1992 i.S. V. gegen Staatsanwaltschaft des Kantons Solothurn (Nichtigkeitsbeschwerde).
Regeste Art. 140 Ziff. 1 Abs. 1 StGB . Begriff der Aneignung. Aneignung setzt voraus, dass der Täter einerseits den Willen auf dauernde Enteignung des Eigentümers und anderseits den Willen auf zumindest vorübergehende Zueignung der Sache an sich selbst hat. Dieser Wille muss sich nach aussen manifestieren.
Sachverhalt ab Seite 149 BGE 118 IV 148 S. 149 A.- Am 25. Mai 1983 schloss V. einen Abzahlungsvertrag über einen Mercedes 280 SE, Jahrgang 1975, ab. Der vereinbarte Eigentumsvorbehalt wurde am 3. Juni 1983 in das Eigentumsvorbehaltsregister des Betreibungsamtes Bern eingetragen. Im Dokument betreffend den Abzahlungsvertrag wurden das Eigentum am Fahrzeug und die Kaufpreisforderung an die Bank A. übertragen. Die erste Monatsrate von Fr. 437.10 wurde am 30. Juni 1983 fällig. Gemäss dem Schreiben der Bank vom 4. April 1984 schuldete V. zu diesem Zeitpunkt der Bank auf den Gesamtkredit von Fr. 10'490.40 noch den Betrag von Fr. 8'886.60. V. blieb den ausstehenden Betrag weiterhin schuldig. Somit wurden nur knapp 4 Monatsraten bezahlt. Diese Raten zahlte die Kommanditgesellschaft B., obwohl V. den Abzahlungsvertrag in seinem eigenen Namen abgeschlossen hatte und er auch der Halter des Fahrzeugs war. Über die Firma B. wurde am 11. Januar 1984 der Konkurs eröffnet, der am 21. Februar 1984 mangels Aktiven eingestellt werden musste. V. verbrachte den Mercedes zu einem nicht genau bestimmten Zeitpunkt in die Türkei, wo dieser sich spätestens seit dem 11. Januar 1984 befindet. Es steht fest, dass V. den Wagen am 24. Mai 1984 in der Türkei benutzte. Am 31. Januar 1986 ist das Fahrzeug, das sich noch immer im Besitz von V. befand, vom türkischen Zoll beschlagnahmt worden. B.- Das Obergericht des Kantons Solothurn sprach V. mit Urteil vom 7./8./9. November 1990 der Veruntreuung gemäss Art. 140 Ziff. 1 Abs. 1 StGB schuldig und bestrafte ihn mit 4 Monaten Gefängnis, bedingt vollziehbar bei einer Probezeit von 2 Jahren. Die von der Bank A. gegen V. erhobene Zivilforderung im Betrag von Fr. 8'886.60 wurde der Gläubigerin zugesprochen. C.- Der Verurteilte führt eidgenössische Nichtigkeitsbeschwerde mit den Anträgen, der Schuldspruch wegen Veruntreuung und die Zusprechung der Zivilforderung sowie die Kostenauflage seien aufzuheben. Das Obergericht und die Staatsanwaltschaft des Kantons Solothurn haben auf Gegenbemerkungen verzichtet. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Das Obergericht des Kantons Solothurn erachtete den objektiven und den subjektiven Tatbestand der Veruntreuung gemäss Art. 140 Ziff. 1 Abs. 1 StGB im wesentlichen mit der folgenden Begründung als erfüllt. In objektiver Hinsicht habe der Beschwerdeführer BGE 118 IV 148 S. 150 das im Eigentum der Bank stehende Fahrzeug seit spätestens dem 11. Januar 1984 benützt, ohne sich nach dem Konkurs der B. weiter um die Ratenzahlungen zu kümmern; dies, obwohl er sich persönlich im Abzahlungsvertrag verpflichtet habe. Aus der Bemerkung des Verteidigers, dass das Fahrzeug in der Türkei zur Verfügung stehe, gehe hervor, dass es sich heute noch immer im Besitz des Beschwerdeführers befinde. Hinzu trete, dass der Beschwerdeführer den Wagen in die Türkei verbracht habe, was der Bank die Durchsetzung ihrer Eigentumsansprüche erschwert habe. Auch könne nicht ausser acht gelassen werden, dass er das Fahrzeug bis zum Zeitpunkt der Konkurseröffnung über die Firma B. normalerweise nicht in die Türkei mitgenommen habe. Aus all diesen Tatumständen ergebe sich, dass er das der Bank gehörende Fahrzeug sich angeeignet habe. Auch der Einwand des Verteidigers, dass sein Mandant das Auto habe zurückgeben wollen, dies jedoch durch die Verarrestierung des Wagens durch den türkischen Zoll verunmöglicht worden sei, begründe keinen Zweifel am Aneignungsvorsatz des Beschwerdeführers. Selbst wenn diesem angesichts des wegen anderer Vorwürfe in der Schweiz gegen ihn ausgestellten Haftbefehles nicht vorgehalten werden könne, dass er das Fahrzeug nicht persönlich in die Schweiz zurückgebracht habe, hätten doch andere Möglichkeiten der Regelung dieser Angelegenheit bestanden. Der Beschwerdeführer habe jedoch weder mit der Bank Kontakt aufgenommen bzw. die Raten bezahlt noch für die Rückführung des Fahrzeuges durch Dritte gesorgt. Dagegen wendet der Beschwerdeführer ein, es gehe aus den Akten hervor, dass er oft geschäftlich in die Türkei gereist sei. Er habe in der Folge auch den Mercedes mit in die Türkei genommen, ihn aber auch jeweils wieder zurück in die Schweiz gebracht. Auch als er sodann im Dezember 1983 wieder in die Türkei gereist sei, habe er den Mercedes mitgenommen. Anfang Februar 1984 sei er in der Schweiz zur Verhaftung ausgeschrieben worden, weshalb er es vorgezogen habe, vorläufig nicht mehr in die Schweiz zurückzukommen. Natürlich sei es ihm so auch nicht mehr zumutbar gewesen, den noch nicht abbezahlten Mercedes zurück in die Schweiz zu bringen. Die Qualifikation seines Verhaltens als Aneignungshandlung sei unrichtig. In diesem Sinne habe auch die Staatsanwaltschaft betreffend den Tatbestand der Veruntreuung klar auf Freispruch plädiert. Er habe mehrmals betont bzw. durch seinen Vertreter immer wieder und auch anlässlich der Hauptverhandlung geltend gemacht, dass er niemals die Absicht gehabt habe, den Mercedes zu behalten. BGE 118 IV 148 S. 151 Hätte er diese Absicht gehabt, hätte er den Wagen ja schon längst in der Türkei verkaufen können; dies sei jedoch nie seine Absicht gewesen. Die Vorinstanz unterscheide nicht zwischen den beiden Voraussetzungen der Aneignung, nämlich der Enteignung einerseits und der Zueignung anderseits. Zwar reiche eine vorübergehende Zueignung aus, doch müsse die Enteignung des bisherigen Eigentümers stets eine dauernde sein. Es sei ihm aber nicht nachgewiesen worden, dass er eine dauernde Enteignung gewollt haben könnte. Da der Mercedes in der Türkei zur Verfügung stehe, erübrige sich auch die zu Gunsten der Bank A. gutgeheissene Zivilforderung, welche nicht mehr begründet sei. Da er freizusprechen sei, sei über die Zivilforderung nicht zu entscheiden. 2. Nach Art. 140 Ziff. 1 Abs. 1 StGB macht sich strafbar, wer sich eine ihm anvertraute fremde, bewegliche Sache aneignet, um sich oder einen andern damit unrechtmässig zu bereichern. Es ist unbestritten, dass das Fahrzeug dem Beschwerdeführer aufgrund des Abzahlungsvertrages und des rechtsgültigen Eigentumsvorbehaltes als eine fremde, bewegliche Sache anvertraut war. Streitig ist indessen, ob die Vorinstanz das Tatbestandsmerkmal der Aneignung zu Recht bejahte. a) Aneignung bedeutet, dass der Täter die fremde Sache oder den Sachwert wirtschaftlich seinem eigenen Vermögen einverleibt ( BGE 104 IV 158 E. 1b), sei es, um sie zu behalten oder zu verbrauchen, sei es, um sie an einen andern zu veräussern ( BGE 85 IV 19 E. 2, BGE 114 IV 136 E. 2a), bzw. dass er wie ein Eigentümer über die Sache verfügt, ohne diese Eigenschaft zu haben ( BGE 95 IV 4 , auch BGE 81 IV 234 ). In der Lehre wird bei der Aneignung zwischen der negativen Seite der Enteignung und der positiven der Zueignung unterschieden. Der Täter muss einerseits einen Willen auf dauernde Enteignung des bisherigen Eigentümers und anderseits einen Willen auf mindestens vorübergehende Zueignung an ihn selbst, d.h. auf Verwendung der Sache zu seinen eigenen Zwecken, haben. Dabei genügt es aber nicht, dass der Täter den Aneignungswillen hat, er muss ihn vielmehr auch betätigen; denn strafbar ist niemals der Wille als solcher, sondern immer nur ein bestimmt geartetes Verhalten (STRATENWERTH, Schweizerisches Strafrecht, Bes. Teil I, § 8 N 20 ff., insbesondere N 35 und 36; REHBERG, Strafrecht III, 5. Aufl. 1990, S. 64; NOLL, Strafrecht, Bes. Teil, S. 147; NOLL, Der Einfluss von Kompensation und Retention bei den Delikten gegen das Eigentum, ZStrR 71/1956, S. 148 ff., 164; SCHUBARTH, Kommentar zum schweizerischen Strafrecht, Art. 137 N 80 ff., Art. 141 N 5 ff.; PETER DUERST, BGE 118 IV 148 S. 152 Der Begriff der Aneignung im Schweizerischen Strafgesetzbuch, Diss. Bern 1955, S. 21 ff.). Das Erfordernis, dass sich der Aneignungswille in einem bestimmten Verhalten manifestiere, ergibt sich schon aus dem Schuldprinzip (vgl. zur entsprechenden Problematik bei der Mordqualifikation BGE 117 IV 389 E. 17). Der Gedanke, dass sich die Tathandlung nach aussen manifestieren muss, wird auch deutlich aus deren Umschreibung im Tatbestand der Veruntreuung von Pfandsachen ( Art. 147 Abs. 1 StGB ). Wirtschaftlich gesehen stellt eine unter Eigentumsvorbehalt gekaufte Sache ein Pfand dar, das im Besitz des Schuldners bleibt (vgl. BGE 80 III 26 f.). b) Der Beschwerdeführer hat das Fahrzeug nach der Konkurseröffnung über die Firma B. weiter für seine eigenen Zwecke verwendet, ohne sich um die Ratenzahlungen zu kümmern. Mit Recht bestreitet er nicht, sich damit das Fahrzeug zumindest vorübergehend zugeeignet zu haben; er stellt aber seinen Willen auf dauernde Enteignung in Frage. Ob er den Willen manifestiert habe, den Mercedes der rechtmässigen Eigentümerin für dauernd zu enteignen, kann der Kassationshof mangels hinreichender tatsächlicher Feststellungen im angefochtenen Urteil nicht überprüfen. Die Vorinstanz trifft die von der Lehre zu Recht geforderte Unterscheidung zwischen der dauernden Enteignung einerseits und der vorübergehenden Zueignung anderseits nicht. Deshalb ist nicht klar, ob und aus welchen Umständen sie auf einen Willen auf dauernde Enteignung der rechtmässigen Eigentümerin geschlossen habe. Dabei kann zwar nicht gefordert werden, dass der Täter einen Akt vornimmt, aus dem sich unzweideutig - auch für jeden Dritten - der Aneignungswille im dargelegten Sinne ergibt. Erforderlich ist also nur, aber immerhin ein Verhalten, durch das der - vorhandene! - Aneignungswille manifestiert, eben betätigt wird (so STRATENWERTH, a.a.O., § 8 N 38 ). Der angefochtene Entscheid ist daher in Anwendung von Art. 277 BStP aufzuheben. Die Vorinstanz wird in ihrem neuen Entscheid darüber zu befinden haben, ob und aus welchen Tatumständen auf einen auf dauernde Enteignung der Eigentümerin gerichteten Willen des Beschwerdeführers zu schliessen ist. Sie wird dann auch die Zivilforderung neu zu beurteilen haben.
null
nan
de
1,992
CH_BGE
CH_BGE_006
CH
Federation
71030d30-7d7f-45ca-a037-e0042358faf0
Urteilskopf 139 II 346 25. Extrait de l'arrêt de la IIe Cour de droit public dans la cause X. Inc. contre Administration fédérale des contributions, Division principale de la taxe sur la valeur ajoutée (recours en matière de droit public) 2C_1100/2012 du 20 mai 2013
Regeste Art. 8, 10 und 45 MWSTG 2009; Ort der Dienstleistung; Mehrwertsteuerpflicht einer ausländischen Gesellschaft, welche auf Begegnungs-Websites via Internet Dienstleistungen erbringt. Bestimmung des Orts von Dienstleistungen ( Art. 8 Abs. 1 MWSTG ): Grundregel Empfängerortsprinzip (E. 6.3.1); Ausnahme des Erbringerortsprinzips für Dienstleistungen, die typischerweise unmittelbar gegenüber physisch anwesenden Personen erbracht werden ( Art. 8 Abs. 2 lit. a MWSTG ; E. 6.3.2 und 6.3.3). Keine Anwendung von Art. 8 Abs. 2 lit. a MWSTG auf Dienstleistungen, die ausschliesslich auf Begegnungs-Websites, und ohne dass eine physische Begegnung organisiert wird, angeboten werden (E. 6.3.4-6.4). Grundsatz der Steuerpflicht für Umsätze im Inland ( Art. 10 Abs. 1 MWSTG ), Ausnahme für Leistungen von Unternehmen mit Sitz im Ausland und Gegenausnahme für "elektronische Dienstleistungen" ( Art. 10 Abs. 2 lit. b MWSTG ; E. 7.1 und 7.2). Auslegung und Definition des letztgenannten Begriffs namentlich unter dem Gesichtswinkel des EU-Rechts (E. 7.3.1-7.3.5). Anwendung im konkreten Fall (E. 7.4 und 7.5).
Sachverhalt ab Seite 347 BGE 139 II 346 S. 347 A. La société X. Inc. (ci-après: la Société), dont le siège se trouve en Floride, Etats-Unis d'Amérique, exploite différents sites de rencontres sur internet. La majorité de ces sites permettent à leurs utilisateurs de se retrouver par pays ou par langue, ainsi que par centres d'intérêt (religion ou autres critères établis au moyen de questionnaires); quelques sites visent à établir des relations à caractère sexuel. Les rencontres ont lieu de manière virtuelle, les participants étant libres de se fixer rendez-vous par la suite. Les sites de la Société offrent plusieurs services à leurs utilisateurs, tels que la création de profils, l'inscription dans des répertoires et l'accès à des informations relatives à d'autres utilisateurs, la visite de boutiques en ligne ainsi que divers moyens de communiquer (forums de discussion, messagerie instantanée, webcam, blogs, "magazines"). Les sites prévoient plusieurs niveaux de participation, permettant d'accéder à des informations plus ou moins détaillées sur les autres utilisateurs. Le montant payé par les internautes dépend de la catégorie de membres à laquelle ils appartiennent, l'accès "de base" étant apparemment gratuit. BGE 139 II 346 S. 348 La Société semble disposer d'un service de contrôle occupant 350 personnes, dont certaines se trouveraient chez des sous-traitants, et ayant pour tâche de vérifier les profils d'utilisateur créés ou modifiés pour en écarter les éléments inappropriés. B. Le 29 janvier 2010, la Société a remis à l'Administration fédérale des contributions (ci-après: l'Administration fédérale) un questionnaire pour la détermination de l'assujettissement à la taxe sur la valeur ajoutée (ci-après: la TVA), indiquant que son activité avait débuté le 1 er janvier 2010 et qu'elle s'attendait à un chiffre d'affaires provenant de prestations de services fournies sur le territoire suisse durant les douze premiers mois de 3'960'000 fr. Le 8 février 2010, l'Administration fédérale a notamment invité la Société à désigner un représentant fiscal en Suisse et à fournir une caution, l'assujettissant implicitement à la TVA. A la demande de la Société, l'Administration fédérale a, par décision du 4 janvier 2011, confirmé l'immatriculation de celle-ci au registre des assujettis à la TVA avec effet au 1 er janvier 2010, et a exigé la nomination d'un représentant fiscal en Suisse ainsi que la fourniture de sûretés à hauteur de 230'000 fr. La Société ayant formé une contestation, l'Administration fédérale a confirmé, par décision sur réclamation du 2 mai 2011, sa décision du 4 janvier 2011. Par arrêt du 2 octobre 2012, le Tribunal administratif fédéral a rejeté le recours formé par la Société à l'encontre de la décision du 2 mai 2011. C. Contre l'arrêt du 2 octobre 2012, la Société forme un recours en matière de droit public au Tribunal fédéral. Elle conclut, sous suite de frais et dépens, à l'annulation de l'arrêt précité et à ce qu'il soit dit qu'elle n'est pas assujettie à la TVA, ne doit pas fournir de sûretés pour garantir les montants de la TVA ni ne doit nommer un représentant fiscal en Suisse. (...) Le Tribunal fédéral rejette le recours. (extrait) Erwägungen Extrait des considérants: 6. 6.1 Le lieu où la Société est réputée offrir ses prestations représente un critère essentiel en vue d'évaluer son assujettissement potentiel à la TVA suisse. En matière de services, les critères de rattachement sont prévus à l' art. 8 LTVA (RS 641.20), qui dispose: BGE 139 II 346 S. 349 1 Sous réserve de l'al. 2, le lieu de la prestation de services est le lieu où le destinataire a le siège de son activité économique ou l'établissement stable pour lequel la prestation de services est fournie ou, à défaut d'un tel siège ou d'un tel établissement, le lieu où il a son domicile ou le lieu où il séjourne habituellement. 2 Le lieu des prestations de services suivantes est: a. pour les prestations de services qui sont d'ordinaire fournies directement à des personnes physiques présentes, même si elles sont exceptionnellement fournies à distance: le lieu où le prestataire a le siège de son activité économique ou un établissement stable ou, à défaut, le lieu où il a son domicile ou à partir duquel il exerce son activité; font notamment partie de ces prestations de services: les traitements et thérapies, les soins de santé, les soins corporels, le conseil conjugal, familial et personnel, l'assistance sociale, l'aide sociale ou la protection de l'enfance et de la jeunesse (...). 6.2 Contrairement aux précédents juges dont elle critique l'interprétation prétendument trop restrictive, la recourante estime qu'en facilitant la rencontre de personnes physiques dans le monde réel, les prestations fournies par ses sites de rencontres devraient être qualifiées de prestations de services qui sont d'ordinaire prodiguées directement à des personnes physiques présentes. A ce titre, la recourante compare son activité aux prestations offertes par une agence de rencontres. En conséquence, le lieu de la prestation de services serait non pas celui du destinataire situé en Suisse, mais celui du siège de l'activité économique de la Société à l'étranger. Il convient partant de vérifier si, comme le prétend la recourante, l'exploitation de sites de rencontres sur internet tombe sous le coup du régime d'exception prévu par l'art. 8 al. 2 let. a précité ou si, tel que l'ont retenu les précédents juges, ladite activité relève de la clause générale de l' art. 8 al. 1 LTVA . 6.3 6.3.1 Selon la systématique de l' art. 8 LTVA , son al. 2 let. a (les autres lettres n'entrant pas en ligne de compte ici) déroge au principe général, prévu à l'al. 1, du lieu du destinataire ("Empfängerortsprinzip"; cf. FELIX GEIGER, in MWSTG Kommentar, 2012, n os 2 et 7 ad art. 8 LTVA p. 68 s.) au profit du critère du lieu du prestataire ("Erbringerortsprinzip"). Cette nouvelle réglementation constitue un changement de paradigmes par rapport à l'ancien droit, dans la mesure où l'art. 14 aLTVA avait érigé en principe le critère du lieu du prestataire des services et celui du lieu du destinataire en tant qu'exception (Message du 25 juin 2008 sur la simplification de la TVA, FF 2008 6277 6333 s. ad art. 8; ALOIS CAMENZIND ET AL., Handbuch BGE 139 II 346 S. 350 zum Mehrwertsteuergesetz [MWSTG], 3 e éd. 2012, p. 136 n. 259 et p. 142 ss; GEIGER, op. cit., n° 28 ad art. 8 LTVA p. 75 s.; MOLLARD/OBERSON/TISSOT BENEDETTO, Traité TVA, 2009, n° 34 ad art. 8 LTVA p. 1091). Il sied encore de dégager le sens de cette nouvelle clause dérogatoire figurant à l' art. 8 al. 2 let. a LTVA . 6.3.2 L' art. 8 al. 2 let. a LTVA vise, d'une part, les prestations de services qui ne peuvent être fournies sans la présence physique du destinataire (par exemple, une coupe de cheveux effectuée par un coiffeur) et, d'autre part, celles qui exigent, en principe, la présence du destinataire, même lorsqu'elles ne sont pas, dans un cas particulier, fournies sur place, par exemple la visite occasionnelle d'un médecin, agissant habituellement dans ses locaux, au domicile du patient (cf. FF 2008 6277, 6334 s.). L'expression "d'ordinaire" ("typischerweise"; "di norma") implique un traitement schématique des diverses situations de fait, de manière à ce que, pour des motifs liés à la sécurité juridique et à la clarté, les prestations de services de même teneur soient imposées au même endroit (cf. FF 2008 6277, 6334 s.). L'énumération des services figurant à l'art. 8 al. 2 let. a in fine LTVA, qui n'est pas exhaustive ("notamment"; FF 2008 6277, 6335; Info TVA 06 du 27 août 2010, Lieu de la fourniture de la prestation, partie III ch. 2.2 p. 48), contient de telles illustrations générales. De par le schématisme voulu par le législateur, ces dérogations expresses à la règle du lieu du destinataire des prestations de services ne doivent pas d'emblée s'interpréter restrictivement, mais en fonction des raisons qui se trouvent à l'origine de leur consécration dans la loi (cf. MOLLARD/OBERSON/TISSOT BENEDETTO, op. cit., n° 37 ad art. 8 LTVA p. 1092; ALOIS CAMENZIND, Der Ort von Dienstleistungen im Mehrwertsteuergesetz 2010, Archives 78 p. 714 ss, 726). 6.3.3 Il est admis (consid. 6.3.2 supra) que les prestations de services énoncées par l' art. 8 al. 2 let. a LTVA puissent être de facto fournies en un autre lieu qu'à l'endroit auquel le prestataire accomplit d'ordinaire son activité économique (déplacement du fournisseur au domicile du destinataire), voire à distance, en l'absence du destinataire (prestations par téléphone, internet, etc.). Toutefois, il ressort des termes légaux employés ("d'ordinaire"; "exceptionnellement"; "personnes physiques présentes") que cette entorse doit, dans l'activité considérée, demeurer l'exception ou, à tout le moins, rester accessoire par rapport à la manière habituelle dont les prestations BGE 139 II 346 S. 351 de services sont délivrées, à savoir en la présence physique du destinataire et du fournisseur. Partant, des prestations de services qui seraient uniquement ou de façon prépondérante fournies à distance ou hors du siège de l'activité économique ou de l'établissement stable du prestataire, ne sauraient, à peine d'inverser la systématique propre à l' art. 8 al. 2 let. a LTVA , être considérées en tant que "prestations de services qui sont d'ordinaire fournies directement à des personnes physiques présentes" (cf., dans ce sens, GEIGER, op. cit., n° 29 ad art. 8 LTVA p. 76). En d'autres termes, lorsqu'un type d'activité est, par nature et de façon prépondérante, accompli à distance (par exemple, la télémédecine), il ne peut être qualifié de "prestations de services qui sont d'ordinaire fournies directement à des personnes physiques présentes" (par exemple, la consultation au cabinet du médecin de famille), quand bien même le contenu de ces deux activités présenterait des similitudes marquées. En effet, l'entrée ou non d'une activité dans le champ d'application de l' art. 8 al. 2 let. a LTVA dépend du mode de fourniture habituel des prestations (entre personnes présentes ou à distance) et non pas de leur contenu. Contrairement à ce qu'affirme la recourante, le schématisme applicable à cette disposition ou l'interdiction d'appréhender d'emblée de façon restrictive les exceptions que celle-ci prévoit ne remettent pas en cause cette interprétation. Comme il a été vu, l'application de l' art. 8 al. 2 let. a LTVA est en effet subordonnée à la condition que la prestation de services considérée soit ordinairement fournie à des personnes physiques présentes, ce qui n'est à l'évidence pas le cas s'agissant d'un service qui serait, de par sa nature, en principe délivré à distance. Par ailleurs, opter pour une interprétation différente irait à l'encontre du texte de la loi et de la volonté du législateur fédéral de mieux maîtriser, en faisant coïncider le lieu de la prestation avec celui de sa consommation, l'augmentation des prestations de services immatérielles offertes à distance et d'éviter les cas de distorsion de la concurrence découlant d'une double ou non-imposition de ces dernières (cf. arrêt 2C_717/2010 du 21 avril 2011 consid. 6.5; CAMENZIND, op. cit., p. 713 s.; JANSEN/ROBINSON, Mehrwertsteuer im Onlinehandel aus Sicht des Bestimmungslandes in der EU, in Geschäftsplattform Internet III, Weber/Hilty/Auf der Maur [éd.],2002, p. 261 ss, 270; WERNER A. RÄBER, Die Mehrwertsteuer auf Telecom-Leistungen im grenzüberschreitenden Verhältnis, TREX 1998 p. 105; CHRISTINA RINNE, Die neuen Regeln über den Ort der Dienstleistung in der EU, TREX 2008 p. 276; REGINE SCHLUCKEBIER, BGE 139 II 346 S. 352 Union européenne: nouveaux principes d'imposition des prestations de services dès le 1 er janvier 2010, TREX 2009 p. 216 ss, 221; MANUEL R. V. VOGEL, Grenzüberschreitender Dienstleistungs- und Warenverkehr im Lichte der Mehrwertsteuer, 2003, p. 297; voir aussi Directive 2008/8/CE du Conseil du 12 février 2008 modifiant la Directive 2006/112/CE en ce qui concerne le lieu des prestations de services, JO L 44 du 20 février 2008 p. 11). 6.3.4 En l'espèce, et tels qu'ils sont décrits dans l'arrêt entrepris, les services proposés sur les sites de rencontres exploités par la recourante le sont exclusivement via internet. Pour qu'un utilisateur puisse bénéficier d'un service particulier, aucune rencontre physique entre ce dernier et un représentant du fournisseur n'est au demeurant requise ni envisagée. En outre, la question de savoir si, comme le prétend la recourante, les services en cause sont, de par leur contenu, susceptibles de présenter des similitudes avec les services fournis par un conseil conjugal, voire une agence de rencontres hors internet, souffre de rester ouverte, dès lors que les prestations offertes sur les sites de la Société ne sont, par définition, pas fournies à des personnes physiques présentes, au sens de l' art. 8 al. 2 let. a LTVA , puisqu'ils ont toujours lieu à distance, au moyen de l'internet. N'est en outre pas pertinente, dans la mesure où la disposition précitée s'intéresse aux rapports directs entre le fournisseur et le destinataire de la prestation de services et non à ceux entre les consommateurs, la question de savoir si les sites exploités par la Société sont ou non principalement axés sur une rencontre des utilisateurs dans le monde non virtuel. Il s'ensuit qu'on ne saurait qualifier ce genre de prestations fournies uniquement à distance de services qui sont d'ordinaire fournis directement à des personnes physiques présentes. 6.3.5 La jurisprudence de la Cour de Justice de l'Union européenne (arrêt du 3 septembre C-37/08 2009 RCI Europe contre Commissioners for Her Majesty's Revenue and Customs , Rec. 2009 I-7533 ss) que cite la recourante aux fins d'inviter le Tribunal fédéral à définir les services offerts via internet non pas en fonction de leur moyen de diffusion, mais sur la base de la prestation sous-jacente, en l'occurrence - selon la recourante - la mise en contact de personnes en vue de rencontres réelles, ne modifie pas l'interprétation juridique susvisée. L'arrêt en cause impliquait en effet des services consistant à favoriser l'échange de droits sur des biens immobiliers, que des dispositions spéciales localisent par défaut au lieu de BGE 139 II 346 S. 353 situation desdits immeubles (l'arrêt concernait l'art. 9 par. 2 let. a de la Sixième Directive 77/388/CEE du Conseil des Communautés européennes du 17 mai 1977 en matière d'harmonisation des législations des Etats membres relatives aux taxes sur le chiffre d'affaires - Système commun de taxe sur la valeur ajoutée: assiette uniforme, repris à l'art. 45 de la Directive 2006/112/CE du 28 novembre 2006, lui-même refondu à l'art. 47 de la version consolidée consultable sur le site http://europa.eu/legislation_summaries/taxation/I31057_ fr.htm ; cf. aussi art. 8 al. 2 let . f LTVA). A défaut de dispositions spéciales similaires s'agissant de sites de rencontres, aucun parallèle ne peut donc être tiré de cet arrêt. 6.4 Compte tenu des éléments qui précèdent, les prestations de services que la recourante offre via ses divers sites de rencontres sur internet ne tombent pas dans le champ de l' art. 8 al. 2 let. a LTVA . Par conséquent, la clause générale instaurée à l'al. 1 de cette disposition trouve à s'appliquer. Il en découle que les services considérés sont réputés situés au lieu de leurs destinataires, c'est-à-dire en Suisse. 7. Tel que l'a mentionné à raison le Tribunal administratif fédéral, le simple fait de fournir des prestations de services en Suisse ne suffit pas en soi à engendrer l'obligation de s'assujettir. Il faut donc de surcroît se reporter aux règles sur l'assujettissement qui sont énoncées à l' art. 10 LTVA . 7.1 Selon le principe général figurant à l' art. 10 al. 1 LTVA , est assujetti à l'impôt quiconque exploite une entreprise (...), à moins d'en être libéré en vertu de l'al. 2 de cette disposition. En vertu de la clause d'exception prévue à l'art. 10 al. 2 let. b in initio LTVA, est libéré de l'assujettissement visé à l'al. 1 quiconque exploite une entreprise ayant son siège à l'étranger lorsqu'il fournit exclusivement, sur le territoire suisse, des prestations soumises à l'impôt sur les acquisitions (art. 45 à 49 LTVA). Tel est en principe le cas des prestations de services d'entreprises qui ont leur siège à l'étranger et ne sont pas inscrites au registre des assujettis, si le lieu de la prestation se trouve sur le territoire suisse au sens de l' art. 8 al. 1 LTVA ( art. 45 al. 1 let. a LTVA ); dans une telle hypothèse, l'assujetti à l'impôt n'est pas le fournisseur mais, à certaines conditions, le destinataire se trouvant en Suisse ( art. 45 al. 2 LTVA ; cf. aussi, sous l'empire de l'ancien art. 18 OTVA de 1994, arrêt 2A.400/2001 du 9 avril 2002 consid. 2.3 s., in RDAF 2002 II p. 347). BGE 139 II 346 S. 354 7.2 A l'art. 10 al. 2 let. b in fine LTVA, le législateur a néanmoins introduit une contre-exception pour ce qui est des "services en matière d'informatique ou de télécommunications". A ce titre, celui qui exploite une entreprise ayant son siège à l'étranger et fournit sur le territoire suisse de telles prestations de services demeure assujetti à l'impôt grevant les opérations réalisées sur le territoire suisse. Bien que le Message du Conseil fédéral ne dise mot à ce sujet (cf. FF 2008 6277, 6376 ad art. 44), l'insertion des prestations en matière d'informatique aux côtés des prestations de services en matière de télécommunications peut néanmoins, en s'inspirant des motifs à la base de l' art. 25 al. 1 let . c aLTVA (cf. DENNER/RONCHI, Steuern und E-Commerce, in Internet-Recht und Electronic Commerce Law, Arter/Jörg [éd.], 2001, p. 289 ss, 319; cf. aussi XAVIER OBERSON, Commerce électronique et TVA, in Internet 2003, Alan Ragueneau[éd.], 2004, p. 133 ss, 144 s.), en éclairer la ratio legis. Celle-ciconsiste à éviter une distorsion de concurrence entre opérateurs suisses et étrangers. En effet, nombre de prestations en matière d'informatique s'adressent, par nature, majoritairement voire exclusivement aux personnes physiques. Or, ces dernières ne sont pour la plupart pas assujetties à l'impôt et, au demeurant, rarement enclines ou en mesure d'acquérir, durant une année civile, pour plus de 10'000 fr. de prestations ( art. 45 al. 2 let. b LTVA ), de sorte qu'en définitive, aucun impôt ne pourrait être prélevé par la Confédération (cf. RÄBER, op. cit., p. 112; ROGER M. CADOSCH, Besteuerungsprobleme beim Electronic Commerce, 2001, p. 238 ss; MICHAELA MERZ, in Mwst.com, Clavadetscher/Glauser/Schafroth [éd.], 2000, n os 14 ss ad art. 25 LTVA p. 493 s.). 7.3 En l'espèce, la Société exploite ses sites de rencontres depuis l'étranger. Toutes les prestations de services qu'elle offre sont réputées fournies au lieu du destinataire, au sens de l' art. 8 al. 1 LTVA . Il s'ensuit qu'à moins de tomber sous le coup de la contre-exception figurant à l'art. 10 al. 2 let. b in fine LTVA, lesdites prestations sont a priori soumises à l'impôt sur les acquisitions, qui frappe en principe le seul destinataire (cf. art. 10 al. 2 let. b in initio cum art. 45 LTVA ). Il sied partant de vérifier si, tel qu'elle le soutient, la recourante peut se prévaloir de l'exception prévue à l'art. 10 al. 2 let. b in initio LTVA ou si, tel que l'a retenu l'arrêt querellé, la contre-exception relative aux "services en matière d'informatique ou de télécommunications" (art. 10 al. 2 let. b in fine LTVA) lui est BGE 139 II 346 S. 355 applicable. Cet examen commande avant tout de définir les termes "en matière d'informatique". 7.3.1 La notion "en matière d'informatique" ("elektronische Dienstleistungen"; "in materia d'informatica") a été nouvellement introduite par l' art. 10 al. 2 let. b LTVA . Elle étend le champ d'application de l' art. 25 al. 1 let . c in fine aLTVA, qui était confiné aux prestations de télécommunications (cf. Info TVA du 15 décembre 2009, TVA en bref et Info TVA concernant la transition, partie I ch. 2.1.3 p. 24 s.; BAUMGARTNER/CLAVADETSCHER/KOCHER, Vom alten zum neuen Mehrwertsteuergesetz, 2010, p. 83 § 3/43; MOLLARD/OBERSON/TISSOT BENEDETTO, op. cit., p. 532 n° 395; REGINE SCHLUCKEBIER, in MWSTG Kommentar, 2012, n° 87 ad art. 10 LTVA p. 108). Tel que l'ont à juste titre relevé les précédents juges, les travaux préparatoires ne définissent pas cette notion (cf. Message, op. cit., FF 2008 6277, 6340; BO 2009 CN 315 et 1073 ss; BO 2009 CE 413 ss et 627; objet 08.053). Comme il a cependant été vu plus haut (consid. 7.2), sa ratio legis vise à éviter une distorsion de concurrence entre opérateurs suisses et étrangers. Par ailleurs, il convient de souligner la jurisprudence selon laquelle tous les motifs d'exonération de l'impôt doivent être interprétés de manière restrictive, en tant qu'ils se heurtent aux principes de l'universalité de l'impôt et de la neutralité concurrentielle (cf. ATF 138 II 251 consid. 2.3.4 p. 256 et les jurisprudences citées). 7.3.2 L'art. 10 al. 1 de l'ordonnance fédérale du 27 novembre 2009 régissant la taxe sur la valeur ajoutée [OTVA; RS 641.201] énumère un catalogue non exhaustif ("notamment") de prestations de services en matière d'informatique ou de télécommunications, à savoir: "les services de radiodiffusion et de télédiffusion (let. a); l'octroi de droits d'accès notamment aux réseaux de communication fixes ou mobiles et à la communication par satellite, ainsi qu'à d'autres réseaux d'informations (let. b); la mise à disposition et la garantie des capacités de transmission de données (let. c); la mise à disposition de sites web, l'hébergement web, la télémaintenance de programmes et d'équipements (let. d); la mise à disposition et la mise à jour électroniques de logiciels (let. e); la mise à disposition électronique d'images, de textes et d'informations ainsi que la mise à disposition de banques de données (let. f); la mise à disposition électronique de musiques, de films et de jeux, y compris les jeux de hasard et les loteries (let. g)." Selon l' art. 10 al. 2 OTVA , n'entrent pas dans la catégorie des prestations de services en matière d'informatique ou de télécommunications, notamment: BGE 139 II 346 S. 356 "la simple communication par fil, par radiocommunication, par un réseau optique ou par un autre système électromagnétique entre le fournisseur et le destinataire de la prestation (let. a); les prestations de formation au sens de l' art. 21 al. 2 ch. 11 LTVA , sous forme interactive; la simple mise à disposition d'installations ou de parties d'installations désignées précisément et destinées à l'usage exclusif du locataire pour la transmission de données (let. c)." La pratique de l'Administration fédérale reprend, en les illustrant par endroits, les exemples de prestations de services en matière d'informatique énumérés à l'al. 1 let. d à g OTVA (Info TVA 13 du 2 juillet 2010 concernant le secteur télécommunications et prestations de services en matière d'informatique, p. 10 ch. 2.3.2 et p. 17 ch. 4.7.2). Les services offerts par les sites de rencontres exploités par la Société ne sont en revanche pas explicitement abordés dans ces différents documents. 7.3.3 Le Message du Conseil fédéral sur la simplification de la TVA traduit "la nécessité de veiller à la compatibilité de la TVA suisse avec le système de l'UE", de même que l'intention d'"éviter les doubles impositions et les doubles exonérations d'impôt" (FF 2008 6277, 6314 s. ch. 1.7.2). Il est ainsi utile de vérifier si la notion suisse de "en matière d'informatique" est traitée de manière similaire au sein de l'Union européenne. A ce titre, la Directive 2006/112/CE du Conseil du 28 novembre 2006 relative au système commun de taxe sur la valeur ajoutée, qui a été modifiée à de nombreuses reprises et dont une version consolidée est consultable en ligne (consid. 6.3.5 supra), constitue l'instrument de référence en droit communautaire. A son art. 58, cette directive traite de la localisation des "services fournis par voie électronique à des personnes non assujetties"; elle renvoie pour le surplus (cf. aussi art. 59) à l'annexe II, contenant une liste indicative de tels services, à savoir: "1) La fourniture et l'hébergement de sites informatiques, maintenance à distance de programmes et d'équipement; 2) la fourniture de logiciels et mise à jour de ceux-ci; 3) la fourniture d'images, de textes et d'informations, et mise à disposition de bases de données; 4) la fourniture de musique, de films et de jeux, y compris les jeux de hasard ou d'argent, et d'émissions ou de manifestations politiques, culturelles, artistiques, sportives, scientifiques ou de divertissement; 5) la fourniture de services d'enseignement à distance." La Directive 2006/112/CE a été concrétisée par le Règlement d'exécution (UE) n° 282/2011 du Conseil du 15 mars 2011 (JO L 77 du 23 mars 2011 p. 1), dont l'art. 7 dispose: BGE 139 II 346 S. 357 1 Les "services fournis par voie électronique" visés par la directive 2006/112/CE comprennent les services fournis sur l'internet ou sur un réseau électronique et dont la nature rend la prestation largement automatisée, accompagnée d'une intervention humaine minimale, et impossible à assurer en l'absence de technologie de l'information. 2 Le paragraphe 1 couvre, notamment: a) la fourniture de produits numériques en général, en ce compris les logiciels et leurs modifications ou leurs mises à jour; b) les services consistant à assurer ou à soutenir la présence d'entreprises ou de particuliers sur un réseau électronique, tels qu'un site ou une page internet; c) les services générés automatiquement par ordinateur sur l'internet ou sur un réseau électronique, en réponse à des données particulières saisies par le preneur; d) l'octroi, à titre onéreux, du droit de mettre en vente des biens ou des services sur un site internet opérant comme marché en ligne, où les acheteurs potentiels font leurs offres par un procédé automatisé et où les parties sont averties de la réalisation d'une vente par un courrier électronique généré automatiquement par ordinateur; e) les offres forfaitaires de services internet (ISP) dans lesquelles l'aspect télécommunications est auxiliaire et secondaire (c'est-à-dire forfaits allant au-delà du simple accès à l'internet et comprenant d'autres éléments comme des pages à contenu donnant accès aux actualités à des informations météorologiques ou touristiques; espaces de jeu; hébergement de sites; accès à des débats en ligne; etc.); f) les services énumérés à l'annexe I. 3 Le paragraphe 1 ne couvre pas, notamment: a) les services de radiodiffusion et de télévision; b) les services de télécommunications; c) les biens pour lesquels la commande et le traitement de la commande se font par voie électronique; d) les CD-ROM, disquettes et supports matériels analogues; e) les imprimés tels que les livres, les lettres d'information, les journaux ou les périodiques; f) les CD et cassettes audio; g) les cassettes vidéo et DVD; h) les jeux sur CD-ROM; i) les services professionnels tels que les juristes et les consultants financiers, qui conseillent leurs clients par courrier électronique; j) les services d'enseignement, lorsque le contenu des cours est fourni par un enseignant sur l'internet ou sur un réseau électronique (...); k) les services de réparation matérielle hors ligne de l'équipement informatique; l) les services de stockage de données hors ligne; m) les services de publicité, notamment dans les journaux, sur des affiches et à la télévision; n) les services d'assistance téléphonique; o) les services d'enseignement exclusivement fournis par correspondance, utilisant notamment les services postaux; p) les services classiques de vente aux enchères reposant sur une intervention humaine directe, indépendamment de la façon dont les offres sont faites; q) les services téléphoniques comportant une composante vidéo, également appelés services de vidéophonie; r) l'accès à l'internet et au World Wide Web; s) les services téléphoniques fournis sur l'internet. Les services qui sont listés à l'annexe I du Règlement d'exécution (UE) n° 282/2011 détaillent les points 1 à 5 de l'annexe II de la BGE 139 II 346 S. 358 Directive 2006/112/CE, en incluant notamment: sous point 1, la maintenance automatisée de programmes, à distance et en ligne, ainsi que l'administration de systèmes à distance; sous point 3, l'abonnement à des journaux et à des périodiques en ligne; des blogs et statistiques de fréquentation de sites internet, des informations en ligne, y compris celles générées automatiquement par un logiciel, au départ de données saisies par le client, telles que des données juridiques ou financières (notamment, cours des marchés boursiers en temps réel), de même que l'utilisation de moteurs de recherche et d'annuaires internet; sous point 4, l'accès à des jeux automatisés en ligne qui sont dépendants de l'internet ou de réseaux électroniques analogues et où les différents joueurs sont géographiquement distants les uns des autres, etc. 7.3.4 A l'exception des services fournis par voie électronique en lien avec l'enseignement à distance, que l' art. 10 OTVA ne mentionne pas expressément dans sa liste exemplative (cf. cependant art. 10 al. 2 let. b e contrario OTVA), les divers types de services énumérés à l' art. 10 al. 1 let . d à g OTVA concordent en large partie avec ceux visés par l'annexe II à la directive 2006/112/CE, voire utilisent des termes identiques; il en va de même pour les services que la Suisse et l'Union européenne ont d'emblée exclus de cette liste (art. 7 par. 3 Règlement (UE) n° 282/2011; art. 10 al. 2 OTVA ). Quant à la terminologie utilisée pour qualifier ces services, il est vrai que la version francophone de l'art. 10 al. 2 let. b in fine LTVA emploie les mots "prestations de services en matière d'informatique", alors que l'art. 58 de la directive 2006/112/CE utilise la dénomination à première vue plus étendue de "services fournis par voie électronique". Cette différence lexicale n'altère cependant pas la nature similaire des prestations visées par ces deux textes; en effet, tant les travaux préparatoires concernant la LTVA (cf. FF 2008 6277, 6340: "domaine de [...] l'électronique") que la version germanophone de l'art. 10 al. 2 let. b in fine LTVA ("elektronische Dienstleistungen"; comp. directive 2006/112/CE: "elektronisch erbrachte Dienstleistungen") confirment la volonté de la Confédération de faire coïncider - sauf dérogation inexistante in casu (cf., pour un exemple: FF 2008 6277, 6340: définition de la "livraison"; CAMENZIND ET AL., op. cit., p. 38 ss n. 75 ss) - le droit suisse avec la législation communautaire. Il est partant possible de se référer au droit communautaire en vue d'interpréter la notion de "prestations de services en matière d'informatique" consacrée par le droit suisse. BGE 139 II 346 S. 359 7.3.5 Des considérations qui précèdent (cf., en particulier, art. 7 par. 1 Règlement [UE] n° 282/2011), il est notamment permis de qualifier de prestations de services en matière d'informatique, au sens de l'art. 10 al. 2 let. b in fine LTVA, celles dont le fournisseur s'acquitte de manière virtuelle, sur internet ou via un réseau électronique similaire, notamment par la fourniture d'informations ou d'autres prestations dématérialisées. Il faut que les prestations soient délivrées au destinataire par des procédés largement automatisés, sans qu'une intervention humaine importante ne soit requise, ce qui exclut en particulier les conseils professionnels qui, bien que fournis via internet (par exemple par courriel), maintiendraient un lien personnel étroit entre le conseiller et son client. Par ailleurs, les prestations en cause doivent être distinguées des services de télécommunications, en ce sens qu'il ne suffit pas, pour être en présence de ces premières, que l'internet serve uniquement de moyen de transmission à des fins téléphoniques, de radiodiffusion, etc. Enfin, il doit être impossible de fournir la prestation de services en cause en l'absence de technologie de l'information, cette impossibilité pouvant par exemple être d'ordre technique, organisationnel ou financier. 7.4 En l'espèce, la recourante offre aux utilisateurs des types de services qu'il convient d'analyser à la lumière des critères susdécrits. 7.4.1 Il ressort de l'état de fait retenu par le Tribunal administratif fédéral que la Société exploite plusieurs sites de rencontres par le biais desquels elle permet aux consommateurs de se retrouver par pays, par langue ou par centres d'intérêt, après avoir rempli un questionnaire, établi un profil en ligne et/ou s'être inscrits dans des répertoires en ligne. Les services de rencontres se trouvent au centre des prestations offertes par la recourante. N'étant accessibles que sur internet sous la forme de contenus dématérialisés, ils favorisent les échanges entre utilisateurs. A ce titre et contrairement à ce qu'allègue la recourante, il n'importe pas de savoir s'il est en définitive prévu que ces contacts se bornent au monde virtuel ou qu'ils débouchent sur des rencontres réelles ultérieures (cf. consid. 6.3.4 supra). Il sera du reste précisé que même à supposer que les sites de rencontres en cause encouragent des rencontres réelles, le choix ultime, et non déterminé par avance, d'y procéder ou, au contraire, de continuer à converser sur internet, par exemple à la manière d'une amitié épistolaire, appartiendra aux seuls utilisateurs. 7.4.2 Les contacts sont facilités, voire noués à partir des indications personnelles dont les internautes auront nourri les bases de données BGE 139 II 346 S. 360 intégrées auxdits sites. C'est en effet grâce à l'accès, en principe payant, par les autres utilisateurs intéressés à ces données qui sont gérées de façon automatisée et consultables notamment en fonction de certains paramètres de recherche mis à disposition sur les sites que les consommateurs pourront se découvrir d'éventuelles affinités mutuelles et entrer en contact. En cela, les précédents juges ont à bon droit établi des analogies avec la mise à disposition de banques de données, ainsi qu'avec la fourniture d'informations en ligne ( art. 10 al. 1 let . f OTVA; cf. point 3 let. f et g, voire let. i de l'annexe I au Règlement d'exécution [UE] n° 282/2011; JANSEN/ROBINSON, op. cit., p. 269: "Datenverarbeitung, d.h. automatisierte Auswertung von Eingabedaten und Überlassung des Ergebnisses an den User") qui font partie des prestations visées à l' art. 10 al. 2 let. b LTVA . Cette dernière analogie (fourniture d'informations) est corroborée par l'accès que les sites de rencontres donnent à des magazines paraissant en ligne, ainsi qu'à des journaux personnels (blogs) créés par des utilisateurs et informant notamment au sujet de leur vie privée (cf. point 3 let. d et e de l'annexe I au règlement précité). 7.4.3 Comme il a été vu, les sites de rencontres litigieux mettent en réseau leurs utilisateurs non seulement en leur offrant différents canaux techniques pour entrer en communication l'un avec l'autre (accès à des forums de discussion en ligne, webcam, chat, etc.), mais aussi en leur proposant diverses prestations virtuelles leur permettant d'apprendre à se connaître et partager des intérêts communs sur internet (accès à la base de données des autres membres, magazines, blogs, accès à des boutiques en ligne, etc.). Or, de par cette combinaison de prestations offertes sur les sites de rencontres, force est de retenir que les prestations de services en cause se démarquent - en prodiguant des services dépassant ce cadre - d'une plateforme qui se contenterait de donner accès à une communauté virtuelle; a fortiori, elles se distinguent d'un pur service ou vecteur de télécommunications (cf., pour cette notion, PER PROD'HOM, La définition des services immatériels, TREX 2002 p. 119 ss, 125). Quoiqu'en dise la recourante, la panoplie des prestations et les interactions virtuelles que ces sites offrent les distinguent aussi des prestations que l'on trouverait dans des enceintes de rencontres opérant en-dehors d'internet. En outre, comme l'ont relevé les premiers juges, lesdits sites présentent également des traits communs avec des jeux automatisés en ligne qui, dépendant de l'internet, permettraient à différents joueurs géographiquement distants d'interagir dans le monde virtuel, eux BGE 139 II 346 S. 361 aussi appréhendés par l'art. 10 al. 2 let. b in fine LTVA (cf. art. 10 al. 1 let . g OTVA; point 4 let. e de l'annexe I au Règlement d'exécution (UE) n° 282/2011). 7.4.4 S'agissant de l'intervention humaine requise pour exploiter les sites litigieux, il ressort des constatations du Tribunal administratif fédéral que la recourante occuperait 350 personnes, dont certaines sont employées par des sous-traitants, et qui ont pour tâche de vérifier l'intégralité des profils d'utilisateur et des modifications qui y sont apportées, afin d'en écarter, notamment sur plainte des utilisateurs, les éléments inappropriés ou choquants. Or, comme l'ont à juste titre relevé les premiers juges, ce service de contrôle n'est pas indispensable au fonctionnement même des sites et des prestations que ceux-ci contiennent; son rôle, destiné à des fins de surveillance ou de support informatique, est purement accessoire (cf., dans ce sens, BARETTA/LUDWIG, Steuerpflicht in der Schweiz: Probleme und Lösungsansätze, in Geschäftsplattform Internet III, Weber/Hilty/Auf der Maur [éd.], 2002, p. 215 ss, 219) et son contenu semble être standardisé. Il vise à prévenir des abus et atteintes aux droits de la personnalité au sein de ces communautés virtuelles totalisant plusieurs millions de clients, sans doute également dans l'optique d'éviter à la Société d'engager sa responsabilité vis-à-vis de ses clients au travers d'une gestion négligente de ses sites. Comme d'autres éléments étayant un besoin d'interventions humaines plus important dans le but d'offrir les prestations de services caractéristiques en cause font défaut, c'est à bon droit (contrairement à ce qu'affirme la recourante) que ledit besoin pouvait être qualifié de marginal par les juges précédents. 7.4.5 Les sites de rencontres exploités par la recourante combinent divers services largement automatisés auxquels les utilisateurs, comportant plusieurs millions de personnes, peuvent accéder à tout moment et en tous lieux depuis internet, en partie par le biais de voies de communication et d'instruments interactifs qui sont spécifiques au monde virtuel. A l'instar des précédents juges, il est dès lors permis de retenir que la fourniture de telles prestations interactives à un aussi grand nombre de personnes serait impossible ou, à tout le moins, trop onéreuse si la Société n'avait pas pu recourir à la technologie de l'information. 7.4.6 La recourante se prévaut aussi d'une décision du 10 juin 2009 émanant des autorités fiscales britanniques, par laquelle celles-ci ont, BGE 139 II 346 S. 362 sur réclamation, renoncé à considérer que la Société fournissait des services électroniques sur le territoire du Royaume-Uni; elles ont préféré les qualifier de "services d'accès à une communauté en ligne", qui tombent sous le coup du principe du siège du fournisseur des prestations et échappent ainsi à l'obligation de s'assujettir à la TVA au Royaume-Uni. Tel que l'ont à juste titre retenu les précédents juges, cette décision, dont on ignore le contexte exact dans lequel elle a été rendue, apparaît comme une décision administrative isolée. En tout état, s'il est en principe permis aux autorités suisses de s'en inspirer, l'interprétation donnée par l'autorité d'un Etat membre de l'Union européenne au droit communautaire ne les lie pas (cf. ATF 124 II 193 consid. 6a p. 203). Or en l'espèce, les considérations susmentionnées militent en faveur d'une distanciation de la solution retenue par l'administration fiscale britannique. 7.5 Il découle des éléments qui précèdent que, réunissant l'ensemble des caractéristiques propres à de telles prestations, les services que la recourante propose sur ses sites de rencontres sur internet constituent des "prestations de services en matière d'informatique", au sens de l'art. 10 al. 2 let. b in fine LTVA. Dès lors que chacune des diverses prestations traitées ci-avant fait individuellement partie du catalogue non exhaustif des prestations figurant à l' art. 10 al. 1 let . d à g OTVA ou peut y être rattachée par un raisonnement analogique, la question de savoir si les prestations en cause doivent être qualifiées de prestations complexes, ce qui aurait pour conséquence que les différentes composantes ou les prestations accessoires soient soumises à un même régime juridique, ou traitées en tant que plusieurs prestations indépendantes (cf. art. 19 LTVA ; arrêts 2C_717/2010 du 21 avril 2011 consid. 4.2; 2A.499/2004 du 1 er novembre 2005 consid. 3.2, in RF 61/2006 p. 553), souffre de demeurer indécise. La qualification des prestations ainsi retenue entraîne l'assujettissement de la Société à la TVA et son inscription au registre des contribuables à partir du 1 er janvier 2010. En effet, il sera à ce titre rappelé que cette dernière est une entreprise ayant son siège à l'étranger et fournissant des prestations sur le territoire suisse (cf. art. 8 al. 1 LTVA ) à des personnes physiques qui, au vu du type de prestations concernées, ne sont en général pas assujetties à l'impôt (cf. art. 10 al. 2 let. b in fine et art. 45 al. 2 let. b LTVA ); qui plus est, le montant annuel des prestations annoncé, soit 3'969'000 fr., dépasse de BGE 139 II 346 S. 363 loin le chiffre d'affaires seuil de 100'000 fr. provenant de prestations imposables (cf. art. 10 al. 2 let. a LTVA ; SCHLUCKEBIER, op. cit., n° 86 ad art. 10 LTVA p. 108).
public_law
nan
fr
2,013
CH_BGE
CH_BGE_004
CH
Federation
71044786-5b2e-4950-a5c2-fd82a7176f9c
Urteilskopf 116 V 16 4. Auszug aus dem Urteil vom 11. Januar 1990 i.S. G. gegen Ausgleichskasse des Kantons Bern und Versicherungsgericht des Kantons Bern
Regeste Art. 21 IVG , Ziff. 7.02* HVI-Anhang. Voraussetzungen für die Abgabe von Kontaktlinsen bei hochgradigem irregulärem Astigmatismus und Keratokonus: Korrektur der Verwaltungspraxis.
Erwägungen ab Seite 16 BGE 116 V 16 S. 16 Aus den Erwägungen: 2. a) Nach Rz. 7.01* HVI-Anhang besteht der Anspruch auf Abgabe von Brillen, sofern diese eine wesentliche Ergänzung medizinischer Eingliederungsmassnahmen (im Sinne von Art. 21 Abs. 1 Satz 2 IVG ; BGE 105 V 148 Erw. 1 mit Hinweisen) darstellen. Irgendeine weitere, von medizinischen Eingliederungsmassnahmen ( Art. 12 ff. IVG ) losgelöste Anspruchsberechtigung auf Abgabe von Brillen besteht nicht. Gemäss Rz. 7.02* HVI-Anhang hat der Versicherte Anspruch auf Abgabe von Kontaktlinsen, - sofern sie notwendigerweise anstelle von Brillen treten und eine wesentliche Ergänzung medizinischer Eingliederungsmassnahmen darstellen - sowie bei "hochgradigem irregulärem Astigmatismus und Keratokonus". Unter irregulärem Astigmatismus versteht man eine an verschiedenen Stellen der Hornhautoberfläche unterschiedliche Wölbung, die so beschaffen ist, dass die Krümmung - anders als beim regulären Astigmatismus - auch im gleichen Meridian nicht BGE 116 V 16 S. 17 gleichmässig ist, mit der Wirkung, dass die Lichtstrahlen nicht vereinigt werden können (PSCHYREMBEL, Klinisches Wörterbuch, 255. Aufl., S. 141). Der Keratokonus ist eine kegelförmige Vorbauchung der Hornhaut (PSCHYREMBEL, a.a.O., S. 848). b) Nach Massgabe der Grundsätze über die gerichtliche Überprüfbarkeit unselbständiger Rechtsverordnungen (vgl. BGE 112 V 178 Erw. 4c mit Hinweisen) hat das Eidg. Versicherungsgericht die Beschränkung der selbständigen (d.h. nicht im Zusammenhang mit medizinischen Eingliederungsmassnahmen stehenden ( Art. 21 Abs. 1 Satz 2 IVG )) Kontaktlinsenabgabe auf den Tatbestand des hochgradigen irregulären Astigmatismus und Keratokonus gemäss Rz. 7.02* HVI-Anhang, zweiter Absatz, in ständiger Rechtsprechung als rechtmässig bezeichnet (ZAK 1988 S. 472 Erw. 2a mit Hinweisen und S. 474 Erw. 4). Obgleich dem Grundsatzgutachten und den weiteren Darlegungen des Prof. B. zu entnehmen ist, dass aus ärztlicher Sicht eine Kontaktlinsenversorgung auch bei anderen refraktionsbedingten Augenleiden, z.B. bei erheblicher Anisometropie oder bei hochgradiger Myopie, indiziert sein kann, besteht vorliegend kein Anlass, von dieser Rechtsprechung abzugehen. Denn im vorliegenden Fall steht nicht die Beschränkung auf das anspruchsbegründende Leiden, wie sie Rz. 7.02* HVI-Anhang, zweiter Absatz, vornimmt, zur Diskussion. c) Es geht hier vielmehr um die Frage, welche medizinischen Gegebenheiten erfüllt sein müssen, damit von einem hochgradigen irregulären Astigmatismus und Keratokonus im Sinne von Rz. 7.02* HVI-Anhang gesprochen werden kann. Dabei fällt zunächst eine sprachliche Differenz zwischen der deutschen Fassung von Rz. 7.02* HVI-Anhang einerseits, dem französischen und italienischen Text dieser Bestimmung anderseits auf, wo es heisst: "... dans les cas de grave kératocône ou d'astigmatisme irrégulier très prononcé" und "... nei casi di grave cheratocono o di astigmatismo irregolare molto pronunciato". Rz. 7.02.1* der hier anwendbaren Wegleitung des Bundesamtes für Sozialversicherung (BSV) über die Abgabe von Hilfsmitteln in der Invalidenversicherung (in der Fassung vom 1. Januar 1984) spricht von "hochgradigem irregulärem Astigmatismus und schwerem Keratokonus", die ab 1. Januar 1989 gültige Weisung in Rz. 7.02.10* dagegen von "hochgradig irregulärem Astigmatismus ..., wie er z.B. beim Keratokonus vorkommt". In dem erwähnten, in ZAK 1988 S. 470 publizierten Fall hatte das BSV in einer Stellungnahme vom 14. Januar 1988 ausgeführt: "Den Keratokonus hätte man dabei nicht separat in BGE 116 V 16 S. 18 der Ziff. 7.02* HVI-Anhang auf führen müssen, da er mit einem hochgradigen irregulären Astigmatismus einhergeht." Diese Auffassung ist im Lichte des eingeholten Grundsatzgutachtens in dem Sinne zu präzisieren, dass einerseits bei Keratokonus zwar wohl immer auch ein Astigmatismus vorliegt, der indessen anfänglich durchaus noch schwach oder regelmässig sein kann, und dass anderseits ein regulärer oder irregulärer Astigmatismus vorhanden sein kann, ohne dass es bereits zu einer Ausbildung eines Keratokonus gekommen sein muss. Die erwähnten verordnungsmässigen Grundlagen - und zwar in allen drei sprachlichen Fassungen - verlangen jedoch ausdrücklich einen hochgradigen irregulären Astigmatismus. Daraus ist zu schliessen, dass es für die Annahme eines anspruchsbegründenden Leidens neben den irregulär-astigmatischen Veränderungen auch einer von den Verordnungstexten ebenfalls erwähnten Ausbildung eines Keratokonus am betreffenden Auge bedarf. 3. a) Im vorliegenden Fall ist die Rechtsfrage zu beurteilen, ob der - als solcher unbestrittene - diagnostizierte Befund am rechten Auge des Beschwerdeführers als hochgradiger irregulärer Astigmatismus und Keratokonus im Sinne von Rz. 7.02* HVI-Anhang zu qualifizieren ist. Invalidenversicherungs-Kommission und Vorinstanz haben dies aufgrund der geltenden Verwaltungspraxis verneint, welche voraussetzt, dass mit der Kontaktlinse ein um mindestens 2/10 besserer Visus erreicht wird als mit der optimal korrigierenden Brille (Rz. 7.02.1* und Rz. 7.02.10* der erwähnten Fassungen der Wegleitung). Dazu bemerkt das BSV in seiner Vernehmlassung vom 26. April 1988, dass sich der irreguläre Astigmatismus nur durch Kontaktlinsen korrigieren lasse. Der Richtwert von 2/10 zur Beurteilung, ob der irreguläre Astigmatismus hochgradig sei, habe sich als praktikabel erwiesen und bewährt. Es beruft sich ferner auf die übereinstimmende Meinung der Schweizerischen Ophthalmologischen Gesellschaft, welche dem Bundesamt am 20. September 1988 mitgeteilt hatte, ihr Vorstand empfehle, "die Kontaktlinsen wie bisher mit der 2/10-Regelung zu übernehmen". b) Der eidgenössisch diplomierte Augenoptikermeister P., der im Jahre 1987 beim Beschwerdeführer eine Kontaktlinse angepasst hatte, verneint die Frage, ob der Sehfehler auch mit einer Brille korrigiert werden könnte. Infolge der starken perspektivischen Veränderungen durch das korrigierende Brillenglas rechts und der Tatsache, dass links keine Korrektur notwendig sei, sei gleichzeitiges BGE 116 V 16 S. 19 beidäugiges Sehen nicht möglich. Eine gebrauchstüchtige Brillenkorrektur sei im Falle des Beschwerdeführers nicht nur unzumutbar, sondern unmöglich. Binokulares Sehen lasse sich nur durch eine Kontaktlinse erreichen (Schreiben vom 4. März 1988). Dr. L. bemerkt in seinem Arztbericht vom 30. Oktober 1987: Die Brillenkorrektur eines Keratokonus erfordere in der Regel relativ starke astigmatische Gläser. Trotz des damit erreichten, verhältnismässig guten Visus sei das Netzhautbild aber sogar unter günstigsten Bedingungen so stark verzerrt, dass eine solche Brille subjektiv häufig nichts nütze, dies vor allem dann, wenn das eine Auge noch über eine gute Sehleistung verfüge und die Brille dann zusätzlich noch zu einer Minderung der Binokularfunktion führe. Deshalb müssten nicht nur die funktionellen, sondern auch die morphologischen Verhältnisse berücksichtigt werden. Diese liessen sich objektivieren und würden eine weit bessere Einstufung des Keratokonus erlauben als die Funktion allein. c) Diese Ausführungen der Fachleute erwecken Zweifel, ob das alleinige Abstellen auf das Ausmass der Visusverbesserung gemäss Verwaltungspraxis sachgerecht sei. Verwaltungsweisungen sind für den Sozialversicherungsrichter nicht verbindlich. Er soll sie bei seiner Entscheidung mit berücksichtigen, sofern sie eine dem Einzelfall angepasste und gerecht werdende Auslegung der anwendbaren gesetzlichen Bestimmungen zulassen ( BGE 110 V 268 Erw. 1a mit Hinweisen). Er weicht anderseits insoweit von Weisungen ab, als sie mit den anwendbaren gesetzlichen Bestimmungen nicht vereinbar sind ( BGE 112 V 233 Erw. 2a mit Hinweisen). 4. In seiner Expertise vom 29. Dezember 1988 legt Prof. B. mit einlässlicher Begründung dar, dass es nicht sachgerecht sei, den leistungsbegründenden hochgradigen irregulären Astigmatismus und Keratokonus ausschliesslich durch ein funktionelles Kriterium von ähnlichen, nicht leistungsbegründenden Augenleiden abzugrenzen. Das alleinige Kriterium der Visusverbesserung durch die Kontaktlinse um 2/10 im Vergleich zur optimal korrigierenden Brille sei aus augenärztlicher Sicht unhaltbar, weil es den tatsächlichen Verhältnissen nicht gerecht werde. Vielmehr müssten noch andere als bloss die funktionalen, insbesondere auch die morphologischen Gegebenheiten berücksichtigt werden; denn zwischen Form und Struktur des Auges einerseits und dessen Funktion anderseits bestehe eine untrennbare Einheit. Aufgrund der weiteren Darlegungen und Formulierungsvorschläge des Experten sind die folgenden drei Fallgruppen zu unterscheiden, in denen der für BGE 116 V 16 S. 20 die Abgabe von Kontaktlinsen nach Rz. 7.02* HVI-Anhang verlangte Tatbestand eines hochgradigen irregulären Astigmatismus und Keratokonus zu bejahen ist: "Anspruch auf Abgabe von Kontaktlinsen besteht bei hochgradigem irregulärem Astigmatismus und Keratokonus. Dieser anspruchsbegründende Tatbestand ist erfüllt, wenn - entweder mit der Kontaktlinse ein um mindestens 2/10 besserer Visus erreicht wird als mit der optimal korrigierenden Brille - oder die Kontaktlinse die einzig mögliche optische Korrektur darstellt zur Entwicklung von mono- und binokularem Sehen oder zur Aufrechterhaltung unentbehrlichen guten Binokularsehens - oder wenn die Versorgung mit der optimal korrigierenden Brille aus anderen medizinischen Gründen ausscheidet. Der Augenarzt hat die Kontraindikation der Brille zu begründen. In jedem Fall muss, medizinisch-diagnostisch, ein irregulärer Astigmatismus und ein Keratokonus ausgewiesen sein."
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Urteilskopf 123 I 283 29. Auszug aus dem Urteil der I. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 20. Oktober 1997 i.S. Stürm gegen Staatsanwaltschaft und Kantonsgericht des Kantons Wallis (Revisionsgesuch)
Regeste Art. 139a OG ; Revision wegen Verletzung der Europäischen Menschenrechtskonvention. Massgebender Zeitpunkt für den Beginn des Fristenlaufs nach Art. 141 Abs. 1 lit. c OG (E. 2). Verhältnis von Art. 139a OG zu Art. 50 EMRK (E. 3a). Die vom Ministerkomitee des Europarates im vorliegenden Fall zugesprochene Entschädigung betrifft den durch die Konventionsverletzung entstandenen Schaden sowie die Kosten des innerstaatlichen und des Strassburger Verfahrens. Es bleibt daher kein Raum, um auf dem Weg über die Revision eine Entschädigung für allfällige weitere Verfahrenskosten zu verlangen (E. 3b).
Sachverhalt ab Seite 283 BGE 123 I 283 S. 283 Walter Stürm legte gegen vier Urteile der I. öffentlichrechtlichen Abteilung des Bundesgerichts, mit welchen seine staatsrechtlichen Beschwerden gegen die Fortdauer der Haft abgewiesen worden waren, Beschwerde bei der Europäischen Menschenrechtskommission in Strassburg ein. Ausserdem focht er zwei Urteile des Kassationshofes des Bundesgerichts mit einer Beschwerde in Strassburg an. Diese Entscheide betrafen ein Urteil des Walliser BGE 123 I 283 S. 284 Kantonsgerichts, das gegen Walter Stürm eine Zuchthausstrafe von zehneinhalb Jahren ausgesprochen hatte. Die Europäische Menschenrechtskommission stellte in ihrem Bericht vom 16. Januar 1996 betreffend die vier gegen die Urteile der I. öffentlichrechtlichen Abteilung gerichteten Beschwerden fest, es liege eine Verletzung von Art. 5 Ziff. 3 EMRK (übermässige Dauer der Untersuchungshaft) und von Art. 6 Ziff. 1 EMRK (übermässige Dauer des Strafverfahrens) vor; hingegen seien Art. 5 Ziff. 4 und Art. 5 Ziff. 5 EMRK nicht verletzt worden. Mit Eingabe vom 20. November 1996 stellte Walter Stürm ein Begehren um Revision der sechs von ihm in Strassburg angefochtenen Urteile des Bundesgerichts. Dessen I. öffentlichrechtliche Abteilung weist das Revisionsgesuch ab, soweit sie darauf eintritt. Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. Das vorliegende Gesuch stützt sich auf den in Art. 139a OG vorgesehenen Revisionsgrund der Verletzung der Europäischen Menschenrechtskonvention. Nach Art. 141 Abs. 1 lit. c OG muss ein solches Begehren "binnen 90 Tagen, nachdem das Bundesamt für Justiz den Entscheid der europäischen Behörde den Parteien zugestellt hat", beim Bundesgericht anhängig gemacht werden. Die Anwältin des Gesuchstellers reichte das Revisionsbegehren am 20. November 1996 dem Bundesgericht ein. Sie führte aus, der Generalsekretär des Ministerkomitees habe ihr mit Schreiben vom 17. Oktober 1996 mitgeteilt, dass die unter den Nrn. 20231/92, 20545/92, 23117/93 und 23223/94 registrierten Beschwerden am 13. September 1996 vom Ministerkomitee gutgeheissen worden seien. Die Frist von 90 Tagen sei somit gewahrt. Das Bundesamt für Justiz habe den Entscheid des Ministerkomitees noch nicht zugestellt. Gemäss Art. 141 Abs. 1 lit. c OG ist das Revisionsgesuch innerhalb von 90 Tagen, von dem Tag an gerechnet, an dem das Bundesamt für Justiz den Parteien den Entscheid der europäischen Behörde, d.h. des Europäischen Gerichtshofs für Menschenrechte oder des Ministerkomitees des Europarates, zustellte, dem Bundesgericht einzureichen. Massgebend für den Fristenlauf ist demnach die Mitteilung durch das Bundesamt für Justiz. Ob der Beschwerdeführer allenfalls schon früher vom Strassburger Urteil Kenntnis erhalten hat, ist gleichgültig (ARTHUR HAEFLIGER, Die Europäische Menschenrechtskonvention und die Schweiz, Bern 1993, S. 352). Die offizielle Zustellung des Entscheids des Ministerkomitees durch BGE 123 I 283 S. 285 das Bundesamt kann erst erfolgen, wenn die Schlussresolution des Ministerkomitees vorliegt. Nach Art. 32 Ziff. 1 EMRK entscheidet, sofern in einer Beschwerdesache kein Begehren um Beurteilung durch den Gerichtshof gestellt worden ist, das Ministerkomitee, ob die Konvention verletzt wurde. Wenn es diese Frage bejaht, hat es nach Art. 32 Ziff. 2 EMRK eine Frist zu bestimmen, binnen welcher der betroffene Staat die im Entscheid vorgesehenen Massnahmen zu treffen hat. Es ist etwa daran zu denken, dass der Staat dazu veranlasst werden kann, dem Beschwerdeführer eine Entschädigung auszurichten oder ihm auf andere Art Satisfaktion zu leisten (HAEFLIGER, a.a.O., S. 338). Trifft ein Vertragsstaat innert der vom Komitee bestimmten Frist keine befriedigenden Massnahmen, so beschliesst es, auf welche Weise sein Entscheid durchgesetzt werden soll, und veröffentlicht den Bericht der Menschenrechtskommission ( Art. 32 Ziff. 3 EMRK ). Erst wenn das Ministerkomitee über die zu treffenden Massnahmen nach Art. 32 Ziff. 2 oder Ziff. 3 EMRK entschieden hat, liegt eine Schlussresolution vor. Bei dem als "interim resolution" (résolution intérimaire) bezeichneten Entscheid des Ministerkomitees vom 13. September 1996, den der Generalsekretär des Komitees im vorliegenden Fall der Anwältin des Gesuchstellers mit Schreiben vom 17. Oktober 1996 zustellte, handelt es sich nicht um die Schlussresolution, sondern um den gemäss Art. 32 Ziff. 1 EMRK zu treffenden "Zwischenentscheid" über die Frage der Konventionsverletzung. Der Entwurf der Schlussresolution wurde vom Ministerkomitee am 5. September 1997 beraten und ohne Änderungen angenommen. Die mit dem Text des Entwurfs wörtlich übereinstimmende endgültige Fassung des Entscheids des Ministerkomitees "Résolution finale DH (97) 477 Walter Stürm II (W.S.) c. la Suisse" datiert vom 17. September 1997, weil nach der Annahme des Resolutionsentwurfs durch das Ministerkomitee dem betroffenen Staat eine Frist von 10 Tagen zustand, um rein redaktionelle Änderungen am Resolutionsentwurf zu beantragen. Da die Schweiz im vorliegenden Fall keine solchen Änderungen verlangte, hat das Bundesamt für Justiz - um Zeit zu gewinnen - den Anwälten des Gesuchstellers die betreffende Resolution des Ministerkomitees bereits am 5. September 1997 zugestellt. Es ist nach dem Gesagten verfehlt, wenn der Gesuchsteller in seiner Eingabe vom 10. September 1997 behauptet, der Entscheid des Ministerkomitees vom 13. September 1996 sei "durch das Bundesamt für Justiz willkürlich fast 11 Monate lang zurückgehalten worden". BGE 123 I 283 S. 286 Erst mit der Zustellung der Schlussresolution des Ministerkomitees durch das Bundesamt für Justiz begann die in Art. 141 Ziff. 1 lit. c OG vorgesehene 90tägige Frist für die Einreichung eines Revisionsgesuches nach Art. 139a OG zu laufen. Der Gesuchsteller hat sein Begehren vom 20. November 1996 mithin verfrüht eingereicht. Das hat für ihn jedoch keine Nachteile zur Folge (JEAN-FRANÇOIS POUDRET, Commentaire de la loi fédérale d'organisation judiciaire, Bern 1992, Band V, Art. 136-171, N. 1.2 zu Art. 141 Abs. 1 lit. c OG , S. 61). 3. a) Der Revisionsgrund nach Art. 139a Abs. 1 OG setzt voraus, dass eine Individualbeschwerde vom Europäischen Gerichtshof für Menschenrechte oder vom Ministerkomitee des Europarates wegen Verletzung eines von der EMRK garantierten Rechts gutgeheissen worden ist und dass keine andere Möglichkeit der Wiedergutmachung (als jene der Revision) besteht. In den Materialien zu Art. 139a OG wird mit Bezug auf die zweite Voraussetzung ausgeführt, in manchen Fällen werde das Urteil bzw. der Entscheid der europäischen Behörden, allenfalls zusammen mit der Leistung einer Geldsumme als Schadenersatz oder Genugtuung, genügen. Nur wenn dies nicht zutreffe, solle das schweizerische Verfahren wieder aufgerollt werden (Botschaft des Bundesrates vom 18. März 1991 zur Änderung des Bundesgesetzes über die Organisation der Bundesrechtspflege, BBl 1991 II, S. 529). In der Rechtslehre wird darauf hingewiesen, Art. 50 EMRK und Art. 139a OG könnten einander in die Quere kommen, da nach der erstgenannten Regel der Europäische Gerichtshof für Menschenrechte eine Entschädigung zuspricht, wenn die innerstaatlichen Gesetze nur eine unvollkommene Wiedergutmachung gestatten, und nach der zweiten Bestimmung die Revision nur zulässig ist, wenn keine andere Möglichkeit der Wiedergutmachung besteht (HAEFLIGER, a.a.O., S. 353; POUDRET, a.a.O., S. 49/50). Es wird die Meinung vertreten, die Revision sei stets zuzulassen, wenn sie den Eingriff in die Rechte des Privaten wiedergutmachen könne; der Entschädigung sei die Funktion des letzten Mittels zu überlassen, die ihr Art. 50 EMRK zuweise (POUDRET, a.a.O., S. 50; MARK E. VILLIGER, Handbuch der Europäischen Menschenrechtskonvention [EMRK], Zürich 1993, Rz. 256, S. 158; PAOLA DE ROSSI, Auswirkungen der Teilrevision des Bundesgesetzes über die Organisation der Bundesrechtspflege im Bereich der Zivilrechtspflege, in: Mitteilungen aus dem Institut für zivilgerichtliches Verfahren in Zürich, Heft Nr. 15, Dezember 1992, S. 25). Ob der nationalen Vorschrift ( Art. 139a OG ) BGE 123 I 283 S. 287 bzw. der internationalen Norm ( Art. 50 EMRK ) subsidiärer Charakter zukommt, hängt von den konkreten Umständen des einzelnen Falles ab. Wenn - wie das hier zutrifft - nur materielle Interessen auf dem Spiel stehen und die Konventionsverletzung mit einer Entschädigung vollständig gutgemacht werden kann, wird mit Recht erklärt, die Revision nach Art. 139a OG sei in einem solchen Fall nicht zu bewilligen (HAEFLIGER, a.a.O., S. 353). b) Im vorliegenden Fall hiess das Ministerkomitee die vier Beschwerden des Gesuchstellers wegen Verletzung von Art. 5 Ziff. 3 EMRK (übermässige Dauer der Untersuchungshaft) und Art. 6 Ziff. 1 EMRK (übermässige Dauer des Strafverfahrens) gut und gestattete die Veröffentlichung des Berichts der Menschenrechtskommission. Ausserdem sprach es dem Gesuchsteller nach Art. 32 Ziff. 2 EMRK zu Lasten der Schweizerischen Eidgenossenschaft einen Gesamtbetrag ("somme globale") von Fr. 10'000.-- zu als "gerechte Entschädigung" im Sinne der Regel Nr. 9 und der Ziff. 2bis des Anhangs der "Regeln des Ministerkomitees für die Anwendung von Art. 32 EMRK " (letztmals revidiert am 19. Dezember 1991). aa) Mit dem Revisionsgesuch wird beantragt, die Entscheide des Bundesgerichts seien wegen Verletzung von Art. 5 Ziff. 3 und Art. 6 Ziff. 1 EMRK aufzuheben und diese Verletzung sei "durch eine angemessene Strafmilderung zu heilen". Der Gesuchsteller ist der Meinung, die vom Kantonsgericht Wallis am 1. Juni 1994 gegen ihn ausgefällte Zuchthausstrafe von zehneinhalb Jahren sei "aufgrund des Entscheides des Ministerkomitees derart zu reduzieren, dass sie zumindest vollständig verbüsst" sei, "wenn nicht mehr, und entsprechend eine Entschädigung mit Genugtuung geschuldet" sei. Das Strafurteil des Walliser Kantonsgerichts vom 1. Juni 1994 bildete nicht Gegenstand der vier hier in Frage stehenden Urteile der I. öffentlichrechtlichen Abteilung des Bundesgerichts. Auf das Revisionsgesuch kann deshalb nicht eingetreten werden, soweit mit ihm eine Strafmilderung verlangt wird. bb) Im weiteren beantragt der Gesuchsteller, es sei ihm eine "angemessene Entschädigung für die innerstaatlichen Verfahren sowie für die Verfahren vor der Europäischen Kommission und dem Europäischen Ministerkomitee zuzusprechen". Wie erwähnt, hat das Ministerkomitee dem Gesuchsteller gemäss Art. 32 Ziff. 2 EMRK zu Lasten der Schweizerischen Eidgenossenschaft einen Gesamtbetrag von Fr. 10'000.-- als "gerechte Entschädigung" (satisfaction équitable) zugesprochen. Diese Entschädigung betrifft den ihm durch die Konventionsverletzung entstandenen BGE 123 I 283 S. 288 Schaden sowie die Kosten des innerstaatlichen und des Strassburger Verfahrens. Die Strassburger Organe bestimmen die angemessene Entschädigung und haben in diesem Rahmen auch über die Entschädigung für die Kosten des innerstaatlichen und des Strassburger Verfahrens zu befinden (vgl. VILLIGER, a.a.O., S. 139, Ziff. II). Es muss deshalb davon ausgegangen werden, der Betrag von Fr. 10'000.-- stelle eine Pauschalsumme dar. Das ist um so mehr der Fall, als dem Gesuchsteller auf nationaler Ebene die unentgeltliche Rechtspflege für alle vier bundesgerichtlichen Verfahren gewährt wurde. Die Entrichtung einer pauschalen Entschädigung entspricht im übrigen auch der Praxis des Ministerkomitees in ähnlichen Fällen (vgl. die Résolution finale DH [95] 199 vom 11. September 1995 im Falle R. gegen die Schweiz, publ. in VPB 60/1996, Nr. 130, S. 940 f., wo ein Gesamtbetrag "somme totale" von Fr. 4'000.-- als angemessene Entschädigung zugesprochen wurde). Es bleibt daher kein Raum, um auf dem Weg über die Revision eine Entschädigung für allfällige weitere Kosten der innerstaatlichen Verfahren und des Verfahrens vor den Konventionsorganen zu verlangen. Das Revisionsbegehren ist in diesem Punkt abzuweisen.
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Urteilskopf 137 V 20 3. Auszug aus dem Urteil der II. sozialrechtlichen Abteilung i.S. V. gegen AXA Stiftung Berufliche Vorsorge, Winterthur (Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten) 9C_538/2010 vom 30. Dezember 2010
Regeste Art. 24 Abs. 1 und 2 Satz 2 BVV 2 ; Überentschädigungsberechnung bei Wohnsitz im Ausland. Im Regelfall einer ohne Gesundheitsschaden weiterhin in der Schweiz ausgeübten Erwerbstätigkeit ist bei Wohnsitznahme im Ausland das zumutbarerweise noch erzielbare Erwerbseinkommen ( Art. 24 Abs. 2 Satz 2 BVV 2 ) weiterhin bezogen auf den schweizerischen Arbeitsmarkt zu ermitteln, wie der mutmasslich entgangene Verdienst ( Art. 24 Abs. 1 BVV 2 ; E. 5.2).
Sachverhalt ab Seite 21 BGE 137 V 20 S. 21 A. Der 1961 geborene V. bezog ab 1. Februar 1998 eine ganze Rente (Invaliditätsgrad: 75 %) samt Zusatzrente für die Ehefrau und zwei Kinderrenten (Verfügung der IV-Stelle Basel-Landschaft vom 29. November 2001). Ebenfalls richtete ihm die Winterthur Columna, Stiftung für berufliche Vorsorge (heute: AXA Stiftung Berufliche Vorsorge, Winterthur) - ab 1. Januar 2005 wegen Überentschädigung gekürzte - Invalidenleistungen der beruflichen Vorsorge aus. 2002 kehrte V. in sein Heimatland Portugal zurück. Als Ergebnis des im Juli 2005 eingeleiteten Revisionsverfahrens sprach ihm die IV-Stelle für Versicherte im Ausland (nachfolgend: IV-Stelle) mit Verfügung vom 12. November 2008 für die Zeit vom 1. April 2007 bis 30. Juni 2008 eine ganze Rente (Invaliditätsgrad: 100 %) samt Zusatzrente für die Ehefrau und zwei Kinderrenten und ab 1. Juli 2008 eine Dreiviertelsrente (Invaliditätsgrad: 65 %) samt zwei Kinderrenten zu. Die AXA Stiftung Berufliche Vorsorge richtete weiterhin Invalidenleistungen der beruflichen Vorsorge aus. Dabei berücksichtigte sie in der Überentschädigungsberechnung ab 1. Juli 2008 neu ein "zumutbarerweise erzielbares Erwerbseinkommen" von jährlich Fr. 22'344.-, was zu einer Kürzung der Leistungen um 30,39 % führte. In der Folge kam es zwischen V. und der Vorsorgeeinrichtung zum Disput darüber, ob dieses Einkommen bezogen auf den schweizerischen oder den portugiesischen Arbeitsmarkt zu ermitteln sei. B. Am 6. August 2009 liess V. beim Kantonsgericht Basel-Landschaft, Abteilung Sozialversicherungsrecht, Klage gegen die AXA BGE 137 V 20 S. 22 Stiftung Berufliche Vorsorge einreichen und beantragen, die Beklagte sei zu verpflichten, ihm ab 1. April 2009 eine persönliche Invalidenrente von jährlich Fr. 26'321.- und zwei Invalidenkinderrenten von jährlich Fr. 3'714.- und für den Zeitraum vom 1. Juli 2008 bis 31. März 2009 den Betrag von Fr. 6'775.55 nebst 5 % Zins seit Klageeinreichung zu bezahlen. Nach Durchführung eines doppelten Schriftenwechsels wies das angerufene Gericht mit Entscheid vom 26. März 2010 die Klage ab. C. V. lässt Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten führen mit dem Rechtsbegehren, der Entscheid vom 26. März 2010 sei aufzuheben und die "Beschwerdebeklagte" zu verpflichten, ihm ab 1. April 2009 eine persönliche Invalidenrente von jährlich Fr. 26'321.- und zwei Invalidenkinderrenten von jährlich Fr. 3'714.- und für den Zeitraum vom 1. Juli 2008 bis 31. März 2009 den Betrag von Fr. 6'775.55 nebst 5 % Zins seit Klageeinreichung zu bezahlen. Die AXA Stiftung Berufliche Vorsorge beantragt die Abweisung der Beschwerde. Das kantonale Gericht und das Bundesamt für Sozialversicherungen (BSV) haben auf eine Vernehmlassung verzichtet. Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab. Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. 2.1 Gemäss dem vom Bundesrat gestützt auf Art. 34a Abs. 1 BVG (bis 31. Dezember 2002: Art. 34 Abs. 2 BVG ; SR 831.40) erlassenen Art. 24 der Verordnung vom 18. April 1984 über die berufliche Alters-, Hinterlassenen- und Invalidenvorsorge (BVV 2; SR 831.441.1) kann die Vorsorgeeinrichtung die Hinterlassenen- und Invalidenleistungen kürzen, soweit sie zusammen mit anderen anrechenbaren Einkünften 90 Prozent des mutmasslich entgangenen Verdienstes übersteigen (Abs. 1). Als anrechenbare Einkünfte gelten bei Bezügern von Invalidenleistungen u.a. das weiterhin erzielte oder zumutbarerweise noch erzielbare Erwerbs- oder Ersatzeinkommen (Abs. 2 Satz 2). Ziffer 35 des Reglements der Beschwerdegegnerin, in der ab 1. Januar 2008 gültigen, hier anwendbaren Fassung ( BGE 134 V 64 E. 2.3.1 S. 67) enthält unter dem Titel "Verhältnis zu anderen Versicherungsleistungen" eine praktisch wortwörtlich damit übereinstimmende Vorschrift. Art. 24 Abs. 1 und 2 Satz 2 BVV 2 gelten vorliegend somit auch im überobligatorischen BGE 137 V 20 S. 23 Bereich (SVR 2009 BVG Nr. 23 S. 83, 9C_711/2008 E. 3.3, nicht publ. in: BGE 135 V 33 , in Verbindung mit SVR 2010 BVG Nr. 40 S. 153, 9C_863/2009 E. 4). 2.2 In BGE 134 V 64 hat das Bundesgericht entschieden, dass der Grundsatz der Kongruenz von Invalideneinkommen ( Art. 16 ATSG [SR 830.1] in Verbindung mit Art. 28a Abs. 1 IVG ) und zumutbarerweise noch erzielbarem Erwerbseinkommen ( Art. 24 Abs. 2 Satz 2 BVV 2 ) gilt. Im gleichen Verhältnis stehen Valideneinkommen ( Art. 16 ATSG in Verbindung mit Art. 28a Abs. 1 IVG ) und mutmasslich entgangener Verdienst ( Art. 24 Abs. 1 BVV 2 ). Damit ist im Sinne einer Vermutung davon auszugehen, dass das im invalidenversicherungsrechtlichen Verfahren ermittelte Invalideneinkommen dem in der Überentschädigungsberechnung der beruflichen Vorsorge zu berücksichtigenden zumutbarerweise noch erzielbaren Erwerbseinkommen entspricht (E. 4.1.3 S. 70). Im Unterschied zu dem bezogen auf einen ausgeglichenen Arbeitsmarkt zu bestimmenden Invalideneinkommen ( BGE 110 V 273 E. 4b S. 276) ist das überentschädigungsrechtlich relevante hypothetische Erwerbseinkommen in Berücksichtigung der gesamten objektiven und subjektiven Umstände, auch in arbeitsmarktlicher Hinsicht, festzulegen. Massgebend sind die effektiven Chancen, auf dem jeweiligen tatsächlichen Arbeitsmarkt eine geeignete und zumutbare Arbeitsstelle zu finden (E. 4.2.1 S. 71). Dabei hat die teilinvalide Person die Umstände, welche in ihrem konkreten Fall der Erzielung eines mit dem Invalideneinkommen äquivalenten Resterwerbseinkommens entgegenstehen, zu behaupten, zu substantiieren und hiefür soweit möglich Beweise anzubieten, namentlich durch den Nachweis erfolglos gebliebener Stellenbemühungen (E. 4.2.2 S. 72). 3. Die Beschwerdegegnerin berücksichtigte bei der Überentschädigungsberechnung ab 1. Juli 2008 ein zumutbarerweise erzielbares Erwerbseinkommen von Fr. 22'344.-. Dieser Betrag liegt unterhalb des von der IV-Stelle im Rahmen des Einkommensvergleichs ( Art. 16 ATSG in Verbindung mit Art. 28a Abs. 1 IVG ; BGE 128 V 29 E. 1 S. 30) auf der Grundlage der Schweizerischen Lohnstrukturerhebung 2006 des Bundesamtes für Statistik ermittelten Invalideneinkommens (vgl. dazu BGE 129 V 472 E. 4.2.1 S. 475 f.) von Fr. 24'495.- (Berechnung vom 18. Juni 2008). In der vorinstanzlichen Klageantwort hatte die Vorsorgeeinrichtung ausgeführt, die IV-Stelle sei von schweizerischen Verhältnissen ausgegangen. Das angerechnete zumutbarerweise erzielbare Erwerbseinkommen BGE 137 V 20 S. 24 von Fr. 22'344.- liege deutlich unter dem Invalideneinkommen von Fr. 24'495.-, womit den Verdienstmöglichkeiten am ausländischen Wohnort des Klägers ausreichend Rechnung getragen werde. Im Übrigen seien in Portugal nicht nur die Löhne, sondern auch die Lebenskosten tiefer. In der Duplik hielt sie zudem fest, sie wäre gar nicht in der Lage, das im Ausland zumutbarerweise erzielbare Erwerbseinkommen zu ermitteln. Als mutmasslich entgangenen Verdienst ( Art. 24 Abs. 1 BVV 2 ) setzte die Beschwerdegegnerin in der Überentschädigungsberechnung das von der IV-Stelle ermittelte Valideneinkommen, entsprechend dem zuletzt als Gesunder erzielten, an die Nominallohnentwicklung angepassten Verdienst ( BGE 134 V 322 E. 4.1 S. 325; inklusive Kinderzulagen) von Fr. 74'416.- ein, was unbestritten blieb. 4. 4.1 Das kantonale Gericht hat - nach Darlegung und Erörterung von BGE 134 V 64 E. 4 S. 69 ff. - erwogen, es gelte bei der berufsvorsorgerechtlichen Überentschädigungsberechnung die Vermutung der Richtigkeit der Feststellungen der Invalidenversicherung. Diese Vermutung könne umgestossen werden, und zwar in Bezug auf das zumutbarerweise erzielbare Erwerbseinkommen durch den Nachweis der Nichtverwertbarkeit der Restarbeitsfähigkeit. Die Parallelität von Validen- und Invalideneinkommen gelte auch im Verhältnis zwischen mutmasslich entgangenem Verdienst und zumutbarerweise erzielbarem Erwerbseinkommen. Bei Wohnsitz im Ausland habe der Vergleich von Validen- und Invalideneinkommen auf ein und demselben Arbeitsmarkt zu erfolgen ( BGE 110 V 273 ). Aufgrund des funktionalen Zusammenhangs zwischen der ersten und zweiten Säule in Bezug auf Leistungen bei Invalidität ( BGE 133 V 67 E. 4.3.2 S. 69) habe dasselbe auch bei der Ermittlung des mutmasslich entgangenen Verdienstes und des zumutbarerweise erzielbaren Erwerbseinkommens zu gelten. Es sei deshalb und auch aus Gründen der Gleichbehandlung nicht zulässig, für die Bestimmung dieser für die Überentschädigungsberechnung massgebenden Grössen auf die Verhältnisse von verschiedenen Ländern abzustellen. Die vom Kläger beantragte Ermittlung des mutmasslich entgangenen Verdienstes ( Art. 24 Abs. 1 BVV 2 ) bezogen auf den schweizerischen und des zumutbarerweise erzielbaren Erwerbseinkommens ( Art. 24 Abs. 2 Satz 2 BVV 2 ) bezogen auf den portugiesischen Arbeitsmarkt könne dazu führen, dass der Bezüger einer Invalidenrente bei Wohnsitz in der Schweiz eine Kürzung der Invalidenleistungen der BGE 137 V 20 S. 25 beruflichen Vorsorge hinnehmen müsste, bei Wohnsitz in Portugal mit tieferen Lebenshaltungskosten hingegen nicht. Auch aus Praktikabilitätsgründen und zur Vermeidung eines hohen Administrativaufwandes rechtfertige es sich, die Überentschädigungsberechnung aufgrund des Arbeitsmarktes in der Schweiz vorzunehmen. Der Kläger habe bezüglich des einzig streitigen zumutbarerweise noch erzielbaren Erwerbseinkommens den ihm obliegenden Nachweis der Nichtverwertbarkeit der Restarbeitsfähigkeit nicht erbracht. 4.2 Der Beschwerdeführer hält dagegen, im Zusammenhang mit der Überentschädigungsberechnung gehe es um die Frage, ob der teilinvalide Versicherte an seinem Wohnsitz in Portugal das von der Invalidenversicherung festgelegte "schweizerische" Invalideneinkommen erzielen könne. Dies sei nicht möglich, da das Lohnniveau dort niedriger sei. Gemäss der vom Europäischen Statistischen Amt herausgegebenen Broschüre "Europa in Zahlen - Eurostat Jahrbuch 2009" sei das durchschnittliche Bruttoeinkommen im Industrie- und Dienstleistungssektor 2006 in Portugal um 65,4 % niedriger gewesen als in der Schweiz. Die Ermittlung des zumutbarerweise noch erzielbaren Erwerbseinkommens bezogen auf den Arbeitsmarkt am Wohnsitz sodann stelle keine Ungleichbehandlung gegenüber in der Schweiz wohnhaften Rentenbezügern dar. Gegenteils werde die teilinvalide Person im Ausland niemals ihre zumutbaren Anstrengungen in der Schweiz und damit das hier erzielbare Einkommen darlegen können, was eine deutliche Ungleichheit zu hier wohnhaften Rentenbezügern bedeute. Das auf dem portugiesischen Arbeitsmarkt zumutbarerweise erzielbare Erwerbseinkommen könne aufgrund der Daten des Europäischen Statistischen Amtes ermittelt werden. Von einem zu hohen Administrativaufwand könne somit nicht gesprochen werden. Schliesslich bringt der Beschwerdeführer vor, die ebenfalls denkbare Lösung, bei der Bemessung des mutmasslich entgangenen Verdienstes und des zumutbarerweise noch erzielbaren Erwerbseinkommens auf denselben portugiesischen Arbeitsmarkt abzustellen, scheitere daran, dass die Renten der Invalidenversicherung und gegebenenfalls der Unfallversicherung in "'schweizerischer' Höhe" anrechenbar wären und in Niedriglohnländern möglicherweise allein schon den mutmasslich entgangenen Verdienst übersteigen würden. Die Beschwerdegegnerin schliesst sich in ihrer Vernehmlassung im Wesentlichen der Argumentation der Vorinstanz an. In formeller Hinsicht kann ihr nicht beigepflichtet werden, soweit sie geltend BGE 137 V 20 S. 26 macht, in der Beschwerde werde nicht dargelegt, inwiefern der vorinstanzliche Entscheid Recht verletze ( Art. 41 Abs. 2 und Art. 95 BGG ), weshalb das Rechtsmittel abzuweisen sei (recte: darauf nicht eingetreten werden könne), und die in diesem Verfahren eingereichte Broschüre "Europa in Zahlen - Eurostat Jahrbuch 2009" stelle ein unzulässiges Novum dar ( Art. 99 Abs. 1 BGG ; SVR 2009 KV Nr. 1 S. 1, 9C_56/2008 E. 3.4). 5. 5.1 Ausgangspunkt jeder Auslegung bildet der Wortlaut. Ist der Text nicht klar und sind verschiedene Interpretationen möglich, muss nach seiner wahren Tragweite gesucht werden unter Berücksichtigung aller Auslegungselemente. Abzustellen ist dabei namentlich auf die Entstehungsgeschichte, auf den Zweck der Norm, die ihr zugrunde liegenden Wertungen und ihre Bedeutung im Kontext mit anderen Bestimmungen. Die Materialien sind zwar nicht unmittelbar entscheidend, dienen aber als Hilfsmittel, um den Sinn der Norm zu erkennen. Das Bundesgericht hat sich bei der Auslegung von Erlassen stets von einem Methodenpluralismus leiten lassen und nur dann allein auf das grammatische Element abgestellt, wenn sich daraus zweifelsfrei die sachlich richtige Lösung ergab ( BGE 135 II 78 E. 2.2 S. 81; BGE 135 V 153 E. 4.1 S. 157, BGE 135 V 249 E. 4.1 S. 252; BGE 134 I 184 E. 5.1 S. 193; BGE 134 II 249 E. 2.3 S. 252). Verordnungsrecht ist gesetzeskonform auszulegen. Es sind die gesetzgeberischen Anordnungen, Wertungen und der in der Delegationsnorm eröffnete Gestaltungsspielraum mit seinen Grenzen zu berücksichtigen ( BGE 131 V 263 E. 5.1 S. 266 mit Hinweisen). Ebenfalls ist den Grundrechten und verfassungsmässigen Grundsätzen Rechnung zu tragen und zwar in dem Sinne, dass - sofern durch den Wortlaut (und die weiteren massgeblichen normunmittelbaren Auslegungselemente) nicht klar ausgeschlossen - der Verordnungsbestimmung jener Rechtssinn beizumessen ist, welcher im Rahmen des Gesetzes mit der Verfassung (am besten) übereinstimmt (verfassungskonforme oder verfassungsbezogene Interpretation; BGE 135 I 161 E. 2.3 S. 163 mit Hinweis). 5.2 5.2.1 Der Wortlaut von Art. 24 Abs. 2 Satz 2 BVV 2 lässt offen resp. differenziert nicht danach, ob das zumutbarerweise noch erzielbare Erwerbseinkommen ("le revenu que le bénéficiaire de prestations d'invalidité pourrait encore raisonnablement réaliser" bzw. BGE 137 V 20 S. 27 "il reddito che può presumibilmente essere ancora conseguito" in der französischen und italienischen Textfassung) bei im Ausland wohnhaften Bezügern einer Rente der Invalidenversicherung bezogen auf den dortigen Arbeitsmarkt zu ermitteln ist oder ob die Verhältnisse in der Schweiz massgebend sind. Die Zumutbarkeitsfrage lässt sich bei ausländischem Wohnsitz auch bezüglich des schweizerischen Arbeitsmarktes stellen. 5.2.2 Sinn und Zweck der Anrechenbarkeit des zumutbarerweise noch erzielbaren Erwerbseinkommens ist, invalide Versicherte, welche die verbliebene Restarbeitsfähigkeit nicht verwerten, ohne nachzuweisen, inwiefern objektive und subjektive Umstände, auch in arbeitsmarktlicher Hinsicht, dem entgegenstehen (vorne E. 2.2), finanziell denjenigen gleichzustellen, die - in Erfüllung der Schadenminderungspflicht - das ihnen zumutbare Invalideneinkommen tatsächlich erzielen ( BGE 134 V 64 E. 4.1.1 S. 69; HANS-ULRICH STAUFFER, Berufliche Vorsorge, 2005, S. 326 Rz. 874; ISABELLE VETTER-SCHREIBER, Anrechnung von Resterwerbseinkommen und Ersatzeinkommen in der beruflichen Vorsorge, in: BVG-Tagung 2006, S. 65 ff., 81). Auch aus dem Normzweck von Art. 24 Abs. 2 Satz 2 BVV 2 lässt sich nicht mit letzter Bestimmtheit ableiten, dass bei Wohnsitz im Ausland die dortigen Verhältnisse massgebend dafür sein sollen, ob die invalide Person noch ein Erwerbseinkommen realisieren könnte (anders offenbar Mitteilungen des BSV über die berufliche Vorsorge Nr. 82 vom 24. Mai 2005 Ziff. 478; vgl. zur Verbindlichkeit von Weisungen der Aufsichtsbehörde BGE 132 V 321 E. 3.3 S. 324 mit Hinweisen). 5.2.3 5.2.3.1 Unter gesetzessystematischem Blickwinkel ist von Bedeutung, dass sich eine allfällige Überentschädigung am mutmasslich entgangenen Verdienst ("gain annuel dont on peut présumer que l'intéressé est privé" resp. "guadagno presumibilmente perso dall'assicurato" in der französischen und italienischen Textfassung) misst. Die Rechtsprechung versteht darunter das hypothetische Einkommen, das die versicherte Person ohne Invalidität im Zeitpunkt, in welchem sich die Kürzungsfrage stellt, erzielen würde ( BGE 129 V 150 E. 2.3 S. 154; BGE 125 V 163 E. 3b S. 164; Urteil B 119/06 vom 7. November 2007 E. 3.3) resp. könnte ( BGE 126 V 93 E. 3 S. 96; BGE 123 V 193 E. 5a S. 197; Urteil B 83/06 vom 26. Januar 2007 E. 6). In den nicht in der Amtlichen Sammlung publizierten Urteilen wurde auf die weitgehende Parallelität zum resp. die fehlende BGE 137 V 20 S. 28 Kongruenz mit dem Valideneinkommen nach Art. 16 ATSG hingewiesen, d.h. es ist den spezifischen Gegebenheiten und tatsächlichen Chancen der versicherten Person auf dem jeweiligen Arbeitsmarkt Rechnung zu tragen (vgl. auch Urteil des Eidg. Versicherungsgerichts B 54/03 vom 6. Februar 2006 E. 3.2). Ausgehend vom zuletzt vor Eintritt der gesundheitlichen Beeinträchtigung (mit Auswirkungen auf die Arbeitsfähigkeit) erzielten Verdienst (Urteil des Eidg. Versicherungsgerichts B 98/03 vom 22. März 2004 E. 4.2) sind alle einkommensrelevanten Veränderungen (Teuerung, Reallohnerhöhungen, Karriereschritte etc.) zu berücksichtigen, welche ohne Invalidität überwiegend wahrscheinlich eingetreten wären (MARC HÜRZELER, in: BVG und FZG, Handkommentar, 2010, N. 17 ff. zu Art. 34a BVG ; RIEMER/RIEMER-KAFKA, Das Recht der beruflichen Vorsorge in der Schweiz, 2. Aufl. 2006, S. 126 Rz. 80; STAUFFER, a.a.O., S. 321 Rz. 862; BGE 129 V 150 E. 2.3 S. 155 [Statuswechsel von Teil- auf Vollerwerbstätigkeit]; Urteile des Eidg. Versicherungsgerichts B 21/04 vom 29. November 2004 E. 3.2 und B 55/02 vom 9. April 2003). Der Wegzug ins Ausland resp. die Rückkehr ins Heimatland führt somit nur dann allenfalls zur Anpassung des mutmasslich entgangenen Verdienstes - und zwar bezogen auf den dortigen Arbeitsmarkt -, wenn der Wohnsitzwechsel überwiegend wahrscheinlich auch ohne Eintritt der Invalidität im betreffenden Zeitpunkt stattgefunden hätte und demzufolge die rentenbeziehende Person nicht mehr hier arbeiten würde. 5.2.3.2 Für die Invaliditätsbemessung in der Invalidenversicherung bei Erwerbstätigen mit Wohnsitz im Ausland sind die beiden Vergleichseinkommen, Validen- und Invalideneinkommen, grundsätzlich bezogen auf denselben Arbeitsmarkt zu ermitteln. Aufgrund der theoretischen und abstrakten Natur des Begriffs der ausgeglichenen Arbeitsmarktlage im Sinne von Art. 16 ATSG ist es bedeutungslos, dass die versicherte Person im Ausland wohnt. Anderseits gestatten die Unterschiede in den Lohnniveaus und den Lebenshaltungskosten zwischen den Ländern nicht einen objektiven Vergleich der in Frage stehenden Einkommen über die Grenzen hinweg ( BGE 110 V 273 ; Urteile 8C_1043/2009 vom 15. April 2010 E. 4.2 und 9C_335/2007 vom 8. Mai 2008 E. 3.3.2 mit Hinweisen). Daraus kann indessen nicht ein zwingendes Argument dafür abgeleitet werden, dass dasselbe auch im Verhältnis mutmasslich entgangener Verdienst ( Art. 24 Abs. 1 BVV 2 ) und zumutbarerweise noch erzielbares Erwerbseinkommen ( Art. 24 Abs. 2 Satz 2 BVV 2 ) gelten muss. BGE 137 V 20 S. 29 Denn im Unterschied zum Invalideneinkommen ist dem überentschädigungsrechtlich relevanten hypothetischen Erwerbseinkommen gerade nicht ein ausgeglichener Arbeitsmarkt zugrunde zu legen (vorne E. 2.2). Immerhin spricht für eine Ermittlung von mutmasslich entgangenem Verdienst und zumutbarerweise noch erzielbarem Erwerbseinkommen bezogen auf denselben Arbeitsmarkt, dass bei beiden Einkommen die konkrete Arbeitsmarktlage massgebend ist (in diesem Sinne wohl auch VETTER-SCHREIBER, a.a.O., S. 84). 5.2.4 Die berufliche Vorsorge soll zusammen mit der Alters-, Hinterlassenen- und Invalidenversicherung die Fortsetzung der gewohnten Lebenshaltung in angemessener Weise ermöglichen ( Art. 113 Abs. 2 lit. a BV und Art. 1 Abs. 1 BVG ; BGE 135 I 28 E. 5.3.2 S. 38 mit Hinweisen). Die Kumulation von Leistungen verschiedener Sozialversicherungen kann nicht nur zu einer mit dieser Zielsetzung der Zweiten Säule nicht vereinbaren Überversicherung führen, sondern auch die Kosten des Sozialversicherungswesens noch weiter erhöhen und zudem ein Hindernis für die Wiedereingliederung darstellen, was es zu vermeiden gilt (Botschaft vom 19. Dezember 1975 zum Bundesgesetz über die berufliche Alters-, Hinterlassenen- und Invalidenvorsorge, BBl 1976 I 149 ff., 246). Nach Art. 34a Abs. 1 BVG und der Überschrift zu Art. 24 BVV 2 geht es beim Verbot der Überentschädigung darum, ungerechtfertigte Vorteile zu verhindern. Die versicherte Person soll finanziell nicht besser-, sondern höchstens so gestellt werden, wie wenn sich das Risiko Invalidität nicht verwirklicht hätte ( BGE 126 V 97 E. 4e S. 99 f.; HÜRZELER, a.a.O., N. 2 zu Art. 34a BVG ; RIEMER/RIEMER-KAFKA, a.a.O., S. 124 Rz. 74). Bei der Frage, welcher Arbeitsmarkt bei Wohnsitz im Ausland für die Ermittlung des zumutbarerweise noch erzielbaren Einkommens im Sinne von Art. 24 Abs. 2 Satz 2 BVV 2 massgebend ist, soll und darf somit auch die gewohnte Lebenshaltung vor und nach Eintritt der Invalidität berücksichtigt werden. Der Mittelbedarf für eine Fortsetzung der gewohnten Lebenshaltung in angemessener Weise ist aber in einem Land mit bedeutend niedrigeren solchen Kosten verglichen mit der Schweiz entsprechend geringer. Es liefe der verfassungsmässigen Zielsetzung der Zweiten Säule und auch dem Normzweck der Gleichbehandlung invalider Personen unter dem Gesichtspunkt der Schadenminderungspflicht (vorne E. 5.2.2) zuwider, bei Wohnsitz in einem solchen Land das zumutbarerweise BGE 137 V 20 S. 30 noch erzielbare Erwerbseinkommen nach den dortigen Verhältnissen zu ermitteln, jedenfalls wenn für die Festlegung des mutmasslich entgangenen Verdienstes auf den schweizerischen Arbeitsmarkt abzustellen ist. Dies hat zumindest solange zu gelten, als die ins Ausland gehenden, nach Art. 24 Abs. 2 BVV 2 anrechenbaren Sozialversicherungsleistungen, insbesondere die Renten der Invaliden- und Unfallversicherung, nicht an die Kaufkraft am Wohnsitz des Bezügers oder der Bezügerin angepasst werden. Für den Regelfall einer ohne Gesundheitsschaden weiterhin in der Schweiz ausgeübten Erwerbstätigkeit spricht eine verfassungsorientierte Auslegung somit dafür, auch bei Wohnsitznahme im Ausland das zumutbarerweise noch erzielbare Erwerbseinkommen im Sinne von Art. 24 Abs. 2 Satz 2 BVV 2 weiterhin bezogen auf den schweizerischen Arbeitsmarkt zu ermitteln, wie den mutmasslich entgangenen Verdienst ( Art. 24 Abs. 1 BVV 2 ). 5.3 Es ist davon auszugehen, dass der Beschwerdeführer ohne gesundheitliche Beeinträchtigung heute noch in der Schweiz erwerbstätig und nicht bereits 2002, erst 41-jährig, wieder in sein Heimatland Portugal zurückgekehrt wäre. Er hat jedenfalls den von der Beschwerdegegnerin in der Überentschädigungsberechnung als mutmasslich entgangenen Verdienst eingesetzten Betrag von Fr. 74'416.-, entsprechend dem von der IV-Stelle ermittelten, an die Nominallohnentwicklung angepassten Valideneinkommen nicht bestritten (vorne E. 3). Somit ist in der Überentschädigungsberechnung ab 1. Juli 2008 das zumutbarerweise noch erzielbare Erwerbseinkommen nach Art. 24 Abs. 2 Satz 2 BVV 2 auf den schweizerischen Arbeitsmarkt bezogen zu ermitteln.
null
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de
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CH
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Urteilskopf 126 II 366 40. Auszug aus dem Urteil der I. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 7. Juni 2000 in Sachen X. gegen Reformierte Kirchgemeinde Bubikon, Gemeinderat Bubikon sowie Verwaltungsgericht des Kantons Zürich (Verwaltungsgerichtsbeschwerde)
Regeste Art. 7, 11, 13 und 15 USG; Geläut von Kirchenglocken. Anwendbarkeit von Art. 11 Abs. 2 und 3 USG auf bestehende Anlagen (E. 2b). Grundsätze für die Beurteilung von Glockengeläut, das nicht von einem der Anhänge der LSV erfasst wird (E. 2c und 2d). Lärmschutzrechtliche Beurteilung des Frühgeläuts der reformierten Kirche Bubikon (E. 3-5). Den lokalen Behörden steht bei Ereignissen, die Ausdruck einer alten Tradition sind, ein Beurteilungsspielraum zu (E. 3c, 5b). Beizug der kommunalen Polizeiverordnung bei der Handhabung des Beurteilungsspielraums (E. 4 und 5).
Sachverhalt ab Seite 367 BGE 126 II 366 S. 367 Nachdem der Gemeinderat Bubikon am 1. Oktober 1997 auf einen Antrag von X., das Frühgeläut der reformierten Kirche Bubikon von 05.00 Uhr auf 07.00 Uhr zu verschieben, nicht eingetreten war, zog er am 18. Februar 1998 seinen Entscheid in Wiedererwägung und ordnete an, dass dieses Frühgeläut nicht vor 06.00 Uhr stattfinden dürfe und auf durchschnittlich 50 Schläge zu beschränken sei. Gegen diesen Entscheid führte X. erfolglos Rekurs bei der Baurekurskommission III und Beschwerde beim Verwaltungsgericht des Kantons Zürich. Gegen den Entscheid des Verwaltungsgerichts vom 29. Januar 1999 hat X. beim Bundesgericht Verwaltungsgerichtsbeschwerde erhoben. Die Beschwerdeführerin beantragt, der Entscheid des Verwaltungsgerichts sei aufzuheben und es sei anzuordnen, dass das Frühgeläut der reformierten Kirche Bubikon ausnahmslos nicht vor 07.00 Uhr ertönen dürfe. Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. a) Es ist unbestritten, dass kirchliches Glockengeläut, auch soweit es Teil der Religionsausübung darstellt und unter dem Schutz der Glaubens- und Gewissensfreiheit steht ( Art. 15 Abs. 2 BV bzw. Art. 50 Abs. 1 aBV ), zum Schutz der öffentlichen Ruhe gewissen Einschränkungen unterworfen werden darf ( Art. 36 BV ; BGE 36 I 374 E. 3 S. 378; ULRICH HÄFELIN, Kommentar BV 1874, Art. 50 Rz. 24 f. und dortige Hinweise; PETER KARLEN, Das Grundrecht der Religionsfreiheit in der Schweiz, Zürich 1988, S. 230, 308 und 318). Auch steht ausser Frage, dass die Umweltschutzgesetzgebung grundsätzlich auf Kirchengeläut anwendbar ist. b) Das Glockenspiel der reformierten Kirche Bubikon ist eine mit einer Baute dauerhaft verbundene ortsfeste Einrichtung und damit eine Anlage im Sinne von Art. 7 Abs. 7 des Bundesgesetzes vom 7. Oktober 1983 über den Umweltschutz (USG; SR 814.01) und Art. 2 Abs. 1 der Lärmschutz-Verordnung vom 15. Dezember 1986 (LSV; SR 814.41). Da die Kirche samt ihrem Läutwerk bereits vor dem Inkrafttreten des Umweltschutzgesetzes am 1. Januar 1985 bestanden hat und keine Erweiterung der Anlage beabsichtigt ist, untersteht sie nicht den Vorschriften für Neuanlagen ( Art. 25 USG , Art. 7 LSV ). Indessen ist die Sanierung der ortsfesten Anlage anzuordnen, BGE 126 II 366 S. 368 wenn sie den Vorschriften des Umweltschutzgesetzes nicht genügt ( Art. 16 Abs. 1 USG ). Zu diesen Vorschriften zählen auch die in Art. 11 Abs. 2 und 3 USG enthaltenen Bestimmungen. Danach sind Emissionen im Rahmen der Vorsorge unabhängig von der bestehenden Umweltbelastung so weit zu begrenzen, als dies technisch und betrieblich möglich und wirtschaftlich tragbar ist (Abs. 2). Wenn feststeht oder zu erwarten ist, dass die Einwirkungen unter Berücksichtigung der bestehenden Umweltbelastung schädlich oder lästig werden, sind die Emissionsbegrenzungen zu verschärfen (Abs. 3). Solche Begrenzungen werden gemäss Art. 12 Abs. 2 USG durch Verordnungen oder, soweit diese nichts vorsehen, durch unmittelbar auf das Umweltschutzgesetz abgestützte Verfügungen vorgeschrieben. Daran ändert nichts, ob bekannt ist, dass die Immissionsgrenzwerte überschritten werden, oder dass Art. 13 der LSV die Sanierungspflicht nur für jene bestehenden ortsfesten Anlagen vorsieht, welche wesentlich zur Überschreitung der Immissionsgrenzwerte beitragen. Schutzmassnahmen nach Art. 12 Abs. 2 USG sind nicht erst zu ergreifen, wenn die Umweltbelastung schädlich oder lästig wird, sondern es müssen gestützt auf das Vorsorgeprinzip schon sämtliche unnötigen Emissionen vermieden werden ( BGE 113 Ib 393 E. 3 S. 400; BGE 115 Ib 446 E. 3d S. 453 f.; BGE 119 Ib 179 E. 2e S. 190). Dies ist allerdings nicht so zu verstehen, dass jeder im strengen Sinne nicht nötige Lärm völlig untersagt werden müsste. Es gibt keinen absoluten Anspruch auf Ruhe; vielmehr sind geringfügige, nicht erhebliche Störungen hinzunehmen ( Art. 15 USG ; BGE 123 II 325 E. 4d/bb S. 334 f.; Urteil des Bundesgerichts vom 18. März 1998 in: URP 1998 S. 529 E. 5b/c; CHRISTOPH ZÄCH, Kommentar USG, N. 13 zu Art. 15). c) Die Lärmimmissionen ortsfester Anlagen sind grundsätzlich anhand der vom Bundesrat festgelegten Belastungsgrenzwerte (Anhänge 3-8 LSV) zu beurteilen ( Art. 40 Abs. 1 LSV ). Für die Lärmbelastung durch Glockenspiele hat der Bundesrat keine Grenzwerte festgelegt. Fehlen solche Werte, so müssen die Lärmimmissionen im Einzelfall nach den Kriterien der Art. 15, 19 und 23 USG bewertet werden ( Art. 40 Abs. 3 LSV ; BGE 126 II 300 E. 4c/aa S. 307; BGE 123 II 74 E. 4a und b S. 82 f.; BGE 118 Ib 590 E. 3b S. 596). Im Rahmen dieser Einzelfallbeurteilung sind der Charakter des Lärms, Zeitpunkt und Häufigkeit seines Auftretens sowie die Lärmempfindlichkeit bzw. Lärmvorbelastung zu berücksichtigen ( BGE 123 II 74 E. 5a S. 86, 325 E. 4d/bb S. 335; BGE 118 Ib 590 E. 4a S. 598). Dabei ist nicht auf das subjektive Lärmempfinden einzelner Personen abzustellen, BGE 126 II 366 S. 369 sondern eine objektivierte Betrachtung unter Berücksichtigung von Personen mit erhöhter Empfindlichkeit ( Art. 13 Abs. 2 USG ) vorzunehmen ( BGE 126 II 300 E. 4c/aa S. 307; BGE 123 II 74 E. 5a S. 86, 325 E. 4d/bb S. 334; Urteil des Bundesgerichts vom 1. Dezember 1994 in URP 1995 S. 31, E. 4c; CHRISTOPH ZÄCH, a.a.O., N. 14 zu Art. 15). d) Die Lärmschutzvorschriften des Umweltschutzgesetzes sind in erster Linie zugeschnitten auf Geräusche, die als unerwünschte Nebenwirkungen einer bestimmten Tätigkeit auftreten. Diese können grundsätzlich mit geeigneten Massnahmen an der Quelle reduziert werden, ohne dass dadurch die entsprechenden Tätigkeiten als solche in Frage gestellt werden. Daneben gibt es jedoch auch Geräusche, welche den eigentlichen Zweck einer bestimmten Aktivität ausmachen. Dazu gehören beispielsweise das Läuten von Kirchen- oder Kuhglocken, das Musizieren sowie das Halten von Reden mit Lautverstärkern an Anlässen in der Öffentlichkeit. Solche Lärmemissionen können nicht völlig vermieden und in der Regel auch nicht in der Lautstärke wesentlich reduziert werden, ohne dass zugleich der Zweck der sie verursachenden Tätigkeit vereitelt würde. Derartige Lärmemissionen als unnötig und unzulässig zu qualifizieren, würde implizieren, die betreffende Tätigkeit generell als unnötig zu betrachten. Die Rechtsprechung hat im Allgemeinen solche Emissionen zwar aufgrund des Umweltschutzgesetzes beurteilt, aber zugleich unter Berücksichtigung des Interesses an der Lärm verursachenden Tätigkeit diese nicht völlig verboten, sondern bloss einschränkenden Massnahmen unterworfen (Urteil des Bundesgerichts vom 18. März 1998 in Pra 87/1998 Nr. 170 S. 904 und in URP 1998 S. 529 betr. Schussanlage zur Abwehr von Vögeln in Rebbergen; vgl. auch Urteil des Bundesgerichts vom 2. August 1995 i.S. R., RDAT 1996 I 62183, betr. Freiluftmusikveranstaltungen; aus der kantonalen Praxis: URP 1996 S. 668 [Verwaltungsgericht Zürich] betr. Kirchenglocken; RDAF 1995 S. 75 [Verwaltungsgericht Waadt] betr. Freiluftkonzerte). Da eine Reduktion der Schallintensität meist den mit der betreffenden Tätigkeit verfolgten Zweck vereiteln würde, bestehen die emissionsbeschränkenden Massnahmen in der Regel nicht in einer Reduktion des Schallpegels, sondern in einer Einschränkung der Betriebszeiten ( BGE 119 Ib 463 E. 4-6; BGE 118 Ib 234 E. 2b S. 239 f.; SCHRADE/LORETAN, Kommentar USG, N. 29 zu Art. 12). Dabei ist eine Interessenabwägung vorzunehmen zwischen dem Ruhebedürfnis der Bevölkerung und dem Interesse an der lärmverursachenden Tätigkeit. Zu beachten sind insbesondere BGE 126 II 366 S. 370 der Charakter des Lärms, Zeitpunkt, Dauer und Häufigkeit seines Auftretens sowie die Lärmempfindlichkeit bzw. die Lärmvorbelastung der betroffenen Zone ( BGE 126 II 300 E. 4c/cc S. 307 f.; BGE 123 II 325 E. 4d/bb S. 334 f., BGE 123 II 74 E. 5a S. 86; Pra 87/1998 Nr. 170 S. 908). Den örtlichen Behörden ist ein gewisser Beurteilungsspielraum zuzugestehen, soweit es sich um Anlässe mit lokaler Ausprägung oder Tradition handelt ( BGE 126 II 300 E. 4c/dd S. 309). 3. a) Die Baurekurskommission hat anlässlich eines Lokaltermins festgestellt, das Geläut der reformierten Kirche Bubikon weise eine eher dunkle Klangfarbe, aber einen relativ harten Anschlag sowie eine beachtliche Intensität auf. Der davon ausgehende Schall sei zumindest in den unmittelbar dem Kirchturm zugewandten Zimmern der Rekurrentin offensichtlich laut vernehmbar. Das Verwaltungsgericht hat sich zur Intensität des Geläuts nicht geäussert bzw. auf die Feststellungen der Baurekurskommission abgestellt. Das BUWAL führt aus, Untersuchungen der SUVA hätten ergeben, dass in 50 Meter Distanz von einem mittelhohen Kirchturm bei mittelgrossen Kirchenglocken am Ohr der Betroffenen im Innern eines Gebäudes (bei gekipptem Fenster zur Belüftung des Zimmers) ein Schalldruckpegel von mehr als 60 dB(A) entstehe. Bei einem solchen Schalldruckpegel sei nachts mit Aufwachreaktionen zu rechnen. Das bedeute, dass von einer erheblichen Störung im Sinne von Art. 15 USG gesprochen werden müsse. b) Diese tatsächlichen Feststellungen der Baurekurskommission und des BUWAL werden von keiner Seite bestritten. Der beantragte Augenschein erübrigt sich deshalb. Die Beschwerdeführerin verlangt auch nicht, dass das Glockengeläut etwa durch Schallschutzmassnahmen in der Glockenstube eingedämmt werde. Eine solche Massnahme müsste denn auch wohl bedacht werden, da das Erzielen einer breiten Aussenwirkung gerade der Zweck des kirchlichen Läutens und nicht (unerwünschtes) Nebenprodukt irgendeiner Tätigkeit ist: Kirchengeläut soll möglichst vielen Menschen feierlich den neuen Tag ankündigen und sie zur Besinnung mahnen oder auch je nach Tageszeit zum Gebet, zum Gottesdienst oder zu einer kirchlichen Feier rufen (zum kirchlichen und weltlichen Glockenbrauchtum vgl. HARTWIG NIEMANN, Das Liturgische Läuten, Seine Geschichte und die Rechtsgrundlagen, in: Glocken in Geschichte und Gegenwart, Band 2, Karlsruhe 1998, S. 26). Diesem Zweck würden Schallschutzmassnahmen zuwiderlaufen (vgl. dazu immerhin einen Entscheid des Verwaltungsgerichts Aargau, ZBl BGE 126 II 366 S. 371 90/1989 S. 499 ff., inbes. S. 506 ff.; ferner zur Problematik des Selbstzwecks des Kirchengeläuts MONIKA KÖLZ, Die Anwendbarkeit der bundesrechtlichen Lärmschutzvorschriften auf menschlichen Alltagslärm und verwandte Lärmarten, in URP 1993 S. 398). Hingegen fordert die Beschwerdeführerin eine Einschränkung der Betriebszeit beim morgendlichen Frühgeläut, was ebenfalls eine mögliche Massnahme zur Emissionsbegrenzung sein kann ( Art. 12 Abs. 1 lit. c und Abs. 2 USG ). Umstritten ist, ob bei einem Frühgeläut um 06.00 Uhr morgens noch von einer Nachtruhestörung gesprochen werden kann und ob Kirchengeläut überhaupt von einem wesentlichen Teil der Bevölkerung als erheblich störend empfunden wird. c) Glockengeläut wird - jedenfalls tags und ab einer gewissen Distanz zu den Glocken - von den meisten Menschen nicht als störend empfunden. Es kann - wie die Musik - nicht mit Verkehrs- oder Industrielärm gleichgesetzt werden. Kirchenglocken haben für viele Leute einen Wohlklang, und ihr regelmässiges Ertönen - auch frühmorgens - entspricht weit verbreiteter alter Tradition. Kirchengeläut hat sich weit über den Kreis der Gläubigen hinaus im Bewusstsein der Menschen eingeprägt, vermag auch religiös gleichgültige Leute zu bewegen und gehört für weite Teile der Bevölkerung zum festen Tagesablauf. Das Gefühl der Störung hängt ähnlich wie bei Musik stark davon ab, zu welcher Tages- oder Nachtzeit die Glocken ertönen und wie nahe bei der Lärmquelle sich die Betroffenen befinden. Mehrheitsmeinungen in einer Gemeinde können nicht ohne weiteres als Massstab für die Befindlichkeit der "Bevölkerung" im Sinne von Art. 15 USG dienen, da in der Regel nicht eine Mehrheit nahe bei der Lärmquelle wohnt. "Bevölkerung" ist vielmehr im Sinn einer objektiven, durchschnittlichen Lärmempfindlichkeit zu verstehen. Da aber auch auf Personengruppen mit erhöhter Lärmempfindlichkeit (Kranke, Betagte usw.) Rücksicht zu nehmen ist ( Art. 13 Abs. 2 USG ), muss tendenziell von einer eher über dem Durchschnitt liegenden Lärmempfindlichkeit ausgegangen werden (CHRISTOPH ZÄCH, Kommentar USG, Art. 15 N. 15). Indessen ist auch die Ortsüblichkeit (Vorbelastung des Gebiets, Zonenlage, Tradition) in die Beurteilung miteinzubeziehen (Urteile des Bundesgerichts vom 1. Dezember 1994 i.S. T., E. 3c, in URP 1995 S. 31 ff., und vom 13. Juni 1997 i.S. X., E. 2b/bb, in Pra 86/1997 Nr. 138 S. 743). Diesbezüglich ist zu beachten, dass sich die Wohnung der Beschwerdeführerin in der Kernzone befindet, die der Lärmempfindlichkeitsstufe BGE 126 II 366 S. 372 III zugewiesen ist, d.h. wo mässig störender Lärm hingenommen werden muss ( Art. 43 Abs. 1 lit. c LSV ). Das Frühgeläut entspricht zudem einer örtlichen Tradition. Einer Aufstellung im Anhang zum Beschluss des Gemeinderates vom 18. Februar 1998 ist zu entnehmen, dass im Bezirk Hinwil bzw. in angrenzenden Gemeinden sieben Gemeinden ein Frühgeläut um 05.00 Uhr, drei Gemeinden um 06.00 Uhr und eine Gemeinde um 07.00 Uhr kennen. In Dürnten wurde das Frühgeläut mit Rücksicht auf ausländische Hotelgäste abgeschafft. 4. a) Das Verwaltungsgericht hat massgeblich auf die Polizeiverordnung der Gemeinde Bubikon vom 1. April 1998 (PolV) abgestellt. Dieses Vorgehen ist zulässig, soweit es darum geht, die Handhabung des den lokalen Behörden zustehenden Beurteilungsspielraums bei der Auslegung und Anwendung des Umweltschutzgesetzes, insbesondere die zu ergreifenden Emissionsbegrenzungsmassnahmen, zu überprüfen (vgl. BGE 118 Ib 590 E. 3c S. 596 f.). Nach Art. 19 PolV gilt von 22.00 Uhr bis 06.00 Uhr Nachtruhe, während welcher "jeder störende Lärm verboten" ist. An öffentlichen Ruhetagen sowie von 06.00 bis 07.00, von 12.00 bis 13.00 und von 20.00 bis 22.00 Uhr ist "die Vermeidung von Lärm besonders zu beachten". Lärmige Haus- und Gartenarbeiten (Klopfen von Teppichen, Arbeiten mit motorbetriebenen Geräten usw.) dürfen werktags ab 07.00 Uhr ausgeführt werden (Art. 21 Abs. 1 PolV). Lärmige Arbeiten in Industrie, Gewerbe und andern Unternehmen sind von 19.00 bis 07.00 Uhr sowie von 12.00 bis 13.00 Uhr untersagt (Art. 22 Abs. 2 PolV). Für die Landwirtschaft gelten nach Art. 28 Abs. 2 PolV grundsätzlich die Ruhezeiten gemäss Art. 19 PolV. Das Verwaltungsgericht hält es für vertretbar, dass der Gemeinderat auf Art. 19 PolV abstellt und das Morgengeläut nicht gleich behandelt wie Arbeiten in Haus, Garten, Gewerbe und Industrie (Art. 21 und 22 PolV). Das in der Polizeiverordnung festgelegte Ende der Nachtruhe könne als Ausdruck des "ortsüblichen Mittelmasses" angesehen werden, bei dem auch auf Personengruppen mit erhöhter Empfindlichkeit im Sinne von Art. 13 Abs. 2 USG Rücksicht genommen werde. b) Die Beschwerdeführerin wendet dagegen ein, eine Notwendigkeit, das Frühgeläut vor 07.00 Uhr ertönen zu lassen, bestehe nicht. Seit es in jedem Haushalt Wecker gebe, habe das Frühgeläut seine Weckfunktion verloren. Ein grosser Teil der Bevölkerung stehe morgens nicht (mehr) vor 07.00 Uhr auf. Diese Leute würden durch das BGE 126 II 366 S. 373 Geläut um 06.00 Uhr in ihrem Wohlbefinden erheblich gestört. Das gelte erst recht an Samstagen und Sonntagen. Die Bauern, die einen frühen Tagesbeginn hätten, machten heute nur noch den kleineren Teil der Bevölkerung aus. Art. 19 PolV sei nicht massgebend und verletze Bundesrecht. Nach diesem gelte nur für den unvermeidbaren Strassenverkehrs- und Eisenbahnlärm die Zeit zwischen 22.00 und 06.00 Uhr als Nacht (Ziff. 32 Abs. 1 Anhänge 3 und 4 LSV). Für den (vermeidbaren) Industrie- und Gewerbelärm gelte als Nacht die Zeit von 19.00 bis 07.00 Uhr (Ziff. 31 Abs. 1 Anhang 6 LSV). Daraus könne abgeleitet werden, dass vermeidbarer Lärm wie Glockengeläut vor 07.00 Uhr vermieden werden müsse. Die Polizeiverordnung sei im Übrigen vom Gemeinderat in eigener Kompetenz erlassen worden, ohne dass darüber eine Volksabstimmung stattgefunden habe; Art. 19 Abs. 1 PolV könne deshalb nicht als Massstab für das Empfinden der Bevölkerung herangezogen werden. Zudem sei auch nach Art. 19 Abs. 2 PolV jeglicher vermeidbare Lärm zwischen 06.00 und 07.00 Uhr zu unterlassen, und öffentlichen Unternehmen, wie die reformierte Kirche Bubikon eines sei, seien lärmige Arbeiten vor 07.00 Uhr überhaupt untersagt (Art. 22 PolV). Es sei willkürlich, die Emissionen des Kirchengeläuts anders zu behandeln als Emissionen aus Gewerbe, Industrie und Haus (Art. 21 und 22 PolV), und es gebe keinen sachlichen Grund, Art. 19 Abs. 2 PolV, der vorschreibe, dass zwischen 06.00 und 07.00 Uhr auf die Vermeidung jeglichen Lärms besonders zu achten sei, für Kirchengeläut nicht gelten zu lassen. Es sei auch rechtsungleich, wenn das Verwaltungsgericht in der Gemeinde Buchs ein Frühgeläut vor 07.00 Uhr verboten und die Baurekurskommission III in der Gemeinde Dürnten ein solches erst um 06.30 Uhr bzw. an Wochenenden um 07.30 Uhr zugelassen habe (vgl. den Entscheid des Verwaltungsgerichts vom 30. August 1995, publ. in URP 1996 S. 668 ff.), in Bubikon aber das Geläut schon um 06.00 Uhr zugelassen werde. Das Verwaltungsgericht verletze auch das Verhältnismässigkeitsprinzip, wenn es das Interesse eines Teils der Bevölkerung an einem Frühgeläut um 06.00 Uhr stärker gewichte als das Interesse grosser Teile der Bevölkerung am ungestörten Schlaf bis 07.00 Uhr. 5. a) Es ist der Beschwerdeführerin darin beizupflichten, dass die kommunale Polizeiverordnung die Nachtruhezeit nicht anders definieren kann, als die Lärmschutz-Verordnung es tut. Letztere enthält indessen für Glockengeläut keine Vorschrift. Auch ist es keineswegs zwingend, auf die Regeln für Industrie- und Gewerbelärm (Nachtruhe von 19.00 bis 07.00 Uhr) abzustellen. Industrie- BGE 126 II 366 S. 374 und Gewerbelärm sind Emissionen aus Berufsarbeit und hängen deshalb von den üblichen Arbeitszeiten ab. Strassen- und Bahnverkehr fällt hingegen zu einem grossen Teil vor und nach den üblichen Arbeitszeiten und auch in der Freizeit an, weshalb für ihn andere Nachtruhezeiten gelten (22.00 bis 06.00 Uhr). Es ist weder willkürlich noch unsachlich und verletzt Bundesrecht nicht, wenn Glockengeläut nicht dem Arbeitslärm gleichgestellt und morgens früher zugelassen wird als dieser. Soweit das Frühgeläut den Zweck hat, den Tag einzuläuten und zur Besinnung oder zum Gebet zu rufen, könnte es diesen Zweck teilweise gar nicht erfüllen, wenn es erst erklingen dürfte, wenn viele Leute bereits unterwegs zur Arbeit oder am Arbeitsort sind. Betriebseinschränkungen dürfen grundsätzlich nicht so weit gehen, dass sie den Zweck des Betriebs geradezu vereiteln, es sei denn, die Alarmwerte würden überschritten, was hier aber nicht angenommen werden kann ( Art. 14 Abs. 1 lit. a und Abs. 2 LSV ). Wie zudem bereits erwähnt worden ist (E. 3c), ist der Klang der Glocken von seiner Art her nicht mit Industrie- und Gewerbelärm oder mit Lärm von Geräten in Haus und Garten vergleichbar. b) Schliesslich ist zu beachten, dass das Frühgeläut der reformierten Kirche Bubikon Tradition hat. Wie eine Eingabe von 300 Personen an den Gemeinderat zeigt, dürfte dieses einem gewissen öffentlichen Interesse entsprechen, selbst wenn nicht alle Einwohner und Einwohnerinnen der Gemeinde diese Einschätzung teilen mögen. Der Gemeinderat spricht in Ziff. 5 seiner Verfügung vom 1. Oktober 1997 von Brauchtum, das Teil des Zusammengehörigkeitsempfindens dieser ländlichen Gemeinde schlechthin sei. Eine solche Tradition rechtfertigt es, Einschränkungen nur mit Zurückhaltung anzuordnen. Obschon die Polizeiverordnung nur vom Gemeinderat und nicht vom Stimmvolk beschlossen worden ist, ist sie doch Ausdruck der in der Gemeinde vorherrschenden Meinung, dass es genügt, eine allgemeine Nachtruhe nur bis um 06.00 Uhr morgens vorzuschreiben (Art. 19 Abs. 1 PolV). Wohl ist an öffentlichen Ruhetagen und von 06.00 bis 07.00 Uhr der Vermeidung von Lärm besondere Beachtung zu schenken (Art. 19 Abs. 2 PolV). Wenn aber die örtlichen Behörden und mit ihnen die kantonalen Rechtsmittelinstanzen davon ausgehen, dass in der Gemeinde Bubikon ein Frühgeläut der reformierten Kirche um 06.00 Uhr (noch) allgemein akzeptiert werde und dass an der Aufrechterhaltung dieser Tradition ein öffentliches Interesse bestehe, so hat das Bundesgericht keinen Anlass, von dieser Beurteilung durch die mit den örtlichen Verhältnissen besser vertrauten Behörden abzuweichen BGE 126 II 366 S. 375 (vgl. Pra 86/1997 Nr. 138 S. 743, ferner BGE 119 Ib 254 E. 2b S. 265). Es kann davon ausgegangen werden, dass sich in Bubikon nicht ein wesentlicher Teil der Bevölkerung durch das Frühgeläut im Wohlbefinden erheblich gestört fühlt (vorne E. 2d), ansonst der Gemeinderat kaum darum herumkäme, bei den Kirchbehörden vorstellig zu werden oder sogar die Polizeiverordnung entsprechend anzupassen. c) Es ist nicht unverhältnismässig, wenn die Vorinstanzen dem Interesse an der Beibehaltung der erwähnten Tradition grösseres Gewicht beimessen als dem Ruhebedürfnis der Beschwerdeführerin. Auch verletzt es die Rechtsgleichheit nicht, wenn die Gemeinden in Bereichen, wo das Bundesumweltrecht Spielraum lässt, die Ruhezeiten verschieden regeln und wenn die kantonalen Rechtsmittelinstanzen im Zusammenhang mit der Beurteilung von Frühgeläut diesen unterschiedlichen kommunalen Regelungen Rechnung tragen (vgl. BGE 125 I 173 E. 6d S. 179; s. auch BGE 126 II 300 E. 4d/ee S. 311). d) Aus dem Gesagten ergibt sich, dass der angefochtene Entscheid Bundesrecht nicht verletzt. Die Beschwerde ist daher abzuweisen.
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Urteilskopf 103 Ib 261 42. Auszug aus dem Urteil vom 25. November 1977 i.S. G.
Regeste Dienstverhältnis des Bundesbeamten, Nichtwiederwahl; Wegfall der Kassenleistungen gemäss Art. 9 Abs. 3 der Statuten der Eidg. Versicherungskasse. 1. Verfahren: Rechtsweg (E. 2b). 2. Begriff des Selbstverschuldens im kassenrechtlichen Sinn (E. 6 - 8, E. 10).
Sachverhalt ab Seite 262 BGE 103 Ib 261 S. 262 Der Bundesbeamte G. wurde nach Ablauf der Amtsdauer 1973-1976 für die neue Amtsdauer nicht mehr wiedergewählt und gleichzeitig darauf hingewiesen, die Auflösung des Dienstverhältnisses gelte im Sinne der Statuten der Eidg. Versicherungskasse als selbstverschuldet. Die von ihm in erster Linie angefochtene Nichtwiederwahl hält der Überprüfung durch das Bundesgericht stand. G. bestreitet, dass ein Selbstverschulden im kassenrechtlichen Sinn vorliege, und erhebt deshalb Anspruch auf Kassenleistungen. Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. b) Bis zum Inkrafttreten des revidierten OG am 1. Oktober 1969 hatte das Bundesgericht nicht über die Zulässigkeit einer Nichtwiederwahl zu befinden. Dagegen konnte es gestützt auf Art. 60 und 61 BtG sowie Art. 110 Abs. 1 lit. a aOG angerufen werden, wenn es zu Streitigkeiten aus dem Bundesbeamtenverhältnis, inbegriffen Streitigkeiten über Leistungen einer Versicherungskasse des Bundes, kam. Das Bundesgericht hatte auf Grund von Art. 60 Abs. 2 BtG selbständig, d.h. vorfrageweise zu prüfen, ob die getroffene Massnahme auf Verschulden des Versicherten beruhte oder nicht. Es nahm somit hinsichtlich der Verschuldensfrage volles Überprüfungsrecht in Anspruch. Seit dem Inkrafttreten der Revision von 1968 ist das Bundesgericht auch zur Überprüfung der Frage, ob die Nichterneuerung des Dienstverhältnisses gerechtfertigt ist, zuständig. Mit der Verfügung, das Dienstverhältnis werde nicht für eine neue Amtsdauer begründet, hat die Wahlbehörde sich darüber auszusprechen, ob die Nichtwiederwahl auf Verschulden des Bediensteten zurückzuführen ist. Art. 60 BtG ist zwar bei der Revision des OG nicht aufgehoben worden. Man könnte deshalb annehmen, es stehe dem Bediensteten nach wie vor im Falle der Nichtwiederwahl neben der Verwaltungsgerichtsbeschwerde das Klagerecht gegen die Kasse offen (JUD, Besonderheiten öffentlichrechtlicher Dienstverhältnisse nach schweizerischem Recht, insbesondere bei deren Beendigung aus nichtdisziplinarischen Gründen, Diss. Freiburg 1975, S. 293 f.). Wenn der Beamte der Meinung ist, die Nichtwiederwahl sei gerechtfertigt, oder wenn er sich mit ihr abfindet, er aber kein oder nur ein geringes Selbstverschulden anerkennt, muss ihm die klageweise BGE 103 Ib 261 S. 263 Geltendmachung seiner Versicherungsansprüche offen stehen. Hält er aber die Nichtwiederwahl nicht für gerechtfertigt, muss er sich auf dem Beschwerdeweg dagegen zur Wehr setzen, und dann hat das Bundesgericht als Beschwerdeinstanz darüber zu urteilen. Es wäre aber eine nicht vertretbare Zweispurigkeit, wenn nach dem Entscheid über die Zulässigkeit der Nichtwiederwahl noch klageweise nach Art. 60 BtG geltend zu machen wäre, die Nichtwiederwahl sei nicht selbstverschuldet. Das Bundesgericht hätte dann praktisch zweimal über den gleichen Sachverhalt zu urteilen. Wird die Nichterneuerung des Dienstverhältnisses mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde angefochten und wird damit ausdrücklich oder sinngemäss behauptet, es liege auch kein Selbstverschulden im kassenrechtlichen Sinne vor, ist sowohl über die Zulässigkeit der Nichtwiederwahl als auch über die Verschuldensfrage im kassenrechtlichen Sinn im Rahmen der Verwaltungsgerichtsbeschwerde zu erkennen. Dem Beschwerdeführer erwächst daraus kein Nachteil. Zwar können im Beschwerdeverfahren hinsichtlich der Nichtwiederwahl keine Ermessensfragen geprüft werden, da nach dem Gesetz nur in Disziplinarsachen dem Bundesgericht eine allseitige Überprüfungsbefugnis zusteht, während es im Klageverfahren die Streitsache allseitig prüfen kann. Die Frage, ob ein Verschulden im kassenrechtlichen Sinne vorliege, ist jedoch im einen wie im andern Fall eine Rechtsfrage des Bundesrechtes, so dass in dieser Hinsicht das Bundesgericht im Beschwerdeverfahren über die gleiche Kognition verfügt wie bei der Beurteilung einer verwaltungsrechtlichen Klage ( Art. 104 OG ). Hat der Beamte aber die Nichtwiederwahl oder allenfalls die vorzeitige Auflösung des Dienstverhältnisses nicht angefochten, will er aber geltend machen, die Beendigung des Dienstverhältnisses sei ohne sein Verschulden erfolgt, kann er gestützt auf Art. 116 lit. a OG und Art. 60 Abs. 1 BtG in Verbindung mit Art. 116 lit. k OG seine Rechte noch mit verwaltungsrechtlicher Klage wahren. Es ist somit auch über die Ansprüche des Beschwerdeführers an die Eidg. Versicherungskasse in diesem Beschwerdeverfahren zu urteilen. 6. Der Beschwerdeführer ist seinerzeit als Mitglied der Eidg. Versicherungskasse im Sinne der Art. 12 ff. der Kassenstatuten (SR 172.222.1; EVK) aufgenommen worden. Gemäss BGE 103 Ib 261 S. 264 Art. 15 EVK entrichtet der Versicherte wiederkehrende Beiträge von 6% des versicherten Verdienstes sowie einen einmaligen Beitrag von 50% jeder Erhöhung des versicherten Jahresverdienstes. Der Bund entrichtet für ihn seinerseits gleich hohe wiederkehrende Beiträge und übernimmt ausserdem bei Erhöhung des versicherten Verdienstes die zum Ausgleich der verbleibenden Deckungskapitalbelastung erforderlichen Einkausfsbeiträge (Art. 16 EVK). Es liegt dem Beschwerdeführer hauptsächlich daran, dass die angefochtene Verfügung jedenfalls soweit aufgehoben wird, als sie feststellt, die Nichtwiederwahl sei im kassenrechtlichen Sinn auf sein Verschulden zurückzuführen. Je nachdem wie die Frage beurteilt wird, ergeben sich für ihn finanzielle erheblich voneinander abweichende Folgen. 7. a) Bei Auflösung des Dienstverhältnisses auf eigenes Begehren des Versicherten vor Erreichen der Altersgrenze sowie bei Nichtwiederwahl oder Auflösung des Dienstverhältnisses aus eigenem Verschulden des Versicherten entsteht kein Anspruch auf Kassenleistungen (Art. 9 Abs. 3 EVK). Der Versicherte tritt aus der Kasse aus und bekommt eine Austrittsentschädigung. Diese entspricht den von ihm geleisteten Beiträgen und Einkaufssummen ohne Zins. Dazu kommt für jedes über vier hinausgehende volle Beitragsjahr ein Zuschlag von 4% der von ihm geleisteten Beiträge, ohne Einkaufssummen (Art. 18 EVK). Nach Vollendung des 40. Altersjahres und von 15 Beitragsjahren hat der Versicherte im übrigen das Recht, die Mitgliedschaft bei der Versicherungskasse bei unverändertem versichertem Verdienst freiwillig weiterzuführen (Art. 3 Abs. 2 EVK). b) Wird hingegen das Dienstverhältnis nicht auf Veranlassung und ohne Verschulden des Versicherten vor Erreichen der Altersgrenze aufgelöst, so hat der Versicherte Anspruch auf Versicherungsleistungen. Bei Auflösung des Dienstverhältnisses vor Vollendung des 19. Beitragsjahres erhält er eine Kapitalabfindung. Diese beträgt vor Vollendung des fünften Beitragsjahres das Doppelte der von ihm bezahlten Beiträge und den einfachen Betrag der von ihm bezahlten Einkaufssummen samt Zins gemäss Art. 40 EVK, Bei fünf vollendeten Beitragsjahren beträgt die Abfindung 150% des versicherten Jahresverdienstes; für jedes weitere vollendete Beitragsjahr steigt sie je 10% des versicherten Jahresverdienstes. Dazu BGE 103 Ib 261 S. 265 kommt eine Erhöhung um 20% des versicherten Jahresverdienstes für jedes Kind, das im Todesfall des Versicherten Anspruch auf eine Waisenrente gehabt hätte, für alle Kinder zusammen jedoch um höchstens 100% (Art. 34). Bei Auflösung des Dienstverhältnisses nach Vollendung des 19. Beitragsjahres hat der Versicherte Anspruch auf eine Invalidenrente (Art. 22 EVK). 8. Die Unterscheidung zwischen selbstverschuldeter und unverschuldeter Nichtwiederwahl bzw. Auflösung des Dienstverhältnisses ergibt sich aus dem BtG (Art. 60 Abs. 2; s. auch Art. 56 Abs. 1). Der Begriff des Selbstverschuldens wird indessen im BtG nicht näher umschrieben. Auch die Kassenstatuten präzisieren den Begriff nicht. a) Bei der disziplinarischen Entlassung ist die Umschreibung des Selbstverschuldens nicht weiter fraglich, da die Massnahme selber stets ein grobes Verschulden des Beamten voraussetzt ( BGE 83 I 304 E. 2), welches sich auch kassenrechtlich als Verschulden auswirkt. Das Selbstverschulden, das den Anspruch auf Kassenleistungen ausschliesst, muss demnach ein solches sein, das die disziplinarische Entlassung zu begründen vermag ( BGE 58 I 345 f.). b) Bei der Auflösung des Dienstverhältnisses aus wichtigen Gründen gemäss Art. 55 BtG und bei der Nichtwiederwahl nach Ablauf der Amtsdauer ( Art. 57 BtG ) ist die Frage des Selbstverschuldens heikler. In beiden Fällen kann die Beendigung des Dienstverhältnisses sowohl aus Gründen, die beim Beamten liegen, als auch aus solchen, die bei der Verwaltung liegen (z.B. Arbeitsrückgang, organisatorische Umgestaltungen), erfolgen. c) Das Bundesgericht ist in seiner Rechtsprechung bisher davon ausgegangen, die Nichtwiederwahl bzw. die Auflösung des Dienstverhältnisses sei als unverschuldet zu betrachten, wenn sie hauptsächlich auf Gründen beruhe, die ausserhalb der Person des betreffenden Beamten lägen, bzw. auf Tatsachen, für die er nicht als verantwortlich gelten dürfe. Für die Annahme eines Verschuldens genüge nicht jede Dienstpflichtverletzung oder jedes missliebige Verhalten des Beamten. Es müsse eine gewisse Schwere der Veranlassung gefordert werden. Fehle sie und werde bloss eine Kleinigkeit als Anstoss für den Entschluss zur Auflösung des Dienstverhältnisses angeführt, so liege die Vermutung nahe, dass daneben auch nicht BGE 103 Ib 261 S. 266 genannte Gründe bestanden hätten, die weniger beim Bediensteten als bei der Verwaltung selber lägen, und dass das Verhalten des Beamten als Vorwand genommen werde, um Zwecke zu erreichen, die im Grunde und hauptsächlich aus administrativen Gesichtspunkten angestrebt würden. Umgekehrt könne der Beamte, der zufolge seines Verhaltens, für das er verantwortlich sei, der Verwaltung unzumutbar geworden sei, nicht einwenden, die Massnahme sei von ihm unverschuldet, selbst wenn sie zusätzlich durch einige Tatsachen, die ausserhalb seiner Person lägen oder für die er nicht verantwortlich sei, bedingt worden sei (nicht veröffentlichte Urteile Geiser vom 9. November 1951 E. 5; Ganz vom 30. Oktober 1940 E. 4; Schmid vom 28. Mai 1936 E. 1). d) Es rechtfertigt sich, an diesen Grundsätzen festzuhalten. Die unverschuldete Entlassung bzw. Nichtwiederwahl stellt nach der gesetzlichen Regelung ein besonders versichertes Risiko dar. Bei den Leistungen nach Art. 22 und 34 EVK handelt es sich um eigentliche Versicherungsleistungen. Diese Ordnung lässt sich nur aus dem Bedürfnis erklären, administrative Umgestaltungen zu erleichtern (zit. Urteil Ganz E. 3). Durch Einräumung eines Anspruchs auf eine Invalidenrente (Art. 22 EVK) bzw. einer besonderen Entschädigung in Form einer Kapitalabfindung (Art. 34 EVK) werden die betroffenen Bediensteten gegen die wirtschaftlichen Folgen administrativer Umgestaltungen, für die sie nicht verantwortlich sind, geschützt. e) Der Zweck dieser Ordnung erfordert, dass die Frage des Selbstverschuldens in eine enge Beziehung zum Grund für die Beendigung des Dienstverhältnisses gesetzt wird. Eine Heraufsetzung der Anforderungen an das Verschulden, etwa im Sinne von Grobfahrlässigkeit, wie dies von verschiedenen Autoren vertreten worden ist (vgl. KERN, Das Dienstrecht des Bundespersonals, Diss. Bern 1935, S. 162; WIMMER, Die Rolle des Selbstverschuldens bei der Personalversicherung des Bundes, ZSR 53/1934 S. 280 f.; JUD, Besonderheiten öffentlichrechtlicher Dienstverhältnisse nach schweizerischem Recht, insbesondere bei deren Beendigung aus nichtdisziplinarischen Gründen, Diss. Freiburg 1975, S. 250 ff.) würde dem Zweck der Regelung teilweise widersprechen, da im Falle des Art. 55 und 57 BtG die Beendigung des Dienstverhältnisses sehr wohl aus Gründen erfolgen kann, die nicht bei der Verwaltung BGE 103 Ib 261 S. 267 liegen, sondern im Verhalten des Beamten, für welches er als verantwortlich gelten muss, ohne dass indessen dieses Verhalten zugleich als grobfahrlässig bezeichnet werden könnte. Eine solche restriktive Auslegung des Begriffs des Selbstverschuldens hätte ausserdem eine sachlich nicht zu rechtfertigende Besserstellung des zwar aus eigenem, nicht aber aus grobfahrlässigem Verschulden entlassenen bzw. nichtwiedergewählten Beamten gegenüber dem freiwillig aus dem Bundesdienst ausscheidenden Beamten zur Folge. Dies wäre sachlich nicht haltbar, umso mehr, als wohl in der Mehrzahl der Fälle, in denen Spannungen im Dienstverhältnis auftreten, der Beamte von sich aus die Auflösung des Dienstverhältnisses begehrt, bevor überhaupt die Frage einer administrativen Entlassung bzw. Nichtwiederwahl nach Ablauf der Amtsdauer aktuell wird. f) JUD meint, wenn bei Eintritt des Invaliditätsfalles aus Selbstverschulden die Invalidenrente des Beamten bis auf die Hälfte reduziert werden könne, bei der Nichtwiederwahl oder bei der Entlassung aus wichtigen Gründen aber bereits das geringste Verschulden des Dienstnehmers genügen würde, um Kassenleistungen auszuschliessen, so könne dies dazu führen, dass bei Vorliegen einer mitverschuldeten Dienstuntauglichkeit im einen Fall eine Invalidierung mit Anspruch auf Versicherungsleistungen eintrete und im andern Fall eine verschuldete Entlassung ohne Versorgungsleistung ausgesprochen würde (a.a.O. S. 251 f.). In der Tat kann die Invalidenrente nach Art. 25 Abs. 4 EVK nur bei Selbstverschulden und nur um 50% gekürzt werden. Es handelt sich aber dabei um eine Sondervorschrift, die nicht ohne weiteres auf andere Fälle der selbstverschuldeten Beendigung des Dienstverhältnisses ausgedehnt werden kann. Wird eine Rente wegen Invalidität ausgesprochen, fehlt dem Betroffenen regelmässig die Möglichkeit, einem andern Arbeitserwerb nachzugehen, während in den andern Fällen der Versicherte nach der Entlassung eine andere Beschäftigung aufnehmen kann. Daher mag es Billigkeitsgründen entsprechen, den Beamten, der aus Selbstverschulden invalid geworden ist, nicht ohne irgendwelche Entschädigung zu lassen. Auch besteht die Möglichkeit, dass die Invalidität zwar selbstverschuldet ist, z.B. durch einen selbstverschuldeten Verkehrsunfall, dass aber darin nicht eine Verletzung von Dienstpflichten BGE 103 Ib 261 S. 268 zu sehen ist, Es dürfen deshalb aus Art. 25 Abs. 4 EVK keine Schlüsse auf die Behandlung anderer Fälle von selbstverschuldeter Beendigung des Dienstverhältnisses gezogen werden. 10. ... Fiele das Fehlverhalten G.'s neben seiner beruflichen Unfähigkeit als Beendigungsgrund nur wenig ins Gewicht, so dass es für sich allein nicht Anlass zur Nichtwiederwahl gegeben hätte, wäre zu schliessen, die Nichtwiederwahl sei ohne eigenes Verschulden erfolgt. Die von G. zu verantwortenden Verhaltensweisen sind aber derart gewichtig, dass sie auch für sich allein die Nichtwiederwahl gerechtfertigt hätten, und zwar umso mehr, als eine Besserung nicht abzusehen war. Die Nichtwiederwahl hat deshalb als selbstverschuldet zu gelten. Die Beschwerde ist auch in diesem Beschwerdepunkt abzuweisen.
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Urteilskopf 106 II 170 33. Auszug aus dem Urteil der I. Zivilabteilung vom 22. Juli 1980 i.S. Franc gegen Wohnbau Süd AG und Obergericht des Kantons Aargau (staatsrechtliche Beschwerde)
Regeste Art. 4 BV . Anspruch auf die Abnahme von rechtzeitig und formrichtig angebotenen, erheblichen Beweisen. Art. 15 Abs. 1 lit. c BMM . Berechnung der Bruttorendite.
Erwägungen ab Seite 170 BGE 106 II 170 S. 170 Aus den Erwägungen: 6. Im erstinstanzlichen Verfahren wurden zur Überprüfung der Bruttorendite die Anlagekosten ermittelt, wobei der für Landerwerb einzusetzende Betrag streitig war ( Art. 15 Abs. 1 lit. c BMM ). Nach der Darstellung des Beschwerdeführers konnte höchstens von Fr. 70.-- pro Quadratmeter ausgegangen werden. Der Gerichtspräsident stellte fest, dass die von der Beschwerdegegnerin behaupteten Landkosten nicht belegt waren und auf reinen Annahmen beruhten. Er fand im weiteren, die Schätzungsgutachten, welche auf Veranlassung der Parteien verfasst wurden, wichen zu hundert Prozent voneinander ab und könnten deshalb keine vernünftige Rechnungsgrundlage sein. Da somit die tatsächlichen Kosten nicht zuverlässig ermittelt werden könnten, stützte er sich auf eine bei RENE MÜLLER (Der Bundesbeschluss über Massnahmen gegen Missbräuche im Mietwesen vom 30. Juni 1972, Diss. Zürich 1976, S. 199 Anm. 242) erwähnte Faustregel, nach der Landerwerbskosten in der Regel missbräuchlich sind, wenn sie zwanzig Prozent der Baukosten überschreiten. Auf dieser Grundlage berechnete er einen Landpreis von Fr. 135.-- pro Quadratmeter, der nach seiner Ansicht den gegebenen Verhältnissen angemessen ist. BGE 106 II 170 S. 171 a) In der Beschwerde vom 4. September 1978 an das Obergericht legte der Beschwerdeführer dar, wie das Bauland durch eine Limmat-Liegenschaften AG aufgekauft, dann 1961 an die Bauhalde AG verkauft wurde, die 1969 ihren Namen in Wohnbau Süd AG abgeändert habe. Diese Handänderungen seien der Steuer- bzw. Abgabepflicht unterworfen gewesen. Er beantragte daher, es seien beim Steueramt Untersiggenthal, beim Grundbuchamt Baden und eventuell beim kantonalen Steueramt Erhebungen zu machen, aus denen sich der tatsächliche Quadratmeterpreis ermitteln lassen sollte. Das Obergericht verzichtete darauf, die beantragten Beweismittel zu erheben. Der Beschwerdeführer sieht darin eine Verletzung des rechtlichen Gehörs. Er begründet seine Rüge im besonderen damit, dass die Vorinstanz gegen § 169 ZPO Aargau verstossen habe, weil sie es ablehnte, die amtlichen Urkunden herbeizuschaffen, die für ihn nicht zugänglich gewesen seien. Das Obergericht hat indessen die Ablehnung der Beweisanträge nicht damit begründet, dass die Voraussetzungen für ein Editionsverfahren nach § 169 Abs. 3 ZPO fehlten. Insoweit ist die Rüge unbegründet. b) Die behauptete Gehörsverweigerung ist aber auch im Licht der verfassungsrechtlichen Mindestgarantie zu beurteilen. Art. 4 BV gewährt einer Prozesspartei den Anspruch auf die Abnahme von erheblichen Beweisen, die sie rechtzeitig und formrichtig angetragen hat ( BGE 101 Ia 103 E. 3, 296 lit. d). Der Anspruch ist verletzt, wenn ohne sachliche Gründe einem Beweismittel im vornherein jede Erheblichkeit abgesprochen wird ( BGE 101 Ia 104 E. 4). Das Obergericht stellt nicht in Frage, dass der Beschwerdeführer die Beweisanträge rechtzeitig und formrichtig vorbrachte, es verneint jedoch ihre Beweistauglichkeit. Angesichts der Sachlage ist das unhaltbar. Für die Höhe der Landerwerbskosten waren keinerlei Belege vorhanden. Die vier Gutachten kamen zu derart unterschiedlichen Schätzungen, dass sie nach der vom Obergericht bestätigten Auffassung des Gerichtspräsidenten keine vernünftige Berechnungsgrundlage ergaben. Demgegenüber wollte der Beschwerdeführer mit den Erhebungen bei Grundbuch- und Steuerämtern feststellen lassen, welche Kaufpreise bei den Handänderungen bezahlt wurden, die dem Erwerb des Grundstückes durch die Beschwerdegegnerin vorgingen. Es ist schwer verständlich, warum das Obergericht ausführt, von diesen Abklärungen seien keine zuverlässigeren BGE 106 II 170 S. 172 Ergebnisse zu erwarten als von den Gutachten der Fachleute, denn diese verfügten offensichtlich nicht über die vom Beschwerdeführer verlangten Angaben. Erst recht unhaltbar ist die Feststellung des Obergerichts, der vom Beschwerdeführer behauptete Landpreis von Fr. 70.-- pro Quadratmeter stehe beweislos da und finde in den Akten keine Stütze, nachdem es selbst die Beweisanträge als untauglich abtat. Zu den verlangten Weiterungen hätte um so mehr Anlass bestanden, als es grundsätzlich Sache der Beschwerdegegnerin gewesen wären, die von ihr behaupteten Anlagekosten zu belegen ( BGE 103 II 48 , BGE 102 Ia 21 E. 4b). c) Nach dem angefochtenen Urteil genügt es, einen Landerwerbspreis zu ermitteln, der nicht als "offensichtlich übersetzt" erscheine. Diese Auffassung widerspricht indessen sowohl dem Wortlaut wie dem Sinn von Art. 15 Abs. 1 lit. c BMM . Danach sind Mietzinse bei neueren Bauten in der Regel nicht missbräuchlich, wenn sie sich im Rahmen der kostendeckenden Bruttorendite halten, die aufgrund der Anlagekosten zu berechnen ist. Es ist eindeutig von den tatsächlichen Anlagekosten auszugehen, die nur dann ausser Betracht fallen, wenn sie offensichtlich übersetzt sind. In diesem Fall wird der Grundsatz, dass auf die wirklichen Anlagekosten abzustellen ist, zugunsten des Mieters eingeschränkt (GMÜR/CAVIEZEL, Mietrecht-Mieterschutz, 2. Aufl. 1979, S. 67). Die Vorinstanz verkehrt das ins Gegenteil, wenn sie unbekümmert um die effektiven Kosten einfach einen Erwerbspreis zugrunde legt, der nicht gerade als offensichtlich übersetzt bezeichnet werden kann. Erst wenn die wirklichen Anlagekosten ermittelt sind, können sie allenfalls aufgrund der von den Vorinstanzen zitierten Faustregel darauf geprüft werden, ob sie als offensichtlich zu hoch herabzusetzen sind. Das Obergericht verweigerte demnach dem Beschwerdeführer die Beweisabnahme ohne sachlich haltbare Gründe und verletzte damit seinen Anspruch auf rechtliches Gehör. Das muss zur Gutheissung der Beschwerde und zur Aufhebung des Urteils des Obergerichts führen.
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71271ba9-0dfa-4723-bdd8-2c1ea726d8f9
Urteilskopf 119 II 40 11. Extrait de l'arrêt de la Ire Cour civile du 3 février 1993 dans la cause M. contre B. S.A. en liquidation concordataire (recours en réforme)
Regeste Werkvertrag; Abgrenzung zwischen unentgeltlicher Offerte und entschädigungspflichtiger Vorarbeit. Ist nichts anderes vereinbart, geht der Offertaufwand grundsätzlich zu Lasten des Unternehmers, selbst wenn ihm die Ausführung des Werks nicht übertragen wird. Wer dagegen in Vertragsverhandlungen um den Abschluss eines Totalunternehmervertrags den Unternehmer ersucht, zur Kostenermittlung Projektstudien zu erstellen, die über herkömmliche Offertgrundlagen hinausgehen, hat dafür eine Entschädigung zu leisten. Er kann sich dieser Pflicht nicht mit der Begründung entziehen, die Globalofferte letztlich abgelehnt zu haben (E. 2).
Sachverhalt ab Seite 41 BGE 119 II 40 S. 41 A.- En 1987, M., qui avait déjà confié en 1983 à B. S.A. le soin d'édifier une halle industrielle, décida d'en bâtir une nouvelle. Il reprit contact avec B. S.A., à qui il demanda de lui soumettre une offre. Dans ce but, il eut une entrevue sur place avec S., ingénieur auprès de ladite société, et lui expliqua ce qu'il désirait faire. S. dessina sur-le-champ un croquis en se fondant sur les données fournies et les souhaits exprimés par M. Une fois les plans établis par elle, sur la base de ce croquis ainsi que des voeux formulés par l'intéressé, qui s'était rendu à plusieurs reprises dans les bureaux de la société pour discuter du projet, B. S.A. fit une première offre à fin octobre 1987. Ces plans furent joints à la demande d'autorisation de construire déposée le 10 mars 1988 par M. et admise le 22 juin 1988 par la Commission cantonale des constructions. Entre-temps, M. avait sollicité plusieurs modifications du projet initial. Celles-ci exécutées, B. S.A. fit son offre finale le 30 mars 1988. Par lettre du 20 avril 1988, elle informa M. que, dans l'hypothèse où les travaux ne lui seraient pas adjugés, tous les frais en rapport avec l'établissement des plans et la mise à l'enquête du projet lui seraient facturés. M. lui répondit, le lendemain, qu'il ne lui avait rien demandé d'autre qu'une offre gratuite. Finalement, il écarta cette offre et adjugea les travaux de construction à l'entreprise W. qui les exécuta, pour l'essentiel, conformément au projet établi par B. S.A. Le 13 juillet 1988, cette dernière adressa à M. une facture de 29'000 francs pour ses prestations, laquelle demeura impayée. B.- Par mémoire-demande du 24 novembre 1988, B. S.A. a ouvert action en paiement de 29'000 francs plus intérêts contre M. BGE 119 II 40 S. 42 En cours de procédure, la société demanderesse a conclu avec ses créanciers un concordat par abandon d'actifs, qui a été homologué le 3 septembre 1991. Les liquidateurs ont délivré une nouvelle procuration au conseil de la demanderesse. Statuant le 28 janvier 1992, la Cour civile II du Tribunal cantonal du canton du Valais a condamné le défendeur à payer la somme de 25'694 fr. 65, plus intérêts, à la demanderesse. C.- Le défendeur interjette un recours en réforme au Tribunal fédéral. Il conclut à l'annulation du jugement cantonal. La demanderesse conclut principalement à l'irrecevabilité du recours et, subsidiairement, au rejet de celui-ci. Le Tribunal fédéral rejette le recours, dans la mesure où il est recevable, et confirme le jugement attaqué. Erwägungen Extrait des considérants: 2. A l'appui de son recours en réforme, le défendeur reproche aux premiers juges d'avoir violé le droit fédéral en le condamnant à exécuter une obligation dérivant d'un contrat inexistant, dès lors que les pourparlers n'ont pas dépassé le stade de l'offre. a) Les pourparlers en question avaient pour objet un contrat d'entreprise totale, soit l'une des diverses formes du contrat de construction ( ATF 114 II 53 ss). Il est constant que la demanderesse, en dressant les plans initiaux de la halle, puis en les modifiant selon les voeux du défendeur, a fourni en tout cas une partie des prestations caractérisant un tel contrat. Mais il est tout aussi vrai que ces pourparlers n'ont pas débouché sur la conclusion d'un contrat d'entreprise totale proprement dit, le maître ayant confié la réalisation de l'ouvrage à un tiers. Faut-il néanmoins reconnaître à la demanderesse le droit à une rémunération pour le travail qu'elle a effectué? Tel est le problème à résoudre en l'espèce. b) Le défendeur avait invité la demanderesse à lui soumettre une offre pour la construction d'une halle industrielle. L'évaluation du coût de cet ouvrage supposait l'établissement préalable d'un projet, lequel fut dressé par la demanderesse sur la base des souhaits exprimés par le défendeur et des données fournies par lui à l'ingénieur S. lors de l'inspection des lieux. L'étude préliminaire devait servir, notamment, à la détermination du coût probable de l'ouvrage et, partant, à l'établissement de l'offre y relative. Dans cette mesure, les dépenses qu'elle a occasionnées BGE 119 II 40 S. 43 entraient dans la catégorie des frais de pourparlers. Sauf accord contraire, de tels frais doivent, en principe, être supportés par l'entrepreneur, même si les travaux subséquents ne lui ont pas été adjugés; il n'en va autrement que si la partie avec laquelle il a conduit les pourparlers a commis une culpa in contrahendo (GAUTSCHI, n. 12c ad art. 363 CO ; GAUCH, Der Werkvertrag, 3e éd., p. 92/93, n. 318, p. 94, n. 328 et p. 102 ss, n. 357 ss; Tribunal supérieur du canton de Lucerne, in LVGE 1980, I, p. 628/629, n. 561 = Droit de la construction [DC] 1982, p. 56, n. 47). En revanche, l'entrepreneur peut prétendre une rémunération de nature contractuelle lorsqu'il a été convenu qu'il serait rétribué pour l'établissement du projet initial ou encore lorsque l'on peut inférer des faits de la cause que les intéressés ont passé - à tout le moins par actes concluants - un contrat partiel spécial portant sur l'étude préliminaire. Cette dernière hypothèse revêt une importance particulière en matière de prestations d'architecte, car, dans ce domaine, le principe de la confiance interdit, en règle générale, au destinataire de ce genre de prestations de partir de l'idée qu'une activité d'une certaine ampleur, déployée pour l'établissement d'un projet de construction, ne doit pas être rémunérée (GAUCH, Vom Architekturvertrag, seiner Qualifikation und der SIA-Ordnung 102, in Le droit de l'architecte, p. 4, n. 14; TERCIER, La formation du contrat et les clauses d'architecte, in op.cit., p. 50/51, n. 153 ss). Cependant, le droit de l'auteur du projet à une rémunération peut découler également du fait que le destinataire de cette prestation, même si elle ne constitue qu'une simple offre suivant le stade des négociations auquel elle intervient, en tire effectivement parti, c'est-à-dire réalise ou fait réaliser les idées qui y sont incorporées. En ce cas, le bénéficiaire de la prestation la met à profit alors qu'il ne peut ignorer, puisque cela correspond au cours ordinaire des choses, que celui qui la lui a fournie n'entendait pas le faire à titre gracieux; en agissant de la sorte, il s'oblige à effectuer une contre-prestation dont le montant doit être déterminé suivant les principes applicables en matière contractuelle (cf. let. d ci-dessous). En revanche, celui qui utilise dans son propre intérêt une prestation d'autrui qui ne lui était pas destinée ou qui ne lui a pas été fournie dans ce but-là devra indemniser l'auteur de ladite prestation conformément aux règles concernant l'enrichissement illégitime ( art. 62 CO ) ou la gestion d'affaires imparfaite ( art. 423 CO ; cf. J. SCHMID, Die Geschäftsführung ohne Auftrag, p. 237 ss et 549 ss), selon qu'il a agi de bonne ou de mauvaise foi. BGE 119 II 40 S. 44 c) De la jurisprudence cantonale, on peut extraire les cas suivants: aa) Dans un arrêt du 17 mars 1986, le Tribunal cantonal tessinois a reconnu à l'auteur de l'offre litigieuse le droit à une rémunération découlant des règles sur le contrat d'entreprise, au motif que l'offre en question allait bien au-delà de cette notion et constituait déjà, en réalité, un projet précis et détaillé (Rep. 120/1987, p. 211 ss). TERCIER approuve cet arrêt. A son avis, lorsque les travaux nécessaires à l'établissement de l'offre dépassent ce que l'on peut raisonnablement attendre du pollicitant, qu'ils exigent en particulier l'établissement de plans et de projets détaillés correspondant aux premières prestations décrites par les règlements d'honoraires de la SIA, il est conforme aux règles de la bonne foi que l'auteur de l'offre reçoive une rémunération (DC 1988, p. 64/65, n. 63). bb) La Chambre des recours du Tribunal cantonal vaudois a précisé, dans un arrêt du 5 juin 1990, que le seul fait de remplir une liste de prix sur la base des documents fournis par le maître ne peut pas fonder le droit à une rémunération. En revanche, une rémunération est due si le travail dépasse celui que l'on peut exiger de qui fait une simple offre de concurrence. Il en est ainsi, par exemple, si l'entrepreneur doit se livrer à une activité consistant en études, en relevés, en plans, en recherches, et si le maître devait savoir que l'établissement du devis comportait plus que l'indication de montants tirés des prix courants (RSJ 87/1991, p. 397, n. 8). Commentant cet arrêt, Tercier, tout en approuvant la solution adoptée par les juges cantonaux, précise cependant que, du point de vue contractuel, une rémunération n'est due qu'à la double condition que les travaux exécutés dépassent le cadre d'une offre normale et qu'il ait été convenu expressément ou tacitement entre les parties que ces travaux se feraient à titre onéreux (DC 1992, p. 37, n. 70). cc) Dans un jugement du 2 décembre 1991, le Tribunal cantonal neuchâtelois a tracé les limites entre la simple offre ne donnant pas droit à une rémunération et l'étude technique, qui relève du contrat d'entreprise et doit être rémunérée (RJN 1991, p. 52/53). TERCIER approuve ce jugement et met l'accent sur le fait que la notion d'étude technique suppose des recherches et l'établissement de documents qui puissent effectivement être utiles au maître pour la réalisation de l'ouvrage (DC 1992, p. 93, n. 153a). d) La jurisprudence cantonale susmentionnée, qui concorde pour l'essentiel, ne peut qu'être approuvée. Celui qui utilise dans son propre intérêt une prestation qui lui a été fournie, et qui ne l'est ordinairement que contre rémunération, doit effectuer une contre-prestation BGE 119 II 40 S. 45 selon les principes applicables aux contrats, même si cette contre-prestation n'avait pas encore été stipulée et n'était donc pas déterminée au moment où la prestation a été fournie. Dans ce cas, l'utilisation de la prestation supplée le défaut d'accord au sujet de la contre-prestation (cf. SCHMID, op.cit., p. 559 ss). C'est là une conséquence de l'application correcte du principe de la confiance: une partie est liée, non pas parce qu'elle avait une certaine volonté interne, mais parce qu'elle a adopté un comportement dont l'autre partie pouvait de bonne foi déduire une certaine volonté ( ATF 69 II 322 ). Par conséquent, celui qui, dans le cadre de pourparlers visant à la conclusion d'un contrat d'entreprise totale, demande à un entrepreneur d'effectuer une étude préliminaire allant bien au-delà des travaux nécessaires à l'établissement d'une simple offre, afin d'évaluer le coût de la construction projetée, étude dont il sait ou doit savoir qu'elle n'est effectuée en règle générale que moyennant finance, ne peut pas se soustraire à son obligation de rémunérer l'entrepreneur en faisant valoir qu'il n'a finalement pas accepté l'offre globale faite par ce dernier. A défaut d'une réserve claire sur ce point, l'entrepreneur peut, au contraire, partir de l'idée qu'il sera rétribué pour un tel travail, quand bien même la réalisation de l'ouvrage ne lui serait pas confiée. Ce principe s'applique en tout cas sans restriction lorsque, avec l'accord de l'auteur du projet, celui qui l'a commandé l'utilise à des fins personnelles, en tire profit et ne le restitue pas. Ce faisant, le destinataire de la prestation noue en effet, par actes concluants, une relation contractuelle avec la personne qui la lui a fournie. Si cette prestation - comme c'est le cas pour l'établissement de plans - forme l'objet d'un contrat d'entreprise, la contre-prestation est régie par l' art. 374 CO . En pareille hypothèse, le destinataire de la prestation ne peut pas éluder son obligation de la rémunérer en exprimant simplement son refus de le faire au moment où il s'apprête à s'en servir, sauf à commettre un abus de droit manifeste ( art. 2 CC : "protestatio facto contraria non valet"; sur cette question, cf., par exemple, MERZ, Vertrag und Vertragsschluss, 2e éd., p. 4 ss, n. 4 ss et les auteurs cités). En revanche, si la prestation est utilisée sans le consentement de son auteur, la rémunération de celui-ci a pour fondement juridique les règles sur l'enrichissement illégitime ou sur la gestion d'affaires improprement dite (cf. let. b ci-dessus). e) Sur la base du projet et des plans établis par la demanderesse, le défendeur a obtenu une autorisation de bâtir et a fait construire la halle. Selon les constatations de la cour cantonale, les prestations BGE 119 II 40 S. 46 fournies par la demanderesse - travail préparatoire, étude préliminaire, avant-projet, projet définitif et appel d'offres - représentaient une partie (31%) des prestations prévues dans la norme SIA 103 relative aux honoraires d'ingénieurs. Il est donc indéniable qu'elles constituaient déjà en soi un ouvrage au sens de l' art. 363 CO . Le défendeur, qui avait une certaine expérience dans le domaine de la construction, ne pouvait pas ignorer que de telles prestations, de par leur nature et leur ampleur, ne sont généralement pas fournies sans contrepartie. Il devra, dès lors, en payer le prix. 3. Ce prix n'ayant pas été fixé d'avance, les premiers juges l'ont déterminé, à juste titre, au moyen des critères mentionnés à l' art. 374 CO . Le défendeur ne critique pas la manière dont ils ont appliqués ces critères en l'espèce pour allouer finalement la somme de 25'694 fr. 65 à la demanderesse. Par conséquent, le Tribunal fédéral ne peut pas examiner d'office cette question.
public_law
nan
fr
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712987fa-a496-41d9-925d-69e0f016248f
Urteilskopf 96 V 32 8. Auszug aus dem Urteil vom 11. Februar 1970 i.S. Bundesamt für Sozialversicherung gegen Stamm und Verwaltungsgericht des Kantons Bern
Regeste Art. 16 Abs. 2 lit. c IVG : Erstmalige berufliche Ausbildung. Über den Begriff der Weiterausbildung.
Erwägungen ab Seite 32 BGE 96 V 32 S. 32 Aus den Erwägungen: 2. Gemäss Art. 16 Abs. 1 IVG , welcher dem früheren Art. 16 entspricht und von der Gesetzesrevision nicht betroffen worden ist, haben Versicherte, die noch nicht erwerbstätig waren und denen infolge Invalidität bei der erstmaligen beruflichen Ausbildung in wesentlichem Umfang zusätzliche Kosten entstehen, Anspruch auf deren Ersatz, sofern die Ausbildung den Fähigkeiten des Versicherten entspricht. Durch den seit dem 1. Januar 1968 geltenden Art. 16 Abs. 2 lit. c, auf welchen sich der Versicherte heute beruft, wird "die berufliche Weiterausbildung, sofern dadurch die Erwerbsfähigkeit wesentlich verbessert werden kann", der erstmaligen beruflichen Ausbildung im Sinn des Absatzes 1 gleichgestellt. Es fragt sich heute erneut, was unter Weiterausbildung im Sinn des Art. 16 Abs. 2 lit. c grundsätzlich zu verstehen ist, ob lediglich die Erweiterung bereits erworbener Kenntnisse innerhalb ein und derselben Berufsart oder aber auch eine zweite Berufsausbildung mit wesentlich anderem Ziel, der sich ein Versicherter unterzieht, nachdem er die erste Ausbildung abgeschlossen und sogar während Jahren mit normaler Entlöhnung verwertet hat (vgl. das nicht publizierte Urteil vom 25. Februar 1969 i.S. Wyss, in welchem diese Frage erstmals aufgeworfen, jedoch offengelassen wurde). - In diesem Zusammenhang sind auch der französische und der italienische BGE 96 V 32 S. 33 Wortlaut des Art. 16 Abs. 2 lit. c zu beachten. Diese sprechen von "perfectionnement professionnel" bzw. "perfezionamento professionale". Die hier verwendeten Ausdrücke deuten darauf hin, dass unter Weiterausbildung jene Berufsbildung zu verstehen ist, welche die im wesentlichen bereits erworbenen Kenntnisse eines Berufes im Hinblick auf ein Ziel innerhalb derselben Berufsart weiter ausbaut. In die gleiche Richtung weisen die Ausführungen des Bundesrates in seiner Botschaft vom 27. Februar 1967 zu der am 1. Januar 1968 in Kraft getretenen Gesetzesnovelle, wenn zu Art. 16 Abs. 2 lit. c erklärt wird: "In Berufen, die mehrere in sich abgeschlossene Ausbildungsetappen voraussetzen (wie beispielsweise akademische Berufe), kann das endgültige Berufsziel nicht immer bereits zu Beginn der erstmaligen beruflichen Ausbildung festgelegt werden. Zum Teil - namentlich bei höheren technischen Berufen - sind die einzelnen Ausbildungsetappen sogar durch Erwerbstätigkeiten unterbrochen." (Botschaft S. 21.) Diese Ausführungen lassen erkennen, dass die zitierte Bestimmung sich lediglich auf die Mehrkosten fortschreitender, ähnlich gearteter Ausbildungsetappen im Hinblick auf das im Rahmen dieser Etappen liegende Endziel bezieht. Es wäre nicht einzusehen, wie sich die in Art. 17 IVG normierte "Umschulung auf eine neue Erwerbstätigkeit" von der "Weiterausbildung" gemäss Art. 16 Abs. 2 lit. c abgrenzen liesse, wenn unter Weiterausbildung eine Berufsschulung verstanden werden müsste, die auf ein wesentlich anderes berufliches Endziel als die ursprüngliche Ausbildung gerichtet ist. Eine zweite Berufsbildung mit wesentlich anderem Ziel ist nur im Rahmen des Art. 17 IVG gesetzmässig. Bei der Weiterausbildung im Sinn des Art. 16 Abs. 2 lit. c hingegen muss es sich um die Fortsetzung oder Vervollkommnung einer erstmaligen Berufsbildung handeln. 3. Martin Stamm hat den Beruf eines kaufmännischen Angestellten erlernt und diesen während mehrerer Jahre mit Erfolg ausgeübt. Die Regionalstelle Zürich hat ihn am 31. Mai 1966 als vollwertigen kaufmännischen Angestellten qualifiziert. Der Versicherte möchte sich heute auf Kosten der Invalidenversicherung für die Sozialarbeit ausbilden lassen. Damit verfolgt er ein wesentlich neues, gegenüber dem kaufmännischen Beruf völlig anders geartetes Berufsziel. Dies ergibt sich auch daraus, dass die kaufmännische Lehre keineswegs Grundvoraussetzung BGE 96 V 32 S. 34 für die Ausbildung zum Sozialarbeiter ist. Wie die Regionalstelle selber ausführt, wird eine "kaufmännische oder Verwaltungslehre als zweckmässige Vorbereitung unter anderen Möglichkeiten" von den Schulen für Sozialarbeit "bejaht". Die kaufmännische Lehre ist für den Sozialarbeiter aber keine unerlässliche Ausbildungsetappe. Von einer Weiterausbildung im Sinn des Art. 16 Abs. 2 lit. c IVG kann im vorliegenden Fall nicht die Rede sein. Daher vermag der Versicherte aus dieser Bestimmung keine Ansprüche abzuleiten. Schliesslich ist auch auf den dem Art. 16 IVG übergeordneten, in Art. 8 Abs. 1 IVG verankerten Grundsatz hinzuweisen, wonach invalide oder von Invalidität unmittelbar bedrohte Versicherte nur so weit Eingliederungsmassnahmen beanspruchen können, als diese für die Wiederherstellung oder Verbesserung der Erwerbsfähigkeit notwendig sind. Eine derartige invaliditätsbedingte Notwendigkeit zu weiterer Ausbildung besteht im vorliegenden Fall nicht, denn der Beschwerdegegner ist schon als qualifizierter kaufmännischer Angestellter hinlänglich ins Erwerbsleben eingegliedert gewesen...
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Urteilskopf 136 IV 55 9. Auszug aus dem Urteil der Strafrechtlichen Abteilung i.S. Oberstaatsanwaltschaft des Kantons Zürich gegen X. (Beschwerde in Strafsachen) 6B_238/2009 vom 8. März 2010
Regeste Art. 19 Abs. 2, Art. 47 und 50 StGB ; Strafzumessung bei verminderter Schuldfähigkeit; Begründungspflicht. Ausgehend von der objektiven Tatschwere hat der Richter das (subjektive) Tatverschulden zu bewerten. Dabei hat er (auch) die verminderte Schuldfähigkeit zu berücksichtigen. Er muss dartun, in welchem Umfange sich diese verschuldensmindernd auswirkt (E. 5.5 und 5.6). Die Gesamteinschätzung des Tatverschuldens ist im Urteil zu benennen, damit überprüft werden kann, ob die daraus resultierende (hypothetische) Strafe angemessen ist und mit der durch den gesetzlichen Strafrahmen zum Ausdruck gebrachten Abstufung des Unrechtsgehaltes übereinstimmt (E. 5.7). Die tat- und täterangemessene Strafe für eine einzelne Tat ist grundsätzlich innerhalb des ordentlichen Strafrahmens festzusetzen. Dieser ist nur zu verlassen, wenn aussergewöhnliche Umstände vorliegen und die für die betreffende Tat angedrohte Strafe im konkreten Fall zu hart bzw. zu milde erscheint. Die Frage einer Unterschreitung des ordentlichen Strafrahmens kann sich stellen, wenn verschuldens- bzw. strafreduzierende Faktoren zusammentreffen, die einen objektiv an sich leichten Tatvorwurf weiter relativieren, so dass eine Strafe innerhalb des ordentlichen Rahmens dem Rechtsempfinden widerspräche. Die verminderte Schuldfähigkeit allein führt deshalb grundsätzlich nicht dazu, den ordentlichen Strafrahmen zu unterschreiten. Dazu bedarf es weiterer, ins Gewicht fallender Umstände, die das Verschulden als besonders leicht erscheinen lassen (E. 5.8).
Sachverhalt ab Seite 56 BGE 136 IV 55 S. 56 A. Das Geschworenengericht des Kantons Zürich sprach X. und Y. am 18. Februar 2008 der vorsätzlichen Tötung ihrer Tochter A. schuldig. Es verurteilte Y. zu 12 Jahren und X. zu 6 Jahren Freiheitsstrafe, unter Anrechnung der erstandenen Polizei- und Untersuchungshaft. B. Die Oberstaatsanwaltschaft des Kantons Zürich erhebt Beschwerde in Strafsachen, wobei sie nur das Urteil gegen X. anficht. Sie beanstandet die Strafzumessung und beantragt, die Sache zur neuen Entscheidung an das Geschworenengericht zurückzuweisen. Das Urteil gegen Y. ist inzwischen in Rechtskraft erwachsen. C. Die Beschwerdegegnerin beantragt, die Beschwerde sei abzuweisen. Gleichzeitig stellt sie das Gesuch um unentgeltliche Rechtspflege. Die Vorinstanz hat auf eine Vernehmlassung verzichtet. Das Bundesgericht hat die Beschwerde in öffentlicher Sitzung beurteilt. BGE 136 IV 55 S. 57 Erwägungen Aus den Erwägungen: 5. 5.1 Die Beschwerdeführerin rügt, die Vorinstanz gewichte die verminderte Schuldfähigkeit in ermessensüberschreitender Weise strafmindernd. Die Beschwerdegegnerin leide nicht an einer Persönlichkeitsstörung. Die Abhängigkeitsproblematik gegenüber dem Mitangeklagten sei eine persönlichkeitsakzentuierte Eigenschaft, welche nicht einer psychischen Störung krankhafter Natur gleichzusetzen sei. Bei der Einschätzung der mittelgradig verminderten Steuerungsfähigkeit handle es sich um eine grobe Schätzung des Gutachters. Aus einer derart unsicheren, mathematisch ungenauen Einschätzung dürfe keine mathematisch präzise Strafreduktion ("rund um die Hälfte") erfolgen. Angesichts des objektiven Tatverschuldens sei die ausgefällte Strafe von 6 Jahren weitaus zu mild. 5.2 Die Vorinstanz hält unter Hinweis auf die Feststellungen des psychiatrischen Sachverständigen im Gutachten vom 15. September 2004 und anlässlich der Hauptverhandlung fest, bei der Beschwerdegegnerin liege eine Abhängigkeitsproblematik vor, die aus ihrer Kindheit herrühre. Sie könne im Sinne eines Schutzmechanismus negative, traumatische Erfahrungen ausblenden. Sie und Y. seien gegenseitig voneinander abhängig gewesen. Auf der einen Seite habe er ein Bedürfnis nach Kontrolle und Dominanz in der Beziehungssituation gehabt. Auf der anderen Seite habe sie sich stark an ihn angelehnt. Die Tochter habe die Exklusivität der Paarbeziehung gesprengt. Es sei bereits während der Schwangerschaft zu tätlichen Übergriffen des Mitangeklagten gekommen. Resultat dieser Drucksituation sei gewesen, dass sich das Paar gegen aussen immer mehr abgeschottet habe. Die Dependenzstörung der Beschwerdegegnerin sei noch nicht als Persönlichkeitsstörung zu diagnostizieren, weil die Problematik nicht in allen Lebensbereichen zum Vorschein komme. Es handle sich um eine akzentuierte Eigenschaft. Die Problematik habe die Beschwerdegegnerin in ihrer Fähigkeit eingeschränkt, sich anders zu verhalten. Die Einsichtsfähigkeit sei aber vorhanden gewesen. Im Ergebnis läge gemäss dem Gutachter eine mittlere Verminderung der Schuldfähigkeit vor. Dies sei innerhalb des ordentlichen Strafrahmens nach Art. 19 Abs. 2 StGB strafmindernd zu berücksichtigen. Die Strafe sei um rund die Hälfte zu reduzieren. 5.3 Ist der Täter zur Zeit der Tat vermindert zurechnungsfähig (schuldfähig), so ist die Strafe gemäss dem Wortlaut des Gesetzes BGE 136 IV 55 S. 58 zu mildern (aArt. 11 bzw. Art. 19 Abs. 2 StGB ). Nach der bisherigen Rechtsprechung ist dabei die aus den Tatkomponenten resultierende Einsatzstrafe nach Massgabe der Verminderung der Schuldfähigkeit zu reduzieren. Die Täterkomponenten sind davon unabhängig zu bewerten. Allerdings können einzelne Tatsachen, welche die Verminderung der Schuldfähigkeit begründen, unter Umständen auch für die Gewichtung bestimmter Täterkomponenten von Bedeutung sein. Der Verminderung der Schuldfähigkeit ist bei der Strafzumessung im vollen Ausmass der Verminderung Rechnung zu tragen. Das Bundesgericht hat mehrfach entschieden, dass dabei keine lineare Reduktion nach einem bestimmten Tarif vorzunehmen ist ( BGE 129 IV 22 E. 6.2 S. 35; BGE 123 IV 49 E. 2c S. 51; je mit Hinweis). Eine leichte, mittelgradige oder schwere Herabsetzung der Zurechnungsfähigkeit führe daher nicht zwingend zu einer rein mathematischen Reduktion der Strafe um 25, 50 oder 75 %. Indessen müsse ein bestimmtes Verhältnis zwischen der festgestellten Verminderung der Zurechnungsfähigkeit und den Folgen für die Strafe bestehen ( BGE 129 IV 22 E. 6.2 S. 35). Diese Rechtsprechung wird in der Lehre teilweise so interpretiert, dass eine besondere Begründung erforderlich sei, sofern die verminderte Schuldfähigkeit nicht linear berücksichtigt werde (so etwa SCHWARZENEGGER/HUG/JOSITSCH, Strafen und Massnahmen, 8. Aufl. 2007, S. 97; HUG, in: StGB Schweizerisches Strafgesetzbuch [...], 17. Aufl. 2006, zu Art. 48a StGB ). Auch das Bundesgericht hat in einzelnen Entscheiden die eigene Rechtsprechung relativiert und den Eindruck vermittelt, es müsse von der Regel einer linearen Reduktion ausgegangen werden (vgl. etwa Urteil 6S.547/2006 vom 1. Februar 2007 E. 4.3). In BGE 118 IV 1 wurde festgehalten, die Strafe sei entsprechend dem Grad der Verminderung herabzusetzen. Bei einer verminderten Zurechnungsfähigkeit in mittlerem Grad sei die Strafe, die für die gleiche Tat eines voll Zurechnungsfähigen ausgesprochen würde, in mittlerem Ausmass zu reduzieren (a.a.O. E. 2 S. 5 mit Hinweisen). In einem solchen Fall dürfe die Strafe nicht lediglich um 40 % herabgesetzt werden ( BGE 129 IV 22 E. 6.2 S. 36). In einem neuen Entscheid hat das Bundesgericht befunden, dass es bei einer schweren Verminderung der Schuldfähigkeit nicht gegen Bundesrecht verstosse, die aus den Tatkomponenten resultierende Einsatzstrafe um 75 % zu ermässigen. Eine Reduktion exakt in diesem Umfang sei aber bundesrechtlich nicht zwingend. Der Richter könne in Ausübung seines Ermessens die aus den Tatkomponenten resultierende Einsatzstrafe auch um etwas weniger herabsetzen, soweit BGE 136 IV 55 S. 59 diese Reduktion noch im gewissen Rahmen dessen liege, was geboten ist, um einer schweren Verminderung der Schuldfähigkeit im vollen Ausmass der Verminderung Rechnung zu tragen. Eine diesen Rahmen unterschreitende Reduktion der aus den Tatkomponenten resultierenden Einsatzstrafe sei nur zulässig, wenn besondere Umstände dafür sprechen, die in der Urteilsbegründung darzulegen seien ( BGE 134 IV 132 E. 6.6 S. 139). 5.4 Gemäss aArt. 63 StGB hat der Richter die Strafe nach dem Verschulden des Täters zu bemessen, wobei die Beweggründe, das Vorleben und die persönlichen Verhältnisse des Schuldigen zu berücksichtigen sind. Der am 1. Januar 2007 in Kraft getretene neue Allgemeine Teil des Strafgesetzbuches hat die bisherigen Strafzumessungsgrundsätze in Art. 47 Abs. 1 StGB beibehalten. Die Bewertung des Verschuldens wird in Art. 47 Abs. 2 StGB dahingehend präzisiert, dass dieses nach der Schwere der Verletzung oder Gefährdung des betroffenen Rechtsguts, nach der Verwerflichkeit des Handelns, den Beweggründen und Zielen des Täters sowie danach bestimmt wird, wieweit der Täter nach den inneren und äusseren Umständen in der Lage war, die Gefährdung oder Verletzung zu vermeiden ( BGE 134 IV 17 E. 2.1 S. 19). Sowohl nach altem wie nach neuem Recht kommt somit dem (subjektiven) Tatverschulden bei der Strafzumessung eine entscheidende Rolle zu. 5.5 Ausgehend von der objektiven Tatschwere hat der Richter dieses Verschulden zu bewerten. Er hat im Urteil darzutun, welche verschuldensmindernden und welche verschuldenserhöhenden Gründe im konkreten Fall gegeben sind, um so zu einer Gesamteinschätzung des Tatverschuldens zu gelangen. Der Gesetzgeber hat einzelne Kriterien aufgeführt, welche für die Verschuldenseinschätzung von wesentlicher Bedeutung sind und allenfalls bewirken können, das Verschulden als derart gering einzustufen, dass eine Strafe unterhalb des ordentlichen Strafrahmens geboten ist (E. 5.6 und 5.8 nachfolgend). In diesem Sinne spricht auch Art. 19 StGB (aArt. 11 StGB) davon, die Strafe sei bei verminderter Schuldfähigkeit (Zurechnungsfähigkeit) zu mildern. Dabei geht es zunächst entgegen dem Wortlaut des Gesetzes und in Änderung der bisherigen Rechtsprechung (vgl. BGE 134 IV 132 E. 6.1 S. 136 f.) nicht um die Herabsetzung einer Strafe, sondern um die Reduktion des Verschuldens. Der Schuldvorwurf, der einem nur vermindert schuldfähigen Täter gemacht werden kann, ist verglichen mit einem voll schuldfähigen Täter geringer (BGE 118 BGE 136 IV 55 S. 60 IV 1 E. 2 S. 4). Das Schuldprinzip verlangt deshalb, dass die Strafe für eine in verminderter Schuldfähigkeit begangene Tat niedriger sein muss, als wenn der Täter - unter sonst gleichen Umständen - voll schuldfähig gewesen wäre. Die mildere Strafe ergibt sich aus dem leichteren Verschulden (Urteil 6B_585/2008 vom 19. Juni 2009 E. 3.5). Wenn das Gesetz in einem verschuldensrelevanten Zusammenhang von Strafmilderung bzw. Strafminderung spricht, so bedeutet dies, dass die Strafe aufgrund des geringeren Verschuldens tiefer auszufallen hat, als wenn keiner dieser Gründe vorläge. 5.6 Bei der Frage, in welchem Umfang die Einschränkung der Schuldfähigkeit die Verschuldensbewertung beeinflusst, gilt es vor Augen zu halten, dass die verminderte Schuldfähigkeit im Sinne von Art. 19 Abs. 2 StGB (bzw. aArt. 11 StGB) eines von mehreren Kriterien sein kann, wenn auch - je nach Grad der Verminderung - von wesentlichem Gewicht. So trifft etwa denjenigen ein geringerer Schuldvorwurf, dem lediglich eventualvorsätzliches Handeln anzulasten ist ( Art. 12 Abs. 2 StGB ; vgl. Urteil 6S.233/2003 vom 4. November 2003 E. 4.3 mit Hinweis). Das StGB selbst erwähnt verschiedene Umstände, die das Verschulden reduzieren können: wenn der Täter aus achtenswerten Beweggründen, in schwerer Bedrängnis oder unter dem Eindruck einer schweren Drohung gehandelt hat; ebenso wenn sein Handeln durch eine Person, der er Gehorsam schuldet oder von der er abhängig ist, veranlasst worden ist ( Art. 48 lit. a StGB ). Im gleichen Sinne ist von einem minderen Verschulden auszugehen, wenn der Täter durch das Verhalten der verletzten Person ernsthaft in Versuchung geführt worden ist (Art. 48 lit. b), wenn er in einer heftigen Gemütsbewegung oder unter grosser seelischer Belastung ( Art. 48 lit. c StGB ) gehandelt hat. Ein reduziertes Verschulden trifft auch denjenigen, der die Tat durch Unterlassung begeht ( Art. 11 Abs. 4 StGB ). Zu nennen sind schliesslich die entschuldbare Notwehr ( Art. 16 Abs. 1 StGB ) und der entschuldbare Notstand ( Art. 18 Abs. 1 StGB ), der vermeidbare Irrtum über die Rechtswidrigkeit ( Art. 21 StGB ), der Rücktritt ( Art. 23 Abs. 1 StGB ) und die Gehilfenschaft ( Art. 25 StGB ). In all diesen Fällen liegen Sachverhaltselemente vor, die sich verschuldensmindernd auswirken, was zu einer milderen Strafe führt. Auf der anderen Seite sind Umstände denkbar, welche das Tatverschulden erhöhen und namentlich die wegen der reduzierten Einsichts- bzw. Steuerungsfähigkeit des Täters geringere Schuld wieder auszugleichen vermögen (so auch VENZLAFF/FOERSTER, Psychiatrische Begutachtung, 3. Aufl. 2000, S. 25 mit Hinweis auf BGE 136 IV 55 S. 61 BGHSt 7, 28 [31]). Zu erwähnen ist beispielsweise ein verwerfliches Motiv. Es liegt im Ermessen des Sachrichters, in welchem Umfang er die verschiedenen Strafzumessungsfaktoren berücksichtigt. Die strafrechtliche Abteilung des Bundesgerichts greift auf Beschwerde in Strafsachen hin nur in die Strafzumessung ein, wenn die Vorinstanz den gesetzlichen Strafrahmen über- oder unterschritten hat, wenn sie von rechtlich nicht massgebenden Kriterien ausgegangen ist oder wesentliche Gesichtspunkte ausser Acht gelassen beziehungsweise in Überschreitung oder Missbrauch ihres Ermessens falsch gewichtet hat ( BGE 134 IV 17 E. 2.1 S. 19 mit Hinweisen). Das Gericht ist nicht gehalten, in Zahlen oder Prozenten anzugeben, wie es die einzelnen Strafzumessungskriterien berücksichtigt ( BGE 127 IV 101 E. 2c S. 104 f. mit Hinweisen). Bereits von daher ist es abzulehnen, bei der Verminderung der Schuldfähigkeit einen genauen Raster etwa von 75 %, 50 % und 25 % oder eine lineare Abstufung zu verlangen (was bereits in BGE 76 IV 34 E. 2 S. 38 als "offensichtlich verfehlt" bezeichnet wurde). Andernfalls wäre der Richter gehalten, eine vom psychiatrischen Gutachter vorgegebene grobe Einschätzung willkürlich einzuengen. Der Nachweis und die Einstufung der verminderten Schuldfähigkeit lassen sich nicht mit exakten naturwissenschaftlichen Methoden objektivieren. Die forensische Psychiatrie ist nicht in der Lage, ein mathematisch exaktes Messsystem anzubieten, weshalb sich in der Praxis eine pragmatische Dreiteilung (leichte, mittlere oder schwere Verminderung) eingespielt hat. Wenn der Gutachter den Grad der Verminderung beurteilt, so macht er von einem grossen und auch subjektiven Ermessen Gebrauch. Er gelangt zur konkreten Einstufung der verminderten Einsichts- und Steuerungsfähigkeit, indem er die forensisch relevanten Auswirkungen einer konkreten Störung mit anderen vorkommenden Schweregraden vergleicht (BOMMER/DITTMANN, in: Basler Kommentar, Strafrecht, Bd. I, 2. Aufl. 2007, N. 73 zu Art. 19 StGB ). Zu Recht wird in der Literatur darauf hingewiesen, dass es sich dabei um einen Ausgangspunkt handeln muss, der für die Strafzumessung aufgrund der Besonderheiten des Falles zu verfeinern ist (a.a.O.). Damit wird zum Ausdruck gebracht, dass der Richter ein psychiatrisches Gutachten rechtlich zu würdigen hat. Er ist diesbezüglich grundsätzlich frei und nicht an die Schlussfolgerungen des Gutachtens gebunden (vgl. BGE 129 I 49 E. 4 S. 57 zu Glaubhaftigkeitsgutachten; BGE 113 IV 1 E. 3 S. 4 zu Gutachten über die Schuldfähigkeit). Insbesondere hat er auch die Ursache einer verminderten Schuldfähigkeit zu gewichten. BGE 136 IV 55 S. 62 Der einer psychiatrischen Einschätzung zugrunde liegende Ermessensspielraum kommt auch dem Richter zu, wenn er zu entscheiden hat, wie sich die festgestellte Einschränkung der Schuldfähigkeit unter Würdigung aller Umstände auf die (subjektive) Verschuldensbewertung auswirkt. Es ist naheliegend, dabei das übliche Abstufungsmuster anzuwenden: Ein (objektiv) sehr schweres Tatverschulden kann sich wegen einer leichten Verminderung der Schuldfähigkeit auf ein schweres bis sehr schweres Verschulden reduzieren, bei einer mittelgradigen Beeinträchtigung auf ein mittelschweres bis schweres und bei einer schweren Einschränkung auf ein leichtes bis mittelschweres. Gestützt auf diese grobe Einschätzung hat der Richter unter Berücksichtigung der weiteren Strafzumessungsgründe innerhalb des ihm zur Verfügung stehenden Strafrahmens die Strafe auszufällen, wobei ihm wiederum ein erhebliches Ermessen zusteht. Mit einem solchen Vorgehen wird der Verminderung der Schuldfähigkeit im ganzen Ausmass Rechnung getragen, wie es von der Rechtsprechung gefordert wird, ohne diesem Umstand eine zu weit gehende Bedeutung zukommen zu lassen. Eine rein mathematische Reduktion einer (hypothetischen) Einsatzstrafe, wie nach bisheriger Rechtsprechung als zulässig erachtet, ist systemwidrig. Sie schränkt die Ermessensfreiheit des Richters in unzulässiger Weise ein und ist abzulehnen. Sie führt im Übrigen auch dazu, dass der vom psychiatrischen Experten eingestuften Verminderung der Einsichts- bzw. Steuerungsfähigkeit regelmässig ein zu grosses Gewicht beigemessen wird. 5.7 Liegt eine Verminderung der Schuldfähigkeit vor, hat der Richter im Sinne einer nachvollziehbaren Strafzumessung somit, in Abänderung der bisherigen Rechtsprechung (vgl. BGE 134 IV 132 ), wie folgt vorzugehen: In einem ersten Schritt ist aufgrund der tatsächlichen Feststellungen des Gutachters zu entscheiden, in welchem Umfange die Schuldfähigkeit des Täters in rechtlicher Hinsicht eingeschränkt ist und wie sich dies insgesamt auf die Einschätzung des Tatverschuldens auswirkt. Das Gesamtverschulden ist zu qualifizieren und mit Blick auf Art. 50 StGB im Urteil ausdrücklich zu benennen, wobei von einer Skala denkbarer Abstufungen nach Schweregrad auszugehen ist. Hierauf ist in einem zweiten Schritt innerhalb des zur Verfügung stehenden Strafrahmens die (hypothetische) Strafe zu bestimmen, die diesem Verschulden entspricht. Die so ermittelte Strafe kann dann gegebenenfalls in einem dritten Schritt aufgrund wesentlicher Täterkomponenten (sowie wegen eines allfälligen blossen Versuchs im Sinne von Art. 22 Abs. 1 StGB ) verändert BGE 136 IV 55 S. 63 werden (Urteil 6B_585/2008 vom 19. Juni 2009 E. 3.5 mit Hinweis auf BGE 134 IV 132 E. 6.1 S. 135). 5.8 Die tat- und täterangemessene Strafe ist grundsätzlich innerhalb des ordentlichen Strafrahmens der (schwersten) anzuwendenden Strafbestimmung festzusetzen (SCHWARZENEGGER/HUG/JOSITSCH, a.a.O., S. 74). Dieser Rahmen ist vom Gesetzgeber in aller Regel sehr weit gefasst worden, um sämtlichen konkreten Umständen Rechnung zu tragen. Entgegen einer auch in der Praxis verbreiteten Auffassung wird der ordentliche Strafrahmen durch Strafschärfungs- oder Strafmilderungsgründe nicht automatisch erweitert, worauf dann innerhalb dieses neuen Rahmens die Strafe nach den üblichen Zumessungskriterien festzusetzen wäre (Urteil 6S.73/2006 vom 5. Februar 2007 E. 3.2). Zwar ist auch in der bundesgerichtlichen Rechtsprechung darauf hingewiesen worden, das Gesetz sehe eine Strafrahmenerweiterung vor (vgl. BGE 116 IV 300 E. 2a S. 302). Damit sollte aber nur ausgedrückt werden, dass der Richter infolge eines Strafschärfungs- bzw. Strafmilderungsgrundes nicht mehr in jedem Fall an die Grenze des ordentlichen Strafrahmens gebunden ist. Der ordentliche Rahmen ist nur zu verlassen, wenn aussergewöhnliche Umstände vorliegen und die für die betreffende Tat angedrohte Strafe im konkreten Fall zu hart bzw. zu milde erscheint (SCHWARZENEGGER/HUG/JOSITSCH, a.a.O.). Die Frage einer Unterschreitung des ordentlichen Strafrahmens kann sich stellen, wenn verschuldens- bzw. strafreduzierende Faktoren zusammentreffen, die einen objektiv an sich leichten Tatvorwurf weiter relativieren, so dass eine Strafe innerhalb des ordentlichen Rahmens dem Rechtsempfinden widerspräche. Dabei hat der Richter zu entscheiden, in welchem Umfang er den unteren Rahmen wegen der besonderen Umstände erweitern will. Der vom Gesetzgeber vorgegebene ordentliche Rahmen ermöglicht in aller Regel, für eine einzelne Tat die angemessene Strafe festzulegen. Er versetzt den Richter namentlich in die Lage, die denkbaren Abstufungen des Verschuldens zu berücksichtigen. Die verminderte Schuldfähigkeit allein führt deshalb grundsätzlich nicht dazu, den ordentlichen Strafrahmen zu unterschreiten. Dazu bedarf es weiterer ins Gewicht fallender Umstände, die das Verschulden als besonders leicht erscheinen lassen. Nur eine solche Betrachtungsweise vermag der gesetzgeberischen Wertung des Unrechtsgehaltes einer Straftat und damit letztlich der Ausgleichsfunktion (auch) des Strafrechts Rechnung zu tragen. BGE 136 IV 55 S. 64 5.9 Im vorliegenden Fall stuft die Vorinstanz das objektive Verschulden der Beschwerdegegnerin als sehr schwer ein, weshalb sie eine Einsatzstrafe von 16 Jahren annimmt. Dies ist angesichts des ordentlichen Strafrahmens von fünf bis zwanzig Jahren nicht zu beanstanden. Geht man von den Feststellungen des psychiatrischen Experten aus und billigt man der Beschwerdegegnerin eine Verminderung der Schuldfähigkeit in mittlerem Masse zu, so trifft sie subjektiv ein zumindest mittelschweres Verschulden. Zu Recht weist die Vorinstanz darauf hin, der Beschwerdegegnerin sei ein egoistisches Motiv anzulasten, weil sie es vorzog, die Beziehung zum Mitangeklagten aufrechtzuerhalten, anstatt ihre wehrlose Tochter zu beschützen. Dass sie dabei die schweren Folgen für das Kind nur in Kauf nahm und nicht direkt wollte, vermag sie nicht wesentlich zu entlasten. Der Säugling war ihr völlig ausgeliefert. Betroffen war ihr eigenes Kind, was eine besondere Verantwortung begründete. Im vorinstanzlichen Urteil wird zutreffend festgehalten, die Beschwerdeführerin habe in schwerer Weise gegen ihre Fürsorge- und Betreuungspflichten als Mutter verstossen. Die Vorinstanz selbst erachtet das Verschulden insgesamt als erheblich. Wenn sie - auch unter Berücksichtigung der günstigen Täterkomponenten (tadelloses Verhalten im Strafverfahren, Teilgeständnis, zu langes Verfahren u.a.) - eine Strafe von lediglich 6 Jahren festsetzt, ist dies nicht mehr vertretbar. Eine solche Sanktion am untersten Rand des ordentlichen Strafrahmens weist auf ein leichtes Verschulden hin, wovon wie dargetan nicht auszugehen ist. Die Vorinstanz verletzt deshalb Bundesrecht, weshalb die Beschwerde gutzuheissen ist. Das Urteil der Vorinstanz ist aufzuheben und die Sache zu neuer Festsetzung der Strafe zurückzuweisen.
null
nan
de
2,010
CH_BGE
CH_BGE_006
CH
Federation
712cd7d3-4a71-4a94-8d0b-a2bfa7730b18
Urteilskopf 118 Ia 457 61. Auszug aus dem Urteil der I. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 14. August 1992 i.S. X. gegen Gemeinderat Biberstein und Bezirksgericht Aarau (staatsrechtliche Beschwerde)
Regeste Art. 4 BV , Art. 6 Ziff. 3 lit. d EMRK (Recht des Angeschuldigten auf Befragung von anonymen Gewährspersonen). Der Angeschuldigte hat grundsätzlich das Recht, Anzeiger, auf deren schriftliche Aussagen der Strafrichter abstellen will, ergänzend zu befragen und auch deren Identität zu erfahren. Ein Abstellen auf belastende Aussagen unter Wahrung der Anonymität der Gewährspersonen kann allenfalls in begründeten Ausnahmefällen und zur Wahrung überwiegender schutzwürdiger Interessen zulässig erscheinen. Im vorliegenden Fall wurden überwiegende schutzwürdige Interessen der Anzeiger an einer vollständigen Anonymisierung des Beweisverfahrens verneint.
Sachverhalt ab Seite 458 BGE 118 Ia 457 S. 458 Mit Beschluss des Gemeinderates Biberstein vom 19. Juni 1989 wurde das Ehepaar X. wegen vorschriftswidriger Hundehaltung verwarnt. Am 19. August 1991 büsste der Gemeinderat Biberstein die Eheleute X. in Anwendung des Allgemeinen Polizeireglementes mit Fr. 200.--. Es wurde den Gebüssten erneut eine ordnungswidrige störende Hundehaltung vorgeworfen. Nachdem das Ehepaar X. gegen den Strafbefehl Einsprache erhoben hatte, erliess der Gemeinderat Biberstein am 25. November 1991 einen Einspracheentscheid, in welchem die ausgefällte Busse bestätigt wurde. Den Einspracheentscheid focht das Ehepaar X. mit Beschwerde an das Bezirksgericht Aarau an. Dieses wies die Beschwerde mit Urteil vom 11. März 1992 ab. Die Verurteilung stützte sich zur Hauptsache auf drei belastende Anzeigen von Anwohnern. Den Angeschuldigten war zwar der Wortlaut dieser Schreiben bekanntgemacht worden, nicht aber die Identität der Anzeiger. Zudem lehnte das Bezirksgericht Aarau den Antrag der Verteidigung auf Befragung der Anzeiger als Zeugen an der Hauptverhandlung ab. Gegen das Urteil des Bezirksgerichtes Aarau gelangten die Verurteilten mit staatsrechtlicher Beschwerde an das Bundesgericht. Sie rügen eine Verletzung ihrer von Art. 4 BV und Art. 6 EMRK gewährleisteten Verfahrensrechte und beantragen die Aufhebung des angefochtenen Entscheides. Das Bundesgericht heisst die Beschwerde gut. Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. Das angefochtene Strafurteil stützt sich im wesentlichen auf drei schriftliche belastende Aussagen von Anzeigern, welche entgegen den Beweisanträgen der Verteidigung nicht als Zeugen einvernommen worden sind und deren Identität den Beschwerdeführern nicht bekanntgegeben worden ist. Die Beschwerdeführer sehen darin insbesondere einen Verstoss gegen das rechtliche Gehör und gegen das Recht auf Befragung von Belastungszeugen ( Art. 4 BV , Art. 6 Ziff. 3 lit. d EMRK ). b) Gemäss Art. 6 Ziff. 3 lit. d EMRK hat der Angeschuldigte im Strafverfahren das Recht, Fragen an die Belastungszeugen zu stellen und die Ladung und Vernehmung von Entlastungszeugen unter denselben Bedingungen wie die der Belastungszeugen zu erwirken. Derselbe Anspruch ergibt sich schon aus Art. 4 BV ( BGE 116 Ia 291 E. 3; BGE 114 Ia 181 ). Nach der Praxis des Bundesgerichtes, welche mit BGE 118 Ia 457 S. 459 derjenigen der Rechtsprechungsorgane der Europäischen Menschenrechtskonvention übereinstimmt, ist eine Busse von mehreren hundert Franken, welche im Falle der Nichtbezahlung in Haft umgewandelt werden kann, als strafrechtliche Sanktion zu betrachten. Dies um so mehr, wenn sich die Strafdrohung an die Allgemeinheit der Bürger richtet (vgl. BGE 117 Ia 188 f. E. 4a; EGMR vom 22. Mai 1990 i.S. Franz Weber c. CH, Série A, vol. 177). Art. 6 Ziff. 3 lit. d EMRK ist somit auf den vorliegenden Fall anwendbar. aa) Gemäss der bundesgerichtlichen Rechtsprechung genügt es grundsätzlich, wenn der Angeschuldigte im Verlaufe des Strafverfahrens wenigstens einmal Gelegenheit erhält, den ihn belastenden Personen Ergänzungsfragen zu stellen ( BGE 116 Ia 291 E. 3a; BGE 113 Ia 422 E. 3c mit Hinweisen). Indessen kann es unter besonderen Umständen ungenügend erscheinen, wenn dem Angeschuldigten diese Möglichkeit nur im Ermittlungsverfahren und nicht auch noch an der Hauptverhandlung vor Gericht eingeräumt wird. Insbesondere kann eine ergänzende Befragung vor Gericht dann notwendig erscheinen, wenn dem Angeschuldigten bei den Konfrontationseinvernahmen im Ermittlungsverfahren noch kein Verteidiger zur Seite stand ( BGE 116 Ia 293 f. E. c mit Hinweisen). Das Befragungsrecht gilt grundsätzlich auch gegenüber belastenden Aussagen von anonymen Gewährspersonen ( BGE 118 Ia 330 f.). bb) Nach der Praxis der Rechtsprechungsorgane der Europäischen Menschenrechtskonvention ist das Abstellen auf belastende polizeilich protokollierte Aussagen aus der Voruntersuchung zwar zulässig, der Angeschuldigte muss jedoch die Möglichkeit haben, die Aussagen spätestens an der öffentlichen und kontradiktorischen Gerichtsverhandlung zu bestreiten und die Belastungszeugen ergänzend zu befragen (vgl. Urteile des Europäischen Gerichtshofes für Menschenrechte vom 27. September 1990 i.S. Windisch c. A, EGMR Série A, vol. 186, Ziff. 26, vom 26. April 1991 i.S. Asch c. A, EGMR Série A, vol. 203, Ziff. 27, sowie vom 19. Dezember 1990 i.S. Delta c. F, EGMR Série A, vol. 191). In einem die Schweiz betreffenden Urteil vom 15. Juni 1992 i.S. Lüdi hat sich der Europäische Gerichtshof für Menschenrechte mit der Problematik des Abstellens auf belastende Aussagen anonymer Drogenfahnder, sogenannter "V-Männer", befasst. Der Gerichtshof hält fest, dass ein anonymer Gewährsmann, auf dessen Aussagen der Strafrichter abstellt, grundsätzlich wie ein Zeuge zu behandeln sei, auch wenn er seine Aussagen nicht als förmlicher Zeuge an den Schranken des Gerichts gemacht hat. Dem Angeschuldigten müsse daher ausreichend BGE 118 Ia 457 S. 460 Gelegenheit gegeben werden, die belastenden Aussagen des anonymen Informanten zu bestreiten und ihn ergänzend zu befragen (EGMR Série A, vol. 238, Ziff. 44, 47; s. auch Bericht der Kommission, VPB 1991 Nr. 53). Da im Fall Lüdi weder dem Angeschuldigten noch seinem Verteidiger Gelegenheit eingeräumt worden war, den Gewährsmann ergänzend zu befragen und die Glaubwürdigkeit seiner Aussagen anzuzweifeln, wurde eine Verletzung von Art. 6 Ziff. 3 lit. d EMRK bejaht (entgegen BGE 112 Ia 24 E. 5). Dabei vertrat der Gerichtshof die Auffassung, es hätte möglich sein müssen, den "V-Mann" in der Weise befragen zu lassen, dass die schutzwürdigen Interessen der Strafverfolgungsbehörden an der Wahrung der Anonymität des Informanten gewahrt geblieben wären (EGMR Série A, vol. 238, Ziff. 49). Der Gerichtshof hat sich damit nicht gegen die Anonymität des Gewährsmannes, sondern ausschliesslich gegen die fehlende Befragungsmöglichkeit ausgesprochen (vgl. auch BGE 118 Ia 330 f.). 3. a) Das Bezirksgericht begründet die Nichtbekanntgabe der Identität der Anzeiger bzw. den Verzicht auf deren Befragung als Zeugen mit schutzwürdigen Interessen an der Wahrung ihrer Anonymität. So seien die Anzeiger bei Bekanntgabe ihrer Identität möglichen Repressalien von seiten der Beschwerdeführer ausgesetzt. Es finden sich zwar in den Verfahrensakten entsprechende Hinweise und Befürchtungen von Vertretern des Gemeinderates, die durchaus nicht leicht zu nehmen sind. Hingegen erscheint die Formulierung, es sei "aktenkundig, dass Anzeiger in der Vergangenheit durch die Beschwerdeführer massiv belästigt und eingeschüchtert worden sind", auf Grund der vorliegenden Akten übertrieben. Allerdings wird die Auffassung, wonach schutzwürdige Interessen an der Wahrung der Anonymität der Anzeiger vorgelegen hätten, jedenfalls nachträglich durch den Eindruck eines Flugblattes bekräftigt, welches bei den Akten liegt. In diesem Flugblatt geben die Beschwerdeführer nicht nur ihrer Auffassung zum vorliegenden Fall Ausdruck, sondern sie meinen, auch noch Namen und Adressen der ihnen inzwischen bekannt gewordenen Anzeiger öffentlich bekanntmachen zu müssen. Dabei wird unter anderem festgehalten, dass es sich bei den Anzeigern um "protektionierte Neuzuzüger" handle und dass die Anzeigen "die erbärmliche Grundlage für derartige behördliche Schikanen" ergäben. Es fragt sich, ob die vom Bezirksgericht befürchteten Repressalien einen Verzicht auf Zeugenbefragung bzw. ein Abstellen auf schriftliche anonymisierte Aussagen im Strafurteil rechtfertigen können. BGE 118 Ia 457 S. 461 b) Den kantonalen Instanzen ist insoweit zuzustimmen, als es grundsätzlich möglich sein muss, die Anonymität von Zeugen, Auskunftspersonen, Anzeigern und anderen Gewährspersonen im Falle von überwiegenden schutzwürdigen Interessen zu wahren. Es ist dabei insbesondere an die Problematik von Prozessen im Umfeld des organisierten Verbrechens und des Terrorismus, an den sachgerechten Einsatz von Methoden der verdeckten Fahndung ("V-Männer") oder an die Persönlichkeitsrechte der Opfer von Sittlichkeitsverbrechen zu denken (vgl. GÜNTER HEINE, Der Schutz des gefährdeten Zeugen im schweizerischen Strafverfahren, ZStrR 109 [1992] 53 ff.; HANS BAUMGARTNER, Zum V-Mann-Einsatz, Diss. ZH 1990; ERNST R. GNÄGI, Der V-Mann-Einsatz im Betäubungsmittelbereich, Bern 1992; ANDREAS DONATSCH, Die Anonymität des Tatzeugen und der Zeuge vom Hörensagen, ZStrR 104 [1987] 397 ff.; MARC FORSTER, Die Verwertbarkeit der Zeugenaussagen von Drogensüchtigen, AJP 1992/8, S. 987 ff.; NIKLAUS OBERHOLZER, Grundzüge des st. gallischen Strafprozessrechts, St. Gallen 1988, S. 147; NIKLAUS SCHMID, Strafprozessrecht, Zürich 1989, N 632; vgl. auch BGE 112 Ia 24 E. 5). Die Respektierung solcher schutzwürdiger Interessen darf indessen nicht zu einer rechtsstaatlich untragbaren Schmälerung elementarer Verfahrensrechte des Angeschuldigten führen. Wenn sich die Behörden der Strafjustiz beweisrechtlich auf schriftliche Aussagen von Anzeigern oder anderen Gewährspersonen stützen, muss es dem Angeschuldigten ermöglicht bleiben, seine Verteidigungsrechte wirksam wahrzunehmen. Insbesondere muss er in der Lage sein, die Glaubwürdigkeit der betreffenden Anzeiger prüfen und nötigenfalls in Frage stellen zu können (EGMR vom 15. Juni 1992 i.S. Lüdi c. CH, Série A, vol. 238, Ziff. 47; vgl. auch ZR 85 [1986] Nr. 55 sowie BGE 116 Ia 88 f. E. 3b). c) Falls Anzeiger als Zeugen befragt werden, hat der Angeschuldigte das Recht, Ergänzungsfragen an die Belastungszeugen zu stellen und allenfalls die Überzeugungskraft ihrer Aussagen zu erschüttern (vgl. E. 2b). Grundsätzlich muss es dem Angeschuldigten auch möglich sein, die Identität eines Zeugen zu erfahren, um dessen persönliche Glaubwürdigkeit sowie allfällige Zeugenausschluss- und Ablehnungsgründe (insbesondere Verwandtschaftsverhältnisse, persönliche Beziehungen usw.) überprüfen zu können. Ein Abstellen auf Zeugenaussagen unter Wahrung der Anonymität könnte allenfalls in besonderen begründeten Ausnahmefällen und zur Wahrung überwiegender schutzwürdiger Interessen möglich erscheinen. Aber auch anonymen Gewährspersonen gegenüber muss der BGE 118 Ia 457 S. 462 Angeschuldigte nach der Praxis des Bundesgerichtes und der Rechtsprechungsorgane der Europäischen Menschenrechtskonvention grundsätzlich sein Fragerecht ausüben können (EGMR vom 15. Juni 1992 i.S. Lüdi c. CH, Série A, vol. 238, Ziff. 47; EGMR vom 27. September 1990 i.S. Windisch c. A, Série A, vol. 186, Ziff. 26; unveröffentlichtes Urteil des Bundesgerichtes vom 25. Juni 1990 i.S. E. P., E. 4a; vgl. auch BGE 116 Ia 88 f. E. 3b). Falls der Strafrichter jedoch entgegen dem Beweisantrag des Angeschuldigten auf eine Einvernahme von Anzeigern als Belastungszeugen verzichtet und trotzdem auf deren schriftliche belastende Aussagen abstellt, wird dem Angeschuldigten das Recht abgeschnitten, entsprechende Ergänzungsfragen zu stellen und sich damit möglicherweise zu entlasten. Vorliegend wurde den Angeschuldigten zudem auch noch die Identität der Anzeiger vorenthalten. Überwiegende schutzwürdige Gründe für eine derartige vollständige Anonymisierung des Beweisverfahrens sind im vorliegenden Fall nicht ersichtlich. Die Anzeiger hatten gemäss Akten auch keinerlei Geheimhaltung ihrer Identität beantragt. Überdies muss sich der Richter gerade bei freier - und kritischer - Würdigung der Beweise im klaren sein, dass formlose schriftliche Behauptungen als Hauptbeweismittel eine äusserst schwache Basis für ein Strafurteil darstellen (vgl. OBERHOLZER, a.a.O., S. 147).
public_law
nan
de
1,992
CH_BGE
CH_BGE_002
CH
Federation
712e9f2a-faeb-4bf8-aaa1-e72d80f25540
Urteilskopf 107 II 395 61. Extrait de l'arrêt de la IIe Cour civile du 16 décembre 1981 dans la cause X. contre X. (recours en réforme)
Regeste Art. 150 ZGB . Der Richter hat ein Eheverbot nur unter der doppelten Voraussetzung auszusprechen, dass ein ausserordentlich schweres Verschulden vorliegt und dass dieses für die Zerrüttung eine massgebende Rolle gespielt hat (Änderung der Rechtsprechung).
Erwägungen ab Seite 395 BGE 107 II 395 S. 395 Extrait des considérants: 4. Le recours principal tend enfin à la suppression de l'interdication de remariage. Cette mesure est critiquée par la doctrine (cf. BÜHLER/SPÜHLER, n. 5 ad art. 150 CC et les références), certains auteurs allant jusqu'à proposer qu'on renonce à la règle de l' art. 150 CC , parce que son application est la source de nombreuses inégalités et parce qu'il est facile de la tourner par un mariage à l'étranger (DESCHENAUX/ TERCIER, Le mariage et le divorce, 2e éd., p. 110). Dès 1912, le Tribunal fédéral relevait que la peine du délai d'attente implique une restriction considérable de la liberté individuelle et du droit au mariage garanti par l' art. 54 al. 2 Cst. : pour qu'elle soit prononcée, disait-il, il faut qu'il y ait eu violation BGE 107 II 395 S. 396 grave des devoirs conjugaux essentiels, si bien que le juge doit faire preuve d'une certaine retenue dans l'application de l' art. 150 CC ( ATF 38 II 62 ; cf. ATF 68 II 149 consid. 2, ATF 69 II 353 ). Il convient d'harmoniser l'interprétation de cette disposition légale avec l'ensemble de la jurisprudence relative au divorce, qui tend à moins de rigueur abstraite et cherche à éviter des sanctions trop dures compte tenu des circonstances de l'espèce: ainsi, l'adultère n'est plus une cause absolue de divorce ( ATF 98 II 161 consid. 4b) et la notion de conjoint innocent au sens des art. 151 et 152 CC n'exclut pas toute faute ( ATF 103 II 169 consid. 2 et les références). Dans cette optique, la retenue dans l'application de l' art. 150 CC doit être accrue. Le juge ne prononcera une interdiction de remariage qu'à la double condition que la faute commise soit d'une gravité exceptionnelle et ait joué un rôle déterminant dans la désunion.
public_law
nan
fr
1,981
CH_BGE
CH_BGE_004
CH
Federation
7133a59b-23a9-427b-9118-0d0d2310e887
Urteilskopf 96 I 210 38. Auszug aus dem Urteil vom 16. September 1970 i.S. Hutter und Mitbeteiligte gegen den Grossen Rat des Kantons Thurgau.
Regeste Staatsvertragsreferendum. Begriff der gemäss § 4 lit. a thurg. KV der Volksabstimmung unterliegenden "Konkordate" im Gegensatz zu den "Verträgen mit anderen Kantonen", deren Abschluss der Grosse Rat gemäss § 36 lit. e KV in eigener Kompetenz genehmigen kann (Erw. 2). Anwendung auf den Beitritt des Kantons Thurgau zur "Interkantonalen Übereinkunft zur Verstärkung der polizeilichen Sicherheitsmassnahmen", durch die eine "Interkantonale Mobile Polizei" geschaffen werden soll.
Sachverhalt ab Seite 210 BGE 96 I 210 S. 210 A.- Am 28. März 1968 hat die Konferenz der Justiz- und Polizeidirektoren den Entwurf einer Interkantonalen Übereinkunft zur Verstärkung der polizeilichen Sicherheitsmassnahmen BGE 96 I 210 S. 211 genehmigt (IMP-Übereinkunft). Nach Art. 1 wird zur Verstärkung der polizeilichen Sicherheitsmassnahmen unter dem Namen "Interkantonale Mobile Polizei" (IMP) ein gemeinsames Polizeikorps geschaffen, das zum Schutze der diplomatischen und konsularischen Vertretungen, der internationalen Organisationen und der internationalen Konferenzen in der Schweiz, zur Aufrechterhaltung von Ruhe und Ordnung und bei Katastrophen eingesetzt werden kann. Die IMP kann nur von den Regierungen der Kantone, welche der Übereinkunft angeschlossen sind, und vom Bundesrat in Anspruch genommen werden (Art. 2). Sie wird aus Kontingenten gebildet, welche die der Übereinkunft angeschlossenen Kantone aus Beamten (Offizieren, Unteroffizieren und Soldaten) ihrer kantonalen und städtischen Polizeikorps zusammenstellen. Über die Festsetzung und Zuteilung der Kontingente, die Rekrutierungsvoraussetzungen für die Polizeibeamten, die Ausrüstung und Ausbildung beschliesst eine vor allem aus den Polizeidirektoren der angeschlossenen Kantone bestehende Aufsichtskommission im Einvernehmen mit dem Bundesrat (Art. 3). Die Haftung für Schaden richtet sich nach besondern Bestimmungen, die in einem Anhang zur Übereinkunft enthalten sind (Art. 6). Der Beitritt zur Übereinkunft steht allen Kantonen offen, die bereit sind, allein oder gemeinsam mit einem andern Kanton ein Kontingent zu stellen (Art. 10). Nach Ziffer II Abs. 2 des Anhanges zur Übereinkunft urteilt über streitige Schadenersatz-, Genugtuungs- und Rückgriffsansprüche das Bundesgericht als einzige Instanz. Der Bundesrat erteilte der IMP-Übereinkunft am 27. November 1968 die Genehmigung unter dem Vorbehalt, dass die Bundesversammlung den ihr unterbreiteten Entwürfen zu zwei Bundesbeschlüssen zustimme, was am 4. Juni 1969 geschah (AS 1969, S. 525 ff.). Der eine Bundesbeschluss betrifft die Unterstützung der IMP durch den Bund. Mit dem zweiten Bundesbeschluss wurde Ziffer II des Anhanges zur IMP-Übereinkunft genehmigt, soweit sie die Beurteilung streitiger Schadenersatz-, Genugtuungs- und Rückgriffsansprüche dem Bundesgericht zuweist. B.- Der Regierungsrat des Kantons Thurgau unterbreitete dem Grossen Rat am 23. Dezember 1969 den Entwurf zu einem Beschluss über den Beitritt des Kantons zur IMP-Übereinkunft. In der Botschaft der Regierung wird zur Frage, wem BGE 96 I 210 S. 212 die Befugnis zustehe, den Beitritt zur Übereinkunft zu beschliessen, ausgeführt: Nach § 4 lit. a der Kantonsverfassung (KV) unterlägen Gesetze und Konkordate der Volksabstimmung. Unter Konkordat im Sinne dieser Bestimmung seien alle Verträge über Gegenstände zu verstehen, die, wenn sie nur für den Kanton geregelt wären, der Mitwirkung der Stimmberechtigten bedürfen. Dies sei gemäss § 4 lit. c KV der Fall bei Gesetzen und Finanzbeschlüssen über Ausgaben von einer bestimmten Höhe. Für alle andern interkantonalen Vereinbarungen sei nach § 36 lit. e KV der Grosse Rat zuständig. Bei der IMP-Übereinkunft handle es sich nicht um ein Konkordat mit gesetzgeberischem Charakter; sie betreffe einen Gegenstand der Verwaltung, die Polizei. Auch erwüchsen dem Kanton Thurgau mit dem Beitritt keine finanziellen Verpflichtungen, da die gesamten Ausbildungs- und Ausrüstungskosten der von den Kantonen zu stellenden Kontingente vom Bund übernommen würden. Somit sei gemäss § 36 lit. e KV der Grosse Rat zuständig. C.- Der Grosse Rat des Kantons Thurgau fasste am 8. April 1970 "gestützt auf § 36 lit. e KV" folgenden Beschluss: "1. Der Kanton Thurgau tritt der vom Bundesrat am 27. November 1968 genehmigten Interkantonalen Übereinkunft zur Verstärkung der polizeilichen Sicherheitsmassnahmen vom 28. März 1968 bei. 2. Dieser Beschluss tritt am 1. Juli 1970 in Kraft. Er ist zu veröffentlichen und vom Regierungsrat zu vollziehen." In der Beratung hatte das Ratsmitglied Arne Engeli die Auffassung vertreten, der Beschluss müsse der Volksabstimmung unterstellt werden, da es sich nicht um einen Staatsvertrag im Sinne von § 36 lit. e KV, sondern um ein Konkordat handle und nach § 4 KV alle Konkordate vom Volk zu genehmigen seien. Sein Antrag, den Beschluss der Volksabstimmung zu unterstellen, wurde indes mit 23 gegen 89 Stimmen abgelehnt. D.- Gegen den Beschluss des Grossen Rates vom 8. April 1970 wurden gestützt auf Art. 85 lit. a OG wegen Verletzung des § 4 KV zwei staatsrechtliche Beschwerden erhoben. Das Bundesgericht heisst sie dahin gut, dass es Ziff. 2 des Beschlusses aufhebt. Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. § 36 lit. e KV überträgt dem Grossen Rat unter Vorbehalt der Volksrechte und des Bundesrechts die Befugnis zum BGE 96 I 210 S. 213 Abschluss von Verträgen mit andern Kantonen und Staaten. Nach § 4 lit. a KV unterliegen alle Gesetze und Konkordate der Volksabstimmung. Es ist zu prüfen, welche der in § 36 genannten Verträge der Genehmigung des Volkes bedürfen. Ein Konkordat ist eine interkantonale Vereinbarung ( BGE 81 I 358 , BURCKHARDT, Kommentar zur BV, S. 74, GIACOMETTI, Staatsrecht der Kantone, S. 483, GRISEL, Droit administratif suisse, S. 35 und 221, FAVRE, Droit constitutionnel suisse, S. 130 ff, AUBERT, Traité de droit constitutionnel suisse Nr. 884). In der Praxis werden indessen nicht alle interkantonalen Verträge als Konkordate bezeichnet (GIACOMETTI, a.a.O. S. 482). Die thurgauische KV enthält keine Bestimmung, welche die Bedeutung des in § 4 verwendeten Ausdrucks "Konkordat" näher umschreiben würde. Die Frage, was darunter zu verstehen ist, muss daher auf dem Wege der Auslegung unter Berücksichtigung des Zwecks und Zusammenhangs der Norm gelöst werden. Mit dem Grossen Rat und dem Regierungsrat darf unbedenklich angenommen werden, dass damit nicht, wie die Beschwerdeführer behaupten, alle Verträge mit andern Kantonen gleichgültig welchen Inhalts gemeint sind. Denn irgendein innerer Grund, der dafür spräche, für Angelegenheiten, die der Grosse Rat oder Regierungsrat für das Kantonsgebiet abschliessend ordnen kann, die Zustimmung des Volkes zu verlangen, wenn sie statt dessen auf dem Vertragsweg für das Gebiet mehrerer Kantone gemeinsam geregelt werden, ist nicht ersichtlich. Soll die allgemeine Unterstellung der "Konkordate" unter die Volksabstimmung einen vernünftigen Sinn haben, so muss daher der Begriff zweckentsprechend, nämlich dahin beschränkt werden, dass darunter nur Verkommnisse über solche Gegenstände fallen, zu deren Regelung es nach der Verfassung allgemein, auch wenn sie einseitig nur für den eigenen Kanton geschieht, der Mitwirkung des Volkes bedarf. In diesem Sinn hat das Bundesgericht vor langem eine entsprechende Verfassungsnorm des Kantons Zürich ausgelegt ( BGE 40 I 395 /6). Die Beschwerdeführer wenden freilich ein, der genannte Entscheid dürfe nicht ohne weiteres herangezogen werden, da die zürcherische KV ausdrücklich nur "Konkordate über Gegenstände, welche im Kanton der Volksabstimmung unterstehen", dem obligatorischen Referendum unterstelle, welche Einschränkung die thurgauische KV nicht kenne. Sie übersehen aber, dass damals, als jenes Urteil gefällt wurde, die zürcherische KV BGE 96 I 210 S. 214 gleich wie die thurgauische Konkordate ganz allgemein und ohne Einschränkung der Volksabstimmung unterstellte. Die entsprechende Vorschrift (Art. 30 Abs. 2) lautete damals: "Der Volksabstimmung sind zu unterstellen: 1. alle Verfassungsänderungen, Gesetze und Konkordate". Die Verfassungsregel ist erst am 4. Dezember 1955 in dem von den Beschwerdeführern erwähnten Sinn geändert worden. Die zürcherische Verfassungslage war demnach damals so, wie es die thurgauische heute noch ist, und es besteht kein Anlass, die praktisch gleiche Frage heute anders zu entscheiden als früher. GIACOMETTI hat denn auch angenommen, der Begriff des Konkordates, wie ihn die Thurgauer Verfassung verwende, habe offensichtlich den gleichen Sinn wie der entsprechende Begriff der zürcherischen KV (a.a.O. S. 485 Anm. 14). Die Regeln der §§ 4 und 36 lit. e KV sind demnach in dem Sinne auszulegen, dass interkantonale Übereinkommen über Gegenstände, welche innerkantonal der Volksabstimmung unterstehen würden, dem obligatorischen Referendum unterstellt sind, während der Grosse Rat die übrigen Abkommen in eigener Kompetenz genehmigen kann. Ob sich die kantonalen Behörden in ihrer bisherigen Praxis ausnahmslos an diesen Grundsatz gehalten haben, nach welchem sie im hier zu beurteilenden Fall verfahren sind, ist nicht entscheidend. Massgebend ist, dass die dem angefochtenen Beschluss zugrunde liegende Auslegung der KV als sinnvoll und wohlbegründet erscheint. 3. Es stellt sich demnach die Frage, ob die IMP-Übereinkunft Regeln enthält, welche, wenn sie allein für das Kantonsgebiet aufgestellt worden wären, der Volksabstimmung hätten unterstellt werden müssen. Dabei ist zunächst zu erwägen, dass der Grosse Rat den Beitritt nur in eigener Kompetenz beschliessen durfte, wenn die IMP-Übereinkunft überhaupt keine Regeln enthält, die, wenn sie nur für das Kantonsgebiet aufgestellt worden wären, dem Referendum unterfallen wären. Die IMP-Übereinkunft ist ein Ganzes, und wie ein innerstaatlicher Erlass auch dann der Volksabstimmung unterstellt werden muss, wenn er nur eine einzige oder einzelne der Zustimmung des Volkes bedürftige Regeln enthält, so ist es nicht anders bei einem interkantonalen Übereinkommen. Die Übereinkunft enthält im übrigen keine Klausel, wie sie sich etwa in internationalen Verträgen findet und die dem einzelnen Kanton das Recht gäbe, hinsichtlich einzelner Regeln einen Vorbehalt anzubringen und BGE 96 I 210 S. 215 ihnen damit für sich die Verbindlichkeit zu entziehen. Wenn der Kanton Thurgau der IMP-Übereinkunft beitritt, gilt sie mit allen ihren Vorschriften für ihn wie für alle andern ihr angeschlossenen Kantone. Zudem ist festzustellen, dass der Anhang zur IMP-Übereinkunft rechtlich Teil der Übereinkunft ist, deren Art. 6 bestimmt: "Die Haftung für Schaden richtet sich nach den Bestimmungen im Anhang zur Übereinkunft." Wenn die Haftungsregeln in einen Anhang verwiesen wurden, geschah es aus technischen Gründen, damit nämlich der Text des Konkordates nicht allzu sehr durch die ausführlichen Haftungsvorschriften belastet werde (Bundesblatt 1968 II 790). Auf jeden Fall haben die im Anhang enthaltenen Vorschriften für einen beitretenden Kanton die gleiche Verbindlichkeit wie jene der Übereinkunft selbst, was sich schon aus deren Art. 6 ergibt. Der Grosse Rat durfte deshalb den Beitritt nur dann in eigener Kompetenz beschliessen, wenn er innerkantonal auch die im Anhang enthaltenen Vorschriften in eigener Zuständigkeit hätte erlassen dürfen. 4. Nach Art. 4 der Übereinkunft untersteht die IMP bei bestimmtem Aufgebot der Regierung des Kantons, der sie angefordert hat; im Einsatz haben die Polizeibeamten die Amtsbefugnisse der Polizeiorgane des Kantons, in dem der Einsatz erfolgt. Die Beschwerdeführer sind der Ansicht, mit der Annahme dieser Regeln begebe sich der Kanton eines Teils seiner Polizeihoheit und damit seiner Souveränität, was nur mit Zustimmung des Volks geschehen dürfte. Diese Argumentation hält nicht stich. Freilich wird den IMP-Beamten im Einsatz die gleiche Befugnis eingeräumt wie den kantonalen Polizeiorganen, doch unterstehen sie der Regierung des Kantons, der sie angefordert hat. Die Amtsgewalt der IMP-Beamten, falls sie einmal vom Kanton Thurgau angefordert würden, könnte sich deshalb nur im Rahmen der Weisungen entfalten, welche die thurgauische Regierung erteilt, und zweitens kommt es (abgesehen vom Fall eines Aufgebotes nach Art. 102 Ziff. 10 BV , der hier nicht interessiert) gar nicht zu einem Einsatz des IMP-Korps, wenn es nicht durch die kantonale Regierung angefordert wird. Die Polizeihoheit des Kantons wird deshalb in dieser Hinsicht durch die IMP-Übereinkunft nicht angetastet. Sie wird es auch nicht dadurch, dass ein thurgauisches Kontingent beim Einsatz BGE 96 I 210 S. 216 in einem andern Kanton der Regierung dieses Kantons unterstellt wäre. Der Kanton Thurgau würde in einem solchen Fall bloss im Rahmen des Übereinkommens einem andern Kanton einzelne Beamte zur Verfügung stellen, wie das übrigens schon jetzt (zum Teil im Austauschverfahren) gelegentlich von einzelnen Kantonen praktiziert wird. Die von den thurgauischen Behörden im eigenen Kanton auszuübende Polizeihoheit wäre dadurch in nichts eingeschränkt. Die Beschwerdeführer weisen ferner darauf hin, dass in § 2 Abs. 1 des thurgauischen Gesetzes betreffend die Organisation des Polizeikorps vom 10. November 1872 die Rekrutierungsvoraussetzungen für das kantonale Polizeikorps bestimmt seien, während nach Art. 3 Abs. 3 der IMP-Übereinkunft die darin vorgesehene Aufsichtskommission im Einvernehmen mit dem Bundesrat über die Rekrutierungsvoraussetzungen für die Polizeibeamten befinde. Durch diese Vorschrift der Übereinkunft wird die Polizeihoheit des Kantons ebenfalls nicht angetastet. Die Vorschrift des kantonalen Organisationsgesetzes hätte für die Rekrutierung von Polizeibeamten im Kanton weiterhin unbeschränkt Geltung, und die Behauptung der Beschwerdeführer Hutter und Konsorten, es werde durch die IMP-Übereinkunft das genannte Gesetz geändert, trifft nicht zu. Durch die von der Aufsichtskommission zu erlassenden Rekrutierungsvorschriften würde bloss bestimmt, welche der kantonalen Polizeibeamten, die alle die Bedingungen des Art. 2 Abs. 1 des Organisationsgesetzes erfüllen müssen, zur IMP detachiert werden können. Da nach § 15 des Organisationsgesetzes der Regierungsrat die nähern Vorschriften über Organisation und Dienstverrichtungen des Polizeikorps zu erlassen hat, könnten auch innerkantonal ohne Volksabstimmung Vorschriften geschaffen werden, wonach für bestimmte Aufgaben nur Polizeibeamte eingesetzt werden, die neben den gesetzlichen Voraussetzungen gewisse zusätzliche Bedingungen zu erfüllen haben. 5. Die Beschwerdeführer machen schliesslich geltend, durch die IMP-Übereinkunft bezw. die im Anhang dazu enthaltenen, die Haftung betreffenden Vorschriften werde das thurgauische Gesetz über die Verantwortlichkeit der Behörden, Beamten und Angestellten vom 25. September 1851 (VG) abgeändert, weshalb das Übereinkommen der Volksabstimmung hätte unterstellt werden müssen. Der Grosse Rat hat diese Rüge in seiner Beschwerdeantwort mit der Bemerkung abgetan, bei den zur IMP abgeordneten und dort Dienst leistenden BGE 96 I 210 S. 217 Polizeileuten handle es sich nicht um Funktionäre, die unter den Begriff der "Behörden und Beamten" gemäss § 1 des VG fallen könnten. Das ist durchaus zu bezweifeln, denn § 1 VG lautet: "Alle Behörden und Beamten sind für ihre Verrichtungen verantwortlich. Diese Verantwortlichkeit trifft auch alle öffentlichen Angestellten, sowie alle Personen, welchen vorübergehend ein Amt oder eine öffentliche Stelle oder Verantwortung übertragen wird." Bei dieser umfassenden Umschreibung des Anwendungsbereichs kann kaum angenommen werden, das VG finde keine Anwendung auf Polizisten, die, wenn nicht Beamte, so doch ohne Zweifel öffentliche Angestellte sind (vgl. ZÜST, Über die Verantwortlichkeit der thurgauischen Behörden und Beamten, Zürcher Diss. 1954, S. 11/12, 123, 125 Anm. 44, 129 Anm. 63, 130 Anm. 65 und 66). Ist, wie demnach angenommen werden muss, das VG auch auf Polizisten anwendbar, so ist die Behauptung der Beschwerdeführer richtig, dass die IMP-Übereinkunft Haftungsregeln enthält, welche mit dem VG nicht im Einklang sind und die, falls sie nur für das Kantonsgebiet erlassen worden wären, der Volksabstimmung hätten unterstellt werden müssen. Nach Ziffer I Abs. 4 des Anhanges zur IMP-Übereinkunft steht beispielsweise dem Geschädigten gegenüber dem fehlbaren Polizeibeamten kein Anspruch zu, während nach dem thurgauischen VG alternativ der Beamte oder der Staat haftet ( § 30 VG : vgl. dazu O. K. KAUFMANN, ZSR 1953, 72 NF, S. 298a f.). Wollte man für das thurgauische Kantonsgebiet vom System der Alternativ-Haftung zum System der ausschliesslichen Staats-Haftung übergehen, wie es die IMP-Übereinkunft in Ziffer I Abs. 1 des Anhanges vorsieht, so müsste das ohne Zweifel auf dem Weg der Gesetzgebung, also unter Mitwirkung des Volkes, geschehen. Zudem richten sich gemäss der IMP-Übereinkunft Art und Umfang der Ersatzpflicht und die Zusprechung einer Genugtuung nach den Grundsätzen des eidg. VG. Auch das ist eine Vorschrift, die, wenn sie innerkantonal erlassen würde, das kantonale VG ändern bezw. ergänzen würde und deshalb vom Volk zu genehmigen wäre. Ferner richtet sich nach Ziffer II Abs. 4 des Anhanges die Verjährung (und Verwirkung) der Schadenersatz-, Genugtuungs- und Rückgriffsansprüche nach den Grundsätzen des eidg. VG. Das thurgauische VG enthält aber in den §§ 32 f. ausführliche Verjährungsregeln, deren Änderung innerkantonal wiederum nur mit Zustimmung des Volkes zulässig wäre. Ginge man mit dem BGE 96 I 210 S. 218 Grossen Rat davon aus, das thurgauische VG finde keine Anwendung auf Polizisten, so würde das an der Rechtslage nichts ändern. In diesem Falle würden für die Haftung der Polizisten die Art. 41 ff. OR gelten und müsste eine vom Bundeszivilrecht abweichende kantonale Regelung deshalb der Volksabstimmung unterbreitet werden, weil Art. 61 Abs. 1 OR dafür den Weg der Gesetzgebung vorschreibt, was den Erlass eines eigentlichen Gesetzes oder doch von Bestimmungen, die auf einer verfassungsmässigen Kompetenzdelegation beruhen, voraussetzt (vgl. BGE 45 I 73 E. 7). Es kommt hinzu, dass nach Ziffer II Abs. 2 des Anhanges zur IMP-Übereinkunft über streitige Schadenersatz-, Genugtuungs- und Rückgriffsansprüche das Bundesgericht als einzige Instanz urteilt. Wollte der Kanton innerkantonal die Beurteilung solcher Ansprüche dem Bundesgericht als einziger Instanz übertragen, was er nach Art. 114bis Abs. 4 BV ohne weiteres tun könnte, so müsste er das, da damit die Zuständigkeitsordnung der Gerichte geändert würde, durch (Verfassung oder) Gesetz tun (vgl. BIRCHMEIER, Bundesrechtspflege, S. 467). Nach der bestehenden gesetzlichen Ordnung des Kantons Thurgau ist nicht das Bundesgericht erstinstanzlich zuständig, sondern eine kantonale Instanz. Es ergibt sich, dass die IMP-Übereinkunft bezw. deren Anhang sich zum Teil auf Gegenstände bezieht, deren Ordnung für das Kantonsgebiet durch Gesetz und damit unter Mitwirkung des Volkes erfolgen müsste. Nach dem Gesagten muss deshalb die Übereinkunft der Volksabstimmung unterstellt werden. Es mag zunächst unbefriedigend scheinen, dass wegen gewisser Regeln eine Volksabstimmung angeordnet werden muss, die in der Gesamtordnung der IMP-Übereinkunft als Nebenpunkte erscheinen, während der Grosse Rat hinsichtlich der hauptsächlichen Vorschriften des Konkordates, die sich auf die Bildung und Organisation der IMP beziehen, den Beitritt in eigener Kompetenz hätte beschliessen können. Die Wahrung der Volksrechte, wie sie in der Kantonsverfassung verbrieft sind, verlangt aber, dass ein Konkordat auch dann der Volksabstimmung unterbreitet wird, wenn es nur nebenher Vorschriften aufstellt, die bei innerkantonaler Regelung dem obligatorischen Referendum unterstünden. Ein innerstaatlicher Erlass untersteht ebenfalls dem obligatorischen Referendum, wenn er auch nur eine oder einzelne Regeln enthält, die der Genehmigung durch den Stimmbürger bedürfen.
public_law
nan
de
1,970
CH_BGE
CH_BGE_001
CH
Federation
7137adb0-aefe-49dc-be45-3523f0f10ce5
Urteilskopf 80 IV 1 1. Urteil des Kassationshofes vom 4. März 1954 i. S. M. gegen S.
Regeste Art. 29 StGB . Die Antragsfrist beginnt zu laufen, wann dem Antragsberechtigten die Tat und der Täter bekannt werden, nicht erst, wann er Beweismittel besitzt.
Sachverhalt ab Seite 1 BGE 80 IV 1 S. 1 A.- S. und M. bewarben sich um den Werkauftrag für den Skiaufzug Hochstuckli. Nachdem das Initiativkomitee sich für das Projekt M. s entschieden hatte, richtete S. am 10. September 1949 ein Schreiben an das Komitee, in welchem er sich über die bisherigen Konstruktionen M. s abfällig äusserte. Der Präsident setzte das Schreiben bei den Komiteemitgliedern, worunter Robert Marty, in Zirkulation. Anlässlich einer Begehung des Geländes mit M. gab Marty diesem das Schreiben zu lesen. B.- M. reichte am 6. Januar 1950 gegen S. Strafanzeige wegen unlauteren Wettbewerbes ein. Das Bezirksgericht Meilen verurteilte S. am 13. November 1952 gemäss Art. 13 lit. a UWG zu einer Busse von Fr. 1000.--. Auf Berufung des Verurteilten sprach das Obergericht des Kantons Zürich S. am 29. Oktober 1953 frei. Es ging davon aus, M. habe den Brief anlässlich der Geländebegehung gelesen und damit in diesem Zeitpunkte von den abfälligen Äusserungen des Angeklagten Kenntnis erhalten BGE 80 IV 1 S. 2 ( Art. 29 StGB ). Stattgefunden habe diese Begehung des Geländes nach den Umständen und Zeugenaussagen möglicher-, ja wahrscheinlicherweise am 2. Oktober 1949. Stehe demnach nicht mit hinreichender Sicherheit fest, dass der Strafantrag rechtzeitig eingereicht worden sei, so müsse der Angeklagte freigesprochen werden. C.- M. führt Nichtigkeitsbeschwerde mit dem Antrag, der Freispruch sei wegen Verletzung des Art. 29 StGB aufzuheben. Er macht geltend, in BGE 79 IV 59 habe das Bundesgericht erklärt, es sei normal, dass der Verletzte Klage erhebe, wenn er von den objektiven Tatbestandsmerkmalen Kenntnis habe. Implicite sei damit zum Ausdruck gebracht, dass es letztlich nicht auf die Kenntnis des Sachverhaltes, sondern auf die Zumutbarkeit der Klageerhebung ankomme. Der gleiche Gedanke komme schon in einem Urteil vom 10. April 1896 zum Ausdruck, wo gesagt worden sei, die Verjährung beginne erst mit dem Tage, an welchem der Geschädigte von der Person des Täters derart Kenntnis habe, dass er gerichtlich gegen ihn vorgehen könne; blosser Verdacht, ohne dass der Geschädigte auch in der Lage sei, den Beweis für die Täterschaft zu leisten, genüge nicht (BGE 22 494). Diese Praxis sei in BGE 76 IV 6 bestätigt worden in dem Sinne, dass eine sichere, zuverlässige Kenntnis erforderlich sei, die ein Vorgehen gegen den Täter als aussichtsreich erscheinen lasse und den Antragsberechtigten gleichzeitig davor schütze, wegen falscher Anschuldigung oder übler Nachrede belangt zu werden, d.h. eine Kenntnis, wie sie insbesondere der Besitz von Beweismitteln vermittle. Es bedürfe somit immer einer irgendwie beweisbaren Kenntnis. Diese Kenntnis habe der Beschwerdeführer mit dem Lesen des Briefes anlässlich der Geländebegehung noch nicht erlangt. Im Briefe würden seinen Konstruktionen eine Menge einzelner technischer Mängel vorgeworfen, die er nicht alle im Gedächtnis habe behalten können. Eine Abschrift des Briefes habe er aber beim Abschreiten BGE 80 IV 1 S. 3 des Geländes nicht nehmen können; sie wäre ihm wahrscheinlich auch nicht bewilligt worden. Auch sei damals ganz ungewiss gewesen, ob er jemals in den Besitz des Briefes gelangen werde. Dieser hätte leicht verloren gehen können, und vor allem habe es als sehr wahrscheinlich geschienen, dass ihn das Komitee nicht herausgeben werde. Ohne im Besitze des Briefes zu sein, habe er daher nicht Strafklage erheben können, wenn er sich nicht dem Vorwurf grösster Leichtfertigkeit habe aussetzen wollen. Besonders sei er beim erstmaligen Lesen nicht in der Lage gewesen, zu beurteilen, ob das Schreiben den Tatbestand des unlauteren Wettbewerbs erfülle oder nicht, und ohne den Besitz des Briefes habe er sich darüber auch nicht beraten lassen können. Er hätte sich der Gefahr ausgesetzt, mit Untersuchungskosten belastet oder sogar wegen falscher Anschuldigung oder übler Nachrede verfolgt zu werden. Erwägungen Der Kassationshof zieht in Erwägung: 1. Unlauterer Wettbewerb wird auf Antrag verfolgt ( Art. 13 UWG ). Ein solcher kann gemäss Art. 29 StGB , der hier anwendbar ist ( Art. 333 Abs. 1 StGB ), nur binnen drei Monaten gestellt werden. Diese Frist beginnt mit dem Tage, an welchem dem Antragsberechtigten der Täter und - was Art. 29 nicht ausdrücklich sagt, sich aber von selbst versteht ( BGE 75 IV 20 ) - die Tat bekannt wird. Davon gibt es keine Ausnahme. Der Beschwerdeführer geht fehl, aus BGE 79 IV 58 abzuleiten, dass die Antragsfrist erst zu laufen beginne, wenn dem Berechtigten die Erhebung der Klage zugemutet werden könne, und dass das nur im Normalfall schon mit der Kenntnis des Täters und des objektiven Tatbestandes zutreffe. Im angerufenen Falle war zu entscheiden, ob der Verletzte nicht nur die objektiven Tatbestandsmerkmale und die Person des Täters, sondern auch schon den subjektiven Tatbestand kennen müsse, damit die Antragsfrist zu laufen beginne. BGE 80 IV 1 S. 4 Indem das Bundesgericht ausführte, es sei normal, dass der Verletzte Strafantrag stelle, sobald er den objektiven Tatbestand und den Täter kenne, sagte es nach dem ganzen Zusammenhange nur, vom Antragsberechtigten könne verlangt werden, dass er auch ohne Kenntnis des subjektiven Tatbestandes vorgehe. Keineswegs wurde damit entschieden, dass das nur in der Regel verlangt werde und dem Antragsberechtigten ausnahmsweise die Einrede offen bleibe, es habe ihm nicht zugemutet werden können, binnen drei Monaten seit Kenntnis des objektiven Tatbestandes und des Täters Antrag zu stellen. Es trifft auch nicht zu, dass das Bundesgericht entschieden hätte, die Antragsfrist laufe erst, wenn der Verletzte seine Anschuldigung beweisen könne. Auf die Kenntnis, nicht auf den Besitz von Beweismitteln kommt es nach dem klaren Wortlaut des Art. 29 StGB an. In BGE 76 IV 6 wurde lediglich entschieden, dass das Kennenmüssen oder ein blosser Verdacht die Frist nicht in Gang setze, sondern dass sichere, zuverlässige Kenntnis nötig sei, die ein Vorgehen gegen den Täter aussichtsreich erscheinen lasse und den Antragsberechtigten gleichzeitig davor schütze, wegen falscher Anschuldigung oder übler Nachrede belangt zu werden, d.h. eine Kenntnis, wie sie insbesondere der Besitz von Beweismitteln vermittle. Das hatte nur den Sinn, dass der Antragsberechtigte namentlich dann sichere Kenntnis habe, wenn er über Beweismittel verfüge, nicht auch, dass der Besitz solcher Mittel Voraussetzung sicherer Kenntnis und damit des Beginns der Antragsfrist sei. In gleichem Sinne lautet BGE 22 494 mit Bezug auf die analoge Frage des Beginns der Verjährung. 2. Nach der verbindlichen Feststellung des Obergerichts gab Marty dem Beschwerdeführer den Brief des Beschwerdegegners anlässlich der gemeinsamen Geländebegehung zu lesen. In diesem Zeitpunkt erhielt somit der Beschwerdeführer von der Tat und dem Täter sichere Kenntnis und begann die Antragsfrist zu laufen, bestand BGE 80 IV 1 S. 5 doch die eingeklagte Handlung gerade im Schreiben des Briefes, der von seinem Verfasser unterschrieben war. Die Ausfälle im Briefe waren heftig und eindrücklich genug, dass der Beschwerdeführer als Fachmann und Ersteller der kritisierten Anlagen in der Lage war, sich das Wesentliche davon zu merken und sich schlüssig zu werden, ob er Strafantrag stellen wolle. Indem ihm der Brief bloss zu lesen gegeben, nicht auch schon damals im Original oder in Kopie überlassen wurde, war er nicht schlechter gestellt, als wenn der Beschwerdegegner seine Äusserungen bloss mündlich getan und der Beschwerdeführer zugehört hätte, womit die Frist zur Stellung des Strafantrages ebenfalls in Gang gesetzt worden wäre. Als wahrscheinlichen Zeitpunkt der Geländebegehung und damit des Lesens des Briefes durch den Beschwerdeführer bezeichnet das Obergericht auf Grund einer eingehenden Untersuchung den 2. Oktober 1949. Diese Beweiswürdigung bindet den Kassationshof und wird vom Beschwerdeführer auch nicht anzufechten versucht. Steht somit die gesetzliche Voraussetzung, dass der Beschwerdeführer vom Briefe erst innerhalb der drei Monate vor Einreichung des Strafantrages Kenntnis erhielt, nicht fest, ist gegenteils wahrscheinlich, dass dies schon vorher geschah, so hat das Obergericht dem Strafantrag mit Recht nicht Folge gegeben. Ob das Verfahren einzustellen oder der Angeklagte freizusprechen sei, war eine Frage des kantonalen Prozessrechtes, wie schon wiederholt für den analogen Fall der Verjährung entschieden worden ist ( BGE 72 IV 47 , BGE 78 IV 129 ). Dispositiv Demnach erkennt der Kassationshof: Die Nichtigkeitsbeschwerde wird abgewiesen.
null
nan
de
1,954
CH_BGE
CH_BGE_006
CH
Federation
713bf566-7508-4b2b-a39d-14d01968f76c
Urteilskopf 120 IV 73 14. Urteil des Kassationshofes vom 20. April 1994 i.S. M. gegen Staatsanwaltschaft des Kantons Zürich (Nichtigkeitsbeschwerde)
Regeste Art. 91 Abs. 3 SVG n.F.; Vereitelung einer Blutprobe. Die vorsätzliche pflichtwidrige Unterlassung der Meldung eines Unfalls erfüllt auch nach dem neuen Recht dann den Tatbestand der Vereitelung einer Blutprobe, wenn die Anordnung der Blutprobe nach den gesamten relevanten Umständen sehr wahrscheinlich war und der Fahrzeuglenker diese die hohe Wahrscheinlichkeit der Massnahme begründenden Umstände kannte. In diesem Fall musste er im Sinne von Art. 91 Abs. 3 SVG n.F. mit einer Blutprobe rechnen.
Sachverhalt ab Seite 73 BGE 120 IV 73 S. 73 A.- M. hielt sich in der Nacht vom 10. auf den 11. Juli 1992, zwischen ca. 23.00 und 02.30 Uhr, in einem Restaurant in Häuslenen auf. Anschliessend fuhr er in seinem Personenwagen in Richtung Wiesendangen, wo er wohnt. Auf der 6 m breiten Verbindungsstrasse zwischen Oberschneit und Kappel kam er nach rechts von der Fahrbahn ab. Sein Wagen stiess mit einiger Wucht gegen einen hölzernen Gartenzaun, der auf eine Länge von ca. 5 m niedergedrückt und teilweise zerstört wurde; dabei wurden auch einige Büsche in Mitleidenschaft gezogen. Das Fahrzeug wurde insbesondere vorne rechts stark beschädigt. M. konnte den Wagen mit Hilfe eines andern Automobilisten aus der Unfallendlage befreien. Er fuhr in der Folge nach Hause. Am Vormittag des 11. Juli 1992 (Samstag) versuchte er erfolglos, einen Vertreter der geschädigten Gemeinde zu erreichen; erst am Montagvormittag kam der Kontakt zustande. M. unterliess es, die Polizei zu verständigen. BGE 120 IV 73 S. 74 B.- Das Obergericht des Kantons Zürich sprach M. am 6. Juli 1993 in Bestätigung des Entscheides des Einzelrichters in Strafsachen des Bezirksgerichts Winterthur vom 20. Januar 1993 der Verletzung von Verkehrsregeln ( Art. 90 Ziff. 1 SVG [SR 741.01] in Verbindung mit Art. 3 Abs. 1 VRV [SR 741.11]), des Führens eines nichtbetriebssicheren Fahrzeugs, des pflichtwidrigen Verhaltens bei Unfall (Art. 92 Abs. 1 in Verbindung mit Art. 51 Abs. 3 SVG ) sowie der Vereitelung einer Blutprobe ( Art. 91 Abs. 3 SVG ) schuldig und verurteilte ihn deswegen zu einer bedingt vollziehbaren Gefängnisstrafe von 7 Tagen und zu einer Busse von Fr. 1'500.--. C.- Der Verurteilte führt eidgenössische Nichtigkeitsbeschwerde mit dem Antrag, den Entscheid des Obergerichts bezüglich des Schuldspruchs der Vereitelung einer Blutprobe aufzuheben. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. a) Nach Art. 91 Abs. 3 SVG in der Fassung gemäss Bundesgesetz vom 6. Oktober 1989, in Kraft seit 1. Februar 1991, wird bestraft, wer sich vorsätzlich einer Blutprobe, die angeordnet wurde oder mit deren Anordnung er rechnen musste, oder einer zusätzlichen ärztlichen Untersuchung widersetzt oder entzieht oder den Zweck dieser Massnahmen vereitelt. Mit dieser neuen Fassung des Gesetzes sollte der langjährigen bundesgerichtlichen Rechtsprechung zum Tatbestand der Vereitelung einer Blutprobe Rechnung getragen werden. Allerdings wird in der bundesrätlichen Botschaft (BBl 1986 III 209ff.) insoweit nur auf BGE 90 IV 95 verwiesen (S. 228), nicht auch auf die Präzisierung der Rechtsprechung durch BGE 109 IV 137 ff. Mit der in den älteren Bundesgerichtsentscheiden ( BGE 95 IV 144 , BGE 100 IV 262 E. 4, BGE 106 IV 396 ) verwendeten Formel "mit einer Blutprobe rechnen musste" sollte indessen unter anderem gerade das objektive Erfordernis der hohen Wahrscheinlichkeit der Anordnung einer Blutprobe zum Ausdruck gebracht werden (vgl. schon BGE 95 IV 148 : "reale Wahrscheinlichkeit"). Die neue Fassung von Art. 91 Abs. 3 SVG geht auf den Vorschlag der ständerätlichen Kommission zurück (Amtl.Bull. StR 1988 S. 549 f.), nachdem der Bundesrat sich mit dem Vorschlag auf Streichung der Worte "amtlich angeordneten" begnügt hatte (BBl 1986 III 228, 236). Für die Annahme, jemand habe eine Blutprobe vereiteln wollen, müssen gemäss einem Votum im Ständerat (Cavelty) "objektive Anhaltspunkte vorhanden sein", d.h. muss dem Fahrer nachgewiesen werden können, "dass und warum er mit einer Blutprobe BGE 120 IV 73 S. 75 hätte rechnen müssen"; auch in diesem Bereich sollen die üblichen Beweisregeln ohne besondere Schuldvermutungen gelten (Amtl.Bull. StR 1988 S. 550). b) Nach der bundesgerichtlichen Rechtsprechung zu Art. 91 Abs. 3 aSVG erfüllt die Unterlassung der Meldung eines Unfalls an die Polizei dann den objektiven Tatbestand von Art. 91 Abs. 3 SVG , wenn der Fahrzeuglenker gemäss Art. 51 SVG zur Meldung verpflichtet und die Benachrichtigung der Polizei möglich war und wenn bei objektiver Betrachtung aller Umstände die Polizei bei Meldung des Unfalls sehr wahrscheinlich eine Blutprobe angeordnet hätte. Ob die Anordnung einer Blutprobe sehr wahrscheinlich war, hängt von den Umständen des konkreten Falles ab. Dazu gehören einerseits der Unfall als solcher (Art, Schwere, Hergang) und anderseits der Zustand sowie das Verhalten des Fahrzeuglenkers vor und nach dem Unfall bis zum Zeitpunkt, an dem die Meldung spätestens hätte erfolgen müssen ( BGE 109 IV 137 E. 2a, BGE 114 IV 148 E. 2). 2. Der Fahrzeuglenker musste dann im Sinne von Art. 91 Abs. 3 SVG n.F. mit einer Blutprobe rechnen, wenn diese sehr wahrscheinlich war und er die die hohe Wahrscheinlichkeit begründenden Umstände kannte. Das Erfordernis der hohen Wahrscheinlichkeit gilt mithin auch unter der Herrschaft des neuen Rechts, durch das der Gesetzgeber der langjährigen bundesgerichtlichen Rechtsprechung Rechnung getragen hat (siehe das nicht publizierte Urteil des Kassationshofes vom 23. November 1993 i.S. Generalprokurator des Kantons Bern c. Z.). a) Der Unfall ereignete sich nachts gegen 03.00 Uhr. Der Beschwerdeführer hatte sich zuvor nach seinen eigenen Angaben während rund dreieinhalb Stunden in einem Restaurant aufgehalten und dabei zirka 2,5 dl gespritzten Weisswein getrunken. Er geriet gemäss den Ausführungen im angefochtenen Urteil auf einem geraden und trotz des Regens übersichtlichen, ihm wohlbekannten und mit einer zulässigen Höchstgeschwindigkeit von 50 km/h signalisierten Streckenabschnitt nach rechts von der Fahrbahn ab. Sein Wagen legte zunächst einige Büsche um und prallte dann in einen hölzernen Gartenzaun. Angesichts der Schäden an der Unfallstelle sowie am Fahrzeug muss der Aufprall mit einiger Wucht erfolgt sein. Der Beschwerdeführer meinte denn auch selber, er habe nicht gebremst. Er erklärte das Abkommen von der Fahrbahn damit, dass er am Autoradio hantiert, nämlich einen Sender eingestellt und die Lautstärke etwas zurückgedreht habe. BGE 120 IV 73 S. 76 b) Aufgrund dieser Umstände durfte die Vorinstanz ohne Verletzung von Bundesrecht den Schluss ziehen, dass die Polizei sehr wahrscheinlich eine Blutprobe angeordnet hätte. Auch wenn mit der Vorinstanz abweichend von der ersten Instanz davon auszugehen ist, es dürfe mangels diesbezüglicher Abklärungen nicht unterstellt werden, dass der Beschwerdeführer Alkoholsymptome aufgewiesen habe, war die Anordnung einer Massnahme zur Ermittlung der Blutalkoholkonzentration angesichts des Unfallgeschehens sehr wahrscheinlich. Das Abkommen von der Fahrbahn konnte weder durch die Strassen- oder Verkehrsverhältnisse noch durch einen Defekt am Fahrzeug erklärt werden. Wie im angefochtenen Urteil zutreffend ausgeführt wird, ist das Hantieren am Autoradio, mit dem der Beschwerdeführer den Unfall erklärte, eine gewöhnliche Tätigkeit, die vom Fahrzeuglenker während der Fahrt (und insbesondere bei ruhigen Verkehrsverhältnissen auf gerader Strecke) in der Regel problemlos vorgenommen werden kann. Hat diese Tätigkeit auf einem gerade verlaufenden, dem Fahrzeuglenker wohlbekannten Streckenabschnitt bei einer zulässigen Höchstgeschwindigkeit von 50 km/h ohne äussere Einwirkungen derart ungewöhnliche Folgen wie im vorliegenden Fall, entsteht der dringende Verdacht, dass Alkohol im Spiel und der Fahrzeuglenker aus diesem Grunde in seiner Konzentrations- und Reaktionsfähigkeit beeinträchtigt gewesen sei. Zur Abklärung dieses dringenden Verdachts hätte die Polizei sehr wahrscheinlich eine Massnahme zur Ermittlung der Blutalkoholkonzentration angeordnet. 3. Auch die übrigen Voraussetzungen des objektiven Tatbestands von Art. 91 Abs. 3 SVG sind vorliegend erfüllt. Der Beschwerdeführer war gemäss Art. 51 Abs. 3 SVG verpflichtet, sofort den Geschädigten zu benachrichtigen und, wenn dies nicht möglich war, unverzüglich die Polizei zu verständigen. Jedenfalls die sofortige Benachrichtigung der Polizei wäre möglich gewesen. Durch eine Verurteilung allein gemäss Art. 51 Abs. 3 in Verbindung mit Art. 92 Abs. 1 SVG würde das inkriminierte Verhalten entgegen den Andeutungen in der Nichtigkeitsbeschwerde nicht vollumfänglich geahndet; diesfalls bliebe nämlich unberücksichtigt, dass der Beschwerdeführer sich durch sein pflichtwidriges Verhalten einer Blutprobe, die sehr wahrscheinlich angeordnet worden wäre, entzogen hat (siehe dazu BGE 115 IV 51 E. 4b). Da der Beschwerdeführer durch sein Verhalten unstreitig die in Art. 51 Abs. 3 SVG festgelegten Verhaltenspflichten verletzt hat, kann dahingestellt bleiben, ob das Verlassen der Unfallstelle bei hoher Wahrscheinlichkeit einer Blutprobe abweichend von der bundesgerichtlichen Rechtsprechung BGE 120 IV 73 S. 77 (siehe etwa BGE 114 IV 154 E. 2a) den Tatbestand von Art. 91 Abs. 3 SVG auch dann erfüllen kann, wenn der Fahrzeuglenker bei einem Selbstunfall mangels eines Fremdschadens keine Pflichten im Sinne von Art. 51 Abs. 3 SVG zu erfüllen hatte (kritisch zum Erfordernis der Verletzung einer Verhaltenspflicht als Voraussetzung für eine Verurteilung wegen Vereitelung einer Blutprobe SCHULTZ, Zur Revision von Art. 91 Abs. 3 SVG , ZStrR 109/1992 S. 317 ff., 323 f.; SCHULTZ, Rechtsprechung und Praxis zum Strassenverkehrsrecht in den Jahren 1983 bis 1987, S. 289 ff.; der bundesgerichtlichen Rechtsprechung zustimmend dagegen SCHUBARTH, Vereitelung der Blutprobe, in: Jörg Schuh [Hrsg.], Verkehrsdelinquenz, Grüsch 1989, S. 301 ff., 309). 4. Der subjektive Tatbestand der Vereitelung einer Blutprobe ist nach der bundesgerichtlichen Rechtsprechung erfüllt, wenn der Fahrzeuglenker die die Meldepflicht sowie die die hohe Wahrscheinlichkeit einer Blutprobe begründenden Tatsachen kannte und daher die Unterlassung der gesetzlich vorgeschriebenen und ohne weiteres möglichen Meldung vernünftigerweise nur als Inkaufnahme der Tatbestandsverwirklichung gewertet werden kann ( BGE 109 IV 137 E. 2b, BGE 114 IV 148 E. 2b). Diese Rechtsprechung hat entgegen der Auffassung des Beschwerdeführers keineswegs zur Folge, dass die Verletzung der in Art. 51 Abs. 3 SVG festgelegten Pflichten nach einem nächtlichen Unfall selbst durch einen völlig nüchternen Fahrzeuglenker stets zu einer Verurteilung auch wegen Vereitelung einer Blutprobe führt. Entscheidend ist, ob angesichts der konkreten Umstände des Falles sehr wahrscheinlich eine Blutprobe angeordnet worden wäre. Das ist vorliegend unter Berücksichtigung von Art und Hergang des Unfalls, die dem Beschwerdeführer bekannt waren, zu bejahen, auch wenn nicht unterstellt werden kann, dass der Beschwerdeführer (wahrnehmbare) Alkoholsymptome aufwies. Der weitere Einwand des Beschwerdeführers, er habe nicht gewusst, dass er gemäss Art. 51 Abs. 3 SVG verpflichtet gewesen sei, sofort den Geschädigten und, wenn dies nicht möglich ist, unverzüglich die Polizei zu benachrichtigen, steht im Widerspruch zu den tatsächlichen Feststellungen der Vorinstanz und ist ausserdem unerheblich; die angebliche Unkenntnis des Gesetzes berührt den Vorsatz nicht. Die Zubilligung von Rechtsirrtum ( Art. 20 StGB ) fällt mangels zureichender Gründe ausser Betracht. Im übrigen hat es der Beschwerdeführer auch am Samstagvormittag, nachdem er angeblich erfolglos Kontakt mit der Geschädigten aufzunehmen versucht hatte, unterlassen, die Polizei zu benachrichtigen.
null
nan
de
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Federation
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Urteilskopf 86 I 209 28. Sentenza 6 luglio 1960 nella causa Società anonima di assicurazioni X contro Commissione cantonale di ricorso in materia d'imposta del Canton Ticino.
Regeste Ergänzungssteuer auf dem Kapital der Aktiengesellschaften. Art. 4 und 46 Abs. 2 BV . 1. Art. 49 des tessinischen Steuergesetzes, wonach der Ergänzungssteuer auf dem Kapital der A.-G. auch der Betrag unterliegt, um den das Liegenschaftsvermögen das Grundkapital und die Reserven übersteigt, verstösst nicht gegen Art. 4 BV (Erw. 2). 2. Die Erhebung einer solchen Steuer auch von den Gesellschaften, welche im Kanton weder den Sitz noch eine Betriebsstätte haben, verstösst gegen das Doppelbesteuerungsverbot ( Art. 46 Abs. 2 BV ) (Erw. 3). 3. Falls sie für die Liegenschaften im Kanton der auch für natürliche Personen mit Wohnsitz in andern Kantonen vorgesehene Vermögenssteuer unterworfen sind, haben die Versicherungsgesellschaften, bei welchen die oben erwähnten Voraussetzungen zutreffen, das Recht auf verhältnismässigen Schuldenabzug (Erw. 4).
Sachverhalt ab Seite 210 BGE 86 I 209 S. 210 A.- La Compagnia di assicurazioni X SA è proprietaria di immobili a Lugano senza tuttavia avervi alcuna filiale o sede materiale di frazione dell'impresa. Per l'esercizio tributario 1951, l'autorità fiscale ticinese procedette avantutto a determinare il capitale proporzionalmente imponibile nel Ticino, tenendo conto delle attività e delle passività complessive della contribuente in Svizzera e fondandosi sui seguenti dati: a) totale degli attivi: 767 227 826 fr.; b) totale delle passività: 758 989 572 fr.; c) capitale non versato: 5 000 000 fr.; d) beni immobili nel Ticino: 1 528 400 fr. Ciò stante, essa determinò in 0'1992% il rapporto fra la sostanza immobiliare nel Ticino e il complesso degli attivi in Svizzera ed applicò questo rapporto al totale delle BGE 86 I 209 S. 211 passività determinando in 1 511 907 fr. il passivo da dedurre proporzionalmente nel Cantone. Alla differenza fra la sostanza immobiliare e i passivi deducibili nel Cantone, di 16 493 fr., aggiunse 4 980 fr., risultanti dall'applicazione dello stesso rapporto di 0'1992% al capitale non versato, e determinò in 21 473 fr. il capitale netto imponibile nel Ticino. Secondo l'art. 49 della legge tributaria cantonale dell'11 aprile 1950 (LT), il risultato dei calcoli suesposti (capitale netto) costituisce l'ente imponibile agli effetti dell'imposta sulla sostanza solo se raggiunge o supera il valore di perequazione degli immobili situati nel Cantone; verificandosi, come in concreto, un'eccedenza di tale valore, anche questa eccedenza soggiace all'imposta sulla sostanza. Pertanto, l'autorità cantonale applicò l'imposta sulla sostanza ad un imponibile di 1 528 400 fr., pari al valore di perequazione degli immobili nel Ticino. B. - Contro questa decisione, la contribuente si aggravò in sede cantonale, chiedendo che fosse ammessa in deduzione una quota di debiti determinata secondo i criteri vigenti in materia di riparto intercantonale. La Commissione cantonale di ricorso in materia di imposte (CCR) confermò la tassazione di prima istanza osservando che l'imposta sulla sostanza, a carico delle persone giuridiche tassate secondo l'art. 49 LT, costituisce per determinate società, aventi nel Cantone proprietà immobiliari di valore eccedente il capitale e le riserve, un'imposta reale ed aggiuntiva a quella prevista dall'art. 58 per tutte le persone giuridiche. Essa ammise che l'imposta in questione, essendo di carattere reale, non tien conto di talune particolari circostanze, per cui è possibile che due società proprietarie dei medesimi valori immobiliari possono essere sottoposte a identiche tassazioni sulla sostanza anche se una è gravata da forti passività e l'altra ne è esente, ma fece rilevare che in tali casi il differenziamento dell'onere tributario si verifica nella determinazione dell'imposta sul reddito, per la quale è ammessa integralmente BGE 86 I 209 S. 212 la deduzione degli interessi ipotecari. Questa interpretazione sarebbe conforme a quella data dal Gran Consiglio in forma autentica per il riparto dell'imposta a carico delle aziende idroelettriche. Per quanto concerne la critica di doppia imposizione, la CCR ritenne dimostrata l'"impossibilità del sorgere di una doppia imposizione intercantonale, sia effettiva sia virtuale, in urto coi principi sanciti dal Tribunale federale, non appena si verifichi, come nella fattispecie, una eccedenza di valori immobiliari fiscali tanto nel Cantone quanto nel complesso e quando in ognuno dei Cantoni interessati al riparto - in applicazione della legge tributaria ticinese - sarebbe prelevabile un'imposta sull'eccedenza." C.- L'8 giugno 1960, la X ha interposto ricorso di diritto pubblico al Tribunale federale invocando il divieto dell'arbitrio (art. 4 CF) e quello della doppia imposizione intercantonale (art. 46 cp. 2 CF). Essa afferma in particolare che l'autorità cantonale, ravvisando nell'imposizione sulla sostanza delle persone giuridiche un'imposta reale, avrebbe dato all'art. 49 LT un'interpretazione arbitraria, e che, comunque, "se veramente l'art. 49 prevedesse una 'componente reale' nella tassazione della sostanza delle società anonime, esso sarebbe inconciliabile con l'art. 4 CF perchè escluderebbe senza motivo pertinente dall'imposizione reale medesima contribuenti della medesima categoria, graverebbe inoltre le società anonime in modo unilaterale ed eccessivo rispetto alle altre società." La CCR avrebbe sostanzialmente ammesso che si tratta di un'imposta soggettiva nel riconoscere che il legislatore ticinese si è uniformato ai principi dell'imposizione personale tanto per le persone fisiche quanto per le persone giuridiche. D'altronde, se il carattere effettivamente reale fosse riconosciuto oltre che alla tassa immobiliare prevista dall'art. 58 LT anche all'imposta sulla sostanza istituita dall'art. 49, si colpirebbe, senza ragioni sostenibili, due volte il medesimo oggetto con un'identica tassa. Secondo BGE 86 I 209 S. 213 la ricorrente, la contribuzione sull'eccedenza, o costituisce effettivamente un'imposta reale ed allora dovrebbe essere dovuta da tutti i contribuenti della stessa categoria a cui appartiene l'oggetto della contribuzione, oppure è di natura soggettiva ed in tal caso si deve ammettere la deduzione dei debiti. La contribuente fa inoltre rilevare che l'imposizione sulla sostanza, riflettendosi pure sulle imposte speciali e su quelle comunali, la relativa aliquota è sproporzionata alle imposte reali riscosse negli altri Cantoni. Sempre per quanto concerne la contestazione di arbitrio, richiama infine la sentenza del Tribunale federale pubblicata nella RU 40 p. 56 segg.. D'altra parte, l'interpretazione data dalle autorità cantonali all'art. 49 LT violerebbe l'art. 46 cp. 2 CF perchè, avendo il Ticino, così come il Cantone sede, adottato il principio dell'imposta soggettiva, il Cantone in cui si trovano gli immobili sarebbe tenuto, per evitare la doppia imposizione, ad effettuare la deduzione dei debiti professati in Svizzera, secondo il rapporto intercorrente fra il valore dell'immobile e il totale degli attivi della contribuente. Ad ogni modo un contribuente non può essere imposto in misura maggiore soltanto per il fatto che soggiace a due sovranità fiscali cantonali. In concreto, la società non sarebbe imposta sull'eccedenza di stima se avesse la sua sede nel Cantone Ticino. La ricorrente conclude domandando, in via principale, che l'impugnata decisione sia annullata in applicazione dell'art. 4 CF. In via subordinata, domanda che tale decisione sia annullata perchè presa in violazione dell'art. 46, cp. 2 CF e la causa rinviata all'autorità cantonale per nuovo giudizio. Nelle sue osservazioni di risposta, la CCR ha confermato le argomentazioni esposte nella decisione querelata richiamando la giurisprudenza del Tribunale federale, in particolare la sentenza sul ricorso della SA Terreni alla Maggia. Essa precisa che nell'art. 49 LT sono previste alternativamente due imposte assolutamente indipendenti e distinte: BGE 86 I 209 S. 214 una soggettiva che colpisce il capitale e le riserve e che tien conto della deduzione proporzionale dei debiti; l'altra di natura reale fondata sull'eccedenza del valore di perequazione, la cui natura non consente, in principio, la deduzione dei debiti neppure nei rapporti intercantonali. Tuttavia, nella sua recente giurisprudenza, la CCR avrebbe colmato anche la lacuna verificatasi nei rapporti intercantonali, rinunciando a determinare l'imponibile sull'eccedenza di stima risultante dalla differenza fra il capitale netto suesposto e il valore di perequazione degli immobili nel Ticino e limitandosi ad imporre la quota di eccedenza spettante proporzionalmente al Ticino, risultante dalla differenza fra i beni immobili appartenenti in Svizzera al contribuente e il relativo capitale imponibile. La CCR domanda di respingere il ricorso. Erwägungen Considerando in diritto: 1. Mediante la legge 11 aprile 1950, anche il Cantone Ticino ha adottato il sistema, comune alle moderne legislazioni cantonali, che stabilisce come oggetto principale dell'imposta il reddito e prevede un'imposta complementare sulla sostanza. Per l'imposta sul reddito, l'imposizione delle persone giuridiche è regolata in modo analogo a quella delle persone fisiche. Le relative disposizioni differiscono nella loro formulazione dipendente dalla diversa natura dei due soggetti fiscali, nell'esonero dell'ammontare iniziale ammesso solo per le persone fisiche e nell'aliquota, che per queste varia dal 4 all'11,5% (art. 31), mentre che per le persone giuridiche è stabilita fra un minimo del 4 e un massimo del 15% (art. 48). È però accordata - per le une come per le altre e indipendentemente dal domicilio - la deduzione degli interessi passivi. Invece, per l'imposta complementare sulla sostanza - la sola che in concreto è litigiosa -, i due soggetti fiscali hanno in comune soltanto la tassa immobiliare comunale (art. 71); per il resto sono imposti in modo sostanzialmente BGE 86 I 209 S. 215 diverso. In sede cantonale, le persone fisiche sono tassate sulla sostanza mediante un'aliquota progressiva che va dall'1,5 al 3% e beneficiano - indipendentemente dal loro domicilio - della deduzione proporzionale dei debiti professati in Svizzera ( art. 4 e 43 ). Le persone giuridiche sono imposte in modo più intenso, perchè indistintamente gravate da una tassa immobiliare dell'1‰, esclusa ogni deduzione di debiti (art. 58), e inoltre colpite da un'imposta sulla sostanza, che per talune, come le cooperative basate sulla mutualità, è conforme a quella delle persone fisiche (art. 53); per altre invece, le società anonime, in accomandita per azioni, a garanzia limitata e le cooperative non basate sulla mutualità, si applica l'aliquota fissa del 3‰ (art. 49). 2. L'art. 49 LT, che la ricorrente ritiene arbitrariamente interpretato dall'autorità cantonale o, eventualmente, inconciliabile coll'art. 4 CF, è del seguente tenore: "L'imposta sulla sostanza colpisce nella ragione del 3‰ il capitale versato, il capitale di garanzia, il 50% del capitale non versato, le riserve aperte e tacite e la eccedenza del valore imponibile dei beni descritti e valutati come agli art. 36, 37 e 38 sul capitale versato più riserve allibrate o tassate." Ritenendo che l'indicazione "riserve allibrate o tassate" comprenda le riserve precedentemente indicate come "aperte e tacite", si dovrebbe conseguire che, praticamente, la "sostanza" nel senso di questa disposizione è determinata in un minimo corrispondente al valore di perequazione degli immobili ( art. 36, 37 e 38 ), più il capitale di garanzia e la metà del capitale non versato. Tuttavia, nel caso in esame, si stabilì tale minimo tenendo conto soltanto dei valori immobiliari, l'eccedenza imponibile di questi essendo stata determinata deducendo proporzionalmente non solo il capitale versato e le riserve, ma anche la parte imponibile del capitale non versato. Comunque, e contrariamente a quanto afferma la ricorrente, l'imposizione sulla sostanza secondo l'art. 49 LT BGE 86 I 209 S. 216 non costituisce una mera imposta patrimoniale (Reinvermögenssteuer), simile a quella prevista per le persone fisiche, perchè - indipendentemente dal fattore beni come agli art. 36, 37 e 38 (e secondo la CCR ad esclusione quindi dell'art. 43 che contempla la deduzione dei debiti) - colpisce anche altri valori nominali come il capitale versato, la metà del capitale non versato e il capitale di garanzia che, dovendo risultare dall'iscrizione nel registro di commercio, non trovano necessariamente preciso riscontro negli effettivi elementi patrimoniali della società (cfr. a questo riguardo Prof. IRENE BLUMENSTEIN in Arch. 23, p. 12). Una siffatta imposizione, anche se è il corrispettivo dell'imposta patrimoniale gravante le persone fisiche, costituisce un'imposta sul capitale il cui imponibile è dato principalmente da fattori oggettivi, assunti allo scopo, precisato nelle discussioni parlamentari ed evidente, di impedire che società immobiliari aventi un esiguo capitale sociale ed immobili di valore rilevante, fortemente gravati da ipoteche, eludano la contribuzione immobiliare. Le altre società, che necessitano di notevoli capitali a scopi commerciali e industriali e per le quali gli immobili costituiscono un accessorio, non sono pregiudicate dalla seconda parte dell'art. 49 LT, perchè l'imponibile stabilito sul capitale sociale e le riserve, anche tenuto conto della deduzione delle passività (che come risulta dall'impugnata decisione è ammessa), supera generalmente il valore degli immobili. Ciò stante, il sistema adottato dal Cantone per premunirsi da eventuali abusi delle società immobiliari può essere discusso ma, contrariamente a quanto esposto nel ricorso, non è arbitrario perchè tale regolamentazione di un'imposizione complementare a carico di una categoria di persone giuridiche ha un fondamento oggettivo ed è giustificato da una determinata situazione di fatto (RU 80 I 138, sentenza inedita sul ricorso SA Terreni alla Maggia). La sentenza 6 febbraio 1914, invocata dalla ricorrente e riguardante l'applicazione della legge glaronese del 7 maggio 1911 sulla BGE 86 I 209 S. 217 tassazione delle società anonime (RU 40 I 56), si riferisce ad una fattispecie sostanzialmente diversa. L'imposta sulla sostanza disciplinata da detta legge non era complementare ma principale, con la conseguenza che il contribuente non beneficiava di alcuna deduzione di passività, di cui invece nel caso in esame si è comunque tenuto conto deducendo gli interessi passivi nella determinazione dell'imponibile agli effetti dell'imposta principale sul reddito. Già per questo motivo l'invocata sentenza non trova raffronto in concreto. 3. Ad ogni modo, i Cantoni possono imporre contribuzioni, reali o patrimoniali, solo nell'ambito della loro sovranità fiscale. Il Cantone Ticino non ha oltrepassato tali limiti imponendo alla ricorrente, in quanto persona giuridica, la tassa immobiliare sul valore degli immobili nel Cantone (art. 58), dovuta da tutti i soggetti fiscali di tale natura. Invece, assoggettandola anche all'imposta sul capitale, di cui il valore degli immobili - pur essendo in taluni casi determinante - rappresenta solo uno degli elementi, l'autorità ticinese ha gravato anche dei beni esclusivamente sottoposti alla sovranità di altri Cantoni. Infatti, l'art. 49 LT non costituisce una sufficiente base legale per l'imposizione di un'ulteriore tassa immobiliare perchè non colpisce dei singoli elementi o la somma dei medesimi, ma la risultante di diversi fattori che si condizionano vicendevolmente. Peraltro, anche prendendo questi fattori separatamente, sarebbe imponibile non il valore di perequazione degli immobili ma l'eccedenza degli stessi, che non è accertabile senza tener conto degli altri fattori di imposizione. Comunque, l'autorità ticinese ha sottomesso ad imposta anche una porzione del capitale versato, del capitale non versato e delle riserve palesi ed occulte che, secondo le norme tributarie intercantonali e anche secondo l'art. 7 num. 3 LT, possono essere chiamate a contribuzione solo nel Cantone sede o in quelli in cui la società esercita un'attività commerciale o industriale o detiene una frazione d'impresa. Questi presupposti non si BGE 86 I 209 S. 218 verificano in concreto perchè una società d'assicurazioni come la ricorrente, impiegando capitali nell'acquisto di immobili in un Cantone diverso da quello della sua sede, non esercita operazioni pertinenti ai suoi precipui scopi sociali e commerciali, ma una generica attività simile a quella di qualunque persona fisica di un altro Cantone che effettua le medesime operazioni. Alla stessa stregua della persona fisica, essa può pertanto essere imposta solo nella sua qualità di proprietaria dei beni immobili e di beneficiaria dei relativi frutti (RU 78 I 330/31 ; 79 I 32 ). Ne consegue che l'autorità ticinese, sottoponendo la ricorrente ad un'imposta sulla sostanza secondo l'art. 49 LT, e quindi computando nell'imponibile anche il capitale sociale e le riserve, ha invaso la sovranità fiscale di altri cantoni e trasgredito il divieto di doppia imposizione di cui all'art. 46 cp. 2 CF. 4. Qualora, oltre alla tassa immobiliare, la ricorrente sia sottomessa ad un'imposta sulla sostanza, dovendo essere trattata alla stessa stregua di una persona fisica, ha diritto alla deduzione proporzionale dei debiti secondo gli art. 4 e 43 LT e in virtù della regolamentazione tributaria intercantonale (RU 74 I 460/61 e 79 I 345 sgg.). Dell'art. 49 LT può restare riservata solo la questione a sapere se sia applicabile l'aliquota fissa del 3%, quantunque non si veda quali motivi potrebbero giustificare un trattamento più gravoso di quello riservato alle società aventi sede all'estero che, secondo l'art. 57 LT, soggiaciono all'imposta come persone fisiche. Dispositiv Il Tribunale federale pronuncia: Il ricorso è accolto e la decisione 11 maggio 1959 della Commissione in materia di imposte del Cantone Ticino è annullata.
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Urteilskopf 80 II 267 44. Urteil der I. Zivilabteilung vom 18. Oktober 1954 i.S. Himmelspach gegen Lonza Elektrizitätswerke und chemische Fabriken A.-G.
Regeste Aktienrecht. Keine gesetzliche Pflicht der Aktiengesellschaft, durch sofortige Kontrolle eingelöster Dividendencoupons nach den Inhabern von zur Kraftloserklärung angemeldeten Aktien zu forschen. Grundsätzliches zum Verhältnis zwischen Aktionär und Gesellschaft.
Sachverhalt ab Seite 268 BGE 80 II 267 S. 268 Am 10. Januar 1951 erwarb Frau Himmelspach durch Vermittlung der Schweizerischen Kreditanstalt in Lausanne drei Aktien der Lonza A.-G. mit den Nummern 56414/15/16. Am 11. Januar 1951 verlangte die Banque J. Coussat & Cie. in Paris beim Instruktionsrichter des Bezirkes Leuk die Kraftloserklärung der genannten Lonza Aktien samt Coupons N. 11 ff. Dem Begehren wurde entsprochen. Die erforderlichen Publikationen erschienen zwischen dem 18. und 29. Januar 1951 je dreimal im Walliser Amtsblatt und im Schweizerischen Handelsamtsblatt. Die Titel wurden weder innert der gesetzten Frist von 6 Monaten noch nachher vorgelegt, worauf am 10. März 1952 ihre Kraftloserklärung erfolgte. Die Coupons Nr. 24 dieser drei Lonza-Aktien hatte Frau Himmelspach am 28. August 1951 der Schweizerischen Kreditanstalt in Lausanne eingereicht und dafür die im Juli 1951 fällig gewordene Dividende ausbezahlt erhalten. Als sie dann im August 1952 die Coupons Nr. 25 unterbreitete, wurde deren Einlösung mit Hinweis auf die inzwischen ergangene Kraftloserklärung verweigert. Im September 1953, nach vorheriger Betreibung, belangte Frau Himmelspach die Lonza A.-G. auf Leistung von Schadenersatz im Betrage von Fr. 4010.-- nebst Zins. Das Kantonsgericht des Kantons Wallis wies die Klage am 8. Juni 1954 ab, welchen Entscheid das Bundesgericht auf Berufung der Klägerin hin bestätigt. Erwägungen Erwägungen: 1. Im kantonalen Urteil wird u.a. ausgeführt, die Beklagte habe von der im August 1951 erfolgten Einlösung der Coupons durch die Kreditanstalt erst ungefähr ein Jahr später Kenntnis erhalten. Nach Meinung der Klägerin BGE 80 II 267 S. 269 widerspricht diese Angabe dem Akteninhalt. Aber das geltende OG kennt keine Aktenwidrigkeitsrüge. Beachtlich ist einzig ein offensichtliches Versehen. Ob ein solches gegeben sei, kann offen bleiben. Selbst wenn die Lonza A.-G. um die Dividendenauszahlung früher gewusst haben sollte, muss die Klage abgewiesen werden, wie nachstehend darzutun sein wird. Desgleichen ist unerheblich und darum nicht zu erörtern, ob der Klägerin ein Schaden erspart geblieben wäre, wenn sie die Beklagte vor der Kraftloserklärung der Titel von der Einleitung des darauf zielenden Verfahrens unterrichtet hätte. 2. Entscheidend ist nämlich, dass auf Seite der Beklagten ein Haftungsgrund, der sie zur Zahlung einer Entschädigung an die Klägerin verpflichten könnte, angesichts des ermittelten Tatbestandes im vorneherein ausscheidet. Die Berufung hebt hervor, es seien die von der Bank eingelösten Coupons der Beklagten schon im Herbst 1951 zugekommen. Und sie erblickt ein Verschulden darin, dass die Beklagte es unterliess, die Inhaber der zur Kraftloserklärung angemeldeten Titel auf das hängige Verfahren aufmerksam zu machen, um sie vor Schaden zu bewahren. Eine dahingehende Pflicht habe schon vertraglich bestanden. Denn die Klägerin sei Aktionärin der Beklagten gewesen, und die Beziehungen des Aktionärs mit der Gesellschaft seien nach unserem Rechtssystem vertraglicher Natur. In so allgemeiner Form ist die Behauptung unrichtig. Sie verträgt sich nicht mit der körperschaftlichen Gestaltung der Aktiengesellschaft als juristischer Person. Der Aktionär, der durch seine Kapitalbeteiligung die Gesellschaft bilden hilft, steht ihr in dieser Eigenschaft nicht als Vertragsschliessender gegenüber, sondern die beidseitigen Pflichten und Rechte sind jedenfalls dem Grundsatze nach wesentlich körperschaftliche. Das hindert freilich nicht, dass ein Aktionär daneben auch vertragliche Bindungen mit der Gesellschaft hat, wie beispielsweise dann, wenn bei einem Fabrikationsbetrieb von den Aktionären BGE 80 II 267 S. 270 gewisse Rohmaterialien zu liefern oder Fertigwaren abzunehmen sind. Darüber hinaus liesse sich höchstens noch annehmen, es bestehe analog dem Verhältnis unter den Aktionären (vgl. SIEGWART, Kommentar zum Aktienrecht, Einleitung N. 94 ff, und GOLDSCHMIDT, Grundfragen des neuen schweizerischen Aktienrechts, S. 40) auch zwischen Aktiengesellschaft und Aktionären eine gegenseitige Treuepflicht vertraglicher oder vertragsähnlicher Art. Ob das zutrifft, muss indessen nicht geprüft werden. Sogar wenn es zu bejahen wäre, hätte die Beklagte nicht gegen solche Pflichten verstossen. Die Kraftloserklärung von Inhaberpapieren ist in den Art. 981 ff. OR abschliessend geordnet. Eine Aktiengesellschaft, von deren ausgegebenen Inhaberaktien einzelne Stücke gemäss jenen Vorschriften der Entkräftung unterworfen werden und die nicht durch statutarische oder andere interne Bestimmungen zu weiteren Vorkehren gehalten ist, braucht nicht eine Nachkontrolle eingelöster Coupons nur zu dem Zwecke vorzunehmen, einen so ermittelten Aktienbesitzer auf das laufende Amortisationsverfahren zu verweisen. Abweichend könnte es sich vielleicht verhalten, wenn nachgewiesen wäre, dass die Gesellschaft um die Einlösung gerade der Coupons zu einer der Kraftloserklärung unterliegenden Aktie wusste und trotzdem den Inhaber nicht verständigte. Aber das ist nicht der zu beurteilende Sachverhalt. Im übrigen wäre es für die Klägerin leicht gewesen, mit einer Bank zu vereinbaren, dass ihr Kraftloserklärungen von Aktien angezeigt werden. Solche Vorsorge läge bedeutend näher als eine Verpflichtung der Aktiengesellschaft, über das ihr gesetzlich Zugemutete hinaus durch sofortige Couponskontrolle nach den Inhabern von zu amortisierenden Aktien zu fahnden. Die vorstehenden Ueberlegungen gebieten erst recht die Verneinung einer der Beklagten zur Last fallenden unerlaubten Handlung.
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Urteilskopf 93 II 287 40. Auszug aus dem Urteil der II. Zivilabteilung vom 5. Oktober 1967 i.S. C. gegen H.
Regeste Ehescheidung, Entschädigung. Ein schweres, für Zerrüttung und Scheidung aber nicht kausales Verschulden des Ehegatten, der unter Berufung auf ein kausales Verschulden des andern eine Entschädigung im Sinne von Art. 151 Abs. 1 ZGB verlangt, kann zur Verweigerung oder zu einer Herabsetzung der Entschädigung führen (Bestätigung der neuern Rechtsprechung).
Erwägungen ab Seite 287 BGE 93 II 287 S. 287 2. ...b) Verfehlungen gegen die ehelichen Pflichten, die dem eine Entschädigung nach Art. 151 ZGB fordernden Ehegatten (dem Ansprecher) zur Last fallen, sind nach der neuern Rechtsprechung des Bundesgerichtes je nachdem, ob sie Mitursachen der Zerrüttung und der Scheidung sind oder nicht, verschieden zu würdigen. Sind dem Ansprecher Verfehlungen vorzuwerfen, die zur Zerrüttung und zur Scheidung beitrugen, so ist ihm nach dieser Rechtsprechung eine Entschädigung zu verweigern, es sei denn, dass die Verfehlungen im Vergleich zu den übrigen Ursachen der Zerrüttung und Scheidung von ganz untergeordneter Bedeutung sind oder sich als blosse Reaktion auf eine schwere Herausforderung erweisen ( BGE 85 II 11 , BGE 88 II 140 , BGE 90 II 71 ), in welchen Fällen die Entschädigung nach den beiden zuletzt erwähnten Entscheiden herabgesetzt werden kann. Für die Zerrüttung und die Scheidung nicht kausale Verfehlungen des Ansprechers fallen dagegen bei der Anwendung von Art. 151 ZGB nach der Rechtsprechung nur in Betracht, wenn sie schwer wiegen ( BGE 85 II 11 , BGE 87 II 212 , BGE 88 II 141 , BGE 89 II 66 , BGE 90 II 71 ). Solche Verfehlungen können zur Verweigerung oder zu einer BGE 93 II 287 S. 288 Herabsetzung der Entschädigung führen ( BGE 89 II 66 , BGE 90 II 71 ). Bei Besprechung der beiden zuletzt genannten Entscheide tritt MERZ dafür ein, dass ein für die Scheidung nicht kausales Verschulden des Ansprechers bei der Anwendung von Art. 151 ZGB ausser Betracht zu lassen sei, wie das nach diesen Entscheiden für die Anwendung von Art. 152 ZGB gilt (ZBJV 1964 S. 438, 1965 S. 378). Er ist der Meinung, es widerspreche den Grundsätzen des Schadenersatzrechts wie auch der Billigkeit, ein solches Verschulden bei der Anwendung von Art. 151 ZGB zu berücksichtigen. HINDERLING, der die bundesgerichtliche Praxis zu Art. 151/152 ZGB in verschiedenen Punkten kritisiert, hält dafür, es sei seltsam, dass schwere, für die Zerrüttung und Scheidung aber nicht mitursächliche Verfehlungen des Ansprechers dem auf Billigkeitserwägungen beruhenden, gegen den schuldlosen Ehepartner gerichteten Anspruch nach Art. 152 nichts anhaben sollen, wenn sie anderseits in Abweichung von den Regeln des Schadenersatzrechts den auf einer Rechtsverletzung fussenden Anspruch nach Art. 151 zu Fall bringen können; dem Eigenverschulden des Ansprechers sei für Art. 152 grundsätzlich die gleiche Bedeutung zuzugestehen wie für Art. 151; durch schwere eheliche Verfehlungen des Ansprechers solle der Anspruch in beiden Fällen auch dann ausgeschlossen werden, wenn diese Verfehlungen für Zerrüttung und Scheidung nicht mitursächlich waren (BJM 1964 S. 1 ff., besonders S. 20 ff.); wenn man das gemäss der neueren Rechtsprechung für Art. 152 ZGB nicht gelten lasse, müsse die entsprechende Konsequenz für Art. 151 erst recht gezogen werden; "grundsätzlich sollten aber eher umgekehrt schwere ehe11che Verfehlungen auch ohne kausale Bedeutung je nach dem Grad des Verschuldens und unter Würdigung aller Umstände den Billigkeitsanspruch nach Art. 152 und wohl sogar auch den Schadenersatzanspruch nach Art. 151 ausschliessen oder beeinträchtigen"; die durch Art. 7 ZGB vorgeschriebene, nur für Art. 151 ZGB in Betracht fallende Anwendung von Bestimmungen des OR könne nur sinngemäss erfolgen (Das schweiz. Ehescheidungsrecht, 3. Aufl. 1967, S. 140 f.). Die Frage, ob und allenfalls unter welchen Voraussetzungcn und in welcher Weise ein für Zerrüttung und Scheidung nicht kausales Verschulden bei der Anwendung von Art. 152 ZGB zu berücksichtigen sei, stellt sich im vorliegenden Falle nicht, weil die Kläger in ihren Anspruch auf Art. 151 ZGB stützt. BGE 93 II 287 S. 289 Hinsichtlich dieser Bestimmung ist (gegenüber MERZ mit HINDERLING) grundsätzlich daran festzuhalten, dass ein schweres Verschulden des Ansprechers, das für die Zerrüttung und die Scheidung nicht kausal war, dem Richter Anlass geben kann, die verlangte Entschädigung zu verweigern oder herabzusetzen. Wie HINDERLING zutreffend ausführt, dürfen die Art. 41 ff. OR auf den Entschädigungsanspruch nach Art. 151 ZGB nur sinngemäss angewendet werden, d.h. nur soweit, als dem nicht die besondere Natur der diesem Anspruch zugrunde liegenden familienrechtlichen Beziehung entgegensteht (Ehescheidungsrecht 3. Aufl. S. 141; vgl. auch FRIEDRICH N. 50 ff. zu Art. 7 ZGB , mit Hinweisen). Es wäre nun stossend und vertrüge sich nicht mit der Achtung vor der Ehe, wenn ein Ehegatte vom andern wegen einer von diesem begangenen, für die Zerrüttung und die Scheidung ursächlichen Verfehlung unter Umständen eine volle Entschädigung verlangen könnte, obwohl er selbst sich in grober, wenn auch für Zerrüttung und Scheidung nicht kausaler Weise gegen die ehelichen Pflichten vergangen hat ( BGE 87 II 212 mit Hinweisen; vgl. namentlich den in BGE 71 II 49 ff. beurteilten Tatbestand; HINDERLING, BJM 1964 S. 11 ff., 14). c) Die Vorinstanz hat festgestellt, für die Zerrüttung der Ehe sei das vom Beklagten seit Anfang 1965 unterhaltene ehebrecherische Verhältnis mit Fräulein X "primärkausal"; das ehebrecherische Verhältnis der Klägerin habe erst im Mai/Juni 1966, also mehr als ein Jahr nach Einreichung der Scheidungsklage und nach Aufhebung des gemeinsamen Haushalts begonnen und sei für die Zerrüttung keineswegs kausal; bis zum Ehebruch des Beklagten habe sich die Klägerin nichts zuschulden kommen lassen, was für eine Zerrüttung kausalgewesen wäre. Diese Feststellungen betreffen tatsächliche Verhältnisse. Sie sind daher gemäss Art. 63 Abs. 2 OG für das Bundesgericht verbindlich. Was der Beklagte gegen sie einwendet, ist nichts anderes als eine unzulässige Kritik an der Beweiswürdigung der Vorinstanz. ...Es rechtfertigt sich daher nicht, der Klägerin wegen ihrer Verfehlung eine Entschädigung überhaupt zu verweigern, sondern diese Verfehlung kann nur zu einer Herabsetzung der Entschädigung führen.
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Urteilskopf 120 V 170 24. Urteil vom 21. April 1994 i.S. Bundesamt für Sozialversicherung gegen S. G. und Kantonale Rekurskommission für die Ausgleichskassen, Basel
Regeste Art. 23, 24 und 46 Abs. 1 AHVG , Art. 35 Abs. 1 und Art. 36 Abs. 1 ZGB . Die fünfjährige Verwirkungsfrist des Art. 46 Abs. 1 AHVG beginnt in dem Zeitpunkt zu laufen, da die Hinterbliebene frühestens eine zivilrechtliche Verschollenerklärung durch den Richter erwirken kann, d.h. im Falle der langen nachrichtenlosen Abwesenheit sechs Jahre nach der letzten Nachricht (Änderung der Rechtsprechung).
Sachverhalt ab Seite 170 BGE 120 V 170 S. 170 A.- S. G. (geb. 1958) war seit dem 27. Oktober 1978 mit A. G. (geb. 1956) verheiratet. Ende September 1980 begab sich ihr Ehemann ins M., um dort Ferien zu machen. Nachdem S. G. von ihrem Ehemann während längerer Zeit kein Lebenszeichen bekommen hatte, meldete sie ihren Ehemann am 7. November 1980 bei der Polizei als vermisst. Die anschliessenden Nachforschungen verliefen ergebnislos. Im Frühjahr 1990 leitete S. G. das Verfahren zur Verschollenerklärung ein. Mit Beschluss des Zivilgerichts Basel-Stadt vom 8. Mai 1990, veröffentlicht im Amtsblatt vom 22. Mai 1990, wurde "jede Person, die über den Vermissten Aufschluss geben kann, aufgefordert, bis spätestens 7. Juni 1991" sich beim Gericht zu melden. Am 4. November 1990 fand ein Pilzsucher in der Nähe des damaligen Ferienortes Knochen und Kleidungsstücke, die sich in der Folge als die sterblichen Überreste des A. G. bestimmen liessen. Nachdem das Zivilstandsamt der Gemeinde, wo die Leiche gefunden worden war, den Todesschein ausgestellt und das Zivilstandsamt der letzten Wohnsitzgemeinde den Tod in einem abgekürzten Todesschein mit dem Vermerk "im September 1980 (Auffindung: 4. Nov. 1990) ist gestorben zu B. G.A. ..." verurkundet hatte, schrieb das Zivilgericht BGE 120 V 170 S. 171 Basel-Stadt das Verfahren um Verschollenerklärung als gegenstandslos geworden ab. Am 22. April 1991 meldete sich S. G. bei der AHV zum Bezug von Hinterlassenenleistungen an. Die Ausgleichskasse des Basler Volkswirtschaftsbundes kam zum Schluss, S. G. habe grundsätzlich Anspruch auf eine Witwenabfindung in Form einer dreifachen Jahres-Witwenrente, doch könne diese Leistung im Hinblick auf Art. 46 AHVG wegen verspäteter Anmeldung nicht mehr ausbezahlt werden. Nach Einholung einer Stellungnahme des Bundesamtes für Sozialversicherung (BSV) lehnte die Ausgleichskasse den Anspruch auf Witwenabfindung zufolge verspäteter Anmeldung mit Verfügung vom 18. September 1991 ab. B.- Die hiegegen von S. G. erhobene Beschwerde hiess die Kantonale Rekurskommission für die Ausgleichskassen Basel-Stadt mit Entscheid vom 30. Januar 1992 gut und wies die Sache an die Ausgleichskasse zur Zusprechung einer Witwenabfindung zurück. C.- Das BSV führt Verwaltungsgerichtsbeschwerde und beantragt die Aufhebung des kantonalen Entscheides. Während S. G. sich nicht vernehmen lässt, beantragt die Ausgleichskasse Abweisung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde. Erwägungen Das Eidg. Versicherungsgericht zieht in Erwägung: 1. a) Wer als Witwe eines Versicherten im Zeitpunkt der Verwitwung die Voraussetzungen (des Art. 23 AHVG ) für den Anspruch auf eine Witwenrente nicht erfüllt, hat gemäss Art. 24 AHVG Anspruch auf eine einmalige Abfindung. Diese beläuft sich auf das Doppelte bis Fünffache des Jahresbetreffnisses der Witwenrente (Art. 36 Abs. 2 lit. a-d in Verbindung mit Abs. 1 AHVG), im Falle der Witwe, welche wie im vorliegenden Fall mindestens ein Jahr verheiratet war und vor Vollendung des 40. Altersjahres verwitwet ist, das Dreifache ( Art. 36 Abs. 2 lit. b AHVG ). b) Eingeordnet im Dritten Abschnitt (Die Renten), unter Abschnitt E. (Verschiedene Bestimmungen), sieht Art. 46 Abs. 1 AHVG , überschrieben mit der Marginalie "Nachzahlung nicht bezogener Renten und Hilflosenentschädigungen", vor, dass der Anspruch auf Nachzahlung erlischt mit dem Ablauf von fünf Jahren seit Ende des Monats, für welchen die Leistung geschuldet war. BGE 120 V 170 S. 172 c) Der Anspruch auf eine Witwenrente entsteht am ersten Tag des dem Tode des Ehemannes folgenden Monats ( Art. 23 Abs. 3 Satz 1 AHVG ; BGE 117 V 258 ff. Erw. 1a-c). Im Falle der Verschollenheit wird nach Art. 38 Abs. 2 ZGB die Wirkung der Verschollenerklärung auf den Zeitpunkt der Todesgefahr oder der letzten Nachricht zurückbezogen. Wegen dieser zivilrechtlichen Gleichstellung der Verschollenheit mit dem Tod sieht Rz. 139 der Wegleitung des BSV über die Renten (RWL) vor, dass auch bei Verschollenheit der Anspruch auf Witwenrente am ersten Tag des dem Tode des Ehemannes folgenden Monats entsteht. Der Anspruch auf einmalige Abfindung, bei Fehlen der Voraussetzungen für die Witwenrente, entsteht im Zeitpunkt der Verwitwung (vgl. Rz. 149 in Verbindung mit Rz. 135 ff. RWL). 2. a) Die Kantonale Rekurskommission hat gestützt auf die vorinstanzliche Vernehmlassung der Ausgleichskasse den Anspruch der Beschwerdegegnerin auf eine Witwenabfindung bejaht. Sie ging von einer unechten Gesetzeslücke aus, da der Gesetzgeber kaum an die ungewöhnliche, stossende und sachwidrige Konsequenz gedacht habe, welche die Anwendung der Verwirkungsregel des Art. 46 Abs. 1 AHVG auf Nachforderungen bei Verschollenheit zur Folge haben könne. Die vom Eidg. Versicherungsgericht aufgestellten Voraussetzungen zum ausnahmsweisen Schliessen einer unechten Lücke (Wertungslücke, Berufung auf BGE 99 V 23 Erw. 4) seien im vorliegenden Fall erfüllt. Es erscheine naheliegend, die Korrektur in Anlehnung an die Regel von Art. 134 Abs. 1 Ziff. 6 OR vorzunehmen, wonach die Verjährung nicht beginnt oder stillsteht, solange eine Forderung vor einem schweizerischen Gericht nicht geltend gemacht werden kann. Dementsprechend könne die Verwirkungsfrist gemäss Art. 46 Abs. 1 AHVG nicht zu laufen beginnen, solange beim Verschwinden einer Person die Verschollenerklärung nicht ausgesprochen oder der Tod nicht inzwischen nachgewiesen worden ist. Damit es allerdings nicht im Belieben des Ansprechers stehe, den Zeitpunkt des Verwirkungsbeginns durch langes Zuwarten mit dem Gesuch um Verschollenerklärung hinauszuschieben, sei der Beginn der Verwirkungsfrist auf jenen Zeitpunkt anzusetzen, in welchem sich frühestens ein Verschollenheitsurteil erwirken lasse, d.h. auf ein Jahr nach dem Zeitpunkt der Todesgefahr oder auf fünf Jahre nach dem nachrichtenlosen Verschwinden zuzüglich der mutmasslichen Dauer des Verschollenerklärungsverfahrens (mindestens ein Jahr). BGE 120 V 170 S. 173 b) Das BSV geht in der Verwaltungsgerichtsbeschwerde davon aus, dass der Tod des Versicherten nach den in Erfahrung gebrachten Umständen höchstwahrscheinlich im November 1980 eingetreten und der Anspruch auf Hinterlassenenleistungen somit am 1. Dezember 1980 entstanden sei. Wie das Eidg. Versicherungsgericht schon verschiedentlich festgehalten habe, habe der Gesetzgeber zwar solche Fälle nicht vorgesehen, in welchen der Fälligkeitszeitpunkt einer Leistung nicht mit demjenigen Zeitpunkt übereinstimme, in dem der Leistungsanspruch entstehe. Dies habe aber nicht zur Folge, dass der Gesetzgeber diese Fälle grundsätzlich anders lösen wollte, als es dem Wortlaut von Art. 46 AHVG entspreche. Die Verwirkungsfrist beginne deshalb im vorliegenden Fall nach dem Ende des Monats zu laufen, in welchem die Abfindung zur Auszahlung fällig werde, d.h. spätestens am 1. Januar 1981. Im Zeitpunkt der Anmeldung am 15. April 1991 sei somit der Anspruch der Beschwerdegegnerin auf eine Witwenabfindung erloschen. Da die Frist von Art. 46 Abs. 1 AHVG nach Lehre und Rechtsprechung unbestrittenerweise Verwirkungscharakter habe, sei eine analoge Anwendung der von der Vorinstanz erwähnten Regel des OR über Hinderung und Stillstand der Verjährung ausgeschlossen. c) Im vorinstanzlichen Verfahren hatte die Beschwerdegegnerin darauf hingewiesen, sie habe sich am 22. April 1991 bei der Ausgleichskasse für eine Witwenrente angemeldet, sobald der Tod ihres Ehemannes eindeutig festgestanden habe. Bis dahin habe sie sich als Ehefrau gefühlt und sei als solche auch von den Behörden (z.B. dem Steueramt) behandelt worden. Weiter hatte sie ausgeführt: "Damit ich die mir zustehende Witwenabfindung erhalten könnte, hätte ich mich als Ehefrau für eine Witwenrente anmelden müssen. Dies ist eine unmenschliche Forderung, da ich gegen meine Hoffnungen und meine innerste Überzeugung meinem Manne hätte den Tod wünschen müssen." 3. a) Bereits früh hat das Eidg. Versicherungsgericht entschieden, dass die fünfjährige Nachzahlungsfrist des Art. 46 Abs. 1 AHVG auch die Witwenabfindung erfasst (EVGE 1955 S. 110, bestätigt in BGE 113 V 15 Erw. 3a). Wiederholt hat es auch erkannt, dass diese Frist gewahrt bleibt, wenn das Leistungsgesuch vor ihrem Ablauf eingereicht wird, auch wenn die Verschollenerklärung durch den Richter noch nicht ausgesprochen ist (EVGE 1955 S. 113, 1967 S. 235; BGE 110 V 250 Erw. 1 am Ende; ZAK 1960 S. 178 Erw. 1). Im Lichte dieser Rechtsprechung wirkt sich im vorliegenden Fall auch die Tatsache nicht entscheidend aus, dass es nicht zur Verschollenerklärung gekommen, sondern während deren Hängigkeit der Tod des BGE 120 V 170 S. 174 Versicherten festgestellt worden ist. In beiden Fällen ist der Anspruch der Beschwerdegegnerin auf Witwenabfindung spätestens am 1. Dezember 1980 entstanden, weil wahrscheinlicher Todeszeitpunkt und Beginn der langen nachrichtenlosen Abwesenheit hier zeitlich übereinstimmen (November 1980). Dem Zeitpunkt des Leichenfundes kommt im einen wie im anderen Fall keine anspruchsbegründende Wirkung zu, wie das Eidg. Versicherungsgericht in BGE 117 V 257 richtiggestellt hat. b) Die wiedergegebene Rechtsprechung des Eidg. Versicherungsgerichts vermag das Auseinanderfallen der sozialversicherungsrechtlichen Verwirkungsordnung und der zivilrechtlichen Rechtslage bei der Verschollenerklärung infolge Verschwindens in hoher Todesgefahr oder bei langer nachrichtenloser Abwesenheit letztlich nur mit dem Hinweis zu rechtfertigen, dass es dem Leistungsansprecher zumutbar sei, vorsorglich zwecks Wahrung seiner Hinterlassenenansprüche eine Anmeldung einzureichen. So hielt das Eidg. Versicherungsgericht in EVGE 1967 S. 236 Erw. 2 fest, es dürfe von Angehörigen eines Vermissten, die in den Genuss von Leistungen der AHV gelangen wollten, erwartet werden, dass sie an den für die Erklärung der Verschollenheit zuständigen Zivilrichter gelangen, sobald ihnen das Gesetz die Möglichkeit dazu gebe und dass sie sich dann unverzüglich an die Verwaltung wenden, um die Ausrichtung der Renten zu erwirken. Wenn es sich aber so verhält, bleibt unverständlich, warum die Rechtsprechung die fünfjährige Verwirkungsfrist mit der durch den Tod oder die Verschollenerklärung begründeten Entstehung des Renten- oder Abfindungsanspruchs beginnen lässt, und nicht von demjenigen Zeitpunkt an, in welchem frühestens zivilrechtlich eine Verschollenerklärung erwirkt werden kann. Tod und Verschollenerklärung sind Sachverhalte oder zivilrechtliche Tatbestände, welche in Fällen der vorliegenden Art in aller Regel erst nachträglich festgestellt oder geschaffen werden können. Dabei bleibt erst noch lange unklar, ob es überhaupt zur Kenntnis des Todes oder zur Aussprechung der Verschollenheit mit ihrer zivilrechtlichen rückwirkenden Todesgleichstellung kommt. Es widerspricht an sich dem Charakter einer (Verwirkungs-)Frist, erst nach Klärung der Sach- und Rechtslage den Anspruchsbeginn zeitlich festzulegen und daran retrospektiv den Beginn der Nachzahlungsfrist zu knüpfen. Im weiteren ist die Situation von Hinterbliebenen eines Verstorbenen und denjenigen eines jahrelang Verschwundenen nicht dieselbe. Der Tod weist den BGE 120 V 170 S. 175 Versicherungsfall und die Entstehung der daraus resultierenden Leistungsansprüche klar aus, wogegen im Falle des Verschwindens des Versicherten zunächst völlig offenbleibt, ob dereinst aus dieser langen nachrichtenlosen Abwesenheit ein Leistungsanspruch resultiert oder nicht, sei es, dass es zur Verschollenerklärung kommt, sei es, dass nach Jahr und Tag der Tod des Versicherten festgestellt werden kann, sei es, dass er wieder auftaucht. Es wird somit Gleiches mit Ungleichem verglichen, wenn der Ehefrau eines vermissten Versicherten zugemutet wird, sie könne sich so gut wie eine Witwe bei der AHV zum Leistungsbezug anmelden. Eine solche Betrachtungsweise misst den Vorschriften über die Verwirkung des Leistungsanspruchs ( Art. 46 Abs. 1 AHVG ) eine sachfremde Bedeutung zu. Der Sinn der Verwirkungsfrist besteht darin, im Sinne einer ausgleichenden Regelung einerseits dem Versicherten in einer bestimmten Zeitspanne den entstandenen und ausgewiesenen materiellen Leistungsanspruch zu erhalten, anderseits die Verwaltung vor der materiellen Prüfung von lange nach dem eingetretenen und an sich sofort beweisbaren versicherten Ereignis eingereichten Leistungsgesuchen, mit allen später damit verbundenen Abklärungsschwierigkeiten, zu schützen. Wo sich indessen der Nachweis des versicherten Ereignisses (Tod) aus nicht vom Leistungsansprecher zu vertretenden Gründen zunächst gar nicht und später erst mit langer zeitlicher Verzögerung erbringen (Festlegung des wahrscheinlichen Todeseintritts) oder sogar nur fingieren lässt, findet sich, wie die Ausgleichskasse richtig feststellt, keine Rechtfertigung, den Hinterbliebenen den Ablauf der fünfjährigen Verwirkungsfrist seit dem erst nachträglich feststellbaren und festgestellten Tod bzw. seit Wirkung der Verschollenerklärung entgegenzuhalten. Aus diesen Gründen ist die bisherige Rechtsprechung des Eidg. Versicherungsgerichts (zuletzt BGE 110 V 249 f. Erw. 1 am Ende, mit Hinweisen) dahingehend abzuändern, dass die fünfjährige Verwirkungsfrist des Art. 46 Abs. 1 AHVG in dem Zeitpunkt zu laufen beginnt, da die Hinterbliebene frühestens eine zivilrechtliche Verschollenerklärung durch den Richter erwirken kann. c) Nach Massgabe von Art. 36 Abs. 1 ZGB , wonach das Gesuch nach Ablauf von mindestens einem Jahr seit dem Zeitpunkt der Todesgefahr oder im Falle der langen nachrichtenlosen Abwesenheit von fünf Jahren seit der letzten Nachricht angebracht werden kann, konnte die Beschwerdegegnerin vor Ablauf von fünf Jahren seit September 1980, als sie von ihrem Ehemann das letzte Lebenszeichen erhalten hatte, somit vor September 1985, zivilrechtlich BGE 120 V 170 S. 176 nichts unternehmen, um dem ungewissen Zustand ein Ende zu bereiten. Von ihr bereits vorher die vorsorgliche Einreichung eines Leistungsgesuchs zu verlangen geht nach dem Gesagten fehl. Die fünfjährige Nachzahlungsfrist gemäss Art. 46 Abs. 1 AHVG konnte daher frühestens im September 1986 beginnen, dem Zeitpunkt nach Ablauf von fünf Jahren seit dem nachrichtenlosen Verschwinden, zuzüglich der mit dem kantonalen Gericht auf ein Jahr zu veranschlagenden Dauer des Verschollenerklärungsverfahrens (vgl. Art. 36 Abs. 3 ZGB ). Das im April 1991 eingereichte Gesuch zum Bezug von Hinterlassenenleistungen der AHV ist damit rechtzeitig. Der vorinstanzliche Entscheid erweist sich daher als richtig, weshalb die Verwaltungsgerichtsbeschwerde abzuweisen ist.
null
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Urteilskopf 110 V 138 23. Urteil vom 19. März 1984 i.S. Jakob gegen Ausgleichskasse des Kantons Zürich
Regeste Art. 137 lit. b OG . Der Versicherte erfährt nachträglich, dass ein während der Rechtshängigkeit des ersten Verfahrens vor dem Eidg. Versicherungsgericht erstelltes Arztzeugnis von der Verwaltung nicht an dieses Gericht weitergeleitet worden war. Dabei handelt es sich nicht um ein neues Beweismittel, sondern um eine neue Tatsache.
Sachverhalt ab Seite 138 BGE 110 V 138 S. 138 A.- Der 1952 geborene Renato Jakob, welcher den Beruf eines Autoelektrikers ausübt, musste sich im Jahre 1960 der Extraktion der Linse des linken Auges unterziehen. Im Jahre 1970 erkrankte er am rechten Auge an Herpes corneae und 1973 an Keratitis. Am 2. Mai 1977 wies die Ausgleichskasse des Kantons Zürich sein Gesuch um Kostengutsprache für zwei Kontaktlinsen verfügungsweise ab. Letztinstanzlich stellte das Eidg. Versicherungsgericht mit Urteil vom 1. Juni 1978 fest, dass die verlangten Kontaktlinsen BGE 110 V 138 S. 139 weder eine Ergänzung medizinischer Eingliederungsmassnahmen im Sinne von Art. 12 Abs. 1 IVG darstellen noch wegen hochgradigem irregulärem Astigmatismus oder wegen eines Keratokonus notwendig seien. B.- Am 6. März 1980 gelangte der Versicherte wiederum an die Invalidenversicherungs-Kommission, indem er erneut um Abgabe von Kontaktlinsen ersuchte. Die Ausgleichskasse trat verfügungsweise auf das Begehren nicht ein, weil das Eidg. Versicherungsgericht seinerzeit den Anspruch letztinstanzlich verneint habe. Ein weiteres Begehren des Versicherten um Abgabe von Kontaktlinsen datiert vom 10. November 1980 und wurde mit Verfügung vom 10. Dezember 1980 von der kantonalen Ausgleichskasse abgewiesen. C.- Renato Jakob beschwerte sich am 5. Januar 1981 gegen die Verfügung vom 10. Dezember 1980 wiederum bei der AHV-Rekurskommission des Kantons Zürich. Der Beschwerde legte er ein Zeugnis des Augenarztes Dr. med. S. vom 19. Dezember 1980 bei, in welchem unter anderem ausgeführt wird, dass rechtsseitig ein "ziemlich hochgradiger Astigmatismus irregularis" bestehe, der nur mit einer harten Kontaktlinse auskorrigiert werden könne. Bei der Prüfung der Beschwerde stiess die AHV-Rekurskommission unter anderem auf das augenärztliche Attest des Dr. med. D. von der Universitätsaugenklinik des Kantonsspitals Zürich vom 28. Februar 1977, worin ausgeführt wird, dass der Versicherte einen "irregulären Astigmatismus nach Hornhautnarben" aufweise. In ihrem Entscheid vom 11. Februar 1983 hielt die Rekurskommission fest, dass die Invalidenversicherungs-Kommission es seinerzeit unterlassen habe, dieses Attest und den entsprechenden Kostenvoranschlag des Kontaktlinseninstitutes Götte vom 2. November 1977 an das Eidg. Versicherungsgericht weiterzuleiten. Möglicherweise komme diesen Schriftstücken entscheidende Bedeutung zu. Da aber über den Anspruch auf Kontaktlinsen vom Eidg. Versicherungsgericht materiell entschieden worden sei, könne die Rekurskommission auf die rechtskräftig beurteilte Kassenverfügung vom 2. Mai 1977 nicht zurückkommen. Die Rekurskommission trat deshalb auf die Beschwerde vom 5. Januar 1981 nicht ein. D.- Am 23. Februar 1983 ersuchte Renato Jakob um Revision des Urteils des Eidg. Versicherungsgerichts vom 1. Juni 1978 und BGE 110 V 138 S. 140 verlangte die Abgabe von Kontaktlinsen ab 28. Februar 1977. Der Umstand, dass ein wichtiges Dokument beim Sekretariat der Invalidenversicherungs-Kommission seinerzeit liegengeblieben sei, dürfe ihm nicht angelastet werden. Ausgleichskasse und Bundesamt für Sozialversicherung verzichten auf eine Stellungnahme zum Revisionsgesuch. Erwägungen Das Eidg. Versicherungsgericht zieht in Erwägung: 1. Renato Jakob stützt sein Revisionsbegehren auf die in der Präsidialverfügung der AHV-Rekurskommission des Kantons Zürich vom 11. Februar 1983 relevierte unbestrittene Tatsache, dass die Verwaltung zur Zeit der Rechtshängigkeit des Beschwerdeverfahrens, das durch Urteil des Eidg. Versicherungsgerichts vom 1. Juni 1978 erledigt worden ist, sich im Besitz eines ärztlichen Attestes vom 28. Februar 1977 befunden habe, dieses aber irrtümlicherweise nicht an das urteilende Gericht weitergeleitet worden sei. Es ist somit zu prüfen, ob dieser Sachverhalt einen Revisionsgrund darstellt. a) Nach Art. 136 lit. d OG ist die Revision eines bundesgerichtlichen Urteils zulässig, wenn das Gericht in den Akten liegende erhebliche Tatsachen aus Versehen nicht berücksichtigt hat. Stützt sich das Revisionsgesuch auf diese Gesetzesbestimmung, so muss es bei Folge der Verwirkung innert 30 Tagen vom Eingang der schriftlichen Ausfertigung des Urteils hinweg geltend gemacht werden ( Art. 141 Abs. 1 lit. a OG ). Diese Frist war längst abgelaufen, als der Versicherte am 23. Februar 1983 das Gesuch um Revision des Urteils stellte, das ihm am 16. Juni 1978 ausgehändigt worden war. b) Ferner ist gemäss Art. 137 lit. b OG die Revision eines bundesgerichtlichen Urteils dann zulässig, wenn der Gesuchsteller nachträglich neue erhebliche Tatsachen erfährt oder entscheidende Beweismittel auffindet, die er im früheren Verfahren nicht hat beibringen können. In diesem Falle ist das Revisionsgesuch innerhalb von 90 Tagen seit der Entdeckung des Revisionsgrundes beim Eidg. Versicherungsgericht anhängig zu machen ( Art. 141 Abs. 1 lit. b OG ). Diese Frist ist im vorliegenden Falle gewahrt, muss doch davon ausgegangen werden, dass der Gesuchsteller erst durch die Präsidialverfügung der Rekurskommission vom 11. Februar 1983 von der Tatsache Kenntnis erhalten hat, dass die Verwaltung seinerzeit das Arztattest vom 28. Februar 1977 nicht BGE 110 V 138 S. 141 weitergeleitet hatte und dass dieses somit vom Eidg. Versicherungsgericht beim Erlass des Urteils vom 1. Juni 1978 nicht berücksichtigt werden konnte. Damit stellt sich die weitere Frage, ob dieser Sachverhalt als Revisionsgrund nach Art. 137 lit. b OG gewertet werden kann. 2. Als "neu" gelten Tatsachen, welche sich bis zum Zeitpunkt, da im Hauptverfahren noch tatsächliche Vorbringen prozessual zulässig waren, verwirklicht haben, jedoch dem Revisionsgesuchsteller trotz hinreichender Sorgfalt nicht bekannt waren. Die neuen Tatsachen müssen ferner erheblich sein, d.h. sie müssen geeignet sein, die tatbeständliche Grundlage des angefochtenen Urteils zu verändern und bei zutreffender rechtlicher Würdigung zu einer andern Entscheidung zu führen. Beweismittel haben entweder dem Beweis der die Revision begründenden neuen erheblichen Tatsachen oder dem Beweis von Tatsachen zu dienen, die zwar im früheren Verfahren bekannt gewesen, aber zum Nachteil des Gesuchstellers unbewiesen geblieben sind. Sollen bereits vorgebrachte Tatsachen mit den neuen Mitteln bewiesen werden, so hat der Gesuchsteller auch darzutun, dass er die Beweismittel im früheren Verfahren nicht beibringen konnte. Entscheidend ist ein Beweismittel, wenn angenommen werden muss, es hätte zu einem andern Urteil geführt, falls der Richter im Hauptverfahren davon Kenntnis gehabt hätte. Ausschlaggebend ist, dass das Beweismittel nicht bloss der Sachverhaltswürdigung, sondern der Sachverhaltsermittlung dient. Es genügt daher beispielsweise nicht, dass ein neues Gutachten den Sachverhalt anders bewertet; vielmehr bedarf es neuer Elemente tatsächlicher Natur, welche die Entscheidungsgrundlagen als objektiv mangelhaft erscheinen lassen. Für die Revision eines Entscheides genügt es nicht, dass der Gutachter aus den im Zeitpunkt des Haupturteils bekannten Tatsachen nachträglich andere Schlussfolgerungen zieht als das Gericht. Auch ist ein Revisionsgrund nicht schon gegeben, wenn das Gericht bereits im Hauptverfahren bekannte Tatsachen möglicherweise unrichtig gewürdigt hat. Notwendig ist vielmehr, dass die unrichtige Würdigung erfolgte, weil für den Entscheid wesentliche Tatsachen nicht bekannt waren oder unbewiesen geblieben sind ( BGE 108 V 171 ). Im ärztlichen Attest des Dr. D. vom 28. Februar 1977 wird festgehalten, dass der Versicherte rechts an irregulärem Astigmatismus nach Hornhautnarben leidet. Dieser Sachverhalt hätte dem heutigen Gesuchsteller schon im ersten Verfahren vor dem Eidg. BGE 110 V 138 S. 142 Versicherungsgericht bekannt sein können, wenn er die erforderliche Sorgfalt aufgewendet hätte. Insofern kann der in diesem Dokument festgehaltene Sachverhalt nicht als neu im Sinne der dargelegten Praxis gelten. Aus dem gleichen Grund lässt sich das Arztattest des Dr. D. auch nicht als neues Beweismittel qualifizieren, das der Versicherte nicht schon im früheren Verfahren hätte beibringen können. Neu ist hingegen die Tatsache, dass die Invalidenversicherungs-Kommission das erwähnte ärztliche Attest, das sie während der Rechtshängigkeit der Verwaltungsgerichtsbeschwerde von 1977 erhielt, nicht an das Eidg. Versicherungsgericht weitergeleitet hat. Dieses Versehen konnte trotz gebührender Sorgfalt vom Versicherten damals nicht erkannt werden und ist deshalb nicht von ihm zu vertreten. 3. Es ist zu prüfen, ob diese neue Tatsache im Sinne von Art. 137 lit. b OG erheblich ist. Nach Ziff. 7.02* HVI Anhang besteht der Anspruch auf Kontaktlinsen, sofern diese notwendigerweise anstelle von Brillen treten und eine wesentliche Ergänzung medizinischer Eingliederungsmassnahmen darstellen, sowie bei hochgradigem irregulärem Astigmatismus und Keratokonus. Nach der Verwaltungspraxis, die gesetzeskonform ist, wird ein Astigmatismus dann als hochgradig bezeichnet, wenn mit der Kontaktlinse ein um mindestens zwei Zehntel besserer Visus erreicht wird als mit der optimal korrigierenden Brille (vgl. Wegleitung über die Abgabe von Hilfsmitteln, Rz. 7.02.4*). Dem Arztzeugnis des Dr. D. ist zu entnehmen, dass bei dem an irregulärem Astigmatismus leidenden Versicherten mit der eigenen Brille ein Visus von 0,6 erreicht wird, während mit konventionellen Kontaktlinsen sich ein Visus von 1,0 ergibt. Aus dieser Visusverbesserung um zwei Fünftel muss auf hochgradigen Astigmatismus geschlossen werden. Damit ist eine wesentliche Voraussetzung für die Abgabe der Kontaktlinsen erfüllt. Da unbestritten ist und auch aktenmässig feststeht, dass der Versicherte für die Ausübung seiner Erwerbstätigkeit als Autoelektriker auf die Kontaktlinsen angewiesen ist ( Art. 2 Abs. 2 HVI ), hat er Anspruch auf Übernahme ihrer Anschaffungskosten durch die Invalidenversicherung. Daraus ergibt sich, dass die neue Tatsache auch entscheidend ist und demzufolge das Revisionsgesuch gutgeheissen werden muss. BGE 110 V 138 S. 143 Dispositiv Demnach erkennt das Eidg. Versicherungsgericht: Das Revisionsgesuch wird gutgeheissen, das Urteil des Eidg. Versicherungsgerichts vom 1. Juni 1978 aufgehoben und die Ausgleichskasse verpflichtet, die Kosten der Anschaffung der Kontaktlinsen ab Frühjahr 1977 zu übernehmen.
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nan
de
1,984
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CH_BGE_007
CH
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715e6e0d-dfbb-449c-891f-eae08bd60143
Urteilskopf 96 I 471 74. Arrêt du 4 novembre 1970 dans la cause Barman contre Président de la Cour civile du Tribunal cantonal du canton de Vaud.
Regeste Sicherstellung für Gerichtskosten. Art. 150 OG . Einhaltung der Frist bei Bezahlung durch Vermittlung der Post oder einer Bank (Erw. 1). Voraussetzungen der Wiederherstellung der Frist, wenn die Partei oder ihr Vertreter einen Dritten mit der Bezahlung der Sicherheit beauftragt hat. Art. 35 OG (Erw. 2).
Sachverhalt ab Seite 471 BGE 96 I 471 S. 471 Paul et Armand Barman ont formé un recours de droit public contre une décision rendue par le Président de la Cour civile du Tribunal cantonal vaudois. Le 25 août 1970, la chancellerie du Tribunal fédéral a invité le mandataire des recourants à verser à la caisse du tribunal, jusqu'au 3 septembre 1970, le montant de 200 fr. en garantie des frais judiciaires présumés (art. 150 OJ). Sur l'ordre de ce mandataire, la somme a été versée le 11 septembre 1970 au compte de chèques postaux du Tribunal fédéral par la Société de banque suisse, à Lausanne. Avisé de ce fait, ledit mandataire explique qu'il a donné l'ordre BGE 96 I 471 S. 472 de virement à la banque le 2 septembre et qu'il comptait que cet ordre serait, comme de coutume, exécuté sans retard. Il requiert la restitution du délai de dépôt. Erwägungen Considérant en droit: 1. Les recourants ne prétendent pas, avec raison, avoir respecté le délai qui leur avait été fixé. Il suffit certes que le paiement soit effectué, ou l'ordre de virement donné, à un bureau de l'entreprise suisse des postes, téléphones et télégraphes le dernier jour du délai pour que celui-ci soit tenu. Mais cette règle, fondée sur l'application analogique de l'art 32 al. 3 OJ, ne peut être étendue aux ordres de paiement donnés à une banque (arrêt du 4 novembre 1969 en la cause Imhof, consid. 2). 2. La restitution pour inobservation d'un délai ne peut être accordée que si le requérant ou son mandataire a été empêché, sans sa faute, d'agir dans le délai fixé (art. 35 OJ). a) Comme le montre le texte italien de la loi, qui est plus précis et plus logique et qui mérite ainsi la préférence, le terme de mandataire a ici le même sens qu'à l'art. 29 et désigne le représentant de la partie au procès ("difensore"). La banque n'est pas le mandataire des recourants. La faute qu'elle pourrait avoir commise n'est pas imputable, du point de vue de l'art. 35 OJ, à ces derniers (arrêt du 5 novembre 1958 en la cause Teno AG). b) Lorsque, comme en l'espèce, le mandataire de la partie se substitue un tiers, il répond du soin avec lequel il le choisit, l'instruit et le surveille. S'agissant d'un acte à accomplir dans un certain délai, il ne commet pas de faute si, tout en lui donnant connaissance de l'échéance, il transmet l'ordre au tiers assez tôt pour que celui-ci puisse l'exécuter à temps selon le cours ordinaire des choses. En revanche, s'il donne l'ordre tardivement ou ne signale pas que l'exécution en est urgente, il commet une négligence qui exclut la restitution du délai (arrêt Imhof, précité, consid. 3 b). c) En l'espèce, le conseil des recourants a donné l'ordre de paiement à la banque par lettre du 2 septembre, avant-dernier jour du délai. On ignore quand ladite lettre est parvenue à destination. Quoi qu'il en soit, un retard d'un, voire de deux jours dans l'exécution d'un ordre de paiement n'est pas si exceptionnel que l'on puisse d'emblée renoncer à l'envisager. BGE 96 I 471 S. 473 L'échéance du délai étant imminente, le conseil des recourants devait donner à la banque des instructions complémentaires et préciser que le paiement devait être effectué le 3 septembre au plus tard. Il ne prétend pas l'avoir fait. Sa négligence interdit la restitution du délai. Le recours est dès lors irrecevable (art. 150 al. 4 OJ). Dispositiv Par ces motifs, le Tribunal fédéral: Rejette la demande de restitution de délai et déclare le recours irrecevable.
public_law
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1,970
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CH_BGE_001
CH
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Urteilskopf 106 II 134 25. Arrêt de la Ire Cour civile du 3 juin 1980 dans la cause C. contre S.(recours en réforme)
Regeste Verjährung. Schadenersatzklage einer Arbeitnehmerin gegen ihre frühere Arbeitgeberin wegen einer Verletzung, die darauf zurückzuführen ist, dass sie bei ihrer Tätigkeit ionisierenden Strahlen ausgesetzt war. Beginn der zehnjährigen Verjährungsfrist ( Art. 60 Abs. 1, 127 und 130 OR ; E. 2). Abweisung der Klage, soweit sie darauf gestützt wird, dass es die Arbeitgeberin nach Beendigung des Arbeitsverhältnisses unterliess, die Arbeitnehmerin über die Gefährlichkeit ihrer früheren Tätigkeit aufzuklären und sie zu einer medizinischen Kontrolle anzuhalten (E. 3).
Sachverhalt ab Seite 134 BGE 106 II 134 S. 134 A.- Dame S. a travaillé de 1944 à fin 1956 au service de dame C., dans un atelier où elle posait de la peinture luminescente radioactive sur des cadrans de montres. BGE 106 II 134 S. 135 Plusieurs années après la fin de cette activité, elle a été en traitement pour une affection dermatologique de la main droite. Le 30 mai 1974, un dermatologue a constaté la présence de plusieurs kératoses de la main droite. L'une d'elles a nécessité l'amputation d'une partie du médium, le 12 juin 1974. Selon le chirurgien et le dermatologue, l'altération cutanée de la main droite de dame S. est très probablement due à l'action de radiations ionisantes auxquelles elle a été exposée pendant son activité professionnelle dans l'horlogerie. B.- Dame S. a ouvert action le 18 mars 1976 contre dame C. en paiement de 532'000 fr. avec intérêt à 5% dès le 6 juin 1975, à titre de dommages-intérêts pour frais médicaux et atteinte à l'avenir économique et de réparation du tort moral. Elle faisait valoir le défaut de mesures de sécurité dans l'atelier de la défenderesse et l'absence d'instructions et de contrôle médical après la fin des rapports de travail. La défenderesse a conclu au rejet de la demande, en invoquant notamment la prescription. Le 3 décembre 1979, le Tribunal cantonal neuchâtelois a condamné la défenderesse à payer à la demanderesse 102'000 fr. avec intérêt à 5% dès le 1er février 1977 sur 31'000 fr. (perte de gain jusqu'au jugement), dès le 3 décembre 1979 sur 56'000 fr. (atteinte à l'avenir économique) et dès le 1er avril 1974 sur 15'000 fr. (tort moral). C.- La défenderesse recourt en réforme au Tribunal fédéral. Elle conclut au rejet de l'action, qu'elle considère comme mal fondée et prescrite. La demanderesse propose le rejet du recours, subsidiairement le renvoi de la cause au tribunal cantonal pour qu'il statue sur la responsabilité de la défenderesse consécutive à l'absence d'instruction et de contrôle médical après la fin des rapports de travail. Le Tribunal fédéral a admis le recours, annulé le jugement attaqué et rejeté la demande. Erwägungen Considérant en droit: 1. Le tribunal cantonal considère que la défenderesse a omis par faute les mesures de sécurité qui pouvaient être exigées d'elle, compte tenu de l'état de la science et de la technique à l'époque (1944 à 1956), et qu'elle n'a partant pas exécuté les BGE 106 II 134 S. 136 obligations découlant de l'art. 339 aCO. Elle répond dès lors contractuellement du dommage subi par la demanderesse (art. 97 ss. CO). L'omission fautive des mesures de sécurité constitue en outre un acte illicite au sens de l' art. 41 al. 1 CO . Les premiers juges rejettent l'exception de prescription soulevée par la défenderesse. Fondés sur un avis de droit des professeurs Deschenaux et Tercier produit en justice par la demanderesse, ils admettent que le fait dommageable déterminant le point de départ de la prescription de dix ans selon les art. 60 al. 1, 127 et 130 CO est l'atteinte à l'intégrité corporelle, due à l'exposition aux radiations ionisantes, qui a causé une incapacité de travail dès le mois d'avril 1974. Il y a lieu d'examiner d'abord la question de la prescription, car si cette exception s'avérait fondée, l'action de la demanderesse devrait être rejetée en tant qu'elle repose sur une faute commise par la défenderesse pendant la durée des rapports de travail, de 1944 à fin 1956. 2. a) Dans l'arrêt ATF 87 II 155 ss., le Tribunal fédéral a jugé que la prescription décennale de l' art. 127 CO , comme celle de l' art. 60 al. 1 CO , court indépendamment de la connaissance qu'a le créancier de l'existence de son droit; l'action peut donc se trouver prescrite avant que le créancier n'ait connaissance de l'inobservation du contrat et de ses conséquences (consid. 3a p. 159-161, avec référence à l'arrêt ATF 53 II 342 s.). Cette jurisprudence a été confirmée récemment ( ATF 100 II 343 consid. 2b). Contrairement à ce que pensent le tribunal cantonal et les professeurs Deschenaux et Tercier, elle n'est pas en contradiction avec l'arrêt antérieur ATF 81 II 445 ss. consid. 3 et 4. Cet arrêt concerne un cas de responsabilité fondée sur l' art. 679 CC , pour un dommage causé par des infiltrations d'eaux chargées de sels de sulfate provenant du fonds de la défenderesse, à la suite de l'utilisation de bassins de clarification non étanches, plus de dix ans auparavant. Le Tribunal fédéral déclare que la prescription subsidiaire de l' art. 60 al. 1 CO commence à courir le jour de l'acte dommageable, quel que soit le moment où le dommage lui-même s'est produit et où le lésé a acquis une connaissance suffisante des éléments de sa prétention pour pouvoir la faire valoir juridiquement; cette prescription est liée à l'événement qui a créé la responsabilité et si le dommage ne s'est produit que plus tard, le délai n'en BGE 106 II 134 S. 137 est pas moins calculé à partir de la date de cet événement. L'exception de prescription a été rejetée en l'espèce par le motif que le dommage était dû non pas à des immissions remontant à plus de dix ans, mais à des nouvelles immissions, et que la défenderesse répondait d'un excès de son droit de propriété qui durait encore, même sans faute de sa part. Ce motif ne vaut cependant, comme le relève le Tribunal fédéral (consid. 4 in initio), qu'en vertu du caractère particulier de la responsabilité fondée sur l' art. 679 CC . La jurisprudence de l'arrêt ATF 87 II 155 n'est pas infirmée par la phrase de l'arrêt ATF 90 II 331 , selon laquelle "l'ignorance du dommage constitue un motif d'empêchement de la prescription, au sens de l' art. 134 CO ". Cette phrase constitue un obiter dictum, le Tribunal fédéral jugeant applicable en l'espèce l' art. 83 al. 1 LCR qui fait courir le délai de prescription de deux ans à partir du jour où le lésé a eu connaissance du dommage. Dans un arrêt du même jour ( ATF 90 II 435 ss. consid. 6-9), il a d'ailleurs rejeté une telle interprétation de l' art. 134 ch. 6 CO après un examen approfondi de cette disposition et en se référant notamment aux arrêts ATF 53 II 342 s. et 87 II 155 ss. Le 14 mars 1974, la IIe Cour civile du Tribunal fédéral a modifié sa jurisprudence relative au point de départ du délai de prescription de deux ans des créances dérivant du contrat d'assurance ( art. 46 al. 1 LCA ), en cas de décès ( ATF 100 II 42 ss.). Elle a fixé ce point de départ à la date du décès, et non plus à celle de l'accident selon la jurisprudence antérieure, en considérant notamment ce qui suit: "Admettre que la prescription pour la prestation au décès a commencé à courir dès le jour de l'accident conduit à un résultat inacceptable lorsque, comme en l'espèce, l'assuré n'envisage pas son décès, dans les deux ans qui ont suivi l'accident, comme une suite possible de l'accident. Non seulement il ne connaît pas les éléments de sa réclamation, mais il ne sait même pas qu'il aura une prétention contre l'assureur. Il ne lui est ainsi pas possible d'interrompre la prescription." Le Tribunal fédéral a considéré que les arguments relatifs à la sécurité du droit, invoqués à l'appui de l'ancienne jurisprudence, étaient fondés avant tout en matière d'invalidité. Il a ainsi laissé ouverte la question du point de départ du délai de prescription pour la prestation payable en cas d'invalidité. BGE 106 II 134 S. 138 b) La solution de l'arrêt ATF 87 II 155 est conforme à l'opinion de la doctrine, en tant qu'il s'agit de la prescription de l'action délictuelle ( art. 60 al. 1 CO ; OSER/SCHÖNENBERGER, n. 14 ad art. 60; VON TUHR/PETER, I, p. 439; VON BÜREN, Allg. Teil, p. 430 n. 95; SPIRO, Die Begrenzung privater Rechte durch Verjährungs-, Verwirkungs- und Fatalfristen, I p. 78; CAPITAINE, Des courtes prescriptions, des délais et des actes de déchéance, p. 69; PETERMANN, La prescription des actions, Revue suisse d'assurances 27/1959-60, p. 361 s.). Elle a en revanche été critiquée ou mise en doute par certains auteurs dans la mesure où elle se rapporte à la prescription de l'action contractuelle ( art. 127 et 130 CO ; MERZ, in RJB 98/1962 p. 467 s.; VON BÜREN, Allg. Teil, p. 428 n. 84; BUCHER, Allg. Teil p. 401). Dans leur avis de droit, les professeurs Deschenaux et Tercier s'opposent à cette solution, aussi bien dans le cadre de l'art. 60 que dans celui des art. 127 et 130 CO (cf. également les mêmes auteurs dans La responsabilité civile, p. 197). Ils soutiennent que le "fait dommageable", qui détermine le point de départ de la prescription décennale des actions délictuelle et contractuelle, correspond à l'atteinte portée aux droits de la victime; la prescription ne courrait que dès le moment où la lésion subie se révèle pour la première fois de manière objective. c) Il y a lieu d'admettre avec la doctrine précitée que l'acte dommageable ("schädigende Handlung, atto che a causato il danno"), au sens de l' art. 60 al. 1 CO , est l'acte illicite - acte ou omission - qui fonde la prétention en dommages-intérêts. La loi distingue clairement, quant au point de départ du délai, la prescription d'une année à compter du jour où le lésé a eu connaissance du dommage et de la personne qui en est l'auteur et la prescription de dix ans dès le jour où le fait dommageable s'est produit. Cette dernière, de caractère subsidiaire, a pour but d'éviter dans l'intérêt de la sécurité du droit que le débiteur ne soit menacé de réclamations au-delà d'un délai de plus longue durée dont le point de départ est fixé strictement, sans égard à la connaissance par le créancier du dommage et de son auteur. Cette réglementation peut certes paraître rigoureuse pour le lésé lorsque la prescription absolue intervient avant qu'il n'ait connaissance de son droit, voire avant la naissance de celui-ci, alors que son inaction ne procède d'aucune négligence. Ces conséquences n'ont pas échappé au législateur et il BGE 106 II 134 S. 139 n'appartient pas au juge de déroger à la loi pour les éviter dans un cas d'espèce. La recourante soutient à tort qu'une telle prescription serait inconciliable avec le système de la loi. Elle est expressément consacrée, en matière contractuelle, par les art. 210 et 371 pour l'action en garantie des défauts dirigée contre le vendeur et l'entrepreneur. Contrairement à l'avis des professeurs Deschenaux et Tercier, la possibilité qu'un dommage soit connu plus de dix ans seulement après l'acte illicite n'était pas inconnue à l'époque où le code a été adopté. Il est vrai que le législateur n'a probablement pas envisagé les effets de radiations à cette époque. Mais lorsqu'il a résolu ce problème particulier, dans la loi du 23 décembre 1959 sur l'utilisation pacifique de l'énergie atomique et la protection contre les radiations, il a fixé au "jour où l'influence nocive s'est produite" le point de départ de la prescription décennale de l'action en dommages-intérêts contre le responsable (art. 17 LUA), en renvoyant le lésé à faire valoir ses prétentions en réparation de dommages corporels, au-delà de ce délai, contre un fonds pour dommages atomiques différés (art. 18). d) En vertu de l'art. 339 aCO, la défenderesse était tenue de prendre les mesures de sécurité propres à écarter les risques de l'exploitation et de veiller à ce que le travail soit exécuté dans des locaux convenables et sains. La demanderesse pouvait exiger l'exécution de cette obligation dès le début et jusqu'à la fin des rapports de service. La créance en dommages-intérêts fondée sur l'art. 339 aCO était exigible dès la violation de l'obligation contractuelle consacrée par cette disposition, soit dès l'omission des mesures de sécurité qui incombaient à la défenderesse (cf. W. SCHWANDER, Die Verjährung ausservertraglicher und vertraglicher Schadenersatzforderungen, p. 114 ch. 3). La prescription décennale de l'action contractuelle de la demanderesse ( art. 127, 130 CO ) courait donc au plus tard depuis la fin des rapports de service. e) Aucun argument ne peut être tiré en l'espèce de la solution adoptée en matière d'assurance accidents par l'arrêt ATF 100 II 42 ss. Contrairement à l' art. 60 al. 1 CO et à l' art. 83 al. 1 LCR , l' art. 46 LCA ne connaît qu'un seul délai de prescription, de courte durée. En fixant le point de départ de ce délai au moment du décès et non plus à celui de l'accident, le Tribunal fédéral n'a donc nullement dérogé à sa jurisprudence relative à la prescription décennale de l' art. 60 CO . Il a adopté BGE 106 II 134 S. 140 cette solution après avoir constaté que le texte légal pouvait être interprété dans les deux sens et que rien, du point de vue de la sécurité du droit ou de la technique de l'assurance, ne s'opposait au choix du décès comme point de départ de la prescription, la question étant expressément réservée pour la prestation payable en cas d'invalidité. f) Que l'on considère sous l'angle délictuel ou contractuel l'action de la demanderesse fondée sur une faute commise pendant la durée des rapports de travail, la prescription de dix ans courait à partir de l'omission des mesures de sécurité incombant à la défenderesse, soit au plus tard du moment de la cessation de ces rapports à fin 1956. Elle était donc acquise lors de l'ouverture de l'action, le 18 mars 1976. 3. La demanderesse fait valoir que la défenderesse répondrait également du défaut d'information et de contrôle médical après la fin des rapports de travail. Des lésions décelées à temps et traitées aussitôt auraient pu évoluer favorablement. L'absence de contrôle après la fin des rapports de travail serait d'autant plus inexcusable qu'une telle surveillance médicale a été rendue obligatoire par l'ordonnance concernant la protection contre les radiations, du 19 avril 1963. Le délai de prescription de l'action en réparation du dommage causé par cette faute n'aurait donc pas commencé à courir. Le tribunal cantonal ne s'est pas prononcé sur ces questions puisqu'il admettait la responsabilité de la défenderesse pour la faute commise pendant la durée de l'engagement. Il n'est toutefois pas nécessaire de lui renvoyer la cause pour qu'il statue à ce sujet. L'ordonnance du 19 avril 1963 concernant la protection contre les radiations (RO 1963 p. 275) - remplacée par l'ordonnance du 30 juin 1976 (RS 814.50) - prescrit l'information des personnes professionnellement exposées aux radiations sur les dangers de leur travail (art. 29), leur surveillance par des mesures physiques permettant d'évaluer la "dose accumulée" (art. 39) et leur examen périodique par un médecin ayant des connaissances particulières en la matière (art. 40). Cette ordonnance n'impose toutefois aucune obligation envers des ouvriers ne travaillant plus dans l'entreprise lors de son entrée en vigueur. La demanderesse a quitté l'entreprise de la défenderesse à fin 1956 et a cessé dès lors toute activité qui l'aurait soumise à un BGE 106 II 134 S. 141 contrôle de l'irradiation. Une obligation de la défenderesse d'attirer ultérieurement l'attention de son ex-employée sur les dangers de son ancienne activité et de l'inviter à se soumettre à un examen médical ne découle d'aucune autre disposition légale ni d'un devoir général d'information, compte tenu de l'état des connaissances en la matière à l'époque. La défenderesse n'a donc pas commis de faute après la fin des rapports de travail. Elle ne peut être rendue responsable pour ce motif du dommage subi par la demanderesse.
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Urteilskopf 93 I 554 68. Auszug aus dem Urteil vom 18. Oktober 1967 i.S. Gugger gegen Einwohnergemeinde Wettingen und Obergericht des Kantons Aargau.
Regeste Kantonales Enteignungsrecht. Art. 4 BV und Eigentumsgarantie. Berechnung der Enteignungsentschädigung bei Teilenteignung auf Grund der Differenz zwischen dem Wert des Gesamtgrundstücks vor und dem Wert des Restgrundstücks nach der Enteignung. Zulässigkeit dieser Berechnungsmethode (Erw. 3 und 4). Anwendung der Methode auf die Enteignung für die Anlage einer Strasse. Wenn der Überbauungsplan, der die Strasse erstmals vorsah, gleichzeitig mit einem Zonenplan erlassen wurde, durch den das betreffende Gebiet in eine Zone mit höherer Ausnützung versetzt wurde, ist es willkürlich, bei der Ermittlung der Enteignungsentschädigung den Wert des Gesamtgrundstücks vor der Umzonung dem Wert des Restgrundstücks nach der Umzonung gegenüberzustellen (Erw. 5).
Sachverhalt ab Seite 555 BGE 93 I 554 S. 555 Aus dem Tatbestand: A.- Am 4. Dezember 1959 fasste die Einwohnergemeindeversammlung von Wettingen gestützt auf §§ 103 ff. aarg. EG/ZGB zwei rechtlich selbständige, jedoch sachlich in einem gewissen Zusammenhang stehende Beschlüsse. Sie erliess a) einen neuen Überbauungsplan, der die künftigen Hauptverkehrsstrassen festlegt und u.a. vorsieht, dass die aus dem Zentrum des Baugebietes nach Osten bis zur Jurastrasse führende Zentralstrasse über die Jurastrasse hinaus verlängert und als Direktverbindung nach Baden ausgebaut werden soll. b) eine neue Zonenordnung mit Zonenplan, durch welchen das Baugebiet der Gemeinde in 8 Zonen mit verschiedener Bauweise eingeteilt wird und in welchem auch das Strassennetz gemäss dem neuen Überbauungsplan berücksichtigt ist. Die Bauzonen I-VIII sind im Zonenplan in verschiedenen Farben wiedergegeben, während die Strassenzüge weiss gelassen sind, gleichgültig ob es sich um bestehende oder erst projektierte Strassen handelt und ob sie eine Zone durchqueren oder die Grenze zwischen zwei Zonen bilden. Der Überbauungsplan und die Zonenordnung mit Zonenplan wurden vom Grossen Rat des Kantons Aargau am 24. August 1961 genehmigt und traten damit in Kraft. Am 17. Dezember 1963 genehmigte die Einwohnergemeindeversammlung das Projekt für den Ausbau der Zentralstrasse und den dafür erforderlichen Kredit. B.- Der Beschwerdeführer Paul Gugger ist Eigentümer der 1287 m2 haltenden, etwa 40 m langen und 32 m breiten Parzelle Kat. Nr. 4835, die gegenüber der Einmündung der Zentralstrasse in die Jurastrasse liegt und mit der westlichen Schmalseite an die Jurastrasse grenzt. Im südlichen Teil des Grundstücks steht ein im Jahre 1951 erstelltes Einfamilienhaus mit 7 Zimmern und einem Garageanbau; der nördliche Teil ist als Garten ausgestaltet. Nach der alten Zonenordnung lag das Grundstück in der Zone II (offene Wohnzone in der Ebene), wo zweigeschossig mit einer Ausnutzung von 0,45 gebaut werden konnte. Die im neuen Überbauungsplan vorgesehene Verlängerung der Zentralstrasse über die Jurastrasse hinaus führt über den nördlichen Teil des Grundstücks des Beschwerdeführers. Demgemäss BGE 93 I 554 S. 556 ist dieser Teil des Grundstücks im Zonenplan weiss gelassen. Der südliche Teil ist der Zone V (Wohn-, Gewerbe- und Ladenzone) zugewiesen, wo dreigeschossig mit einer Ausnutzung von 0,8 gebaut werden kann. Nach dem am 17. Dezember 1963 genehmigten Projekt werden für die Verlängerung und den Ausbau der Zentralstrasse 560 m2 Land des Beschwerdeführers benötigt. Die Gemeinde bot ihm dafür Fr. 50.- pro m2. Der Beschwerdeführer lehnte dieses Angebot als ungenügend ab. Am 31. Juli 1964 reichte die Gemeinde beim Obergericht des Kantons Aargau Klage ein mit dem Begehren, die Entschädigung für die abzutretenden 560 m2 sei auf Fr. 50.- pro m2 oder total Fr. 28'000.-- festzulegen. Der Beschwerdeführer verlangte Fr. 180.-- pro m2 sowie eine beträchtliche Entschädigung für den Minderwert der Restliegenschaft und für die Erstellung einer Mauer an der Strassengrenze. Das Obergericht führte einen Augenschein durch, liess sich vom Architekten Josef Schmidlin in Aarau ein Gutachten erstatten und setzte hierauf mit Urteil vom 25. März 1966 die von der Gemeinde zu bezahlende Entschädigung auf Fr. 32'000.-- fest. Es ging von den auf 1. Juni 1965 vorgenommenen Bewertungen des Experten aus. Dieser hatte, entsprechend den ihm vom Obergericht gestellten Fragen, den Verkehrswert der Liegenschaft vor der Enteignung unter der Voraussetzung, dass sie als Wohnliegenschaft benützt wurde und in der Zone II lag, auf Fr. 232'000.-- geschätzt; für den Verkehrswert nach der Enteignung war er für den Fall, dass der Zonenwechsel berücksichtigt werde, zu einem Verkehrswert von Fr. 200'000.-- gelangt, während er für den Fall, dass der Zonenwechsel nicht berücksichtigt werde, einen Verkehrswert von Fr. 187'000.-- angenommen hatte. Das Obergericht stellte die erste dieser beiden Schätzungen, d.h. Fr. 200'000.-- dem Verkehrswert vor der Enteignung von Fr. 232'000.-- gegenüber und kam so zu einer Enteignungsentschädigung von Fr. 32'000.--. C.- Mit der staatsrechtlichen Beschwerde stellt Paul Gugger den Antrag, das Urteil des Obergerichts vom 25. März 1966 sei wegen Verletzung der Eigentumsgarantie (Art. 22 KV) und der Rechtsgleichheit ( Art. 4 BV ) aufzuheben. - Das Bundesgericht heisst die Beschwerde gut und hebt das angefochtene Urteil auf. BGE 93 I 554 S. 557 Erwägungen Aus den Erwägungen: 3. Der Beschwerdeführer erblickt eine Verletzung der Eigentumsgarantie schon darin, dass ihm das Obergericht weniger als den vom Experten errechneten Verkehrswert zugesprochen hat. In der Tat hat der Experte zwei verschiedene Berechnungen angestellt und ist dabei zu einem Verkehrswert von Fr. 80.- bzw. 150.-- pro m2 gelangt, während der Beschwerdeführer mit der ihm für 560 m2 zugesprochenen Entschädigung von Fr. 32'000.-- nur Fr. 57.15 pro m2 erhält. Eine Verletzung der Eigentumsgarantie ist damit jedoch nicht dargetan. Die Enteignungsentschädigung ist grundsätzlich so zu bemessen, dass der Enteignete durch die Enteignung weder einen Verlust erleidet noch einen Gewinn erzielt; er soll nach der Enteignung wirtschaftlich gleichgestellt sein wie ohne diese (HESS N. 3 zu Art. 16 EntG ; vgl. BGE 89 I 347 , BGE 92 I 477 ). Bei einer teilweisen Enteignung entspricht der Unterschied in der wirtschaftlichen Lage des Enteigneten vor und nach der Enteignung nicht notwendig dem Verkehrswert des abgetretenen Teils. Er kann grösser oder kleiner sein. Bei der Enteignung des Vorgartens eines neuen Miethauses, durch welche die bauliche Ausnützung der Liegenschaft nicht beschränkt wird, ist die Werteinbusse klein und erreicht bei weitem nicht den Verkehrswert pro m2, der für das ganze Grundstück anzunehmen ist; bei einem vor dem Abbruch stehenden Haus oder bei einem unüberbauten Grundstück dagegen kann die Abtrennung des Vorgartens bzw. eines entsprechenden Landstreifens zu einer Einbusse führen, die den für das ganze Grundstück pro m2 geltenden Verkehrswert übersteigt (vgl. WIEDERKEHR, Die Expropriationsentschädigung, Diss. Zürich 1966 S. 69 ff.). Der vorliegende Fall liegt in der Mitte zwischen diesen Extremen. Darin, dass die vom Obergericht zugesprochene Enteignungsentschädigung den vom Experten errechneten Verkehrswert des abgetretenen Landes unterschreitet, liegt daher für sich allein weder Willkür noch eine Verletzung der Eigentumsgarantie. 4. Der Beschwerdeführer bezeichnet die vom Obergericht vorgenommene Wertdifferenz-Ermittlung als rechtlich unhaltbar. Sollte sich dieser Vorwurf nicht nur gegen die vom Obergericht angewendeten und in der Beschwerde im Einzelnen kritisierten Faktoren richten, sondern - was nicht ganz klar BGE 93 I 554 S. 558 ist - auch gegen die Methode als solche, so wäre diese Rüge unbegründet. Es entspricht herrschender Ansicht und Praxis, dass die Entschädigung bei einer Teilenteignung nach der Wertdifferenz-Methode errechnet, d.h. der Wert des Gesamtgrundstücks vor der Enteignung mit dem Wert der Restparzelle nach der Enteignung verglichen und die Differenz als der durch die Enteignung bewirkte und zu entschädigende Minderwert betrachtet wird (WIEDERKEHR a.a.O. S. 74/75). 5. Das Obergericht hat den Verkehrswert der Gesamtparzelle vor der Enteignung auf Grund ihrer Einteilung in Zone II und den Wert der Restparzelle auf Grund ihrer Einteilung in Zone V ermittelt und auch die Expertenfragen entsprechend formuliert. Es ging davon aus, die neue Zonenordnung mit Zonenplan sei untrennbar mit dem Überbauungsplan und der darin vorgesehenen neuen Strassenführung verbunden; ohne die Verlängerung der Zentralstrasse, wofür die Enteignung erfolge, wäre es bei der alten Zoneneinteilung geblieben, und es könne daher für die Berechnung des Verkehrswertes vor der Enteignung nicht auf die neue Einzonung abgestellt werden. Diese Betrachtungsweise hält indessen nicht stand. Es ist zwar richtig, dass der Zonenplan die erst geplante Weiterführung der Zentralstrasse bereits berücksichtigte und die Zonengrenzen wohl etwas anders zog, als wenn diese Weiterführung nicht oder anders vorgesehen gewesen wäre. Es ist auch richtig, dass Überbauungsplan und Zonenordnung von der Gemeinde gleichzeitig beschlossen worden sind. Das vermag indes die angefochtene Berechnung nicht zu rechtfertigen. Obwohl der Überbauungsplan zu einem Bauverbot für das künftige Strassenareal führte (§ 106 EG/ZGB), behielt das Land seinen vollen Wert für den Beschwerdeführer sowohl als Garten seiner Villa wie auch hinsichtlich der Berechnung der Ausnutzungsziffer bei einer neuen Überbauung. Erst die Enteignung entzog ihm das Land mit seinen tatsächlichen und rechtlichen Vorteilen. Ob und wann die Strasse gebaut und die Enteignung durchgeführt würde, war bei Erlass und Inkrafttreten der Zonenordnung noch ungewiss. Hier wurde die Ausführung etwas über zwei Jahre nach dem Inkrafttreten beschlossen. Doch dauert das sich aus einem Überbauungsplan ergebende Bauverbot oft viel länger (vgl. BGE 93 I 338 ff., insb. 343). Auch sind spätere Änderungen des Planes und der BGE 93 I 554 S. 559 darin vorgesehenen Strassenführung nicht selten, und solche Änderungen sind in der Regel ohne Einfluss auf den Zonenplan, selbst wenn dadurch gewisse Privatgrundstücke vom Bauverbot befreit und an ihrer Stelle andere enteignet werden. Für die Bewertung des Landes während des Schwebezustandes muss daher die tatsächliche Einzonung massgebend sein und kann es nicht darauf ankommen, zu welcher Zone das Land früher gehörte und aus welchen Gründen es aufgezont wurde. Das Land des Beschwerdeführers gehörte - von dem hiernach zu erörternden, im Plan weiss gelassenen Strassenareal abgesehen - vom Inkrafttreten des Zonenplans am 24. August 1961 bis zur Einleitung der Enteignung im Jahre 1964 wie auch an dem vom Experten und vom Obergericht angenommenen Stichtag für die Bewertung (1. Juni 1965) zur Zone V. Bei der Wertdifferenz-Berechnung den Wert des Gesamtgrundstücks auf Grund einer fiktiven, seit drei Jahren nicht mehr geltenden Zoneneinteilung zu bestimmen, die Restparzelle aber auf Grund der neuen Zoneneinteilung entsprechend höher zu bewerten, ist schlechterdings unhaltbar und verletzt die Eigentumsgarantie, nach welcher der Enteignete Anspruch auf volle Entschädigung hat. Der Gemeinderat wendet zu Unrecht ein, das enteignete Land könne keinesfalls der Zone V zugeteilt werden, da es im Zonenplan weiss gelassen worden sei, also zu keiner Zone gehöre. Es mag noch angehen, das Areal bestehender öffentlicher Strassen keiner Zone zuzuweisen, obwohl im Falle einer Strassenverlegung und Zuteilung von Strassengebiet an Private ebenfalls ein Bedürfnis nach Klarheit über die Zonenzugehörigkeit besteht. Dagegen können Teile privater Parzellen, die möglicherweise später einmal für eine vorerst nur geplante Strasse beansprucht werden, nicht einfach ausgezont werden, wenn das umgebende Land bestimmten Zonen zugeteilt wird. Wenn das Strassenprojekt geändert oder aufgegeben und dadurch privates Land freigegeben wird, so muss über dessen Zonenzugehörigkeit Klarheit bestehen. Wird das Projekt aber ausgeführt, so ist die Zonenzugehörigkeit für die Bemessung der Enteignungsentschädigung wesentlich. Es geht nicht an, diese Entschädigung dadurch herabsetzen zu wollen, dass inmitten eingezonter Gebiete Teile privater Grundstücke ausgezont werden. Das Obergericht hat denn auch den Hinweis der Gemeinde auf die Auszonung zurückgewiesen und angenommen, das Strassenareal BGE 93 I 554 S. 560 sei für die Bewertung der Gesamtparzelle vor der Enteignung mit der Restparzelle der Zone II zuzuteilen. Das ist jedoch nach dem Gesagten unhaltbar. Für die Bewertung ist vielmehr zu prüfen, zu welcher Zone das enteignete Land nach dem neuen Zonenplan richtigerweise gehört. Nach diesem Plan liegt der grössere Teil des Grundstücks des Beschwerdeführers in Zone V. Von dem an das Grundstück angrenzenden, jenseits der verlängerten Zentralstrasse gelegenen Land gehört ein Stück zu Zone II und etwas mehr zu Zone VII. Bei dieser Sachlage drängt sich die vom Experten gewählte Lösung als wohl einzig vertretbare auf, nämlich die Annahme, dass die Zonengrenzen gegenüber projektierten Strassen mit deren Mitte zusammenfallen. Geht man hievon aus, so fallen gemäss Berechnung des Experten vom Grundstück des Beschwerdeführers 66,5 m2 in die Zone II, 88,5 m2 in die Zone VII und 1137 m2 in die Zone V.
public_law
nan
de
1,967
CH_BGE
CH_BGE_001
CH
Federation
7162a1fc-74f9-4bdc-a226-19324d8367f6
Urteilskopf 125 V 165 24. Arrêt du 21 avril 1999 dans la cause Office fédéral des assurances sociales contre Fondation de prévoyance X et Tribunal administratif du canton de Genève
Regeste Art. 103 lit. b OG ; Art. 4a BVV 1 : Beschwerdelegitimation. Das Bundesamt für Sozialversicherung ist nunmehr zur Verwaltungsgerichtsbeschwerde im Bereich der beruflichen Vorsorge berechtigt. Art. 37 Abs. 3, Art. 73 BVG ; Art. 5 Abs. 2 und 3 FZG : Zustimmung des Ehegatten zur Ausrichtung einer Kapitalabfindung. - Frage offen gelassen, ob ein Versicherter, der anstelle einer Rente die Auszahlung einer Kapitalabfindung verlangt, dazu in analoger Anwendung von Art. 5 Abs. 2 FZG einer schriftlichen Zustimmung seines Ehegatten bedarf; ebenso unbeantwortet gelassen, was unter "Gericht" im Sinne von Art. 5 Abs. 3 FZG zu verstehen ist. - Der Entscheid darüber, ob eine Vorsorgeeinrichtung die Auszahlung einer Kapitalabfindung anstelle einer Rente von der Zustimmung des Ehegatten abhängig machen darf, fällt in casu in die Zuständigkeit des durch Art. 73 BVG bestimmten Richters. Ergibt sich, dass diese Zustimmung zwar nötig, deren Beibringung jedoch nicht möglich ist, hat dieselbe Instanz (und nicht der Zivilrichter) darüber zu befinden, ob in einer konkreten Situation von der Erfüllung dieses Erfordernisses abgesehen werden kann.
Sachverhalt ab Seite 166 BGE 125 V 165 S. 166 A.- N., née en 1936, a été affiliée à la Fondation de prévoyance X (ci-après: la fondation). Dans le courant de l'année 1995, elle a informé la fondation qu'elle désirait recevoir, au moment de l'ouverture de son droit à des prestations de vieillesse, une prestation en capital en lieu et place BGE 125 V 165 S. 167 d'une rente. La fondation en a pris acte par lettre du 20 novembre 1995. Par lettre du 23 février 1998, la fondation a exigé de l'assurée qu'elle requiert le consentement de son conjoint pour le versement de cette prestation en capital. B.- Par écriture du 7 mai 1998, N. a saisi le Tribunal administratif du canton de Genève d'une action tendant à l'obtention d'une dispense du consentement de son mari pour le versement de son capital de prévoyance. Elle a fait valoir qu'elle était séparée de son mari depuis 20 ans, qu'elle ne connaissait pas le domicile de celui-ci et qu'elle se trouvait donc dans l'impossibilité d'obtenir le consentement requis. Par jugement du 26 mai 1998, le Tribunal administratif a décliné sa compétence et il a déclaré la demande irrecevable. Il a considéré, en bref, que l'assurée devait en appeler au juge civil, en l'occurrence le Tribunal de première instance du canton de Genève, pour obtenir une dispense du consentement du mari permettant d'autoriser la fondation à verser la prestation en capital. C.- L'Office fédéral des assurances sociales (OFAS) interjette un recours de droit administratif en concluant à l'annulation de ce jugement et au renvoi de la cause à l'autorité cantonale pour qu'elle statue sur la demande de l'assurée. La fondation s'en remet à justice. N. conclut pour sa part à l'admission du recours. Erwägungen Considérant en droit: 1. Le Tribunal fédéral des assurances examine d'office la recevabilité des recours qui lui sont soumis ( ATF 124 V 298 consid. 1). Selon l'art. 103 let. b en liaison avec l' art. 132 OJ , a qualité pour recourir le département compétent ou, lorsque le droit fédéral le prévoit, la division compétente de l'administration fédérale, s'il s'agit de décisions émanant de commissions fédérales de recours ou d'arbitrage ou de décisions prises en dernière instance cantonale ou rendues par un organisme visé à l' art. 98 let . h OJ. Jusqu'au 31 décembre 1993, aucune disposition du droit fédéral n'autorisait l'OFAS, en tant que division compétente de l'administration fédérale, à recourir en application de l' art. 103 let. b OJ contre des jugements cantonaux en matière de prévoyance professionnelle. Cette qualité pour agir ne pouvait pas se déduire, par ailleurs, de l' art. 103 let. a OJ , car le seul intérêt à une application correcte et uniforme du droit de la prévoyance professionnelle ne représente pas un intérêt digne de protection au sens de BGE 125 V 165 S. 168 cette disposition. Aussi bien le droit de recours de l'autorité fédérale prévu par l' art. 103 let. b OJ était-il alors reconnu, en matière de prévoyance professionnelle, au Département fédéral de l'intérieur (voir ATF 114 V 242 consid. 3; cf. aussi ATF 124 V 296 ). Cette situation procédurale a toutefois été modifiée avec l'entrée en vigueur, le 1er janvier 1994, de l' art. 4a OPP 1 , introduit par le chiffre I de l'ordonnance du 18 août 1993 sur la surveillance et l'enregistrement des institutions de prévoyance professionnelle (RO 1993 2475). D'après l'alinéa 2 de cette disposition, l'OFAS est habilité à porter devant le Tribunal fédéral des assurances les décisions des tribunaux cantonaux ( art. 73 LPP ) et devant le Tribunal fédéral les décisions de la commission fédérale de recours ( art. 74 LPP ) par un recours de droit administratif. Il en résulte que l'OFAS a qualité pour former le présent recours de droit administratif. 2. Selon l' art. 73 al. 1 LPP , chaque canton désigne un tribunal qui connaît, en dernière instance cantonale, des contestations opposant institutions de prévoyance, employeurs et ayants droit; le tribunal statue de même sur les prétentions en matière de responsabilité selon l' art. 52 LPP et sur le droit de recours selon l' art. 56a al. 1 LPP . Dans le canton de Genève, ces litiges ressortissent au tribunal administratif, comme juridiction cantonale unique et qui fonctionne en qualité de tribunal des assurances ( art. 8A let . c de la loi sur le Tribunal administratif et le Tribunal des conflits du 29 mai 1970 [RS GE E 5 05]). Les autorités visées par l' art. 73 LPP sont compétentes, ratione materiae, pour trancher des contestations qui portent sur des questions spécifiques de la prévoyance professionnelle, au sens étroit ou au sens large. Hormis les procès en matière de responsabilité et de droit de recours, ce sont donc principalement des litiges qui portent sur des prestations d'assurance, des prestations d'entrée ou de sortie et des cotisations. En revanche, les voies de droit de l' art. 73 LPP ne sont pas ouvertes lorsque la contestation a un fondement juridique autre que le droit de la prévoyance professionnelle, même si elle devait avoir des effets relevant du droit de ladite prévoyance ( ATF 122 V 323 consid. 2b, ATF 122 III 59 consid. 2a). Par ailleurs, cette compétence est aussi limitée par le fait que la loi désigne les parties pouvant être liées à une contestation, notamment les institutions de prévoyance et les ayants droit ( ATF 122 V 323 consid. 2b et les références). BGE 125 V 165 S. 169 3. a) Dans le cas particulier, le litige, en première instance, opposait indiscutablement un ayant droit à une institution de prévoyance. Selon l' art. 37 al. 3 LPP , l'ayant droit peut exiger une prestation en capital au lieu de la rente de vieillesse, de veuve ou d'invalidité, lorsque les dispositions réglementaires de l'institution de prévoyance le prévoient, ce qui est le cas en l'espèce. En effet, selon l'art. 8 du règlement de la fondation (édition 1995), les hommes qui ont accompli leur 65ème année et les femmes qui ont accompli leur 62ème année ont droit (sous réserve des art. 12 et 13), à leur choix, soit à une rente de vieillesse, au compte avoir de vieillesse ou à une combinaison entre rente de vieillesse et avoir de vieillesse. La fondation a invoqué, par analogie, l'art. 5 al. 2 de la loi fédérale sur le libre passage dans la prévoyance professionnelle vieillesse, survivants et invalidité (Loi sur le libre passage; LFLP). Selon cette disposition, si l'assuré est marié, le paiement en espèces de la prestation de sortie ne peut intervenir qu'avec le consentement écrit de son conjoint. Les premiers juges, quant à eux, se sont déclarés incompétents en se fondant sur l'alinéa 3 de la même disposition, d'après lequel l'assuré peut en appeler au tribunal s'il n'est pas possible de recueillir ce consentement ou si le conjoint le refuse sans motif légitime. L'autorité cantonale, implicitement, considère que cette disposition est aussi applicable en l'espèce et que, par tribunal, il faut entendre la juridiction civile ordinaire. b) La LFLP ne précise pas ce qu'il faut entendre par tribunal au sens de l' art. 5 al. 3 LFLP . La jurisprudence fédérale, à ce jour, n'a pas encore eu l'occasion de se prononcer sur ce point. A cet égard, on peut concevoir qu'il s'agisse de la juridiction normalement compétente pour connaître des contestations visées par l' art. 73 LPP (auquel renvoie l' art 25 LFLP ) ou le juge civil, spécialement le juge compétent pour prendre les mesures protectrices de l'union conjugale selon l' art. 180 CC (voir à ce sujet THOMAS GEISER, Freizügigkeitsgesetz, in: RJB 1995/131, p. 187). Il n'est toutefois pas nécessaire, en l'espèce, de trancher ce problème de compétence relativement à l' art. 5 al. 3 LFLP . En effet, il ne s'agit pas, dans le cas particulier, d'une contestation touchant au remboursement en espèces d'une prestation de sortie dans l'une des trois hypothèses envisagées par l' art. 5 al. 1 LFLP (l'assuré quitte définitivement la Suisse ou s'établit à son propre compte; la prestation de sortie est inférieure au BGE 125 V 165 S. 170 montant annuel des cotisations de l'assuré). L' art. 5 LFLP n'est donc pas applicable en l'espèce. Le litige porte, on l'a vu, sur le droit de l'assurée de recevoir, au titre de prestations de vieillesse, une prestation en capital en lieu et place d'une rente. Pour cette éventualité, ni la loi ni le règlement de la fondation n'exigent le consentement du conjoint de l'assuré. L'autorité cantonale aurait donc dû examiner, en premier lieu, si la fondation, malgré l'absence de base légale et réglementaire, était en droit, par une application analogique de l' art. 5 al. 2 LFLP (éventuellement aussi pour d'autres motifs) de subordonner le versement d'un montant en capital au consentement du conjoint de l'affiliée. C'est en fait la question principale que soulève le présent litige au fond. Ainsi posée, elle relève incontestablement du droit de la prévoyance professionnelle au sens de la jurisprudence précitée et il appartenait donc au tribunal administratif de la trancher. Il n'est pas concevable, en effet, d'en appeler au juge civil pour obtenir une dispense du consentement de l'époux, alors que la nécessité de ce consentement n'est pas tirée au clair sous l'angle de la prévoyance professionnelle. c) Dans ces conditions, il convient d'annuler le jugement attaqué et de renvoyer la cause à l'autorité cantonale pour qu'elle procède à cet examen et rende un nouveau jugement. Si elle parvient à la conclusion que l'autorisation du mari est nécessaire dans ce cas, il lui appartiendra de se prononcer aussi sur la dispense sollicitée par l'assurée. En effet, même si l'on admettait que la dispense du consentement du conjoint au versement d'une prestation en capital, prise isolément, relève de la compétence du juge civil, il faudrait de toute façon considérer que l'autorité désignée par l' art. 73 al. 1 LPP est habilitée à trancher la question à titre préjudiciel quand le litige soulève principalement, comme en l'espèce, un problème spécifique de la prévoyance professionnelle (voir, à propos de l'examen par le juge des assurances sociales de questions préjudicielles: MEYER-BLASER, Résiliation abusive du contrat de travail, nouvelles règles du code des obligations en la matière et incidences de ces dernières dans le domaine de l'assurance sociale, en particulier sur le maintien de la couverture d'assurance et le droit aux prestations, in: Droit du travail et droit des assurances sociales, Questions choisies, colloque de Lausanne [IRAL] 1994, p. 187 sv; THOMAS GEISER, Das EVG als heimliches Familiengericht?, in: Mélanges pour le 75e anniversaire du TFA, p. 353 ss; cf. aussi GRISEL, Traité de droit administratif, p. 187 ss). A cela s'ajoutent des considérations tirées de l'économie de la procédure. Il serait en effet disproportionné d'imposer en BGE 125 V 165 S. 171 l'occurrence à l'assurée de mener successivement deux procédures pour faire valoir sa prétention. 4. (Frais et dépens)
null
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CH_BGE_007
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Federation
7162e41a-39aa-48d7-bb0e-eb0ba73c0286
Urteilskopf 99 IV 45 10. Auszug aus dem Entscheid der Anklagekammer vom 25. Januar 1973 i.S. X. und Y. gegen Staatsanwaltschaft und Direktion der Justiz des Kantons Zürich.
Regeste Art. 264 BStP und 351 StGB. Bestimmung des Gerichtsstandes. 1. Legitimation des Antragstellers und des Anzeigers zur Anrufung der Anklagekammer bei Gerichtsstandskonflikten (Erw. 1 und 2). 2. Bei strafbaren Handlungen, die der Bundesgerichtsbarkeit unterstehen, ist ein interkantonaler Konflikt über den Gerichtsstand zum vorneherein ausgeschlossen (Erw. 3). 3. Die Anklagekammer kann nicht angerufen werden, wenn ein Kanton die Strafverfolgung aus Gründen ablehnt, die ausserhalb der Bestimmungen über den interkantonalen Gerichtsstand liegen (Erw. 4 und 5).
Sachverhalt ab Seite 46 BGE 99 IV 45 S. 46 A.- Am 26. Februar 1972 beantragten X. und Y. sowie vier weitere Personen der Staatsanwaltschaft des Kantons Zürich die Durchführung einer Strafuntersuchung gegen Georges Habbash und unbekannte Teilnehmer wegen Freiheitsberaubung, Drohung, Nötigung, Raubes (eventuell Diebstahls), Sachbeschädigung und Aussetzung. Sie beriefen sich auf eine Strafanzeige, die ihr Vertreter im November 1970 im Namen eines Journalisten gegen die gleichen Beschuldigten eingereicht hatte und auf die hin die erwähnte Behörde die Strafuntersuchung, "soweit sie zuständigkeitshalber anhandgenommen werden konnte, einstweilen eingestellt hatte". Sie machten im wesentlichen geltend, sie hätten sich im Swissair-Flugzeug befunden, das am 6. September 1970 von Helfern des Habbash nach dem jordanischen Flugplatz Zerka entführt wurde. Nach der Entführung habe die Organisation des Habbash den eidgenössischen Behörden gedroht, das Flugzeug samt Insassen zu sprengen, wenn die vom Geschworenengericht des Kantons Zürich wegen Attentates gegen eine El Al-Maschine verurteilten drei Angehörigen der "Volksfront zur Befreiung Palästinas" nicht sofort freigelassen würden. Die gleiche Organisation habe aus dem Flugzeug unter Drohungen drei Millionen Schweizerfranken geraubt. Jordanische Truppen hätten die Geiseln befreit. Das entführte Flugzeug sei dagegen von den Beschuldigten samt der Ladung durch Sprengstoff zerstört worden. Die Staatsanwaltschaft des Kantons Zürich wies am 23. März 1972 "die in der Eingabe vom 26. Februar 1972 gestellten Begehren ab". Sie führte aus, die noch über schweizerischem Gebiet begangene Nötigung und Bedrohung der Besatzung zum Flug nach Zerka unterständen gemäss Art. 98 Abs. 1 des Luftfahrtgesetzes der Bundesgerichtsbarkeit. Eine Delegation im Sinne von Art. 18 BStP zur Verfolgung dieser Delikte an den Kanton Zürich sei nicht erfolgt. Die zürcherischen Behörden seien daher nicht zuständig, diese strafbaren Handlungen zu verfolgen. Zur Verfolgung der Festnahme, Gefangenhaltung und grausamen Behandlung wäre gemäss Art. 5 Abs. 1 StGB schweizerische Gerichtsbarkeit insoweit gegeben, als die Geschädigten Schweizer waren, und zuständig wären nach Art. 348 Abs. 1 StGB die Behörden des Ortes, "wo der Täter BGE 99 IV 45 S. 47 betreten wurde". Da noch keiner der Täter im Kanton Zürich "betreten" wurde, fehle es an der Zuständigkeit dieses Kantons zur Verfolgung der Freiheitsberaubung und der weiteren den Beschuldigten zur Last gelegten Handlungen. Die Annahme, Funktionäre oder Angestellte der Swissair könnten eventualvorsätzlich als Gehilfen Habbashs tätig gewesen sein, sei so absurd, dass sich weitere Untersuchungshandlungen in dieser Richtung erübrigten. Am 1. April 1972 beantragten die Anzeiger der Bundesanwaltschaft, gegen die Beschuldigten ein gerichtspolizeiliches Ermittlungsverfahren einzuleiten. Die Bundesanwaltschaft teilte ihrem Vertreter am 30. November 1972 mit, ein solches Verfahren sei eröffnet worden, habe aber noch nicht abgeschlossen werden können. Eine Delegation des Falles an die Strafverfolgungsbehörden des Kantons Zürich komme zur Zeit nicht in Frage, da nicht ausgeschlossen werden könne, dass ein Bundesstrafverfahren durchzuführen sei. B.- Die sechs Anzeiger fochten die Verfügung der Staatsanwaltschaft des Kantons Zürich vom 23. März 1972 bei der Direktion der Justiz an. Hinsichtlich jener Handlungen, die der Bundesgerichtsbarkeit unterständen, beantragten sie Anhandnahme und Sistierung einer kantonalen Strafuntersuchung, bis über die Eingabe an die Bundesanwaltschaft vom 1. April entschieden sei. Hinsichtlich der übrigen Handlungen stellten sie den Antrag auf Anhandnahme einer Strafuntersuchung, "soweit Täter oder Gehilfe mit Begehungsort im Kanton Zürich in Frage stehen". Die Direktion der Justiz des Kantons Zürich wies am 13. November 1972 den Rekurs der sechs Anzeiger ab, soweit sie darauf eintrat. C.- X. und Y. wenden sich mit einer Eingabe vom 2./4. Januar 1973 an die Anklagekammer des Bundesgerichtes. Sie beantragen ihr, den Kanton Zürich "für die in der Begründung beschriebenen Straftaten berechtigt und verpflichtet zu erklären, eine Strafuntersuchung und Beurteilung durchzuführen". Erwägungen Die Anklagekammer zieht in Erwägung: 1. Wenn eine Tat nur auf Antrag strafbar ist, kann der Antragsteller die Anklagekammer nicht nur in Fällen negativer oder positiver Gerichtsstandskonflikte anrufen, sondern auch BGE 99 IV 45 S. 48 dann, wenn ein Konflikt nur virtuell besteht ( BGE 92 IV 157 Erw. 1). Die Gesuchsteller legen den Beschuldigten keine Antragsdelikte zur Last. Sie behaupten gegenteils, alle strafbaren Handlungen seien von Amtes wegen zu verfolgen. Als Antragsdelikt käme allenfalls das von den Gesuchstellern als Sachbeschädigung bezeichnete in Frage, nämlich wenn es unter Art. 145 Abs. 1 StGB fiele, was aber offensichtlich nicht zutrifft, da die Zerstörung des Flugzeuges mit Sprengstoffen Art. 224 oder 225 StGB untersteht und sich übrigens auch die Frage der Verursachung grossen Schadens aus gemeiner Gesinnung im Sinne des Art. 145 Abs. 2 StGB stellen würde. Die Gesuchsteller vermögen daher die Legitimation zur Anrufung der Anklagekammer nicht aus dem erwähnten Präjudiz abzuleiten und stützen sich übrigens auch nicht auf dasselbe. 2. Den Anzeigern strafbarer Handlungen, die von Amtes wegen zu verfolgen sind, hat die Anklagekammer bisher die Legitimation nur in Fällen negativer Gerichtsstandskonflikte zuerkannt ( BGE 71 IV 58 , BGE 73 IV 62 Erw. 1, BGE 78 IV 248 Erw. 1, BGE 86 IV 134 Erw. 1b). Solche Konflikte können sie der Anklagekammer unterbreiten, damit nicht wegen der (pflichtwidrigen) Unterlassung der Kantone, ihrerseits das Bundesgericht anzurufen ( Art. 264 BStP ; Art. 351 StGB ), die Strafverfolgung unterbleibe. Dieser Grund trifft auch zu, wenn nur ein einziger Kanton zur interkantonalen Gerichtsstandsfrage Stellung nimmt und seine Zuständigkeit verneint. Der Anzeiger kann sich daher auch in einem solchen Falle an die Anklagekammer wenden. Es wäre ein unnötiger, sinnloser und die Strafverfolgung verzögernder Umweg, wenn er zuerst einen anderen Kanton - den er nicht für zuständig hält - angehen müsste, um einen negativen Gerichtsstandskonflikt herbeizuführen. 3. Für die an Bord des Luftfahrzeuges begangenen strafbaren Handlungen verneint die Direktion der Justiz die Verpflichtung der zürcherischen Behörden zur Strafverfolgung mit der Begründung, die Delikte unterständen der Bundesstrafgerichtsbarkeit und diese sei dem Kanton nicht übertragen worden. Diese Begründung hält stand (Art. 98 Luftfahrtgesetz, AS 1950 S. 491). Sie trifft auch für die Sprengstoffdelikte der Art. 224-226 StGB zu, selbst soweit sie nicht an Bord des Luftfahrzeuges verübt wurden ( Art. 340 Ziff. 1 Abs. 2 StGB ). Insoweit liegt ein interkantonaler Gerichtsstandskonflikt, selbst BGE 99 IV 45 S. 49 ein bloss virtueller, nicht vor. Er wird auch nicht vorliegen, wenn das Eidgenössische Justiz- und Polizeidepartement die Bundesstrafgerichtsbarkeit einem Kanton übertragen sollte, denn der Delegationsbeschluss würde den zuständigen Kanton verbindlich bezeichnen ( BGE 69 IV 33 , BGE 71 IV 153 Erw. 1, BGE 97 IV 257 ; Geschäftsbericht des Bundesrates, 1943 S. 213/14, 1945 S. 243, 1948 S. 192). 4. Für die nicht der Bundesstrafgerichtsbarkeit unterstehenden, aber ausserhalb der Schweiz gegen Schweizer ausgeführten strafbaren Handlungen verneint die Direktion der Justiz die Zuständigkeit der zürcherischen Behörden, weil keiner der Täter im Sinne des Art. 348 Abs. 1 StGB im Kanton Zürich "betreten" worden sei und die Behörden dieses Kantons mangels eines Entscheides des Eidgenössischen Justiz- und Polizeidepartements im Sinne von Art. 344 Ziff. 1 StGB auch kein Auslieferungsverfahren einzuleiten hätten. Dass einer der Täter in einem anderen Kanton "betreten" worden und daher ein anderer Kanton zuständig sei, führt die Direktion der Justiz nicht aus und behaupten auch die Gesuchsteller nicht. Der angefochtene Entscheid verneint also die Pflicht der zürcherischen Behörden, sich mit der Sache zu befassen, trotz der Bezugnahme auf Art. 348 StGB nicht aus Gründen des interkantonalen Gerichtsstandes, sondern ausschliesslich deshalb, weil die Voraussetzungen der Strafverfolgung mangels "Betretens" eines Täters (Aufenthaltes in der Schweiz; Art. 5 StGB ) und die Voraussetzungen der Einleitung eines Auslieferungsverfahrens mangels eines Entscheides der Bundesbehörde im Sinne des Art. 344 Ziff. 1 nicht erfüllt seien. Ob diese Begründungen standhalten, hat die Anklagekammer nicht zu entscheiden. Sie ist nicht Aufsichtsbehörde über die kantonalen Strafverfolgungsorgane, sondern hat - in streitigen Fällen - nur den interkantonalen Gerichtsstand zu bezeichnen. Ein Streit über diesen, sei es auch bloss virtuell, liegt nicht vor. Die Gesuchsteller machen denn auch nicht geltend, die Direktion der Justiz habe den Begriff des "Betretens eines Täters im Kanton Zürich" unrichtig ausgelegt. Sie bringen vor, unter dem Gesichtspunkt des Art. 5 StGB sei der Strafanspruch der Schweiz entstanden und wenn für die Verfolgung ein schweizerischer Kanton zuständig sei, könne es nur der Kanton Zürich sein, weil hier die Verbrechensserie begonnen habe usw. Sie wollen den Kanton Zürich zur Aufnahme einer Strafverfolgung BGE 99 IV 45 S. 50 verhalten, die dieser vorläufig aus Gründen ablehnt, die ausserhalb der Bestimmungen über den interkantonalen Gerichtsstand liegen. Sie berufen sich auf die in BGE 82 IV 69 Erw. 3 ausgedrückte Auffassung des Kassationshofes. Doch kann diesem Urteil nur entnommen werden, dass man für Handlungen, die materiell dem schweizerischen Recht unterstehen, in der Schweiz auch die Strafverfolgung muss einleiten können. Dass die Anklagekammer diese anzuordnen habe, wenn die kantonalen Behörden sie ablehnen, ist damit nicht entschieden. Den Gesuchstellern hilft auch nicht die Behauptung, verschiedene von den Tätern erzielte Erfolge (Raub von drei Millionen Schweizerfranken und Sachbeschädigung, beides zum Nachteil in der Schweiz niedergelassener Firmen; Nötigung des Regierungsrates des Kantons Zürich zur Freilassung von Attentätern) seien in der Schweiz eingetreten. Damit gehen sie nur daraufaus, die Anwendbarkeit schweizerischen Strafrechts und die Verpflichtung schweizerischer Behörden zur Aufnahme der Strafverfolgung aus Art. 3 Ziff. 1 Abs. 1 in Verbindung mit Art. 7 StGB abzuleiten. Der Streit wird dadurch nicht zu einem solchen über den interkantonalen Gerichtsstand. 5. Die Verfolgung der für die Swissair tätigen angeblichen Teilnehmer wird von der Direktion der Justiz abgelehnt, weil ein Entscheid im Sinne von Art. 344 Ziff. 1 StGB noch nicht ergangen sei und übrigens Anhaltspunkte für ein vorsätzliches oder eventualvorsätzliches Handeln fehlten. Beide Begründungen liegen ausserhalb der Bestimmungen über den interkantonalen Gerichtsstand. Die Anklagekammer ist daher nicht zuständig, sie zu überprüfen. Die Gesuchsteller befassen sich denn auch mit ihnen nicht. Dispositiv Demnach erkennt die Anklagekammer: Auf das Gesuch wird nicht eingetreten.
null
nan
de
1,973
CH_BGE
CH_BGE_006
CH
Federation
71630401-ffc6-479c-9ffb-4605897cda6f
Urteilskopf 105 Ia 223 45. Urteil der I. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 24. Oktober 1979 i.S. Müller gegen Regierungsrat des Kantons Zürich (staatsrechtliche Beschwerde)
Regeste Planungszonen gemäss § 346 des zürcherischen Planungs- und Baugesetzes. - Öffentliches Interesse an einer Planungszone; Sinn und Zweck der Planungszonen, welche die Durchführung einer Richtplanung (des kantonalen Gesamtplanes) sichern (E. 2 a-d). - Inwiefern können die durch die Planungszonen bewirkten Eingriffe angefochten werden, inwiefern ist zuzuwarten bis die Nutzungsplanung vorliegt? Rechtsschutz unter dem neuen RPG (E. 2 d, e).
Sachverhalt ab Seite 224 BGE 105 Ia 223 S. 224 Josef Müller ist Eigentümer zweier Grundstücke im Gebiet Sonnenberg der Gemeinde Erlenbach (ZH). Diese 36'667 m2 messenden und am oberen Bauzonenrand der Gemeinde Erlenbach liegenden Grundstücke sollen sich "durch die sonnige, erhöhte und ruhige Lage mit der unverbaubaren prächtigen Aussicht auf Zürichsee und Alpen" auszeichnen. Das eine Grundstück grenzt an die dem Kanton Zürich gehörende Pflugsteinstrasse, die 4,50 m bis 5,50 m breit und mit einer bis etwa 20 m an dieses Grundstück heranreichenden Kanalisation versehen ist. Beide Grundstücke werden ferner vom Fronacherweg begrenzt, der 3,80 m bis 4,00 m breit ist und der eine Entwässerungsrinne aufweist. Am 10. Juli 1978 setzte der zürcherische Kantonsrat gestützt auf § 29 des Gesetzes vom 7. September 1975 über die Raumplanung und das öffentliche Baurecht (Planungs- und Baugesetz, PBG) den kantonalen Gesamtplan ( § § 20 und 28 PBG ) fest, wobei er auch über die nicht berücksichtigten Einwendungen gesamthaft Beschluss fasste. Gemäss dem Siedlungsplan ( § § 21 und 22 PBG ), der als Teilrichtplan Bestandteil des BGE 105 Ia 223 S. 225 Gesamtplanes bildet ( § 20 PBG ), befinden sich Müllers Grundstücke zum Teil im Bauentwicklungsgebiet ( § 21 Abs. 3 PBG ) und zum Teil im sogenannten Anordnungsspielraum, d.h. im Grenzbereich zwischen Siedlungs- und Nichtsiedlungsgebiet, in dem anlässlich der im Rahmen der Ortsplanung durchzuführenden Nutzungsplanung die Grenze zwischen der Bauzone und der Fläche, die voraussichtlich erst in einem späteren Zeitpunkt für die Besiedlung eingezont werden kann, parzellenscharf festzulegen ist. Die Einwendungen, mit denen beantragt wurde, unter anderem das Gebiet Sonnenberg statt dem Bauentwicklungsgebiet dem Siedlungsgebiet zuzuteilen, wurden abgewiesen, da die Grunderschliessung fehle. Auf Gesuch des Gemeinderates Erlenbach setzte die Direktion der öffentlichen Bauten des Kantons Zürich, über die Gebiete Stalden-Sonnenberg, Bergli und Allmend Planungszonen gemäss § 346 PBG fest. Ein hiegegen erhobener Rekurs wies der Regierungsrat des Kantons Zürich am 6. Dezember 1978 ab. Gegen den regierungsrätlichen Beschluss führt Müller staatsrechtliche Beschwerde wegen Verletzung von Art. 22ter BV und Art. 4 BV . Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Als Eigentümer von durch die umstrittene Planungszone erfassten Grundstücken ist der Beschwerdeführer durch die behauptete Verletzung von Art. 4 und 22ter BV im Sinne von Art. 88 OG persönlich betroffen. Nach § 332 lit. a PBG entscheidet der Regierungsrat als einzige Instanz über die Pflicht der Baudirektion zur Festsetzung von Planungszonen. Beim angefochtenen Beschluss handelt es sich somit um einen letztinstanzlichen kantonalen Entscheid ( Art. 86 Abs. 2 OG ). Auf die Beschwerde ist daher einzutreten. 2. a) § 346 PBG findet sich in den Einführungs- und Schlussbestimmungen des Gesetztes und lautet wie folgt: "Bis zum Erlass oder während der Revision von Gesamtrichtplänen oder Nutzungsplänen können für genau bezeichnete Gebiete Planungszonen festgesetzt werden, innerhalb deren keine baulichen Veränderungen oder sonstigen Vorkehren getroffen werden dürfen, die der im Gange befindlichen Planung widersprechen. BGE 105 Ia 223 S. 226 Für die Festsetzung von Planungszonen ist der Staat zuständig. Er hat begründeten Festsetzungsbegehren untergeordneter Planungsträger zu entsprechen. Die Planungszonen dürfen für längstens fünf Jahre festgesetzt werden. Soweit nötig, kann die Frist um drei Jahre verlängert werden." Aus dieser Vorschrift geht hervor, dass die Planungszone für ein Zwischenstadium im Rahmen des Raumplanungsverfahrens festgesetzt werden kann. Sie führt zu einer öffentlichrechtlichen Eigentumsbeschränkung, die zur Folge hat, dass während der Dauer ihres Bestehens keine baulichen Veränderungen oder sonstigen Vorkehren getroffen werden dürfen, die der im Gange befindlichen Planung widersprechen. Derartige Eigentumsbeschränkungen sind mit der in Art. 22ter BV festgelegten Eigentumsgarantie vereinbar, sofern sie auf gesetzlicher Grundlage beruhen und im öffentlichen Interesse liegen. Kommen sie einer Enteignung gleich, so ist volle Entschädigung zu leisten ( BGE 104 Ia 337 E. 2, BGE 103 Ia 251 E. 2a, BGE 101 Ia 218 E. 4 mit Hinweisen). Weder bestreitet der Beschwerdeführer das Bestehen einer gesetzlichen Grundlage, noch ist zu beurteilen, ob eine enteignungsähnliche Wirkung vorliege und daher Entschädigung zu leisten sei. Umstritten ist einzig die Frage, ob ein hinreichendes öffentliches Interesse gegeben sei. Soweit der Beschwerdeführer in diesem Zusammenhang dem Regierungsrat Willkür und einen Verstoss gegen Rechtssicherheit und Billigkeit ( § 9 Abs. 2 PBG ) vorwirft, weil er es unterlassen habe, das Vertrauen des Beschwerdeführers in die geltende Zonenordnung und sein äusserst gewichtiges Interesse an deren Rechtsbeständigkeit zu schützen, kommt den Vorbringen keine selbständige Bedeutung zu. Der Beschwerdeführer macht nicht geltend, es liege ein besonderer, von seinem allgemeinen Vertrauen in die Beständigkeit des geltenden Rechts unabhängiger Vertrauensschutztatbestand vor. b) Ob eine Eigentumsbeschränkung im öffentlichen Interesse liegt und ob dieses das entgegenstehende private Interesse überwiegt, prüft das Bundesgericht grundsätzlich frei. Dabei auferlegt es sich jedoch Zurückhaltung, soweit die Beurteilung von einer Würdigung der örtlichen Verhältnisse abhängt, welche die kantonalen Behörden besser kennen und überblicken als das Bundesgericht, und soweit sich ausgesprochene Ermessensfragen stellen ( BGE 104 Ia 126 E. 2a, 103 Ia 252 E. 2a mit BGE 105 Ia 223 S. 227 Hinweisen). Letzteres trifft namentlich für die Schaffung und Abgrenzung der Bauzonen zu ( BGE 103 Ia 252 E. 2a). In noch ausgeprägterem Masse geht es bei der Festsetzung befristeter Planungszonen, mit denen lediglich eine im Gange befindliche Planung gesichert werden soll, um Ermessensausübung. Auch aus dem Wortlaut von § 346 PBG , wonach bis zum Erlass oder während der Revision von Gesamtrichtplänen oder Nutzungsplänen für genau bezeichnete Gebiete Planungszonen festgesetzt werden können, ergibt sich, dass die zuständigen Behörden im Rahmen pflichtgemässen Ermessens zu entscheiden haben. c) Sichern Planungszonen die Durchführung einer Richtplanung, so ist ausserdem zu beachten, dass die Planungen der Planungsträger unterer Stufe an diejenigen der übergeordneten Planungsträger gebunden sind und dass die Nutzungsplanungen jeder Art und Stufe der Richtplanung zu entsprechen haben ( § 16 PBG ; vgl. auch BGE 104 Ia 46 E. 2c). Die für die unteren Planungsträger verbindlichen Richtpläne treffen jedoch keine parzellenscharfen, für die Grundeigentümer massgebenden Festsetzungen. Auch binden sie die kommunalen Behörden nicht in solcher Weise, dass die Nutzungsplanung nur noch als formeller Vollzug einer von den kantonalen Organen im wesentlichen bereits festgelegten Anordnung erscheinen würde (vgl. BGE 102 Ia 187 ). Die aus den Teilrichtplänen bestehenden Gesamtpläne haben vielmehr nur einen solchen Genauigkeitsgrad aufzuweisen, der ohne Verletzung der Planungspflicht den untergeordneten Planungsträgern bezüglich der Nutzungsplanungen möglichst grosse Entscheidungsfreiheit gewährt (§ 6 der Verordnung des Regierungsrats des Kantons Zürich vom 8. Dezember 1976 über die einheitliche Darstellung der Richtplanungen). So wird denn auch im Bericht des Kantonsrates zum kantonalen Gesamtplan (Beschluss vom 10. Juli 1978) ausgeführt, dass die Richtplanung in groben Zügen die für das erfasste Gebiet auf eine langfristige Entwicklung abgestimmten Planungsmassnahmen wiederzugeben habe. Sie lege nicht abschliessend fest, wo und auf welche Weise gebaut werden dürfe. Die genauen Grenzen der vorgesehenen Siedlungs- und Schutzzonen würden erst in der anschliessenden Nutzungsplanung verdeutlicht. Diese Zweckbestimmung und Natur der Richtplanung im zürcherischen Recht deckt sich mit den im neueren kantonalen BGE 105 Ia 223 S. 228 Recht allgemein üblichen, wenn auch in der Terminologie nicht einheitlichen und im Ausmass der Normierung unterschiedlichen Regelungen (vgl. Dokumentation zur überörtlichen Richtplanung in der Schweiz, in: Studienunterlagen zur Orts-, Regional- und Landesplanung Nr. 39, herausgegeben vom Institut für Orts-, Regional- und Landesplanung der ETHZ). Sie liegt auch dem noch nicht in Kraft stehenden Bundesgesetz über die Raumplanung vom 22. Juni 1979 zugrunde (RPG, Art. 6 ff.; BBl 1979 II 368). Nach diesem soll der die gesetzlichen Planungsgrundsätze (Art. 3) beachtende Richtplan als Instrument des koordinativen Raumplanungsrechts (vgl. hiezu: LENDI, Planungsrecht und Eigentum, in: ZSR 95/1976 II S. 95 ff.) die Behörden der verschiedenen Ebenen binden, um sicherzustellen, dass die raumwirksamen Tätigkeiten aufeinander abgestimmt werden (Art. 1 Abs. 1, Art. 2 Abs. 1, Art. 6 Abs. 3, Art. 7, Art. 8 Abs. 1 lit. a und Art. 9 RPG ). Aus der dargelegten Zweckbestimmung des Richtplanes ergibt sich das öffentliche Interesse, in dessen Dienst eine Planungszone steht, welche die Durchführung der Richtplanung zu sichern hat. Wenn im angefochtenen Entscheid festgehalten wird, dieses Interesse liege in der Wahrung der Planungsfreiheit, so bedarf diese Aussage in dem Sinne einer Verdeutlichung, dass der den untergeordneten Planungsträgern zu belassende Ermessensspielraum der Erfüllung der Planungspflicht dient, wie dies auch das neue eidgenössische RPG in Art. 2 klar zum Ausdruck bringt, und dass daher bei der Ausübung dieses Ermessens der Grundsatz der Verbindlichkeit der Planungen zu beachten ist. Die Planungszone soll damit die verfassungsmässige Zielsetzung der Raumplanung durchsetzen helfen, die darin besteht, eine zweckmässige Nutzung des Bodens und geordnete Besiedlung des Landes sicherzustellen ( Art. 22quater BV ). Dem öffentlichen Interesse, dass der Festsetzung einer Planungszone zugrunde liegt, kommt daher grösstes Gewicht zu. d) Wird geltend gemacht, eine Planungszone zur Sicherung der Durchführung der Richtplanung liege nicht im öffentlichen Interesse, so ist im Sinne der vorangehenden Erwägungen zu prüfen, ob die befristete Bau- und Veränderungssperre, die sie nach sich zieht, zur Wahrung der Entscheidungsfreiheit bei der Nutzungsplanung begründet erscheint. Es wird dies regelmässig dann zutreffen, wenn befürchtet werden muss, dass ohne Planungszone private Grundstücksnutzungen die Durchführung BGE 105 Ia 223 S. 229 des Richtplanes in Frage stellen oder erschweren könnten. Dadurch würde das für die Ausübung der Entscheidungsfreiheit bei der Nutzungsplanung nötige Ermessen in einer Weise eingeengt, die zu einer Verletzung des Grundsatzes der Verbindlichkeit der Planungen führen könnte. Ein ausreichendes öffentliches Interesse entfiele hingegen, wenn die Planungszone mit den Grundzügen der vom Richtplan aufgezeigten räumlichen Entwicklung nicht übereinstimmte oder wenn ihre Begrenzung in Überschreitung des den Behörden eingeräumten Ermessens in einer Weise vorgenommen worden wäre, die nicht durch den Richtplan gedeckt ist. Nicht angängig ist es, den Richtplan zusammen mit der Planungszone mittelbar oder unmittelbar anzufechten, es sei denn, es werde geltend gemacht, der Richtplan, dessen Durchführung die Planungszone sichern soll, widerspreche offensichtlich den Planungsgrundsätzen des Gesetzes, lasse sich nicht mit ernsthaften sachlichen Gründen stützen und sei daher unhaltbar. Träfe dies zu, so würde die Verwirklichung des Richtplanes von vornherein ausser Betracht fallen, weshalb auch deren Sicherung durch eine Planungszone nicht in Frage kommen könnte. Liegt eine sachgerechte, der Richtplanung entsprechende Festlegung der Planungszone vor und ist die Richtplanung selbst nicht im dargelegten Sinne unhaltbar, so ist ferner nicht zu prüfen, ob die auf Grund des Richtplanes zu erwartenden Eigentumsbeschränkungen, welche die Nutzungsplanung bringen wird, durch ein hinreichendes, die entgegenstehenden privaten Interessen überwiegendes öffentliches Interesse gedeckt sind; denn die Prüfung dieser Frage ist erst im Rahmen des Verfahrens der Nutzungsplanung möglich. Wegen der seinem Zweck entsprechenden Ungenauigkeit des Richtplanes kann erst auf Grund des Nutzungsplanes feststehen, welche Tragweite die Eigentumsbeschränkungen aufweisen werden, von denen der einzelne Grundeigentümer betroffen wird. e) Die aufgezeigte Ordnung vermag den vom neuen eidgenössischen RPG geforderten vollen Rechtsschutz sicherzustellen (Art. 33 Abs. 3). Für das zürcherische Recht sieht § 88 Abs. 2 PBG im Rahmen der Nutzungsplanung ein besonderes Planauflage- und Genehmigungsverfahren vor, in welchem die betroffenen Eigentümer ihre Rechte wahren können. Entsprechende Regelungen finden sich auch in anderen Kantonen BGE 105 Ia 223 S. 230 (vgl. hiezu: IMBODEN, Der Plan als verwaltungsrechtliches Institut, in: Staat und Recht, Basel 1971, S. 407 f.; KUTTLER, Rechtsfragen der Regional- und Ortsplanung, in: ZBl 67/1966, S. 393 ff.; KRAYENBÜHL, Participation et collaboration dans l'établissement des plans d'aménagement du territoire, in: ZBl 80/1979, S. 396 ff.; MOOR, La participation des administrés dans les procédures d'aménagement du territoire, in: ZSR 95/1976 I, S. 159 ff.). Gegen den letztinstanzlichen kantonalen Einspracheentscheid bleibt die staatsrechtliche Beschwerde an das Bundesgericht vorbehalten. Das eidgenössische RPG schreibt diese Ordnung für alle Kantone verbindlich vor, wobei es ausdrücklich eine volle Überprüfung durch wenigstens eine Beschwerdebehörde anordnet (Art. 33 und 34 Abs. 3). Es ergibt sich hieraus, dass in diesem Rechtsschutzverfahren im Rahmen der Legitimationsvoraussetzungen, die das kantonale Recht mindestens im gleichen Umfange wie für die Verwaltungsgerichtsbeschwerde an das Bundesgericht gewährleisten muss ( Art. 33 Abs. 3 lit. a RPG ), die Anordnungen der Nutzungspläne umfassend auf ihre Gesetz- und Verfassungsmässigkeit zu prüfen sind. Für die Richtplanung sieht demgegenüber § 34 PBG entsprechend der nun auch in Art. 4 Abs. 2 RPG enthaltenen Regelung nur die Mitsprache des Bürgers vor der Beschlussfassung durch die zuständige Behörde vor, nicht aber ein eigentliches Rechtsmittel. Beim Erlass des neuen RPG wurde bewusst darauf verzichtet, von Bundesrechts wegen die Möglichkeit der unmittelbaren Anfechtung der Richtpläne in einem Rechtsmittelverfahren vorzuschreiben (Botschaft des Bundesrates zum RPG, BBl 1978 I S. 1021 zu Art. 10; Bundesrat Furgler, in: Amtl. Bull. N 1979, S. 302 und 324). Der vom RPG geforderte Rechtsschutz ist daher nur gewährleistet, wenn im Rechtsmittelverfahren gegen Nutzungspläne umfassend die Rechtmässigkeit der durch sie begründeten Eigentumsbeschränkung geprüft wird, jedenfalls soweit der von den Planfestsetzungen berührte Einsprecher ein schutzwürdiges Interesse an deren Aufhebung oder Änderung hat ( Art. 33 Abs. 3 lit. a RPG in Verbindung mit Art. 103 OG ). Dabei sind auch die Anordnungen des Richtplanes zu überprüfen, sofern geltend gemacht wird, sie hätten gesetzes- oder verfassungswidrige Auswirkungen, so dass sich auch die entsprechenden Festsetzungen des Nutzungsplanes nicht halten liessen. BGE 105 Ia 223 S. 231 Dieses Ergebnis entspricht im wesentlichen der Rechtsprechung des Bundesgerichts zur Anfechtung des Ausführungsprojektes einer Nationalstrasse gemäss Art. 27 Abs. 1 NSG . Es ist nicht zu verkennen, dass zwischen dem für die Behörden verbindlichen generellen Projekt, dessen weitere Bearbeitung nötigenfalls durch Projektierungszonen zu sichern ist ( Art. 14 ff. NSG ), und dem Ausführungsprojekt, dessen Baulinien für die Eigentümer rechtsverbindlich sind ( Art. 22 ff. NSG ), ein ähnliches Verhältnis besteht wie zwischen den Richtplänen und den Nutzungsplänen. Da das generelle Projekt mit keinem Rechtsmittel angefochten werden kann, können nach der bundesgerichtlichen Rechtsprechung im Einspracheverfahren gegen das Ausführungsprojekt die betroffenen Eigentümer auch Einwendungen vorbringen, die, falls ihnen entsprochen wird, eine Änderung der generellen Linienführung nach sich ziehen. Doch hat der Betroffene stets darzutun, weshalb das Ausführungsprojekt im Bereich seines Grundstücks gegen Bundesrecht verstossen soll. Er kann sich nicht darauf beschränken, unter Berufung auf allgemeine öffentliche Interessen die generelle Linienführung als solche zu beanstanden ( BGE 99 Ib 206 E. 3 mit Hinweisen). In gleicher Weise muss sich in dem vom Raumplanungsgesetz geforderten Auflageverfahren ( Art. 33 RPG ) die zuständige kantonale Behörde auch mit Vorbringen auseinandersetzen, die zu einer Abweichung vom Richtplan führen, falls ihnen entsprochen wird. Doch hat der Einsprecher stets darzutun, warum die richtplankonforme Festsetzung des Nutzungsplanes im Bereich seines Grundstückes rechtswidrig sein soll. Dringt in einem solchen Fall der Einwand durch, so ist je nach der Regelung des kantonalen Rechts eine Änderung des Richtplanes zu veranlassen oder eine Abweichung ausnahmsweise zuzulassen, wie dies das Zürcher Planungs- und Baugesetz unter gewissen Voraussetzungen vorsieht (§ 16 Abs. 2). Sind, wie im vorliegenden Falle, lediglich Planungszonen zu beurteilen, so ergibt sich auch aus dieser Ordnung des Rechtsschutzes die Beschränkung der Überprüfung auf die Frage, ob die befristete Bau- und Veränderungssperre, die von den Planungszonen zur Sicherung der Nutzungsplanung begründet wird, gerechtfertigt ist. Der volle Rechtsschutz gegenüber den Festsetzungen des Nutzungsplanes bleibt dem entsprechenden Auflage- und Rechtsmittelverfahren vorbehalten. BGE 105 Ia 223 S. 232 3. Die Beschwerdevorbringen sind nun nach den aufgezeigten Grundsätzen zu prüfen. a) Vorerst ist festzuhalten, dass der Beschwerdeführer nicht geltend macht, die Planungszone stehe mit dem vom Kantonsrat genehmigten Gesamtplan nicht in Übereinstimmung und gehe weiter, als zur Sicherung der Durchführung dieses Planes nötig sei. Es trifft dies auch offensichtlich nicht zu. Der Vergleich des Gesamtplanes mit der Planungszone bestätigt vielmehr, dass diese im wesentlichen in dem mit dem Teilrichtplan "Siedlung" übereinstimmenden Ausmass festgelegt wurde. b) Hingegen wendet sich der Beschwerdeführer gegen die geplante Auszonung, die gemäss dem Gesamtplan im Gebiet Sonnenberg vorgesehen ist. Welche Fläche seiner Grundstücke von der allfälligen Auszonung betroffen wird, steht jedoch nicht fest, da der Richtplan keine parzellenscharfen Anordnungen trifft und sich die Grundstücke des Beschwerdeführers ausserdem im Bereich des sogenannten Anordnungsspielraumes befinden, in welchem der Gemeinde ein verhältnismässig grosser Entscheidungsspielraum verbleibt, um die endgültige Grenze zwischen Bauzone und Bauentwicklungsgebiet festzulegen (Bericht zum kantonalen Gesamtplan; § 6 lit. a der Verordnung des Regierungsrates vom 8. Dezember 1976 über die einheitliche Darstellung der Richtplanungen). Ob die rechtsverbindliche Grenzziehung durch ein hinreichendes, die entgegenstehenden privaten Interessen überwiegendes öffentliches Interesse gedeckt sein wird, ist erst im Rahmen des Verfahrens für die Festsetzung des Nutzungsplanes zu prüfen. Erst in diesem Verfahren ergehen die Entscheide der zuständigen kantonalen Behörden, die Voraussetzung für die Anrufung des Bundesgerichts mit staatsrechtlicher Beschwerde bilden ( Art. 86 Abs. 2 OG ). c) Auf die Beschwerde ist nach dem Gesagten nur insoweit einzutreten, als der Beschwerdeführer geltend macht, die im Richtplan vorgesehene Auszonung komme von vornherein aus rechtlichen Gründen nicht in Frage und sei durch kein öffentliches Interesse gedeckt, weshalb die zu ihrer Durchführung angeordnete Planungszone rechtsmissbräuchlich und schikanös sei. aa) Der Beschwerdeführer begründet die angebliche rechtliche Unhaltbarkeit der vorgesehenen Auszonung zunächst damit, dass seine Parzellen grob erschlossen seien. Die Auszonung BGE 105 Ia 223 S. 233 grob erschlossenen Landes sei nach einem allgemeinen Grundsatz des Planungsrechts nicht möglich, weshalb auch keine Planungszone festgesetzt werden dürfe. Diese Auffassung ist irrtümlich. Eine Änderung des Nutzungsplanes, auch eine Auszonung, kann überbaute Grundstücke, baureife Parzellen, grob erschlossenes oder noch nicht erschlossenes Areal erfassen. Nach dem klaren Wortlaut von § 346 PBG kann auch eine Planungszone umfassend zur Sicherung der Festsetzung oder Änderung von Nutzungsplänen eingesetzt werden. Gleiches ergibt sich im übrigen auch aus Art. 27 des neuen eidgenössischen RPG, der die zuständige Behörde allgemein ermächtigt, für genau bezeichnete Gebiete Planungszonen zu bestimmen, wenn Nutzungspläne angepasst werden müssen oder noch keine vorliegen. Selbst wenn daher die Parzellen des Beschwerdeführers als grob erschlossen zu gelten hätten, würde dies der Festlegung einer Planungszone nicht entgegenstehen. Der vom Beschwerdeführer beantragte Augenschein ist daher nicht notwendig. bb) Davon abgesehen, ist die Auffassung des Beschwerdeführers, seine Parzellen seien grob erschlossen, unzutreffend, wie den sowohl von ihm als auch von der Gemeinde Erlenbach eingereichten Planunterlagen entnommen werden kann. Unter Groberschliessung wird gemäss Art. 4 Abs. 1 des eidgenössischen Wohnbau- und Eigentumsförderungsgesetzes vom 4. Oktober 1974 (SR 843) "die Versorgung eines zu überbauenden Gebiets mit den Hauptsträngen der Erschliessungsanlagen verstanden, namentlich Wasser-, Energieversorgungs- und Abwasserleitungen sowie Strassen und Wege, die unmittelbar dem zu erschliessenden Gebiet dienen". Dass Leitungen vorhanden sind, an welche in technischer Hinsicht allfällige Bauten angeschlossen werden könnten, hat nicht ohne weiteres zur Folge, dass ein Gebiet im Rechtssinne grob erschlossen ist. Hiezu ist vielmehr ein den städtebaulichen Anforderungen, die das kantonale Recht im einzelnen regelt, genügendes Strassennetz notwendig. Dies geht auch aus den erschliessungsrechtlichen Vorschriften des Zürcher Planungs- und Baugesetzes hervor (§§ 90 ff.). Es liegt auf der Hand, dass weder die 4,50 m bis 5,50 m breite Pflugsteinstrasse noch der nur 3,80 m bis 4 m breite Fronacherweg, an welche die Grundstücke des Beschwerdeführers anstossen, den Erfordernissen für die Groberschliessung BGE 105 Ia 223 S. 234 eines grösseren neuen Siedlungsgebietes entsprechen. cc) Der Beschwerdeführer macht ferner geltend, für die Einweisung seiner Grundstücke in die Planungszone fehle deshalb ein ausreichendes öffentliches Interesse, weil die Bauzonen der Gemeinde Erlenbach nicht überdimensioniert seien. Einer solchen Einweisung stünden im übrigen Gründe der Rechtssicherheit und Billigkeit entgegen ( § 9 Abs. 2 PBG ), da er im Vertrauen auf die Rechtsbeständigkeit der geltenden Zonenordnung die Parzellen erworben habe. Diese Einwendungen richten sich im wesentlichen gegen die erwartete endgültige Auszonung des Gebietes Sonnenberg. Die Planungszone als solche könnte an sich nach dem Gesagten nur dann mit Erfolg angefochten werden, wenn von vornherein feststünde, dass ein öffentliches Interesse an der Änderung der geltenden Zonenordnung offensichtlich fehlt. Die vom Beschwerdeführer vertretene Auffassung, die streitige Planungszone sei rechtsmissbräuchlich und schikanös geht indessen fehl. Die im Siedlungsplan als Bestandteil des Gesamtplanes vorgesehenen Auszonungen beruhen auf sorgfältigen Berechnungen der in den eingezonten Gebieten vorhandenen, noch nicht überbauten Flächen. Für die Ermittlung des künftigen Bedarfs wurde von Prognosen der Bevölkerungsentwicklung bis zum Jahre 2000 ausgegangen, wobei keine starren Fixierungen getroffen, sondern eine Bandbreite angenommen wurde. Für die Berechnung der für die Überbauung benötigten Fläche wurde von der gegenwärtigen Einwohnerdichte ausgegangen. Für das Gebiet Pfannenstiel, in dem sich die Gemeinde Erlenbach befindet, ergab sich auf diese Weise gegenüber den überbauten Wohnzonen von 1618 ha ein zusätzlicher Bedarf von 234 ha. Im Siedlungsplan wurden jedoch nicht nur diese Fläche, sondern 962 ha zur Besiedlung vorgesehen, somit eine Reserve im Ausmass von 728 ha einbezogen. Unter Berücksichtigung dieser Reserve beträgt die Fläche des Wohngebietes 2580 ha; tatsächlich eingezont sind im Gebiet Pfannenstiel demgegenüber 2957 ha, somit erheblich mehr als erforderlich. Das Missverhältnis erscheint um so grösser, als die Wohnzonen im Nutzungsplan lediglich dem Bedarf der nächsten 15 Jahre genügen sollen ( § 47 Abs. 2 PBG ). Unter diesen Umständen ist die Behauptung des Beschwerdeführers, es liege von vornherein kein öffentliches Interesse für die in der Gemeinde Erlenbach BGE 105 Ia 223 S. 235 vorgesehene Auszonung vor, nicht haltbar. Selbst wenn das Mass der Überdimensionierung nicht so gross ist, wie in den dem Bundesgericht früher zur Beurteilung vorgelegten Fällen (vgl. BGE 103 Ia 250 , BGE 102 Ia 430 , BGE 98 Ia 374 ), so schliesst dies das von der bundesgerichtlichen Rechtsprechung anerkannte öffentliche Interesse an einer Redimensionierung der Bauzonen nicht aus. Das wird auch durch die Annahmen der Gesamtrichtplankommission Erlenbach bestätigt, wonach im Interesse der Wohnlichkeit die Einwohnerzahl von 9000 nicht überschritten werden soll, eine Zahl, die bereits bei einer Überbauung von 80% des eingezonten Gebietes erreicht werden könnte. Welches genaue Mass der Auszonung gerechtfertigt sein wird, ist von der Gemeinde als der Trägerin der Ortsplanung im Nutzungsplanungsverfahren zu entscheiden. Erst in diesem Verfahren wird auch die Verhältnismässigkeit des Eingriffs für die betroffenen Grundeigentümer beurteilt werden können, was je nach dem Masse der Auszonung und dem genauen Verlauf der neuen Zonengrenze unterschiedlich ausfallen kann. dd) Schliesslich rechtfertigen auch die Interessen des Landschaftsschutzes, mit denen die Gemeinde Erlenbach die Überprüfung des Zonenplanes ebenfalls begründet, die Festsetzung der Planungszone. Wie der Beschwerdeführer selbst darlegt, weist das Gebiet Sonnenberg, in welchem sich seine Grundstücke befinden, eine besonders schöne Aussichtslage auf. Massnahmen zum Schutze des Landschaftsbildes dienen einem wichtigen Anliegen der Allgemeinheit und liegen daher nach der ständigen Rechtsprechung des Bundesgerichts im öffentlichen Interesse ( BGE 104 Ia 128 E. 3 mit Hinweisen). d) Bei dieser Sachlage stehen auch Erwägungen der Rechtssicherheit und der Billigkeit der Planungszone nicht entgegen. Der Vorbehalt von § 9 Abs. 2 PBG steht im Einklang mit der bundesgerichtlichen Rechtsprechung, wonach Zonenpläne veränderten Verhältnissen und neuen Erkenntnissen angepasst werden dürfen, sofern die Anpassung durch ein ausreichendes öffentliches Interesse gedeckt ist ( BGE 104 Ia 126 E. 2a mit Hinweisen; Bundesgerichtsurteil vom 19. Februar 1975 in: ZBl 76/1975, S. 291 E. 4). Im vorliegenden Fall ist zu beachten, dass die Änderung durch das neue kantonale Planungs- und Baugesetz vom 7. September 1975 und die gestützt auf dieses Gesetz durchgeführte kantonale Gesamtplanung ausgelöst BGE 105 Ia 223 S. 236 wurde. Hier verlangt das Legalitätsprinzip, d.h. die Bindung der Behörden aller Stufen an das Gesetz, dessen Durchführung. Die Rechtssicherheit spricht daher nicht gegen die Anpassung der Ortsplanungen an den Gesamtplan des Kantons, sondern gebietet diese im Gegenteil. Die finanziellen Interessen des Beschwerdeführers an einer möglichst baldigen gewinnbringenden Veräusserung seines Landes haben daher gegenüber dem gewichtigen öffentlichen Interesse an der Verwirklichung einer auf die Planungsgrundsätze des Gesetzes ausgerichteten Raumplanung zurückzutreten. Wer im übrigen am Rande des überbauten Gebietes einer Gemeinde Rohbauland erwirbt, - d.h. eingezontes, aber noch nicht erschlossenes Land -, muss erfahrungsgemäss damit rechnen, dass eine längere Zeitspanne verstreicht, bis baureife Parzellen geschaffen werden können, und dass sich während dieser Dauer auch die Verhältnisse ändern können, indem etwa ein während Jahren gleichgebliebenes Bevölkerungswachstum abnimmt oder gar eine rückläufige Entwicklung eintritt. Eine derartige Änderung der Entwicklung kann die Anpassung eines geltenden Zonenplanes im Sinne einer Verkleinerung des eingezonten Gebietes oder einer Herabsetzung des baulichen Nutzungsmasses erforderlich machen, ohne dass die Risiken einer entsprechenden Änderung der Rechtslage der Allgemeinheit überbunden werden können. Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Beschwerde wird abgewiesen, soweit darauf einzutreten ist.
public_law
nan
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1,979
CH_BGE
CH_BGE_002
CH
Federation
7165ba27-4938-41d0-b94f-8037967146c2
Urteilskopf 123 III 330 51. Auszug aus dem Urteil der Schuldbetreibungs- und Konkurskammer vom 22. Juli 1997 i.S. S. AG (Beschwerde)
Regeste Art. 36 SchKG ; Art. 106 ff. SchKG . Ist einer Beschwerde, welche sich gegen die Fristansetzung zur Klage im Widerspruchsverfahren richtet, aufschiebende Wirkung erteilt worden, so weist die Aufsichtsbehörde mit ihrem Endentscheid das Betreibungsamt an, die Frist neu anzusetzen. Im Falle der Abweisung der Beschwerde oder des Nichteintretens geschieht dies gegenüber jener Partei, welcher das Betreibungsamt schon zuvor die Frist zur Klage angesetzt hatte.
Erwägungen ab Seite 330 BGE 123 III 330 S. 330 Aus den Erwägungen: 1. Was im folgenden gesagt wird, gilt sowohl bezüglich Art. 107 Abs. 1 altSchKG (unter dessen Herrschaft das Betreibungsamt Frist zur Klage angesetzt hat) als auch bezüglich Art. 107 Abs. 5 SchKG (in der Fassung vom 16. Dezember 1994, in Kraft seit 1. Januar 1997). Trotz neuer Gliederung und sprachlicher Verbesserung der Art. 106-109 SchKG ist nämlich die alte Regelung, unter Berücksichtigung der einschlägigen Praxis, beibehalten worden (BBl 1991 III, S. 85; Art. 2 Abs. 1 Schlussbestimmungen der änderung vom 16. Dezember 1994). Art. 36 SchKG betreffend die aufschiebende Wirkung ist unverändert in das revidierte Gesetz übernommen worden. 2. Die Beschwerdeführerin irrt, wenn sie daraus, dass die Beschwerdegegnerin die Frist für die Beschwerde gegen die Fristansetzung gemäss Art. 107 Abs. 1 altSchKG versäumt hat und die kantonale Aufsichtsbehörde deshalb einen Nichteintretensentscheid BGE 123 III 330 S. 331 gefällt hat, den Schluss zieht, dass auch die Frist für die beim Richter zu erhebende Klage auf Feststellung des Drittanspruches als versäumt zu gelten habe: Die von der kantonalen Aufsichtsbehörde nach Massgabe von Art. 36 SchKG angeordnete aufschiebende Wirkung führt dazu, dass der vom Betreibungsamt angeordnete Fristenlauf nach Beendigung der Aufschiebung von neuem beginnt (vgl. BLUMENSTEIN, Handbuch des Schweizerischen Schuldbetreibungsrechtes, Bern 1911, S. 90). Ist, wie in dem hier zu beurteilenden Fall, aufschiebende Wirkung im Verfahren erteilt worden, welches dem Widerspruchsprozess vor dem Richter vorausgeht, so entscheidet die kantonale Aufsichtsbehörde - indem sie feststellt, wer Gewahrsam an der gepfändeten Sache hat - darüber, welcher Partei Frist zur Klage beim Richter anzusetzen ist. Ein Nichteintretensentscheid der kantonalen Aufsichtsbehörde hat - nicht anders als eine Abweisung der bei ihr erhobenen Beschwerde - einzig zur Folge, dass es bei der vom Betreibungsamt verfügten Parteirollenverteilung bleibt, während diese bei einer Gutheissung der Beschwerde neu bestimmt wird. Da der betreibungsrechtlichen Beschwerde nicht von Gesetzes wegen aufschiebende Wirkung zukommt, wird jener Partei, welche sich gegen die ihr durch das Betreibungsamt angesetzte Klagefrist zur Wehr setzt, nachdrücklich empfohlen, bei der Aufsichtsbehörde um aufschiebende Wirkung zu ersuchen (AMONN/GASSER, Grundriss des Schuldbetreibungs- und Konkursrechts, 6. Auflage Bern 1997, § 24 N. 40). Sie wird von den Aufsichtsbehörden über Schuldbetreibung und Konkurs in den Fällen, wo es um die Anwendung der Art. 106 ff. SchKG geht, denn auch regelmässig erteilt. Ebenso ist es ständige Praxis, dass das Betreibungsamt mit dem Endentscheid von der kantonalen Aufsichtsbehörde (und gegebenenfalls auch von der Schuldbetreibungs- und Konkurskammer des Bundesgerichts) angewiesen wird, die Frist für die Klage vor dem Richter neu anzusetzen.
null
nan
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Urteilskopf 92 I 439 74. Urteil vom 12. Dezember 1966 i.S. Regionallager-Genossenschaft Gossau und Mitbeteiligte gegen Kanton St. Gallen.
Regeste Kantonales Steuerrecht. Grundsatz der Rechtsgleichheit. Kantonale Minimalsteuer, die von juristischen Personen auf dem vollen Verkehrswert ihrer Grundstücke (ohne Schuldenabzug) erhoben wird und insbesondere solche Immobiliengesellschaften und Genossenschaften trifft, welche (fast) keinen Gewinn erzielen und ein im Verhältnis zu ihrem Grundbesitz sehr geringes Eigenkapital aufweisen. Inwieweit ist diese Steuer mit dem Grundsatz der Rechtsgleichheit vereinbar und im Rahmen eines auf dem Grundsatz der Besteuerung nach der wirtschaftlichen Leistungsfähigkeit beruhenden Steuergesetzes zulässig?
Sachverhalt ab Seite 439 BGE 92 I 439 S. 439 A.- Das st. gallische Gesetz vom 17. April 1944 über die Staats- und Gemeindesteuern (StG) bestimmt in BGE 92 I 439 S. 440 "Art. 1: Der Staat erhebt zur Deckung seiner Ausgaben, soweit dafür die übrigen Einnahmen nicht ausreichen: 1. eine Einkommenssteuer und eine ergänzende Vermögenssteuer von den natürlichen Personen, 2. eine Gewinnsteuer und eine Kapitalsteuer von den Kapitalgesellschaften, 3. eine Ertragssteuer und eine Kapitalsteuer von den Genossenschaften des Obligationenrechts, 4. eine Steuer von den Einkünften und vom Vermögen der übrigen juristischen Personen des privaten und öffentlichen Rechts." Die natürlichen Personen können die Schuldzinsen von den Einkünften und die Schulden vom Vermögen abziehen (Art. 28 Ziff. 1 und Art. 42). Die Kapitalgesellschaften entrichten die Gewinnsteuer vom Reingewinn und die Kapitalsteuer vom einbezahlten Grund- oder Stammkapital sowie von den offenen und stillen Reserven (Art. 46 und 48). Bei den Genossenschaften wird die Ertragssteuer vom Reinertrag und die Kapitalsteuer vom einbezahlten Genossenschaftskapital sowie von den offenen und stillen Reserven erhoben (Art. 53). B.- Mit Botschaft vom 25. Mai 1965 beantragte der Regierungsrat des Kantons St. Gallen dem Grossen Rat verschiedene, ab 1. Januar 1967 anwendbare Abänderungen des StG, darunter die Einführung einer "Minimalsteuer auf Grundstücken" juristischer Personen. Der Grosse Rat erliess dieses Nachtragsgesetz am 9. Februar 1966. Dabei wurde dem Abschnitt über die "Steuern der juristischen Personen" (Art. 45-56) folgende Bestimmung beigefügt: "Art. 56 bis: Die juristischen Personen entrichten anstelle der Steuern gemäss Art. 45 bis 56 eine Minimalsteuer von 1 Promille des amtlichen Verkehrswertes ihrer im Kanton St. Gallen gelegenen Grundstücke, wenn diese Steuer jene um mehr als 200 Franken übersteigt. Ausgenommen sind Genossenschaften des Obligationenrechts und Vereine, wenn sie Aufgaben im sozialen Wohnungsbau erfüllen." Im Zusammenhang damit wurde Art. 1 StG ergänzt durch einen Abs. 2, welcher die Erhebung einer Minimalsteuer anstelle der Steuern gemäss Abs. 1 Ziff. 2-4 vorbehält. Ferner wurden die in Art. 123 Abs. 1 und 160 Abs. 1 StG enthaltenen Bestimmungen über die Gemeindesteuern durch entsprechende, die Minimalsteuer betreffende Zusätze ergänzt. Nachdem die Frist zum Referendum unbenützt abgelaufen war, erklärte der Regierungsrat das Nachtragsgesetz zum StG BGE 92 I 439 S. 441 als am 21. März 1966 in Kraft getreten und veröffentlichte dies im kantonalen Amtsblatt vom 25. März 1966. C.- Am 25. April 1966 reichten vier Genossenschaften, eine Aktiengesellschaft und ein Verein, alle mit Sitz im Kanton St. Gallen, beim Bundesgericht eine staatsrechtliche Beschwerde ein mit dem Antrag, die genannten neuen Bestimmungen über die Minimalsteuer auf Grundstücken juristischer Personen seien wegen Verletzung von Art. 4 und 46 Abs. 2 BV aufzuheben. Zur Begründung wird im wesentlichen geltend gemacht: a) Das StG beruhe auf dem Grundsatz der Besteuerung nach der wirtschaftlichen Leistungsfähigkeit, der allein den Erfordernissen der Steuergerechtigkeit entspreche. Diesen Grundsatz durchbreche die Minimalsteuer dadurch, dass bei den von ihr betroffenen juristischen Personen überhaupt nicht auf die Leistungsfähigkeit abgestellt werde, sondern unbekümmert um ihr Eigenkapital und ihre Schulden ausschliesslich auf den Verkehrswert ihrer Grundstücke, sowie dadurch, dass die Minimalsteuer die Steuer nicht nur auf dem Eigenkapital, sondern vor allem auch auf dem Ertrag und den Nettoeinkünften ersetze. Die damit eingeführte Sonderbehandlung eines bestimmten Kreises juristischer Personen lasse sich nicht auf ernsthafte sachliche Gründe stützen und verstosse daher gegen Art. 4 BV . Dazu komme, dass die Minimalsteuer in krassester Weise in die Freiheit des Steuerpflichtigen eingreife, durch wirtschaftliche Tätigkeit einen Gewinn zu erzielen oder das zu unterlassen. Die in Art. 828 OR umschriebene Zweckbestimmung der Genossenschaft schliesse ein Gewinnstreben derselben aus, und Art. 15 lit. b st. gall. KV verpflichte den Staat zur Förderung des Genossenschaftswesens. Mit dieser eidgenössischen und kantonalen Regelung sei es unvereinbar, Genossenschaften, die gemäss ihrer Zweckbestimmung keinen oder nur einen bescheidenen Gewinn erzielen, einer intensiven Sonderbesteuerung zu unterwerfen. b) Die Regelung der Minimalsteuer enthalte "formelle Rechtsungleichheiten" und verstosse auch deshalb gegen Art. 4 BV , weil die Steuer - nur von juristischen, nicht auch von natürlichen Personen erhoben werde, - nur einen äusserst kleinen Kreis von Pflichtigen treffe, BGE 92 I 439 S. 442 - einen nicht zu rechtfertigenden Unterschied zu denjenigen Steuerpflichtigen schaffe, welche die gleichen wirtschaftlichen Zwecke durch eine andere Rechtsform erreichen. Das Bundesgericht habe denn auch in BGE 40 I 56 ff. eine genau gleiche Minimalsteuer des Kantons Glarus als gegen die Rechtsgleichheit verstossend erklärt. c) Der Regierungsrat habe bei der parlamentarischen Behandlung erklären lassen, die Minimalsteuer diene dazu, juristische Personen mit Sitz in einem andern Kanton für ihren Grundbesitz im Kanton St. Gallen zu einer kräftigen Besteuerung heranzuziehen. Dies vermöge aber die Sonderbehandlung einer kleinen Zahl juristischer Personen vor Art. 4 BV nicht zu rechtfertigen. Dazu komme, dass in den meisten Fällen der Erhebung der Minimalsteuer auf dem Grundeigentum von juristischen Personen mit Sitz in einem andern Kanton eine Verletzung des Doppelbesteuerungsverbotes ( Art. 46 Abs. 2 BV ) liegen würde... D.- Der Regierungsrat des Kantons St. Gallen beantragt im Namen des Kantons und des Grossen Rates die Abweisung der Beschwerde. E.- In Replik und Duplik halten die Parteien an ihren Anträgen und deren Begründung fest. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1./2. - (Prozessuales; die Beschwerdeführer sind zur Berufung auf Art. 4 BV , nicht aber auf Art. 46 Abs. 2 BV legitimiert). 3. Art. 4 BV bindet nicht nur den Richter und die Verwaltung, sondern auch den Gesetzgeber. Ausser den Schranken, die sich aus dem Verbot der interkantonalen Doppelbesteuerung, aus dem übrigen Verfassungs- und aus dem Bundesrecht ergeben, hat deshalb der kantonale Steuergesetzgeber das Gleichheitsprinzip nach Art. 4 BV und das sich daraus ergebende Willkürverbot zu beachten. Gegen diese verfassungsmässigen Grundsätze verstösst ein Steuergesetz, wie ein allgemein verbindlicher Erlass überhaupt, wenn es sich nicht auf ernsthafte sachliche Gründe stützen lässt, sinn- und zwecklos ist oder rechtliche Unterscheidungen trifft, für die ein vernünftiger Grund in den zu regelnden tatsächlichen Verhältnissen nicht ersichtlich ist ( BGE 91 I 84 Erw. 2 und dort angeführte frühere Urteile). Innerhalb dieses Rahmens steht BGE 92 I 439 S. 443 dem Gesetzgeber ein weiter Spielraum des Ermessens zu. Der Verfassungsrichter hat diese Befugnis zu achten und nur bei Ermessensmissbrauch oder -überschreitung einzugreifen. Dagegen darf er sein Ermessen nicht an die Stelle desjenigen des Gesetzgebers setzen und nicht schon einschreiten, wenn ein Erlass auf gesetzgebungspolitischen Erwägungen beruht, welche er für materiell unzutreffend erachtet ( BGE 90 I 98 Erw. 5, BGE 91 I 84 Erw. 2; vgl. auch BGE 61 I 92 ). 4. Die Minimalsteuer dient zunächst der Deckung des staatlichen und gemeindlichen Finanzbedarfs und erfüllt damit den gleichen Zweck wie die übrigen im StG vorgesehenen Steuern. Daneben verfolgt sie, wie sich aus der Botschaft des Regierungsrates vom 25. Mai 1966 (S. 6-11) ergibt, noch einen besonderen Zweck. Der Regierungsrat war durch eine Motion eingeladen worden, dem Grossen Rat Vorschläge zur "Verwirklichung einer gleichmässigen Steuerbelastung der Unternehmen (des Detailhandels) ohne Rücksicht auf ihre Rechtsform" zu unterbreiten, wobei vor allem an das Verhältnis zwischen Genossenschaften und Kapitalgesellschaften gedacht war. Der Regierungsrat legte die derzeitigen Unterschiede in der Steuerbelastung dieser beiden Unternehmensformen dar und empfahl, zur Verminderung dieser Differenz bei den Genossenschaften die Progression des Steuersatzes auf dem Ertrag von 4-6% auf 3-10% auszudehnen und das eine Million übersteigende Kapital mit einem etwas höheren Satz (2,5 statt 2‰) zu besteuern. Im Zusammenhang damit schlug er vor, von allen juristischen Personen eine Minimalsteuer auf den im Kanton gelegenen Grundstücken zu erheben zur Gewährleistung einer minimalen fiskalischen Belastung dieser Liegenschaften. Angesichts des allgemeinen und des besonderen Zwecks der streitigen Minimalsteuer ist es klar und unbestritten, dass die sie betreffenden Bestimmungen nicht sinn- und zwecklos sind. Streitig ist einzig, ob sie sich auf ernsthafte sachliche Gründe stützen lassen und ob die damit geschaffene Sonderbehandlung gewisser juristischer Personen in anders gearteten tatsächlichen Verhältnissen eine Rechtfertigung findet. 5. Wie alle neuern Gesetze über die direkten Steuern beruht auch das st. gallische StG auf dem Gedanken der Besteuerung der natürlichen und juristischen Personen nach ihrer wirtschaftlichen Leistungsfähigkeit. Die Beschwerdeführer wenden ein, mit der streitigen Minimalsteuer werde dieser BGE 92 I 439 S. 444 Grundsatz zum Nachteil einiger weniger Steuerpflichtigen ohne haltbaren Grund durchbrochen. Der Regierungsrat dagegen behauptet, dass diese Personen ohne die Minimalsteuer gerade nicht ihrer wirklichen Leistungsfähigkeit entsprechend belastet würden. Bei den natürlichen Personen gelten Reineinkommen und Reinvermögen als Masstab der wirtschaftlichen Leistungsfähigkeit und bilden daher die Objekte der direkten Hauptsteuern. Bei den juristischen Personen wird im allgemeinen auf den Reingewinn (Reinertrag) und auf das Kapital und die Reserven abgestellt. Nun gibt es aber juristische Personen, die aus bestimmten Gründen nur einen ganz kleinen Gewinn erzielen oder auf die Erzielung eines solchen überhaupt verzichten und ein im Verhältnis zu ihren Aktiven sehr geringes Eigenkapital aufweisen. Diese Körperschaften sind zumeist als Genossenschaften organisiert, häufig aber auch als Aktiengesellschaften, so vor allem Immobiliengesellschaften, dann z.B. Partnerwerke der Elektrizitätswirtschaft (vgl. BGE 82 I 288 ff.). Eine vom Eidg. Finanz- und Zolldepartement auf Grund einer Motion Piller eingesetzte Expertenkommission hat die damit zusammenhängenden Fragen eingehend geprüft und ihre Auffassung in dem 1955 erschienenen Bericht "Zum Problem der gleichmässigen Besteuerung der Erwerbsunternehmen" dargelegt. Sie kam dabei zum Ergebnis, dass bei den nicht gewinnstrebigen Genossenschaften und Aktiengesellschaften weder der ausgewiesene Reinertrag noch das Eigenkapital die wirtschaftliche Leistungsfähigkeit hinreichend zum Ausdruck bringe und eine Steuerordnung, die ausschliesslich auf diese Faktoren abstelle, zu einer Privilegierung dieser Körperschaften führe (S. 52, 88/89). Die Ausführungen, mit denen dies näher begründet wird, sind überzeugend. Für ihre Richtigkeit sprechen auch die in der Botschaft des st. gallischen Regierungsrates (S. 25) und anderswo (vgl. z.B. KUTTLER, Die Bodenverteuerung als Rechtsproblem, ZSR 1964 II S. 279 Anm. 50) genannten Beispiele aus der Praxis. Im Hinblick hierauf kann dem Bestreben des Gesetzgebers, diese Privilegierung der nicht gewinnstrebigen Unternehmungen durch Anwendung eines andern Kriteriums zur Bestimmung ihrer wirtschaftlichen Leistungsfähigkeit zu beseitigen, ein ernsthafter sachlicher Grund nicht abgesprochen werden. Zu prüfen bleibt, ob das vom st. gallischen Gesetzgeber gewählte Kriterium rechtliche Unterscheidungen BGE 92 I 439 S. 445 trifft, für die ein vernünftiger Grund fehlt, oder zu Ergebnissen führt, die innerhalb eines auf dem Grundsatz der Besteuerung nach der wirtschaftlichen Leistungsfähigkeit beruhenden Steuergesetzes unhaltbar sind, und die Betroffenen rechtsungleich behandelt. 6. Um die nicht gewinnstrebigen Unternehmungen gemäss ihrer tatsächlichen Leistungsfähigkeit zu besteuern, haben die Kantone Waadt, Wallis und Thurgau eine Steuer auf den Bruttoeinnahmen (dem Umsatz) eingeführt, die als Minimalsteuer auf die ordentlichen Steuern anzurechnen ist, d.h. nur erhoben wird, wenn sie die Steuern auf dem Reingewinn und dem Kapital übersteigt. Inwieweit diese Minimalsteuern mit Art. 4 BV vereinbar sind (wozu vgl. I. BLUMENSTEIN und M. IMBODEN ASA 34 S. 1 ff. und 193 ff.), ist hier nicht zu prüfen. Der Kanton St. Gallen ist einen andern Weg gegangen und h.at (nach dem Vorbild des vom Kanton Basel-Stadt seinem StG am 22. Dezember 1964 beigefügten § 77 b) eine Minimalsteuer eingeführt, die als Objektsteuer (ohne Schuldenabzug) von den juristischen Personen auf ihren im Kanton gelegenen Grundstücken zu entrichten ist, 1‰ des amtlichen Verkehrswerts derselben beträgt und anstelle der ordentlichen Steuern nur erhoben wird, wenn sie diese um mehr als Fr. 200.-- übersteigt. a) Darin, dass diese Minimalsteuer nur von den juristischen, nicht auch von den natürlichen Personen erhoben wird, liegt keine unzulässige rechtsungleiche Behandlung. Einmal werden die juristischen Personen in der Schweiz allgemein nach andern Grundsätzen als die natürlichen besteuert. Sodann treffen die Gründe, die den Gesetzgeber zur Einführung der Minimalsteuer bewogen haben, sozusagen ausschliesslich bei juristischen Personen zu. Nur bei ihnen kommt es praktisch vor, dass sie über erhebliche Vermögenswerte verfügen und eine umfang- und erfolgreiche wirtschaftliche Tätigkeit ausüben, dabei aber kein oder nur ein ganz geringes steuerbares Vermögen und Einkommen aufweisen. Es ist daher aus dem Gesichtspunkt des Art. 4 BV nicht zu beanstanden, dass die Minimalsteuer, mit der in solchen Fällen die Besteuerung gemäss der tatsächlichen Leistungsfähigkeit erreicht werden soll, nur juristische Personen trifft (vgl. IMBODEN a.a.O. S. 195/6). b) Innerhalb eines auf dem Grundsatz der Besteuerung nach der wirtschaftlichen Leistungsfähigkeit aufgebauten Steuergesetzes BGE 92 I 439 S. 446 hat eine Minimalsteuer für nicht gewinnstrebige Personen nur Platz, wenn ihr Objekt so geartet ist, dass es anstelle des fehlenden Gewinns und Kapitals als Kriterium für die Bestimmung der wirtschaftlichen Leistungsfähigkeit gelten kann. aa) Dass der Grundbesitz, den die Minimalsteuern der Kantone St. Gallen und Basel-Stadt zum Gegenstand haben, bei den als Aktiengesellschaften oder Genossenschaften organisierten Immobiliengesellschaften ein solches Kriterium ist, lässt sich im Ernste nicht bezweifeln. Wenn eine Immobiliengesellschaft trotz umfangreichem Liegenschaftsbesitz kein oder wenig steuerbares Kapital aufweist, so ist das meist darauf zurückzuführen, dass sie den Erwerb der Liegenschaften fast ausschliesslich mit Fremdkapital finanzieren konnte. Und wenn sie trotz normaler Ertragsfähigkeit ihrer Liegenschaften keinen oder nur einen geringen Gewinn erzielt, so hat dies seinen Grund ausser in der eben genannten Art der Finanzierung regelmässig darin, dass sie als Aktiengesellschaft zugunsten der sie beherrschenden Personen und als Genossenschaft zugunsten ihrer Mitglieder absichtlich keinen (höheren) Gewinn erzielt. Wenn bei solchen juristischen Personen trotz fehlendem steuerbaren Gewinn und Kapital eine gewisse, die Besteuerung rechtfertigende wirtschaftliche Leistungsfähigkeit angenommen und der Masstab für diese im Verkehrswert ihrer Liegenschaften erblickt wird, so leuchtet dies durchaus ein, da die ungewöhnliche Art der Finanzierung für das Vorliegen einer im Reingewinn und Eigenkapital nicht hinreichend zum Ausdruck kommenden Leistungsfähigkeit spricht und ein geeigneterer Masstab als der Wert der Liegenschaften kaum zu finden ist. Richtig ist freilich, dass bei solchen juristischen Personen eine angemessene Besteuerung sich unter Umständen auch dadurch erreichen lässt, dass man einen Teil des Fremdkapitals als verdecktes Eigenkapital behandelt (vgl. BGE 90 I 156 und 221) oder Leistungen an Dritte nicht als geschäftsmässig begründete Unkosten gelten lässt (vgl. BGE 91 I 398 /9). Allein dieser Weg führt, wie das Urteil des st. gallischen Kantonsgerichts vom 16. November 1961 (Steuer Revue 17/1962 S. 483) zeigt, nicht immer zum Ziel, weshalb es dem Gesetzbeger nicht verwehrt werden kann, die tatsächliche wirtschaftliche Leistungsfähigkeit der Immobiliengesellschaften mit einer auf dem Wert ihrer Liegenschaften berechneten Minimalsteuer zu erfassen (vgl. auch IMBODEN a.a.O. S. 199/200). BGE 92 I 439 S. 447 bb) Etwas zweifelhafter mag sein, ob der Liegenschaftsbesitz bei denjenigen Genossenschaften ein taugliches Kriterium für die Bestimmung ihrer wirtschaftlichen Leistungsfähigkeit ist, die neben der Verwaltung von Liegenschaften als Konsum-, Einkaufsgenossenschaften usw. ein Handelsgeschäft betreiben. Soweit Genossenschaften mit Geschäftsbetrieb überhaupt keine Liegenschaften besitzen, werden sie, obwohl der Grund für die Erhebung einer Minimalsteuer, nämlich wirtschaftliche Leistungsfähigkeit trotz Fehlen eines steuerbaren Gewinns und Kapitals, auch bei ihnen vorliegen kann, durch die streitige Minimalsteuer überhaupt nicht betroffen. Indessen wird es sich dabei meist um kleinere Unternehmen handeln, bei denen auch eine anders ausgestaltete Minimalsteuer wenig ergiebig wäre und bei denen daher darin, dass sie von der Minimalsteuer auf Grundeigentum nicht erfasst werden, keine ins Gewicht fallende Privilegierung liegt. Grössere Genossenschaften mit Geschäftsbetrieben verfügen in der Regel über eigene Liegenschaften. Wenn sie trotz beträchtlichem ertragsfähigem Grundbesitz (fast) kein steuerbares Einkommen und Kapital aufweisen, so verhält es sich bei ihnen ähnlich wie bei den reinen Immobiliengesellschaften, d.h. sie haben ihre Liegenschaften mit fremden, ihnen von interessierten Dritten zur Verfügung gestellten Mitteln erworben und verzichten zugunsten dieser Dritten oder ihrer Mitglieder auf die Erzielung von Gewinn. Unter diesen Umständen erscheint auch bei diesen Genossenschaften der Wert ihres Liegenschaftsbesitzes als taugliches Kriterium zur Bestimmung ihrer tatsächlichen wirtschaftlichen Leistungsfähigkeit. c) In BGE 40 I 65 Erw. 2 hat das Bundesgericht entschieden, dass eine Minimalsteuer, welche von den ordentlicherweise nur für ihre eigenen Gelder (Kapital und Reserven) besteuerten Aktiengesellschaften und Genossenschaften auf dem vollen Wert ihres Grundeigentums ohne Schuldenabzug erhoben wurde, jedes sachlich zureichenden Grundes entbehre und vor Art. 4 BV nicht bestehen könne. Von diesem Urteil ist das Bundesgericht indes schon in BGE 86 I 215 Erw. 2 abgerückt. Es hat dort eine von den juristischen Personen neben der Ertragssteuer zu entrichtende Steuer auf der "Substanz" als mit Art. 4 BV vereinbar erklärt, welche neben dem (einbezahlten und nicht einbezahlten) Kapital und den Reserven auch den diese Faktoren übersteigenden Wert des Grundeigentums (ohne Schuldenabzug) BGE 92 I 439 S. 448 erfasste und nach der Absicht des Gesetzgebers verhindern sollte, dass Immobiliengesellschaften mit geringem Gesellschaftskapital und grossem, mit Hypotheken belastetem Grundbesitz sich der Steuer auf den Immobilien entziehen. Soweit in BGE 40 I 65 Erw. 2 wie auch in BGE 61 I 324 ff. die Auffassung zum Ausdruck kommt, eine nur eine kleine Gruppe von Steuerpflichtigen treffende Minimalsteuer auf dem Liegenschaftsvermögen oder auf dem Umsatz habe innerhalb eines im übrigen auf dem System der Reineinkommens- und Reinvermögenssteuer aufgebauten Steuergesetz auf keinen Fall Platz und verstosse stets gegen den Grundsatz der Rechtsgleichheit, kann hieran nicht festgehalten werden. Die im ersten Fall beurteilte Minimalsteuer auf dem Grundeigentum richtete sich vor allem gegen ausserkantonale Unternehmen und verstiess insoweit auch gegen das Verbot der interkantonalen Doppelbesteuerung ( BGE 40 I 68 Erw. 3). Die Minimalsteuer auf dem Umsatz aber, um die es im zweiten Falle ging, war offensichtlich eine gewerbepolitische Massnahme gegenüber Grossunternehmen des Kleinhandels und verletzte daher auch den Art. 31 BV ( BGE 61 I 330 Erw. 3). Die heute streitige Minimalsteuer auf Grundstücken juristischer Personen verfolgt andere Zwecke. Sie richtet sich, ähnlich wie die in BGE 86 I 209 ff. beurteilte tessinische Steuer auf der "Substanz" und die in Erw. 6 hievor erwähnte baselstädtische Minimalsteuer, gegen eine Erscheinung, die in den letzten Jahrzehnten überhandgenommen hat, nämlich gegen juristische Personen mit Grundbesitz, die so organisiert und finanziert sind, dass sie kein oder fast kein steuerbares Einkommen und Kapital aufweisen und damit grosse Vermögenswerte der Besteuerung am Orte der gelegenen Sache entziehen. Soweit sich daraus interkantonale Steuerkonflikte ergeben, hat das Bundesgericht in der letzten Zeit durch Ausbau und Verfeinerung seiner Doppelbesteuerungsrechtsprechung dem Besteuerungsrecht des Liegenschaftskantons verstärkten Schutz verliehen (vgl. BGE 78 I 326 , BGE 79 I 31 und 145, BGE 85 I 95 , BGE 91 I 396 und 467). In der gleichen Richtung gehen die Bestrebungen einzelner Kantone, durch eine Minimalsteuer auf dem Grundeigentum juristischer Personen einer Aushöhlung des Rechts zur Besteuerung des unbeweglichen Vermögens entgegenzutreten und eine minimale fiskalische Belastung dieses Vermögens sicherzustellen. Wenn der kantonale Gesetzgeber dabei statt des bei diesen juristischen BGE 92 I 439 S. 449 Personen fehlenden Gewinns und Eigenkapitals den Wert ihrer Liegenschaften als Kriterium der für die Besteuerung massgebenden wirtschaftlichen Leistungsfähigkeit betrachtet, so besteht für das Bundesgericht aus dem Gesichtspunkt des Art. 4 BV kein Anlass zum Einschreiten, da von diesem Kriterium, wie bereits ausgeführt, nicht gesagt werden kann, es entbehre jeder ernsthaften sachlichen Begründung oder treffe rechtliche Unterscheidungen, die sich durch keine vernünftigen Gründe rechtfertigen lassen. d) Wie der Regierungsrat hervorhebt und die Beschwerdeführer nicht bestreiten, verfolgt der st. gallische Gesetzgeber mit der streitigen Minimalsteuer keine gewerbepolitischen Zwecke und beabsichtigt nicht, damit die Beschwerdeführer im wirtschaftlichen Wettbewerb zum Vorteil anderer Wettbewerbsteilnehmer zu schwächen. Insbesondere hat die Minimalsteuer, da sie nicht progressiv ausgestaltet ist, nicht zur Folge, Genossenschaften und Aktiengesellschaften mit grossem Liegenschaftsbesitz gegenüber kleinen Körperschaften zu benachteiligen. Entgegen der Behauptung der Beschwerdeführer geht es auch nicht darum, diese dafür zu bestrafen, dass sie nicht gewinnstrebig sind, so wenig wie es bei der (progressiven) Besteuerung der gewinnstrebigen Unternehmen darum geht, sie dafür zu bestrafen, dass sie einen (mehr oder weniger hohen) Gewinn erzielen. Im einen wie im andern Fall handelt es sich vielmehr darum, die Steuersubjekte im Verhältnis zu ihrer tatsächlichen wirtschaftlichen Leistungsfähigkeit zur Finanzierung der öffentlichen Aufgaben heranzuziehen. Die Beschwerdeführer werden durch die Minimalsteuer auch nicht etwa gezwungen, im Widerspruch zu ihrem Wesen als Genossenschaften Gewinne zu erzielen. Sie haben inskünftig lediglich mit höheren Unkosten zu rechnen. Dass die Minimalsteuer (die zur Zeit mit Einschluss der Zuschläge für Staat und Gemeinden 2,9‰ des Verkehrswertes der Liegenschaften ausmacht) die Beschwerdeführer in der Erfüllung ihres statutarischen Zweckes ernstlich behindere oder gar ihre Aussichten im wirtschaftlichen Wettbewerb verschlechtere, behaupten sie nicht und versuchen es noch weniger darzutun. Die Beschwerdeführer 1, 2 und 3 erklären, sie müssten die jährlich Fr. 13'650.-- bzw. 22'500.-- bzw. 23'400.-- betragende Minimalsteuer den ihnen angeschlossenen Konsumgenossenschaften belasten, welche sie ihrerseits in Form erhöhter Preise auf die Konsumenten überwälzen müssten. Über BGE 92 I 439 S. 450 das Ausmass dieser Preiserhöhung schweigen sie sich jedoch aus und ist den eingereichten Akten nichts zu entnehmen. Ob die beiden Baugenossenschaften, die Beschwerdeführer 4 und 5, von der Minimalsteuer betroffen werden oder gemäss Art. 56bis Abs. 2 StG von ihr befreit sind, wird von den Veranlagungsbehörden zu entscheiden sein und steht noch nicht fest. Davon, dass ihre Wohnungen leer stehen oder nur schwer vermietbar würden, wenn sie die Steuer entrichten und infolgedessen ihre Mietzinsen erhöhen müssen, kann indes offensichtlich nicht die Rede sein, zumal sie ihre Bauten zum Teil mit niedrig verzinslichen Bundesgeldern finanzieren konnten und damit einen Vorsprung vor den übrigen Vermietern haben. Die Eisenbahner-Baugenossenschaft St. Gallen, die nach dem Jahresbericht für 1965 über 260 Wohnungen verfügt und im Jahre 1966 97 weitere fertigstellt, hätte nach ihrer Angabe eine Minimalsteuer von rund Fr. 30'000.-- zu bezahlen, was - nach Wegfall der bisher entrichteten Kapitalsteuer - nur eine geringe zusätzliche Belastung (im Durchschnitt weniger als Fr. 100.-- pro Wohnung) ausmacht. Bei der Wohnbaugenossenschaft Gess ist die Zahl der Wohnungen dem Jahresbericht nicht zu entnehmen; die Mehrbelastung von rund Fr. 10'000.-- würde nicht ganz 6% der in der Jahresrechnung für 1965 ausgewiesenen Mietzinseinnahmen von Fr. 170'680.-- ausmachen, was ebenfalls als erträglich erscheint. Auch was die Höhe der Minimalsteuer und ihre Auswirkungen auf die heutigen Beschwerdeführer betrifft, kann daher nicht gesagt werden, der st. gallische Gesetzgeber habe das ihm zustehende Ermessen missbraucht und Art. 4 BV verletzt. Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Beschwerde wird abgewiesen, soweit darauf einzutreten ist.
public_law
nan
de
1,966
CH_BGE
CH_BGE_001
CH
Federation
71730867-0ce8-4276-8066-5fcb0331d682
Urteilskopf 113 III 77 15. Auszug aus dem Urteil der Schuldbetreibungs- und Konkurskammer vom 17. Juli 1987 i.S. A. (Rekurs)
Regeste Berufswerkzeuge im Sinne von Art. 92 Ziff. 3 SchKG . Videokassetten, die in einem Videothekgeschäft vermietet werden, bilden für die Inhaberin des Geschäfts keine unpfändbaren Berufswerkzeuge oder ähnliche Hilfsmittel im Sinne von Art. 92 Ziff. 3 SchKG .
Sachverhalt ab Seite 77 BGE 113 III 77 S. 77 A.- Auf Verlangen des Betreibungsamtes Wangen an der Aare nahm das Betreibungsamt Balsthal am 30. Januar 1987 in den Geschäftsräumen A. eine Requisitionspfändung vor. B.- Am 4. März 1987 reichte A. beim Richteramt Balsthal eine an die Aufsichtsbehörde über das Betreibungsamt Balsthal gerichtete Beschwerde ein. Sie beantragte u.a., die unverhältnismässig hohen Pfändungskosten seien angemessen zu reduzieren. Zur Begründung wurde geltend gemacht, das Ausmass der Pfändung stehe in einem krassen Missverhältnis zu den Gläubigerforderungen und die Pfändung beschlage unpfändbare Vermögenswerte. Mit Entscheid vom 11. Mai 1987 hiess die Aufsichtsbehörde für Schuldbetreibung und Konkurs des Kantons Solothurn die Beschwerde teilweise gut, indem sie die Kosten des Betreibungsamtes Balsthal für die Requisitionspfändung herabsetzte und dieses anwies, den zuviel erhobenen Betrag dem Betreibungsamt Wangen an der Aare zurückzuerstatten. Im übrigen wurde die Beschwerde abgewiesen, soweit darauf einzutreten war. BGE 113 III 77 S. 78 C.- Gegen diesen Entscheid wendet sich A. mit Rekurs gemäss Art. 19 SchKG an die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer des Bundesgerichts. Sie beantragt u.a., die Pfändung der Kompetenzgüter und der amtliche Beschlag der überpfändeten Sachen seien zu annullieren. Die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer des Bundesgerichts weist den Rekurs ab. Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. Fraglich ist, ob das neue Vorbringen, die Videofilme würden nicht verkauft, sondern vermietet, unzulässig ist. Denn nach der Rechtsprechung haben das Betreibungsamt und die kantonalen Aufsichtsbehörden grundsätzlich von Amtes wegen die tatsächlichen Verhältnisse zu ermitteln, die für die Beschränkung der Pfändbarkeit massgeblich sind ( BGE 112 III 80 mit Hinweisen). Da im heutigen Videothekgeschäft die Vermietung eine übliche Erscheinung darstellt, hätten ungeachtet der mangelnden Mitwirkung der Rekurrentin objektive Gründe für diese Abklärung bestanden, sofern die Art der Verwendung der Kassetten im Handelsverkehr - Verkauf oder Vermietung - einen Einfluss auf deren Pfändbarkeit besitzt. a) Gemäss Art. 92 Ziff. 3 SchKG sind unpfändbar die Werkzeuge, Gerätschaften, Instrumente und Bücher, soweit sie dem Schuldner und seiner Familie zur Ausübung des Berufes notwendig sind oder soweit der daraus erzielte Reinerlös so gering wäre, dass sich eine Wegnahme nicht rechtfertigen würde. Das Vorliegen der letzteren Voraussetzung wird zu Recht nicht behauptet. Zu prüfen bleibt daher, ob es sich um für die Ausübung des Berufes notwendige Werkzeuge, Gerätschaften, Instrumente oder Bücher handelt. b) Ob das Videogeschäft der Rekurrentin als Unternehmen oder als Berufsausübung zu bezeichnen ist, kann dahingestellt bleiben. Denn jedenfalls handelt es sich bei den Videokassetten nicht um Werkzeuge, Gerätschaften, Instrumente oder Bücher im Sinne von Art. 92 Ziff. 3 SchKG . Um solche Gegenstände handelt es sich nur, wenn sie für die rationelle und konkurrenzfähige Ausübung eines Berufes notwendig sind, d.h. wenn ohne sie der Beruf nicht mehr ausgeübt werden kann. Unpfändbar sind daher nur die Werkzeuge und ähnlichen Hilfsmittel, die Warenvorräte hingegen grundsätzlich nicht. Für diese gilt nur insoweit in gewissem BGE 113 III 77 S. 79 Umfange eine Ausnahme, als es sich um Werkstoffe handelt und die Ablieferung ihres Gegenwertes gesichert ist (AMONN, Grundriss des Schuldbetreibungs- und Konkursrechts, N 23 und 25 zu § 23; RUEDIN, L'insaisissabilité des instruments professionnels, in: BlSchK 45/1981, S. 102). Dies trifft hier nicht zu. Bei den Videokassetten handelt es sich um eine reine Handelsware. Sofern sie verkauft werden, steht deren Pfändbarkeit zum vornherein fest (BlSchK 46/1982, S. 60; 20/1956, S. 15; 14/1950, S. 13 f.). Aber auch im Falle der Vermietung dienen die Videokassetten nicht in erster Linie der Ausübung eines Berufes. Die Tätigkeit der Rekurrentin beschränkt sich hier auf die Abwicklung des Mietgeschäfts. Die Kassetten werden nicht dazu gebraucht, einen Mehrwert zu schaffen oder ein Arbeitsentgelt zu erzielen, sondern vornehmlich dazu, um durch deren blosse Überlassung an Dritte ein Entgelt zu erhalten. Beim Erlös handelt es sich demnach vorwiegend um ein Nutzungsentgelt, das hauptsächlich durch die Ausbeutung kapitalistischer Erwerbsfaktoren erwirtschaftet wird (vgl. BGE 65 III 15 ; BGE 71 III 67 f.). Es kann daher auch im Falle der Vermietung nicht gesagt werden, die Videokassetten seien Werkzeuge oder ähnliche Hilfsmittel zur Berufsausübung im Sinne von Art. 92 Ziff. 3 SchKG . Folglich hat auch kein Anlass bestanden, die Frage der Vermietung von Amtes wegen abzuklären. Die Rüge, die Videokassetten seien unpfändbar, erweist sich damit als unbegründet, soweit überhaupt darauf einzutreten ist.
null
nan
de
1,987
CH_BGE
CH_BGE_005
CH
Federation
717ce029-a1dc-4afd-aed2-14116be393a7
Urteilskopf 119 Ia 71 12. Auszug aus dem Urteil der I. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 24. Februar 1993 i.S. Stürm gegen Instruktionsrichter I der Bezirke Ering und Gundis und Kantonsgericht des Kantons Wallis (staatsrechtliche Beschwerde)
Regeste Briefverkehr, Meinungsäusserungsfreiheit, Art. 8 und 10 EMRK ; Nichtweiterleitung von Briefen eines Untersuchungsgefangenen. Restriktive Auslegung der Regeln über die Eingriffsvoraussetzungen bei Beschränkung des Briefverkehrs eines Untersuchungsgefangenen wegen ungebührlicher oder beleidigender Äusserungen. Wann ein Brief deswegen zurückbehalten werden darf, lässt sich nicht allgemein umschreiben, sondern hängt von den Umständen des Einzelfalls ab. Es ist zulässig, einen Brief nicht weiterzuleiten, in dem der Untersuchungsgefangene den Untersuchungsrichter als Schreibtischmörder im Stil eines Adolf Eichmann und als Schwein bezeichnet.
Sachverhalt ab Seite 72 BGE 119 Ia 71 S. 72 Walter Stürm befindet sich im Kanton Wallis in Untersuchungshaft. Im Juli 1992 war er aus gesundheitlichen Gründen in die Gefängnisabteilung des Kantonsspitals Genf verlegt worden. Dort verfasste er am 24. Juli 1992 einen Brief an Frau F., Redaktorin der "Wochen-Zeitung" in Zürich, und am 27. Juli 1992 ein Schreiben an Frau S., die für Amnesty International tätig ist. Der Instruktionsrichter I der Bezirke Ering und Gundis teilte Stürm mit Verfügung vom 31. Juli 1992 mit, dass er die Schreiben wegen der darin enthaltenen unanständigen und ehrverletzenden Äusserungen nicht an die Adressatinnen weiterleite. Stürm legte dagegen am 6. August 1992 Beschwerde beim Kantonsgericht des Kantons Wallis ein. Eine weitere Verfügung des Instruktionsrichters hatte Stürm am 3. August 1992 mit einer Beschwerde beim Kantonsgericht angefochten. Es handelte sich um die Verfügung vom 29. Juli 1992, mit der es der Instruktionsrichter ablehnte, eine Tonbandkassette, die ein Radioredaktor zusammen mit einem Brief und einem Fragebogen an Stürm gesandt hatte, an diesen weiterzuleiten. Mit Urteil vom 2. Oktober 1992 wies das Kantonsgericht die Beschwerden vom 3. und 6. August 1992 ab, büsste Stürm für die missbräuchliche Beschwerde vom 6. August 1992 mit Fr. 80.-- und auferlegte ihm die Kosten des Beschwerdeverfahrens und des Entscheids. Stürm reichte gegen das Urteil des Kantonsgerichts staatsrechtliche Beschwerde wegen Verweigerung des rechtlichen Gehörs und Verletzung des Rechts auf freien Briefverkehr und freie Meinungsäusserung ein. Das Bundesgericht heisst die Beschwerde teilweise gut und hebt den Entscheid des Kantonsgerichts und die Verfügungen des Instruktionsrichters auf, soweit sie die Nichtweiterleitung der Tonbandkassette und des Briefes vom 24. Juli 1992, die Auferlegung einer Busse, der Kosten des Beschwerdeverfahrens und derjenigen des kantonsgerichtlichen Entscheids betreffen. Im übrigen weist es die Beschwerde im Sinne der Erwägungen ab, soweit es darauf eintritt. BGE 119 Ia 71 S. 73 Erwägungen Aus den Erwägungen: 3. a) Die Meinungsäusserungsfreiheit ist durch das ungeschriebene Verfassungsrecht des Bundes und durch Art. 10 Ziff. 1 EMRK gewährleistet. Der Anspruch auf Achtung des Briefverkehrs bildet Teil des Rechts auf freie Meinungsäusserung und gehört daher ebenfalls dem ungeschriebenen Verfassungsrecht des Bundes an. Ausserdem ist er in Art. 8 Ziff. 1 EMRK garantiert. Die Art. 8 und 10 EMRK räumen dem Bürger keinen weitergehenden Schutz ein als das verfassungsmässige Recht auf freie Meinungsäusserung ( BGE 117 Ia 466 , 477 E. 3b mit Hinweisen). Das Bundesgericht berücksichtigt indessen bei der Konkretisierung dieses Rechts die in den beiden Vorschriften der EMRK enthaltene Regelung sowie die Rechtsprechung der Konventionsorgane ( BGE 117 Ia 477 /478 E. 3b mit Hinweisen). Die Verfügung des Instruktionsrichters, die Briefe des Beschwerdeführers vom 24. und 27. Juli 1992 würden nicht an die Adressatinnen weitergeleitet, bedeutet eine Beschränkung des Rechts auf freien Briefverkehr und einen Eingriff in die Meinungsäusserungsfreiheit. Ob auch die Verfügung betreffend die Nichtweiterleitung der Tonbandkassette in den Schutzbereich von Art. 8 EMRK fällt, erscheint als fraglich, geht es doch hier nicht um eine schriftliche Form des Verkehrs, sondern um eine mündliche Kommunikation durch das Mittel eines Tonträgers. Die Frage kann indessen dahingestellt bleiben, da die beanstandete Massnahme jedenfalls vom Anwendungsbereich des Art. 10 EMRK erfasst wird und die in dieser Vorschrift genannten Eingriffsvoraussetzungen im wesentlichen mit jenen von Art. 8 EMRK übereinstimmen. b) Nach Art. 8 Ziff. 2 und Art. 10 Ziff. 2 EMRK - ebenso wie aufgrund des ungeschriebenen Verfassungsrechts des Bundes ( BGE 117 Ia 479 E. 3d) - ist ein Eingriff in den Briefverkehr und in die Meinungsäusserungsfreiheit nur statthaft, soweit er gesetzlich vorgesehen ist. Dass es sich dabei um ein Gesetz im formellen Sinn handelt, ist nicht nötig. Es genügt ein Gesetz im materiellen Sinn, etwa eine Verordnung oder ein Reglement ( BGE 117 Ia 469 ; Urteile des Europäischen Gerichtshofs für Menschenrechte vom 20. Juni 1988 i.S. Schönenberger/Durmaz, Serie A, Band 137, Ziff. 24, vom 25. März 1983 i.S. Silver u.a., Serie A, Band 61, Ziff. 86, 89 = EuGRZ 1984, S. 150, und vom 21. Februar 1975 i.S. Golder, Serie A, Band 18, Ziff. 45 = EuGRZ 1975, S. 100). Die hier in Frage stehenden Eingriffe ergingen in Anwendung von Art. 73 Abs. 1 des BGE 119 Ia 71 S. 74 Reglements vom 13. Juli 1983 über die Strafanstalten des Kantons Wallis, welche Vorschrift jeden Verkehr des Untersuchungsgefangenen mit der Aussenwelt der Kontrolle des Untersuchungsrichters und der Direktion unterstellt. Diese Norm bildet nach der erwähnten Rechtsprechung eine genügende gesetzliche Grundlage für eine Beschränkung des Briefverkehrs und der Meinungsäusserungsfreiheit. c) Ausserdem ist ein Eingriff in das verfassungsmässige Recht auf freie Meinungsäusserung nur dann zulässig, wenn er im öffentlichen Interesse liegt und verhältnismässig ist ( BGE 117 Ia 479 E. 3d mit Hinweisen). Im gleichen Sinne, jedoch etwas detaillierter werden diese Eingriffsvoraussetzungen in den Art. 8 Ziff. 2 und 10 Ziff. 2 EMRK umschrieben. Danach sind Beschränkungen des Rechts auf freien Briefverkehr und freie Meinungsäusserung statthaft, wenn sie eine Massnahme darstellen, die in einer demokratischen Gesellschaft zum Schutze eines der in Art. 8 Ziff. 2 und Art. 10 Ziff. 2 EMRK angeführten Zwecke notwendig ist. Als Zweck eines Eingriffs werden in diesen Vorschriften u.a. die Verteidigung bzw. Aufrechterhaltung der Ordnung, die Verhinderung von strafbaren Handlungen sowie der Schutz der Rechte und Freiheiten anderer genannt. Damit eine Massnahme "in einer demokratischen Gesellschaft notwendig" ist, muss sie nach der Rechtsprechung des Europäischen Gerichtshofs für Menschenrechte (EGMR) einem "dringenden sozialen Bedürfnis" entsprechen und in einem angemessenen Verhältnis zum verfolgten berechtigten Zweck stehen (Urteile des EGMR vom 20. Juni 1988 i.S. Schönenberger/Durmaz, a.a.O., Ziff. 27, vom 24. März 1988 i.S. Olsson, Serie A, Band 130, Ziff. 67 = EuGRZ 1988, S. 598, und vom 25. März 1983 i.S. Silver u.a., a.a.O., Ziff. 97c = EuGRZ 1984, S. 151/152). In der Beschwerdesache Silver und Mitbeteiligte stellte sich die Frage, ob es mit Art. 8 EMRK vereinbar sei, Briefe von Strafgefangenen, in denen die Gefängnisverwaltung in einer ungehörigen und beleidigenden Ausdrucksweise kritisiert wurde, nicht weiterzuleiten. Sie wurde verneint. Dass in einem Brief Ausdrücke verwendet werden, die darauf abzielen, die Behörden verächtlich zu machen oder absichtlich zu beleidigen ("visant à attirer le mépris sur les autorités" ou usant de "termes délibérément injurieux pour les autorités pénitentiaires"), genügt nach der Ansicht des EGMR für sich allein nicht, um ihn zurückzubehalten. Anders ist es, wenn der Briefschreiber mit Gewaltanwendung droht. In einem solchen Fall erachtet der EGMR die Nichtweiterleitung des Briefes als notwendig für die Verteidigung der Ordnung und zur Verhinderung von strafbaren Handlungen (Urteil des EGMR vom BGE 119 Ia 71 S. 75 25. März 1983 i.S. Silver u.a., a.a.O., Ziff. 64, 99c und 103 = EuGRZ 1984, S. 152 f.; ARTHUR HAEFLIGER, Die Europäische Menschenrechtskonvention und die Schweiz, Bern 1993, S. 216). Die restriktive Auslegung von Art. 8 Ziff. 2 EMRK in bezug auf Beschränkungen des Briefverkehrs wegen ungebührlicher oder beleidigender Äusserungen gilt nach einem Urteil des EGMR vom 25. Februar 1992 auch für die Korrespondenz von Untersuchungsgefangenen. In diesem Urteil hatte die Kontrollbehörde jene Passagen des Briefes einer Untersuchungsgefangenen unleserlich gemacht, in denen die Haftbedingungen und das Verhalten von Wachebeamten des Gefängnisses kritisiert und dabei die Ausdrücke "Affenpack" und "Spanner" verwendet worden waren. Der EGMR hielt die Massnahme für unverhältnismässig und bejahte eine Verletzung von Art. 8 EMRK (Urteil vom 25. Februar 1992 i.S. Pfeifer und Plankl, Serie A, Band 227, Ziff. 43-48 = EuGRZ 1992, S. 101). In ähnlicher Weise wie der Strassburger Gerichtshof geht das Bundesgericht bei der Beurteilung der Frage, wann der Brief eines Untersuchungsgefangenen wegen ungebührlichen Inhalts zurückbehalten werden darf, von einer engen Interpretation des Begriffs der Ungebühr aus und erachtet diese nur dann als gegeben, wenn die schriftlichen Mitteilungen geeignet sind, den Haftzweck oder die Gefängnisordnung zu gefährden ( BGE 99 Ia 288 ; 101 Ia 148 ; Urteil vom 3. Dezember 1975, publ. in EuGRZ 1976, S. 84). Gegen eine allzu freizügige Praxis, nach der auch beleidigende Kritik an Behörden es nicht rechtfertigen würde, ein Schreiben eines Untersuchungsgefangenen zurückzubehalten, werden in der Literatur gewisse Vorbehalte angebracht (ROBERT HAUSER, Die Untersuchungshaft im Lichte des Verfassungsrechts und der Menschenrechtskonvention, ZStR 95/1978, S. 267; BRUN-HAGEN HENNERKES, Die Grundrechte des Untersuchungsgefangenen, Diss. Freiburg i.Br. 1966, S. 97/98). Nach der Auffassung HAUSERS bleibt es den Anstaltsinsassen kaum unbekannt, wenn ehrverletzende Briefe geduldet und weitergeleitet werden, und dadurch kann nach der Meinung dieses Autors die Ordnung verletzt oder gefährdet werden. Das ungehinderte Durchlassen grob unkorrekter Briefe untergrabe nämlich die Autorität der zensurierenden Behörde und stelle eine straffe Führung der Untersuchung und der Anstalt in Frage. Ferner dürfe auch ein Justizbeamter verlangen, dass er in seiner Menschenwürde geachtet werde. Beleidigungen vermöchten das Minimum von gegenseitigem Einvernehmen nicht zu gewährleisten, sondern führten zu Verstimmungen, worunter schliesslich die Erforschung der materiellen BGE 119 Ia 71 S. 76 Wahrheit zu leiden habe. In ähnlichem Sinne argumentiert HENNERKES, der sich auf den Standpunkt stellt, kein Grundrecht gestatte die Begehung von Straftaten (Ehrverletzungen) oder die Verbreitung lügenhafter Aussagen, und wenn Briefe mit beleidigenden oder offensichtlich unwahren Äusserungen zurückgehalten würden, bedeute das keine Verletzung eines Rechts des Untersuchungsgefangenen. d) Es ist im Lichte dieser Erwägungen zu prüfen, ob die Nichtweiterleitung der hier in Frage stehenden Briefe eine notwendige Massnahme im Sinne der Art. 8 Ziff. 2 und 10 Ziff. 2 EMRK darstellt. aa) In seinem Brief vom 24. Juli 1992, der an Frau F., Redaktorin der "Wochen-Zeitung", gerichtet ist, schreibt der Beschwerdeführer, dass er am 22. Juli 1992 "durch die Bullen hierher ins Kantonsspital Genf gekarrt" worden sei, dass die Haftbedingungen auch hier der Menschenrechtskonvention nicht entsprächen und dass seine Familie eine Reise durch die ganze Schweiz machen müsse, um ihn in Genf zu besuchen. Er führt in diesem Zusammenhang aus: "Aber wenn der Nilper in Sitten denkt, er könne mich durch derartige Schikanen klein kriegen, dann ist der falsch gewickelt, aber das ist er ja auf jeden Fall." Im weiteren enthält das Schreiben die folgende Passage: "Wegen der Briefbeilage, die der X. uns geklaut hat, musste ich eine staatsrechtliche Beschwerde ans Bundesgericht schreiben. Denn den Krähen gleich, die einander ja bekanntlich kein Auge aushacken, hat das Kantonsgericht meine Beschwerde gegen den X. unter abenteuerlichsten juristischen Verrenkungen abgewiesen. Die Begründung dieser X.-Kollegen war derart, dass ich in der staatsrechtlichen Beschwerde die Frage stellen musste, ob diese Herren nur einfach blöd seien oder ob die mich verarschen wollten." Im Brief vom 27. Juli 1992, der an die für Amnesty International tätige S. adressiert ist, kritisiert der Beschwerdeführer zunächst die Haftbedingungen im Falle des Mitangeschuldigten R. Er führt aus, dieser habe 75 Monate unter der Verantwortung von Untersuchungsrichter X. unter "allerübelsten Haftbedingungen" im Kanton Wallis in Untersuchungshaft gesessen, bis er endlich vor Gericht gestellt worden sei. Zufolge dieser "unendlich lange andauernden Folterhaftbedingungen" sei R. im Februar 1992 nicht mehr in der Lage gewesen, allein zu duschen, und praktisch unfähig gewesen, sich zu artikulieren. Im Anschluss daran schreibt der Beschwerdeführer: "Für mich sind deshalb Leute wie der UR X. nichts anderes als Schreibtischmörder, die sich von einem Adolf Eichmann nur durch die Anzahl der Opfer unterscheiden." Hernach kritisiert er die Haftbedingungen in seinem Fall und hält dabei fest: "So dauerte mein Aufenthalt in diesem Folterloch nur einige Wochen, die BGE 119 Ia 71 S. 77 aber genügten, um zu begreifen, dass das Schwein nicht der mich fälschlicherweise belastende R. war." Im weiteren erwähnt er, dass er beim Kantonsgericht Beschwerde gegen einen Entscheid des Instruktionsrichters vom 16. Juni 1992 eingereicht habe, mit dem dieser einen von ihm aufgegebenen Brief nicht weitergeleitet, sondern in den Papierkorb geworfen habe. Er schreibt in diesem Zusammenhang: "Da aber im Wallis die Polizei und die Justiz eine grosse Familie ist, wo, den Krähen gleich, keiner dem andern ein Auge aushackt, hat das Kantonsgericht meine Beschwerde abgewiesen. Die Begründung dieser Abweisung war derart haarsträubend, dass ich in der dann gemachten Beschwerde an das Bundesgericht schreiben musste, ich müsse mich nach dem Lesen dieser Begründung fragen, ob man beim Kantonsgericht nur einfach blöd sei oder ob man mich verarschen wolle, eine andere Deutung dieses kantonsrichterlichen Geschreibes sei nicht möglich." bb) Das Kantonsgericht hielt im angefochtenen Entscheid fest, der Beschwerdeführer äussere sich in diesen Schreiben unnötig und ungebührlich über die Walliser Justizbehörden, werfe ihnen Vetternwirtschaft vor und bezeichne sie als blöd. Den Untersuchungsrichter bezeichne er als "Nilper", "Schwein" und "Schreibtischmörder", der sich "von einem Adolf Eichmann nur durch die Anzahl der Opfer" unterscheide. Das Kontrollrecht des Instruktionsrichters gemäss Art. 73 Abs. 1 des Reglements über die Strafanstalten des Kantons Wallis umfasse auch das Recht, Briefe eines Untersuchungsgefangenen mit ausschliesslich oder vorwiegend ehrenrührigem oder drohendem Inhalt nicht weiterzuleiten. Wer sich auf den freien konventionskonformen Briefverkehr als Grundrecht berufe, dürfe nicht gleichzeitig die Grundrechte Dritter verletzen. Der Vorwurf an einen Richter, ein Schreibmörder im Stil eines Adolf Eichmann zu sein, sei offensichtlich ehrverletzend. Der Instruktionsrichter habe sich daher mit guten Gründen geweigert, den Brief weiterzuleiten. cc) Was den Brief vom 27. Juli 1992 anbelangt, so behauptet der Beschwerdeführer, er habe die Formulierung betreffend den Schreibtischmörder "in mindestens 10 andern Briefen an Medienschaffende benutzt", ohne dass die Kontrollbehörde das beanstandet hätte. Diese Behauptung wird in keiner Weise belegt, weshalb darauf nicht näher einzugehen ist. Unbehelflich sind ferner die Ausführungen, mit denen der Beschwerdeführer darzutun versucht, dass die Behauptung des Kantonsgerichts, er habe den Instruktionsrichter als "Schreibtischmörder" und als "Schwein" bezeichnet, unzutreffend sei. Es kommt nicht darauf an, wie er selber die in seinem Brief vom 27. Juli 1992 gemachten Äusserungen interpretieren will. Massgebend ist einzig, wie sie von einem BGE 119 Ia 71 S. 78 unbefangenen Leser nach den Umständen verstanden werden mussten. Geht man hievon aus, so ist dem Text des Briefes klar zu entnehmen, dass der Beschwerdeführer darin den Instruktionsrichter als "Schreibtischmörder", der sich "von einem Adolf Eichmann nur durch die Anzahl der Opfer" unterscheide, und ausserdem als "Schwein" bezeichnete. Der gegenüber einem Richter erhobene Vorwurf, ein Schreibtischmörder im Stil eines Adolf Eichmann zu sein, stellt eine massiv ehrverletzende Äusserung dar. Auch die Behauptung, der Instruktionsrichter sei ein Schwein, muss als krass ehrverletzend eingestuft werden, geht es doch hier um eine grobe Beschimpfung. Das Bundesgericht warf im Urteil BGE 101 Ia 148 die Frage auf, ob nicht auch Briefe eines Untersuchungsgefangenen als "ungebührlich" zurückbehalten werden dürften, die "krass unanständige Bemerkungen" oder "unflätige Beleidigungen" enthielten. Es liess die Frage damals offen, weil sich in jenem Fall in den beanstandeten Briefen keine derartigen Äusserungen fanden. Im hier zu beurteilenden Fall betrifft nun der gerügte Eingriff einen Brief, der solche "unflätigen Beleidigungen" oder anders ausgedrückt krass ehrverletzenden Äusserungen enthält. Wird ein Schreiben, das einen krass ehrverletzenden Inhalt aufweist, von der Kontrollbehörde nicht angehalten, so wird sich das unter den Anstaltsinsassen rasch herumsprechen, und es könnte andere dazu animieren, in gleicher Art zu korrespondieren. Das könnte zu einer Spannung zwischen den Gefangenen und dem Anstaltspersonal führen und damit die Ordnung im Gefängnis gefährden. In diesem Sinne erachtete es das Bundesgericht im Hinblick auf die Aufrechterhaltung der Ordnung als zulässig, dass der Brief eines Strafgefangenen nicht weitergeleitet wurde, dem ein von Anstaltsinsassen unterzeichnetes Rundschreiben mit ehrverletzendem Inhalt beigefügt war (Urteil vom 24. Januar 1992 i.S. B., E. 3b/bb, publ. in Rivista di diritto amministrativo e tributario ticinese II-1992, Nr. 23, S. 51 f.). Sodann findet das Grundrecht des Untersuchungsgefangenen, sich in Briefen frei zu äussern, seine Schranken in dem Recht der persönlichen Ehre der mit der Strafsache befassten Beamten. Wohl mag der Untersuchungsgefangene ein besonderes Bedürfnis haben, dem aufgestauten Unmut über seine Situation in der Weise Luft zu machen, dass er in seinen Briefen zu wenig schmeichelhaften Ausdrücken greift, mit denen er seiner Kritik an den Gefängnisbehörden, dem Haftrichter oder andern Beamten Ausdruck verleiht. Dem ist Rechnung zu tragen, und der Brief eines Häftlings darf deshalb nicht schon dann zurückbehalten werden, wenn er eine unsachliche, unanständige, ungehörige oder ungebührliche Kritik an einem Justizbeamten enthält (vgl. den Bericht der Europäischen Kommission für Menschenrechte vom 11. Oktober 1980 i.S. Silver u.a., BGE 119 Ia 71 S. 79 Serie B, Band 51, S. 87 u. 96, N. 356 u. 406). Wann die zulässige Grenze überschritten ist, kann nicht allgemein umschrieben werden, sondern hängt von den Umständen des Einzelfalls ab. Im hier zu beurteilenden Fall wurde die zulässige Grenze überschritten, denn die vom Beschwerdeführer gegenüber dem Instruktionsrichter erhobenen Vorwürfe, ein "Schreibtischmörder" im Stil eines "Adolf Eichmann" und ein "Schwein" zu sein, stellen einen schwerwiegenden Angriff auf die Ehre dieses Beamten dar. Was das Vorgehen der Kontrollbehörde anbelangt, so wäre es wohl vorzuziehen gewesen, wenn sie entweder die beanstandeten Ausdrücke unkenntlich gemacht und den Brief hernach in dieser korrigierten Form weitergeleitet hätte, oder aber den Brief unter genauem Hinweis auf die unzulässigen Passagen an den Beschwerdeführer zurückgesandt hätte, um diesem Gelegenheit zu geben, eine verbesserte Fassung des Briefes an die Adressatin abzusenden. Es steht indes der Behörde in diesem Bereich ein gewisser Spielraum des Ermessens offen, weshalb nicht gesagt werden kann, es sei eine unverhältnismässige Massnahme, dass der Instruktionsrichter keine dieser Möglichkeiten gewählt, sondern sich zur Nichtweiterleitung des Briefes entschlossen hat. Die Beschwerde ist in diesem Punkt im Sinne der Erwägungen abzuweisen. dd) Anders verhält es sich hinsichtlich der Nichtweiterleitung des Schreibens vom 24. Juli 1992, in welchem keine Ausdrücke wie "Schreibtischmörder" oder "Schwein" verwendet werden. Der Beschwerdeführer bezeichnet in diesem Brief den Instruktionsrichter als "Nilper". Was mit diesem Wort gemeint ist, weiss man nicht und kann auch dahingestellt bleiben, da es jedenfalls nicht zulässig wäre, das Schreiben deswegen zurückzubehalten. Im weiteren wird die Formulierung verwendet, der Instruktionsrichter habe die Briefbeilage (die er damals nicht weitergeleitet, sondern in den Papierkorb geworfen hatte) "geklaut". In Anbetracht des Umstandes, dass es hier nicht um das Briefpapier als Sache, sondern um die Weiterleitung einer brieflichen Mitteilung ging (vgl. das Urteil des Bundesgerichts vom 23. Oktober 1992 i.S. Stürm, S. 10), kann angenommen werden, der Beschwerdeführer wolle mit dem genannten Ausdruck nicht die Anschuldigung eines Diebstahls erheben, sondern bloss behaupten, der Instruktionsrichter habe das Schriftstück verschwinden lassen. Es kann in diesem Punkt nicht von einer ehrverletzenden und schon gar nicht von einer krass ehrverletzenden Äusserung gesprochen werden. Das gleiche gilt für die Kritik, die der Beschwerdeführer gegenüber dem Walliser Kantonsgericht im Zusammenhang mit einem abweisenden Beschwerdeentscheid vorbringt. Die Nichtweiterleitung des Briefes vom 24. Juli 1992 stellte daher BGE 119 Ia 71 S. 80 keine notwendige Massnahme im Sinne der Art. 8 und 10 EMRK dar. In diesem Punkt ist die Beschwerde wegen Verletzung des Rechts auf freien Briefverkehr und freie Meinungsäusserung gutzuheissen.
public_law
nan
de
1,993
CH_BGE
CH_BGE_002
CH
Federation
717e8076-a3dc-4164-9ba3-17a5083c15bd
Urteilskopf 106 III 40 10. Auszug aus dem Entscheid der Schuldbetreibungs- und Konkurskammer vom 28. April 1980 i.S. Metro Bank AG in Nachlassliquidation (Rekurs)
Regeste Art. 251 SchKG . 1. Durch die Zulassung verspäteter Konkurseingaben darf die Rechtskraft des Kollokationsplans nicht in Frage gestellt werden. Die nachträgliche Geltendmachung eines Pfändrechts für eine bereits rechtskräftig kollozierte Forderung ist daher grundsätzlich unzulässig (E. 4). 2. Dagegen ist die nachträgliche Anmeldung eines Anfechtungsanspruchs, der im Zeitpunkt der Konkurseröffnung mangels Legitimation noch nicht geltend gemacht werden konnte, zulässig (E. 4). Es handelt sich dabei nicht um eine Forderung, die erst nach der Konkurseröffnung entstanden ist und deshalb nicht berücksichtigt werden darf (E. 5).
Sachverhalt ab Seite 41 BGE 106 III 40 S. 41 A.- Die Profinanz AG, die dem Bankengesetz unterstand, verpfändete am 3. Mai 1968 der Metro Bank AG zur Sicherstellung ihrer Kontokorrentverpflichtung dieser gegenüber 500 Aktien der Immobiliare Metro SpA. Am 21. August 1974 gab die Metro Bank AG die verpfändeten Aktien der Liquidatorin der inzwischen in Liquidation getretenen Profinanz AG zurück, obwohl die Schuld noch nicht getilgt war. Über die Profinanz AG wurde am 11. Dezember 1974 der Konkurs eröffnet. Als Konkursverwaltung wurde die bisherige Liquidatorin, die Coopers & Lybrand AG, eingesetzt. Im Zeitpunkt der Konkurseröffnung schuldete die Profinanz AG der Metro Bank AG Fr. 115'525.75. Am 20. Dezember 1974 wurde der Metro Bank AG die Bewilligung zur Geschäftstätigkeit entzogen, und am 7. Januar 1975 wurde ihr eine Nachlassstundung bis 7. Juli 1975 bewilligt. Als Sachwalterin wurde die Schweizerische Revisionsgesellschaft AG eingesetzt. Am 29. September 1975 bestätigte das Handelsgericht des Kantons Zürich den von der Metro Bank AG vorgeschlagenen Nachlassvertrag mit Vermögensabtretung und bestimmte die bisherige Sachwalterin als Liquidatorin. Am 16. Januar 1975 hatten zwei Organe der Metro Bank AG im Konkurs der Profinanz AG eine Kurrentforderung von Fr. 115'525.75 angemeldet, die sich auch aus den Büchern der Gemeinschuldnerin ergab. Die Konkursverwaltung kollozierte die Forderung wie angemeldet in der 5. Klasse. Der Kollokationsplan wurde diesbezüglich nicht angefochten und erwuchs in Rechtskraft. B.- Am 28. August 1979 meldete die Liquidatorin der Metro Bank AG im Konkurs der Profinanz AG eine faustpfandgesicherte Forderung von Fr. 115'525.75 an. Zur Begründung machte sie geltend, die Rückgabe der verpfändeten Aktien an diese trotz Weiterbestehens der Schuld stelle eine anfechtbare Handlung im Sinne von Art. 286, allenfalls 288 SchKG dar. Mit Verfügung vom 25. September 1979 wies die Konkursverwaltung das Begehren um nachträgliche Zulassung des Pfandanspruchs unter Hinweis auf die Rechtskraft des Kollokationsplans ab. Gegen diese Verfügung erhob die Liquidatorin der Metro Bank AG beim Präsidenten des Handelsgerichts des Kantons Zürich als Beschwerdeinstanz im Konkurs über Banken Beschwerde mit folgendem Antrag: BGE 106 III 40 S. 42 "Die Beschwerdegegnerin sei anzuhalten, die Forderungsanmeldung der Beschwerdeführerin vom 28. August 1979 im Sinne einer verspäteten Konkurseingabe gemäss Art. 251 SchKG im Konkurs der Profinanz AG zuzulassen und eine Kollokationsverfügung zu erlassen bzw. die Metro Bank AG in Nachlassliquidation mit einer pfandgesicherten Forderung von Fr. 115'525.75 zuzüglich Zins zu 10% seit 31. Dezember 1974 zu kollozieren. Der Kollokationsplan der Profinanz AG sei entsprechend abzuändern." Mit Verfügung vom 5. März 1980 wies der Handelsgerichtspräsident die Beschwerde ab. C.- Gegen diese Verfügung rekurrierte die Metro Bank AG, in Nachlassliquidation, unter Aufrechterhaltung ihres Beschwerdeantrages an die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer des Bundesgerichts. Die Konkursverwaltung der Profinanz AG beantragt die Abweisung des Rekurses. Erwägungen Die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer zieht in Erwägung: 1. Nach Art. 36 Abs. 2 BankG und Art. 53 Abs. 2 der VV vom 30. August 1961 zum BankG (welch letztere Bestimmung gemäss Art. 63 Abs. 2 der BankV vom 17. Mai 1972 bis zum Erlass bundesgerichtlicher Vorschriften in Kraft geblieben ist) können im Bankenkonkurs Entscheide des Konkursgerichts über Beschwerden gegen Verfügungen der Konkursverwaltung mit Rekurs im Sinne von Art. 19 SchKG ans Bundesgericht weitergezogen werden. Dabei kann das Bundesgericht nach Art. 53 Abs. 2 letzter Satz der VV vom 30. August 1961 auch die Angemessenheit des angefochtenen Entscheids überprüfen. Für das Verfahren vor Bundesgericht gelten im übrigen die Art. 75 ff. OG , insbesondere Art. 79 Abs. 1 OG , wonach die Begründung eines Rekurses im Sinne von Art. 19 SchKG in der Rekursschrift selbst enthalten sein muss und eine Verweisung auf Vorbringen im kantonalen Verfahren, wie sie die Rekurrentin vornimmt, daher unbeachtlich ist ( BGE 99 III 60 E. 1). 2. Soweit die Rekurrentin beantragt, ihre Forderung sei als pfandgesichert zu kollozieren und der Kollokationsplan sei entsprechend abzuändern, kann auf den Rekurs nicht eingetreten werden. Die Zuständigkeit der Aufsichtsbehörden beschränkt sich auf die Prüfung der Frage, ob dem unter Berufung BGE 106 III 40 S. 43 auf Art. 251 SchKG nachträglich angemeldeten Recht nicht die Rechtskraft des Kollokationsplans entgegenstehe ( BGE 42 III 23 ). Erst wenn feststeht, dass die nachträgliche Anmeldung entgegengenommen werden muss, stellt sich die weitere Frage, wie der materielle Kollokationsentscheid zu lauten habe. Diese Frage ist zunächst von der Konkursverwaltung zu beurteilen. Sie kann die nachträgliche Eingabe abweisen, zulassen oder ihr einen andern als den geltend gemachten Rang zuweisen. Gegen ihren Entscheid ist nicht mit Beschwerde an die Aufsichtsbehörde, sondern mit Kollokationsklage vorzugehen. Die Aufsichtsbehörden haben der Konkursverwaltung auch keine Weisungen darüber zu erteilen, wie eine Forderung zu kollozieren sei. In ihrer Verfügung vom 25. September 1979 hat die Konkursverwaltung die nachträgliche Konkurseingabe der Rekurrentin mit der Begründung abgelehnt, die Voraussetzungen für eine verspätete Eingabe seien nicht gegeben; angesichts der formellen Rechtskraft des Kollokationsplans erübrige es sich, auf die materiellrechtlichen Aspekte einzugehen. Entgegen ihrer Darstellung in der Rekursvernehmlassung hat sie damit klarerweise nicht eine materielle Kollokationsverfügung, sondern einen nach dem Gesagten mit Beschwerde anfechtbaren verfahrensrechtlichen Entscheid getroffen. Der Standpunkt der Konkursverwaltung, die abweisende Verfügung vom 25. September 1979 sei mangels rechtzeitiger Anfechtung durch Kollokationsklage rechtskräftig geworden, ist daher unhaltbar. 3. Die Rekurrentin ging von Anfang an davon aus, die Rückgabe der verpfändeten Aktien, die den Untergang des Pfandrechts bewirkte, stelle eine paulianisch anfechtbare Rechtshandlung dar; werde diese rückgängig gemacht, so lebe das Pfandrecht wieder auf und müsse im Konkurs der Profinanz AG berücksichtigt werden. Entgegen der Auffassung des Handelsgerichtspräsidenten trifft es somit nicht zu, dass nur die Pfandansprache, nicht aber der Anfechtungsanspruch Gegenstand der nachträglichen Konkurseingabe bildeten. Es handelte sich überhaupt nicht um zwei verschiedene Ansprachen, sondern die Berufung auf die Anfechtbarkeit der Rückgabe der Pfänder stellte lediglich die Begründung für die verlangte Wiederherstellung des verlorengegangenen Pfandrechts dar. Ob die Rekurrentin auf diese Weise das von ihr angestrebte Ziel erreichen kann, ist freilich fraglich, da der Anfechtungsanspruch BGE 106 III 40 S. 44 nach allgemeiner Ansicht nicht dinglichen, sondern bloss obligatorischen Charakter hat und im Konkurs des Anfechtungsbeklagten grundsätzlich nur als gewöhnliche Konkursforderung geltend gemacht werden kann ( BGE 45 III 222 /223; JAEGER, N. 2 zu Art. 200, N. 1 zu Art. 211, N. 1 A zu Art. 285 und N. 2 A zu Art. 291 SchKG ; FRITZSCHE, Schuldbetreibung und Konkurs, 2. Aufl., Bd. 2, S. 276; BERZ, Der paulianische Rückerstattungsanspruch, Diss. Zürich 1960, S. 21 ff.; FAVRE, Droit des poursuites, 3. Aufl., S. 373 und 382/383, wo bezüglich der Wirkungen im Konkurs des Anfechtungsbeklagten allerdings eine etwas andere Ansicht vertreten wird; im gleichen Sinne auch BLUMENSTEIN, Handbuch des Schweizerischen Schuldbetreibungsrechtes, S. 870/871). Wie es sich damit verhält, ist indessen eine materiell-rechtliche Frage, die nicht im Beschwerdeverfahren, sondern gegebenenfalls vom Richter im Kollokationsprozess zu prüfen ist. Das Gleiche gilt für die Frage, ob der Anfechtungsanspruch verjährt sei, wie der Handelsgerichtspräsident annimmt, die Rekurrentin jedoch bestreitet. Die Aufsichtsbehörden müssen bei der Prüfung der Frage, ob die Rechtskraft des Kollokationsplans der Berücksichtigung der nachträglichen Pfandansprache entgegenstehe, von der These der Rekurrentin ausgehen, dass das von ihr geltend gemachte Pfandrecht in einem Kollokationsprozess durchgesetzt werden könne. 4. Nach Art. 251 Abs. 1 SchKG können Konkurseingaben bis zum Schluss des Konkursverfahrens angebracht werden. Die Zulassung verspäteter Konkurseingaben darf jedoch nicht dazu führen, eine im Kollokationsplan rechtskräftig getroffene Entscheidung wieder in Frage zu stellen. Dies liefe auf eine Umgehung von Art. 250 Abs. 1 SchKG hinaus, welcher für die Anfechtung des Kollokationsplans durch Klage beim Richter eine Frist von 10 Tagen vorsieht. Eine nachträgliche Eingabe ist deshalb nur zulässig, wenn es sich dabei um eine erstmals geltend gemachte Forderung handelt und nicht etwa der rechtskräftig gewordene Kollokationsplan hinsichtlich einer bereits getroffenen Kollokationsverfügung abgeändert werden will ( BGE 42 III 23 /24, BGE 36 I 461 ). Nun umfasst die Kollokation einer Forderung, wie in BGE 42 III 24 zutreffend ausgeführt wird, notwendigerweise nicht nur die Feststellung ihres Bestandes und ihrer Höhe, sondern auch die Bestimmung des Ranges, in dem sie im Verhältnis zu den andern Forderungen BGE 106 III 40 S. 45 am Verwertungserlös teilnimmt. Wird eine Forderung daher in der 5. Klasse kolloziert, so wird damit zugleich ein besserer Rang für diese Forderung ausgeschlossen. Beansprucht der Gläubiger einen besseren Rang, muss er innert Frist Kollokationsklage erheben, andernfalls die Kollokation - sofern auch kein anderer Gläubiger klagt - in Rechtskraft erwächst. Im vorliegenden Fall versucht die Rekurrentin, für den Saldo aus dem Kontokorrentverhältnis mit der Gemeinschuldnerin einen besseren Rang, nämlich ein Faustpfandrecht, zu erlangen. Sie strebt damit eine Änderung der rechtskräftig erfolgten Kollokation der gleichen Forderung in der 5. Klasse an, was nach dem Gesagten an sich unzulässig ist. Indessen konnte die Rekurrentin, was der Handelsgerichtspräsident übersieht, im Zeitpunkt der Konkurseröffnung über die Profinanz AG gar kein Pfandrecht beanspruchen und sie hätte auch mit einer Kollokationsklage keine Aussicht auf Erfolg gehabt, weil ihr damals die Legitimation für die Anfechtungsklage im Sinne von Art. 285 Abs. 2 SchKG fehlte. Zur Geltendmachung des Anfechtungsanspruchs war sie erst lange nach Eintritt der Rechtskraft des Kollokationsplans berechtigt, nämlich als über sie das Liquidationsverfahren eröffnet wurde, was erst mit der Bestätigung des Nachlassvertrages am 29. September 1975 der Fall war (vgl. Art. 31 VNB ). Bis zu jenem Zeitpunkt war die Freigabe der verpfändeten Aktien als zivilrechtlich gültig zu betrachten, und weder die Rekurrentin selber noch auch ihre Sachwalterin im Stundungsverfahren konnten darauf zurückkommen. Erst für die Liquidatorin im Liquidationsverfahren konnte sich die Frage stellen, ob die Freigabe der Pfänder eine paulianisch anfechtbare Rechtshandlung darstelle und daher rückgängig gemacht werden könne. In einem solchen Fall kann die Rechtskraft des Kollokationsplans der verspäteten Konkurseingabe nicht entgegengehalten werden. Das Bundesgericht hat denn auch in dem bereits erwähnten BGE 42 III 24 die nachträgliche Geltendmachung eines besseren Ranges ausdrücklich für den Fall vorbehalten, in dem die rechtzeitige Anmeldung des Rangverhältnisses dem Gläubiger nicht möglich war (vgl. hiezu auch SPICHTY, Gegenstand, Rechtsnatur und Rechtskraftwirkung des Kollokationsplanes im Konkurs, Diss. Basel 1979, S. 132). Auch in BGE 36 I 461 wurde die nachträgliche Beanspruchung eines besseren BGE 106 III 40 S. 46 Ranges nur deswegen für unzulässig erklärt, weil der Gläubiger ohne weiteres in der Lage gewesen wäre, seinen Standpunkt bereits während der 10-tägigen Auflagefrist des Art. 250 SchKG auf dem Klageweg geltend zu machen; daraus ergibt sich, dass es sich umgekehrt verhalten muss, wenn dem Gläubiger diese Möglichkeit nicht zur Verfügung steht. In ähnliche Richtung gehen die Überlegungen in BGE 51 III 230 ff., wo einem Gläubiger die Möglichkeit zugestanden wurde, die Ausdehnung seines Pfandrechts auf Vermögensobjekte geltend zu machen, die der Konkursmasse nachträglich angefallen waren. Nach der Rechtsprechung gilt sodann ganz allgemein, dass trotz der Rechtskraft des Kollokationsplanes bei der Verteilung auf eine seit der Kollokation eingetretene Änderung des Rechtsverhältnisses Rücksicht zu nehmen ist, was auf eine Abänderung des Kollokationsplanes hinausläuft ( BGE 102 III 159 E. 3, 96 III 79 mit Hinweisen; SPICHTY, a.a.O., S. 133 ff.). Entsprechend verhält es sich hier. 5. Dem liesse sich freilich entgegenhalten, der Pfandanspruch der Rekurrentin sei, da die Rückgabe der Pfänder vor der Bestätigung des Nachlassvertrags über die Rekurrentin nicht angefochten werden konnte, erst nach der Konkurseröffnung entstanden und dürfe aus diesem Grund im Konkurs der Profinanz AG nicht berücksichtigt werden. Das wesentliche Element des in Frage stehenden Anfechtungstatbestandes, der nach der Vorstellung der Rekurrentin das Wiederaufleben des verlorengegangenen Pfandrechts bewirken soll, nämlich die anfechtbare Handlung als solche, fällt jedoch in die Zeit vor der Konkurseröffnung. Dass der Anfechtungsanspruch im Zeitpunkt der Konkurseröffnung noch nicht geltend gemacht werden konnte, lag einzig daran, dass es der Rekurrentin damals noch an der Klageberechtigung im Sinne von Art. 31 VNB fehlte. Zur Vollendung des Tatbestandes bedurfte es somit keiner Rechtshandlung der Gemeinschuldnerin mehr, die sie gemäss Art. 204 SchKG nach der Konkurseröffnung nicht mehr hätte vornehmen dürfen (vgl. zu diesem Gesichtspunkt SPICHTY, a.a.O., S. 3). Unter diesen Umständen kann nicht gesagt werden, der Anfechtungsanspruch und damit das Pfandrecht seien erst nach der Konkurseröffnung entstanden, sowenig wie dies bei bedingten Forderungen der Fall ist, die nach Art. 210 Abs. 1 SchKG im Konkurs zum vollen Betrag zugelassen werden, auch wenn die Bedingung im Zeitpunkt der BGE 106 III 40 S. 47 Konkurseröffnung noch nicht eingetreten ist. Abgesehen davon würde die Rekurrentin - immer vorausgesetzt, das von ihr mit der Anfechtung verfolgte Ziel sei grundsätzlich erreichbar - anders als ein gewöhnlicher neuer Gläubiger das geltend gemachte Recht überhaupt verlieren, wenn es im vorliegenden Konkurs nicht mehr berücksichtigt werden könnte, da die von ihr beanspruchten Pfänder in diesem Verfahren liquidiert werden. Das wäre nicht gerechtfertigt, zumal es die Rekurrentin bzw. deren Liquidatorin nicht zu vertreten haben, dass die Freigabe der Pfänder im Zeitpunkt der Konkurseröffnung noch nicht angefochten werden konnte. Die nachträgliche Konkurseingabe der Rekurrentin ist auch nicht etwa deswegen zurückzuweisen, weil diese nach der am 29. September 1975 erfolgten Bestätigung des Nachlassvertrags noch nahezu vier Jahre mit der Erhebung ihrer Pfandansprache zugewartet hat. Art. 251 Abs. 1 SchKG lässt verspätete Konkurseingaben ohne Einschränkung bis zum Schluss des Konkursverfahrens zu. Der Gläubiger hat lediglich die in Abs. 2 und 3 der genannten Bestimmung angeführten Nachteile zu tragen. 6. Ist demnach die verspätete Konkurseingabe der Rekurrentin in formeller Hinsicht zulässig, so hat die Konkursverwaltung darüber eine materielle Kollokationsverfügung zu treffen (zum Vorgehen vgl. Art. 69 KOV ); diese kann ihrerseits mit Kollokationsklage angefochten werden. Der Rekurs ist in diesem Sinne gutzuheissen.
null
nan
de
1,980
CH_BGE
CH_BGE_005
CH
Federation
7180efda-6956-4c85-a421-4d76e16cf7de
Urteilskopf 119 II 344 70. Auszug aus dem Urteil der I. Zivilabteilung vom 30. August 1993 i.S. X. AG in Nachlassliquidation gegen Bank Y. (Berufung)
Regeste Verpfändung von kotierten Aktien; Selbsteintritt des Pfandgläubigers. Zulässigkeit des Selbsteintritts sowohl aufgrund einer Auslegung der vertraglichen Abmachungen (E. 2a) wie auch unter dem Gesichtspunkt des gesetzlichen Verbotes des Verfallsvertrages (E. 2b) bejaht.
Erwägungen ab Seite 344 BGE 119 II 344 S. 344 Aus den Erwägungen: 2. Unbestritten ist, dass die Parteien verbindlich vereinbart haben, die Beklagte sei ermächtigt, die verpfändeten Aktien börsenmässig BGE 119 II 344 S. 345 oder freihändig zu verwerten (Ziff. 6 "Pfandverschreibung" und Ziff. 8 der AGB der Beklagten). Das Handelsgericht hat aus den Abmachungen abgeleitet, die Beklagte sei auch zum Selbsteintritt berechtigt gewesen, da dieser in der Befugnis zur freihändigen Verwertung mitenthalten sei. Mit der Berufung wird dagegen eingewendet, dieser Schluss beruhe auf einer unhaltbaren Vertragsauslegung. Nach Auffassung der Klägerin wäre der Selbsteintritt nur dann zulässig gewesen, wenn das wörtlich in den Vertragstexten festgehalten worden wäre. a) Der Wortlaut der Vereinbarungen, auf den bei der Auslegung in erster Linie abzustellen ist, lässt den Schluss der Vorinstanz ohne weiteres zu. Zum einen fällt unter den Begriff "verwerten" jede Handlung, die es dem Pfandgläubiger erlaubt, sich den Wert des Pfandgegenstandes anzueignen. Dazu gehört offensichtlich auch der Selbsteintritt. Zum andern ergibt sich aus dem Textzusammenhang, dass der Begriff "freihändig" als Abgrenzung gegenüber der Verwertung an der Börse (Ziff. 6 "Pfandverschreibung") oder im Betreibungsverfahren (Ziff. 8 AGB) zu verstehen ist. Auch unter diesem Gesichtspunkt ist somit die Auslegung der Vorinstanz nicht zu beanstanden. Dazu kommt, dass die Klägerin nach verbindlicher Feststellung des Handelsgerichts mit den Gebräuchen der Bankenbranche vertraut war. In dieser Branche ist indessen die Ansicht verbreitet, die Befugnis zur freihändigen Verwertung von Pfändern umfasse auch den Selbsteintritt (ZOBL, Berner Kommentar, N. 413 zu Art. 884 ZGB ; ALBISETTI und andere, Handbuch des Geld-, Bank- und Börsenwesens der Schweiz, 4. Aufl., S. 696, Stichwort: Wertpapierverpfändung; EMCH/RENZ/BÖSCH, Das schweizerische Bankgeschäft, 4. Aufl., S. 288). Dieser Umstand, der im Rahmen der Vertragsauslegung nach dem Vertrauensgrundsatz berücksichtigt werden kann (vgl. BGE 117 II 273 E. 5a S. 278 mit Hinweisen), spricht ebenfalls für die Richtigkeit der vorinstanzlichen Auslegung. Die Möglichkeit des Selbsteintritts brauchte somit entgegen der Auffassung der Klägerin nicht ausdrücklich in den Vertragstexten erwähnt zu werden. b) Unbegründet ist im weitern der Einwand der Klägerin, die erwähnten Vereinbarungen verletzten das Verbot des Verfallsvertrages und seien deshalb gemäss Art. 894 ZGB ungültig. Hauptzweck dieser Bestimmung ist es, eine wucherähnliche Ausbeutung des Verpfänders zu verhindern (OFTINGER/BÄR, Zürcher Kommentar, N. 4 zu Art. 894 ZGB ). Wenn eine solche Übervorteilung aber durch die Bedingungen des Selbsteintrittes, mit denen im konkreten Fall auch BGE 119 II 344 S. 346 die Interessen des Verpfänders angemessen berücksichtigt werden, ausgeschlossen wird, so bestehen unter dem Gesichtspunkt von Art. 894 ZGB keine Bedenken gegen die Gültigkeit der Vereinbarung. In der Literatur wird denn auch die grundsätzliche Zulässigkeit des Selbsteintritts einhellig bejaht (OFTINGER/BÄR, N. 62 zu Art. 891 ZGB ; ZOBL, Probleme bei der Verpfändung von Eigentümerschuldbriefen, ZBGR 59/1978, S. 212; RUDOLPH J. KADERLI, Die Sicherung des Bankkredites, Diss. Bern 1938, S. 39 f.; MAX HAFFTER, Das Fahrnispfandrecht und andere sachenrechtliche Sicherungsgeschäfte, Diss. Bern 1928, S. 88; BÖCKLI, Das Recht des Pfandgläubigers zum Selbsteintritt bei der Pfandverwertung, SJZ 20/1924, S. 301 ff.; ebenso BGE 119 II 326 E. 2c S. 328). Zur Begründung dieser Auffassung wird zu Recht auf die gesetzliche Regelung beim Kommissionsvertrag hingewiesen ( Art. 436 OR ), da die dort sich gegenüberstehenden Interessen von Kommittent und Kommissionär ähnlich gelagert sind wie jene von Pfandgläubiger und Schuldner im Fall des Selbsteintritts. Eine allzu enge Anlehnung an die in Art. 436 OR aufgezählten Voraussetzungen drängt sich jedoch nicht auf. So wird die Zulässigkeit des Selbsteintrittes zwar regelmässig zu bejahen sein, wenn es um Pfänder geht, die einen Markt- oder Börsenpreis haben. Gleiches gilt aber auch für den - hier vorliegenden - Fall, wo dieser Preis nur als Anhaltspunkt dient und aus anderen Gründen eine objektive Bewertung der Pfandgegenstände im Zeitpunkt des Selbsteintrittes möglich ist, denn auch dann kann in der Regel eine Übervorteilung des Schuldners ausgeschlossen werden. Zutreffend wird schliesslich in der Lehre darauf hingewiesen, der Gläubiger sei dazu verpflichtet, zuhanden des Schuldners eine Abrechnung zu erstellen, den Preis von seiner Forderung abzuziehen und einen allfälligen Überschuss herauszugeben. Nach den verbindlichen Feststellungen des Handelsgerichts waren die soeben erwähnten Voraussetzungen, die eine Übervorteilung der Klägerin ausschlossen, im vorliegenden Fall erfüllt. Das Handelsgericht durfte somit die von der Klägerin im kantonalen Verfahren erhobenen Hauptbegehren, welchen die Auffassung zugrunde lag, der Selbsteintritt zum damals geltenden Börsenkurs sei ungültig, abweisen, ohne damit Bundesrecht zu verletzen.
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1,993
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CH_BGE_004
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Urteilskopf 118 Ib 277 35. Extrait de l'arrêt de la Ire Cour de droit public du 28 juillet 1992 dans la cause S. contre Préposé spécial au traitement des documents établis pour assurer la sécurité de l'Etat (recours de droit administratif).
Regeste Einsicht in Karteikarten und Dossiers des Polizeidienstes der Bundesanwaltschaft. Unzulässigkeit der Verwaltungsgerichtsbeschwerde gegen Entscheide des Sonderbeauftragten für die Behandlung der Staatsschutzakten des Bundes. Vereinbarkeit des Rechtsschutzes nach StaVo mit Art. 13 EMRK . 1. Entscheide des Sonderbeauftragten betreffend die Einsicht in Karteikarten (Fichen) des Polizeidienstes der Bundesanwaltschaft, welche in Anwendung von Art. 5 ff. der Verordnung über die Behandlung von Staatsschutzakten des Bundes (StaVo, SR 172.014) getroffen werden, betreffen die (innere und äussere) Sicherheit des Landes im Sinne von Art. 100 lit. a OG und können daher nicht mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde angefochten werden. Es steht einzig die Beschwerde an den Bundesrat nach Art. 14 StaVo in Verbindung mit Art. 72 VwVG offen (E. 2). 2. Zuständigkeit des Bundesgerichts zur Prüfung der Vereinbarkeit von Art. 100 lit. a OG mit Art. 13 EMRK (E. 3). 3. Die behördliche Erhebung von Daten über das Privatleben von Bürgern, deren Aufbewahrung zu Staatsschutzzwecken und die Verweigerung der Einsichtnahme stellen Eingriffe in das von Art. 8 EMRK geschützte Privatleben dar (E. 4). 4. Tragweite des Anspruchs auf eine wirksame Beschwerde vor einer nationalen Instanz im Sinne von Art. 13 EMRK (E. 5). 5. Der Rechtsschutz, wie er gestützt auf die StaVo mit den Entscheiden des Sonderbeauftragten, des Ombudsmannes und des Bundesrates gewährt wird, genügt im vorliegenden Fall den Anforderungen von Art. 13 EMRK (E. 6).
Sachverhalt ab Seite 279 BGE 118 Ib 277 S. 279 S. a demandé au Ministère public de la Confédération l'accès aux fiches et dossiers le concernant. Le Préposé spécial au traitement des documents établis pour assurer la sécurité de l'Etat a remis à S. une photocopie de sa fiche, en masquant les données relatives aux informateurs. Cette décision indique la voie de la réclamation au médiateur et celle du recours au Conseil fédéral. Agissant par la voie du recours de droit administratif, S. demande au Tribunal fédéral d'annuler la décision du Préposé spécial en tant qu'elle limite son droit de consulter les fiches et dossiers du Ministère public constitués à son sujet, et de lui faire remettre ces documents dans leur forme originale et intégrale. Sous l'angle des art. 4 Cst. et 6 CEDH, il invoque le droit de consulter le dossier et se plaint d'un déni de justice. Il allègue en outre une violation de la liberté personnelle, ainsi que des art. 8 à 10 et 13 CEDH. Le Tribunal fédéral a déclaré le recours de droit administratif irrecevable et l'a transmis au Conseil fédéral comme objet de sa compétence. Erwägungen Extrait des considérants: 2. a) A teneur de l' art. 97 al. 1 OJ , le Tribunal fédéral connaît en dernière instance des recours de droit administratif contre des décisions au sens de l' art. 5 PA . La décision attaquée est fondée sur le droit public fédéral, soit les art. 5 ss de l'ordonnance du 5 mars 1990 relative au traitement des documents de la Confédération établis pour assurer la sécurité de l'Etat (ODSE; RS 172.014). Elle est donc en principe attaquable par la voie du recours de droit administratif, sous réserve des exceptions prévues aux art. 98 ss OJ . b) De l'avis du Préposé spécial, le recours de droit administratif ne serait pas recevable au regard de l' art. 100 let. a OJ ; seule serait ouverte la voie du recours administratif au Conseil fédéral, en vertu de l' art. 14 al. 2 ODSE , en relation avec l'art. 73 (recte: 72) let. b PA. BGE 118 Ib 277 S. 280 Le recourant estime au contraire que la notion de "décision touchant à la sécurité intérieure ou extérieure du pays" au sens de l' art. 100 let. a OJ devrait être interprétée restrictivement; elle ne viserait pas le cas d'espèce. Dans ses arrêts du 29 mai 1991, concernant les réclamations de droit public formées respectivement par le canton de Genève contre la Confédération et la Confédération contre le canton de Bâle-Campagne, le Tribunal fédéral a jugé que les données dont le traitement et la consultation sont réglés par l'ODSE concernent en premier lieu la sûreté intérieure et extérieure de la Confédération, domaine qui relève de sa propre compétence ( ATF 117 Ia 217 /218 consid. 6, 232 consid. 4c et d). La décision attaquée, prise en vertu de cette ordonnance, entre ainsi dans le champ d'application de l'exception prévue à l' art. 100 let. a OJ ; au regard du droit interne, elle ne peut, partant, faire l'objet d'un recours de droit administratif, et c'est le Conseil fédéral qui est en principe compétent pour en connaître selon l' art. 72 let. b PA . La jurisprudence citée par le recourant ( ATF 104 Ib 131 /132) va dans le même sens. Elle souligne que l' art. 100 let. a OJ vise exclusivement les mesures touchant à la sécurité intérieure et extérieure de la Suisse, et notamment les "actes de gouvernement" (cf. aussi ATF 110 Ib 4 consid. 1b). Cette notion recouvre aussi les mesures prises par les autorités de police fédérale et cantonales pour assurer la surveillance et la prévention d'actes de nature à mettre en péril la sûreté intérieure ou extérieure de la Confédération, notamment la lutte contre le terrorisme, l'espionnage, l'extrémisme violent et le crime organisé (cf. art. 4 al. 2 et 5 al. 3 ODSE; ATF 117 Ia 231 consid. 4a). Le traitement et la consultation des fichiers et dossiers constitués dans l'accomplissement de cette tâche relèvent donc de la sécurité de l'Etat. La procédure instituée par l'ODSE a précisément pour but de garantir le droit constitutionnel à la consultation du dossier dans les limites inhérentes à la protection de la sécurité de l'Etat. Les décisions rendues en vertu de cette ordonnance par le Préposé spécial touchent ainsi à la sûreté de l'Etat, ce qui exclut le recours de droit administratif au Tribunal fédéral, eu égard au texte clair de l' art. 100 let. a OJ . 3. Dans sa réplique du 8 décembre 1990, le recourant fait valoir que la voie du recours au Conseil fédéral ne garantirait pas le droit à un "recours effectif devant une instance nationale" au sens de l' art. 13 CEDH , en relation avec l' art. 8 CEDH . a) En vertu des art. 113 al. 3 et 114bis al. 3 Cst., le Tribunal fédéral BGE 118 Ib 277 S. 281 doit se conformer aussi bien aux lois et arrêtés de portée générale votés par l'Assemblée fédérale qu'aux traités que cette Assemblée a ratifiés. La Constitution ne règle toutefois pas de manière expresse le cas où, comme en l'espèce, le Tribunal fédéral est saisi du grief qu'une loi fédérale violerait un traité. b) Le Tribunal fédéral est compétent pour examiner le grief de la violation d'un traité international invoqué conjointement avec la violation de dispositions de droit administratif fédéral ( ATF 99 Ib 42 /43 consid. 1). De manière générale, le droit international l'emporte sur les lois fédérales ( ATF 113 Ib 186 consid. 3, ATF 112 V 151 consid. 2c, ATF 111 Ib 71 consid. 3, ATF 111 V 202 consid. 2b, ATF 110 V 76 consid. 2b, ATF 109 Ib 173 consid. 7b), à moins que le législateur fédéral n'ait sciemment voulu s'écarter de la norme internationale en édictant une norme postérieure contraire au traité liant la Suisse; cette volonté s'impose au Tribunal fédéral en vertu de l' art. 113 al. 3 Cst. ( ATF 99 Ib 44 consid. 3, ATF 111 V 202 /203 consid. 2b, ATF 112 II 13 consid. 8). L'Assemblée fédérale a édicté les art. 100 let. a OJ et 72 ss PA dans leur teneur actuelle le 20 décembre 1968, soit avant la ratification par la Suisse de la Convention européenne des droits de l'homme, le 28 novembre 1974. Le Tribunal fédéral doit par conséquent procéder à l'examen de la conformité de ces règles internes au droit conventionnel. Point n'est besoin dès lors de rechercher si la restriction apportée par l' ATF 99 Ib 44 doit être maintenue. 4. a) Le droit de consulter les dossiers de police est l'un des aspects du droit d'être entendu garanti par l' art. 4 Cst. ( ATF 113 Ia 3 consid. 2, 262 consid. 4a, ATF 112 Ia 100 /101 consid. 5b). Il se trouve aussi en relation étroite avec la liberté personnelle ( ATF 113 Ia 5 /6 consid. 4 b/bb, 263/264 consid. 4c) et la protection de la vie privée et familiale, du domicile et de la correspondance au sens de l' art. 8 CEDH ( ATF 113 Ia 6 /7 consid. 4b/bb; cf. aussi ATF 109 Ia 279 /280 consid. 4a), ainsi qu'avec la liberté d'opinion et d'expression. b) Selon la jurisprudence des organes de Strasbourg, le fait de collecter des données relatives à la vie privée d'un citoyen, de les conserver dans un registre secret, de les communiquer à d'autres services de l'Etat et d'en refuser la consultation par la personne concernée, constitue une "ingérence" dans l'exercice d'un droit garanti par l' art. 8 par. 1 CEDH (arrêt de la Cour européenne des droits de l'homme du 26 mars 1987 dans la cause Leander, Série A/No 116, par. 48; cf. aussi l'arrêt du 7 juillet 1989 dans la cause Gaskin, Série A/No 160, par. 37; la question avait été laissée indécise dans le rapport de la Commission européenne des droits de l'homme BGE 118 Ib 277 S. 282 du 4 mai 1979 dans la cause X., DR 16 p. 145 ss; STEPHAN BREITENMOSER, Der Schutz der Privatsphäre gemäss Art. 8 EMRK, thèse Bâle, 1986, p. 240 ss, 244, 246; LUZIUS WILDHABER, EMRK-Kommentar, No 323-337, 739-744 ad art. 8). c) A teneur de l' art. 8 par. 2 CEDH , il ne peut y avoir ingérence d'une autorité publique dans l'exercice des droits résultant de l' art. 8 par. 1 CEDH que pour autant que cette ingérence est prévue par la loi et qu'elle constitue une mesure qui, dans une société démocratique, est nécessaire à la sécurité nationale, à la sûreté publique, au bien-être économique du pays, à la défense de l'ordre et à la prévention des infractions pénales, à la protection de la santé ou de la morale, ou à la protection des droits et libertés d'autrui. Dans l'affaire Leander déjà citée, le recourant soutenait que ses antécédents personnels ou politiques ne justifiaient pas que l'autorité compétente, en l'occurrence le Conseil national de la police, l'inscrive dans le registre des personnes dangereuses en raison de leurs opinions extrémistes, et lui refuse l'accès à un emploi touchant la sécurité nationale. La Cour européenne des droits de l'homme a estimé que cette ingérence répondait à un but légitime, qu'elle reposait sur une base légale suffisante, et que, compte tenu des garanties procédurales offertes au requérant, cette atteinte n'était pas disproportionnée. La Cour a ainsi conclu à l'absence de violation de l' art. 8 CEDH (arrêt cité, par. 68). d) Avant l'adoption de l'ODSE, le Conseil fédéral, statuant comme autorité de recours, avait aussi eu l'occasion de dire que le refus de consulter les dossiers établis pour assurer la sécurité de l'Etat constitue une ingérence dans les droits des citoyens compatible avec l' art. 8 par. 2 CEDH (décision du 28 septembre 1983, JAAC 1983.40). e) Dans un domaine proche, on relèvera que, selon la Cour européenne des droits de l'homme, les mesures de surveillance secrète de la vie privée des citoyens (notamment les écoutes téléphoniques et le contrôle du courrier) portent atteinte aux droits garantis par l' art. 8 par. 1 CEDH (arrêts du 6 septembre 1978, en la cause Klass et consorts, Série A/No 28, par. 41; du 2 août 1984, en la cause Malone, Série A/No 82, par. 64; du 24 avril 1990, en la cause Kruslin, Série A/No 176-A, par. 26). Il est à relever que dans l'affaire Leander, la Commission européenne des droits de l'homme avait déclaré irrecevable le grief tiré de la violation de l' art. 6 par. 1 CEDH , invoqué parallèlement à l'art. 13 et en relation avec l' art. 8 CEDH . L'atteinte à la liberté personnelle dont se plaint le recourant se confond matériellement avec le grief tiré de la violation de l' art. 8 BGE 118 Ib 277 S. 283 CEDH . Il reste à examiner si la procédure de recours instituée par le droit interne en ce domaine répond aux exigences de l' art. 13 CEDH . 5. a) A teneur de l' art. 13 CEDH , toute personne dont les droits et libertés reconnus dans la Convention ont été violés a droit à l'octroi d'un recours effectif devant une instance nationale, alors même que la violation aurait été commise par des personnes agissant dans l'exercice de leurs fonctions officielles. b) Le Tribunal fédéral a déjà jugé que la voie du recours administratif au Département fédéral de justice et police contre les décisions rendues par l'autorité inférieure, en matière d'asile et de police des étrangers, satisfait à l'exigence d'un recours effectif devant une instance nationale au sens de l' art. 13 CEDH , dès lors que le recourant qui se plaint d'une atteinte à ses droits peut faire valoir ses arguments devant une autorité statuant avec une cognition pleine et investie du pouvoir d'annuler ou de réformer la décision attaquée ( ATF 111 Ib 73 consid. 4; JAAC 1983.40; cf. aussi les arrêts non publiés B., du 12 mai 1989, S., du 12 juin 1990 et A., du 26 mars 1991; ARTHUR HAEFLIGER, Das Erfordernis einer nationalen Beschwerde bei Verletzung der Europäischen Menschenrechtskonvention, in: Die schweizerische Rechtsordnung in ihren internationalen Bezügen, Berne, 1988, p. 27 ss, 29, 31; THOMAS A. WETZEL, Das Recht auf eine wirksame Beschwerde bei einer nationalen Instanz (Art. 13 EMRK) und seine Ausgestaltung in der Schweiz, thèse Bâle, 1983, p. 156-158; critique à cet égard: PETER SALADIN, Völkerrechtliches ius cogens und schweizerisches Landesrecht, in: Die schweizerische Rechtsordnung in ihren internationalen Bezügen, Berne, 1988, p. 67 ss, 94-96). c) La jurisprudence des organes de Strasbourg a connu un nouveau développement dans l'arrêt Leander. Dans l'interprétation de l' art. 13 CEDH , il convient désormais de respecter les principes suivants: "... a) un individu qui, de manière plausible, se prétend victime d'une violation des droits reconnus dans la Convention doit disposer d'un recours devant une "instance" nationale afin de voir statuer sur son grief et, s'il y a lieu, d'obtenir réparation (...); b) l'"instance" dont parle l'art. 13 n'a pas besoin d'être une institution judiciaire, mais alors ses pouvoirs et les garanties qu'elle présente entrent en ligne de compte pour apprécier l'efficacité du recours s'exerçant devant elle; c) l'ensemble des recours offerts par le droit interne peut remplir les conditions de l'art. 13 même si aucun d'entre eux n'y répond en entier à lui seul; BGE 118 Ib 277 S. 284 d) l'art. 13 n'exige pas un recours par lequel on peut dénoncer, devant une autorité nationale, les lois d'un Etat contractant comme contraires en tant que telles à la Convention ou à des normes juridiques nationales équivalentes)..." (Arrêt cité, par. 77). La Cour a aussi précisé qu'un "recours effectif" au sens de l' art. 13 CEDH "doit s'entendre d'un recours aussi effectif que possible, eu égard aux limitations inhérentes à tout système de contrôle secret des candidats à des postes importants du point de vue de la sécurité nationale" (par. 78-79 et 84). La Cour a jugé que la procédure de plainte au gouvernement contre une décision de refus par le Conseil national de la police de l'autorisation de consulter les dossiers de la Sûreté, envisagée isolément, n'était pas suffisante au regard de l' art. 13 CEDH (par. 84). Cette norme conventionnelle n'avait toutefois pas été violée en l'occurrence, car Leander disposait non seulement du droit de recourir auprès du gouvernement, mais aussi de la faculté de s'adresser au Chancelier de la Justice et au médiateur parlementaire. Or, ces deux autorités peuvent connaître des réclamations individuelles, et contrôler l'activité du Conseil national de la police. Qu'elles ne disposent pas d'un pouvoir de décision contraignant, mais seulement celui d'émettre des recommandations, n'y change rien (par. 76 ss, 81 et 82; cf. l'opinion dissidente sur ce point des juges Ryssdal, Pettiti et Russo, ainsi que celles de MM. Frowein, Opsahl, Jörundsson, Trechsel, Kiernan et Batliner, membres de la Commission; aussi critique à cet égard, GÉRARD COHEN-JONATHAN, La Convention européenne des droits de l'homme, Paris, 1989 p. 269 ss, 272/273). d) Dans ce contexte, le Comité des Ministres du Conseil de l'Europe a adopté, le 17 septembre 1987, une Recommandation R (87)15 visant à réglementer l'utilisation de données à caractère personnel dans le secteur de la police. Ce texte, fondé notamment sur l' art. 8 CEDH , pose le principe que chaque Etat membre devrait disposer d'une autorité indépendante et extérieure à la police, chargée de veiller au respect des principes définis dans la Recommandation et touchant à la collecte, à l'enregistrement, à l'utilisation et à la communication à des fins de police des données à caractère personnel qui font l'objet d'un traitement automatisé (1.1). La collecte de telles données devrait se limiter à ce qui est nécessaire à la prévention d'un danger concret ou à la répression d'une infraction pénale déterminée (2.1). La Recommandation, qui contient en outre des principes relatifs à l'enregistrement, BGE 118 Ib 277 S. 285 l'utilisation, la communication, la conservation, la mise à jour et la sécurité de ces données, prévoit aussi que l'autorité de contrôle devrait prendre les mesures propres à assurer la publicité de l'existence de fichiers et l'information du public (6.1), notamment en ce qui concerne le droit d'avoir accès au fichier de police (6.2) et la rectification des données inexactes ou non pertinentes (6.3). L'exercice de ce droit ne pourrait faire l'objet de restrictions que dans la mesure nécessaire pour l'accomplissement d'une tâche légale de la police ou pour la protection de la personne concernée ou des droits et libertés d'autrui (6.4). La décision motivée refusant l'accès au fichier devrait être notifiée par écrit et pouvoir être attaquée devant une autorité indépendante qui s'assurera du bien-fondé du refus (6.6). Le 11 mars 1992, l'Assemblée du Conseil de l'Europe a adopté une Recommandation 1181 (1992) invitant le Conseil des Ministres à élaborer une convention consacrant les principes énoncés dans la Recommandation R (87) 15 et à promouvoir l'application de ces principes dans la coopération policière entre les Etats membres et entre ceux-ci et les Etats tiers. Selon l'Assemblée, cette convention devrait notamment prévoir la création dans les Etats d'une "autorité indépendante, en dehors du secteur de la police, chargée d'assurer le respect des principes énoncés dans une telle convention". C'est à la lumière de cette jurisprudence et de ces recommandations qu'il faut examiner la conformité à l' art. 13 CEDH des voies de plainte et de recours instituées par l'ODSE, en relation avec l' art. 100 let. a OJ . 6. A teneur de son art. 1, l'ODSE a pour but de garantir aux personnes au sujet desquelles la police fédérale possède des documents établis pour assurer la sécurité de l'Etat le droit de défendre leurs droits de la personnalité sans que soit entravée l'exécution des tâches de protection de l'Etat (al. 1). Les documents de la Confédération établis pour assurer la sécurité de l'Etat sont placés sous la garde du Préposé spécial qui statue sur les demandes de consultation de ces documents en lieu et place du Ministère public de la Confédération (al. 2). Ses décisions peuvent être soumises au médiateur institué à cet effet (al. 3). Le Préposé spécial est nommé par le Conseil fédéral (art. 12 al. 1), ainsi que le médiateur, qui veille au respect de l'ordonnance, sur requête de la personne qui a demandé la consultation des documents la concernant (art. 13 al. 1). Le médiateur peut consulter tous les documents établis pour assurer la sécurité de l'Etat en possession du Service de police du Ministère public de la Conféderation et demander BGE 118 Ib 277 S. 286 tout renseignement utile au Préposé spécial, au Ministère public de la Confédération ou à d'autres services de la Confédération; l'administration ne peut invoquer le secret de fonction envers le médiateur (art. 13 al. 2). A teneur de l'art. 14, celui qui fait valoir que sa demande de consultation n'a pas été traitée conformément à l'ordonnance peut s'adresser dans les trente jours au médiateur (al. 1). Si celui-ci estime que l'ordonnance a été respectée, il en fait part au requérant, qui peut interjeter recours au Conseil fédéral (al. 2). Si en revanche le médiateur estime que l'ordonnance n'a pas été respectée, il en fait part au Préposé spécial et au requérant; le Préposé spécial rend alors une nouvelle décision qui peut faire l'objet d'un recours au Conseil fédéral (al. 3). Le Préposé spécial et le médiateur sont indépendants des autorités de police qui ont constitué les documents dont la consultation peut être demandée par les citoyens concernés. Ils ne sont pas subordonnés hiérarchiquement au Ministère public ou au Département fédéral de justice et police, pas plus qu'ils ne reçoivent d'instructions de la part du Conseil fédéral. Ces agents publics investis de pouvoirs autonomes remplissent une mission spéciale de contrôle de l'activité administrative, qui les place au-dessus des fonctionnaires de police et leur garantit l'indépendance nécessaire pour procéder équitablement à la pesée des intérêts en présence. Certes, le médiateur ne peut pas annuler ni modifier les décisions du Préposé spécial, mais seulement l'amener à reconsidérer sa décision. De même, le système institué par l'ordonnance ne prévoit pas l'intervention d'autres organes indépendants de l'administration, comme c'est le cas en droit suédois, équivalents au Chancelier de la Justice ou Conseil national de la police, au sein duquel siègent des parlementaires; or, la Cour européenne des droits de l'homme a accordé une certaine importance à cet élément, dans son appréciation d'ensemble du système examiné dans le cadre de l'affaire Leander (par. 82). Cela étant, l'ordonnance offre au citoyen des garanties de procédure importantes. La décision relative à la consultation des documents émane d'un Préposé spécial indépendant de l'administration; elle est ensuite soumise au contrôle du médiateur, et, le cas échéant, du Conseil fédéral statuant comme autorité de recours. Dans le cadre de cette procédure du recours administratif devant le Conseil fédéral, l'instruction des recours dirigés contre les décisions rendues en vertu de l'ODSE est confiée à un autre département que celui de justice et police ( art. 75 al. 2 PA ). Le Conseil fédéral constate les faits d'office ( art. 12 PA ); il dispose d'une cognition pleine et d'un pouvoir de décision libre BGE 118 Ib 277 S. 287 sur toutes les questions (art. 62). Les parties ont le droit d'être entendues ( art. 18, 26, 29 ss PA ). Considéré dans son ensemble, le système de protection juridique mis en place par l'ordonnance prend suffisamment en compte le droit du citoyen de faire contrôler par une autorité indépendante l'activité de la police dans l'accomplissement de ses tâches de protection de l'Etat. L'intervention successive du Préposé spécial, du médiateur et du Conseil fédéral assure au citoyen une protection suffisante de ses droits de la personnalité et le met pratiquement à l'abri de toute action intempestive des organes de police. Les voies de plainte et de recours prévus par l'ODSE répondent ainsi aux exigences minimales de l' art. 13 CEDH et des Recommandations R (87) 15 et 1811 du Conseil de l'Europe. Le recours de droit administratif est par conséquent irrecevable; il doit être transmis au Conseil fédéral, seule autorité compétente pour en connaître (cf. art. 96 al. 1 OJ ).
public_law
nan
fr
1,992
CH_BGE
CH_BGE_003
CH
Federation
718bd513-70b9-41dc-bfcb-44a0c9369826
Urteilskopf 116 II 580 103. Estratto della sentenza 27 dicembre 1990 della II Corte civile nella causa X contro Dipartimento di giustizia della Repubblica e Cantone del Ticino (ricorso di diritto amministrativo)
Regeste Bundesbeschluss über eine Pfandbelastungsgrenze für nichtlandwirtschaftliche Grundstücke vom 6. Oktober 1989: Benützung von leeren Pfandstellen (Art. 4). Die Besetzung einer leeren, vor Inkrafttreten des Bundesbeschlusses errichteten Pfandstelle mit einem neuen Pfandrecht kommt der Errichtung eines neuen Grundpfandes gleich. Demzufolge muss die Belastungsgrenze von vier Fünfteln des Verkehrswertes beachtet werden.
Sachverhalt ab Seite 580 BGE 116 II 580 S. 580 A.- X è proprietario delle particelle n. 1090, 1092 e 1173 RFD del Comune di T. e delle particelle n. 60 e 61 RFD del Comune di B. sulle quali gravano pegni collettivi per una somma totale di fr. 11'220'000.--. A carico delle particelle n. 1090, 1092, 1173 di T. e n. 60 di B. è iscritto, in ottavo rango, un posto vacante per la somma di fr. 2'780'000.--, e a carico della particella n. 61 di B. uno, in decimo rango, per la somma di fr. 2'050'000.--. Il 22 febbraio 1990 X ha chiesto l'emissione di quattro cartelle ipotecarie al portatore per complessivi fr. 2'050'000.-- a carico delle particelle n. 1090, 1092 e 1173 di T. e n. 60 e 61 di B., come pure di una cartella ipotecaria al portatore di fr. 730'000.-- a carico delle particelle n. 1090, 1092 e 1173 di T. e n. 60 di B.; il tutto per un totale di fr. 2'780'000.--. I nuovi pegni immobiliari erano destinati a occupare i posti liberi menzionati sopra. B.- L'ufficiale del registro fondiario di Lugano ha respinto l'istanza con decisione del 20 marzo 1990, osservando che l'aggravio esistente superava i quattro quinti del valore venale pari alla somma di fr. 6'000'000.-- pagata per l'acquisto delle particelle in questione avvenuto il 22 gennaio 1986. L'8 giugno 1990 il Dipartimento di BGE 116 II 580 S. 581 giustizia del Cantone Ticino, autorità di vigilanza sul registro fondiario, ha respinto un ricorso dell'istante contro il rifiuto di iscrizione. C.- Il 10 luglio 1990 X ha introdotto un ricorso di diritto amministrativo al Tribunale federale in cui chiede che, annullata la predetta decisione dell'autorità cantonale di vigilanza, sia dato seguito alla richiesta d'iscrizione delle cartelle ipotecarie. L'autorità cantonale dichiara di rimettersi al giudizio del Tribunale federale. Il Dipartimento federale di giustizia e polizia propone di respingere il gravame. Erwägungen Dai considerandi: 2. Giusta gli art. 1 e 4 del decreto federale concernente un limite d'aggravio di pegni su fondi non agricoli del 6 ottobre 1989 (RS 211.437.3, DFLA), questi ultimi non possono essere gravati con pegni immobiliari oltre i quattro quinti del valore venale. Il valore venale è uguale al prezzo di acquisto indicato nell'atto oppure alla stima ufficiale prevista dall'art. 843 CC (art. 4 cpv. 2 DFLA). Il solo problema che si pone nel caso in esame è quello di sapere se la limitazione prescritta dall'art. 4 DFLA si applichi anche a un posto vacante, una "riservata precedenza" secondo la terminologia cantonale, costituito prima dell'entrata in vigore del noto decreto. In caso di risposta affermativa, non è contestato che l'aggravio esistente è superiore ai quattro quinti del valore venale dei fondi e che, pertanto, la costituzione di nuove cartelle ipotecarie mediante occupazione dei posti di pegno liberi è esclusa. 3. Il ricorrente sostiene che l'aggravio esistente a carico di un fondo è costituito dall'insieme delle iscrizioni risultanti dal registro fondiario, indipendentemente dalla consistenza effettiva dei debiti garantiti da pegno. Tali iscrizioni possono riguardare mutui fissi (art. 794 cpv. 1 CC), garanzie ipotecarie massimali (art. 794 cpv. 2 e art. 825 CC), garanzie per crediti anche futuri o solo eventuali (art. 824 cpv. 1 CC), cartelle ipotecarie del proprietario e infine posti ipotecari liberi (art. 813 CC). A parere del ricorrente l'esclusione di questi ultimi conferirebbe effetto retroattivo al decreto federale in rassegna e andrebbe oltre gli scopi voluti dal legislatore, la cui intenzione non sarebbe mai stata, ad esempio, di impedire il reimpiego di ranghi ipotecari che venissero liberati attraverso cartelle ipotecarie ritornate in possesso del proprietario del fondo al momento dell'estinzione del relativo debito e la cancellazione dell'ipoteca. BGE 116 II 580 S. 582 Il divieto di utilizzare posti liberi comporterebbe - sempre a suo dire - una modifica dei rapporti di diritto privato tra il proprietario del fondo e i suoi creditori, garantiti da diritti di pegno di grado posteriore, a solo beneficio di questi ultimi. Una cosa sarebbe la costituzione di un nuovo diritto di pegno in ultimo grado e un'altra la sostituzione di un pegno preesistente o l'uso di un posto ipotecario già esistente. Nella seconda ipotesi non occorrerebbe creare nuovi rapporti obbligatori tra il proprietario del fondo e i terzi. 4. a) L'argomentazione del ricorrente non può essere condivisa. Il sistema del posto ipotecario libero permette al proprietario del fondo di costituire un nuovo pegno senza tener conto di quelli di grado posteriore già esistenti. Un posto vacante può essere creato mediante la cancellazione di un pegno già esistente oppure, come nel caso concreto, semplicemente attraverso la costituzione di un pegno di grado posteriore, riservando come precedenza una determinata somma senza che quest'ultima corrisponda a un pegno effettivo (art. 813 cpv. 2 e art. 814 CC; RIEMER, Die beschränkten dinglichen Rechte, vol. II, Berna 1986, pag. 107, n. 24-25). Tuttavia, fintanto che il proprietario non fa uso della facoltà di occupare il posto divenuto libero per cancellazione di un pegno esistente in precedenza o di un posto riservato, il pegno non esiste. A giusta ragione l'autorità cantonale ha richiamato l'art. 815 CC, che impone di non tener conto dei posti vacanti nel caso di realizzazione forzata del fondo. L'esistenza di un posto libero o di un posto riservato non rappresenta che la premessa per la costituzione di un pegno di grado anteriore a quelli già esistenti, ai quali non è stato conferito un diritto di subingresso (art. 814 cpv. 3 CC); questa esistenza non sostituisce tuttavia la costituzione stessa. A tale scopo occorre ancora un atto speciale. b) Ciò significa, dal profilo del decreto federale concernente il limite d'aggravio dei fondi, che la costituzione di un pegno destinato a occupare un posto vacante equivale alla costituzione di un nuovo pegno e che il posto divenuto libero o riservato non fa parte dell'aggravio esistente. Una soluzione diversa non si giustifica per il fatto che il legislatore ha sottratto all'applicazione del decreto le cartelle ipotecarie al portatore nelle mani del proprietario (art. 8 lett. b del decreto), permettendo in tal modo la costituzione, immediatamente prima dell'entrata in vigore del decreto stesso - ciò che è puntualmente avvenuto - di cartelle ipotecarie eccedenti il limite di aggravio (BIBER, Bundesbeschluss über BGE 116 II 580 S. 583 eine Pfandbelastungsgrenze für nichtlandwirtschaftliche Grundstücke, in: Dringliches Bodenrecht, Zurigo 1990, pag. 89). Poiché in concreto, come già osservato, il limite di aggravio era largamente superato già prima della domanda di emissione delle nuove cartelle, il ricorso deve essere respinto.
public_law
nan
it
1,990
CH_BGE
CH_BGE_004
CH
Federation
718c5d8d-9bf7-4a61-a56e-f880c122ca7f
Urteilskopf 80 I 58 11. Urteil der I. Zivilabteilung vom 26. Februar 1954 i. S. E. Knoblauch & Co. gegen Eidg. Amt für geistiges Eigentum.
Regeste Markeneintragung. Verbot der Verwendung von Wappen der Kantone oder von mit ihnen verwechselbaren Zeichen als Markenbestandteile ( Art. 13 bis Abs. 1 Ziff. 1 und 3 MSchG , Art. 1 Abs. 1 Ziff. 1 und 3 BG zum Schutze öffentlicher Wappen und anderer öffentlicher Zeichen vom 5. Juni 1931).
Erwägungen ab Seite 58 BGE 80 I 58 S. 58 1. Die von der Beschwerdeführerin zur Eintragung angemeldete Marke hat die Form eines Wappenschildes. Sie zeigt, innerhalb einer weissen Umrandung mit der schwarzen Inschrift "Knoblauch. Kartonfabriken. Oberentfelden", auf rot/weiss quergeteilter Fläche drei gekreuzte, je hälftig in den Gegenfarben weiss/rot von den Grundfeldern abgehobene Knoblauchzwiebeln zwischen den schwarz über der Mittellinie angebrachten Zahlen 14 und 86. Die Ablehnung durch das Eidg. Amt für geistiges Eigentum erfolgte, weil der Hintergrund der Marke dem Wappen des Kantons Solothurn entspreche. Die Verfügung stützt sich auf Art. 1 Abs. 1 Ziff. 1 und 3 des Bundesgesetzes zum Schutze öffentlicher Wappen und anderer öffentlicher Zeichen vom 5. Juni 1931 sowie auf Art. 13bis Abs. 1 Ziff. 1 und 3 des MSchG. 2. Demgegenüber wendet die Beschwerde im wesentlichen ein: die Stellungnahme des Amtes beruhe auf einer BGE 80 I 58 S. 59 abwegigen gedanklichen Zerlegung der Marke; diese müsse als Ganzes gewürdigt werden; ihr den Gesamteindruck auf Publikum und Kundschaft bestimmendes Merkmal seien die drei gekreuzten Zwiebeln; deren zeichnerische Ausführung gestalte das Markenbild in einer Weise, aus welcher der unbefangene Betrachter, zumal in Verbindung mit dem Worte "Knoblauch" in der Umschrift, sofort auf ein Familienwappen schliesse, und niemand werde irgend eine Beziehung zum Kanton Solothurn vermuten; alsdann sei auch keine Verletzung des Wappenschutzgesetzes zu finden. Allein es ist unbestreitbar, dass die von der Beschwerdeführerin gewählte Marke in charakteristischer Anordnung die Farben des Solothurner Kantonswappens aufweist. Weiter ergibt die Überprüfung, dass dieses als ein zumindest verwechselbares Zeichen zu wertende Element trotz der eingefügten Zwiebelfiguren und der Beschriftung klar ersichtlich bleibt. Durch die genannten Vorschriften des Bundesgesetzes vom 5. Juni 1931 und des MSchG wird privaten Unternehmungen die Verwendung von Wappen der Kantone oder von mit ihnen verwechselbaren Zeichen nicht nur als Marken, sondern auch als Bestandteile von solchen schlechtweg untersagt. Daher ist unerheblich, ob ein derartiger Bestandteil neben anderen grössere oder geringere Bedeutung habe. Es genügt, dass er tatsächlich und erkennbar vorhanden sei. Das trifft für die vorliegende Marke nach dem Gesagten zweifelsfrei zu, was zwingend der Eintragungsverweigerung ruft (vgl. BGE 66 I 195 , BGE 58 I 116 ). 3. Einleitend wird in der Beschwerdeschrift erklärt, die hinterlegte Marke enthalte das Wappen der Familie Knoblauch. Die Behauptung ist neu und gänzlich unbelegt. Es ist auf sie in diesem Verfahren umso weniger einzutreten, als die Beschwerdeführerin daraus keinerlei besondere Folgerungen zieht. Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Beschwerde wird abgewiesen.
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Urteilskopf 124 V 386 66. Auszug aus dem Urteil vom 18. August 1998 i.S. K. gegen Kantonales Amt für Industrie, Gewerbe und Arbeit, Schwyz und Verwaltungsgericht des Kantons Schwyz
Regeste Art. 81 Abs. 2 AVIG . Die kantonale Amtsstelle ist im Zweifelsfallverfahren auch für die Überprüfung laufender Leistungsansprüche zuständig (Änderung der Rechtsprechung von ARV 1953 Nr. 32 S. 31).
Erwägungen ab Seite 386 BGE 124 V 386 S. 386 Aus den Erwägungen: 4. a) Nach Art. 81 Abs. 2 lit. a AVIG unterbreitet die Kasse einen Fall der kantonalen Amtsstelle zum Entscheid, wenn Zweifel darüber bestehen, ob der Versicherte anspruchsberechtigt ist. Dieses Zweifelsfallverfahren findet nach der Rechtsprechung (ARV 1953 Nr. 32 S. 31) nur dann Anwendung, wenn noch keine Leistungen ausgerichtet worden sind. Hat der Versicherte hingegen bereits Arbeitslosenentschädigungen empfangen, liegt es nach Art. 95 AVIG in der Kompetenz der Kasse, die zu Unrecht erbrachten Betreffnisse zurückzufordern (STAUFFER, Rechtsprechung des Bundesgerichts zum Sozialversicherungsrecht, Bundesgesetz über die obligatorische Arbeitslosenversicherung und Insolvenzentschädigung, letzter Absatz von Art. 81). Vorliegend hat die Kasse das Zweifelsfallverfahren erst eingeleitet, nachdem sie bereits Leistungen ausgerichtet hatte und der Leistungsanspruch des Versicherten weiterhin lief. Zumindest hinsichtlich der bereits ausbezahlten Taggelder und Kurskosten hat sie somit dieser Rechtsprechung nicht nachgelebt, als sie dennoch ein Zweifelsfallverfahren eröffnete. Indessen stellt sich die Frage, ob an der Praxis gemäss ARV 1953 Nr. 32 S. 31 festzuhalten ist. b) In der (vom Eidg. Versicherungsgericht im vorliegenden Verfahren eingeholten) Auskunft vom 22. Mai 1998 bestätigt das BWA, dass die auf der erwähnten Rechtsprechung beruhende Konzeption einer Beschränkung des Zweifelsfallverfahrens auf noch nicht zur Auszahlung gelangte Taggelder der BGE 124 V 386 S. 387 heutigen Verwaltungspraxis in den Kantonen nicht mehr entspreche. Es könnten nämlich während der gesamten Dauer des Leistungsbezugs Zweifel an der Anspruchsberechtigung eines Versicherten auftauchen. Oftmals erhielten die Kassen während des laufenden Leistungsbezugs neue Informationen, welche den vormals gefällten bejahenden (oder auch verneinenden) Entscheid über die Bezugsberechtigung als falsch erscheinen liessen. So würden bei der Anmeldung oft nicht alle notwendigen Dokumente vorgelegt. Zudem könne ein Arbeitsloser während des Bezugs umdisponieren, ohne dies der Verwaltung zu melden. Es sei notwendig, die Bezugsberechtigung monatlich neu zu überprüfen, da die in der Anfangsdeklaration gemachten Angaben nicht statisch und von Dauer sein müssten. Die Kantone seien daher schon vor längerer Zeit dazu übergegangen, ein Zweifelsfallverfahren auch bei bereits laufendem Leistungsbezug durchzuführen. Es sei erwünscht, dass das Eidg. Versicherungsgericht seine Rechtsprechung dieser kantonalen Praxis anpasse. Eine Mehrbelastung der Verwaltung ergebe sich daraus nicht. c) Sprechen keine entscheidenden Gründe zugunsten einer Praxisänderung, ist die bisherige Praxis beizubehalten. Gegenüber dem Postulat der Rechtssicherheit lässt sich eine Praxisänderung grundsätzlich nur begründen, wenn die neue Lösung besserer Erkenntnis der ratio legis, veränderten äusseren Verhältnissen oder gewandelten Rechtsanschauungen entspricht ( BGE 123 V 157 Erw. 3b, 122 V 129 Erw. 4, BGE 121 V 85 f. Erw. 6a, 92 Erw. 5b, BGE 119 V 260 Erw. 4a). Nach der Rechtsprechung ist eine bisherige Praxis zu ändern, wenn sie als unrichtig erkannt oder wenn deren Verschärfung wegen veränderter Verhältnisse oder zufolge zunehmender Missbräuche für zweckmässig gehalten wird ( BGE 123 V 157 Erw. 3b, BGE 121 V 86 Erw. 6a, BGE 119 V 260 f. Erw. 4a). d) Vorliegend sind ausreichend gewichtige Gründe für eine Änderung der bisherigen Praxis gemäss ARV 1953 Nr. 32 S. 31 gegeben. Die Beschränkung des Zweifelsfallverfahrens auf noch nicht ausgerichtete Leistungen vermag der Vielfalt der im Verwaltungsalltag vorkommenden Sachverhalte nicht gerecht zu werden. In der Tat können auf vielerlei Weise auch erst im Laufe eines Leistungsbezugs Zweifel an der Anspruchsberechtigung eines Versicherten auftauchen, sei es, dass der Verwaltung für den Anspruch relevante Informationen bisher vorenthalten wurden, sei es, dass der Versicherte umdisponiert, ohne dies der Kasse zu melden. Eine jederzeitige Überprüfung der Anspruchsberechtigung durch die kantonale Amtsstelle muss BGE 124 V 386 S. 388 daher möglich bleiben. Es erscheint somit sachgerecht, die Durchführung eines Zweifelsfallverfahrens auch bei laufendem Leistungsbezug zuzulassen. Es sind keine stichhaltigen Gründe ersichtlich, weshalb dieses Verfahren nur auf Fälle beschränkt werden müsste, in welchen noch keine Leistungen ausgerichtet wurden. Die kantonale Praxis hat es denn auch schon seit längerer Zeit auf Fälle laufender Leistungen ausgedehnt, was sich gemäss Auskunft des BWA bewährt zu haben scheint. In Änderung der bisherigen Rechtsprechung gemäss ARV 1953 Nr. 32 S. 31 ist daher das Zweifelsfallverfahren auch bei laufendem Leistungsbezug zulässig. Damit ist die kantonale Amtsstelle auch in diesen Fällen zum Erlass einer entsprechenden Verfügung zuständig.
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Urteilskopf 94 II 240 39. Auszug aus dem Urteil der II. Zivilabteilung vom 11. Juli 1968 i.S. Müller und Mitbeteiligte gegen Gurtner.
Regeste Gewinnanteilsrecht der Miterben ( Art. 619 ZGB ); Übergangsrecht. 1. Bestand und Inhalt des Gewinnanteilsrechts beurteilen sich nach dem Rechte, das zur Zeit des Erwerbs des Grundstücks durch einen Erben galt (Art. 1 und 15 SchlT/ZGB; Erw. 8, 9). 2. Entsprechende Anwendung von Art. 619 ZGB in der Fassung gemäss Art. 94 LEG auf den Fall, dass der Erblasser zu seinen Lebzeiten ein Grundstück unter dem Verkehrswert an einen mutmasslichen Erben veräusserte (Änderung der Rechtsprechung; Erw. 10). 3. Ausschluss der Anwendung von Art. 619 ZGB durch letztwillige Verfügung? (Erw.11). 4. Anmeldung des Gewinnanteilsrechts zur Vormerkung im Grundbuch ( Art. 963 Abs. 2 ZGB , Art. 15 Abs. 3 GBV analog); Beginn der 15jährigen Frist im Sinne von Art. 619 ZGB in der Fassung gemäss Art. 94 LEG; Angabe des Anrechnungswerts. (Erw. 12).
Sachverhalt ab Seite 241 BGE 94 II 240 S. 241 Gekürzter Tatbestand: A.- Witwe Meier, geb. 1882, war Eigentümerin dreier Grundstücke (Wohnhaus, landwirtschaftliche Gebäude, Hofraum, Garten und Wiesen) mit einer Bodenfläche von zusammen 11'320 m2 in Urdorf. In den Jahren 1953/56 verfügte sie letztwillig im Sinne einer Teilungsvorschrift, ihre Tochter Olga Gurtner-Meier solle ihr ganzes Heimwesen zum Betrage der darauf lastenden Schulden erhalten; falls dieser Übernahmewert nicht anerkannt werde, sei das Heimwesen der genannten Tochter zu dem vom kantonalen Landwirtschaftsamte festzusetzenden Ertragswerte zuzuweisen. Durch öffentlich beurkundeten Vertrag vom 28. Juli 1961 trat sie ihre Grundstücke "als Erbvorbezug aber ohne Anrechnung an den seinerzeitigen Erbteil der Erwerberin am Nachlass ihrer Mutter bezw. Eltern" an Olga Gurtner ab. Die Gegenleistung der Erwerberin bestand nach dem Vertrag darin, dass diese eine Grundpfandschuld von Fr. 19'000.-- übernahm, sich zur sofortigen Zahlung von je Fr. 2000.-- an zwei ihrer Schwestern verpflichtete, ihrer Mutter für deren Lebenszeit den Anspruch auf Wohnung, Unterhalt und Pflege einräumte und auf die ihr nach Art. 633 ZGB zustehenden Lohnansprüche verzichtete. Witwe Meier verzichtete gemäss Ziffer 4 der "Weitern Bestimmungen" des Abtretungsvertrags darauf, dass Frau Gurtner ein Gewinnanteilsrecht BGE 94 II 240 S. 242 zugunsten der Abtreterin oder der andern Kinder der Abtreterin begründe. In den Ziffern 5 und 6 der "Weitern Bestimmungen" wurde festgestellt, gemäss Gutachten des Schätzungsamtes des Schweiz. Bauernverbandes in Brugg vom 10. Juli 1961 betrage der "Ertrags- und Rentenwert" der Liegenschaften Fr. 28'300.--; die Abtretung als Erbvorbezug erfolge nach Massgabe dieser Werte; die Leistungen der Erwerberin seien aber höher. - Der Eigentumsübergang wurde auf Grund der Anmeldung vom 28. Juli 1961 ins Grundbuch eingetragen. Am 16. März 1962 starb Witwe Meier. Sie hinterliess als gesetzliche Erben neun Kinder. Gemäss Steuerinventar belief sich der reine Nachlass auf Fr. 3531.10 (Sparguthaben). B.- Am 15. März 1963 leiteten die Geschwister von Frau Olga Gurtner mit Ausnahme eines Bruders, der seinen Anteil am mütterlichen Nachlass an Olga Gurtner abtrat, gegen diese beim Bezirksgericht Zürich Klage auf Erbteilung ein. Sie verlangten damit die Ungültigerklärung der letztwilligen Verfügungen von Witwe Meier und des Abtretungsvertrags vom 28. Juli 1961, die Feststellung, dass die an die Beklagte abgetretenen Liegenschaften zum Nachlass gehören, allenfalls die Herabsetzung der letztwilligen Verfügungen und der Abtretung auf das erlaubte Mass, sowie die Feststellung und Teilung des Nachlasses. Sie machten vor allem geltend, das der Beklagten abgetretene Land sei baureif und habe einen Verkehrswert von mindestens Fr. 300'000.-- bis 400'000.--; die Erblasserin habe sich bei der Abfassung der letztwilligen Verfügungen und des Abtretungsvertrags in einem wesentlichen Irrtum über den Wert ihrer Grundstücke befunden; eventuell sei in der Abtretung der Liegenschaften eine gemischte Schenkung zu erblicken; die letztwilligen Verfügungen seien durch diese Abtretung aufgehoben worden. Für den Fall, dass die Anordnungen der Erblasserin weder ungültig noch herabsetzbar sein sollten, verlangten die Kläger die Vormerkung des Anspruchs auf einen Anteil am Gewinn gemäss Art. 619 ZGB für die Dauer von 25, allenfalls 15 Jahren. Das Bezirksgericht stellte fest, der Nachlass bestehe aus den erwähnten Sparguthaben, ordnete deren Teilung und wies die Klage im übrigen ab. Das Obergericht des Kantons Zürich bestätigte am 1. Dezember 1967 den Sachentscheid des Bezirksgerichts. BGE 94 II 240 S. 243 C.- Die Kläger legten gegen das Urteil des Obergerichts Berufung an das Bundesgericht ein. Dieses billigte den streitigen Grundstücken mit der Vorinstanz für den Zeitpunkt der Abtretung landwirtschaftlichen Charakter im Sinne von Art. 617 Abs. 2 ZGB zu und wies die Hauptbegehren der Kläger auf Ungültigerklärung oder Herabsetzung der letztwilligen Verfügungen der Erblasserin und der ihren Vollzug vorwegnehmenden Abtretung vom 28. Juli 1961 ab, schützte dagegen das Eventualbegehren der Kläger in dem Sinne, dass es anordnete, zu ihren Gunsten sei zulasten der an die Beklagte abgetretenen Grundstücke das Gewinnanteilsrecht nach Art. 619 ZGB für die Dauer von 15 Jahren seit 28. Juli 1961 vorzumerken; dabei sei anzugeben, dass der Anrechnungswert für alle drei Grundstücke zusammen Fr. 28'300.-- betrage. Erwägungen Aus den Erwägungen: 8. Art. 619 Abs. 1 ZGB bestimmte in seiner ursprünglichen Fassung: "Hat ein Erbe ein Grundstück unter dem Verkehrswert erhalten, so sind die Miterben berechtigt, beim Verkauf des Grundstückes oder eines Teiles desselben binnen der folgenden zehn Jahre einen verhältnismässigen Anteil am Gewinne zu beanspruchen, sofern dieser Anspruch bei der Teilung im Grundbuch vorgemerkt worden ist." Die Fassung gemäss Art. 94 LEG, die nach Art. 108 LEG galt, wenn zur Zeit des Inkrafttretens dieses Gesetzes die Teilung noch nicht abgeschlossen war (vgl. BGE 83 II 112 Erw. 2), weicht von der ursprünglichen Fassung nur darin ab, dass sie eine Dauer des Anspruchs von fünfzehn statt von zehn Jahren vorsieht. Das am 1. Juli 1965 in Kraft getretene Bundesgesetz vom 19. März 1965 über die Änderung der Vorschriften des ZGB und des OR betreffend das Baurecht und den Grundstückverkehr (AS 1965 S. 445 ff.) gab dem Art. 619 Abs. 1 AGB folgende neue Fassung: "Hat ein Erbe ein landwirtschaftliches Grundstück zugeteilt erhalten, für das nicht der Verkehrswert, sondern ein niedrigerer Übernahmepreis festgesetzt worden ist, so sind die Miterben berechtigt, bei der Veräusserung oder Enteignung des Grundstückes oder eines Teiles desselben binnen der folgenden fünfundzwanzig Jahre ihren Anteil am Gewinne zu beanspruchen." BGE 94 II 240 S. 244 Für die Ausrichtung des Gewinnanteils haftet nach dem durch das gleiche Bundesgesetz eingeführten Art. 619 quinquies ZGB der Erwerber solidarisch mit dem Veräusserer, wenn der Gewinnanspruch auf Anmeldung eines Berechtigten im Grundbuch vorgemerkt ist. Art. 218 quinquies OR , der ebenfalls durch das Bundesgesetz vom 19. März 1965 geschaffen wurde, sieht vor: "Auf die Weiterveräusserung oder die Enteignung eines Grundstücks, das vom Erblasser zu Lebzeiten auf einen Erben übertragen worden ist, finden die Vorschriften des ZGB über den Anteil der Miterben am Gewinn entsprechende Anwendung." Der bundesrätliche Entwurf vom 9. April 1963 (BBl 1963 I 1008 ff.), in welchem die dem heutigen Art. 218 quinquies OR entsprechende Vorschrift als Art. 218 quater bezeichnet war, enthielt folgende Übergangsbestimmungen: "IV Der Anspruch auf Anteil am Gewinn richtet sich für vor dem Inkrafttreten des Gesetzes erworbene Grundstücke nach den neuen Vorschriften, sofern er im Grundbuch vorgemerkt und die Frist des alten Rechts von fünfzehn Jahren (Art. 619, Abs. 1, ZGB) noch nicht abgelaufen ist." "VI ..... Artikel 218 quater findet ebenfalls Anwendung auf Grundstücke, an denen der Nachkomme binnen fünfundzwanzig Jahren vor Inkrafttreten des Gesetzes Eigentum erworben hat." Im Nationalrat beantragten die Berichterstatter Raissig und Aebischer namens der Kommission die Streichung von Ziffer IV mit der Begründung, es wäre sehr erwünscht, wenn in Fällen, wo die 15jährige Frist des bisherigen Rechts noch nicht abgelaufen ist, das neue Recht mit der verlängerten Frist von 25 Jahren angewendet werden könnte; mit der Rückwirkung würden aber "fundamentale Grundsätze unserer Rechtsordnung verletzt"; "Gesetzesbestimmungen werden für die Zukunft gemacht, nicht rückwirkend"; vor allem sei es nicht möglich, nicht zwingende Bestimmungen wie diejenigen über das Gewinnanteilsrecht der Miterben, das vertraglich abgeändert werden könne, rückwirken zu lassen (Votum Raissig, Sten.Bull. 1964, NR, S. 379); die vorgeschlagene Bestimmung sei mit dem Schutz der wohlerworbenen Rechte, der sich aus BGE 94 II 240 S. 245 der Eigentumsgarantie ergebe, nicht vereinbar; nach einem Gutachten von Prof. Liver seien die Bestimmungen über den Gewinnanteil der Miterben nicht als rückwirkend zu erklären, weil sie nicht um der öffentlichen Ordnung und Sittlichkeit willen aufgestellt und daher nicht zwingend seien (Votum Aebischer, Sten.Bull. a.a.O.). Der Nationalrat stimmte dem Antrag auf Streichung von Ziffer IV diskussionslos zu (a.a.O.) und strich auch Ziffer VI Abs. 2, nachdem die Berichterstatter darauf hingewiesen hatten, dass die Frage der Rückwirkung für Art. 218 quater (heute: quinquies) OR gleich geregelt werden müsse wie für den darin als entsprechend anwendbar erklärten Art. 619 ZGB (Sten. Bull. 1964, NR, S. 402 ff.). Der Ständerat beschloss nach Anhören des Berichterstatters Öchslin, der im wesentlichen die Ausführungen von Nationalrat Raissig wiederholte, im gleichen Sinne (Sten.Bull. 1964, StR, S. 339, 343). Das Bundesgesetz vom 19. März 1965 enthält demgemäss keine Bestimmungen über die zeitliche Geltung der neuen Bestimmungen des ZGB über den Gewinnanteil der Miterben und der neuen Vorschrift des OR, welche die entsprechende Anwendung dieser Bestimmungen auf die vom Erblasser zu Lebzeiten vorgenommene Übertragung eines Grundstücks auf einen Erben vorsieht. Wo im Zivilrecht besondere Übergangsbestimmungen fehlen, sind nach ständiger Rechtsprechung des Bundesgerichts grundsätzlich die im Schlusstitel des ZGB aufgestellten Regeln über die Anwendung des bisherigen und des neuen Rechts massgebend ( BGE 79 I 270 f., BGE 80 II 157 , BGE 84 II 181 /82, BGE 90 II 139 , BGE 92 I 238 Erw. 4). Die eidgenössischen Räte haben denn auch die im Entwurf vom 9. April 1963 enthaltenen Übergangsbestimmungen gerade deshalb gestrichen, weil sie sich mit den allgemeinen Grundsätzen des intertemporalen Rechts nicht in Widerspruch setzen wollten. Ihre Auffassung, dass die neuen Vorschriften über den Gewinnanteil der Miterben nach diesen Grundsätzen nicht anwendbar seien, wenn die Übertragung des Grundstücks an einen Erben vor dem Inkrafttreten jener neuen Vorschriften erfolgte, führte indes nicht zum Erlass einer Bestimmung, der dieser Sinn beigelegt werden könnte, sondern kam im Gesetz vom 19. März 1965, das wie schon festgestellt über die zeitliche Rechtsanwendung überhaupt nichts sagt, in keiner Weise zum Ausdruck. Sie ist daher nach ständiger Rechtsprechung für den Richter nicht verbindlich (vgl. namentlich BGE 94 II 240 S. 246 BGE 80 II 212 f., BGE 84 II 103 c, BGE 87 II 331 d, BGE 92 I 308 f.), könnte aber als Hilfsmittel der Auslegung dienen, wenn die Anwendung von Art. 1 ff. SchlT/ZGB nicht ohne weiteres zu einem eindeutigen Ergebnis führen sollte (vgl. z.B. BGE 92 I 309 , BGE 93 II 77 ). 9. a) Art. 1 SchlT stellt nach seinem Randtitel die Regel der Nichtrückwirkung auf. Die rechtlichen Wirkungen von Tatsachen, die vor dem Inkrafttreten des Gesetzes eingetreten sind, beurteilen sich nach Absatz 1 auch nachher gemäss den Bestimmungen des frühern Rechts, die zur Zeit des Eintritts dieser Tatsachen galten. Die nach dem Inkrafttreten des Gesetzes eingetretenen Tatsachen werden dagegen nach Absatz 3, soweit das Gesetz eine Ausnahme nicht vorsieht, nach dem neuen Rechte beurteilt. Nach altem wie nach neuem Recht ist Grundvoraussetzung für die Entstehung des Anspruchs der Miterben auf einen Gewinnanteil die Tatsache, dass ein Erbe ein Grundstück des Erblassers unter dem Verkehrswert erhalten hat. Nach altem Recht bedurfte dieser Anspruch zu seiner Entstehung ausserdem der Vormerkung im Grundbuch ( Art. 619 Abs. 1 ZGB in der frühern Fassung; BGE 86 I 122 ). Das neue Recht lässt den Gewinnanspruch mit dem Erwerb des Grundstücks durch den Erben von Gesetzes wegen entstehen und macht die Vormerkung nur noch zur Bedingung dafür, dass der Dritte, der das Grundstück vom Erben erwirbt, solidarisch mit diesem für die Ausrichtung des Gewinnanteils haftet (Art. 619 Abs. 1 in der Fassung vom 19. März 1965, Art. 619 quinquies ZGB ). Eine fällige Forderung auf einen bestimmten Geldbetrag steht den Miterben desjenigen, der ein Grundstück des Erblassers unter dem Verkehrswert erhielt, nach altem und nach neuem Recht nur unter der weitern Voraussetzung zu, dass der Übernehmer des Grundstücks dieses innert der im Gesetz vorgesehenen Frist mit Gewinn veräussert (welchem Falle das neue Recht den gewinnbringenden Abschluss von Rechtsgeschäften, mit denen der Übernehmer den Wert des Grundstücks ganz oder teilweise "umsetzt", sowie die zu einem Gewinn führende Enteignung gleichstellt; Art. 619 Abs. 2, neue Fassung). Der Anspruch auf einen Gewinnanteil besteht aber beim Zutreffen der gesetzlichen Voraussetzungen, wie aus der alten und der neuen Fassung des Gesetzes klar hervorgeht, als bedingte Forderung schon vor der Veräusserung. BGE 94 II 240 S. 247 Im vorliegenden Falle ist nicht darüber zu entscheiden, ob die Kläger eine fällige Forderung auf Ausrichtung eines Anteils an einem von der Beklagten durch Veräusserung der übernommenen Grundstücke bereits erzielten Gewinn haben. Die Beklagte hat ihre Grundstücke noch nicht veräussert. Zu entscheiden ist nur, ob die Kläger bei einer allfälligen Veräusserung Anspruch auf einen Gewinnanteil haben bezw. ob sie berechtigt sind, die Vormerkung dieses Anspruchs im Grundbuch zu verlangen. Seit dem Inkrafttreten der neuen Bestimmungen über den Anspruch der Miterben auf einen Gewinnanteil (1. Juli 1965) sind keine Tatsachen eingetreten, die für die Entstehung dieses Rechts von Bedeutung wären. Alle Tatsachen, die unter diesem Gesichtspunkt in Betracht fallen, sind vorher eingetreten. Die Frage, ob dem Vormerkungsbegehren der Kläger zu entsprechen sei, ist daher nach der Regel des Art. 1 SchlT gemäss dem frühern Rechte zu beurteilen. Das frühere Recht wäre im übrigen nach Art. 1 SchlT selbst dann anwendbar, wenn zu entscheiden wäre, ob die Kläger infolge einer seit dem 1. Juli 1965 erfolgten Veräusserung der von der Beklagten vor diesem Zeitpunkt unter dem Verkehrswert erworbenen Grundstücke Anspruch auf Ausrichtung einer bestimmten Summe als Gewinnanteil haben. Bedingte Rechtsverhältnisse, die unter dem frühern Recht entstanden sind, unterstehen nämlich nach Lehre und Rechtsprechnung zu Art. 1 ff. Schlusstitel auch dann grundsätzlich in jeder Beziehung dem alten Recht, wenn die Bedingung unter der Herrschaft des neuen Rechts eintritt (MUTZNER N. 56 zu Art. 1 SchlT; BGE 40 II 100 , BGE 41 II 551 ; vgl. auch BGE 40 II 527 Erw. 2). b) Die Art. 2 bis 4 SchlT sehen Ausnahmen von der Regel der Nichtrückwirkung vor. In Art. 5 ff. SchlT folgen Sonderbestimmungen für bestimmte Rechtsverhältnisse. Diese Sonderbestimmungen gehen in ihrem Anwendungsbereich den allgemeinen Bestimmungen von Art. 1 bis 4 vor, soweit sie nicht einfach bestätigen, was sich bereits aus den allgemeinen Bestimmungen ergibt (MUTZNER N. 15 der Vorbemerkungen zum Ersten Abschnitt des SchlT). Ist im vorliegenden Fall eine dieser Sonderbestimmungen anwendbar und verweist sie wie die Grundregel von Art. 1 auf das frühere Recht, so kann folglich offen bleiben, welche Lösung sich allenfalls aus Art. 2 bis 4 SchlT ergäbe. Art. 2 SchlT, der von der Rückwirkung der um der öffentlichen Ordnung und Sittlichkeit willen aufgestellten BGE 94 II 240 S. 248 Vorschriften des neuen Rechts handelt, hat wie die übrigen allgemeinen Bestimmungen des SchlT vor den einschlägigen Sonderbestimmungen zurückzutreten (MUTZNER a.a.O. N. 17). Im übrigen greift Art. 2 SchlT im vorliegenden Falle schon deshalb nicht ein, weil die neuen Bestimmungen über das Gewinnanteilsrecht der Miterben, wie bei der Gesetzesberatung zutreffend hervorgehoben wurde, nachgiebigen Rechts sind (vgl. Art. 619 sexies ZGB ) und aus diesem Grunde nicht unter Art. 2 SchlT fallen (MUTZNER N. 28 zu Art. 2 SchlT). c) Die Vorschriften über den Anspruch der Miterben auf einen Anteil am Gewinn, den ein Erbe bei der Veräusserung eines ihm bei der Erbteilung unter dem Verkehrswert zugewiesenen Grundstücks des Erblassers erzielt, stehen im Dritten Teil des ZGB, der das Erbrecht behandelt und in die Abteilungen "Die Erben" und "Der Erbgang" zerfällt, und zwar in dem zur Zweiten Abteilung gehörenden Titel über die Teilung der Erbschaft. Sie gehören auch sachlich in diesen Zusammenhang. Nach Art. 15 Abs. 1 SchlT werden die erbrechtlichen Verhältnisse, wenn der Erblasser vor dem Inkrafttreten des neuen Gesetzes gestorben ist, auch nach diesem Zeitpunkte durch das bisherige Recht bestimmt. Diese Vorschrift bezieht sich nach Art. 15 Abs. 2 SchlT "sowohl auf die Erben als auch auf den Erbgang". Der Ausdruck "erbrechtliche Verhältnisse" ist also weit auszulegen; er umfasst u.a. die Rechte und Pflichten der Erben (MUTZNER N. 5 zu Art. 15 SchlT). Hiezu gehört der Anspruch der Miterben am Gewinn aus der Veräusserung eines bei der Erbteilung unter dem Verkehrswert übernommenen Grundstücks. Dieser Anspruch wird also nach dem Wortlaut von Art. 15 SchlT, wenn der Erblasser vor dem Inkrafttreten der neuen Vorschriften, d.h. vor dem 1. Juli 1965 gestorben ist, durch das bisherige Recht geregelt (in diesem Sinne H. P. BECK, Das gesetzliche Gewinnanteilsrecht der Miterben, Zürcher Diss. 1967, S. 145 f., sowie G. EGGEN, Grundstückverkehr und Baurecht in intertemporaler Sicht, ZBGR 1967 S. 198 Ziff. 2). d) Nach Art. 218 quinquies OR sind die Vorschriften des ZGB über den Anteil der Miterben am Gewinn auf die Weiterveräusserung oder Enteignung eines Grundstücks, das der Erblasser zu Lebzeiten auf einen Erben übertragen hat, entsprechend anwendbar. Bei der Veräusserung eines vom Erblasser zu Lebzeiten auf einen Erben übertragenen Grundstücks BGE 94 II 240 S. 249 haben demgemäss die Miterben des Übernehmers diesem gegenüber die gleichen Rechte wie im Falle der Veräusserung eines bei der Erbteilung zugewiesenen Grundstücks. Art. 218 quinquies OR hat also wie Art. 619 ZGB Rechte und Pflichten der Erben, d.h. erbrechtliche Verhältnisse im Sinne von Art. 15 SchlT zum Gegenstand. Solche Verhältnisse betrifft auch die umstrittene (in Erwägung 10 hienach zu behandelnde) Frage, ob und wieweit die Miterben des Übernehmers schon nach bisherigem Recht (kraft entsprechender Anwendung von Art. 619 ZGB alter Fassung) einen Anspruch auf Beteiligung am Gewinn aus der Veräusserung einer Liegenschaft hatten, die der Erblasser zu seinen Lebzeiten unter dem Verkehrswert an einen Erben abgetreten hatte. Bestand und Inhalt des Gewinnanteilsanspruchs beurteilen sich also bei streng wörtlicher Anwendung von Art. 15 SchlT im Falle der Abtretung zu Lebzeiten des Erblassers wie im Falle der Zuweisung bei der Erbteilung nach dem Rechte, das im Zeitpunkte des Todes des Erblassers galt. Im vorliegenden Fall ist dies, da die Mutter der Parteien am 16. März 1962 gestorben ist, das vor dem 1. Juli 1965 geltende Recht ( Art. 619 ZGB in der Fassung gemäss Art. 94 LEG). e) Beim Entscheid darüber, ob Bestand und Inhalt des Gewinnanteilsrechts nach altem oder nach neuem Recht zu beurteilen seien, gemäss dem Wortlaut von Art. 15 SchlT darauf abzustellen, welches Recht im Zeitpunkt des Todes des Erblassers galt, vermag indessen sachlich nicht zu befriedigen. Die Regel des Art. 15 SchlT ist auf die erbrechtlichen Verhältnisse zugeschnitten, die mit dem Tode des Erblassers entstehen. Das Gewinnanteilsrecht der Miterben gehört nicht zu diesen Verhältnissen. Es wird nicht durch den Tod des Erblassers, sondern dadurch ausgelöst, dass ein Erbe entweder bei der Erbteilung, also unter Umständen erst lange nach dem Tode des Erblassers, oder aber schon zu dessen Lebzeiten ein Grundstück unter dem Verkehrswert erhält. Es liegt daher nahe, die in Art. 15 SchlT ausgesprochene Regel für dieses besondere erbrechtliche Verhältnis im Einklang mit der Grundregel des Art. 1 SchlT (vgl. lit. a hievor) in dem Sinne abzuwandeln, dass für den Bestand und Inhalt des Gewinnanteilsrechts der Miterben in allen Fällen das Recht als massgebend erklärt wird, das im Zeitpunkte des Erwerbs des Grundstücks durch den Erben galt (in diesem Sinne P. GASSER, Le droit des cohéritiers à une part de gain, Diss. Lausanne 1967 S. 171 f.; ebenso BGE 94 II 240 S. 250 für den Fall des Erwerbs zu Lebzeiten des Erblassers EGGEN a.a.O. S. 200; ähnlich BECK a.a.O. S. 146, der in diesem Fall das Datum des Abschlusses des Übergabevertrags als entscheidend erachtet). Das Bundesgericht hat denn auch in Fällen des Erwerbs von Grundstücken bei der Erbteilung schon wiederholt angenommen, das Gewinnanteilsrecht der Miterben richte sich nach dem Rechte, das zur Zeit des Eigentumserwerbs des Übernehmers galt (nicht veröffentlichter Entscheid vom 2. Mai 1966 i.S. Wolfisberg, und nicht veröffentlichte Erwägung 6 des in BGE 92 II 222 ff. auszugsweise erschienenen Entscheides vom 1. Juli 1966 i.S. Christen). Das gleiche muss folgerichtigerweise auch für den Fall der Abtretung zu Lebzeiten des Erblassers gelten, d.h. auch in diesem Falle beurteilt sich das Gewinnanteilsrecht der Miterben nach dem Rechte, das zur Zeit des Eigentumserwerbs des Erben galt (vgl. den nicht veröffentlichten Entscheid vom 21. November 1967 i.S. Frei, wo diese Lösung bereits angedeutet wurde). Im vorliegenden Falle, wo die Erblasserin der Beklagten die streitigen Grundstücke am 28. Juli 1961 abtrat, führt dieser Grundsatz wie schon die rein wörtliche Auslegung des Art. 15 SchlT (lit. d hiervor) zum Schlusse, dass Bestand und Inhalt des von den Klägern beanspruchten Gewinnanteilsrechts nicht nach dem seit 1. Juli 1965 geltenden neuen Rechte, sondern nach dem frühern Rechte zu beurteilen sind. 10. Vor dem 1. Juli 1965 bestand keine dem neuen Art. 218 quinquies OR entsprechende Bestimmung. Vom Gewinnanteilsrecht der Miterben handelte einzig Art. 619 ZGB . Diese Vorschrift gehört zu den Bestimmungen über die Teilung der Erbschaft, insbesondere über die Teilungsart. Die in der massgebenden frühern Fassung von Art. 619 Abs. 1 ZGB stehende Wendung "Hat ein Erbe ein Grundstück unter dem Verkehrswert erhalten" betrifft also nach dem Zusammenhang den Fall, dass ein Erbe bei der Erbteilung ein Grundstück unter dem Verkehrswert zugeteilt erhalten hat. Das Bundesgericht bemerkte demgemäss in seinem Urteil vom 20. Juni 1929 i.S. Heer, wo die Ausgleichung einer durch Verkauf eines Landguts unter dem Ertragswert erfolgten Zuwendung an einen Sohn des Erblassers in Frage stand und die Miterben dieses Sohnes bei der Bemessung seiner Ausgleichungspflicht unter Berufung auf Art. 619 ZGB die Differenz zwischen dem Verkehrswert und dem Übernahmepreis berücksichtigt BGE 94 II 240 S. 251 wissen wollten, diese Bestimmung stehe unter den Teilungsvorschriften und sei auch nach ihrem Wortlaut auf den Fall zugeschnitten, dass die Zuweisung des Grundstücks an den betreffenden Erben erst bei der Teilung erfolgte. Es fügte bei, ihr Zweck gehe dahin, "die durch Art. 610 und 617 geschaffene Gleichberechtigung aller Erben auf die Übernahme zum Ertragswert und damit auf die Möglichkeit, einen Gewinn zu erzielen, zu gewährleisten"; diese Funktion entfalle jedoch da, "wo die Liegenschaft schon vor dem Erbgang aus dem Vermögen des Erblassers zum Ertragswert, d.h. zum wahren Wert ausgeschieden ist, wo m.a.W. den Miterben lediglich eine Anwartschaft, nicht aber ein Recht auf den gleichen Gewinn durch den Willen des Erblassers selbst entzogen worden ist"; diese Frage brauche jedoch nicht näher erörtert zu werden; denn selbst wenn Art. 619 (was mindestens fraglich sei) bei der Ausgleichung entsprechend anwendbar wäre, so müsste dann auch die durch ihn vorgesehene Befristung des Miterbenanspruchs auf zehn Jahre gelten und die Frist vom Tage der Übernahme des Heimwesens durch den Erben an laufen; im vorliegenden Falle habe jedoch der Beklagte die Liegenschaft mehr als zehn Jahre lang behalten (Praxis 18 Nr. 89 S. 244 Erw. 6; in BGE 55 II 163 nicht enthalten). In Übereinstimmung mit der vom Bundesgericht im Falle Heer vertretenen Auffassung, die für die damals getroffene Entscheidung freilich (wie dargelegt) nicht ausschlaggebend war, nimmt die Lehre mehrheitlich an, Art. 619 ZGB alter Fassung gelte nur für den Fall der Zuweisung bei der Erbteilung, nicht auch für den Fall, dass der Erblasser zu seinen Lebzeiten einem Erben ein Grundstück unter dem Verkehrswert überliess (ESCHER, 3. Aufl., N. 3, und TUOR/PICENONI N. 4 zu Art. 619 ZGB ; BOREL/NEUKOMM, Das bäuerliche Erbrecht, 4. Aufl., S. 127; BRUHIN, Der Kindskauf, Diss. Zürich 1965, S. 156 und 158; EGGEN, ZBGR 1965 S. 294 und 1967 S. 200). Diese Auffassung herrschte auch bei den mit der Ausarbeitung des Bundesgesetzes vom 19. März 1965 beschäftigten Behörden (vgl. neben den eben zit. Ausführungen von EGGEN auch BBl 1963 I 1001). Das Bundesgericht folgte ihr, ohne entscheidend darauf abzustellen, noch im bereits erwähnten Urteil vom 21. November 1967 i.S. Frei (in welchem Falle die Tochter, die das Heimwesen im Dezember 1952 von ihrem 1955 gestorbenen Vater erworben hatte, dieses BGE 94 II 240 S. 252 im Zeitpunkt der Entscheidung, nahezu 15 Jahre seit dem Erwerb, noch nicht veräussert hatte und nur streitig war, ob der neue Art. 218 quinquies OR anwendbar sei und die Miterbin daher die Vormerkung des Gewinnanteilsrechts für die im revidierten Art. 619 ZGB vorgesehene Dauer von 25 Jahren verlangen könne, was in Anwendung von Art. 1 und 15 SchlT verneint werden musste). Schon in BGE 54 II 95 /96 und 108 sowie im Urteil i.S. Heer war jedoch auf den Zusammenhang zwischen Art. 617 und 619 ZGB hingewiesen worden, und in BGE 75 I 189 und BGE 86 I 122 (je unten) stellte das Bundesgericht ausdrücklich fest, Art. 619 sei das Gegenstück zu Art. 617 (und 620 ff.) ZGB. Es war und ist denn auch offensichtlich der Zweck von Art. 619 ZGB , den Miterben desjenigen, der ein Grundstück des Erblassers zu dem nach Art. 617 (oder 620) ZGB massgebenden Ertragswert statt zum höhern Verkehrswert oder doch zu einem unter dem Verkehrswert liegenden Preise erhielt, zur Wahrung der Gleichberechtigung der Erben einen gewissen Ausgleich zu bieten, wenn der Übernehmer das Grundstück innert der vom Gesetz vorgesehenen Frist mit Gewinn verkauft (vgl. die beiden zuletzt angeführten Entscheide und Sten.Bull. 1906 S. 347, 490). Art. 617 Abs. 2 ZGB , der die Anrechnung landwirtschaftlicher Grundstücke zum Ertragswert vorsieht, gilt nun, obwohl er wie Art. 619 ZGB im Titel über die Teilung der Erbschaft steht und sich somit nach dem Zusammenhang nur auf die Übernahme von Grundstücken bei der Erbteilung bezieht, nach ständiger Rechtsprechung ( BGE 54 II 95 , 104, 108; BGE 84 II 344 f.) auch dann, wenn ein Erbe eine Liegenschaft des Erblassers zu dessen Lebzeiten unter dem Verkehrswert erhalten hat und zu prüfen ist, ob es sich dabei um ein entgeltliches oder um ein teilweise unentgeltliches Geschäft gehandelt habe. Art. 617 Abs. 2 ZGB wird m.a.W. in solchen Fällen, die er nach seinem Wortlaut und seiner Stellung im Gesetz nicht erfasst, entsprechend angewendet. Es ist daher nichts als folgerichtig, den mit Art. 617 Abs. 2 eng zusammenhängenden, ein notwendiges Korrektiv dazu bildenden Art. 619 ZGB in derartigen Fällen ebenfalls entsprechend anzuwenden, auch wenn der Erblasser eine ihm gehörende Liegenschaft vor dem 1. Juli 1965 auf einen Erben übertragen hat und Art. 218 quinquies OR folglich nicht anwendbar ist (in diesem Sinne GASSER a.a.O. S. 23 ff., der auf S. 25 zutreffend darauf aufmerksam macht, dass die Entscheide BGE 94 II 240 S. 253 BGE 54 II 96 und 108, wo das Gewinnanteilsrecht der Miterben im Zusammenhang mit der Beurteilung von Rechtsgeschäften zwischen dem Erblasser und einem mutmasslichen Erben erwähnt wurde, bereits in diese Richtung wiesen; ferner F. G. MOSER, Die Ausgleichung gemischter Schenkungen nach schweiz. Erbrecht, Diss. Bern 1963, S. 71 ff., der die Vormerkung des Gewinnanteilsrechts nach Art. 619 ZGB alter Fassung in derartigen Fällen wenigstens unter gewissen Voraussetzungen als möglich bezeichnet). Die gegenteilige Auffassung, die in den Entscheiden i.S. Heer und Frei beiläufig geäussert wurde, ist preiszugeben. Entsprechend anzuwenden ist Art. 619 in der Fassung, die zur Zeit der Übertragung der Liegenschaft auf den Erben galt, im vorliegenden Fall also Art. 619 ZGB in der Fassung gemäss Art. 94 LEG. Die entsprechende Anwendung von Art. 619 ZGB alter Fassung drängt sich im vorliegenden Falle um so mehr auf, als bei der am 28. Juli 1961 erfolgten Grundstückübertragung der erbrechtliche Beweggrund der Vorausnahme der Erbfolge offenbar im Vordergrund stand. Beizufügen ist, dass der Gedanke einer entsprechenden Anwendung von Art. 619 ZGB auf den lebzeitigen Erwerb einer landwirtschaftlichen Liegenschaft zu einem Vorzugspreis vom Gesetzgeber in einem bestimmten Falle bereits in Art. 12 Abs.5 EGG verwirklicht wurde. Persönliche Rechte können nach Art. 959 Abs. 1 ZGB freilich nur dann im Grundbuch vorgemerkt werden, wenn das Gesetz ihre Vormerkung ausdrücklich vorsieht. Diese Bestimmung steht jedoch der Vormerkung des Gewinnanteilsrechts der Miterben im Falle, dass ein Erbe unter der Herrschaft von Art. 619 ZGB alter Fassung zu Lebzeiten des Erblassers von diesem ein Grundstück unter dem Verkehrswert erhalten hat, nicht entgegen. Zur entsprechenden Anwendung der eben genannten Bestimmung auf diesen Fall gehört auch die Zulassung der darin ausdrücklich vorgesehenen Vormerkung (vgl. MOSER a.a.O. S. 74 oben, und GASSER a.a.O. S. 26 Fussnote 16, der im übrigen auf S. 103 die Vormerkung des Gewinnanteilsrechts nach Art. 619 alter Fassung nicht unter Art. 959, sondern unter Art. 960 Ziff. 3 ZGB subsumiert). 11. Die Vorinstanz ist der Meinung, die (von ihr grundsätzlich abgelehnte) entsprechende Anwendung von Art. 619 ZGB alter Fassung nütze den Klägern nichts, weil die Erblasserin BGE 94 II 240 S. 254 der Beklagten durch Ziffer 4 des Abtretungsvertrags (wo sie die Beklagte von der Begründung eines Gewinnanteilsrechts dispensierte) in ausreichender Form die Ausgleichung erlassen habe. Inwiefern und in welcher Weise die Regeln über den Erlass der Ausgleichung hier eingreifen, kann indessen dahingestellt bleiben. Die Erblasserin durfte nämlich die Anwendung von Art. 619 ZGB auf jeden Fall nur soweit ausschliessen, als der Unterschied zwischen dem Verkehrswert und dem Ertragswert die verfügbare Quote nicht überstieg (ESCHER N. 2 a zu Art. 619 ZGB ; BOREL/NEUKOMM S. 126/27; GASSER S. 157 ff.; BECK S. 131). 12. Für die Vormerkung, auf welche die Kläger hienach Anspruch haben, bedarf es keiner Erklärung der Beklagten als Eigentümerin der streitigen Grundstücke. Vielmehr können die Kläger ihr Gewinnanteilsrecht gestützt auf das vorliegende Urteil selbst zur Vormerkung anmelden (vgl. BGE 86 I 130 b mit Hinweisen; Art. 963 Abs. 2 ZGB ; Art. 15 Abs. 3 GBV analog). Die Kläger waren befugt, die Vormerkung noch im vorliegenden Erbteilungsprozess zu verlangen (vgl. BGE 86 I 123 ff. Erw. 5). Die Frist von fünfzehn Jahren ist von der Eintragung des Abtretungsvertrags im Grundbuch an zu rechnen ( BGE 86 I 134 Erw. 9; Urteil vom 2. Mai 1966 i.S. Wolfisberg). Die Schätzung des Ertragswerts (Fr. 28'300.--) ist nicht streitig; die Angabe des - streitigen - Verkehrswerts bei der Teilung ist nicht unerlässlich ( BGE 86 I 132 d, BGE 87 II 80 oben). Auf die Berechnung des Gewinnanteils braucht nicht näher eingetreten zu werden, da ungewiss ist, ob die Beklagte die streitigen Grundstücke innerhalb der fünfzehnjährigen Frist veräussern wird.
public_law
nan
de
1,968
CH_BGE
CH_BGE_004
CH
Federation
71961d25-2688-4539-a3e4-deb0e2cc796e
Urteilskopf 92 II 328 49. Arrêt de la Ire Cour civile du 20 décembre 1966 dans la cause Croset contre Nafzger.
Regeste Art. 107 OR . Der Rücktritt vom Vertrag ist unzulässig, wenn der Schuldner bereits erfüllt hat (Erw. 1). Art. 375 OR . 1. Voraussetzungen der Anwendbarkeit der Bestimmung: Vereinbarung eines ungefähren Kostenansatzes, unverhältnismässige Überschreitung desselben (Erw. 2). 2. Beim Fehlen eines ungefähren Kostenansatzes, also ausserhalb des Rahmens des Art. 375 OR , besteht keine allgemeine Anzeigepflicht des Unternehmers. Kann er jedoch bei Anwendung der üblichen Sorgfalt feststellen, dass dem Besteller das Missverhältnis zwischen dem Preis und dem erhofften Vorteil nicht bewusst ist, so weiss er, dass der Partner den Vertrag auf Grund einer unzutreffenden Vorstellung über einen wesentlichen Umstand abschliesst. Er ist deshalb verpflichtet, diesen Irrtum zu beheben, ansonst er Gefahr läuft, dass der Besteller sich auf Unverbindlichkeit des Vertrages beruft ( Art. 24 Abs. 1 Ziff. 4 OR ). Es trifft ihn ferner eine culpa in contrahendo, wenn er den von ihm erkannten Irrtum der Gegenpartei in bezug auf einen Umstand, den er kennt oder kennen muss, nicht behebt (Erw. 3). Anwendung dieses Grundsatzes auf den vorliegenden Fall (Erw. 4).
Sachverhalt ab Seite 330 BGE 92 II 328 S. 330 A.- En 1960, John Croset confia au garagiste Jean-Pierre Nafzger la réfection générale d'un vieux camion qu'il avait acheté au prix de 800 fr. pour son entreprise de transports. C'était un ouvrage important: remise en état, aménagement d'une cabine fermée et d'un fond plat. Croset savait qu'il fallait remplacer une grande partie des pièces mécaniques et de l'installation électrique; il laissa entendre qu'il n'y avait pas urgence. Nafzger avait commandé des pièces et des fournitures et effectué divers travaux (dont le réalésage du moteur et la revision de l'embrayage et des amortisseurs) lorsque Croset le chargea, en 1962 ou en 1963, de transformer le véhicule en une déménageuse-tapissière. En acceptant, le garagiste déclara que le "travail d'aménagement" coûterait 8000 fr. environ. Un devis plus précis ne fut pas établi. Le 29 février 1964, Nafzger s'engagea à terminer l'ouvrage pour fin avril. A plusieurs reprises, il demanda des instructions, qu'il ne reçut pas. Le 10 août, Croset lui fixa un ultime délai, expirant le 31 août, pour livrer la déménageuse "expertisée". Invité au début de septembre à présenter le véhicule à l'expertise officielle, Nafzger exigea que du moins un acompte de 4000 fr. lui fût d'abord versé. Le 4 septembre, Croset se départit du contrat. Le 31 août précédent, l'ouvrage était achevé et correctement exécuté, sous réserve de travaux de finition qui exigeaient des instructions du maître: emplacement de la roue de secours, du chauffage, du réservoir à essence et du siège du passager; sans ce dernier, le permis de circulation ne pouvait être obtenu. B.- Le 4 septembre 1964, Croset a assigné Nafzger devant la Cour civile du Tribunal cantonal vaudois en paiement de 9680 fr. à titre de dommages-intérêts. Le défendeur a réclamé reconventionnellement, outre une somme de 316 fr. 85 qui ne concernait pas le camion, le solde impayé de sa facture du 1er octobre (13 889 fr. 60 sur 17 902 fr. 10). Celle-ci est justifiée à dire d'expert. Le 17 mai 1966, la Cour civile a rejeté la demande principale; elle a condamné Croset à payer 8900 fr. au défendeur, dont elle a réduit la facture de 30% en application de l'art. 375 CO. BGE 92 II 328 S. 331 C.- Agissant par la voie du recours en réforme, le demandeur prie le Tribunal fédéral de lui allouer 7995 fr. 65. Par recours joint, le défendeur persiste à réclamer 14 206 fr. 45. Erwägungen Considérant en droit: 1. Selon l'art. 107 CO, applicable au contrat d'entreprise (RO 46 II 251 consid. 2), le recourant ne pouvait se départir du contrat que faute d'exécution le 31 août 1964, à l'expiration du délai fixé en vertu de cette disposition. Or, à cette date, l'ouvrage était terminé et correctement exécuté, sous réserve des travaux de finition qui n'avaient pu être achevés faute d'instructions. L'intimé avait donc respecté dans la mesure du possible la mise en demeure signifiée le 10 août. Le contrat ne l'obligeait pas à soumettre le véhicule à l'expertise officielle. Au demeurant, le permis de circulation n'eût pas été délivré en l'absence du siège du passager; or cette carence est due au refus du recourant de donner les directives nécessaires. On ne saurait dès lors fonder une indemnité sur la résolution du contrat. Il n'y a pas lieu non plus d'allouer des dommagesintérêts moratoires en application de l'art. 103 CO. Si l'intimé était en demeure dès la fin d'avril 1964, par la seule expiration du terme fixé le 29 février, encore fallait-il que le recourant formât une prétention du chef du retard. Or tout au plus a-t-il allégué l'immobilisation, avant la fin d'avril 1964, d'un camion utilisé à la place du véhicule en réparation. 2. Lorsque, comme en l'espèce, le prix de l'ouvrage n'a pas été fixé d'avance à forfait, il est déterminé d'après la valeur du travail et les dépenses de l'entrepreneur (art. 374 CO). Aussi bien le recourant doit-il payer la facture de l'intimé, justifiée à dire d'expert et selon les premiers juges. Ceux-ci l'ont néanmoins réduite de 30% en vertu de l'art. 375 CO. Aux termes de cette disposition, lorsque le devis approximatif arrêté avec l'entrepreneur se trouve, sans le fait du maître, dépassé dans une mesure excessive, le maître a le droit, soit pendant, soit après l'exécution, de se départir du contrat (al. 1). a) L'application de l'art. 375 CO suppose d'abord que les parties sont convenues d'un devis approximatif. En l'espèce, deux tâches furent successivement confiées à l'intimé: en 1960, des travaux mécaniques et de carrosserie (remise en état et aménagement d'une cabine fermée et d'un fond plat); en 1962 ou en 1963, la transformation du véhicule en une déménageuse BGE 92 II 328 S. 332 tapissière, en modification de l'instruction précédente relative à la carrosserie. Sitôt après avoir constaté l'acceptation de cette seconde mission, le jugement déféré ajoute que l'intimé estima le "travail d'aménagement" à 8000 fr. environ. Ce devis ne saurait concerner que la seconde étape des travaux, d'autant que la réponse le précisait. La première condition posée par l'art. 375 CO n'est ainsi réalisée que pour une partie de l'ouvrage. Encore l'application de cette disposition ne se justifierait-elle que si le devis approximatif avait été dépassé dans une mesure excessive. Le jugement déféré l'admet sur la base d'une comparaison boiteuse: il confronte la facture globale et le devis partiel, le dépassement étant excessif "même tenu compte des travaux faits avant la transformation du camion en déménageuse". Mais le devis concernait une tâche déterminée, non les opérations effectuées après une certaine date; et les montants qui constitueraient les termes exacts de la comparaison n'ont été ni allégués de façon précise (car le recourant conteste tout devis), ni prouvés, ni constatés. Au demeurant, la différence entre le devis et la facture paraît correspondre au coût normal des travaux mécaniques et de l'installation électrique, d'une part, celui des aménagements de la carrosserie antérieurs à la seconde commande, d'autre part. Loin d'être excessive, elle s'explique donc - et se justifie - aisément. b) ... 3. Certains auteurs, il est vrai, permettent au maître de l'ouvrage, sans résoudre le contrat, de prétendre contre l'entrepreneur en faute une indemnité qui, par compensation, a pour effet de réduire le prix (OSER/SCHÖNENBERGER, nos 8 à 10 ad art. 375 CO, qui invoque deux thèses: CASTELBERG, Die rechtliche Bedeutung des Kostenansatzes beim Werkvertrag nach schweizerischem Obligationenrecht, Fribourg 1917, p. 69/70; BOLLAG, Die kontraktliche Haftung des Architekten, Bäle 1932, p. 104 sv.). L'entrepreneur violerait ses obligations lorsqu'il n'attire pas l'attention du maître de l'ouvrage - qui n'en est pas conscient - sur un dépassement prévisible du devis approximatif, ou même simplement sur l'importance des frais qu'il devra supporter. a) On ne saurait se rallier à cet avis dans la mesure où il suppose un devoir général de renseigner le maître, même en l'absence d'un devis approximatif, soit hors du cadre de l'art. 375 CO. La fixation du prix, à laquelle on ne peut toujours BGE 92 II 328 S. 333 procéder d'avance, n'est pas un élément nécessaire du contrat d'entreprise. Pour éviter une surprise, le maître a la faculté de convenir d'une détermination forfaitaire ou de demander un devis approximatif. S'il n'en use pas, il ne paiera que la valeur normale du travail, appréciée objectivement (art. 374 CO). Seule dès lors l'ampleur imprévue des travaux peut lui causer un désagrément, contre lequel il se prémunira précisément en exigeant un devis approximatif. C'est à lui d'aviser. Les art. 364 et 365 al. 3 CO, relatifs à l'exécution, n'obligent pas l'entrepreneur à le renseigner sur le coût de l'ouvrage, devoir qui ne saurait concerner que les conditions de la conclusion du contrat. Certes, lorsque, d'emblée ou en cours d'exécution, l'importance et le coût d'une réparation se révèlent sans proportion avec la valeur de l'objet confié, même remis en état, et avec l'intérêt que le maître porte à sa chose, l'entrepreneur sérieux ne commencera pas ou ne poursuivra pas sans autre le travail s'il peut se rendre compte que son partenaire n'a pas conscience de cette circonstance. En effet, celui-ci n'entend d'ordinaire engager que des frais raisonnables, sauf pour les objets auxquels il est spécialement attaché. Cette attitude, commune, constitue un élément qu'il faut nécessairement considérer lors de la conclusion du contrat. Si l'entrepreneur peut, en usant de la diligence habituelle, constater que le maître ignore la disproportion entre le prix et l'avantage escompté, il sait que son partenaire s'engage sur la base d'une représentation inexacte d'un fait essentiel. Il lui incombe de dissiper cette erreur, sous peine de courir le risque que le maître invoque l'invalidité du contrat (art. 24 al. 1 ch. 4 CO) et ne soit tenu qu'à concurrence de son enrichissement. Mais au-delà, il n'assume pas d'obligation juridique de renseigner le maître, obligation dont la violation délierait celui-ci du paiement du prix. b) L'entrepreneur répond, il est vrai, d'une éventuelle "culpa in contrahendo". En vertu des règles de la bonne foi, chacun des contractants assume, dès le moment où il entame des pourparlers, l'obligation de renseigner son partenaire, dans une certaine mesure, sur les circonstances propres à influencer sa décision de conclure le contrat et de le conclure à certaines conditions. Une partie qui ne respecte pas cette obligation répond de ce chef non seulement lorsqu'elle a agi astucieusement, mais déjà lorsque son attitude a été de quelque manière BGE 92 II 328 S. 334 fautive. Assurément, le devoir d'information ne concerne pas les circonstances que l'autre partie est censée connaître elle-même. On doit toutefois redresser l'erreur qui porte sur un fait que l'on connaît ou que l'on doit connaître, si l'on s'aperçoit que le partenaire se fait une idée inexacte des prestations respectives ou de l'ampleur de son propre engagement (RO 90 II 455 consid. 4, et les références). Il n'existe pas en revanche un devoir général de le renseigner sur tous les éléments essentiels du contrat (MERZ, nos 270 et 271 ad art. 2 CC). 4. Il suit de là que le maître peut, faute d'avoir été renseigné par l'entrepreneur, invoquer sous la même condition la responsabilité du chef d'une "culpa in contrahendo" et son erreur sur un fait que la loyauté commerciale lui permettait de considérer comme un élément essentiel du contrat; l'effet seul diffère: la nullité pour cause d'erreur d'une part, une indemnité d'autre part. Cette condition n'est pas réalisée en l'espèce. Le recourant n'a demandé qu'un devis partiel. Bien que ses connaissances en mécanique automobile ne lui permissent pas d'apprécier le prix global, il savait néanmoins qu'il confiait des travaux importants et coûteux, nécessaires à la remise en état du véhicule, et que le garagiste devait changer une grande partie des pièces mécaniques et de l'installation électrique. S'il acceptait de payer environ 8000 fr. pour transformer la carrosserie, il pouvait s'attendre à engager une dépense du même ordre de grandeur pour rendre utilisable un vieux camion acheté 800 fr. et le pourvoir d'organes techniques dont la solidité et la perfection justifiassent les frais de carrosserie. Du moins l'entrepreneur était-il en droit de le penser. Au demeurant, encore fallait-il, pour fonder l'action sur une responsabilité du chef de la "culpa in contrahendo", qu'un dommage fût établi. Or le recourant à qui incombait cette preuve n'a pas allégué un préjudice. On ne saurait s'en remettre à l'appréciation de la Cour cantonale, qui a fixé le dommage "ex aequo et bono" à 30% de la facture. Comme il était facile d'établir la valeur réelle du camion réparé, d'autant qu'un expert avait été commis, les juges du fait ne pouvaient statuer en application de l'art. 42 al. 2 CO (RO 84 II 11 consid. 2, 89 II 219 consid. 5 b). La carence du recourant s'explique par le fait que son action repose en entier sur la résolution du contrat en raison de la demeure du débiteur, non sur un BGE 92 II 328 S. 335 dommage causé par une "culpa in contrahendo" de l'entrepreneur. Un renvoi à la Cour cantonale serait inutile, car il ne lui sera pas possible d'administrer des preuves nouvelles, faute d'allégations et d'offres de preuves sur le point décisif. Dispositiv Par ces motifs, le Tribunal fédéral: Rejette le recours principal et, admettant le recours joint, alloue au défendeur la somme de 14 206 fr. 45.
public_law
nan
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1,966
CH_BGE
CH_BGE_004
CH
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7196b516-61f8-4ea0-a267-56e212fbfcd9
Urteilskopf 105 Ia 108 22. Auszug aus dem Urteil der I. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 9. Mai 1979 i.S. B. und Mitbeteiligte gegen Stadtrat von Zürich und Regierungsrat des Kantons Zürich (staatsrechtliche Beschwerde)
Regeste Art. 88 OG . Legitimation zur staatsrechtlichen Beschwerde gegen Pläne. Anfechtung einer Planungszone wegen Nichteinbezug eines Drittgrundstückes.
Sachverhalt ab Seite 108 BGE 105 Ia 108 S. 108 Auf Antrag des Stadtrates von Zürich erliess die Direktion der öffentlichen Bauten des Kantons Zürich gestützt auf § 346 des kantonalen Baugesetzes für ein bestimmtes Gebiet beim Burghölzlihügel eine auf 5 Jahre befristete Planungszone. BGE 105 Ia 108 S. 109 Einige betroffene Grundeigentümer, welche zum Teil zuvor gegen die Bewilligung einer Baute auf der ausserhalb des Plangebietes gelegenen Parzelle Nr. 2567 erfolglos Einsprache erhoben hatten, fochten die Planungszone beim Regierungsrat des Kantons Zürich an mit dem Begehren, es sei auch die genannte Parzelle in das Plangebiet einzubeziehen. Gegen den abweisenden Entscheid des Regierungsrates führen sie wegen Verletzung von Art. 4 BV staatsrechtliche Beschwerde. Das Bundesgericht weist diese ab, soweit es auf sie eintritt. Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. Die Legitimation zur staatsrechtlichen Beschwerde gegen Pläne richtet sich nach den Regeln, die für die Anfechtung von Einzelverfügungen gelten ( BGE 94 I 342 , BGE 89 I 403 ). Nach der bundesgerichtlichen Rechtsprechung ist zur Beschwerde gegen einen Nutzungsplan nur legitimiert, wer Eigentümer eines durch den Plan erfassten Grundstückes ist, und die Anfechtungsbefugnis reicht nur so weit, als die Behandlung des eigenen Grundstückes in Frage steht ( BGE 104 Ia 124 ; BGE 101 Ia 543 ; ZBl 1979 S. 38; unveröffentl. Urteil vom 2. Mai 1979 i.S. Bürki gegen Bern, E. 2a). Ob es sich um einen definitiven Nutzungsplan handelt oder, wie hier, um eine provisorische, für die Eigentümer verbindliche Planungsmassnahme (Planungszone), ändert nichts. Die Grundstücke der Beschwerdeführer liegen unbestrittenermassen innerhalb des Gebietes der Planungszone. Ihre Beschwerdelegitimation ist insoweit zu bejahen. Mit der erhobenen staatsrechtlichen Beschwerde wird keine Verletzung der Eigentumsgarantie ( Art. 22ter BV ) gerügt, sondern einzig geltend gemacht, dass die getroffene Planungsmassnahme wegen des Nichteinbezuges eines bestimmten Drittgrundstückes gegen das Willkürverbot und den Grundsatz der rechtsgleichen Behandlung verstosse. Die Beschwerdeführer sind der Auffassung, wenn das betreffende Grundstück aus der Planungszone ausgeklammert bleibe und gemäss der bisherigen Zonenordnung überbaut werden dürfe, seien die dem angrenzenden Areal der Beschwerdeführer durch die Planungszone auferlegten Eigentumsbeschränkungen sinnlos. Zu einer solchen Rüge sind die Beschwerdeführer grundsätzlich legitimiert. Sie haben nach dem Gesagten zwar keinen BGE 105 Ia 108 S. 110 Anspruch darauf, den Plan hinsichtlich seiner Auswirkungen auf fremde Grundstücke auf seine Verfassungsmässigkeit hin überprüfen zu lassen. Sie können aber geltend machen, dass die Planungsmassnahme, soweit sie ihre Grundstücke betreffe, im Blick auf die Zielsetzung des Planes untauglich oder unvernünftig sei und dass aus diesem Grunde die ihren Grundstücken auferlegte Eigentumsbeschränkung verfassungswidrig sei. Unter diesem Gesichtspunkt kann auch die Frage des Umfanges oder der örtlichen Abgrenzung des Zonengebietes aufgeworfen werden. Eine dahingehende Rüge ist jedoch, solange das Areal des beschwerdeführenden Grundeigentümers durch die beantragte Änderung der Grenzziehung nicht direkt betroffen ist, nur unter einem sehr eingeschränkten Gesichtswinkel zu prüfen; es kann sich aus der Sicht eines solchen Grundeigentümers nur darum handeln, ob durch die behauptete unrichtige Grenzziehung der Einbezug des eigenen Grundstückes in das Plangebiet jeden vernünftigen Sinn verliert. Nur unter diesem engen Gesichtswinkel sind hier die von den Beschwerdeführern erhobenen Einwände zu würdigen. 3. Die fragliche Gegend an der Süd- und der Zollikerstrasse in Zürich gehört heute den Wohnzonen C, D und E gemäss der städtischen Bauordnung vom 12. Juni 1963 an. Durch die Planungszone soll die Möglichkeit einer künftigen Zonenplanung mit stärker einschränkenden Bestimmungen (Freiflächen- und Überbauungsziffern, niedrigere Ausnützungsgrenzen, Baumschutzbestimmungen) offengehalten werden. Das planerische Ziel besteht vor allem darin, das Gebiet um den Burghölzlihügel als eine der bedeutendsten noch intakten innerstädtischen Erholungslandschaften, um deren Erhaltung sich die Stadt Zürich seit Jahren bemüht, sowie auch einen Teil des angrenzenden Areals im Bereich der Lenggstrasse, der Süd- und der Zollikerstrasse, der Weinegg und oberhalb des neuen botanischen Gartens zu schützen. Der hier in Frage stehende Bereich südlich der Südstrasse bis über die Zollikerstrasse hinaus ist mit Villen und wertvollen Parkanlagen durchsetzt, so dass eine zonengemässe Überbauung unerwünschte Auswirkungen auf das bestehende Quartierbild mit sich brächte. Das der Erlass der Planungszone und die damit verbundenen Eigentumsbeschränkungen an sich durch ein hinreichendes öffentliches Interesse gedeckt sind, wird von den Beschwerdeführern nicht in Abrede gestellt. Sie bejahen selber die Notwendigkeit BGE 105 Ia 108 S. 111 einer solchen Planungsmassnahme, verlangen jedoch, dass auch das nicht erfasste Drittgrundstück Nr. 2567, das sich in der Nähe ihrer Liegenschaften befindet, in die Planungszone einzubeziehen sei. Der Stadtrat und der Regierungsrat begründen den Nichteinbezug dieser Parzelle im wesentlichen damit, dass ihrem Eigentümer bereits ein zonengemässes, aber nicht den Zielen der künftigen Planung entsprechendes - Bauprojekt bewilligt worden sei, dessen Ausführung durch die Planungszone nicht mehr verhindert werden könnte. Wieweit diese letztere Argumentation stichhaltig ist, mag im Sinne der folgenden Erwägungen dahingestellt bleiben. Durch die Ausklammerung des Grundstückes Nr. 2567 verliert die Planungsmassnahme als solche keineswegs ihren Sinn, und auch der Einbezug der Liegenschaften der Beschwerdeführer lässt sich immer noch mit hinreichenden Gründen rechtfertigen. Wo sich die Verhältnisse in örtlicher und baulicher Hinsicht, wie hier, so wenig voneinander unterscheiden, lässt sich der Ein- oder Ausschluss einer einzelnen Parzelle in das Plangebiet verfassungsrechtlich kaum erfassen. Die vorgenommene Abgrenzung erscheint verfassungsrechtlich vertretbar, jedenfalls wenn man bedenkt, dass es sich um eine auf fünf Jahre befristete provisorische Massnahme handelt. Die mit der Planungszone verbundenen Nutzungsbeschränkungen dürfen den Beschwerdeführern umso eher zugemutet werden, als keiner von ihnen in absehbarer Zeit ein unter die Sperre fallendes Bauprojekt auszuführen gedenkt; jedenfalls wurde nichts derartiges behauptet. Es kann auch nicht von einem Verstoss gegen das Gebot rechtsgleicher Behandlung die Rede sein. Abgesehen davon, dass diesem Gebot im Bereiche der Planung nur eine abgeschwächte Bedeutung zukommt ( BGE 103 Ia 257 f.), besteht zwischen den Liegenschaften der Beschwerdeführer und dem ausgeklammerten Grundstück Nr. 2567 wenn nicht topographisch, so doch von der baurechtlichen Situation des Eigentümers her ein Unterschied, der die gerügte ungleiche Behandlung zu rechtfertigen vermag. Wohl besteht die Möglichkeit, dass der Eigentümer jener Parzelle von der ihm erteilten Baubewilligung keinen Gebrauch macht; doch ginge es zu weit, deshalb von Verfassungs wegen zu verlangen, dass der Stadtrat schon heute für diesen Fall die Ausdehnung der Planungszone hätte ankündigen oder sie gar den Beschwerdeführern zusichern müssen.
public_law
nan
de
1,979
CH_BGE
CH_BGE_002
CH
Federation
719a4ee3-e30f-4cb2-aa47-1cefaa709cf4
Urteilskopf 112 Ia 198 34. Extrait de l'arrêt de la Ire Cour de droit public du 30 septembre 1986 dans la cause G. contre Etat du Valais et Tribunal administratif du canton du Valais (recours de droit public)
Regeste Art. 4 und 22ter BV ; Enteignung nach kantonalem Recht; Entschädigung. 1. Prüfungsbefugnis des Bundesgerichts bei staatsrechtlichen Beschwerden betreffend Enteignungsentschädigungen nach kantonalem Recht (E. 1b). 2. Die Behörde, die neue Akten beizieht, auf die sie sich in ihrem Entscheid zu stützen gedenkt, ist grundsätzlich gehalten, die Parteien darüber zu informieren; sie kann davon absehen und begeht damit keine Rechtsverweigerung, wenn sie auf ein Dokument abstellt, das jedermann hätte einsehen können, im vorliegenden Fall die Botschaft einer Gemeindeexekutive betreffend die Änderung des kommunalen Zonenplans, oder wenn sie Bezug nimmt auf Entschädigungen, die für andere Grundstücke im gleichen Enteignungsverfahren festgelegt wurden (E. 2a). Die Behörde darf mit einer vorweggenommenen Beweiswürdigung auf einen Augenschein, der am Schätzungsergebnis nichts ändern würde, verzichten (E. 2b). 3. Begriff des Angebots des Enteigners und des Begehrens des Enteigneten im Sinne von Art. 19 des Walliser Enteignungsgesetzes. Das Prinzip von Treu und Glauben gebietet im vorliegenden Fall, das Vorliegen eines Angebots des Enteigners in einem gleich hohen Betrag wie dem von der Schätzungskommission festgelegten anzunehmen. Diese Lösung rechtfertigt sich auch unter dem Gesichtswinkel der Regeln des kantonalen Verwaltungsverfahrensrechts über die reformatio in pejus (E. 5).
Sachverhalt ab Seite 200 BGE 112 Ia 198 S. 200 Pour l'acquisition des terrains nécessaires à la construction de la route du Grand-Saint-Bernard, entre la route nationale N9 et Martigny-Croix (déviation est de Martigny), l'Etat du Valais a été contraint d'ouvrir des procédures d'expropriation à l'encontre de plusieurs propriétaires fonciers à Martigny. Statuant sur le cas de G., propriétaire de diverses parcelles formant un seul mas d'une superficie totale de 11'344 m2, la Commission d'estimation chargée de taxer les immeubles expropriés fixa l'indemnité à 16 fr./m2 (quart légal en plus) pour le terrain exproprié en zone protégée et à 60 fr./m2 (quart légal en plus) pour le terrain sis en zone industrielle. G. forma une réclamation contre cette taxation. Il prétendait à une indemnité de 30 fr./m2 (quart légal en plus) pour le terrain situé en zone protégée et de 125 fr./m2 - montant qu'il réduisit par la suite à 80 fr. - (quart légal en plus) pour le sol exproprié en zone industrielle. L'Etat du Valais n'a pas recouru contre la décision de taxation. Son représentant déclara d'ailleurs devant la Commission de révision saisie par G. ne pas contester les indemnités allouées en première instance. Donnant suite à une requête de l'exproprié qui avait demandé le versement de 90% de l'indemnité non contestée, le Département cantonal des travaux publics versa à G. un montant de 448'000 fr., avec cette seule indication: "acompte sur indemnité d'expropriation". La Commission de révision considéra que les parcelles en cause devaient être taxées dans leur intégralité au prix des terrains de la zone protégée, car le classement en zone industrielle de leur partie nord n'était que la conséquence de la construction de la nouvelle route, ouvrage sans lequel les surfaces entrant en ligne de compte auraient donc conservé leur affectation à la zone protégée ou réservée. La Commission se servit comme référence du prix de 45 fr./m2 payé en 1976 par la commune de Martigny pour l'achat d'une bande de terrain prélevée sur la parcelle No 10696 et par la Confédération pour l'acquisition de BGE 112 Ia 198 S. 201 biens-fonds sis à l'emplacement de l'amphithéâtre romain de Martigny; elle pondéra toutefois cette valeur en raison des circonstances spéciales dans lesquelles ces transactions avaient été passées, ainsi que du fait que les terrains du recourant étaient plus éloignés du centre de la ville. La Commission de révision fixa finalement l'indemnité due à G. à 28 fr./m2, quart légal en plus. G. déféra cette décision au Tribunal administratif du canton du Valais qui, sur la question de l'indemnisation du terrain, rejeta le recours dans la mesure où il était recevable. Agissant par la voie du recours de droit public, G. a requis le Tribunal fédéral d'annuler cet arrêt cantonal pour violation des art. 4 et 22ter Cst. Le Tribunal fédéral a admis partiellement le recours dans le sens des considérants et a annulé l'arrêt attaqué. Erwägungen Extrait des considérants: 1. b) Saisi d'un recours de droit public fondé sur les art. 4 et 22ter Cst. et dirigé contre une décision cantonale fixant l'indemnité pour l'expropriation d'un bien-fonds, le Tribunal fédéral examine librement si les règles édictées en la matière par le droit cantonal, ou les normes adoptées en vue de suppléer à une lacune de ce droit, sont en soi conformes à l'exigence d'une juste indemnité posée à l' art. 22ter al. 3 Cst. En revanche, il limite son pouvoir d'examen à l'arbitraire si le recourant critique simplement l'application du droit cantonal qui régit le mode de fixation de l'indemnité, les méthodes d'estimation utilisées et le résultat de l'estimation ( ATF 97 I 114 , ATF 93 I 138 /139; arrêts non publiés Bétrisey et Tissières du 20 juin 1985). 2. Le recourant se plaint en premier lieu d'un déni de justice formel. Deux pièces auraient été produites et utilisées en procédure cantonale à son insu, sans que lui ait été accordée la possibilité d'en prendre connaissance. Il s'agit du dossier du Département de l'intérieur relatif au plan de zones communal et de celui de l'affaire D., cause en expropriation jugée le même jour que celle de G. Le recourant voit en outre un déni de justice dans le refus de la juridiction cantonale d'ordonner une vision locale et la production des rapports des Commissions administrative et parlementaire sur l'affaire dite des terrains de Martigny. Ces griefs sont mal fondés. BGE 112 Ia 198 S. 202 a) Certes, l'autorité qui verse au dossier de nouvelles pièces dont elle entend se prévaloir dans son jugement est en principe tenue d'en aviser les parties, encore qu'elle ne soit pas obligée de les renseigner sur chaque production de pièce, car il suffit qu'elle tienne le dossier à leur disposition ( ATF 101 Ia 304 , ATF 100 Ia 8 ss; GRISEL, Traité de droit administratif, p. 383). En l'espèce, le Tribunal administratif s'est borné à puiser dans le premier dossier en question, afin de s'en prévaloir dans son arrêt, certains éléments du message de la Municipalité de Martigny au Conseil général de cette commune concernant la modification du plan de zones. C'est là un document que n'importe qui aurait pu consulter; d'ailleurs, comme il s'agissait du statut juridique des terrains expropriés, le recourant aurait dû savoir que l'autorité s'y serait référée, compte tenu précisément des arguments qu'il avait lui-même développés dans son recours. On ne saurait donc voir dans la façon d'agir du Tribunal administratif un quelconque déni de justice. Quant au prétendu versement au dossier de la présente affaire de celui de la cause D., le grief est dépourvu de consistance. La juridiction cantonale pouvait en effet légitimement se référer aux indemnités qui avaient été fixées pour d'autres fonds dans la même procédure d'expropriation, sans être d'aucune façon tenue d'ouvrir à chacun des recourants le dossier des autres. La critique du recourant, sur ce dernier point, méconnaît manifestement la nature et les limites du droit d'être entendu et, en particulier, du droit de consulter le dossier. b) L'inspection des lieux constitue certainement l'un des moyens de preuve auquel l'autorité judiciaire appelée à se prononcer sur une indemnité d'expropriation est généralement tenue de recourir. Toutefois, dans le cas particulier, le Tribunal administratif pouvait, sans pour autant verser dans l'arbitraire, aboutir à la conclusion qu'une augmentation ultérieure de l'indemnité accordée par la Commission de révision et, a fortiori, de celle allouée par la Commission d'estimation, était exclue sur la base déjà des pièces du dossier et de la liste des prix qui avait été établie et soumise à l'exproprié. Par ailleurs, du fait qu'en l'absence de contestation de l'expropriant, une réduction de l'indemnité fixée était hors de question, l'autorité cantonale de recours pouvait, par une appréciation anticipée et non arbitraire des preuves, estimer qu'une inspection des lieux ne serait pas propre, dans les circonstances données, à modifier le résultat; elle était fondée, par conséquent, à y renoncer (cf. ATF 103 IV 300 consid. 1a, ATF 101 Ia 104 et les références). BGE 112 Ia 198 S. 203 5. a) Il n'est pas contesté que l'indemnité accordée par la Commission d'estimation pour le terrain - quart légal inclus - s'élevait à 498'580 fr. et que la Commission de révision l'a ramenée à 397'040 fr. Il est constant également que l'expropriant n'a pas attaqué la décision de la Commission d'estimation. En outre, avant l'audience de la Commission de révision, sur requête de l'exproprié qui demandait le versement de 90% de l'indemnité non contestée pour le terrain, l'Etat a versé à celui-ci le montant correspondant, soit 448'000 fr. (arrondi). Enfin, le représentant de l'expropriant a expressément déclaré devant la Commission de révision ne pas contester les indemnités fixées en première instance. Devant le Tribunal administratif, le recourant a fait valoir que la réduction décidée par la Commission de révision violait l' art. 19 LEx . val., en vertu duquel "l'indemnité allouée ne peut être inférieure aux offres du requérant, ni supérieure à la demande de l'exproprié", et qu'elle consacrait une violation du principe de la bonne foi. Le Tribunal administratif a rejeté ce grief en se référant à l'arrêt non publié que le Tribunal fédéral a rendu le 9 janvier 1952 dans la cause Andenmatten, ainsi qu'à l'opinion de JEAN QUINODOZ (RJV 1970, p. 339). Il a considéré que, par offre de l'expropriant, il fallait entendre le prix proposé à l'exproprié durant les tractations qui précèdent l'ouverture de la procédure d'estimation, respectivement la constitution de la Commission d'estimation, et qu'on ne saurait assimiler à une telle offre l'indemnité fixée par cette Commission, ni - lorsque seul l'exproprié recourt - l'absence de réclamation de l'expropriant, pas davantage que les déclarations faites devant la Commission de révision, ces déclarations n'étant pas émises lors de pourparlers comme le voudrait l' art. 19 LEx . val. On ne pouvait en outre tirer aucune conclusion favorable à la thèse de l'exproprié du fait que l'Etat avait payé l'acompte demandé. Le principe de la bonne foi n'avait pas non plus été violé, selon l'autorité cantonale, car bien qu'un retrait de sa réclamation eût été envisageable en cas de non-paiement de l'acompte, G. ne pouvait ignorer, assisté qu'il était d'un avocat, que la Commission de révision pourrait encore réduire l'indemnité, du fait que le versement de l'acompte n'était pas assimilable à une offre au sens de l' art. 19 LEx .val. Cette interprétation du texte légal, au dire du recourant, n'est pas admissible et est génératrice d'inégalités de traitement; dans BGE 112 Ia 198 S. 204 les circonstances données, il serait arbitraire de nier l'existence d'une offre de l'expropriant au sens de l' art. 19 LEx .val. b) En ce qui concerne les expropriations régies par le droit fédéral, la Commission fédérale d'estimation n'est pas liée par les conclusions des parties pour la fixation du montant de l'indemnité ( art. 72 al. 2 LEx . féd.), et encore moins par les offres ou requêtes antérieures à l'ouverture de la procédure; instance de recours, le Tribunal fédéral est en revanche lié par les conclusions des parties en vertu de l' art. 114 al. 1 OJ , bien que l' art. 115 OJ ne renvoie pas à cette disposition (cf. ATF 102 Ib 89 consid. 1c). La situation est différente en droit valaisan. L'art. 19 de la loi du 1er décembre 1887 concernant les expropriations pour cause d'utilité publique, toujours en vigueur, prévoit en effet que l'indemnité allouée ne peut être inférieure aux offres de l'expropriant, ni supérieure à la demande de l'exproprié. Etant contenue dans le chapitre qui traite de l'indemnité en général, une telle règle doit manifestement valoir pour toutes les instances, spécialement celles d'estimation et de révision. L'opinion du Tribunal administratif selon laquelle on ne pourrait entendre par offre de l'expropriant au sens de l' art. 19 LEx .val. que le prix proposé au cours des pourparlers précédant l'ouverture de la procédure, c'est-à-dire avant la constitution de la Commission d'estimation, n'est guère soutenable. Le fait que des requêtes de l'exproprié ou des offres de l'expropriant antérieures à l'ouverture de la procédure puissent lier la Commission d'estimation, puis la Commission de révision, ne trouve aucun appui dans le texte de l'art. 19, lequel ne fait aucune référence à des pourparlers et encore moins à des pourparlers hors procédure. Une telle opinion conduirait en outre à des résultats que le législateur ne peut avoir voulus. En effet, il est notoire que, lorsqu'il y a tentative d'arrangement à l'amiable avant l'ouverture de la procédure, tant l'expropriant que l'exproprié peuvent être amenés, pour des raisons compréhensibles - savoir éviter des retards, des frais ou des complications - à faire des concessions qu'ils ne seraient pas disposés à maintenir s'ils devaient, en cas d'échec des négociations, s'affronter comme parties adverses en procédure: de telles offres et requêtes sont généralement faites sous réserve (tacite) de leur caducité au cas où, faute d'arrangement, une procédure se révélerait indispensable. Le fait de les avoir formulées au cours de ces tractations préliminaires n'empêche ni l'expropriant d'offrir moins, ni l'exproprié d'émettre BGE 112 Ia 198 S. 205 de plus amples prétentions une fois la procédure ouverte. Or, si la Commission d'estimation était liée par de telles propositions vainement échangées avant l'ouverture de la procédure, cela aurait pour conséquence, outre la difficulté d'en établir l'existence et la portée, de faire obstacle à la conclusion d'arrangements à l'amiable, chacune des parties veillant à ne pas compromettre sa situation dans la perspective d'un éventuel conflit judiciaire. Certes, la thèse du Tribunal administratif paraît trouver appui dans l'arrêt Andenmatten du 9 janvier 1952 déjà cité et confirmé, sans nouvel examen, par l'arrêt Cotture du 28 septembre 1962. Le Tribunal fédéral expose en effet, dans le premier arrêt, que, par offres de l'expropriant, il faut entendre celles que celui-ci a faites à l'exproprié dans les transactions précédant l'ouverture de la procédure; et il ajoute que l'absence de réclamation de la part de l'Etat à l'encontre de la décision de la Commission d'estimation n'autorise pas à retenir devant la Commission de révision, comme "offres" de l'expropriant, l'indemnité fixée par l'autorité de première instance, contestée par l'exproprié seulement. La solution préconisée par la juridiction cantonale présente peut-être l'avantage de permettre la délimitation d'entrée de cause du cadre du litige porté devant les instances d'estimation et de révision; elle comporte en revanche l'inconvénient de ne pas toujours assurer une parfaite égalité des armes entre l'expropriant et l'exproprié. Ce dernier est en effet contraint pratiquement de formuler ses prétentions devant la Commission d'estimation avec pour conséquence, découlant de l' art. 19 LEx .val., que l'autorité ne pourra pas lui accorder plus que ce qu'il requiert, même s'il résulte qu'il a trop peu demandé; quant à l'expropriant, il pourra non seulement s'en remettre à justice devant la Commission d'estimation, mais encore s'abstenir d'attaquer la décision de cette dernière, avec la certitude que la Commission de révision, saisie par l'exproprié, pourra procéder à une reformatio in pejus au détriment du recourant, ce qui équivaudra pour lui, expropriant, à une reformatio in melius. On peut donc se demander s'il n'y aurait pas lieu de modifier la jurisprudence précitée dans ce sens que, par "offres" de l'expropriant, respectivement "demande" de l'exproprié, on devrait entendre les conclusions prises par les parties dans la procédure ouverte à l'effet de statuer sur la complète indemnisation de l'exproprié. La question peut toutefois demeurer indécise, car une offre de l'Etat existe en l'espèce: elle résulte d'actes concluants, dont les arrêts susmentionnés BGE 112 Ia 198 S. 206 n'excluent pas la prise en considération dans l'application de l' art. 19 LEx .val., et qu'il convient d'apprécier selon les règles de la bonne foi. Dans le cas particulier, en effet, l'Etat a non seulement renoncé à la possibilité que lui offrait l' art. 10 LEx .val. de recourir contre la décision de la Commission d'estimation, mais il a encore versé à l'exproprié, alors que le recours de ce dernier était pendant, 90% de l'indemnité qui avait été fixée, sans émettre la moindre réserve; de plus, devant la Commission de révision, son représentant a expressément déclaré ne pas contester les indemnités allouées en première instance. Un tel comportement doit être assimilé, conformément aux règles de la bonne foi, à la formulation d'une offre d'un montant égal à celui fixé dans la décision de la Commission d'estimation. Cette conclusion se justifie également au regard des règles de la procédure administrative valaisanne. L'arrêté abrogé du Conseil d'Etat du 11 octobre 1966 (APA) prévoyait - de façon analogue à l' art. 62 PA - la possibilité de la reformatio in pejus sive in melius, avec toutefois l'obligation pour l'autorité, dans le cas où elle envisageait une modification au détriment du recourant, d'en aviser celui-ci et de lui donner l'occasion de s'exprimer. Dans la pratique, on considérait cependant que le recourant perdait, à partir de cet instant, toute possibilité d'opérer un retrait de son recours pour se soustraire à une éventuelle détérioration de sa situation (cf. art. 32 APA; R. VON WERRA, Handkommentar zum Walliser Verwaltungsverfahren, n. 3 et 4 ad art. 32, p. 143). La loi cantonale actuelle sur la procédure et la juridiction administratives du 6 octobre 1976 (LPJA) a bien repris à son art. 61 la disposition de l'art. 32 APA et prévoit la reformatio in pejus dans les cas où la décision attaquée viole la loi ou repose sur une constatation inexacte ou incomplète des faits; le recourant peut toutefois, en vertu de l'art. 58 LPJA, retirer son recours tant qu'il n'a pas fait l'objet d'une décision sur le fond, et se soustraire ainsi à la reformatio in pejus (KEISER, Die reformatio in pejus in der Verwaltungsrechtspflege, thèse Zurich, p. 107). A juste titre, le recourant fait valoir que, si elle avait en vue de lui attribuer une indemnité inférieure à celle fixée en première instance, la Commission de révision aurait dû l'en avertir. G. aurait pu, dans ce cas, retirer son recours, et il l'aurait fait selon toute vraisemblance (cf. ATF 107 V 248 et la doctrine citée). Pour BGE 112 Ia 198 S. 207 avoir, à son tour, négligé un tel aspect et pour les motifs exposés plus haut dans le présent considérant, la décision du Tribunal administratif se doit ainsi d'être annulée.
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719f7cd1-cf88-4c64-a698-8c0b288c8153
Urteilskopf 115 V 202 29. Urteil vom 28. Juni 1989 i.S. Bundesamt für Sozialversicherung gegen B. und Verwaltungsgericht des Kantons Luzern
Regeste Art. 13 IVG , Art. 2 Abs. 3 GgV und Ziff. 445 GgV-Anhang. Voraussetzungen, unter denen die Invalidenversicherung das Cochlea-Implantat, eine elektronische Hörhilfe, als medizinische Massnahme zur Behandlung einer angeborenen Taubheit zu übernehmen hat.
Sachverhalt ab Seite 202 BGE 115 V 202 S. 202 A.- Rita B. (geb. 1966) leidet an beidseitiger Taubheit bei Status nach rezidivierendem Hörsturz links seit 1981 sowie BGE 115 V 202 S. 203 angeborener Surditas rechts. Am 16. November 1985 nahm Prof. A., Chefarzt der Hals-, Nasen- und Ohrenklinik am Kantonsspital L., eine Cochlea-Implant-Operation am linken Ohr vor, nachdem die Anpassung eines Hörgerätes keinen Erfolg gezeitigt hatte. (Zur Umschreibung des Cochlea-Implantats (CI) vgl. den Sachverhalt in BGE 115 V 191 .) Dank dieser Rehabilitationsmethode war Rita B. nach kurzer Zeit in der Lage, Höreindrücke von Stimme und Sprache so zu verarbeiten, dass sie gewohnte Stimmen wieder verstehen, ohne Probleme Unterhaltungen führen und ihren Beruf als selbständige Damenschneiderin ausüben konnte. Am 25. September 1985 ersuchte Rita B. die Invalidenversicherung um Kostengutsprache für das CI. Gestützt auf eine Stellungnahme des Bundesamtes für Sozialversicherung (BSV) vom 27. November 1985 beschloss die Invalidenversicherungs-Kommission, das Gesuch abzuweisen; für das CI bestehe kein Anspruch auf medizinische Massnahmen, weil das Verfahren noch in der Entwicklungsphase stehe. Mit dieser Begründung lehnte die Ausgleichskasse des Kantons Luzern das Leistungsbegehren am 15. Januar 1986 verfügungsweise ab. B.- Rita B. führte Beschwerde mit dem Antrag, die Invalidenversicherung sei zur Übernahme der mit der Operation verbundenen Kosten zu verpflichten. Nachdem die Ausgleichskasse auf Abweisung der Beschwerde geschlossen hatte, äusserte sich Prof. A. in einer Replik zu medizinischen Gesichtspunkten. Das Verwaltungsgericht des Kantons Luzern holte zur Klärung medizinischer Fragen Auskünfte bei verschiedenen Chefärzten schweizerischer Universitätskliniken ein und ersuchte das BSV um eine Stellungnahme. Mit Entscheid vom 4. November 1987 hob es die angefochtene Kassenverfügung in Gutheissung der Beschwerde auf und verpflichtete die Invalidenversicherung, die CI-Operation zu übernehmen. C.- Mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde beantragt das BSV, der vorinstanzliche Entscheid sei aufzuheben. Während Rita B. auf Abweisung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde schliesst, verzichtet die Ausgleichskasse auf eine Vernehmlassung. Erwägungen Das Eidg. Versicherungsgericht zieht in Erwägung: 1. Im vorliegenden Fall ist streitig, ob die Invalidenversicherung für das CI aufzukommen hat. Dabei fällt eine Übernahme als BGE 115 V 202 S. 204 Hilfsmittel nach Massgabe von Art. 21 IVG oder als medizinische Massnahme bei Geburtsgebrechen gemäss Art. 13 IVG in Betracht. 2. (Ausführungen darüber, dass das CI nicht unter den Begriff des Hilfsmittels nach Art. 21 IVG fällt; siehe BGE 115 V 193 Erw. 2.) 3. Nach Art. 13 IVG haben minderjährige Versicherte Anspruch auf die zur Behandlung von Geburtsgebrechen notwendigen medizinischen Massnahmen (Abs. 1). Der Bundesrat bezeichnet die Gebrechen, für welche diese Massnahmen gewährt werden; er kann die Leistung ausschliessen, wenn das Gebrechen von geringfügiger Bedeutung ist (Abs. 2). Als Geburtsgebrechen im Sinne von Art. 13 IVG gelten Gebrechen, die bei vollendeter Geburt bestehen ( Art. 1 Abs. 1 GgV ). Die Geburtsgebrechen sind in der Liste im Anhang aufgeführt; das Eidgenössische Departement des Innern kann eindeutige Geburtsgebrechen, die nicht in der Liste im Anhang enthalten sind, als Geburtsgebrechen im Sinne von Art. 13 IVG bezeichnen ( Art. 1 Abs. 2 GgV ). Als medizinische Massnahmen, die für die Behandlung eines Geburtsgebrechens notwendig sind, gelten sämtliche Vorkehren, die nach bewährter Erkenntnis der medizinischen Wissenschaft angezeigt sind und den therapeutischen Erfolg in einfacher und zweckmässiger Weise anstreben ( Art. 2 Abs. 3 GgV ). 4. a) Die 1966 geborene Beschwerdegegnerin leidet an angeborener Taubheit rechts, einem Geburtsgebrechen im Sinne von Ziff. 445 GgV-Anhang, welche sich bei Status nach rezidivierendem Hörsturz links auf eine beidseitige Taubheit ausdehnte. Die Invalidenversicherung hat somit die von Prof. A. am 16. November 1985 vorgenommene CI-Operation samt Gerät zu übernehmen, sofern die weiteren gesetzlichen Voraussetzungen erfüllt sind. b) bis d) (Ausführungen darüber, dass es sich beim CI um eine nach bewährter Erkenntnis der medizinischen Wissenschaft angezeigte Massnahme handelt; siehe BGE 115 V 195 Erw. 4b-d.) e) Zu prüfen ist des weiteren, ob die Massnahme den therapeutischen Erfolg in einfacher und zweckmässiger Weise anstrebt, wie dies nach Art. 2 Abs. 3 GgV verlangt wird. aa) In tatbeständlicher Hinsicht steht fest, dass die Beschwerdegegnerin trotz angeborener Taubheit rechts eine normale Sprachentwicklung durchgemacht hat und die vollständige Ertaubung erst postlingual, im Alter von 19 Jahren, eingetreten ist. BGE 115 V 202 S. 205 Medikamentöse Therapien und die Anpassung eines konventionellen Hörgerätes blieben ohne Erfolg. Die vom Mitarbeiterstab von Prof. A. vorgenommenen umfangreichen Abklärungen ergaben, dass die Versicherte sowohl in psychologischer Hinsicht wie auch bezüglich der Ergebnisse der Messungen der Nervenleitfähigkeit die Voraussetzungen für ein CI erfüllte. Die Resultate der Voruntersuchungen aufgrund subtiler Testmethoden liessen zudem mit grosser Wahrscheinlichkeit den Schluss zu, dass eine Versorgung des linken Ohres die Wiedergewinnung von Höreindrücken insbesondere in den Sprachbereichsfrequenzen vermitteln werde; Misserfolge liessen sich mit der gleichen Wahrscheinlichkeit ausschliessen. bb) (Ausführungen darüber, dass die geforderte Zweckmässigkeit der Versorgung mit einem CI im Rahmen von Art. 13 IVG gleich zu beurteilen ist wie bei Art. 12 IVG ; vgl. BGE 115 V 191 .) cc) Art. 2 Abs. 3 GgV verlangt sodann, dass die medizinischen Massnahmen den therapeutischen Erfolg in einfacher Weise anstreben. Dieser Verhältnismässigkeitsgrundsatz beschlägt die Relation zwischen den Kosten der medizinischen Massnahme einerseits und dem mit der Eingliederungsmassnahme verfolgten Zweck anderseits ( BGE 103 V 16 Erw. 1b, BGE 101 V 53 Erw. 3d mit Hinweisen; vgl. auch BGE 112 V 399 und BGE 99 V 35 Erw. 1). Eine betragsmässige Begrenzung der notwendigen Massnahmen käme mangels einer ausdrücklichen gegenteiligen Bestimmung bloss in Frage, wenn zwischen der Massnahme und dem Eingliederungszweck ein derart krasses Missverhältnis bestände, dass sich die Übernahme der Eingliederungsmassnahme schlechthin nicht verantworten liesse (in diesem Sinne BGE 107 V 87 Erw. 2 bezüglich des Anspruchs auf Vergütung der Transportkosten bei der Sonderschulung). Zu beachten ist im Zusammenhang mit der Frage nach der Verhältnismässigkeit der Massnahme, dass die Geburtsgebrechen in der Invalidenversicherung eine Sonderstellung einnehmen. Denn minderjährige Versicherte können gemäss Art. 8 Abs. 2 IVG unabhängig von der Möglichkeit einer späteren Eingliederung in das Erwerbsleben die zur Behandlung von Geburtsgebrechen notwendigen medizinischen Massnahmen beanspruchen. Eingliederungszweck ist die Behebung oder Milderung der als Folge eines Geburtsgebrechens eingetretenen Beeinträchtigung. Schliesslich hat der Versicherte nur Anspruch auf die dem jeweiligen Eingliederungszweck angemessenen, notwendigen Massnahmen, nicht aber auf die nach den gegebenen Umständen bestmöglichen BGE 115 V 202 S. 206 Vorkehren. Denn die Eingliederungsmassnahmen sind lediglich insoweit zu gewähren, als dies im Einzelfall notwendig, aber auch genügend ist ( BGE 112 V 399 mit Hinweisen; ZAK 1985 S. 172 Erw. 3a). 5. Die vorstehend aufgestellten Erfordernisse hinsichtlich Zweckmässigkeit und Einfachheit der medizinischen Vorkehr sind im vorliegenden Fall erfüllt. Nachdem herkömmliche Hörapparate nicht zum Ziel geführt, die Abklärungen die Eignung für die Versorgung mit einem CI ergeben hatten und medizinisch-prognostisch mit grosser Wahrscheinlichkeit ein Erfolg zu erwarten war ( BGE 98 V 34 Erw. 2), müssen die Notwendigkeit und Zweckmässigkeit der medizinischen Massnahme bejaht werden. Mit dem kantonalen Gericht darf auch angenommen werden, dass die an sich sehr hohen Kosten (rund 27'000 Franken für das Gerät, zuzüglich Operations- und Spitalaufenthalts- sowie Gebrauchstrainingskosten) in einem vernünftigen Verhältnis zum Eingliederungserfolg stehen. Mit dem CI ist der Beschwerdegegnerin nicht nur ein annähernd normaler und den vor der vollständigen Ertaubung bestandenen Verhältnissen fast gleichwertiger Sprachkontakt ermöglicht worden. Zusätzlich wurde sie in die Lage versetzt, eine existenzsichernde Erwerbstätigkeit als selbständige Damenschneiderin aufzunehmen. Zwar ist im Rahmen von Art. 13 IVG nicht vorausgesetzt, dass die Massnahme die berufliche Eingliederung unmittelbar beeinflusst und die Erwerbsfähigkeit dauernd und erheblich verbessert. Indessen darf dieser Gesichtspunkt neben dem eigentlichen Eingliederungszweck, der in der Milderung der gesundheitlichen Beeinträchtigung besteht - bei der Beurteilung der Verhältnismässigkeit der Massnahme ebenfalls nicht völlig ausser acht bleiben, zumal der Invalidenversicherung durch die geglückte berufliche Eingliederung anderweitige Aufwendungen, z.B. für Massnahmen beruflicher Art, erspart bleiben. Unter diesen Umständen kann entgegen der Auffassung des BSV nicht gesagt werden, dass die Kosten für das CI in einem unverantwortbaren Verhältnis zum angestrebten (und auch erreichten) Eingliederungszweck stehen. Die Verwaltungsgerichtsbeschwerde ist demzufolge unbegründet. 6. a) Zusammenfassend bleibt festzuhalten, dass das CI das Resultat einer biotechnischen Entwicklung darstellt, welche die kommunikativen Fähigkeiten eines postlingual Ertaubten hinsichtlich Sprachverständnis und Sprachverständlichkeit in bisher nicht gekanntem Ausmass zu verbessern vermag. Laut Ausführungen BGE 115 V 202 S. 207 von Prof. P., Vorsteher der Universitätsklinik und Poliklinik für Hals-, Nasen- und Ohrenkrankheiten, Kantonsspital B. (Bericht über den 3. Internationalen Kongress der Schwerhörigen vom 3. bis 8. Juli 1988 in Montreux, S. 56), ist es unter der Voraussetzung, dass postoperativ ein intensives Hör- und Sprachtraining durchgeführt wird, möglich, dass der Gehörlose durch ein CI folgendes erreicht: Er kann Umgebungsgeräusche erkennen und voneinander unterscheiden; sein Sprachverständnis wird bei gleichzeitigem Lippenablesen ganz erheblich gebessert; auch ohne visuelle Hilfsmittel wird in vielen Fällen ein sozial ausreichendes, in manchen Fällen sogar vollständiges offenes Sprachverständnis wiedererlangt; der Patient erhält die Möglichkeit, seine eigene Sprache auditiv zu kontrollieren und dadurch die Verständlichkeit seiner Sprache zu verbessern und teilweise völlig zu normalisieren. Daraus sind bezüglich Übernahme des CI als medizinische Eingliederungsmassnahme der Invalidenversicherung nach Art. 13 IVG folgende Schlüsse zu ziehen: Das CI ist als medizinische Massnahme zu qualifizieren, sofern die hinsichtlich Zweckmässigkeit genannten Voraussetzungen (Erw. 4e/bb hievor) erfüllt sind. Zu beachten ist dabei insbesondere, dass die Chancen der kommunikativen Rehabilitation, welche im Rahmen von Art. 13 IVG hinreichend ist, bei einem Versicherten, der an einer unmittelbar nach der Geburt aufgetretenen - prälingualen - Gehörlosigkeit leidet, nicht günstig sind. Bei angeborener Taubheit werden daher aufgrund der Testerfahrungen nur besonders ausgewählte Versicherte für ein CI in Frage kommen. b) und c) (Vgl. BGE 115 V 201 Erw. 6b und c.) Dispositiv Demnach erkennt das Eidg. Versicherungsgericht: Die Verwaltungsgerichtsbeschwerde wird abgewiesen.
null
nan
de
1,989
CH_BGE
CH_BGE_007
CH
Federation
71a406f1-559f-4eab-acad-cd7f2e6cac53
Urteilskopf 118 Ib 164 21. Auszug aus dem Urteil der II. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 10. April 1992 i.S. X. gegen Eidgenössisches Militärdepartement (Verwaltungsgerichtsbeschwerde).
Regeste Art. 45 Abs. 2bis BtG , Art. 54e BO (1); Verweigerung der Reallohnerhöhung wegen ungenügender Leistungen (negative Leistungslohnkomponente). 1. Überprüfungsbefugnis des Bundesgerichts (E. 4a-c). 2. Leistungsbegriff nach Art. 45 Abs. 2bis BtG (E. 4d). 3. Zulässigkeit und Tragweite der in Ziffer 5.7 der Wegleitung des Eidgenössischen Personalamtes vom 30. April/1. Mai 1991 vorgesehenen Unterscheidung zwischen "Nichtleisten-Wollen" und "Nichtleisten-Können" (E. 4e und 5c).
Sachverhalt ab Seite 165 BGE 118 Ib 164 S. 165 X. ist am 1. September 1970 als Spengler in den Bundesdienst eingetreten; 1975 wurde er zum Handwerksmeister in der 12. Besoldungsklasse befördert. Am 24. Juni 1991 verweigerte ihm das Eidgenössische Militärdepartement die generelle reale Besoldungserhöhung von 3% auf 1. Juli 1991. Das Bundesgericht heisst eine gegen diesen Entscheid gerichtete Verwaltungsgerichtsbeschwerde gut und weist die Sache zu neuem Entscheid an die Vorinstanz zurück Erwägungen aus folgenden Erwägungen: 3. a) Die Verweigerung der realen Besoldungserhöhung beruht auf dem am 23. Juni 1988 in das Beamtengesetz vom 30. Juni 1927 (BtG; SR 172.221.10) eingefügten Art. 45 Abs. 2bis, der wie folgt lautet: "Bei der Gewährung einer realen Erhöhung der Beträge nach Artikel 36 sowie von ordentlichen und ausserordentlichen Besoldungserhöhungen nach den Artikeln 40 und 41 ist die Leistung des Beamten angemessen zu berücksichtigen." b) Nach Art. 54e der Beamtenordnung (1) vom 10. November 1959 (BO [1]; SR 172.221.101) werden die reale Erhöhung der Beträge nach Art. 36 sowie die ordentliche Besoldungserhöhung nach Art. 40 BtG jenem Beamten nicht gewährt, dessen Leistungen "ungenügend" sind (Abs. 1). Die Wahlbehörde führt das Verfahren nach dem Verwaltungsverfahrensgesetz durch und eröffnet die Verfügung BGE 118 Ib 164 S. 166 schriftlich unter Angabe der Gründe und des Rechtsmittels (Abs. 3). Mit dem Entscheid wird die ganze reale oder ordentliche Besoldungserhöhung verweigert (Abs. 4); jede weitere Nichtgewährung muss neu verfügt werden (Abs. 5). c) Das Eidgenössische Personalamt hat am 30. April/1. Mai 1991 eine Wegleitung erlassen, wie diese sogenannte "negative Leistungslohnkomponente" in der Praxis zu realisieren ist. Dabei handelt es sich zwar nur um eine verwaltungsinterne Richtlinie und somit nicht um Bundesrecht im Sinne von Art. 104 lit. a OG , welches den Richter zu binden vermöchte ( BGE 117 Ib 231 E. 4b), dennoch kommt ihr im vorliegenden Fall eine gewisse Bedeutung zu (vgl. E. 4a). 4. a) Art. 45 Abs. 2bis BtG , welcher auf einen Vorschlag der vorberatenden nationalrätlichen Kommission zurückgeht, will das Leistungselement im Lohn verstärken (vgl. Protokolle der nationalrätlichen Kommission vom 18./25. Januar 1988 betreffend die Änderung des Beamtengesetzes vom 23. Juni 1988). Dem Bund sollte im Rahmen einer modernen Personalpolitik ein neues "Führungsinstrument" in die Hand gegeben werden (Amtl. Bull. 1988 N 362 Votum Allenspach; 363 Votum Seiler). Mit der Verwendung des unbestimmten Rechtsbegriffs, wonach die Leistung des Beamten "angemessen" zu berücksichtigen sei, räumte der Gesetzgeber dem Bundesrat und der Bundesverwaltung einen erheblichen Beurteilungsspielraum ein, welcher das Bundesgericht bindet. Es darf sein eigenes Ermessen nicht an die Stelle jenes dieser Behörden setzen, sondern muss sich auf die Prüfung beschränken, ob die Verordnung den Rahmen des im Gesetz eingeräumten Ermessens offensichtlich sprengt oder aus anderen Gründen gesetzes- oder verfassungswidrig ist; nur in diesem Fall rechtfertigt es sich auch, von den Richtlinien des Eidgenössischen Personalamtes abzuweichen. b) Die Beurteilung der Frage, ob ein Beamter ungenügende Leistungen erbringt, ist in allererster Linie Sache der unmittelbaren Vorgesetzten, die dessen tägliche Arbeit am zuverlässigsten einschätzen können (vgl. BGE 108 Ib 421 E. 2b). Auch wenn das Bundesgericht den Sachverhalt im vorliegenden Fall von Amtes wegen feststellen kann ( Art. 105 Abs. 1 OG ), auferlegt es sich in dieser Beziehung Zurückhaltung, weil ihm für eine völlig freie Beurteilung der Leistung die erforderliche Sachnähe fehlt (vgl. BBl 1990 II 1451). Es hebt eine Verfügung, durch die eine reale oder ordentliche Besoldungserhöhung verweigert wird, nur auf, wenn sich die zugrundeliegende BGE 118 Ib 164 S. 167 Einschätzung als sachlich unhaltbar erweist (vgl. BGE 108 Ib 421 E. 2b, 103 Ib 323, BGE 99 Ib 237 E. 3). c) Ob die Leistungen eines Beamten qualitativ und quantitativ den Erwartungen entsprechen, kann nicht anhand eines bestimmten und leicht fassbaren Kriteriums geprüft werden. Wegen der Vielfalt der im Bundesdienst zu stellenden Anforderungen bestehen keine einheitlichen Beurteilungsschemata für alle Bediensteten. Die Bewertung soll aber in jedem Fall - auch wenn eine Qualifikation nie völlig frei von persönlichen Einschätzungen des Vorgesetzten bleibt - möglichst objektiv erfolgen. Sinnvollerweise knüpft sie deshalb an die Umschreibung der Funktionen im Pflichtenheft und die periodische Personalbeurteilung nach Art. 51 Abs. 3 BtG an (vgl. Amtl. Bull. 1988 N 362 Votum Allenspach), welche sich ihrerseits auf einzelne bestimmbare Sachverhalte stützt (Art. 23 Abs. 2 lit. a BO [1]). Besteht kein Pflichtenheft, wird ein solches als überholt bezeichnet oder ist eine Personalbeurteilung nach Art. 51 Abs. 3 BtG (noch) nicht erfolgt, kann das Ungenügen der Leistungen aber auch in einem separaten Verfahren festgestellt werden (vgl. Art. 54e Abs. 3 BO [1]), solange die verfahrensrechtlichen Minimalgarantien sichergestellt erscheinen. Die Feststellung des Sachverhaltes hat dabei über eine längere Zeitdauer zu erfolgen, d.h. sie darf nicht punktueller Natur sein, und muss so ausgestaltet werden, dass der Richter sie überprüfen kann. d) Der Begriff der "Leistung" ist nach den Richtlinien des Eidgenössischen Personalamtes weit zu verstehen: Neben Quantität und Qualität habe er auch das Verhalten am Arbeitsplatz zum Inhalt. Über den Ausstoss (output) hinaus seien generell das leistungsbezogene Verhalten sowie die Art und Weise der Zusammenarbeit mitumfasst. Unter den Begriff falle jenes Verhalten, welches die Leistung gegenüber Kunden, Mitarbeiterinnen und Mitarbeitern wesentlich beeinflusse. Wer zwar eine grosse Produktion ausweise, im übrigen aber am Arbeitsplatz Unzufriedenheit auslöse und die "Kundschaft" verärgere, riskiere eine negative Verfügung (Ziff. 6). Diese Auslegung des Leistungsbegriffs ist nicht zu beanstanden. Sie ergibt sich konsequenterweise aus den beamtenrechtlichen Pflichten. Nach Art. 21 Abs. 1 BtG sind Beamte zu persönlicher Dienstleistung gehalten. Auch ohne Aufforderung haben sie sich in ihren dienstlichen Obliegenheiten gegenseitig zu unterstützen und zu vertreten ( Art. 21 Abs. 2 BtG ). Der Beamte muss seine dienstlichen Obliegenheiten treu und gewissenhaft erfüllen und dabei alles tun, was die Interessen des Bundes fördert, und alles unterlassen, BGE 118 Ib 164 S. 168 was sie beeinträchtigt ( Art. 22 BtG ). Gegenüber Vorgesetzten und Mitarbeitern sowie im Verkehr mit dem Publikum hat er sich höflich und taktvoll zu benehmen ( Art. 24 Abs. 2 BtG ). Unter den Begriff der "Leistung", welche nach Art. 45 Abs. 2bis BtG "angemessen" zu berücksichtigen ist, fällt damit nicht nur die quantitative und qualitative Erledigung der Arbeit, sondern allgemein das Verhalten am Arbeitsplatz. Auch Art. 23 Abs. 1 BO (1), welcher die regelmässige Personalbeurteilung im Bund näher umschreibt, sieht eine umfassende Bewertung der Bediensteten vor. Der Vorgesetzte hat nicht nur die Leistung im engeren Sinn, sondern zusätzlich das Verhalten und die Art und Weise der Zusammenarbeit der ihm unterstellten Beamten zu würdigen. Es wäre widersprüchlich, die Personalbeurteilung nach Art. 51 Abs. 3 BtG und 23 BO (1) weit zu fassen, eine allfällige lohnmässige Berücksichtigung dagegen nur gerade auf die Leistung im engeren Sinne zu beschränken. e) Das Eidgenössische Personalamt führt in seiner Richtlinie zusätzlich eine subjektive Komponente in die Leistungsbeurteilung ein: Art. 45 Abs. 2bis BtG ziele auf das "Nichtleisten-Wollen" ab; wenn der Bedienstete nicht leisten könne (Krankheit, fehlendes Wissen und Können usw.), so müssten grundsätzlich andere Massnahmen ergriffen werden, zu denken sei etwa an eine Umgestaltung des Dienstverhältnisses oder die Zuweisung anderer Arbeit (vgl. Ziff. 5.7). Wenn Gesetz und Verordnung ein subjektives Element auch nicht ausdrücklich vorsehen, steht der Einführung eines solchen - bei dem weiten Ermessen, welches der Gesetzgeber der Verwaltung zur Realisierung der negativen Leistungslohnkomponente eingeräumt hat - doch nichts im Weg. Die Richtlinie des Eidgenössischen Personalamtes ist deshalb auch insofern nicht zu beanstanden. 5. Anhand dieser Überlegungen ist im konkreten Fall zu prüfen, ob die Leistungen des Beschwerdeführers objektiv ungenügend waren und, falls die Frage bejaht wird, ob dies auf mangelnden Leistungswillen zurückzuführen ist. (E. 5a und b: Das Bundesgericht bejaht aufgrund der Qualifikationen durch die Vorgesetzten das objektive Ungenügen der Leistungen des Beschwerdeführers in der massgebenden Zeitperiode.) c) Nach Ziffer 5.7 der Wegleitung des Eidgenössischen Personalamtes zielen die Massnahmen gemäss Art. 45 Abs. 2bis BtG - wie bereits ausgeführt - auf ein "Nichtleisten-Wollen" ab. Wenn der Bedienstete nicht leisten kann, obwohl er möchte, so sind andere Massnahmen zu ergreifen. BGE 118 Ib 164 S. 169 Der Beschwerdeführer hat wiederholt die ungenügende Leistung mit seiner angeblich angeschlagenen Gesundheit begründet. In seiner Stellungnahme zuhanden des Militärdepartementes wies er darauf hin, dass er unter Depressionen leide. Nach dem Qualifikationsgespräch mit seinem Vorgesetzten habe er erneut ärztlich behandelt werden müssen. Bereits bei den einzelnen rapportierten Beanstandungen begründete er sein Fehlverhalten mit gesundheitlichen Problemen. Diese anerkennt das Bundesamt, wenn es den Beschwerdeführer als "zugegebenermassen psychisch angeschlagen" bezeichnet. Weil nach der Wegleitung des Personalamtes die Frage rechtserheblich ist, ob der Beschwerdeführer keine genügenden Leistungen erbringt, weil er nicht leisten will oder aber aus gesundheitlichen Gründen dies an seiner Arbeitsstelle nicht tun kann, hätte das Departement auf die entsprechenden Vorbringen eingehen und - nötigenfalls unter Beizug des verwaltungsärztlichen Dienstes - weitere Abklärungen treffen müssen. Der Sachverhalt erweist sich in diesem Punkt als ungenügend abgeklärt, zudem hat die Vorinstanz ihr Ermessen überschritten, wenn sie dem Beschwerdeführer die Reallohnerhöhung verweigerte, ohne die Frage eines krankheitsbedingten Leistungsrückgangs zu prüfen. Der angefochtene Entscheid ist deshalb aufzuheben und die Sache zu neuem Entscheid im Sinne der Erwägungen an die Vorinstanz zurückzuweisen ( Art. 114 Abs. 2 OG ).
public_law
nan
de
1,992
CH_BGE
CH_BGE_003
CH
Federation
71b14769-8b51-4ded-995f-e343b10c9fa4
Urteilskopf 80 I 249 40. Extrait de l'arrêt du 15 septembre 1954 dans la cause société immobilière du domaine de Mimorey contre Energie de l'Quest-Suisse SA
Regeste Streitigkeit zwischen einem Elektrizitätswerk und einem Privaten wegen Bäumen, welche eine Starkstromleitung gefährden oder stören. Sonderverfahren gemäss Art. 44 EIG. 1. Abgrenzung der Zuständigkeit; Überprüfungsbefugnis des Bundesgerichtes ( Art. 84 lit. d OG ) (Erw. 2). 2. Die Zuständigkeit der Lokalbehörde ist nur gegeben, wenn es sich um die Beseitigung einzelner Äste handelt und diese Massnahme das weitere Wachstum des Baumes nicht gefährden kann, nicht dagegen, wenn der Baum geköpft werden soll (Erw. 3).
Sachverhalt ab Seite 250 BGE 80 I 249 S. 250 Le 13 avril 1934, le Conseil fédéral a accordé à la société anonyme l'Energie de l'Quest-Suisse, à Lausanne (ci-après EOS) un droit d'expropriation en vue de l'acquisition des droits de passage pour la construction et l'exploitation d'une ligne à haute tension entre Romanel sur Lausanne et Chèvres près de Genève. Cette conduite électrique, achevée peu après, traverse la partie nord du domaine appartenant à la société immobilière de Mimorey et situé dans le district de Nyon. Elle franchit notamment un bosquet de pins qui se trouve sur la propriété. Le 19 mars 1937, le Tribunal fédéral a alloué à la société immobilière de Mimorey une indemnité de 3303 fr. 20. Cette indemnité ne concerne pas le bosquet de pins, qui paraissait à l'époque devoir rester intact. Jusqu'en 1954, l'EOS a exploité la ligne avec un seul terne (ensemble de trois fils conducteurs). Au début de 1954, elle a entrepris d'en installer un second. Elle en a informé la société immobilière de Mimorey le 6 mars 1954, en lui demandant l'autorisation d'écimer quelques-unes des plantes du bosquet de pins. La société immobilière de Mimorey ayant refusé son consentement, l'EOS a recouru à la procédure de l'art. 44 LIE et demandé à cet effet une décision au Voyer qui est, dans le canton de Vaud, l'autorité compétente au sens de cette disposition. La société immobilière de Mimorey a écrit au Voyer du premier arrondissement, en déclarant s'opposer à l'écimage requis et en précisant que l'art. 44 LIE, applicable seulement en cas d'élagage, ne l'était pas à des mesures plus graves comme celles prévues en l'espèce. BGE 80 I 249 S. 251 Le Voyer a rendu sa décision le 12 mai 1954. Il a admis sa compétence en vertu de l'art. 44 LIE, autorisé l'EOS à ébrancher un certain nombre de pins et fixé l'indemnité allouée à la société immobilière de Mimorey à 300 fr., les dispositions des art. 41 litt. c et 66 litt. b LEx demeurant d'ailleurs réservées. Ainsi que l'a montré une inspection locale, l'opération a consisté, dans la plupart des cas, à couper le tronc à une certaine distance du sommet (2 m. à 2 m. 50). Il s'agit donc en fait d'un écimage et non d'un simple ébranchage. La société immobilière de Mimorey interjette un recours de droit public contre la décision du Voyer. Elle se plaint d'avoir été victime d'un acte d'arbitraire et fait valoir que l'autorité qui a statué était manifestement incompétente. Erwägungen Considérant en droit: 2. La recourante soutient que le Voyer était incompétent pour rendre la décision attaquée. Il convient de relever à cet égard qu'aux termes de l'art. 84 litt. d OJ, le recours de droit public est recevable pour violation "de prescriptions de droit fédéral sur la délimitation de la compétence des autorités à raison de la matière ou à raison du lieu". Cette disposition permet au citoyen de demander la délimitation de la compétence notamment des tribunaux entre eux ou des autorités administratives entre elles ou par rapport aux tribunanx. Le Tribunal fédéral statue alors librement (RO 76 I 42 et 48; BIRCHMEIER, Handbuch, p. 326 ss.). C'est sur le terrain de cette disposition qu'il convient d'examiner le recours, en tant qu'il fait valoir l'incompétence de l'autorité cantonale. Sans doute, la société immobilière de Mimorey ne cite-t-elle pas expressément l'art. 84 litt. d OJ et se borne-t-elle à taxer d'arbitraire la décision du Voyer sur cette question de compétence. Mais peu importe. Car le grief d'arbitraire comprend le moyen pris d'une fausse application de la loi (RO 76 I 42). 3. En vertu de l'art. 44 LIE, lorsque des "branches BGE 80 I 249 S. 252 d'arbres" menacent la sécurité ou le fonctionnement d'une ligne électrique et que l'entreprise en requiert l'enlèvement, l'autorité locale désignée par le gouvernement cantonal est compétente pour statuer quant au bien-fondé de la demande et au montant de l'indemnité. La terminologie utilisée dans cette disposition montre que le législateur n'a entendu y soumettre que des cas de peu d'importance. En effet, le langage oppose les branches ou rameaux au tronc ou à la tige, et ce qui est l'un n'est pas l'autre. Or, l'intervention de l'autorité locale est limitée à l'hypothèse où il s'agit d'enlever des "branches d'arbres", c'est-à-dire à une opération qui n'a nullement sur la vitalité de la plante des conséquences aussi graves que le sectionnement du tronc à une certaine distance du faîte. Le peu d'importance des éventualités visées par l'art. 44 LIE ressort aussi du fait que le législateur fédéral a laissé toute latitude aux cantons dans le choix de l'autorité compétente. Ceux-ci peuvent donc désigner une autorité judiciaire, mais aussi une autorité administrative, même de rang inférieur dans l'échelle hiérarchique. De plus, l'autorité statue sans recours et après une procédure très sommaire, puisque le prononcé doit être rendu dans un délai de huit jours à compter de la requête. Enfin, l'historique de l'art. 44 LIE confirme la portée restreinte qu'il faut donner à cette disposition. Le projet de la loi fédérale concernant les installations électriques à faible et à fort courant (FF 1899 IV 477) contenait un art. 7 obligeant les propriétaires à enlever les branches d'arbres menaçant la sécurité ou l'emploi d'une ligne. Mais, de même que sous l'empire de la loi du 26 juin 1889 concernant l'établissement de lignes télégraphiques et téléphoniques - abrogée depuis par la LIE de 1902 -, cette obligation n'était prévue qu'à l'égard des conduites établies par la Confédération et non en ce qui concerne les lignes construites par des entreprises privées. C'est la commission parlementaire qui a décidé de l'étendre en faveur de celles-ci et notamment au bénéfice des sociétés transportant BGE 80 I 249 S. 253 du courant fort. Sa proposition a fait l'objet de vives controverses aux Chambres, où des avis divergents ont été exprimés. Certains orateurs ont proposé de supprimer cette possibilité nouvelle de porter atteinte à la propriété d'autrui sur la simple demande d'une entreprise électrique et sans suivre la procédure de l'expropriation. D'autres, au contraire, ont suggéré de la prévoir non seulement pour les branches d'arbres, mais pour l'arbre comme tel. Si, finalement, l'art. 44 a été adopté dans sa forme actuelle, les adversaires du projet ont reçu néanmoins certains apaisements. En effet, il est résulté de la discussion qu'il fallait interpréter la disposition litigieuse dans ce sens que l'ébranchage devrait faire l'objet d'une procédure d'expropriation lorsqu'il porterait atteinte à la croissance de l'arbre et que la nouvelle procédure devrait être réservée aux "cas minimes", aux "bagatelles", où il s'agirait d'enlever ici ou là quelques petits rameaux (Bull. stén. de l'Assemblée fédérale, 1900, p. 568, 597 ss., notamment 600, 655, 699 ss.). Ainsi, la terminologie de la loi, la procédure qu'elle a instituée et sa genèse montrent que l'art. 44 LIE ne permet le recours à l'autorité locale que lorsqu'il s'agit d'enlever certaines branches et que cette opération ne risque en tout cas pas de nuire à la croissance ultérieure de l'arbre. En revanche, quand l'intervention affecte la vitalité même de la plante, notamment en cas d'écimage, c'est-à-dire de sectionnement du tronc lui-même à une certaine distance du faîte, l'entreprise ne saurait procéder par la voie de l'art. 44 LIE (HESS, Das Enteignungsrecht des Bundes, p. 348 ss.)..... La décision attaquée doit dès lors être annulée. Il appartiendra à la recourante de saisir dès maintenant la commission fédérale d'estimation, en se conformant par analogie aux règles de l'art. 41 LEx. Dispositiv Par ces motifs, le Tribunal fédéral admet le recours et annule la décision attaquée.
public_law
nan
fr
1,954
CH_BGE
CH_BGE_001
CH
Federation
71b6fb9c-b9c0-438d-a3ea-6cd6d41d208b
Urteilskopf 94 I 559 77. Arrêt de la Ire Cour civile du 10 décembre 1968 dans la cause Bajulaz et consorts contre Office fédéral du registre du commerce.
Regeste Handelsregister; nationale Bezeichnung in einer Firma; Art. 944 Abs. 2 OR , Art. 45 HRegV . Prüfungsbefugnis des Bundesgerichts (Erw. 1). Zulässigkeit des Zusatzes "Suisse" in der Firma eines Unternehmens, das die einer Muttergesellschaft mit Sitz in der Schweiz zustehenden Patente als Tochtergesellschaft in der Schweiz ausbeuten soll (Erw. 2 u. 3).
Sachverhalt ab Seite 559 BGE 94 I 559 S. 559 Le 5 juillet 1968, Bajulaz et ses consorts ont requis de l'Office fédéral du registre du commerce l'autorisation d'user de la raison sociale Rotopark Suisse pour une société anonyme en formation. Ils ont motivé leur requête, en bref, comme il suit. Le groupe Rotopark est constitué de Rotopark SA, à Genève, titulaire de brevets, et de sociétés exploitant ces brevets dans BGE 94 I 559 S. 560 divers pays. Il existe ainsi une Rotopark Ltd, à Londres, et une Rotopark Iberica, à Barcelone. D'autres sociétés doivent être créées aux mêmes fins dans d'autres pays étrangers. La société en formation jouera le même rôle en Suisse. Il est nécessaire de la distinguer nettement de la société mère (Rotopark SA) et des filiales étrangères. L'adoption de la raison Rotopark Suisse le permettrait. La raison proposée est au demeurant conforme à la vérité. Le capital social sera entièrement en main de personnes physiques de nationalité suisse et de sociétés suisses. Les administrateurs seront suisses. L'activité sociale s'étendra à tout le territoire suisse, mais seulement à ce territoire. Par décision du 16 août 1968, l'Office fédéral du registre du commerce, après consultation de la Chambre du commerce et de l'industrie de Genève et du Directoire de l'Union suisse du commerce et de l'industrie, qui ont préavisé négativement, a refusé d'autoriser l'insertion du mot "Suisse" dans la raison sociale. Bajulaz et consorts forment un recours de droit administratif contre cette décision. L'office en propose le rejet. Il ne conteste pas la véracité de la raison, mais estime que les circonstances spéciales justifiant, au sens de l'art. 45 ORC, l'autorisation d'user d'une désignation nationale ne sont pas réunies. Erwägungen Considérant en droit: 1. Selon l'art. 45 ORC, édicté en application de l'art. 944 al. 2 CO, aucune désignation nationale ne doit figurer dans une raison de commerce. L'Office fédéral du registre du commerce peut autoriser exceptionnellement une dérogation à la règle lorsque des circonstances spéciales le justifient. Savoir si cette condition est réalisée est une question d'appréciation. Néanmoins, saisi d'un recours de droit administratif, le Tribunal fédéral revoit si l'office s'est référé à des critères objectivement déterminants et s'il n'a pas outrepassé les limites que le droit assigne à sa liberté d'appréciation (RO 93 I 563/564 consid. 2). 2. L'introduction du mot "Suisse" dans la raison de la société à créer est un moyen adéquat de distinguer celle-ci de la maison mère et des filiales ayant leur siège à l'étranger. L'adjonction est véridique: la société aura son siège en Suisse, elle entend exercer son activité dans ce pays seulement et sur l'ensemble de son territoire, ses actionnaires, ses administrateurs BGE 94 I 559 S. 561 et ses capitaux seront suisses. On ne voit pas en quoi la raison proposée heurterait le sentiment national. Enfin, elle n'est pas de nature à donner une idée trompeuse de l'importance de l'entreprise: jointe à un élément distinctif par lui-même (Rotopark), la mention "Suisse" ne peut avoir qu'un caractère restrictif, à l'inverse des désignations nationales ajoutées à une indication générique de l'activité de l'entreprise (Schweizerische Wohnbaugenossenschaft - RO 92 I 303; Schweizerische Prospektzentrale - RO 82 I 40). Sans doute éveille-t-elle l'idée qu'il existe d'autres sociétés Rotopark à l'étranger. Mais le fait est exact. Les recourants ont ainsi un intérêt digne de protection à choisir la raison "Rotopark Suisse" et celle-ci n'est pas de nature à induire le public en erreur. Ce sont là des circonstances spéciales au sens de l'art. 45 al. 1 ORC. Conformément à la jurisprudence des arrêts AGIE (RO 92 I 293 ss., notamment 297) et I.F.F. (RO 92 I 298 ss.), l'autorisation requise doit être accordée. La disposition précitée a pour but de prévenir des abus. Or il n'y en a pas en l'espèce. 3. L'Office fédéral ne discute pas les principes posés par ces deux arrêts. Il relève simplement que les recourants pourraient choisir des adjonctions distinctives sans élément national et que, parmi les filiales étrangères, une seule, Rotopark Iberica, a introduit dans sa raison une désignation nationale. Ces arguments ne sont pas décisifs. Le but de l'art. 45 ORC n'est pas de prohiber toute désignation nationale qui ne serait pas indispensable (RO 92 I 297). Sans doute le concern n'est-il qu'au début de son organisation et de son extension. Mais, vu l'art. 4 Cst., il n'y a pas de raison de privilégier les groupes puissants et bien établis. L'existence de trois autres sociétés Rotopark, dont la maison mère en Suisse, suffit pour que soient réunies les conditions posées par la jurisprudence, quand bien même la filiale suisse est la première à introduire dans sa raison une indication réellement nationale. Au demeurant, l'autorisation qu'il convient d'accorder peut toujours être révoquée s'il s'avère que la désignation nationale ne correspond plus à la situation (RO 82 I 40). Dispositiv Par ces motifs, le Tribunal fédéral: Admet le recours, annule la décision attaquée et autorise les recourants à adopter la raison "Rotopark Suisse".
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Urteilskopf 137 V 410 42. Auszug aus dem Urteil der II. sozialrechtlichen Abteilung i.S. K. gegen Ausgleichskasse des Kantons Zürich (Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten) 9C_111/2011 vom 12. Oktober 2011
Regeste Art. 10 EOG ; Art. 1 Abs. 2 lit. c EOV ; Qualifikation von Personen, die unmittelbar vor dem Einrücken ihre Ausbildung abgeschlossen haben oder diese während des Dienstes beendet hätten. Art. 1 Abs. 2 lit. c EOV statuiert lediglich die widerlegbare gesetzliche Vermutung, dass solche Personen eine Erwerbstätigkeit aufgenommen hätten. Trifft dies nicht zu, besteht nur Anspruch auf die Grundentschädigung für erwerbslose Personen (E. 4.2).
Sachverhalt ab Seite 411 BGE 137 V 410 S. 411 A. Der 1982 geborene K. beendete am 30. November 2008 sein Studium und erlangte am 22. Januar 2009 das Diplom als Master of Science ETH. Vom 8. Dezember 2008 bis 15. März 2009 leistete er Zivildienst und wurde dafür mit dem Minimalansatz von Fr. 54.- resp. ab Januar 2009 Fr. 62.- pro Tag entschädigt. Die Ausgleichskasse des Kantons Zürich bestätigte diese Ansätze mit Verfügung vom 6. April 2010, woran sie mit Einspracheentscheid vom 17. Mai 2010 festhielt. B. Die Beschwerde des K. wies das Sozialversicherungsgericht des Kantons Zürich mit Entscheid vom 16. Dezember 2010 ab. C. K. lässt Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten führen mit dem Antrag, unter Aufhebung des Entscheids vom 16. Dezember 2010 seien die Tagesansätze der EO-Entschädigung auf Basis des branchenüblichen Anfangslohnes festzusetzen. Die Ausgleichskasse und das Bundesamt für Sozialversicherungen (BSV) beantragen die Abweisung der Beschwerde. Das kantonale Gericht verzichtet auf eine Vernehmlassung. D. In einem vom Bundesgericht angeordneten zweiten Schriftenwechsel äusserten sich die Parteien zur Frage nach der Anwendbarkeit von Art. 9 Abs. 3 EOG (SR 834.1) resp. der Absolvierung einer Rekrutenschule. Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab. Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. 2.1 Der zivildienstleistenden Person (vgl. Art. 1a Abs. 2 EOG ), die keine Rekrutenschule absolviert hat, stehen für die Anzahl Tage des Zivildienstes, die der Dauer einer Rekrutenschule entsprechen, in der Regel 25 Prozent des Höchstbetrages der Gesamtentschädigung zu. Eine teilweise absolvierte Rekrutenschule wird angerechnet ( Art. 9 Abs. 3 EOG ). BGE 137 V 410 S. 412 2.2 Während anderer Dienste beträgt die tägliche Grundentschädigung in der Regel 80 Prozent des durchschnittlichen vordienstlichen Erwerbseinkommens ( Art. 10 Abs. 1 EOG ). War die dienstleistende Person vor Beginn des Dienstes nicht erwerbstätig, so entspricht die tägliche Grundentschädigung den Mindestbeträgen gemäss Artikel 16 Absätze 1-3 ( Art. 10 Abs. 2 EOG ). Der Bundesrat kann für Dienstleistende, die nur vorübergehend nicht erwerbstätig waren oder die wegen des Dienstes keine Erwerbstätigkeit aufnehmen konnten, besondere Vorschriften über die Bemessung ihrer Entschädigung erlassen ( Art. 11 Abs. 2 EOG ). Den Erwerbstätigen gleichgestellt sind: a. Arbeitslose; b. Personen, die glaubhaft machen, dass sie eine Erwerbstätigkeit von längerer Dauer aufgenommen hätten, wenn sie nicht eingerückt wären (dazu BGE 136 V 231 ); sowie c. Personen, die unmittelbar vor dem Einrücken ihre Ausbildung abgeschlossen haben oder diese während des Dienstes beendet hätten ( Art. 1 Abs. 2 EOV [SR 834.11]). Für Personen, die glaubhaft machen, dass sie während des Dienstes eine unselbstständige Erwerbstätigkeit von längerer Dauer aufgenommen hätten oder einen wesentlich höheren Lohn als vor dem Einrücken erzielt hätten, wird die Entschädigung auf Grund des Lohns berechnet, der ihnen entgangen ist. Haben sie unmittelbar vor dem Einrücken ihre Ausbildung abgeschlossen oder hätten sie diese während des Dienstes beendet, so wird die Entschädigung auf Grund des ortsüblichen Anfangslohns im betreffenden Beruf berechnet ( Art. 4 Abs. 2 EOV ). 3. Der Beschwerdeführer absolvierte die Rekrutenschule, weshalb Art. 9 Abs. 3 EOG für die Bemessung der Entschädigung nicht anwendbar ist. Streitig und zu prüfen ist, ob er für die Dienstzeit als Nichterwerbstätiger oder Erwerbstätiger zu qualifizieren ist und ihm demnach eine Entschädigung gemäss Art. 10 Abs. 2 EOG oder gemäss Art. 4 Abs. 2 Satz 2 EOV zusteht. Die Vorinstanz ist der Auffassung, Art. 1 Abs. 2 lit. c EOV enthalte eine mit einer Umkehr der Beweislast verbundene gesetzliche Vermutung für eine (hypothetische) Erwerbstätigkeit, welche sie im konkreten Fall für widerlegt gehalten hat. Folglich hat sie für die Entschädigungsbemessung Art. 4 Abs. 2 EOV die Anwendung versagt und lediglich den Anspruch auf eine Minimalentschädigung bejaht. Demgegenüber beruft sich der Beschwerdeführer auf den Wortlaut von Art. 1 Abs. 2 lit. c und Art. 4 Abs. 2 EOV ; überdies macht er geltend, sich bereits während des Dienstes um eine Arbeitsstelle bemüht zu haben. BGE 137 V 410 S. 413 4. 4.1 Das Gesetz muss in erster Linie aus sich selbst heraus, das heisst nach dem Wortlaut, Sinn und Zweck und den ihm zugrunde liegenden Wertungen auf der Basis einer teleologischen Verständnismethode ausgelegt werden. Die Gesetzesauslegung hat sich vom Gedanken leiten zu lassen, dass nicht schon der Wortlaut die Norm darstellt, sondern erst das an Sachverhalten verstandene und konkretisierte Gesetz. Gefordert ist die sachlich richtige Entscheidung im normativen Gefüge, ausgerichtet auf ein befriedigendes Ergebnis der ratio legis. Dabei befolgt das Bundesgericht einen pragmatischen Methodenpluralismus und lehnt es namentlich ab, die einzelnen Auslegungselemente einer hierarchischen Ordnung zu unterstellen. Die Gesetzesmaterialien können beigezogen werden, wenn sie auf die streitige Frage eine klare Antwort geben ( BGE 136 III 23 E. 6.6.2.1 S. 37; BGE 136 V 195 E. 7.1 S. 203; BGE 135 V 50 E. 5.1 S. 53; BGE 134 II 308 E. 5.2 S. 311). Verordnungsrecht ist gesetzeskonform auszulegen. Es sind die gesetzgeberischen Anordnungen, Wertungen und der in der Delegationsnorm eröffnete Gestaltungsspielraum mit seinen Grenzen zu berücksichtigen ( BGE 137 V 167 E. 3.3 S. 170 f. mit Hinweisen). 4.2 4.2.1 Dem Beschwerdeführer ist beizupflichten, dass ihm, im Gegensatz zu Personen, die von Art. 1 Abs. 2 lit. b EOV erfasst werden, grundsätzlich nicht obliegt, eine hypothetische Erwerbstätigkeit glaubhaft zu machen. Das ändert indessen nichts daran, dass die Vorinstanz - in Übereinstimmung mit der Auffassung des BSV (vgl. Rz. 5006 der Wegleitung zur Erwerbsersatzordnung für Dienstleistende und Mutterschaft [WEO]) - die Vorschrift von Art. 1 Abs. 2 lit. c EOV zu Recht als widerlegbare gesetzliche Vermutung aufgefasst hat. Die formell-gesetzliche Bestimmung von Art. 10 Abs. 2 EOG trifft für die Entschädigungsbemessung eine sachlich begründete Unterscheidung zwischen (hypothetisch) Erwerbstätigen und Erwerbslosen. Diese Vorgabe kann nicht mittels Regelung in der entsprechenden Verordnung geändert werden ("lex superior derogat legi inferiori"). Art. 1 Abs. 2 lit. c EOV erlaubt demnach nicht die Umqualifikation einer grundsätzlich nicht erwerbstätigen Person zu einer erwerbstätigen. Er kann daher nur so verstanden werden, dass er lediglich die Beweisanforderungen für die Qualifikation modifiziert: Während sich für Arbeitslose im Sinn von Art. 10 AVIG (SR 837.0) die grundsätzliche Erwerbstätigkeit schon aus diesem Gesetz ergibt, müssen von lit. b erfasste Personen die hypothetische Aufnahme BGE 137 V 410 S. 414 einer Erwerbstätigkeit zwar nicht mit überwiegender Wahrscheinlichkeit nachweisen (vgl. zum Regelbeweismass BGE 126 V 353 E. 5b S. 360 mit Hinweisen), aber immerhin glaubhaft machen. Unter lit. c fallende Personen profitieren von einer noch weiter gehenden Beweiserleichterung, indem - im Sinne einer gesetzlichen Vermutung - die Beweislast zu Gunsten des Leistungsansprechers umgekehrt und dessen Erwerbstätigkeit unterstellt wird. Diese Vermutung kann indessen durch den Beweis des Gegenteils umgestossen werden ( BGE 120 II 393 E. 4b S. 397; BGE 117 V 153 E. 2c S. 156; Urteil 9C_749/2009 vom 12. November 2009 E. 2.2), indem die Verwaltung Umstände geltend macht, welche darauf schliessen lassen, dass der Leistungsansprecher auch ohne Dienstabsolvierung keine Erwerbstätigkeit aufgenommen hätte. Dieses Ergebnis steht im Einklang mit der Entstehungsgeschichte von Art. 1 Abs. 2 EOV : Die massgebliche Bestimmung von Art. 1 Abs. 2 der auf den 31. Juni 2005 aufgehobenen EOV vom 24. Dezember 1959 (AS 1959 2143) lautete wie folgt: "Haben [Personen] unmittelbar vor dem Einrücken ihre Ausbildung abgeschlossen oder hätten sie diese während des Dienstes beendet, so wird vermutet, dass sie eine Erwerbstätigkeit aufgenommen hätten." Den Erläuterungen des BSV zur revidierten EOV http://www.bsv.admin.ch/themen/eo/00054/index.html?lang=de (besucht am 23. September 2011) lässt sich entnehmen, dass die neue Fassung des Artikels "im Grossen und Ganzen die Grundzüge" der aufgehobenen Bestimmung wiedergibt. 4.2.2 Was der Beschwerdeführer gegen diese Auslegung von Art. 1 Abs. 2 lit. c EOV vorbringt, hält nicht stand: Zwar trifft zu, dass die Verwaltung bei entsprechenden Anhaltspunkten prüfen muss, auf welcher Grundlage die Entschädigung zu bemessen ist. Dass dies aber einen unverhältnismässig hohen Verwaltungsaufwand zur Folge haben oder nur schwer praktikabel sein soll, ist nicht ersichtlich. Auch eine Rechtsunsicherheit entsteht daraus nicht, obliegt es doch der Verwaltung, anhand besonderer Umstände mit überwiegender Wahrscheinlichkeit nachzuweisen, dass der Dienstleistende ohnehin keine Erwerbstätigkeit aufgenommen hätte. Dass die Bemessung des Erwerbsersatzes an den Status als erwerbstätige oder erwerbslose Person resp. an den durch den Dienst verursachten Erwerbsausfall anknüpft (vgl. Art. 10 EOG ; PASCAL MAHON, Le régime des allocations pour perte de gain, in: Soziale Sicherheit, SBVR Bd. XIV, 2. Aufl. 2007, S. 1925 Rz. 17), erscheint sachgerecht und wird auch vom Beschwerdeführer nicht in Abrede gestellt. Schliesslich ist eine BGE 137 V 410 S. 415 Verletzung des Rechtsgleichheitsgebotes ( Art. 8 Abs. 1 BV ) nicht ersichtlich, gilt doch die in Art. 1 Abs. 2 lit. c EOV statuierte Vermutung, auch ohne dass davon erfasste Personen die (hypothetische) Aufnahme einer Erwerbstätigkeit glaubhaft machen müssen. Die vorinstanzliche Auslegung von Art. 1 Abs. 2 lit. c EOV stellt daher keine Rechtsverletzung dar. 4.3 4.3.1 Die Vorinstanz hat festgestellt, der Beschwerdeführer habe sich nach Dienstende am 15. März 2009 bis zum 29. Juni 2009 im Ausland aufgehalten. Unter diesen Umständen sei nicht davon auszugehen, dass er unmittelbar nach Studienabschluss eine Erwerbstätigkeit hätte aufnehmen wollen. Daran ändere nichts, dass sich der Beschwerdeführer mit E-Mail vom 18. Februar 2009 um eine (nicht ausgeschriebene) Stelle beworben habe. 4.3.2 Es ist nicht ersichtlich und wird auch nicht vorgebracht, dass diese Feststellungen (zur Qualifikation als Tatfrage vgl. Urteile 9C_447/2011 vom 21. Juli 2011 E. 4.1.2; 9C_152/2010 vom 24. August 2011 E. 4.3) offensichtlich unrichtig sein sollen. Weitere Stellenbewerbungen als die erwähnte sind nicht aktenkundig und wurden nicht geltend gemacht. Dem unmittelbar an den Dienst anschliessenden und über drei Monate dauernden Auslandaufenthalt steht lediglich eine einzige Arbeitsbemühung gegenüber, weshalb namentlich die vorinstanzliche Schlussfolgerung betreffend die Erwerbstätigkeit nachvollziehbar ist. Schliesslich beruhen die Feststellungen nicht auf einer Rechtsverletzung, so dass sie für das Bundesgericht verbindlich bleiben ( Art. 105 Abs. 1 und 2 BGG ). 4.4 Nach dem Gesagten hat das kantonale Gericht zu Recht einen höheren Anspruch als jenen auf die Grundentschädigung für erwerbslose Personen gemäss Art. 10 Abs. 2 EOG verneint. Die Beschwerde ist unbegründet.
null
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Urteilskopf 102 Ib 218 35. Urteil vom 25. Juni 1976 i.S. Moser gegen Rekurskommission des Kantons Thurgau
Regeste Widerhandlungen gegen Vorschriften des Milchlieferungsregulativs: Ordnungsbussenverfahren nach Art. 20 ff. der Verordnung über den milchwirtschaftlichen Kontroll- und Beratungsdienst; Verjährungsfrage. - Verwarnungen und Ordnungsbussen wegen Widerhandlungen gegen Vorschriften des Milchlieferungsregulativs können letztinstanzlich mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde beim Bundesgericht angefochten werden. Der Ausnahmegrund des Art. 100 lit. f OG trifft nicht zu; auch wird das Verfahren durch die Bestimmungen des VStrR nicht beeinflusst (Erw. 1). - Die Frage der Verfolgungs- und Vollstreckungsverjährung von Ordnungsbussen wegen Widerhandlungen gegen Vorschriften des Milchlieferungsregulativs richtet sich nicht nach der Sonderordnung des Art. 11 VStrR , sondern es ist diesbezüglich nach Art. 333 Abs. 1 StGB auf die Art. 70 ff. und 109 StGB zurückzugreifen (Erw. 2).
Sachverhalt ab Seite 219 BGE 102 Ib 218 S. 219 Auf Anzeige von Käsereiinspektor Christinger hin verurteilte die Sanktionskommission des milchwirtschaftlichen Kontroll- und Beratungsdienstes Ernst Moser am 11. August 1971 zu einer Ordnungsbusse von Fr. 150.--, die sie nach Wiedererwägung am 3. Dezember 1971 bestätigte. Ernst Moser wird vorgeworfen, am 21. Juni 1971 durch Ablieferung kontaminierter Milch den Bestimmungen des Schweizerischen Milchlieferungsregulativs und der bundesrätlichen Verordnung über den milchwirtschaftlichen Kontroll- und Beratungsdienst zuwidergehandelt zu haben. Der Betroffene wandte sich am 28. Dezember 1971 gegen diese Verfügung an die Rekurskommission des milchwirtschaftlichen Kontroll- und Beratungsdienstes des Kantons Thurgau; diese wies die Beschwerde mit Entscheid vom 27. März 1974, zugestellt am 2. Juli 1975, ab. Als Rechtsmittelbelehrung gab sie den Beschwerdeweg BGE 102 Ib 218 S. 220 an den Bundesrat an. Ernst Moser erhob daraufhin beim Bundesrat Beschwerde und verlangte, er sei freizusprechen und von allen Verfahrenskosten zu entbinden, eventuell seien die Schreibgebühren für den Rekursentscheid herabzusetzen. Bundesrat und Bundesgericht einigten sich in einem Meinungsaustausch darüber, dass das eingelegte Rechtsmittel als Verwaltungsgerichtsbeschwerde vom Bundesgericht zu beurteilen und zu entscheiden sei. Die Vorinstanz beantragt die Abweisung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde. Die Abteilung für Landwirtschaft verzichtet darauf, zum Fall Stellung zu nehmen. Erwägungen Erwägungen: 1. Der angefochtene Entscheid stützt sich auf öffentliches Recht des Bundes (eidgenössische Milchgesetzgebung); er stellt eine Verfügung im Sinne von Art. 5 VwVG und Art. 97 OG dar. Er stammt von einer letzten kantonalen Instanz, gegen deren Verfügung das Bundesrecht nicht zunächst die Beschwerde an eine Vorinstanz im Sinne der lit. b bis f des Art. 98 OG vorsieht ( Art. 98 lit. g OG ). Keiner der in den Artikeln 99 bis 102 aufgezählten Ausnahmen trifft zu, namentlich nicht der Unzulässigkeitstatbestand des Art. 100 lit. f OG , geht es doch nicht um ein eigentliches Strafverfahren, sondern um ein Ordnungsbussenverfahren. Dieses wird durch die neuen Bestimmungen des BG über das Verwaltungsstrafrecht (VStrR) in keiner Weise beeinflusst. Art. 106 Abs. 1 VStrR sieht nämlich vor, dass Strafverfahren, in denen die Strafverfügung der Verwaltung nach Art. 293 oder 324 BStP vor dem Inkrafttreten der neuen Bestimmungen des VStrR getroffen worden ist, nach bisherigem Recht fortgesetzt werden. Die hier in Frage stehende Verfügung, mit der die Sanktionskommission den Beschwerdeführer in eine Ordnungsbusse verfällt hat, erging am 11. August 1971, also lange vor dem Inkrafttreten des VStrR und noch unter der Herrschaft des alten Milchlieferungsregulativs von 1954. Selbst wenn also mit dem Inkrafttreten des VStrR am 1. Januar 1975 die Rechtslage sich hinsichtlich des Ordnungsbussenverfahrens geändert hätte (Anhang zum VStrR Ziffern 29 und 30), würde die Übergangsbestimmung des Art. 106 VStrR BGE 102 Ib 218 S. 221 eine allfällige Anwendung der neuen Bestimmungen nicht zulassen. Eine genauere Betrachtung der geltenden Rechtslage lässt aber deutlich werden, dass sich hinsichtlich des Ordnungsbussenverfahrens auch seit dem Inkrafttreten des VStrR und für Fälle, die von den Übergangsbestimmungen nicht berührt werden, nichts geändert hat in Bezug auf die Zuständigkeit und das Verfahren. Die Anwendbarkeit des VStrR setzt nach Art. 1 dieses Gesetzes voraus, dass die Verfolgung und Beurteilung von Widerhandlungen einer Verwaltungsbehörde des Bundes übertragen ist. Der Anknüpfungspunkt für den Entscheid in der Frage der Anwendbarkeit des VStrR ist somit primär kein materiellrechtlicher, sondern ein organisationsrechtlicher. Das Bundesrecht muss die Verfolgung und Beurteilung von Widerhandlungen einer Verwaltungsbehörde des Bundes übertragen (beispielsweise Art. 87 ZG und Art. 50 StG , beide in der Fassung gemäss Art. 104 VStrR Ziffern 7 und 8); sieht das Bundesrecht keine entsprechende Kompetenzzuweisung vor oder überträgt es kantonalen Behörden die Zuständigkeit zur Verfolgung und Beurteilung von Widerhandlungen (so beispielsweise Art. 132 WStB oder Art. 103 Abs. 2 SVG ), gelangen die Bestimmungen des VStrR nicht, zumindest nicht unmittelbar, zur Anwendung (über die Entstehungsgeschichte des Art. 1 VStrR und seine Tragweite vgl. BBl 1971 I 1004; Amtl.Bull. 1973 N S. 453; JEAN GAUTHIER, La loi fédérale sur le droit pénal administratif, in mémoires publiés par la faculté de droit de Genève no 46/1975, S. 29; MARKUS PETER, Das neue Bundesgesetz über das Verwaltungsstrafrecht, in ZStrR 90/1974, S. 22 f.; ROBERT W. PFUND, Der Entwurf eines Bundesgesetzes über das Verwaltungsstrafrecht, in ZBl 74/1973 S. 60). Hinsichtlich von Ordnungsbussen der hier zur Diskussion stehenden Art sehen sowohl die einschlägigen Bestimmungen der Verordnung über den milchwirtschaftlichen Kontroll- und Beratungsdienst vom 22. November 1972 (nachfolgend Verordnung/1972), welche jene vom 29. Dezember 1954 (nachfolgend Verordnung/1954) ersetzt, als auch des Schweizerischen Milchlieferungsregulativs vom 18. Oktober 1971 (MLR), das an die Stelle des früheren vom 29. Dezember 1954 getreten ist, folgende Verfahrensordnung vor: Ordnungsbussen werden bei BGE 102 Ib 218 S. 222 Verletzung der Verordnung sowie des MLR, soweit sie in Ziff. 3 des Anhanges zur Verordnung verzeichnet sind, von der Sanktionskommission verfügt (Art. 14 Verordnung/1954, Art. 24 Verordnung/1972). Die Kantone haben für das Tätigkeitsgebiet ihres milchwirtschaftlichen Kontroll- und Beratungsdienstes eine Beschwerdeinstanz zu bezeichnen (Art. 17 Verordnung/1954, Art. 29 Verordnung/1972). Diese Beschwerdeinstanz ist - soweit innerkantonal der Beschwerdeweg nicht mehrstufig ausgestaltet ist - letzte kantonale Instanz sowohl nach dem alten als auch nach dem neuen Recht. Gegen deren Entscheid ist die Verwaltungsgerichtsbeschwerde an das Bundesgericht zulässig. Dass dem bundesgerichtlichen Verfahren noch ein Beschwerdeverfahren bei einer Bundesverwaltungsbehörde vorgelagert wäre, schliessen sowohl Art. 17 der alten, als auch Art. 29 der neuen Verordnung aus. Diese Bestimmungen sehen nämlich vor, dass einerseits die Kantone eine Beschwerdeinstanz bezüglich Verwarnungen und Ordnungsbussen bezeichnen müssen, und dass anderseits bei allen übrigen (und eben nur bei diesen) Anordnungen und Entscheiden der Beschwerdeweg an die Abteilung für Landwirtschaft offensteht. An dieser Verfahrensordnung ist mit dem Inkrafttreten des VStrR nichts geändert worden. Die Änderungen des geltenden Bundesrechts sind im Anhang zum VStrR abschliessend aufgeführt ( Art. 104 Abs. 1 VStrR ). Bestimmungen, die darauf abzielen, das bisherige Rechtsschutzverfahren bezüglich Ordnungsbussen nach Art. 24 und 29 der Verordnung/1972 abzuändern, wurden im Anhang des VStrR unter den entsprechenden Ziffern 29 und 30 nicht erlassen. 2. In der Sache selbst stellt sich die Frage nach einer allfälligen Verfolgungs- und Vollstreckungsverjährung des hier in Frage stehenden Verstosses gegen die Bestimmungen der Verordnung und des MLR. Dabei ist davon auszugehen, dass die Tat, die Anlass zur Bestrafung durch die Sanktionskommission gab, am 21. Juni 1971 gesetzt worden ist. Weder die damals geltende noch die inzwischen in Kraft getretene Milchgesetzgebung enthält Bestimmungen, wann Widerhandlungen, die Anlass zu einem Ordnungsbussenverfahren geben, und wann verfügte Ordnungsbussen verjähren. Angesichts des auch pönalen Charakters dieser Massnahmen ist daher auf Art. 333 StGB zurückzugreifen. Nach Abs. 1 dieser Bestimmung BGE 102 Ib 218 S. 223 finden auf Taten, die in andern Bundesgesetzen mit Strafe bedroht sind, die allgemeinen Bestimmungen des StGB insoweit Anwendung, als diese Bundesgesetze nicht selbst Bestimmungen aufstellen. Das bedeutet, dass hinsichtlich des Verjährungsproblems die Art. 70 ff. und Art. 109 StGB heranzuziehen sind (vgl. hiezu auch BGE 97 IV 236 E. 3, wo es ebenfalls um die Anwendung des Art. 333 StGB geht, allerdings nicht in Bezug auf die Verjährungsfrage, sondern hinsichtlich des Problems der Rückwirkung; Rückgriff auf Art. 2 Abs. 2 StGB ). Wohl enthält das VStrR in Art. 11 eine Sonderordnung hinsichtlich der Verfolgungs- und Vollstreckungsverjährung bei Übertretungen. Doch ist diese Ordnung auf jene Fälle beschränkt, welche in den Anwendungsbereich des VStrR fallen (vgl. GAUTHIER, a.a.O., S. 31 f.). Das ist hier - wie bereits dargelegt worden ist - nicht der Fall. Art. 109 StGB sieht vor, dass eine Übertretung in einem Jahr, die Strafe einer Übertretung in zwei Jahren verjährt. Die Strafverfolgung verjährt - trotz Ruhens und Unterbrechung -, wenn die ordentliche Verjährungsfrist um ihre ganze Dauer überschritten ist ( Art. 72 Ziff. 2 Abs. 2 StGB ), d.h. die absolute Verjährung tritt nach Ablauf von zwei Jahren der Tat ein. Dieser Regelung trägt denn auch Art. 29 Abs. 1 letzter Satz der Verordnung/1972 insofern Rechnung, als die kantonale Beschwerdeinstanz von Bundesrechts wegen verpflichtet wird, über Beschwerden gegen Verwarnungen und Ordnungsbussen innerhalb von sechs Monaten zu befinden. Im vorliegenden Fall ist die Verfolgungsverjährung für die Ernst Moser zur Last gelegte Widerhandlung am 21. Juni 1973 eingetreten. In diesem Zeitpunkt war die von der Sanktionskommission ausgesprochene Ordnungsbusse nicht in Rechtskraft erwachsen. Jede weitere "Strafverfolgung" war somit einzustellen. Der Entscheid der kantonalen Rekurskommission, welcher trotz eingetretener Verjährung die angefochtene Busse bestätigte, verletzt somit Bundesrecht. Er ist demnach aufzuheben und die Verwaltungsgerichtsbeschwerde gutzuheissen.
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Urteilskopf 98 Ia 353 58. Arrêt du 26 avril 1972 dans la cause Visser contre Delmonico et Cour des poursuites et faillites du Tribunal cantonal vaudois.
Regeste Begehren um definitive Rechtsöffnung. Einrede der Verrechnung. Art. 81 und 149 Abs. 2 SchKG .Ein vom Betreibungsschuldner vorgelegter, gegen den Betreibungsgläubiger ausgestellter Verlustschein bildet für sich allein keinen urkundlichen Beweis für den Bestand der Gegenforderung, die dem Begehren um definitive Rechtsöffnung gegenüber zur Verrechnung gestellt wird.
Sachverhalt ab Seite 354 BGE 98 Ia 353 S. 354 A.- La société en nom collectif en liquidation Delmonico frères a été condamnée le 29 mars 1971, par la Cour civile du Tribunal cantonal vaudois, à payer à dame Visser la somme de 12 314 fr. avec intérêts de 5% dès le 26 octobre 1965. Le jugement a été déclaré définitif et exécutoire le 1er juin 1971. Par commandement de payer no 28 163 du 17 juin 1971, notifié le 18 juin, dame Visser a requis la débitrice de lui payer le montant de 12 314 fr. avec intérêts. Opposition ayant été faite au commandement de payer, la créancière a requis la mainlevée définitive par acte du 28 juillet 1971. La débitrice a conclu au rejet de la requête, alléguant que la créance était éteinte soit par paiement, soit par compensation: elle avait auparavant déclaré vouloir compenser sa dette avec le montant de trois actes de défaut de biens, établis contre dame Visser le 28 mars 1968 et qu'elle avait elle-même acquis par voie de cession avant l'ouverture de la poursuite; elle avait d'autre part payé au mandataire de la créancière, le 14 juin 1971, la différence de 338 fr. 40 entre la créance en poursuite (12 314 fr.) et le montant total des trois actes de défaut de biens (11 975 fr. 60), ainsi que les intérêts à 5% sur ce dernier montant du 26 octobre 1965 au 28 mars 1968. Par jugement du 9 août 1971, le président du Tribunal du district d'Oron a admis le droit de compenser invoqué par Delmonico frères et débouté dame Visser de sa demande de mainlevée, sauf pour les intérêts à 5% sur le montant de 11 975 fr. 60 du 28 mars 1968 au 7 juin 1971. Dame Visser a recouru le 24 août 1971 à la Cour des poursuites et faillites du Tribunal cantonal vaudois, qui a rejeté le recours par arrêt du 4 novembre 1971. BGE 98 Ia 353 S. 355 B.- Agissant par la voie du recours de droit public, dame Visser requiert le Tribunal fédéral d'annuler l'arrêt de la Cour des poursuites et faillites du 4 novembre 1971. Elle allègue la violation de l'art. 4 Cst. La société intimée conclut au rejet du recours. Erwägungen Considérant en droit: 1. Lorsque la poursuite se fonde sur un jugement exécutoire, le juge ne peut refuser la mainlevée définitive, selon l'art. 81 LP, que si l'opposant prouve par titre que la dette a été éteinte ou qu'il a obtenu un sursis postérieurement au jugement, ou s'il se prévaut de la prescription. La recourante ne conteste pas qu'une dette puisse s'éteindre par compensation, ni que la débitrice puisse opposer en compensation des créances acquises par voie de cession entre le jugement et l'ouverture de la poursuite. Elle conteste en revanche que la production d'un acte de défaut de biens constitue à elle seule la preuve par titre de l'existence de la créance opposée en compensation. 2. Ainsi que le Tribunal fédéral l'a admis dans sa jurisprudence constante (RO 26 II 485 ss. consid. 3, 52 III 131, 69 III 91 consid. 1), l'acte de défaut de biens n'est qu'une déclaration officielle attestant que la procédure d'exécution forcée engagée contre le débiteur n'a pas abouti au paiement de la créance ou n'a abouti qu'à un paiement partiel. Il n'emporte par lui-même ni novation de la dette au sens de l'art. 116 CO, ni création d'un rapport de droit nouveau qui viendrait doubler l'ancien et d'où pourrait naître un droit d'action distinct. Il ne constitue pas une reconnaissance de dette au sens technique de cette expression: le débiteur en effet n'intervient en rien dans son établissement et ne fait aucune déclaration de volonté concernant le fond du droit. Un tel acte ne "vaut reconnaissance de dette" que "dans le sens de l'art. 82" (art. 149 al. 2 LP). Même s'il a été établi au terme d'une poursuite au cours de laquelle la mainlevée définitive a été accordée, l'acte de défaut de biens ne permet, à lui seul, d'obtenir que la mainlevée provisoire et non la mainlevée définitive. Il ne pourrait avoir d'effets plus étendus qu'en vertu de dispositions légales expresses. Or, à part les effets du droit des poursuites (art. 149 al. 2 et 3 LP), la loi prévoit simplement que la créance est imprescriptible et ne porte pas d'intérêts (alinéas 4 et 5 du même article). BGE 98 Ia 353 S. 356 Si l'acte de défaut de biens ne permet d'obtenir que la mainlevée provisoire, à plus forte raison ne peut-il pas, à lui seul, faire échec à l'octroi de la mainlevée définitive requise sur présentation d'un jugement exécutoire. Il ne constitue en aucune façon la preuve de l'existence de la créance, mais uniquement, selon l'arrêt Lehle (RO 69 III 91 s.), un indice de cette existence, indice auquel le juge ne pourrait attribuer une valeur décisive que si le créancier se trouvait dans l'impossibilité d'invoquer d'autres moyens de preuve, en raison de circonstances exceptionnelles (ancienneté des événements ou autres motifs semblables). Or rien de tel ne se présentait en l'espèce: délivrés en mars 1968, les actes de défaut de biens reposaient sur des faits récents; l'intimée n'a par ailleurs pas allégué qu'en raison d'autres circonstances exceptionnelles, elle était dans l'impossibilité d'invoquer d'autres moyens de preuve. Les autorités cantonales pouvaient d'autant moins attribuer une valeur de preuve par titre aux actes de défaut de biens en question que ceux-ci précisaient, au sujet de la débitrice, qu'elle était actuellement sans domicile connu, mais probablement domiciliée aux Pays-Bas. Cette indication était de nature à faire douter de la régularité de la procédure suivie dans les poursuites qui avaient abouti à ces actes de défaut de biens, notamment douter que les formes prescrites par l'art. 66 LP et par la Convention de La Haye relative à la procédure civile, du 1er mars 1954, aient été respectées pour la notification des actes de poursuite. 3. En méconnaissant la règle de droit fédéral qui découle du texte clair de la loi et de la jurisprudence, la décision attaquée a admis comme prouvés par titres des faits - importants pour la solution du litige - qui ne l'étaient pas; ce faisant, elle a déplacé le fardeau de la preuve de façon inadmissible. Incompatible avec l'art. 4 Cst., cette décision doit être annulée.
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Urteilskopf 97 V 86 20. Auszug aus dem Urteil vom 8. September 1971 i.S. William und Irène Ellacott gegen Schweizerische Unfallversicherungsanstalt und Versicherungsgericht des Kantons Luzern
Regeste Art. 67 Abs. 3 KUVG : Begriff des Wagnisses als Unfallursache. Die Besteigung der Aiguille de la Mule des Mont Salève (Schwierigkeitsgrad II, zum Teil III) ist an sich kein Wagnis; in casu jedoch Wagnis im Hinblick auf die fehlende Kletterausbildung und -erfahrung sowie die schlechte Ausrüstung des zu Tode Gestürzten bejaht (Bestätigung der Rechtsprechung).
Sachverhalt ab Seite 86 BGE 97 V 86 S. 86 A.- William Ellacott, geboren am 1. September 1942 in Polynesien, französischer Staatsangehöriger und wohnhaft gewesen in Collonges-sous-Salève (Hochsavoyen), verunfallte am 27. August 1966 am Mont Salève bei Genf tödlich. Er war im Begriffe, zusammen mit seinen zwei Kameraden P. und M. bei schönem Wetter die "Aiguille de la Mule" des Mont Salève von Collonges aus zu ersteigen. Als sich die Gruppe ungefähr 40 Meter unter dem Gipfel befand und William Ellacott, der an der Spitze ging, begonnen hatte, eine vier Meter hohe, senkrechte Felswand zu erklettern, stürzte er aus unbekannten Gründen ab und blieb rund 100 Meter weiter unten tot liegen. Der Verunfallte arbeitete damals bei den Genfer Verkehrsbetrieben und war daher bei der Schweizerischen Unfallversicherungsanstalt (SUVA) gegen Betriebs- und Nichtbetriebsunfälle versichert. Mit Verfügung vom 29. September 1966 lehnte die SUVA ihre Leistungspflicht gestützt auf Art. 67 Abs. 3 KUVG ab. Die Verfügung wurde den in Polynesien lebenden Eltern des Verunfallten eröffnet. BGE 97 V 86 S. 87 B.- Die Eltern Ellacott, denen das Versicherungsgericht des Kantons Luzern die unentgeltliche Rechtspflege und Verbeiständung bewilligte, begehrten Aufhebung der ablehnenden Verfügung und Zusprechung der gesetzlichen Versicherungsleistungen, nämlich eine lebenslängliche Rente von jährlich 3143 Franken nebst der Bestattungsentschädigung. Die Anstalt schloss mit Rechtsantwort vom 21. Juli 1967 auf Abweisung der Klage. Das Versicherungsgericht des Kantons Luzern wies mit Entscheid vom 27. Februar 1970 die Klage ab. C.- Gegen diesen Entscheid führt Rechtsanwalt Dr. X. namens der Eltern Ellacott Verwaltungsgerichtsbeschwerde und beantragt Aufhebung des angefochtenen Entscheides und Zusprechung der bereits vor erster Instanz verlangten gesetzlichen Versicherungsleistungen; gleichzeitig wird um Bewilligung des prozessualen Armenrechts nachgesucht. Zum Beweis beantragen die Beschwerdeführer eventuell einen Augenschein des Gerichts am Mont Salève. Die SUVA trägt auf Abweisung der Beschwerde an. Erwägungen Aus den Erwägungen: 1. ... (Kognition). 2. Für die rechtlichen Erwägungen vgl. das vorn publizierte Urteil vom 21. Juni 1971 i.S. Leeser (Nr. 19). 3. Die bei den Akten liegenden Photographien vermitteln einen guten Überblick über das von William Ellacott und seinen zwei Begleitern am Unfalltag begangene Gelände. Ferner wird dieses im Unfallrapport der Polizei wie folgt umschrieben: "Il se présente sous la forme d'une paroi rocheuse haute de 200 mètres environ, dont le haut est vertical. La roche est friable. La paroi est parsemée de petits arbustes." Der sachverständige Zeuge Z., Tourenchef der Sektion Genf des Schweizer Alpen-Clubs (SAC), hat ausgesagt: "Ce passage n'est pas difficile... Il faut savoir varapper pour faire ce passage... Pour faire ce passage, il suffit d'être un varappeur moyen." In einem Schreiben vom 15. April 1967 hat A., Chef der "Sauveteurs volontaires du Salève", der gemäss Polizeirapport die Leiche des Verunfallten geborgen hatte, dem klägerischen Anwalt unter anderem mitgeteilt: "... ces passages sont classés 2e et 3e degrés donc assez faciles." BGE 97 V 86 S. 88 Da sich der begangene Berghang aus diesen aktenmässigen Angaben für die Entscheidung des vorliegenden Verfahrens mit hinreichender Zuverlässigkeit beurteilen lässt, ist von einem Augenschein abzusehen. 4. Zunächst ist für die rechtliche Beurteilung der folgenschweren Kletterei davon auszugehen, dass die Besteigung der "Aiguille de la Mule" des Mont Salève auf der benützten Route ohne jeden Zweifel nicht zu jenen extrem gefährlichen und verwegenen Unternehmen gehört, welche an sich und zum voraus als Wagnis anzusehen sind, wer sie auch immer unter noch so günstigen Umständen in Angriffnehmen mag. Demnach ist unter Berücksichtigung der besonderen Umstände des konkreten Falles ... zu beurteilen, ob sich die Anstalt und die Vorinstanz zu Recht auf Art. 67 Abs. 3 KUVG gestützt haben. a) Die zur Veranschaulichung des begangenen Geländes den Akten entnommenen Angaben (Erw. 3) zeigen deutlich, dass William Ellacott und seine Kameraden nicht eine harmlose Bergwanderung, sondern eindeutig eine Kletterpartie, und zwar eine recht anspruchsvolle, unternommen haben. A. nennt die Schwierigkeitsgrade II und III und bezeichnet diese - aus seiner Sicht und Erfahrung - als "assez faciles". Für die objektive Einstufung dieser Schwierigkeitsgrade ist jedoch nicht auf diese subjektive und mehr beiläufig abgegebene Aeusserung abzustellen; massgebend dafür ist vielmehr die allgemeine Umschreibung der insgesamt sechs Schwierigkeitsgrade umfassenden und international gültigen Klassierungsskala, sogenannte "Alpenskala" (vereinbart 1947 in Chamonix auf Grund einer älteren Skala), in der alpinistischen Literatur, wonach Schwierigkeitsgrad II "mittelschwer" oder "mässig schwierig" und Grad III "schwierig" bedeutet. OTTO EIDENSCHINK beispielsweise beschreibt die beiden Grade (in "Richtiges Bergsteigen", Die Technik im Fels, München, 4. Auflage, 1963, S. 49) wie folgt: "II. Mittelschwer: Die Hände werden zur Erhaltung des Gleichgewichtes benötigt, man beginnt bereits zu klettern. Das Seil kommt meistens schon zur Anwendung. III. Schwierig: Dieses Felsgelände erfordert eine gewisse Technik und Erfahrung. Einwandfreie Seilbedienung ist erforderlich." Weiter sei verwiesen auf die Behandlung der Schwierigkeitsgrade in: SCHATZ/REISS, "Bergsteigen, Technik in Fels und BGE 97 V 86 S. 89 Eis", Verlag SAC, 1967, S. 112/113; MAESTRI, "Kletter-Schule", Zürich 1967, S. 33; NIEBERL/HIEBELER, "Das Klettern im Fels", München, 10. Auflage, 1960, S. 46 ff. b) Mit der Feststellung des klettertechnischen Schwierigkeitsgrades des Aufstieges ist nun aber die Rechtsfrage nach dem Wagnischarakter des Unternehmens noch nicht entschieden, liefe dies doch eindeutig der in der neueren Rechtsprechung zum Ausdruck kommenden Konkretisierung zuwider. Klettertechnische Schwierigkeiten sind - namentlich in der untern Hälfte der "Alpenskala" - durch richtige Kletterausbildung, angemessenes Training, zutreffende Ausrüstung und technisch einwandfreien Einsatz des Materials verhältnismässig gefahrlos zu überwinden. Massgebend für den Ausgang des vorliegenden Verfahrens ist demzufolge, ob William Ellacott und seine Kameraden ihrem Unternehmen, Erklettern einer Wand der Schwierigkeitsgrade II und III, auf Grund ihrer körperlichen und technischen Voraussetzungen überhaupt gewachsen gewesen und nach allen Regeln der alpinistischen Kunst zu Werke gegangen seien. Weder der Verunfallte noch einer seiner Begleiter war ein erfahrener Alpinist. Das ist unbestritten. Nach den Aussagen des Sachverständigen Z. hätte es für die Ersteigung der "Aiguille de la Mule" auf der fraglichen Route aber auch keinen erfahrenen Alpinisten gebraucht, sondern bloss einen "varappeur moyen", einen Durchschnittskletterer. Doch William Ellacott war auch das nicht, er war - wie die Vorinstanz zutreffend festgestellt hat - weniger als ein Durchschnittskletterer; denn er hat nie auch nur die elementarste Kletterausbildung genossen oder sich sonstwie eine hinreichende alpinistische oder klettertechnische Erfahrung erworben. Dass er ausgebildet oder zureichend erfahren gewesen sei, wird denn auch zu Recht nicht behauptet. Von seinen zwei Begleitern war P. schon zwei- bis dreimal in ähnlichen Hängen geklettert, M. aber war "un novice"; dieser Umstand ist zwar für den Unfall nicht kausal, dokumentiert aber, mit welcher Sorglosigkeit ans Werk gegangen worden ist. Die wiederholt angerufene Tatsache, der Verunfallte habe früher den Salève auf der am Unglückstag begangenen Route schon mehrmals ohne Zwischenfälle bestiegen, erklärt zwar bis zu einem gewissen Grad seinen Leichtsinn und lässt annehmen, er habe eine gewisse Geländekenntnis besessen; sie vermag dagegen am gewagten Charakter des hier zu beurteilenden BGE 97 V 86 S. 90 Aufstieges nichts zu ändern. Denn die Tatsache, dass jemand ein Wagnis schon mehrmals schadlos überstanden hat, hebt den Wagnischarakter an sich nicht auf. Überdies ist nicht bewiesen, dass William Ellacott bei allen seinen Aufstiegen stets die gleiche Route gewählt hat. Hingegen hätten ihm seine Kenntnisse des Geländes gerade das Bewusstsein vermitteln müssen, dass er den Anforderungen eines Kletterers, welcher den Mont Salève auf jener Route ersteigen will, nicht zu genügen vermochte. Hinzu kommt weiter, dass keine besonderen Vorsichtsmassnahmen getroffen wurden, die unter Umständen geeignet gewesen wären, den Mangel an persönlichen Eigenschaften und Fähigkeiten wettzumachen. Eine solche Massnahme wäre namentlich das Anseilen gewesen, allerdings nur, sofern die Beteiligten mit der Handhabung eines Kletterseils vertraut gewesen wären. Doch diese Sicherung wurde unterlassen. Die Sachverständigen A. und Z. sagten aus, es sei zwar möglich - wohl für geübte Alpinisten wie die Sachverständigen -, den Aufstieg ohne Seil zu bewältigen, jedoch sei es üblich, sich anzuseilen, "même pour faire un tel passage". Diese Aussagen über den Einsatz des Seils stimmen auch mit der Klassierung des Aufstieges in die Grade II und III durchaus überein; im zweiten Grad kommt das Seil "meistens schon zur Anwendung" und im dritten Grad ist "einwandfreie Seilbedienung... erforderlich" (EIDENSCHINK, a.a.O., S. 49). Daraus ergibt sich, dass eine Kletterpartie, wie sie William Ellacott unternommen hat, niemals ohne Seil und von Berggängern, die das Seil nicht zu gebrauchen verstehen, in Angriff genommen werden darf. Endlich ist an die völlig unzulängliche Ausrüstung des Verunfallten - und der ganzen Gruppe - zu erinnern, wobei von einer Ausrüstung keine Rede sein kann im Vergleich zu dem, was im Alpinismus für derartige Touren als zweckmässig empfohlen und teilweise als unerlässlich gefordert wird. William Ellacott trug Tennisschuhe und kurze Hosen. Was davon zu halten ist, lässt sich namentlich im Monatsbulletin des SAC - "Die Alpen" - im Kommentar zur Statistik der Bergunfälle nachlesen: "Beim Sturz im Fels ist in mehreren Berichten ausdrücklich erwähnt, am Unfall sei ungenügende Ausrüstung schuld gewesen. Es ist einfach verantwortungslos, Bergklettereien in Sandalen, Halbschuhen oder Turnschuhen zu unternehmen und sich gar nicht oder BGE 97 V 86 S. 91 locker anzuseilen. Mindestens sieben Kletterer sind im Jahre 1968 derartigen Nachlässigkeiten zum Opfer gefallen. Namentlich aber bei den Stürzen in wenig gefahrvollem Gelände wird in den Berichten vielfach ungenügende Ausrüstung, Unvorsichtigkeit und Unerfahrenheit als mitbestimmend erwähnt." (GRÜTTER, Die Bergunfälle in der Schweiz im Jahre 1968, Die Alpen, 45/1969, S. 205.) c) Aus dem Gesagten folgt, dass der Aufstieg William Ellacotts vom 27. August 1966 zur "Aiguille de la Mule" am Mont Salève unter den konkreten Verumständungen, unter denen er ausgeführt wurde, im Lichte der dargelegten Rechtsprechung ein Wagnis darstellt, welches unter Ziffer II des geltenden Verwaltungsratsbeschlusses der SUVA fällt und daher gemäss Art. 67 Abs. 3 KUVG von der Versicherung gegen Nichtbetriebsunfälle ausgeschlossen ist. Die Verfügung der Anstalt vom 29. September 1966 und der angefochtene kantonale Entscheid sind daher zu Recht ergangen; die Verwaltungsgerichtsbeschwerde ist abzuweisen. 5. ... (Unentgeltliche Rechtspflege) Dispositiv Demnach erkennt das Eidg. Versicherungsgericht: Die Verwaltungsgerichtsbeschwerde wird abgewiesen.
null
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Urteilskopf 97 I 417 56. Urteil der I. Zivilabteilung vom 30. März 1971 i.S. Näf gegen Aufsichtsbehörde über das Handelsregister des Kantons St. Gallen.
Regeste Handelsregister, Eintragungspflicht. Der Inhaber einer Gemüsegärtnerei ist zur Eintragung nicht verpflichtet, wenn sein Betrieb der Landwirtschaft, also nicht einem andern, nach kaufmännischer Art geführten Gewerbe im Sinne von Art. 53 lit. C HRegV zuzurechnen ist.
Sachverhalt ab Seite 417 BGE 97 I 417 S. 417 A.- Karl Näf betreibt in Goldach SG eine Gemüsegärtnerei und erzielt damit einen Jahresumsatz von rund Fr. 250'000.--. Der Betriebsgewinn auf 30. September 1968 belief sich auf Fr. 77'000.--, die Personalkosten machten Fr. 66'500.-- aus. Nach Angaben Näfs betrug die bewirtschaftete Fläche im Jahre 1969 rund 4 ha (wovon rund 2,8 ha Eigenbesitz). Der Betrieb umfasst zwei Wohnhäuser, eine Scheune mit Anbau und Kesselhaus, einen offenen Schopf und Lagerraum, zwölf Gewächshäuser und ein Kühlhaus. Nach Angaben des Betreibungsamtes Goldach beschäftigte Näf im Jahre 1968 16 Angestellte (ob alle gleichzeitig, ist unklar); Näf selber behauptet, im Sommer 1969 seien es neun, im Winter 1969/70 sechs gewesen. Er führt kein Verkaufsgeschäft, keinen Laden, sondern liefert seine Erzeugnisse in der Regel mit einem Motorfahrzeug an rund 25 Grossabnehmer, d.h. Inhaber von Marktständen in St. Gallen und BGE 97 I 417 S. 418 Ladengeschäfte. Einer seiner Hauptabnehmer ist die Migros. Im Geschäftsjahr 1967/68 stellte Näf seinen Kunden monatliche Rechnungen für bis zu 30 Lieferungen zu. Die entsprechenden Rechnungskopien umfassen 245 Blätter. Die Buchhaltung Näfs wird von der Ostschweizerischen Bürgschafts- und Treuhand-Genossenschaft (OBTG) geführt, der Näf monatlich seine Aufzeichnungen über Einnahmen, Ausgaben und dergleichen zustellt. B.- Näf weigerte sich im Jahre 1969, sich entsprechend der Aufforderung des Handelsregisteramtes des Kantons St. Gallen ins Handelsregister eintragen zu lassen. Die Aufsichtsbehörde des Kantons St. Gallen über das Handelsregister ordnete hierauf gestützt auf Art. 58 Abs. 1 HRegV mit Entscheid vom 18. November 1970 die Eintragung an. C.- Näf beantragt mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde diesen Entscheid aufzuheben, die Eintragungspflicht zu verneinen, und die Kosten des kantonalen und des bundesgerichtlichen Verfahrens dem Kanton St. Gallen zu überbinden und ihm, dem Beschwerdeführer, eine angemessene Parteientschädigung zuzusprechen. D.- Die Aufsichtsbehörde hat auf Vernehmlassung verzichtet. Das Eidgenössische Justiz- und Polizeidepartement beantragt, die Beschwerde abzuweisen. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Nach Art. 934 OR und 52 HRegV ist zur Eintragung im Handelsregister verpflichtet, "wer ein Handels-, ein Fabrikations- oder ein anderes nach kaufmännischer Art geführtes Gewerbe betreibt". Diese Begriffe werden in Art. 53 HRegV näher umschrieben. Daraus ergibt sich, dass der Betrieb des Beschwerdeführers weder ein Handels- noch ein Fabrikationsgewerbe ist, sondern allenfalls zu den anderen, nach kaufmännischer Art geführten Gewerben im Sinne des Art. 53 lit. C HRegV gehört. Die jährliche Roheinnahme von mindestens Fr. 50'000.-- ist als weitere Voraussetzung der Eintragungspflicht nach Art. 54 HRegV erfüllt. 2. Nach der Rechtsprechung des Bundesgerichtes sind Betriebe der Urproduktion, insbesondere solche der Landwirtschaft, eintragungspflichtig, wenn sie mit einem Grosshandel der gewonnenen Erzeugnisse verbunden sind oder sonstwie nach kaufmännischer Art geführt werden BGE 97 I 417 S. 419 und daher unter Art. 53 lit. C HRegV fallen ( BGE 78 I 68 ). Unter diesem Gesichtspunkt hat das Eidgenössische Justiz- und Polizeidepartement in seiner Rechtsprechung zur alten Handelsregisterverordnung vom 6. Mai 1890 Baumschulen und Handelsgärtnereien zur Eintragung verpflichtet (SALIS/BURCKHARDT, Bundesrecht III Nr. 1505; Verwaltungsentscheide der Bundesbehörden 1928 Nr. 34), davon aber landwirtschaftliche Betriebe ausgenommen, was der erwähnte Entscheid in Salis/Burckhardt als selbstverständlich unterstellt, wenn er auch unter Landwirtschaft "die eigentliche nichteintragungspflichtige Bauernschaft" versteht, die "vorwiegend auf Selbstversorgung gerichtet ist". Später hat das Bundesgericht - im Hinblick auf die Unterstellung unter die Kriegsgewinnsteuer - Baumschulen und Handelsgärtnereien zusammen mit der Landwirtschaft zur Urproduktion gezählt, jene Betriebe jedoch wegen der im Vordergrund stehenden kaufmännischen Tätigkeit wirtschaftlich dem eintragungspflichtigen Gewerbe gleichgestellt (vgl. nicht veröffentlichten Entscheid der verwaltungsrechtlichen Kammer des Bundesgerichts vom 24. Oktober 1947 i.S. Hauenstein und Söhne). Die gleiche Frage (Unterstellung unter die Kriegsgewinnsteuer) hatte das Bundesgericht ferner in einem nicht veröffentlichten Entscheid vom 22. Oktober 1948 i.S. Schweizerische Genossenschaft für Gemüsebau zu beurteilen. Es handelte sich um einen ausgesprochenen Grossbetrieb, der damals nicht nur Gemüse, sondern auch grosse Mengen von Getreide, Zuckerrüben und Kartoffeln in elf Betrieben von insgesamt 130 ha erzeugte und verkaufte. Daneben besass die Genossenschaft etwa 40 Pferde, 350 Rinder, 100 Schweine und 300 Hühner. Dass ein solcher Betrieb nach kaufmännischen Grundsätzen geführt und buchhalterisch erfasst werden muss, steht ausser Frage. Trotzdem rechnete ihn das Bundesgericht - mit Ausnahme einzelner besonderer Zweige: Blumenzucht, Verkaufsfilialen - zur Landwirtschaft und stellte ihn den Betrieben des Handels und Gewerbes gegenüber. Dieses Urteil erwähnte das Bundesgericht im EntscheidBGE 78 I 69/70 in zustimmendem Sinne und hielt damit an der Auffassung fest, dass landwirtschaftliche Betriebe von der Eintragungspflicht ausgenommen seien. Daran ändert auch der Umstand nichts, dass es an anderer Stelle (a.a.O. S. 68) solche Betriebe als eintragungspflichtig erklärte, die mit einem Grosshandel der gewonnenen Erzeugnisse verbunden BGE 97 I 417 S. 420 sind oder sonstwie nach kaufmännischer Art geführt werden; denn dieser Satz bezieht sich nach seiner Stellung im Text nicht auf landwirtschaftliche Betriebe, sondern auf Baumschulen und Handelsgärtnereien. Das Bundesgericht führte damals auch aus, dass landwirtschaftliche Betriebe - obwohl die Definition des Gewerbes auch auf sie zutreffen würde - im Gegensatz zu den in Art. 934 OR (und gleichlautend in Art. 52 Abs. 1 HRegV ) angeführten Gewerbearten stehen und dass die Anwendbarkeit des Handelsrechts für sie keinen Sinn habe (a.a.O. S. 68). Diese Rechtsprechung wurde in BGE 81 I 80 und in einem neuen, nicht veröffentlichten Entscheid der verwaltungsrechtlichen Kammer des Bundesgerichtes vom 12. September 1967 i.S. Erben Karl Hug gegen Kantonale Steuerrekurskommission Basel-Land ausdrücklich bestätigt. Entgegen der vom Eidgenössischen Justiz- und Polizeidepartement in der Vernehmlassung geäusserten Ansicht ist somit die Eintragungsbedürftigkeit eines landwirtschaftlichen Grossbetriebs zu verneinen, gleichgültig, ob sein Inhaber sich in erster Linie mit der technischen und kaufmännischen Leitung befasst und daher seine persönliche Arbeitsleistung auf dem Felde in den Hintergrund tritt. 3. Die Eintragungspflicht des Beschwerdeführers hängt also davon ab, ob sein Gemüsebaubetrieb (Gemüsegärtnerei) der Landwirtschaft oder wie Baumschulen und Handelsgärtnereien - im Sinne des Art. 53 lit. C HRegV - einem andern, nach kaufmännischer Art geführten Gewerbe zuzurechnen sei. a) Gegen die letztgenannte Annahme spricht in erster Linie der Umstand, dass es sich um ein Gewerbe der Bodenkultur, der landwirtschaftlichen Urproduktion handelt. Es unterscheidet sich in dieser Beziehung vom Ackerbau und andern landwirtschaftlichen Kulturarten nur insofern, als es zu den flächenmässig eher kleinen Betrieben mit hohen Roherträgen gehört (vgl. HOWALD/LAUR, Landwirtschaftliche Betriebslehre, 17. Auflage 1967, S. 267). Freilich werden im Betriebe des Beschwerdeführers besondere technische Einrichtungen verwendet, so z.B. die zwölf Gewächshäuser, das Kesselhaus und das Kühlhaus. Deswegen liegt aber noch kein Gewerbe vor (in diesem Sinne unveröffentlichter Entscheid der verwaltungsrechtlichen Kammer von 23. Oktober 1948 i.S. Schweiz. Genossenschaft für Gemüsebau gegen Eidg. Steuerverwaltung); denn auch gewöhnliche Landwirtschaftsbetriebe setzen zunehmend technische BGE 97 I 417 S. 421 Anlagen ein, deren Art und Grösse vom Betrieb abhängt, z.B. Futtersilos, Heugebläse, Motor-Jauchepumpen, Aufzüge, Melkmaschinen. Auch kann nicht massgebend sein, dass es sich bei den Kulturen in den Gewächshäusern zum Teil nicht um Freilandpflanzen, mithin nicht um Bestandteile des Bodens handelt. Bei einer bewirtschafteten Fläche von rund 4 ha (wovon rund 2,8 ha Eigenbesitz) bleibt genügend Freiland zur herkömmlichen Bepflanzung mit Gemüsen. Nach der eidg. Betriebszählung 1965 (Bd. 3, Gartenbau-, Fischerei- und private Forstbetriebe, statistische Quellenwerke der Schweiz, Heft 417, Reihe De 3, Bern 1968, S. 61, abgekürzt BZ 1965) nehmen die Gewächshäuser und Treibbeetkästen in Gemüsegärtnereien durchschnittlich 0,14 ha in Anspruch, so dass das Schwergewicht bei einem Betrieb mit einer Gesamtfläche von 4 ha oder 2,8 ha auf die Freilandkultur entfällt. Das gilt auch, wenn berücksichtigt wird, dass die genannte Durchschnittszahl für alle 640 erfassten Gemüsegärtnereien errechnet wurde, von denen nur rund ein Drittel eine Kulturfläche von mehr als 2 ha bewirtschafteten (BZ 1965 S. 41), und wenn demzufolge anzunehmen ist, grössere Betriebe brauchten etwas mehr Boden für Gewächshäuser und Treibbeetkästen. Auch in der Literatur und in der täglichen Praxis werden reine Gemüsegärtnereien eher zur Landwirtschaft als zum Gewerbe gezählt. So erklären HOWALD/LAUR (a.a.O. S. 34), von der Gärtnerei gehöre grundsätzlich der produktive Gartenbau zur Landwirtschaft. Gleicher Meinung ist J. BRÜHLMANN (Der schweizerische Erwerbsgartenbau, Freiburger Diss. 1951, S. 12), der zwischen produzierenden (u.a. Gemüsebaubetrieben) und nicht produzierenden (z.B. Blumenbindereien usw.) unterscheidet. Die BZ 1965 (S. 34 ff.) teilt die Gartenbaubetriebe ein in solche ohne Anbau für Verkauf, in Baumschulen, Gemüsegärtnereien, Blumengärtnereien, Spezialbetriebe, gemischte und Dienstleistungsbetriebe. Zu den Gemüsegärtnereien zählt sie Unternehmen, in denen die Art der Bodenbenützung und der gartenbaulichen Einrichtungen auf das Überwiegen der Gemüseproduktion hinweisen. Nach diesem Merkmal wurden 1965 noch 604 reine Gemüsegärtnereien registriert, die etwa einen Siebentel aller Gartenbaubetriebe in der Schweiz ausmachen. b) Zuzugeben ist, dass sich Verkaufsorganisation und Absatz bei Gemüsegärtnereien etwas anders gestalten als in landwirtschaftlichen Betrieben im engern Sinn, welche die Mehrzahl BGE 97 I 417 S. 422 der Erzeugnisse nach der Ernte gesamthaft an wenige Grossabnehmer verkaufen (z.B. Obst, Getreide, Kartoffeln), soweit sie nicht der Selbstversorgung dienen. Wegen dieses Unterschiedes darf indessen den reinen Gemüsegärtnereien der Charakter eines Landwirtschaftsbetriebes nicht abgesprochen werden. Das rechtfertigt sich umso weniger, als das Bundesgericht, wie erwähnt, sogar einen Grossbetrieb wie die Schweiz. Genossenschaft für Gemüsebau zur Landwirtschaft rechnete. Dabei führte es insbesondere aus, dass die Selbstversorgung für die Landwirtschaft nicht die Bedeutung habe, die ihr früher beigemessen wurde; dass die Selbstversorgung der vom Schweiz. Bauernsekretariat in den Jahren 1939-1943 kontrollierten Klein-, Mittel- und Grossbetrieben nur 16,8% des Gesamtrohertrages ausmachte; dass jeder Landwirt, der für den Markt produziere, seine Erzeugnisse auch verkaufen müsse; dass der Vertrieb das letzte Stadium seiner Tätigkeit sei und deren Charakter nicht ändere. Auch komme nichts darauf an, dass die Genossenschaft weitgehend Gemüse und Saatgut erzeuge; denn in der schweizerischen Landwirtschaft seien vom Betrieb mit ausschliesslicher Milchwirtschaft bis zum Betrieb mit ausschliesslichem oder überwiegendem Acker- und Gemüse- oder Rebbau alle Zwischenstufen vertreten. An dieser Betrachtungsweise ist festzuhalten. Im vorliegenden Fall spricht der Umstand, dass der Beschwerdeführer seine Erzeugnisse nicht im Detailhandel, sondern Grossabnehmern verkauft, für die Gleichstellung seiner Gärtnerei mit einem Landwirtschaftsbetrieb, obwohl es sich um durchschnittlich 25 Abnehmer handelt, die in kurzen Abständen beliefert werden. Anderseits lässt sich die Zahl der Angestellten, die im Verhältnis zur Betriebsgrösse und im Vergleich mit anderen Landwirtschaftsbetrieben sehr hoch scheint, mit der intensiven Bewirtschaftung des Bodens - eines der Kennzeichen des Gemüsebaues - erklären. Endlich steht auch die kaufmännische Führung des Betriebes nicht im Vordergrund. Die Geschäftsvorfälle können auf Grund der Lieferscheine, der Rechnungen, des Zahlungsverkehrs usw. mühelos erfasst und in einer einfachen Buchhaltung dargestellt werden. Der Beschwerdeführer hat in seiner Eingabe vom 12. Dezember 1969 an das Handelsregisteramt des Kantons St. Gallen dargetan, er lasse sein Büro durch einen Rentner besorgen, und zwar jede Woche einen halben Tag. Dieser schreibe die Einnahmen und Ausgaben ein, mache die Zahlungen, ordne die Belege usw. Den BGE 97 I 417 S. 423 Durchschlag dieser Eintragungen schicke er monatlich an die OBTG, die seine Buchhaltung führt. Er bekomme sie nur einmal jährlich zu Gesicht, wenn der Abschluss erstellt ist. Sie diene zur Abgabe der Steuererklärung, jedoch nicht für die Geschäftsführung als solche. c) Wie unter lit. a erwähnt wurde, bestanden nach der BZ 1965 in der Schweiz 640 reine Gemüsegärtnereien. Im Branchenregister des Schweiz. Regionenbuches, Ausgabe 1970, sind unter "Gemüsekulturen" rund zwanzig Einzelfirmen aus zehn Kantonen eingetragen. Zieht man in Betracht, dass aus diesen Einträgen nicht hervorgeht, ob es sich zum Teil um eintragspflichtige Betriebe, z.B. Handelsgärtnereien, handelt oder ob die Firmainhaber sich freiwillig eintragen liessen, weil sie dazu bestimmte Gründe hatten, dann spricht die an sich geringe Zahl von Eintragungen entschieden gegen die Annahme, von der Praxis würden die reinen Gemüsegärtnereien als eintragspflichtig angesehen. Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Beschwerde wird gutgeheissen und der angefochtene Entscheid der Aufsichtsbehörde über das Handelsregister des Kantons St. Gallen vom 18. November 1970 aufgehoben.
public_law
nan
de
1,971
CH_BGE
CH_BGE_001
CH
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71cb2a3b-1057-4dff-9f7c-ade4c9bbca60
Urteilskopf 106 IV 24 8. Auszug aus dem Urteil des Kassationshofes vom 18. März 1980 i.S. W. gegen Staatsanwaltschaft des Kantons Thurgau (Nichtigkeitsbeschwerde)
Regeste Art. 145 Abs. 2 StGB . Sachbeschädigung. Begriff der gemeinen Gesinnung.
Erwägungen ab Seite 24 BGE 106 IV 24 S. 24 Aus den Erwägungen: 3. a) Nach den tatsächlichen Feststellungen der Vorinstanz fuhr W. am 5. August 1977 abends nach 21 Uhr mit seinem Personenwagen Chevrolet Camaro mit 106 km/h durch Räterschen, wo eine Höchstgeschwindigkeit von 60 km/h signalisiert war. Dabei wurde der Wagen durch eine automatische Radarstation fotografiert. b) In der gleichen Nacht zwischen 1 und 2 Uhr fuhr W. mit H. nochmals nach Räterschen. Er hatte das Aufblitzen der Radaranlage bemerkt. Um die Auswertung der Radarmessung zu verhindern, schlugen die beiden am Radargerät die Scheibe ein, gossen Benzin in den Apparat und zündeten ihn an. Es entstand ein Gesamtschaden von rund 40'000 Franken. 4. Gegen die Subsumtion der massiven Überschreitung der signalisierten Geschwindigkeitslimite unter Art. 90 Ziff. 2 SVG als grobe Verkehrsregelverletzung werden keine rechtlichen Einwendungen erhoben. Hingegen rügt der Beschwerdeführer, die ihm zur Last gelegte Sachbeschädigung sei nicht gemäss Art. 145 Abs. 2, sondern gemäss Art. 145 Abs. 1 StGB BGE 106 IV 24 S. 25 zu ahnden, da ein Handeln aus gemeiner Gesinnung nicht nachgewiesen sei. a) Der qualifizierte Tatbestand der Sachbeschädigung ist erfüllt, wenn der Täter aus gemeiner Gesinnung einen grossen Schaden verursacht hat. Dass die Zerstörung einer Radaranlage als grosser Schaden im Sinne dieser Bestimmung zu bewerten ist, wird vom Beschwerdeführer zu Recht nicht in Frage gestellt. b) Bei der Interpretation des umstrittenen Qualifikationsmerkmals der gemeinen Gesinnung muss die mit der Anwendung der Vorschrift verbundene Rechtsfolge in Betracht gezogen werden: Während die einfache Sachbeschädigung mit Busse oder Gefängnis bis zu 3 Jahren bedroht ist, beträgt das Strafminimum bei qualifizierter Sachbeschädigung ein Jahr Zuchthaus und das Strafmaximum fünf Jahre Zuchthaus. Das Strafminimum von einem Jahr Zuchthaus, das nur in wenigen Strafbestimmungen angedroht ist, zeigt deutlich, dass der Gesetzgeber mit dem Ausdruck "gemeine Gesinnung" eine besonders niederträchtige Grundhaltung bezeichnen wollte ( BGE 104 IV 247 , vgl. auch RStrS 1969, S. 108 Nr. 191). Wohl wird der Strafrahmen auch durch das Erfordernis grossen Schadens mitbestimmt; aber das Ausmass des Schadens allein genügt nie für die Anwendbarkeit von Abs. 2 des Art. 145 StGB , es bedarf stets auf der subjektiven Seite eines negativen Bewertungselementes, das nicht bloss im egoistischen Motiv der konkreten Handlung liegen kann, sondern tiefer in der Persönlichkeit des Täters verwurzelt sein muss und die dem Verhalten zugrunde liegende Einstellung des Täters entscheidend prägt. Nur wenn eine ruchlose, schwere Sachbeschädigung in dieser Weise als besonders persönlichkeitsadäquat und als Ausfluss einer entsprechenden Grundhaltung erscheint, kann das Tatbestandsmerkmal der gemeinen Gesinnung erfüllt sein. c) Im vorliegenden Fall begründet das Obergericht die Anwendung von Art. 145 Abs. 2 StGB mit der Überlegung, der Schutz vor einem drohenden Führerausweisentzug als Zweck der Zerstörung vermöge das Verhalten nicht zu entschuldigen; wer durch ein neues Delikt wissentlich einen derart enormen Schaden anrichte, um sich oder einen Mittäter der Verantwortung zu entziehen, handle niederträchtig und feige. Gewiss kann der Zweck der Tat - Bestrafung und Führerausweisentzug zu verhindern - die Sachbeschädigung in keiner BGE 106 IV 24 S. 26 Weise entschuldigen. Doch bei der streitigen Subsumtionsfrage geht es nicht um die Möglichkeit der Entschuldigung, sondern darum, ob die schädigende Handlung aus gemeiner Gesinnung erfolgte. Aus der Sicht des verantwortungsbewussten Bürgers erscheint die Zerstörungsaktion als feige. Nicht dargetan ist jedoch, dass das Delikt Ausdruck einer besonders verwerflichen Grundhaltung ist. Die Verwendung des Wortes "niederträchtig" entbehrt einer sachbezogenen Begründung. Es fehlen etwa Anhaltspunkte für eine allgemeine charakterliche Bereitschaft zu rücksichtslosem Handeln oder für skrupellosen Vandalismus unter Hintanstellen aller Bedenken. Stellt aber die Tat die einmalige, wenn auch ganz unverhältnismässige Reaktion auf die Erfassung durch eine automatische Radarkontrolle dar, so lässt sich aus den Umständen nicht auf das folgenschwere Qualifikationsmerkmal der gemeinen Gesinnung schliessen. Auch die hartnäckige Bestreitung der Tat durch den Beschwerdeführer vermag eine solche Schlussfolgerung nicht zu begründen. Die Vorinstanz hat das massgebende Kriterium des Handelns aus gemeiner Gesinnung in einem zu weiten, praktisch sozusagen jede vorsätzliche Verursachung grossen Schadens erfassenden Sinne interpretiert und durch die Anwendung von Art. 145 Abs. 2 StGB auf den vorliegenden Fall Bundesrecht verletzt. Die Nichtigkeitsbeschwerde ist daher in diesem Punkte gutzuheissen.
null
nan
de
1,980
CH_BGE
CH_BGE_006
CH
Federation
71d2239b-5d01-45e5-9e0c-8e19f87d75a5
Urteilskopf 108 II 288 56. Auszug aus dem Urteil der II. Zivilabteilung vom 28. Oktober 1982 i.S. C.-H. gegen Pro Infirmis und Mitbeteiligte (Berufung)
Regeste Herabsetzung, Nacherbeneinsetzung 1. Ein pflichtteilsberechtigter Erbe braucht sich eine Nacherbeneinsetzung im Umfang seines Pflichtteils nicht gefallen zu lassen, sondern kann den Pflichtteil als freies Erbe beanspruchen, das er seinen eigenen Erben weitervererben kann. Das Pflichtteilsrecht kann auch von den Erben des Vorerben gegenüber den Nacherben geltend gemacht werden (E. 2). 2. Auf die Geltendmachung des Herabsetzungsanspruchs kann durch einseitige, formlose Erklärung gegenüber dem Begünstigten verzichtet werden. Ein solcher Verzicht kann auch stillschweigend erfolgen (E. 3).
Sachverhalt ab Seite 288 BGE 108 II 288 S. 288 A.- Der am 23. März 1979 kinderlos verstorbene Martin C. war in erster Ehe mit Maria P. verheiratet. Diese Ehe wurde am 15. Dezember 1973 durch den Tod der Ehefrau aufgelöst. In einem BGE 108 II 288 S. 289 Ehevertrag hatten die unter dem Güterstand der Güterverbindung lebenden Ehegatten C.-P. vereinbart, dass der eheliche Vorschlag beim Tode eines Ehegatten hälftig zu teilen sei. In einem eigenhändigen Testament vom 8. März 1962, teilweise abgeändert und ergänzt durch einen Nachtrag vom 26. November 1973, hatte die Ehefrau ihrem Mann die lebenslängliche Nutzniessung an ihrem Nachlass zugewiesen und ihn von der Pflicht zu einer Sicherheitsleistung entbunden. Sodann hatte sie verfügt, dass von ihrer Hinterlassenschaft nach dem Ableben ihres Gatten je Fr. 10'000.-- an Johann P. und an Dora H. sowie Fr. 5'000.-- an Lutzi P. auszurichten seien; der restliche Nettonachlass sollte der Beratungs- und Fürsorgestelle "Pro Infirmis" Graubünden, Chur, zur Unterstützung bedürftiger, körperlich und geistig behinderter Kinder zukommen. Ferner war Ulrich R. in Chur als Testamentvollstrecker bezeichnet worden. Maria C.-P. hinterliess als einzigen pflichtteilgeschützten Erben ihren Ehemann. Am 17. Januar 1974 eröffnete das Kreisamt Chur das Testament und den Nachtrag dazu. Beide blieben unangefochten. Der Nachlass der Verstorbenen wurde auf Fr. 303'962.-- beziffert. Am 19. November 1976 ging Martin C. mit der um 15 Jahre jüngeren Erika H. eine zweite Ehe ein. Vor der Heirat hatte er mit ihr einen Ehevertrag abgeschlossen und als Güterstand die allgemeine Gütergemeinschaft vereinbart. Danach sollten das Wohnhaus von Martin C. in Chur sowie das gesamte bewegliche Vermögen der Vertragsschliessenden in deren Gesamteigentum übergehen und das Gesamtgut beim Tode des einen Ehegatten dem überlebenden Teil zufallen. Am 22. November 1977 errichtete Martin C. sodann ein eigenhändiges Testament, in welchem er seine Ehefrau als Universalerbin einsetzte. Am 23. März 1979 schied Martin C. freiwillig aus dem Leben. Als gesetzliche Erben hinterliess er seine zweite Ehefrau sowie zwei Brüder und drei Schwestern. Das Kreisamt Chur eröffnete am 4. April 1979 den Ehevertrag der Eheleute C.-H. sowie das Testament des Verstorbenen, die beide unangefochten blieben. B.- Mit dem Tode von Martin C. wurde die Frage des Vollzugs der letztwilligen Verfügungen von Maria C.-P. aktuell. Im Unterschied zu den übrigen gesetzlichen Erben widersetzte sich die zweite Ehefrau, Erika C.-H., der Ausrichtung der von Maria C.-P. verfügten Zuwendungen an die Begünstigten. Sie machte geltend, dass das Pflichtteilsrecht ihres verstorbenen Mannes verletzt BGE 108 II 288 S. 290 worden und der sich daraus ergebende Herabsetzungsanspruch auf sie übergegangen sei. In der Folge leiteten die als Verein konstituierte Pro Infirmis, deren Zweigstelle Chur im Testament begünstigt ist, sowie Lutzi P., Johann P. und Dora H. beim Vermittleramt des Kreises Chur gegen Erika C.-H. eine Klage auf Ausrichtung der Vermächtnisse ein. Erika C.-H. beantragte die Abweisung der Klage und erhob ihrerseits Widerklage, mit der sie insbesondere die Herabsetzung der letztwilligen Verfügungen der Maria C.-P. verlangte, soweit diese das Pflichtteilsrecht des Martin C. verletzten. Das Kantonsgericht von Graubünden, an welches das Verfahren prorogiert worden war, hiess die Klage mit Urteil vom 7. Dezember 1971 gut und verpflichtete die Beklagte, der Pro Infirmis Fr. 278'962.--, Johann P. Fr. 10'000.--, Lutzi P. Fr. 5'000.-- und Dora H. Fr. 10'000.-- zu bezahlen. Die Widerklage wies es ab. C.- Gegen dieses Urteil erhob Erika C.-H. Berufung an das Bundesgericht mit dem Antrag, die letztwilligen Verfügungen der Maria C.-P. seien auf das erlaubte Mass herabzusetzen. Das Bundesgericht weist die Berufung ab. Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. Wie sich aus dem angefochtenen Urteil ergibt, hinterliess Maria C.-P. als gesetzliche Erben ausser ihrem Ehemann nur solche der grosselterlichen Parentel. Der Erbanspruch des Ehemannes umfasst somit nach Art. 462 Abs. 2 ZGB die Hälfte des Nachlasses zu Eigentum und die andere Hälfte zur Nutzniessung. Nach Art. 471 Ziff. 4 ZGB machte sein Pflichtteil den ganzen Anspruch zu Eigentum aus. Pflichtteilsgebunden war mit andern Worten die Hälfte des Nachlasses. Darin, dass Martin C. durch das Testament seiner ersten Frau auf die Nutzniessung am gesamten Nachlass beschränkt wurde, lag daher eine Verletzung seines Pflichtteilsrechts. Die Berufungsklägerin erhob gegenüber der Klage der Berufungsbeklagten auf Ausrichtung der ihnen nach Testament zustehenden Leistungen die Einrede der Herabsetzung. Sie machte geltend, dass der Herabsetzungsanspruch ihres Ehemannes auf Grund des Ehevertrages und des Testamentes von Martin C. auf sie übergegangen sei. Die Vorinstanz hat nicht verkannt und die Berufungsbeklagten BGE 108 II 288 S. 291 bestreiten mit Recht nicht, dass das Pflichtteilsrecht grundsätzlich vererblich ist ( BGE 75 II 192 f. E. 2). Im angefochtenen Urteil wird die Herabsetzungseinrede der Berufungsklägerin indessen aus zwei Gründen verworfen. Die erste Begründung der Vorinstanz geht dahin, dass die letztwilligen Anordnungen der Maria C.-P. als Nacherbeneinsetzung zu verstehen seien: Martin C. sei zusammen mit den Erben der grosselterlichen Parentel als Vorerbe eingesetzt worden, währenddem die Berufungsbeklagten als Nacherben zu betrachten seien. Als Erbin des Vorerben Martin C. habe die Berufungsklägerin keinerlei Anspruch auf das von Maria C.-P. hinterlassene Vermögen, weil dieses Vermögen gar nie zum Nachlass des Vorerben gehört habe, sondern von Gesetzes wegen unmittelbar auf die Nacherben übergegangen sei. Mangels Besitzes an diesen Vermögenswerten stehe der Berufungsklägerin die Herabsetzungseinrede deshalb nicht zu. Selbst wenn jedoch angenommen werden wollte, dass die tatsächliche Herrschaft über das Nachlassvermögen als Voraussetzung für die Einredeerhebung genüge, könne die Berufungsklägerin die Einrede dennoch nicht geltend machen; diese leite sich nämlich aus einem ganz anderen Nachfolgeverhältnis ab und richte sich gegen die von Maria C.-P. angeordneten Vor- und Nacherbfolge als solche. Diese Betrachtungsweise der Vorinstanz trägt Art. 531 ZGB nicht Rechnung, wonach eine Nacherbeneinsetzung gegenüber einem pflichtteilsberechtigten Erben im Umfange des Pflichtteils ungültig ist. Diese Bestimmung begründet, ungeachtet des Wortes "ungültig", eine besondere Art der Herabsetzungsklage ( BGE 75 II 193 E. 3). Ein pflichtteilsberechtigter Erbe braucht sich eine Nacherbeneinsetzung im Umfange seines Pflichtteils nicht gefallen zu lassen, sondern kann den Pflichtteil als freies Erbe beanspruchen, das er seinen eigenen Erben weitervererben kann ( BGE 75 II 195 E. 6). Da das Pflichtteilsrecht wie gesehen vererblich ist, muss es auch von den Erben des Vorerben gegenüber den Nacherben geltend gemacht werden können. Es führt zur Aufhebung der Nacherbeneinsetzung in dem Umfang, in welchem sich diese auf den Pflichtteil des Vorerben erstreckt. Die Vorinstanz hat die Tragweite des Pflichtteilsschutzes verkannt, wenn sie annahm, der Herabsetzungsanspruch könne sich nicht gegen die Nacherbeneinsetzung als solche richten. Wenn die testamentarischen Anordnungen der Maria C.-P. entsprechend der Annahme der Vorinstanz wirklich als Nacherbeneinsetzung aufzufassen sind, so wird die Berufungsklägerin dadurch der Möglichkeit, das Pflichtteilsrecht BGE 108 II 288 S. 292 ihres verstorbenen Mannes als dessen Erbin geltend zu machen, nicht zum vornherein beraubt. Unter diesen Umständen kann aber offen bleiben, ob es sich bei den testamentarischen Anordnungen der Maria C.-P. überhaupt um eine Nacherbeneinsetzung handelt oder ob Martin C. nicht bloss die Nutzniessung am gesamten Nachlass vermacht werden wollte. Von der Geltendmachung der Herabsetzung wäre die Berufungsklägerin nur dann ausgeschlossen, wenn der Anspruch gemäss Art. 533 ZGB verwirkt oder durch Verzicht untergegangen wäre. Von einer Verwirkung kann jedenfalls nicht die Rede sein. Da im vorliegenden Fall die Herabsetzung gegenüber einer Klage auf Vollziehung der das Pflichtteilsrecht verletzenden Testamentsbestimmungen angerufen wird, wird sie einredeweise geltend gemacht, was nach Art. 533 Abs. 3 ZGB jederzeit möglich ist. Auch wenn für die Anwendbarkeit von Art. 533 Abs. 3 ZGB im Sinne der bundesgerichtlichen Rechtsprechung nicht auf die Verteilung der Parteirollen im Prozess, sondern auf das Vorhandensein von Mitbesitz am Nachlassvermögen abgestellt wird (vgl. BGE 103 II 93 f. mit Hinweisen), so ist diese Voraussetzung der einredeweisen Geltendmachung des Herabsetzungsanspruches hier ebenfalls erfüllt. Soweit das Pflichtteilsrecht von Martin C. infolge Erbrechts tatsächlich auf die Berufungsklägerin übergegangen ist, ist diese im Umfang des Pflichtteils sowohl in tatsächlicher als auch in rechtlicher Hinsicht Besitzerin des Nachlasses der Maria C.-P. geworden und ist daher zur Erhebung der Herabsetzungseinrede berechtigt. 3. Der Ausgang des vorliegenden Verfahrens hängt somit davon ab, ob die zweite Begründung des angefochtenen Urteils, wonach Martin C. zu Lebzeiten auf den Herabsetzungsanspruch verzichtet habe, vor dem Bundesrecht standhält. Die Vorinstanz hat angenommen, Martin C. habe, obwohl ihm alle wesentlichen Elemente zur Begründung einer Herabsetzungsklage bekannt gewesen seien, nie auch nur in Erwägung gezogen, den letzten Willen seiner Gattin nicht zu respektieren. Aus den gesamten Umständen ergebe sich, dass er auf jegliche Herabsetzung habe verzichten wollen. Sei aber von einem Verzicht auszugehen, so habe der Herabsetzungsanspruch nicht Bestandteil des Nachlasses von Martin C. gebildet und habe somit auch nicht auf die Berufungsklägerin übergehen können. In der Berufung wird demgegenüber im wesentlichen geltend gemacht, aus den Akten ergebe sich nicht der geringste Anhaltspunkt dafür, dass Martin C. von seinem Pflichtteilsrecht und BGE 108 II 288 S. 293 dessen Verletzung jemals Kenntnis erlangt habe. Selbst wenn er aber den Willen gehabt haben sollte, den letzten Willen seiner Gattin anzuerkennen, so habe er diesen Willen gegenüber den durch das Testament Begünstigten nie in rechtswirksamer Weise erklärt. Mangels einer entsprechenden Willensäusserung könne kein Verzicht auf die Herabsetzung angenommen werden, nachdem zu Lebzeiten von Martin C. auch keine Erbteilung stattgefunden habe. a) Ein Verzicht auf die Geltendmachung des Herabsetzungsanspruchs ist nach dem Eintritt des Erbganges rechtlich möglich, ohne dass es hiezu einer besonderen Form bedürfte (ESCHER, N. 7 der Einleitung zu den Art. 522-533 ZGB ; TUOR, N. 16 der Vorbemerkungen zu den Art. 522-533 ZGB ; W. ENGELOCH, Die Herabsetzungsklage des schweiz. ZGB, Berner Diss. 1920, S. 13; A. RÖSLI, Herabsetzungsklage und Ausgleichung im schweiz. ZGB, Zürcher Diss. 1935, S. 26). Auf eine Herabsetzungsklage hat Martin C. dadurch verzichtet, dass er die einjährige Klagefrist des Art. 533 Abs. 1 ZGB verstreichen liess, ohne Klage zu erheben. In der Berufung wird allerdings die Meinung vertreten, dass diese Klagefrist zu Lebzeiten von Martin C. gar nicht zu laufen begonnen habe, da dieser von der Verletzung seines Pflichtteilsrechts keine Kenntnis gehabt habe. Dieser Auffassung kann nicht gefolgt werden. Die einjährige Klagefrist des Art. 533 Abs. 1 ZGB beginnt zu laufen, sobald dem Pflichtteilsberechtigten alle notwendigen Elemente zur Begründung einer Herabsetzungsklage bekannt sind ( BGE 78 II 15 E. 4; BGE 70 II 148 E. 2). Von den letztwilligen Verfügungen seiner ersten Ehefrau erhielt Martin C. spätestens durch die Testamentseröffnung vom 17. Januar 1974 Kenntnis. Daraus war die Verletzung des Pflichtteilsrechts ohne weiteres erkennbar, da die Zuwendung einer Nutzniessung an Stelle des Eigentumsanspruchs für sich allein eine Pflichtteilsverletzung darstellt, und zwar ungeachtet des Wertes der Nutzniessung ( BGE 70 II 148 E. 2). Im übrigen war Martin C. auch der Umfang der Hinterlassenschaft seiner Ehefrau bestens bekannt, da er ja alleiniger Besitzer der Nachlasswerte war. Damit hatte er genügend Kenntnis von der Verletzung seines Pflichtteilsrechts, weshalb die einjährige Klagefrist des Art. 533 Abs. 1 ZGB spätestens mit der Testamentseröffnung zu laufen begann (vgl. dazu auch Tuor, N. 5 und ESCHER, N. 2 zu Art. 533 ZGB ; ENGELOCH, a.a.O., S. 130). Auf eine allfällige Rechtsunkenntnis des Pflichtteilsberechtigten könnte es für den Beginn der Klagefrist nicht ankommen (TUOR, N. 4 BGE 108 II 288 S. 294 zu Art. 521 ZGB ). Im angefochtenen Urteil wird übrigens festgestellt, dass Martin C. von dem in Erbschaftssachen bewanderten Treuhänder Ulrich R. beraten war. Daraus durfte ohne Bundesrechtsverletzung abgeleitet werden, dass Martin C. über die Verletzung seines Pflichtteils tatsächlich im Bilde war. b) Aus dem Umstand, dass Martin C. nicht auf Herabsetzung klagte, kann nun aber, wie in der Berufung an sich zutreffend ausgeführt wird, noch nicht ein endgültiger Verzicht auf den Herabsetzungsanspruch abgeleitet werden, weil immer noch die Möglichkeit der einredeweisen Geltendmachung der Herabsetzung bestanden hätte. Es fragt sich deshalb, ob angenommen werden kann, Martin C. habe auch auf die Erhebung der Herabsetzungseinrede gültig verzichtet. Der Verzicht auf eine solche Einrede ist durch einseitige, formlose Erklärung gegenüber dem Gläubiger möglich und kann auch stillschweigend erfolgen (VON TUHR/ESCHER, Allgemeiner Teil des schweiz. OR, Bd. II, S. 231; VON TUHR/PETER, Allgemeiner Teil des schweiz. OR, Bd. I, S. 29). Eine ausdrückliche Verzichtserklärung hat Martin C. gegenüber den Berufungsbeklagten nicht abgegeben. Hingegen bleibt zu prüfen, ob aus den im angefochtenen Urteil aufgeführten Tatsachen auf einen stillschweigenden Verzicht geschlossen werden kann. c) Die Vorinstanz hat in Würdigung der Akten festgestellt, dass Martin C. nie im entferntesten erwog, den letzten Willen seiner ersten Ehefrau nicht zu respektieren. Darin ist eine Feststellung über den inneren Willen zu erblicken, die nach feststehender Rechtsprechung tatsächlicher Natur ist und das Bundesrecht bindet. Es ist daher davon auszugehen, dass Martin C. das Testament seiner Ehefrau, das seinen Pflichtteil verletzte, anerkennen und dass er von jeglicher Geltendmachung des Herabsetzungsanspruchs absehen wollte. Unter diesen Umständen stellt sich einzig die Frage, ob dieser Wille gegenüber den Begünstigten genügend zum Ausdruck gebracht worden sei. Mit Schreiben vom 13. August 1976 teilte der Willensvollstrecker Ulrich R. der aus dem Testament in erster Linie begünstigten Pro Infirmis mit, dass der mit der Nutzniessung belastete Nachlass der Maria C.-P. rund Fr. 300'000.-- ("wovon Fr. 275'000.-- zu Ihren Gunsten") betrage. Dann fügte er folgendes bei: "Herr C. hat uns kürzlich eröffnet, dass er in allernächster Zeit eine neue Ehe eingehen möchte. Unser Vorschlag, bei dieser Gelegenheit eine materielle Aufteilung der Hinterlassenschaft zwecks Sicherung der Legate vorzunehmen, wurde grundsätzlich angenommen. Noch sind die eingeleiteten BGE 108 II 288 S. 295 Verhandlungen aber nicht abgeschlossen, so dass wir Ihnen verbindliche Vorschläge noch nicht unterbreiten können. Unsere Absicht geht dahin, ein "Nutzniessungs-Depot" zu Gunsten von Herrn Martin C. zu errichten, wobei Ihre Institution als Eigentümerin der unter dieser Bezeichnung liegenden Vermögenswerte genannt würde. Wir hoffen, Ihnen diesbezüglich in nächster Zeit Näheres und Abschliessendes berichten zu können." Wäre die vorgeschlagene "materielle Aufteilung der Hinterlassenschaft zwecks Sicherung der Legate" tatsächlich vollzogen worden, so wäre darin zweifellos eine hinreichende Äusserung des Willens, auf die Herabsetzungseinrede zu verzichten, zu erblicken. Weshalb dies in der Folge nicht geschehen ist, kann weder dem Urteil der Vorinstanz noch den Akten entnommen werden. Immerhin ist in diesem Zusammenhang von Bedeutung, dass Verhandlungen stattfanden, aus denen die Berufungsbeklagten schliessen durften, Martin C. anerkenne die testamentarischen Anordnungen seiner verstorbenen Gattin. Aus dem Schreiben des Willensvollstreckers ergibt sich, dass Martin C. sogar grundsätzlich bereit war, die Legate sicherzustellen, obwohl er hiezu nicht verpflichtet gewesen wäre. Offen blieb nur die Art der Sicherstellung. Freilich hat Martin C. seinen Willen, das Testament anzuerkennen, den Begünstigten nicht direkt übermittelt. Treuhänder R. war aber nach den Feststellungen im angefochtenen Entscheid sein Berater, und es darf ohne weiteres angenommen werden, dass er ermächtigt war, die grundsätzliche Bereitschaft des Martin C., den Nachlass zu teilen und die Legate sicherzustellen, den Begünstigten bekanntzugeben. Erhebliches Gesicht kommt aber auch dem Brief zu, den Martin C. am 28. Dezember 1978, wenige Monate vor seinem Tod, an Treuhänder R. richtete. Aus diesem Brief ergibt sich nach den zutreffenden Ausführungen der Vorinstanz ein klares Bekenntnis des Martin C., dass er an dem der Pro Infirmis zustehenden Vermögen blosser Nutzniesser und dass er nicht damit einverstanden sei, dass seine zweite Ehefrau auch darauf greife. Es ist zwar einzuräumen, dass bei empfangsbedürftigen Erklärungen auch eine konkludente Willensäusserung grundsätzlich nur dann rechtswirksam sein kann, wenn sie gegenüber dem richtigen Empfänger erfolgte. Treuhänder R., der als Willensvollstrecker von Maria C.-P. mit den Berufungsbeklagten als Begünstigten in Verbindung stand und damit eine Mittlerstellung zwischen Martin C. und diesen einnahm, wurde indessen im Brief ausdrücklich ermächtigt, wenn nötig davon Gebrauch zu machen, d.h. den Inhalt des Briefs gegebenenfalls auch den Berufungsbeklagten mitzuteilen. BGE 108 II 288 S. 296 Das hat er offensichtlich getan, wären die Berufungsbeklagten doch sonst nicht in der Lage gewesen, den Brief als Beilage zur Klage dem Gericht einzureichen. Unter diesen Umständen darf angenommen werden, Martin C. habe seinen Willen, auf die Geltendmachung der Herabsetzungseinrede zu verzichten, hinreichend kundgetan. Diese Einrede steht der Berufungsklägerin daher nicht mehr zu.
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Urteilskopf 120 II 248 47. Auszug aus dem Urteil der I. Zivilabteilung vom 29. Juli 1994 i.S. W. gegen F. (Berufung)
Regeste Vertragliche Arzthaftung; Beweis der Vertragsverletzung; natürliche Vermutung. Natürliche Vermutung, wonach eine durch die Injektion eines Heilmittels verursachte Infektion auf eine Sorgfaltspflichtverletzung des Arztes zurückgeht. Auswirkungen dieser Vermutung auf Behauptungs- und Beweislast der Parteien sowie auf den Begriff der Vertragsverletzung (E. 2c).
Sachverhalt ab Seite 249 BGE 120 II 248 S. 249 Frau F. suchte am 6. Juni 1986 ihren Hausarzt Dr. med. W. wegen Schmerzen in der rechten Schulter auf. Dieser injizierte ihr periartikulär und drei Tage später intraartikulär eine Mischung von Xyloneural und Monocortin. Da die Beschwerden nicht zurückgingen, injizierte er am 1. Juli 1986 erneut intraartikulär ein Cortisonpräparat. Am 5. August 1986 überwies der Hausarzt die nach wie vor unter grossen Schmerzen leidende Patientin an einen Spezialarzt für orthopädische Chirurgie am Regionalspital X. zur weiteren Behandlung. Dort unterzog sie sich am 2. September 1986 einer Mobilisation der rechten Schulter. Am 6. November 1986 musste das rechte Schultergelenk operativ revidiert werden. Bei diesem Eingriff stellte sich heraus, dass der Oberarmkopf und die Gelenkpfanne des rechten Schultergelenkes zufolge einer Infektion weitgehend zerstört waren. Wegen der schmerzhaften, praktisch funktionsunfähigen Schulter konnte Frau F. ihren Beruf als selbständige Damenschneiderin in der Folge nicht mehr ausüben. Sie ist seither teilweise arbeitsunfähig und wird dies zeitlebens bleiben. Am 20. Februar 1991 reichte Frau F. beim Appellationshof des Kantons Bern Klage gegen W. ein. Der Appellationshof liess im Rahmen des Beweisverfahrens ein medizinisches Gutachten ausarbeiten und nahm mehrere, bereits vorprozessual erstellte Gutachten zu den Akten. Mit Urteil vom 11. Oktober 1993 verpflichtete er den Beklagten, der Klägerin Fr. 510'260.-- zu bezahlen. Der Beklagte focht dieses Urteil mit Berufung an, die vom Bundesgericht abgewiesen wird, soweit es auf sie eintritt. Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. c) Mit den erwähnten Rügen wirft der Beklagte der Vorinstanz in Wirklichkeit vor, sie sei von einem falschen Begriff der Vertragsverletzung ausgegangen. In diesem Zusammenhang ist zu berücksichtigen, dass die vertragliche Sorgfaltspflicht des Arztes nach objektiven Kriterien zu beurteilen ist. Die Frage der Vertragsverletzung muss sodann unterschieden werden von jener des Verschuldens, das vermutet wird, falls der Arzt nicht den Exkulpationsbeweis erbringen kann. Die Anforderungen an die ärztliche Sorgfaltspflicht lassen sich nicht allgemeingültig festlegen; sie richten sich vielmehr nach den Umständen des Einzelfalles, namentlich nach der Art des Eingriffs oder der Behandlung, den damit verbundenen Risiken, dem Ermessensspielraum und der Zeit, die dem Arzt zur Verfügung steht, sowie nach Ausbildung und Leistungsfähigkeit, BGE 120 II 248 S. 250 die objektiv von ihm zu erwarten sind. Zu beachten ist, dass die Haftung des Arztes nach der neueren Rechtsprechung des Bundesgerichts nicht auf grobe Verstösse gegen Regeln der ärztlichen Kunst beschränkt ist. Er hat Kranke vielmehr stets fachgerecht zu behandeln, zum Schutz ihres Lebens oder ihrer Gesundheit die nach den Umständen gebotene und zumutbare Sorgfalt aufzuwenden und grundsätzlich für jede Pflichtverletzung einzustehen ( BGE 116 II 519 E. 3a S. 521 mit Hinweis, BGE 115 Ib 175 E. 2b S. 180 mit Hinweis). Als Beauftragter schuldet der Arzt dem Patienten nicht die Wiederherstellung der Gesundheit, sondern lediglich eine darauf ausgerichtete Behandlung nach den Regeln der ärztlichen Kunst. Eine durch die Behandlung verursachte neue gesundheitliche Beeinträchtigung ist indessen vom blossen Ausbleiben des Behandlungserfolgs zu unterscheiden (vgl. BGE 113 Ib 420 E. 2 S. 423 f.). Zwar kann ein solches Ergebnis nicht an sich schon als Vertragsverletzung qualifiziert werden, da medizinische Behandlungen und Eingriffe in einem gewissen Mass mit Risiken verbunden sind, die auch bei Anwendung aller notwendigen Sorgfalt nicht vermeidbar sind (HONSELL, die zivilrechtliche Haftung des Arztes, ZSR 1990 I S. 136 f.; FELLMANN, Berner Kommentar, N. 389 zu Art. 398 OR ). Soweit die Möglichkeit negativer Auswirkungen der Behandlung aber erkennbar ist, muss der Arzt alle Vorkehren treffen, um deren Eintritt zu verhindern (GROSS, Haftung für medizinische Behandlung im Privatrecht und im öffentlichen Recht der Schweiz, S. 178). Deren Eintritt begründet dann eine tatsächliche Vermutung, dass nicht alle gebotenen Vorkehren getroffen worden sind und somit eine objektive Sorgfaltspflichtverletzung vorliegt (RASCHEIN, Widerrechtlichkeit und Verschulden in der Arzthaftpflicht, Zeitschrift für Gesetzgebung und Rechtsprechung des Kantons Graubünden, 3/1989, S. 64). Diese Vermutung dient der Beweiserleichterung, hat aber keine Umkehr der Beweislast zur Folge (vgl. BGE 117 II 256 E. 2b S. 258 mit Hinweisen). Die daraus gezogenen Schlüsse stellen grundsätzlich Beweiswürdigung dar, weshalb sie im Berufungsverfahren nicht überprüft werden. Die Vermutung kann vom Arzt erschüttert werden, indem er zum Beispiel dartut, welche konkreten Vorkehren er im einzelnen getroffen hat, und nachweist, dass nach dem aktuellen Stand der medizinischen Wissenschaft auch bei Anwendung aller Sorgfalt ein nicht beherrschbares Restrisiko verbleibt oder eine ernstzunehmende konkrete Möglichkeit eines atypischen Kausalverlaufs besteht (vgl. FELLMANN, Berner Kommentar, N. 389 zu Art. 398 OR ; GIESEN, Arzthaftungsrecht, S. 219). BGE 120 II 248 S. 251 Eine solche tatsächliche oder natürliche Vermutung liegt der Annahme einer Vertragsverletzung im angefochtenen Urteil zugrunde. Die festgestellte Sterilitätslücke wird als solche nicht als Vertragsverletzung qualifiziert. Vielmehr wird daraus im Sinne einer tatsächlichen Vermutung auf das Vorliegen eines Sterilitätsfehlers geschlossen. Dieser Schluss kann hier, wie bereits festgehalten, nicht überprüft werden. Im übrigen wäre er aber auch dann nicht zu beanstanden, wenn er auf allgemeiner Lebenserfahrung beruhen würde und deshalb mit der Berufung anfechtbar wäre ( BGE 118 II 366 ). Dass bei Injektionen das Risiko einer Infektion besteht, ist allgemein bekannt. Besonders ernst zu nehmen ist die Infektionsgefahr nach den Feststellungen der Vorinstanz bei intraartikulären Injektionen, weshalb in diesen Fällen die Regeln der Asepsis peinlich genau zu befolgen seien. Unter diesen Umständen erscheint der Schluss auf einen Fehler des Beklagten bei der Sterilisation als naheliegend. In der Literatur wird denn auch befürwortet, bei solchen Sachverhalten allgemein einen Fehler des Arztes zu vermuten (JOËL CRETTAZ, De l'inexécution des obligations contractuelles du médecin: Quelques aspects, Diss. Lausanne 1990, S. 184; vgl. dazu auch das Urteil des BGH vom 14. Februar 1989 in NJW 1989, 1533 ff.). Die Vorinstanz durfte somit von einer objektiven Sorgfaltspflichtverletzung des Beklagten ausgehen, obwohl sein Vorgehen bei der Injizierung der Cortison-Präparate nicht in allen Einzelheiten beweismässig abgeklärt werden konnte. Anzumerken ist allerdings, dass die hier zur Diskussion stehende natürliche Vermutung nicht ohne weiteres übertragen werden darf auf Infektionsfälle, die mit einer anders gearteten ärztlichen Behandlung zusammenhängen (vgl. dazu KUHN, in Handbuch des Arztrechts, S. 90 und 99). Mit der Berufung wird eingewendet, das Einbringen von Staphylokokken-Keimen ins Gewebe könne bei jeder Injektion eines beliebigen Medikamentes auftreten. Dies ist jedoch nicht entscheidend. Um die natürliche Vermutung zu erschüttern, hätte der Beklagte dartun müssen, dass er alle Vorkehren getroffen hatte, die nach den Regeln der ärztlichen Kunst bei der Vornahme peri- und intraartikulärer Injektionen von Cortison-Präparaten geboten sind, und dass selbst bei Anwendung dieser Sorgfalt eine Infektion solcher Art nicht vermieden werden konnte. Darüber enthält das angefochtene Urteil nichts, und der Beklagte macht auch keinerlei Hinweise auf entsprechende Vorbringen im kantonalen Verfahren. In der gerichtlichen Expertise wird zwar erwähnt, Komplikationen der aufgetretenen Art könnten sich mit einer Häufigkeit von etwa 1:10'000 ergeben. In BGE 120 II 248 S. 252 wie vielen dieser Fälle mit Komplikationen eine Verletzung der Sorgfaltspflicht vorliegt, wird aber nicht gesagt und ist offenbar auch nicht untersucht worden. Es ist deshalb nicht dargetan, dass es sich bei der angegebenen statistischen Wahrscheinlichkeit um das auch bei aller Sorgfalt nach dem aktuellen Stand der medizinischen Wissenschaft nicht beherrschbare Risiko handelt. Wenn die Vorinstanz deshalb aus der Verursachung der Infektion im Schultergelenk durch die Cortisoninjektionen auf eine Vertragsverletzung des Beklagten geschlossen hat, kann ihr nicht vorgeworfen werden, sie sei von einem unzutreffenden Begriff der Vertragsverletzung ausgegangen.
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1,994
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Urteilskopf 97 V 162 39. Auszug aus dem Urteil vom 24. August 1971 i.S. R. gegen Ausgleichskasse des Kantons Luzern und Versicherungsgericht des Kantons Luzern
Regeste Art. 18 Abs. 2 IVG : Voraussetzungen der Kapitalhilfe. Die dauernde existenzsichernde Tätigkeit beurteilt sich nach den wirtschaftlichen Gegebenheiten ( Art. 7 IVV ). Der Gesundheitszustand ist für die Beurteilung der Dauerhaftigkeit des erstrebten Eingliederungserfolges massgebend ( Art. 8 Abs. 1 IVG ).
Sachverhalt ab Seite 163 BGE 97 V 162 S. 163 Der 1910 geborene R. leidet an Herzinsuffizienz bei Myodegeneratio cordis, Asthma bronchiale und Spondylose der lumbalen Wirbelsäule. Zusammen mit seinem ebenfalls kränklichen Schwager, seiner Ehefrau und seiner Tochter bearbeitet er einen Landwirtschaftsbetrieb von 1,05 ha Wald und 8,9 ha Land. Der Betrieb umfasst ferner 12 Stück Gross- und 5 Stück Jungvieh sowie einige Schweine und Hühner. Der Versicherte, Bezüger einer Invalidenrente, ersuchte im Frühjahr 1970 die Invalidenversicherung um Kapitalhilfe für die Anschaffung eines motorisierten Ladewagens zum Preis von 23000 Franken. Seine Frau und er seien nicht mehr imstande, Gras und Heu aufzuladen, und seinem Schwager könne er nicht zumuten, allein zu grasen. Im September 1970 teilte er der Ausgleichskasse mit, dass er den Ladewagen mit Hilfe der landwirtschaftlichen Kreditkasse anfangs Juni angeschafft habe. Erwägungen Das Eidg. Versicherungsgericht zieht in Erwägung: 1. Nach Art. 18 Abs. 2 IVG kann einem eingliederungsfähigen invaliden Versicherten zur Finanzierung von invaliditätsbedingten betrieblichen Umstellungen eine Kapitalhilfe gewährt werden. Die nähern Voraussetzungen für diese Versicherungsleistung umschreibt Art. 7 Abs. 1 IVV . Nach dieser Bestimmung kommt eine Kapitalhilfe nur in Frage, wenn sich der Invalide fachlich und charakterlich für eine selbständige Erwerbstätigkeit eignet, die wirtschaftlichen Voraussetzungen für eine dauernde existenzsichernde Tätigkeit gegeben sind und für eine ausreichende Finanzierung Gewähr geboten ist. Ferner sind die folgenden, von der Praxis entwickelten allgemeinen Grundsätze zu berücksichtigen: Auch der Bezüger einer ganzen oder halben Invalidenrente hat Anspruch auf Eingliederungsmassnahmen, sofern diese eine - wenn auch nur teilweise - Tätigkeit mit oder ohne Einkommen zum Ziel haben. Immer muss aber zwischen Kosten und Nutzen der BGE 97 V 162 S. 164 Eingliederungsmassnahmen ein vernünftiges Verhältnis bestehen (EVGE 1964 S. 239 und ZAK 1970 S. 231). Im Sinne dieser Voraussetzungen hat das Eidg. Versicherungsgericht einem selbständigen Reisephotographen eine Kapitalhilfe verweigert, weil medizinisch feststand, dass er eine Erwerbstätigkeit nur sitzend ausüben konnte und sich sein Herzleiden eher weiter verschlimmern würde (ZAK 1963 S. 173). Sodann hat sich das Gericht zur Gewährung von Kapitalhilfen für die Anschaffung landwirtschaftlicher Maschinen dahin geäussert, dass Kapitalhilfen nicht gewährt werden könnten, wenn derartige Geräte hauptsächlich der Betriebsrationalisierung bzw. der Erhaltung des Betriebes dienten; wenn jedoch eine Anschaffung eindeutig invaliditätsbedingt sei, so schliesse der Umstand, dass sie gleichzeitig auch betriebswirtschaftlich vorteilhaft oder erwünscht sei, den Anspruch auf eine Kapitalhilfe der Invalidenversicherung nicht aus (ZAK 1971 S. 107). 2. Es ist mit Recht unbestritten, dass der Beschwerdeführer invalidenversicherungsrechtlich invalid ist. Ferner darf ohne weiteres davon ausgegangen werden, dass er grundsätzlich im Beruf als Landwirt richtig eingegliedert ist. Hingegen ist die Rechtmässigkeit der verlangten Kapitalhilfe im Hinblick auf die Eingliederungsfrage noch besonders zu prüfen. In diesem Zusammenhang ist Art. 8 Abs. 1 IVG zu beachten, wonach invalide Versicherte Anspruch auf Eingliederungsmassnahmen haben, soweit diese notwendig und geeignet sind, die Erwerbsfähigkeit wieder herzustellen, zu verbessern, zu erhalten oder ihre Verwertung zu fördern, wobei die gesamte noch zu erwartende Arbeitsdauer berücksichtigt werden muss. Den Akten lässt sich entnehmen, dass die Leistungsfähigkeit des Beschwerdeführers mit Hilfe des Selbstfahrladewagens zur Zeit beträchtlich verbessert werden kann, ist er doch gerade dank diesem Gerät in der Lage, weiterhin einen beachtlichen Teil der anfallenden landwirtschaftlichen Arbeiten zu erledigen und damit zusammen mit seinem Schwager den Betrieb zu halten. Der kantonale Richter und das Bundesamt machen jedoch geltend, zufolge des sich verschlechternden Gesundheitszustandes des Versicherten sei die existenzsichernde Tätigkeit auf die Dauer nicht gewährleistet. Das Erfordernis der dauernden existenzsichernden Tätigkeit wird in Art. 7 Abs. 1 IVV aber nur im Zusammenhang mit den wirtschaftlichen Voraussetzungen erwähnt; d.h. die Bestimmung verlangt, dass die wirtschaftlichen und nicht auch die gesundheitlichen Voraussetzungen BGE 97 V 162 S. 165 für eine dauernde existenzsichernde Tätigkeit erfüllt seien. Der Faktor Gesundheit ist lediglich im Rahmen des Art. 8 Abs. 1 IVG erheblich, wo die Rücksichtnahme auf die gesamte noch zu erwartende Arbeitsdauer gefordert wird. Im gleichen Zusammenhang muss auch der Grundsatz der Verhältnismässigkeit zwischen den Kosten des Aufwandes und dem voraussichtlichen Nutzen beachtet werden. Deshalb ist im vorliegenden Fall zu prüfen, ob nicht schon der wahrscheinliche künftige Leidensverlauf die Gewährung einer Kapitalhilfe ausschliesst. Der Umfang einer allfälligen Kapitalhilfe - als ein für das Verhältnis zwischen Aufwand und Nutzen wesentliches Merkmal - ist allerdings noch nicht bekannt und wäre erst noch zu bestimmen, verlangt der Beschwerdeführer doch nur einen Anteil an die Gesamtkosten von Fr. 23000.--. Auch genügen die vorhandenen medizinischen Akten nicht zur Beantwortung der Frage, ob in zeitlicher Hinsicht ein wesentlicher Eingliederungserfolg zu erwarten sei. In seinem Bericht vom November 1969 hat der Arzt den Gesundheitszustand in recht unbestimmter Weise lediglich als stationär bzw. sich verschlechternd bezeichnet, ohne die Frage der voraussichtlichen Arbeitsfähigkeit zu berühren. Die Invalidenversicherungs-Kommission wird daher durch den Arzt, gegebenenfalls unter Mitwirkung eines landwirtschaftlichen Experten, feststellen lassen müssen, inwieweit und wie lange der Beschwerdeführer seine bisherige landwirtschaftliche Tätigkeit noch wird ausüben können. Im übrigen darf ohne Bedenken angenommen werden, dass der Beschwerdeführer die besondern Voraussetzungen des Art. 7 Abs. 1 IVV in Verbindung mit Art. 18 Abs. 2 IVG für die Gewährung von Kapitalhilfe erfüllt. Seine fachliche und charakterliche Eignung zur weitern selbständigen Ausübung der landwirtschaftlichen Tätigkeit ist von keiner Seite angefochten. An und für sich sind auch die wirtschaftlichen Voraussetzungen einer dauernden existenzsichernden Tätigkeit in seinem Betrieb gegeben, denn ohne Behinderung oder mit den entsprechenden Arbeitsgeräten würde der Beschwerdeführer nach wie vor auf dem verhältnismässig kleinen Gut sein bescheidenes Auskommen finden. Die Voraussetzung der ausreichenden Finanzierung ist ebenfalls erfüllt, konnte der Ladewagen doch schon angeschafft werden, wobei es sich nun nur noch darum handelt, die gegenüber der landwirtschaftlichen Kreditkasse eingegangene Verpflichtung auf Rückzahlung des Darlehens aufein wirtschaftlich tragbares Mass zurückzuführen.
null
nan
de
1,971
CH_BGE
CH_BGE_007
CH
Federation
71d3ccec-01b8-4af7-ac0f-e2cfc400d13f
Urteilskopf 135 III 608 89. Extrait de l'arrêt de la IIe Cour de droit civil dans la cause X. Ltd contre Banque Y. (recours en matière civile) 5A_261/2009 du 1er septembre 2009
Regeste Art. 271 ff. SchKG ; Arrestierung von Vermögenswerten, die einem ausländischen Staat oder einer ausländischen Zentralbank gehören. Unterscheidung zwischen dem "genügenden Bezug" als Bedingung der Arrestierung von Vermögenswerten eines Schuldners, der nicht im Sinne von Art. 271 Abs. 1 Ziff. 4 SchKG in der Schweiz wohnt, und der "genügenden Binnenbeziehung" als Bedingung der Arrestierung von Vermögenswerten, die einem ausländischen Staat oder einer ausländischen Zentralbank gehören (E. 4).
Sachverhalt ab Seite 608 BGE 135 III 608 S. 608 A. Par ordonnances des 27 août et 24 septembre 2008, le Tribunal de première instance de Genève a autorisé, sur réquisitions de la société X. Ltd, le séquestre des avoirs de la Banque Y. à concurrence de 138'754'252 fr., sans intérêts (ordonnance n° x), et 136'736'232 fr. 53, sans intérêts (ordonnance n° y). La requérante se fondait sur diverses lettres de crédit et sur un jugement rendu le 5 janvier 1993 par la High Court of Justice (Londres). BGE 135 III 608 S. 609 B. Par jugements du 8 décembre 2008, le Tribunal de première instance de Genève a rejeté les oppositions formées par la séquestrée. Statuant le 12 mars 2009 - après avoir joint les procédures -, la Cour de justice du canton de Genève a accueilli les appels interjetés par la séquestrée, annulé les jugements attaqués et révoqué les ordonnances de séquestre. (...) Le Tribunal fédéral a rejeté le recours en matière civile formé par X. Ltd. (extrait) Erwägungen Extrait des considérants: 4. Après avoir rappelé les conditions cumulatives d'une exécution forcée sur les avoirs d'un Etat étranger (i.e. activité iure gestionis , et non iure imperii , mise sous main de justice de biens qui ne sont pas affectés à des tâches relevant de la puissance publique et rattachement suffisant de la créance avec la Suisse ["Binnenbeziehung"]), la Cour de justice a retenu que les banques centrales étrangères "bénéficient de l'immunité absolue d'exécution forcée pour les actes accomplis dans l'exercice de la puissance publique et, lorsqu'elles ne bénéficient pas de l'immunité restreinte d'exécution [forcée], de l'insaisissabilité absolue des droits patrimoniaux affectés à l'exécution d'un acte d' imperium ". En l'espèce, la juridiction précédente a admis que la débitrice n'avait pas rendu vraisemblable que les créances invoquées à son encontre découlaient d'une activité iure imperii , ni que les actifs mis sous main de justice (i.e. fonds déposés dans une banque) étaient affectés à des tâches lui incombant comme détentrice de la puissance publique. En revanche, elle a considéré que les prétentions déduites en poursuite n'avaient pas de "lien suffisant avec la Suisse", si bien que l'intéressée avait "rendu vraisemblable qu'elle [bénéficiait] de l'immunité restreinte d'exécution faisant obstacle au séquestre de ses avoirs". 4.1 Bien que la plainte aux autorités de surveillance soit ouverte pour dénoncer la mise sous séquestre de biens insaisissables ( ATF 129 III 203 consid. 2.3 p. 207; OCHSNER, in Commentaire romand, Poursuite et faillite, 2005, n° 44 ad art. 92 LP ), la doctrine estime que l'immunité d'exécution ( art. 92 al. 1 ch. 11 et art. 275 LP ) peut être invoquée au stade de l'opposition au séquestre, et non BGE 135 III 608 S. 610 seulement lors de l'exécution de la mesure (ARTHO VON GUNTEN, Die Arresteinsprache, 2001, p. 132 ss et les références; GILLIÉRON, Commentaire de la loi fédérale sur la poursuite pour dettes et la faillite, 2003, n° 49 ss ad art. 278 LP ; STOFFEL/CHABLOZ, in Commentaire romand, Poursuite et faillite, 2005, n° 8 in fine ad art. 278 LP ; cf. également: arrêt 5A_92/2008 du 25 juin 2008 consid. 4, obs. SCHWANDER, in ZZZ 2008/09 p. 264). La recourante ne soulève aucune objection sur ce point ( art. 106 al. 2 LTF ). 4.2 En l'espèce, il est constant que ni la Convention européenne du 16 mai 1972 sur l'immunité des Etats (RS 0.273.1), ni la Convention des Nations Unies du 2 décembre 2004 sur les immunités juridictionnelles des Etats et de leurs biens ne sont applicables. Partant, c'est en vertu des principes généraux du droit des gens que s'est prononcée la cour cantonale ( ATF 134 III 122 consid. 5.1 p. 127/128), étant précisé que l'exigence d'un "rapport étroit" avec la Suisse n'est pas imposée par le droit international coutumier, mais par le droit interne suisse ( ATF 106 Ia 142 consid. 3b p. 148/149). Encore faut-il, cependant, que l'intimée puisse se prévaloir de l'immunité (restreinte) d'exécution forcée dans le cas présent (cf. infra, consid. 4.4). 4.3 La Cour de justice est partie du principe que l'exigence d'un "lien suffisant" de la créance avec la Suisse doit être satisfaite même si le séquestrant est nanti d'un titre exécutoire. La recourante qualifie cette opinion d'arbitraire, l' art. 271 al. 1 ch. 4 LP ne posant à cet égard que des conditions alternatives; de plus, elle serait "en contradiction totale avec la CLug". Il est exact que les conditions posées par la disposition précitée sont alternatives, et non pas cumulatives (arrêt 5P.32/1997 du 15 mai 1997 consid. 3 et la doctrine citée). Toutefois, un tel constat ne serait décisif que si l' art. 271 al. 1 ch. 4 LP était exclusivement applicable - les Etats étrangers n'ayant pas de "domicile en Suisse" au sens de ladite norme (GILLIÉRON, op. cit., n° 56 ad art. 271 LP et l'arrêt cité) - et avait rendu obsolètes (à compter du 1 er janvier 1997) les principes dégagés par le Tribunal fédéral en matière d'immunité d'exécution. C'est l'avis d'une partie de la doctrine (par exemple: DALLÈVES, Le séquestre, FJS n° 740, 1999, p. 10; cf. aussi: ARTHO VON GUNTEN, op. cit., p. 133, avec d'autres références); en revanche, dans un arrêt longuement motivé, le Tribunal supérieur zurichois a jugé que l'exigence d'un "rattachement suffisant" avec la Suisse, comme condition du "Staatenarrest", demeurait valable sous l'empire du BGE 135 III 608 S. 611 nouveau droit, même si le créancier séquestrant se trouve au bénéfice d'un titre exécutoire (arrêt du 12 mars 1998, cité par BREITSCHMID, Übersicht zur Arrestbewilligungspraxis nach revidiertem SchKG, in AJP 1999 p. 1007 ss, spéc. 1019 ss; idem: MEIER-DIETERLE, in Kurzkommentar SchKG, 2009, n° 35 ad art. 271 LP ). Comme cette question est controversée, l'on ne saurait parler d'un principe juridique clair et incontesté que l'autorité précédente aurait arbitrairement violé (cf. supra, consid. 1.2; par exemple: ATF 126 III 438 consid. 4b in fine p. 444). Cette solution vaut mutatis mutandis pour les "reconnaissances de dette" souscrites par l'intimée sous forme d'effets de change. C'est en vain que la recourante affirme que la décision attaquée serait incompatible avec la Convention de Lugano. D'une part, il ne s'agit pas là d'un grief tiré de la violation d'un "droit constitutionnel" au sens de l' art. 98 LTF (cf. supra, consid. 1.2). D'autre part, comme le souligne à juste titre l'intimée, même lorsque la Convention de Lugano (RS 0.275.11) s'applique, les conditions d'un séquestre ordonné en Suisse sont exclusivement régies par la législation helvétique ( ATF 126 III 156 consid. 2c p. 159 et les citations). Le grief s'avère ainsi mal fondé dans la mesure où il est recevable. 4.4 Au terme d'une longue discussion, la recourante fait encore valoir que la Cour de justice est tombée dans l'arbitraire en considérant que l'intimée était habilitée à invoquer une quelconque immunité. D'après la jurisprudence, les corporations dotées selon le droit de leur siège d'une personnalité juridique propre ne peuvent pas se prévaloir de l'immunité dont bénéficient les Etats étrangers; des exceptions à ce principe ne sont admises que si ces corporations ont agi en vertu d'un pouvoir de souveraineté ( ATF 110 Ia 43 ; cf. en outre: KREN KOSTKIEWICZ, Staatenimmunität im Erkenntnis- und im Vollstreckungsverfahren nach schweizerischem Recht, 1998, p. 356 ss et les citations). En revanche, cette problématique ne se pose pas pour les organismes étatiques qui ne jouissent pas de la personnalité morale, car c'est alors l'Etat qui agit (EGLI, L'immunité de juridiction et d'exécution des Etats étrangers et de leurs agents dans la jurisprudence du Tribunal fédéral, in Centenaire de la LP, 1989, p. 201 ss, spéc. 213 ch. VI in fine et l'arrêt cité). Dans son exposé des faits, la recourante allègue que l'intimée dispose d'une "personnalité juridique propre" (ch. 14), alors que BGE 135 III 608 S. 612 l'arrêt attaqué indique simplement qu'elle est la banque centrale de l'Etat Y. ( art. 105 al. 1 LTF ), sans qu'il soit prétendu qu'une pareille constatation serait arbitrairement lacunaire ( art. 9 Cst. en relation avec l' art. 98 LTF ; ATF 133 III 393 consid. 7.1 p. 398). Pour le surplus, la recourante se livre à une critique appellatoire, partant irrecevable ( ATF 133 III 589 consid. 2 p. 591/592), de la décision déférée, sans démontrer en quoi l'intimée ne serait pas admise à objecter l'absence d'un rattachement suffisant avec la Suisse (GILLIÉRON, op. cit., n° 119 ad art. 271 LP ); quant à l'arrêt mentionné, le Tribunal fédéral ne s'est pas dispensé d'examiner cette question parce qu'elle était "dénuée de pertinence", mais bien parce qu'une "Binnenbeziehung" du rapport de droit litigieux avec la Suisse faisait incontestablement défaut en l'espèce ( ATF 110 Ia 43 consid. 4a p. 44 in fine). Au demeurant, l'extension de l'immunité d'exécution aux actes accomplis iure gestionis qui n'ont pas de rapport étroit avec la Suisse peut se justifier par de bons arguments (cf. sur ce point: EGLI, op. cit., p. 209/210 et les citations); or, ces considérations valent aussi pour les banques centrales (sic: KRAFFT, Les traités internationaux sont réservés, in Centenaire de la LP, 1989, p. 161 ss, spéc. 167 let. c, qui observe que les séquestres frappant leurs avoirs "sont susceptibles de perturber gravement le trafic international des paiements et, partant, les relations internationales"). 4.5 S'agissant de la condition relative au "rattachement suffisant de la prétention déduite en poursuite avec la Suisse", l'autorité précédente a considéré en bref que ni l'intervention de la SGS dans le contrôle de la qualité des marchandises, ni l'activité de Z. SA dans le financement des opérations - en dépit du droit de gage qu'elle a revendiqué sur les avoirs séquestrés - ne constituaient des critères de rattachement décisifs. A ses yeux, seul le lieu d'exécution en Suisse pourrait représenter un rattachement territorial pertinent; or, le simple versement du prix de la transaction sur un compte bancaire en Suisse ne suffit pas. Par ailleurs, le choix d'un paiement en Suisse ne ressort que d'un courrier du 15 août 2008 - à savoir une lettre par laquelle la recourante a sommé l'intimée de verser la somme à laquelle elle avait été condamnée le 5 janvier 1993 sur le compte bancaire d'une étude d'avocats à Zurich - et aucune autre pièce n'indique que la recourante aurait fait ce choix précédemment; au surplus, on peut se demander si cette option n'a pas été prise pour les besoins de la cause, vu l'échec des procédures menées contre la débitrice au Royaume-Uni. BGE 135 III 608 S. 613 La recourante ne discute aucunement cette appréciation, mais se borne à exposer sa propre argumentation, énumérant derechef les éléments qu'elle avait présentés en instance cantonale; appellatoire, le grief est dès lors irrecevable dans cette mesure ( art. 106 al. 2 LTF ; ATF 133 III 589 consid. 2 p. 591/592). De surcroît, elle ne s'en prend pas au motif supplémentaire de l'autorité précédente concernant le lieu d'exécution de l'obligation ( ATF 133 IV 119 ). Quoi qu'il en soit, ce moyen repose sur des prémisses erronées. Il est vrai que la notion de "lien suffisant" au sens de l' art. 271 al. 1 ch. 4 LP ne doit pas être comprise de façon restrictive ( ATF 124 III 219 consid. 3 p. 220); toutefois, cette notion ne s'identifie pas entièrement avec celle du "rattachement suffisant" requis en l'occurrence, dont l'interprétation est plus étroite (arrêt du Tribunal supérieur zurichois du 22 mars 2000, in ZR 99/2000 n° 112 p. 303 let. d; MEIER-DIETERLE, op. cit., n° 36 ad art. 271 LP ; STOFFEL/CHABLOZ, op. cit., n° 75 ad art. 271 LP ; WALTER, Internationales Zivilprozessrecht der Schweiz, 4 e éd., 2007, p. 76 note 50). Le Tribunal fédéral a jugé qu'un rattachement suffisant devait être admis, notamment, lorsque le rapport d'obligation doit être exécuté en Suisse ( ATF 134 III 122 consid. 5.2.2 p. 128). Cette jurisprudence doit être explicitée en ce sens qu'une clause générale qui n'indique ni une localité en Suisse, ni la Suisse comme telle, mais laisse au créancier toute liberté de désigner le lieu où il entend recevoir le paiement de sa créance ne permet pas d'admettre que les parties seraient convenues que l'exécution aurait lieu en Suisse; une pareille clause, qui permet de rattacher le lieu d'exécution à n'importe quel pays, ne constitue pas un lien particulier avec la Suisse ( ATF 82 I 75 consid. 11 p. 92). Sur le vu des constatations, non critiquées, de l'autorité précédente, la décision attaquée ne saurait être qualifiée d'insoutenable. 4.6 Vu ce qui précède, il devient superflu de connaître des critiques de la recourante contre le motif pris de la notification irrégulière de l'acte introductif d'instance (cf. consid. 1.4.1 non publié; ATF 133 III 221 consid. 7 p. 228; ATF 130 III 321 consid. 6 p. 328; ATF 104 Ia 381 consid. 6a p. 392).
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2,009
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Urteilskopf 137 II 10 2. Auszug aus dem Urteil der II. öffentlich-rechtlichen Abteilung i.S. X. gegen Sicherheitsdirektion und Regierungsrat des Kantons Zürich (Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten) 2C_478/2010 vom 17. November 2010
Regeste Art. 63 Abs. 2 AuG ; teilweiser Ausschluss des Widerrufs der Niederlassungsbewilligung nach einem 15-jährigen ordnungsgemässen Aufenthalt; Begriff des ordnungsgemässen Aufenthalts. Für die Berechnung dieser Mindestaufenthaltsdauer gemäss Art. 63 Abs. 2 AuG ist auf den Zeitpunkt abzustellen, in dem die erstverfügende Behörde den Widerruf ausspricht (E. 4.2). Als ordnungsgemäss gilt in der Regel nur der ausdrücklich bewilligte Aufenthalt, nicht hingegen jener einer weggewiesenen Person, auch wenn die Behörden vom zwangsweisen Vollzug absehen und zumindest solange keine vorläufige Aufnahme verfügt wurde. Der bewilligte Aufenthalt gilt dagegen grundsätzlich auch dann als ordnungsgemäss, wenn der Ausländer durch sein persönliches Verhalten Anlass zu Beanstandungen gegeben hat (E. 4.3-4.7).
Sachverhalt ab Seite 11 BGE 137 II 10 S. 11 A. X. (geb. 1975), Staatsangehöriger von Sri Lanka, reiste seinen Angaben zufolge im September 1992 in die Schweiz ein und stellte ein Asylgesuch. Dieses wurde am 10. Februar 1994 abgelehnt und X. aus der Schweiz weggewiesen. Die Schweizerische Asylrekurskommission bestätigte den Entscheid mit Urteil vom 28. Mai 1996. Am 18. November 1996 heiratete X. in A. (ZH) die Schweizer Bürgerin Y. (geb. 1969), worauf ihm eine Aufenthaltsbewilligung für den Kanton Zürich und im Juli 2002 die Niederlassungsbewilligung erteilt wurde. Die kinderlos gebliebene Ehe wurde im April 2007 rechtskräftig geschieden. Im Mai 2007 heiratete X. in seiner Heimat seine Landsfrau Z. (geb. 1976), mit welcher er zwei bereits im Februar 2000 und im November 2002 geborene Kinder hat. Mitte Juni 2007 ersuchte er um Familiennachzug für seine neue Ehefrau und die beiden Kinder. Mit Verfügung vom 8. April 2008 wies die Sicherheitsdirektion des Kantons Zürich das Familiennachzugsgesuch ab und widerrief die Niederlassungsbewilligung von X. Dieser habe den einheimischen Behörden verschwiegen, dass er während der Ehe mit der Schweizer Bürgerin eine Beziehung zu einer Landsfrau aufgenommen und mit ihr die beiden Kinder gezeugt hatte. Die gegen die Verfügung beim Regierungsrat und anschliessend beim Verwaltungsgericht des Kantons Zürich erhobenen Rechtsmittel blieben erfolglos. B. X. beantragt dem Bundesgericht mit Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten, hilfsweise mit subsidiärer Verfassungsbeschwerde, vom 31. Mai 2010, den im Kanton zuletzt ergangenen Entscheid des Verwaltungsgerichts vom 21. April 2010 aufzuheben. Das Gesuch um Familiennachzug sei gutzuheissen, eventualiter sei die Sache zur ergänzenden Sachverhaltsfeststellung an die Vorinstanz zurückzuweisen. (...) Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab, soweit es darauf eintritt. (Auszug) Erwägungen Aus den Erwägungen: 4. 4.1 Der Beschwerdeführer macht (...) geltend, Art. 63 Abs. 2 AuG (SR 142.20) stünde dem (auf Art. 63 Abs. 1 lit. a in Verbindung mit Art. 62 lit. a AuG gestützten) Widerruf entgegen. Dieser Bestimmung zufolge kann die Niederlassungsbewilligung von BGE 137 II 10 S. 12 Ausländern, die sich seit mehr als 15 Jahren ununterbrochen und ordnungsgemäss in der Schweiz aufhalten, nur aus Gründen von Art. 63 Abs. 1 lit. b und Art. 62 lit. b AuG widerrufen werden. Demnach ist nach Ablauf dieser Zeit ein Widerruf gemäss Art. 62 lit. a AuG wegen falscher Angaben oder Verschweigens wesentlicher Tatsachen nicht mehr möglich. Streitig ist, ob sich der Beschwerdeführer auf einen ununterbrochenen und ordnungsgemässen Aufenthalt in der Schweiz von 15 Jahren berufen kann. Das verneint die Vorinstanz. Von der Einreise im Jahr 1992 bis zur Heirat mit der Schweizer Bürgerin im November 1996 sei der Aufenthalt des Beschwerdeführers fremdenpolizeilich nicht bewilligt worden. Daher könne diese Zeit nicht berücksichtigt werden. Ordnungsgemäss sei der Aufenthalt erst ab der erwähnten Eheschliessung gewesen. Bis zum Widerruf der Niederlassungsbewilligung durch die Sicherheitsdirektion im April 2008 seien insoweit aber noch nicht 15 Jahre verstrichen (sondern nur knapp elfeinhalb Jahre). Der Beschwerdeführer ist - wie auch eine Minderheitsmeinung der Vorinstanz - der Auffassung, aufgrund des Anwesenheitsrechts im hängigen Asylverfahren sei der Aufenthalt auch während dieser Zeit rechtmässig und damit im Sinne von Art. 63 Abs. 2 AuG ordnungsgemäss. Das Gleiche gelte für die Periode zwischen der rechtskräftigen Abweisung des Asylgesuchs und der Heirat, da die Behörden darauf verzichtet hätten, ihm eine Ausreisefrist zu setzen. 4.2 Nicht zu beanstanden ist, dass das Verwaltungsgericht auf den Zeitpunkt der Verfügung des Widerrufs durch die Sicherheitsdirektion als erste Instanz abgestellt und geprüft hat, ob zu diesem Zeitpunkt die 15-Jahresfrist nach Art. 63 Abs. 2 AuG bereits erfüllt war. Angesichts der Verzögerungsmöglichkeiten in mehrstufigen Rechtsmittelverfahren geht es nicht an, auf einen späteren Zeitpunkt - z.B. die Rechtskraft des letztinstanzlichen Entscheids - abzustellen (vgl. zur Einhaltung der Frist zur Nichtigerklärung von Einbürgerungen: Urteile des Bundesgerichts 5A.3/2002 vom 29. April 2002 E. 3; 1C_231/2007 vom 14. November 2007 E. 4 und 1C_421/2008 vom 15. Dezember 2008 E. 2.3). 4.3 Weder das Gesetz noch die Verordnung des Bundesrates vom 24. Oktober 2007 über Zulassung, Aufenthalt und Erwerbstätigkeit (VZAE; SR 142.201) definieren, was unter einem ordnungsgemässen Aufenthalt im Sinne von Art. 63 Abs. 2 AuG zu verstehen ist. Auch die Materialien schweigen sich dazu aus. In der Botschaft zum BGE 137 II 10 S. 13 Ausländergesetz wird in Bezug auf den Widerrufsgrund der Sozialhilfeabhängigkeit bloss ausgeführt, dass ein Widerruf der Niederlassungsbewilligung nach einem ununterbrochenen Aufenthalt von 15 Jahren unverhältnismässig wäre. Art. 63 Abs. 2 AuG trage der verstärkten Integration Rechnung (BBl 2002 3810 f.; s. auch die Ausführungen von Nationalrätin Leuthard als Berichterstatterin in AB 2004 N 1089). Den Debatten des Parlaments lässt sich vor allem entnehmen, dass die 15-Jahreslimite nach Art. 63 Abs. 2 AuG - in Abweichung des Entwurfs des Bundesrats - vom Widerrufsgrund der Sozialhilfebedürftigkeit nach Art. 63 Abs. 1 lit. c AuG auf denjenigen nach Art. 62 lit. a AuG ausgedehnt wurde (vgl. AB 2004 N 1084 sowie AB 2005 S 313 zu Art. 62 des Entwurfs; BBl 2002 3869). Das Bundesamt für Migration geht in seinen Weisungen zum Ausländergesetz davon aus, dass nach Art. 63 Abs. 2 AuG nur ein Aufenthalt mit einer ordentlichen ausländerrechtlichen Kurzaufenthalts- oder Aufenthaltsbewilligung anrechenbar sei (Ziff. 3.4.6 in fine der Weisungen I Ausländerbereich, 3. Abschnitt "Aufenthaltsregelung", Version/Stand 1. Juli 2009). Die Literatur äussert sich nicht zur Frage, was unter "ordnungsgemässem" Aufenthalt im Sinne dieser Bestimmung zu verstehen ist. 4.4 Andere Regelungen enthalten ebenfalls die Wendung des ordnungsgemässen Aufenthalts. So heisst es in Art. 42 Abs. 3 und Art. 43 Abs. 2 AuG sowie in Art. 7 Abs. 1 Satz 2 und Art. 17 Abs. 2 Satz 2 des Bundesgesetzes vom 26. März 1931 über Aufenthalt und Niederlassung der Ausländer (ANAG; BS 1 121, in der Fassung vom 23. März 1990, AS 1991 1034, 1043) fast übereinstimmend, dass Ehegatten nach einem ordnungsgemässen und ununterbrochenen Aufenthalt von fünf Jahren Anspruch auf die Niederlassungsbewilligung haben. In diversen Niederlassungsverträgen, welche die Schweiz mit anderen Ländern geschlossen hat, wird ebenfalls auf den ordnungsgemässen Aufenthalt abgestellt; wenn ein solcher während einer bestimmten Anzahl von Jahren (meist fünf oder zehn) bestanden hat, wird eine Niederlassungsbewilligung erteilt. Die ständige Praxis geht in diesem Zusammenhang davon aus, dass der Aufenthalt ordnungsgemäss ist, wenn dieser fremdenpolizeilich bewilligt ist. Ob das persönliche Verhalten des Ausländers dabei Anlass zu Beanstandungen gegeben hat, spielt für die Frage der Ordnungsmässigkeit des Aufenthaltes keine Rolle. Dieses ist erst BGE 137 II 10 S. 14 für den anschliessenden materiellen Entscheid, ob die Bewilligung zu erteilen bzw. zu belassen ist, relevant (vgl. BGE 120 Ib 360 E. 3b S. 367; BGE 122 II 385 E. 1b und 3 S. 388 und 390 f.; BGE 128 II 145 E. 1.1.5 und E. 2 S. 149 ff.; Urteil 2A.238/1994 vom 17. Januar 1995 E. 1c). Als ordnungsgemässer Aufenthalt wird bei in der Schweiz geschlossenen Ehen auch regelmässig die Zeit zwischen Heirat und Bewilligungserteilung betrachtet (vgl. BGE 135 II 1 E. 1.2.2 S. 4; Urteil 2A.221/2005 vom 6. September 2005 E. 1.2). Nicht ordnungsgemäss ist hingegen der Aufenthalt, der aufgrund der aufschiebenden Wirkung eines Rechtsmittels lediglich toleriert wird, wenn der Ausgang des Rechtsstreits zu keiner Bewilligung führt (vgl. Urteile 2A.105/2001 vom 26. Juni 2001 E. 3c und 2A.311/2004 vom 8. September 2004 E. 4.1). Es besteht kein Anlass, diese Praxis nicht auch bei Art. 63 Abs. 2 AuG anzuwenden, zumal davon auszugehen ist, dass sie der Formulierung dieser Bestimmung zugrunde lag (vgl. auch die in E. 4.3 hievor erwähnten Weisungen des Bundesamts für Migration). 4.5 Demnach hat der Aufenthalt des Beschwerdeführers ab der Eheschliessung im November 1996 als ordnungsgemäss zu gelten. Aufgrund der Heirat erhielt er die Aufenthalts- und später die Niederlassungsbewilligung. Die im April 2007 rechtskräftig gewordene Scheidung änderte nichts an seinem Aufenthaltstitel. Der Regierungsrat ist zwar davon ausgegangen, dass der Beschwerdeführer nicht nur einen Widerrufsgrund nach Art. 62 lit. a AuG wegen Verschweigens der Beziehung zu seiner Landsfrau und der Geburt der Kinder gesetzt, sondern auch eine Scheinehe mit der Schweizer Bürgerin geschlossen hatte. Die Vorinstanz äussert sich nicht dazu. Tatsächlich bestehen gewichtige Indizien, die für einen Rechtsmissbrauch bzw. eine Scheinehe sprechen. Zusätzlich zu den erwähnten Umständen, die verschwiegen wurden, hat sich unter anderem auch erwiesen, dass der Beschwerdeführer niemals mit der Schweizer Ehefrau in der gleichen Wohnung gelebt hatte. Doch selbst wenn eine sog. Ausländerrechtsehe gegeben wäre, gilt der bewilligte Aufenthalt als ordnungsgemäss im Sinne von Art. 63 Abs. 2 AuG . Ob die Niederlassungsbewilligung deswegen unmittelbar gestützt auf Art. 51 Abs. 1 lit. a AuG widerrufen werden könnte, kann hier mit Blick auf die nachfolgenden Ausführungen offengelassen werden (vgl. immerhin BBl 2002 3794 zu Art. 50 E-AuG; MARTINA CARONI, in: Stämpflis Handkommentar, Bundesgesetz über BGE 137 II 10 S. 15 die Ausländerinnen und Ausländer, 2010, N. 3 zu Art. 51 AuG ; MARC SPESCHA, in: Migrationsrecht, Spescha/Thür/Zünd [Hrsg.], 2. Aufl. 2009, N. 9 zu Art. 42 AuG ). Das gilt auch für die Frage, ob Art. 63 Abs. 2 AuG nach einem 15-jährigen ordnungsgemässen und ununterbrochenen Aufenthalt einem Widerruf nach Art. 51 AuG entgegenstünde. Da die Aufenthaltsdauer ab Eheschliessung bis zum Zeitpunkt des Widerrufs rund elfeinhalb Jahre betragen hat, kommt es darauf an, ob auch der vorherige Aufenthalt in der Schweiz als ordnungsgemäss im Sinne von Art. 63 Abs. 2 AuG zu bezeichnen ist. 4.6 In Art. 26 des bis zum 30. September 1999 geltenden Asylgesetzes vom 5. Oktober 1979 (aAsylG; AS 1980 1718 und Änderungen gemäss der Fussnote zu Art. 120 lit. a des aktuellen Asylgesetzes vom 26. Juni 1998 [AsylG; SR 142.31]) war vorgesehen, dass der Flüchtling mit der Asylgewährung Anspruch auf Regelung seiner Anwesenheit im Kanton hat, wo er sich "ordnungsgemäss aufhält" (vgl. den entsprechenden Art. 60 AsylG , in dem heute von "rechtmässigem" Aufenthalt die Rede ist). Das Bundesgericht erklärte hiezu, dass sich "ordnungsgemäss" nur auf den Ort bezieht, für den eine behördliche Bewilligung für die Anwesenheit vorliegt. Im Zeitpunkt der Asylgewährung ist dies der Ort, der dem Flüchtling während des Asylverfahrens von den Behörden zugewiesen worden ist ( BGE 116 Ib 1 E. 2c S. 5). Während des vorangehenden Asylverfahrens darf sich der Ausländer gestützt auf Art. 42 AsylG bzw. Art. 19 aAsylG grundsätzlich in der Schweiz aufhalten. Daraus leitet der Beschwerdeführer ab, dass er sich während des Asylverfahrens ordnungsgemäss in der Schweiz aufhielt. Allerdings unterscheidet sich die Situation von Asylbewerbern gegenüber derjenigen von anderen Ausländern mit einem Aufenthaltstitel dadurch, dass Erstere jederzeit mit der Ablehnung ihres Gesuchs und der Verpflichtung zur Ausreise rechnen müssen. Ihnen wird vorerst nicht eine Bewilligung ausgehändigt, die ihnen die Anwesenheit im Land auf eine bestimmte Zeit ermöglicht. Sie dürfen sich aufgrund ihrer Stellung als Asylbewerber zunächst nur bis zum Abschluss des Asylverfahrens in der Schweiz aufhalten. Ihr Status ist ähnlich demjenigen eines Ausländers im Fremdenpolizeirecht, dessen Aufenthalt nur während des laufenden Verfahrens toleriert wird (s. E. 4.4 hievor; vgl. auch MINH SON NGUYEN, Droit public des étrangers, 2003, S. 413-415). Unerheblich ist dabei, ob diese Tolerierung von Gesetzes wegen stattfindet oder behördlich bzw. richterlich angeordnet worden ist. Wird das Asylgesuch schliesslich rechtskräftig BGE 137 II 10 S. 16 abgewiesen, ist der bisherige Aufenthalt des Ausländers demnach nicht als ordnungsgemäss im Sinne von Art. 63 Abs. 2 AuG anzusehen. Nach dieser Bestimmung ordnungsgemäss wäre der Aufenthalt während des Asylverfahrens hingegen dann, wenn das Asylgesuch gutgeheissen bzw. die Flüchtlingseigenschaft im Sinne des Abkommens vom 28. Juli 1951 über die Rechtsstellung der Flüchtlinge (Flüchtlingskonvention; SR 0.142.30) zuerkannt wird. Davon Abweichendes kann gelten bei einem gestützt auf Nachfluchtgründe (vgl. dazu WALTER KÄLIN, Grundriss des Asylverfahrens, 1990, S. 130 ff.) gewährten Asyl. Demzufolge ist der Aufenthalt des Beschwerdeführers als Asylbewerber nicht in die Berechnung der Aufenthaltszeit nach Art. 63 Abs. 2 AuG einzubeziehen, da sein Asylgesuch abgewiesen wurde. 4.7 Der Beschwerdeführer hielt sich - zumindest zeitweise - auch in der Periode zwischen der Eröffnung des Urteils der Asylrekurskommission vom 28. Mai 1996 und der Eheschliessung mit der Schweizer Bürgerin nicht ordnungsgemäss in der Schweiz auf. Denn er verfügte insoweit weder über ein Recht noch über einen Titel zum Aufenthalt in der Schweiz. Infolge der rechtskräftig gewordenen Wegweisung war er vielmehr verpflichtet, das Land zu verlassen. Auch wenn die Behörden ihm keine Ausreisefrist setzten, war sein Aufenthalt damals weder bewilligt noch sonst wie zugelassen. Ihm war die freiwillige Rückkehr in seine Heimat zudem möglich und zumutbar. Deswegen gelangte er auch nicht in den Genuss einer vorläufigen Aufnahme (vgl. KÄLIN, a.a.O., S. 199 ff.). Die Behörden sahen nur wegen beschränkter Möglichkeiten zur zwangsweisen Rückführung nach Sri Lanka vom sofortigen (zwangsweisen) Vollzug der Wegweisung ab (vgl. NICOLAS WISARD, Les renvois et leur exécution en droit des étrangers et en droit d'asile, 1997, S. 378 f.; MARTIN STÜRZINGER, Mapping der srilankischen Diaspora in der Schweiz, Kurzstudie für das Berghof Forschungszentrum für konstruktive Konfliktbearbeitung, Berlin 2002, S. 7 f.). Ein Aufenthalt wird aber nicht bereits deshalb rechtmässig und damit ordnungsgemäss, weil die zuständigen Behörden eine Wegweisung nicht vollziehen. 4.8 Da demnach beim Beschwerdeführer zumindest die Anwesenheit während des Asylverfahrens und unmittelbar nach der rechtskräftigen Wegweisung nicht als ordnungsgemässer Aufenthalt im Sinne von Art. 63 Abs. 2 AuG gelten kann, hat die Vorinstanz zu Recht geschlossen, dass diese Bestimmung dem Widerruf der Bewilligung nicht entgegensteht.
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Urteilskopf 127 I 92 11. Extrait de l'arrêt de la Ire Cour civile du 13 novembre 2000 dans la cause G. et la S.I. X. contre la Banque Y. et T. (recours de droit public)
Regeste Art. 87 OG ; Teilentscheid. Aus Gründen der Prozessökonomie Zulässigkeit einer staatsrechtlichen Beschwerde gegen einen Teilentscheid, der endgültig die Frage des gegen einen der passiven Streitgenossen gerichteten Anspruchs regelt, obwohl diesbezüglich auch getrennt hätte Klage erhoben werden können (E. 1).
Sachverhalt ab Seite 92 BGE 127 I 92 S. 92 Dans le cadre d'une opération immobilière mise en place par le notaire T., la banque Y. a accordé un prêt de deux millions à G. et à la société immobilière X. La banque a remis la somme prêtée au notaire, qui a fait un usage contesté des fonds obtenus. G. et la SI X. ont intenté une action en paiement à l'encontre de la banque Y. et du notaire T. Les parties ont décidé de limiter, dans un premier temps, la procédure à la question de la responsabilité de la banque. Celle-ci a été retenue en première instance, alors que la cour cantonale a considéré, dans un arrêt du 23 juin 2000, que la banque ne devait pas répondre du dommage que prétendaient avoir subi G. et la SI X., tout en renvoyant la cause à l'autorité de première instance pour suite d'instruction. BGE 127 I 92 S. 93 Contre cet arrêt, G. et la SI X. interjettent un recours de droit public au Tribunal fédéral. Erwägungen Extrait des considérants: 1. Le Tribunal fédéral examine d'office et avec une pleine cognition la recevabilité des recours qui lui sont soumis ( ATF 126 I 81 consid. 1, 207 consid. 1 et les arrêts cités). a) Selon l' art. 87 OJ , dans sa teneur au 8 octobre 1999 entrée en vigueur le 1er mars 2000 (RO 2000 p. 417), le recours de droit public est recevable contre les décisions préjudicielles et incidentes sur la compétence et sur les demandes de récusation, prises séparément; ces décisions ne peuvent être attaquées ultérieurement (al. 1); le recours de droit public est recevable contre d'autres décisions préjudicielles et incidentes prises séparément s'il peut en résulter un préjudice irréparable (al. 2); lorsque le recours de droit public n'est pas recevable en vertu de l'al. 2 ou qu'il n'a pas été utilisé, les décisions préjudicielles et incidentes peuvent être attaquées avec la décision finale. Dans le cas d'espèce, l'action est intentée contre deux défendeurs - la banque et le notaire - qui forment une consorité simple. Sur le plan cantonal, il a été décidé de limiter dans un premier temps la procédure à l'un des deux consorts passifs, à savoir la banque, et l'action dirigée contre celle-ci a été, du moins implicitement, rejetée en seconde instance par l'arrêt attaqué. La procédure cantonale ne peut ainsi se poursuivre qu'à l'encontre du notaire. Le rejet de l'action envers l'un des deux consorts constitue une décision partielle. Selon une acception générale, une telle décision a un caractère final (du point de vue de la banque), mais elle ne met pas fin à l'instance, car le procès n'est pas encore terminé envers l'autre partie (cf. BERNARD CORBOZ, Le recours immédiat contre une décision incidente, in SJ 1991 p. 621). b) Ce n'est qu'en matière de recours de droit administratif qu'une telle décision est considérée comme finale (cf. ATF 107 Ib 341 consid. 1; CORBOZ, op. cit., p. 623). S'agissant du recours de droit public, la jurisprudence assimile les sentences partielles à des décisions incidentes au sens de l' art. 87 OJ (cf. ATF 123 I 325 consid. 3b, qui se fonde sur l' ATF 116 II 80 consid. 2b, critiqué - sous l'angle du droit de l'arbitrage - par JEAN-FRANÇOIS POUDRET, La recevabilité du recours au Tribunal fédéral contre la sentence partielle de l' art. 188 LDIP , in JdT 1990 I p. 354 ss; du même auteur, BGE 127 I 92 S. 94 La recevabilité du recours au Tribunal fédéral contre une sentence partielle, in BullASA 1990 p. 237 ss, et Remarques au sujet des articles 190 et 191 LDIP, in BullASA 1992 p. 79 s.; cf. également GABRIELLE KAUFMANN-KOHLER, Art. 190 et 191 LDIP : Les recours contre les sentences arbitrales, in BullASA 1992 p. 64 ss, 73 ss; ANTON HEINI, Anmerkungen zu art. 186-189, in BullASA 1992 p. 52 ss, 56 s.). En matière de recours en réforme, le jugement partiel n'est pas non plus considéré comme une décision finale visée par l' art. 48 OJ , bien que la pratique le distingue des décisions préjudicielles ou incidentes ( ATF 124 III 406 consid. 1a). Le recours immédiat contre les sentences partielles est ainsi soumis à un régime particulier ( ATF 124 III 406 consid. 1a; ATF 123 III 140 consid. 2a et les références citées), dicté par des motifs d'économie de procédure (cf. ATF 117 II 349 consid. 2a; ATF 107 II 349 consid. 2 p. 353). Lorsqu'un jugement partiel fait à la fois l'objet d'un recours de droit public et d'un recours en réforme, il convient de s'en tenir à la jurisprudence selon laquelle, si la voie du recours en réforme est ouverte, le recours de droit public sera également considéré comme recevable, même en l'absence de dommage irréparable au sens de l' art. 87 OJ (cf. ATF 117 II 349 consid. 2b p. 351 par analogie). c) Dans l'hypothèse où une décision partielle n'est attaquée que par la voie du recours de droit public, l'application de l' art. 87 OJ impose de résoudre la question du préjudice irréparable. Selon la jurisprudence relative à l'ancien article 87 OJ dont il n'y a pas lieu de se départir sous l'empire du nouveau droit (cf. ATF 126 I 207 consid. 2), il faut, pour qu'un préjudice puisse être qualifié d'irréparable, qu'il cause un inconvénient de nature juridique. Tel est le cas lorsqu'une décision finale même favorable au recourant ne le ferait pas disparaître entièrement, en particulier lorsque la décision incidente contestée ne peut plus être attaquée avec la décision finale, rendant ainsi impossible le contrôle constitutionnel par le Tribunal fédéral ( ATF 118 II 369 consid. 1; ATF 116 Ia 446 consid. 2; WALTER KÄLIN, Das Verfahren der staatsrechtlichen Beschwerde, 2e éd., Berne 1994, p. 342 et les références citées). En revanche, un dommage de pur fait, tel que la prolongation de la procédure ou un accroissement des frais de celle-ci, n'est pas considéré comme irréparable ( ATF 123 I 325 consid. 3c p. 328 s.; ATF 122 I 39 consid. 1a/bb p. 42). Un jugement partiel portant sur une question matérielle ne remplira en pratique quasiment jamais les exigences liées au préjudice BGE 127 I 92 S. 95 irréparable, dès lors qu'il est par définition possible de l'attaquer avec la décision mettant fin au litige. En l'occurrence, l'arrêt entrepris qui concerne la banque pourrait encore être remis en cause par le biais d'un recours contre la décision finale relative au notaire. Or, la seule perte de temps n'est pas déterminante au regard de l' art. 87 OJ . En outre, la situation des recourants sur le plan juridique ne se péjore en tout cas pas, puisque le litige peut faire l'objet d'un recours en réforme. Dans cette hypothèse en effet, le jugement partiel n'entre pas en force de chose jugée tant que le jugement final (qui porte sur tout le litige) est encore pendant et que, partant, la voie du recours en réforme à son encontre est ouverte (cf. art. 48 al. 3 OJ en rapport avec l' art. 54 al. 2 OJ ). Par conséquent, si l'on s'en tenait strictement à l' art. 87 OJ , le recours devrait être déclaré irrecevable. d) Une telle solution n'est pourtant pas satisfaisante, car elle ne tient pas compte des particularités d'une décision partielle qui, comme en l'espèce, met définitivement fin à l'action dirigée contre l'un des consorts, alors que cette action aurait aussi pu être formée séparément. Il semble difficilement concevable d'exiger de la banque qu'elle attende une décision finale qui ne la concerne plus et dont elle ignore quand et de quelle manière (par jugement, transaction ou retrait) elle sera rendue, ce qui influence également sa possibilité de recourir. Dans ces circonstances, il n'y a pas de raison que le principe de l'économie de la procédure, qui est sous-jacent à l'admission, dans certaines circonstances, du recours en réforme immédiat à l'encontre de décisions partielles (cf. supra let. c), ne prévale pas aussi lorsqu'une telle décision ne fait l'objet que d'un recours de droit public. La jurisprudence s'est du reste déjà fondée sur l'économie de la procédure pour déroger à la condition du dommage irréparable exigée par l' art. 87 OJ (cf. ATF 115 Ia 311 consid. 2a; ATF 94 I 199 consid. 1a; ATF 87 I 172 consid. 2), ces derniers temps surtout en relation avec des questions liées à l'organisation des tribunaux (cf. ATF 124 III 134 consid. 2a). Il convient ainsi d'admettre que ce principe, associé à celui de la proportionnalité et de l'intérêt bien compris des parties, justifie qu'un recourant puisse, à certaines conditions, déposer tout de suite un recours de droit public à l'encontre d'une décision partielle, sans attendre la décision finale (cf. ATF 115 Ia 311 consid. 2a; ATF 94 I 199 consid. 1a). Ainsi, lorsque l'on est, comme en l'espèce, en présence d'un jugement partiel rendu dans le cadre d'un cumul subjectif d'actions dirigées contre des défendeurs liés par un rapport de BGE 127 I 92 S. 96 consorité simple et qui tranche définitivement le sort de la prétention contre l'un des consorts passifs, il y a lieu, pour éviter la situation insatisfaisante évoquée ci-dessus, d'entrer en matière sur le recours de droit public, sans se demander si la décision attaquée entraîne un préjudice irréparable. e) Interjeté en temps utile compte tenu des féries (art. 34 al. 1 let. b et 89 al. 1 OJ) et dans la forme prévue par la loi ( art. 90 al. 1 OJ ), le présent recours est donc recevable.
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Urteilskopf 116 Ib 1 1. Auszug aus dem Urteil der II. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 2. Februar 1990 i.S. T.N.P. gegen Regierungsrat des Kantons Bern (Verwaltungsgerichtsbeschwerde)
Regeste Art. 100 lit. b Ziff. 3 OG , Art. 26 AsylG ; kein Anspruch des anerkannten Flüchtlings auf Kantonswechsel, Verwaltungsgerichtsbeschwerde nicht zulässig. Art. 26 AsylG verschafft dem anerkannten Flüchtling Anspruch auf Regelung seiner Anwesenheit, d.h. die Erteilung einer fremdenpolizeilichen Bewilligung im Kanton, wo er sich "ordnungsgemäss" aufhält. Begriff des ordnungsgemässen Aufenthalts; massgeblich ist nach der Asylerteilung eine fremdenpolizeilich geregelte Anwesenheit. Anspruch auf Kantonswechsel hat der Flüchtling daher regelmässig nicht, weil er sich nur im bisherigen Aufenthaltskanton ordnungsgemäss aufhält (E. 2). Fall eines straffällig gewordenen Flüchtlings, der sich nach der bedingten Entlassung aus der Strafanstalt in einem neuen Kanton aufhalten will. Trotz entsprechender Weisung der Strafvollzugsbehörde seines bisherigen Aufenthaltskantons kein ordnungsgemässer Aufenthalt im neuen Kanton (E. 3).
Sachverhalt ab Seite 2 BGE 116 Ib 1 S. 2 Der aus Vietnam geflohene T.N.P. reiste 1978 in die Schweiz ein, wo ihm Asyl gewährt wurde. Er erhielt gestützt auf seine Flüchtlingseigenschaft im Kanton Basel-Landschaft die Aufenthaltsbewilligung. Wegen fortgesetzter qualifizierter sowie fortgesetzter einfacher Widerhandlung gegen das Betäubungsmittelgesetz wurde er am 10. Juli 1983 in Untersuchungshaft genommen und mit Urteil des Obergerichts des Kantons Basel-Landschaft zu sechs Jahren Zuchthaus verurteilt. Die Strafe trat er vorzeitig am 20. September 1983 in der Strafanstalt Witzwil im Kanton Bern an. Am 4. August 1986 wurde er provisorisch in das Übergangsheim Eschholz-Witzwil in Halbfreiheit versetzt. Ab jenem Zeitpunkt arbeitete er in der Schilderfabrik G. SA in E. Nach seiner bedingten Entlassung aus dem Strafvollzug am 9. Juni 1987 behielt er diese Stelle bei und wohnte seither in E. Am 9. Juni 1987 stellte T.N.P. ein Gesuch um Erteilung der Aufenthaltsbewilligung im Kanton Bern. Die Fremdenpolizei des Kantons Bern wies das Gesuch mit Verfügung vom 4. Dezember 1987 ab, ebenso am 17. Dezember 1987 eine gegen diese Verfügung erhobene Einsprache. Der Regierungsrat des Kantons Bern wies am 4. Mai 1988 die gegen den Einspracheentscheid erhobene Beschwerde ab und setzte T.N.P. eine Frist zur Ausreise aus dem Kanton Bern auf den 31. August 1988 an. Er stellt sich auf den Standpunkt, dass T.N.P. nur wegen des Strafvollzugs in den Kanton Bern gelangt sei; nachdem er bereits vorher im Kanton Basel-Landschaft die Aufenthaltsbewilligung gehabt habe, rechtfertige es sich, dass der BGE 116 Ib 1 S. 3 Kanton Bern ihm die Aufenthaltsbewilligung verweigere, weil er gegen die öffentliche Ordnung verstossen habe. Am 9. Juni 1988 erhob T.N.P. gegen den am 11. Mai 1988 zugestellten Regierungsratsentscheid rechtzeitig Verwaltungsgerichtsbeschwerde. Er beantragt, der angefochtene Entscheid sei aufzuheben und die zuständige Behörde anzuweisen, ihm eine Aufenthaltsbewilligung für den Kanton Bern zu erteilen. Das Bundesgericht tritt auf die Beschwerde nicht ein. Erwägungen Aus den Erwägungen: 1. a) Das Bundesamt für Ausländerfragen ist der Ansicht, die Beschwerde sei nicht zulässig. Das Bundesgericht prüft die Zulässigkeit eines Rechtsmittels von Amtes wegen, ohne an die diesbezüglichen Anträge und Begründungen der Parteien gebunden zu sein. b) Gemäss Art. 100 lit. b Ziff. 3 OG ist die Verwaltungsgerichtsbeschwerde ausgeschlossen gegen die Erteilung oder Verweigerung von fremdenpolizeilichen Bewilligungen, auf die das Bundesrecht keinen Anspruch einräumt. Die kantonalen Behörden entscheiden gemäss Art. 4 des Bundesgesetzes über Aufenthalt und Niederlassung der Ausländer vom 26. März 1931 (ANAG; SR 142.20) im Rahmen der gesetzlichen Vorschriften und der Verträge mit dem Ausland nach freiem Ermessen über die Bewilligung von Aufenthalt. Der Ausländer hat daher regelmässig keinen Anspruch auf Erteilung einer Aufenthaltsbewilligung, soweit sich ein solcher nicht aus einer Sondernorm des Landesrechts oder eines Staatsvertrags bzw. internationalen Abkommens ergibt. Der Beschwerdeführer ist anerkannter Flüchtling und hat in der Schweiz Asyl; er verfügt damit gemäss Art. 4 des Asylgesetzes vom 5. Oktober 1979 (AsylG; SR 142.31) über ein Anwesenheitsrecht. Es stellt sich die Frage, ob er auch Anspruch auf Erteilung einer Aufenthaltsbewilligung in jedem beliebigen Kanton hat, in dem er gerade weilt. c) Nach Art. 24 AsylG richtet sich die Rechtsstellung der Flüchtlinge in der Schweiz nach dem für Ausländer geltenden Recht, soweit nicht besondere Bestimmungen, namentlich des Asylgesetzes und des internationalen Abkommens über die Rechtsstellung der Flüchtlinge vom 28. Juli 1951 (Flüchtlingsabkommen; SR 0.142.30) anwendbar sind. Art. 26 des Flüchtlingsabkommens bestimmt, dass jeder vertragsschliessende Staat den Flüchtlingen, die sich rechtmässig auf BGE 116 Ib 1 S. 4 seinem Gebiet aufhalten, das Recht einräumt, dort ihren Aufenthaltsort zu wählen und sich frei zu bewegen, vorbehältlich der Bestimmungen, die unter den gleichen Umständen für Ausländer im allgemeinen gelten. Die Rechtsstellung der Flüchtlinge bestimmt sich also in dem Masse durch das allgemeine Fremdenrecht, als nicht besondere fremdenrechtliche, nämlich flüchtlingsrechtliche Normen eine Sonderbehandlung ausdrücklich vorschreiben (WOLFGANG ECKERT, Begriff und Grundzüge des schweizerischen Flüchtlingsrechts, Diss. Zürich 1977, S. 99/100). Aus dem Flüchtlingsabkommen allein kann der Flüchtling jedenfalls keinen Anspruch auf freie Wahl des Kantons ableiten (a.a.O., S. 145). Der Ausländer mit Aufenthaltsbewilligung hat keinen Anspruch auf Kantonswechsel. Selbst dem niedergelassenen Ausländer steht ein solcher Anspruch nur zu, wenn er sich auf einen Niederlassungsvertrag zwischen der Schweiz und seinem Heimatstaat berufen kann ( Art. 4 und 8 Abs. 1 ANAG in Verbindung mit Art. 14 Abs. 4 der Vollziehungsverordnung zum ANAG vom 1. März 1949, ANAV; SR 142.201). Ein Anhaltspunkt für eine Sonderstellung der Flüchtlinge im Vergleich zu anderen Ausländern, denen gegenüber sie nach den vorgenannten Bestimmungen des Asylgesetzes bzw. des Flüchtlingsabkommens hinsichtlich der Wahl ihres Aufenthaltsortes ansonsten gleichgestellt sind, findet sich bloss in Art. 26 AsylG , welcher festhält, dass der Flüchtling mit der Asylgewährung Anspruch auf Regelung seiner Anwesenheit im Kanton hat, wo er sich ordnungsgemäss aufhält. Es ist im folgenden zu prüfen, ob der Flüchtling, welcher bereits eine Aufenthaltsbewilligung in einem Kanton hat, gestützt auf Art. 26 AsylG Anspruch auf Erteilung der Aufenthaltsbewilligung in einem neuen Kanton erheben kann. Dabei ist zu fragen, wann ein Flüchtling sich "ordnungsgemäss" in einem Kanton aufhält. 2. a) Nach der Botschaft des Bundesrates vom 31. August 1977 zum Asylgesetz (BBl 1977 III 105) sollte dem Flüchtling mit Art. 26 (Art. 25 des Entwurfs) ein gesetzlicher Anspruch auf Regelung seines Anwesenheitsverhältnisses verschafft werden; es steht ihm ein Anspruch auf Erteilung der Bewilligung durch die Ausländerbehörde am Ort seines stetigen Aufenthaltes zu (S. 128). Damit wird dem in Art. 4 AsylG aufgestellten Grundsatz Rechnung getragen, dass der anerkannte Flüchtling ein Anwesenheitsrecht in der Schweiz hat (ebenda). b) Art. 20 der Asylverordnung vom 25. November 1987 (SR 142.311) erklärt unter der Marginalie "Regelung der Anwesenheit BGE 116 Ib 1 S. 5 (Art. 26)" denjenigen Kanton für zuständig, dem der Flüchtling als Gesuchsteller nach seiner Einreise zugewiesen wurde; hat der Flüchtling während des Asylverfahrens in einem andern Kanton mit dessen Zustimmung eine Wohnung bezogen und eine Arbeit aufgenommen, so ist dieser zuständig. Art. 8 der früheren Asylverordnung vom 12. November 1980 (AS 1980, 1730) lautete: "Hat das Bundesamt dem Flüchtling während dem Asylverfahren einen Aufenthaltsort (z.B. in einem Flüchtlingsheim) zugewiesen, muss der Kanton die Anwesenheit regeln, in dem das Asylbegehren gestellt worden ist. Wird einem Flüchtling jedoch in einem andern Kanton mit dessen Zustimmung eine Wohnung und Arbeit vermittelt, ist dieser zuständig." Abgesehen vom zweiten Satz in Art. 8 der alten Asylverordnung, welcher allenfalls auch für einen späteren Kantonswechsel anwendbar gewesen wäre, regeln bzw. regelten diese den Art. 26 AsylG konkretisierenden Verordnungsbestimmungen vorab nur die Zuständigkeit für die erstmalige Bewilligungserteilung nach Gewährung des Asyls. Nach seinem Zweck, dem in der Schweiz anwesenheitsberechtigten Flüchtling jederzeit eine fremdenpolizeiliche Bewilligung zu gewährleisten, welcher sich aus seiner Stellung im Gesetz im 3. Kapitel über die Rechtsstellung der (anerkannten) Flüchtlinge und aus dem Zusammenhang mit Art. 4 AsylG ergibt, kann sich Art. 26 AsylG aber nicht nur auf die erstmalige Bewilligungserteilung nach Anerkennung der Flüchtlingseigenschaft beziehen. Solange der Flüchtling sich in der Schweiz aufhält, muss zumindest ein Kanton ihm eine fremdenpolizeiliche Bewilligung erteilen bzw. nach Ablauf der Bewilligung diese erneuern. c) Art. 20 AsylV bzw. Art. 8 der aufgehobenen Verordnung geben, obwohl sie vorab nur die erstmalige Bewilligungserteilung regeln, einen Hinweis darauf, wie "ordnungsgemäss" im Sinne von Art. 26 AsylG zu verstehen ist. Auszugehen ist vom Aufenthaltsort, der dem Asylbewerber zugewiesen wurde oder an welchem er mit Zustimmung der Behörden eines anderen Kantons Wohnung und Arbeit annahm, also der Ort einer behördlich (allenfalls vorläufig) bewilligten Anwesenheit. Dies ist die sich aufdrängende und vernünftige Auslegung von Art. 26 AsylG . Im Zusammenhang mit der Anwesenheitsregelung kann "ordnungsgemäss" sich nur auf den Ort beziehen, für den eine behördliche Bewilligung für die Anwesenheit vorliegt. Im Zeitpunkt der Asylgewährung ist dies der Ort, der dem Flüchtling während des Asylverfahrens von den Asylbehörden, allenfalls provisorisch von einem Kanton zugewiesen worden ist, nachher der Ort, wo die BGE 116 Ib 1 S. 6 kantonale Fremdenpolizei die Anwesenheit des Flüchtlings durch Bewilligung geregelt hat. d) Will der Flüchtling, welcher bereits die Aufenthaltsbewilligung eines Kantons hat, in einen neuen Kanton ziehen, so hat er wie jeder Ausländer (vgl. Art. 24 AsylG ) ein Gesuch um eine Aufenthaltsbewilligung im neuen Kanton zu stellen, bevor er in diesen zieht, jedenfalls aber innert acht Tagen nach der Einreise in den Kanton ( Art. 8 Abs. 3 ANAG ). Im Moment der Gesuchseinreichung wird denn auch nicht angenommen werden können, dass er sich im neuen Kanton stetig, "ordnungsgemäss" im Sinne von Art. 26 AsylG aufhält und dort sofort einen Anspruch auf Erteilung einer Aufenthaltsbewilligung hat. Er soll durch die Einreichung eines Gesuchs im Sinne von Art. 8 Abs. 3 ANAG in einem neuen Kanton die Frage des Kantonswechsels nicht insofern präjudizieren können, als der alte Aufenthaltskanton nach Ablauf der früheren Bewilligung alleine wegen dieser Vorkehr nicht mehr als zur Regelung der Anwesenheit zuständiger Kanton gilt. Gegen einen derartigen Anspruch auf erleichterten Kantonswechsel sprechen auch weitere Überlegungen: Während dem Flüchtling gemäss Art. 27 AsylG der Stellen- und Berufswechsel zu bewilligen ist, so fehlt eine entsprechende ausdrückliche freizügige Regelung hinsichtlich der Wahl des Aufenthaltsortes für den Flüchtling mit Aufenthaltsbewilligung. Art. 26 AsylG diesbezüglich dennoch grosszügig auszulegen, steht sodann der Umstand entgegen, dass der Flüchtling frühestens nach fünf Jahren ordnungsgemässen Aufenthaltes in der Schweiz die Niederlassungsbewilligung erhält und selbst der Ausländer mit Niederlassungsbewilligung vorbehältlich eines Niederlassungsvertrags keinen Anspruch auf Kantonswechsel hat (vorne E. 1c). 3. a) Die Aufenthaltsbewilligung des Beschwerdeführers im Kanton Basel-Landschaft ist am 7. September 1987 abgelaufen, also erst, nachdem er im Kanton Bern um Aufenthaltsbewilligung ersucht hatte. Er leitete dieses Verfahren um Erteilung einer Aufenthaltsbewilligung im Kanton Bern just zum Zeitpunkt ein, als er aus der Strafanstalt entlassen wurde und in seinen früheren Aufenthaltskanton, den er einzig zum Zwecke des Antritts des Strafvollzuges verlassen hatte, hätte zurückkehren können. Unter diesen Umständen ist der Kanton Basel-Landschaft nach wie vor der Kanton, in welchem der Beschwerdeführer sich "ordnungsgemäss" aufhält und weiterhin Anspruch auf Erteilung einer Aufenthaltsbewilligung hat. BGE 116 Ib 1 S. 7 b) Der Beschwerdeführer macht geltend, dass in seinem besonderen Fall zusätzlich auch der Kanton Bern für die Anwesenheitsregelung zuständiger Kanton sei; insofern will er aus Art. 26 AsylG einen Anspruch auf Aufenthaltsbewilligung in diesem Kanton ableiten. Weder der Aufenthalt in der Strafanstalt Witzwil noch derjenige im Übergangsheim Eschholz-Witzwil während der Phase der Halbfreiheit kann als im Sinne von Art. 26 AsylG "ordnungsgemäss" gelten. Gemäss Art. 14 Abs. 8 ANAV begründet der Aufenthalt in einer Strafanstalt keinen fremdenpolizeilich relevanten Anknüpfungspunkt zum Aufenthaltskanton. Die frühere Aufenthaltsbewilligung (in einem anderen Kanton) gilt nach dieser Bestimmung bis zur faktischen Entlassung aus der Straf- oder Massnahmenanstalt ( BGE 109 Ib 178 /9) als fortbestehend. Es stellt sich einzig die Frage, wie es sich mit dem tatsächlichen Aufenthalt des Beschwerdeführers im Kanton Bern ab dem 9. Juni 1987 verhält. Die Justiz-, Polizei- und Militärdirektion Basel-Landschaft verfügte am 6. Mai 1987 die bedingte Entlassung des Beschwerdeführers auf den 9. Juni 1987 unter der Bedingung, dass ihm auf diesen Zeitpunkt hin eine Unterkunft sowie ein Arbeitsplatz zur Verfügung stünden. Für die zweijährige Probezeit mit Schutzaufsicht wurden dem Beschwerdeführer, unter Androhung der Rückversetzung in eine Strafanstalt bei deren Nichtbefolgung, verschiedene Weisungen auferlegt: Er habe den Anordnungen der Schutzaufsichtsorgane strikte Folge zu leisten, regelmässig zu arbeiten, Arbeitsplatz und Unterkunft dürften nur nach Absprache mit dem Schutzpatron gewechselt werden, der Drogenkonsum sei zu meiden. Die Behörde ging davon aus, dass der Beschwerdeführer nach der Entlassung die während der Dauer der Vollzugsstufe der Halbfreiheit eingenommene Stelle bei der G. SA in E. beibehalten und sich in E. aufhalten würde und der Personalchef der G. SA als Schutzpatron vorgesehen sei. Wohl hielt sich der Beschwerdeführer, indem er nach der Strafentlassung in E. wohnte und arbeitete, aufgrund einer behördlichen Anweisung im Kanton Bern auf. Die Fremdenpolizei dieses Kantons ist jedoch im Hinblick auf diese Anordnung vom Vollzugskanton Basel-Landschaft nie angegangen worden und hat weder durch Erteilung einer Aufenthaltsbewilligung noch wenigstens stillschweigend einem vorläufigen Verbleib des Beschwerdeführers im Kanton zugestimmt; dass den Rechtsmitteln des BGE 116 Ib 1 S. 8 Beschwerdeführers aufschiebende Wirkung zukam bzw. erteilt wurde, kann in dieser Hinsicht nicht von Bedeutung sein. Die Zuständigkeitsordnung, wie sie Art. 26 AsylG festlegt, kann nicht durch einseitiges Handeln einer Behörde des für die Regelung des Anwesenheitsverhältnisses grundsätzlich verantwortlichen Kantons aus den Angeln gehoben werden. Der Kanton Bern konnte nicht verpflichtet werden, gestützt auf die Anordnung der für die bedingte Entlassung zuständigen Strafvollzugsbehörde des Kantons Basel-Landschaft dem Beschwerdeführer eine Aufenthaltsbewilligung zu erteilen. Nachdem die Anwesenheit des Beschwerdeführers, welcher bereits Anspruch auf eine Aufenthaltsbewilligung in einem andern Kanton hat, nie durch eine bernische Behörde geregelt worden war, fehlt es ihm an einem ordnungsgemässen Aufenthalt im Kanton Bern, und er kann aus Art. 26 AsylG keinen Anspruch auf Erteilung einer fremdenpolizeilichen Bewilligung in diesem Kanton ableiten.
public_law
nan
de
1,990
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CH_BGE_003
CH
Federation
71dabbd5-0ca3-49fc-be62-b9ef538df31d
Urteilskopf 100 V 202 50. Arrêt du 30 décembre 1974 dans la cause K. contre Caisse cantonale genevoise de compensation et Commission cantonale genevoise de recours en matière d'AVS
Regeste Art. 105 Abs. 2 und 132 OG . Überprüfungsbefugnis des Eidgenössischen Versicherungsgerichts in einem Streit um Versicherungsbeiträge (Erw. 1). Art. 25, 28 und 29 AHVV . - Festsetzung der Beiträge nichterwerbstätiger Ausländer (Erw. 2 und 3). - Anwendung des Art. 25 AHVV beim Übergang von der Pauschalzur ordentlichen Steuereinschätzung (Erw. 4)?
Sachverhalt ab Seite 202 BGE 100 V 202 S. 202 A.- Par décision du 26 juin 1973, la Caisse cantonale genevoise de compensation a fixé à 9000 fr. (plus frais d'administration) les cotisations AVS/AI/APG dues pour l'année 1973 par le ressortissant israélien Edward K., en tant qu'assuré n'exerçant pas d'activité lucrative. Elle s'est fondée pour ce faire sur la taxation fiscale 1971/72 qui, calculant l'impôt forfaitaire sur la base de la dépense du contribuable (art. 18bis AIN et art. 4A de la loi générale sur les contributions publiques), avait retenu un revenu de 136770 fr., lequel, BGE 100 V 202 S. 203 multiplié par 30 (art. 28 RAVS), donnait une fortune déterminante de 4 103 100 fr. B.- L'assuré a recouru. Il faisait valoir qu'il avait renoncé à l'imposition forfaitaire par lettre du 29 décembre 1972 et concluait au calcul des cotisations sur la base d'une fortune de 2 720 675 fr. indiquée dans sa déclaration d'impôts pour 1971. Par jugement du 17 mai 1974, la Commission cantonale genevoise de recours en matière d'AVS a rejeté le recours, en réservant toutefois une rectification éventuelle sur la base d'une communication ultérieure du fisc... C.- Edward K. interjette recours de droit administratif. Il invoque à nouveau sa déclaration fiscale et reprend sa conclusion de première instance. Tandis que la caisse de compensation intimée conclut au rejet du recours en l'état, l'Office fédéral des assurances sociales met en question le statut de l'assuré et propose de renvoyer la cause au premier juge pour qu'il statue sur la base des données du dossier fiscal. Le juge délégué a requis production des dossiers fiscaux. Erwägungen Considérant en droit: 1. La caisse et le juge cantonal ont qualifié l'assuré de personne n'exerçant pas d'activité lucrative. Le recourant n'a pas contesté cette qualification, que l'Office fédéral des assurances sociales en revanche met en question. Selon l'art. 104 lit. b OJ, le recours peut être formé pour constatation inexacte ou incomplète des faits pertinents, sous réserve de l'art. 105 al. 2. Or ce dernier article - ici applicable en vertu de l'art. 132 OJ - dispose que "lorsque le recours est dirigé contre la décision d'un tribunal cantonal ou d'une commission de recours, le Tribunal fédéral est lié par les faits constatés dans la décision, sauf s'ils sont manifestement inexacts ou incomplets ou s'ils ont été établis au mépris de règles essentielles de procédure". En l'occurrence, les faits retenus par la commission de recours ne sont pas manifestement inexacts ou incomplets. Certes, la remarque de l'office fédéral suscite quelques doutes quant à l'exactitude de ces faits; mais ces doutes ne sont guère étayés par les dossiers fiscaux (le fait que la déclaration pour 1973 porte un montant de 267 058 fr. sous une rubrique désignée BGE 100 V 202 S. 204 par "Bureau à Munich [supprimé en 1974]" ne suffit pas à établir la présence d'une activité lucrative) et ne sauraient rendre manifestement inexacts ou incomplets les faits constatés par le premier juge. La commission de recours n'a par ailleurs pas établi les faits au mépris de règles essentielles de procédure. Edward K. s'étant dit sans activité lucrative et la caisse de compensation intimée ayant admis cette situation, il n'incombait pas au juge de mettre en doute la réalité de cet élément, que nul ne contestait, et d'effectuer une enquête d'office à ce sujet. Aussi le Tribunal fédéral des assurances doit-il statuer sur la base des faits retenus par le premier juge (voir p.ex. arrêt Ortiz du 10 janvier 1973, non publié sur ce point). 2. Les assurés n'exerçant pas d'activité lucrative paient des cotisations sur la base de leur fortune et du revenu qu'ils tirent de rentes, selon un tableau figurant à l'art. 28 al. 1 RAVS. Si un tel assuré dispose à la fois d'une fortune et d'un revenu sous forme de rente, le montant de la rente annuelle multiplié par 30 est ajouté à la fortune (art. 28 al. 2 RAVS). Tandis que la fortune est déterminée par les autorités fiscales, dont l'estimation lie en principe les caisses de compensation (art. 23 al. 4 RAVS), la détermination du revenu acquis sous forme de rente incombe aux caisses de compensation (art. 29 RAVS). Ce système ne soulève guère de problèmes particuliers, si les données fiscales relatives à la fortune reposent sur une taxation ordinaire, même exécutée d'office en l'absence de déclaration du contribuable. Mais la taxation extraordinaire des étrangers sans activité lucrative se différencie fondamentalement de la taxation ordinaire: elle n'indique - ne serait-ce que sous forme d'estimation - ni la fortune ni le revenu réels du contribuable, et encore moins la source de ce revenu, mais un revenu fictif en fonction de la seule dépense. Ces indications ne sont guère utilisables au regard de l'art. 28 RAVS, en vertu duquel sont déterminants la fortune - arrêtée autant que possible à son montant réel - d'une part, et uniquement les revenus provenant de rentes, à l'exclusion des revenus de la fortune, d'autre part. La taxation fiscale n'est donc en soi pas déterminante, et il appartient à la caisse d'estimer la fortune sur la base de toutes les indications dont elle peut disposer. La jurisprudence a cependant réservé le cas BGE 100 V 202 S. 205 où il se révèle impossible d'évaluer la fortune de l'intéressé: la caisse peut alors assimiler à une rente à capitaliser, au sens de l'art. 28 al. 2 RAVS, le revenu pris pour base de l'impôt forfaitaire (voir par exemple RCC 1968 p. 272, 1965 p. 93 et 1973 p. 398). 3. En l'espèce, la caisse a assimilé à une rente le revenu pris pour base de l'impôt forfaitaire, selon la méthode rappelée ci-dessus. Le recourant demande au contraire que soit retenue sa fortune réelle, qu'il chiffre à 2 720 675 fr. Sans vouloir mettre en doute l'intégrité ni la bonne foi de l'assuré, il faut constater tout d'abord qu'il n'a pas indiqué - et n'avait d'ailleurs pas à indiquer, puisqu'il invoquait expressément l'impôt forfaitaire - sa fortune dans la déclaration fiscale pour 1971; dans la formule même de déclaration ne figure que la valeur des immeubles en Suisse, soumise à l'impôt sur la fortune en raison du lieu de situation de ces immeubles, et la formule annexe relative à l'état des titres et autres placements de capitaux était indispensable à l'imputation de l'impôt anticipé et de la retenue supplémentaire d'impôt USA. Il faut constater ensuite que l'autorité fiscale n'a vérifié - et n'avait à vérifier - les indications relatives à la fortune que dans la mesure où cette vérification était nécessaire à l'examen des conditions mises à l'impôt forfaitaire (art. 18bis al. 2 AIN et art. 4A al. 3 de la loi générale sur les contributions publiques); le défaut de contestation ne vaut donc pas constat d'exactitude. Il faut remarquer enfin que le chiffre invoqué par le recourant ne correspond pas exactement aux indications portées dans les pièces fiscales; il paraît en particulier ne pas englober la fortune immobilière, du moins à première vue. La conclusion du recourant ne peut donc être admise en l'état, et l'évaluation de sa fortune exigerait un plus ample examen. Or pareil examen est-il possible de la part de la caisse de compensation? Dans les cas où le Tribunal fédéral des assurances a déclaré possible une évaluation de la fortune, la situation était relativement simple et aisée à embrasser dans son ensemble: ici le montant d'une pension alimentaire (RCC 1968 p. 272), là une fortune immobilière et la valeur d'un logement gratuit (RCC 1965 p. 93). Il en va fort différemment en l'occurrence, où le dossier fiscal révèle des transactions financières très nombreuses, qui modifient constamment les BGE 100 V 202 S. 206 éléments de la fortune et leur répartition. Pour vérifier - par une vérification qui mérite ce titre - les déclarations de l'intéressé quant à l'état de sa fortune à une date donnée, il est donc indispensable d'examiner toutes les transactions effectuées à tout le moins au cours de l'année précédente (voire d'une période plus longue), de contrôler l'emploi des créances réalisées et l'origine des capitaux nouvellement engagés, de comparer ces éléments aux revenus déclarés et de vérifier ces revenus eux-mêmes. Pour le fisc qui, procédant à une taxation ordinaire, doit établir non seulement la fortune mais plus encore le revenu, il est nécessaire et usuel d'effectuer des examens d'une pareille ampleur. Pour une caisse de compensation, en revanche, de telles investigations sont disproportionnées par rapport au seul résultat déterminant en matière d'AVS, qui est l'évaluation de la fortune; et cela abstraction faite de ce que la caisse de compensation ne dispose pas des moyens matériels nécessaires pour des recherches aussi amples et complexes. Il apparaît donc impossible d'évaluer la fortune réelle de l'intéressé, en ce sens que les mesures de vérification sont disproportionnées avec le résultat désiré et ne peuvent être exigées de la part d'une caisse de compensation. Or, nonobstant la présomption de bonne foi qui doit être attachée à toute déclaration d'un assuré, la vérification ou tout au moins sa possibilité doit être donnée. C'est pourquoi force est de constater qu'on se trouve ici en présence de l'un de ces cas, réservés par la jurisprudence, où la caisse est en droit d'assimiler à une rente, dont le montant est capitalisé selon l'art. 28 al. 2 RAVS, le revenu pris pour base de l'impôt forfaitaire. 4. Le premier juge a toutefois réservé une rectification éventuelle sur la base d'une communication ultérieure du fisc, et la caisse de compensation se déclare prête à traiter le passage de l'impôt forfaitaire à la taxation ordinaire comme un changement de situation. L'Office fédéral des assurances sociales objecte à ces thèses qu'un changement de mode de taxation ne constitue pas un cas d'application des règles de l'art. 25 RAVS et que l'autorité fiscale, passant à la taxation ordinaire à partir de 1973, n'aura jamais vérifié la situation de fortune au jour déterminant du 1er janvier 1971. Les objections de l'Office fédéral des assurances sociales sont en soi fondées. Il est clair en effet que, passant dès 1973 BGE 100 V 202 S. 207 du système de l'impôt forfaitaire au mode de taxation ordinaire, le fisc établira la fortune au 1er janvier 1973 et ne se préoccupera de l'état antérieur que dans la mesure où l'examen en sera nécessaire à la vérification de l'état de fortune au 1er janvier 1973 et du revenu durant les années de calcul. On n'aura donc jamais une situation, formellement vérifiée par l'autorité fiscale, de la fortune au 1er janvier 1971, qui est la date déterminante pour la cotisation 1973 selon le rythme normal des périodes de calcul, de taxation et de cotisations. Il est tout aussi évident, par ailleurs, que l'on ne se trouve pas en présence d'une modification des bases mêmes de la fortune, apparentée et par conséquent assimilable à la modification des bases du revenu que connaît l'art. 25 RAVS; le changement porte sur le système d'imposition. C'est pourtant à cette dernière solution, envisagée par la caisse de compensation, qu'il y a lieu de s'arrêter. En effet, l'assimilation à une rente à capitaliser, au sens de l'art. 28 al. 2 RAVS, du revenu pris pour base de l'impôt forfaitaire n'est qu'un pis-aller. Il serait donc non seulement choquant pour l'assuré mais plus encore contraire à la logique de continuer à appliquer cette solution d'exception pour des périodes pour lesquelles la fortune réelle est connue et a été vérifiée par le fisc selon le mode ordinaire de taxation. Le passage de l'impôt forfaitaire à la taxation fiscale ordinaire représente un changement si incisif du mode d'évaluation de la fortune qu'il est alors permis d'appliquer une règle parallèle à celle de l'art. 25 RAVS, c'est-à-dire de prendre la fortune réelle nouvellement établie pour base de calcul des cotisations dès le jour où ce changement de traitement fiscal est intervenu. Le recours doit donc être rejeté, le jugement de première instance étant confirmé avec les précisions ci-dessus. Dispositiv Par ces motifs, le Tribunal fédéral des assurances prononce: Le recours est rejeté dans le sens des considérants.
null
nan
fr
1,974
CH_BGE
CH_BGE_007
CH
Federation
71e33fa1-aed2-47ab-b8e1-d0dddbfabfd3
Urteilskopf 120 II 412 75. Extrait de l'arrêt de la IIe Cour civile du 8 décembre 1994 dans la cause Congrégation des soeurs de charité de la Sainte-Croix d'Ingenbohl contre Fondation des Buissonnets (procès direct)
Regeste Art. 41 Abs. 1 lit. c OG . Klage auf Auflösung einer Stiftung; Begriff der vermögensrechtlichen Zivilrechtsstreitigkeit. Die Abgrenzung zwischen zivilrechtlichen und öffentlichrechtlichen Streitigkeiten ist nach den Kriterien vorzunehmen, die den konkreten Umständen am besten entsprechen (E. 1). Die Auflösung einer Stiftung nach dem Willen des Stifters fällt in die Zuständigkeit der Verwaltungsbehörde, nicht in diejenige des Richters; es handelt sich daher nicht um eine zivilrechtliche Streitigkeit. Obwohl die Klägerin im konkreten Fall beantragt, dass ihr das Stiftungsvermögen anfalle, liegt auch keine vermögensrechtliche Zivilrechtsstreitigkeit vor. Die Parteien können daher nicht aufgrund einer Gerichtsstandsvereinbarung mit ihrer Streitsache direkt an das Bundesgericht gelangen (E. 2).
Sachverhalt ab Seite 413 BGE 120 II 412 S. 413 A.- La Fondation des Buissonnets (ci-après: la Fondation), à Sierre, a été constituée le 12 octobre 1949. Elle a pour but l'exploitation d'un immeuble destiné à l'Ecole commerciale des jeunes filles du district de Sierre, dirigée par la Congrégation des Soeurs de la Sainte-Croix d'Ingenbohl (ci-après: la Congrégation). Les statuts prévoient deux cas de dissolution de la Fondation (art. 24): "a) si l'Ecole cesse d'exister; b) si la Direction de l'Ecole n'est plus confiée à la Congrégation des Soeurs de la Sainte-Croix d'Ingenbohl ou si, pour des raisons majeures, celle-ci ne peut plus l'assumer." L'art. 25 des statuts précise en outre qu'"en cas de dissolution, les avoirs de la Fondation reviennent à la Congrégation des Soeurs de la Sainte-Croix d'Ingenbohl qui en disposerait à son gré". B.- Par lettre du 25 août 1993, la Congrégation a demandé à la Fondation de constater sa propre dissolution, l'école dont elle avait la charge ayant cessé d'exister; elle l'invitait en outre "à requérir Monsieur le Sous-Préfet du district de Sierre, Maître Paul-Albert Clivaz, autorité de surveillance", de rendre une décision officielle en ce sens. Lors de sa séance du 27 septembre 1993, l'assemblée générale de la Fondation s'est estimée incompétente pour se prononcer sur une éventuelle application de l'art. 24 précité. C.- Le 19 septembre 1994, la Congrégation a assigné la Fondation directement devant le Tribunal fédéral. Invoquant la réalisation de l'une ou l'autre des causes prévues par les statuts, elle conclut à la dissolution de la défenderesse et à la dévolution de ses biens en sa faveur. Erwägungen Extrait des considérants: 1. Par convention de prorogation des 29 mars et 12 avril 1994, les parties sont convenues de porter le présent litige devant le Tribunal fédéral statuant en instance unique. Ce dernier examine d'office la recevabilité de l'action ( art. 1er al. 1 et art. 3 al. 1 PCF [RS 273]). BGE 120 II 412 S. 414 a) Selon l' art. 41 al. 1 let . c OJ, le Tribunal fédéral connaît en instance unique des contestations de droit civil lorsque les deux parties saisissent le tribunal à la place des juridictions cantonales et que la valeur litigieuse est d'au moins 20'000 fr. Cette disposition confère au Tribunal fédéral une compétence légale et non pas arbitrale, qui suppose la réalisation des conditions posées par la loi. Ce n'est que si ces conditions sont remplies que les parties peuvent convenir de saisir directement la juridiction fédérale, qui est alors tenue de statuer. L'une de ces conditions concerne la nature de la cause. C'est ainsi qu'une prorogation de for n'est possible que pour les contestations pécuniaires de droit civil au sens étroit. S'il s'agit d'un litige de droit public, la prorogation n'est pas valable et l'action doit être déclarée irrecevable (J.-F. POUDRET/S. SANDOZ-MONOD, Commentaire de la loi fédérale d'organisation judiciaire, n. 1.5, 4.1 et 4.2 ad art. 41 OJ ; ATF 103 II 316 ss). b) Par contestation civile, la jurisprudence entend une procédure qui vise à provoquer une décision définitive sur des rapports de droit civil et qui se déroule en instance contradictoire, devant un juge ou une autre autorité ayant pouvoir de statuer, entre deux ou plusieurs personnes physiques ou morales agissant comme titulaires de droits privés, ou entre une telle personne et une autorité à laquelle le droit civil confère la qualité de partie ( ATF 118 II 528 consid. 2a p. 530 et les références). Savoir si l'on se trouve en présence d'une contestation relevant du droit civil ou du droit public se détermine d'après l'objet du litige ( ATF 103 II 314 consid. 2c p. 317). Pour délimiter ces deux domaines du droit, le Tribunal fédéral s'appuie sur diverses théories dont aucune ne l'emporte a priori sur les autres. Il examine au contraire, dans chaque cas, quel critère de distinction est le plus approprié aux circonstances concrètes. Ainsi, il tient compte du fait que la délimitation entre droit privé et droit public répond à des fonctions totalement différentes suivant les nécessités de la réglementation et, en particulier, selon les conséquences juridiques en cause dans chaque affaire; ces éléments ne peuvent pas être théoriquement réunis en un seul critère distinctif ( ATF 109 Ib 146 consid. 1b p. 149, ATF 101 II 366 consid. 2b p. 369). 2. La demanderesse soutient que ses prétentions relèvent du droit civil fédéral, dans la mesure où elles sont fondées sur les art. 50 à 52 et 80 à 89 CC ainsi que sur les art. 24 et 25 des statuts de la Fondation; il appartient dès lors au juge civil de résoudre le litige. a) Il est en général admis que le fondateur a la possibilité de prévoir dans l'acte de constitution une ou plusieurs conditions résolutoires BGE 120 II 412 S. 415 (RIEMER, n. 60 ad art. 88/89 CC; EGGER, n. 1 ad art. 88/89 CC; THOMAS MANHART, Die Aufhebung mit Liquidation von Stiftungen, insbesondere von Personalvorsorgestiftungen, thèse Zurich 1986, p. 84; RUDOLF SCHWEIZER, Die Beaufsichtigung der Stiftungen nach schweizerischem Recht, thèse Zurich 1927, p. 20). De telles clauses se confondent souvent avec la cause de dissolution prévue à l' art. 88 al. 1 CC , selon lequel la fondation est dissoute de plein droit lorsque son but a cessé d'être réalisable. Mais il est possible d'en prévoir d'autres, du moment qu'elles ont un lien avec le but de la fondation et la volonté du fondateur (SCHWEIZER, op.cit., p. 20; MARC-ANTOINE SCHAUB, in JT 1952 I p. 32). De plus, elles doivent être exprimées de manière précise et concrète car ni le fondateur, ni des tiers, ni les organes de la fondation ne peuvent décider librement de la durée d'existence de cette dernière (RIEMER, n. 60 ad art. 88/89 CC et les nombreuses références; MANHART, op.cit., p. 84). Une condition résolutoire peut notamment consister dans la survenance d'un événement. b) La dissolution d'une fondation selon la volonté du fondateur doit être constatée formellement et officiellement, de manière analogue à la procédure prévue à l' art. 88 al. 1 CC , auquel on peut se référer. D'éventuelles décisions des organes de la fondation n'ont, dans ce cas, qu'un caractère déclaratoire et doivent être confirmées par l'autorité de surveillance (RIEMER, n. 66 ad art. 88/89 CC; MANHART, op.cit., p. 87). Or, selon la doctrine unanime, la dissolution de plein droit d'une fondation dont le but a cessé d'être réalisable ( art. 88 al. 1 CC ) relève de la compétence de l'autorité administrative et non pas de celle du juge (MANHART, op.cit., p. 47; RIEMER, n. 17 ad art. 88/89 CC; PEDRAZZINI/OBERHOLZER, Grundriss des Personenrechts, 4e éd., p. 271). Le Tribunal fédéral a par ailleurs jugé que les dispositions du Code civil sur la surveillance des fondations, qui confèrent à l'autorité compétente le pouvoir d'intervenir d'office ou sur requête dans les affaires de ces dernières, sont des règles de droit public ( ATF 110 II 436 consid. 1 p. 439, ATF 96 I 406 consid. 2 pp. 408/409), sous réserve des contestations qui ont pour objet principal un droit subjectif ( ATF 112 II 97 consid. 3 p. 98); toutefois, si de tels droits sont touchés par une décision prise en application de l' art. 88 al. 1 CC , le litige conserve un caractère de droit public car il a trait principalement à l'existence de la fondation et concerne ses relations avec les autorités administratives, relations qui ressortissent au droit public (RIEMER, n. 154 ad art. 84 CC ). La jurisprudence a en outre admis que, dans l'hypothèse où un tiers BGE 120 II 412 S. 416 bénéficiaire demande la liquidation de la personne morale et la dévolution du produit qui en résulte, son action relève des droits de la personnalité et n'a pas de but économique, l'attribution de biens n'étant que la conséquence de la suppression de la personne morale. Dès lors, une telle contestation n'est pas de nature pécuniaire ( ATF 112 II 1 consid. 2 p. 3 et 191 consid. 2b p. 192). c) En l'espèce, l'action tend à faire prononcer la dissolution de la Fondation et la dévolution de ses biens à la demanderesse. Elle concerne ainsi principalement l'existence juridique et, le cas échéant, les conséquences financières de la fin de cette personne morale. Par conséquent, l'objet du litige relève du droit public. De plus, comme il a été exposé ci-dessus, la demanderesse ne peut se prévaloir d'aucun droit subjectif à la dissolution de la défenderesse, qui dépend uniquement de la volonté du fondateur. Enfin, quelle que soit l'importance des intérêts économiques en jeu, la contestation n'est pas de nature pécuniaire, car la question prépondérante à résoudre est celle de la dissolution de la Fondation qui doit être préalablement constatée dans l'intérêt public. Il s'ensuit que la demanderesse n'est pas recevable à intenter un procès direct au Tribunal fédéral, sa cause ne constituant pas une contestation civile au sens de l' art. 41 al. 1 let . c OJ.
public_law
nan
fr
1,994
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CH_BGE_004
CH
Federation
71e3d17e-e870-48c5-a247-cda1b525955f
Urteilskopf 122 IV 322 50. Auszug aus dem Urteil des Kassationshofes vom 21. November 1996 i.S. M. gegen Staatsanwaltschaft des Kantons Aargau (Nichtigkeitsbeschwerde)
Regeste Art. 181 StGB ; Art. 895 f. ZGB; Art. 82 und 400 Abs. 1 OR : Nötigung, Androhung ernstlicher Nachteile; Retentionsrecht. Wer die sofortige Herausgabe von Akten an den Auftraggeber von einer Akontozahlung für offene Honorarforderungen abhängig macht, obwohl Prozessfristen laufen und die Akten zur Weiterführung hängiger Gerichtsverfahren dringend benötigt werden, droht einen ernstlichen Nachteil an (E. 1). Die Möglichkeit, dem angedrohten Nachteil auf dem Rechtsweg zu begegnen, lässt dessen Ernsthaftigkeit nicht ohne weiteres entfallen (E. 1a; Bestätigung der Rechtsprechung). An nicht verwertbaren Akten kann kein dingliches Retentionsrecht ausgeübt werden (E. 3a). Ist die Pflicht zur Herausgabe der Akten nicht auf die Hauptpflichten der Parteien ausgerichtet, kann sich der Beauftragte bei der Aktenherausgabe nicht auf das Leistungsverweigerungsrecht im Sinne von Art. 82 OR berufen (E. 3b). Umfang der auftragsrechtlichen Aktenherausgabepflicht. Ein obligatorisches Retentionsrecht an nicht verwertbaren Akten ist, vorbehältlich anderslautender vertraglicher Vereinbarungen, grundsätzlich ausgeschlossen (E. 3c). Aus den Standesregeln für Anwälte kann kein Retentionsrecht an nicht verwertbaren Akten abgeleitet werden (E. 3d).
Sachverhalt ab Seite 323 BGE 122 IV 322 S. 323 A.- M., der über kein Anwaltspatent verfügte, beriet N. in drei Zivilverfahren. N. entzog ihm das Mandat am 25. April 1994 und verlangte die sofortige Rückgabe der Akten sowie Auskunft über den Stand der Verfahren. Dazu war M. nur gegen Leistung einer Akontozahlung von Fr. 3'000.-- für seine behauptete offene Honorarforderung von Fr. 4'500.-- bereit. Mit Brief vom 28. April 1994 erklärte sich N. unter dem Druck der laufenden Fristen mit diesem Vorgehen einverstanden. Nach dem Eingang der Zahlung kündigte M. die Zustellung der Akten an. BGE 122 IV 322 S. 324 B.- Das Bezirksamt Lenzburg verurteilte M. mit Strafbefehl vom 12. Juli 1995 wegen Nötigung und mehrfacher Widerhandlung gegen das Anwaltsgesetz zu zehn Tagen Gefängnis bedingt und zu einer Busse von Fr. 6'000.--. Die von M. dagegen erhobene Einsprache hiess das Bezirksgericht Lenzburg am 26. Oktober 1995 teilweise gut und verurteilte ihn wegen Nötigung zu einer Busse von Fr. 4'000.--; vom Vorwurf der mehrfachen Widerhandlung gegen das Anwaltsgesetz sprach es ihn frei. C.- Das Obergericht des Kantons Aargau wies eine Berufung des Verurteilten am 21. Juni 1996 ab und bestätigte den erstinstanzlichen Entscheid. D.- M. erhebt Nichtigkeitsbeschwerde mit dem Antrag, das Urteil des Obergerichtes aufzuheben. Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab Erwägungen aus folgenden Erwägungen: 1. Der Beschwerdeführer bringt vor, er habe gestützt auf Art. 400 OR ein obligatorisches Zurückbehaltungsrecht an den Urkunden gehabt. Dieses Recht sei ein legales Mittel indirekten Zwanges und erstrecke sich auch auf Urkunden, die nicht verwertbar seien. Die Vorinstanz habe deshalb insoweit Bundesrecht verletzt, als sie die rechtswidrige Androhung eines ernstlichen Nachteils bejahte. a) Gemäss Art. 181 StGB macht sich u.a. strafbar, wer einen anderen durch Androhung ernstlicher Nachteile nötigt, etwas zu tun, zu unterlassen oder zu dulden. Bei der Androhung ernstlicher Nachteile stellt der Täter dem Opfer die Zufügung eines Übels in Aussicht, dessen Eintritt er als von seinem Willen abhängig erscheinen lässt ( BGE 120 IV 17 E. 2a mit Hinweisen). Es kommt dabei nicht darauf an, ob der Täter die Drohung wirklich wahrmachen will, sofern sie nur als ernstgemeint erscheinen soll ( BGE 105 IV 120 E. 2a). Nach der Rechtsprechung ist auch unerheblich, ob eine Handlung oder eine Unterlassung angedroht wird ( BGE 115 IV 207 E. 2a mit Hinweisen, vgl. auch BGE 107 IV 35 E. 3a). Demgegenüber nimmt die Literatur zu dieser Frage teilweise eine differenziertere Haltung ein (vgl. MARTINO IMPERATORI, Das Unrecht der Nötigung, Diss. Zürich 1987, S. 81 ff.; PETER NOLL, Schweizerisches Strafgesetzbuch, Besonderer Teil I, 1983, S. 71; JÖRG REHBERG, Strafrecht III, 6. Aufl. 1994, S. 329 f.; MARTIN SCHUBARTH, Kommentar zum Schweizerischen Strafrecht, Besonderer BGE 122 IV 322 S. 325 Teil, Bern 1984, N. 23 ff. zu Art. 181 StGB ; GÜNTER STRATENWERTH, Schweizerisches Strafrecht, BT I, 5. Aufl., Bern 1995, § 5 N. 8; STEFAN TRECHSEL, Schweizerisches Strafgesetzbuch, Kurzkommentar, N. 6 zu Art. 181). Diese Frage braucht hier nicht näher erörtert zu werden, weil der Beschwerdeführer, sofern man ihm kein Retentionsrecht zubilligt, zur Aktenrückgabe und damit zu einem Handeln verpflichtet war. Beruft er sich jedoch zu Recht auf ein Retentionsrecht, entfiele jedenfalls die Rechtswidrigkeit seines Verhaltens ( BGE 115 IV 207 E. 2a). Ernstlich sind die Nachteile, wenn ihre Androhung nach einem objektiven Massstab geeignet ist, auch eine besonnene Person in der Lage des Betroffenen gefügig zu machen und so seine freie Willensbildung und -betätigung zu beschränken ( BGE 120 IV 17 E. 2a/aa mit Hinweisen). Die Möglichkeit, dem angedrohten Nachteil auf dem Rechtsweg zu begegnen, lässt dessen Ernstlichkeit nicht ohne weiteres entfallen ( BGE 115 IV 207 E. 2a; einschränkender noch 107 IV E. 3a; vgl. dazu auch MARTIN SCHUBARTH, a.a.O., N. 33, 37 zu Art. 181 StGB ; GÜNTER STRATENWERTH, a.a.O., § 5 N. 9, je mit weiteren Hinweisen). b) Die Vorinstanz hielt verbindlich fest ( Art. 277bis BStP ), dass der Beschwerdeführer sich weigerte, die Akten herauszugeben und Auskunft über die getroffenen Vorkehren zu geben, um den Auftraggeber zur teilweisen Begleichung offener Honorarforderungen zu veranlassen. Damit drohte der Beschwerdeführer mit einer Unterlassung - der Nichtherausgabe von Akten - während laufender Prozessfristen und obwohl der Bedrohte die Unterlagen dringend benötigte, um die hängigen Gerichtsverfahren weiterzuführen. Dieser war somit vor die Wahl gestellt, entweder den geforderten Betrag umgehend zu bezahlen oder bis auf weiteres auf die Akten zu verzichten. Wohl stand ihm die Möglichkeit offen, die Akten gerichtlich herauszuverlangen, doch riskierte er dabei, mangels Kenntnis des genauen Standes der Verfahren Fristen zu versäumen. Im übrigen haben Gerichtsverfahren oft einen ungewissen Ausgang und sind für die beteiligten Parteien häufig mit einem erheblichen Aufwand verbunden. Aus diesen Gründen verletzte die Vorinstanz kein Bundesrecht, wenn sie hier das Tatbestandsmerkmal der Androhung eines erheblichen Nachteils gemäss Art. 181 StGB als erfüllt ansah. Die Handlungsalternative, vor die der Bedrohte durch den Beschwerdeführer gestellt wurde, war ohne weiteres geeignet, eine besonnene Person in seiner Lage unabhängig von seinen finanziellen Möglichkeiten gefügig zu machen. Deshalb kommt es hier auf BGE 122 IV 322 S. 326 die konkreten Vermögensverhältnisse des Opfers für die Prüfung der Ernstlichkeit der Drohung nicht an. 2. Zu prüfen ist, ob das Verhalten des Beschwerdeführers rechtswidrig war. a) Unrechtmässig ist eine Nötigung, wenn das Mittel oder der Zweck unerlaubt ist oder wenn das Mittel zum erstrebten Zweck nicht im richtigen Verhältnis steht oder wenn die Verknüpfung zwischen einem an sich zulässigen Mittel und einem erlaubten Zweck rechtsmissbräuchlich oder sittenwidrig ist ( BGE 120 IV 17 E. 2a/bb mit Hinweisen). Der Täter bedient sich eines unzulässigen Mittels insbesondere bei der Nichterfüllung eines Anspruchs, einem Delikt, beim Boykott oder bei der Androhung einer völlig unbegründeten Strafanzeige (vgl. BGE 101 IV 298 E. 4; BGE 107 IV 35 E. 2; BGE 115 IV 207 E. 2b/cc; BGE 120 IV 17 E. 2b). b) Die Vorinstanz erblickte die Rechtswidrigkeit der Nötigung im angewendeten Mittel. Sie verneinte ein obligatorisches Retentionsrecht des Beschwerdeführers mit der Begründung, der Beauftragte müsse dem Auftraggeber gemäss Art. 400 OR auf Verlangen alles herausgeben, was ihm aus dem Auftragsverhältnis zugekommen sei. Ein dingliches oder obligatorisches Retentionsrecht zur Sicherung der Honoraransprüche bestehe nur an vermögenswerten Gegenständen, nicht aber an Urkunden, insbesondere nicht an Akten. 3. Will der Beauftragte die Herausgabe des in Ausführung des Mandats Erlangten zurückbehalten, bis der Auftraggeber das geschuldete Honorar beglichen hat, stehen ihm hierzu grundsätzlich das dingliche Retentionsrecht ( Art. 895 ZGB ), das Leistungsverweigerungsrecht ( Art. 82 OR ) und das von der Rechtsprechung und Lehre herausgebildete obligatorische Retentionsrecht zur Verfügung. Nachfolgend ist zu prüfen, ob sich der Beschwerdeführer auf eines dieser Zurückbehaltungsrechte berufen konnte. a) Die Art. 895 ff. ZGB umschreiben das sogenannt dingliche Retentionsrecht. Nach Art. 895 Abs. 1 ZGB kann der Gläubiger bewegliche Sachen und Wertpapiere, die sich mit Willen des Schuldners in seinem Besitze befinden, bis zur Befriedigung für seine Forderung zurückbehalten, wenn die Forderung fällig ist und ihrer Natur nach mit dem Gegenstande der Retention in Zusammenhang steht. An Sachen, deren Natur eine Verwertung nicht zulässt, kann das Retentionsrecht jedoch nicht ausgeübt werden (Art. 896 Abs. 1). Ebenso ist die Retention ausgeschlossen, wenn ihr eine vom Gläubiger übernommene Verpflichtung, oder eine vom Schuldner vor oder bei der Übergabe der Sache erteilte Vorschrift oder die BGE 122 IV 322 S. 327 öffentliche Ordnung entgegensteht ( Art. 896 Abs. 2 ZGB ). Voraussetzung ist überdies, dass der herauszugebende Gegenstand fremd ist ( BGE 48 II 167 E. 2). Es wird vorliegend nicht geltend gemacht, die zurückbehaltenen Akten seien verwertbar im Sinne der genannten Bestimmung gewesen. Irgendwelche Anhaltspunkte, welche für die Verwertbarkeit sprächen, sind auch keine ersichtlich. Deshalb konnte sich der Beschwerdeführer nicht auf ein dingliches Retentionsrecht an den Akten nach Art. 895 Abs. 1 ZGB berufen. b) Das sogenannte Leistungsverweigerungsrecht bei zweiseitigen Verträgen ist in Art. 82 OR festgelegt. Diese Bestimmung lautet wie folgt: "Wer bei einem zweiseitigen Vertrage den andern zur Erfüllung anhalten will, muss entweder bereits erfüllt haben oder die Erfüllung anbieten, es sei denn, dass er nach dem Inhalte oder der Natur des Vertrages erst später zu erfüllen hat." Beim entgeltlichen Auftrag steht der Anspruch des Beauftragten auf Ersatz der Auslagen und Verwendungen und Befreiung von eingegangenen Verbindlichkeiten nicht ohne weiteres in einem Austauschverhältnis zu den Gegenständen, die er nach Art. 400 Abs. 1 dem Auftraggeber abzuliefern hat (vgl. BGE 94 II 267 ). Gleiches hat zu gelten für das Verhältnis zwischen dem geschuldeten Honorar und der auftragsrechtlichen Herausgabepflicht, sofern diese nur eine Nebenleistungspflicht ist. In solchen Fällen kann nicht von einem zweiseitigen Vertrag im Sinne von Art. 82 OR gesprochen werden. Da die Pflicht zur Herausgabe der Akten hier nicht auf die Hauptpflichten der Parteien ausgerichtet war, fällt die Bestimmung des Art. 82 OR ausser Betracht ( BGE 107 II 413 , vgl. sinngemäss bereits BGE 89 II 235 ). c) Zu prüfen bleibt, ob sich der Beschwerdeführer zu Recht auf ein obligatorisches Retentionsrecht beruft. aa) Art. 400 Abs. 1 OR verpflichtet den Beauftragten, auf Verlangen jederzeit über seine Geschäftsführung Rechenschaft abzulegen und alles, was ihm infolge derselben aus irgend einem Grunde zugekommen ist, zu erstatten. Art. 401 Abs. 3 OR verweist auf das Retentionsrecht des Beauftragten: Danach kann der Auftraggeber im Konkurse des Beauftragten, unter Vorbehalt der Retentionsrechte desselben, die beweglichen Sachen herausverlangen, die dieser in eigenem Namen, aber für Rechnung des Auftraggebers zu Eigentum erworben hat. BGE 122 IV 322 S. 328 Die Herausgabepflicht des Beauftragten umfasst nach der Rechtsprechung alles, was ihm in Ausführung des Mandats vom Auftraggeber ausgehändigt worden oder von Dritten zugekommen ist ( BGE 91 II 442 , S. 451; BGE 78 II 376 , S. 378). Wie weit sie reicht, lässt sich dem Gesetz nicht entnehmen. Die Rechtsprechung hat festgelegt, dass sie alle Dokumente umfasst, die sich auf die im Interesse des Auftraggebers besorgten Geschäfte beziehen, wobei rein interne Dokumente wie vorbereitende Studien, Notizen, Entwürfe, Materialsammlungen, eigene Buchhaltungen ausgenommen sind (Urteil des Bundesgerichts vom 17. Juni 1980, publiziert in ZR 80 Nr. 24 S. 73 ff.; ebenso WALTER FELLMANN, Berner Kommentar, 1992, N. 136 zu Art. 400 OR ; JOSEF HOFSTETTER, Schweizerisches Privatrecht, S. 92 f.; JÖRG SCHMID, Die Geschäftsführung ohne Auftrag, Freiburg 1992, S. 147 ff.; PIERRE TERCIER, Les contrats spéciaux, Zürich 1995, N. 4056; ROLF H. WEBER, Basler Kommentar, N. 12 zu Art. 400 OR ; ohne Einschränkung FRANZ WERRO, Le mandat et ses effets, Fribourg 1993, S. 178). bb) Die Rechtsprechung hat im Anschluss an VON THUR ein obligatorisches Retentionsrecht dort anerkannt, wo weder das dingliche Retentionsrecht nach Art. 895 ZGB noch das Leistungsverweigerungsrecht gemäss Art. 82 OR greift. Sie begründete dies damit, dass es rechtsmissbräuchlich und unbillig wäre, wenn eine Partei vertragliche Ansprüche durchsetzen könnte, ohne ihre eigenen Pflichten zu erfüllen. Deshalb müsse dem Beauftragten in den genannten Fällen ein im Gesetz nicht geregeltes obligatorisches Retentionsrecht eingeräumt werden, das ihm erlaube, seine Leistung zu verweigern, bis die ihm aus dem gleichen Verhältnis geschuldete Leistung gewährt werde ( BGE 78 II 376 ; 94 II 267 , je mit Hinweisen; vgl. aber BGE 86 II 355 E. 4, wo das Retentionsrecht des Beauftragten nur unter dem Gesichtspunkt des dinglichen Retentionsrechts gemäss Art. 895 ZGB geprüft wurde; FELLMANN, a.a.O., N. 186 ff. zu Art. 400 OR mit Hinweisen; VON THUR/ESCHER, Allgemeiner Teil des Schweizerischen Obligationenrechts, Bd. II, Zürich 1974, § 64 VIII [S. 68]). Fraglich ist, ob sich das obligatorische Retentionsrecht beim Auftrag auch auf Gegenstände erstreckt, deren Natur mangels Vermögenswert eine Verwertung nicht zulässt. Das Bundesgericht hat in einem älteren Entscheid ein obligatorisches Retentionsrecht an Urkunden, die keine Wertpapiere sind, verneint ( BGE 78 II 376 , S. 378 f.). Bei diesem Entscheid ging es darum, dass ein Buchhalter von einer Aktiengesellschaft mit der Besorgung ihrer Buchhaltung beauftragt worden war. Nach Beendigung des Auftragsverhältnisses BGE 122 IV 322 S. 329 weigerte er sich, die ihm überlassenen Unterlagen ohne vorherige Prüfung der Buchführung und Décharge-Erteilung zu erstatten. Das Bundesgericht verneinte hier ein Retentionsrecht an den nicht verwertbaren Urkunden, weil der gesetzlich begründete Anspruch auf Décharge-Erteilung nicht Vertragsinhalt war. Angesichts des auf diesen besonderen Fall zugeschnittenen Urteils erscheint ungewiss, ob die Verneinung eines obligatorischen Retentionsrechts an nicht verwertbaren Urkunden im Rahmen eines Auftrags verallgemeinerbar ist. Die überwiegende Lehre geht gestützt auf Art. 896 Abs. 1 ZGB generell davon aus, ein obligatorisches Zurückbehaltungsrecht an nicht verwertbaren Urkunden sei nicht zulässig (vgl. EUGEN BUCHER, Obligationenrecht Besonderer Teil, 3. Aufl., Zürich 1988, S. 231; GEORG GAUTSCHI, Berner Kommentar, N. 18 a und b zu Art. 400 OR ; HEINRICH HONSELL, Schweizerisches Obligationenrecht, Besonderer Teil, 3. Aufl., Bern 1995, S. 278; OSER/SCHÖNENBERGER, Zürcher Kommentar, 2. Aufl. 1936, N. 16 zu Art. 401 OR ; TERCIER, a.a.O., N. 4128; ROLF H. WEBER, Kommentar zum Schweizerischen Privatrecht, Basel 1991, N. 19 zu Art. 400 OR ; anders FELLMANN, a.a.O., N 188 f. zu Art. 400 OR ; OFTINGER/BÄR, Zürcher Kommentar, 3. Aufl. 1981, N. 7 zu Art. 896, N. 202 zu Art. 895 ZGB ). FELLMANN kritisiert diese Auffassung und spricht sich dagegen aus, Art. 896 Abs. 1 ZGB auf das obligatorische Retentionsrecht anzuwenden. Während das dingliche Retentionsrecht auf die Möglichkeit und das Recht der Verwertung des retinierten Gegenstandes hinziele, verschaffe das obligatorische Zurückbehaltungsrecht dem Schuldner lediglich ein Druckmittel, um den Gläubiger seinerseits zur Erbringung der versprochenen Leistung zu zwingen. Als Mittel indirekten Zwangs setze es keine Verwertbarkeit des Zurückbehaltenen voraus (FELLMANN, a.a.O., ebd.). cc) Im hier zu beurteilenden Fall macht der Beschwerdeführer nicht geltend und es ist im übrigen auch nicht ersichtlich, dass die zurückbehaltenen Akten rein interner Natur gewesen seien, was - wie aufgezeigt - von der Herausgabepflicht nicht erfasst würde (vorne E. c/aa am Ende). Die Frage, ob dem Beschwerdeführer ein obligatorisches Retentionsrecht an den ihm überlassenen und von ihm geschaffenen Prozessakten zustand oder nicht, ist in Bestätigung der Rechtsprechung von BGE 78 II 376 und der insoweit übereinstimmenden Lehrmeinungen zu verneinen. Das obligatorische Retentionsrecht dient gleichermassen wie das dingliche Retentionsrecht als Druck- und Sicherungsmittel, um den Schuldner zur BGE 122 IV 322 S. 330 Leistungserbringung zu zwingen ( BGE 78 II 376 , S. 378; FELLMANN, a.a.O., N. 194 zu Art. 400 OR ; SCHRANER, Zürcher Kommentar, N. 8 zu Art. 82 OR ; WEBER, a.a.O., N. 9 zu Art. 82 OR ). Entgegen der Auffassung von FELLMANN gebietet die beim obligatorischen Retentionsrecht gegenüber dem dinglichen fehlende Möglichkeit der Verwertung des retinierten Gegenstandes wie ein Faustpfand ( Art. 898 ZGB ) nicht, das Retentionsrecht auch auf nicht verwertbare Gegenstände auszudehnen (FELLMANN, a.a.O., N. 188 f. zu Art. 400 OR ). Eine solche Lösung würde der Interessenlage beim Auftrag nicht gerecht. Hat der Beauftragte seine Arbeit auf Kredit gewährt, soll er nur vermögenswerte Gegenstände retinieren dürfen. Dafür spricht unter anderem, dass der Beauftragte nur soviel zurückbehalten darf, als zur Deckung bzw. angemessenen Sicherung seiner Forderung gegenüber dem Auftraggeber erforderlich ist. Massstab bildet der mutmassliche Verwertungserlös. Stellt sich im Nachhinein heraus, dass der Beauftragte das Retentionsrecht zu Unrecht oder unangemessen ausgeübt hat, weil die bestrittene Forderung nicht im behaupteten Umfang bestand und/oder das Retentionsrecht übermässig beansprucht wurde, so haftet er wegen nicht rechtzeitiger Erfüllung der Ablieferungsobligation für den Schaden gemäss Art. 97 OR (vgl. BGE 46 II 381 E. 3; BGE 78 II 140 E. 4; FELLMANN, a.a.O., N. 207 f. zu Art. 400 OR ; GAUTSCHI, a.a.O., N. 18b zu Art. 400 OR ; VON THUR/ESCHER, a.a.O., § 64 IV [S. 64]). Eine derartige quantitative Beschränkung des obligatorischen Retentionsrechts macht nur Sinn, wenn dieses sich lediglich auf vermögenswerte Sachen oder Wertpapiere erstreckt. Im übrigen räumt auch FELLMANN ein, dass es unter anderem dem Treuhänder nicht gestattet sei, dem Auftraggeber Akten und Beweismittel vorzuenthalten, wenn dieser dank ihnen seine Ansprüche gegen einen Dritten durchsetzen könnte und eine Situation zeitlicher Dringlichkeit vorliegt (FELLMANN, a.a.O., N. 202 zu Art. 400 OR ; vgl. auch WEBER, a.a.O., N. 193 ff. zu Art. 82 OR ). Endlich ist darauf hinzuweisen, dass der Beauftragte unter anderem die Möglichkeit hat, retinierte Vermögenswerte auf dem Betreibungsweg verwerten zu lassen. Auch wenn er den Erlös unter Umständen mit anderen Gläubigern teilen muss, rückt das obligatorische Retentionsrecht in solchen Fällen jedenfalls im Ergebnis in die Nähe des dinglichen Retentionsrechts. Aus diesen Gründen wäre es nicht sachgerecht, im Rahmen eines Auftrags ein obligatorisches Retentionsrecht an nicht verwertbaren Gegenständen zuzulassen. Die Vorinstanz hat deshalb insoweit zu Recht ein Retentionsrecht des Beschwerdeführers an den fraglichen BGE 122 IV 322 S. 331 Akten verneint und die Rechtswidrigkeit der Nötigung bejaht. Dass ein Retentionsrecht an Akten vereinbart gewesen sei, macht der Beschwerdeführer nicht geltend und ist im übrigen auch nicht ersichtlich. d) Der Beschwerdeführer bringt (sinngemäss) vor, die Standesregel des aargauischen Anwaltsverbandes, wonach der Anwalt ohne Einverständnis seines Vorgängers kein Mandat übernehmen dürfe, wenn der früher beauftragte Anwalt nicht bezahlt sei, räume dem Anwalt ein Recht zur Ausübung indirekten Zwanges gegenüber seinem ehemaligen Klienten ein. Um auch dem Treuhänder ein Druckmittel zur Eintreibung offener Honorarforderungen nach Beendigung eines Mandats in die Hand zu geben, sei ihm in Analogie zur Standesregel ein Aktenretentionsrecht einzuräumen. Der Einwand ist offensichtlich unbehelflich. Die Ausübung des Anwaltsberufes untersteht der staatlichen Bewilligung und Aufsicht (§ 2 des Aargauischen Anwaltsgesetzes, nachfolgend AnwG). Gemäss § 17 Abs. 3 AnwG gibt der Anwalt seinem Auftraggeber auf Verlangen die Akten heraus, ohne Rücksicht darauf, ob seine Honoraransprüche gedeckt sind oder nicht. § 20 der Standesregeln des Aargauischen Anwaltsverbandes bestimmt, dass der Anwalt ohne Einverständnis seines Vorgängers kein Mandat übernimmt, wenn der früher beauftragte Anwalt nicht bezahlt ist (Abs. 1). Ist die Honorarforderung des früher beauftragten Anwaltes streitig, darf der Anwalt das Mandat nur übernehmen, wenn der geforderte Betrag deponiert oder sichergestellt ist. In dringlichen Fällen, wie Wahrung laufender Fristen, darf von dieser Regel abgewichen werden, jedoch nur so lange, als die Dringlichkeit besteht (Abs. 2). Diese Standesregel richtet sich nur an Anwälte, die Mitglied des Aargauischen Anwaltsverbandes sind. Da der Beschwerdeführer als Nicht-Anwalt weder den Bestimmungen des AnwG noch den Standesregeln unterstand, vermag er aus letzteren kein den Anwälten verschlossenes Aktenretentionsrecht für sich abzuleiten. Überdies lag hier aufgrund laufender Fristen ein dringlicher Fall im Sinne von § 20 Abs. 2 der Standesregeln vor, weshalb selbst ein Anwalt die Mandatsübernahme durch einen neuen Anwalt zur Fristenwahrung nicht hätte verhindern können. 4. (Kostenfolgen)
null
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de
1,996
CH_BGE
CH_BGE_006
CH
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71e71247-0522-4788-aaf4-801921a30a76
Urteilskopf 91 I 17 5. Extrait de l'arrêt du 20 janvier 1965 dans la cause Fondation Nordmann contre Conseil d'Etat du Canton de Genève.
Regeste Derogatorische Kraft des Bundesrechts. Art. 113 Abs.3 BV und 2 Ueb.-Best. 1. Der Grundsatz der derogatorischen Kraft des Bundesrechts ist von den Kantonen wie auch vom Bundesgericht immer dann zu beachten, wenn eine Vorschrift des kantonalen Rechts nicht in Einklang steht mit dem Bundesrecht, gleichgültig ob dieses verfassungsmässig ist oder nicht (Erw. 2). 2. Ist ein Gebiet des öffentlichen Rechts durch eine (sogar nicht verfassungsmässige) Ordnung des Bundesrechts abschliessend geregelt, so sind die Kantone nicht mehr befugt, auf diesem Gebiete durch Aufstellung abweichender Grundsätze Recht zu setzen (Erw. 5). 3. Eine Ordnung ist abschliessend, wenn sie ausdrücklich das ganze Gebiet regelt oder wenn sie sich zwar nur auf einen Teil bezieht, aber in der Meinung, dass daneben keinerlei Vorschriften erlassen werden dürfen. Der Entscheid hierüber hängt von Anhaltspunkten ab, die von Fall zu Fall verschieden sind (Natur, Gegenstand, Zweck einer Massnahme) (Erw. 5). 4. Verhältnis zwischen dem Bundesbeschluss vom 13. März 1964 über die Bekämpfung der Teuerung durch Massnahmen auf dem Gebiete der Bauwirtschaft und dem Genfer Gesetz vom 17. Oktober 1962, das den Abbruch und den Umbau von Wohnhäusern einschränkt. Das Genfer Gesetz kann Abbrucharbeiten verbieten, die nach dem Bundesbeschluss zulässig sind (Erw. 3 und 5).
Sachverhalt ab Seite 18 BGE 91 I 17 S. 18 A.- L'immeuble sis au no 15 de la rue Cavour à Genève contient quinze appartements de trois et quatre pièces. Le 5 octobre 1962, la "Fondation M. et Mme Robert Nordmann" (ci-après la fondation) l'acheta pour en faire un foyer destiné aux personnes âgées de confession israélite. Le 27 novembre 1963, elle demanda au Département des travaux publics du canton de Genève l'autorisation d'effectuer les transformations nécessaires dans le bâtiment. Le 19 février 1964, le département refusa le permis. Il constata que la maison était encore occupée et que sa stabilité n'était pas compromise. Il se fonda sur les dispositions de la loi genevoise du 17 octobre 1962 restreignant les démolitions et transformations de maisons d'habitation (LD), et qui prévoit notamment que, durant la pénurie de logements et sous réserve d'exceptions "justifiées par des motifs d'intérêt public ou d'intérêt général", nul ne peut "faire modifier sensiblement la destination d'une maison d'habitation occupée ou inoccupée" ( art. 1er et 3 LD ). BGE 91 I 17 S. 19 Le 5 août 1964, le Conseil d'Etat du canton de Genève rejeta un recours que lui avait adressé la fondation. B.- Agissant par la voie du recours de droit public, la fondation a requis le Tribunal fédéral d'annuler l'arrêté du Conseil d'Etat et d'inviter celui-ci à accorder le permis de transformation. Elle a soutenu notamment que l'autorité cantonale avait violé le principe de la force dérogatoire du droit fédéral en n'appliquant pas les dispositions de l'arrêté fédéral du 13 mars 1964 concernant la lutte contre le renchérissement par des mesures dans le domaine de la construction (ci-après l'arrêté fédéral ou ARC). Le Conseil d'Etat a conclu au rejet du recours. Le Tribunal fédéral a rejeté le recours. Erwägungen Extrait des motifs: 2. Selon l'art. 2 Disp. trans. Cst., "les dispositions des lois fédérales, des concordats et des constitutions ou des lois cantonales contraires à la présente constitution cessent d'être en vigueur par le fait de l'adoption de celle-ci ou de la promulgation des lois qu'elle prévoit". Se fondant sur la lettre de ce texte, le Conseil d'Etat affirme que la règle exprimée par l'art. 2 Disp.trans.Cst. ne saurait jouer de rôle en l'espèce, puisque l'arrêté fédéral est un arrêté extra-constitutionnel au sens de l' art. 89 bis al. 3 Cst. Certes, le Tribunal fédéral a presque toujours rattaché le principe de la force dérogatoire du droit fédéral à l'art. 2 Disp.trans.Cst. Il n'a pas pour autant voulu en limiter la portée à celle qui pourrait résulter des seuls termes de cette disposition. En particulier, il n'a jamais contesté l'opinion que la doctrine professe à juste titre et selon laquelle le principe de la force dérogatoire du droit fédéral est inhérent à l'existence de l'Etat fédératif et s'imposerait de ce seul fait, même en l'absence d'une disposition expresse (BURCKHARDT, Commentaire, p. 823; FLEINER/GIACOMETTI, Schweizerisches Bundesstaatsrecht, p. 92 ss.; IMBODEN, Bundesrecht bricht kantonales Recht, p. 69). Lié à l'existence de l'Etat fédératif, le principe de la force dérogatoire du droit fédéral doit prévaloir chaque fois qu'une règle de droit cantonal n'est pas en harmonie avec le droit fédéral, que ce dernier repose ou non sur la constitution. D'ailleurs, BGE 91 I 17 S. 20 l' art. 113 al. 3 Cst. oblige le Tribunal fédéral à appliquer un arrêté fédéral de portée générale sans avoir à examiner s'il déroge à la constitution. La règle posée expressément pour le Tribunal fédéral vaut à plus forte raison pour les autorités cantonales. Celles-ci sont tenues dès lors de se conformer à un tel arrêté sans égard à sa constitutionnalité (BURCKHARDT, Commentaire, p. 788/789; FLEINER/GIACOMETTI, op.cit., p. 931/932; IMBODEN, op.cit., p. 73; cf. RO 63 I 118). 3. Le Conseil d'Etat a été saisi de la cause avant l'adoption de l'arrêté fédéral. Il en infère qu'il n'était pas tenu d'appliquer le droit fédéral. Toutefois l'art. 15 al. 1 ARC dispose notamment que le régime du permis (art. 1er ARC) et l'interdiction de démolir (art. 7) ne visent pas les travaux en cours d'exécution lors de l'entrée en vigueur de l'arrêté. Il en découle a contrario que les art. 1er et 7 ARC étaient applicables dès leur entrée en vigueur aux travaux qui, sans être commencés, étaient cependant déjà au bénéfice d'un permis de construire délivré sur la base du droit cantonal (cf. le message très clair du Conseil fédéral, FF 1964 I 223). Ils l'étaient à plus forte raison aux travaux au sujet desquels, comme en l'espèce, la procédure relative à la délivrance de ce permis n'était pas même achevée. Le Conseil d'Etat devait donc observer les dispositions de l'arrêté fédéral. Sa décision ne méritera cependant d'être annulée que si ledit arrêté lui interdisait d'appliquer le droit cantonal. 4. L'arrêté fédéral prévoit trois sortes de mesures: d'une part, sous réserve de certaines exceptions, il assujettit les constructions à des autorisations qui peuvent être accordées à concurrence d'un plafond fixé par le Conseil fédéral pour chaque canton (art. 1er et 4); d'autre part, diverses catégories de travaux ne pourront être exécutées pendant une année, puis seront soumises au système du permis (art. 2); enfin, la démolition de maisons d'habitation et d'immeubles commerciaux est interdite sauf si elle est ordonnée pour des raisons d'hygiène ou de sécurité, ou s'impose pour permettre des constructions autorisées ou soustraites au régime du permis (art. 7). Ces mesures se conjuguent avec celles que prend un second arrêté fédéral du 13 mars 1964 dans le domaine du marché de l'argent, des capitaux et des crédits. Les unes et les autres visent à restreindre l'expansion de l'économie suisse et, par là, à combattre le renchérissement (cf. FF 1964 I 191, 198, 199, 200). Plus précisément, l'interdiction de démolir tend à trois fins: alléger le BGE 91 I 17 S. 21 marché de la construction, éviter le gaspillage des moyens de production et empêcher la création de situations qui justifieraient l'octroi de permis de reconstruction, d'agrandissement ou de transformation (FF 1964 I 222). Ni cette interdiction ni l'arrêté dans son ensemble n'ont pour objet direct la lutte contre la pénurie de logements. Ils n'en tiennent compte que pour atténuer la rigueur des mesures constituées par le régime du permis et l'interdiction de construire (FF 1964 I 204). Quant à la loi genevoise du 17 octobre 1962, elle interdit de démolir même partiellement les maisons d'habitation occupées ou inoccupées, et d'en modifier sensiblement la destination aussi longtemps que sévit la pénurie de logements (art. 1er); elle n'admet de dérogations que si un motif de sécurité ou de salubrité les impose, ou si une raison d'intérêt public ou général les justifie (art. 3); elle interdit les constructions qui nécessitent des démolitions inadmissibles (art. 6). Ces règles tendent à maintenir à la disposition des locataires des appartements encore habitables et bon marché. Leur but est non de ralentir l'expansion de l'économie, mais uniquement de combattre la pénurie d'appartements à prix modéré. 5. L'arrêté fédéral et la loi genevoise, tels qu'ils viennent d'être décrits, sauvegardent des intérêts collectifs et ont en vue principalement l'intérêt public. Ils ont un caratère impératif et leur observation est garantie par la contrainte administrative et des sanctions pénales (art. 10 ss. ARC, art. 5 de la loi genevoise). Ils ressortissent donc tous deux au droit public (RO 89 I 180, 88 I 170 et 291, 85 I 21). Selon la jurisprudence du Tribunal fédéral, le droit public fédéral prime d'emblée et toujours le droit public cantonal. Lorsque, dans un domaine du droit public, le législateur fédéral a fait usage d'une compétence qui lui est attribuée par la constitution et qu'il a posé des règles exhaustives, les cantons ne peuvent plus légiférer en la même matière, du moins en adoptant des règles différentes (RO 89 I 180 et arrêts cités). Il résulte du considérant 2 ci-dessus que cette interdiction pour les cantons d'édicter des dispositions différentes d'une réglementation fédérale exhaustive subsiste même lorsque cette dernière est extraconstitutionnelle. Il y a donc lieu de rechercher si l'arrêté fédéral contient une réglementation exhaustive. Pour savoir si un acte législatif fédéral est exhaustif, il faut déterminer s'il entend englober toute la matière sur laquelle il BGE 91 I 17 S. 22 porte ou si, au contraire, il en a délibérément laissé de côté une partie, abandonnant aux cantons le soin d'édicter pour le surplus les textes complémentaires qui pourraient leur paraître nécessaires au regard de leur situation propre. La première éventualité est réalisée non seulement - cela va de soi - lorsque le droit fédéral régit expressément l'ensemble de la matière, mais aussi quand il n'en vise qu'une partie dans l'intention que, pour le surplus, aucune disposition légale quelconque ne soit édictée. Le juge appelé à résoudre le conflit s'aidera d'indices qui différeront de cas en cas. Il se laissera guider notamment par la nature des mesures en cause, par leur objet et par leur but. En l'espèce, les mesures prises par le législateur fédéral, qui visent à lutter contre la surchauffe, manqueraient leur but s'il était loisible aux cantons d'adopter des dispositions moins incisives. Par conséquent, ces derniers ne sauraient abolir le système du permis, ni autoriser des constructions ou des démolitions dans des cas non prévus par l'arrêté fédéral. En particulier, les autorités genevoises ne pourraient se fonder sur l' art. 3 LD pour atténuer, sous le couvert d'un intérêt public ou général, la rigueur de l'arrêté fédéral. Les mesures que celui-ci institue constituent donc un minimum, qui s'impose aux cantons de façon absolue. Cela ressort d'ailleurs des textes eux-mêmes. D'un autre côté cependant, si les cantons étendent le régime du permis ou les interdictions de construire et de démolir instituées par l'arrêté fédéral, ils ne contrecarrent pas ce dernier; au contraire, ils en accroissent l'efficacité. Aussi bien, les dispositions de l'arrêté fédéral ne les empêchent pas expressément d'aller au delà des mesures prises par la Confédération. Elles ne représentent donc pas le maximum de ce que les autorités cantonales sont en droit de faire. Il n'en irait autrement que s'il y avait des raisons de penser qu'en ne réglementant pas la démolition des immeubles hors le cadre de la "surchauffe économique", la Confédération a voulu empêcher les cantons de l'interdire. Or tel n'est certainement pas le cas. En effet, lors de l'élaboration et de l'adoption de l'arrêté fédéral, le législateur connaissait parfaitement l'existence des dispositions que plusieurs cantons avaient édictées pour interdire les démolitions d'immeubles injustifiées. Des députés y ont fait expressément allusion durant les débats parlementaires (Bull.stén. CN 1964, p. 135, CE 1964, p. 87). Ils n'en ont ni réclamé ni constaté la caducité. Au contraire, l'un d'eux, s'opposant BGE 91 I 17 S. 23 à une proposition qui tendait à limiter l'interdiction de démolir à certaines régions - proposition finalement écartée - observa que les réglementations adoptées par certains cantons s'appliquaient à l'ensemble de leur territoire, qu'elles avaient déjà rendu des services et qu'on voulait dans ces cantons qu'elles en rendent aussi dans la lutte contre la surchauffe (déclaration Barrelet, Bull. stén. CE 1964, p. 87). Autrement dit, ces textes devaient être maintenus dans leur portée intégrale, même après l'entrée en vigueur de l'arrêté fédéral. Or le représentant du gouvernement s'est exprimé sur cette opinion; loin de la contredire, il a souligné "dass die Kantone heute schon ein mehreres tun können und ... getan haben". Ces diverses déclarations ont clairement montré aux Chambres le problème relatif au maintien des règles cantonales. En ne s'y opposant pas, l'Assemblée fédérale a implicitement admis ce maintien, en tant du moins que les cantons allaient au delà des exigences minimum voulues par elle. Il s'ensuit que, dans la mesure où la loi genevoise interdit des démolitions admissibles au regard de l'arrêté fédéral, elle n'entre pas en contradiction avec lui. Par conséquent, même si la décision attaquée prohibe des travaux auxquels le législateur fédéral n'a pas fait obstacle, elle ne viole pas le principe de la force dérogatoire du droit fédéral.
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Urteilskopf 84 I 7 2. Urteil vom 29. Januar 1958 i.S. Huggler gegen Huggler und Landwirtschaftsdirektion des Kantons Bern.
Regeste Schätzung landwirtschaftlicher Heimwesen und Liegenschaften. Art. 5 ff. LEG. Unter welchen Voraussetzungen können die Schätzungsbehörden auf eine formell rechtskräftig gewordene Schätzung zurückkommen?
Sachverhalt ab Seite 7 BGE 84 I 7 S. 7 A.- Der am 6. Oktober 1954 verstorbene Landwirt Johannes Huggler war Eigentümer von 5 Liegenschaften in Unterseen. Als Erben hinterliess er 8 Kinder, von denen sich Willi Huggler sowie zwei weitere Söhne um die ungeteilte Zuweisung der Liegenschaften zum Ertragswert gemäss Art. 620 ff. ZGB bewarben. Am 8. November 1954 stellte Notar Dr. Bettler namens der Erbengemeinschaft das Begehren um Feststellung des Ertragswertes der Liegenschaften. Nachdem die Gültschatzungskommission einen Augenschein vorgenommen hatte, zu dem sämtliche Erben vorgeladen worden waren, setzte sie am 18. Dezember 1954 den Ertragswert der Liegenschaften auf insgesamt Fr. 43'175.-- fest. Gegen diese Schätzung rekurrierten drei Erben an die Landwirtschaftsdirektion des Kantons Bern. Diese holte eine Oberexpertise BGE 84 I 7 S. 8 ein und setzte gestützt darauf den Ertragswert der Liegenschaften mit Entscheid vom 14. April 1955 aufFr. 51'500.-- fest. Mit Eingabe vom 26. November 1956 - zwischen den Erben war es inzwischen zum Prozess über die Zuteilung der Liegenschaften gekommen - ersuchte Willi Huggler die Landwirtschaftsdirektion, ihren Entscheid vom 14.April 1955 aufzuheben und den Ertragswert der Liegenschaften neu festzusetzen. Die Landwirtschaftsdirektion liess die Bewertung durch Sachverständige nochmals überprüfen und kam gestützt darauf mit Entscheid vom 18. Dezember 1956 zum Schluss, dass der Ertragswert der Liegenschaften sich mit dem ab 1. Januar 1957 geltenden neuen amtlichen Werte decke und demgemäss auf Fr. 41'770.-- festzusetzen sei. Als sich hierauf drei Miterben darüber beschwerten, dass die Schatzung vom 14. April 1955 ohne Anhörung der übrigen Erben abgeändert worden sei, hob die Landwirtschaftsdirektion ihren Entscheid vom 18. Dezember 1956 wieder auf und stellte das Gesuch des Willi Huggler vom 26. November 1956 den übrigen Erben zur Vernehmlassung zu. Diese stellten in einer gemeinsamen Eingabe das Begehren, auf das Gesuch sei nicht einzutreten, eventuell sei es abzuweisen. Mit Entscheid vom 13. Mai 1957 beschloss indessen die Landwirtschaftsdirektion, dem Wiedererwägungsgesuch des Willi Huggler zu entsprechen, ihren Entscheid vom 18. Dezember 1956 zu bestätigen und den Ertragswert der fünf Liegenschaften auf insgesamt Fr. 41'770.-- festzusetzen. Der Begründung dieses Entscheides ist zu entnehmen: Art. 35 des Verwaltungsrechtspflegegesetzes (neues Recht) könne im vorliegenden Falle nicht angerufen werden, da diese Bestimmung nur in einem eigentlichen Verwaltungsjustizverfahren anwendbar sei und es sich beim Entscheid der Landwirtschaftsdirektion über einen Rekurs gegen eine Schätzung um eine blosse Verwaltungsverfügung handle. Dagegen sei die Verwaltungsbehörde befugt, auf BGE 84 I 7 S. 9 eine solche Verfügung zurückzukommen, sei es im öffentlichen Interesse, sei es aus Gründen der Billigkeit mit Rücksicht auf die Interessen der betroffenen Privatpersonen. Die Rechtsordnung verbiete ein solches Zurückkommen nicht. Dies entspreche auch der modernen Doktrin, die den blossen Verwaltungsverfügungen die materielle Rechtskraft abspreche. Sei aber der Verwaltungsbehörde das Zurückkommen auf ihre Verfügung gestattet, so sei nicht einzusehen, weshalb der von der Verfügung Betroffene ein solches Zurückkommen nicht durch ein Wiedererwägungsgesuch nachsuchen könnte. Das von Willi Huggler gestellte Gesuch um neues Recht sei daher als Wiedererwägungsgesuch zu betrachten. Im übrigen könnten die von den Gesuchsgegnern gestellten Rechtsbegehren nicht gehört werden, da die Landwirtschaftsdirektion nach Überprüfung des Schätzungsverfahrens festgestellt habe, dass die amtliche Schatzung, die für die fraglichen Liegenschaften einen Gesamtwert von Fr. 41'770.-- ergeben hatte, nach allgemein gültigen Grundsätzen durchgeführt worden sei. B.- Gegen diesen Entscheid haben Walter Huggler und 5 weitere Miterben staatsrechtliche Beschwerde erhoben. Sie beantragen die Aufhebung des angefochtenen Entscheids und machen als Beschwerdegrund Verletzung von Art. 4 BV (Willkür und Verweigerung des rechtlichen Gehörs) geltend. Die Begründung dieser Rügen ist, soweit wesentlich, aus den nachstehenden Erwägungen ersichtlich. C.- Die Landwirtschaftsdirektion des Kantons Bern und der Beschwerdegegner Willi Huggler beantragen die Abweisung der Beschwerde. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. In der Beschwerde wird vor allem beanstandet, dass der angefochtene Entscheid auf eine Liegenschaftsschätzung abstelle, die ohne Beizug und Anhörung der Beschwerdeführer zustandegekommen sei; dieses Vorgehen der Landwirtschaftsdirektion stelle eine Verweigerung des BGE 84 I 7 S. 10 rechtlichen Gehörs dar und verstosse gegen verschiedene Vorschriften des eidgenössischen und kantonalen Rechts, nämlich gegen Art. 18 Abs. 3 der eidg. VO vom 16. November 1945 über die Verhütung der Überschuldung landwirtschaftlicher Liegenschaften, gegen § 13 der bern. VO vom 29. Dezember 1953 betr. die amtliche Schätzung von Grundstücken, gegen Bestimmungen des gemäss dem bern. EG zum LEG auf das Grundstückschätzungsverfahren anwendbaren Verwaltungsrechtspflegegesetzes vom 31. Oktober 1909 usw. Wie es sich damit verhält, kann dahingestellt bleiben, da die Landwirtschaftsdirektion, wie sich aus den nachstehenden Ausführungen ergibt, überhaupt nicht befugt war, auf ihre im Rekursentscheid vom 14. April 1955 vorgenommene Schätzung des Ertragswertes zurückzukommen. 2. Die Beschwerdeführer berufen sich auf Art. 7 des BRB vom 28. Dezember 1951 über die Schätzung landwirtschaftlicher Heimwesen und Liegenschaften, wonach die Nachprüfung einer Schätzung frühestens nach 5 Jahren erfolgen kann. Sie machen geltend, dass der angefochtene Entscheid gegen diese Bestimmung verstosse, somit Bundesrecht verletze und auch aus diesem Grunde willkürlich sei. Damit machen sie, da die Landwirtschaftsdirektion sich offenbar auf Grund des kantonalen Verwaltungsrechts für befugt erachtete, auf ihren Entscheid vom 14. April 1955 zurückzukommen, dem Sinne nach auch eine Verletzung des in Art. 2 Üb.-Best. der BV ausgesprochenen Grundsatzes der derogatorischen Kraft des Bundesrechts geltend; denn diese Rüge gilt als in der Rüge der Willkür enthalten, wenn als willkürlich die Anwendung kantonalen Rechts in Missachtung von Bundesrecht gerügt wird ( BGE 78 I 413 Erw. 2, BGE 71 I 437 Erw. 3 und dort angeführte frühere Urteile). 3. Art. 7 LEG überlässt den Kantonen nicht nur die Bezeichnung der für die Schätzung zuständigen Behörde sowie der Rekursinstanz, sondern auch die Ordnung des Verfahrens. Doch wird ihnen darin nicht völlig freie Hand BGE 84 I 7 S. 11 gelassen. So bestimmt Art. 7, dass die Rekursinstanz "endgültig" entscheidet. Damit wird jedenfalls der Weiterzug an weitere kantonale Rekursinstanzen (und an den Bundesrat) ausgeschlossen. Dagegen ist Art. 7 LEG nicht zu entnehmen, ob es den Kantonen gestattet sei, gegenüber Schätzungs- und Rekursentscheiden das Rechtsmittel der Revision (des neuen Rechtes) zuzulassen. Zunächst scheint es, diese Frage stelle sich im vorliegenden Falle gar nicht, weil im angefochtenen Entscheid ausdrücklich festgestellt wird, dass das in Betracht fallende "neue Recht" gemäss Art. 35 des bern. Verwaltungsrechtspflegegesetzes (VPRG) nicht anwendbar sei. Allein hieraus leitet die Landwirtschaftsdirektion nicht etwa ab, dass ein Zurückkommen auf rechtskräftige Schätzungs- und Rekursentscheide schlechthin, auch bei Vorliegen der Voraussetzungen des Art. 35 VPRG , unzulässig sei. Vielmehr beruht der angefochtene Entscheid auf der Annahme, dass auf solche Entscheide im öffentlichen Interesse oder aus Billigkeitsgründen jederzeit zurückgekommen werden könne, da es sich um blosse Verwaltungsverfügungen handle. Diese Auffassung erweist sich indessen als unhaltbar. 4. Richtig ist zwar, dass die Schätzung landwirtschaftlicher Heimwesen und Liegenschaften rechtlich eine Verwaltungsverfügung darstellt. Ferner trifft es zu, dass Verwaltungsverfügungen keine materielle Rechtskraft geniessen. Sie können daher unter gewissen Voraussetzungen abgeändert oder aufgehoben werden, nämlich dann, wenn das öffentliche Interesse es erheischt und weder eine ausdrückliche Gesetzesvorschrift noch Rücksichten auf die Rechtssicherheit es verbieten (vgl. BGE 43 I 2 , BGE 56 I 194 , BGE 63 I 38 , BGE 74 I 445 , BGE 75 I 288 , BGE 78 I 406 , BGE 79 I 6 , BGE 80 II 162 , BGE 83 I 325 /6). Diese Voraussetzungen sind aber im vorliegenden Falle offensichtlich nicht erfüllt. Die Art. 9 LEG und 7 des BRB vom 28. Dezember 1951 über die Schätzung landwirtschaftlicher Heimwesen und Liegenschaften bestimmen, dass die Nachprüfung einer Schätzung - von dem hier nicht in Betracht kommenden BGE 84 I 7 S. 12 Falle von Art. 9 Abs. 2 LEG abgesehen - frühestens nach 5 Jahren erfolgen kann. Der Einwand der Landwirtschaftsdirektion, dass damit nur eine neue Schätzung, nicht aber die Korrektur einer fehlerhaften Schätzung vor Ablauf dieser Frist ausgeschlossen werde, geht fehl. Unter den Begriff der Nachprüfung fällt auch die Überprüfung der Schätzung auf allfällige Mängel. Art. 9 Abs. 1 LEG will verhindern, dass eine formell rechtskräftig gewordene Schätzung vor Ablauf von 5 Jahren wieder in Frage gestellt wird. Dieser Zweck der Vorschrift schliesst es aus, dass die Behörde, die die Schätzung vorgenommen hat, im öffentlichen Interesse oder aus Billigkeitsgründen jederzeit auf sie zurückkommen kann. Ein Zurückkommen kann, wenn überhaupt, nur auf dem Wege einer Revision und höchstens dann zulässig sein, wenn die Schätzung an einem besonders schweren Mangel leidet, etwa weil sie unter Verletzung wesentlicher Verfahrensvorschriften zustandegekommen ist oder weil in den Akten liegende erhebliche Tatsachen aus Versehen nicht berücksichtigt worden sind. Etwas derartiges liegt hier nicht vor; die Landwirtschaftsdirektion hat ihre frühere Schätzung abgeändert, weil neue Sachverständige die Liegenschaften anders bewertet haben als die früheren Oberexperten. Eine aus diesem Grunde vorgenommene Änderung der Schätzung erweist sich auch abgesehen von Art. 9 Abs. 1 LEG als unzulässig. Ob ein materiell rechtswidriger Verwaltungsakt von der Behörde zurückgenommen oder abgeändert werden kann, hängt davon ab, ob das Interesse an der richtigen Durchführung des objektiven Rechts oder das Interesse an der Rechtssicherheit überwiegt. Letzteres geht insbesondere dann vor, wenn durch den Verwaltungsakt subjektive Rechte zugunsten bestimmter Personen begründet werden oder wenn die Verfügung auf Grund eines umfassenden Einsprache- und Ermittlungsverfahrens ergangen ist ( BGE 78 I 406 und dort erwähnte frühere Urteile). Geht man hievon aus, so kann es nicht zweifelhaft sein, dass bei der in Art. 5 ff. LEG vorgesehenen BGE 84 I 7 S. 13 Liegenschaftsschätzung das Interesse der Rechtssicherheit überwiegt. Einmal findet ein Schätzungs- und Rekursverfahren statt, in welchem alle Beteiligten zu Worte kommen (vgl. Art. 18 ff. der VO vom 16. November 1945 über die Verhütung der Überschuldung landwirtschaftlicher Liegenschaften sowie den BRB vom 28. Dezember 1951 über die Schätzung landwirtschaftlicher Heimwesen und Liegenschaften). Sodann ist die rechtskräftige Schätzung nach ausdrücklicher Vorschrift für alle Behörden massgebend, die auf Grund des LEG oder anderer Bestimmungen des Bundeszivilrechts tätig werden (Art. 7 Abs. 2 LEG), also insbesondere auch für die Gerichte, die über ein Zuweisungsbegehren im Sinne des Art. 620 ZGB zu entscheiden haben ( BGE 82 II 13 ). Die Schätzung, um die es im vorliegenden Falle geht, ist gerade im Hinblick auf solche von mehreren Miterben gestellte Zuweisungsbegehren verlangt worden. Dass ein öffentliches Interesse die Abänderung einer derartigen Schätzung erheischen würde, ist nicht ersichtlich. Dagegen verbieten es Gründe der Rechtssicherheit, dass eine rechtskräftig gewordene Schätzung, die als Grundlage für einen bereits vor den Gerichten hängigen Prozess um die Zuweisung der Liegenschaften zu dienen hat, von den Schätzungsbehörden deshalb nachträglich abgeändert wird, weil sie bei einer neuen Schätzung zu einem andern Ergebnis gelangen. Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Beschwerde wird gutgeheissen und der Entscheid der Landwirtschaftsdirektion des Kantons Bern vom 13. Mai 1957 aufgehoben.
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Urteilskopf 140 V 368 49. Extrait de l'arrêt de la IIe Cour de droit social dans la cause Caisse cantonale neuchâteloise de compensation contre A. (recours en matière de droit public) 9C_166/2014 du 4 août 2014
Regeste Art. 16b Abs. 1 lit. c Ziff. 1 EOG; Art. 10 ATSG ; Mutterschaftsentschädigung; Begriff der Arbeitnehmerin. Eine Frau, die Anspruch auf eine kantonale berufliche Integrationsmassnahme für ausgesteuerte Arbeitslose hat, wird als Arbeitnehmerin im Sinne von Art. 16b Abs. 1 lit. c Ziff. 1 EOG betrachtet, sofern sie im Austausch gegen massgebenden Lohn in unselbstständiger Stellung Arbeitsleistung verrichtet. Insoweit ist Rz. 1073 1/10 zweiter Satz des Kreisschreibens des BSV über die Mutterschaftsentschädigung gesetzeswidrig (E. 3-5).
Sachverhalt ab Seite 369 BGE 140 V 368 S. 369 A. Annoncée à l'assurance-chômage, A. a bénéficié d'un délai-cadre d'indemnisation du 1 er juillet 2011 au 30 juin 2013. Son droit aux indemnités de l'assurance-chômage a pris fin le 25 février 2013. Ensuite de la naissance de son second enfant, le 6 mars 2013, A. a présenté une demande d'allocation de maternité à la Caisse cantonale neuchâteloise de compensation (ci-après: la caisse). Elle a indiqué avoir été soumise à un contrat de travail conclu avec l'Office des emplois temporaires du Service de l'emploi du canton de Neuchâtel du 28 février au 27 août 2013; elle avait cependant été incapable de travailler dès le 27 février 2013 pour cause de maladie. Par décision du 6 mai 2013, et après avoir requis l'avis de l'Office fédéral des assurances sociales (OFAS), la caisse a refusé d'allouer à A. des allocations de maternité, au motif qu'elle n'était pas salariée au moment de son accouchement parce que le contrat qui la liait à l'Office des emplois temporaires ne présentait pas les caractéristiques impliquant un rapport d'échange en vertu duquel la travailleuse fournissait une prestation de travail à l'employeur contre rémunération. L'intéressée s'est opposée à cette décision, en invoquant son statut de salariée. La caisse a requis des renseignements complémentaires de l'Office des emplois temporaires. Celui-ci a indiqué avoir offert à A. un emploi temporaire de vendeuse pour six mois auprès de B., à Y., dès le 28 février 2013, dans le cadre de mesures d'intégration professionnelle; un contrat de travail avait été établi le 6 mars 2013; l'intéressée avait débuté son activité le 28 février 2013, mais avait remis au responsable un certificat médical valable dès le 27 février 2013; elle avait repris son travail le 12 juin 2013 (courrier du 28 juin 2013). Le 8 juillet 2013, la caisse a rendu une décision (sur opposition), par laquelle elle a rejeté l'opposition, en considérant, entre autres éléments, que le type d'emploi temporaire cantonal en cause s'apparentait davantage à une aide financière octroyée aux chômeurs qu'à une rémunération pour un travail fourni, l'employée devant faire des recherches d'emploi pendant le temps de son engagement et rester disponible sur le marché du travail. B. Statuant le 31 janvier 2014 sur le recours formé par A. contre cette décision, le Tribunal cantonal de la République et canton de Neuchâtel l'a admis. Annulant la décision sur opposition du 8 juillet 2013, il a renvoyé la cause à la caisse pour nouvelle décision dans le sens des considérants. C. Agissant par la voie du recours en matière de droit public, la caisse demande au Tribunal fédéral d'annuler le jugement cantonal BGE 140 V 368 S. 370 et de confirmer sa décision sur opposition du 8 juillet 2013. A titre subsidiaire, elle conclut au renvoi de la cause à la juridiction cantonale pour nouvelle décision au sens des considérants. A. conclut au rejet du recours, tandis que l'OFAS en propose l'admission. Le recours a été rejeté. Erwägungen Extrait des considérants: 3. 3.1 L' art. 16b LAPG (RS 834.1) définit le cercle des ayants droit à l'allocation de maternité. Cette disposition a la teneur suivante: 1 Ont droit à l'allocation les femmes qui: a. ont été assurées obligatoirement au sens de la LAVS durant les neuf mois précédant l'accouchement; b. ont, au cours de cette période, exercé une activité lucrative durant cinq mois; et c. à la date de l'accouchement: 1. sont salariées au sens de l' art. 10 LPGA , 2. exercent une activité indépendante au sens de l' art. 12 LPGA , ou 3. travaillent dans l'entreprise de leur mari contre un salaire en espèces. Selon l'art. 10 de la loi fédérale du 6 octobre 2000 sur la partie générale du droit des assurances sociales (LPGA; RS 830.1), est réputé salarié celui qui fournit un travail dépendant et qui reçoit pour ce travail un salaire déterminant au sens des lois spéciales. 3.2 Compte tenu du jugement entrepris et des motifs du recours, le litige en instance fédérale porte uniquement sur la réalisation de la condition prévue à l' art. 16b al. 1 let . c ch. 1 LAPG, en relation avec l' art. 10 LPGA , pour l'octroi d'allocations de maternité à l'intimée. Les parties ne contestent pas les considérations de la juridiction cantonale selon lesquelles l'intimée remplit les deux premières conditions posées par l' art. 16b al. 1 let. a et b LAPG . Le litige a donc pour objet le point de savoir si l'intimée peut être considérée comme salariée au sens de ces dispositions, en raison de l'activité pour laquelle elle a été engagée par contrat daté du 6 mars 2013 auprès de l'Office des emplois temporaires. 3.2.1 Les premiers juges ont retenu que l'emploi temporaire proposé à l'intimée constituait une activité salariée au sens de l' art. 10 LPGA . BGE 140 V 368 S. 371 Le contrat d'emploi temporaire conclu entre l'Office des emplois temporaires, qui s'inscrivait dans le contexte de mesures cantonales en faveur des chômeurs, revêtait en effet toutes les caractéristiques d'un contrat de travail de droit privé au sens des art. 319 ss CO (ainsi, l'engagement à fournir une prestation de vendeuse à 60 % en contrepartie d'un salaire mensuel soumis aux cotisations sociales, le droit aux vacances et à la couverture d'assurance contre les accidents, l'affiliation à la caisse de pensions de l'Etat de Neuchâtel). Le fait que l'intimée devait continuer à faire un certain nombre de recherches d'emploi ne changeait rien à la qualification des rapports en cause de contrat de travail, mais relevait de la liberté contractuelle. Par ailleurs, rien ne permettait de considérer que la réelle et commune intention des parties au contrat était de permettre à l'intimée, arrivée en fin de droit au chômage, de toucher des allocations de maternité. Si la chronologie des événements constituait un indice dans ce sens - convention orale entre le 25 et le 27 février 2013, conclusion du contrat le 6 mars 2013, date de l'accouchement de l'intimée -, elle ne suffisait pas à elle seule pour conclure que les parties au contrat s'étaient entendues préalablement à la conclusion du contrat pour contourner la loi. L'intimée s'était en effet rendue sur le lieu du travail, le 28 février 2013, dans l'intention de travailler, mais n'avait pas pu débuter son activité parce qu'elle avait été mise en arrêt de travail la veille par son médecin. En outre, la demande pour un emploi temporaire avait été déposée au mois de novembre 2012 déjà, alors que l'office compétent avait par erreur tardé à y donner suite. Enfin, l'intimée avait repris le travail le 12 juin 2013 et avait exercé son activité jusqu'au terme du contrat, le 27 août suivant. L'empêchement de travailler de l'intimée relevait ensuite d'une incapacité de travail de l'employée, et non d'un manque de disponibilité ou de volonté de l'Etat-employeur, qui aurait d'emblée renoncé à ce que lui soit servie la prestation de travail (comme cela avait été le cas dans une situation jugée par l' ATF 133 V 515 ). En conclusion, les premiers juges ont reconnu que l'intimée réalisait les trois conditions cumulatives de l' art. 16b al. 1 LAPG , de sorte qu'elle avait droit à l'allocation de maternité. 3.2.2 De son côté, la recourante soutient que la rémunération versée par l'Office des emplois temporaires à l'intimée doit être considérée comme des "prestations cantonales analogues aux indemnités journalières de l'assurance-chômage" qui ne donnent pas droit à une allocation de maternité selon le ch. 1073 de la Circulaire de l'OFAS BGE 140 V 368 S. 372 sur l'allocation de maternité (CAMat http://www.bsv.admin.ch/vollzug/documents/index/category:97/lang:fre ). En premier lieu, selon la législation cantonale topique (art. 3 al. 1 et 23 al. 1 du Règlement cantonal neuchâtelois du 20 décembre 2006 concernant les mesures d'intégration professionnelle [RMIP; RSN 823.201]), la mesure envisagée pour l'intimée n'est pas ouverte à tout un chacun, mais est destinée uniquement aux demandeurs d'emploi qui n'ont plus droit aux indemnités de l'assurance-chômage. Elle est ensuite liée à des conditions restrictives relatives notamment à la situation financière du requérant (revenu déterminant inférieur à 2'700 fr. et fortune déterminante inférieure à 75'000 fr.) et le montant de la rémunération maximale versée (de 3'100 fr.) ne correspond pas aux salaires versés sur le marché du travail. De l'avis de la recourante, les prestations allouées se présentent dès lors comme une aide financière octroyée par le canton et non comme un salaire, ce d'autant plus que le bénéficiaire de mesures d'intégration professionnelle doit rester disponible sur le marché du travail et continuer à faire des recherches d'emploi, qu'il doit annoncer à l'Office régional de placement de l'assurance-chômage. La sécurité du droit ne serait plus assurée si des mesures d'intégration professionnelle cantonales donnaient droit à une allocation de maternité, alors qu'elles n'ouvrent pas le droit à des indemnités de chômage, parce qu'elles ne constituent pas une période de cotisations nécessaire pour l'octroi de nouvelles prestations, en vertu de l' art. 23 al. 3 bis LACI (RS 837.0). La recourante discute encore de la réelle et commune intention de l'intimée et de l'Office des emplois temporaires lors de la conclusion du contrat au regard du déroulement des faits ayant conduit à la conclusion du contrat du 6 mars 2013; elle expose que l'intéressée n'aurait certainement pas été engagée, si elle avait eu un entretien d'embauche pour un "contrat de travail traditionnel". 3.2.3 En réponse au recours, l'intimée fait valoir que le contrat qu'elle a conclu répond en tous points aux caractéristiques d'un contrat de travail selon l' art. 319 CO , dès lors qu'elle s'est rendue à B. pour y travailler, le 28 février 2013, contre le paiement d'un salaire, qui n'était dû que si elle fournissait une prestation de travail (ce qu'elle n'avait finalement pas pu faire, pour cause de maladie). Le fait, par ailleurs, qu'elle devait rester disponible pour le marché du travail n'était pas incompatible avec son statut d'"authentique travailleur salarié", mais poursuivait un but de flexibilité dans l'idée de faciliter la recherche d'un autre emploi. Enfin, elle conteste avoir conclu le contrat de BGE 140 V 368 S. 373 travail en vue de générer un droit à l'allocation de maternité. Elle en veut pour preuve notamment le fait qu'elle avait requis la mesure d'intégration professionnelle en novembre 2012 déjà, mais qu'elle n'avait pas été convoquée à B. avant la fin du mois de février 2013 en raison d'une erreur de la Caisse cantonale neuchâteloise de l'assurance-chômage. 3.2.4 A l'appui du recours de la caisse, l'OFAS soutient pour sa part que la conclusion du "contrat de travail de droit privé" du 6 mars 2013 avait pour seul but de chercher à attribuer à l'intimée le statut de salariée lors de l'accouchement, afin qu'elle pût bénéficier d'une allocation de maternité. L'intéressée n'avait en effet pas pu entamer la mesure d'intégration professionnelle en raison d'une incapacité de travail qui lui avait été attestée la veille du jour auquel cette mesure aurait dû débuter. Elle s'était par ailleurs engagée à suivre cette mesure le jour même de son accouchement, alors qu'elle ne pouvait commencer son exécution que huit semaines après cette date au plus tôt en raison de l'interdiction de travail prévue par l'art. 35a al. 3 de la loi fédérale du 13 mars 1964 sur le travail dans l'industrie, l'artisanat et le commerce (loi sur le travail, LTr; RS 822.11). Toujours selon l'autorité de surveillance, l'octroi de la mesure d'intégration professionnelle de droit cantonal s'apparentait à une pure prestation sociale cantonale: en vertu de la législation cantonale, son but était d'apporter un soutien à l'intéressée en tant que victime du chômage; l'octroi de la mesure dépendait de différentes circonstances liées à la personne requérante (âge, situation personnelle et familiale, comportement et niveau de ressources), ses conditions s'appuyant sur la loi cantonale neuchâteloise du 23 février 2005 sur l'harmonisation et la coordination des prestations sociales (LHaCoPS; RSN 831.4); l'intéressée devait rester annoncée au chômage et apte au placement. De plus, il existait une connexité très étroite entre l'état de besoin de la personne requérante et les conditions d'octroi d'un emploi temporaire; la rémunération mensuelle brute versée au bénéficiaire d'un emploi temporaire n'était pas ciblée sur le travail à accomplir, mais sur les besoins financiers du requérant comme il ressortait des dispositions de l'arrêté du Conseil d'Etat de la République et canton de Neuchâtel du 20 décembre 2006 fixant les limites financières et les montants d'aide des mesures d'intégration professionnelle (AMIP; RSN 823.201.1). Dès lors, les relations entre le chômeur en fin de droit, l'autorité étatique et l'entité économique chargée de l'accueillir relevaient davantage d'une relation d'assistance que d'un BGE 140 V 368 S. 374 rapport de travail justifiant de retenir le statut de salarié. Aussi, ce statut ne pouvait-il être reconnu à l'intimée, de sorte qu'elle n'avait pas droit à une allocation de maternité. 4. 4.1 S'agissant de l'exigence pour la bénéficiaire de l'allocation de maternité d'être salariée à la date de l'accouchement, l' art. 16b al. 1 let . c ch. 1 LAPG renvoie à l' art. 10 LPGA (consid. 3.1 supra). Le premier élément qui caractérise la notion de salarié au sens de l' art. 10 LPGA est le fait que l'intéressé fournit une prestation de travail (dépendante), le second qu'il reçoit en échange de cette prestation un salaire déterminant. Ces éléments se retrouvent en partie dans la définition du contrat individuel de travail au sens de l' art. 319 CO , dûment rappelée par la juridiction cantonale. 4.2 L'existence, en l'espèce, d'une prestation de travail telle que constatée par la juridiction cantonale n'est en soi pas remise en cause par la recourante. Il est constant, en effet, que l'intimée s'est engagée à exercer l'activité de vendeuse pour le compte de B. Selon le "contrat de travail de droit privé", signé par les parties le 6 mars 2013 dans le cadre de mesures d'intégration professionnelle au sens des art. 23 ss RMIP et qui prenait effet le 28 février 2013, l'intimée travaillait au service de l'employeur comme vendeuse à raison de 60 %. La circonstance que l'intimée n'a pas été en mesure, pour un motif inhérent à sa personne (incapacité de travail médicalement attestée), d'effectuer le travail convenu dès le début des relations contractuelles, mais seulement un peu plus de quatorze semaines plus tard, à partir du 12 juin 2013, n'y change rien. L'accomplissement effectif - différé dans le temps - de cette prestation de service constitue une différence majeure par rapport à la situation qui a été jugée par le Tribunal fédéral dans son arrêt publié aux ATF 133 V 515 , en matière d'assurance-chômage, cité par la recourante et son autorité de surveillance. Dans ce cas, l'Etat de Genève, qui avait conclu avec une personne ayant épuisé son droit aux indemnités fédérales de chômage, un contrat d'emploi temporaire cantonal pour une durée de douze mois (du 19 juillet 2005 jusqu'au 20 juillet 2006), n'avait (provisoirement) pas affecté l'intéressé à un emploi. Le Tribunal fédéral a retenu que la période (du 19 juillet 2005 au 9 octobre 2005) précédant le placement effectif de la personne en cause auprès d'un service utilisateur dès le 10 octobre 2005, pendant laquelle celle-ci avait bénéficié du contrat temporaire sans être BGE 140 V 368 S. 375 affectée à un emploi, ne pouvait pas être prise en considération au titre d'activité soumise à cotisation ( ATF 133 V 515 consid. 2.9 p. 523). L'Etat de Neuchâtel n'a, en l'occurrence, nullement renoncé à la fourniture de services, mais déterminé d'emblée tant la prestation de travail à effectuer (activité de vendeuse) que l'employeur au service du quel le travail devait être exécuté (B.) et auprès duquel l'intimée était affectée dès le début des rapports contractuels. L'intimée n'a donc pas bénéficié d'un contrat d'emploi temporaire, et de la rémunération en découlant, sans être effectivement affectée à un emploi. La période courant à partir du 28 février 2013 ne constituait pas une "période d'attente", qui ne pourrait pas, en application de l' ATF 133 V 515 consid. 2.9 p. 523 être prise en considération au titre d'activité soumise à cotisation au sens de l' art. 13 al. 1 LACI . C'est bien la prestation effective de travail, que l'intimée aurait effectuée si elle n'en avait pas été empêchée sans faute de sa part, qui fait de la relation entre les parties au contrat du 6 mars 2013 une activité salariée, à la différence de la période d'attente dont il était question dans l'arrêt cité et qui, seule, a été considérée comme ne correspondant pas à un contrat de travail, au contraire de la période subséquente où la personne concernée a effectivement travaillé ("Dans ces conditions, il y a lieu d'admettre que le contrat passé par l'Etat avec la personne au chômage ne présentait pas les caractéristiques d'un contrat de travail avant que l'intimée n'entre au service de X."). 4.3 4.3.1 En ce qui concerne la notion de salaire déterminant (provenant d'une activité dépendante) - second élément caractérisant le salarié au sens de l' art. 10 LPGA -, elle est définie par l' art. 5 al. 2 LAVS , en vertu du renvoi opéré par la LAPG (loi spéciale ici déterminante) à la LAVS quant à la notion de revenu (moyen) de l'activité lucrative (art. 16e al. 2 et 11 al. 1 LAPG; cf. aussi l'art. 5 du Règlement du 24 novembre 2004 sur les allocations pour perte de gain [RAPG; RS 834.11]). En vertu de l' art. 5 al. 2 LAVS , le salaire déterminant comprend toute rémunération pour un travail dépendant, fourni pour un temps déterminé ou indéterminé. Font partie de ce salaire déterminant, par définition, toutes les sommes touchées par le salarié, si leur versement est économiquement lié au contrat de travail; peu importe, à ce propos, que les rapports de service soient maintenus ou aient été résiliés, que les prestations soient versées en vertu d'une obligation ou BGE 140 V 368 S. 376 à titre bénévole. On considère donc comme revenu d'une activité salariée, soumis à cotisations, non seulement les rétributions versées pour un travail effectué, mais en principe toute indemnité ou prestation ayant une relation quelconque avec les rapports de service, dans la mesure où ces prestations ne sont pas franches de cotisations en vertu de prescriptions légales expressément formulées ( ATF 133 V 155 consid. 3.1 p. 156 s. et les arrêts cités). 4.3.2 Est donc déterminant en l'espèce le point de savoir si l'intimée a touché une rémunération dont le versement était économiquement lié à la prestation de travail, respectivement au contrat de travail. Il ressort du contrat du 6 mars 2013 que les parties à celui-ci ont convenu d'un salaire brut de 1'620 fr. par mois, qui "sera calculé au prorata des présences pendant le mois" (article 3), l'employée étant également indemnisée, en sus de frais de déplacement de 68 fr. par mois, pour les frais de déplacements effectués dans le cadre de son activité pour le compte du service employeur selon les règles propres à celui-ci. Par conséquent, il existe bien un lien économique entre le salaire convenu et la prestation de travail: le salaire fixé varie en fonction des présences de l'employée pendant le mois, de sorte que l'étendue de sa rémunération dépend bien de la prestation de travail effectuée. Dès lors, même si la mesure d'intégration professionnelle cantonale suivie par l'intimée comporte certaines caractéristiques d'une prestation d'assistance sociale - allocation sous certaines conditions financières du bénéficiaire ( art. 24 let . d RMIP et art. 1 ss AMIP) -, le salaire convenu n'en demeure pas moins lié à la prestation de travail, en contrepartie de laquelle il est versé. Sur ce point également, la présente cause se distingue de celle jugée in ATF 133 V 515 , dans laquelle le Tribunal fédéral était arrivé à la conclusion que "la rémunération versée sans exiger la fourniture d'un travail s'apparentait bien plus à une prestation de l'aide sociale qu'à un salaire versé en contrepartie d'une prestation de travail" (consid. 2.9 in fine p. 523). A l'inverse, la rémunération convenue entre l'intimée et l'Office des emplois temporaires était liée à l'exercice effectif d'une activité pour l'employeur, même si, comme le fait valoir l'OFAS, le cadre dans lequel le salaire a été fixé était déterminé par l'AMIP (cf. aujourd'hui art. 8 AMIP). 4.4 Dans ces conditions, les deux éléments caractéristiques prévus par l' art. 10 LPGA étaient réunis, de sorte que l'intimée réalisait les conditions de l' art. 16b al. 1 let . c ch. 1 LAPG. BGE 140 V 368 S. 377 5. L'argumentation de la recourante quant à la réelle et commune intention des parties sur la conclusion d'un contrat de travail au sens de l' art. 319 CO ne permet pas de retenir une autre solution. 5.1 Lorsqu'il est amené à qualifier ou interpréter un contrat, le juge doit tout d'abord s'efforcer de déterminer la commune et réelle intention des parties, sans s'arrêter aux expressions ou dénominations inexactes dont elles ont pu se servir, soit par erreur, soit pour déguiser la nature véritable de la convention ( art. 18 al. 1 CO ); s'il y parvient, il s'agit d'une constatation de fait qui lie en principe le Tribunal fédéral conformément à l' art. 105 LTF ( ATF 132 III 24 consid. 4 p. 28; arrêt 4A_533/2012 du 6 février 2013, in Pra 2014 n° 59 p. 444). 5.2 La juridiction cantonale a constaté, au regard du déroulement des faits pertinents, que les parties au contrat du 6 mars 2013 avaient bien l'intention de conclure un contrat de travail (au sens de l' art. 319 CO ). Dans son écriture, la caisse expose les règles sur l'interprétation du contrat au sens de l' art. 18 al. 1 CO , ainsi que la chronologie des faits, sans toutefois discuter du résultat de l'appréciation des preuves des premiers juges sur ce point. Se limitant à affirmer que dans le cas de l'intimée "la chronologie est un élément indiscutable, les faits parlent d'eux-mêmes", elle ne démontre pas en quoi la constatation de fait de l'autorité judiciaire de première instance sur l'intention des parties au contrat serait manifestement inexacte ou contraire au droit. La seule allégation de la recourante selon laquelle l'intimée n'aurait certainement pas été engagée, si elle avait eu un entretien d'embauche "pour un contrat de travail traditionnel" n'explique pas en quoi les premiers juges auraient fait preuve d'arbitraire en retenant que l'intention des parties était de conclure un contrat de travail. Les motifs invoqués par l'OFAS ne sont pas davantage susceptibles de faire apparaître l'inexactitude manifeste de cette constatation, qui lie le Tribunal fédéral (consid. 2 non publié). L'autorité de surveillance se fonde exclusivement sur le fait que l'intimée et l'Office des emplois temporaires avaient convenu de son engagement peu avant l'accouchement (entre le 25 et le 27 février 2013, selon les constatations de la juridiction cantonale) et que la prestation de travail ne pouvait être effectuée que huit semaines après cette date au plus tôt, en raison de l'interdiction de travailler prévue par l' art. 35a al. 3 LTr . Or il ressort des constatations des premiers juges que l'office cantonal avait tardé par erreur à donner suite à la requête de l'intimée en vue de l'octroi d'une mesure d'insertion professionnelle, de sorte que BGE 140 V 368 S. 378 la date de la conclusion du contrat (au printemps 2013) ne saurait être considérée comme un indice d'une volonté délibérée de la part de l'Etat neuchâtelois d'engager une femme enceinte uniquement pour lui faire profiter de l'allocation de maternité. Le fait que l'intimée a effectivement débuté son travail après le congé maternité parle également en défaveur de cette manière de voir. 5.3 Dans la mesure où la recourante invoque encore le principe de la sécurité du droit et l'équité pour soutenir que les mesures d'intégration professionnelle prévues par le droit cantonal neuchâtelois ne devraient pas être assimilées à un contrat de travail au sens de l' art. 319 CO , son argumentation est mal fondée. 5.3.1 En premier lieu, on ne voit pas en quoi il serait contraire à la sécurité du droit ou arbitraire, comme le fait valoir la recourante, d'admettre que des mesures de marché du travail financées par des pouvoirs publics ouvrent le droit à une allocation de maternité, alors qu'elles n'ouvrent plus le droit à une nouvelle période de cotisations pour l'assurance-chômage, depuis l'entrée en vigueur, au 1 er avril 2011 (RO 2011 1167), de l'art. 23 al. 3 bis , première phrase, LACI. Selon cette disposition, un gain réalisé dans le cadre d'une mesure relative au marché du travail financée par les pouvoirs publics n'est pas assuré; il en résulte, même si la lettre et la systématique de la norme concernent seulement la fixation du gain assuré, qu'une personne qui exerce une activité tombant sous le coup de l' art. 23 al. 3 bis LACI n'accomplit pas une période de cotisation au sens de l' art. 13 al. 1 LACI ( ATF 139 V 212 ). Le but de l'introduction de l' art. 23 al. 3 bis LACI était notamment d'empêcher que des programmes d'emploi temporaire soient organisés dans le seul but de générer des périodes de cotisations de l'assurance-chômage (Message du 3 septembre 2008 relatif à la modification de la loi sur l'assurance-chômage, FF 2008 7029 ss, 7046 ch. 2 ad art. 23 LACI ). Compte tenu de la nature de la prestation ici en cause, qui ne concerne qu'un nombre limité d'ayants droit potentiels, ainsi que de son étendue temporelle (98 jours; art. 16d LAPG ) et matérielle (montant maximal de 196 fr. par jour; art. 16f al. 1 LAPG ), l'allocation de maternité n'a pas la portée considérable qu'entend lui donner la recourante. Elle ne saurait être comparée, en ce qui concerne un éventuel attrait financier au regard de potentiels abus, à la possibilité d'ouvrir un (nouveau) délai-cadre d'indemnisation de l'assurance-chômage. Les risques d'abus invoqués par la recourante, selon laquelle d'autres cantons pourraient être tentés de créer des mesures d'insertion BGE 140 V 368 S. 379 professionnelle afin d'ouvrir un droit aux allocations de maternité, apparaissent totalement irréalistes. On ne voit pas, en effet, qu'un canton soit prêt à instaurer des mesures d'intégration professionnelle pour l'ensemble des assurés au chômage en fin de droit, afin d'être déchargé pour un nombre très restreint d'entre eux (les femmes enceintes) et pour une durée limitée de 98 jours, des charges financières liées à la maternité, alors que de telles mesures impliquent des coûts autrement plus considérables. 5.3.2 En second lieu, l'issue du présent litige n'a pas pour conséquence d'assimiler de manière générale toute femme (enceinte) qui bénéficie d'une mesure d'intégration professionnelle cantonale à une salariée au sens de l' art. 16b al. 1 let . c ch. 1 LAPG. Il convient, pour chaque requête en vue d'obtenir une allocation de maternité, d'examiner si les conditions prévues par cette disposition sont réalisées, en particulier celle liée à l'exécution d'une prestation de travail. Dans cette mesure, le ch. 1073 1/10, deuxième phrase, CAMat, selon lequel "la perception de prestations cantonales analogues aux indemnités journalières de l'AC ne donne pas droit à l'allocation de maternité" est trop absolu et est contraire à l' art. 16b al. 1 let . c ch. 1 LAPG; il ne saurait dès lors s'appliquer.
null
nan
fr
2,014
CH_BGE
CH_BGE_007
CH
Federation
71f27d01-811a-4bee-b2da-4661a2910c01
Urteilskopf 96 III 66 12. Entscheid vom 9. September 1970 i.S. Czerwenka
Regeste Widerspruchsverfahren (Art. 106/107 SchKG) im Falle, dass ein Dritter an Gegenständen, die als dem Retentionsrecht des Vermieters ( Art. 272 ff. OR ) unterliegend in ein Retentionsverzeichnis ( Art. 283 Abs. 2 SchKG ) aufgenommen wurden, das Eigentum, insbesondere einen Eigentumsvorbehalt (Art. 715 ZBG) geltend macht. Verwertung der retinierten Gegenstände im Falle, dass der Eigentumsvorbehalt nach dem Ergebnis des Widerspruchsverfahrens dem Retentionsrecht vorgeht und dass der Verkäufer sein Recht zur Rücknahme der Kaufgegenstände nicht ausübt (Kreisschreiben Nr. 29 der Schuldbetreibungs- und Konkurskammer vom 31. März 1911; Kreisschreiben Nr. 14 des Bundesgerichts vom 11. Mai 1922).
Sachverhalt ab Seite 67 BGE 96 III 66 S. 67 A.- Am 26. September 1969 stellte Frau Czerwenka beim Betreibungsamt Unter-Tasna gegen W. H. Frei, Chemische Waschanstalt, Scuol, das Betreibungsbegehren für eine seit dem 1. Oktober 1968 aufgelaufene Mietzinsforderungvon Fr. 7200.--. Gleichzeitig ersuchte sie um Aufnahme eines Retentionsverzeichnisses. Daraufhin retinierte das Betreibungsamt bei Frei neun Einrichtungsgegenstände, u.a. eine Cissel-Dämpfpuppe im Schätzungswert von Fr. 500.-- und einen Clayton-Generator (Dampferzeuger) im Schätzungswert von Fr. 6000.--. In der Retentionsurkunde bemerkte es, alle retinierten Gegenstände seien im Register der Eigentumsvorbehalte eingetragen, die Dämpfpuppe zugunsten der Wamag AG, der Generator zugunsten der Firma Kannegiesser & Co. und die übrigen Gegenstände zugunsten der Apparex AG. Am 21. Januar 1970 erliess es an diese drei Firmen die Aufforderung zur Angabe der Kaufpreisrestanz (Formular Nr. 19). Die Wamag AG bezifferte ihre Restforderung auf Fr. 819.--, die Firma Kannegiesser & Co. auf Fr. 8400.--, wogegen die Apparex AG erklärte, sie habe an Frei keine Forderung mehr zu stellen. BGE 96 III 66 S. 68 Am 24. Juni 1970 führte das Betreibungsamt in der Mietzinsbetreibung gegen Frei die Steigerung durch. Die Steigerungsbedingungen vom gleichen Tage stellten fest, die Dämpfpuppe und der Generator würden nur zugeschlagen, wenn die Angebote die erwähnten Kaufpreisrestanzen übersteigen sollten. Solche Angebote blieben aus. Die übrigen Gegenstände wurden zunächst einzeln und dann gesamthaft aufgerufen und, da das (einzige) Gesamtangebot die Summe der Einzelangebote überstieg, dem Urheber des Gesamtangebots zugeschlagen. B.- Am 29. Juni 1970 führte die Vermieterin bei der kantonalen Aufsichtsbehörde Beschwerde mit dem Begehren: "Die Steigerung sei auf Kosten des Betreibungsamtes zu wiederholen, und es seien hiebei sämtliche in der Retentionsurkunde aufgeführten Gegenstände ohne untere Angebotslimite zu versteigern, unbekümmert darum, ob sie unter Eigentumsvorbehalt stehen." Die Vermieterin machte geltend, es sei ihr nie mitgeteilt worden, dass an der Dämpfpuppe und am Generator ein Eigentumsvorbehalt bestehe; diese Gegenstände hätten also "ganz normal", d.h. "ohne untere Angebotslimite", in die Steigerung einbezogen werden sollen. Am 24. August 1970 wies die kantonale Aufsichtsbehörde die Beschwerde ab mit der Begründung. im Streitfalle sei gemäss dem Kreisschreiben Nr. 29 der Schuldbetreibungs- und Konkurskammer des Bundesgerichts vom 31. März 1911 über den Eigentumsvorbehalt das Widerspruchsverfahren durchzuführen; die Vermieterin fechte "diese Unterlassung" (d.h. die Nichtdurchführung des Widerspruchsverfahrens) jedoch nicht an und behaupte auch nicht, die streitigen Gegenstände seien nicht unter Eigentumsvorbehalt verkauft worden; sie mache lediglich geltend, sie habe vom Eigentumsvorbehalt keine Kenntnis gehabt, und verweise auf Art. 273 OR ; sie könne sich jedoch auf die Unkenntnis des Eigentumsvorbehalts nicht berufen, weil dieser ordnungsgemäss im Register der Eigentumsvorbehalte eingetragen gewesen sei. C.- Diesen Entscheid hat die Vermieterin an das Bundesgericht weitergezogen. Sie erneuert ihr Beschwerdebegehren und macht geltend, das erwähnte Kreisschreiben beziehe sich nicht auf den besondern Tatbestand von Art. 272 ff. OR ; unter Eigentumsvorbehalt stehende Sachen unterlägen grundsätzlich wie andere dem Mieter anvertraute Sachen dem Retentionsrecht BGE 96 III 66 S. 69 des Vermieters; dem Register der Eigentumsvorbehalte komme kein "Publizitätseffekt" zu; die Vorinstanz nehme nicht an, die Vermieterin habe vom Eigentumsvorbehalt Kenntnis gehabt; der gute Glaube der Vermieterin sei zu vermuten; sie habe keinen Grund gehabt, das Register einzusehen. Erwägungen Die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer zieht in Erwägung: 1. Beansprucht ein Dritter an einer zugunsten des Vermieters retinierten Sache das Eigentum, so ist im Streitfall als Frage des materiellen Rechts vom Richter zu entscheiden, ob der Eigentumsanspruch und das Retentionsrecht begründet seien und ob jener Anspruch nach Art. 273 OR dem Retentionsrecht gegenüber vorbehalten bleibe, d.h. diesem Recht vorgehe. Der Streit über den Eigentumsanspruch und das Retentionsrecht ist je nachdem, wer an diesem Streit beteiligt ist, auf verschiedenen Wegen zum Austrag zu bringen. a) Die Auseinandersetzung zwischen dem retinierenden und betreibenden Vermieter und dem Drittansprecher erfolgt nach der Praxis des Bundesgerichts nicht etwa in der Weise, dass zunächst nur ein Widerspruchsverfahren über den Eigentumsanspruch des Dritten durchgeführt wird und dass im Falle der Anerkennung oder gerichtlichen Gutheissung dieses Anspruchs das Betreibungsamt dem Dritten gemäss Art. 153 Abs. 2 SchKG eine Ausfertigung des Zahlungsbefehls zustellt, um ihm Gelegenheit zu geben, das Retentionsrecht des Vermieters durch Rechtsvorschlag zu bestreiten. Vielmehr ist, wenn ein Dritter einen zugunsten des Vermieters retinierten Gegenstand zu Eigentum beansprucht und das Retentionsrecht des Vermieters bestreitet, diesem nach Eingang des Verwertungsbegehrens (vgl. Art. 155 Abs. 1 und 37 Abs. 2 SchKG; Formular Nr. 40 Retentionsurkunde, S. 2 rechts oben) gemäss Art. 106 SchKG eine Frist von zehn Tagen zu setzen, innert welcher er gegenüber dem Betreibungsamt zu erklären hat, ob er an seinem Retentionsrecht am betreffenden Gegenstand festhalte. Gibt der Vermieter eine solche Erklärung ab, so ist dem Dritten gemäss Art. 107 SchKG Frist zur Klage auf Aberkennung des Retentionsrechts zu setzen ( BGE 44 III 107 ff.; Formulare Nr. 22 und 26). Der Entscheid BGE 44 III 107 ff. - der sich nur auf das Retentionsrecht des Vermieters, nicht auch auf das Retentionsrecht nach Art. 895 ZGB bezieht ( BGE 73 III 97 ff.) - ist nur insoweit überholt, als er dem Dritten bloss die BGE 96 III 66 S. 70 aus Art. 273 OR sich ergebenden Einreden gegen den Vermieter gewähren will und ihm die Befugnis abspricht, das Vorhandensein der in Art. 272 OR genannten Voraussetzungen des Retentionsrechts zu bestreiten ( BGE 70 II 226 ff.). b) Befinden sich die vom Dritten beanspruchten Gegenstände im Sinne von Art. 106 Abs. 1 SchKG im Gewahrsam des Schuldners, wie es bei retinierten Gegenständen gewöhnlich zutrifft, so ist nicht nur dem Vermieter Gelegenheit zur Erklärung zu geben, ob er an seinem Retentionsrecht festhalte (Formular Nr. 22, lit. a hievor), sondern überdies dem Schuldner gemäss Art. 106 Abs. 2 SchKG (vgl. Art. 155 Abs. 1 und 37 Abs. 2 SchKG) Frist zur Bestreitung des Drittanspruchs zu setzen, worauf gegebenenfalls der Dritte gegen den Schuldner gemäss Art. 107 SchKG auf Anerkennung seines Anspruchs zu klagen hat. c) Das Retentionsrecht des Vermieters kann der betriebene Schuldner durch einen entsprechend gefassten Rechtsvorschlag bestreiten (vgl. die Erläuterungen über den Rechtsvorschlag auf dem Formular Nr. 41, Zahlungsbefehl für die Miet- und Pachtzinsbetreibung), worauf der Vermieter gegen ihn auf Anerkennung des Retentionsrechts zu klagen (oder eventuell die Rechtsöffnung zu verlangen) hat. 2. Die dargestellten Regeln gelten grundsätzlich auch dann, wenn der Dritte seine Eigentumsansprache an einer zugunsten des Vermieters retinierten Sache aufeinen Eigentumsvorbehalt stützt. In einem solchen Falle ist aber immerhin den Besonderheiten dieses Rechtsverhältnisses Rechnung zu tragen, wobei die im Kreisschreiben Nr. 29 der Schuldbetreibungs- und Konkurskammer vom 31. März 1911 (BGE, Sep. ausg. 14 S. 130 ff.) und im Kreisschreiben Nr. 14 des Bundesgerichts vom 11. Mai 1922 ( BGE 48 III 107 ff.) enthaltenen Regeln für die Pfändung und Verwertung von dem betriebenen Schuldner unter Eigentumsvorbehalt verkauften Gegenständen zu beachten sind, soweit sie für den Fall der Retention passen. Die Auffassung der Rekurrentin, diese Regeln seien auf diesen Fall überhaupt nicht anwendbar, ist abzulehnen. a) Wird behauptet, an einer retinierten Sache bestehe ein Eigentumsvorbehalt, so ist der Verkäufer gemäss Ziff. 1 des Kreisschreibens vom 31. März 1911 zur Angabe der Kaufpreisrestanz aufzufordern (Formular Nr. 19). Zugleich ist der Verkäufer zu einer Erklärung darüber zu veranlassen, ob er BGE 96 III 66 S. 71 das Retentionsrecht des Vermieters bestreite oder doch geltend machen wolle, der Eigentumsvorbehalt gehe dem Retentionsrecht vor. Äussert sich der Verkäufer in solchem Sinne, so ist dem Vermieter mit Formular Nr. 22 Frist zur Erklärung zu setzen, ob er an seinem Retentionsrecht festhalte. Im eben erwähnten Formular ist dabei die Bemerkung, der Dritte spreche die fraglichen Gegenstände als Eigentum an, durch die Bemerkung zu ersetzen, der Dritte mache an diesen Gegenständen für die von ihm angegebene (im Formular zu nennende) Kaufpreisrestanz einen Eigentumsvorbehalt geltend. Hernach ist gegebenenfalls dem Verkäufer je nach dem Inhalt der von ihm abgegebenen Erklärung Frist zur Klage auf Aberkennung des Retentionsrechts (Formular Nr. 26) oder auf Feststellung, dass der Eigentumsvorbehalt dem Retentionsrecht vorgehe, zu setzen. Die gerichtliche Aberkennung des Retentionsrechts schliesst die Verwertung der betreffenden Gegenstände in der Mietzinsbetreibung aus. Lautet das Urteil lediglich dahin, der Eigentumsvorbehalt gehe dem Retentionsrecht vor, so sind die streitigen Gegenstände in entsprechender Anwendung der für verpfändete Sachen geltenden Regeln zu verwerten, es sei denn, der Verkäufer wolle das ihm gemäss Kreisschreiben vom 11. Mai 1922 durch das Kreisschreiben vom 31. März 1911 nicht entzogene Rücknahmerecht ausüben. Kommt es zur Verwertung, so darf der Zuschlag nur erteilt werden, wenn das Angebot den Betrag der im Widerspruchsverfahren festgestellten Kaufpreisrestanz übersteigt (Ziff. 3 des Kreisschreibens vom 31. März 1911). (Die Fragen, die sich stellen können, wenn der Verkäufer einen unter Eigentumsvorbehalt verkauften, vom Vermieter retinierten Gegenstand als sein Eigentum zurücknehmen will, brauchen heute nicht geprüft zu werden.) b) Dem Schuldner ist entsprechend Ziffer 2 Abs. 1 des Kreisschreibens vom 31. März 1911 durch eine Fristansetzung Gelegenheit zu geben, den Eigentumsvorbehalt und/oder die Höhe der vom Verkäufer behaupteten Kaufpreisrestanz zu bestreiten. Im Falle einer solchen Bestreitung hat der Verkäufer gegen den Schuldner auf Feststellung der Rechtsgültigkeit des Eigentumsvorbehalts bezw. der Höhe der Kaufpreisrestanz zu klagen (Ziff. 2 Abs. 2 des eben erwähnten Kreisschreibens). c) Für den Austrag eines Streits zwischen dem für Mietzins betriebenen Schuldner und dem Vermieter über dessen Retentionsrecht gilt das in Erwägung 1c hievor Gesagte ohne Rücksicht BGE 96 III 66 S. 72 darauf, ob und aus welchem Titel ein Dritter an den retinierten Gegenständen das Eigentum beansprucht. 3. Im vorliegenden Falle haben die Firma Kannegiesser & Co. und die Wamag AG gemäss Aufforderung des Betreibungsamtes die von ihnen geltend gemachten Restforderungen angegeben. Zum Retentionsrecht der Rekurrentin Stellung zu nehmen, wurden sie dagegen nicht eingeladen. Sie haben sich dementsprechend gegenüber dem Betreibungsamt auch nicht darüber erklärt, ob sie dieses Retentionsrecht bestreiten oder doch behaupten wollen, ihr Eigentumsvorbehalt gehe dem Retentionsrecht vor. Daher ist ihnen Frist für eine solche Erklärung zu setzen (Erw. 2a hievor). Geben sie keine solche Erklärung ab, so ist anzunehmen, sie anerkennen den Bestand und den Vorrang des Retentionsrechts, und sind die betreffenden Gegenstände ohne Rücksicht auf den Eigentumsvorbehalt zu verwerten. Andernfalls ist der Rekurrentin unter Verwendung von Formular Nr. 22 Frist zur Erklärung zu setzen, ob sie an ihrem Retentionsrecht festhalte. Lässt die Rekurrentin diese Frist unbenützt verstreichen, so ist gemäss Formular Nr. 22 anzunehmen, sie verzichte auf das Retentionsrecht (und damit auf die Verwertung der betreffenden Gegenstände). Erklärt sie dagegen rechtzeitig, sie halte.an ihrem Retentionsrecht fest (was sie gemäss ihrer Stellungnahme im Beschwerdeverfahren vermutlich tun wird), so ist den Verkäufern im Sinne von Erwägung 2a hievor Frist zur Klage gegen die Rekurrentin zu setzen. (Zur Frage der örtlichen Zuständigkeit für den Widerspruchsprozess vgl. BGE 81 III 9 /10, BGE 86 III 134 ff.). Der Umstand, dass die Rekurrentin die Nichtdurchführung eines Widerspruchsverfahrens nicht ausdrücklich gerügt und nicht bestritten hat, dass die streitigen Gegenstände dem Schuldner unter Eigentumsvorbehalt verkauft worden waren, ist entgegen der Auffassung der Vorinstanz kein Grund dafür, von der Anordnung dieses Verfahrens abzusehen. Ob dem Schuldner im Sinne von Erwägung 2b hievor eine Frist zur Bestreitung des Eigentumsvorbehalts und/oder der Höhe der Kaufpreisrestanz und hernach (falls eine solche Bestreitung erfolgte) den Verkäufern eine Frist zur Klage gegen den Schuldner auf Feststellung der Rechtsgültigkeit des Eigentumsvorbehalts bezw. der Höhe der Kaufpreisrestanz gesetzt wurde, geht aus den vorliegenden Akten nicht hervor. Sollte das unterblieben sein, so wäre es nachzuholen. BGE 96 III 66 S. 73 Das Retentionsrecht der Rekurrentin hat der Schuldner offenbar innert der Frist für den Rechtsvorschlag nicht bestritten. Indem die Vorinstanz die Frage beurteilte, ob die Rekurrentin im Sinne von Art. 273 OR habe wissen müssen, dass an der Dämpfpuppe und am Generator ein Eigentumsvorbehalt bestand, hat sie ihre sachliche Zuständigkeit überschritten, da der Entscheid hierüber dem Richter vorbehalten ist (Erw. 1 Abs. 1 hievor)... 4. Ergibt das Widerspruchsverfahren, dass die Eigentumsvorbehalte der Verkäufer an der Dämpfpuppe und am Generator dem Retentionsrecht der Vermieterin vorgehen und dass die Kaufpreisrestanzen die von den Verkäufern angegebenen Beträge erreichen, so war richtig, dass das Betreibungsamt bei der Versteigerung vom 24. Juni 1970 den Zuschlag dieser Gegenstände davon abhängig machte, dass mehr als der Betrag dieser Restanzen geboten werde, und braucht die Versteigerung nicht wiederholt zu werden. Sollte sich dagegen ergeben, dass die Eigentumsvorbehalte an den genannten Gegenständen zwar dem Retentionsrecht vorgehen, dass aber die Kaufpreisrestanzen niedriger als von den Verkäufern angegeben sind, so wäre die Versteigerung unter entsprechender Herabsetzung des Mindestpreises zu wiederholen. Ohne Mindestpreis sind die genannten Gegenstände nochmals zu versteigern, wenn sich herausstellt, dass das Retentionsrecht den Eigentumsvorbehalten vorgeht. Die Kosten einer allfälligen neuen Versteigerung sind entgegen der Auffassung der Rekurrentin nichtvom Betreibungsamt zu tragen. Dieses beging zwar einen Fehler, indem es das gebotene Widerspruchsverfahren nicht durchführte. Zwei Steigerungen wären aber auch dann nötig gewesen, wenn es richtig vorgegangen wäre. Mit der Versteigerung sämtlicher Retentionsgegenstände zuzuwarten, bis das Widerspruchsverfahren mit Bezug auf die Dämpfpuppe und den Generator erledigt war, hätte sich kaum rechtfertigen lassen. Dispositiv Demnach erkennt die Schuldbetr. u. Konkurskammer: Der Rekurs wird in dem Sinne teilweise gutgeheissen, dass der angefochtene Entscheid aufgehoben und das Betreibungsamt Unter-Tasna angewiesen wird, das Widerspruchsverfahren einzuleiten.
null
nan
de
1,970
CH_BGE
CH_BGE_005
CH
Federation
71f4f1d4-4d68-4ff4-b153-676b2d5cc01c
Urteilskopf 136 V 73 10. Auszug aus dem Urteil der II. sozialrechtlichen Abteilung i.S. BVG-Sammelstiftung Swiss Life gegen L. (Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten) 9C_173/2009 vom 25. Januar 2010
Regeste a Art. 2 Abs. 2 ZGB ; Art. 41 Abs. 1 (in der bis Ende 2004 geltenden Fassung) resp. Art. 41 Abs. 2 BVG (in der seit 1. Januar 2005 in Kraft stehenden Fassung); Art. 130 Abs. 1 OR ; Art. 66 Abs. 2 und 4 BVG ; Art. 10 BVV 2 ; Fälligkeit und Verjährung rückwirkender Beitragsforderungen aus einem Vorsorgeverhältnis, das nach Bekanntwerden eines nicht angemeldeten Arbeitsverhältnisses nachträglich begründet wird. Die effektive Begründung des individuellen Versicherungsverhältnisses zwischen Vorsorgeeinrichtung und Arbeitnehmer ist für die Fälligkeit der auf die vergangenen Beschäftigungszeiten bezogenen Beitragsforderungen grundsätzlich nicht bestimmend (Änderung der Rechtsprechung, E. 3; vgl. aber die Massgeblichkeit eines tatsächlichen Rechtsverhältnisses im Zusammenhang mit dem Zwangsanschluss eines Arbeitgebers an die Auffangeinrichtung; SVR 2010 BVG Nr. 2 S. 4, 9C_655/2008). Hatte die Vorsorgeeinrichtung wegen einer unentschuldbaren Meldepflichtverletzung des Arbeitgebers keine Kenntnis vom Bestand einer versicherungspflichtigen Anstellung, so wird die Fälligkeit der Beitragsforderungen jedoch bis zur (anrechenbaren) Kenntnisnahme aufgeschoben (E. 4.1 und 4.2). Der Lauf der Verjährung nach Art. 41 Abs. 2 BVG beginnt indessen nur für Beitragsforderungen, die jünger als zehn Jahre sind; die weiter zurückliegenden sind absolut verjährt (E. 4.3). Anwendung auf den konkreten Fall (E. 5.1 und 5.2). Vorbehalt von Ersatzansprüchen (E. 5.3). Regeste b Art. 73 BVG ; berufsvorsorgerechtliche Zuständigkeit zur Beurteilung von Ersatzforderungen aus Nicht- oder Schlechterfüllung eines Anschlussvertrages. Steht ein Schadenersatzanspruch aus Verletzung anschlussvertraglicher Pflichten in Frage, die spezifisch berufsvorsorgerechtlicher Natur sind, so ist das Berufsvorsorgegericht sachlich zuständig (Änderung der Rechtsprechung; E. 5.3).
Sachverhalt ab Seite 75 BGE 136 V 73 S. 75 A. Die BVG-Sammelstiftung der Rentenanstalt (neu: BVG-Sammelstiftung Swiss Life) führte am 21. Januar 2008 Klage gegen L. mit dem Rechtsbegehren, dieser sei zu verpflichten, ihr den Betrag von Fr. 45'693.- nebst Zins zu 5 Prozent seit dem 10. Oktober 2001 zuzüglich Fr. 100.- für Zahlungsbefehlskosten zu bezahlen; der in der Sache erhobene Rechtsvorschlag sei aufzuheben und es sei ihr die definitive Rechtsöffnung zu erteilen. Die Vorsorgeeinrichtung begründete die Klage damit, L., der als Eigentümer eines Gipsergeschäfts von Januar 1984 bis Ende März 1997 bei ihr angeschlossen gewesen sei (...), habe den versicherungspflichtigen Mitarbeiter P. (Jahrgang 1935) nicht angemeldet. Für dessen Beschäftigungszeiten in den Jahren 1985 bis 1995 seien Arbeitgeber- und Arbeitnehmerbeiträge und Verzugszinsen im eingeklagten Ausmass geschuldet. B. Das Versicherungsgericht des Kantons Solothurn wies die Klage ab; die geltend gemachten Forderungen seien verjährt (Entscheid vom 20. Januar 2009). C. Die Sammelstiftung führt Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten mit dem Rechtsbegehren, der angefochtene Entscheid sei aufzuheben und die Sache an das kantonale Gericht zurückzuweisen, damit dieses über die Klage materiell entscheide. (...) L. lässt beantragen, es sei auf die Beschwerde nicht einzutreten; eventuell sei sie abzuweisen. Das Bundesamt für Sozialversicherungen verzichtet auf eine Stellungnahme. Das Bundesgericht heisst die Beschwerde teilweise gut. (Auszug) Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. 2.2 Strittig und zu prüfen ist, ob das kantonale Gericht zu Recht erkannt hat, die klageweise geltend gemachte Beitragsnachforderung für die Beschäftigungsjahre 1985 bis 1995 sei verjährt. Forderungen auf periodische Beiträge und Leistungen verjähren nach fünf, andere nach zehn Jahren; die Art. 129 bis 142 OR sind anwendbar ( Art. 41 Abs. 1 BVG [SR 831.40] in der bis Ende 2004 geltenden BGE 136 V 73 S. 76 Fassung; nunmehr Art. 41 Abs. 2 BVG ; Urteil 9C_618/2007 vom 28. Januar 2008 E. 1.1.1 mit Hinweisen). Die Verjährungsfrist beginnt mit der Fälligkeit der Forderung ( Art. 130 Abs. 1 OR ). Eine Forderung ist fällig, wenn der Gläubiger sie verlangen kann und der Schuldner erfüllen muss ( BGE 129 III 535 E. 3.2.1 S. 541; SVR 2008 BVG Nr. 14 S. 57, 9C_321/2007 E. 3.1). 3. 3.1 Eine gesetzliche Fälligkeitsregel für Beitragsforderungen besteht erst seit dem Inkrafttreten der 1. BVG-Revision auf Anfang 2005; nach ihr überweist der Arbeitgeber die beiderseitigen Beiträge bis spätestens zum Ende des ersten Monats nach dem Kalender- oder Versicherungsjahr, für das die Beiträge geschuldet sind, an die Vorsorgeeinrichtung ( Art. 66 Abs. 4 BVG ). Zuvor waren allein reglementarische oder vertragliche Fälligkeitsregelungen massgebend (Urteil 9C_618/2007 vom 28. Januar 2008 E. 1.1.2). Gemäss der hier anwendbaren reglementarischen Bestimmung werden die Prämien vorschüssig zu Beginn jedes Versicherungsjahres in einem Betrag fällig (Art. 4 Abs. 1 der ab 1988 gültigen Allgemeinen Versicherungsbedingungen der Rentenanstalt [AVB] und Art. 3 Abs. 1 der ab 1996 gültigen AVB). Die Verjährungsfrist beginnt für jede einzelne Jahresprämie gesondert. Zu beurteilen ist die Verjährungsfrage mit Bezug auf Prämienzahlungsansprüche, die rückwirkend für einen Zeitraum erhoben werden, während dessen die Vorsorgeeinrichtung offenbar keine Kenntnis vom individuellen Vorsorgeverhältnis hatte. In dieser Situation stellt sich zunächst die Frage, ob die Fälligkeit, mit welcher der Beginn der Verjährungsfrist einhergeht, bereits unmittelbar zu Beginn des jeweiligen Versicherungsjahrs (gemäss AVB) respektive nach Massgabe von Art. 66 Abs. 4 BVG eintritt, oder ob sie erst mit der effektiven Begründung des individuellen Versicherungsverhältnisses (nachträgliche Aufnahme des P. in die berufliche Vorsorge) zum Tragen kommen kann. Wenn ersteres zutrifft, stellt sich die weitere Frage, ob der Lauf der Verjährungsfrist unabhängig von der Kenntnis sämtlicher anspruchserheblicher Tatbestandselemente seitens der Beitragsgläubigerin beginnt. 3.2 Nach der Rechtsprechung des Eidg. Versicherungsgerichts und (ab 2007) der II. sozialrechtlichen Abteilung des Bundesgerichts war der tatsächliche Bestand eines einschlägigen Rechtsverhältnisses für die Fälligkeit der auf vergangene Beschäftigungszeiten BGE 136 V 73 S. 77 bezogenen Beitragsforderungen konstitutiv. Mit anderen Worten fiel der Beginn der Beitragsverjährungsfrist nach Art. 41 Abs. 2 BVG (aArt. 41 Abs. 1 BVG) mit der Begründung des Rechtsverhältnisses zusammen; dies galt ungeachtet dessen, ob es sich um den Anschluss eines Arbeitgebers an die Vorsorgeeinrichtung (mit kollektiver Wirkung hinsichtlich der Arbeitnehmer) handelte oder um die Begründung eines individuellen Versicherungsverhältnisses zwischen der Vorsorgeeinrichtung und dem einzelnen Arbeitnehmer. 3.2.1 Demnach werden Vorsorgebeiträge für frühere Jahre mit dem zwangsweisen Anschluss des (zuvor keiner registrierten Vorsorgeeinrichtung angehörenden) Arbeitgebers an die Auffangeinrichtung (nunmehr Art. 11 Abs. 5 und 6 [in der seit Januar 2005 geltenden Fassung], Art. 60 Abs. 2 lit. a BVG ) fällig (SZS 1994 S. 388, B 34/93 E. 3b). Jüngst hat das Bundesgericht bestätigt, dass erst die Anschlussverfügung die Beitragsforderung entstehen lässt und ihre Fälligkeit begründet (SVR 2010 BVG Nr. 2 S. 4, 9C_655/2008 E. 4.3). 3.2.2 Die Fälligkeit von Beitragsforderungen, die sich aus der nachträglichen Begründung eines individuellen Vorsorgeverhältnisses im Rahmen eines bestehenden Anschlussvertrages ergeben (vgl. zu den verschiedenen Rechtsverhältnissen HANSJÖRG SEILER, Der Anschlussvertrag an eine Personalvorsorgeeinrichtung: in: Liber amicorum für Moritz W. Kuhn, 2009, S. 376 ff.), trat nach bisheriger Praxis ebenfalls mit der Entstehung des Rechtsverhältnisses ein. So liess bei Ungewissheit über das Beitragsstatut erst der rechtskräftige Entscheid über die AHV-rechtliche Einstufung einer Person als Unselbständigerwerbende eine rückwirkende Beitragsforderung entstehen; die nachzuentrichtenden Beiträge wurden frühestens mit diesem Entscheid fällig (Urteil B 26/99 vom 9. August 2001 E. 2c; vgl. SZS 2002 S. 510). Unter Bezugnahme auf diese Rechtsprechung hat das Eidg. Versicherungsgericht festgehalten, bei einem Rechtsstreit zwischen Arbeitgeber und Arbeitnehmer über die Qualifizierung einer Beschäftigung als Haupt- oder aber als Nebenerwerb - wovon abhing, ob die betreffende Person der obligatorischen beruflichen Vorsorge zu unterstellen war oder nicht - trete die Fälligkeit rückwirkender Beitragsforderungen erst mit Rechtskraft des Entscheides ein, die Erwerbstätigkeit sei als hauptberufliche zu betrachten: "Nel rinviare agli art. 129 a 142 CO, l'art. 41 LPP fa dipendere l'inizio della prescrizione dall'esigibilità del credito contributivo. Orbene, il credito contributivo può diventare esigibile solo se il lavoratore è stato correttamente annunciato all'istituto di previdenza. Solo a partire da tale BGE 136 V 73 S. 78 momento l'istituto di previdenza può, sulla base del guadagno annunciato, conteggiare e addebitare i contributi. (...) Per determinare l'inizio del termine di prescrizione non può per contro semplicemente bastare la circostanza che il lavoratore avrebbe dovuto essere assicurato" (SVR 2007 BVG Nr. 17 S. 57, B 1/04 E. 4.7). 3.3 Abweichend von der soeben zitierten Rechtsprechung ist es angezeigt, die Fälligkeit von Beitragsforderungen, die sich aus einem im Nachhinein begründeten individuellen Versicherungsverhältnis ergeben, grundsätzlich ex tunc, das heisst mit der beitragspflichtigen Arbeitsleistung (oben E. 3.1), eintreten zu lassen. Die beim Zwangsanschluss gemäss Art. 11 BVG bestehende Rechtfertigung, die Fälligkeit an die effektive Begründung des Rechtsverhältnisses zu binden, lässt sich nicht auf die hier interessierende Konstellation übertragen: Während vor einem Zwangsanschluss noch nicht bestimmbar ist, welche Institution den kollektiven Vorsorgeschutz später übernehmen wird, stehen vor der Begründung eines individuellen Versicherungsverhältnisses im Rahmen eines bestehenden Anschlussvertrages alle wesentlichen Bemessungsgrundlagen fest. In Änderung der Rechtsprechung ist daher festzuhalten, dass die Beitragsverjährungsfrist bei bestehendem Anschlussverhältnis grundsätzlich nicht erst mit dem nachträglichen Abschluss eines Vorsorgevertrags für einen bestimmten Arbeitnehmer beginnt, sondern bereits mit der Fälligkeit der Prämie für dessen beitragspflichtige Arbeitsleistung; der Fälligkeitstermin richtet sich dabei nach Art. 66 Abs. 4 BVG oder nach Reglement. 4. Bei dieser Rechtslage bleibt zu prüfen, ob die (hier noch abschliessend festzustellende) Unkenntnis der Vorsorgeeinrichtung und eine allfällige Zuwiderhandlung des Arbeitgebers gegen die Meldepflicht (Art. 10 der Verordnung vom 18. April 1984 über die berufliche Alters-, Hinterlassenen- und Invalidenvorsorge [BVV 2; SR 831.441.1]; vgl. Art. 11 Abs. 1 BVG und Art. 7 Abs. 1 BVV 2 ) die Fälligkeit der Beitragsschuld beeinflussen. 4.1 Nach der Rechtsprechung und mehrheitlichen Doktrin zu Art. 130 Abs. 1 OR tritt die Fälligkeit unabhängig davon ein, ob der Gläubiger von Forderung und Fälligkeit Kenntnis hat oder haben kann ( BGE 126 III 278 ; BGE 119 II 216 E. 4a/aa S. 219; BGE 106 II 134 E. 2a S. 137; Urteil 9C_618/2007 vom 28. Januar 2008 E. 1.1.3; vgl. BGE 126 II 145 E. 2b S. 151; ROBERT K. DÄPPEN, in: Basler Kommentar, Obligationenrecht, Bd. I, 2007, N. 9 zu Art. 130 OR ; STEPHEN V. BERTI, in: Zürcher BGE 136 V 73 S. 79 Kommentar, 3. Aufl. 2002, N. 8 zu Art. 130 OR ; ALFRED KOLLER, Schweizerisches Obligationenrecht, Allgemeiner Teil, 3. Aufl. 2009, S. 1100 Rz. 1 und S. 1155 Rz. 44; INGEBORG SCHWENZER, Schweizerisches Obligationenrecht, Allgemeiner Teil, 5. Aufl. 2009, S. 527 Rz. 84.15; GAUCH/SCHLUEP/SCHMID/EMMENEGGER, Schweizerisches Obligationenrecht, Allgemeiner Teil, 2008, S. 224 Rz. 3309; a.M.: HANS MERZ, Die privatrechtliche Rechtsprechung des Bundesgerichts im Jahre 1980, ZBJV 118/1982 S. 136 f.). 4.2 Aus Sicht der Vorsorgeeinrichtung erscheint es als stossend, wenn der Lauf der Verjährung auch dann in Gang gesetzt wird, wenn ihr eine - zwar objektiv einklagbare - Forderung nicht bekannt ist und auch nicht bekannt sein kann (vgl. dazu JEAN-BENOÎT MEUWLY, La prescription des créances d'assurance privée [art. 46 al. 1 LCA] au regard de la dernière jurisprudence du Tribunal fédéral, AJP 2003 S. 315 ff.). Das Anliegen der Vorsorgeeinrichtung und der dahinter stehenden Versichertengemeinschaft, dass alle Beiträge zur Finanzierung der Vorsorgeleistungen reglementskonform bezahlt werden, steht dem Ziel der Rechtssicherheit gegenüber, wonach eine Forderung nach Ablauf einer bestimmten Frist nicht mehr durchsetzbar sein soll. Beim Ausgleich dieser Interessen muss der Schutzzweck des Rechtsinstituts der Verjährung im Auge behalten werden. Die Nichterheblichkeit der Kenntnis wird unter anderem damit begründet, die Verjährung sei vor allem zum Schutz des Schuldners geschaffen (PASCAL PICHONNAZ, in: Commentaire romand, Code des obligations, Bd. I, 2003, N. 4 zu Art. 130 OR ). Dieser Schutz kann nach Treu und Glauben ( Art. 2 Abs. 1 ZGB ) von demjenigen nicht in Anspruch genommen werden, der - aus eigenem, vorwerfbarem Verhalten - allein dafür verantwortlich ist, dass die Forderung der Gläubigerin verborgen geblieben ist. Die Berufung des Beitragsschuldners auf einen Eintritt der Fälligkeit vor erfolgter Kenntnisnahme wäre alsdann rechtsmissbräuchlich ( Art. 2 Abs. 2 ZGB ; BGE 131 II 265 E. 4.2 S. 267; THOMAS GÄCHTER, Rechtsmissbrauch im öffentlichen Recht, 2005, S. 4 ff.). Wenn der Schuldner die vorläufige Unkenntnis der Gläubigerin zu verantworten hatte, hängt der Eintritt der Fälligkeit somit ausnahmsweise von deren Wissen um die Grundlagen der Forderung ab. Da der Zeitpunkt, zu welchem sämtliche für die Bemessung der Beitragsforderung notwendigen Angaben vorliegen, auch von der Aufmerksamkeit der Vorsorgeeinrichtung abhängig ist, wirkt nicht erst die tatsächliche, sondern bereits die normativ anrechenbare - zumutbare - Kenntnis fristauslösend. BGE 136 V 73 S. 80 Eine Ausnahme vom Grundsatz, dass auch die dem Gläubiger noch unbekannte Forderung fällig werden kann, rechtfertigt sich allerdings nicht bei jeder objektiven Verletzung der Meldepflicht. Der Beginn des Fristenlaufs wird nicht aufgeschoben, wenn der Arbeitgeber mit Blick auf die konkreten Verhältnisse in guten Treuen davon ausgehen durfte, der nicht an die Vorsorgeeinrichtung gemeldete Arbeitnehmer sei etwa aufgrund seines Beitragsstatus nicht versicherungspflichtig gewesen. Gefordert ist vielmehr eine qualifizierte Meldepflichtverletzung im Sinne einer unentschuldbaren Unterlassung, so wie im Hinblick auf den Erlass einer Rückforderung unrechtmässig bezogener Leistungen eine nur leichte Verletzung der Melde- oder Auskunftspflicht den guten Glauben nicht ausschliesst ( Art. 25 Abs. 1 Satz 2 ATSG [SR 830.1]; BGE 110 V 176 ; Urteil 8C_594/2007 vom 10. März 2008 E. 5.6). Ein rechtsmissbräuchliches Verhalten ist nicht schon dann gegeben, wenn der Arbeitgeber die Versicherungspflicht aus einfacher Fahrlässigkeit verkannte. 4.3 Bei vorwerfbarem Verhalten des Schuldners erfolgt ein an sich zeitlich schrankenloser Aufschub der Fälligkeit der einzelnen periodischen Beitragsforderung bis zu dem Zeitpunkt, in welchem die Beitragsgläubigerin davon anrechenbare Kenntnis erlangt. Dabei muss jedoch berücksichtigt werden, dass - vergleichsweise - für (sekundäre) Ansprüche aus Vertragsverletzung eine subsidiäre Verjährungsfrist von zehn Jahren seit der Pflichtverletzung gilt ( Art. 127 OR ), für Deliktsansprüche eine ebenfalls zehnjährige absolute Frist ( Art. 60 Abs. 1 OR ), beginnend mit dem schädigenden Verhalten (SCHWENZER, a.a.O., S. 526 f. Rz. 84.14 und 84.18; vgl. BGE 126 II 145 E. 2b S. 151). Wenn nun die Durchsetzbarkeit der originären Beitragsforderung gegenüber dem Schuldner, der qualifiziert gegen die Meldepflicht verstossen hat, rückwirkend unbegrenzt möglich wäre, könnte dies mit der Verjährungsordnung insgesamt nicht vereinbart werden (vgl. MEUWLY, a.a.O., S. 319 ff.). Damit ist die insofern relative Verjährungsfrist von fünf Jahren nach (zumutbarer) Kenntnisnahme im Wege der Lückenfüllung (vgl. BGE 135 V 163 E. 5.3 S. 168; BGE 127 V 38 E. 4b/cc S. 41) um eine absolute Befristung zu ergänzen: Die einzelne Beitragsforderung verjährt auch bei Bejahung einer qualifizierten Meldepflichtverletzung und andauernd unverschuldet fehlender Kenntnis der Vorsorgeeinrichtung über den Beitragstatbestand jedenfalls zehn Jahre nach ihrem (virtuellen) Entstehen. Da die Fälligkeit bis zur Kenntnisnahme aufgeschoben ist, BGE 136 V 73 S. 81 können von vornherein nur Beitragsforderungen nachgefordert werden, die zu diesem Termin nicht älter als zehn Jahre sind. Weiter zurückliegende Beitragsforderungen sind bereits (absolut) verjährt, so dass mit Bezug auf sie keine (relative) Verjährungsfrist ( Art. 41 Abs. 2 BVG [aArt. 41 Abs. 1 BVG]) mehr beginnen kann. 5. Das kantonale Gericht wird zunächst festzustellen haben ( Art. 61 lit. c ATSG ), ob die Nichtdeklaration der Beschäftigung des P., den konkreten Umständen nach, einer qualifizierten Meldepflichtverletzung des Beschwerdegegners entspricht (vgl. oben E. 4.2) und ob die anrechenbare Kenntnisnahme erst mit dem Eingang eines Schreibens des Rechtsvertreters des P. vom 26. Januar 1999 begründet wurde. Eintritt und Ausmass der Verjährung hängen vom Inhalt dieser Feststellungen ab. 5.1 Sollte die Vorinstanz keine oder keine qualifizierte Meldepflichtverletzung feststellen, so wurden die eingeklagten Betreffnisse der Beschäftigungsjahre 1985 bis 1995 jeweils im betreffenden Beitragsjahr fällig, womit die fünfjährige Verjährungsfrist begann. Die erste verjährungsunterbrechende Handlung der Beschwerdeführerin konnte erst im Jahr 2002 erfolgen, so dass in dieser Variante die gesamte Forderung verjährt ist ( Art. 41 Abs. 2 BVG [aArt. 41 Abs. 1 BVG]). 5.2 Falls die Abklärungen des kantonalen Gerichts ergeben sollten, dass eine qualifizierte Meldepflichtverletzung des Beschwerdegegners gegeben sei, sind die rückwirkenden Beitragsforderungen der Beschwerdeführerin bezüglich der Beschäftigungsjahre 1985 bis 1995 grundsätzlich nicht fällig geworden, solange die Beschwerdeführerin nicht um den Bestand der im Streit liegenden Forderung wissen konnte (oben E. 4.2). 5.2.1 Mit Empfang des Schreibens vom 26. Januar 1999 hatte die Sammelstiftung wohl erstmals Gelegenheit, von einem (möglichen) Vorsorgetatbestand Kenntnis zu nehmen. Trat die Fälligkeit im Januar 1999 ein, hat die Vorsorgeeinrichtung die Verjährung auf dem Weg der Betreibung (Erwirkung des Zahlungsbefehls vom 18. Juni 2002) vorerst rechtzeitig unterbrochen ( Art. 41 Abs. 2 BVG [aArt. 41 Abs. 1 BVG] in Verbindung mit Art. 135 Ziff. 2 OR ). Die Verjährung beginnt sodann mit jedem Betreibungsakt und - nach Klageerhebung - mit jeder gerichtlichen Handlung der Parteien und mit jeder Verfügung oder Entscheidung des Richters von neuem (Art. 137 Abs. 1 und Art. 138 Abs. 1 und 2 OR ). Mit Blick auf die weiteren BGE 136 V 73 S. 82 Unterbrechungen (Rechtsöffnungsbegehren vom 22. Januar 2003, Entscheid des Richteramts X. vom 13. August 2003 [vgl. dazu BGE 91 II 362 E. 10 S. 371]; Klage vom 21. Januar 2008) ist die Forderung insoweit bis zum heutigen Tag nicht verjährt. 5.2.2 Die normalerweise in unmittelbarem Zusammenhang mit der Arbeitsleistung eintretende Fälligkeit der Beitragsforderung (oben E. 3.1) wird im Falle einer qualifizierten Meldepflichtverletzung bis zur (anrechenbaren) Kenntnisnahme durch die Gläubigerin aufgeschoben. Die Fälligkeit der bis dahin für die einzelnen Versicherungsjahre aufgelaufenen Forderungen bezieht sich aber nur auf Jahresprämien, die bei Eintritt der aufgeschobenen Fälligkeit nicht älter als zehn Jahre waren (oben E. 4.3). Nicht erheblich ist deshalb, ob eine - im Zeitpunkt der anrechenbaren Kenntnis noch nicht zehnjährig gewesene - Forderung dieses Alter bei der ersten verjährungsunterbrechenden Handlung (hier im Juni 2002) erreicht hat; eine solche (vom Fristenlauf gemäss Art. 41 Abs. 2 BVG unabhängige) Handhabung der absoluten Befristung würde der Ausnahmesituation des Rechtsmissbrauchs nicht gerecht, welche die Fälligkeit an die (zumutbare) Kenntnis des Gläubigers bindet. Unter den erwähnten sachverhaltlichen Annahmen sind noch die Jahresprämien für 1990 bis 1995 effektiv einforderbar; diejenige für das Jahr 1989 ist bereits absolut verjährt, da sie vorschüssig zu Beginn jedes Versicherungsjahres in einem Betrag fällig wird (Art. 4 Abs. 1 AVB 1988 und Art. 3 Abs. 1 AVB 1996). 5.3 Soweit originäre Beitragsforderungen verjährt sind, stellt sich die Anschlussfrage, ob die Voraussetzungen für sekundäre Ansprüche auf Schadenersatz aus Vertragsverletzung gegeben seien. Zur Annahme einer vertraglichen Schadenersatzpflicht bedarf es nicht wie beim Rechtsmissbrauch (oben E. 4.2) einer qualifizierten Meldepflichtverletzung, sondern genügt gegebenenfalls leichte Fahrlässigkeit ( Art. 97 Abs. 1 und Art. 99 Abs. 1 OR ; BGE 130 V 103 E. 3.3 S. 109 mit Hinweisen). Falls eine Vertragsverletzung während des gesamten Beschäftigungszeitraums (1985 bis 1995) andauerte, fallen - mit Blick auf die im Laufe des Jahres 2002 erfolgte Betreibung - unverjährte Ersatzansprüche für die (primär verjährten) Jahresprämien ab 1993 in Betracht ( Art. 127 OR ). Nach bisheriger Rechtsprechung oblag die Beurteilung von Ersatzforderungen aus Nicht- oder Schlechterfüllung eines Anschlussvertrages der Ziviljustiz (Urteil B 37/03 vom 10. März 2004 E. 2.3). Diese Kompetenzzuweisung erfolgte ursprünglich mit Blick auf den Umstand, BGE 136 V 73 S. 83 dass der - mit dem Schadenersatzanspruch verwandte - Verantwortlichkeitsanspruch nach Art. 52 BVG bis zur Gesetzesrevision gemäss Bundesgesetz vom 21. Juni 1996, in Kraft seit 1. Januar 1997 (vgl. BGE 128 V 124 E. 2 S. 126), nicht in die Zuständigkeit des BVG-Gerichts, sondern der Ziviljustiz fiel (vgl. BGE 117 V 33 S. 42; SVR 1994 BVG Nr. 2 S. 3, B 37/92 E. 4c). Seither sind für die Beurteilung von Verantwortlichkeitsansprüchen die Berufsvorsorgegerichte zuständig. Der früher zur Begründung einer Zuständigkeit der Zivilgerichtsbarkeit verwendete Harmonisierungsgedanke spricht nun dafür, die Beurteilung von Ersatzforderungen aus einer Verletzung des Anschlussvertrages zwischen Arbeitgeber und Vorsorgeeinrichtung in die berufsvorsorgegerichtliche Zuständigkeit fallen zu lassen. Die bisherige Rechtsprechung steht überdies im Gegensatz zur Praxis, wonach im Bereich der auf Art. 97 ff. OR gestützten Ansprüche aus Nicht- oder Schlechterfüllung des Vorsorgevertrags die Zuständigkeit der Gerichte nach Art. 73 BVG bejaht wird ( BGE 130 V 103 E. 1.2 S. 105 in Verbindung mit E. 3.3 S. 109; SEILER, a.a.O., S. 398). Die veränderten rechtlichen Verhältnisse rechtfertigen eine Praxisänderung (vgl. BGE 134 V 72 E. 3.3 S. 76). Wenn ein Schadenersatzanspruch aus Verletzung anschlussvertraglicher Pflichten in Frage steht, die spezifisch berufsvorsorgerechtlicher Natur sind, ist aufgrund dieses direkten Sachbezugs somit neu das Berufsvorsorgegericht nach Art. 73 BVG sachlich zuständig. Die Vorinstanz wird also gegebenenfalls auch die Frage nach einem sekundären Ersatzanspruch unter dem Gesichtspunkt einer etwaigen Meldepflichtverletzung zu beurteilen haben.
null
nan
de
2,010
CH_BGE
CH_BGE_007
CH
Federation
71fb80a4-9527-4135-8259-ba6b26ba25b3
Urteilskopf 116 IV 364 66. Urteil des Kassationshofes vom 19. Dezember 1990 i.S. X. gegen Generalprokurator des Kantons Bern (Nichtigkeitsbeschwerde)
Regeste Vorsätzliches Fahren in angetrunkenem Zustand ( Art. 91 Abs. 1 SVG ), fahrlässige Widerhandlung gegen Art. 27 Abs. 1 Satz 2 VRV ; Notstandshilfe ( Art. 34 Ziff. 2 StGB ). 1. Rechtfertigung einer vorsätzlichen Trunkenheitsfahrt (Blutalkoholkonzentration von knapp 2 Gew.%o) durch Notstandshilfe? (E. 1). 2. Widerhandlungen gegen Verkehrsregeln im Rahmen einer Fahrt mit Rettungswillen können auch dann durch Notstandshilfe gerechtfertigt sein, wenn sie unbewusst fahrlässig begangen werden. Rechtfertigung in bezug auf das fahrlässige Nichtentfernen bzw. Belassen der "L"-Tafel (E. 2).
Sachverhalt ab Seite 364 BGE 116 IV 364 S. 364 A.- Der Tierarzt X. nahm am Abend des 7. April 1989 in seinem Hause in A. an einem Geburtstagsfest für seinen Neffen BGE 116 IV 364 S. 365 teil. Er hatte den ganzen Tag und die vorangegangene Nacht gearbeitet. Zum Apéro trank er Weisswein, zum Essen Rotwein. Gegen 21.30 Uhr legte er sich in einem im Nebentrakt befindlichen Zimmer hin, um möglichst ungestört die Nacht durchschlafen zu können. Nach etwas mehr als einer Stunde rief Frau Z., Ehefrau des Praxispartners von X., an und richtete Frau X. aus, ihr Mann solle in den Stall der Bauernfamilie G. in H. zu einem Notfall kommen. Z. sei bei einem Kaiserschnitt und das Kalb "wolle nicht raus". Daraufhin weckte Frau X. ihren Mann. X. erhob sich reflexartig, kleidete sich an und fuhr mit seinem Wagen die ca. 1 km lange Strecke nach H., teilweise auf der Kantonsstrasse. Das Fahrzeug fiel der Polizei auf, da dessen Lenker offensichtlich ohne Grund mehrmals die Bremsen betätigte und weil an der Heckscheibe eine "L"-Tafel (für Lernfahrten) angebracht war, obschon sich nur eine Person im Wagen befand. Der unmittelbar nach der Ankunft von X. in H. durchgeführte Atemlufttest ergab 1,15 Gew.%o. Die Analyse der ihm abgenommenen Blutprobe ergab eine Blutalkoholkonzentration von 1,99 Gew.%o für den Zeitpunkt der Fahrt. B.- Der Gerichtspräsident von A. verurteilte X. am 6. Februar 1990 wegen Führens eines Personenwagens in angetrunkenem Zustand, fahrlässig begangen, sowie wegen Widerhandlung gegen die Verkehrsregeln durch Fahren mit angebrachter "L"-Tafel, ohne dass eine Lernfahrt stattfand (Art. 27 Abs. 1 in Verbindung mit Art. 96 VRV ), zu acht Tagen Gefängnis, bedingt vollziehbar bei einer Probezeit von zwei Jahren, und zu einer Busse von Fr. 4'000.--. Auf Appellation von X. und der Staatsanwaltschaft verurteilte die 1. Strafkammer des Obergerichts des Kantons Bern X. am 31. Mai 1990 wegen vorsätzlichen Führens eines Personenwagens in angetrunkenem Zustand und wegen Widerhandlung gegen Verkehrsregeln (Art. 27 Abs. 1 in Verbindung mit Art. 96 VRV ) zu 14 Tagen Gefängnis, bedingt vollziehbar bei einer Probezeit von zwei Jahren, sowie zu Fr. 4'000.-- Busse. C.- Der Verurteilte führt eidgenössische Nichtigkeitsbeschwerde mit dem Antrag, der Entscheid des Obergerichts sei aufzuheben und die Sache zu seiner Freisprechung an die Vorinstanz zurückzuweisen. Der Generalprokurator des Kantons Bern beantragt unter Hinweis auf die ausführliche Begründung im angefochtenen Urteil die Abweisung der Nichtigkeitsbeschwerde. BGE 116 IV 364 S. 366 Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Der Beschwerdeführer bestreitet nicht, dass er vorsätzlich in angetrunkenem Zustand gefahren ist. Er beruft sich aber auf Notstand bzw. Notstandshilfe im Sinne von Art. 34 StGB . a) Das Obergericht anerkennt, dass der Beschwerdeführer im Zeitpunkt, als er telefonisch um Unterstützung gebeten wurde, von einer dringlichen Situation ausgehen durfte. Es ist aber mit der ersten Instanz der Auffassung, dass erstens die Autofahrt in angetrunkenem Zustand mit einer Blutalkoholkonzentration von 1,99 Gew.%o in keinem angemessenen Verhältnis zur Gefahr stand, die es abzuwenden galt, und dass zweitens diese Gefahr auch auf andere Weise hätte abgewendet werden können. Gemäss den Ausführungen der ersten Instanz, auf die im angefochtenen Urteil verwiesen wird, sind zwar die Kuh und das Kalb, deren Leben es zu retten galt, mehr als blosse Vermögenswerte; vielmehr ist Tieren ein nicht ohne weiteres zu ersetzender, eigenständiger Wert zuzuerkennen; überdies kann der Verlust von Tieren die Existenzgrundlage einer Bauernfamilie gefährden. Dies rechtfertigt aber nach den weiteren Ausführungen im erstinstanzlichen Entscheid, auf die im angefochtenen Urteil verwiesen wird, eine Autofahrt mit einer Blutalkoholkonzentration von 1,99 Gew.%o, mithin einem mittelschweren Rausch, nicht, da der Fahrzeuglenker in einem solchen Zustand Leib und Leben von Menschen gefährden könne. Das Führen eines Autos in angetrunkenem Zustand mit einer Blutalkoholkonzentration von fast 2 Gew.%o dürfte, wie etwa eine massive Überschreitung der zulässigen Höchstgeschwindigkeit (vgl. dazu BGE 106 IV 1 ), in der Tat höchstens dann durch Notstand bzw. Notstandshilfe im Sinne von Art. 34 StGB gerechtfertigt sein, wenn der Schutz hochwertiger Rechtsgüter wie Leib, Leben und Gesundheit von Menschen in Frage steht. Selbst in solchen Fällen dürfte Zurückhaltung geboten sein (vgl. SCHUBARTH, Kommentar zum schweizerischen Strafrecht, Art. 117 StGB N 69 ff.); denn bei massiven Geschwindigkeitsüberschreitungen und bei Fahren in angetrunkenem Zustand ist die konkrete Gefährdung einer unbestimmten Zahl von Menschen möglich, die sich oft nur zufälligerweise nicht verwirklicht. Das Bestreben, das Leben einer Kuh und eines Kalbes zu retten, dürfte die dem Beschwerdeführer zur Last gelegte Trunkenheitsfahrt mit einer Blutalkoholkonzentration von 1,99 Gew.%o nicht rechtfertigen, auch wenn die Fahrt nur kurz war, der Nachweis einer konkreten BGE 116 IV 364 S. 367 Gefährdung anderer nicht erbracht ist und der Beschwerdeführer als Tierarzt gemäss Art. 27 des bernischen Gesundheitsgesetzes verpflichtet ist, in Notfällen Beistand zu leisten. Wie es sich damit im einzelnen verhält, kann indessen dahingestellt bleiben. Der Rechtfertigungsgrund der Notstandshilfe ist vorliegend schon deshalb nicht gegeben, weil der Beschwerdeführer die Gefahr anders hätte abwenden können. b) Gemäss den Ausführungen im erstinstanzlichen Entscheid, auf die im angefochtenen Urteil verwiesen wird, wäre eine ganze Reihe von andern Massnahmen zur Abwendung der Gefahr möglich gewesen. So hätte der Beschwerdeführer der Familie G. zurückrufen und sie bitten können, ihn durch ein Familienmitglied abzuholen; dies hätte angesichts der geringen Distanz nur eine kleine Verzögerung seiner Ankunft im Stall bedeutet. Er hätte seinem Kollegen telefonisch fachlichen Rat erteilen können; damit hätte er wahrscheinlich nicht weniger wirksam helfen können als durch seine Anwesenheit im Stall, deren Effizienz angesichts seines Zustandes ohnehin zweifelhaft erschien. Er hätte versuchen können, einen seiner beiden Kollegen, die ebenfalls in A. praktizierten, zu erreichen und ihn zu bitten, an seiner Stelle Hilfe zu leisten. Überdies hätte er sich darum bemühen können, dass ihn etwa ein Nachbar oder ein Bekannter zum Stall in H. fahre; zu jenem Zeitpunkt hätte sich zweifellos noch jemand dafür finden lassen. Der Beschwerdeführer wendet dagegen ein, die Ausführungen der Vorinstanzen betreffend andere mögliche Massnahmen beruhten auf hypothetischen Vorstellungen, die vom Schreibtisch aus etwa angestellt werden. Aus seiner Sicht als gesetzlich zum Beistand verpflichteter Tierarzt sei der Fall auch zeitlich dringlich gewesen und habe daher keine Zeit durch das Ergreifen anderer Massnahmen verloren werden dürfen, deren Erfolg zudem ungewiss gewesen sei. Dieser Einwand steht im Widerspruch zu Tatsachen, die zum Teil im erstinstanzlichen Urteil, auf das im angefochtenen Entscheid verwiesen wird, ausdrücklich festgestellt werden und welche sich zum Teil aus der allgemeinen Lebenserfahrung ergeben. Trotz der Dringlichkeit der Hilfeleistung drängte sich angesichts des Zustandes des Beschwerdeführers eine andere Massnahme als die Trunkenheitsfahrt geradezu auf. Insbesondere hätte nach der allgemeinen Lebenserfahrung zu jenem Zeitpunkt, um ca. 23.00 Uhr, ohne wesentliche zeitliche Verzögerung eine nicht angetrunkene Person gefunden werden können, die den BGE 116 IV 364 S. 368 Beschwerdeführer nach H. zum Stall der Bauernfamilie G. chauffiert hätte. Da die Gefahr somit nach der zutreffenden Auffassung der Vorinstanz im Sinne von Art. 34 Ziff. 2 StGB anders abwendbar war, ist der Rechtfertigungsgrund der Notstandshilfe entgegen der Ansicht des Beschwerdeführers in bezug auf den Tatbestand des vorsätzlichen Fahrens in angetrunkenem Zustand nicht gegeben. c) Vorsatz, Zurechnungsfähigkeit sowie Strafzumessung sind nicht angefochten, weshalb kein Anlass besteht, auf diese Fragen einzugehen. Die Nichtigkeitsbeschwerde ist daher in diesem Punkt abzuweisen. 2. Der Beschwerdeführer macht geltend, dass auch die Widerhandlung im Sinne von Art. 27 Abs. 1 in Verbindung mit Art. 96 VRV durch Notstandshilfe gerechtfertigt sei. a) Solange Motorfahrzeuge von Inhabern eines Lernfahrausweises geführt werden, müssen sie auf der Rückseite an gut sichtbarer Stelle eine blaue Tafel mit weissem "L" tragen. Die Tafel ist zu entfernen, wenn keine Lernfahrt stattfindet ( Art. 27 Abs. 1 VRV ). Wer Vorschriften der Verkehrsregelverordnung verletzt, wird, wenn keine andere Strafbestimmung anwendbar ist, gemäss Art. 96 VRV mit Haft oder mit Busse bestraft. Das Obergericht stellt fest, der Sohn des Beschwerdeführers, der damals Lernfahrer war, habe mit Wissen des Beschwerdeführers die "L"-Tafel am Abend nicht entfernt; der Beschwerdeführer habe nicht damit gerechnet, dass er in der Nacht den Wagen noch benützen würde. Nach Auffassung des Obergerichts hätte der Beschwerdeführer, als er seinen Wagen dann doch noch benützte, bei Anwendung der pflichtgemässen Sorgfalt "sich der Begebenheit erinnern bzw. versichern müssen, ob die "L"-Tafel noch angebracht war". Das Obergericht sieht darin, dass "nichts Derartiges geschah", eine pflichtwidrige Unvorsichtigkeit, weshalb "auf - unbewusst - fahrlässige Begehung zu erkennen" sei. b) Ob der Beschwerdeführer pflichtwidrig unvorsichtig handelte, indem er nicht mehr an die "L"-Tafel an der Heckscheibe des Fahrzeugs dachte, könnte unter Berücksichtigung der Situation, in der er sich bei Antritt der Fahrt nach H. befand, und des Zwecks dieser Fahrt zweifelhaft sein. Wie es sich damit verhält, hat der Kassationshof vorliegend aber nicht zu entscheiden, da in der Nichtigkeitsbeschwerde die Annahme der Vorinstanz, es liege in bezug auf die Widerhandlung im Sinne von Art. 27 Abs. 1 in BGE 116 IV 364 S. 369 Verbindung mit Art. 96 VRV unbewusste Fahrlässigkeit vor, nicht angefochten wird. c) Die fragliche Widerhandlung ist nach der zutreffenden Auffassung des Beschwerdeführers durch Notstandshilfe im Sinne von Art. 34 Ziff. 2 StGB gerechtfertigt. Zwar hätte der Beschwerdeführer gemäss den vorstehenden Ausführungen betreffend Fahren in angetrunkenem Zustand eine ganze Reihe von andern Massnahmen zur Abwendung der Gefahr treffen können, darunter auch Massnahmen, bei welchen sein mit der "L"-Tafel versehener Wagen gar nicht zum Einsatz gekommen wäre. Die Tatsache, dass der Beschwerdeführer angetrunken war und daher gar nicht fahren durfte, ist indessen im vorliegenden Zusammenhang belanglos. Bei der Entscheidung der Frage, ob die nach Auffassung der Vorinstanz unbewusst fahrlässige Widerhandlung im Sinne von Art. 27 Abs. 1 in Verbindung mit Art. 96 VRV durch Notstandshilfe gedeckt war, ist vielmehr zu fragen, wie es sich verhält, wenn der Beschwerdeführer nicht angetrunken gewesen wäre und demnach im eigenen Wagen nach H. hätte fahren dürfen, um dort seinem Kollegen beizustehen. Die Frage nach der Rechtfertigung der Widerhandlung im Sinne von Art. 27 Abs. 1 in Verbindung mit Art. 96 VRV ist also unabhängig von der Antwort auf die Frage zu prüfen, ob das Fahren in angetrunkenem Zustand gerechtfertigt war. Die Fahrt im eigenen Wagen wäre für den nüchternen Beschwerdeführer das zweckmässigste Mittel gewesen, um möglichst rasch zwecks Abwendung der Gefahr an den Ort des Geschehens zu gelangen. Hätte der Beschwerdeführer vor Antritt der Fahrt die "L"-Tafel an der Heckscheibe des Wagens bemerkt und hätte er sie, um keine Zeit zu verlieren, vorsätzlich nicht entfernt, hätte er nicht wegen Widerhandlung im Sinne von Art. 27 Abs. 1 in Verbindung mit Art. 96 VRV verurteilt werden dürfen; denn das vorsätzliche Nichtentfernen der "L"-Tafel mit dem Ziel, zwecks Abwendung der Gefahr rascher am Ort des Geschehens einzutreffen, wäre durch Notstandshilfe gerechtfertigt gewesen. Zwar konnte der Beschwerdeführer dadurch, dass er die "L"-Tafel nicht entfernte, nur einige Sekunden Zeit gewinnen; in der gegebenen Situation durfte aber, jedenfalls aus seiner Sicht, keine Zeit verloren werden, war mithin jede Sekunde kostbar. Das Nichtentfernen der "L"-Tafel ist die Verletzung einer Ordnungsvorschrift, eine Übertretung von geringem Unrechtsgehalt. Sie wird daher durch den Gewinn einiger Sekunden, die für die Rettung des Lebens einer BGE 116 IV 364 S. 370 Kuh und/oder eines Kalbes entscheidend sein können, gerechtfertigt. Die Gefahr war insoweit im Sinne von Art. 34 StGB nicht anders als durch die Fahrt mit der "L"-Tafel, die an der Heckscheibe des Wagens angebracht war, abwendbar. Der Beschwerdeführer hatte nun aber gemäss den Ausführungen der Vorinstanz bei Antritt der Fahrt die "L"-Tafel aus pflichtwidriger Unvorsichtigkeit gar nicht bemerkt. Man kann sich deshalb fragen, ob er die "L"-Tafel am Wagen belassen hat, um einige Sekunden Zeit zu gewinnen. Dafür spricht, dass derjenige, der im Hinblick auf das Rettungsziel auf untergeordnete Vorschriften nicht Bedacht nimmt, mit dem generellen Ziel handelt, nicht unnötig Zeit zu verlieren. Im übrigen ist zu beachten, dass die gesetzliche Formulierung der Rechtfertigungsgründe des Notstandes bzw. der Notstandshilfe in Art. 34 Ziff. 1 und 2 StGB , die voraussetzen, dass der Täter die Tat begeht, "um" sein Gut bzw. das Gut eines andern zu erretten, auf Vorsatzdelikte zugeschnitten ist. Indes kann aber auch fahrlässiges Verhalten durch Notstand bzw. durch Notstandshilfe gerechtfertigt sein, und zwar auch eine unbewusst fahrlässige Unterlassung. Ist eine bestimmte vorsätzliche Tat durch Notstandshilfe gedeckt, dann muss vernünftigerweise auch die entsprechende fahrlässige Tat, die ja prinzipiell weniger schwer wiegt, durch Notstandshilfe gedeckt sein (vgl. STRATENWERTH, Strafrecht, Allgemeiner Teil I, § 16 N 29 , 31). Ob etwa Verkehrsregelverletzungen im Rahmen einer Rettungsfahrt durch Notstandshilfe gerechtfertigt seien, kann nicht davon abhängen, ob die Verkehrsregeln vorsätzlich oder fahrlässig missachtet worden seien. Wollte man anders entscheiden, dann läge es im Interesse eines jeden Täters zu behaupten, er habe die fragliche Verkehrsregel vorsätzlich missachtet, um Zeit zu gewinnen. Entscheidend ist allein, dass die Fahrt, bei deren Gelegenheit - vorsätzlich oder fahrlässig - Straftatbestände erfüllt wurden, mit Rettungswillen unternommen wurde (vgl. auch SCHÖNKE/SCHRÖDER/LENCKNER, N 97 f. vor §§ 32 ff. dt.StGB). Dies trifft vorliegend zu. Die Nichtigkeitsbeschwerde ist daher in diesem Punkt gutzuheissen und die Sache zur Freisprechung des Beschwerdeführers vom Vorwurf der Widerhandlung im Sinne von Art. 27 Abs. 1 in Verbindung mit Art. 96 VRV (Nichtentfernen der "L"-Tafel) an die Vorinstanz zurückzuweisen.
null
nan
de
1,990
CH_BGE
CH_BGE_006
CH
Federation
72011bfa-cb65-4aa3-8f4b-c29ec365045d
Urteilskopf 102 Ib 356 59. Urteil vom 12. November 1976 i.S. Bosshardt gegen Eidg. Volkswirtschaftsdepartement
Regeste Verordnung des Bundesrates vom 19. Februar 1954 über den Eiermarkt und die Eierversorgung (Eier-Ordnung). Bewilligungspflicht für Grossbetriebe der Eierproduktion (Art. 2). 1. Wenn ein Betrieb den zugelassenen Legehennenbestand überschreitet, folgt daraus nur, dass er keine Eier mit Hilfe des Bundes, über die Sammelorganisationen und die Importeure, absetzen kann (Erw. 1). 2. Zweck des Landwirtschaftsgesetzes und der Eier-Ordnung. Das System des Art. 2 Eier-Ordnung lässt sich auf Art. 23 Abs. 1 lit. c LwG stützen (Erw. 2). 3. Kriterien für die Unterscheidung zwischen schutzbedürftigen und nicht schutzbedürftigen Betrieben der Eierproduktion (Erw. 3). 4. Eine Bewilligung darf entzogen werden, wenn sie aufgrund irreführender Angaben des Bewerbers zu Unrecht erteilt wurde oder wenn sie infolge Änderung der tatsächlichen Verhältnisse nicht mehr gerechtfertigt ist (Erw. 4). 5. Die Rüge der rechtsungleichen Behandlung dringt nicht durch, wenn die Verwaltung bereit ist, die massgebende Ordnung in allen Fällen durchzusetzen (Erw. 5).
Sachverhalt ab Seite 357 BGE 102 Ib 356 S. 357 Die Eier-Ordnung bestimmt in Art. 2 Abs. 1 und 2: "1 Die Errichtung neuer Geflügelhöfe und Geflügelfarmen mit 150 und mehr ausgewachsenen Tieren bedarf einer Bewilligung der Abteilung für Landwirtschaft. Einer Bewilligung bedarf auch die Erweiterung bestehender Geflügelhöfe und Geflügelfarmen mit 150 und mehr ausgewachsenen Tieren über den anlässlich der eidgenössischen Zählung vom 21. April 1951 festgestellten Bestand hinaus. Bewilligungen werden nur erteilt, wenn ein Bedürfnis vorliegt und der Bewerber sich über eine angemessene eigene Futtergrundlage oder über dauernde Bezugsmöglichkeiten an inländischen Futtermitteln ausweist. Wenn die Ausübung des Berufes eines Geflügelhalters für den Bewerber wegen körperlicher Behinderung angezeigt ist oder eine Existenzfrage darstellt, soll diesem Umstand bei der Beurteilung der Bedürfnisfrage Rechnung getragen werden. Bei der Prüfung der Bedürfnisfrage ist auch auf die handelspolitischen Notwendigkeiten Rücksicht zu nehmen ... 2 Die mit der Sammlung von Inlandeiern beauftragten Organisationen (Art. 6) und ihre Lieferanten (örtliche Sammelstellen und Eieraufkäufer) dürfen von Geflügelhaltern, die den Bestimmungen von Absatz 1 zuwiderhandeln, keine Eier übernehmen. Von der Erteilung neuer Bewilligungen und von Widerhandlungen gegen Anordnungen gemäss Absatz 1 sowie vom Entzug einer Bewilligung wird der örtlichen Sammelstelle oder dem örtlichen Eieraufkäufer Kenntnis gegeben." BGE 102 Ib 356 S. 358 Nach Art. 5 Eier-Ordnung haben die Importeure von Schaleneiern Inlandeier von frischer, handelsüblicher Qualität in einem zumutbaren Verhältnis zu ihren Eiereinfuhren zu übernehmen, wenn die Voraussetzungen von Art. 23 Abs. 1 lit. c LwG erfüllt sind. Gemäss Art. 6 Eier-Ordnung sind mit der Sammlung der für die pflichtmässige Übernahme bestimmten Inlandeier der Verband schweizerischer Eier- und Geflügelverwertungsgenossenschaften SEG und die Genossenschaft für Landeiereinkauf GELA beauftragt. Sie haben die Inlandeier zu den von den Behörden jeweils festgesetzten, die massgebenden Produktionskosten deckenden Preisen zu sammeln. Sie sind, vorbehältlich von Art. 2 Abs. 2, zur Gleichbehandlung aller Produzenten verpflichtet; sie haben jedoch nur so viele Inlandeier anzunehmen, als sie an Importeure im Umfang von deren Übernahmepflicht liefern oder im freien Markt absetzen können. Emil Bosshardt betrieb in Wila seit 1928 eine Geflügelfarm. Am 28. Januar 1955 erteilte ihm die Abteilung für Landwirtschaft (ALw) des Eidg. Volkswirtschaftsdepartements (EVD) gestützt auf Art. 2 Abs. 1 Eier-Ordnung die Bewilligung, höchstens 2000 ausgewachsene Legetiere zu halten. In der Folge stellte er das Gesuch, der Höchstbestand sei auf mindestens 6000-8000 Legehennen hinaufzusetzen. Am 14. Mai 1968 bewilligte ihm die ALw die Haltung von höchstens 4000 ausgewachsenen Legetieren. Sie erklärte, damit werde der Änderung der Verhältnisse Rechnung getragen, insbesondere der Tatsache, dass der verheiratete Sohn des Gesuchstellers die Geflügelzuchtschule in Zollikofen absolviert hatte und nun im väterlichen Betrieb mitarbeitete. Das für die Bewilligung verwendete Formular bestimmt, dass sie persönlich und unübertragbar ist und dass sie bei veränderten Verhältnissen angepasst oder aufgehoben werden kann. Im Jahre 1970 wurde die Bosshardt Geflügelzucht AG gegründet. Sie übernahm den Betrieb Emil Bosshardts. In einem Schreiben vom 26. August 1975 an Emil Bosshardt führte die ALw aus, er habe die ihm erteilte Bewilligung nicht auf die Aktiengesellschaft übertragen dürfen. Derart umgewandelte Firmen könnten nicht mehr als "aufstockungsbedürftige" bäuerliche Betriebe im Sinne des Art. 2 Eier-Ordnung gelten. Zudem halte Bosshardt dem Vernehmen nach BGE 102 Ib 356 S. 359 25 000 oder mehr Legehennen. Aus diesen Gründen entzog ihm die ALw am 6. Oktober 1975 die Bewilligung. Bosshardt erhob hiegegen Beschwerde beim EVD. Er machte geltend, es komme nicht darauf an, ob er oder die Aktiengesellschaft an die Sammelorganisationen geliefert habe. Gegenstand dieser Lieferungen seien nur Eier des bewilligten Legehennenbestandes gewesen, so dass dessen Überschreitung unerheblich sei. Die ALw habe die Bewilligung auch deshalb nicht entziehen dürfen, weil sie den nun von ihr beanstandeten Zustand während langer Zeit geduldet habe. Gewisse andere Betriebe seien unbehelligt geblieben, obwohl sie den Sammelorganisationen nicht nur die Eier des bewilligten Bestandes abgäben. Das EVD wies die Beschwerde am 22. Dezember 1975 ab. Diesen Entscheid ficht Bosshardt mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde an. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Nach Art. 2 Abs. 1 Eier-Ordnung bedarf die Errichtung neuer Geflügelhöfe und Geflügelfarmen mit 150 und mehr ausgewachsenen Tieren einer Bewilligung der ALw, ebenso die Erweiterung bestehender Geflügelhöfe und Geflügelfarmen mit 150 und mehr ausgewachsenen Tieren über den bei der eidgenössischen Zählung von 1951 festgestellten Bestand hinaus. Aus dem folgenden Abs. 2 ergibt sich, dass Geflügelhalter, die eine Bewilligung benötigen würden, aber nicht besitzen, keine Eier an die Sammelorganisationen abgeben können und damit von der gemäss Eier-Ordnung mit Hilfe des Staates durchgeführten Vermarktung ausgeschlossen sind. Das EVD erklärt, dies sei die einzige Folge einer Überschreitung des zugelassenen Legehennenbestandes; andere Sanktionen könnten von den Behörden nicht verhängt werden; auch eine strafrechtliche Ahndung sei nicht vorgesehen. Das Bundesgericht hat keine Veranlassung, diese Feststellung der Verwaltung in Zweifel zu ziehen. Ob Verordnungsvorschriften, welche weiter gehende Folgen eintreten liessen, verfassungs- und gesetzmässig wären, kann dahingestellt bleiben. Der Entzug der Bewilligung, die dem Beschwerdeführer erteilt worden war, bedeutet demnach nur, dass dieser bzw. die ihm nahestehende Aktiengesellschaft die vom Staat geschaffene Organisation des Absatzes von Inlandeiern nicht mehr in BGE 102 Ib 356 S. 360 Anspruch nehmen kann. Die Massnahme verwehrt dem Betriebsinhaber nicht, die Eierproduktion im bisherigen Umfang fortzusetzen oder noch zu erweitern und die Erzeugnisse im freien Markt abzusetzen. 2. Nach Art. 23 Abs. 1 lit. c LwG kann der Bundesrat die Importeure bestimmter landwirtschaftlicher Erzeugnisse zur Übernahme gleichartiger Produkte inländischer Herkunft und handelsüblicher Qualität in einem zumutbaren Verhältnis zu ihren Einfuhren verpflichten und die dafür erforderlichen Vorschriften erlassen, wenn der Absatz der inländischen Produktion zu angemessenen Preisen durch den Import gefährdet wird. Einer solchen Übernahmepflicht sind aufgrund des Art. 5 Eier-Ordnung die Importeure von Schaleneiern unterworfen. Eier sind landwirtschaftliche Erzeugnisse im Sinne des Art. 23 LwG . Daraus folgt jedoch noch nicht, dass alle inländischen Eierproduzenten, auch die Betriebe gewerblichen oder industriellen Charakters, den in Art. 23 Abs. 1 lit. c LwG vorgesehenen Schutz beanspruchen können. Das LwG und die zugehörigen Ausführungsbestimmungen, also auch die Eier-Ordnung, dienen der Erhaltung der Landwirtschaft und des Bauernstandes, nicht der Erhaltung gewerblicher oder industrieller Betriebe, welche landwirtschaftliche Erzeugnisse produzieren. Das ergibt sich aus der übergeordneten Verfassungsbestimmung ( Art. 31bis Abs. 3 lit. b BV ), welcher der Titel des Landwirtschaftsgesetzes und die in dessen Ingress enthaltene Umschreibung seines Zwecks entsprechen. In diesem Sinne ist auch Art. 23 LwG zu verstehen: Sein Ziel ist, den Absatz der Erzeugnisse der landwirtschaftlichen (bäuerlichen) Betriebe zu angemessenen Preisen zu sichern. Das wird durch Art. 29 LwG bestätigt, wonach die im Rahmen dieses Gesetzes vorgesehenen Massnahmen so anzuwenden sind, dass für die einheimischen landwirtschaftlichen Erzeugnisse guter Qualität Preise erzielt werden können, welche die mittleren Produktionskosten rationell geführter und zu normalen Bedingungen übernommener "landwirtschaftlicher Betriebe" im Durchschnitt mehrerer Jahre decken. In der Eier-Ordnung, die eine Übernahmepflicht der Importeure vorsieht, musste dafür gesorgt werden, dass gewerbliche und industrielle Produktionsbetriebe nicht in den Genuss des Schutzes kommen, der ihnen nach Art. 23 LwG versagt ist. Zu BGE 102 Ib 356 S. 361 diesem Zweck durfte der Bundesrat gestützt auf Art. 23 Abs. 1 lit. c LwG , wonach er zum Erlass der für die Durchführung der Übernahmepflicht der Importeure erforderlichen Vorschriften ermächtigt ist, eine Bewilligungspflicht für die Eröffnung und Erweiterung grösserer Geflügelhöfe einführen und bestimmen, dass ein Geflügelhalter, der den ihm bewilligten Legehennenbestand überschreitet, nicht nur für die der Überschreitung entsprechende Mehrproduktion an Eiern, sondern überhaupt von der Möglichkeit der Lieferung an die Sammelstellen und mittelbar an die Importeure ausgeschlossen wird. So verstanden, hält sich das System des Art. 2 Eier-Ordnung durchaus im Rahmen des Gesetzes. 3. Art. 2 Abs. 1 Eier-Ordnung bestimmt, dass Bewilligungen nur erteilt werden, "wenn ein Bedürfnis vorliegt und der Bewerber sich über eine angemessene eigene Futtergrundlage oder über dauernde Bezugsmöglichkeiten an inländischen Futtermitteln ausweist". Es kann offenbleiben, ob zur Zeit, da die Verordnung erlassen wurde, normalerweise die Zahl der von den Eierproduzenten gehaltenen Legehennen noch der betriebs- und landeseigenen Futtergrundlage angepasst war. So verhält es sich jedenfalls schon seit geraumer Zeit nicht mehr; in der Tat ernähren heute die Geflügelhalter im allgemeinen ihre Hühner mit Mischfutter, das überwiegend aus importierten Futtermitteln hergestellt wird. Angesichts dieser Sachlage kann die betriebs- und landeseigene Futtergrundlage für die Beurteilung der Bewilligungsgesuche nicht mehr massgebend sein. Somit bleibt als einziges Kriterium der Verordnung das Bedürfnis. Nach Art. 2 Abs. 1 Eier-Ordnung benötigen Geflügelhöfe und -farmen mit weniger als 150 ausgewachsenen Tieren (Legehennen) keine Bewilligung; sie werden ohne weiteres als schutzwürdige landwirtschaftliche Betriebe betrachtet. Nur grössere Betriebe sind nach der Verordnung der Bewilligungspflicht unterstellt. Die ALw erteilt Bewilligungen in erster Linie bäuerlichen Familienbetrieben, die sie als "aufstockungsbedürftig" bezeichnet, d.h. "für die die Legehennenhaltung und die Verwertung der Eierproduktion über die Sammelorganisationen ein existenzbedingtes Bedürfnis ist" (Schreiben der ALw an Bosshardt vom 15. Mai 1968). Solchen Betrieben wird regelmässig die Angliederung eines Geflügelhofes bis zu einem Höchstbestand BGE 102 Ib 356 S. 362 von 2000 Legehennen bewilligt. Diese Praxis entspricht dem Sinn des Art. 23 LwG und des Art. 2 Eier-Ordnung, zumal nach dessen Abs. 1 bei der Beurteilung der Bedürfnisfrage dem Umstand, dass die Ausübung des Berufs eines Geflügelhalters für einen Bewerber "eine Existenzfrage" darstellt, Rechnung zu tragen ist. Darüber hinaus erteilt die ALw auch Bewilligungen an Betriebsinhaber, deren berufliche Tätigkeit sich auf die Geflügelhaltung und die Eierproduktion beschränkt. Für diese Art von Betrieben hat die ALw früher bis 4000 Legehennen bewilligt; heute werden Bestände bis zu 6000 Tieren zugelassen. Legebetriebe dieser Grössenordnung werden von der Verwaltung noch zu den landwirtschaftlichen Betrieben gerechnet, die durch Art. 23 LwG geschützt sind und demgemäss die Möglichkeit haben sollen, ihre Eier über die Sammelorganisationen und die zur Übernahme verpflichteten Importeure abzusetzen. Dagegen nimmt die Verwaltung an, dass Geflügelfarmen mit noch grösseren Beständen an Legehennen den "aufstockungsbedürftigen" bäuerlichen Betrieben nicht gleichgestellt werden können, sondern als gewerbliche oder industrielle Betriebe zu gelten haben, also des Schutzes, den die bäuerliche Eierproduktion geniesst, nicht bedürfen. Daher wird die Bewilligung, welche diesen Schutz gewährleistet, solchen Grossbetrieben versagt. Auch diese Praxis erscheint als haltbar. Sie trägt dem in Art. 2 Abs. 1 Eier-Ordnung aufgestellten Erfordernis des Bedürfnisses Rechnung und legt diesen Begriff in einer Weise aus, die mit Sinn und Zweck des Art. 23 LwG vereinbar ist. 4. Die ALw erteilte am 14. Mai 1968 dem Beschwerdeführer, als hauptberuflichem Geflügelhalter im Sinne der vorstehenden Erwägung, die Bewilligung für eine Höchstzahl von 4000 ausgewachsenen Legetieren. Allerdings hatte ihr die Zentralstelle für Geflügelhaltung des Kantons Zürich in einem Bericht vom 9. April 1968 gemeldet, dass Bosshardt - offenbar nach seiner Darstellung - zur Zeit 8000 bis 10 000 Legehennen besitze. Die ALw durfte aber aufgrund weiterer Angaben im Bericht annehmen, dass ein beträchtlicher Teil dieses Bestandes nicht für die Eierproduktion, sondern für die Geflügelzucht bestimmt sei, zumal alle Einrichtungen für einen Zuchtbetrieb vorhanden waren und Bosshardt in seinem Briefkopf die Bezeichnung "Geflügelzuchtbetrieb" verwendete. BGE 102 Ib 356 S. 363 Die ALw musste auch noch nicht in Besorgnis geraten, als sie im Jahre 1972 von der Existenz der Bosshardt Geflügelzucht AG erfuhr und deren Mitteilung erhielt, dass man 25 000 Legehennen halte; die Verwaltung konnte davon ausgehen, dass die Gesellschaft entsprechend ihrer Firma hauptsächlich für den Ausbau des Zuchtbetriebes gegründet worden sei. Wie die ALw glaubwürdig erklärt, entdeckte sie erst im August 1975 durch Zufall, dass die Gesellschaft ausschliesslich ausgewachsene Legehennen für die Eierproduktion hält. Nach der heutigen Darstellung Bosshardts scheint es, dass er sogar schon zur Zeit, da er die Bewilligung vom 14. Mai 1968 erhalten hatte, über rund 15 000 Legehennen zum Zweck der Eierproduktion verfügt hatte. Demnach hätte er damals der kantonalen Zentralstelle offenbar eine ungenaue Auskunft gegeben. Wenn der Beschwerdeführer tatsächlich bereits im Jahre 1968 weit mehr als 4000 Hühner für die Eierproduktion hielt, muss angenommen werden, dass ihm die Bewilligung damals zu Unrecht erteilt wurde und er sie nicht erhalten hätte, wenn er der Zentralstelle nicht irreführende Angaben gemacht hätte. In einem solchen Fall ist aber der Widerruf der Bewilligung nach einem allgemeinen Grundsatz zulässig ( BGE 99 Ia 457 , BGE 98 Ib 250 f., BGE 93 I 395 ). Wäre dagegen anzunehmen, dass Bosshardt zur Zeit der Erteilung der Bewilligung noch gar nicht oder jedenfalls nicht wesentlich mehr als 4000 Hühner für die Eierproduktion hielt und der Bestand erst nachher allmählich bis auf rund das Sechsfache dieser Zahl erhöht wurde, so wäre der Entzug der Bewilligung - entsprechend einem bei der Erteilung ausdrücklich angebrachten Vorbehalt - wegen Veränderung der massgebenden tatsächlichen Verhältnisse gerechtfertigt ( BGE 100 Ib 302 , BGE 97 I 752 , BGE 94 I 346 , BGE 86 I 173 ). Der angefochtene Entzug kann demnach keinesfalls als unzulässig erachtet werden. Es kann dahingestellt bleiben, ob er auch mit dem von der ALw erhobenen Vorwurf begründet werden könne, dass der Beschwerdeführer die als persönlich und unübertragbar bezeichnete Bewilligung zu Unrecht auf die Bosshardt Geflügelzucht AG übertragen habe. Der Einwand des Beschwerdeführers, die Verwaltung habe den von ihr nun beanstandeten Zustand schon seit langem gekannt und geduldet, ist nach dem oben Gesagten nicht stichhaltig. BGE 102 Ib 356 S. 364 5. Die Rüge der rechtsungleichen Behandlung dringt nicht durch. Wenn die massgebende Ordnung in gewissen anderen Fällen nicht oder nicht richtig angewandt wurde, ist dies noch kein Grund, auch gegenüber dem Beschwerdeführer von ihr abzuweichen. Anders wäre zu entscheiden, wenn die Verwaltung es ablehnte, die Ordnung in allen Fällen durchzusetzen, in denen dies nach den Umständen geboten ist ( BGE 99 Ib 291 , 383 f.; BGE 98 Ia 161 f., 658; BGE 98 Ib 26 , 241 oben). Die ALw ist aber nach ihren Ausführungen gewillt, überall einzuschreiten, wo sich herausstellen würde, dass die Voraussetzungen für den Entzug einer erteilten Bewilligung erfüllt sind. Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Beschwerde wird abgewiesen.
public_law
nan
de
1,976
CH_BGE
CH_BGE_003
CH
Federation
72086187-32f2-471c-aafe-f9540c1b7cab
Urteilskopf 123 V 274 49. Arrêt du 23 décembre 1997 dans la cause C. et Dame B. contre Fondation collective LPP de la Vaudoise Assurances et Tribunal des assurances du canton de Vaud
Regeste Art. 24 Abs. 1 BVV 2 : Überentschädigungsberechnung bei Mitarbeit des Versicherten im Betrieb des Ehepartners. Bei der Ermittlung des hypothetischen Verdienstes gemäss Art. 24 Abs. 1 BVV 2 ist auf den realen wirtschaftlichen Wert der Mitarbeit des Versicherten abzustellen, wenn dieser dafür eine unter den üblichen Lohnansätzen liegende Entschädigung erhält (oder erhielt).
Sachverhalt ab Seite 275 BGE 123 V 274 S. 275 A.- B., né en 1951, marié et père d'un enfant né en 1978, est décédé le 13 septembre 1992 des suites d'une crise cardiaque, survenue à l'occasion d'une course de patrouille militaire. Par décision du 27 décembre 1993, la Caisse cantonale vaudoise de compensation a alloué à la veuve du prénommé, Dame B., une rente de veuve et une rente simple d'orphelin. En 1993, le montant de ces prestations s'élevait respectivement à 1504 francs et à 752 francs. De son côté, l'Office fédéral de l'assurance militaire, par une proposition de règlement du 17 septembre 1993, a signifié à Dame B. qu'il lui verserait une rente mensuelle de conjoint survivant de 2146 fr. 60, assortie d'une rente pour l'enfant C. de 954 fr. 05. Ces deux rentes étaient calculées sur la base d'une responsabilité de la Confédération de 50 pour cent, d'un gain annuel de 114'484 francs et d'un taux de rente de 45 pour cent et 20 pour cent respectivement. B.- Les époux B. exploitaient un commerce d'alimentation générale qui était inscrit au registre du commerce, sous raison individuelle, au nom de l'épouse. L'entreprise était affiliée à la Fondation collective LPP de la Vaudoise Assurances (ci-après: la Fondation). B. était assuré auprès de celle-ci pour un gain mensuel de 2000 francs. Le 3 février 1993, la Fondation a informé Dame B. qu'elle aurait en principe droit, au titre de prestations de survivants de la prévoyance professionnelle, à une rente de veuve de 651 francs par an et à une rente d'orphelin de 217 francs par an. La Fondation a toutefois refusé de verser ces prestations, au motif que les rentes cumulées de l'AVS et de l'assurance militaire dépassaient largement 90 pour cent du dernier salaire annuel assuré de feu B. (24'000 francs). C.- Le 3 mai 1995, Dame B. et C. ont ouvert une action devant le Tribunal des assurances du canton de Vaud en concluant au paiement par la Fondation d'une rente de veuve de 651 francs par an et d'une rente d'orphelin de 217 francs par an. La défenderesse a conclu au rejet de la demande. Par jugement du 21 février 1996, le tribunal des assurances a rejeté la demande. D.- Dame B. et C. interjettent un recours de droit administratif contre ce jugement, dont ils demandent la réforme dans le sens de leurs conclusions de première instance. Subsidiairement, ils concluent au renvoi de la cause à l'autorité cantonale pour nouveau jugement. La Fondation conclut au rejet du recours. L'Office fédéral des assurances sociales (OFAS) propose pour sa part de l'admettre et d'inviter la BGE 123 V 274 S. 276 Fondation à effectuer un nouveau calcul de la surindemnisation. Erwägungen Considérant en droit: 1. Selon l' art. 19 al. 1 let. a LPP , la veuve a droit à une rente de veuve si, au décès de son conjoint, elle a un ou plusieurs enfants à sa charge. Les enfants du défunt ont droit, quant à eux, à une rente d'orphelin ( art. 20 LPP ). Dans sa teneur en vigueur jusqu'au 31 décembre 1992, l' art. 25 al. 1 OPP 2 autorisait les institutions de prévoyance à exclure le versement de prestations de survivants ou d'invalidité lorsque l'assurance-accidents ou l'assurance militaire était mise à contribution pour le même cas d'assurance. Dans l'arrêt ATF 116 V 189 , le Tribunal fédéral des assurances a toutefois jugé que cette disposition était contraire à la loi. Les prestations de l'institution de prévoyance peuvent seulement être réduites dans la mesure où elles entraînent une surindemnisation au sens de l' art. 24 OPP 2 . A la suite de cet arrêt, l' art. 25 al. 1 OPP 2 a été modifié par le Conseil fédéral avec effet au 1er janvier 1993. Dans sa nouvelle version, il prévoit que l'institution de prévoyance peut réduire ses prestations, conformément à l' art. 24 OPP 2 , lorsque l'assurance-accidents ou l'assurance militaire est mise à contribution pour le même cas d'assurance. La jurisprudence de l'arrêt ATF 116 V 189 s'applique ex nunc et pro futuro. Elle est opposable aux institutions de prévoyance à partir du mois de novembre 1990, soit dès le moment où les communications de l'OFAS relatives à la prévoyance professionnelle firent connaître le contenu essentiel de l'arrêt ( ATF 120 V 336 consid. 10b). Elle s'applique donc en l'espèce dès la survenance de l'événement assuré (13 septembre 1992), quand bien même celui-ci est antérieur à l'entrée en vigueur de la version modifiée de l' art. 25 al. 1 OPP 2 (voir aussi ATF 122 V 316 ). Ce point ne fait au demeurant l'objet d'aucune contestation entre les parties. L'intimée ne prétend pas, en effet, qu'elle serait fondée à refuser toute prestation du seul fait que l'assurance militaire verse des prestations pour les suites de l'événement en question. 2. Les premiers juges, qui se sont ralliés à la thèse de l'intimée, considèrent toutefois que l'assuré décédé était le salarié de son épouse. Comme le revenu annuel de 24'000 francs pour lequel il était assuré est notablement plus bas que le montant des prestations cumulées de l'AVS et de l'assurance militaire, ils concluent à l'existence d'une surindemnisation, BGE 123 V 274 S. 277 justifiant le refus par l'institution de prévoyance de toute prestation de survivants. Les recourants font pour leur part valoir que le montant de 2000 francs représentait un salaire de départ qui aurait dû augmenter avec les années, car le commerce d'alimentation était dirigé en commun par les époux; la fonction de l'assuré correspondait en réalité à celle d'un "patron". a) La collaboration salariée d'un époux à l'activité professionnelle de l'autre conjoint n'est pas exclue du champ d'application de la prévoyance professionnelle obligatoire (voir, en ce qui concerne les membres de la famille d'un exploitant agricole, l' art. 1er al. 1 let . e OPP 2; cf. aussi ATF 115 Ib 45 consid. 4f; Philippe Bois/Pierre Aubert, Les cotisations d'assurances sociales de la femme mariée en vertu de l'art. 165 alinéa 1er CCS, particulièrement dans le domaine de l'AVS, in: Problèmes de droit de la famille, Recueil de travaux publié par la Faculté de droit et des sciences économiques de l'Université de Neuchâtel, 1987, p. 29). En l'espèce, on ne dispose toutefois pas d'indices suffisants pour admettre, à l'instar des premiers juges, que le défunt était soumis à l'assurance obligatoire des salariés selon l' art. 2 LPP . Il semble au contraire qu'il ait été affilié auprès de la Fondation comme assuré facultatif en qualité d'indépendant ( art. 4 al. 1 LPP ). L'intimée l'a en tout cas affirmé dans plusieurs de ses écritures, notamment dans sa duplique en procédure cantonale. On ne connaît pas, d'autre part, les éléments de calcul qui ont amené l'assurance militaire à retenir un gain annuel de 114'484 francs (voir l' art. 29 aLAM en corrélation avec l' art. 24 al. 2 aLAM ), soit le maximum du gain pris en considération à l'époque par cette assurance (art. 5 de l'Ordonnance du 28 octobre 1992 sur l'adaptation des prestations de l'assurance militaire à l'évolution des salaires et des prix [RO 1992 2101]). L'importance de l'écart entre ce montant et le gain assuré en l'occurrence par la Fondation donne à penser que l'assurance militaire a considéré l'intéressé comme une personne de condition indépendante et qu'elle s'est fondée sur les revenus qu'il a effectivement retirés de l'exploitation de son commerce. On ignore au demeurant quel était le statut de l'assuré du point de vue de l'AVS; or, les critères juridiques de l'AVS sont déterminants pour décider de la qualité de salarié au sens de la LPP ( ATF 115 Ib 37 ; RSAS 1990 p. 181; JAAC 1987 [51] no 16, p. 98). b) Quoi qu'il en soit, les dispositions sur la surindemnisation s'appliquent indistinctement aux personnes soumises obligatoirement à la LPP et à celles qui sont assurées à titre facultatif ( art. 4 al. 2 LPP ; BGE 123 V 274 S. 278 voir aussi Beros, Die Stellung des Arbeitnehmers im BVG [Obligatorium und freiwillige berufliche Vorsorge], thèse Zurich 1993, p. 38 sv., note 1.6.5). Il en va ainsi de l' art. 24 al. 1 OPP 2 , qui concrétise la notion d'avantage injustifié au sens de l' art. 34 al. 2 LPP . Selon cette disposition réglementaire, l'institution de prévoyance peut réduire les prestations d'invalidité et de survivants dans la mesure où, ajoutées à d'autres revenus à prendre en compte, elles dépassent 90 pour cent du gain annuel dont on peut présumer que l'intéressé est privé. La même disposition est reprise au chiffre 3.3.1 du règlement de prévoyance de l'intimée. Par "gain annuel dont on peut présumer que l'intéressé est privé", il faut entendre, conformément au sens littéral de l'ordonnance, le salaire hypothétique que l'assuré (invalide ou décédé) aurait pu réaliser sans la survenance de l'éventualité assurée. Ce gain ne correspond donc pas forcément au revenu effectivement obtenu et assuré au moment du décès par exemple ( ATF 123 V 93 consid. 3b, 122 V 314 consid. 6a, 154 consid. 3c et les références). Il n'est par ailleurs soumis à aucune limite supérieure (Nef, Die Leistungen der Beruflichen Vorsorge in Konkurrenz zu anderen Versicherungsträgern sowie haftpflichtigen Dritten, RSAS 1987, p. 27). Deux cas de figure doivent en l'espèce être envisagés. Si le défunt était assuré à titre facultatif en qualité d'indépendant, il convient, pour déterminer la limite de la surindemnisation, d'estimer le revenu qu'il aurait pu obtenir à ce titre sur la base, notamment, de ses déclarations fiscales, voire d'un examen des comptes de l'entreprise. Les données éventuellement recueillies à ce sujet par l'assurance militaire peuvent aussi se révéler utiles. Si, en revanche, B. était le salarié de son épouse, on ne saurait, sans autre examen, calculer la perte de gain en fonction du revenu assuré, en l'indexant simplement à l'évolution générale des salaires. Lorsque des époux ont conclu un contrat de travail, il n'est pas rare que la rémunération convenue soit sensiblement inférieure aux normes de salaire usuelles; cela peut s'expliquer, notamment, par la capacité financière limitée de l'époux débiteur du salaire, par un souci de rentabilité économique ou encore par le fait que les efforts de l'époux salarié sont compensés par d'autres avantages, en particulier l'élévation de son niveau de vie pendant le mariage (Thomas Geiser, Arbeitsvertrag unter Ehegatten oder eherechtliche Entschädigung nach Art. 165 ZGB?, BJM 1990 p. 76). En pareille circonstance, il apparaît à la fois équitable et conforme au sens des dispositions sur la surindemnisation de tenir compte, pour déterminer BGE 123 V 274 S. 279 le gain hypothétique selon l' art. 24 al. 1 OPP 2 , de la valeur économique réelle de la collaboration du conjoint, en partant de l'idée que ce dernier aurait pu exercer son activité professionnelle en dehors de l'entreprise familiale ou qu'il remplaçait un salarié qui eût dû être engagé à défaut de cette collaboration. On prendra par exemple en considération le salaire qui aurait été normalement versé pour un employé venant de l'extérieur et appelé à remplir les mêmes tâches que l'assuré. Dans un ordre d'idées un peu différent, on rappellera qu'en matière d'assurance-accidents l' art. 22 al. 1 let . c OLAA permet de retenir un salaire correspondant aux usages professionnels et locaux pour fixer le gain assuré des membres de la famille de l'employeur travaillant dans l'entreprise (voir ATF ATF 121 V 125 ). Même si cette règle, qui vise une adaptation du gain assuré, ne concerne en rien la surindemnisation, elle procède de la même volonté de tenir équitablement compte du fait que les personnes considérées (notamment le conjoint) perçoivent souvent une rémunération inférieure à la moyenne des salaires, en raison précisément de leurs liens familiaux avec l'employeur, (cf. Thomas Koller, PJA 1995 p. 1082, à propos de l'arrêt ATF 121 V 125 ). c) Le fait que le défunt n'était en l'espèce assuré auprès de l'intimée que pour un faible revenu n'est pas déterminant dans le présent contexte. Cette circonstance a une incidence sur le niveau des prestations, qui sont fixées en proportion de ce gain assuré: il n'y a donc pas, contrairement à ce que soutient l'intimée, de contradiction avec le principe de l'équivalence, selon lequel le montant des prestations dépend des cotisations versées. En outre, le but des dispositions sur la surindemnisation n'est pas d'empêcher que des personnes soient sous-assurées en matière de prévoyance professionnelle, mais d'éviter que le cumul de prestations d'assurances sociales ne soit une source de gain pour l'ayant droit. 3. Comme le jugement attaqué ne contient aucun élément qui permettrait de trancher le litige, il convient d'inviter l'autorité cantonale à compléter les faits et à statuer à nouveau. Les premiers juges devront tout d'abord examiner si l'assuré avait conclu une assurance facultative en tant qu'indépendant ou s'il était soumis obligatoirement à la LPP comme salarié. Il leur appartiendra ensuite de déterminer la limite de la surindemnisation, en fonction de la réponse donnée à cette question et conformément aux principes ci-dessus exposés. 4. (Frais et dépens)
null
nan
fr
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CH_BGE_007
CH
Federation
720be8b1-de07-4c66-97fd-57808c39c081
Urteilskopf 103 II 294 49. Urteil der I. Zivilabteilung vom 27. September 1977 i.S. Verband Schweizerischer Filmgestalter gegen Schweizerischen Filmverleihverband
Regeste Art. 6 Abs. 1 KG ; Klagerecht des Verbandes. 1. Aus eigenem Recht kann ein Verband klagen, wenn er selber durch eine unzulässige Wettbewerbsbehinderung geschädigt oder gefährdet wird (E. 1). 2. Nach dem Sinn und Zweck des Gesetzes kann er ferner im eigenen Namen, aber im Interesse seiner betroffenen Mitglieder klagen, wenn er gemäss den Statuten entsprechende Interessen der Mitglieder zu wahren hat und diese selber zur Klage berechtigt sind (E. 2 - 4). 3. Diese Voraussetzungen eines Verbandsklagerechtes im Interesse von Mitgliedern sind hier erfüllt (E. 5).
Sachverhalt ab Seite 295 BGE 103 II 294 S. 295 A.- Der Verband Schweizerischer Filmgestalter (VSFG) ist ein Verein gemäss Art. 60 ff. ZGB , der im Oktober 1962 gegründet worden ist und heute etwa 45 Mitglieder zählt. Laut seinen Statuten will er die Entwicklung eines eigenständigen schweizerischen Films fördern und die beruflichen Interessen seiner Mitglieder verteidigen (Art. 2). Zu diesem Zweck bekämpft er Bestrebungen, welche dem schweizerischen Film im allgemeinen oder den Verbandsmitgliedern im besonderen schaden könnten; er unternimmt ferner die geeigneten Schritte, um die beruflichen Interessen seiner Mitglieder zu wahren (Art. 3 lit. f und h). Die Filmgestalter stehen drei Organisationen der Filmwirtschaft gegenüber, nämlich einerseits dem Schweizerischen Filmverleiher-Verband (SFV) und anderseits dem Schweizerischen Lichtspieltheater-Verband für die deutsche und italienische Schweiz (SLV) sowie der Association Cinématographique Suisse Romande (ACSR). Diese Organisationen sind unter sich durch Vereinbarungen gebunden, die in einer Filmmarktordnung zusammengefasst sind. Dazu gehört insbesondere, dass die im SFV zusammengeschlossenen Verleiher Filme grundsätzlich nur an Kinobesitzer des SLV und der BGE 103 II 294 S. 296 ACSR abgeben und diese ihrerseits Filme nur von den Mitgliedern des SFV beziehen dürfen. Die Filmmarktordnung ist vor allem von Bedeutung, weil die Einfuhr ausländischer Spielfilme gemäss Art. 11 ff. des Filmgesetzes kontingentiert ist. Im Herbst 1969 vereinbarte der SFV mit dem VSFG für den Verleih von Schweizer Filmen eine Sonderregelung. Danach hatte ein Hersteller seinen Film zuerst dem SFV anzubieten, der seine Mitglieder benachrichtigte. Kam innert 30 Tagen nicht ein Verleihvertrag mit einem Mitglied zustande, so durfte der Film direkt den Lichtspieltheatern angeboten und von diesen aufgeführt werden. Die Sonderregelung lief am 1. November 1971 aus. Als Bemühungen um eine neue Vereinbarung erfolglos blieben, stellte der VSFG beim Richter ein Begehren um vorsorgliche Massnahmen gegen die drei Filmwirtschaftsverbände. Das Begehren wurde am 22. März 1973 gegenstandslos, weil durch Vermittlung eines Dritten eine weitere Regelung getroffen werden konnte, die bis Ende 1975 befristet wurde. Nach der neuen Regelung konnten am Verleih interessierte Mitglieder des SFV schon während der Herstellungszeit des Filmes sich mit dem Produzenten in Verbindung setzen und sich orientieren lassen. Bis zur Fertigstellung des Filmes durften sie zudem verlangen, dass ihnen der Film vorgeführt werde. Konnte daraufhin oder nach einem allfälligen Schlichtungsverfahren kein Verleihvertrag geschlossen werden, so durfte der Hersteller den Film direkt an Kinobesitzer abgeben. Die Filmgestalter konnten sich damit nicht abfinden. Sie verlangten deshalb 1975 neue Verhandlungen, die daran scheiterten, dass die Filmverleiher jedenfalls für Filme mit ausländischer Beteiligung an der bisherigen Regelung festhalten wollten. Die Filmgestalter lehnten das ab, weil die meisten Schweizer Spielfilme mit ausländischer Beteiligung hergestellt würden. B.- Ende April 1976 ersuchte der VSFG das Richteramt II Bern, die drei Verbände der Filmwirtschaft zum Sühneversuch vorzuladen. Der SFV blieb aus. Der SLV und die ACSR erklärten dagegen, dass sie ihre Mitglieder zur direkten Übernahme von Schweizer Filmen ermächtigten. Der VSFG klagte daher im Juli 1976 nur noch gegen den SFG. Er beantragte dem Handelsgericht des Kantons Bern insbesondere: 1. festzustellen, BGE 103 II 294 S. 297 dass die Filmmarktordnung insoweit widerrechtlich sei, als sie die Mitglieder des SLV und der ACSR verpflichte, Schweizer Filme nur von Mitgliedern des Beklagten zu beziehen, und ihnen die Aufführung solcher Filme sonst untersage; 2. den Vorstand des Beklagten zu verurteilen, seinen Verbandsmitgliedern und den Vorständen des SLV und der ACSR innert zehn Tagen mitzuteilen, dass der Verleih und das Recht zur Aufführung von Schweizer Filmen keiner Beschränkung unterliegen; 3. dem Beklagten bei Strafe zu verbieten, irgendwelche Vorkehren zu treffen, durch die der freie Verleih und das Recht zur Aufführung von Schweizer Filmen behindert werden könnten. Der Kläger machte geltend, die Filmmarktordnung sei als Kartell zu werten, welches die Herstellung von Schweizer Filmen, wie Beispiele zeigten, im Wettbewerb erheblich behindere. Die Herstellung solcher Filme werde vom Bund gefördert, ihre Verbreitung von den Filmverleihern dagegen erschwert, weil sie daran nur wenig interessiert seien. Wenn eine Amtsstelle die Projekte anhand des Drehbuches und weiterer Angaben beurteilen könne, dürfe auch vom Verleiher verlangt werden, über die Übernahme des Filmes vor Beginn der Dreharbeiten zu entscheiden. Der Beklagte bestritt, dass eine Behinderung nach Kartellrecht vorliege und der Kläger ihn deswegen belangen dürfe. Das Handelsgericht beschränkte das Verfahren einstweilen auf die Frage der Aktivlegitimation. Mit Entscheid vom 3. März 1977 verneinte es sie und wies die Klage ab. C.- Der Kläger hat gegen diesen Entscheid Berufung eingelegt mit dem Antrag, ihn aufzuheben und zu erkennen, dass er zu den Klagebegehren legitimiert sei. Er verlangt ferner, die Sache zur Beurteilung und Gutheissung seiner Begehren an die Vorinstanz zurückzuweisen. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Im kantonalen Verfahren leitete der Kläger seine Befugnis zur Klage ausschliesslich aus Bestimmungen des Kartellgesetzes (KG) ab. Auch das Handelsgericht beschränkte sich bei der Prüfung der Streitfrage auf dieses Gesetz, das nach seiner Auffassung ein Klagerecht von Berufsverbänden im Interesse ihrer Mitglieder nicht kennt. Gemäss BGE 103 II 294 S. 298 Art. 6 Abs. 1 KG hat Anspruch auf Feststellung der Widerrechtlichkeit, auf Unterlassung von Vorkehren und Beseitigung des rechtswidrigen Zustandes, wer durch eine unzulässige Wettbewerbsbehinderung geschädigt oder gefährdet wird. a) Der Wortlaut dieser Bestimmung schliesst nicht nur eine Popularklage, sondern auch ein Klagerecht jedes Interessierten, wie es z.B. in Art. 28 PatG vorgesehen ist, zum vorneherein aus. Berechtigt ist nur, wer durch die Wettbewerbsbehinderung betroffen wird. Das entspricht dem Gesetz und dem System des Kartellrechtes, das den zur wirtschaftlichen Persönlichkeit gehörenden Anspruch auf Wettbewerbsfreiheit schützen will. Dagegen steht ausser Frage, dass gemäss Art. 6 Abs. 1 KG auch ein Verband als juristische Person klagen darf, wenn er durch eine unzulässige Wettbewerbsbehinderung geschädigt oder gefährdet wird. Diesfalls macht der betroffene Verband ein Recht geltend, das ihm um seiner eigenen wirtschaftlichen Persönlichkeit willen zusteht. Das setzt indes voraus, dass der Betroffene ein wirtschaftliches Unternehmen führt, am Wettbewerb also selber teilnimmt (Botschaft zum Entwurf eines UWG, BBl 1942 S. 694; G. ROOS, Das Klagerecht der Berufs- und Wirtschaftsverbände nach UWG, S. 62; VON BÜREN, Kommentar zum UWG S. 181; vgl. auch BGE 93 II 140 ). Das Handelsgericht verneint ein solches Klagerecht für den Kläger, weil er Filme nur fördere, nicht aber herstelle und weil die behauptete Behinderung nicht ihn, sondern bloss seine Mitglieder treffe. Der Kläger erblickt darin eine Verletzung von Bundesrecht. Er macht geltend, Filmförderung sei mit Filmherstellung gleichzusetzen. In seinen Bestreben, den Schweizer Film zu fördern, werde er durch den Beklagten, der den Verleih und die Aufführung solcher Filme beschränke, aber direkt behindert und in seinen Rechten getroffen. Auch vertrete er nicht nur die Interessen seiner Mitglieder, sondern aller Hersteller und damit des Schweizer Films überhaupt. Diese Einwände ändern indes nichts daran, dass der Kläger selber am Wettbewerb, der angeblich, vom Beklagten behindert wird, in keiner Weise teilhat. Das gilt selbst dann, wenn die sachlichen Voraussetzungen eines Wettbewerbes nicht nur für die Herstellung, sondern auch für die übrigen Stufen des Filmgewerbes bejaht werden. Der Kläger gibt sich nach seinen BGE 103 II 294 S. 299 Statuten als Verein aus, widmet sich also einer nicht wirtschaftlichen Aufgabe ( Art. 60 Abs. 1 ZGB ). Er betreibt zu deren Lösung auch kein Gewerbe, das ihn zur Eintragung in das Handelsregister verpflichten würde ( Art. 61 Abs. 2 ZGB ). Er beschränkt sich darauf, die Interessen Dritter, nämlich seiner Mitglieder und angeblich auch der anderen Hersteller von Schweizer Filmen zu fördern. Mit der Klage will er offensichtlich diese Interessen wahren und verteidigen, was er aber nicht aus eigenem Recht tun kann. Ein direktes Klagerecht um seiner selbst willen steht ihm daher nach Art. 6 Abs. 1 KG nicht zu. b) Aus diesem Grund stützt der Kläger sich in der Berufung auch auf die Art. 28 ZGB und 19 OR, was zwar neu, aber als Rechtserörterung zulässig ist ( BGE 98 II 194 ). Es ist nicht zu bestreiten, dass der Kläger als Verein Ansprüche aus Verletzung eines Persönlichkeitsrechtes haben kann ( BGE 97 II 100 mit Hinweisen) und dass solche auch in Bereichen des Wettbewerbes entstehen können (ROOS, a.a.O. S. 22; KUMMER, Anwendungsbereich und Schutzgut der privatrechtlichen Rechtssätze gegen unlauteren und gegen freiheitsbeschränkenden Wettbewerb, S. 55; MERZ, Das schweizerische Kartellgesetz, S. 131). Von einem eigentlichen Persönlichkeitsrecht, ungehindert Hersteller von Schweizer Filmen fördern zu können, kann jedoch nicht die Rede sein, ganz abgesehen davon, dass die Förderung bei zunehmender Behinderung umso nötiger wird. Der Kläger selber wird von der angeblichen Behinderung seiner Mitglieder nur mittelbar, durch Reflexwirkung betroffen, was ihn nach allgemeinen Grundsätzen noch nicht berechtigt, sich als Geschädigten auszugeben ( BGE 73 II 68 und BGE 99 II 223 ; ROOS, a.a.O. S. 18). Aus eigenem Recht kann der Kläger daher den streitigen Anspruch nicht erheben. Es geht ihm in Wirklichkeit, wie er noch in der Berufungsschrift einräumt, denn auch um die Kollektivinteressen seiner Mitglieder. 2. Eine andere Frage ist, ob sich dem Kartellgesetz ein Verbandsklagerecht entnehmen lasse, das dem Kläger gestatten würde, seine Rechtsbegehren im eigenen Namen, jedoch im Interesse seiner angeblich betroffenen Mitglieder gegen den Beklagten durchzusetzen. Um eine blosse Abart der Popularklage kann es sich dabei allerdings nicht handeln, zumal ein solches Klagerecht in anderen Bereichen schon vor Erlass des Kartellgesetzes bejaht worden ist. BGE 103 II 294 S. 300 a) So anerkennt das Bundesgericht die Legitimation von Berufsverbänden, zugunsten ihrer Mitglieder staatsrechtliche Beschwerde einzureichen, schon seit Jahrzehnten ( Art. 88 OG ; BGE 100 Ia 99 mit Hinweisen); diese Rechtsprechung ist inzwischen auch auf die Verwaltungsgerichtsbeschwerde ausgedehnt worden ( Art. 103 OG ; BGE 101 Ib 110 , BGE 100 Ib 336 mit Zitaten). Dabei wird stets vorausgesetzt, dass der Verband nach seinen Statuten entsprechende Interessen seiner Mitglieder zu wahren hat und dass diese selber zur Beschwerde berechtigt wären. Damit stimmt überein, dass auch das Filmgesetz den Berufsverbänden das Recht einräumt, Entscheide über Kontingente und Bewilligungen mit der Verwaltungsgerichtsbeschwerde anzufechten (Art. 17 Abs. 2 und 20 Abs. 2). Dass diese öffentlichrechtliche Ordnung aus Gründen der Rechtsgleichheit auch eine zivilrechtliche Befugnis zur Klage verlangt, trifft entgegen der Auffassung des Klägers allerdings nicht zu (ROOS, a.a.O. S. 26). Das Handelsgericht hält diese Rechtsprechung nicht für massgebend, sondern beruft sich auf die Anregung von DESCHENAUX in ZBJV 110/1974 S. 140, dass gegen Ende des 20. Jahrhunderts die überholte "Dichotomie" zwischen privatrechtlichen und öffentlichrechtlichen Aspekten des nämlichen Problems endlich aufgegeben werden sollte. Dies sollte indes eher Anlass sein, die beiden Betrachtungsweisen einander anzunähern, statt aus dem Unterschied, wie die Vorinstanz es tut, einen Gegensatz zu machen. b) Auch auf dem Gebiete des gewerblichen Rechtsschutzes finden sich schon seit langem Hinweise auf ein Verbandsklagerecht. Das gilt nach ausdrücklicher Vorschrift für Klagen über Herkunftsbezeichnungen gemäss Art. 27 Ziff. 2 lit. a MSchG und nach der Rechtsprechung für Patentnichtigkeitsklagen gemäss Art. 28 PatG ( BGE 66 II 62 , TROLLER Immaterialgüterrecht II S. 1160, BLUM/PEDRAZZINI, Patentrecht II S. 243). Ausdrücklich vorgesehen ist das Klagerecht für Berufs- und Wirtschaftsverbände ferner in Art. 2 Abs. 3 UWG , und zwar unter der doppelten Voraussetzung, dass die Verbände nach den Statuten die wirtschaftlichen Interessen ihrer Mitglieder zu wahren haben und die Mitglieder ebenfalls klageberechtigt sind. Wie das Handelsgericht unter Hinweis auf MERZ (a.a.O. S. 131) richtig bemerkt, beruhen das UWG und das KG auf dem gleichen Grundgedanken, da beide Gesetze einen lauteren BGE 103 II 294 S. 301 und freien Wettbewerb sichern wollen. Es handelt sich nur um zwei Seiten des gleichen Gesamtverhältnisses, um einen zweigeteilten negatorischen Schutz des Rechts auf Wettbewerb (KUMMER, a.a.O. S. 122 und 124; SCHÜRMANN, Textausgabe des Kartellgesetzes mit Erläuterungen, S. 175/6). Unter Berufung auf die bundesrätliche Botschaft zum KG (BBl 1961 II S. 588) nimmt die Vorinstanz denn auch an, dass bei der Anwendung des KG auch auf die Bestimmungen des UWG abgestellt werden darf. Dennoch rechtfertigt es sich nach der Ansicht des Handelsgerichtes, das Klagerecht der Verbände nach den beiden Gesetzen verschieden zu behandeln, weil unlauterer Wettbewerb jedermann schädige, seine Bekämpfung folglich im öffentlichen Interesse liege, während Kartelle durchaus nützliche Ordnungselemente darstellten. Das überzeugt nicht. Das UWG richtet sich nur gegen unlautere Erscheinungsformen des Wettbewerbs, das KG bloss gegen Missbräuche der Kartelle; in beiden Bereichen können aber Individual- und Allgemeininteressen in gleicher Weise zusammentreffen. Von Bedeutung ist dagegen, dass das Verbandsklagerecht in der Botschaft zum UWG (BBl 1942 S. 675) damit begründet worden ist, dass der einzelne Verletzte das Prozessrisiko oder die Rolle des Angreifers scheue und deshalb von einer Klage absehen könnte. In dieser Rücksichtnahme erblickt VON BÜREN (a.a.O. S. 183) zu Recht ein Zugeständnis an den kleinen Gewerbetreibenden, der wegen seiner wirtschaftlichen Lage nicht benachteiligt sein sollte. c) Von gleichen allgemeinen Erwägungen ging das Bundesgericht gestützt auf Art. 28 ZGB auch in seiner Rechtsprechung zum widerrechtlichen Boykott aus. Im Jahre 1947 anerkannte es ein Klagerecht zugunsten des Schweiz. Coiffeurgehilfen-Verbandes, obschon Art. 28 ZGB dieses Recht nur dem Verletzten zugesteht und keine Popularklage zulässt ( BGE 95 II 537 ). Es umschrieb die Legitimation des Verbandes in analoger Anwendung von Art. 2 Abs. 3 UWG und berief sich u.a. ebenfalls darauf, dass die einzelnen Verbandsmitglieder kaum in der Lage oder bereit wären, selber zu klagen ( BGE 73 II 67 ). Diese Rechtsprechung wurde namentlich von GUHL (ZBJV 84/1948 S. 514) und M. MEYER (SJZ 44/1944 S. 185) befürwortet. Sie wurde in BGE 75 II 309 und BGE 86 II 21 bestätigt, BGE 103 II 294 S. 302 wobei in Anlehnung wiederum an das UWG Schadenersatz- und Genugtuungsprüche ausgenommen wurden. Dass diese Entscheide Arbeitsstreitigkeiten betrafen, ändert nichts an ihrer grundsätzlichen Bedeutung. Sie entsprechen, wie auch die übrigen Beispiele und Art. 2 Abs. 3 UWG zeigen, einer allgemeinen Tendenz, die bei der Auslegung des KG zu berücksichtigen ist. Dazu gehört auch, was Lehre und Rechtsprechung zu Art. 27/28 ZGB und zu Art. 2 UWG ausführen (VON BÜREN, a.a.O. S. 183; SCHÜRMANN, a.a.O. S. 100; MERZ, a.a.O. S. 38). 3. Das Handelsgericht untersucht anhand der Entstehungsgeschichte des KG, ob das Schweigen des Gesetzgebers in diesem Punkte gewollt sei und das Verbandsklagerecht ausschliesse oder ob das Gesetz dieses Recht als selbstverständlich voraussetze. Die Prüfung der Gesetzesmaterialien ergibt was folgt: a) Mit dem angefochtenen Urteil darf davon ausgegangen werden, dass den Verfassern der Vorentwürfe, namentlich dem BIGA und den Kommissionsmitgliedern, die angeführte Rechtsprechung des Bundesgerichtes von 1947 bekannt war. Sowohl MERZ (Über die Schranken der Konzernbildung, S. 48 und 63) als auch HUG (in Wirtschaft und Recht, 10/1958 S. 114/5), die beide der Expertenkommission angehörten, haben die Frage eines Verbandklagerechts denn auch schon vor Beginn der Vorarbeiten aufgeworfen. Daraus folgt indes nicht notwendig, ein solches Klagerecht sei in der Folge bewusst abgelehnt worden; denn man konnte die Frage auch weiterhin der Rechtsprechung überlassen. MERZ (S. 45-51) befasste sich übrigens nur mit dem Schutz der Konsumenten, die anders als nach Art. 2 Abs. 2 UWG vom KG ausgenommen werden. Für HUG (a.a.O.) sodann war die Frage gar nicht aktuell, weil Aussenseiter überhaupt nicht und Konsumenten jedenfalls nicht in aktionsfähigen Verbänden organisiert seien. b) Für das Handelsgericht ist entscheidend, dass in den parlamentarischen Beratungen ein Klagerecht der Verbände nie auch nur erwogen, geschweige denn beantragt worden ist. Das trifft nach den Materialien in der Tat zu; ebensowenig ist der Entstehungsgeschichte aber zu entnehmen, dass ein Verbandsklagerecht je ausdrücklich abgelehnt oder verneint worden ist, und zwar auch nicht sinngemäss mit den von der BGE 103 II 294 S. 303 Vorinstanz angeführten Äusserungen. Das folgt insbesondere nicht aus dem Votum von Ständerat Obrecht, wonach keine Popularklage zugelassen werde, der Konsument im verwaltungsrechtlichen Verfahren Schutz finde und nur direkt beteiligte Kreise klagen könnten (Protokoll der ständerätlichen Kommission S. 11). Gewiss sollten nach diesem Votum Klagen von Konsumenten ausgeschlossen werden; die Verbandsklage kann aber durchaus als solche "beteiligter Kreise" verstanden werden. Die vom Handelsgericht angeführten weiteren Voten der Nationalräte Weber, Borel und Huber stimmen in der Befürchtung überein, ein Einzelner werde sich wegen des Kostenrisikos nur schwerlich entschliessen können, sich in einem langen und kostspieligen Prozess für die Wettbewerbsfreiheit zu wehren (Sten.Bull. 1962 NR S. 615, 619 und 630). Sie erklären zum Teil auch, warum neben dem Zivilweg neu ein Verwaltungsverfahren eingeführt werden sollte. Vor allem befassen sie sich aber mit der Lage des Aussenseiters, der im Kampf gegen das Kartell allein steht und deshalb nicht auf die Hilfe eines Verbandes zählen kann. c) Im Parlament kam das Verbandsklagerecht nicht zur Sprache. Das lässt sich weitgehend damit erklären, dass darüber in der Botschaft nichts gesagt worden ist. Nicht zu ersehen ist hingegen, warum die Frage in der Expertenkommission nicht behandelt wurde, zumal das BIGA eine "Diskussionsgrundlage" vorlegte, in der unter der Überschrift "Klagelegitimation" die zu behandelnden Themen wie folgt angegeben wurden: "a) ausschliessliche Legitimation des Geschädigten (gegenwärtiger Zustand), b) Legitimation von Verbänden, c) Legitimation einer Behörde." Die Kommission begnügte sich immer wieder mit dem Hinweise, die vorgesehene Bestimmung entspreche Art. 2 UWG , ohne aber je auf Abs. 3 dieser Vorschrift einzugehen (vgl. z.B. Protokoll 2 S. 43/44 und 47, Schlussbericht S. 22 und 44). Dagegen wurde schon in den Beratungen der Expertenkommission und in den Berichten zu den Vorentwürfen ausdrücklich Bezug genommen auf die Urteilspublikation und auf vorsorgliche Massnahmen gemäss Art. 6 und 9 ff. UWG ; das Ergebnis davon war, dass in Art. 6 Abs. 3 und 10 KG ähnliche Bestimmungen aufgenommen wurden. Bei der Bestimmung über die Urteilspublikation blieb es, obschon man BGE 103 II 294 S. 304 darin anfänglich einen allgemein anerkannten Rechtssatz erblickte und sie deshalb für unnötig hielt. Trotz den in Art. 3 und 7 UWG enthaltenen Sondernormen über die Geschäftsherrenhaftung und die Verjährung verzichtete man dagegen auf entsprechende Bestimmungen im KG, weil dafür die allgemeinen Regeln genügten (vgl. z.B. Bericht des BIGA zum Vorentwurf vom 15. September 1958, S. 15 und 21). d) Den Gesetzesmaterialien ist somit über die Ablehnung einer Klageberechtigung von Verbänden keine klare Antwort zu entnehmen. Das wäre aber Voraussetzung dafür, dass die Materialien in diesem Sinne bei der Auslegung des Gesetzes berücksichtigt werden dürfen. Dies gilt auch von Äusserungen einzelner Beteiligter, selbst wenn sie unwidersprochen geblieben sind ( BGE 101 Ia 362 , BGE 101 Ib 240 , BGE 100 II 57 /8 und dort angeführt Urteile). Eindeutig ergibt sich aber aus der Entstehungsgeschichte, dass der Gesetzgeber an die bundesgerichtliche Rechtsprechung anschliessen, ja diese kodifizieren und weiterentwickeln wollte (Bericht der Expertenkommission von April 1959 S. 8; Protokoll der nationalrätlichen Kommission S. 9, Sten.Bull. 1962 NR S. 613; MERZ, Kartellgesetz, S. 38); ferner dass sich das KG im verfahrensrechtlichen Bereich, namentlich bei Art. 6, eng an das UWG anlehnte und dessen System übernahm (BBl 1961 II S. 588; SCHÜRMANN, a.a.O. S. 99). 4. Entgegen der Annahme der Vorinstanz sprechen die Gesetzesmaterialien somit eher für als gegen ein Klagerecht der Verbände. Bei diesem Ergebnis darf der Richter nicht beim Wortlaut des Art. 6 Abs. 1 KG stehen bleiben, sondern muss auch prüfen, wie es sich nach dem Sinn und Zweck des Gesetzes mit der Streitfrage verhält ( BGE 101 Ia 320 , BGE 100 II 189 , BGE 95 II 267 ). a) Dem Gesetzgeber ging es vor allem um den zivilrechtlichen Schutz, der womöglich verbessert, jedenfalls aber nicht verschlechtert werden sollte (BBl 1961 II S. 563 und 575; SCHÜRMANN, a.a.O. S. 58; Bericht BIGA zum Vorentwurf vom 7. August 1958, S. 27; Schlussbericht der Expertenkommission vom April 1959, S. 8). Dazu gehört auch die schon vor Erlass des Gesetzes bestehende bundesgerichtliche Rechtsprechung, die einer allgemeinen Tendenz folgend besonders zum Schutze des sozial Schwächeren eingeleitet worden ist (VON BÜREN, a.a.O. S. 183, ROOS, a.a.O. S. 92). Dieser Schutz BGE 103 II 294 S. 305 würde entgegen der Absicht des Gesetzgebers aber abgebaut, wenn man die Verbandsklage ausschliessen wollte. Dagegen ist mit dem Hinweis auf das Verwaltungsverfahren der Kartellkommission und die verwaltungsrechtliche Klage ans Bundesgericht nicht aufzukommen, weil der betroffene Private auf dieses Verfahren keinen Anspruch hat und die Klage ein besonderes öffentliches Interesse voraussetzt; das Verwaltungsverfahren soll die Beteiligten denn auch schon nach der Botschaft nicht davon entheben, eine Zivilklage einzureichen (BBl 1961 II S. 599). Diese Schutzfunktion der Verbandsklage ist auch im vorliegenden Fall nicht zu übersehen, da die Mitglieder des Klägers unbestrittenermassen meist mit grossen finanziellen Schwierigkeiten zu kämpfen haben und die prozessuale Auseinandersetzung mit dem Beklagten ohne die Solidarität des Verbandes, wie im Nationalrat ausgeführt worden ist, scheuen könnten. b) Die Verbandsklage ändert nichts an der Grundhaltung des Gesetzes, das die Vertragsfreiheit der Kartelle weitgehend wahrt und im Vergleich mit ausländischen Lösungen als durchaus kartellfreundlich gilt (BBl 1961 II S. 561). Bundesrat Schaffner erklärte im Nationalrat denn auch, der Entwurf sei insgesamt das Ergebnis sehr sorgfältiger Abwägungen, welche sowohl die bewährte Tradition der wirtschaftlichen Zusammenarbeit als die Erfordernisse einer modernen Marktwirtschaft berücksichtigten; die freigewählte Solidarität der Berufsgenossen und ihre Selbsthilfe, die man von den Kartellen verlange, werde vom Gesetz nicht berührt (Sten.Bull. 1962 NR S. 635). Mit Recht verweist der Kläger auf diese Grundhaltung des Gesetzes, kann er doch ebenso wie ein Kartell für sich in Anspruch nehmen, die Ideen von Solidarität und Selbsthilfe seiner Mitglieder zu verwirklichen. Zutreffend ist auch sein Hinweis auf die Bedeutung der Berufs- und Wirtschaftsverbände in der heutigen Zeit, deren Mitspracherecht teilweise sogar in Verfassungsnormen festgehalten ist ( Art. 32 Abs. 3 und 34ter lit. c BV ). Dieser Einsicht kann sich auch der Beklagte als Wirtschaftsverband nicht verschliessen, zumal er den Kläger bisher stets als Verhandlungs- und Vertragspartner anerkannt hat. Dies genügt freilich nicht, die Einrede fehlender Aktivlegitimation als missbräuchlich zu bezeichnen, mag diese mit dem früheren Verhalten der Beklagten auch nicht leicht zu vereinbaren sein BGE 103 II 294 S. 306 ( BGE 73 II 71 /2). So oder anders ist dem Verbandsgedanken auch auf seiten des Klägers gebührend Rechnung zu tragen. Dies rechtfertigt sich umsomehr, als das Verbandsklagerecht gemäss Art. 2 Abs. 3 UWG vor allem den Kartellen zugute kommt, die gegen ungetreue Mitglieder oder gegen Aussenseiter vorgehen wollen (ROOS, a.a.O. S. 93). Dass auf dem Gebiete des Kartellrechtes ein solches Klagerecht, das im Ausland sehr verbreitet ist, unerwünschte Auswirkungen haben könnte, ist nicht zu ersehen; der Verband ist ja nur soweit legitimiert, als gemäss Art. 6 Abs. 1 KG auch seine Mitglieder klagen könnten. Ob ein Klagerecht zugunsten der Konsumentenverbände zu verneinen wäre und die Wettbewerbskommission der Schweiz. Studiengesellschaft für Wirtschafts- und Sozialpolitik sich nur im Hinblick auf solche Verbände dagegen ausgesprochen habe, ein Verbandsklagerecht ins Gesetz aufzunehmen, kann offen bleiben. Die Stellungnahme der Kommission schliesst nicht aus, dass die Verbandsklage in Fällen, wie hier, nach dem Sinn und Zweck des geltenden Art. 6 Abs. 1 KG zuzulassen ist. Und wenn gegenteils bei der Revision ein Verbandsklagerecht Gesetz werden sollte, würde dies nichts ändern, weil darin bloss eine erwünschte gesetzgeberische Klarstellung zu erblicken wäre. 5. Zu prüfen bleibt, ob die gleich wie in Art. 2 Abs. 3 UWG zu umschreibenden Voraussetzungen für ein solches Verbandsklagerecht hier erfüllt sind, der Kläger also nach den Statuten die wirtschaftlichen Interessen seiner Mitglieder vertritt und diese selber zur Klage berechtigt wären. Gemäss seinen Statuten hat der Kläger ganz allgemein die beruflichen Interessen der Mitglieder zu verteidigen und durch geeignete Vorkehren wahrzunehmen (Art. 2 und 3 lit. h; er hat überdies allen Bestrebungen entgegenzuwirken, die den Mitgliedern schaden könnten (Art. 3 lit. f). Das genügt, um die erstgenannte Voraussetzung zu bejahen. Dass der Kläger für das schweizerische Filmschaffen geradezu repräsentativ sei, wie der Beklagte im kantonalen Verfahren verlangt hat, ist nicht erforderlich. Abgesehen davon muss der Beklagte sich immerhin entgegenhalten lassen, das er den Kläger bisher als repräsentativen Vertragspartner anerkannt hat, dieser über die den Filmschaffenden vorbehaltenen Sitze in der eidg. Filmkommission verfügt und dass etwa 80% der Schweizer Filme von seinen Mitgliedern hergestellt werden. BGE 103 II 294 S. 307 Ebensowenig lässt sich im Ernst bestreiten, dass auch die Mitglieder des Klägers zur Klage befugt wären. Diese Befugnis entfällt entgegen der Annahme des Beklagten nicht schon deshalb, weil angeblich kein Mitglied in seinen Persönlichkeitsrechten betroffen worden ist. Das Gesetz setzt keine Schädigung voraus, sondern lässt eine blosse Gefährdung genügen ( Art. 6 Abs. 1 KG ). Eine solche wäre aber zu bejahen, wenn die vom Kläger behauptete Behinderung seiner Mitglieder durch den Beklagten zutrifft. Das Handelsgericht hat somit die Klage zu Unrecht wegen fehlender Aktivlegitimation des Klägers abgewiesen. Sein Entscheid ist daher aufzuheben und die Sache zur materiellen Beurteilung der Klagebegehren an die Vorinstanz zurückzuweisen. Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Berufung wird gutgeheissen, das Urteil des Handelsgerichtes des Kantons Bern vom 3. März 1977 aufgehoben und die Sache zur neuen Entscheidung im Sinne der Erwägungen an die Vorinstanz zurückgewiesen.
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720c7855-0a63-494a-baaa-bd5bc8b15e87
Urteilskopf 100 Ia 357 51. Urteil vom 30. Oktober 1974 i.S. Dr. X. gegen Anwaltskammer des Kantons Luzern
Regeste Art. 4 und 31 BV ; Disziplinarrecht des Anwaltes. Disziplinarmassnahmen haben dem Grundsatz der Verhältnismässigkeit zu entsprechen; Missachtung dieses Grundsatzes, wenn gegenüber einem Anwalt, der wegen Urkundenfälschung zu vier Monaten Gefängnis unter Gewährung des bedingten Strafvollzuges bei einer Probezeit von zwei Jahren verurteilt wurde, allein auf Grund dieses Strafurteils die schwerste Disziplinarmassnahme der dauernden Einstellung in der Berufsausübung angeordnet wird (E. 3 u. 4).
Sachverhalt ab Seite 358 BGE 100 Ia 357 S. 358 A.- Frau C. beschwerte sich bei der Anwaltskammer des Kantons Luzern, dass Dr. X., ihr Anwalt, den Empfang eines von ihr anfangs April 1970 ohne Quittung geleisteten Vorschusses von Fr. 500.-- bestreite. Dr. X. machte geltend, bei den Fr. 500.-- habe es sich um die Rückerstattung eines Darlehens gehandelt, das Frau A., seine Sekretärin, ihrer Freundin, Frau C., gewährt habe. Wegen Abwesenheit der Sekretärin habe Frau C. den Betrag ihm zur Weiterleitung an Frau A. übergeben, welchen Auftrag er ausgeführt habe. Er legte ein von Frau A. unterschriebenes, vom 15. April 1970 datiertes Schriftstück ein, das seine Darstellung bestätigte. Frau A. widerrief aber diese Bestätigung und erklärte, die von Dr. X. entworfene Quittung habe sie erst nach dem 15. September 1970 unterschrieben. Von Frau C. habe sie nie Geld bekommen, auch nicht über Dr. X. Auf Grund dieses Sachverhalts wurde Dr. X. am 30. November 1973 vom Obergericht des Kantons Luzern wegen Urkundenfälschung und Anstiftung dazu zu sechs Monaten Gefängnis, bedingt vollziehbar bei einer Probezeit von zwei Jahren, verurteilt. Nachdem der Kassationshof des Bundesgerichts eine hiergegen erhobene Nichtigkeitsbeschwerde des Dr. X. teilweise gutgeheissen hatte, erklärte das Obergericht mit Urteil vom 1. April 1974 Dr. X. schuldig der Urkundenfälschung nach Art. 251 Ziff. 1 Abs. 1 und 2 StGB (Falschbeurkundung) und bestrafte ihn mit vier Monaten Gefängnis, bedingt vollziehbar bei einer Probezeit von zwei Jahren. Auf eine erneute Nichtigkeitsbeschwerde des Dr. X. trat der Kassationshof des Bundesgerichts am 30. April 1974 nicht ein. B.- Nachdem das Urteil des Obergerichts vom 1. April 1974 rechtskräftig geworden war, nahm die Anwaltskammer das von Frau C. gegen Dr. X. angestrengte Beschwerdeverfahren und das auf Grund desselben von Amtes wegen angehobene Disziplinarverfahren gegen Dr. X. wieder auf. Während der Beschwerde der Frau C. keine Folge gegeben wurde, stellte die Anwaltskammer mit Disziplinarentscheid vom 9. Juli 1974 Dr. X. in seiner Berufsausübung als Rechtsanwalt im Kanton Luzern dauernd ein. C.- Gegen diesen Entscheid führt Dr. X. staatsrechtliche Beschwerde wegen Verletzung von Art. 4 und 31 BV . Die Beschwerdebegründung ergibt sich, soweit wesentlich, aus den nachfolgenden Erwägungen. BGE 100 Ia 357 S. 359 Die Anwaltskammer des Kantons Luzern beantragt Abweisung der Beschwerde. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Der Beschwerdeführer beanstandet, dass entgegen der Vorschrift des § 22 lit. e der Luzerner Zivilprozessordnung (ZPO) Oberrichter Dr. Hübscher sowohl bei der Beurteilung der Straffälle als auch beim Disziplinarentscheid mitgewirkt habe. Nach § 22 lit. e ZPO darf ein Richter an der Verhandlung und Beurteilung eines Rechtsfalles nicht teilnehmen "in Sachen, in welchen er in einer untern Instanz bereits geurteilt hat oder in der er als Sachverständiger tätig war". Dass Oberrichter Dr. Hübscher sowohl die II. Strafkammer, die den Beschwerdeführer strafrechtlich verurteilte, wie auch die Anwaltskammer, welche den Beschwerdeführer disziplinarisch bestrafte, präsidiert hat, verstiess jedoch nicht gegen diese Gesetzesbestimmung, denn die darin genannten Voraussetzungen für das Vorliegen eines Ausstandsgrundes waren hier nicht gegeben. Obergericht und Anwaltskammer stehen nämlich zueinander nicht in dem für einen Ausstandsgrund gemäss § 22 lit. e ZPO erforderlichen Verhältnis der Über- und Unterordnung; das Obergericht ist Rechtsmittelinstanz in Strafsachen, die Anwaltskammer dagegen selbständige staatliche Aufsichtsbehörde über die im Kanton Luzern praktizierenden Rechtsanwälte. Einer Mitwirkung Oberrichter Dr. Hübschers in beiden Verfahren stand demnach keine gesetzliche Vorschrift entgegen. 2. Der Beschwerdeführer beklagt sich über eine Verletzung der Handels- und Gewerbefreiheit. Durch die gesetzliche Einführung der Bewilligungspflicht und die Schaffung eines Aufsichts- und Disziplinarrechts hat der Kanton Luzern zum Ausdruck gebracht, dass die Handels- und Gewerbefreiheit im Bereich des Anwaltsberufs aus polizeilichen Gründen den auch in andern Kantonen üblichen Beschränkungen unterworfen sein soll ( BGE 98 Ia 598 ). Ist es unter dem Gesichtspunkt des Disziplinarrechts gerechtfertigt, dass dem Beschwerdeführer die Bewilligung zur Ausübung des Anwaltsberufs dauernd entzogen wurde, so verstösst der angefochtene Entscheid auch nicht gegen Art. 31 BV . BGE 100 Ia 357 S. 360 3. a) Die entscheidende Frage ist demnach die, ob die ausgesprochene Disziplinarmassnahme als solche zulässig war. Der Anwaltskammer steht bei der Wahl der Massnahme ein gewisser Spielraum des Ermessens offen, und das Bundesgericht kann nur eingreifen, wenn ihn die kantonale Behörde überschritten hat. Der Beschwerdeführer rügt, dass sich die Anwaltskammer im Disziplinarverfahren in tatsächlicher und rechtlicher Hinsicht auf das Strafurteil des Obergerichts des Kantons Luzern stützte. mit welchem er wegen Urkundenfälschung nach Art. 251 Ziff. 1 Abs. 1 und 2 StGB zu einer Gefängnisstrafe von vier Monaten unter Gewährung des bedingten Strafvollzuges mit einer Probezeit von zwei Jahren verurteilt wurde. Dieses Vorgehen ist indessen nicht zu beanstanden. Die Strafgerichte haben das Verhalten des Dr. X. in jeder Hinsicht gründlich abgeklärt. Das Strafurteil ist rechtskräftig, und wenn es die Anwaltskammer ihrem Entscheid zugrundelegte, hat sie damit nicht gegen Art. 4 BV verstossen (vgl. DUBACH, Das Disziplinarrecht der freien Berufe, ZSR 1951 S. 114 a; GRISEL, Droit administratif suisse, S. 268). Der Beschwerdeführer tut nicht dar, inwiefern es geradezu unhaltbar wäre, dass die Anwaltskammer die vom Strafrichter beurteilten Tat- und Rechtsfragen gleich wie dieser würdigte (vgl. BGE 71 I 469 ). b) Der Beschwerdeführer macht geltend, die dauernde Einstellung in der Berufsausübung als Rechtsanwalt stehe in keinem vernünftigen Verhältnis zu der ihm zur Last gelegten Tat. Disziplinarmassnahmen müssen dem Grundsatz der Verhältnismässigkeit entsprechen (IMBODEN, Schweiz. Verwaltungsrechtsprechung, 3. Aufl. Bd. 1 S. 221). Das Luzerner Anwaltsgesetz vom 1. Dezember 1931 (AG) sieht folgende Disziplinarmassnahmen vor: Verweis, Ordnungsbusse bis Fr. 500.-- (§ 13 Abs. 2 AG), zeitlich begrenzte oder dauernde Einstellung in der Berufsausübung (§ 15 Abs. 1 AG). Die Anwaltskammer hat die schwerste Disziplinarmassnahme ausgefällt. Wie im Disziplinarrecht der Beamten soll auch in jenem der Anwälte die strengste Massnahme, d.h. die dauernde Einstellung in der Berufsausübung, ohne vorangehende Warnung nur ausnahmsweise angeordnet werden, nämlich dann, wenn die Verfehlung so schwerwiegend ist, dass sie eine Mentalität aufzeigt. die mit der Eigenschaft eines Anwalts schlechthin unvereinbar ist (vgl. BGE 81 I 249 ). BGE 100 Ia 357 S. 361 Dr. X. wurde wegen Urkundenfälschung zu einer bedingten Gefängnisstrafe von vier Monaten verurteilt. Ob die "Quittung", welche Dr. X. mit seiner Sekretärin zusammen erstellte, inhaltlich unwahr ist, konnte im Strafverfahren nicht eindeutig abgeklärt werden. Im Zweifel nahm der Strafrichter an, es sei bloss das Datum der Quittung gefälscht, und Dr. X. habe diese Tat nur begangen, um sich im Disziplinarverfahren eine bessere Stellung zu verschaffen. Die Verfehlung des Beschwerdeführers, der eine besondere Vertrauensstellung hat und um die Strafbarkeit solcher Handlungen bestens Bescheid weiss, kann nicht als Bagatelldelikt gelten, und der Kassationshof des Bundesgerichts hat es denn auch abgelehnt, die Tat als besonders leichten Fall gemäss Art. 251 Ziff. 3 StGB zu qualifizieren. Trotzdem lässt sich nicht sagen, die Straftat weise für sich allein auf derartige Charaktermängel hin, dass der Beschwerdeführer das Vertrauen, das ein Anwalt haben muss, schlechthin nicht mehr verdiene. Es darf denn auch nicht unberücksichtigt bleiben, dass das Strafgericht dem Beschwerdeführer den bedingten Strafvollzug mit der minimalen Probezeit von zwei Jahren gewährte. Damit brachte es dem Beschwerdeführer das Vertrauen entgegen, dass er sich durch eine blosse Warnungsstrafe von weiteren Verbrechen und Vergehen abhalten lasse. Die Anwaltskammer hat das ihr zustehende Ermessen klarerweise überschritten und den Grundsatz der Verhältnismässigkeit missachtet, indem sie allein aus dem Strafurteil den Schluss zog, der Beschwerdeführer sei als Anwalt nicht mehr vertrauenswürdig, und - ohne dass Dr. X. vorher je disziplinarisch bestraft worden wäre - die schwerste, für die berufliche Existenz ausserordentlich einschneidende Massnahme des dauernden Entzugs der Bewilligung zur Berufsausübung anordnete. 4. Das dauernde Verbot der Berufsausübung wäre vor der Verfassung nur haltbar, wenn zu dem Strafurteil hinzu dem Beschwerdeführer weitere Vorwürfe gemacht werden könnten. Darüber finden sich aber in den Erwägungen des angefochtenen Entscheides keine Angaben. Es steht offen, wie lange Dr. X. bereits als Anwalt praktiziert, ob er sich in dieser Eigenschaft gewisse Verfehlungen zuschulden kommen liess, auch wenn sie nicht zu disziplinarischer Ahndung Anlass gaben, ob er sich allenfalls im Privatleben so aufgeführt hat, dass sein berufliches Ansehen darunter erheblich litt. BGE 100 Ia 357 S. 362 Da der angefochtene Entscheid dem Proportionalitätsprinzip zuwiderläuft, ist die staatsrechtliche Beschwerde gutzuheissen. Die Anwaltskammer hat im Lichte der vorangehenden Erwägungen neu zu entscheiden. 5. Wird die Beschwerde schon aus dem genannten Grunde gutgeheissen, so braucht nicht mehr geprüft zu werden, ob der angefochtene Entscheid entsprechend der Behauptung des Beschwerdeführers auch gegen die Rechtsgleichheit verstösst. Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Beschwerde wird im Sinne der Erwägungen gutgeheissen und der Entscheid der Anwaltskammer des Kantons Luzern vom 9. Juli 1974 aufgehoben.
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Urteilskopf 124 II 507 47. Extrait de l'arrêt de la Ie Cour de droit public du 15 septembre 1998 dans la cause P.S. et J.S. contre Chambre des recours du Tribunal cantonal du canton de Vaud (recours de droit administratif)
Regeste Art. 2 Abs. 2 OHG , Art. 11 Abs. 3 OHG und Art. 16 Abs. 1 OHG ; Gerichtsstand für Entschädigungsforderungen nach Art. 11 Abs. 3 OHG ; Kostenlosigkeit des Verfahrens. Im Fall einer im Ausland verübten Straftat muss die nahestehende Person des Opfers nach Art. 2 Abs. 2 OHG eine Entschädigung oder eine Genugtuung im Sinne von Art. 11 Abs. 3 OHG am Wohnsitz des direkten Opfers geltend machen (E. 2). Die in Art. 16 Abs. 1 OHG vorgesehene Kostenlosigkeit des Verfahrens verbietet, dem Opfer im Fall der Abweisung seiner Forderungen Prozesskosten und -entschädigungen aufzuerlegen (E. 3).
Sachverhalt ab Seite 508 BGE 124 II 507 S. 508 Par demande du 13 juin 1997 déposée devant le tribunal civil du district de Nyon, P.S. et son frère J.S., tous deux domiciliés dans le canton de Vaud, ont conclu au versement par l'Etat de Vaud, à chacun d'entre eux, de 50'000 fr. à titre d'indemnité pour tort moral. Ils exposaient que leur mère, alors domiciliée à Genève, et leur frère, domicilié en Haïti, tous deux de nationalité suisse, avaient été agressés et tués en Haïti le 3 avril 1996, par un inconnu; l'enquête menée dans ce pays n'avait pas abouti, et aucune réparation morale n'y avait été accordée; l'enquête ouverte à Genève était rendue difficile par le manque de coopération des autorités haïtiennes. Par jugement du 14 octobre 1997, le Tribunal civil du district de Nyon a décliné sa compétence. Selon l'art. 11 al. 3 de la loi fédérale sur l'aide aux victimes d'infractions (LAVI, RS 312.5), le for était au domicile de la victime directe de l'infraction, en l'espèce Genève. Une indemnité de dépens de 620 fr. en faveur de l'Etat de Vaud, défendeur, a été mise à la charge des frères S. Par arrêt du 19 février 1998, la Chambre des recours du Tribunal cantonal du canton de Vaud a confirmé ce jugement. Agissant par la voie d'un recours de droit administratif, P.S. et J.S. demandent au Tribunal fédéral d'annuler le jugement du Tribunal civil du district de Nyon et l'arrêt cantonal. Le Tribunal fédéral a partiellement admis le recours. Erwägungen Extrait des considérants: 2. b) Comme le relèvent les recourants, les opinions doctrinales citées par la cour cantonale ne sont guère fondées sur une motivation détaillée. Pour GOMM/STEIN/ZEHNTNER (Kommentar zum Opferhilfegesetz, Berne 1995, no 14 ad art. 11, p. 173), l' art. 11 al. 3 LAVI tient compte de la nationalité et du domicile de la victime - soit la personne blessée ou tuée -, et non des ayants droit (victimes indirectes). THOMAS KOLLER (Das Opferhilfegesetz: Auswirkungen auf das Strassenverkehrsrecht, AJP 5/1996 p. 578-595, 582) estime lui aussi qu'en cas d'accident automobile, c'est le domicile et la nationalité de la victime décédée qui sont déterminants au sens de l' art. 11 LAVI . Même si elles ne reposent pas sur une motivation spécifique, ces opinions doivent être approuvées. En effet, il y a lieu de retenir que l'assimilation faite à l' art. 2 al. 2 let . c LAVI entre victimes directes et indirectes ne vise que la possibilité, toute générale, d'obtenir une BGE 124 II 507 S. 509 indemnité ou une réparation morale. Pour ce qui est plus précisément de l'autorité compétente pour octroyer ces prestations, le législateur a manifestement voulu éviter une multiplication des fors disponibles. Ainsi, lorsque l'infraction a été commise en Suisse (ou lorsque son résultat s'est produit en Suisse, art. 6 al. 5 OAVI [RS 312.51]), la victime directe elle-même n'a pas le privilège de pouvoir agir à son domicile: l'autorité compétente est celle du lieu de commission de l'infraction, tel qu'il se détermine selon l' art. 346 CP . La compétence est ainsi réglée de la même manière en ce qui concerne l'indemnisation qu'en matière de poursuite pénale. "Par conséquent, une seule autorité traitera les demandes de toutes les victimes d'une même infraction [...]" (FF 1990 II p. 938). Cette réglementation procède d'un souci évident d'unifier autant que possible les diverses procédures découlant de l'infraction, et d'éviter la création de fors différents, avec les risques de décisions contradictoires qui y seraient liés. Cette préoccupation doit aussi prévaloir dans le cas d'une infraction commise à l'étranger dont le résultat s'est produit à l'étranger: faute d'un rattachement fondé sur le lieu de commission - ou de résultat - de l'infraction, le législateur a désigné l'autorité du lieu de domicile de la victime. Il ne saurait logiquement s'agir, dans l'optique d'un for unique, que du domicile de la victime directe. Cette solution pose certes problème lorsque plusieurs victimes directes, ayant en Suisse des domiciles différents, ont les mêmes ayants droit. Ce cas (qui n'est pas celui des recourants, puisque leur frère, également victime de l'agression en Haïti, n'avait pas son domicile en Suisse au moment des faits), n'est toutefois pas le plus fréquent; dans les autres cas (une victime directe et plusieurs ayants droit), la multiplication des fors, selon la solution préconisée par les recourants, compromettrait le principe d'une procédure d'indemnisation que le législateur a voulu simple et rapide. Il y a donc lieu de s'en tenir au principe d'un for unique pour chaque victime directe. Les recourants critiquent également le fait qu'un étranger domicilié à l'étranger pourrait obtenir en Suisse une indemnité pour l'homicide d'un proche commis dans ce dernier pays, alors qu'un Suisse domicilié en Suisse ne pourrait pas obtenir dans son canton de domicile une telle indemnité lorsque la victime directe, de nationalité suisse, était domiciliée à l'étranger. Cette solution a cependant été voulue par le législateur (FF 1990 II p. 937-938); elle ne découle d'ailleurs pas de la réglementation relative aux fors, mais des "conditions de lieu et de nationalité dont dépend l'octroi d'une prestation financière" (ibid.). BGE 124 II 507 S. 510 En l'espèce, il y a d'autant moins de raison de douter de la conformité de la décision attaquée avec le droit fédéral qu'une procédure pénale a été ouverte à Genève: les recourants pourront donc y faire valoir l'ensemble des prétentions découlant de la LAVI, soit non seulement le droit à l'indemnisation, mais aussi, le cas échéant, leur droit d'intervenir dans la procédure pénale et d'obtenir, comme ils le souhaitaient, la production du dossier de cette procédure. Le recours doit par conséquent être rejeté, et l'arrêt attaqué confirmé sur ce point. 3. Sur un autre point cependant, la solution confirmée par la cour cantonale consacre une violation du droit fédéral. Même si les recourants ne s'en plaignent pas expressément, il y a lieu pour le Tribunal fédéral, saisi d'un recours de droit administratif, d'intervenir d'office. Dans son jugement du 14 octobre 1997, le Tribunal civil du district de Nyon a certes laissé les frais à la charge de l'Etat de Vaud. Il a toutefois condamné les recourants au paiement de 620 fr. de dépens en faveur du canton défendeur. Le Tribunal fédéral s'est déjà interrogé sur la compatibilité avec le droit fédéral du système vaudois, qui oblige la victime à agir par la voie d'un procès dirigé contre l'Etat ( ATF 123 II 425 consid. 4a p. 429). Ce système ne saurait en tout cas avoir pour conséquence d'exposer la victime au paiement de frais ou dépens en cas de rejet de ses prétentions, sous réserve de procédures engagées à la légère ou de manière abusive. Peu importe à cet égard que ce rejet se fonde sur des considérations d'ordre matériel ou, comme en l'espèce, sur des questions de compétence (arrêt non publié du 30 janvier 1997 dans la cause S. consid. 3; GOMM/STEIN/ZEHNTNER, op.cit., p. 241). Sur ce point, le jugement du Tribunal du district de Nyon, tel qu'il est confirmé par la cour cantonale, viole l' art. 16 al. 1 LAVI , qui impose la gratuité de la procédure.
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Urteilskopf 98 Ib 280 40. Auszug aus dem Urteil vom 12. Juli 1972 i.S. Landolt gegen Gasverbund Ostschweiz AG und Eidg. Verkehrs und Energiewirtschaftsdepartement (EVED).
Regeste Rohrleitungsanlagen (BG vom 4. Oktober 1963; RLG). Zulässigkeit der Verwaltungsgerichtsbeschwerde gegen Einspracheentscheide des EVED, die in Anwendung von Art. 21 ff. RLG ergehen.
Erwägungen ab Seite 280 BGE 98 Ib 280 S. 280 Die Beschwerde richtet sich gegen den Einspracheentscheid des EVED, das das Begehren der Beschwerdeführerin, es sei die geplante Linienführung der Rohrleitungsanlage ausserhalb ihrer Liegenschaft zu verlegen, abwies. Das Bundesgericht beurteilt nach Massgabe von Art. 97 Abs. 1 OG letztinstanzlich Verwaltungsgerichtsbeschwerden gegen Verfügungen im Sinne von Art. 5 VwG; als solche gelten Anordnungen der Behörden im Einzelfall, die sich auf öffentliches Recht des Bundes stützen. Der angefochtene Entscheid zählt zu derartigen Verfügungen; er stützt sich auf öffentliches Recht des Bundes. Die Verwaltungsgerichtsbeschwerde gegen die Verfügung eines Departements des Bundes ( Art. 98 lit. b OG ) ist jedoch nur zulässig, sofern der angefochtene Entscheid unter keine der in den Art. 99 bis 102 OG aufgezählten Ausnahmen fällt. Von diesen ist im vorliegenden Fall einzig Art. 99 lit. c OG von Bedeutung. Darnach ist die Verwaltungsgerichtsbeschwerde unzulässig gegen Verfügungen über Pläne, soweit es sich nicht um Entscheide über Einsprachen gegen Enteignungen oder Landumlegungen handelt. Wie sich aus dem Wortlaut dieser Bestimmung ergibt, kann eine Verfügung über einen Plan demnach nur dann mit der Verwaltungsgerichtsbeschwerde angefochten werden, wenn es sich um einen Einspracheentscheid im Enteigungs- oder Landumlegungsverfahren handelt. Im Unterschied zum Enteigungsgesetz (EntG) sieht nun das Bundesgesetz BGE 98 Ib 280 S. 281 über Rohrleitungsanlagen zur Beförderung flüssiger oder gasförmiger Brenn- oder Treibstoffe vom 4. Oktober 1963 (RLG) zwei aufeinanderfolgende Verfahren vor: das Plangenehmigungsverfahren ( Art. 21 ff. RLG ) und das Enteignungsverfahren ( Art. 26 RLG ). Allfällige Einsprachen müssen innert der Planauflagefrist von 30 Tagen im Plangenehmigungsverfahren erhoben werden ( Art. 22 RLG ). Das Enteignungsverfahren beschränkt sich auf die Behandlung der angemeldeten Forderungen; Einsprachen gegen die Enteigung sowie Begehren, die eine Planänderung bezwecken, sind ausgeschlossen ( Art. 26 Abs. 2 RLG ). Daraus erhellt, dass Rohrleitungsanlagen betreffende Einspracheentscheide nicht im Enteignungsverfahren ergehen. Eine wörtlich strenge Auslegung des Art. 99 lit. c OG müsste mithin dazu führen, dass die Verwaltungsgerichtsbeschwerde gegen im Plangenehmigungsverfahren ergangene Einspracheentscheide nicht zulässig wäre, weil es sich nicht um "Entscheide über Einsprachen gegen Enteignungen" handelt. Eine solche Auslegung entspricht aber dem Sinne und Zweck der Bestimmung nicht. Es kann nämlich ernstlich keinen für die Zulässigkeit der Verwaltungsgerichtsbeschwerde ins Gewicht fallenden Unterschied darstellen, ob die Einsprache gegen die Enteignung bzw. für eine Planänderung im Plangenehmigungs- oder im Enteignungsverfahren erhoben werden muss; es wäre denn auch unerklärlich, dass im einen Fall nicht, im andern Fall jedoch die Verwaltungsgerichtsbeschwerde zulässig sein sollte. Einspracheentscheide, die in Anwendung von Art. 21 ff. RLG ergehen, sind mithinjenen "Entscheiden über Einsprachen gegen Enteignungen" gleichzuachten, die, als Ausnahme von der Ausnahme, nach Art. 99 lit. c mit der Verwaltungsgerichtsbeschwerde angefochten werden können. Eine derartige Auslegung der Bestimmung erscheint überdies umso mehr gerechtfertigt, als sie bei der Anwendung des analoge Probleme aufwerfenden Nationalstrassengesetzes anerkannt wird ( BGE 97 I 579 ).
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Urteilskopf 108 Ia 188 34. Extrait de l'arrêt de la Ire Cour de droit public du 10 février 1982 dans la cause Ville de Genève contre Genève, Conseil d'Etat, hoirs d'Henri Enach Edelstein et consorts (recours de droit public)
Regeste Gemeindeautonomie; Anspruch auf rechtliches Gehör ( Art. 4 BV ). 1. Anspruch der Gemeinde auf rechtliches Gehör im Verfahren der aufsichtsrechtlichen Überprüfung ihres Entscheides verneint (E. 2). 2. Gemäss Art. 3 Abs. 2 des Genfer Gesetzes über das Wohnungswesen und den Mieterschutz (vom 4. Dezember 1977) verfügen die Gemeinden über einen gewissen Autonomiebereich (E. 3). Das in dieser Bestimmung vorgesehene Vorkaufsrecht dient nur der Errichtung von Wohnbauten, nicht der Erhaltung bestehender Gebäude. Indem der Genfer Regierungsrat den gegen diese Bestimmung verstossenden kommunalen Entscheid aufgehoben hat, hat er im Rahmen seiner Aufsichtskompetenz gehandelt und die Gemeindeautonomie nicht verletzt (E. 4).
Sachverhalt ab Seite 189 BGE 108 Ia 188 S. 189 Le Dr Henri Enach Edelstein, de dernier domicile à Genève où il est décédé en octobre 1979, était notamment propriétaire de la parcelle No 1346 du registre foncier de la commune de Genève, section des Eaux-Vives. Sur cette parcelle se trouve une villa de maître (la villa Edelstein), dont la construction remonte à la fin du siècle dernier. Le Dr Edelstein, qui ne l'habitait pas lui-même, avait, à la fin de sa vie, aménagé ce bâtiment en centre culturel. Les pièces de réception du rez-de-chaussée étaient affectées entre autres à des expositions artistiques, alors que les deux étages supérieurs servaient au logement de quelques étudiants du Conservatoire de musique. Située actuellement dans le périmètre de développement de l'agglomération urbaine genevoise, au sens de l'art. 3 al. 2 de la loi générale du 4 décembre 1977 sur le logement et la protection des locataires (ci-après: code du logement), la parcelle No 1346 est incluse dans un plan d'aménagement prévoyant l'édification de grands bâtiments d'habitation collective. Par acte du 26 mars 1981, les héritiers du Dr Edelstein ont vendu la parcelle No 1346 à des tiers. La vente a été passée à la condition résolutoire que ni l'Etat ni la Ville de Genève n'exercent le droit BGE 108 Ia 188 S. 190 de préemption institué en leur faveur par l'art. 3 du code du logement. A la suite de la renonciation de l'Etat, le Conseil municipal de la Ville de Genève a, par deux arrêtés du 5 mai 1981, enjoint au Conseil administratif d'exercer le droit de préemption légal sur la parcelle No 1346 et, subsidiairement, de recourir pour son acquisition à la procédure d'expropriation. Il s'agissait en effet pour l'autorité communale, d'une part, de maintenir la villa Edelstein et son affectation actuelle en logements, ateliers, lieu de réunions, salle d'expositions ou de concerts et, d'autre part, de construire sur le solde de la parcelle des immeubles de logements répondant à un besoin prépondérant d'intérêt général. Le Conseil municipal a en outre invité le Conseil administratif à demander au Conseil d'Etat le classement ou la mise à l'inventaire de la villa Edelstein ainsi que la revision du plan d'aménagement en vigueur. Saisi d'un recours des parties à l'acte de vente du 26 mars 1981, le Conseil d'Etat genevois a annulé, le 15 juillet 1981, les deux délibérations précitées du Conseil municipal de la Ville de Genève. Statuant en sa qualité d'autorité de surveillance, il a notamment rappelé que l'art. 3 al. 2 du code du logement réservait le droit de préemption institué en faveur du canton et des communes aux seules fins de construire des logements répondant à un besoin prépondérant d'intérêt général. Le fait, selon lui, qu'une partie de la villa était destinée au logement d'étudiants ne suffisait pas à faire entrer son maintien dans le cadre assigné au droit de préemption, puisque le nombre de logements envisageables entre la villa et le bâtiment à construire était nettement inférieur à ce que prévoyait le plan d'aménagement en vigueur. La solution communale était ainsi en contradiction flagrante avec l'intérêt général en vue duquel avait été institué le droit de préemption en faveur de l'Etat et des communes. La Ville de Genève a formé un recours de droit public pour violation de son autonomie et de l' art. 4 Cst. , en demandant au Tribunal fédéral d'annuler l'arrêté du Conseil d'Etat genevois du 15 juillet 1981. Erwägungen Extrait des considérants: 2. La recourante soutient que l'autorité cantonale de surveillance a violé son droit d'être entendue, d'une part, en ne la consultant pas avant de prendre la décision attaquée et, d'autre part, en ne statuant pas dans une composition plénière. BGE 108 Ia 188 S. 191 La portée du droit d'être entendu est déterminée en premier lieu par le droit cantonal, dont le Tribunal fédéral examine l'application sous l'angle restreint de l'arbitraire. Dans les cas où la protection que ce droit accorde aux administrés apparaît insuffisante, l'intéressé peut invoquer celle découlant directement de l' art. 4 Cst. qui constitue ainsi une garantie subsidiaire et minimale. Le Tribunal fédéral examine librement si les exigences posées par cette disposition constitutionnelle ont été respectées ( ATF 103 Ia 138 consid. 2a et les références). La recourante ne cite aucune règle du droit cantonal qui eût contraint l'autorité intimée à l'entendre ou à ordonner un échange d'écritures. Quant à sa critique relative à la composition de l'autorité intimée lorsqu'elle a statué, elle se borne à invoquer l' art. 101 Cst. gen. qui fixe à 7 le nombre des membres du Conseil d'Etat. Elle cite aussi l'art. 17 du règlement du 15 octobre 1929 pour le Conseil d'Etat de la République et canton de Genève, mais simplement pour dire que cette disposition qui fixe à 4 membres le quorum du Conseil d'Etat pour prendre une décision n'était pas applicable à l'espèce. C'est donc à la seule lumière des principes dégagés de l' art. 4 Cst. qu'il convient d'examiner le mérite de son grief de violation du droit d'être entendu. a) L' art. 4 Cst. ne donne nullement à celui qui est partie à une procédure administrative le droit d'être entendu oralement par l'autorité avant que sa décision ne soit rendue ( ATF 103 Ib 195 /6; ATF 102 Ib 251 consid. 3; ATF 96 I 311 consid. 2 et arrêts cités). Il est indifférent à cet égard que le titulaire du droit à l'audition soit un administré ou une commune recourant pour violation de son autonomie. Le grief de violation du droit d'être entendu est ainsi manifestement mal fondé dans la mesure où la recourante se plaint de ce que l'autorité de surveillance n'a pas convoqué ses représentants à une entrevue. Il n'a pas davantage de consistance en tant qu'il a trait au fait que le Conseil d'Etat n'a pas invité la recourante à se déterminer par écrit. Il y a lieu, sur ce point, de remarquer préliminairement que le Conseil d'Etat a rendu la décision attaquée en sa qualité d'autorité de surveillance des communes en conformité de l' art. 63 Cst. gen. et des art. 40 ss de la loi cantonale du 3 juillet 1954 sur l'administration des communes (LAC). En vertu de ces dispositions, les délibérations du Conseil municipal sont transmises au département de l'intérieur et de l'agriculture ( art. 40 et 43 al. 1 LAC ) et le Conseil d'Etat doit les annuler d'office lorsqu'elles sont entachées d'une violation des BGE 108 Ia 188 S. 192 lois et règlements en vigueur (art. 44 lettre c LAC). Dans la décision attaquée, l'autorité intimée n'est ainsi, formellement, pas entrée en matière sur les recours déposés auprès d'elle contre les arrêtés municipaux; elle les a traités comme de simples dénonciations et n'a pas reconnu à leurs auteurs la qualité de parties. Cela étant, il faut constater que la décision entreprise n'ajoute, fondamentalement, pas d'arguments nouveaux déterminants à ceux que l'autorité intimée avait exposés à titre préventif au Conseil administratif avant la réunion du Conseil municipal. Elle se borne en fait à réfuter le point de vue de la commune tel qu'il ressort des débats du Conseil municipal. Elle n'a nécessité l'aménagement d'aucune preuve et la recourante ne prétend pas que des éléments de fait nouveaux soient intervenus entre le moment où le Conseil municipal a adopté les arrêtés annulés et celui où l'autorité de surveillance a statué. Si le droit d'être entendu, tel qu'il découle de l' art. 4 Cst. , implique celui de se déterminer sur le résultat de l'administration des preuves ainsi que sur des moyens de droit nouveaux, il ne saurait naturellement imposer à une autorité de surveillance l'obligation d'inviter l'autorité inférieure à préciser les motifs de la décision contrôlée, alors qu'ils sont évidents. Compte tenu de l'ensemble des circonstances, le Conseil d'Etat n'a dès lors pas violé le droit d'être entendu de la recourante en ne lui donnant pas la possibilité de s'exprimer par écrit avant que la décision attaquée ne soit rendue. b) Le mode de délibération du Conseil d'Etat est déterminé par les art. 17 ss du règlement du 15 octobre 1929 pour le Conseil d'Etat de la République et canton de Genève. L'art. 17 de ce règlement pose que le Conseil d'Etat ne peut délibérer valablement que lorsque 3 membres au moins, et le président ou son remplaçant, sont présents à la séance. Il fixe ainsi le quorum de délibération à 4. Ce quorum est le même que celui institué pour les délibérations du Conseil fédéral ( art. 100 Cst. et 14 al. 1 de la loi fédérale sur l'organisation de l'administration, LOA). L' art. 15 al. 2 LOA ajoute que les membres absents ne peuvent pas voter. La constitutionnalité de l'art. 17 du règlement cantonal précité n'est au demeurant pas mise en cause par la recourante. Celle-ci ne conteste pas davantage que la décision entreprise ait été rendue en conformité de cette disposition, soit avec la participation de 4 membres du Conseil d'Etat. Elle soutient simplement que des décisions particulièrement importantes, voire tout à fait exceptionnelles, telle la décision attaquée, doivent être prises en BGE 108 Ia 188 S. 193 séance plénière avec la participation de tous les membres du Conseil d'Etat. Elle ne développe toutefois aucun argument pertinent à l'appui de cette affirmation. Le parallèle tiré avec les règles applicables à la composition des autorités judiciaires n'est guère significatif. Un collège est en effet constitué irrégulièrement lorsqu'il l'est en violation du droit positif et, comme on l'a vu, la composition de l'autorité intimée répondait aux exigences posées par une règle dont la constitutionnalité n'est pas contestée (cf. ATF 85 I 274 ). La référence à l' art. 101 Cst. gen. n'est pas davantage pertinente. Cette disposition, qui fixe à 7 le nombre des membres du Conseil d'Etat, n'est qu'une pure disposition organique qui, comme le souligne justement l'autorité intimée, ne concerne pas le mode de délibération du gouvernement cantonal. On doit ainsi constater que le point de vue de la recourante n'est étayé par aucune disposition du droit cantonal, pas davantage qu'il ne trouve appui auprès des principes généraux dégagés par la jurisprudence de l' art. 4 Cst. Il en résulte que le grief de déni de justice formel est en tous points mal fondé. 3. Selon la jurisprudence actuelle, une commune bénéficie de la protection de son autonomie, assurée par la voie du recours de droit public, dans les domaines que le droit cantonal ne règle pas de façon exhaustive mais laisse en tout ou partie dans la sphère communale, en conférant aux autorités municipales une appréciable liberté de décision. Lorsque ces conditions sont remplies, la commune peut utiliser la voie du recours de droit public pour exiger que les autorités cantonales, qu'elles agissent en tant qu'autorités de recours ou en tant qu'autorités de surveillance, restent formellement dans les limites du pouvoir de contrôle qui leur est reconnu par le droit cantonal et que, matériellement, elles appliquent correctement le droit déterminant. Il importe peu à cet égard que les dispositions qui règlent la matière dans laquelle la commune se prétend autonome ressortissent au droit communal, cantonal ou fédéral. Il faut toutefois souligner que l'autorité cantonale appelée à examiner l'application par une commune de dispositions du droit cantonal ou du droit fédéral jouit toujours d'un libre pouvoir de contrôle, alors que, lorsqu'elle est appelée à examiner l'application de règles du droit communal, son pouvoir de contrôle est déterminé par les normes du droit cantonal qui définissent la compétence respective des autorités ( ATF 103 Ia 479 consid. 5). BGE 108 Ia 188 S. 194 Ce sont la constitution et la législation cantonales qui disent si et dans quelle mesure une commune jouit de l'autonomie dans un domaine concret. De son côté, le Tribunal fédéral, saisi d'un recours de droit public, examine la décision de l'autorité cantonale d'approbation ou de recours librement ou sous l'angle de l'arbitraire, selon que les dispositions qui délimitent le champ de l'autonomie communale sont de niveau constitutionnel ou de niveau légal ( ATF 106 Ia 208 consid. 3a; 104 Ia 45 consid. 1 in fine et arrêts cités). En l'espèce, la recourante fonde son grief de violation de l'autonomie communale sur les art. 40 ss LAC en relation, en particulier, avec l'art. 3 du code du logement. Cette dernière disposition, comme le note le Conseil d'Etat dans ses observations, se borne à autoriser la commune à faire usage de son droit de préemption sans lui en imposer une obligation. Ayant ainsi le choix d'user ou de ne pas user de son droit de préemption, la commune dispose donc d'une marge d'autonomie qu'elle peut utiliser, en fonction de l'opportunité, dans l'intérêt public. Elle reste cependant tenue d'exercer son choix dans les limites établies par la loi. La recourante reproche à cet égard au Conseil d'Etat d'avoir abusé de son pouvoir de surveillance en annulant une décision légale pour de purs motifs d'opportunité. Elle ne nie cependant pas que si les délibérations du Conseil municipal avaient été entachées d'illégalité, le gouvernement cantonal eût dû les annuler en conformité des art. 63 Cst. gen. et 44 lettre c LAC. La question primordiale à résoudre est donc celle de savoir si, comme l'affirme la décision attaquée, ces délibérations étaient illégales, en ce sens que les conditions d'exercice du droit de préemption institué par la loi n'étaient pas remplies. 4. L'art. 3 du code du logement a la teneur suivante: "1 Toute modification des limites de zones prévues par la législation sur la construction, ainsi que toute extension du périmètre de développement de l'agglomération urbaine genevoise, ouvre à l'Etat et, à défaut, aux communes intéressées, un droit de préemption sur les terrains déclassés. Ce droit est annoté au registre foncier. 2 L'Etat et les communes disposent également d'un droit de préemption à l'intérieur du périmètre de développement de l'agglomération urbaine genevoise sur les terrains déclassés aux fins de construction de logements répondant à un besoin prépondérant d'intérêt général. 3 Dans les communes de moins de 3000 habitants, le droit de préemption communal est prioritaire sur celui de l'Etat. 4 Le droit de préemption en faveur de l'Etat et des communes est subsidiaire au droit de préemption légal de l'art. 682 du code civil." BGE 108 Ia 188 S. 195 a) Il est constant que la parcelle No 1346, sur laquelle s'élève la villa Edelstein, est classée en zone de développement urbain, qu'elle s'inscrit dans le plan d'aménagement adopté par le Conseil d'Etat le 28 octobre 1964 (modifié le 24 janvier 1967) et que ce plan d'aménagement y autorise l'application des normes de la 3e zone (art. 11 al. 4 et 11 LCI gen. en relation avec la loi générale du 29 juin 1957 sur les zones de développement). Nul ne conteste donc que la parcelle litigieuse entre dans la catégorie des "terrains déclassés aux fins de construction de logements répondant à un besoin prépondérant d'intérêt général" et que, par conséquent, elle soit soumise au droit de préemption légal institué en faveur de l'Etat et des communes par l'art. 3 al. 2 du code du logement. L'autorité intimée a simplement nié que ce droit de préemption puisse être exercé en vue d'atteindre les buts recherchés par la recourante. Elle a considéré qu'il n'était donné que pour réaliser des objectifs de construction de logements. Or, ce n'est pas à cette fin que la commune entend en l'espèce exercer prioritairement son droit de préemption, puisque le but fondamental qu'elle poursuit est la conservation de la villa Edelstein, la construction d'un bâtiment d'habitation collective sur la surface non bâtie du terrain n'étant qu'un élément secondaire ou accessoire de l'opération. La recourante conteste cette manière de voir. Elle souligne que le code du logement a aussi pour but de favoriser la rénovation de logements anciens. Or, selon elle, l'affectation actuelle de la villa, qui serait maintenue après sa rénovation, réside pour une large part dans le logement d'artistes. En prenant en considération cet élément pour le joindre à la construction d'un bâtiment locatif sur le solde de la parcelle, on arriverait à la conclusion que le but recherché par la loi est mieux réalisé par son projet que par celui des acquéreurs, d'autant plus que les loyers qu'elle entend appliquer seraient inférieurs aux leurs. b) Pour qu'une décision soit arbitraire, il faut qu'elle viole gravement une norme ou un principe juridique clair et indiscuté ou qu'elle contredise d'une manière choquante le sentiment de la justice et de l'équité. Saisi d'un recours de droit public pour arbitraire, le Tribunal fédéral ne s'écarte de la solution adoptée par l'autorité cantonale que si elle apparaît comme insoutenable, en contradiction manifeste avec la situation effective, adoptée sans motifs objectifs et en violation d'un droit certain. Il ne recherche pas quelle est l'interprétation correcte des dispositions légales appliquées, mais uniquement si l'interprétation qui en a été donnée BGE 108 Ia 188 S. 196 par l'autorité cantonale peut être objectivement soutenue; il n'y a pas arbitraire du seul fait qu'une autre solution pourrait aussi se défendre et sembler même plus correcte ( ATF 106 Ia 9 ; ATF 105 Ia 322 consid. 3b, 300; 104 II 223 consid. 2; ATF 102 Ia 3 consid. 2a). Selon la jurisprudence, l'autorité qui applique le droit ne peut s'écarter d'un texte clair de la loi que s'il existe des motifs sérieux de penser que ce texte ne correspond pas en tous points au sens véritable de la disposition. De tels motifs peuvent résulter des travaux préparatoires, du fondement et du but de la prescription en question ainsi que de sa relation avec d'autres dispositions légales ( ATF 104 Ia 7 consid. 1 et arrêts cités). Il est hors de doute que l'interprétation donnée par l'autorité de surveillance à l'art. 3 al. 2 du code du logement est conforme à la lettre de ce texte. Au contraire, l'interprétation suggérée par la recourante étend sensiblement la portée de cette disposition. Les débats du Conseil municipal, que ce soit la discussion du 10 mars 1981 sur la motion invitant le Conseil administratif à étudier la possibilité de conserver la villa Edelstein ou celle du 5 mai 1981 qui a précédé l'adoption des deux arrêtés litigieux et de la résolution invitant le Conseil administratif à demander au Conseil d'Etat le classement de la villa Edelstein ou du moins sa mise à l'inventaire, démontrent sans équivoque possible que l'objet prioritaire de l'exercice du droit de préemption était la conservation de ce bâtiment. Certes, la recourante ne prétend pas dans son recours de droit public que le droit de préemption institué par le code du logement puisse servir à la sauvegarde du patrimoine architectural et ne tente pas de réfuter l'argumentation, au demeurant pertinente, développée à cet égard dans la décision attaquée. Il n'en demeure pas moins que sa thèse, même réduite de la sorte, équivaut à permettre aux corporations de droit public intéressées d'user de leur droit de préemption légal pour maintenir un état constructif actuel au détriment d'une utilisation potentielle quantitativement optimale d'un terrain aux fins de construction de logements. La comparaison entre les possibilités offertes aux promoteurs acquéreurs par le plan d'aménagement No 25'532/275 et celle offertes à la recourante par son projet comportant le maintien de la villa est éloquente de ce point de vue. On peut en effet constater que le projet de la recourante ne permet de loin pas, même si l'on tient compte de l'affectation locative de la villa, la mise à la disposition du marché d'un nombre de logements équivalant à celui du projet des acquéreurs. Il n'est pour le moins BGE 108 Ia 188 S. 197 pas insoutenable de considérer, à l'instar de la décision attaquée, que ce résultat est en contradiction avec les buts poursuivis par le code du logement, tels qu'ils ressortent en particulier de ses art. 1er et 2, qui définissent respectivement le rôle des corporations de droit public en la matière et la politique d'acquisition de terrains qu'elles doivent élaborer. Le Conseil d'Etat n'est donc pas tombé dans l'arbitraire en retenant que les deux arrêtés par lesquels le Conseil municipal a invité le Conseil administratif à faire usage de son droit de préemption pour acquérir la parcelle litigieuse violaient l'art. 3 al. 2 du code du logement. Partant, il n'a pas porté atteinte à l'autonomie de la commune de Genève puisqu'il n'a pas outrepassé les compétences qui lui sont dévolues, en qualité d'autorité de surveillance, par l'art. 44 lettre c LAC, qui trouve lui-même sa base dans l' art. 63 Cst. gen. Le recours de droit public doit en conséquence être rejeté et la recourante condamnée à verser des dépens aux intimés.
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