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d1813b87-5ec0-4351-a6a2-c328d669a34f | Urteilskopf
101 Ia 26
7. Sentenza 26 febbraio 1975 nella causa Società immobiliare X. contro Amministrazione delle contribuzioni del Cantone Ticino. | Regeste
Veranlagung einer Immobiliengesellschaft: Art und Weise der Berücksichtigung der Passivzinsen eines Baukredites.
Aktivierung der Zinsen eines Baukredites auf dem Liegenschaftskonto. Falls eine solche Aktivierung als zulässig betrachtet wird, darf der entsprechende Betrag nicht in der ihm wesensfremden Erfolgsrechnung aufgeführt werden. Unterschied zwischen der Aktivierung solcher Zinsen und der Aufwertung der Liegenschaften (E. 4).
Die Zahlung eines Zinses an einen Aktionär für einen von ihm gewährten Baukredit kann der Ausschüttung einer Dividende nur in dem Masse gleichgestellt werden, als der Baukredit der Gesellschaft von einem Dritten - Nichtaktionär - unter üblichen Bedingungen nicht gewährt worden wäre (E. 5). | Sachverhalt
ab Seite 26
BGE 101 Ia 26 S. 26
La Società immobiliare X., con un capitale sociale di fr. 50'000.-- ha per scopo "l'acquisto, la vendita, l'amministrazione di beni mobili ed immobili, la gestione di titoli azionari e di quote di società, la partecipazione a società o imprese nonché l'espletamento di operazioni commerciali o finanziarie".
BGE 101 Ia 26 S. 27
Essa ha acquistato fondi urbani, su cui ha edificato o ammodernato stabili.
Per finanziare questa operazione, essa è ricorsa a mutui di terzi. I nomi di questi creditori non sono stati rivelati: è però pacifico ch'essi coincidono con gli azionisti.
Nell'anno di computo 1971 la società ha corrisposto sui mutui interessi per fr. 128'101.--. Questo importo non è stato addebitato al conto profitti e perdite, ma riattivato al conto immobili. Nel bilancio agli immobili valutati all'attivo fr. 2'366'603.-- fa riscontro al passivo una posta creditori di fr. 2'318'900.--, comprensiva dei cennati interessi di fr. 128'101.--.
In sede di tassazione, l'Amministrazione cantonale delle contribuzioni (ACC) ha aggiunto al saldo del conto profitti e perdite di fr. 277.-- le imposte (fr. 240.--), ed ha inoltre ripreso gli interessi passivi di fr. 128'101.--, attivati al conto immobili. Essa ha quindi determinato in fr. 128'600.-- l'utile imponibile, su cui è stata calcolata l'imposta cantonale per l'anno 1972.
Avverso codesta ripresa degli interessi la contribuente è insorta con reclamo, e, vistoselo respinto, si è aggravata con ricorso del 15 novembre 1973 alla Camera di diritto tributario del Tribunale di appello (in seguito: Camera).
Con sentenza del 1o febbraio 1974 la Camera ha respinto il ricorso. Per questi motivi:
Contrariamente all'opinione della ricorrente, gli interessi pagati agli sconosciuti mutuanti non costituiscono interessi intercalari ai sensi dell'
art. 676 CO
, non trattandosi di rimunerazione del capitale sociale. Anche se non si può negare alla ricorrente, secondo il diritto commerciale, l'attivazione di queste uscite al conto immobili, va rispettato il principio secondo cui tali operazioni comportano contabilmente un utile, nella misura in cui gli addebiti non sarebbero fiscalmente deducibili se passati attraverso il conto profitti e perdite. Procedendo diversamente, si consentirebbero rivalutazioni contabili di immobili, che sfuggirebbero all'imposizione. La costante giurisprudenza della Camera in materia non è mai stata censurata dalla Corte di diritto pubblico del Tribunale federale, neanche in casi giuridicamente meno chiari dell'iscrizione di interessi al conto immobili.
Con ricorso di diritto pubblico per violazione dell'
art. 4 Cost.
,
BGE 101 Ia 26 S. 28
la contribuente chiede al Tribunale federale d'annullare la sentenza della Camera, e di stabilire in fr. 517.-- (fr. 277.-- utile conto profitti e perdite + fr. 240.-- ripresa imposte) l'utile imponibile dell'esercizio 1971.
Erwägungen
Considerando in diritto:
1.
Di ultima istanza, la decisione impugnata, che ha confermato implicitamente la tassazione litigiosa, è anche finale. Contro di essa il ricorso di diritto pubblico per violazione dell'
art. 4 Cost.
è quindi aperto (
art. 87 OG
). È però ricevibile, per la natura cassatoria del ricorso di diritto pubblico, solo la conclusione di annullamento della decisione impugnata.
Nei ricorsi fondati sulla violazione dell'
art. 4 Cost.
sono escluse nuove allegazioni, nuove prove, nuove conclusioni, salvo casi affatto eccezionali, che qui non ricorrono (
DTF 97 I 308
, 317, 491). L'offerta della ricorrente di rendere noto in questa sede il nome degli azionisti creditori è nuova, e pertanto irricevibile,
2.
La ricorrente richiama nel gravame l'
art. 676 CO
.
a) Se con tale riferimento essa intende sostenere che gli interessi versati agli azionisti-mutuanti costituiscono interessi intercalari (Bauzinsen), la sua tesi è manifestamente erronea.
A parte il fatto che gli statuti sociali non prevedono, com'è prescritto dall'
art. 676 cpv. 1 CO
, la corresponsione di interessi né la durata di questo versamento, è pacifico che i versamenti effettuati non hanno retribuito il capitale sociale, bensì mutui accordati alla società dagli azionisti.
b) Sul tema dell'imponibilità fiscale degli interessi intercalari versati agli azionisti, la dottrina è d'altronde divisa.
Parte di essa considera la corresponsione di interessi intercalari parificabile alla ripartizione di utili, poiché il diritto di percepirli è una conseguenza dell'azionariato (cfr. REIMANN-ZUPPINGER-SCHÄRRER, Komm. zum Zürcher Steuergesetz, § 45, n. 21).
Di opinione contraria è KÄNZIG (Wehrsteuer, ad art. 49 cpv. 1, lett. b, n. 71; lo stesso, Die Kostenrechnung im Wehrsteuerrecht, dargestellt am Beispiel der Bauzinsen und Baukreditzinsen, ASA 42 (1973/74), pag. 81 segg.). Quest'autore sottolinea che il diritto commerciale (
art. 676 cpv. 1 CO
) impone di iscrivere gli interessi intercalari nel conto d'impianto (Anlagekonto), e che dal punto di vista economico è giustificato di
BGE 101 Ia 26 S. 29
considerarli quale una componente necessaria del costo degli impianti. Da ciò, egli deduce che anche fiscalmente si impone di trattarli come tali, ammettendone l'attivazione nel conto d'impianto, e consentendone in seguito l'ammortamento ai tassi fiscalmente riconosciuti per la durata dell'impianto (ASA 42, loc.cit., pag. 87/90).
Fosse da decidere sul principio dell'imponibilità degli interessi intercalari, il Tribunale federale, quale Corte di diritto pubblico munita di limitata cognizione, non potrebbe definire arbitraria né l'una né l'altra delle contrastanti tesi dottrinali, né quindi annullare una decisione dell'autorità cantonale, che avesse adottato l'una o l'altra di esse.
3.
In realtà la ricorrente sostiene che gli interessi corrisposti ai mutuanti azionisti hanno retribuito un credito di costruzione. Essa sostiene che il diritto commerciale consente, e l'economia imprenditoriale impone di includere gli interessi del credito di costruzione (Baukreditzinse), come gli altri costi, nel conto immobiliare e di attivarli, analogamente agli interessi intercalari, senza gravarne il conto profitti e perdite. Essa conclude che, costituendo detti interessi parte integrante dei costi di costruzione, non è ammissibile trattarli come utile; in ogni caso, che è inammissibile trattarli come utile, sintantoché, per non esser stati addebitati al conto profitti e perdite, essi non hanno influito sul risultato dell'esercizio.
Dal canto suo, l'autorità cantonale non contesta la legittimità, sotto il profilo del diritto commerciale e quello economico, della soluzione contabile adottata dalla ricorrente. Essa sostiene però che, dal momento che fiscalmente tali interessi non si sarebbero potuti riconoscere (art. 52, cifra 2, lett. f LT) se addebitati al conto profitti e perdite, perché il nome dei creditori non è stato rivelato, la loro contabilizzazione al conto costruzioni equivale ad una rivalutazione contabile degli immobili, da considerare fiscalmente come utile, e pertanto da aggiungere al saldo del conto profitti e perdite.
a) L'attivazione degli interessi corrisposti su un credito di costruzione (Baukreditzinse) è ammessa con una certa larghezza nella prassi fiscale, ed il Tribunale federale, statuendo con libero esame in materia di imposta per la difesa nazionale, non ha contestato la legittimità di questo procedimento, né sotto il profilo del diritto commerciale, né sotto quello della economia imprenditoriale. Esso ha riconosciuto che, nel caso di una società anonima che si dedica al commercio d'immobili,
BGE 101 Ia 26 S. 30
gli interessi sui mutui contratti per l'acquisto di un fondo o per la costruzione di stabili si aggiungono al prezzo d'acquisto o alle spese di costruzione, almeno allorquando il valore venale del fondo è sufficiente per garantire anche codesti interessi, precisando che, in tal caso, non si può parlare di attivo fittizio (ASA 38, pag. 447; cfr. anche
DTF 92 I 99
e in materia di doppia imposizione,
DTF 88 I 339
e
DTF 92 I 467
; per quanto concerne i fondi d'investimento immobiliare, vedasi art. 35 cpv. 2 della legge federale sui fondi d'investimento, del 1o luglio 1966, e il messaggio del Consiglio federale concernente tale legge, FF 1965 III 293).
b) KÄNZIG, nel citato saggio, va meno lontano nell'ammettere l'attivazione di interessi passivi su crediti di costruzione. Secondo quest'autore, l'attivazione è ammissibile solo quando il mutuo è destinato a finanziare, secondo un piano preciso, la costruzione di impianti permanenti adibiti all'esercizio dell'azienda a' sensi dell'
art. 665 cpv. 1 CO
(dauernde Betriebsanlagen, KÄNZIG, in ASA 42, pag. 91/92, IV, 2; cfr. anche nota 28 e pagg. 97/98). Secondo quest'autore, l'attivazione di interessi nel conto immobili è, per una società immobiliare, per lo meno dubbia. Se si esclude che gli interessi su un credito di costruzione possano essere attivati come facenti parte del costo di costruzione, allora essi costituiscono spese di amministrazione e gestione: come tali, debbono essere addebitati al conto profitti e perdite in virtù dell'
art. 664 cpv. 1 CO
.
4.
a) Se avesse considerato che la contribuente, in virtù del diritto commerciale, non aveva la possibilità di attivare i contestati interessi - questione sulla quale non è necessario pronunciarsi in questa sede -, l'autorità cantonale avrebbe però dovuto coerentemente correggere il conto profitti e perdite, iscrivendovi al passivo la posta degli interessi.
Detto conto si sarebbe presentato come segue:
- interessi attivi e proventi diversi 517.35
- imposte 240.--
- interessi passivi su mutui 128'101.--
- perdita d'esercizio 127'823.65
--------------------------
128'341.-- 128'341.--
Su detto conto rettificato, l'ACC avrebbe potuto riprendere le imposte (fr. 240.--) e, data la mancata indicazione dei nomi
BGE 101 Ia 26 S. 31
dei creditori (art. 52, n. 2, lett. f LT), gli interessi passivi: essa sarebbe così giunta a determinare l'utile d'esercizio fiscalmente tassabile di fr. 517.35, come preteso dalla contribuente nel gravame.
Se avesse proceduto a codesta correzione del conto profitti e perdite, includendovi gli interessi, l'autorità fiscale avrebbe dovuto procedere parallelamente ad una correzione del bilancio fiscale. Essa si sarebbe risolta nella constatazione che gli immobili - contrariamente alla prescrizione dell'
art. 665 CO
, secondo cui essi non possono essere iscritti a bilancio per un valore superiore al prezzo d'acquisto o di costo - erano stati sopravvalutati del corrispondente importo di fr. 128'101.--. L'autorità cantonale ne avrebbe potuto concludere che la contribuente aveva iscritto a bilancio un attivo fittizio, sul quale notoriamente non sono concessi ammortamenti a carico degli esercizi futuri, e che non entra in linea di conto per il calcolo dell'utile derivante dalla futura realizzazione degli immobili (KÄNZIG, Die Sacheinlage nach Aktien- und nach Steuerrecht, in Schw. Aktiengesellschaft, 1966, pag. 164; REIMANN-ZUPPINGER-SCHÄRRER, Komm. zum Zürcher Steuergesetz, § 45, n. 86 e 126; sent. Tribunale federale in ASA 32, pag. 324; 30 pag. 188; 36 pag. 275; KÄNZIG, in ASA 42, pag. 98; STUDER, Bilanzsteuerrecht, pag. 84 segg.; 125 seg.).
b) Ma l'autorità cantonale ha espressamente ammesso che, tanto sotto il profilo del diritto commerciale, quanto sotto quello economico, il procedimento contabile adottato dalla ricorrente non presta il fianco a critiche.
Ammettendo che l'uscita per interessi sul credito di costruzione è suscettibile di essere attivata, l'autorità cantonale ha riconosciuto che detta spesa costituisce parte integrante del costo degli immobili. Tenendone conto per la valutazione degli immobili, la contribuente ha quindi semplicemente allibrato, senza violare l'
art. 665 CO
, il loro valore di costo.
Tuttavia, l'autorità cantonale vuole parificare la riattivazione degli interessi ad una rivalutazione degli immobili, che giusta l'art. 19, lett. d LT, è considerato reddito imponibile.
Sennonché, essa confonde in modo inammissibile due nozioni diverse.
Attivare una spesa significa iscrivere la stessa - o meglio il suo controvalore - all'attivo. L'operazione si giustifica economicamente perché a codesta spesa fa riscontro un acquisto
BGE 101 Ia 26 S. 32
patrimoniale corrispondente all'investimento. L'attivazione non documenta il conseguimento di un utile, ma una modificazione nella composizione del patrimonio (STUDER, op.cit., p. 80 segg.; KÄNZIG, in ASA 42, pag. 86).
La rivalutazione (Aufwertung), invece, è l'operazione per cui si aumenta il valore contabile di una posta patrimoniale precedente allibrata per un importo minore, senza che l'operazione sia causalmente connessa con una spesa d'investimento (KÄNZIG, loc.cit.). Con la rivalutazione, la società anticipa la realizzazione di un beneficio futuro: per questa ragione essa costituisce un utile (
DTF 71 I 406
; ASA 30 pag. 193 segg.; 31 pag. 323).
La differenza sostanziale fra le due nozioni non può essere influenzata dal fatto che il creditore degli interessi sia reso noto o meno: se si ammette che vi è stata attivazione di spese effettivamente intervenute, cui corrispondono attivi patrimoniali acquisiti col relativo investimento, tale operazione non si trasforma in una rivalutazione, perché il beneficiario del credito è ignoto.
L'opinione contraria dell'impugnata sentenza appare insostenibile a' sensi dell'
art. 4 Cost.
in ragione della confusione operata fra due istituti chiaramente distinti.
5.
Si potrebbe tuttavia esser tentati di sostenere che, poiché la corresponsione di interessi intercalari (Bauzinse) (
art. 676 CO
) agli azionisti può essere, senza arbitrio, parificata ad una distribuzione di utili (supra, consid. 2b), e poiché l'interesse sui crediti di costruzione (Baukreditzins) è, sotto l'aspetto economico, assai simile a quello intercalare, anche la corresponsione di interessi su crediti di costruzione accordati agli stessi azionisti può esser considerata distribuzione di utili.
a) In tale formulazione generale, quest'opinione sarebbe però erronea. Infatti, la ragione per cui la distribuzione di un interesse intercalare può - senza arbitrio - esser assimilata a distribuzione di dividendo, è che tanto l'interesse intercalare quanto il dividendo hanno il loro fondamento sull'azionariato (cfr. supra, consid. 2b). Tale base comune fa però difetto nel caso del credito di costruzione, in cui la corresponsione di interessi è fondata sul contratto di mutuo, non su disposizioni statutarie che assicurano una certa rimunerazione all'azionista per il suo capitale.
b) Per contro, non sarebbe sicuramente arbitrario assimilare
BGE 101 Ia 26 S. 33
il pagamento di interessi su un credito di costruzione alla ripartizione di utili, quando il creditore si identifica con l'azionista, nella misura in cui si debba ammettere, applicando il criterio economico (wirtschaftliche Betrachtungsweise), che il credito di costruzione non sarebbe in condizioni normali stato accordato alla società da un terzo non azionista. In questa ipotesi, ancora andrebbe però stabilito quale parte del credito accordato dagli azionisti alla società possa esser considerata quale immissione di mezzi propri in una società con insufficiente capitalizzazione, ciò che comporta l'assimilazione dell'interesse corrisposto a un dividendo, e quale parte del mutuo di costruzione, invece, avrebbe potuto dalla società essere ottenuta nelle normali vie del prestito presso terzi.
c) Ma, in ogni caso, per la ripresa di codesti interessi o dividendi, occorrerebbe ch'essi abbiano comportato una diminuzione dell'utile del conto profitti e perdite (cfr. ASA 19, pag. 337; 32, pag. 324; 36, pag. 277). Tale principio, la cui esistenza è stata riconosciuta per l'imposta per la difesa nazionale, vale anche per l'imposta cantonale ticinese, per la cui strutturazione il legislatore s'è largamente ispirato al menzionato tributo federale. Ne segue che, sintantoché l'autorità cantonale ammette l'attivazione della spesa, la premessa di cui sopra non si verifica. Se detta autorità dovesse, per contro, esigere l'addebito degli interessi al conto profitto e perdite, e riprendesse questo importo o in applicazione dell'art. 52 lett. f (mancata indicazione del creditore), oppure quale ripartizione di utili (art. 57, lett. h LT), già si è visto che l'imponibile ammonterebbe a fr. 517.35, come indicato dalla ricorrente. In questo caso, la sopravvalutazione degli immobili costituirebbe un attivo fittizio, di cui non si dovrebbe tener conto, negli esercizi futuri, né ai fini dell'ammortamento, né per stabilire un eventuale profitto in capitale a dipendenza della realizzazione di immobili (art. 19, cpv. 2 lett. a). È per contro impossibile colpire come utile tale attivo fittizio, finché questo utile non sia realizzato attraverso una rivalutazione contabile vera e propria, o una realizzazione degli immobili.
Dispositiv
Il Tribunale federale pronuncia:
Il ricorso è accolto ai sensi dei considerandi e la decisione impugnata è annullata. | public_law | nan | it | 1,975 | CH_BGE | CH_BGE_002 | CH | Federation |
d18c9af5-a6b7-4e65-97de-332092d0ea12 | Urteilskopf
125 III 103
20. Auszug aus dem Urteil der I. Zivilabteilung vom 2. November 1998 i.S. A. und Konsorten gegen N. (Berufung) | Regeste
Internationale Zuständigkeit für Klagen aus unerlaubter Handlung; Handlungs- und Erfolgsort (
Art. 133 Abs. 2 IPRG
).
Im Falle reiner Vermögensschädigungen fällt der Erfolgsort nicht zwingend mit dem Domizil des Geschädigten zusammen (E. 2). Lassen sich die konkret verletzten Vermögenswerte vom übrigen Vermögen abgrenzen und ist deren Standort zum Zeitpunkt der Schädigung feststellbar, gelangt das Recht an jenem Orte zur Anwendung (E. 3). | Sachverhalt
ab Seite 103
BGE 125 III 103 S. 103
N. (nachfolgend Beklagter) war seit 1974 Verwaltungsrat der O. AG, einer Gesellschaft liechtensteinischen Rechts mit Sitz in Schaan, welche durch Regierungsbeschluss vom 30. Januar 1990 aufgelöst und in Zwangsliquidation versetzt wurde, bevor über sie am 25. Oktober 1990 der Konkurs eröffnet wurde. Bis Oktober 1989 war die O. AG an der in Kingstown (St. Vincent and the Grenadines)
BGE 125 III 103 S. 104
domizilierten Bank P. Ltd. beteiligt, welche am 6. Februar 1991 ebenfalls in Konkurs fiel. Unter den geschädigten Gläubigern befanden sich auch A. und Konsorten (nachfolgend Kläger), die im Vertrauen auf hohe Renditeversprechungen der Bank P. Ltd. grössere Geldbeträge zur Anlage überlassen hatten.
Auch der Beklagte hatte für sich und für seine Angehörigen bei der Bank P. Ltd. Festgelder plaziert. Zusammen mit anderen Gläubigern hatte er ab Februar 1990 deren Guthaben bei der Bank Q. verarrestieren und rechtzeitig durch Betreibung prosequieren lassen, so dass er für seine Forderung von rund Fr. 1 Mio. schliesslich provisorische Rechtsöffnung erlangen konnte. Gemäss provisorischem Verteilungsplan vom 30. Juni 1994 beläuft sich die Quote des Beklagten an den verarrestierten Guthaben auf Fr. 850'771.85.
Diesen Anteil des Beklagten liessen die Kläger im Mai 1993 bzw. Dezember 1994 ihrerseits mit Arrest belegen, nachdem sie es seinerzeit verpasst hatten, die Guthaben der Bank P. Ltd. bei der Bank Q. für ihre Forderungen verarrestieren zu lassen.
Am 9. Januar 1995 reichten die Kläger beim Bezirksgericht Sargans Klage auf Arrestprosequierung ein. Mit Urteil vom 31. August 1995 wurde die Klage abgewiesen. Gleich entschied das Kantonsgericht St. Gallen auf Berufung der Kläger mit Urteil vom 23. Dezember 1997.
Die von den Klägern gegen dieses Urteil erhobene eidgenössische Berufung weist das Bundesgericht ab.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
1.
Zur Ermittlung des anwendbaren Rechts nahm die Vorinstanz zunächst die Bestimmung des Handlungsorts vor und stützte sich dabei auf die Behauptung der Kläger, wonach dem Beklagten Unterlassungen in seiner Eigenschaft als Verwaltungsrat der O. AG zur Last gelegt werden. Als Ort, an dem der Beklagte hätte handeln sollen, erachtete sie den Sitz dieser Gesellschaft im Fürstentum Liechtenstein. Hinsichtlich des Erfolgsorts führte sie aus, einerseits rechtfertige es sich in Fällen, in denen Investoren einem im Ausland befindlichen und die Geschäftstätigkeit dort ausübenden Institut Gelder übergeben, für die Anknüpfung nicht auf den Wohnsitz des Geschädigten abzustellen, sondern das Rechtsverhältnis den Normen jenes Staates zu unterstellen, von wo aus die Anlagen auch getätigt wurden. Anderseits hätten die Kläger nicht dargetan, dass die der Bank P. Ltd. übergebenen Vermögenswerte ursprünglich von
BGE 125 III 103 S. 105
Konten stammten, welche in Deutschland lägen. Damit fehle es an einem Nachweis, dass der Erfolg anderswo als am Handlungsort eingetreten sei, weshalb die deliktsrechtliche Verantwortlichkeit des Beklagten nach liechtensteinischem Recht zu beurteilen sei.
2.
a) Die Kläger halten demgegenüber deutsches Recht für anwendbar. Soweit sie sich allerdings zur Begründung ihres Standpunktes auf die sog. Ubiquitätstheorie berufen und geltend machen, dem Geschädigten stehe ein Wahlrecht zwischen dem Recht des Handlungs- und demjenigen des Erfolgsorts zu, übersehen sie, dass diese Konzeption zwar noch der älteren bundesgerichtlichen Rechtsprechung zugrunde gelegen hat (vgl. zuletzt
BGE 113 II 476
E. 3a S. 479), vom Gesetzgeber mit der Einführung des Bundesgesetzes über das Internationale Privatrecht vom 18. Dezember 1987 (IPRG;SR 291) jedoch bewusst aufgegeben worden ist (
Art. 133 Abs. 2 IPRG
; vgl. UMBRICHT, in: Kommentar zum Schweizerischen Privatrecht, Basel 1996, N. 9 zu
Art. 133 IPRG
; HEINI, in: Heini et al. [Hrsg.], IPRG Kommentar, Zürich 1993, N. 8 zu
Art. 133 IPRG
). Bei Fehlen einer Rechtswahl und sofern Schädiger und Geschädigter ihren gewöhnlichen Aufenthalt in verschiedenen Staaten haben, ist nach
Art. 133 Abs. 2 IPRG
nun vielmehr allein das Recht des Erfolgsorts massgebend, wenn der Schädiger mit dem Eintritt des Erfolges in diesem Staat rechnen musste. Aus demselben Grunde verfängt auch der Hinweis der Kläger auf die entsprechenden Regeln im Strafrecht, welches seinerseits vom Ubiquitätsprinzip beherrscht ist (
Art. 7 Abs. 1 StGB
), nicht.
b) Nach Auffassung der Kläger ist der Erfolg der behaupteten unerlaubten Handlungen nicht in Liechtenstein, sondern in Deutschland eingetreten. Sie machen geltend, im Falle von Vermögensschädigungen sei jeweils auf das Domizil des Geschädigten abzustellen. Wohl könne der Schaden auf einem Bankkonto im In- oder Ausland eintreten, doch werde das Rechtsgut '«Vermögen'« in erster Linie am Ort verletzt, wo das Opfer und der Inhaber des betreffenden Rechtsgutes domiziliert sei. Dort werde das Vermögen auch steuerlich und erbfallmässig erfasst.
aa) Erfolgsort ist derjenige Ort, wo das geschützte Rechtsgut verletzt wurde (
BGE 113 II 476
E. 3a S. 479). Davon zu unterscheiden ist der Schadensort als Platz, an dem weiterer Schaden eintritt (UMBRICHT, a.a.O., N. 17 zu
Art. 129 IPRG
; HEINI, a.a.O., N. 10 zu
Art. 133 IPRG
; KNOEPFLER/SCHWEIZER, Droit international privé suisse, 2. Aufl., Bern 1995, Rz. 529; VISCHER/VON PLANTA, Internationales Privatrecht, 2. Aufl., Basel 1982, S. 199; KEGEL, Internationales
BGE 125 III 103 S. 106
Privatrecht, 7. Aufl., München 1995, S. 540). Massgeblich für die Bestimmung des Erfolgsortes ist mithin, wo die erste, unmittelbare Einwirkung auf das durch den Tatbestand einer Deliktsnorm geschützte Rechtsgut stattgefunden hat (KROPHOLLER, Internationales Privatrecht, 2. Aufl., Tübingen 1994, S. 442). Fallen Erfolgs- und Schadensort auseinander, scheidet letzterer als Anknüpfungspunkt dagegen aus (UMBRICHT, a.a.O., N. 17 zu
Art. 129 IPRG
).
bb) Den Erfolgsort stets mit dem Domizil des Geschädigten gleichzusetzen, weil das Vermögen in erster Linie am Wohnsitz des Opfers verletzt werde, wie die Kläger argumentieren, greift nach dem Gesagten zu kurz. Jede Vermögensschädigung trifft in letzter Konsequenz die berechtigte natürliche oder juristische Person. Das IPRG stellt im Deliktsrecht aber gerade nicht starr auf den Wohnsitz des Geschädigten ab, sondern - in Ermangelung besonderer Anknüpfungspunkte, die im vorliegenden Fall nicht gegeben sind - auf die lex loci delicti (
Art. 133 Abs. 2 IPRG
). Etwas anderes lässt sich auch aus dem von den Klägern angeführten Entscheid des Bundesgerichts nicht ableiten, war in jenem Fall doch der Handlungsort unter den Parteien umstritten, während der Erfolgsort aufgrund der tatsächlichen Feststellungen der Vorinstanz verbindlich feststand (vgl.
BGE 113 II 476
E. 2 S. 478). Als Anknüpfungspunkt ebenso wenig geeignet erscheint ferner das Steuerdomizil des Geschädigten. Vom Umstand abgesehen, dass das Steuerrecht andere Anknüpfungskriterien vorsieht als das internationale Privatrecht, werden jedenfalls in der Schweiz Vermögensteile von Personen im Ausland steuerlich durchaus hierzulande erfasst (vgl. z.B. betreffend die Verrechnungssteuer auf Zinserträgen der Kundenguthaben bei Banken und Sparkassen Art. 4 i.V.m.
Art. 22 VStG
[SR 642.21]). Auch die Steuerpflicht knüpft somit in örtlicher Hinsicht nicht schematisch an das Domizil des Steuersubjektes, sondern mitunter an die Lage der zu besteuernden Vermögensbestandteile an.
3.
a) Im Falle reiner Vermögensschädigungen kann die Bestimmung des Erfolgsortes Schwierigkeiten bereiten. In der Literatur wird etwa vorgeschlagen, das Recht am Ort des Sitzes des konkret verletzten Vermögenswertes anzuwenden; wo nicht ein bestimmt feststellbarer Vermögenswert vermindert worden sei, solle der Sitz des Hauptvermögens des Geschädigten massgeblich sein (so Jean-Louis Delachaux, Die Anknüpfung der Obligationen aus Delikt und Quasidelikt im internationalen Privatrecht, Diss. Zürich 1960, S. 181). In Betrugsfällen soll der Ort ausschlaggebend sein, an dem der Geschädigte die Vermögensverfügung vorgenommen hat
BGE 125 III 103 S. 107
(DELACHAUX, a.a.O., S. 181, unter Hinweis auf die Lösung des ersten Restatement of the Law of Conflict of Laws, St. Paul 1934).
b) Die Vorinstanz führte im angefochtenen Urteil aus, die Kläger hätten den Nachweis für ihre Behauptung, wonach die Einzahlungen an die Bank P. Ltd. jeweils von in Deutschland liegenden Konten aus vorgenommen worden seien, nicht erbringen können. Aus den ins Recht gelegten Unterlagen gehe nicht hervor, woher die überwiesenen Geldbeträge ursprünglich stammten. Das gelte insbesondere dort, wo die Beträge in Schweizer Franken über das Postcheckamt Zürich überwiesen oder gar in bar bei der O. AG in Vaduz vorbeigebracht worden seien. Entsprechende Nachweise über die Herkunft der Gelder fehlten aber auch dort, wo sich die Anleger vertraglich verpflichtet hätten, das Geld auf das Konto der Bank P. Ltd. beim Postcheckamt München zu überweisen. Zwar hätten die Kläger zu diesem Beweisthema die Einvernahme von vier Zeugen und der Parteien beantragt, doch fehlten bereits in den Rechtsschriften nähere Darlegungen zur Lage der betroffenen Konten. Die Beibringung einschlägiger Urkunden wäre ihnen aber zuzumuten gewesen. Überdies hätten die Kläger die Adressen der Zeugen dem Gericht nicht mitgeteilt. Auf die Einvernahme der Parteien und der Zeugen zu dieser Frage könne deshalb verzichtet werden. Müsse aufgrund der vorliegenden Beweise geschlossen werden, dass Handlungs- und Erfolgsort zusammenfielen, so sei liechtensteinisches Recht anwendbar.
Damit hat das Kantonsgericht in tatsächlicher Hinsicht für das Bundesgericht verbindlich festgestellt, dass aufgrund der Beweiswürdigung der Ort der behaupteten Verletzung in Liechtenstein anzusiedeln ist. Ist für die Ermittlung des Erfolgsortes massgeblich, wo sich das unmittelbar betroffene Rechtsgut zur Zeit der Verletzung befindet (UMBRICHT, a.a.O., N. 17 zu
Art. 129 IPRG
; KROPHOLLER, a.a.O., S. 443), und lassen sich die beeinträchtigten Vermögensteile vom übrigen Vermögen abgrenzen und hinreichend lokalisieren, so ist nach dem Gesagten (E. 2b/aa hiervor) auf deren Standort im Moment der unerlaubten Handlung abzustellen. Nach den Feststellungen der Vorinstanz haben die Kläger die fraglichen Beträge selbst aus ihrem Vermögen ausgeschieden und - soweit das Vorgehen überhaupt bekannt ist - entweder per Post- oder Bankauftrag nach Liechtenstein überwiesen oder gar persönlich in Form von Bargeld der O. AG in Vaduz überbracht. Woher die betreffenden Gelder im Einzelfall jeweils stammten, haben die Kläger weder hinreichend behauptet noch bewiesen. Wenn die Vorinstanz vor diesem Hintergrund
BGE 125 III 103 S. 108
liechtensteinisches Recht für anwendbar erklärt hat, ist dies bundesrechtlich nicht zu beanstanden, trägt der Ansprecher doch nicht nur für den Schaden als solchen, sondern auch für den Verletzungsort die Behauptungs- und Beweislast (
Art. 8 ZGB
). | null | nan | de | 1,998 | CH_BGE | CH_BGE_005 | CH | Federation |
d1916c04-9c08-4b56-ab96-0646f35b4824 | Urteilskopf
95 II 596
80. Extrait de l'arrêt de la IIe Cour civile du 3 juillet 1969 dans la cause Müller contre Dürig. | Regeste
Entschädigung bei Ehescheidung (
Art. 151 Abs. 1 ZGB
).
Zusprechung einer Rente an eine geschiedene Ehefrau als Entschädigung für den Verlust des Anspruchs auf Unterhalt durch den Ehemann, obwohl die Ehefrau während der Ehe aus Notwendigkeit ausserhalb des Haushalts gearbeitet hat. | Sachverhalt
ab Seite 596
BGE 95 II 596 S. 596
Résumé des faits:
Frédéric Müller, né en 1924, et Gladys Dürig, née en 1922, se sont mariés en 1945. Ils ont deux fils, nés en 1950 et 1952. L'épouse, atteinte de rhumatisme cardiaque, a eu des grossesses très pénibles. Elle a souffert des conflits qui ont surgi
BGE 95 II 596 S. 597
dans la vie du ménage. Elle a connu des périodes dépressives. En 1959, dame Müller a commencé à travailler dans une fabrique. Plus tard, elle est devenue gérante d'un magasin. En 1967, elle gagnait 782 francs par mois.
Frédéric Müller changeait fréquemment d'emploi. En 1967, il gagnait 971 francs par mois comme magasinier.
Les conjoints ont vécu séparés pendant quelque temps en 1947, puis en 1958. Ils ont ensuite repris la vie commune. Mais en 1963, le mari a ouvert une action en divorce. Sa femme s'est tout d'abord opposée à la demande. Puis elle a pris des conclusions reconventionnelles en divorce et réclamé, à titre d'indemnité au sens de l'art. 151 al. 1 et 2 CC, une rente mensuelle de 100 francs jusqu'au 30 avril 1970 (majorité du fils aîné) et 150 francs dès cette date. En cours d'instance, le mari a emmené ses enfants, à l'insu de l'épouse, au Congo où il s'est rendu en compagnie de sa maîtresse. De retour en Suisse, il vit en concubinage avec elle et leur enfant illégitime.
Le 29 avril 1968, le Tribunal du district de Lausanne a admis l'action reconventionnelle de la défenderesse et prononcé le divorce, en application de l'art. 137 CC. Il a alloué à l'épouse la rente qu'elle avait demandée.
Par arrêt du 15 janvier 1969, la Chambre des recours du Tribunal cantonal vaudois a confirmé ce jugement.
Le Tribunal fédéral a rejeté le recours en réforme du mari, qui concluait à la suppression de la rente allouée à l'épouse.
Erwägungen
Extrait des motifs:
4.
Les intérêts pécuniaires compromis par le divorce, au sens de l'art. 151 al. 1 CC, comprennent le droit de la femme à l'entretien par son mari (art. 160 al. 2 CC). La perte de ce droit est compensée par une indemnité allouée généralement sous la forme d'une rente (RO 90 II 72, consid. 4). L'indemnité équitable prévue par la loi n'est pas, en son principe, destinée à permettre à la femme divorcée de maintenir le train de vie dont elle bénéficiait pendant le mariage, mais seulement de compenser dans une certaine mesure et pour autant que les circonstances le justifient, la perte de l'avantage économique représenté par l'entretien que lui devait son mari (RO 79 II 131). Doivent notamment être pris en considération pour la fixation de l'indemnité la gravité de la faute du conjoint débiteur, l'âge des époux, la durée du mariage, l'état de santé, l'instruction de
BGE 95 II 596 S. 598
l'ayant droit, les avantages qu'il pourrait acquérir du fait du divorce, la possibilité d'exercer une activité lucrative par suite de la dissolution du mariage (E. ETTER-ROSSEL, Divorce: dommages-intérêts, réparation morale et pension alimentaire (
art. 151 à 153
CC), FJS 455 p. 3 lettre d).
S'il est exact que le mari peut, en principe, opposer en compensation le gain que la femme, libérée de ses devoirs de maîtresse de maison et de mère, pourrait se procurer en exerçant une activité lucrative (cf. RO 79 II 130 et 84 II 415), le juge ne saurait toutefois se limiter à une application automatique et mathématique du seul critère de la compensation. Il doit statuer en équité et tenir compte de l'ensemble des circonstances (cf. art. 4 CC et HINDERLING, Das schweizerische Ehescheidungsrecht, 3e éd., p. 129 s.). Aussi bien, dans les deux arrêts précités, le Tribunal fédéral a-t-il admis le principe des prétentions émises par la femme divorcée. Dans l'arrêt Garbe c. Stark (RO 79 II 130), il a d'ailleurs précisé que même si la femme avait exercé une activité lucrative pendant le mariage, elle était fondée à prétendre une indemnité dans la mesure où elle pouvait durant le mariage s'attendre, grâce aux ressources de son mari, à des conditions de vie notablement meilleures ou plus sûres et espérer, selon le cours ordinaire des choses, réduire ou cesser sa propre activité, en considération de son âge et de sa santé. L'arrêt Vogt (RO 84 II 415) concerne un couple sans enfants, dont l'union conjugale n'avait duré que quatre ans.
En l'espèce, le divorce a été prononcé après dix-huit ans de vie commune; durant les quinze ou seize premières années du mariage, l'intimée, qui eut trois enfants, n'a exercé aucune activité lucrative. Elle a dû se résoudre à travailler hors du ménage parce que son mari, professionnellement instable, ne subvenait pas convenablement à l'entretien de sa famille. Durant l'instance en divorce, ouverte le 29 novembre 1963, elle a dû continuer à pourvoir à son entretien, dans des conditions de santé parfois très pénibles et aggravées lors du départ clandestin de ses enfants, enlevés sans droit par leur père. Au surplus, le recourant n'a pas versé à sa femme la pension allouée par les diverses ordonnances de mesures provisoires. L'arriéré s'élevait, en mai 1967, à la somme de 6150 francs.
Il n'est donc nullement contraire aux principes découlant de l'art. 151 al. 1 CC de considérer, à l'instar des autorités cantonales, que l'intimée n'aurait pas travaillé si son mari l'avait
BGE 95 II 596 S. 599
normalement entretenue et qu'en conséquence elle subit un préjudice devant être indemnisé en vertu de l'art. 151 al. 1 CC.
Assurément, vu les gains respectifs des parties constatés dans le jugement de première instance dont la cour cantonale a adopté l'état de fait, il n'est pas établi que l'intimée ait subi une perte mesurable en chiffres, du fait du divorce, quant à son entretien. Toutefois, en raison de l'âge et de l'état de santé de dame Dürig, il est raisonnable d'admettre que, même si elle avait dû consentir durant les dernières années du mariage à exercer une activité lucrative pour pallier - dans l'intérêt du ménage - l'insuffisance passagère des ressources de son mari (cf. art. 191 ch. 3 et 192 CC), elle aurait actuellement ou dans un proche avenir cessé son travail, si le divorce n'avait pas été prononcé.
Dès lors, le recours est mal fondé dans la mesure où il s'en prend au principe de l'indemnité allouée à dame Dürig pour compenser la perte du droit à l'entretien par son mari. | public_law | nan | fr | 1,969 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
d19c3d3d-7861-4b05-b8ac-3001317e7339 | Urteilskopf
97 IV 76
20. Extrait de l'arrêt de la Cour de cassation pénale du 21 avril 1971 dans la cause Guerillot contre Ministère public du canton de Vaud. | Regeste
Art. 187 und 64 StGB
.
Notzucht; Begriff der ernstlichen Versuchung. | Erwägungen
ab Seite 76
BGE 97 IV 76 S. 76
L'art. 64 CP permet au juge d'atténuer la peine lorsque le coupable a été induit en tentation grave par la conduite de la victime. La loi se montre indulgente en pareil cas, parce que le lésé a donné lieu à l'acte punissable et cela de façon si sérieuse que l'auteur ne paraît pas entièrement responsable de sa décision de le commettre. Selon la jurisprudence, la victime doit avoir excité et tenté l'auteur jusqu'à ce qu'il ait succombé (RO 73 IV 157, 75 IV 6 consid. 5; arrêt Zbinden du 17 mars 1964 consid. 2 b). En revanche il n'est pas nécessaire qu'elle se soit montrée consentante; pareille condition supprimerait la possibilité d'atténuer, pour tentation grave, la peine de l'art. 187 CP,
BGE 97 IV 76 S. 77
puisque le consentement de la victime exclut par définition le viol. La tentation grave comprend donc en tout cas deux éléments: d'abord un comportement excitant ou tentant de la part de la victime, ensuite un rapport de causalité entre ce comportement et l'acte incriminé (arrêt Bocherens du 21 janvier 1965).
Aucune des deux jeunes femmes n'a eu un comportement de ce genre. Le matin du 24 mai 1970, vers 4 h. 30, X. n'est pas allée trouver Guerillot. C'est lui qui a frappé au volet de sa chambre. Ni le fait d'avoir ouvert la porte à son ancien ami ni les vêtements de nuit qu'elle portait (chemise et peignoir) ne constituaient, de sa part, un encouragement aux entreprises du recourant. Durant toute la scène, X. a eu une attitude négative et défensive et n'a rien fait pour exciter Guerillot.
Quant à Y., elle a consenti à des embrassements dans la voiture du prévenu. Une fois dans sa chambre, elle n'a pas accompli un seul geste - le pourvoi lui-même n'en indique pas - qui aurait été de nature à le tenter.
Sans doute prétend-il, dans les deux cas, avoir cru durablement à sa bonne fortune. Outre qu'une telle croyance ne supplée pas à une attitude excitante de la part de la victime - attitude qui n'est pas établie - sa thèse se heurte à la constatation souveraine des premiers juges selon laquelle il n'a pu à la rigueur se tromper qu'"au début seulement". | null | nan | fr | 1,971 | CH_BGE | CH_BGE_006 | CH | Federation |
d19cd766-94cb-4628-98d7-5cc55f8ffd0f | Urteilskopf
105 V 63
16. Auszug aus dem Urteil vom 29. Mai 1979 i.S. Bundesamt für Sozialversicherung gegen Dreher und AHV-Rekurskommission des Kantons Zürich | Regeste
Art. 21 IVG
und Ziff. 10 HVI Anhang.
Zum Begriff der existenzsichernden Erwerbstätigkeit (Änderung der Rechtsprechung). | Erwägungen
ab Seite 63
BGE 105 V 63 S. 63
Aus den Erwägungen:
1.
Nach
Art. 21 Abs. 1 IVG
in Verbindung mit den bis Ende 1976 in Kraft gewesenen Art. 14 Abs. 1 lit. g und 15 Abs. 1 IVV, welche auf den vorliegenden Fall noch Anwendung finden, übernimmt die Invalidenversicherung die Kosten
BGE 105 V 63 S. 64
invaliditätsbedingter Abänderungen am Motorfahrzeug, das der Versicherte selbst angeschafft hat, sofern er voraussichtlich dauernd eine existenzsichernde Erwerbstätigkeit ausübt und zur Überwindung des Arbeitsweges wegen Invalidität auf ein persönliches Motorfahrzeug angewiesen ist.
2.
a) Nach der Rechtsprechung ist eine existenzsichernde Erwerbstätigkeit dann anzunehmen, wenn der Versicherte voraussichtlich langfristig über ein Erwerbseinkommen verfügt, das Gewähr bietet, dass er seinen Unterhalt daraus bestreiten kann (ZAK 1961 S. 456 und 1966 S. 384; vgl. auch Rz 166 des vom 1. Januar 1969 bis 31. Dezember 1976 gültig gewesenen Kreisschreibens über die Abgabe von Hilfsmitteln sowie Ziff. 10.01.2 bis 10.04.2 der ab 1. Januar 1977 gültigen Wegleitung über die Abgabe von Hilfsmitteln). Offen gelassen wurde in der Gerichtspraxis die Frage, ob es auf die Existenzsicherheit des Invaliden allein oder auch seiner Familie ankomme (EVGE 1967 S. 171). Auch hat das Eidg. Versicherungsgericht weder im Rahmen von
Art. 7 Abs. 1 oder
Art. 15 Abs. 1 IVV
noch von Ziff. 10 der Hilfsmittelliste konkrete Richtlinien zur Bestimmung der existenzsichernden Erwerbstätigkeit aufgestellt. In EVGE 1967 S. 167 hat das Gericht in Änderung der Rechtsprechung allerdings entschieden, dass bei der Beurteilung, ob die Erwerbstätigkeit eines invaliden Versicherten existenzsichernd sei, allfällige Einkommen in Form von Invalidenrenten nicht berücksichtigt werden dürfen. Andernfalls wäre ein Automobil unter Umständen auch jenem Versicherten abzugeben, welchem die Tätigkeit, die er dank diesem Motorfahrzeug ausüben könnte, kaum so viel einbrächte, wie Reparatur-, Amortisations- und Betriebskosten betragen würden. Dies wäre nicht sinnvoll. Von einem vernünftigen Verhältnis zwischen Nutzen und Kosten des Hilfsmittels (vgl. auch
BGE 101 V 53
Erw. 3d mit Hinweisen) könnte alsdann keine Rede sein.
b) Die Verwaltungspraxis hat keine zahlenmässigen Kriterien zur Bestimmung der existenzsichernden Erwerbstätigkeit aufgestellt. Nach Auffassung des Bundesamtes für Sozialversicherung muss diese Frage auf Grund der konkreten Verhältnisse im Einzelfall (Zivilstand des Versicherten, Anzahl Familienglieder, Wohnort, Höhe des Mietzinses usw.) entschieden werden. Im Sinne einer gewollten Begünstigung seien die von der Invalidenversicherung erbrachten Leistungen (Anschaffungs-, Unterhalts- und Betriebskosten des Fahrzeugs) nicht
BGE 105 V 63 S. 65
vom Bruttoeinkommen abzuziehen. Mit der Festlegung einer Einkommensgrenze, wofür am ehesten diejenigen der Ergänzungsleistungen anzuwenden seien, werde der Forderung, bei der Zusprechung von Hilfsmitteln möglichst auf die konkreten Verhältnisse abzustellen, nicht Rechnung getragen, weil die individuellen Bedürfnisse der Versicherten zu verschieden seien.
c) Die konkrete Definition der existenzsichernden Erwerbstätigkeit ist namentlich bei denjenigen Versicherten schwierig, die Renten beziehen, aber noch teilweise erwerbstätig sind. Denn einerseits soll die Verwertung der verbliebenen Erwerbsfähigkeit gefördert, anderseits aber eine stossende Leistungskumulation vermieden werden und zudem der voraussichtliche Erfolg der Eingliederungsmassnahme in einem vernünftigen Verhältnis zu ihren Kosten stehen.
Im Sinne der Ermöglichung einer praktikablen Lösung und um der Rechtsgleichheit willen drängt es sich daher nach einem Beschluss des Gesamtgerichts auf, zur Bestimmung der existenzsichernden Erwerbstätigkeit nicht auf die konkreten Verhältnisse im Einzelfall abzustellen, sondern eine Einkommensgrenze festzusetzen. Als Richtlinie gilt der Mittelbetrag zwischen Minimum und Maximum der ordentlichen einfachen Altersrente, wobei die Anschaffungs-, Unterhalts- und Betriebskosten des Fahrzeugs nicht vom Bruttoeinkommen abzuziehen sind. Dabei kommt es nur auf die Existenzsicherheit des Versicherten allein und nicht auch seiner Familie an. Soweit das nicht veröffentlichte Urteil Troxler vom 20. Juni 1978 von diesen Grundsätzen abweicht, kann daran nicht festgehalten werden. Dagegen ist die Rechtsprechung zu bestätigen, wonach bei der Beurteilung, ob die Erwerbstätigkeit eines invaliden Versicherten existenzsichernd sei, allfällige Einkommen in Form von Renten der Invalidenversicherung oder anderer Sozialversicherungsträger sowie Pensionen nicht berücksichtigt werden dürfen. Schliesslich ist das Verhältnis zwischen Aufwand und Nutzen des Hilfsmittels unabhängig von der Frage nach der existenzsichernden Erwerbstätigkeit zu prüfen.
d) Im vorliegenden Fall erhält der Beschwerdegegner, der eine ganze einfache Invalidenrente bezieht und ohne Invalidität rund Fr. 2600.-- verdienen könnte, als Bürohilfskraft einen Leistungslohn von Fr. 800.-- im Monat. Diese Verhältnisse rechtfertigen die Annahme, dass der Versicherte, der seine ihm
BGE 105 V 63 S. 66
verbliebene Erwerbsfähigkeit optimal verwertet, eine existenzsichernde Erwerbstätigkeit im Sinne der in Erw. 2c dargelegten Grundsätze ausübt. Auf Grund der Berichte der Regionalstelle vom 23. April und 10. Oktober 1974, wonach die Arbeitgeberin bereit ist, den Versicherten, der bereits seit 28 Jahren bei der gleichen Firma arbeitet, auch weiterhin seiner Behinderung entsprechend einzusetzen und ihm weitere Arbeiten im Rahmen der Bürotätigkeit zuzuweisen, darf auch die Dauerhaftigkeit der Erwerbstätigkeit bejaht werden.
3.
Übt der Beschwerdegegner somit voraussichtlich dauernd eine existenzsichernde Erwerbstätigkeit aus, so ist zu prüfen, ob er zur Überwindung des Arbeitsweges infolge Invalidität auf ein persönliches Motorfahrzeug angewiesen ist... | null | nan | de | 1,979 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
d19e0bff-365b-4537-90c6-27b915b902e1 | Urteilskopf
98 IV 166
33. Urteil des Kassationshofes vom 23. Juni 1972 i.S. Jugendanwaltschaft Basel-Stadt gegen B. | Regeste
Art. 41 Ziff. 3 Abs. 3, 100 Abs. 1 StGB. Zuständigkeit zum Widerruf des bedingten Strafvollzugs.
Der für die Beurteilung von Verbrechen oder Vergehen junger Erwachsener während der Probezeit einer Jugendstrafe zuständige Richter entscheidet auch über den Vollzug der Jugendstrafe. | Sachverhalt
ab Seite 166
BGE 98 IV 166 S. 166
A.-
B. wurde am 28. Oktober 1971 vom Strafgericht Basel-Stadt wegen Raubes zu sechs Monaten Gefängnis mit bedingtem Strafvollzug verurteilt. Ferner wurde gemäss
Art. 41 Ziff. 3 StGB
eine vom Jugendgericht Bremgarten am 25. November 1969 bedingt ausgesprochene Einschliessungsstrafe von vier Monaten als vollziehbar erklärt. Eine Appellation der Jugendanwaltschaft wurde vom Appellationsgericht Basel-Stadt am 8. März 1972 abgewiesen.
B.-
Die Jugendanwaltschaft Basel-Stadt beantragt mit der Nichtigkeitsbeschwerde die Aufhebung des appellationsgerichtlichen Entscheids über den Vollzug der Jugendstrafe mangels Zuständigkeit.
Erwägungen
Der Kassationshof zieht in Erwägung:
Nach der neuen Fassung des
Art. 41 Ziff. 3 Abs. 3 StGB
entscheidet bei Verbrechen oder Vergehen während der Probezeit der dafür zuständige Richter auch über den Vollzug der bedingt aufgeschobenen Strafe.
Die Jugendanwaltschaft vertritt die Auffassung, diese Bestimmung sei bei Jugendstrafen nicht anwendbar. Art. 41 beziehe sich nur auf Strafen im Sinne von
Art. 35 ff. StGB
, nicht auf die in Art. 95 vorgesehenen Sanktionen. Der Entscheid über den nachträglichen Vollzug einer Jugendstrafe sei ausschliesslich von der Behörde zu treffen, die den bedingten Vollzug angeordnet hat, weil sie den Jugendlichen und seine persönlichen Verhältnisse
BGE 98 IV 166 S. 167
besser kenne als der die neue Tat beurteilende Richter. Das Jugendstrafrecht sei ein in sich abgeschlossenes System.
Der Beschwerdegegner war zur Zeit der vom Strafgericht beurteilten Tat etwas über 18 Jahre alt. Gemäss dem seit 1. Juli 1971 in Kraft stehenden
Art. 100 Abs. 1 StGB
gelten für Täter im Alter zwischen 18 und 25 Jahren die allgemeinen Bestimmungen des Strafgesetzbuches, wozu auch Art. 41 gehört. Daraus ergibt sich die Zuständigkeit des die neue Tat beurteilenden Richters zum Entscheid über den allfälligen Vollzug auch einer Jugendstrafe (für deren grundsätzlichen Strafcharakter s. GERMANN, Schweizer. StGB, 8. Auflage, S. 184). Ob das Jugendstrafrecht ein in sich geschlossenes System darstellt, ist ohne Belang. Es geht hier nicht um die Beurteilung eines Jugendlichen, sondern eines jungen Erwachsenen im Sinne von Art. 100 rev. StGB. In der vorberatenden Expertenkommission ist die Unterstellung der jungen Erwachsenen unter das Jugendstrafrecht ausdrücklich abgelehnt worden, unter anderm aus der Überlegung heraus, dass diese Altersgruppe schon aus psychologischen Gründen nicht mehr vor den Jugendrichter gehöre (Botschaft, BBl 1965 I 597). Auch der Einwand, das Jugendgericht kenne den Jugendlichen und seine persönlichen Verhältnisse besser, stösst ins Leere, weil der von ihm beurteilte Jugendliche inzwischen zum jungen Erwachsenen geworden ist. Zudem können sich die persönlichen Verhältnisse aus andern Gründen als solchen der durch das Alter bedingten Entwicklung ändern, wie gerade der vorliegende Fall zeigt. Das Appellationsgericht stellt fest, dass der Beschwerdegegner seit drei Jahren in Basel wohnt und arbeitet, weshalb das die neue Tat beurteilende Basler Strafgericht seine letzte Entwicklung kannte. Es besass darum auch weit eher die Möglichkeit einer gründlichen Abklärung der derzeitigen persönlichen Verhältnisse des Beschwerdegegners als das Jugendgericht Bremgarten, das dafür auf die Rechtshilfe der Basler Behörden angewiesen wäre. Nicht zuletzt würde die von der Beschwerdeführerin verfochtene Aufteilung der Zuständigkeit in Fällen wie dem vorliegenden die durch die Revision des Gesetzes verwirklichten Vorteile prozessökonomischer und praktischer Art (Einheitlichkeit der Anordnung und Durchführung des Vollzugs in einem einzigen Verfahren) wieder aufheben.
Dispositiv
Demnach erkennt der Kassationshof:
Die Nichtigkeitsbeschwerde wird abgewiesen. | null | nan | de | 1,972 | CH_BGE | CH_BGE_006 | CH | Federation |
d19f2be6-09ab-472a-9c2c-026b28899f11 | Urteilskopf
91 II 190
29. Arrêt de la IIe Cour civile du 8 juillet 1965 dans la cause Appia et consorts contre S.I. Le Cottage SA | Regeste
Gerichtliche Löschung einer Grunddienstbarkeit.
Art. 736 Abs. 1 ZGB
.
Der Richter würdigt den Nutzen der Dienstbarkeit für den Eigentümer des berechtigten Grundstücks, indem er den Zweck ihrer Errichtung, ihren Inhalt und ihren Umfang in Betracht zieht.
Anwendung dieses Grundsatzes bei einer auf Grabungen und Wasserentnahme gehenden Dienstbarkeit, wenn das belastete Grundstück bloss eine Grundwasserfläche in sich birgt, deren ganzes Wasser von der bestehenden Fassung aufgenommen wird. | Sachverhalt
ab Seite 191
BGE 91 II 190 S. 191
A.-
Germaine Appia, Henri Decollogny et René Jaccaud sont copropriétaires d'un bien-fonds de 499a 79 ca en nature de pré et champ sis au lieu dit "Bochet-Dessus", commune de Gland. L'immeuble est immatriculé à l'article 572, folio 10, du registre foncier. Il est grevé d'une servitude de "fouilles, prise d'eau, passage de canalisations et droits accessoires", au profit d'un fonds voisin appartenant à la Société immobilière "Le Cottage SA", à Gland (en abrégé: la société).
Le fonds dominant comprend les parcelles immatriculées aux folios 68, no 11/1, 63, no 12 et 13, 64, no 14, etc., 65, 10, nos 642 et 671, du registre foncier. Il couvre une surface totale de 2472 a 85 ca. C'est une propriété d'agrément, comportant une maison de maître, des dépendances, un parc avec jardin, des prés, champs et bois.
La servitude est inscrite au registre foncier sous no 18 993. Elle a été constituée le 5 janvier 1874, moyennant le paiement d'environ 7000 fr., par un acte notarié aux termes duquel le propriétaire d'alors cédait à l'acquéreur "le droit de propriété sur toutes les sources existant ou traversant la propriété... de quelque côté qu'elles proviennent ou prennent naissance dans ledit fonds,... le droit de faire des fouilles nécessaires à l'établissement de coulisses à l'effet de recueillir les eaux
BGE 91 II 190 S. 192
desdites sources, ainsi que le droit de réparer les coulisses, canaux et autres travaux si besoin est." Il s'interdisait "de faire des fouilles sur le fonds asservi ainsi que de livrer passage à la conduite d'eaux étrangères...".
La société utilise actuellement l'eau captée en vertu de cette servitude pour alimenter des fontaines, pièces et cours d'eau d'agrément sur sa propriété. Elle envisage de construire une piscine qui serait alimentée également par cette eau.
B.-
Le 28 octobre 1961, les trois copropriétaires du fonds servant firent assigner la société devant le Président du tribunal du district de Nyon. Ils conclurent à la radiation partielle de la servitude, en réservant le droit de maintenir et d'entretenir la canalisation existante. A titre très subsidiaire, ils offrirent une indemnité dont le juge fixerait le montant.
Désigné comme expert géologue, le professeur Bersier, de l'Université de Lausanne, exposa dans son rapport du 25 avril 1963, complété le 25 septembre 1963, que l'assiette de la servitude ne renferme aucune source proprement dite; elle se trouve au-dessus d'une nappe d'eau souterraine faiblement inclinée qui s'étend sur toute la parcelle litigieuse et même au-delà; cette nappe phréatique est d'un grand intérêt pour alimenter en eau les fonds dominants; elle est peu profonde et de ce fait aisément polluable, notamment aux abords du captage et en particulier par des épandages abondants de fumier ou des constructions. L'expert releva que la canalisation existante avait été judicieusement placée, au point le plus bas, pour recueillir la totalité des eaux qui affluent sous la surface grevée par un cheminement souterrain dans le gravier aquifère.
Sur le vu des conclusions de l'expert, les demandeurs réduisirent leurs conclusions en ce sens que la servitude soit limitée: a) au droit de capter l'eau de la nappe souterraine au point où elle est actuellement captée selon le plan Rochaix, géomètre officiel, du 13 octobre 1959;
b) au droit de conduire l'eau captée selon le tracé de la canalisation existante;
c) au droit de passage nécessaire pour l'entretien, la réparation ou le remplacement de ladite canalisation;
d) à l'interdiction pour le propriétaire du fonds servant de planter des arbres à une distance inférieure à dix mètres de chaque côté de la canalisation;
e) à l'interdiction pour le propriétaire du fonds servant de
BGE 91 II 190 S. 193
pratiquer des fouilles d'eau sur l'ensemble de la parcelle grevée;
la servitude no 18 993 étant modifiée au registre foncier comme dit ci-dessus et radiée pour le surplus, notamment en ce qui concerne le droit de fouilles d'eau au profit du fonds dominant."
La société conclut au rejet de la demande. Subsidiairement, pour le cas où l'action serait admise, elle requit le paiement d'une indemnité de 27 000 fr., plus subsidiairement de 20 000 fr., la servitude étant maintenue sans modification dans un rayon de 100 m autour de chacun des captages liés à son exercice.
C.-
Confirmant le jugement rendu le 28 septembre 1964 par le Président du tribunal du district de Nyon, la Chambre des recours du Tribunal cantonal vaudois rejeta la demande par arrêt du 8 décembre 1964. Elle considéra que la société utilisait toute l'eau qui afflue sur le fonds servant; les copropriétaires envisageant de le vendre comme terrain à bâtir, la libération partielle de la servitude rendrait possible des travaux de construction et la pose de nombreuses canalisations (eau, gaz, électricité, égouts); de pareils ouvrages risqueraient de diminuer le débit de la nappe et de polluer l'eau captée; on ne saurait comparer les intérêts en présence en faisant abstraction de ces risques; la servitude litigieuse conservant toute son utilité pour la société, le propriétaire grevé ne saurait en être libéré, même partiellement.
D.-
Les demandeurs recourent en réforme au Tribunal fédéral. Ils persistent dans les conclusions modifiées qu'ils ont prises devant les juridictions cantonales.
La société intimée conclut au rejet du recours.
Le Tribunal fédéral a admis le recours et ordonné la radiation partielle de la servitude, dans la mesure où elle excède les limites mentionnées dans les conclusions des recourants.
Erwägungen
Considérant en droit:
1.
(valeur litigieuse).
2.
Les recourants demandent que la servitude soit limitée au captage et à la canalisation existants, ainsi qu'aux droits accessoires qui s'y rattachent (passage nécessaire pour l'entretien, la réparation ou le remplacement de la canalisation, interdiction pour le propriétaire du fonds servant de pratiquer des fouilles d'eau sur l'ensemble de la parcelle grevée et de planter des arbres à une distance déterminée - dix mètres -
BGE 91 II 190 S. 194
de chaque côté de la canalisation). Ils requièrent la radiation de la servitude pour le surplus, c'est-à-dire dans la mesure où elle comprend le droit de propriété sur d'autres sources qui existeraient dans le fonds servant et le droit de pratiquer des fouilles d'eau en d'autres endroits que le captage et la canalisation existants.
L'art. 736 al. 1 CC permet au propriétaire grevé d'exiger la radiation d'une servitude qui a perdu toute utilité (alles Interesse) pour le fonds dominant. Cette disposition légale est applicable aux servitudes constituées, comme en l'espèce, avant l'entrée en vigueur du code civil suisse (RO 45 II 394 consid. 4, 89 II 376 consid. 1).
Le juge saisi d'une demande de radiation doit apprécier l'utilité de la servitude en fonction du but en vue duquel elle a été constituée, de son contenu et de son étendue (LIVER, n. 41, 58-59, 146 et 155 ad art. 736 CC). Il se fondera sur l'inscription au registre foncier et, si elle ne lui permet pas de résoudre sûrement la question, sur l'acte constitutif et sur la manière dont le droit a été exercé pendant longtemps, paisiblement et de bonne foi (cf. art. 738 CC; LIVER, n. 58 ad art. 736 CC). L'utilité visée par la loi correspond à l'intérêt que présente l'exercice de la servitude pour le propriétaire du fonds dominant (RO 89 II 383, consid. 4).
En l'espèce, la servitude a été constituée pour alimenter en eau le fonds dominant. Selon les constatations de la cour cantonale, aucune source proprement dite ne jaillit sur le fonds servant. Celui-ci recèle uniquement une nappe d'eau souterraine. Or le captage existant permet de recueillir de façon rationnelle toute l'eau de cette nappe phréatique. L'intimée exerce actuellement dans ce sens limité les droits que lui confère la servitude sur toute la surface asservie. Depuis la constitution de la servitude et le captage de l'eau, le droit de fouille n'a jamais été exercé. Aucun indice ne permet de dire que, selon le cours ordinaire des choses, le propriétaire du fonds dominant aura un intérêt à faire des fouilles en dehors du captage existant, dans un avenir prévisible (cf. RO 81 II 193 ss., consid. 2, 89 II 380 ss., consid. 3 et 4). En particulier, ni l'expert ni la cour cantonale n'ont envisagé que la situation de la nappe d'eau souterraine se modifierait de telle sorte que le captage actuel cesserait d'être idéal. Dès lors, l'intérêt du propriétaire du fonds dominant, qui s'étendait, lors de la constitution de
BGE 91 II 190 S. 195
la servitude, à toute la surface grevée, a disparu au moment où le captage effectué a permis de recueillir, de la manière la plus rationnelle, toute l'eau de la nappe. Le contenu et l'étendue de la servitude ont subi une modification essentielle. Le droit de pratiquer des fouilles d'eau sur le fonds servant est devenu superflu; il ne présente plus aucun intérêt lié à la propriété du fonds dominant ni à la personne du propriétaire; il n'est donc plus "utile" au sens de la loi.
3.
Peu importe que les copropriétaires du fonds servant aient l'intention de le vendre comme terrain à bâtir. La servitude ne saurait les empêcher d'exploiter leur immeuble de la façon qu'ils jugent la meilleure. Sinon, elle serait détournée de son but. En particulier, elle ne saurait être maintenue intégralement pour empêcher de construire sur toute la surface grevée. De même qu'un droit de passage qui aurait perdu toute utilité pour son bénéficiaire ne peut être conservé à la seule fin d'empêcher de bâtir sur le fonds grevé ou de reculer les constructions à une distance supérieure à la norme en vigueur, de même un droit à une source, dépourvu d'intérêt comme tel, ne saurait être maintenu parce qu'il entraîne une interdiction de bâtir. En effet, une servitude qui serait constituée ou maintenue uniquement à cause de son effet prohibitif ("Sperrwirkung") ne mérite pas la protection du juge (LIVER, n. 58 ad art. 736 CC, et références citées). Dans le cas particulier, le risque de la pollution de l'eau et celui de la diminution du débit de la nappe captée - que la cour cantonale a invoqués pour rejeter la demande de radiation partielle de la servitude - ne sont pas décisifs. Comme le relèvent les recourants, ces arguments sont étrangers au litige. Ils ne se rapportent ni au but, ni au contenu, ni à l'étendue de la servitude. Ils conduiraient à la maintenir à cause de son seul effet prohibitif.
Du reste, on ne peut dire abstraitement si le fait de construire sur le fonds grevé mettra en péril l'alimentation en eau du fonds dominant. Supposé qu'un projet concret présente un pareil danger et que l'état actuel de la technique ne permette pas d'y parer, le propriétaire du fonds dominant serait à même de sauvegarder ses droits par d'autres moyens. Assurément, il ne saurait invoquer les art. 706/7 CC, qui ne sont pas applicables aux relations entre le propriétaire grevé et l'ayant droit à la source (RO 57 II 260). Mais il pourrait se prévaloir de l'art. 737 CC pour empêcher que les travaux ne portent atteinte
BGE 91 II 190 S. 196
à la conservation et à l'exercice de la servitude, éventuellement pour réclamer des dommages-intérêts.
4.
Dans la mesure où la servitude litigieuse ne présente plus d'utilité pour le propriétaire du fonds dominant, l'inscription qui subsiste au registre foncier a perdu toute valeur juridique et l'immeuble grevé doit en être libéré (LIVER, n. 43 ss., 77, 103 et 172 ad art. 736 CC). Le recours est dès lors fondé, sans qu'il soit nécessaire d'examiner si la radiation partielle se justifierait également au regard de la clausula rebus sic stantibus et de la protection de la bonne foi (cf. RO 89 II 376/7, consid. 1, les arrêts cités et la critique de LIVER, n. 48 ss., 126 ss., ad art. 736 CC et RJB 100 (1964) p. 467). Cependant, même de ce point de vue - normalement plus restreint - il serait contraire à la bonne foi d'exiger le maintien de certains droits compris dans une servitude, qui non seulement ont perdu leur raison d'être, mais qui imposent encore des charges disproportionnées au propriétaire grevé. Cette disproportion est rendue évidente par l'évolution du prix et de la destination des terrains dans la région, que l'antépossesseur ne pouvait prévoir lors de la constitution de la servitude. Elle ne peut être négligée, surtout à l'époque actuelle où les terrains à bâtir sont toujours plus recherchés, notamment à cause de l'augmentation de la population.
5.
La libération partielle d'une servitude peut consister en une réduction de son contenu et de son étendue. En particulier, le droit de capter une source et de pratiquer des fouilles d'eau peut être limité au captage, une fois que celui-ci a été opéré de telle manière que les fouilles ne présentent plus aucun intérêt pour le bénéficiaire (cf. LIVER, n. 130 ad art. 736 CC).
La loi ne prévoit en principe une libération partielle que moyennant une indemnité (cf. art. 736 al. 2 CC). Mais l'indemnité ne se justifie que si la servitude radiée conservait une utilité réduite. En revanche, elle ne saurait être allouée lorsque le bénéficiaire n'a plus aucun intérêt à exercer les droits liés à la partie de la servitude dont la radiation est requise (cf. LIVER, n. 130 al. 2 et 174 al. 2 ad 736 CC; LEEMANN, n. 10 ibidem). L'intimée ne subissant aucun préjudice du fait de la radiation partielle de la servitude, elle n'a pas droit à une indemnité.
6.
En vertu du présent arrêt, dont le dispositif précise dans quelle mesure la servitude litigieuse est maintenue, les
BGE 91 II 190 S. 197
recourants, propriétaires du fonds servant, seront autorisés à requérir le conservateur du registre foncier de procéder à la radiation partielle de la servitude (cf. LIVER, n. 105 ad art 736 CC). | public_law | nan | fr | 1,965 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
d1a5a961-a3de-4ab7-9d88-60c14f99360c | Urteilskopf
93 I 378
48. Arrêt du 29 juin 1967 dans la cause Tungstène Carbid SA contre OFIAMT. | Regeste
Art. 5 Abs. 2 lit. a Arbeitsgesetz.
1. Voraussetzungen der Unterstellung der Betriebe (Erw. 1 und 2).
2. Gesetzmässigkeit von Art. 12 Abs. 2 lit. c der Allgemeinen Verordnung (Erw. 3).
3. Unterstellung zweier rechtlich selbständiger Betriebe, welche wirtschaftlich eine Einheit bilden und zusammen zehn Arbeitnehmer beschäftigen (Erw. 4). | Sachverhalt
ab Seite 378
BGE 93 I 378 S. 378
A.-
La maison Tungstène Carbid SA a son siège à Estavayer-le-Lac. L'inscription au registre du commerce définit en ces termes les buts de la société: "l'application, l'adaptation en tous genres du carbure de tungstène, de métaux durs et des corindons, ainsi que la fabrication, l'achat et la vente des produits y relatifs".
Eu égard à la clientèle étrangère, un département de la maison Tungstène Carbid en a été détaché pour former une entreprise individuelle sous la raison Jean Sandoz. Suivant son inscription au registre du commerce, cette nouvelle entreprise a pour buts: "fabrication, application, achat et vente de pierres fines de corindons, de fritté, ainsi que de tous autres appareils similaires, bruts, semi-fabriqués, terminés, montés en appareil, pour l'industrie".
Bien que distinctes juridiquement, la maison Tungstène Carbid et la maison Jean Sandoz sont liées étroitement en fait.
BGE 93 I 378 S. 379
Le propriétaire de la seconde, Jean Sandoz, préside le conseil d'administration de la première. Les deux entreprises occupent les mêmes locaux, où elles emploient en grande partie les mêmes travailleurs et utilisent certaines machines en commun. La maison Tungstène Carbid engage le personnel de l'une et l'autre entreprise, le rémunère et acquitte en sa faveur les primes d'assurances sociales, la maison Jean Sandoz remboursant sa part selon des décomptes annuels. Ce sont les mêmes personnes qui tiennent les comptabilités des deux entreprises.
B.-
Le 14 avril 1967, en réponse à un questionnaire de l'Inspection fédérale du travail du 1er arrondissement, la maison Tungstène Carbid avait déclaré qu'elle fabriquait des billes industrielles et des produits en métal dur, utilisait les machines ad hoc et des appareils de mesure, et occupait 9 travailleurs.
Le 25 avril 1967, sur la proposition du Département de l'industrie et du commerce du canton de Fribourg, l'Office fédéral de l'industrie, des arts et métiers et du travail assujettit la maison Tungstène Carbid aux prescriptions de la loi sur le travail relatives aux entreprises industrielles. Il se fonde sur les motifs que voici: "L'entreprise occupe plus de six travailleurs à la fabrication de billes industrielles et de produits en métal dur, où la manière de travailler est déterminée par les machines et l'exécution d'opérations en série."
C.-
Par le présent recours de droit administratif, la maison Tungstène Carbid conclut à l'annulation de cette décision. Elle fait valoir qu'elle occupe 5 travailleurs et la maison Jean Sandoz 3 seulement. D'où elle conclut que ni l'une ni l'autre ne remplit les conditions d'assujettissement prévues par l'art. 5 al. 2 lit. a de la loi sur le travail, cette disposition exigeant au minimum 6 travailleurs.
D.-
L'Office fédéral propose le rejet du recours. Il s'appuie sur un rapport d'inspection du 26 mai 1967 pour prétendre qu'à cette date, 8 personnes travaillaient partiellement pour la recourante.
E.-
Il ressort d'une enquête complémentaire du 22 juin 1967 que 10 personnes sont occupées actuellement dans l'exploitation des deux entreprises. Alors que 2 sont employées entièrement par la maison Jean Sandoz et 1 exclusivement par la recourante, 7 partagent leur temps entre l'une et l'autre entreprise.
BGE 93 I 378 S. 380
A l'audience du 23 juin 1967, le directeur commercial de la recourante a admis l'exactitude de ces renseignements.
Erwägungen
Considérant en droit:
1.
L'art. 5 al. 2 lit. a de la loi sur le travail subordonne à trois conditions le caractère industriel d'une entreprise et, partant, son assujettissement aux prescriptions sur les entreprises industrielles. Il faut: 1o qu'elle utilise des installations fixes à caractère durable pour produire, transformer ou traiter des biens ou pour produire, transformer ou transporter de l'énergie; 2o que l'emploi de machines ou d'autres installations techniques ou encore l'exécution d'opérations en série détermine la manière de travailler ou l'organisation du travail; 3o que 6 travailleurs au moins soient affectés aux travaux visés. Tout en admettant implicitement qu'elle remplit les deux premières conditions, la recourante conteste l'accomplissement de la troisième, soit la présence de 6 travailleurs.
Si l'on compte comme travailleurs toutes les personnes occupées totalement ou partiellement dans l'entreprise, il s'ensuit que la recourante emploie 8 travailleurs, soit 1 à plein temps et 7 à temps réduit, c'est-à-dire qu'elle satisfait à l'exigence légale. En revanche, si l'on détermine le nombre de travailleurs d'après leur activité effective, il n'est pas établi que la recourante ait plus de 4 à 5 travailleurs à son service et que le minimum fixé par la loi soit atteint. Il y a donc lieu d'examiner le mode de calculer l'effectif des travailleurs.
2.
La loi elle-même ne résout pas expressément cette question. L'art. 5 al. 2 lit. a par le de 6 travailleurs, sans préciser davantage. Assurément, l'art. 1 al. 2 admet l'existence d'une entreprise dès qu'un employeur occupe un ou plusieurs travailleurs "de façon durable ou temporaire". Toutefois, les mots "durable" et "temporaire" se rapportent manifestement à la durée des rapports de service, non pas à la durée de l'activité exercée par le travailleur pendant son engagement. On ne peut donc pas inférer de l'art. 1 al. 2 qu'une personne employée à temps partiel est un travailleur au sens de l'art. 5 al. 2 lit. a. Cette déduction se justifie d'autant moins que les critères utilisés pour définir l'entreprise en général ne permettent pas nécessairement de caractériser une entreprise industrielle. Preuve en est que, s'il suffit d'occuper temporairement un ou plusieurs travailleurs pour former une entreprise, l'art. 12
BGE 93 I 378 S. 381
al. 2 lit. b de l'ordonnance générale élimine au contraire, dans le calcul du nombre de travailleurs qu'une entreprise doit employer pour être qualifiée d'industrielle, les apprentis, volontaires, stagiaires, ainsi que les personnes qui y travaillent temporairement.
3.
A la différence du texte légal, l'art. 12 al. 2 lit. c de l'ordonnance générale tranche la question soulevée, en disposant que les personnes occupées principalement hors de l'entreprise n'entrent pas dans le chiffre de 6 travailleurs fixé par l'art. 5 al. 2 lit. a de la loi. Il en résulte "a contrario" qu'il y a lieu de tenir compte des personnes qui, sans travailler à plein temps dans l'entreprise, lui consacrent au moins la moitié de leur activité professionnelle. Bien que le juge puisse revoir la validité des ordonnances du Conseil fédéral, il n'a aucune raison de mettre en doute celle de l'art. 12 al. 2 lit. c de l'ordonnance générale. Non seulement il est manifeste que cette disposition reste dans le cadre de la loi, mais la recourante ne soutient pas le contraire.
Sur la base du dossier, il est cependant difficile d'appliquer en l'espèce la règle déduite de l'art. 12 al. 2 lit. c. S'il ressort de l'enquête du 22 juin 1967 que 7 personnes travaillent à la fois pour la recourante et la maison Jean Sandoz, on ignore dans quelle proportion elles partagent leur temps entre l'une et l'autre entreprise. Par conséquent, il n'est pas certain qu'elles consacrent au moins la moitié de leur activité à la recourante et, par le jeu de l'art. 12 al. 2 lit. c, doivent être prises en considération dans le calcul de l'effectif de son personnel. Toutefois, point n'est indispensable de compléter à ce sujet l'instruction de la cause, le recours étant mal fondé pour un autre motif.
4.
Les prescriptions sur les entreprises industrielles n'ont pas été édictées dans l'intérêt des entreprises elles-mêmes, mais dans celui de leur personnel, qu'elles visent principalement à préserver des accidents, de la maladie et du surmenage. Or, lorsque le personnel de deux entreprises travaille en majeure partie pour l'une et l'autre dans les mêmes locaux, il est exposé aux mêmes risques et n'a pas moins besoin de protection que s'il appartenait à une seule entreprise. En l'occurrence, il y a lieu d'admettre que les deux entreprises n'en forment qu'une, c'est-à-dire de tenir compte de l'effectif total de leur personnel pour appliquer l'art. 5 al. 2 lit. a de la loi. La réalité économique doit donc l'emporter sur la structure juridique. Sinon, il
BGE 93 I 378 S. 382
suffirait à une entreprise de se diviser en plusieurs entreprises juridiquement indépendantes pour se soustraire aux prescriptions sur les entreprises industrielles.
Il ne se justifie pas de raisonner autrement dans le cas particulier. Si la maison Jean Sandoz s'est détachée de la recourante, toutes deux constituent ensemble une entreprise unique au point de vue de leur exploitation. C'est la recourante qui engage, rémunère et assure leur personnel, qu'elles emploient en grande partie en commun dans les mêmes ateliers. Dans ces conditions, il serait inadmissible qu'en raison de l'indépendance juridique des deux entreprises, leur personnel ne bénéficie pas des avantages que lui vaudrait son rattachement à une seule entreprise. Dès lors, pour décider de l'assujettissement des deux maisons aux prescriptions sur les entreprises industrielles, il faut tenir compte du nombre total de leurs travailleurs, à savoir 10. Le chiffre de 6, soit le minimum légal, étant dépassé, c'est avec raison que l'Office fédéral a prononcé l'assujettissement de la recourante, dont les conclusions sont mal fondées. L'assujettissement de la maison Jean Sandoz se justifiera pour les mêmes raisons, les conditions posées par l'art. 5 al. 2 lit. a de la loi au sujet de l'objet et du mode de l'exploitation étant au surplus remplies en ce qui concerne cette entreprise.
Dispositiv
Par ces motifs, le Tribunal fédéral:
Rejette le recours. | public_law | nan | fr | 1,967 | CH_BGE | CH_BGE_001 | CH | Federation |
d1a814f2-99e9-40fc-9df6-568e75e4ce38 | Urteilskopf
126 II 348
37. Auszug aus dem Urteil der I. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 30. Juni 2000 i.S. X. gegen Sozialversicherungsgericht des Kantons Zürich (Verwaltungsgerichtsbeschwerde) | Regeste
Art. 16 Abs. 3 OHG
;
Art. 5 Abs. 3 BV
;
Art. 124 BV
.
Beginn der Verwirkungsfrist bei Straftaten, deren Schadensfolgen für das Opfer erst einige Zeit nach dem tatbestandsmässigen Verhalten eintreten bzw. erkennbar werden (E. 2-5; Präzisierung der Rechtsprechung); bei Ansteckung des Opfers mit dem HI-Virus und späterem Ausbruch von AIDS (E. 6 u. 7). | Sachverhalt
ab Seite 349
BGE 126 II 348 S. 349
und psychischen Problemen in ärztliche Behandlung begeben. Die HIV-Infektion habe jedoch erst nach Ausbruch der AIDS-Krankheit (u.a. Operation eines Non-Hodgkin-Lymphoms) Anfang August 1997 diagnostiziert werden können, nachdem X. wegen starker Kopfschmerzen, Redeausfall, vorübergehender Erblindung des linken Auges, Schwindel usw. notfallmässig ins Universitätsspital Zürich habe eingewiesen werden müssen.
Mit Verfügung vom 22. April 1998 wies die Direktion der Justiz des Kantons Zürich das Opferhilfegesuch als verspätet und daher verwirkt ab. Eine von X. dagegen erhobene kantonale Beschwerde wurde am 5. Januar 2000 vom Sozialversicherungsgericht (II. Kammer) des Kantons Zürich ebenfalls abschlägig entschieden.
Gegen das Urteil des Sozialversicherungsgerichtes gelangte X. mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde vom 14. Februar 2000 an das Bundesgericht. Das Bundesgericht heisst die Beschwerde gut.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
2.
a) Die Bestimmungen des Opferhilfegesetzes vom 4. Oktober 1991 [OHG; SR 312.5] über die Entschädigung und Genugtuung gelten für Straftaten, die nach dem 1. Januar 1993 (Inkrafttreten des OHG) verübt wurden (Art. 12 Abs. 3 Opferhilfeverordnung vom 18. November 1992 [OHV, SR 312.51]).
b) Wird eine Person, die das Schweizer Bürgerrecht und Wohnsitz in der Schweiz hat, im Ausland Opfer einer Straftat, kann sie im Kanton ihres Wohnsitzes Entschädigung und Genugtuung verlangen, sofern sie nicht von einem ausländischen Staat eine genügende Leistung erhält (
Art. 11 Abs. 3 OHG
; s. auch
Art. 1 Abs. 2 lit. c OHG
). c)
Art. 16 Abs. 3 OHG
bestimmt Folgendes:
"Das Opfer muss die Gesuche um Entschädigung und Genugtuung innert zwei Jahren nach der Straftat bei der Behörde einreichen; andernfalls verwirkt es seine Ansprüche."
aa) Der Wortlaut von
Art. 16 Abs. 3 OHG
verlangt für das Einsetzen des Fristenlaufes eine "Straftat" ("infraction", "reato"). Eine Straftat im Sinne des OHG liegt grundsätzlich vor, wenn der objektive Straftatbestand erfüllt und kein Rechtfertigungsgrund gegeben ist (
BGE 125 II 265
E. 2a/bb S. 268;
BGE 122 II 211
E. 3b S. 215, je mit Hinweisen; vgl. Botschaft vom 25. April 1990 zum OHG, BBl 1990 II 977).
BGE 126 II 348 S. 350
Mit dieser relativ kurzen Verwirkungsfrist, die grundsätzlich weder unterbrochen noch wiederhergestellt werden kann, wollte der Gesetzgeber die Opfer dazu anhalten, sich rasch zu entscheiden, ob sie entsprechende Ansprüche erheben wollen. Zudem soll damit sichergestellt werden, dass der Entscheid der Opferhilfebehörde möglichst bald erfolgen kann, in einem Zeitpunkt, in dem die genauen Umstände der Straftat noch eruierbar sind (
BGE 126 II 97
E. 2c S. 100;
BGE 123 II 241
E. 3c S. 243, je mit Hinweisen). Ferner ist auch dem berechtigten Interesse des entschädigungspflichtigen Kantons Rechnung zu tragen, allfällige Regressforderungen gegenüber dem Täter rechtzeitig (vor Ablauf der Verjährung) anzubringen (vgl. PETER GOMM, Einzelfragen bei der Ausrichtung von Entschädigung und Genugtuung nach dem Opferhilfegesetz, in: Festgabe zum Schweizerischen Juristentag 1998, Solothurn 1998, S. 673 ff., 689).
bb) Dem Opfer darf es allerdings nicht faktisch verunmöglicht sein, innerhalb der Verwirkungsfrist ein substanziertes Opferhilfegesuch zu stellen. Andernfalls würde der Sinn und Zweck des OHG unterlaufen (vgl. BBl 1990 II 909ff., S. 942;
BGE 123 II 241
E. 3c S. 243). Zwar müssen im Zeitpunkt der Einreichung des Opferhilfegesuches die Tatbestandsmerkmale noch nicht durch Strafuntersuchung oder Anklageerhebung konkretisiert (oder gar durch ein rechtskräftiges Urteil nachgewiesen) sein. Nach Treu und Glauben muss dem Opfer allerdings ein Minimum an Informationen über die Straftat bzw. deren Umstände und Schadensfolgen vorliegen, die es ihm möglich und zumutbar machen, ein ausreichend substanziertes Opferhilfegesuch zu stellen (vgl.
BGE 126 II 97
E. 2e S. 101 f.). In der Literatur wird überwiegend die Auffassung vertreten, bei Straftaten, deren Schadensfolgen für das Opfer erst einige Zeit nach dem tatbestandsmässigen Verhalten eintreten bzw. erkennbar werden, setze die Verwirkungsfrist von
Art. 16 Abs. 3 OHG
erst ab Eintritt des Erfolges ein (vgl. RUTH BANTLI KELLER, Überblick über das Opferhilfegesetz, Kriminalistik 1995, S. 65 ff., 69; RUTH BANTLI KELLER/ULRICH WEDER/KURT MEIER, Anwendungsprobleme des Opferhilfegesetzes, Plädoyer 1995 Nr. 5, S. 30 ff., 44; PETER GOMM/PETER STEIN/DOMINIK ZEHNTNER, Kommentar zum Opferhilfegesetz, Bern 1995, Art. 16 N. 16-18). Das Bundesgericht hat diese Frage bisher ausdrücklich offen gelassen (nicht publiziertes Urteil vom 3. November 1999 i.S. G., E. 4c; vgl. auch
BGE 123 II 241
E. 3d S. 243 f.).
3.
Unbestrittenermassen wurde die Beschwerdeführerin am 31. Juli 1993 von einem unbekannten Straftäter beraubt und
BGE 126 II 348 S. 351
vergewaltigt. Anlässlich eines operativen Eingriffes am 7. August 1997 wurde bei der Beschwerdeführerin eine HIV-Infektion entdeckt und der Ausbruch von AIDS "festgestellt, was ihr am 12. August 1997 mitgeteilt wurde". Die Beschwerdeführerin macht geltend, sie sei durch den Vergewaltiger mit dem HI-Virus infiziert worden. Im angefochtenen Entscheid wird eingeräumt, dass offensichtlich keine weitere Infektionsmöglichkeit bestanden habe.
a) Als Straftaten im Sinne des OHG fallen im vorliegenden Fall folgende Tatbestände in Betracht: Vergewaltigung (
Art. 190 StGB
), Raub (
Art. 140 StGB
), Verbreiten menschlicher Krankheiten (
Art. 231 StGB
) und schwere Körperverletzung (
Art. 122 StGB
). Sämtliche Tatbestandsmerkmale der Vergewaltigung und des Raubes waren der Beschwerdeführerin nach eigener Darstellung bereits am 31. Juli 1993 bekannt. Hinsichtlich dieser Straftaten (die sie im Übrigen auch in Brasilien polizeilich zur Anzeige brachte) waren ihre Opferhilfeansprüche bereits vor der Einreichung des Opferhilfegesuches (19. Januar 1998) offensichtlich verwirkt.
b) Fraglich ist die Verwirkung bei den übrigen beiden Straftatbeständen,
Art. 231 und
Art. 122 StGB
. Zunächst stellt sich die Frage, wann diese Tatbestände aus strafrechtlicher Sicht objektiv als vollendet anzusehen waren. Nach den Feststellungen der Vorinstanz ist von einer Ansteckung der Beschwerdeführerin mit dem HI-Virus am 31. Juli 1993 auszugehen. Der Straftatbestand von
Art. 231 StGB
war daher ebenfalls schon im Sommer 1993 erfüllt. Allerdings wurde die HIV-Infektion erst (nach Ausbruch der AIDS-Krankheit) am 7. August 1997 ärztlich festgestellt. Unbestrittenermassen erfuhr die Beschwerdeführerin erst am 12. August 1997 von der HIV-Infektion. Die Frage, in welchem Zeitpunkt der Straftatbestand der schweren Körperverletzung (
Art. 122 StGB
) erfüllt war, hängt davon ab, ob man bereits die HIV-Infektion als vollendete schwere Körperverletzung ansieht oder erst den Ausbruch der AIDS-Krankheit.
c) Nach der Praxis des Bundesgerichtes werden die objektiven Tatbestände von
Art. 231 Ziff. 1 StGB
(Verbreiten menschlicher Krankheiten) und
Art. 122 Abs. 1 StGB
(schwere Körperverletzung) grundsätzlich bereits durch die blosse HIV-Infektion erfüllt (
BGE 125 IV 242
E. 2a/aa S. 245, E. 2b und c S. 248, mit Hinweisen).
Der Kassationshof weist in diesem Zusammenhang ausdrücklich darauf hin, dass - über die HIV-Infektion hinaus - schon vor dem Ausbruch der AIDS-Krankheit erhebliche psychische, gesundheitliche und soziale Belastungen eintreten können, sobald das Opfer von der Ansteckung erfährt. Dazu gehörten nicht nur die "Gewissheit,
BGE 126 II 348 S. 352
mit einer zumindest möglicherweise tödlich verlaufenden Krankheit infiziert zu sein", was zu einer "reaktiven Depression" führen könne, sondern auch die "nicht unerheblichen Nebenwirkungen" der gegen die HIV-Infektion eingeleiteten Kombinationstherapie. Erwähnt wird auch noch das Risiko einer "sozialen Isolation bzw. Diskriminierung" von HIV-Infizierten (
BGE 125 IV 242
E. 2b/bb S. 246 f.; vgl. zu diesen Folgen auch MARIO M. PEDRAZZINI, HIV im Persönlichkeitsrecht und öffentlichen Recht, in: Michael G. Koch/Mario M. Pedrazzini/Adrian Staehelin, HIV und Recht, Basel 1999, S. 41 ff., 53, 72). Solche Umstände lagen hier jedenfalls im Zeitraum zwischen Juli 1993 und Juli 1997 nicht vor. Eine Strafverfolgung wegen Ansteckung mit dem HI-Virus ist im Übrigen zwangsläufig nur möglich, wenn zumindest die Infektion diagnostiziert und dem Opfer bzw. der Strafverfolgungsbehörde bekannt ist (vgl. auch CHRISTIAN HUBER, HIV-Infektion und AIDS-Erkrankung im Lichte des
Art. 231 StGB
sowie der Körperverletzungs- und Tötungsdelikte, SJZ 85/1989 S. 149 ff.; ders., Ausgewählte Fragen zur Strafbarkeit der HIV-Übertragung, ZStrR 115/1997 S. 113 ff.; KARL-LUDWIG KUNZ, AIDS und Strafrecht: Die Strafbarkeit der HIV-Infektion nach schweizerischem Recht, ZStrR 107/1990 S. 39 ff.).
4.
Im angefochtenen Entscheid wird erwogen, "entgegen der strafrechtlichen und zivilrechtlichen Verjährungsregelung" beginne die Verwirkungsfrist von
Art. 16 Abs. 3 OHG
zwar "nicht mit der Ausübung der rechtswidrigen Handlung, sondern erst dann, wenn der schädliche Erfolg beim Opfer eingetreten ist". "Die schwere Körperverletzung im Sinne von
Art. 122 Abs. 3 StGB
und damit auch der schädliche Erfolg" trete jedoch bereits "mit der Übertragung des HI-Virus" ein.
a) Selbst wenn aus strafrechtlicher Sicht bereits die nicht diagnostizierte und vom Opfer nicht erkannte HIV-Ansteckung eine schwere Körperverletzung darstellt, ist damit noch keineswegs gesagt, dass der Ausbruch der eigentlichen AIDS-Krankheit nicht als Vollendung eines separaten Körperverletzungstatbestandes (in Idealkonkurrenz zur blossen HIV-Ansteckung) angesehen werden könnte. Für eine solche Beurteilung spräche jedenfalls, dass die AIDS-Krankheit ("Stadium IV") weit schwerwiegendere gesundheitliche Folgen nach sich zieht als die asymptomatische Phase der (stillen) HIV-Infektion ("Stadium II"), und dass die Betroffenen (wie im vorliegenden Fall) von der HIV-Infektion oft erst nach Ausbruch der AIDS-Erkrankung erfahren (vgl. Bundesamt für Gesundheitswesen
BGE 126 II 348 S. 353
und Eidgenössische Kommission für Aidsfragen [Hrsg.], Bericht "AIDS in der Schweiz": Die Epidemie, die Folgen, die Massnahmen, Bern 1989, S. 7 ff.; HUBER, a.a.O., 1989, S. 151; MAX KELLER, Rechtliche Bedeutung des Status "HIV-positiv". Leitfaden für Sozialversicherungsrecht, Privatversicherungsrecht, Arbeitsrecht, Strafrecht, Basel 1993, S. 25 f.; KUNZ, a.a.O., S. 39 f.).
b) Auch bei einer gegenteiligen strafrechtlichen Betrachtungsweise wäre indessen noch viel weniger entschieden, ob der Ausbruch der AIDS-Erkrankung nicht zumindest aus opferrechtlicher Sicht als massgebliches Auftreten einer "Straftat" im Sinne von
Art. 16 Abs. 3 OHG
anzusehen wäre, welche die Verwirkungsfrist in Lauf setzt. Für eine solche Lösung spräche namentlich der Umstand, dass das OHG bei der Frage nach dem Anspruch auf Entschädigung und Genugtuung auch auf den "Erfolg der Straftat" abstellt (vgl.
Art. 11 Abs. 2 OHG
).
c) Dass die strafrechtliche Verfolgungsverjährung bereits mit der blossen Ausführung der strafbaren Handlung zu laufen beginnt (
Art. 71 Abs. 1 StGB
), vermag am bisher Gesagten grundsätzlich nichts zu ändern. Zwar ist - in gewissen Grenzen - auch dem Interesse des entschädigungspflichtigen Kantons Rechnung zu tragen, allfällige Regressforderungen gegenüber dem mutmasslichen Täter rechtzeitig (noch vor Ablauf der Verjährung) anbringen zu können. Die strafrechtliche Verfolgungsverjährung und die opferrechtliche Verwirkungsfrist von
Art. 16 Abs. 3 OHG
verfolgen jedoch unterschiedliche Ziele.
Einerseits ist auf den Schutzzweck des OHG sowie von
Art. 124 BV
- gerade zugunsten der Opfer schwerer Gewaltverbrechen - hinzuweisen. Das OHG soll den Opfern von Straftaten wirksame Hilfe ermöglichen und ihre Rechtsstellung verbessern (
Art. 1 Abs. 1 OHG
). Der Grad der Betroffenheit des Opfers stellt dabei ein massgebliches Kriterium für die Frage der Zulässigkeit der beantragten Opferhilfe dar (
BGE 125 II 265
E. 2a S. 268 mit Hinweisen). Zum andern ist auf die - dem Grundsatz von Treu und Glauben (
Art. 5 Abs. 3 BV
) entspringende - bundesgerichtliche Praxis hinzuweisen, wonach das Opfer die Verwirkungsfrist von
Art. 16 Abs. 3 OHG
nach Massgabe des Zumutbaren zu wahren hat (vgl. oben, E. 2c/bb). Im Übrigen wäre die absolute strafrechtliche Verfolgungsverjährung für schwere Körperverletzung (selbst wenn sie schon am 31. Juli 1993 zu laufen begann) mit 15 Jahren erheblich länger als die bloss zweijährige Verwirkungsfrist von
Art. 16 Abs. 3 OHG
(Art. 70 Abs. 3 i.V.m.
Art. 72 Ziff. 2 Abs. 2 und
Art. 122
BGE 126 II 348 S. 354
Abs. 4 StGB
). Das Interesse des Kantons Zürich an einer allfälligen Durchsetzung von Regressansprüchen erscheint im vorliegenden Fall auch nicht vorrangig. Insbesondere bestehen nur geringe Aussichten dafür, dass der unbekannte (mutmasslich in Brasilien lebende und selbst HIV-positive oder aidskranke) Täter jemals innerhalb der Verfolgungsverjährungsfrist eruiert und regressweise belangt werden könnte. Ausserdem ist zu bemerken, dass es sich hier um einen ausgesprochen untypischen Fall einer schweren Körperverletzung handelt. In aller Regel ist für den von einer schweren Körperverletzung Betroffenen schon nach der Tatausführung die massgebliche Beeinträchtigung der gesundheitlichen Integrität zumindest in Umrissen spür- bzw. erkennbar. Bei einer Ansteckung mit dem HI-Virus ist dies jedoch nicht der Fall.
5.
Selbst wenn davon ausgegangen würde, dass der Ausbruch der AIDS-Krankheit im August 1997 den verjährungsrechtlichen Fristenlauf - auch für den Tatbestand der schweren Körperverletzung - nicht erst in Gang setzte, wäre für die streitige Frage der Verwirkung von Opferansprüchen jedenfalls auf den Sinn und Zweck des Opferhilfegesetzes abzustellen.
a) Das Opferhilfegesetz bezweckt, Opfern von schweren Straftaten im Sinne von
Art. 2 OHG
rasch und auf möglichst unbürokratische Weise wirksame Hilfe zu leisten, und zwar unabhängig davon, ob der Täter ermittelt worden ist und ob er sich schuldhaft verhalten hat (vgl.
Art. 1 Abs. 1,
Art. 2 Abs. 1 OHG
). Damit das Opfer seine Ansprüche - im Lichte der Verwirkungsfrist von
Art. 16 Abs. 3 OHG
- überhaupt wirksam geltend machen kann, muss es über seine Rechte ausreichend informiert sein. Das Gesetz sieht daher besondere Mitteilungs- und Beratungspflichten der Behörden vor. Die Polizei hat das Opfer bei der ersten Einvernahme über die kantonalen Opferhilfe-Beratungsstellen zu informieren (
Art. 6 Abs. 1 OHG
). Diese haben das Opfer zu beraten und über seine Rechte zu informieren (
Art. 1 Abs. 2,
Art. 3 Abs. 2 OHG
). Zur juristischen Beratung gehört insbesondere auch ein Hinweis auf die Verwirkungsfrist von
Art. 16 Abs. 3 OHG
. Eine Verletzung der gesetzlichen Informations- und Beratungspflichten kann Ausnahmen von den Verwirkungsfolgen rechtfertigen (vgl.
BGE 123 II 241
E. 3e und f S. 244 f.).
b) Die wirksame Inanspruchnahme von Opferhilfe setzt nach dem in
Art. 5 Abs. 3 BV
verankerten Grundsatz von Treu und Glauben aber auch voraus, dass das Opfer überhaupt davon Kenntnis erhält, dass es von einer schweren Straftat betroffen ist. Die Praxis verlangt
BGE 126 II 348 S. 355
für die ausreichende Substanzierung eines Opferhilfegesuches die Glaubhaftmachung einer tatbestandsmässigen und rechtswidrigen Straftat (
BGE 126 II 97
E. 2e und f S. 101 f.;
125 II 265
E. 2a/bb S. 268;
122 II 211
E. 3b S. 215, je mit Hinweisen). Zum objektiven Tatbestand der schweren Körperverletzung gehört eine lebensgefährliche Verletzung (
Art. 122 Abs. 1 StGB
), eine Verstümmelung, Entstellung oder bleibende Arbeitsunfähigkeit usw. (i.S.v.
Art. 122 Abs. 2 StGB
) oder eine andere schwere Schädigung des Körpers oder der körperlichen oder geistigen Gesundheit des Opfers (
Art. 122 Abs. 3 StGB
).
c) Damit das Opfer das Vorliegen einer Straftat im Sinne des OHG überhaupt glaubhaft machen kann, muss es die massgebliche Schädigung bzw. Verletzung erkannt haben können (vgl.
BGE 126 II 97
E. 2c S. 100 mit Hinweisen). Anders zu entscheiden hiesse, dem Sinn und Zweck des OHG zuwiderlaufende Anforderungen an die rechtzeitige Einreichung eines (substanzierten) Opferhilfegesuches zu stellen.
d) Nach der Praxis des Bundesgerichtes erscheint aus opferhilferechtlicher Sicht massgeblich, ob die Beeinträchtigung des Geschädigten in seiner körperlichen, sexuellen oder psychischen Integrität das legitime Bedürfnis begründet, die Hilfsangebote und die Schutzrechte des OHG - ganz oder zumindest teilweise - in Anspruch zu nehmen (vgl.
BGE 125 II 265
E. 2a/aa in fine S. 268). Im Sommer 1993 bestand für die Beschwerdeführerin kein Anlass, in Bezug auf die ihr nicht bekannte HIV-Ansteckung und die erst 1997 ärztlich diagnostizierte AIDS-Erkrankung bzw. schwere Körperverletzung die Hilfsangebote des OHG in Anspruch zu nehmen. Konkludent verzichtet hat die Beschwerdeführerin nur auf jene Opferhilfeansprüche, welche die (ihr schon im Sommer 1993 bekannten) Straftatbestände der Vergewaltigung und des Raubes betrafen. Es ist legitim und widerspricht dem Sinn und Zweck des OHG nicht, wenn das Opfer einer Vergewaltigung auf seine diesbezüglichen Entschädigungs- und Genugtuungsansprüche verzichtet, die ihm gesetzlich zustehenden Rechte jedoch in Anspruch nimmt, sobald es erkennt, dass es nicht nur von Raub und Vergewaltigung betroffen ist, sondern darüber hinaus auch noch von einer schweren Körperverletzung (hier: Ansteckung mit einer möglicherweise tödlich verlaufenden Krankheit). Im vorliegenden Fall wurden die HIV-Infektion und der Ausbruch der AIDS-Krankheit von den Ärzten erst am 7. August 1997 festgestellt. Die Beschwerdeführerin erhielt davon unbestrittenermassen erst am 12. August 1997
BGE 126 II 348 S. 356
Kenntnis. Fünf Monate nach Kenntnisnahme, nämlich am 19. Januar 1998, reichte sie das Opferhilfegesuch ein.
6.
In seinem nicht publizierten Urteil vom 3. November 1999 i.S. G. liess das Bundesgericht die Frage ausdrücklich offen, ob der Sinn und Zweck des OHG in Fällen wie dem vorliegenden, bei denen die Schadensfolgen einer mutmasslichen Straftat erst einige Zeit nach dem tatbestandsmässigen Verhalten eintreten bzw. erkennbar werden, verlangen kann, dass die Verwirkungsfrist erst ab Eintritt des schädigenden Erfolges einsetzt (vgl. auch
BGE 123 II 241
E. 3d S. 243 f.).
a) Im Fall G. war es nach einem ärztlichen Heileingriff zu einer schweren Hirnschädigung eines Kindes gekommen. Das Bundesgericht konnte feststellen, dass die Verwirkungsfrist von
Art. 16 Abs. 3 OHG
"selbst dann als unbenutzt abgelaufen anzusehen" war, "wenn sie ab Zeitpunkt des Erfolgseintrittes berechnet" würde. Der ärztliche Heileingriff war am 4. Dezember 1995 erfolgt. Am 24. Juni 1996 hatten die Eltern des Opfers ihren Rechtsvertreter "zur Vertretung in Sachen Herzoperation vom 4.12.1995" beauftragt. Obwohl die geltend gemachten Schadensfolgen der Operation spätestens Mitte 1996 schon bekannt waren, reichte der Rechtsvertreter erst am 7. April 1999 ein Opferhilfegesuch ein.
b) Im vorliegenden Fall hat die Beschwerdeführerin innert fünf Monaten seit Kenntnis der HIV-Infektion und der AIDS-Erkrankung das Opferhilfegesuch eingereicht. Bezüglich Vergewaltigung und Raub sind allfällige Opferhilfeansprüche zwar verwirkt. Es ist aber immerhin darauf hinzuweisen, dass die Beschwerdeführerin noch in Brasilien (am 15. September 1993 bei der Polizei von Bahia) Strafanzeige gegen Unbekannt erhoben hat. Gemäss den vorliegenden Akten liess sich die Beschwerdeführerin nach ihrer Rückkehr in die Schweiz ab 3. Mai 1994 bei verschiedenen Ärzten (Dr. A., Dr. F. und Dr. H.) wegen Dysmenorrhoe (starken Beschwerden während der Regelblutung) ärztlich behandeln. Gemäss Krankengeschichte erzählte die Patientin ihren Ärzten mehrmals ausdrücklich von der "Vergewaltigung in Brasilien". Während der symptomlosen Latenzzeit ("Stadium II") konnte die HIV-Infektion nur durch positiven HIV-Antikörpertest festgestellt werden (vgl. KUNZ, a.a.O., S. 40). Laut ärztlichem Bericht wurden bis August 1997 "keine HIV-Tests" durchgeführt. Da sie wegen der Vergewaltigung auch unter schweren psychischen Problemen litt, begab sich die Beschwerdeführerin ab Oktober 1994 in psychotherapeutische Behandlung. Unbestrittenermassen wurde die HIV-Infektion erst
BGE 126 II 348 S. 357
nach Ausbruch der AIDS-Krankheit (Operation eines Non-Hodgkin-Lymphoms) am 7. August 1997 diagnostiziert, nachdem die Beschwerdeführerin am 1. August 1997 wegen starker Kopfschmerzen, Redeausfall, vorübergehender Erblindung des linken Auges, Schwindel usw. notfallmässig ins Universitätsspital Zürich hatte eingewiesen werden müssen. Am 4. September 1997 erfolgte die offizielle Diagnose: "HIV-Infektion, Stadium C3 (AIDS)". Am 19. Januar 1998 reichte sie das Opferhilfegesuch ein.
c) Bei dieser Sachlage hat die Beschwerdeführerin alles ihr nach Treu und Glauben Zumutbare unternommen, um ihre Opferrechte zu wahren. Sie hat die Vergewaltigung noch in Brasilien bei der Polizei angezeigt. Nach ihrer Rückkehr in die Schweiz hat sie sich aufgrund von unspezifischen Krankheitsanzeichen (Beschwerden während der Regelblutung) sofort in ärztliche Behandlung begeben. Die Beschwerdeführerin hat ihre Ärzte mehrmals ausdrücklich über die Vergewaltigung informiert. Dass die Ärzte lediglich eine "Dysmenorrhoe" diagnostizierten (die mit der Vergewaltigung "nichts zu tun" gehabt habe), kann nicht der Beschwerdeführerin angelastet werden. Nachdem eine durch die Vergewaltigung ausgelöste psychische Depression anhielt, unterzog sie sich einer Psychotherapie. Erst nach Ausbruch der AIDS-Krankheit, nämlich am 12. August 1997, teilten die behandelnden Ärzte der Beschwerdeführerin mit, sie sei HIV-infiziert und aidskrank. Fünf Monate später reichte sie das Opferhilfegesuch ein.
7.
Im Lichte der vorstehenden Erwägungen widerspricht es nicht nur dem Sinn und Zweck des OHG und von
Art. 124 BV
, sondern auch dem verfassungsmässigen Grundsatz von Treu und Glauben (
Art. 5 Abs. 3 BV
), wenn die kantonalen Instanzen im hier zu beurteilenden konkreten Fall von einer Verwirkung der Opferhilfeansprüche bezüglich der Straftatbestände von
Art. 231 und
Art. 122 StGB
ausgegangen sind. Die Beschwerde ist daher gutzuheissen und der angefochtene Entscheid aufzuheben. Die kantonalen Behörden werden darüber zu befinden haben, ob und inwieweit die gesetzlichen Voraussetzungen für die Zusprechung einer Entschädigung und Genugtuung erfüllt sind. | public_law | nan | de | 2,000 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
d1a8e298-b427-4068-9f42-7e7da966d04e | Urteilskopf
137 V 82
12. Estratto della sentenza della II Corte di diritto sociale nella causa W. contro Cassa di compensazione del Cantone Ticino (ricorso in materia di diritto pubblico)
9C_282/2010 del 25 febbraio 2011 | Regeste
Art. 9 Abs. 2 und 5 lit. a ELG
; Berechnung der anrechenbaren Einnahmen und anerkannten Ausgaben einer geschiedenen Person, die weiterhin mit dem Ex-Ehegatten in häuslicher Gemeinschaft zusammenlebt.
Vorbehältlich des Rechtsmissbrauchs berechnet sich die Ergänzungsleistung eines Versicherten, der aus besonderen Gründen weiterhin mit dem von ihm geschiedenen Ehegatten in häuslicher Gemeinschaft zusammenlebt, nicht nach den für Ehegatten gültigen Regeln (E. 5-5.7). | Sachverhalt
ab Seite 82
BGE 137 V 82 S. 82
A.
W., nato nel 1935, è divorziato dall'agosto 2005 e dal mese di ottobre dello stesso anno è stato posto al beneficio di prestazioni complementari all'AVS/AI. Fino al 31 maggio 2009 la Cassa di compensazione del Canton X., dove era domiciliato insieme alla ex moglie (U., classe 1942 e beneficiaria, rispettivamente, di una rendita AI dal 1999 e di una rendita AVS dal 2005), gli ha versato una prestazione per persone sole di fr. 523.- mensili.
Dopo essersi trasferito in Ticino e avere, insieme alla ex moglie, preso in locazione - dividendone le spese - un appartamento di 4 1/2 locali
BGE 137 V 82 S. 83
a B., l'assicurato ha presentato domanda di prestazioni complementari alla Cassa di compensazione del Cantone Ticino, la quale però, per decisione del 21 maggio 2009, ha rifiutato la richiesta. L'amministrazione ha infatti sommato i redditi computabili e le spese riconosciute di entrambi gli ex coniugi C. ed ha accertato una eccedenza dei primi sulle seconde. Il 20 luglio 2009 la Cassa ha confermato la propria valutazione anche in seguito all'opposizione dell'interessato. Ha giustificato l'esecuzione del calcolo unico per gli ex coniugi con il motivo che, pur essendo formalmente divorziati, gli interessati continuavano di fatto la loro convivenza e con essa l'unione coniugale.
B.
Adito su ricorso dell'assicurato, il Tribunale delle assicurazioni del Cantone Ticino ha confermato l'operato della Cassa (pronuncia del 1° marzo 2010). Ponendo l'accento sulla situazione economica degli ex coniugi, che in considerazione dell'ininterrotta convivenza non avrebbe subito modifiche dopo il divorzio, i primi giudici hanno considerato la posizione dell'assicurato alla stregua di una persona coniugata e hanno di conseguenza sommato i redditi e il fabbisogno riconosciuto di entrambi per determinare se sussisteva un diritto a una prestazione complementare. Avendo accertato una eccedenza annua dei redditi di fr. 2'280.- la Corte cantonale ha rigettato la domanda.
C.
W. ha presentato ricorso al Tribunale federale al quale chiede che gli venga riconosciuto il diritto alla rendita complementare così come aveva fatto in precedenza l'amministrazione del Canton X.
La Cassa di compensazione del Cantone Ticino propone la reiezione del gravame, mentre l'Ufficio federale delle assicurazioni sociali (UFAS) ha rinunciato a determinarsi.
Il ricorso è stato accolto.
Erwägungen
Dai considerandi:
3.
Nei considerandi dell'impugnata pronuncia, l'autorità giudiziaria cantonale ha correttamente esposto le norme disciplinanti la materia, rammentando in particolare che hanno segnatamente diritto a prestazioni complementari le persone domiciliate e dimoranti abitualmente in Svizzera che ricevono una rendita di vecchiaia dell'AVS (
art. 4 cpv. 1 lett. a LPC
[RS 831.30], nella versione applicabile in concreto, in vigore dal 1° gennaio 2008), ma il cui fabbisogno vitale non è coperto dall'AVS (
art. 112a cpv. 1 Cost.
), che l'importo
BGE 137 V 82 S. 84
della prestazione complementare annua è pari alla quota delle spese riconosciute (
art. 10 LPC
) che eccede i redditi computabili (
art. 9 cpv. 1 e
art. 11 LPC
), e che le spese riconosciute come pure i redditi computabili dei coniugi sono di massima sommati (
art. 9 cpv. 2 LPC
). A tale esposizione può essere fatto riferimento e prestata adesione, non senza tuttavia ribadire che, per l'
art. 9 cpv. 5 LPC
, il Consiglio federale disciplina la somma delle spese riconosciute e dei redditi computabili dei membri della stessa famiglia e che, facendo uso di tale delega, l'Esecutivo federale ha tra l'altro disposto che se una rendita AVS o AI è versata a entrambi i coniugi, ciascuno di loro ha un diritto proprio a prestazioni complementari in caso di separazione legale (
art. 1 cpv. 1 OPC-AVS/AI
[RS 831.301]), ritenuto che i coniugi sono considerati come viventi separati secondo il cpv. 1: a) se la separazione è stata pronunciata con una decisione giudiziaria o b) se è in corso un'istanza di divorzio o di separazione, o c) se la separazione di fatto dura ininterrottamente da almeno un anno, o d) se è reso credibile che la separazione di fatto durerà relativamente a lungo (
art. 1 cpv. 4 OPC-AVS/AI
).
4.
Oggetto del contendere è la questione di sapere se il Tribunale cantonale delle assicurazioni poteva, come ha fatto l'amministrazione cantonale, correttamente sommare i redditi computabili e le spese riconosciute degli ex coniugi C. nonostante il loro matrimonio fosse stato sciolto per divorzio e gli stessi andassero di per sé, formalmente, considerati quali persone sole ai fini del calcolo della prestazione complementare.
4.1
Applicando per analogia una passata sentenza del Tribunale federale delle assicurazioni relativa al calcolo della prestazione complementare di due coniugi legalmente separati che continuavano a convivere (RCC 1986 pag. 143, P 8/85), il Tribunale cantonale ha ritenuto che, come in quella occasione, indipendentemente dalle circostanze formali che potevano indurre a ritenerli effettivamente come persone sole, occorreva fondarsi sulle circostanze economiche del caso concreto. La precedente istanza ha quindi accertato che, prima e dopo il divorzio, gli ex coniugi C. hanno sempre abitato insieme, sia nel Canton X. sia in Ticino, dove peraltro dispongono di un unico allacciamento telefonico. In questo modo la Corte cantonale non ha ravvisato alcun cambiamento nella loro situazione economica che giustificasse di considerarli separatamente per il calcolo della prestazione complementare. Per i giudici cantonali, il fatto che gli interessati, sotto il profilo fiscale e dell'AVS, siano considerati
BGE 137 V 82 S. 85
come persone sole non sarebbe determinante, trattandosi di ambiti giuridici differenti. Irrilevante è pure stata ritenuta la circostanza secondo cui gli stessi vivrebbero separati in casa, dal momento che l'assicurato disporrebbe di una camera e di un gabinetto a suo uso esclusivo. A tal proposito la Corte cantonale ha opposto che gli ex coniugi abitano comunque nello stesso appartamento, condividendone le spese, il numero di telefono, il televisore e, verosimilmente, anche la cucina e la sala.
4.2
Il ricorrente osserva che per legge il diritto a una prestazione complementare di una persona divorziata si determina unicamente sulla base dei suoi redditi e fabbisogni individuali. Nella misura in cui i primi giudici avrebbero disatteso questo principio, rimprovera loro una violazione del diritto federale. A sostegno della sua tesi e a giustificazione di un calcolo separato e individuale dei suoi redditi e delle sue spese rileva che, a seguito del divorzio, egli non vanta più alcun diritto né obbligo di mantenimento nei confronti della sua ex moglie e che già solo per questo la loro situazione economica sarebbe in realtà cambiata poiché ognuno provvede a se stesso e la ex moglie - dopo i guai finanziari e giudiziari che lo hanno interessato in passato - non è assolutamente più disposta a sborsare alcunché per lui. Come già in sede cantonale, motiva la comunione domestica e il trasferimento in Ticino - suo e della ex moglie - con le difficoltà finanziarie che non gli permetterebbero di locare individualmente un appartamento per l'impossibilità - data l'assenza di sostanza - di versare una cauzione a garanzia della pigione, e con i problemi di salute, suoi (successivi a una operazione alla prostata e ai conseguenti problemi di incontinenza) e della ex moglie (pregressa emorragia cerebrale e sequele irreversibili), che avrebbero reso opportuno il trasferimento in un clima meno umido e nebbioso rispetto a quello di X. Ritiene di essere libero di vivere dove e con chi meglio crede senza dover rendere conto a nessuno della sua scelta. Ad ogni buon conto precisa di intrattenere normali rapporti di amicizia con la ex moglie senza però né subire né esercitare ingerenze di alcun genere di natura personale o economica. Contesta infine la valutazione dei giudici di prime cure anche perché in evidente contrasto con quella resa dalle autorità fiscali e AVS, da una parte, e precedentemente dalla Cassa di compensazione del Canton X., dall'altra.
5.
Contrariamente all'opinione delle precedenti istanze, il ricorrente e la ex moglie, dalla quale è divorziato ma con cui continua a vivere in comunione domestica, non possono essere considerati
BGE 137 V 82 S. 86
analogamente a una coppia coniugata per la definizione del calcolo della prestazione complementare.
5.1
Osta infatti a una simile interpretazione già solo il chiaro tenore letterale dell'
art. 9 cpv. 2 LPC
che - per quanto concerne la fattispecie in esame - limita la possibilità di sommare i redditi computabili e le spese riconosciute ai soli coniugi ("Ehegatten"; "conjoints"). Ora, di tutta evidenza, il ricorrente e la sua ex moglie non possono più essere considerati coniugi ai sensi del disposto. Anche nel linguaggio comune, infatti, il termine sta a indicare ciascuna delle due persone reciprocamente obbligate dal matrimonio (DEVOTO/OLI, Dizionario della lingua italiana, Firenze 2004). Avendo il divorzio determinato lo scioglimento del matrimonio e dei suoi vincoli (anche un obbligo di mantenimento dopo il divorzio ai sensi dell'
art. 125 CC
non è peraltro stato previsto nella convenzione sulle conseguenze accessorie al divorzio omologata con la pronuncia di divorzio del 26 agosto 2005), W. e U. non ricadono sotto il campo applicativo dell'
art. 9 cpv. 2 LPC
(nello stesso senso RALPH JÖHL, Ergänzungsleistungen zur AHV/IV, in Soziale Sicherheit, SBVR vol. XIV, 2007, pag. 1685 seg. n. 68).
5.2
L'impossibilità, de lege lata, di trattare il ricorrente e la ex moglie analogamente a due coniugi per il calcolo della prestazione complementare deriva anche dalla seguente considerazione. Il cumulo dei redditi (e dei fabbisogni) di determinati membri della famiglia (v.
art. 9 cpv. 2 e 5 lett. a LPC
) si giustifica soprattutto perché il reddito del pensionato non serve unicamente al soddisfacimento dei suoi bisogni personali, ma anche alla copertura del fabbisogno vitale di eventuali familiari. L'esame del diritto alla prestazione complementare deve pertanto comprendere il fabbisogno vitale dell'intera famiglia se non si vuole vanificare lo scopo delle prestazioni complementari che è poi quello di evitare situazioni di indigenza. Con l'
art. 9 cpv. 5 lett. a LPC
il legislatore ha delegato al Consiglio federale il compito di definire il concetto di membri della stessa famiglia. L'Esecutivo federale vi ha dato seguito con la regolamentazione degli
art. 1 a 10
OPC-AVS/AI (JÖHL, op. cit., pag. 1686 n. 69 con riferimento all'
art. 3a cpv. 4 e 7 lett. a LPC
, nella loro versione in vigore fino al 31 dicembre 2007, di tenore sostanzialmente uguale). Sennonché nell'ordinanza manca ogni riferimento ai coniugi divorziati, questo con ogni probabilità perché con il divorzio viene a cadere l'obbligo di assistenza e di mantenimento reciproci di cui all'
art. 163 CC
che per contro perdura per tutta la durata del matrimonio, anche in caso di separazione legale (DESCHENAUX/STEINAUER/
BGE 137 V 82 S. 87
BADDELEY, Les effets du mariage, 2
a
ed. 2009, pag. 248 seg.; sull'ipotesi, de lege ferenda, di creare una norma che per il calcolo della prestazione complementare tenga in ogni caso conto, indipendentemente dallo stato civile, dell'esistenza o meno di una comunione domestica cfr. JÖHL, op. cit., pag. 1686 nota 237).
5.3
Alla luce di quanto precede, si deve dunque ritenere che se il legislatore intendeva veramente parificare le persone divorziate a quelle coniugate, non avrebbe mancato di farlo espressamente, come del resto ha già fatto in altro ambito (cfr. ad esempio l'abrogato
art. 34 cpv. 3 LAI
che prevedeva espressamente una simile equiparazione in relazione al diritto alla rendita completiva per il coniuge nell'assicurazione per l'invalidità [v. SVR 2000 IV n. 22 pag. 65, I 171/99 consid. 2b]).
5.4
È vero, come indicato nella pronuncia impugnata, che nella sentenza pubblicata in RCC 1986 pag. 143, P 8/85 il Tribunale federale delle assicurazioni, seguendo l'orientamento dell'ordinamento in materia, aveva ritenuto determinante, per il calcolo separato della prestazione complementare, non tanto il fatto della separazione (formale) dei coniugi, quanto piuttosto il cambiamento della situazione economica risultante, sicché senza una tale modifica il calcolo separato - malgrado la separazione effettiva della coppia - non si giustificava (RCC 1986 pag. 143 seg., P 8/85 consid. 1;
DTF 103 V 25
). Tuttavia questa soluzione non è trasponibile mutatis mutandis al caso di specie. W. e U. non sono solo legalmente separati, bensì divorziati, e dal momento che il loro matrimonio è stato sciolto non possono più essere ritenuti coniugi. Mentre la soluzione indicata in RCC 1986 pag. 143, P 8/85 si conciliava senz'altro con il tenore letterale del disposto legale in esame che prevede(va) espressamente la possibilità di sommare i redditi e i fabbisogni dei coniugi, lo stesso non può dirsi nel caso di specie per l'incompatibilità di una tale soluzione con il testo di legge. Ma vi è di più. Sebbene ciò non traspaia esplicitamente dalla sentenza citata, è chiaro che la ragione che aveva indotto il Tribunale federale delle assicurazioni a porre l'accento sulle circostanze economiche e non tanto sull'aspetto formale e a ritenere invariata - nella fattispecie esaminata - la situazione economica dei coniugi legalmente separati ma conviventi era fortemente influenzata dalla consapevolezza che comunque in una tale relazione perdurava l'obbligo di assistenza e di mantenimento reciproci di cui all'
art. 163 CC
. Obbligo legale che per contro, per quanto esposto in precedenza, cessa con il divorzio (cfr. pure
BGE 137 V 82 S. 88
DTF 106 V 58
consid. 2 e 3 pag. 59 seg.). In questo modo, dunque, non si poteva automaticamente concludere per una immutata situazione economica degli ex coniugi C. - e quindi per un calcolo congiunto dei loro redditi e fabbisogni - per il solo fatto che essi, benché divorziati, continua(va)no a vivere in comunione domestica. Al contrario, il cessato obbligo di assistenza e mantenimento reciproco poteva piuttosto indurre a ravvisare una modifica di tali circostanze. E per il resto, il fatto che - in concreto - gli interessati condividano l'appartamento e l'allacciamento della rete telefonica fissa non permette ancora, in assenza di accertamenti più precisi in merito alla ripartizione effettiva degli oneri prima e dopo il divorzio, di sostenere una simile ipotesi, la quale non può pertanto vincolare il Tribunale federale poiché fondata su accertamenti incompleti (v. consid. 2, non pubblicato).
5.5
Da ultimo ma non per ultimo, a destare serie perplessità sull'applicazione analogica, alle coppie divorziate che continuano a vivere in comunione domestica, della prassi elaborata in RCC 1986 pag. 143, P 8/85 si aggiunge pure l'osservazione che le direttive dell'UFAS sulle prestazioni complementari all'AVS e all'AI (DPC) - le quali, pur non avendo ovviamente valore vincolante di legge, si prefiggono comunque di esplicitare l'interpretazione attribuita da un'autorità amministrativa a determinate disposizioni legali al fine di favorire un'applicazione uniforme del diritto e di garantire la parità di trattamento (
DTF 133 V 587
consid. 6.1 pag. 591,
DTF 133 V 257
consid. 3.2 pag. 258 con riferimenti; cfr. inoltre
DTF 133 II 305
consid. 8.1 pag. 315) - stabiliscono che l'importo previsto per la copertura dei fabbisogni vitali delle persone sole (art. 10 cpv. 1 lett. a n. 1 LPC) si applica segnatamente ai concubini. Ora, non vi è di massima - fatti salvi ovviamente i casi di manifesto abuso di diritto (
art. 2 cpv. 2 CC
) in cui il divorzio costituisce il semplice pretesto formale per ottimizzare il diritto alle prestazioni delle assicurazioni sociali - serio motivo per trattare differentemente la persona celibe, che può liberamente vivere in rapporto di concubinato senza il rischio di vedersi applicare l'importo destinato alla copertura del fabbisogno generale vitale per coniugi (art. 10 cpv. 1 lett. a n. 2 LPC), da chi invece, come persona divorziata, per motivi contingenti continua a vivere in comunione domestica senza però necessariamente avere l'intenzione di fondare una convivenza a carattere esclusivo come può invece essere quella caratterizzante un concubinato (nello stesso senso va anche l'opinione del Tribunale amministrativo del Canton Lucerna, in: Luzerner Gerichts- und Verwaltungsentscheide [LGVE] 1990 vol. II n. 30
BGE 137 V 82 S. 89
pag. 196 segg.; più in generale sulla differenza tra comunione domestica e convivenza in senso stretto cfr.
DTF 134 V 369
consid. 7.1 pag. 379 seg.). È quindi verosimilmente per questo motivo che anche le DPC non equiparano più, come invece facevano espressamente in passato (CARIGIET/KOCH, Ergänzungsleistungen zur AHV/IV - Supplemento, 2000, pag. 79 nota 1999), la situazione dei coniugi separati legalmente che continuano a convivere o ritornano a convivere dopo una breve separazione a quella dei divorziati che vengono a trovarsi nella medesima situazione (cifra marginale 2032, nelle versioni in vigore prima e dopo il 2002 [v. pure CARIGIET/KOCH, op. cit., 1
a
ed. 1995, pag. 107 note 184 e 186, e 2
a
ed. 2009, pag. 126 seg.]). L'importo destinato alla copertura dei bisogni vitali delle persone sole si applica di conseguenza indistintamente alle persone celibi, vedove o divorziate (DPC, cifra marginale 2022). Spetta semmai al legislatore, se lo ritiene opportuno, modificare questa regolamentazione in presenza di una comunione domestica (cfr. JÖHL, op. cit., pag. 1686 nota 237).
5.6
Una diversa valutazione si giustificherebbe nel caso di specie unicamente se la richiesta del ricorrente configurasse gli estremi di un manifesto abuso di diritto ai sensi dell'
art. 2 cpv. 2 CC
. Si verifica in particolare un abuso di diritto qualora un istituto giuridico venga utilizzato ad un fine diverso da quello per cui è stato creato (cfr. ad esempio
DTF 122 III 321
consid. 4a; cfr. pure sentenza 4C. 348/2005 del 27 febbraio 2006 consid. 7.1). Ora, pur essendo l'abuso di diritto rilevabile d'ufficio in ogni stadio di causa, le istanze precedenti non hanno invocato né tanto meno evidenziato circostanze suscettibili di ravvisare un comportamento manifestamente abusivo del ricorrente. Sebbene la ravvicinanza temporale - peraltro nemmeno tematizzata nella pronuncia impugnata - tra la data del raggiungimento dell'età pensionabile della ex moglie, del divorzio e della successiva domanda di prestazioni complementari alla Cassa di compensazione del Canton X. potesse dare adito a qualche perplessità, la Corte cantonale non ha menzionato elementi di fatto che facciano pensare che gli interessati avrebbero formalmente posto termine al matrimonio al solo scopo di ottenere maggiori prestazioni delle assicurazioni sociali, evitando in particolare il plafonamento delle rendite di vecchiaia di cui all'
art. 35 LAVS
e beneficiando del doppio computo del fabbisogno generale vitale per persone sole. Al contrario, il ricorrente ha esposto - in maniera verosimile - i motivi che hanno condotto al fallimento del matrimonio nonché le circostanze (valetudinarie e finanziarie) che hanno determinato la scelta di
BGE 137 V 82 S. 90
mantenere la comunione domestica, senza che queste affermazioni siano state smentite dagli accertamenti operati dalle istanze precedenti.
5.7
Ne discende che la Corte cantonale ha a torto sommato i redditi computabili e le spese riconosciute degli ex coniugi C. per determinare il diritto alla prestazione complementare del ricorrente. Così facendo, i primi giudici hanno commesso una violazione del diritto federale che occorre correggere. La causa è pertanto rinviata all'amministrazione affinché proceda a un nuovo calcolo delle spese riconosciute e dei redditi computabili del solo ricorrente e ne determini nuovamente il diritto alla prestazione complementare. | null | nan | it | 2,011 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
d1ac2f08-9cf6-4d98-88df-0a35eb6615c2 | Urteilskopf
104 V 209
52. Auszug aus dem Urteil vom 4. Dezember 1978 i.S. Stähli gegen Schweizerische Unfallversicherungsanstalt und Versicherungsgericht des Kantons Bern | Regeste
Art. 71 und 121 Abs. 1 KUVG
,
Art. 12 und 13 VwVG
.
- Umfang der Pflicht zur Beweisabnahme.
- Bedeutung der von der SUVA während des Administrativverfahrens eingeholten Gutachten für den Sozialversicherungsprozess. | Sachverhalt
ab Seite 209
BGE 104 V 209 S. 209
A.-
Walter Stähli ... wurde am 2. März 1975 bei einer Frontalkollision auf der Hauptstrasse Lausanne-Bern in Faoug VD verletzt ...
Die Schweizerische Unfallversicherungsanstalt (SUVA), bei der Walter Stähli auch für Nichtbetriebsunfall versichert war, erbrachte die vollen gesetzlichen Leistungen. Mit dem Hinweis, dass unfallfremde, vorbestehende Faktoren vorliegen, kürzte die SUVA ihre Geldleistungen mit Ausnahme der Heilungskosten in ihrer Verfügung vom 4. Mai 1976 im Sinne von
Art. 91 KUVG
um 50% rückwirkend auf den 5. Februar 1976. Am 15. Juni 1976 verfügte sie die Einstellung der Versicherungsleistungen auf den 14. Mai 1976, weil keine Unfallfolgen mehr feststellbar seien.
B.-
Gegen diese Verfügungen liess Walter Stähli beim Versicherungsgericht des Kantons Bern Beschwerde einreichen und
BGE 104 V 209 S. 210
beantragen, die SUVA habe ihm die gesetzlichen Leistungen (Heilungskosten, Krankengeld, Invalidenrente) zu erbringen. Er leide nach wie vor an unfallbedingten Beschwerden und sei nicht mehr in der Lage, normal seiner Erwerbstätigkeit nachzugehen. Weil die bei den Akten liegenden Arztberichte sich widersprächen, sei Dr. med. B. als Zeuge einzuvernehmen und eine chirurgisch-neurologische Fachexpertise einzuholen. Mit Zwischenverfügung vom 15. Juni 1977 wies der Präsident der I. Kammer des Versicherungsgerichts die Beweisanträge ab. - In seinem Entscheid vom 22. November 1977 führte das Versicherungsgericht aus, die Berichte des Dr. med. H. seien schlüssig und stimmten mit der Beurteilung des Kreisarztes der SUVA überein. Ein Widerspruch mit der Auffassung des Hausarztes Dr. S. bestehe nicht, weil Dr. S. seinen Patienten selber an den Spezialisten Dr. H. zur Begutachtung überwiesen habe und sich sein objektiver Befund auf eine Nackensperre beschränkt habe, die von Dr. H. manuell gelöst worden sei. Bei Würdigung aller Umstände habe die SUVA ihre Leistungen zu Recht gekürzt und dann eingestellt, so dass die Beschwerde abzuweisen sei.
C.-
Walter Stähli lässt Verwaltungsgerichtsbeschwerde führen und sein erstinstanzliches Rechtsbegehren erneuern. Durch die Nichtabnahme der beantragten Beweise habe die Vorinstanz Recht verweigert. Dr. med. H. sei als behandelnder Arzt befangen, seine Berichte über den Erfolg eigener Massnahmen seien zum Beweis untauglich. Im Gegensatz zu Dr. H. erkläre Dr. B., der Walter Stähli seit Mai 1976 behandle, dass es sich bei den Veränderungen an der Halswirbelsäule um typische Spätfolgen von Schleuderverletzungen handle. Nur ein gerichtliches Gutachten könne diesen Widerspruch beseitigen.
Die SUVA schliesst auf Abweisung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
Der Beschwerdeführer wirft der Vorinstanz Rechtsverweigerung vor, weil sie die von ihm beantragten Beweise, d.h. die Zeugeneinvernahme des Dr. med. B. sowie die Einholung eines Obergutachtens, nicht abgenommen habe.
a) Der aus
Art. 4 BV
fliessende Anspruch auf rechtliches Gehör umfasst auch die Pflicht zur Beweisabnahme. Beweise sind im Rahmen dieses verfassungsmässigen Anspruchs indessen
BGE 104 V 209 S. 211
nur über jene Tatsachen abzunehmen, die für die Entscheidung der Streitsache erheblich sind. Auf ein beantragtes Beweismittel kann verzichtet werden, wenn der Sachverhalt, den eine Partei beweisen will, nicht rechtserheblich ist, wenn bereits Feststehendes bewiesen werden soll, wenn von vorneherein gewiss ist, dass der angebotene Beweis keine Abklärungen herbeizuführen vermag, oder wenn die Behörde den Sachverhalt gestützt auf ihre eigene Sachkenntnis bzw. jene ihrer fachkundigen Beamten zu würdigen vermag (IMBODEN/RHINOW, Verwaltungsrechtsprechung, 5. Aufl., Band 1, Nr. 82 B IV, S. 509 ff.; nicht veröffentlichtes Urteil Siegrist vom 5. Juni 1978). An diesem Grundsatz hat sich die Auslegung der entsprechenden gesetzlichen Bestimmungen über die Beweisabnahme im Einzelfall zu orientieren.
b) Gemäss
Art. 121 Abs. 1 KUVG
haben die Kantone für die Erledigung von SUVA-Streitigkeiten einen möglichst einfachen und raschen Prozessweg vorzusehen und dafür zu sorgen, dass einer bedürftigen Partei auf ihr Verlangen die unentgeltliche Rechtspflege gewährt wird. In diesem Rahmen richtet sich das Verfahren vor den kantonalen Versicherungsgerichten nach kantonalem Recht. Bei der Anwendung des kantonalen Prozessrechts ist aber den bundesrechtlichen Vorschriften und den allgemeinen Grundsätzen des Sozialversicherungsprozesses Rechnung zu tragen. Neben den unter lit. a dargelegten Regeln muss der erstinstanzliche Richter insbesondere die Untersuchungsmaxime beachten (GYGI, Verwaltungsrechtspflege und Verwaltungsverfahren im Bund, 2. Aufl., S. 61). Die Untersuchungsmaxime verlangt, dass der Sozialversicherungsrichter - unter Vorbehalt der Mitwirkungspflicht der Parteien (vgl. dazu:
BGE 97 V 173
, nicht veröffentlichte Urteile Robyr vom 31. März 1977 sowie Stöckli vom 18. Mai 1973) - den Sachverhalt von Amtes wegen, also aus eigener Initiative, feststellt. Er hat nach Recht und Billigkeit zu bestimmen, was alles abzuklären ist; er muss für die Beschaffung der notwendigen Beweise sorgen und hernach das Ergebnis des Beweisverfahrens pflichtgemäss würdigen (
BGE 96 V 95
,
BGE 100 V 62
Erw. 4).
c) Nach ständiger Rechtsprechung handelt die SUVA nicht als Partei, solange sie in einem konkreten Fall noch nicht Prozesspartei ist, sondern als dem Gesetzesvollzug dienendes Verwaltungsorgan (nicht veröffentlichte Urteile Zwahlen vom 24. Mai 1976 und Hartmann vom 10. Mai 1963). Als autonome
BGE 104 V 209 S. 212
eidgenössische Anstalt im Sinne von
Art. 1 Abs. 2 lit. c VwVG
hat sie den Sachverhalt nach Massgabe der
Art. 12 ff. VwVG
und
Art. 71 KUVG
festzustellen. Aus diesem Grunde darf die SUVA im Interesse einer objektiven Schadenserledigung nötigenfalls nicht davon absehen, im Administrativverfahren auch Gutachten anstaltsfremder Ärzte einzuholen. Werden solche Expertisen der Anstalt vor ihrem Entscheid über den fraglichen Leistungsanspruch durch anerkannte Spezialärzte auf Grund eingehender Beobachtungen und Untersuchungen sowie nach Einsicht in die Akten erstattet und gelangen diese Ärzte bei der Erörterung der Befunde zu schlüssigen Ergebnissen, so darf auch der Richter in seiner Beweiswürdigung solchen Gutachten volle Beweiskraft zuerkennen, solange nicht konkrete Indizien gegen die Zuverlässigkeit der Expertise sprechen (nicht veröffentlichte Urteile Zwahlen vom 24. Mai 1976 und Del Zoppo vom 24. März 1970; MAURER, Recht und Praxis der Schweizerischen obligatorischen Unfallversicherung, 2. Aufl., S. 178 Fussnote 32). Die Tatsache allein, dass ein von der Anstalt beigezogener Spezialarzt auch an der Behandlung des Versicherten mitgewirkt hat, bildet an sich noch kein Indiz für die Unglaubwürdigkeit eines Gutachtens.
d) Im Lichte dieser Grundsätze kann von einer Rechtsverweigerung der Vorinstanz keine Rede sein; es ist nicht zu beanstanden, dass sie ihre Beurteilung auf die Arztberichte des Dr. H. stützte. Dr. H., dessen Qualifikation und Kompetenz nicht bestritten werden, hat den Beschwerdeführer schon im Jahre 1959 begutachtet und im Zusammenhang mit dem Unfall vom März 1975 mehrmals untersucht. Für seine Beurteilung standen ihm Berichte des Röntgeninstituts des Prof. Dr. Z. vom Dezember 1959, des Röntgeninstituts Dr. R. vom 14. Mai 1975, der Bäderheilstätte "zum Schiff" vom 1. August 1975, des Neurologen Dr. E. vom 22. August 1975, des Dr. S. vom 12. Juni, 17. Juni, 19. August, 26. September und 3. Dezember 1975 sowie die gesamten SUVA-Akten zur Verfügung. Der Vorinstanz durften die Berichte des Dr. H. umso eher schlüssig erscheinen, als der Kreisarzt der SUVA auf Grund einer eigenen Untersuchung im einlässlichen, zusammenfassenden Bericht vom 14. Mai 1976 zum gleichen Ergebnis gelangte. Bei dieser Beweislage handelte die Vorinstanz im Rahmen ihres pflichtgemässen Ermessens, wenn sie die Notwendigkeit weiterer Beweismassnahmen verneinte. | null | nan | de | 1,978 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
d1ac693b-c5b2-4d3a-9f68-b37655efbeea | Urteilskopf
107 V 127
27. Auszug aus dem Urteil vom 10. April 1981 i.S. Bregenzer gegen Ausgleichskasse des Kantons Zürich und AHV-Rekurskommission des Kantons Zürich | Regeste
Art. 85 Abs. 2 lit. f AHVG
.
Parteientschädigung bei Abschreibung des Prozesses wegen Gegenstandslosigkeit (Präzisierung der Rechtsprechung). | Erwägungen
ab Seite 127
BGE 107 V 127 S. 127
Aus den Erwägungen:
Das Eidg. Versicherungsgericht hat den
Art. 85 Abs. 2 lit. f AHVG
in dem Sinne ausgelegt, dass die Beschwerdeinstanz gegebenenfalls auch bei Gegenstandslosigkeit der Beschwerde eine Parteientschädigung zusprechen kann (
BGE 106 V 126
). Diese Auslegung ist nicht so zu verstehen, dass der kantonale Richter nach Belieben eine Parteientschädigung zusprechen kann, wenn er einen Prozess wegen Gegenstandslosigkeit abschreibt. Vielmehr besteht auch hier ein Rechtsanspruch auf Parteientschädigung, wenn die prozessuale Situation die Zusprechung einer solchen Entschädigung rechtfertigt. | null | nan | de | 1,981 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
d1ad3881-347a-44fc-97bc-64b9332b99b2 | Urteilskopf
98 V 227
57. Urteil vom 10. November 1972 i.S. Hirschi gegen Schweizerische Unfallversicherungsanstalt und Versicherungsgericht des Kantons St. Gallen | Regeste
Art. 98 Abs. 3 KUVG
.
Kürzung der Leistungen wegen grobfahrlässiger Herbeiführung des Unfalls. Unangemessenheit der Sanktion verneint. | Sachverhalt
ab Seite 227
BGE 98 V 227 S. 227
A.-
Als der bei der Schweizerischen Unfallversicherungsanstalt (SUVA) versicherte Hans Hirschi am 6. Mai 1970 um ca. 1 Uhr nachts nach Hause kam und keine Schlüssel bei sich
BGE 98 V 227 S. 228
hatte, versuchte er, mit einem verlängerten Schritt über den rund 140 cm breiten Kellertreppenabgang ins Schlafzimmer seiner im Erdgeschoss liegenden Wohnung zu gelangen. Da das Schlafzimmerfenster geschlossen war, konnte er sich nirgends festhalten, so dass er etwa 260 cm in die Tiefe stürzte. Dabei zog er sich eine Fraktur des linken Schienbeins zu. Die SUVA betrachtete die Handlung des Versicherten als Wagnis und verweigerte ihm jegliche Leistung (Verfügung vom 16. Juli 1970).
B.-
Beschwerdeweise liess Hans Hirschi beantragen, die SUVA sei zu verpflichten, ihm die gesetzlichen Leistungen auszurichten.
Das Versicherungsgericht des Kantons St. Gallen war der Auffassung, dass das Vorgehen Hans Hirschis nicht als Wagnis, sondern als grobfahrlässig bezeichnet werden müsse. Grundsätzlich habe deshalb die SUVA Leistungen zu erbringen, diese jedoch gemäss
Art. 98 Abs. 3 KUVG
um 50% zu kürzen. In diesem Sinn entschied die Vorinstanz am 1. Oktober 1971.
C.-
Hans Hirschi lässt Verwaltungsgerichtsbeschwerde erheben mit den Anträgen, es seien ihm die vollen, eventuell bloss um 25% gekürzten Versicherungsleistungen zuzusprechen...
Die SUVA trägt auf Abweisung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde an.
Erwägungen
Das Eidg. Versicherungsgericht zieht in Erwägung:
1.
Mit einlässlicher Begründung hat das kantonale Versicherungsgericht dargelegt, dass das Vorgehen des Beschwerdeführers in der Nacht vom 6./7. Mai 1970 entgegen der Auffassung der SUVA keinen Wagnischarakter hatte. Die vorinstanzlichen Ausführungen sind zutreffend. Mit Recht stellt die SUVA diesbezüglich keinen Antrag.
2.
Hat der Versicherte den Unfall grobfahrlässig herbeigeführt, so werden die Leistungen der SUVA in einem dem Grad des Verschuldens entsprechenden Verhältnis gekürzt (
Art. 98 Abs. 3 KUVG
). Grobfahrlässig handelt nach der Rechtsprechung, werjene elementarsten Vorsichtsgebote unbeachtet lässt, die jeder verständige Mensch in der gleichen Lage und unter den gleichen Umständen befolgt hätte, um eine nach
BGE 98 V 227 S. 229
dem natürlichen Lauf der Dinge voraussehbare Schädigung zu vermeiden (
BGE 97 V 212
und 95 II 340, EVGE 1966 S. 96 sowie die nicht publizierten Urteile vom 7. Dezember 1971 i.S. Plattner, vom 13. März 1972 i.S. Studer und vom 15. Mai 1972 i.S. Rinaldi).
Als der Beschwerdeführer mit einem verlängerten Schritt zum Schlafzimmerfenster hinüberwechseln wollte, musste er eine offene, bei seinem Standort rund 2,6 m tiefe und 1,4 m breite Kellertreppe sowie zusätzlich eine Höhendifferenz von 30 cm überwinden. Wegen der herrschenden Dunkelheit und in Ermangelung einer Lichtquelle konnte der Beschwerdeführer nicht feststellen, ob das Schlafzimmerfenster wie üblich offen stehe und es ihm möglich wäre, ohne erhebliches Risiko mit einem verlängerten Schritt auf das Fenstersims zu gelangen, wie üblich die Fensterflügel aufzustossen und sich am Rahmen oder am innern Fensterbrett festzuhalten. Er setzte einfach voraus, dass die Fensterflügel sich auch diesmal ohne weiteres würden öffnen lassen. Anderseits musste er aber damit rechnen, dass er auf den fast 3 m tiefen Betonboden stürzen würde, wenn es ihm nicht gelänge, sich am Fensterrahmen oder am innern Fensterbrett festzuhalten. Bei diesen Gegebenheiten drängte es sich dem Beschwerdeführer auf, an sein Vorhaben nur mit besonderer Vorsicht heranzugehen: er hätte sich - wie die Vorinstanz ausführt - beispielsweise mittels einer Stange der effektiven Stellung des Fensters vergewissern sollen, bevor er den Sprung ausführte. Indem er dies unterliess, missachtete er jene elementarsten Vorsichtsgebote, die ein verständiger Mensch unter den gleichen Umständen und in derselben Lage befolgt hätte.
Deshalb muss das Verhalten des Beschwerdeführers als grobfahrlässig qualifiziert werden, was gemäss
Art. 98 Abs. 3 KUVG
die Kürzung der Versicherungsleistungen zur Folge hat. Von einer Bundesrechtsverletzung im Sinne des
Art. 104 lit. a OG
durch den kantonalen Richter kann somit keine Rede sein.
3.
Die Vorinstanz ist der Auffassung, das Verschulden des Beschwerdeführers rechtfertige eine Herabsetzung der Versicherungsleistungen um 50%. Hans Hirschi seinerseits verlangt eventualiter die Reduktion der Kürzung auf 25%. Er rügt damit im Sinne von
Art. 132 lit. a OG
die Unangemessenheit des angefochtenen Entscheides.
BGE 98 V 227 S. 230
Mag der Kürzungssatz von 50% auch an der obern Grenze liegen, so erscheint er angesichts der tatbeständlichen Gegebenheiten und des erheblichen Verschuldens objektiv doch vertretbar. Die Rüge der Unangemessenheit ist deshalb unbegrün det...
Dispositiv
Demnach erkennt das Eidg. Versicherungsgericht: Die Verwaltungsgerichtsbeschwerde wird abgewiesen. | null | nan | de | 1,972 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
d1b22abd-c29f-40d8-b34d-8270ccf53f6f | Urteilskopf
98 V 100
28. Urteil vom 18. April 1972 i.S. Bundesamt für Sozialversicherung gegen Glaser und Rekurskommission für die Ausgleichskassen Basel-Stadt | Regeste
Revision der Rente und der Hilflosenentschädigung.
- Bedeutung des Ausdruckes "für die Zukunft" in
Art. 41 IVG
.
- Keine Anwendung des
Art. 48 Abs. 2 IVG
im Revisionsfalle. | Sachverhalt
ab Seite 101
BGE 98 V 100 S. 101
A.-
Der am 18. Oktober 1946 geborene, mongoloide Theodor Glaser bezieht seit 4. November 1966 eine ganze Invalidenrente und die einer Hilflosigkeit leichteren Grades entsprechende Hilflosenentschädigung. Gestützt auf einen Bericht der Pro Infirmis vom 23. März 1971 wurde die Hilflosenentschädigung unter Annahme einer Hilflosigkeit schweren Grades erhöht und gemäss
Art. 48 Abs. 2 IVG
rückwirkend ab 1. März 1970 ausgerichtet. Die entsprechende Kassenverfügung datiert vom 21. Juli 1971.
B.-
Die Mutter des Versicherten verlangte beschwerdeweise Nachzahlung der maximalen Hilflosenentschädigung seit Beginn des Anspruches, also ab 1960, und nicht erst ab 1. März 1970, da ihr Sohn von jeher in schwerem Grade hilflos gewesen sei.
Die zuständige Invalidenversicherungs-Kommission beantragte unter Hinweis auf die rechtskräftige Verfügung vom 25. Januar 1967, wonach eine Hilflosenentschädigung von einem Drittel ab November 1966 zugesprochen worden sei, Abweisung des Rekurses. Die sinngemässe Anwendung von
Art. 48 Abs. 2 IVG
stelle "das äusserste Entgegenkommen" dar.
Die kantonale Rekurskommission Basel-Stadt wies die Beschwerde in Bestätigung der angefochtenen Kassenverfügung mit Entscheid vom 4. November 1971 ab.
C.-
Das Bundesamt für Sozialversicherung führt gegen diesen Rekursentscheid Verwaltungsgerichtsbeschwerde und beantragt: Aufhebung des angefochtenen Entscheides und der Kassenverfügung; Zusprechungder einer Hilflosigkeit schweren Grades entsprechenden Entschädigung ab 1. März 1971; Rückweisung der Akten an die Invalidenversicherungs-Kommission zur Überprüfung der Verfügung vom 25. Januar 1967 "unter dem Blickwinkel der Wiedererwägung". Auf die Beschwerdebegründung ist in den nachfolgenden Erwägungen zurückzukommen.
Weder die Vorinstanz noch der Beschwerdegegner haben sich zur bundesamtlichen Beschwerde vernehmen lassen.
BGE 98 V 100 S. 102
Erwägungen
Das Eidg. Versicherungsgericht zieht in Erwägung:
1.
... (Kognition).
2.
Die Hilflosigkeit schweren Grades und der Anspruch des Beschwerdegegners auf die entsprechende Entschädigung sind zu Recht unbestritten. Zu entscheiden ist ausschliesslich die Frage des Anspruchsbeginns. Hiefür ist vorerst in tatsächlicher Hinsicht festzuhalten, dassdieder Hilflosigkeit schweren Grades entsprechende Entschädigung im vorliegenden Fall eine solche für Hilflosigkeit leichteren Grades abzulösen hat. Der materielle Rechtsgrund der höheren Leistung liegt demnach in der Zunahme der schon bisher vorhanden gewesenen Hilflosigkeit. Formell betrachtet, handelt es sich mithin um eine Revision der bisher gemäss einer Hilflosigkeit leichteren Grades ausgerichteten Hilflosenentschädigung. Laut
Art. 38 Abs. 3 IVV
finden die Art. 86 bis 88 der Vollziehungsverordnung Anwendung, wenn sich der Grad der Hilflosigkeit in erheblicher Weise ändert. Die genannten Bestimmungen regeln die Revision der Renten in Ausführung des
Art. 41 IVG
und gelten sinngemäss für die Revision der Hilflosenentschädigung (
Art. 86 IVV
).
3.
a) Ändert sich der Grad der Invalidität des Rentenbezügers in einer für den Anspruch erheblichen Weise, so ist die Rente gemäss
Art. 41 IVG
für die Zukunft entsprechend zu erhöhen, herabzusetzen oder aufzuheben. Die Revision erfolgt von Amtes wegen oder auf Gesuch hin (
Art. 87 Abs. 1 IVV
). Ergibt das Revisionsverfahren eine erhebliche Änderung des Hilflosigkeitsgrades, so ist die Entschädigung in der Regel, das heisst im Falle der Revision von Amtes wegen, vom Erlass der Verfügung an neu festzusetzen (
Art. 88bis Abs. 1 IVV
). Wird dagegen einemRevisionsgesuch entsprochen, so ist die Hilflosenentschädigung gemäss
Art. 88bis Abs. 3 IVV
von dessen Einreichung an zu erhöhen. Diese Bestimmungen umschreiben sachgerecht die Wendung "für die Zukunft" im erwähnten Gesetzesartikel und wurden deshalb in der Praxis stets als gesetzeskonform betrachtet.
b) Unter dem Titel "Verschiedene Bestimmungen" sieht
Art. 48 Abs. 2 IVG
die Nachzahlung von Leistungen für die 12 der Anmeldung vorangehenden Monate vor, wenn sich ein Versicherter mehr als 12 Monate nach Entstehung des Anspruches anmeldet. Diese Bestimmung haben die verfügende Verwaltung und die Vorinstanz auch im Rahmen des vorliegenden
BGE 98 V 100 S. 103
Revisionsverfahrens angewendet; dagegen richtet sich die Verwaltungsgerichtsbeschwerde des Bundesamtes für Sozialversicherung.
4.
Schon die Systematik des Gesetzes spricht gegen die Anwendung des
Art. 48 IVG
innerhalb eines Revisionsverfahrens. Während die Revision in der letzten Ziffer unter dem Titel "Die Renten" geregelt ist, steht Art. 48 mit dem Marginale "Nachzahlung von Leistungen" im Titel "Verschiedene Bestimmungen". Auch in der Vollziehungs-Verordnung sind die beiden Gesetzesbestimmungen gesondert unter verschiedenen Titeln ausgestaltet worden. Mithin sind also die Wirkungen der erstmaligen Anmeldung für den Bezug einer bestimmten Leistung der Invalidenversicherung und jene der Revision einer laufenden Geldleistung wegen Änderung in den tatsächlichen Verhältnissen verschieden geregelt.
Art. 48 Abs. 2 IVG
statuiert mit der auf 12 Monate befristeten Rückwirkung des Leistungsanspruchs eine Ausnahme vom Grundsatz, dass Rechtsunkenntnis bzw. Unkenntnis eines anspruchsbegründenden Sachverhaltes schadet; diese Ausnahme ist im gesetzlichen Rahmen, beschränkt auf den Fall verspäteter Anmeldung nach erstmaliger Anspruchsentstehung, gerechtfertigt. Wie das Bundesamt zutreffend bemerkt, hat dieser Gedanke im Revisionsfalle wegen der Hinweise in der Leistungsverfügung nicht mehr die gleiche Berechtigung. Jedenfalls aber entspricht die unterschiedliche Behandlung des erstmaligen Leistungsbezügers gegenüber dem Revisionsgesuchsteller der geltenden rechtlichen Ordnung; denn
Art. 41 IVG
lässt die Rentenrevision ausdrücklichnur"fürdieZukunft" zu, alsogemäss
Art. 88bis Abs. 1 und 3 IVV
sinnvollerweise nur vom Datum der Rentenverfügung (Revision von Amtes wegen) oder von der Gesuchseinreichung an (Gutheissung eines Revisionsgesuches). Wären die Leistungen im Revisionsfalle generell mit Wirkung von der erheblichen Gradänderung hinweg zu ändern und müsste für die Bestimmung des genauen Zeitpunktes Art. 48 Abs. 2 herangezogen werden, so verlöredie Wendung "für die Zukunft" (
Art. 41 IVG
) ihren Sinn, weil es sich von selbst versteht, dass eine Revision frühestens von der Gradänderung weg in die Zukunft wirksam werden kann; überdies wäre
Art. 88bis IVV
weitgehend gegenstandslos.
Nach dem Gesagten ist die Verwaltungsgerichtsbeschwerde des Bundesamtes in Aufhebung des kantonalen Rekursentscheides
BGE 98 V 100 S. 104
und der angefochtenen Kassenverfügung gutzuheissen; gestützt auf das durchgeführte Revisionsverfahren steht dem Beschwerdegegner gemäss
Art. 88bis Abs. 3 IVV
die einer Hilflosigkeit schweren Grades entsprechende Hilflosenentschädigung erst ab März 1971 zu.
5.
Wie in der Beschwerdebegründung ausgeführt wird, ist es eine andere Frage, ob die Verfügung vom 25. Januar 1967 richtig ist.
In rechtlicher Hinsicht ist in diesem Zusammenhang folgendes zu beachten: Die dargelegte Ordnung über die Revision von Renten bzw. Hilflosenentschädigungen wird ergänzt durch den Grundsatz, dass die Verwaltung befugt ist, eine (formell) rechtskräftige Verfügung jederzeit von Amtes wegen abzuändern, wenn sie sich als zweifellos unrichtig erweist und ihre Berichtigung von erheblicher Bedeutung ist. Da dieser Grundsatz den Revisionsbestimmungen vorgeht, kann eine Rente allenfalls unter diesem Gesichtspunkt erhöht, herabgesetzt oder gar aufgehoben werden, auch wenn die Voraussetzungen einer Revision gemäss
Art. 41 IVG
fehlen (EVGE 1966 S. 56/57, 1963 S. 84 = ZAK 1963 S. 295, 1964 S. 433, nicht veröffentlichte Urteile i.S. Egloff vom 19. Januar 1972, i.S. Niederberger vom 10. Dezember 1971 und i.S. Briw vom 11. November 1971).
In tatsächlicher Hinsicht ist dem Bundesamt darin beizupflichten, dass auf Grund der heutigen Aktenlage nicht beurteilt werden kann, ob die Voraussetzungen für das Zurückkommen auf die fragliche Verfügung von 1967 gemäss der dargelegten Rechtsprechung gegeben wären. Die Invalidenversicherungs-Kommission wird deshalb vorerst ergänzende Abklärungen durchführen und gegebenenfalls neu beschliessen.
Dispositiv
Demnach erkennt das Eidg. Versicherungsgericht: I. Die Verwaltungsgerichtsbeschwerde wird gutgeheissen.
II. Es wird festgestellt, dass der Beschwerdegegner ab 1. März 1971 Anspruch auf die einer Hilflosigkeit schweren Grades entsprechende Hilflosenentschädigung hat. | null | nan | de | 1,972 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
d1b37ad3-5301-45de-b7d6-44b57c1744aa | Urteilskopf
125 I 203
20. Estratto della sentenza 23 dicembre 1998 della II Corte di diritto pubblico nella causa Consorzio T2000 c. Tribunale amministrativo del Cantone Ticino, Consorzio raggruppamento terreni del Comune di Sala Capriasca e litisconsorti (ricorso di diritto pubblico) | Regeste
Art. 12 Abs. 1 lit. b IVoeB
; § 7, 14, 33 der Vergaberichtlinien zur IVoeB; öffentliche Ausschreibungen, selektives Verfahren; Anfechtung der für die Qualifikationsphase massgeblichen Regeln und Kriterien.
Im Rahmen des selektiven Verfahrens stellen diejenigen Dokumente, worin der Auftraggeber Regeln und Kriterien über die Qualifikation der Bewerber aufstellt, Ausschreibungsunterlagen im Sinne von § 14 der Vergaberichtlinien zur IVoeB dar und sind insofern Bestandteil der Ausschreibung. Aus diesem Grund muss der Inhalt solcher Dokumente in den gleichen Formen und innert der gleichen Fristen angefochten werden, wie sie für die Anfechtung der Ausschreibung selber gelten (E. 3a). | Sachverhalt
ab Seite 204
BGE 125 I 203 S. 204
A.-
Il 16 gennaio 1998, la Delegazione del Consorzio raggruppamento terreni di Sala Capriasca ha aperto, mediante la pubblicazione del bando di concorso sul Foglio ufficiale del Cantone Ticino, la procedura di selezione (prequalifica) per l'esecuzione dei lavori geometrici, la progettazione di dettaglio e la direzione dei lavori delle opere di raggruppamento terreni di quel Comune. Oltre alle indicazioni circa il committente, il genere di procedura, l'oggetto del concorso, i requisiti di partecipazione, il periodo d'esecuzione dei lavori e il termine entro il quale presentare le candidature, il bando specificava che i formulari per prendere parte alla fase di prequalifica erano disponibili presso il Dipartimento delle finanze e dell' economia del Cantone Ticino, Sezione delle bonifiche fondiarie e del catasto, autorità pure competente per il rilascio di ogni altra informazione concernente il concorso. La suddetta pubblicazione faceva inoltre riferimento alla facoltà di ricorrere entro 10 giorni al Tribunale cantonale amministrativo contro le decisioni rese dal committente.
Ai vari interessati che ne hanno fatto richiesta, la predetta autorità cantonale ha quindi inviato i formulari di prequalifica, comprendenti l'elenco dei criteri di selezione, la tabella dei relativi punteggi, un formulario denominato «indicazioni di carattere finanziario» (da sottoscrivere da parte dei concorrenti) nonché uno scritto accompagnatorio, datato 16 gennaio 1998, dove veniva precisato che soltanto i primi cinque classificati della gara di prequalifica avrebbero potuto presentare un'offerta.
BGE 125 I 203 S. 205
B.-
Nei termini previsti dal bando di concorso sono pervenute alla Sezione delle bonifiche fondiarie e del catasto otto candidature, che la Delegazione del Consorzio raggruppamento terreni di Sala Capriasca ha provveduto a valutare. Il 25 marzo 1998 è stato reso noto ai singoli candidati l'esito della procedura di prequalifica con l'indicazione dei rimedi di diritto esperibili contro la graduatoria dei candidati allestita dalla committente e con la precisazione che soltanto i primi cinque classificati erano ammessi alla successiva fase del concorso. Il Consorzio T2000 era stato inserito in detta classifica al 7o rango.
Agendo separatamente, tre candidati, tra cui il Consorzio T2000, hanno impugnato tale atto davanti al Tribunale amministrativo del Cantone Ticino, il quale, con unico giudizio emanato il 18 giugno 1998, ha respinto i gravami.
C.-
Il 20 agosto 1998 il Consorzio T2000 ha introdotto dinanzi al Tribunale federale un ricorso di diritto pubblico con il quale chiede l'annullamento della citata sentenza cantonale. Censura, sotto più punti di vista, la violazione dell'
art. 4 Cost.
Il Tribunale federale ha respinto il ricorso, nella misura in cui ha ritenuto che il medesimo fosse ricevibile.
Erwägungen
Dai considerandi:
3.
a) L'annuncio pubblicato sul Foglio ufficiale del 16 gennaio 1998 indicava chiaramente che quella aperta dal Consorzio raggruppamento terreni di Sala Capriasca era una procedura di concorso selettiva, retta dal punto di vista normativo dalle disposizioni del Concordato intercantonale sugli appalti pubblici. Tutti gli interessati erano dunque stati invitati in quell'occasione a richiedere alla Sezione delle bonifiche fondiarie e del catasto i formulari per poter partecipare alla gara di prequalifica. Tali documenti, ricevuti anche dal ricorrente, specificavano a chiare lettere i vari criteri di selezione e, per ciascuno di essi, il relativo punteggio massimo attribuibile. A questi scritti era inoltre stata allegata una lettera accompagnatoria nella quale si precisava come soltanto i primi cinque classificati avrebbero in seguito potuto presentare delle offerte. Secondo quanto previsto dall'
art. 12 lett. b del
Concordato intercantonale sugli appalti pubblici, del 25 novembre 1994 (CIAP; RS 172.056.4) e dal § 7 cpv. 3 delle direttive d'esecuzione dell'accordo intercantonale sugli appalti pubblici, del 25 novembre 1994 delle direttive d'esecuzione del CIAP - applicabili nel Cantone Ticino in virtù del decreto esecutivo d'approvazione delle medesime, del 6 novembre
BGE 125 I 203 S. 206
1996 - la procedura di concorso selettiva si caratterizza per il fatto che il committente procede per l'appunto ad una selezione, secondo criteri di idoneità, dei vari soggetti che hanno espresso la volontà di partecipare ad un determinato concorso, stabilendo già dall'inizio, se le circostanze lo giustificano, il numero di coloro che potranno poi effettivamente inoltrare un'offerta (cfr. sulla procedura di concorso selettiva: GALLI/LEHMANN/RECHSTEINER, Das öffentliche Beschaffungswesen in der Schweiz, Zurigo 1996, pag. 48 e segg.). In un simile contesto, l'insieme degli scritti distribuiti dalla Sezione delle bonifiche fondiarie e del catasto ai vari interessati con la designazione di «formulari di prequalifica» rappresentavano, con ogni evidenza, dei cosiddetti documenti di concorso ai sensi del § 14 delle direttive d'esecuzione del CIAP, e in quanto tali, andavano considerati come parte integrante del bando. Visto il contenuto dei medesimi e il chiaro tenore delle citate direttive d'esecuzione, un simile fatto non poteva in buona fede sfuggire alla comprensione del ricorrente.
Ora, il bando di concorso costituisce, a non averne dubbio, una decisione suscettibile d'essere impugnata tramite ricorso (cfr. par. 33 lett. b delle direttive d'esecuzione del CIAP; GALLI/LEHMANN/RECHSTEINER, op.cit., pag. 160 e 161). Per questa ragione, eventuali censure contro le condizioni stabilite dal bando stesso o dai documenti di concorso ad esso allegati vanno di principio sollevate senza indugio, già al momento in cui le medesime sono rese note ai vari interessati. Nel caso di specie, il ricorrente aveva dunque l'obbligo di manifestare tempestivamente il suo dissenso nei confronti delle regole di gara contemplate dalla documentazione annessa al bando, impugnando le stesse nel termine di dieci giorni dalla ricezione degli atti di prequalifica inviatigli dalla Sezione delle bonifiche fondiarie. Il bando di gara prevedeva d'altra parte in modo esplicito la facoltà di aggravarsi contro il medesimo con un ricorso davanti al Tribunale cantonale amministrativo entro il citato termine. Tralasciando di utilizzare un simile rimedio di diritto, il ricorrente ha quindi accettato per atti concludenti le condizioni di gara stabilite dal bando e dai relativi documenti di concorso. Oltretutto, contrariamente a quanto sostenuto nel gravame, la chiara e precisa indicazione nei formulari di prequalifica dei singoli criteri di scelta e dei relativi punteggi massimi assegnabili bastava da sola a fare in modo che anch'esso, alla stessa stregua di ogni altro candidato, fosse in grado di comprendere sin dall'inizio i fattori che sarebbero poi stati presi in considerazione dal committente per selezionare i soggetti da ammettere
BGE 125 I 203 S. 207
alla successiva fase del procedimento, nonché la differente importanza attribuita a ciascuno dei vari parametri di valutazione prescelti. In questo senso non appare sostenibile la tesi del ricorrente, secondo cui egli non sarebbe stato in grado di rilevare l'asserito carattere discriminatorio di taluni criteri di selezione stabiliti dal committente già attraverso il semplice esame della documentazione di prequalifica ricevuta.
Inoltre, quand'anche si volesse ammettere che, come affermato nel ricorso, l'assenza sui documenti di prequalifica di un esplicito riferimento ai rimedi di diritto esperibili abbia impedito al ricorrente di comprendere l'impugnabilità di tali atti, si deve considerare che, se veramente in disaccordo con le condizioni enunciate nel bando e nella documentazione ad esso annessa, esso non poteva semplicemente inoltrare la propria candidatura alla fase di prequalifica senza nulla eccepire in proposito, per poi criticare la regolarità della stessa soltanto dopo essere venuto a conoscenza della sua eliminazione dalla gara. Le regole della buona fede e la sicurezza del diritto gli imponevano semmai di assumere delle informazioni e, una volta ottenutele, di agire con tempestività, pena lo scadere infruttuoso del termine di ricorso (cfr.
DTF 111 Ia 280
consid. 2b). In particolare all'insorgente spettava l'obbligo di chiedere chiarimenti in merito alle modalità con cui formalmente impugnare quanto stabilito nei documenti di prequalifica ricevuti o, perlomeno, di esternare in modo chiaro il proprio dissenso nei confronti di quelle regole di gara ritenute lesive di norme e di principi vigenti in materia di appalti pubblici. Avendo omesso di agire in questo modo, il ricorrente ha invece dato l'impressione di accettare incondizionatamente tali disposizioni, motivo per il quale esso non può, su questo punto, beneficiare di alcuna tutela sul piano giuridico. | public_law | nan | it | 1,998 | CH_BGE | CH_BGE_001 | CH | Federation |
d1b86b6d-66ea-42e6-9beb-5bde5a6cd565 | Urteilskopf
97 V 26
6. Auszug aus dem Urteil vom 17. Februar 1971 i.S. Mengisen gegen Schweizerische Unfallversicherungsanstalt und Eidgenössisches Departement des Innern | Regeste
Art. 12 Abs. 2 der Verordnung über die Verhütung von Berufskrankheiten.
Zulässigkeit des Aufschubs der Wirksamkeit eines Nichteignungsentscheides. | Erwägungen
ab Seite 26
BGE 97 V 26 S. 26
Aus den Erwägungen:
II.1.
Die Ekzemanfälligkeit des Beschwerdeführers beim Kontakt mit Zement und Chromverbindungen ist schon ... in intensiver Form zutage getreten. Mit Recht lehnt er deshalb nicht jegliche berufliche Umstellung ab. Gemäss der Beschwerdeschrift an das Eidg. Versicherungsgericht möchte er nur die im April 1968 begonnene dreijährige Maurerlehre zu Ende führen, um sich dann mit dem entsprechenden Abschlusszeugnis bei der Bewerbung um eine seiner Gesundheit zuträglichere Lebensstelle über die genossene Berufsbildung auszuweisen...
II.2.
Bei der manifesten, intensiven Allergie des Versicherten auf Zement- und Chromkontakt kommt keine Aufhebung, sondern nur ein Aufschub der Verfügung in Frage, die dem Beschwerdeführer die Arbeit im Kontakt mit Zement und Chromverbindungen untersagt. Formellrechtlich ist ein solcher Aufschub in der Verordnung über die Verhütung von Berufskrankheiten zwar nicht vorgesehen, erscheint aber als zulässig, da Art. 12 Abs. 2 derselben befristete Nichteignungsentscheide expressis verbis vorsieht. Materiell setzt der Aufschub jedoch voraus, dass er mit der Zielsetzung der Verordnung vereinbar
BGE 97 V 26 S. 27
ist, dass er also nicht dazu führt, den Lehrling durch die festgestellte Berufskrankheit besonders zu gefährden (Art. 6 der Verordnung; vgl. auch Art. 12). Wohl ist das Eidg. Versicherungsgericht - wie die beiden Vorinstanzen - bei der Prüfung der Akten zum Schlusse gelangt, dass beim Beschwerdeführer eine solche Gefährdung bestehe. Allein folgende, erst in diesem letztinstanzlichen Verfahren gesetzte neue tatbeständliche Gegebenheiten haben das Gericht davon absehen lassen, die Richtigkeit des an und für sich auf vollständiger Sachverhaltsfeststellung beruhenden Departementsentscheides einzig gestützt auf dieses Instruktionsergebnis zu überprüfen: erstens der Umstand, dass der Beschwerdeführer nurmehr den Aufschub des auferlegten Verbotes beantragt; zweitens die Tatsache, dass selbst die SUVA in ihrer Beschwerdeantwort implizite die Zweckmässigkeit einer neuen spezialärztlichen Untersuchung anerkannte. Diese beiden neuen Gegebenheiten gaben Anlass zur prozessleitenden Verfügung, mit welcher die SUVA ersucht wurde, die von ihr als gerechtfertigt erachtete spezialärztliche Untersuchung durchführen zu lassen und zum Begehren um Aufschub der Wirksamkeit der Nichteignungsverfügung Stellung zu nehmen.
Nun hat sich die SUVA - ohne freilich die spezialärztliche Untersuchung veranlasst zu haben - mit dem Begehren um Aufschub "spätestens bis Ende April 1971" einverstanden erklärt...
Dass der Beschwerdeführer über den Zeitpunkt der Beendigung der Maurerlehre im April 1971 hinaus besonders gefährdet bliebe, dürfte kaum zutreffen. Und für die Folgezeit verbietet ihm ja der insoweit aufrechtzuerhaltende vorinstanzliche Entscheid jeden erwerblichen Kontakt mit den ihm schädlichen Stoffen. | null | nan | de | 1,971 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
d1bf928e-c600-4d68-b451-a8f59007beee | Urteilskopf
119 V 431
61. Auszug aus dem Urteil vom 17. Dezember 1993 i.S. Z. gegen Ausgleichskasse Schweizer Wirteverband und AHV/IV-Rekurskommission des Kantons Thurgau | Regeste
Art. 47 Abs. 2 AHVG
,
Art. 85 Abs. 2 und
Art. 88bis Abs. 2 lit. b IVV
: Rückerstattungspflicht. Im Bereich der Invalidenversicherung erfolgt die Leistungsanpassung aus IV-spezifischen Gesichtspunkten grundsätzlich mit Wirkung ex nunc; liegt dagegen eine Meldepflichtverletzung vor, so geschieht die Leistungsanpassung auch insofern rückwirkend (Erw. 2).
Art. 47 Abs. 2 Satz 1 AHVG
in Verbindung mit
Art. 49 IVG
: Verwirkung des Rückforderungsanspruchs. Als Folge der Verpflichtung, einen Vorbescheid zu erlassen, wird im Invalidenversicherungsrecht die einjährige Verwirkungsfrist durch den Erlass eines Vorbescheides im Sinne von
Art. 73bis IVV
gewahrt (Erw. 3b; Änderung der Rechtsprechung).
Art. 47 Abs. 2 AHVG
,
Art. 85 Abs. 2 und
Art. 88bis Abs. 2 lit. b IVV
: Dauer der Rückerstattungspflicht. Die Rückerstattungspflicht entfällt in der Regel ab dem der verspäteten Meldung folgenden Monat (Erw. 4). | Erwägungen
ab Seite 432
BGE 119 V 431 S. 432
Aus den Erwägungen:
2.
Nach
Art. 47 Abs. 1 Satz 1 AHVG
sind unrechtmässig bezogene Leistungen (Renten- und Hilflosenentschädigungen) zurückzuerstatten. AHV-rechtlich erfolgt somit die Leistungsanpassung grundsätzlich rückwirkend (ex tunc).
Art. 49 IVG
erklärt diese Gesetzesbestimmung im Bereich der Invalidenversicherung für sinngemäss anwendbar.
Daneben kennt das Invalidenversicherungsrecht selber Bestimmungen, welche eine Leistungsanpassung grundsätzlich bloss mit Wirkung ex nunc et pro futuro vorsehen (
Art. 85 Abs. 2 IVV
). Eine Ausnahme besteht dann, wenn der Tatbestand der Verletzung der Meldepflicht gemäss
Art. 77 IVV
erfüllt ist; in einem solchen Fall geschieht die Leistungsanpassung ebenfalls rückwirkend (
Art. 85 Abs. 2 und
Art. 88bis Abs. 2 lit. b IVV
) mit der Folge, dass zuviel bezogene Leistungen zurückzuerstatten sind. Es stellte sich daher für die Rechtsprechung die Frage, wie die beiden Gruppen von Rückerstattungsnormen im Bereich der Invalidenversicherung miteinander in Einklang zu bringen sind. Das Wort "sinngemäss" in
Art. 49 IVG
bot die Grundlage, die Einteilung in AHV-analoge und IV-spezifische Gesichtspunkte vorzunehmen (
BGE 105 V 163
, bestätigt in
BGE 110 V 14
Erw. 2a,
BGE 107 V 81
Erw. 4b und 37 Erw. 2a): Bezüglich der ersten erfolgt eine rückwirkende Leistungsanpassung (z.B. fehlende Versicherteneigenschaft, falsche Rentenberechnung usw.); bezüglich der zweiten gilt der Grundsatz der Leistungsanpassung mit Wirkung ex nunc (alle Tatsachenänderungen, die im Bereich des Invaliditätsgrades von Bedeutung sind), vorbehältlich der eben erwähnten Meldepflichtverletzung.
Vorliegend geht es um einen IV-spezifischen Leistungsgesichtspunkt. Eine rückwirkende Rentenherabsetzung kommt daher nur in Frage, wenn der Beschwerdeführer seiner Meldepflicht nicht nachgekommen ist (
Art. 77 IVV
in Verbindung mit
Art. 88bis Abs. 2 lit. b IVV
). Dieser Tatbestand ist in casu erfüllt, was in der Verwaltungsgerichtsbeschwerde, im Unterschied zum vorinstanzlichen Verfahren, zu Recht nicht mehr bestritten wird.
3.
Der Beschwerdeführer lässt indes geltend machen, der Rückforderungsanspruch sei verjährt.
BGE 119 V 431 S. 433
a) Nach
Art. 47 Abs. 2 Satz 1 AHVG
(im Gebiet der Invalidenversicherung gestützt auf
Art. 49 IVG
ebenfalls sinngemäss anwendbar) verjährt der Rückforderungsanspruch mit dem Ablauf eines Jahres, nachdem die Ausgleichskasse davon Kenntnis erhalten hat, spätestens aber mit dem Ablauf von fünf Jahren seit der einzelnen Rentenzahlung. Bei diesen Fristen handelt es sich um Verwirkungsfristen (
BGE 112 V 181
Erw. 4a,
BGE 111 V 135
; ZAK 1989 S. 559 Erw. 4b).
Unter dem Ausdruck "nachdem die Ausgleichskasse davon Kenntnis erhalten hat" ist der Zeitpunkt zu verstehen, in welchem die Verwaltung bei Beachtung der ihr zumutbaren Aufmerksamkeit hätte erkennen müssen, dass die Voraussetzungen für eine Rückerstattung bestehen (
BGE 112 V 181
Erw. 4a,
BGE 110 V 307
; ZAK 1989 S. 559 Erw. 4b). Ist für die Leistungsfestsetzung das Zusammenwirken mehrerer Behörden notwendig, genügt es, dass die nach der Rechtsprechung erforderliche Kenntnis bei einer der zuständigen Verwaltungsstellen vorhanden ist (
BGE 112 V 183
Erw. 4c).
b) Im vorliegenden Fall ist mit dem Beschwerdeführer davon auszugehen, dass sich die Invalidenversicherungs-Kommission bei Erhalt des Fragebogens für Arbeitgeber vom 7. August 1991, welcher bei ihr am 8. August 1991 einging, Rechenschaft über das Vorliegen eines Rückerstattungstatbestandes geben musste. Dass die Verwaltung über die nach der Rechtsprechung erforderliche Kenntnis auch tatsächlich verfügte, dokumentierte sie durch den Vorbescheid vom 19. September 1991; darin teilte sie dem Beschwerdeführer mit, Abklärungen hätten ergeben, dass er seit 1. Dezember 1990 als Sachbearbeiter angestellt sei. Da er diese Arbeitsaufnahme nicht gemeldet habe, müsse ihm eine Verletzung der Meldepflicht angelastet werden, weshalb die zu Unrecht bezogenen Leistungen zurückzuerstatten seien (Vorbescheid vom 19. September 1991). Die Invalidenversicherungs-Kommission hatte demnach im damaligen Zeitpunkt erkannt, dass mit dem seit Dezember 1990 ununterbrochen bezogenen, am 8. August 1991 gemeldeten Teilzeiteinkommen von Fr. 2'350.-- die Grundlagen, auf welchen die ursprüngliche Rentenverfügung vom 30. April 1990 fusste, dahingefallen waren. Aus medizinischer Sicht bestand in bezug auf diese für die Beurteilung des Invaliditätsgrades letztlich massgebenden erwerblichen Gesichtspunkte kein Abklärungsbedarf, nachdem keine Anhaltspunkte dafür vorlagen, dass der Beschwerdeführer mit der Arbeitsaufnahme und -ausübung gesundheitlich überfordert gewesen wäre. Hatte die Invalidenversicherungs-Kommission somit am 8. August 1991 die nach
BGE 119 V 431 S. 434
der Rechtsprechung erforderliche Kenntnis über den unrechtmässigen Leistungsbezug und stellt man für die Fristwahrung auf den Zeitpunkt des Erlasses der Verwaltungsverfügung ab, so ist die am 30. Dezember 1992 ergangene Rückerstattungsverfügung klarerweise verspätet, der Rückerstattungsanspruch daher verwirkt. Dass die Rente zwischenzeitlich weiterlief, ändert hieran nichts (unveröffentlichtes Urteil H. vom 19. Oktober 1992).
c) Dieses Ergebnis beruht auf der bisherigen Rechtsprechung zu
Art. 47 AHVG
, welche, wie im Bereich der Verwirkung der Beiträge (
Art. 16 AHVG
) und des Schadenersatzanspruches der Ausgleichskasse gegenüber dem Arbeitgeber (
Art. 52 AHVG
), davon ausgeht, dass die (einjährige) Verwirkungsfrist ausschliesslich durch den Erlass einer Verfügung gewahrt werden kann (
BGE 119 V 95
Erw. 4c). Diese Betrachtungsweise, wonach die Verwirkungsfrist einzig und allein durch den Verfügungserlass gewahrt werden kann, darf auf den vorliegenden rechtlichen Kontext nicht angewendet werden. Bis zur Einführung des invalidenversicherungsrechtlichen Vorbescheidverfahrens am 1. Juli 1987 durch
Art. 73bis IVV
erliessen die Ausgleichskassen in solchen Fällen direkt eine Rückerstattungsverfügung. Damit war die einjährige Verwirkungsfrist gewahrt. Einwände, wie sie der Beschwerdeführer hier gegen den Vorbescheid vortrug und die das Verfahren verlängern konnten, waren früher Prüfungsthema eines allfälligen Beschwerdeverfahrens gegen die fristwahrende Verfügung. Wenn nun die Verwaltung durch das geltende Recht - aus Gründen der Entlastung der Verwaltungsrechtspflegeorgane, vor allem aber auch aus rechtsstaatlichen Überlegungen (Gewährung des rechtlichen Gehörs) - zum Erlass eines Vorbescheides verpflichtet wird, muss diesem, fristenrechtlich gesehen, die gleiche Wirkung zugemessen werden wie der Verfügung selber (vgl. auch RKUV 1990 Nr. 835 S. 83 Erw. 2b, gemäss welchem im Bereich des KUVG ein formloser Kassenbescheid für die Fristwahrung bereits genügt). Folglich ist der Rückerstattungsanspruch der Ausgleichskasse nicht verwirkt, weil mit dem Vorbescheid vom 19. September 1991 die seit 8. August 1991 laufende einjährige Verwirkungsfrist ohne weiteres gewahrt worden ist.
4.
a) Dieses Ergebnis führt nicht dazu, dass der Beschwerdeführer die zu Unrecht bezogenen Leistungen für die Zeit vom 1. Januar 1991 bis zum 31. Dezember 1992 zurückzuerstatten hat. Der vorinstanzliche Entscheid steht nämlich nicht im Einklang mit der durch das Urteil vom 10. Juni 1992 (
BGE 118 V 214
) geänderten Rechtsprechung zur Wirkung der Meldepflichtverletzung auf die
BGE 119 V 431 S. 435
Rückerstattungspflicht. Das Gesetz statuiert in
Art. 88bis Abs. 2 lit. b IVV
klar das Erfordernis der Kausalität zwischen dem zu sanktionierenden Verhalten (Meldepflichtverletzung) und dem eingetretenen Schaden (unrechtmässiger Bezug von Versicherungsleistungen). Die bis zum Eintreffen einer verspäteten Meldung bezüglich Arbeitsaufnahme unrechtmässig bezogenen Rentenbetreffnisse unterliegen grundsätzlich der Rückerstattungspflicht. Nicht mehr rückerstattungspflichtig sind die nach Eingang der verspäteten Meldung bezogenen Renten (
BGE 118 V 220
f.).
b) Auf den vorliegenden Fall angewendet bedeutet dies, dass die Rentenbetreffnisse mit Wirkung ab 1. September 1991 nicht zufolge Meldepflichtverletzung zurückverlangt werden können. Wie dargelegt, erhielt die Invalidenversicherungs-Kommission am 8. August 1991 den ordnungsgemäss ausgefüllten Fragebogen des Arbeitgebers zugestellt. Daraus geht der seit 1. Dezember 1990 bezogene Lohn, welcher gegenüber dem der Rentenverfügung vom 30. April 1990 zugrunde liegenden Lohn deutlich höher ist, klar hervor. Wenn sich die Verwaltung dazu entschloss, die bisherige Rente weiterhin auszurichten, so kann dies nicht mehr auf die Verletzung der Meldepflicht zurückgeführt werden, zumal die Ausgleichskasse nicht geltend macht, sie hätte auf die nachfolgenden Abklärungen verzichtet, wenn der Arbeitsantritt bereits im Dezember 1990 gemeldet worden wäre. Damit entfällt eine Rückerstattungspflicht ab 1. September 1991, d.h. ab dem der verspäteten Meldung folgenden Monat (vgl.
BGE 118 V 219
Erw. 2b und 221 Erw. 2b). Hingegen bleibt die Meldepflichtverletzung kausal für den unrechtmässigen Leistungsbezug für die Zeit von Januar bis und mit August 1991. | null | nan | de | 1,993 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
d1c2e990-bfe2-4aba-ada2-0fb2428ffc8d | Urteilskopf
118 V 26
4. Urteil vom 22. Januar 1992 i.S. N. gegen Ausgleichskasse des Kantons Thurgau und AHV/IV-Rekurskommission des Kantons Thurgau | Regeste
Art. 2 Abs. 1 und 1bis,
Art. 4 Abs. 1 lit. d ELG
. Berücksichtigung von Krankheitskosten: Berechnungsarten (Erw. 3a und 5).
Art. 3 Abs. 4 lit. e und 4bis ELG
,
Art. 19 Abs. 2 ELV
,
Art. 11 Abs. 4 ELKV
.
Abzug von Hauspflegekosten: zur Einschränkung des Abzuges der aus der Hauspflege durch Familienangehörige entstehenden Kosten (Erw. 4). | Sachverhalt
ab Seite 26
BGE 118 V 26 S. 26
A.-
Die 1909 geborene Anna N. bezieht zu ihrer Altersrente seit 1987 eine Ergänzungsleistung. Sie wohnt zusammen mit ihrer Tochter, Hedi N., von der sie gepflegt wird.
Am 14. März 1990 bat die Pro Senectute die Gemeindezweigstelle um Anpassung der laufenden Ergänzungsleistung. Zur Begründung brachte sie u.a. vor, dass der Betrag von Fr. 500.--, der bis anhin für die Pflege der Versicherten in die Berechnung eingesetzt worden sei, längst nicht mehr ausreiche, um den der Tochter erwachsenen
BGE 118 V 26 S. 27
Lohnausfall zu ersetzen. Hedi N. könnte als gelernte Haushaltschullehrerin monatlich rund 4'000 Franken verdienen; statt dessen habe sie ihre einträgliche Stelle der Mutter zuliebe aufgegeben und erziele mit Teilzeitarbeit ein mittleres Einkommen von nur noch 1'000 Franken pro Monat.
Nach Abklärung der Sachlage erhöhte die Ausgleichskasse des Kantons Thurgau im Rahmen der Neuberechnung unter der Rubrik "(übrige) Ausgaben" nebst anderem den durch die Hauspflege bedingten Lohnausfall von bisher Fr. 6'000.-- auf Fr. 16'440.--, um schliesslich der Versicherten unter Bezugnahme auf einen nicht näher erläuterten gesetzlichen Höchstbetrag von Fr. 15'800.-- eine Ergänzungsleistung von monatlich Fr. 1'317.-- zuzusprechen (Verfügung vom 31. Mai 1990). Eine hiegegen erhobene Beschwerde hiess die AHV/IV-Rekurskommission des Kantons Thurgau mit Entscheid vom 17. August 1990 teilweise gut, indem sie den Abzug für Hauspflege von Fr. 16'440.-- gestützt auf die zwischenzeitlich geänderte Verwaltungspraxis auf Fr. 17'125.-- erhöhte und die Kasse anwies, auf dieser Grundlage neu zu verfügen. Dieser Entscheid erwuchs unangefochten in Rechtskraft. In der Folge kam die Ausgleichskasse der ihr aufgetragenen Neuberechnung insofern nach, als sie zwar die angeordnete Erhöhung des Hauspflegeabzugs von Fr. 17'125.-- einbezog und den unverändert gebliebenen Einnahmen (Fr. 19'401.--) gegenüberstellte, jedoch der Versicherten wiederum unter Hinweis auf den bereits in ihrer ersten Verfügung erwähnten gesetzlichen Höchstbetrag von Fr. 15'800.-- eine unveränderte Ergänzungsleistung von Fr. 1'317.-- pro Monat zusprach (Verfügung vom 13. Dezember 1990).
B.-
Die hiegegen erhobene Beschwerde wies die AHV/IV-Rekurskommission des Kantons Thurgau mit Entscheid vom 10. Juni 1991 ab. Zur Begründung führte sie in Anlehnung an die Vernehmlassung der Ausgleichskasse aus, dass sich die bei der Berechnung der Ergänzungsleistung zu berücksichtigende Entschädigung des durch die Hauspflege entstehenden Erwerbsausfalls gemäss einschlägiger Verwaltungspraxis maximal auf die um einen Viertel erhöhte Einkommensgrenze für Alleinstehende belaufe. Nachdem die Kasse auf diesen Höchstbetrag von Fr. 17'125.-- abgestellt habe, falle eine weitergehende Entschädigung ausser Betracht. Hinzu komme, dass die Versicherte mit einer jährlichen Ergänzungsleistung von Fr. 13'700.-- und einem Diätzuschlag von Fr. 2'100.-- bereits eine maximale Ergänzungsleistung von Fr. 15'800.-- pro Jahr beziehe; dieser Betrag dürfe bei den zu Hause lebenden Personen
BGE 118 V 26 S. 28
nicht überschritten werden, so dass selbst eine erhöhte Entschädigung für Familienangehörige keine Auswirkungen zeitigen könnte.
C.-
Hedi N. führt für ihre Mutter Verwaltungsgerichtsbeschwerde mit dem Begehren, es sei die verfügte und von der kantonalen Rekurskommission bestätigte Ergänzungsleistung von monatlich Fr. 1'317.-- auf Fr. 2'750.-- zu erhöhen.
Während die Ausgleichskasse auf Abweisung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde schliesst, beantragt das Bundesamt für Sozialversicherung (BSV) deren teilweise Gutheissung und die Zusprechung einer monatlichen Ergänzungsleistung von Fr. 1'537.--.
Auf die Begründung der Anträge wird, soweit erforderlich, in den Erwägungen eingegangen.
Erwägungen
Das Eidg. Versicherungsgericht zieht in Erwägung:
1.
(Kognition)
2.
Den in der Schweiz wohnhaften Schweizer Bürgern, denen eine Rente oder eine Hilflosenentschädigung der AHV oder der Invalidenversicherung zusteht, ist ein Anspruch auf Ergänzungsleistungen einzuräumen, soweit im Falle Alleinstehender das anrechenbare Jahreseinkommen den auf mindestens Fr. 12'100.-- und höchstens Fr. 13'700.-- festzusetzenden Grenzbetrag nicht erreicht (
Art. 2 Abs. 1 ELG
).
Für die Vergütung von Kosten, die u.a. durch Pflege entstehen, erhöht sich die Einkommensgrenze um einen Drittel (
Art. 2 Abs. 1bis ELG
). Diese Grenze kann von den Kantonen nach
Art. 4 Abs. 1 lit. d ELG
bis zu einem weiteren Drittel erhöht werden.
Gemäss § 2 Abs. 1 des kantonalen Gesetzes über Ergänzungsleistungen zur Alters-, Hinterlassenen- und Invalidenversicherung vom 25. August 1971 (RB IV Nr. 831.3 ELG/TG) entsprechen die Einkommensgrenzen im Kanton Thurgau den jeweils zulässigen Ansätzen gemäss
Art. 2 Abs. 1 ELG
. Was die Vergütung der durch Pflege entstehenden Kosten anbelangt, hat der Kanton Thurgau die ihm in
Art. 4 Abs. 1 lit. d ELG
eingeräumte Befugnis genutzt und die Einkommensgrenze gemäss
Art. 2 Abs. 1bis ELG
um einen weiteren Drittel erhöht (
§ 2 Abs. 2 ELG
/TG).
Die Höhe der jährlichen Ergänzungsleistung hat nach
Art. 5 Abs. 1 ELG
dem Unterschied zwischen der nach diesem Gesetz massgebenden Einkommensgrenze (
Art. 2 ELG
) und dem anrechenbaren Jahreseinkommen (
Art. 3 ELG
) zu entsprechen.
BGE 118 V 26 S. 29
3.
Bevor auf die hier im wesentlichen streitige Höhe des Hauspflegeabzugs eingegangen wird, ist der von der Vorinstanz übernommene Einwand der Ausgleichskasse zu prüfen, dass sich der jährliche Ergänzungsleistungsbetrag im vorliegenden Fall ohne Rücksicht darauf, ob und in welchem Masse der Hauspflegeabzug erhöht werde, auf höchstens Fr. 15'800.-- belaufe. Dieser Betrag setzt sich laut Ausgleichskasse aus der Einkommensgrenze für Alleinstehende (Fr. 13'700.--) und einem Zuschlag für Diätkosten (Fr. 2'100.--) zusammen.
a) Diese Sichtweise weckt Bedenken, zumal sie nach Auffassung des BSV auf einem Programmfehler beruhen soll. Derartige Fehlschlüsse verdeutlichen beispielhaft die Gefahren automatisierter Rechtsanwendung und sind nicht geeignet, die in dieser Hinsicht geäusserten Zweifel zu zerstreuen (vgl. etwa RHINOW, Chancen und Gefahren der Rechtsinformatik, in: Rechtsinformatik, Zürich 1984, S. 111 ff.). Hier ist ohne Verzug Abhilfe zu schaffen, wobei sich die zuständigen Stellen das Folgende zu vergegenwärtigen haben:
Früher war das zur Berechnung der Ergänzungsleistung verwendete Formular in der Weise ausgestaltet, dass durch Vergleich von Roheinkommen und zulässigen Abzügen das sogenannte massgebliche oder anrechenbare Einkommen ermittelt und dieses in Beziehung zur massgeblichen Einkommensgrenze gesetzt wurde. Wurde dabei die Einkommensgrenze nicht erreicht, so bildete die Differenz den jährlichen Ergänzungsleistungsanspruch; hingegen entfiel ein solcher, wenn die Einkommensgrenze überschritten wurde.
Seit geraumer Zeit ist das Berechnungsblatt grundlegend anders aufgebaut. Danach werden zunächst alle abzugsfähigen Posten zusammengezählt, wozu gemäss dem neuen Formular auch die für den jeweiligen Fall massgebliche allgemeine Einkommensgrenze gehört. Dies beruht auf der Überlegung, dass die massgebliche Einkommensgrenze nichts anderes ist als gesetzlich sichergestellter Lebensaufwand; diesen darf der Versicherte von der Ergänzungsleistung beanspruchen, weshalb er bei der Berechnung in Abzug gebracht wird. Den auf diese Weise ermittelten Ausgaben stehen die gesamten anrechenbaren Einnahmen gegenüber. Die Differenz ergibt den jährlichen Ergänzungsleistungsanspruch. Dabei muss nun aber - ein wesentlicher Unterschied zum früheren System - sichergestellt werden, dass die so ermittelte Differenz die massgebliche Einkommensgrenze nicht übersteigt. Daher rührt es, dass auf dem neuen Formular unten links der gesetzliche Höchstbetrag angemerkt wird.
BGE 118 V 26 S. 30
Spätestens an diesem Punkt setzen die in der Praxis auftretenden Schwierigkeiten ein. Denn nach der dargelegten Ordnung von
Art. 2 Abs. 1 ELG
einerseits und Art. 2 Abs. 1bis in Verbindung mit
Art. 4 Abs. 1 lit. d ELG
anderseits gelangt nicht für sämtliche Auslagenposten dieselbe massgebliche Einkommensgrenze zur Anwendung. Vielmehr ist diese Grenze für die Vergütung von Krankheitskosten kraft Bundesrechts um einen Drittel und allenfalls - wie im Kanton Thurgau (
§ 2 Abs. 2 ELG
/TG) - nach Massgabe des kantonalen Rechts um einen weiteren Drittel erhöht (vgl. Anhang I der Wegleitung des BSV über die Ergänzungsleistungen zur AHV und IV [WEL], Ausgabe vom 1. Januar 1987, S. 98). Diesem Umstand lässt sich praxisgemäss auf zwei Arten Rechnung tragen: entweder mit gesonderter Krankheitskostenvergütung im Rahmen der in Rz. 5017-5019 WEL umschriebenen verfügbaren Quote oder mittels Berücksichtigung der Krankheitskosten als Auslagenposten bei der Festsetzung der laufenden Ergänzungsleistung. Wählt die Durchführungsstelle das letztgenannte Vorgehen, so muss als massgeblicher Höchstbetrag - den die Differenz aus Ausgaben und Einnahmen nicht überschreiten darf - der für die Krankheitskostenvergütung vorgesehene erhöhte Ansatz (Art. 2 Abs. 1bis in Verbindung mit
Art. 4 Abs. 1 lit. d ELG
) verwendet werden.
b) Die Ausgleichskasse hat dies im vorliegenden Fall nicht bedacht. Mit dem von ihr beschrittenen Weg des Einbezugs der Krankheitskosten in die Berechnung des laufenden Ergänzungsleistungsanspruchs wäre sie gehalten gewesen, als gesetzlichen Höchstbetrag anstelle der erwähnten Fr. 15'800.-- den um zwei Drittel erhöhten Grenzbetrag für Alleinstehende, somit Fr. 22'836.-- einzusetzen. Bis zu diesem Betrag darf die aus (höheren) Ausgaben und (tieferen) Einnahmen herrührende Differenz als Ergänzungsleistung entschädigt werden. Bezogen auf den vorliegenden Fall bedeutet dies, dass die als Entschädigung in Frage kommende Differenz, errechnet aus den von der Ausgleichskasse für richtig befundenen Auslagen von Fr. 37'847.-- und den unbestrittenen Einnahmen von Fr. 19'401.--, mit Fr. 18'446.-- deutlich unter der massgeblichen Einkommensgrenze von Fr. 22'836.-- liegt. Entgegen der von Ausgleichskasse und Vorinstanz vertretenen Auffassung kann es deshalb keineswegs belanglos sein, ob der streitige Abzug für die Hauspflege bei Fr. 16'440.-- belassen (erste Verfügung vom 31. Mai 1990), auf Fr. 17'125.-- festgesetzt (zweite Verfügung vom 13. Dezember 1990) oder - gemäss Beschwerdeantrag - noch weiter erhöht wird.
BGE 118 V 26 S. 31
4.
a) Für die Bestimmung des im Sinne von
Art. 2 Abs. 1 und
Art. 5 Abs. 1 ELG
anrechenbaren Einkommens sieht
Art. 3 Abs. 4 lit. e ELG
vor, dass gewisse vom Bundesrat zu bezeichnende (
Art. 3 Abs. 4bis ELG
) Krankheitskosten vom Einkommen abgezogen werden. Der Bundesrat ist diesem Auftrag nicht selbst nachgekommen, sondern hat in
Art. 19 Abs. 2 ELV
das Eidgenössische Departement des Innern damit betraut. Dessen am 20. Januar 1971 erlassene Verordnung über den Abzug von Krankheits- und Behinderungskosten bei den Ergänzungsleistungen (ELKV) bestimmt in
Art. 11 ELKV
, in der seit 1. Januar 1987 geltenden Fassung der Abänderungsverordnung vom 16. Juni 1986, unter dem Randtitel "Kosten für ambulante Pflege" folgendes:
1 Kosten für ambulante Pflege, die infolge Alter, Invalidität, Unfall
oder Krankheit notwendig ist und von öffentlichen oder gemeinnützigen
Trägern erbracht wird, sind abziehbar.
2 Pflegekosten, die in einem öffentlichen oder gemeinnützigen Tagesheim,
Tagesspital oder Ambulatorium entstanden sind, können ebenfalls abgezogen
werden.
3 Kosten für Leistungen privater Träger sind in dem Umfang abziehbar, als
sie den Kosten öffentlicher oder gemeinnütziger Träger entsprechen.
4 Eine Entschädigung von Familienangehörigen wird nur berücksichtigt,
wenn diese durch die Pflege eine längerdauernde, wesentliche
Erwerbseinbusse erlitten haben. Familienangehörigen, die in der
Ergänzungsleistungsberechnung eingeschlossen sind, wird für die Hauspflege
keine Entschädigung angerechnet.
Mit Bezug auf den hier in Frage stehenden
Art. 11 Abs. 4 ELKV
fällt auf, dass darin zwar die Voraussetzungen des Abzugs umschrieben werden, nicht aber dessen Ausmass. In dieser Hinsicht besteht ein Unterschied zu
Art. 11 Abs. 1 und 2 ELKV
, wonach die tatsächlich entstehenden Kosten abziehbar sind, sofern die betreffende Leistung von öffentlichen oder gemeinnützigen Trägern erbracht wird; gleiches gilt sodann gemäss
Art. 11 Abs. 3 ELKV
selbst für Leistungen von privater Seite, soweit sie nicht teurer ausfallen als die entsprechenden Dienste öffentlicher oder gemeinnütziger Träger. Während sich also die Durchführungsorgane bei den durch öffentliche, gemeinnützige und auch private Stellen erbrachten Pflegeleistungen an einigermassen feststehenden Ansätzen ausrichten können, überlässt
Art. 11 Abs. 4 ELKV
die Bemessung der Höhe des Abzuges in bezug auf die Hauspflege vollumfänglich dem Ermessen der Verwaltung. Unter diesen Umständen ist es im Interesse der
BGE 118 V 26 S. 32
gebotenen Gleichbehandlung der Versicherten jedenfalls in grundsätzlicher Hinsicht nicht zu beanstanden, wenn das BSV als Aufsichtsbehörde das Ausmass der abziehbaren Hauspflegekosten in seiner einschlägigen Wegleitung konkretisiert hat (Rz. 5065 1/91 WEL): Danach soll die zu berücksichtigende Entschädigung bei dauernder Erwerbsaufgabe höchstens die um 25% erhöhte Einkommensgrenze für Alleinstehende betragen. Bei einem derzeitigen Grenzbetrag von Fr. 13'700.-- (
Art. 2 Abs. 1 ELG
) führt diese Praxis zu dem vom BSV und von der Vorinstanz festgehaltenen (maximalen) Abzug von Fr. 17'125.--.
b) Nach gefestigter Rechtsprechung dürfen auf dem Wege von Verwaltungsweisungen keine über Gesetz und Verordnung hinausgehenden Einschränkungen eines materiellen Rechtsanspruchs eingeführt werden (
BGE 109 V 169
Erw. 3b, ZAK 1988 S. 187 Erw. 2b, 1984 S. 88 Erw. 3b, unveröffentlichter Entscheid S. vom 3. September 1991).
Fest steht, dass
Art. 11 Abs. 4 ELKV
keinen Anspruch auf uneingeschränkten Abzug sämtlicher aus der Hauspflege durch Familienangehörige entstehenden Kosten vermittelt. Dies folgt schon daraus, dass die Abziehbarkeit von Krankheitskosten, denen auch die Hauspflegekosten zuzuordnen sind, von Gesetzes wegen auf höchstens Fr. 22'836.-- beschränkt ist (Art. 2 Abs. 1bis in Verbindung mit
Art. 4 Abs. 1 lit. d ELG
). Auf der anderen Seite deutet aufgrund des Wortlauts von
Art. 11 Abs. 4 ELKV
nichts darauf hin, dass kraft dieser Bestimmung der im Gesetz vorgegebene abziehbare Höchstbetrag weiter eingeschränkt werden dürfte.
Eine derartige Beschränkung, wie sie in Rz. 5065 1/91 WEL vorgesehen ist, lässt sich auch nicht unter Berufung auf Sinn und Zweck des
Art. 11 Abs. 4 ELKV
begründen. Gerade wenn in Betracht gezogen wird, dass in den grundsätzlich nicht minder kostenträchtigen Fällen nach Art. 11 Abs. 1 bis 3 ELKV - im Rahmen des gesetzlichen Höchstbetrages - die tatsächlich anfallenden Kosten eingestellt werden dürfen, vermag nicht einzuleuchten, weshalb für die Erwerbseinbusse durch Hauspflege etwas anderes gelten sollte. Entgegen dem BSV kann die Einschränkung des dafür abziehbaren Höchstbetrages auch nicht damit begründet werden, dass es unter Familienangehörigen nicht darum gehen könne, schlechthin alle Hilfeleistungen abzugelten, und dass eine Abgrenzung von Pflegeaufwand und normalem familiärem Kontakt ohnehin nicht praktikabel sei. Diesen Einwänden kann mit der Herabsetzung des abziehbaren Höchstbetrages von vornherein nicht Rechnung getragen werden,
BGE 118 V 26 S. 33
zumal damit gerade jene benachteiligt werden, die sich intensiv um die Pflege ihrer Familienangehörigen bemühen. Hingegen sind die Vorbringen des BSV durchaus geeignet, die Grundabsicht von
Art. 11 Abs. 4 ELKV
zu verdeutlichen, die nebst der grundsätzlichen Anerkennung der Hauspflege als abzugsfähigem Tatbestand mit der Bezugnahme auf die "längerdauernde, wesentliche Erwerbseinbusse" darin besteht, die kleineren, im Rahmen des intakten Familienverbandes üblicherweise erbrachten Hilfeleistungen von der Entschädigung auszunehmen.
5.
Ergibt sich somit, dass
Art. 11 Abs. 4 ELKV
hinsichtlich der Hauspflegekosten keine Grundlage für eine weitere Beschränkung des von Art. 2 Abs. 1bis in Verbindung mit
Art. 4 Abs. 1 lit. d ELG
vorgegebenen abziehbaren Betrages (= Fr. 22'836.--) enthält und Rz. 5065 1/91 WEL insofern nicht standhält, ist der Ergänzungsleistungsanspruch nach Gesetz und Verordnung neu zu berechnen. Dabei kann aufgrund der Aktenlage davon ausgegangen werden, dass die gesamten effektiv anfallenden Krankheitskosten für Diät und Hauspflege den diesbezüglich massgeblichen Grenzbetrag von Fr. 22'836.-- jedenfalls erreichen. Obwohl die Tochter der Beschwerdeführerin wegen der mit der Pflege der Mutter verbundenen Aufgabe ihrer Erwerbstätigkeit als Haushaltlehrerin eine Erwerbseinbusse erleiden dürfte, die weit über diesem Betrag liegt, erlaubt das Gesetz (Art. 2 Abs. 1bis in Verbindung mit
Art. 4 Abs. 1 lit. d ELG
) keinen weitergehenden Abzug unter dem Titel des
Art. 11 Abs. 4 ELKV
.
a) Im einzelnen ergeben sich vorliegend bei gesamthafter Berechnung unter Einschluss der Krankheitskosten in Form von Diätkosten und Hauspflegekosten Ausgaben von insgesamt Fr. 41'458.--, die den Gesamteinnahmen von Fr. 19'401.-- gegenüberstehen. Die Differenz von Fr. 22'057.-- liegt unter der massgeblichen Einkommensgrenze von Fr. 22'836.-- und entspricht demnach dem der Beschwerdeführerin zustehenden jährlichen Ergänzungsleistungsanspruch.
b) Zum gleichen Ergebnis führt die Berechnung nach dem System der gesonderten Krankheitskostenvergütung. Diesfalls kann die Beschwerdeführerin bei Einnahmen von Fr. 19'401.-- und Ausgaben ohne Krankheitskosten, also ohne Diätkosten und Hauspflegekosten (Fr. 41'458.-- ./. Fr. 22'836.-- = Fr. 18'622.--), zufolge eines Einnahmenüberschusses von Fr. 779.-- keine laufende Ergänzungsleistung beanspruchen. Unter diesen Umständen stimmt die verfügbare Quote für die Vergütung von Krankheitskosten mit dem massgebenden
BGE 118 V 26 S. 34
Höchstbetrag - also hier Fr. 22'836.-- - überein (Rz. 5019 7/90 WEL). In diesem Fall sind zur Berechnung der Vergütung die ausgewiesenen Krankheitskosten um den über der Einkommensgrenze liegenden Betrag zu vermindern (Rz. 5019 7/90 a. E. WEL). Es ist demnach von den insgesamt ausgewiesenen, höchstens zu berücksichtigenden Diät- und Hauspflegekosten von Fr. 22'836.-- der Einnahmenüberschuss aus der Berechnung der laufenden Ergänzungsleistung von Fr. 779.-- abzuziehen, was wiederum einen jährlichen Anspruch von Fr. 22'057.-- oder - bezogen auf den Monat - Fr. 1'838.-- ergibt.
6.
Der Betrag von Fr. 1'838.-- pro Monat kann der Beschwerdeführerin aufgrund des in Rechtskraft erwachsenen Entscheides der Rekurskommission vom 17. August 1990 im Hinblick auf die geltend gemachte Verschlimmerung des Gesundheitszustandes und der dadurch bedingten Pflegebedürftigkeit erst ab Juli 1990 zugesprochen werden. Für die vorangegangene Zeit ab 1. März 1990 ist der Anspruch - entgegen der Ansicht des BSV - nicht etwa bei Fr. 1'317.-- zu belassen, sondern gerade in Befolgung des rechtskräftigen Rekursentscheides auf Fr. 1'537.-- festzusetzen (Erw. 3). | null | nan | de | 1,992 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
d1c8659f-5235-4a6c-bfb2-c77e78f71378 | Urteilskopf
121 III 336
68. Auszug aus dem Urteil der I. Zivilabteilung vom 4. August 1995 i.S. Corinphila gegen Jaeger (Berufung) | Regeste
Verbraucherstreitigkeit; örtliche Zuständigkeit (Art. 13 f. Lugano Übereinkommen über die gerichtliche Zuständigkeit und die Vollstreckung gerichtlicher Entscheidungen in Zivil- und Handelssachen).
Begriffe der Verbraucherstreitigkeit (E. 5a-d) und des Dienstleistungsvertrags (E. 5e).
Bejahung einer Verbraucherstreitigkeit bei Verbindung von Kommissions- und Kreditgeschäften (E. 6). | Sachverhalt
ab Seite 336
BGE 121 III 336 S. 336
A.-
Die Klägerin ist eine Aktiengesellschaft mit Sitz in Zürich, die in erster Linie mit Briefmarken handelt und entsprechende Auktionen durchführt. Der Beklagte ist Briefmarkensammler mit Wohnsitz in Bath, England. Er gab der Klägerin in den letzten zwanzig Jahren in
BGE 121 III 336 S. 337
unregelmässigen Abständen Briefmarken in Kommission, welche diese an ihren Auktionen in eigenem Namen, aber auf Rechnung des Beklagten versteigerte. Die Geschäfte wurden in der Regel so abgewickelt, dass die Klägerin dem Beklagten eine zu verzinsende Vorauszahlung leistete und in gewissen Zeitabständen das durch sie geführte Konto abrechnete. War der Erlös der Auktion geringer als die Vorauszahlung, was die Regel war, wurde der Saldo auf die neue Rechnung vorgetragen, bis aufgrund einer weiteren Versteigerung neu abgerechnet wurde. Der Negativsaldo nahm im Laufe der Zeit beträchtliche Ausmasse an. Nachdem die Parteien sich auf ein weiteres Vorgehen nicht einigen konnten, verlangte die Klägerin schliesslich die Begleichung der Ausstände bis zum 6. Januar 1992. Der Beklagte kam dieser Zahlungsaufforderung nicht nach.
B.-
Mit Klage vom 25. Januar 1993 verlangte die Klägerin vor Bezirksgericht Zürich die Verpflichtung des Beklagten, ihr Fr. 333'141.-- nebst Zins zu bezahlen. Das Bezirksgericht beschränkte das Verfahren auf die Frage der örtlichen Zuständigkeit und trat mit Beschluss vom 29. September 1993 auf die Klage nicht ein. Einen dagegen gerichteten Rekurs der Klägerin wies das Obergericht des Kantons Zürich mit Beschluss vom 23. März 1994 ab. Das Kassationsgericht trat auf eine Beschwerde der Klägerin am 31. August 1994 nicht ein.
Das Bundesgericht weist die Berufung der Klägerin ab, soweit es darauf eintritt.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
5.
Die Klägerin rügt eine Verletzung von Art. 13 Abs. 1 in Verbindung mit
Art. 14 Abs. 2 LugÜ
(SR 0.275.11). Die Vorinstanz habe zu Unrecht die Streitigkeit als Verbraucherangelegenheit im Sinne von
Art. 13 LugÜ
qualifiziert und damit ihre Zuständigkeit verneint.
a)
Art. 13 Abs. 1 LugÜ
definiert als Verbrauchervertrag denjenigen, den eine Person zu einem Zweck abgeschlossen hat, der nicht der beruflichen oder gewerblichen Tätigkeit dieser Person (Verbraucher) zugerechnet werden kann. Der private Endverbraucher muss das Rechtsgeschäft erkennbar ausserhalb des Rahmens seiner beruflichen oder gewerblichen Tätigkeit eingehen (SCHWANDER, Die Gerichtszuständigkeiten im Lugano-Übereinkommen, in PETERSMANN/SCHWANDER (Hrsg.), Das Lugano-Übereinkommen, St. Galler
BGE 121 III 336 S. 338
Schriften zum internationalen Recht, Band 2, St. Gallen 1990, S. 84). Das Übereinkommen unterstellt seiner Gerichtsstandsnorm in
Art. 13 LugÜ
den Kauf beweglicher Sachen auf Teilzahlung (Abs. 1 Ziff. 1), Kreditgeschäfte zur Finanzierung eines Kaufs beweglicher Sachen (Abs. 1 Ziff. 2) sowie andere Verbraucherverträge (Abs. 1 Ziff. 3), welche die Erbringung einer Dienstleistung oder die Lieferung beweglicher Sachen zum Gegenstand haben. Letztere werden nur als Verbraucherverträge qualifiziert, sofern zusätzlich die Anforderungen von Art. 13 Abs. 1 Ziff. 3 lit. a und b LugÜ erfüllt sind, das heisst dem Vertragsschluss im Staat des Wohnsitzes des Verbrauchers ein ausdrückliches Angebot oder eine Werbung vorausgegangen ist und der Verbraucher in diesem Staat die zum Abschluss des Vertrages erforderlichen Rechtshandlungen vorgenommen hat (vgl. dazu KROPHOLLER, Europäisches Zivilprozessrecht, Kommentar zum EuGVÜ und Lugano-Übereinkommen, 4. Aufl. 1993, N. 9 ff. zu Art. 13).
Liegt einer der genannten Verbraucherverträge vor (Ziff. 1-3), kann der Verbraucher gegen seinen Vertragspartner vor den Gerichten des Vertragsstaats klagen, in dessen Hoheitsgebiet dieser Vertragspartner seinen Wohnsitz hat, oder vor den Gerichten des Vertragsstaats, in dessen Hoheitsgebiet der Verbraucher seinen Wohnsitz hat (
Art. 14 Abs. 1 LugÜ
). Die Klage des anderen Vertragspartners gegen den Verbraucher kann dagegen nur vor den Gerichten des Vertragsstaats erhoben werden, in dessen Hoheitsgebiet der Verbraucher seinen Wohnsitz hat (
Art. 14 Abs. 2 LugÜ
).
b) Streitig ist im vorliegenden Fall, ob eine Verbraucherstreitigkeit im Sinne des Übereinkommens vorliegt, namentlich ob die Beanspruchung der Klägerin als Dienstleistung im Sinne von
Art. 13 Abs. 1 Ziff. 3 LugÜ
zu qualifizieren ist.
c) Staatsverträge sind in erster Linie nach ihrem Wortlaut auszulegen, wie ihn die Vertragsparteien nach dem Vertrauensprinzip im Hinblick auf den Vertragszweck verstehen durften. Der von den beteiligten Staaten anerkannte Wortlaut bildet den nächstliegenden und zugleich wichtigsten Anhaltspunkt für den wahren gemeinsamen Vertragswillen, welcher die Auslegung beherrscht. Ferner kommt im Fall eines Staatsvertrages, der wie das Lugano-Übereinkommen vor allem eine internationale Rechtsvereinheitlichung bewirken soll, der ausländischen Lehre und Rechtsprechung sowie den Bemühungen, diese Einheit herbeizuführen, besondere Bedeutung zu (
BGE 117 II 480
E. 2b S. 486 f.). Da es sich beim Lugano-Übereinkommen um ein Parallel-Übereinkommen zum gleichnamigen EG-internen Europäischen
BGE 121 III 336 S. 339
Übereinkommen vom 27. September 1968 über die gerichtliche Zuständigkeit und Vollstreckung gerichtlicher Entscheidungen in Zivil- und Handelssachen (Brüsseler-Übereinkommen) handelt (vgl. VOLKEN, Das Lugano-Übereinkommen - Entstehungsgeschichte und Regelungsbereich, in PETERSMANN/SCHWANDER, Das Lugano-Übereinkommen, a.a.O., S. 37 ff., S. 40), sind für seine Auslegung auch Lehre und Rechtsprechung zu diesem Übereinkommen heranzuziehen (SCHWANDER, a.a.O., S. 85).
Schliesslich können im Rahmen dieser Auslegung auch Normen des schweizerischen Rechts zum Konsumentenvertrag berücksichtigt werden, zumal der schweizerische Gesetzgeber die fraglichen Normen, ausgenommen die Verfassungsbestimmung, in Anlehnung an ihren internationalen Vorgänger formuliert hat und sie vom gleichen Schutzgedanken beherrscht sind. Dies trifft namentlich auf die Bestimmungen von
Art. 31sexies Abs. 3 BV
,
Art. 40a OR
,
Art. 114 und
Art. 120 IPRG
(SR 291) zu. Im Interesse der Einheitlichkeit der Rechtsordnung sind die Erfordernisse des Konsumentenvertrages für diese vier Bestimmungsgruppen möglichst gleich zu umschreiben (vgl. hiezu auch STAEHELIN, Die bundesrechtlichen Verfahrensvorschriften über konsumentenrechtliche Streitigkeiten - ein Überblick, FS Hans Ulrich Walder, Zürich 1994, S. 125 ff., S. 128; ALEXANDER BRUNNER, Der Konsumentenvertrag im schweizerischen Recht, AJP 1992, S. 591 ff., S. 595).
d) Der Verbraucher- oder Konsumentenvertrag lässt sich nicht ohne weiteres in das übliche Schema der Vertragsarten eingliedern. Entscheidend ist nach der gesetzlichen Definition vielmehr, dass der Vertrag zwischen einem Anbieter und einem Verbraucher (Konsument) geschlossen wird und die vertragliche Sache oder Leistung für dessen privaten Bedarf bestimmt ist. Konsument ist daher, wer Waren oder Dienstleistungen für den privaten, persönlichen Verbrauch empfängt oder beansprucht; er gilt als Letztverbraucher (STAEHELIN, a.a.O., S. 129). So hat der Konsumentenvertrag nach
Art. 120 Abs. 1 IPRG
oder
Art. 13 LugÜ
Leistungen zum Gegenstand, die für den persönlichen oder familiären Gebrauch des Konsumenten bestimmt sind und nicht in Zusammenhang mit seiner beruflichen oder gewerblichen Tätigkeit stehen. Der Begriff des Konsumentenvertrags kann damit sämtliche obligationenrechtlichen Verträge umfassen, sofern Vertragsparteien Anbieter und Konsumenten sind. In der Literatur wird zudem ein strukturelles Ungleichgewicht zwischen den beiden gefordert (ALEXANDER BRUNNER, a.a.O.,
BGE 121 III 336 S. 340
S. 599; EIKE VON HIPPEL, Verbraucherschutz, 3. Aufl. 1986, S. 3 ff.; ANNE-CATHERINE IMHOFF-SCHEIER, Protection du consommateur et contrats internationaux, Diss. Genf 1981, S. 30 ff.). Für die Umschreibung des Inhalts des Konsumenten- oder Verbrauchervertrags und der daran beteiligten Personen ist damit auf den besonderen Schutzzweck der im Interesse des Konsumenten erlassenen Bestimmungen abzustellen.
e) Unter die Konsumenten- oder Verbraucherverträge fallen nach dem Gesagten auch Dienstleistungen, was bereits aus der gesetzlichen Definition in
Art. 13 Abs. 1 Ziff. 3 LugÜ
hervorgeht. Ob indessen eine Dienstleistung als Konsumentenvertrag zu qualifizieren ist, ist wiederum davon abhängig, ob sie für die privaten (persönlichen oder familiären) Zwecke des Konsumenten erbracht wird (ALEXANDER BRUNNER, a.a.O., S. 595).
In der Literatur wird im allgemeinen der Begriff der Dienstleistung weit ausgelegt (MIKAEL SCHMELZER, Der Konsumentenvertrag - Betrachtung einer obligationenrechtlichen Figur unter Berücksichtigung des IPR und der europäischen Rechtsangleichung, Diss. St. Gallen 1994, S. 199; MünchKomm-MARTINY, N. 9 zu Art. 29 EGBGB).
aa) Der Dienstleistungsbegriff des EuGVÜ ist ein europäischer Begriff, der losgelöst von den rechtlichen Kategorien des betreffenden Landes zu interpretieren ist. Zu seiner Auslegung bietet der Leistungsbegriff nach Art. 60 des EWG-Vertrages eine Hilfe. Darunter fallen Leistungen, die in der Regel gegen Entgelt erbracht werden, soweit sie nicht den Vorschriften über den freien Waren- und Kapitalverkehr und über die Freizügigkeit der Personen unterliegen. Als Dienstleistungen gelten insbesondere gewerbliche, kaufmännische, handwerkliche und freiberufliche Tätigkeiten (Art. 60 Abs. 1 und 2 EWG-Vertrag). Bei Dienstleistungsverträgen geht es um Dienstverträge, die keine Arbeitsverträge sind, um Werk- und Werklieferungsverträge oder Geschäftsbesorgungsverträge. Gemeinsames Merkmal ist, dass eine tätigkeitsbezogene Leistung an den Verbraucher erbracht wird (BGH, Urteil vom 26.10.1993, IPRax 1994, S. 449 ff.).
Ein derart weitgefasster Dienstleistungsbegriff liegt auch der Verbraucherschutzvorschrift des Art. 29 Abs. 1 EGBGB zugrunde (LG Berlin, Urteil vom 1.10.1991, IPRax 1992, S. 243 ff.).
bb) Unter
Art. 13 LugÜ
fallen nach dem Gesagten somit Dienstleistungen aller Art, soweit sie für den privaten Konsum in Anspruch genommen werden, nicht Beförderung, Versicherung oder Immobiliarmiete betreffen, und die
BGE 121 III 336 S. 341
spezifischen, in Art. 13 Abs. 1 Ziff. 3 lit. a und b genannten räumlichen Beziehungen zum Wohnsitzstaat des Verbrauchers (Angebot, Werbung, Perfektion des Vertrags) aufweisen (SCHWANDER, a.a.O., S. 85). Zu berücksichtigen ist dabei, dass die Zielsetzungen von
Art. 13 und 14 LugÜ
ausschliesslich vom Bemühen um den Schutz bestimmter Gruppen von Konsumenten geleitet sind, die als Partner von Verbraucherverträgen nur vor den Gerichten des Staates belangbar sein sollen, in dessen Hoheitsgebiet sie ihren Wohnsitz haben.
In der Literatur werden etwa folgende, von
Art. 13 Abs. 1 Ziff. 3 LugÜ
erfasste Dienstleistungsverträge aufgezählt: Pauschalreisen, Schlankheitskuren, Reparaturen, Kleiderreinigungen, Fernkurse, Heiratsvermittlungen, Verträge über Hotelunterkunft sowie über Lehrveranstaltungen (Sprach-, Ski- oder Segelkurse). Hingegen werden solche Rechtsgeschäfte vom Begriff des Konsumentenvertrags ausgenommen, bei welchen nicht der kommerzielle Charakter, sondern die persönlichen Beziehungen, insbesondere das Treueverhältnis zwischen den Parteien, im Vordergrund stehen (z.B. beim Auftrag; STAEHELIN, a.a.O., S. 130 f.; vgl. auch die Aufzählung bei IPRG-KELLER/KREN KOSTKIEWICZ, N. 60 ff. zu
Art. 117 IPRG
). Nach deutschem und europäischem Recht fallen unter die Verbraucherverträge weiter Kommissionsgeschäfte auf den Abschluss ausländischer Warentermingeschäfte, welcher Qualifikation die Gewinnerzielungsabsicht des Privatkunden nicht schadet (KROPHOLLER, a.a.O., N. 10 zu Art. 13 mit Rechtsprechungshinweisen; MünchKomm-MARTINY, N. 9 zu Art. 29 EGBGB; offen gelassen im Urteil des EuGH vom 19.1.1993 in der Rechtssache C-89/91, Slg. 1993, I-139; EuGH 15.9.1994, Brenner und Noller, C-318/93, Slg. 1994, I-4275).
cc) In der Literatur wird die Auffassung vertreten, im Zweifel sei ein Konsumentenvertrag anzunehmen (MIKAEL SCHMELZER, a.a.O., S. 221; MünchKomm-MARTINY, N. 5 zu Art. 29 EGBGB). Bei einer Mischnutzung sei nach der Präponderanzmethode zu entscheiden (MIKAEL SCHMELZER, a.a.O., S. 228; KROPHOLLER, a.a.O., N. 4 zu
Art. 13 LugÜ
; MünchKomm-MARTINY, N. 4 zu Art. 29 EGBGB). Demgegenüber verlangt die Rechtsprechung zum europäischen Recht im Hinblick auf den angestrebten Zweck der Verbraucherschutzbestimmungen, dass
Art. 14 Abs. 2 LugÜ
restriktiv auszulegen und der privilegierte Gerichtsstand ausschliesslich schutzbedürftigen Konsumenten vorzubehalten sei, deren wirtschaftliche Stellung durch ihre Schwäche gegenüber dem Vertragspartner gekennzeichnet ist, weil sie private Endverbraucher sind
BGE 121 III 336 S. 342
und den Vertrag nicht im Zusammenhang mit einer geschäftlichen oder beruflichen Tätigkeit abschliessen (EuGH, 21.6.1978, Betrand/Ott, Rs 150/77, Slg. 1978, II-1431; auch Urteil des OLG Koblenz vom 9.1.1987, IPRax 1987, S. 308 ff.).
dd) Zusammenfassend ist festzuhalten, dass es bei der Beurteilung eines Dienstleistungsvertrags im Hinblick auf dessen Qualifizierung als Konsumenten- oder Verbrauchervertrag nicht darauf ankommen kann, um welche Art von Vertrag es sich handelt, unter Vorbehalt der von der Schutzbestimmung ausdrücklich ausgenommenen Verträge. Ohne Belang ist auch die Struktur des Schuldverhältnisses, ob es sich um ein einfaches Schuldverhältnis, ein Dauerschuldverhältnis, einen Sukzessivlieferungsvertrag oder einen anderen Vertragstyp handelt. Entscheidend ist einerseits vielmehr, für welche Zwecke die fraglichen Verträge abgeschlossen werden, ob zu privaten oder beruflichen Zwecken. Nur Privatgeschäfte zwischen einem kommerziellen Anbieter und einem Verbraucher erfahren die genannte Sonderregelung. Anderseits ist die Rollenverteilung zwischen den Vertragsparteien massgebend. Anbieter ist, wer die charakteristische Leistung zu erbringen hat, Konsument oder Verbraucher dagegen, wer Waren oder Dienstleistungen für private Zwecke gebraucht oder beansprucht.
f) Damit die Zuständigkeitsvorschriften gemäss
Art. 13 ff. LugÜ
auf Dienstleistungsverträge zur Anwendung kommen können, müssen einerseits dem Vertragsschluss eine Werbung oder ein Angebot im Wohnsitzstaat des Verbrauchers vorangegangen sein (Art. 13 Abs. 1 Ziff. 3 lit. a LugÜ), anderseits der Verbraucher in diesem Staat die zum Vertragsabschluss erforderlichen Rechtshandlungen vorgenommen haben (Art. 13 Abs. 1 Ziff. 3 lit. b LugÜ). Dass zwischen der anbieterseits betriebenen Werbung und dem streitigen Vertragsschluss eine adäquate Kausalität vorliegen muss, geht aus dem Wortlaut nicht hervor. Vielmehr genügt eine beliebige Art der Werbung im Wohnsitzstaat des Verbrauchers (so auch Münch-Komm-MARTINY, N. 12 zu Art. 29 EGBGB; a.A. MIKAEL SCHMELZER, a.a.O., S. 109).
6.
Nach den tatsächlichen Feststellungen der Vorinstanz ist im vorliegenden Fall unbestritten, dass der Beklagte der Klägerin jahrelang Briefmarken geliefert hat, welche diese an ihren Auktionen auf Rechnung des Beklagten verkaufte. Auf der andern Seite zahlte die Klägerin dem Beklagten jeweils Vorschüsse bzw. Darlehen aus. Die Klägerin stützt ihre Ansprüche auf dieses Abrechnungsverhältnis und macht den Saldo geltend.
BGE 121 III 336 S. 343
a) Um welche Art von Vertrag es sich handelt, kann vorliegend offenbleiben. Massgebend ist vielmehr, dass der Beklagte der Klägerin nach den tatsächlichen Feststellungen der Vorinstanz ausschliesslich im Rahmen seiner privaten Tätigkeit Briefmarken zur Versteigerung zukommen liess. Nach diesen Feststellungen hat die Klägerin im Zusammenhang mit den streitigen Geschäften immer die Privatadresse des Beklagten verwendet. Mithin sei in der Abrechnung klar zwischen den persönlichen Ausständen des Beklagten sowie jenen der beiden Philateliegesellschaften, welchen der Beklagte als Direktor vorstehe, unterschieden worden. Zudem habe die Klägerin selbst den Beklagten als Markensammler, nicht als Markenhändler bezeichnet. Aufgrund dieser Feststellungen kann eine Inanspruchnahme der klägerischen Dienste zu beruflichen oder gewerblichen Zwecken bundesrechtskonform verneint werden. Es ist keineswegs ausgeschlossen, Dienstleistungen, welche auf Gewinnerzielung ausgerichtet sind, auch im Rahmen der privaten Vermögensverwaltung zu beanspruchen. Zu berücksichtigen ist im vorliegenden Fall der Umstand, dass die Geschäfte der Vertragsparteien sich nicht ausschliesslich in der Auktionstätigkeit der Klägerin erschöpften, sondern die Klägerin dem Beklagten jeweils verzinsbare Vorschüsse bzw. Darlehen zahlte, welche dann durch den Versteigerungserlös teilweise kompensiert wurden. Es ist infolgedessen von einer Verkoppelung von Dienstleistungs- und Kreditverträgen auszugehen, welche ihrerseits Gegenstand von Verbraucherverträgen (
Art. 13 Abs. 1 Ziff. 2 LugÜ
) sind. Diese Verbindung von Kommissions- und Kreditgeschäften rechtfertigt es, die Streitsache als Verbraucherstreitigkeit zu qualifizieren, auch wenn nicht von der Hand zu weisen ist, dass der Beklagte in gewissem Sinn selbst als Anbieter aufgetreten ist, indem er Briefmarken veräussert hat. Die Subsumtion des vorliegenden Streitgegenstandes unter den Begriff einer Verbraucherstreitigkeit stellt allerdings einen Grenzfall dar, der nur aufgrund seiner Besonderheiten sowie nach dem Grundsatz, dass im Zweifel ein Konsumentenvertrag anzunehmen ist, diesem Begriff untersteht. Dabei kann offenbleiben, ob reine Kommissionsverträge - wie sie im Auktionswesen üblich sind - allgemein unter den Begriff der Verbraucherstreitigkeit fallen.
Wie aus der dargestellten Rechtsprechung folgt, spielt keine Rolle, ob der Verbraucher das Geschäft in Gewinnabsicht abgeschlossen und daraus einen Erlös erzielt hat.
b) Nach den tatsächlichen Feststellungen der Vorinstanz sind auch die übrigen Voraussetzungen der Werbung sowie der Vornahme der zum
BGE 121 III 336 S. 344
Vertragsschluss erforderlichen Rechtshandlungen im Wohnsitzstaat gegeben, welche als Tatfragen das Bundesgericht binden (
Art. 63 Abs. 2 OG
). Die Klägerin macht denn auch nicht geltend, die Vorinstanz habe die Rechtsbegriffe der Werbung und der erforderlichen Rechtshandlungen zum Vertragsabschluss im Sinne von
Art. 13 Abs. 1 Ziff. 3 LugÜ
verkannt. Infolgedessen richtet sich die Zuständigkeit nach
Art. 14 Abs. 2 LugÜ
. Die Klage ist daher am Wohnsitz des Beklagten zu erheben. | null | nan | de | 1,995 | CH_BGE | CH_BGE_005 | CH | Federation |
d1d4c0c0-04dc-4a5d-bfe5-35fd665bf7c0 | Urteilskopf
115 Ia 321
49. Auszug aus dem Urteil des Kassationshofes vom 26. Oktober 1989 i.S. X. gegen A. und B. AG sowie Staatsanwaltschaft und Kassationsgericht des Kantons Zürich (staatsrechtliche Beschwerde) | Regeste
1. Art. 4, 58 Abs. 1,
Art. 64bis Abs. 2 BV
;
Art. 6 Ziff. 1 EMRK
;
Art. 94 OG
; Nichtbeachten einer aufschiebenden Wirkung, Folgen.
Entscheidet eine kantonale Behörde in einem Verfahren, in welchem das Bundesgericht einer Beschwerde die aufschiebende Wirkung (vorsorglich oder superprovisorisch) gewährt hat, so begeht sie eine formelle Rechtsverweigerung, was in jedem Fall zur Aufhebung des angefochtenen Entscheids führt (E. 3c).
2.
Art. 70 ff. StGB
; Ruhen der Verfolgungsverjährung.
Während der Behandlung kassatorischer Rechtsmittel gegen ein in formelle Rechtskraft erwachsenes verurteilendes Erkenntnis läuft die Verfolgungsverjährung nicht weiter; in dieser Zeit kann deshalb die absolute Verjährung nicht eintreten (Bestätigung der Rechtsprechung; E. 3e). | Sachverhalt
ab Seite 322
BGE 115 Ia 321 S. 322
Das Bezirksgericht Zürich verurteilte X. am 17. April 1986 wegen wiederholter Sachbeschädigung und wiederholter und fortgesetzter versuchter Nötigung zu 6 Monaten Gefängnis unbedingt. Am 6. April 1987 bestätigte das Obergericht diesen Schuldspruch zur Hauptsache und bestrafte den Beschwerdeführer mit 3 Monaten Gefängnis, wiederum unter Verweigerung des bedingten Strafvollzugs.
Gegen dieses Urteil erhob X. sowohl kantonale als auch eidgenössische Nichtigkeitsbeschwerde. Am 30. Juni 1988 reichte er beim Kassationsgericht ein Ablehnungsbegehren gegen sämtliche ordentlichen Mitglieder und Ersatzmitglieder des Kassationsgerichts ein. Das Büro des Zürcher Kantonsrats beschloss am 8. September 1988, auf das Begehren nicht einzutreten. Dagegen erhob X. am 12. Oktober 1988 staatsrechtliche Beschwerde. Gleichzeitig stellte er ein Gesuch um aufschiebende Wirkung, dem das Bundesgericht am 24. Oktober 1988 entsprach. Am 7. November 1988 urteilte das Kassationsgericht in der Sache.
X. führt staatsrechtliche Beschwerde und beantragt, der Entscheid des Kassationsgerichts vom 7. November 1988 sei aufzuheben.
Während die Staatsanwaltschaft auf eine Vernehmlassung verzichtete, beantragen das Kassationsgericht, die A. sowie die B. AG sinngemäss Abweisung der Beschwerde.
Das Bundesgericht heisst die Beschwerde gut.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
3.
a) Der Beschwerdeführer macht geltend, das Kassationsgericht habe am 7. November 1988 seinen Entscheid gefällt, obwohl das Bundesgericht einer staatsrechtlichen Beschwerde in dieser Sache aufschiebende Wirkung gewährt habe. Gemäss einem Urteil des Bundesgerichts vom 13. April 1983 hätte das Kassationsgericht bis zum Erlass einer gegenteiligen Verfügung des Bundesgerichts nichts mehr unternehmen und insbesondere kein Urteil fällen dürfen. Indem das Kassationsgericht trotzdem in der Sache entschieden habe, habe es Art. 4, 58 Abs. 1 und
Art. 114 BV
sowie
Art. 6 Ziff. 1 EMRK
verletzt.
b) Die Organisation der Rechtspflege und des gerichtlichen Verfahrens ist grundsätzlich Sache der Kantone (
Art. 64 Abs. 3
BGE 115 Ia 321 S. 323
und
Art. 64bis Abs. 2 BV
). Dazu gehört auch die Umschreibung der Ausstands- und Ablehnungsgründe. Indessen ergeben sich aus der bundesrechtlichen Garantie des verfassungsmässigen Richters und aus
Art. 6 Ziff. 1 EMRK
gewisse Minimalanforderungen an das kantonale Verfahrensrecht, insbesondere ein Anspruch auf Beurteilung durch einen unabhängigen und nach den einschlägigen Gesetzen zur Behandlung einer Sache zuständigen Richter (
BGE 105 Ia 159
E. 3, 174 f. E. 3a, mit Hinweisen).
c) Vorliegend stellt sich die Frage, ob das Kassationsgericht in der Sache hätte entscheiden dürfen, nachdem der Präsident der I. öffentlichrechtlichen Abteilung des Bundesgerichts mit superprovisorischer Verfügung am 24. Oktober 1988 die aufschiebende Wirkung angeordnet hatte. Die Zuständigkeit des Abteilungspräsidenten zum Erlass einer solchen Verfügung ergibt sich aus
Art. 94 OG
. Als einstweilige oder vorsorgliche Verfügung wird diejenige bezeichnet, die nach Anhörung der Gegenpartei zu einem entsprechenden Gesuch erlassen wird; sofort nach Eingang des Begehrens können mit einer superprovisorischen Verfügung Anordnungen getroffen werden, die bis zum Entscheid über die vorsorgliche Verfügung gelten (vgl. BIRCHMEIER, Bundesrechtspflege, S. 398). Hinsichtlich der Verbindlichkeit für die kantonalen Instanzen stehen sich die beiden Arten provisorischer Verfügungen gleich (nicht veröffentlichtes Urteil der I. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 13. April 1983 i.S. Näf c. Gerber). Das Kassationsgericht bringt zu Recht vor, dass im neuen Formular, welches im vorliegenden Verfahren verwendet wurde, von der Erhaltung des bestehenden Zustands nicht mehr die Rede ist. Dieser Textteil wurde aber weggelassen, weil er als ungerechtfertigte Einschränkung der Wirkung einer superprovisorischen Verfügung aufgefasst worden ist. Gemäss
Art. 94 OG
können diejenigen vorsorglichen Verfügungen getroffen werden, die erforderlich sind, um den bestehenden Zustand zu erhalten oder bedrohte rechtliche Interessen einstweilen sicherzustellen. Die neue Formulierung wurde gewählt, um Vollziehungsvorkehren - bis zur entsprechenden Präzisierung in der vorsorglichen Verfügung - in beiden Richtungen hin zu untersagen.
Entscheidet eine kantonale Behörde, obwohl ihre rechtmässige Zusammensetzung und Unvoreingenommenheit vor Bundesgericht streitig und der entsprechenden Beschwerde (vorsorglich oder superprovisorisch) aufschiebende Wirkung beigelegt worden ist, so begeht sie eine formelle Rechtsverweigerung. Ein
BGE 115 Ia 321 S. 324
solches Verhalten stellt einen klaren Verstoss gegen die geltende Rechtsmittelordnung dar, wonach eine untere Instanz verbindliche Anordnungen einer übergeordneten zu befolgen hat; auch untergräbt es das Vertrauen des Bürgers in ein rechtsstaatliches Verfahren. Deshalb muss eine solche formelle Rechtsverweigerung zur Aufhebung des angefochtenen Entscheids führen, unbekümmert darum, ob dieser in der Folge anders ausfallen wird oder nicht (vgl.
BGE 103 Ia 16
). Sonst würde es letztlich den kantonalen Behörden überlassen, die Erfolgsaussichten einer Beschwerde betreffend Ausstand abzuschätzen und sich gegebenenfalls über eine superprovisorische oder vorsorgliche Verfügung hinwegzusetzen. In Fällen, in denen das Bundesgericht in der Folge eine Beschwerde entgegen der Annahme der kantonalen Behörde gutheissen würde, könnte dies eine untragbare Verschlechterung des Rechtsschutzes des Beschwerdeführers bewirken. Selbst wenn wie vorliegend das Beschwerdeverfahren, in dessen Rahmen die superprovisorische Verfügung ergangen war, für den Beschwerdeführer negativ endete und man sich fragen kann, ob der Beschwerdeführer bei dieser Sachlage noch ein schützenswertes Interesse an der von ihm erhobenen Rüge hat, ist der angefochtene Entscheid aufzuheben. Diese Lösung ergibt sich aus der formellen Natur der formellen Rechtsverweigerung (vgl. WALTER KÄLIN, Das Verfahren der staatsrechtlichen Beschwerde, S. 245 f.). Ebenfalls dafür spricht die vorerwähnte grundsätzliche Bedeutung einer superprovisorischen Verfügung und deren Tragweite in anderen Bereichen wie z.B. in Bausachen.
d) Aufgrund der Verfügung des Präsidenten der I. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 24. Oktober 1988 hätte das hängige Verfahren nicht weitergeführt werden dürfen. Die Entscheidfällung des Kassationsgerichts vom 7. November 1988 stellt somit eine formelle Rechtsverweigerung dar, die zur Aufhebung des angefochtenen Urteils führt.
e) Im übrigen ist darauf hinzuweisen, dass eine kantonale Instanz nach Eingang einer superprovisorischen Verfügung des Bundesgerichts nötigenfalls ein Gesuch um Aufhebung oder Abänderung der Verfügung stellen kann, wenn sachliche Gründe dafür sprechen. Denn eine derartige Verfügung ist jederzeit abänderbar und das Bundesgericht wird, wenn z.B. die Verschiebung einer Verhandlung mit grossen Nachteilen verbunden wäre oder der Eintritt der Verjährung droht, solchen Gesichtspunkten Rechnung tragen müssen.
BGE 115 Ia 321 S. 325
Während der Behandlung kassatorischer Rechtsmittel gegen ein verurteilendes Erkenntnis läuft die Verfolgungsverjährung nicht weiter, wenn dieses wie hier in formelle Rechtskraft erwachsen ist (
BGE 111 IV 90
f. E. a und b mit Hinweisen). Deshalb ist in casu die Verjährungsfrist sowohl während des Verfahrens vor dem Zürcher Kassationsgericht wie auch während des vorliegenden staatsrechtlichen Beschwerdeverfahrens stillgestanden. Die Zeit des Ruhens ist bei der Berechnung der Verjährung in Abzug zu bringen (THORMANN/VON OVERBECK, Schweizerisches Strafgesetzbuch,
Art. 72 N 1
). Die Verzögerung, die sich durch die Gutheissung der staatsrechtlichen Beschwerde ergibt, kann sich also verjährungsrechtlich nicht zugunsten des Beschwerdeführers auswirken. Insbesondere droht auch keine absolute Verjährung gemäss
Art. 72 Ziff. 2 Abs. 2 StGB
, da diese Bestimmung nur die Verjährungsverlängerung durch verjährungsunterbrechende Handlungen unterbindet (vgl.
BGE 90 IV 65
). Damit erweisen sich die Befürchtungen der Beschwerdegegner als unbegründet, dem Beschwerdeführer gelinge es mit seiner Taktik, die absolute Verjährung herbeizuführen. | public_law | nan | de | 1,989 | CH_BGE | CH_BGE_002 | CH | Federation |
d1d88895-8357-4b63-9f87-5e36dbeef8ad | Urteilskopf
108 V 100
25. Auszug aus dem Urteil vom 17. Mai 1982 i.S. K. gegen Arbeitslosenkasse des Kantons Zürich und Rekurskommission für die Arbeitslosenversicherung des Kantons Zürich | Regeste
Art. 24 Abs. 2 lit. c AlVG
und
Art. 15 Abs. 2 AlVV
.
Wann hat ein Werkstudent als vermittlungsfähig zu gelten? | Erwägungen
ab Seite 101
BGE 108 V 100 S. 101
Aus den Erwägungen:
2.
Auch bei einem Studenten, der studiumbegleitend oder zwischen einzelnen Studienabschnitten einer Erwerbstätigkeit nachgeht, beurteilt sich nach den allgemeinen versicherungsrechtlichen Voraussetzungen, ob ihm ein Anspruch auf Arbeitslosenentschädigung zusteht. Dabei stellt sich insbesondere die Frage nach der Vermittlungsfähigkeit. Zur Vermittlungsfähigkeit gehört nicht nur die Arbeitsfähigkeit im objektiven Sinne, sondern auch die subjektive Bereitschaft des Versicherten, seine Arbeitskräfte entsprechend seinen körperlichen und geistigen Fähigkeiten sowie seinen persönlichen Verhältnissen während der üblichen Arbeitszeit einzusetzen (ARV 1979 Nr. 7 S. 49).
Es gilt zu unterscheiden zwischen Studenten, welche ganz- oder teilzeitlich eine dauerhafte Erwerbstätigkeit ausüben, und solchen, die nur sporadisch Gelegenheitsarbeit übernehmen. Der Student, der - allenfalls unter Inkaufnahme eines zeitlich erheblich verlängerten Studienganges - vor Eintritt der Arbeitslosigkeit im Prinzip voll erwerbstätig war, sein Studium nebenbei absolviert und weiterhin zu voller Erwerbstätigkeit bereit und imstande wäre, hat als vermittlungsfähig zu gelten (ARV 1977 Nr. 18 S. 90).
Ob ein teilzeitbeschäftigter Student vermittlungsfähig ist, beurteilt sich nach der Regel des
Art. 15 Abs. 1 AlVV
, wonach Versicherte, die vor der Arbeitslosigkeit teilzeitbeschäftigt waren, nicht als vermittlungsfähig gelten, wenn sie nicht bereit und in der Lage sind, mindestens eine Halbtagsstelle anzunehmen. Ob diese Voraussetzung in einem konkreten Fall erfüllt ist, muss nach der im Sozialversicherungsrecht geltenden Regel des Wahrscheinlichkeitsbeweises erstellt sein.
Insbesondere stellt sich die Frage nach der Vermittlungsfähigkeit jener Studenten, die nur bereit sind, für kürzere Zeitspannen oder sporadisch einer Erwerbstätigkeit nachzugehen. Solche Studenten befinden sich in einer ähnlichen Lage wie jene Versicherten, die sich einer Organisation für temporäre Arbeit für eine Reihe von Arbeitseinsätzen von unregelmässiger Dauer und Häufigkeit zur Verfügung stellen, aber keine feste Stelle annehmen wollen. Diese Personen gelten erst von dem Zeitpunkt an als vermittlungsfähig, da sie bereit sind, eine feste Stelle von einer gewissen minimalen Dauer anzunehmen, und dadurch ihre Vermittlungsbereitschaft bekunden (ARV 1977 Nr. 15 S. 78). In analoger Weise muss
BGE 108 V 100 S. 102
einem Studenten, der sich nur für einzelne, relativ kurz dauernde Arbeitseinsätze zur Verfügung stellt, die Vermittlungsbereitschaft und damit die Vermittlungsfähigkeit abgesprochen werden.
3.
a) Der Beschwerdeführer hat zwischen dem 1. Juni 1979 und dem 31. August 1980 mehrere Arbeitsstellen in der Region Zürich innegehabt. Vom Juni bis zu seiner fristlosen Entlassung am 22. Juli 1979 war er als Nachtportier mit 50 Wochenstunden im Hotel Helmhaus tätig. Vom 31. Juli bis zur Kündigung durch den Arbeitgeber am 17. August 1979 arbeitete er als Sekretariatsaushilfe einer in der Arbeitgeberbescheinigung nicht näher bezeichneten Firma, die ihm 100 Arbeitsstunden bescheinigte. Anschliessend war er Aushilfe in der Firma Kühlapparate GmbH Sibir, wo er 40 Arbeitsstunden absolvierte. Diese Anstellung war zum vornherein bis Ende August 1979 befristet. Vom 15. Oktober 1979 bis 30. Juni 1980 war er als Hilfsarbeiter bei der Firma Messerli Kunststoffe AG angestellt. Die wöchentliche Arbeitszeit betrug - nach den eigenen Angaben des Beschwerdeführers gegenüber der Arbeitslosenkasse - im Durchschnitt rund 20 Stunden. Diese Stelle hat er wegen Meinungsverschiedenheiten mit dem Arbeitgeber aufgegeben. Zum Teil während des gleichen Zeitraumes, nämlich vom 4. November 1979 bis 29. Februar 1980, war der Beschwerdeführer während einer wöchentlichen Normalarbeitszeit von 18 Stunden im Hotel Waldhaus-Dolder beschäftigt. Diese Stelle wurde ihm wegen übertriebener Lohnforderungen und schlechter Leistungen wieder gekündigt. In der Zeit vom 4. November 1979 bis 29. Februar 1980 betrug die wöchentliche Arbeitszeit des Beschwerdeführers somit rund 38 Stunden. Schliesslich arbeitete er vom 1. Juli bis 31. August 1980 wiederum als Nachtportier bei einer wöchentlichen Arbeitszeit von 50 Stunden im Hotel Central, wo ihm ebenfalls seitens der Arbeitgeberfirma gekündigt wurde. Am 15. September 1980 begann seine erste Stempelperiode, die bis zum 27. September 1980 dauerte.
Vom 29. September 1980 hinweg war der Beschwerdeführer bei der Firma Medac Treuhand AG, und am 10. November 1980 begann die zweite Stempelperiode, die am 17. November 1980 durch die Arbeitsaufnahme bei der Migros beendet wurde.
b) Aus diesen Darlegungen ergibt sich, dass der Beschwerdeführer seit der Aufnahme einer Erwerbstätigkeit im Juni 1979 bis zum Beginn der ersten Stempelperiode wöchentlich zwischen 38 und 50 Stunden gearbeitet hat. Ausgenommen sind lediglich die Monate März bis Juni 1980, als die wöchentliche durchschnittliche
BGE 108 V 100 S. 103
Arbeitszeit 20 Stunden betrug. In den beiden der Arbeitslosigkeit unmittelbar vorangegangenen Monaten entsprach seine wöchentliche Arbeitszeit jedoch wieder einer ganztägigen Beschäftigung. Der Meldung des Städtischen Arbeitsamtes Zürich vom 23. September 1980 an die Arbeitslosenkasse ist ferner zu entnehmen, dass der Beschwerdeführer damals eine Arbeit von täglich vier Arbeitsstunden suchte und nachmittags an der Universität Vorlesungen besuchen wollte. Wie viele Stunden er dann ab 29. September 1980 bis zur zweiten Stempelperiode bei der Treuhandfirma Medac effektiv gearbeitet hat, ist aus den Akten nicht ersichtlich.
Diese Gegebenheiten zeigen mit hinreichender Zuverlässigkeit, dass für beide Stempelperioden die Vermittlungsbereitschaft und Vermittlungsfähigkeit des Beschwerdeführers bejaht werden muss. Und da dieser nach übereinstimmender Feststellung von Vorinstanz und Arbeitslosenkasse auch den gesetzlich erforderlichen Beschäftigungsnachweis erbringen kann (Art. 9 Abs. 2 AlVB), hat er für beide Stempelperioden grundsätzlich Anspruch auf Arbeitslosenentschädigung. | null | nan | de | 1,982 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
d1db4d5f-ee4d-4bdd-bb94-6a4f44e76d60 | Urteilskopf
83 II 66
11. Sentenza 8 marzo 1957 della II Corte civile nella causa Torriani contro Società Ferrovie Regionali Ticinesi. | Regeste
Art. 11 des Bundesgesetzes vom 25. September 1917 über Verpfändung und Zwangsliquidation von Eisenbahn- und Schiffahrtsunternehmungen (VZEG).
1. In welchem Verfahren sind Streitigkeiten zu erledigen, die sich im Sinne dieser Norm zwischen einer Bahmmternehmung und ihren Pfandgläubigern erheben? (Erw. 1).
2. Inhalt und Tragweite des Pfandrechts der Gläubiger von Eisenbahn- und Schiffahrtsunternehmungen, wie es vom VZEG geprägt worden ist. An welche Schranken ist das Recht der Pfandgläubiger gebunden, gegen eine Veräusserung von Grundbesitz oder Betriebsmaterial der Unternehmung Einsprache zu erheben? (Erw. 2-4). | Sachverhalt
ab Seite 66
BGE 83 II 66 S. 66
A.-
Le Ferrovie Regionali Ticinesi (FRT), una società anonima con sede a Locarno, esercitano le Tranvie elettriche
BGE 83 II 66 S. 67
locarnesi, la linea ferroviaria delle Centovalli da Locarno a Camedo come pure la ferrovia Locarno-Bignasco. Quest'ultima, già di proprietà della società anonima Locarno-Pontebrolla-Bignasco (LPB), è passata alle FRT, che l'esercitavano sin dal 1922 in virtù di un contratto di locazione, con la fusione delle due società, decisa nel 1952. Oltre a queste linee ferroviarie e tranviarie, le FRT avevano assunto, all'inizio della seconda guerra mondiale, l'esercizio della navigazione sul bacino svizzero del Lago Maggiore. Con decreto dell'11 luglio 1952, la II Corte civile del Tribunale federale omologò, a conclusione dell'opera di risanamento intrapresa dalla Confederazione e dal Cantone Ticino in favore delle FRT e della LPB, un concordato proposto dalla LPB nel luglio 1951. In virtù di questo concordato, i prestiti ipotecari della LPB e delle FRT furono riuniti in uno solo di 1 057 350 fr., garantito da un'ipoteca di primo grado su tutti gli impianti delle linee Locarno-Camedo e Locarno-Pontebrolla-Bignasco, nonchè su "gli immobili destinati all'esercizio del servizio di navigazione sul Lago Maggiore e l'effettivo delle navi e il loro equipaggiamento compreso il materiale d'esercizio e gli accessori".
B.-
Durante le trattative condotte nel 1955 tra l'Italia e la Svizzera circa il finanziamento dei lavori di sviluppo e di elettrificazione di alcune vie d'accesso alla Svizzera, fu discusso un miglioramento delle condizioni di traffico anche per la ferrovia delle Centovalli. Da parte italiana, si profittò tuttavia dell'occasione per chiedere che la navigazione sul Lago Maggiore fosse esclusivamente assunta, come già era il caso prima dell'ultima guerra. mondiale, da una società italiana. In compenso, la navigazione su tutto il Lago di Lugano sarebbe stata riservata a una società svizzera.
In seguito a queste trattative, le parti conclusero diversi accordi i quali prevedevano segnatamente quanto segue: a) la Confederazione svizzera concede alla Società subalpina di imprese ferroviarie, a Roma (Subalpina), che gestisce il
BGE 83 II 66 S. 68
tratto italiano della ferrovia delle Centovalli, un prestito di circa 2 milioni di franchi; b) le FRT e la Subalpina si impegnano ad acquistare e a mettere in circolazione due elettrotreni leggeri ciascuna; c) la navigazione sul Lago Maggiore è assunta esclusivamente da una società italiana a contare dal 10 ottobre 1956, mentre quella sul Lago di Lugano è riservata a una società svizzera.
Conformemente a questi accordi e d'intesa con il Dipartimento federale delle poste e delle ferrovie, le FRT cedettero il loro parco di natanti, composto di quattro battelli, alla Gestione Governativa Italiana Navigazione Lago Maggiore per il 10 ottobre 1956. Secondo una convenzione conclusa tra le FRT e le autorità federali e cantonali di vigilanza, il prezzo di vendita, di 1 060 000 fr., deve servire all'acquisto dei due elettrotreni leggeri, il cui costo sarà di 1 200 000 fr. L'importo di 1 060 000 fr. è stato versato alla Banca dello Stato del Cantone Ticino, a Bellinzona, e rimarrà ivi bloccato, sotto la vigilanza dell'Ufficio federale dei trasporti, finchè non potrà essere destinato al pagamento degli elettrotreni ordinati.
C.-
Con istanza del 23 maggio 1956, il rappresentante degli obbligazionisti delle FRT Guido Torriani, a Locarno, si è rivolto al Tribunale federale, chiedendo la convocazione di un'assemblea degli obbligazionisti, conformemente all'art. 1185 cp. 2 CO. A suo modo di vedere, la vendita dei battelli rientrava nel campo delle decisioni che l'art. 1170 CO riserva alla comunione degli obbligazionisti.
In data 22 luglio 1956, la II Corte civile del Tribunale federale ha giudicato la domanda degli obbligazionisti irricevibile per il motivo che solo le FRT potevano proporre la convocazione di un'assemblea degli obbligazionisti a norma dell'art. 1185 CO. Essa ha invece ritenuto che l'istanza potesse essere considerata come una contestazione a norma dell'art. 11 cp. 2 della legge federale 25 settembre 1917 concernente la costituzione di pegni sulle imprese di strade ferrate e di navigazione e la liquidazione forzata di queste imprese (LPSF).
BGE 83 II 66 S. 69
Invitato a modificare la sua domanda in questo senso, Guido Torriani ha chiesto, il 20 agosto 1956, in via principale che la vendita dei natanti non fosse approvata se le FRT non si obbligavano a destinare il ricavo alla tacitazione degli obbligazionisti; in via subordinata, che il ricavo di detta vendita fosse bloccato fino a quando le FRT non avessero iscritto il diritto di pegno degli obbligazionisti sui due nuovi elettrotreni e che le FRT fossero nel contempo obbligate a pagare agli obbligazionisti medesimi, entro 30 giorni dalla notificazione della sentenza del Tribunale federale, una somma di 300 000 fr., pari al minor valore dei due elettrotreni rispetto ai natanti ceduti.
A motivazione di queste conclusioni, l'attore Torriani espone in sostanza quanto segue: I battelli venduti costituivano il patrimonio di maggior valore delle FRT e l'unico facilmente realizzabile. Il valore del materiale ferroviario è dubbio, come è dubbio se un risanamento vero e proprio della linea deficitaria delle Centovalli potrà un giorno essere attuato. Quanto la situazione sia precaria per gli obbligazionisti, appare già dalla circostanza che i piani di risanamento delle FRT prevedono oggi di tacitarli completamente con il versamento di un'aliquota pari al 10% del valore nominale delle obbligazioni.
D.-
Nella loro risposta, le FRT propongono la reiezione dell'opposizione interposta dal rappresentante degli obbligazionisti FRT, in sostanza per i motivi seguenti: Già il valore reale degli immobili ipotecati, che nella contabilità è esposto in oltre 6 milioni, è di gran lunga superiore all'importo del prestito in obbligazioni, di 963 000 fr. Aggiungasi che pure il valore dei nuovi elettrotreni è superiore a quello dei battelli ceduti. In realtà, la riorganizzazione delle FRT, che ha reso necessaria la cessione dei battelli all'Italia, non solo non danneggia i creditori pignoratizi, ma ne consolida la situazione, se si considera che nell'ambito del piano di risanamento allo studio altri acquisti e altre costruzioni verranno ad accrescere il valore dei pegni attuali.
BGE 83 II 66 S. 70
E.-
Invitato a presentare le sue osservazioni, il Dipartimento federale delle poste e delle ferrovie ha confermato in sostanza l'esposizione fatta dalla convenuta. Circa l'affermazione dell'attore secondo cui i nuovi elettrotreni non avrebbero più gran valore in caso di liquidazione dell'impresa, esso rileva che v'è oggi una forte richiesta di materiale rotabile moderno per le linee private a scartamento ridotto e che già per questo motivo l'opinione dell'attore medesimo non può essere condivisa.
F.-
Nel corso di un tentativo di conciliazione, che ha avuto luogo a Locarno il 31 agosto 1956, l'attore ha dichiarato di non opporsi all'esecuzione del contratto di vendita dei battelli alla condizione che il ricavo di questa transazione rimanesse bloccato fino alla decisione della contestazione, ma ha confermato per il rimanente tutte le sue conclusioni. Dopo lo scambio di replica e duplica, le parti non hanno chiesto l'assunzione di prove e hanno rinunciato al dibattimento preparatorio orale.
Erwägungen
Considerando in diritto:
1.
Circa la procedura che dev'essere applicata in caso di contestazioni tra un'impresa ferroviaria e i suoi creditori pignoratizi a norma dell'art. 11 cp. 2 LPSF non esistono disposizioni esplicite. L'art. 1 PCF prevede in generale che la legge di procedura civile federale regola la procedura nelle cause civili giudicate dal Tribunale federale come giurisdizione unica e indicate negli
art. 41 e 42
OG. Ora, questi due articoli precisano i diversi casi in cui il Tribunale federale amministra la giustizia civile come istanza unica, senza menzionare le cause di diritto civile deferite al Tribunale federale, come in concreto, dalla legislazione federale.
Cionondimeno, solo la procedura civile federale può entrare in considerazione per il giudizio delle cause di questa natura, giacchè trattasi pure qui di contestazioni civili direttamente sottoposte al giudizio del Tribunale federale. In mancanza di speciali prescrizioni della LPSF
BGE 83 II 66 S. 71
stessa, la procedura civile federale deve essere applicata, conformemente a quanto l'Organizzazione giudiziaria del 22 marzo 1893 già prevedeva del resto esplicitamente nel suo art. 50, num. 6.
2.
Il diritto di pegno dei creditori di imprese ferroviarie e di navigazione costituisce, nel disciplinamento datogli dalla LPSF, un'ipoteca sui generis, che differisce notevolmente dal diritto di pegno ordinario. In particolare, il debitore non perde ogni facoltà di disporre, senza il consenso del creditore, dell'oggetto dato in pegno. Così, egli può apportare "modificazioni" ai beni stabili e al materiale ipotecati senza che i creditori possano opporvisi in nessun modo; quando tali modificazioni sono state apportate, il pegno è limitato all'effettivo esistente all'atto della liquidazione (art. 11 LPSF).
Tuttavia, questo diritto di disposizione non è assoluto e le pretese dei creditori sono lungi dall'essere ridotte a una specie di privilegio fallimentare sui beni ancora esistenti al momento della liquidazione. Sempre a norma dell'art. 11 LPSF, i creditori hanno a loro disposizione, contro le misure che dovessero esporre a pericolo i loro diritti, il rimedio dell'opposizione. Questa è segnatamente ammissibile contro la vendita dell'azienda o di singole parti della stessa e contro l'alienazione di beni stabili o di materiale d'esercizio. Circa i presupposti di tale opposizione dei creditori, l'art. 11 LPSF si limita a dire che essa è possibile qualora sia "compromessa la sicurezza del credito". Tenuto conto dei due principî fondamentali della LPSF, secondo cui i creditori pignoratizi non possono recare incaglio all'esercizio dell'impresa e il pegno è limitato all'effettivo esistente all'atto della liquidazione, è tuttavia evidente che la sicurezza del credito non può essere compromessa nel senso del disposto citato quando la riduzione del valore della garanzia ipotecaria sia solo temporanea. Occorre al contrario che la sicurezza del credito sia compromessa durevolmente e agli effetti di un'eventuale liquidazione forzata. Se tale non è il caso,
BGE 83 II 66 S. 72
l'azienda può prendere ogni e qualsiasi misura conforme all'interesse dell'esercizio, senza che i creditori pignoratizi abbiano il diritto di opporvisi.
3.
Esaminata alla luce di queste considerazioni, l'opposizione degli obbligazionisti FRT deve in ogni modo essere respinta nella misura in cui è domandato che il prestito in obbligazioni sia rimborsato anticipatamente, nel suo importo totale o almeno in parte, con il ricavo della vendita dei battelli. Infatti, l'attore nemmeno pretende che una liquidazione forzata delle FRT sia prevista in un prossimo avvenire o che una liquidazione siffatta potrebbe sin d'ora essere proposta per il motivo che le FRT non avrebbero adempiuto gli obblighi loro incombenti a tenore del concordato concluso nel 1952. Tutt'al più, gli obbligazionisti FRT avrebbero potuto esigere, se il loro credito fosse compromesso e se ciò non recasse incaglio all'esercizio dell'impresa, il trasferimento della garanzia ipotecaria dai battelli alla loro pretesa sul prezzo ricavato.
Sennonchè, ammettere la possibilità di costituire un pegno sul ricavo della vendita dei battelli equivarrebbe in concreto ad autorizzare il blocco definitivo di una somma che è necessaria alle FRT per l'acquisto, conformemente al piano di risanamento, dei due elettrotreni previsti. Ne segue che a una conclusione siffatta si sarebbe comunque opposto l'interesse di quell'esercizio dell'impresa cui i creditori non possono, giusta l'art. 11 LPSF, recare incaglio in nessun caso. L'attore contesta invero qualsiasi valore, in quanto misura destinata a migliorare l'esercizio, al previsto acquisto dei due elettrotreni. Il suo ragionamento non può tuttavia essere condiviso, tanto più quando si consideri che tale acquisto non è se non una delle misure previste nell'ambito di un piano più vasto di risanamento. In realtà, è manifesto che i due nuovi elettrotreni sono necessari per migliorare l'esercizio della linea delle Centovalli e che il loro acquisto, a motivo dell'influsso favorevole che avrà anche sulla retribuzione dei capitali e sugli ammortamenti,
BGE 83 II 66 S. 73
è conforme all'interesse tanto delle FRT quanto degli stessi creditori pignoratizi.
Circa l'acquisto di questi elettrotreni in un prossimo avvenire e la destinazione del ricavo della vendita dei battelli a tale scopo nessun dubbio è possibile in concreto, cosicchè il problema che qui ancora si pone è unicamente quello di sapere se i pegni già esistenti e il pegno che sarà successivamente costituito sui due elettrotreni acquistati con il ricavo della vendita dei battelli avranno press'a poco il medesimo valore agli effetti di un'eventuale liquidazione futura delle FRT. Per il rimborso anticipato, totale o anche solo parziale, del prestito in obbligazioni manca una qualsiasi base legale.
4.
Tenuto conto di quanto è stato esposto nei considerandi precedenti, la risposta alla questione se il trasferimento del pegno dai battelli ai nuovi elettrotreni comprometta la sicurezza del credito degli obbligazionisti FRT non può essere che negativa. Il Tribunale federale giunge a questa conclusione dopo aver costatato che il valore dei due elettrotreni, il cui prezzo d'acquisto è di circa 1 200 000 franchi, non potrà essere notevolmente inferiore, in caso di una liquidazione futura dell'impresa, a quello che avrebbero potuto avere i battelli. L'affermazione dell'attore che in una liquidazione "autotreni di scartamento anormale potranno tutt'al più essere venduti come ferro vecchio" non è verosimile e non è comunque stata documentata in nessun modo dall'attore medesimo. Più conforme alla realtà dev'essere ritenuta l'opinione dell'Ufficio federale dei trasporti, secondo cui gli elettrotreni di cui si tratta potrebbero sempre, nella peggiore ipotesi, essere ceduti vantaggiosamente ad altre ferrovie private svizzere, la richiesta di materiale rotabile moderno essendo assai forte nel settore delle linee a scartamento ridotto.
Aggiungasi che l'opposizione dei creditori pignoratizi delle FRT non sarebbe fondata nemmeno se il valore delle due nuove composizioni di treni fosse effettivamente inferiore, già allo stato di nuovo, di circa 300 000 fr. a
BGE 83 II 66 S. 74
quello dei battelli venduti - come l'attore pretende. L'opposizione a norma dell'art. 11 LPSF non può infatti essere interposta già quando il valore di un elemento del pegno sia diminuito ma solo quando la diminuzione di valore degli oggetti ipotecati nel loro insieme sia tale da "compromettere" la sicurezza del credito, sia cioè tale da esporre a pericolo i diritti dei creditori pignoratizi. Tale condizione non è evidentemente attuata in concreto, dato che all'ammontare complessivo del prestito in obbligazioni, di 963 000 fr., corrispondono garanzie ipotecarie che nel loro insieme devono essere giudicate più che sufficienti e non sono comunque notevolmente inferiori a quelle esistenti prima della vendita dei battelli. Vero è che il valore reale di molti elementi degli altri pegni, valutati nella contabilità in oltre 6 milioni di franchi, sarebbe assai basso in caso di liquidazione. Ciò vale segnatamente per i ponti e per i fondi attraversati dai binari. La situazione sarebbe però molto più favorevole per esempio per le stazioni e i terreni adiacenti, cosicchè devesi in ogni modo escludere che la sicurezza del credito sia stata compromessa nel suo insieme dalla vendita dei battelli all'Italia.
Dispositiv
Il Tribunale federale pronuncia:
L'opposizione è respinta. | public_law | nan | it | 1,957 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
d1db50ba-143f-48fc-89ad-7de9a7147996 | Urteilskopf
139 II 340
24. Auszug aus dem Urteil der II. öffentlich-rechtlichen Abteilung i.S. A. Corp. gegen Eidgenössische Steuerverwaltung (Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten)
2C_324/2013 vom 22. Mai 2013 | Regeste
Art. 42 Abs. 2 und
Art. 84a BGG
; Anforderungen an die Begründung des Vorliegens einer Grundsatzfrage.
In analoger Anwendung von
Art. 132 BGG
sind die am 1. Februar 2013 in Kraft getretenen Änderungen des BGG auf jene Fälle anwendbar, in denen das angefochtene Urteil des Bundesverwaltungsgerichts nach diesem Datum ergangen ist (E. 3).
Ist eine Beschwerde nur unter der Voraussetzung zulässig, dass sich eine Rechtsfrage von grundsätzlicher Bedeutung stellt, so ist auszuführen, warum die jeweilige Voraussetzung erfüllt ist, es sei denn, dies treffe ganz offensichtlich zu. Fälle, in denen eine Rechtsfrage von grundsätzlicher Bedeutung vorliegen kann (E. 4).
Das blosse Benennen von Fragen mit angeblicher grundsätzlicher Bedeutung lässt keine Rückschlüsse darauf zu, warum diese Eigenschaft gegeben sein soll (E. 5). | Erwägungen
ab Seite 341
BGE 139 II 340 S. 341
Aus den Erwägungen:
3.
Dem vorliegenden Verfahren liegt ein Amtshilfegesuch des Internal Revenue Service (IRS) gestützt auf Art. 26 Ziff. 1 des Abkommens vom 2. Oktober 1996 zwischen der Schweizerischen Eidgenossenschaft und den Vereinigten Staaten von Amerika zur Vermeidung der Doppelbesteuerung auf dem Gebiet der Steuern vom Einkommen (DBA-USA 96; SR 0.672.933.61) zugrunde. Das Bundesgesetz vom 28. September 2012 über die internationale Amtshilfe in Steuersachen (StAhiG; SR 672.5) regelt den Vollzug der Amtshilfe nach den Abkommen zur Vermeidung der Doppelbesteuerung (vgl.
Art. 1
BGE 139 II 340 S. 342
Abs. 1 lit. a StAhiG
). Gemäss
Art. 24 StAhiG
gelten die Ausführungsbestimmungen, die sich auf den Bundesbeschluss vom 22. Juni 1951 über die Durchführung von zwischenstaatlichen Abkommen des Bundes zur Vermeidung der Doppelbesteuerung (BB-DBA; SR 672.2) stützen, allerdings weiter für die Amtshilfeersuchen, die beim Inkrafttreten dieses Gesetzes bereits eingereicht waren. Das StAhiG ist am 1. Februar 2013 in Kraft getreten und somit auf das vorliegende Verfahren, welches durch ein Ersuchen vom 3. Juli 2012 eingeleitet wurde, nicht anwendbar.
Im Rahmen der Schlussbestimmungen des StAhiG wurde auch das Bundesgerichtsgesetz vom 17. Juni 2005 geändert und die Beschwerde auf dem Gebiet der internationalen Amtshilfe in Steuersachen unter gewissen Voraussetzungen zugelassen (vgl. AS 2013 231, insb. S. 240). In analoger Anwendung von
Art. 132 Abs. 1 BGG
, der vorsieht, dass das BGG auf Beschwerdeverfahren anwendbar ist, sofern der angefochtene Entscheid nach dem Inkrafttreten des BGG ergangen ist, sind die am 1. Februar 2013 in Kraft getretenen Änderungen des BGG auf den vorliegenden Fall anwendbar, da das angefochtene Urteil des Bundesverwaltungsgerichts am 29. März 2013 ergangen ist.
4.
Gemäss
Art. 84a BGG
ist gegen einen Entscheid auf dem Gebiet der internationalen Amtshilfe in Steuersachen die Beschwerde nur zulässig, wenn sich eine Rechtsfrage von grundsätzlicher Bedeutung stellt oder wenn es sich aus anderen Gründen um einen besonders bedeutenden Fall im Sinne von Art. 84 Abs. 2 handelt.
Nach
Art. 42 Abs. 2 BGG
ist in der Begründung in gedrängter Form darzulegen, inwiefern der angefochtene Akt Recht verletzt. Ist eine Beschwerde nur unter der Voraussetzung zulässig, dass sich eine Rechtsfrage von grundsätzlicher Bedeutung stellt oder ein besonders bedeutender Fall nach Art. 84 oder 84a BGG vorliegt, so ist auszuführen, warum die jeweilige Voraussetzung erfüllt ist (vgl.
BGE 138 I 143
E. 1.1.2 S. 147;
BGE 133 II 396
E. 2.2 S. 398 f.;
BGE 133 IV 131
E. 3 S. 132), es sei denn, dies treffe ganz offensichtlich zu (vgl.
BGE 133 II 353
E. 1 S. 356; Urteil 2C_1166/2012 vom 27. November 2012 E. 3.1). Wie
Art. 84 BGG
bezweckt auch
Art. 84a BGG
die wirksame Begrenzung des Zugangs zum Bundesgericht im Bereich der internationalen Amtshilfe in Steuerangelegenheiten. Ein besonders bedeutender Fall ist daher mit Zurückhaltung anzunehmen. Bei der Beantwortung der Frage, ob ein besonders bedeutender Fall
BGE 139 II 340 S. 343
gegeben ist, steht dem Bundesgericht ein weiter Ermessensspielraum zu (vgl.
BGE 134 IV 156
E. 1.3.1 S. 160).
Das Gesetz enthält nach dem ausdrücklichen Wortlaut von
Art. 84 Abs. 2 BGG
eine nicht abschliessende, nur beispielhafte Aufzählung von möglichen besonders bedeutenden Fällen. Das Vorliegen einer Rechtsfrage von grundsätzlicher Bedeutung ist regelmässig zu bejahen, wenn deren Entscheid für die Praxis wegleitend sein kann, namentlich, wenn von unteren Instanzen viele gleichartige Fälle zu beurteilen sein werden (vgl. Botschaft des Bundesrates vom 28. Februar 2001 zur Totalrevision der Bundesrechtspflege, BBl 2001 4202, 4309 Ziff. 4.1.3.1). Damit Fälle als gleichartig angesehen werden können, genügt es nicht, dass sich dieselbe Rechtsfrage in weiteren Verfahren stellen wird. Die zu beurteilende Streitsache muss überdies geeignet sein, die Frage auch mit Bezug auf die anderen Fälle zu klären. Diese Voraussetzung ist nicht erfüllt, wenn entscheidrelevante Eigenheiten bestehen, die bei den anderen Fällen in der Regel nicht gegeben sind (vgl. Urteil 4A_477/2010 vom 21. Dezember 2010 E. 1.1). Eine Rechtsfrage von grundsätzlicher Bedeutung ist unter Umständen auch anzunehmen, wenn es sich um eine erstmals zu beurteilende Frage handelt, die einer Klärung durch das Bundesgericht bedarf (vgl.
BGE 136 IV 20
E. 1.2 S. 22). Es muss sich allerdings um eine Rechtsfrage handeln, deren Entscheid für die Praxis wegleitend sein kann und von ihrem Gewicht her nach einer höchstrichterlichen Klärung ruft (vgl.
BGE 138 I 232
E. 2.3 S. 236,
BGE 134 III 143
E. 1.1.2 S. 147;
BGE 137 III 580
E. 1.1 S. 582 f.;
BGE 134 III 354
E. 1.3 S. 356 f.; Urteile 2C_116/2007 vom 10. Oktober 2007 E. 4.2; 2C_634/ 2008 vom 11. März 2009 E. 1.3). Aber auch eine vom Bundesgericht bereits entschiedene Rechtsfrage kann von grundsätzlicher Bedeutung sein, wenn sich die erneute Überprüfung aufdrängt. Dies kann zutreffen, wenn die Rechtsprechung in der massgebenden Lehre auf erhebliche Kritik gestossen ist (vgl.
BGE 134 III 354
E. 1.3 S. 356 f.; BBl 2001 4202,
BGE 134 III 4310
Ziff. 4.1.3.1). Rechtsfragen von grundsätzlicher Bedeutung können sich ebenfalls nach dem Erlass neuer materiell- oder verfahrensrechtlicher Normen stellen (vgl.
BGE 135 III 1
E. 1.3 S. 4 f.;
BGE 134 III 115
E. 1.2 S. 117). Ein Eintreten rechtfertigt sich schliesslich auch, wenn sich aufgrund der internationalen Entwicklungen Fragen von grundsätzlicher Bedeutung stellen (vgl. Botschaft des Bundesrates vom 6. Juli 2011 zum Erlass eines Steueramtshilfegesetzes, BBl 2011 6193, 6224 Ziff. 2.7.1).
BGE 139 II 340 S. 344
5.
Die Beschwerdeführerin stellt in ihrer Beschwerde eine Liste von 19 Fragen auf, welche sie mit der folgenden Bemerkung einleitet: "Im vorliegenden Verfahren stellen sich die folgenden Rechtsfragen von grundsätzlicher Bedeutung". Sie nimmt zudem drei Fragen aus dieser Liste unter dem Gesichtspunkt der Rechtsfrage von grundsätzlicher Bedeutung nochmals auf und macht dabei folgende Bemerkungen: Unter Ziff. 64 führt sie aus, "eine Rechtsfrage ist nicht nur im Verhältnis zu den USA, sondern allgemein von grundsätzlicher Bedeutung, ob das schweizerische Recht noch einen Unterschied zulässt zwischen
beneficial owner
und
beneficiary
". Unter Ziff. 127 erwähnt sie, es sei eine Rechtsfrage von grundsätzlicher Bedeutung, ob unter dem Aspekt der Arglist es sich bei der Verwendung einer Domizilgesellschaft und, eine Stufe höher, bei der Verwendung einer Trust- oder Stiftungsstruktur um (i) einen strafbaren Abgabebetrug oder (ii) um eine straffreie Steuerumgehung oder (iii) um die Verwendung einer legitimen Rechtsgestaltung handle. Schliesslich führt sie unter Ziff. 140 aus, es sei eine Rechtsfrage von grundsätzlicher Bedeutung, inwiefern ein bisher der Interpretation zugänglicher Begriff des Abgabebetruges des
Art. 14 Abs. 2 VStrR
(SR 313.0), der damals in den parlamentarischen Beratungen nicht diskutiert worden sei, durch richterliche Praxis rückwirkend zunehmend kriminalisiert werde.
Diese Ausführungen enthalten keinerlei Begründung dafür, weshalb die aufgeworfenen Fragen - welche teilweise nicht einmal als Rechtsfragen zu qualifizieren sind, sondern appellatorische Kritik an der von der Vorinstanz vorgenommenen Beurteilung des Sachverhalts darstellen - in Anwendung der erwähnten Grundsätze von grundsätzlicher Bedeutung sein sollen oder weshalb es sich um einen besonders bedeutenden Fall handeln soll. Das blosse Benennen von Fragen mit angeblicher grundsätzlicher Bedeutung, die nicht auf der Hand liegt, lässt keine Rückschlüsse darauf zu, warum diese grundsätzliche Bedeutung - und damit die Eintretensvoraussetzung - gegeben sein soll. Auf die Beschwerde ist somit mangels begründetem Vorliegen einer Rechtsfrage von grundsätzlicher Bedeutung nicht einzutreten. | public_law | nan | de | 2,013 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
d1e6c046-6481-470d-80d5-fad9b2daced2 | Urteilskopf
120 Ib 59
10. Auszug aus dem Urteil der I. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 28. Februar 1994 i.S. Komitee für eine umweltgerechte Bahn 2000 gegen Schweizerische Bundesbahnen, Kreisdirektion II, und Präsident der Eidgenössischen Schätzungskommission, Kreis 6 (Verwaltungsgerichtsbeschwerde) | Regeste
Legitimation zur Anfechtung der Aussteckung für ein Eisenbahnprojekt.
Die Befugnis zur Einreichung einer Beschwerde gegen die Aussteckung ist - gleich wie die Legitimation zur Einsprache gegen das Projekt selbst - auch bei Eisenbahn-Bauvorhaben nur insoweit gegeben, als in räumlicher Hinsicht eine nahe Beziehung zum Streitobjekt besteht. | Sachverhalt
ab Seite 59
BGE 120 Ib 59 S. 59
Auf Gesuch der Schweizerischen Bundesbahnen (SBB), Kreisdirektion II, eröffneten die Präsidenten der Eidgenössischen Schätzungskommissionen, Kreise 6, 7 und 8, im Dezember 1992 das kombinierte Plangenehmigungs- und Enteignungsverfahren für die im Rahmen des Konzeptes "Bahn 2000" zu erstellende Neubaustrecke Mattstetten-Rothrist. Vor der öffentlichen Auflage der Pläne, die in allen betroffenen Gemeinden vom 18. Januar bis 8.
BGE 120 Ib 59 S. 60
März 1993 stattfand, überprüften die Schätzungskommissions-Präsidenten stichprobeweise die Aussteckungen und ordneten vereinzelt Ergänzungen an.
Mit Eingabe vom 8. März 1993 hat das "Komitee für eine umweltgerechte Bahn 2000" in der Gemeinde Kirchberg gegen das Neubau-Projekt Einsprache erhoben und unter anderem geltend gemacht, die vorgenommene Aussteckung sei ungenügend und müsse wiederholt werden. Insbesondere seien Aufschüttungen, Anböschungen und Überführungen nicht profiliert worden, sodass sich der Laie, der im Lesen von Plänen ungeübt sei, vom Projekt kein verlässliches Bild habe machen können. Diese Einwendungen sind vom Präsidenten der Eidgenössischen Schätzungskommission, Kreis 6, mit Entscheid vom 28. Juli 1993 abgewiesen worden.
Gegen den Entscheid des Schätzungskommissions-Präsidenten hat das "Komitee für eine umweltgerechte Bahn 2000" beim Bundesgericht Verwaltungsgerichtsbeschwerde erhoben. Es rügt erneut, dass die Profilierung auf der ganzen Neubaustrecke mangelhaft gewesen sei und die Auswirkungen des Projekts auf die Umgebung nur ungenügend habe erkennen lassen.
Das Bundesgericht tritt auf die Beschwerde nicht ein aus folgenden
Erwägungen
Erwägungen:
1.
Die Entscheide der Präsidenten der Eidgenössischen Schätzungskommissionen, die in Anwendung von Art. 29 Abs. 2 des Bundesgesetzes über die Enteignung (EntG; SR 711) und Art. 16 f. der Verordnung für die eidgenössischen Schätzungskommissionen (VESchK; SR 711.1) ergehen, sind mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde anfechtbar (
BGE 109 Ib 130
E. 1a S. 132, nicht publ. Entscheid vom 16. Mai 1990 i.S. F.-S. gegen Mittel-Thurgau-Bahn; s.a.
BGE 112 Ib 419
E. 2b und c S. 420 ff.). Das vom "Komitee für eine umweltgerechte Bahn 2000" ergriffene Rechtsmittel ist somit grundsätzlich zulässig. Hingegen fragt sich, ob dieses Komitee, das als Verein gemäss
Art. 60 ff. ZGB
gegründet wurde, zur Beschwerdeführung befugt sei:
a) Die Beschwerdeführerin leitet ihre Legitimation aus
Art. 103 lit. c OG
ab und beruft sich in diesem Zusammenhang auf Art. 25 Abs. 2 der Verordnung über die Planvorlagen für Eisenbahnbauten (PVV-EB; SR 742.142.1) in Verbindung mit Art. 10 Abs. 2 und Art. 14 Abs. 1 des Bundesbeschlusses über das Plangenehmigungsverfahren für Eisenbahn-Grossprojekte (BB PVEB; SR 742.100.1). Die Bestimmung von Art. 25 Abs. 2 PVV-EB verweist jedoch nur
BGE 120 Ib 59 S. 61
auf die allgemeinen Legitimationsvorschriften und räumt - im Gegensatz zu Art. 12 des Bundesgesetzes über den Natur- und Heimatschutz (NHG; SR 451) und Art. 55 des Bundesgesetzes über den Umweltschutz (USG; SR 814.01) - den ideellen Organisationen kein zusätzliches Beschwerderecht ein. Das Komitee, das keine gesamtschweizerische Natur- und Heimatschutzvereinigung im Sinne von
Art. 12 Abs. 1 NHG
bildet und nicht zu den vom Bundesrat zur Beschwerde ermächtigten Umweltschutzorganisationen gehört, könnte daher nur aufgrund von
Art. 103 lit. a OG
Beschwerde führen, wenn es wie eine natürliche Person in seinen eigenen Interessen betroffen wäre oder wenn es seinen Statuten gemäss die Interessen einer Mehrheit oder doch einer grossen Anzahl seiner Mitglieder vertreten würde, von denen jedes selbst zur Einreichung einer Beschwerde legitimiert wäre (
BGE 113 Ib 364
E. 2a S. 365,
BGE 104 Ib 381
S. 382 ff.).
Das "Komitee für eine umweltgerechte Bahn 2000" behauptet nicht, wie ein Anwohner oder ein in das Enteignungsverfahren einbezogener Grundeigentümer betroffen zu sein. Es macht indessen geltend, als Mitglieder gehörten ihm 52 politische Gemeinden des Oberaargaus und des solothurnischen Wasseramtes sowie über 900 vornehmlich aus dem Einzugsgebiet der Neubaustrecke stammende Einzelpersonen an, die in ihrer Mehrheit durch das Projekt unmittelbar betroffen seien und selbst zur Einreichung einer Einsprache oder Beschwerde befugt wären. Ob dem so sei, wird jedoch nicht belegt und liesse sich auch durch das angebotene Nachreichen einer blossen Mitgliederliste nicht beweisen. Weitere Abklärungen in dieser Richtung können jedoch schon deshalb unterbleiben, weil das beschwerdeführende Komitee nach dem Gesagten zu den von ihm erhobenen generellen Einwendungen gegen die Aussteckung und Profilierung des Projekts nur legitimiert sein könnte, wenn seine Mitglieder zu einer solchen allgemeinen Kritik befugt wären. Das trifft jedoch, wie sich im folgenden erweist, nicht zu.
b) Zweck der Aussteckung ist, die durch das Werk bedingten Veränderungen im Gelände offenkundig zu machen und damit den Werkplan, aus dem Art, Umfang und Lage des Werkes, Sicherheitszonen und weitere Vorkehren ersichtlich sein müssen (
Art. 27 Abs. 1 EntG
), zu veranschaulichen und zu verdeutlichen. Die Pläne, die Aussteckung und die allenfalls zusätzlich anzubringende Profilierung sollen dem Betroffenen ein Bild über das Werk und dessen Auswirkungen verschaffen und es ihm dadurch ermöglichen, seine
BGE 120 Ib 59 S. 62
Rechte im fraglichen Zeitpunkt des Verfahrens wirksam zu verteidigen, d.h. seine Einsprache gegen das Werk in Kenntnis der Sache vorzubringen und seine Entschädigungsforderung zu begründen (
Art. 35 und 36 EntG
;
BGE 109 Ib 132
, 137 E. 4b und c). Wie in
BGE 118 Ib 510
E. 2dd S. 516 dargelegt, steht dieser Anspruch, über das geplante Werk ins Bild gesetzt zu werden, nicht nur den Enteigneten, sondern auch den Privaten zu, die durch das Projekt zwar nicht in ihren Rechten, aber doch in schutzwürdigen Interessen betroffen werden. Soll also die Aussteckung den Betroffenen gestatten, ihre Rechte und Interessen im Einspracheverfahren zu wahren, so muss die Befugnis zur Einreichung einer Beschwerde gegen die Aussteckung ebenso weit reichen wie die Legitimation zur Einsprache selbst, kann aber auch nicht weiter gehen als diese.
c) Einsprache gegen ein im kombinierten Verfahren zu genehmigendes Eisenbahnprojekt kann gemäss Art. 25 Abs. 2 PVV-EB erheben, wer nach dem Enteignungsgesetz dazu berechtigt oder nach dem VwVG Partei ist. Die Einsprachelegitimation richtet sich also gleich wie die Beschwerdebefugnis nach den allgemeinen Bestimmungen über die Bundesrechtspflege (vgl. Art. 11 des Eisenbahngesetzes). Zur Einsprache ist mithin berechtigt, wer durch die Projektpläne berührt ist und ein schutzwürdiges Interesse an deren Aufhebung oder Änderung hat (
Art. 48 VwVG
). Dieses Interesse kann rechtlicher oder auch nur tatsächlicher Natur sein, doch muss der Einsprecher durch das Projekt stärker als jedermann betroffen sein und in einer besonderen, beachtenswerten, nahen Beziehung zur Streitsache stehen (
BGE 116 Ib 447
E. 1b S. 450,
BGE 115 Ib 387
E. 2a S. 389, je mit Hinweisen). Diese Nähe der Beziehung zum Streitgegenstand muss bei Bauprojekten insbesondere in räumlicher Hinsicht gegeben sein (vgl. die Übersicht in
BGE 112 Ib 154
S. 159 f.).
Zu dieser Voraussetzung der räumlichen Nähe ist zunächst in der bundesgerichtlichen Rechtsprechung zum Nationalstrassenbau festgehalten worden, dass der vom Strassenbau betroffene Private nicht allgemein an der geplanten Linienführung Kritik üben dürfe. Vielmehr habe er konkret aufzuzeigen, inwiefern das Ausführungsprojekt im Bereiche seines Grundstücks gegen Bundesrecht verstosse (
BGE 118 Ib 206
S. 214 f.,
BGE 112 Ib 543
S. 550,
BGE 111 Ib 26
S. 29 f., 290 E. 1 S. 291 f.). Insoweit unterscheide sich das Beschwerderecht des Privaten von jenem der Organisationen, die aufgrund von
Art. 103 lit. c OG
und der Spezialgesetzgebung zur Beschwerde
BGE 120 Ib 59 S. 63
legitimiert sind, durch das Projekt selbst nicht betroffen sein müssen und deshalb nicht nur Abschnitte, sondern das ganze Werk in Frage stellen können (vgl.
BGE 118 Ib 206
E. 8c S. 215 f.). Nun besteht, wie das Bundesgericht bereits im nicht publizierten Entscheid vom 12. Januar 1993 i.S. Sch. gegen SBB und EVED erklärt hat, kein Grund, den Privaten im eisenbahnrechtlichen Plangenehmigungsverfahren anders zu behandeln als im nationalstrassenrechtlichen Einspracheverfahren. Wohl sieht das Eisenbahnrecht - mit Ausnahme des Bundesbeschlusses über den Bau der schweizerischen Eisenbahn-Alpentransversale vom 4. Oktober 1991 (vgl. Art. 11; SR 742.104) - keine generelle Projektierung vor und besteht daher keine Bindung an einen insbesondere die allgemeine Linienführung festlegenden Genehmigungsbeschluss des Bundesrates. Ähnliche Wirkungen können indessen von den Grundsatzentscheiden des Parlamentes über die Neubaustrecken ausgehen (s. Art. 16 Abs. 3 BB PVEB). Ausschlaggebend für die Begrenzung des Beschwerderechts ist aber, dass sich - wie dargelegt - die Einsprache- und Beschwerdebefugnis des Privaten auch im eisenbahnrechtlichen Plangenehmigungsverfahren nach den allgemeinen Bestimmungen über die Bundesrechtspflege richtet, welche nach dem Gesagten eine vor allem örtlich nahe Beziehung des Einsprechers zum umstrittenen Projekt verlangt und sein persönliches Betroffensein voraussetzt (vgl. auch
BGE 115 Ib 424
E. 4c S. 432 f.).
d) Können somit die Privaten im eisenbahnrechtlichen Einsprache- und Beschwerdeverfahren nur insoweit zugelassen werden, als sie Einwendungen gegen das Projekt bzw. gegen die Aussteckung im Bereiche ihrer Grundstücke erheben, und sind sie zu Rügen, die sich gegen den Streckenteil ausserhalb dieses Bereiches richten, nicht befugt, so kann auch der die Interessen solcher Anwohner vertretende Verein nicht legitimiert sein, allgemein das Projekt anzufechten oder generell die Aussteckung der ganzen Strecke zu kritisieren. Auf die Beschwerde des "Komitees für eine umweltgerechte Bahn 2000" ist daher nicht einzutreten. Übrigens besteht umso weniger Anlass, von dieser noch aus der Zeit vor Einführung des Umweltschutzgesetzes stammenden Rechtsprechung abzuweichen, als der Gesetzgeber durch die Übertragung des Beschwerderechts an die gesamtschweizerischen Organisationen dafür gesorgt hat, dass die Umweltschutzanliegen bei der Projektierung öffentlicher Werke nunmehr unabhängig von den privaten Interessen der Betroffenen wahrgenommen werden können. | public_law | nan | de | 1,994 | CH_BGE | CH_BGE_003 | CH | Federation |
d1eba945-f761-46f1-9535-c8dea5ec603f | Urteilskopf
109 II 395
83. Estratto della sentenza 24 novembre 1983 della II Corte civile nella causa X. contro Dipartimento di giustizia della Repubblica e Cantone del Ticino (ricorso per riforma) | Regeste
Entmündigung wegen Verurteilung zu einer Freiheitsstrafe (
Art. 371 ZGB
).
Im Entmündigungsverfahren gilt die Offizialmaxime, wonach die Behörde von Amtes wegen die notwendigen Beweise zur Abklärung der konkreten Umstände zu erheben hat. Im Falle des
Art. 371 ZGB
, wo sich die Behörde auf eine gesetzliche Vermutung berufen kann, ist jene nicht gehalten, von sich aus eine Untersuchung über die Notwendigkeit der Bevormundung durchzuführen. Hat sie jedoch Kenntnis von Indizien, die geeignet sind, die gesetzliche Vermutung umzustossen, muss sie diese Indizien von Amtes wegen überprüfen, und zwar unabhängig davon, woher die Informationen stammen und was die vom Entmündigungsverfahren betroffene Person anerkennt. | Sachverhalt
ab Seite 396
BGE 109 II 395 S. 396
A.-
Prevenuto colpevole di ripetuto e continuato furto e complicità in furto, ripetuto e continuato trasporto e occultamento di materie esplosive, ripetuta e continuata ricettazione, X. è stato condannato il 30 ottobre 1981 dalla Corte delle assise criminali del Cantone Ticino a due anni e sette mesi di reclusione (compresi 212 giorni già scontati in carcere preventivo). Al condannato è stata inflitta, inoltre, la pena accessoria dell'incapacità a esercitare una funzione statale. Il 12 febbraio 1982 la Delegazione tutoria del Comune di domicilio ha nominato a X. un tutore (nella persona del padre) in virtù dell'
art. 371 CC
.
B.-
Insorto il 22 febbraio 1982 al Dipartimento di giustizia del Cantone Ticino quale autorità di vigilanza sulle tutele, X. ha sostenuto l'inutilità e la dannosità della risoluzione comunale, chiedendone l'annullamento. Con decisione del 5 luglio 1983 il Dipartimento di giustizia ha confermato la tutela istituita dall'autorità comunale, osservando come l'interessato, privo di mezzi finanziari, avesse ancora maggior bisogno di aiuto e assistenza; egli, d'altro lato, non aveva dimostrato la pretesa inopportunità della tutela.
C.-
Il 5 settembre 1983 X. ha introdotto al Tribunale federale un ricorso per riforma in cui si duole dell'erronea applicazione dell'
art. 371 CC
. Il Dipartimento di giustizia del Cantone Ticino riafferma in modo implicito la legittimità della decisione impugnata.
Erwägungen
Dai considerandi:
1.
È soggetta a tutela giusta l'
art. 371 CC
ogni persona
BGE 109 II 395 S. 397
maggiorenne condannata a una pena privativa della libertà per un anno o più. La tutela fondata sull'
art. 371 CC
si estingue con l'espiazione della pena, ma non con la liberazione temporanea o condizionale (
art. 432 CC
), nemmeno se il periodo di prova fissato dall'autorità a norma dell'
art. 38 n. 2 CP
si rivela più lungo della durata residua della condanna (
DTF 84 II 677
; EGGER in: Zürcher Kommentar, 2a edizione, nota 3 ad
art. 432 CC
).
La giurisprudenza del Tribunale federale, rinunciando a interpretare l'
art. 371 CC
come un caso imprescindibile di tutela, ravvisa nello stesso una presunzione relativa, confutabile con la dimostrazione che, in concreto, il compito del tutore risulta completamente privo d'oggetto, tanto dal profilo personale quanto da quello economico (
DTF 104 II 14
consid. 4). Secondo la prassi più recente tale controprova non va giudicata con eccessivo rigore: l'interdizione prescritta dall'
art. 371 CC
non discende infatti dalla gravità della condanna, bensì dall'impedimento per il detenuto di provvedere adeguatamente alla salvaguardia dei propri interessi (
DTF 109 II 11
con richiami).
2.
a) L'autorità cantonale giustifica l'istituzione della tutela con l'argomento che il ricorrente, oltre a non disporre di mezzi finanziari, non ha neppure infirmato con prove la presunzione dell'
art. 371 CC
. A parere del ricorrente, invece, si verificano le premesse per evitare la nomina di un tutore: egli ricorda di essere celibe e di aver sempre curato i propri interessi - anche durante la carcerazione - senza far capo a enti statali, e ciò grazie all'aiuto della famiglia e degli amici; in secondo luogo assevera che la designazione di un tutore non solo riuscirebbe inutile, trovandosi egli in libertà condizionata e avendo già reperito un'occupazione, ma dannosa, dovendo essere pubblicata sul foglio ufficiale (
art. 375 CC
).
b) L'
art. 371 CC
costituisce una norma protettiva che, analogamente ai casi di tutela previsti dagli
art. 369 e 370 CC
, permette di limitare la libertà personale ove esista un'effettiva e seria condizione di bisogno (
DTF 109 II 11
con riferimenti). L'autorità cantonale evoca le insufficienti ricorse economiche del ricorrente per confermare la necessità della tutela. Se non che un eventuale stato di indigenza può essere rimediato con l'assistenza tra parenti (art. 328 segg. CC) o con l'assistenza sociale, ma non implica la creazione di una tutela, a meno che l'interessato sia soggettivamente incapace di amministrarsi (
art. 370 CC
). Siffatta incapacità non è stata accertata dall'autorità cantonale, né emerge dagli atti. La decisione impugnata rinvia a torto all'
art. 406 CC
:
BGE 109 II 395 S. 398
questa norma riguarda esclusivamente le funzioni del tutore e non ha pertinenza con i motivi di tutela.
c) Ritenuto come la presunzione dell'
art. 371 CC
non sia confortata da elementi di fatto, resta da esaminare se la medesima appaia smentita da circostanze concrete, tali da sottrarre alla missione del tutore ogni opportunità. Secondo il Dipartimento di giustizia l'onere della controprova incombe all'interessato, non all'autorità. Il Dipartimento disconosce tuttavia che in materia d'interdizione vige, conformemente al diritto federale, il principio inquisitorio, per cui l'autorità deve esperire d'ufficio le prove necessarie ad appurare la fattispecie (SCHNYDER/MURER in: Berner Kommentar, 3a edizione, note 117 segg. ad
art. 373 CC
con citazioni; TUOR/SCHNYDER, ZGB, ristampa della 9a edizione, pag. 329). Il principio inquisitorio non esime l'interessato dal sostanziare e documentare le proprie allegazioni (
DTF 106 Ib 80
consid. 2aa con richiami) né impone all'autorità l'obbligo di assumere mezzi probatori, il cui presumibile risultato non porterebbe chiarimenti di rilievo (
DTF 106 Ia 162
consid. 2b con riferimenti). Per di più, una volta accertati i requisiti dell'
art. 371 CC
, l'autorità non è tenuta a promuovere di sua iniziativa un'ulteriore inchiesta sulla necessità della tutela, proprio perché può già valersi di una presunzione legale. Nondimeno, ove giunga a conoscenza di indizi suscettibili di invalidare la presunzione dell'
art. 371 CC
, l'autorità deve verificare i fatti d'ufficio, indipendentemente dalla provenienza delle informazioni o dalle ammissioni dell'interessato. Ciò vale, a maggior ragione, qualora l'autorità statuisca - come in concreto - oltre un anno dopo l'introduzione della procedura, sia di primo o di secondo grado. Del resto, se l'esigenza di protezione dell'interessato è posta in causa, l'autorità cantonale d'ultima istanza deve valutare le circostanze al momento in cui è chiamata a decidere (SCHNYDER/MURER, op.cit., nota 228 ad
art. 373 CC
con rinvio alla sentenza 12 gennaio 1958 della II Corte civile pubblicata in: Rivista di diritto tutelare, vol. 14/1959, pag. 71 consid. 3).
Nel caso in questione le autorità ticinesi non hanno svolto alcuna indagine sull'effettiva necessità della tutela, che il ricorrente ha sempre contestato giovandosi del sostegno dei familiari, né hanno vagliato la possibilità di un intervento meno pregiudizievole per il ricorrente (inabilitazione, curatela, patronato). Prima che il Dipartimento di giustizia si pronunciasse sembrano essere accaduti, per di più, mutamenti
BGE 109 II 395 S. 399
importanti ed essenziali che non potevano essere negletti: il ricorrente afferma, fra l'altro, di aver beneficiato nel mese di luglio 1982 del regime di semilibertà, di aver ottenuto il 20 dicembre 1982 la libertà condizionata e di essersi infine procurato un lavoro. Verificandosi simili presupposti è evidente che l'imprescindibilità di una tutela non può semplicemente essere presunta: un'istruttoria deve almeno accertare quale indispensabile funzione potrebbe ancora svolgere un tutore nominato in virtù dell'
art. 371 CC
. L'inserto della causa, come giustamente rileva il Dipartimento di giustizia nelle proprie osservazioni, non fornisce alcuna deduzione in proposito. La vertenza va rimandata, quindi, all'autorità cantonale perché completi gli accertamenti di fatto ed emetta una nuova decisione (
art. 64 OG
).
3.
(Spese e ripetibili.)
Dispositiv
Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:
Il ricorso è accolto, la decisione impugnata è annullata e la causa è rinviata all'autorità cantonale per nuovo giudizio nel senso dei considerandi. | public_law | nan | it | 1,983 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
d1ee4c28-48b3-478d-9c49-b06a24ba312e | Urteilskopf
119 Ia 11
3. Extrait de l'arrêt de la IIe Cour civile du 11 février 1993 dans la cause Frédéric et Delphine D. contre Cour de cassation civile II du Tribunal cantonal du canton du Valais (recours de droit public) | Regeste
Art. 4 BV
; unentgeltliche Rechtspflege, Bedürftigkeit.
Es widerspricht
Art. 4 BV
nicht, von einem Grundeigentümer zu verlangen, einen Kredit auf sein Grundstück aufzunehmen, soweit dieses noch belastet werden kann. | Erwägungen
ab Seite 11
BGE 119 Ia 11 S. 11
Extrait des considérants:
3.
a) Selon la jurisprudence, la partie nécessiteuse a droit à l'assistance judiciaire pour mener un procès non dénué de chances de succès. Ce droit la dispense d'avancer ou de garantir les frais de procès, et lui assure, le cas échéant, l'assistance d'un avocat, si elle s'avère nécessaire à la défense de ses intérêts (
ATF 110 Ia 27
,
BGE 119 Ia 11 S. 12
ATF 104 Ia 73
consid. 1,
ATF 99 Ia 327
consid. 2 et les arrêts cités). Le Tribunal fédéral examine d'abord si les dispositions cantonales réglant la matière ont été appliquées de manière arbitraire; lorsque comme en l'espèce tel n'est pas le cas, il examine librement si le droit à l'assistance judiciaire découlant directement de l'
art. 4 Cst.
est violé (
ATF 116 Ia 104
consid. 4a,
ATF 115 Ia 194
consid. 2,
ATF 114 Ia 101
/102 consid. 2,
ATF 114 III 68
consid. 2 et les arrêts cités).
Pour prétendre à l'assistance judiciaire, en vertu de l'
art. 4 Cst.
, le requérant doit être indigent: il ne peut assumer les frais liés à la défense de ses intérêts sans porter atteinte au minimum nécessaire à son entretien et à celui de sa famille (
ATF 103 Ia 100
). Pour déterminer si tel est le cas, il faut prendre en considération les ressources du requérant et, le cas échéant, des personnes qui ont à son égard une obligation d'entretien (
ATF 115 Ia 195
consid. 3a,
ATF 108 Ia 10
consid. 3), notamment ses parents (
ATF 67 I 69
consid. 2; HAEFLIGER, Alle Schweizer sind vor dem Gesetze gleich, Berne 1985, p. 166; à l'exception du procès en paternité:
ATF 99 Ia 436
). Le devoir de l'Etat d'accorder l'assistance judiciaire au plaideur indigent est en effet subsidiaire à l'obligation d'entretien du droit de famille, en particulier dans les rapports entre parents et enfants mineurs (
ATF 103 Ia 101
). Le Tribunal fédéral revoit librement la notion d'indigence; il n'examine cependant que sous l'angle restreint de l'arbitraire les constatations de fait de l'autorité cantonale (
ATF 103 Ia 100
).
5.
Pour déterminer l'indigence du requérant, il faut également tenir compte de sa fortune (
ATF 118 Ia 370
consid. 4), en particulier des immeubles dont il est propriétaire. En l'espèce, il n'est pas contesté que les recourants sont copropriétaires de parts de PPE. Il faut dès lors se demander si, et le cas échéant dans quelle mesure, on peut exiger d'eux qu'ils entament leur fortune immobilière pour soutenir le procès, en sollicitant un prêt garanti par l'immeuble, voire en aliénant celui-ci.
a) Dans un arrêt du 24 février 1982, la Ire Cour de droit public du Tribunal fédéral n'a pas jugé contraire à l'
art. 4 Cst.
la décision selon laquelle le propriétaire d'un immeuble estimé à 199'650 francs et grevé à concurrence de 182'998 francs 20 peut obtenir un crédit supplémentaire sur sa fortune nette, à savoir 16'651 francs 80, pour mener le procès. Le requérant doit en effet mettre à contribution son patrimoine, avant d'exiger de l'Etat l'assistance judiciaire; ce n'est que lorsque l'immeuble ne peut plus être ultérieurement grevé que l'autorité cantonale tombe dans l'arbitraire (arrêt non publié Z. c. K. et Juge-Instructeur II du district de Viège, consid. 6).
BGE 119 Ia 11 S. 13
Cette solution est en accord avec la jurisprudence cantonale et la doctrine, qui estiment également que le propriétaire d'un bien-fonds doit en principe obtenir un crédit garanti par l'immeuble, autant que ce dernier peut encore être grevé (Zurich: BlZR 1969 p. 273; Bâle-Ville: BJM 1987 p. 220 consid. 2; Neuchâtel: RJN 1991 p. 112 consid. 2a, 1986 p. 127 consid. 2, qui cite un arrêt non publié en la cause J. du 12 novembre 1980; Thurgovie: RBOG 1986 p. 69 consid. 3; Valais: RVJ 1982 p. 86 consid. 2; Berne: Circulaire de la Cour d'appel no 18 du 15 novembre 1989, citée dans ATF 118 Ia no 51 précité, consid. 2, non publié; ZEN-RUFFINEN, Assistance judiciaire et administrative: les règles minima imposées par l'
art. 4 Cst.
, JdT 1989 I p. 39; FAVRE, L'assistance judiciaire gratuite en droit suisse, thèse Lausanne 1989, p. 52; RIES, Die unentgeltliche Rechtspflege nach der aargauischen Zivilprozessordnung vom 18. Dezember 1984, thèse Zurich 1990, p. 90/91; contra: DÜGGELIN, Das zivilprozessuale Armenrecht im Kanton Luzern, thèse Zurich 1986, p. 81 en haut).
Ce principe ne saurait être tenu pour contraire à l'
art. 4 Cst.
Il prend moins en considération la valeur de l'immeuble comme telle, que le crédit que celui-ci permet au propriétaire d'obtenir. Dans cette optique, un arrêt neuchâtelois a estimé qu'il faut pareillement tenir compte de la part du requérant dans une succession non partagée (RJN 1982 p. 114; la cour de céans a rejeté le recours de droit public formé contre cette décision: arrêt non publié dame B. c. Tribunal administratif du canton de Neuchâtel du 2 février 1982, consid. 3b, qui relève que la recourante peut "obtenir un prêt sur sa part successorale ou contracter un emprunt garanti par cette part"). | public_law | nan | fr | 1,993 | CH_BGE | CH_BGE_002 | CH | Federation |
d1ee6d1e-4d6a-4c10-b955-0e91ec5a2f0a | Urteilskopf
118 IV 184
32. Extrait de l'arrêt de la Cour de cassation pénale du 1er mai 1992 dans la cause X. c. Département de l'Economie publique du canton du Valais (pourvoi en nullité). | Regeste
Art. 18 lit. c UWG
: irreführende Preisbekanntgabe.
Eine Werbung, die Waren "zu Fabrikpreisen, teilweise bis zu 50% günstiger als im Detailhandel" anpreist, ist zu unbestimmt. Sie schafft die Gefahr der Irreführung des Publikums. | Sachverhalt
ab Seite 184
BGE 118 IV 184 S. 184
X. est directeur d'une fabrique de draps et de couvertures. En 1990, il a fait distribuer dans les ménages du Haut-Valais des papillons publicitaires de format A4, dont le texte principal était le suivant:
"Grosser Heimtextilien-Verkauf
im Hotel Elite/Müller in Brig-Glis
zu Fabrikpreisen
teilweise bis zu 50% günstiger als im Detailhandel
Wer rechnet, kauft zu Fabrikpreisen! - Hier einige Beispiele:
BGE 118 IV 184 S. 185
(...)"
Une liste d'exemples de prix pour divers articles suivait. En tête figuraient les dates et les heures de vente (3 jours, de 9 heures à 18 heures).
Le 20 décembre 1990, le Département de l'Economie publique du canton du Valais (ci-après: le Département) a condamné X. à une amende de 500 francs pour infraction à l'Ordonnance fédérale sur les liquidations (OL, RS. 241.1) et à l'art. 18 de la Loi fédérale sur la concurrence déloyale (RS 241).
Sur appel de X., le Juge instructeur II du district de Sion a considéré que seule l'infraction à la LCD était réalisée et a réduit l'amende à 250 francs (jugement du 26 septembre 1991).
X. a formé un pourvoi en nullité. Il allègue une violation de l'
art. 18 LCD
et demande l'annulation du jugement rendu le 26 septembre 1991.
Erwägungen
Extrait des considérants:
2.
a) D'après l'autorité cantonale de recours, le fait de n'avoir pas indiqué dans le texte du papillon publicitaire les prix pratiqués par la concurrence est déjà discutable en soi. Mais ce qui a été considéré comme déterminant, c'est l'absence de la démonstration par le recourant de la différence de prix annoncée (jusqu'à 50% inférieurs à ceux de la concurrence). Le seul exemple qu'il a cité est celui d'une couverture vendue 12 fr. 70 alors que la Migros l'offre à 20 francs. La différence est de 36,5%, non pas de 50%.
Dès lors, la publicité en cause a été jugée trompeuse et propre à induire le consommateur en erreur quant aux avantages annoncés, ce qui a entraîné l'application de l'
art. 18 LCD
en liaison avec l'
art. 24 al. 1 let
. c LCD.
b) Selon le contrevenant, il serait notoire que les prix de fabrique sont toujours plus bas que ceux de détail. La marge entre ces deux sortes de prix serait bien souvent supérieure à 50%. Cette notion de différence entre le prix de fabrique et le prix de détail serait parfaitement connue du lecteur moyen. Pour cette raison, il aurait été inutile de démontrer, article par article, le pourcentage dont bénéficierait l'acquéreur des produits du recourant.
3.
a) Aux termes de l'
art. 24 al. 1 let
. c LCD, celui qui, intentionnellement, aura indiqué des prix de manière fallacieuse sera puni des arrêts ou de l'amende jusqu'à 20'000 francs. Si l'auteur a agi par négligence, la peine sera l'amende. Selon l'
art. 18 LCD
, il y a indication de prix fallacieuse lorsqu'il est fait usage de procédés propres
BGE 118 IV 184 S. 186
à induire en erreur pour indiquer des prix, ou annoncer des réductions de prix ou mentionner d'autres prix en sus du prix à payer effectivement.
b) Fondé sur les
art. 16, 17 et 20 LCD
, le Conseil fédéral a édicté une ordonnance sur l'indication des prix (OIP; RS 942.211). Celle-ci ne prévoit cependant pas une obligation générale d'indiquer les prix dans la publicité. L'
art. 13 al. 1 OIP
précise toutefois que, lorsque, dans la publicité, des prix sont mentionnés ou des échelons de prix ou des limites de prix sont donnés en chiffres, il y a lieu d'indiquer les prix à payer effectivement. Selon l'
art. 15 OIP
, les dispositions concernant l'indication fallacieuse de prix (art. 16 à 18 OIP) s'appliquent aussi à la publicité. Or, l'
art. 16 OIP
prévoit en principe une interdiction d'indiquer d'autres prix en sus du prix à payer effectivement (prix comparatif; al. 1). L'exception suivante est notamment admise à l'
art. 16 al. 2 let
. c OIP: le vendeur peut indiquer un prix comparatif si ce dernier est effectivement pratiqué par d'autres vendeurs dans le secteur du marché entrant en considération, cela pour une part prépondérante des marchandises ou des prestations de services identiques. Sur demande, le vendeur doit rendre vraisemblable que les conditions justifiant l'indication de prix comparatifs sont remplies (art. 16 al. 2 dernière phrase OIP).
c) Il n'est pas reproché au recourant d'avoir indiqué, à proprement parler, des prix eux-mêmes trompeurs ou d'avoir annoncé des réductions de prix en usant d'un procédé propre à induire en erreur. Il a été condamné pour avoir mentionné d'autres prix (référence à des prix de fabrique) en sus du prix à payer effectivement, et cela d'une fa on propre à induire en erreur. Il est vrai que l'on ne trouve aucun prix de détail comparatif concret et chiffré dans l'annonce en cause; le vendeur s'est limité à indiquer qu'il écoulait ses articles au prix de fabrique, lequel pouvait être, dans certains cas, inférieur de 50% au prix de détail. Il s'agit en conséquence de déterminer si le recourant a usé de procédés propres à induire en erreur en mentionnant d'autres prix en sus de celui à payer effectivement, infraction prévue à l'
art. 18 let
. c LCD (en liaison avec l'
art. 24 let
. c LCD).
D'après la jurisprudence, l'obligation d'indiquer les prix devait à l'origine servir à combattre l'inflation; aujourd'hui, elle est destinée à favoriser une concurrence loyale, à lutter contre les abus et à donner plus de transparence au marché (
ATF 116 IV 376
consid. 2b et jurisprudence citée). Dans un arrêt publié aux
ATF 108 IV 129
, le Tribunal fédéral a admis que l'allusion à des réductions de prix par l'indication - dans une annonce - d'un pourcentage de réduction,
BGE 118 IV 184 S. 187
dont le maximum ne s'applique pas à tous les articles ("jusqu'à 92%"), sans que soient indiqués en même temps ni le prix à payer effectivement ni la description exacte de la marchandise, violait l'art. 17 de l'OIP. Certes, il s'agissait dans ce cas du prix de vente lui-même, non pas - comme dans la présente espèce - d'un prix comparé à un autre prix. Il se justifie cependant de raisonner d'une fa on analogue en matière de prix comparatifs. Cela conduit à exiger aussi des indications précises et chiffrées des prix auxquels ceux du vendeur sont comparés, ainsi qu'une description exacte de la marchandise offerte. Les termes "teilweise bis zu 50% günstiger als im Detailhandel" utilisés par le recourant sont dès lors trop vagues. Ils font naître le danger d'induire le public en erreur. Ainsi, la publicité en cause va à l'encontre des buts de la réglementation sur l'indication des prix (concurrence loyale, lutte contre les abus et transparence du marché).
A cela s'ajoute le fait que le prix de certains articles présentés dans le texte du recourant est imprécis; seule une limite inférieure est indiquée (par exemple: "dès 9.- fr."). Les informations sur les caractéristiques comme la qualité ou la grandeur de la marchandise offerte sont parfois si vagues qu'une comparaison avec les articles du commerce de détail n'est pas possible; pour la même raison, comparer des prix concrets devient impossible.
On note encore que la seule comparaison concrète présentée par le recourant est celle d'une couverture dont le prix était de 36% inférieur à celui demandé par la Migros. La différence de 50% annoncée n'a donc pas été établie. Or, il est clair qu'un prix comparatif fictif ne saurait être admis ni dans la publicité ni lors de la vente (voir THOMAS WYLER, Werbung mit dem Preis als unlauterer Wettbewerb, thèse Bâle 1990, p. 47).
En conséquence, la publicité du recourant contrevient à l'
art. 18 let
. c LCD, ce qui permet de prononcer une amende conformément à l'
art. 24 let
. c LCD. | null | nan | fr | 1,992 | CH_BGE | CH_BGE_006 | CH | Federation |
d1f89e88-2911-4527-afb1-3abc55a8e864 | Urteilskopf
108 Ia 41
10. Arrêt de la IIe Cour de droit public du 12 mars 1982 dans la cause Rivara c. Conseil d'Etat du canton de Genève (recours de droit public) | Regeste
Kultusfreiheit; kirchlicher Umzug auf öffentlichem Grund.
Art. 50 Abs. 1 und 2 BV
; innerhalb der durch diese Bestimmung gesetzten Grenzen sind die Kantone verpflichtet die Abhaltung einer Prozession auf ihrem Gebiet zu gestatten (Bestätigung der Rechtsprechung; E. 2a).
Art. 1 des Genfer Gesetzes über die öffentliche Religionsausübung, welcher jede Art von Prozessionen oder kirchlichen Kundgebungen auf öffentlichen Strassen untersagt, verstösst gegen
Art. 50 BV
(E. 2b und c).
Die Kantone können kirchliche Kundgebungen auf öffentlichem Grund der Bewilligungspflicht unterstellen. Im konkreten Fall war die Verweigerung einer solchen Bewilligung ungerechtfertigt (E. 3). | Sachverhalt
ab Seite 41
BGE 108 Ia 41 S. 41
Par lettre du 24 mars 1981 adressée au Département genevois de justice et police, le recourant Jean-Pierre Rivara a sollicité l'autorisation "d'organiser une manifestation le 12 avril 1981, dont
BGE 108 Ia 41 S. 42
le but est de permettre à la communauté de la paroisse Sainte-Thérèse de se déplacer, en chantant, de l'angle de l'avenue Bertrand jusqu'au 14 de l'avenue Peschier. Cette manifestation commencerait aux alentours de 10 h. 15 et se terminerait vers 10 h. 25." En réalité, il s'agissait pour les responsables de la paroisse d'obtenir l'autorisation d'organiser la procession des Rameaux prévue par la liturgie catholique en souvenir de l'entrée du Christ dans la Ville Sainte de Jérusalem.
Le 6 avril 1981, le chef du Département de justice et police a refusé l'autorisation sollicitée en vertu de l'art. 1er de la loi genevoise du 28 août 1875 sur le culte extérieur, qui interdit formellement "toute célébration de culte, procession ou cérémonie religieuse quelconque sur la voie publique".
Par arrêté sommairement motivé du 10 avril 1981, le Conseil d'Etat a rejeté, comme mal fondé, le recours formé en temps utile contre la décision négative du Département. Il a considéré notamment que "dans un Etat fondé sur le droit, l'autorité doit respecter toutes les lois matérielles ou formelles, même si parfois la solution concrète apparaît inopportune".
Agissant par la voie du recours de droit public pour violation de l'
art. 50 Cst.
, Jean-Pierre Rivara demande au Tribunal fédéral d'annuler cet arrêté du gouvernement genevois.
Le Tribunal fédéral a admis le recours et annulé l'arrêté du Conseil d'Etat genevois du 10 avril 1981, pour les motifs suivants:
Erwägungen
Considérant en droit:
1.
a) La procession, pour laquelle le recourant a sollicité une autorisation des autorités genevoises, devait avoir lieu à une date bien précise (le 12 avril 1981), déterminée par la liturgie catholique (dimanche des Rameaux). Le Département de justice et police puis, sur recours, le Conseil d'Etat ont pu se prononcer sur la demande avant cette date. En revanche, le Tribunal fédéral s'est trouvé dans l'impossibilité de statuer en temps utile sur le présent recours de droit public, qui a été déposé le 4 mai 1981. Pour le recourant comme pour les responsables de la paroisse catholique de Sainte-Thérèse, la demande d'autorisation n'avait donc plus d'utilité au moment où le recours a été formé devant le Tribunal fédéral. Cela ne signifie toutefois pas que les griefs articulés par le recourant soient dépourvus d'un intérêt actuel et pratique au sens de l'
art. 88 OJ
. Le Tribunal fédéral renonce en effet à cette exigence lorsque - comme en l'espèce - elle ferait obstacle au contrôle de
BGE 108 Ia 41 S. 43
la constitutionnalité d'un acte qui peut se reproduire en tout temps, dans des circonstances semblables (
ATF 104 Ia 488
;
ATF 100 Ia 394
consid. 1b).
b) Le justiciable qui - comme le recourant - entend se prévaloir de l'inconstitutionnalité d'une disposition cantonale de portée générale peut former un recours de droit public, soit contre la disposition elle-même dans le délai de trente jours dès sa promulgation, soit contre une décision appliquant cette disposition à un cas particulier, dans le délai de trente jours dès la notification de la décision. En l'occurrence, le délai pour demander l'annulation de l'art. 1er de la loi genevoise du 28 août 1875 est échu depuis longtemps, mais le recourant a la faculté de demander l'annulation de la décision lui refusant d'organiser une procession, prise en application de cette norme (
ATF 104 Ia 437
consid. 4c;
ATF 103 Ia 518
consid. 1a).
c) Formé en temps utile contre une décision prise en dernière instance cantonale, le présent recours de droit public est donc recevable.
2.
A l'appui de son recours, Jean-Pierre Rivara reproche aux autorités genevoises d'avoir appliqué strictement la loi cantonale sur le culte extérieur qui, à son avis, consacre une violation flagrante de la liberté des cultes, telle qu'elle est garantie à l'
art. 50 al. 1 Cst.
a) Comme les autres libertés individuelles garanties par la Constitution fédérale, la liberté de culte n'est pas absolue. Cela résulte du texte même de l'
art. 50 Cst.
, lequel précise non seulement que le libre exercice des cultes est garanti "dans les limites compatibles avec l'ordre public et les bonnes moeurs" (al. 1), mais encore que "les cantons et la Confédération peuvent prendre des mesures pour le maintien de l'ordre public et de la paix entre les membres des diverses communautés religieuses" (...) (al. 2).
Dans son arrêt Vogel du 3 mars 1923 (
ATF 49 I 138
ss), le Tribunal fédéral a précisé les raisons relevant de la police des cultes qui peuvent s'opposer à ce qu'une procession ait lieu sur le domaine public. Il a notamment relevé que dans les pays où la liberté de culte est garantie, on doit pouvoir exiger de toutes les communautés religieuses et de leurs adhérents un certain degré de tolérance réciproque à l'égard des manifestations de culte extérieures. Ainsi, le seul fait que l'exercice en public d'un culte pourrait blesser le sentiment religieux de personnes appartenant à une autre confession ne suffit en principe pas pour que la paix confessionnelle soit troublée. Il faut en outre que la vie en commun
BGE 108 Ia 41 S. 44
soit perturbée ou menacée par le déroulement de la manifestation en public et qu'il en résulte un état de tension préjudiciable. Tel sera le cas si la nature de la manifestation apparaît objectivement inopportune et provocatrice au regard des circonstances locales. La garantie de l'
art. 50 Cst.
ne pourra donc être invoquée en faveur des manifestations qui, en raison du moment, de la localité et de la manière dont le domaine public est mis à contribution, se révèlent comme étant une exhibition superflue, une provocation ou une manoeuvre de prosélytisme (
ATF 49 I 154
consid. 4e). Quant au conflit pouvant résulter entre l'utilisation du domaine public pour y faire des processions et les exigences de la circulation, il devra être résolu selon les circonstances locales, en tenant compte, d'une part, de l'importance du trafic et, d'autre part, de la mesure dans laquelle celui-ci est entravé (
ATF 49 I 152
consid. 4d).
La doctrine admet aussi que la liberté de culte est soumise à certaines restrictions. Pour sa part, Favre relève qu'elle est, en principe, "astreinte aux mêmes limitations que la liberté de croyance; de même que l'individu ne doit pas, en affirmant et en propageant sa croyance, lui donner une forme d'expression illicite, ainsi les communautés religieuses doivent s'abstenir, dans l'accomplissement des actes du culte, de toute atteinte à l'ordre public et aux bonnes moeurs. La conception de l'ordre public a subi dans ce domaine une évolution sensible, correspondant à l'évolution des moeurs dans le sens du respect réciproque à l'égard des membres des différentes communautés religieuses." (Voir ANTOINE FAVRE, Droit constitutionnel suisse, p. 269; voir aussi JEAN-FRANÇOIS AUBERT, Traité de droit constitutionnel suisse, p. 721 no 2042; FLEINER/GIACOMETTI, Schweizerisches Bundesstaatsrecht, p. 340; FRANÇOIS CLERC, La liberté religieuse en Suisse, Paris 1937, p. 66 ss; L.R. VON SALIS, Die Entwicklung der Kultusfreiheit in der Schweiz, Bâle 1894, p. 8.)
Le Tribunal fédéral n'a, en l'occurrence, aucun motif de s'écarter des principes dégagés dans l'arrêt Vogel. Il en résulte qu'indépendamment de l'existence d'une loi cantonale, les cantons doivent autoriser le déroulement d'une procession dans les limites posées par l'
art. 50 Cst.
, soit lorsqu'une telle manifestation n'est pas de nature à gêner sérieusement la circulation ou à troubler la paix confessionnelle et l'ordre public.
b) La loi genevoise sur le culte extérieur prévoit que "toute célébration de culte, procession ou cérémonie religieuse
BGE 108 Ia 41 S. 45
quelconque est interdite sur la voie publique (art. 1er). Est excepté de cette interdiction le service divin prescrit, pour les troupes, par les autorités militaires (art. 2)."
Qualifiant cette loi d'obsolète, le recourant relève qu'elle a été établie à une époque où les luttes et les antagonismes religieux étaient extrêmement vifs ("Kulturkampf"), mais que les interdictions qu'elle fixe ne sont, actuellement, plus justifiées.
Ces affirmations sont exactes et ne sont d'ailleurs pas contestées par le Conseil d'Etat. L'histoire enseigne en effet que, indépendamment des conflits relatifs au cardinal Mermillod (désigné, contre la volonté du Conseil d'Etat genevois et du Conseil fédéral, "vicaire apostolique" de Genève), les luttes confessionnelles avaient pris à Genève, entre 1870 et 1880, un caractère très violent, "dû surtout à l'influence des radicaux avancés, tels que Carteret et Héridier". Elles aboutirent à la loi du 3 février 1872 contre les communautés religieuses et à la loi ecclésiastique du 19 février 1873 qui interdisait notamment la création d'un diocèse. "Le 4 septembre 1874, on voulut procéder à Genève à l'assermentation des ecclésiastiques; ceux-ci s'y refusèrent à l'unanimité; ils furent destitués et privés de leurs revenus; des prêtres vieux-catholiques, la plupart d'origine étrangère, furent installés en leur lieu et place et le schisme s'organisa. On procéda dans tout le canton à l'inventaire officiel des églises et les autorités des paroisses catholiques s'étant refusées à les céder, celles-ci furent presque partout occupées de force par la police ou par la troupe (1875-1877) (...) Le conflit fut encore aggravé par la loi du 28 août 1875 sur le culte extérieur." (Voir ALB. BÜCHI, Le Kulturkampf en Suisse, in Dictionnaire historique et biographique de la Suisse, Neuchâtel 1928, t. 4 p. 409, voir aussi Histoire de Genève, 1974, p. 314 ss; ALFRED BECHTOLD, La Suisse romande au cap du XXe siècle, Lausanne 1966, p. 568 ss; WILLIAM MARTIN, La situation du catholicisme à Genève, 1815-1907, p. 208 ss; AUGUSTE DE MONTFALCON, L'incamération des biens des corporations religieuses de Genève en 1876, thèse Genève 1934.)
En cette période de luttes violentes sur les plans religieux et confessionnel, les autorités se devaient d'intervenir pour maintenir l'ordre public. L'interdiction de toute procession ou manifestation religieuse sur la voie publique pouvait donc trouver sa justification dans la volonté du législateur genevois d'éviter les provocations et de maintenir autant que possible l'ordre public. A cette époque et en raison de cette situation particulière, elle pouvait donc être
BGE 108 Ia 41 S. 46
considérée comme encore compatible avec les dispositions de l'
art. 50 Cst.
(voir FLEINER/GIACOMETTI, op.cit., p. 338 n. 24 et p. 340 n. 11). En 1875 et 1876, le Tribunal fédéral n'a pas eu à se prononcer sur la constitutionnalité de l'art. 1er de la loi sur le culte extérieur; en revanche, se plaçant uniquement sur le terrain de l'égalité devant la loi (
art. 4 Cst.
) et laissant le soin au Conseil fédéral de se prononcer sous l'angle de l'
art. 50 Cst.
, il a rejeté un recours formé par plusieurs ecclésiastiques contre l'interdiction qui leur était faite de porter l'habit ecclésiastique sur la voie publique (ATF 1 p. 278 ss, 2 p. 178 ss).
La situation a heureusement évolué dans le sens d'un apaisement des esprits et des consciences. "La défaite des partisans des luttes confessionnelles aux élections du Conseil d'Etat en novembre 1878 mit fin au stérile conflit dont le peuple ne voulait plus entendre parler. On commença à supprimer par étapes la législation d'occasion en amendant et en adoucissant les lois existantes. Le départ de Mermillod en 1890, auquel succéda (à Fribourg) l'évêque Deruaz, nature éminemment conciliante, facilita un rapprochement ainsi que la restitution des églises qu'occupaient les vieux-catholiques." (Voir ALB. BÜCHI, op.cit., p. 409.) Aujourd'hui, la grande majorité des fidèles des trois confessions (protestants, catholiques romains et vieux-catholiques) considèrent ces querelles religieuses comme plus ou moins vaines ou dépassées; le mouvement oecuménique joue un rôle non négligeable dans la plupart des paroisses de la ville et de la campagne.
c) Dans ces conditions, il n'est plus possible de justifier une interdiction absolue de toute procession ou manifestation religieuse sur la voie publique en vertu de l'art. 1er de la loi du 28 août 1875. Il appartenait donc au Conseil d'Etat, au lieu d'appliquer strictement cette disposition, d'examiner à titre préjudiciel si l'article précité est conforme à la Constitution fédérale (voir arrêt du Tribunal fédéral du 19 février 1982 Berseth c. Conseil d'Etat du canton de Vaud qui, sur ce point, définit clairement le rôle de l'autorité exécutive). S'il avait procédé à cet examen, il aurait pu s'apercevoir que, telle qu'elle est formulée, l'interdiction absolue posée par l'art. 1er de la loi sur le culte extérieur est contraire à l'
art. 50 Cst.
et aux principes jurisprudentiels rappelés ci-dessus (consid. 2a).
3.
Dès lors que la date à laquelle devait avoir lieu la procession dans la paroisse de Sainte-Thérèse est passée depuis
BGE 108 Ia 41 S. 47
longtemps, il n'appartient plus au Tribunal fédéral de se prononcer formellement sur l'autorisation sollicitée par le recourant, mais uniquement sur les divers éléments que l'autorité aurait dû prendre en considération dans son appréciation de la situation.
a) Dans son arrêt Vogel, le Tribunal fédéral a déjà dit que le droit d'utiliser des routes pour des processions ne découle pas sans autre de l'
art. 50 Cst.
sans qu'il soit nécessaire de procéder à une demande d'autorisation. Il s'agit, en effet, d'une utilisation d'un ordre particulier de la voie publique, que les cantons peuvent soumettre à une autorisation de police, comme c'est le cas pour les ventes en plein air, les représentations ou les manifestations. Il appartient à l'autorité de trancher impartialement la question en tenant compte, en plus, du maintien de la paix religieuse (voir
ATF 49 I 148
consid. 3). En l'occurrence, une demande d'autorisation a d'ailleurs été faite.
Pour se prononcer sur cette autorisation, le Conseil d'Etat était tenu de peser les intérêts en présence et de prendre en considération les circonstances particulières du cas. Or, l'autorisation litigieuse concernait la procession des Rameaux qui, dans la liturgie catholique, commémore l'entrée du Christ dans la Ville Sainte de Jérusalem (voir Le Nouveau Missel des dimanches, 1971, p. 142, "Procession: le prêtre invite alors les participants à prendre en main leurs rameaux bénits et à se mettre en marche vers l'église où sera célébrée l'Eucharistie"). Il s'agit donc d'un acte cultuel collectif, prescrit expressément par la liturgie et non pas seulement par la tradition, qui, dans les circonstances présentes, n'est pas de nature à compromettre la paix confessionnelle et l'ordre public. Concernant les raisons de sécurité de la circulation, le Conseil d'Etat relève certes à juste titre "qu'à Genève, la circulation est une exigence fondamentale dont on ne peut faire abstraction lorsqu'il s'agit de déterminer les conditions d'utilisation de la voie publique à d'autres fins". Toutefois, cet élément n'a qu'une importance minime en l'espèce. Du point de vue de la sécurité de la circulation, il n'y a, en effet, aucune commune mesure entre le fait pour une communauté religieuse de traverser en procession l'av. Peschier un dimanche matin pendant 10 minutes et des manifestations politiques qui bloquent la circulation dans le centre de la ville.
4.
Compte tenu de ce qui précède, il faut admettre qu'en appliquant strictement la loi sans procéder à l'examen des circonstances concrètes, la décision du Conseil d'Etat n'est pas compatible avec les principes énoncés à l'
art. 50 Cst.
et doit dès lors être annulée. | public_law | nan | fr | 1,982 | CH_BGE | CH_BGE_002 | CH | Federation |
d2009415-84e7-4e72-b299-7d3207e260b9 | Urteilskopf
99 Ia 381
43. Urteil vom 10. Oktober 1973 i.S. Taxi Herold AG gegen Gemeinderat der Stadt St. Gallen und Volkswirtschaftsdepartement des Kantons St. Gallen. | Regeste
Taxigewerbe; Übertragbarkeit der Betriebsbewilligung bei juristischen Personen.
1. Es ist verfassungsrechtlich zulässig, die Bewilligung zum Führen eines Taxibetriebes nur an die verantwortlichen natürlichen Personen zu erteilen und juristische Personen als Bewilligungsträger auszuschliessen (Erw. 2 und 3).
2. Wieweit kann bei einer solchen Regelung ein als juristische Person organisiertes Taxiunternehmen, dessen Geschäftsführer und Bewilligungsinhaber aus dem Betrieb ausscheidet, von Verfassungswegen beanspruchen, dass dem neuen Geschäftsführer die zur Benützung öffentlicher Standplätze berechtigende Bewilligung wieder erteilt wird? (Erw. 4). | Sachverhalt
ab Seite 382
BGE 99 Ia 381 S. 382
A.-
a) Der Gemeinderat der Stadt St. Gallen erliess am 13. März 1973 ein neues Taxi-Reglement (TR). Dieses Reglement wurde am 12. April 1973 vom Volkswirtschaftsdepartement des Kantons St. Gallen genehmigt und trat nach der Genehmigung und nach unbenütztem Ablauf der Referen dumsfrist in Kraft.
b) Die in diesem Reglement getroffene Ordnung des Taxiwesens in der Stadt St. Gallen beruht auf der auch in andern Städten üblichen Unterscheidung zwischen A-Bewilligungen, welche dem Inhaber die Befugnis geben, seine Fahrzeuge zur Entgegennahme von Aufträgen auf öffentlichem Grund an bezeichneten Taxistandplätzen aufzustellen, und B-Bewilligungen, die einen Taxibetrieb unter Benützung privater Stand plätze erlauben.
Die Voraussetzungen für die Bewilligungserteilung werden folgendermassen umschrieben:
Art. 6 (sachliche Voraussetzungen)
"Eine Betriebsbewilligung A wird erteilt, wenn der Bewerber die
BGE 99 Ia 381 S. 383
in Art. 7 vorgeschriebenen Voraussetzungen erfüllt und die zur Verfügung stehenden Standplätze auf öffentlichem Grund mcht voll ausgelastet sind.
Eine Betriebsbewilligung B wird erteilt, wenn der Bewerber die in Art. 7 vorgeschriebenen Voraussetzungen erfüllt und sich über eine genügende, verkehrstechnisch geeignete Abstellfläche auf privatem Grund ausweist."
Art. 7 (persönliche Voraussetzungen)
"Der Bewerber muss handlungsfähig sein, einen guten Leumund besitzen, für einen vorschrifts- und sachgemässen Geschäftsbetrieb Gewähr bieten und den Wohn- oder Geschäftssitz in der Regel in der Politischen Gemeinde St. Gallen haben.
Die Betriebsbewilligung ist insbesondere zu verweigern, wenn der Bewerber
a) von einem Dritten, der die Voraussetzungen zur Erlangung der Betriebsbewilligung nicht erfüllt, vorgeschoben ist;
b) sich grober Verletzungen von Verkehrsvorschriften oder von Bestimmungen zum Schutze der Arbeitnehmer schuldig gemacht hat."
c) Die Betriebsbewilligung ist persönlich und unübertragbar (Art. 10 Abs. 1 TR). Zwei Vorschriften beziehen sich auf die besondern Verhältnisse in der von einer juristischen Person betriebenen Taxiunternehmung:
- Gemäss Art. 8 Ziff. 4 erlischt die Betriebsbewilligung, "wenn der Inhaber als Geschäftsführer einer juristischen Person ausscheidet, vorbehältlich Art. 10 Abs. 4".
- Art. 10 Abs. 4 TR regelt die Möglichkeit der Übertragung von Betriebsbewilligungen A folgendermassen:
"Scheidet ein Geschäftsführer einer Gesellschaft des Privatrechts als Bewilligungsinhaber aus, so kann der Polizeivorstand freigewordene Betriebsbewilligungen A ohne Ausschreibung auf den neuen Geschäftsführer der Gesellschaft übertragen, sofern dieser die Voraussetzungen des Art. 7 erfüllt."
Gemäss der Übergangsbestimmung in Art. 31 sind alle bisher auf juristische Personen ausgestellten Bewilligungen innert drei Monaten nach Inkrafttreten des neuen Reglementes auf den verantwortlichen Geschäftsführer zu übertragen.
B.-
Die Firma Taxi Herold AG, St. Gallen, hat das neue Reglement fristgemäss mit staatsrechtlicher Beschwerde angefochten. Sie beantragt, Art. 8 Ziff. 4 und Art. 10 Abs. 4 des Reglementes seien aufzuheben, eventuell sei der Erlass als Ganzes aufzuheben.
Zur Begründung wird ausgeführt, es verstosse gegen
Art. 4
BGE 99 Ia 381 S. 384
und
Art. 31 BV
, dass die Taxibewilligung nicht mehr wie bis anhin auch auf eine juristische Person, sondern nur noch auf den verantwortlichen Geschäftsführer persönlich lauten könne. Vollends untragbar sei es, die Bewilligung beim Ausscheiden des Geschäftsführers erlöschen zu lassen und es durch die Kann-Vorschrift des Art. 10 Abs. 4 TR in das Ermessen des Polizeivorstandes zu stellen, ob er die frei gewordenen A-Bewilligungen ohne Ausschreibung auf den neuen Geschäftsführer übertragen wolle. Es bestehe keine polizeiliche Notwendigkeit, einer Gesellschaft des Privatrechts die unmittelbare Bewilligung zur Führung eines Taxigeschäftes zu verweigern; die frühere Regelung, wonach für die Erteilung einer Betriebsbewilligung an juristische Personen die persönlichen Voraussetzungen vom Geschäftsführer erfüllt sein müssten, genüge vollauf.
C.-
Der Stadtrat St. Gallen und das Volkswirtschaftsdepartement des Kantons St. Gallen beantragen die Abweisung der Beschwerde.
Erwägungen
Das Bundesgericht zieht in Erwägung:
1.
Die Beschwerdeführerin ficht die getroffene Ordnung des Taxiwesens nicht grundsätzlich an, sondern beschränkt sich sinngemäss auf folgende zwei Rügen:
a) In erster Linie wird als Verletzung von
Art. 4 und
Art. 31 BV
beanstandet, dass Gesellschaften (juristische Personen) nicht mehr Inhaber von Taxibewilligungen sein können.
b) In zweiter Linie wird unter Berufung auf die gleichen Verfassungsnormen gerügt, dass im Rahmen der neuen Regelung gemäss Art. 10 Abs. 4 TR die Übertragung der dem ausscheidenden Geschäftsführer einer Gesellschaft erteilten Bewilligung auf den neuen Geschäftsführer bloss durch eine Kann-Vorschrift ermöglicht, aber nicht zwingend vorgeschrieben sei.
Der Eventualantrag auf Aufhebung der ganzen Verordnung ist nicht in einer ausreichenden Weise begründet (
Art. 90 Abs. 1 lit. b OG
); es kann daher auf diesen Antrag von vornherein nicht eingetreten werden.
2.
Die Bewilligungspflicht und die Voraussetzungen der Bewilligungserteilung bilden nicht Gegenstand der Beschwerde. Mit den vorgebrachten Rügen wird im wesentlichen geltend gemacht, die Bestimmungen, deren Aufhebung beantragt wird, hätten eine sachlich nicht gerechtfertigte Benachteiligung der
BGE 99 Ia 381 S. 385
in Form einer juristischen Person organisierten Taxiunternehmungen und somit eine Rechtsungleichheit zur Folge.
Praktische Auswirkungen kann die angefochtene Regelung nur bei A-Bewilligungen haben. Bei den B-Bewilligungen dürfte es im Ergebnis ohne Belang sein, ob die Bewilligung, welche ein als juristische Person organisiertes Taxiunternehmen betrifft, gestützt auf die persönlichen Voraussetzungen des Geschäftsführers diesem persönlich erteilt wird oder ob sie auf die Gesellschaft lautet, aber selbstverständlich nur gelten kann, solange der Geschäftsführer im Unternehmen bleibt. Scheidet der Geschäftsführer aus, so muss die B-Bewilligung jedem neuen Geschäftsführer erteilt werden, der die persönlichen Voraussetzungen erfüllt. Demgegenüber unterliegen die A-Bewilligungen, anders als die B-Bewilligungen, faktisch einer zahlenmässigen Beschränkung, und beim grundsätzlichen Erlöschen einer A-Bewilligung infolge Ausscheidens des die Bewilligung tragenden Geschäftsführers aus einer juristischen Person besteht nach dem Wortlaut der angefochtenen Vorschriften die Möglichkeit, die frei gewordene A-Bewilligung nicht auf den neuen Geschäftsführer zu übertragen, sondern sie auszuschreiben und allenfalls irgendeinem andern Bewerber zuzuteilen. Diese Möglichkeit eines "Bewilligungsentzuges" beim Geschäftsführerwechsel der juristischen Person bildet den eigentlichen Anlass der zu beurteilenden Beschwerde.
Ob sich die Beschwerdeführerin gegenüber dieser Regelung ausser auf
Art. 4 BV
auch auf die Handels- und Gewerbefreiheit (
Art. 31 BV
) berufen kann oder ob man entsprechend der bisherigen Praxis des Bundesgerichtes annehmen will, dass Bewilligungen zur Benützung öffentlichen Bodens zu gewerblichen Zwecken nicht in den Wirkungsbereich des
Art. 31 BV
fallen (
BGE 97 I 655
; SALADIN, Grundrechte im Wandel, S. 250, mit Hinweis auf weitere Urteile), kann hier offen bleiben, da dies - wie sich zeigen wird - für die Beurteilung der Verfassungsmässigkeit der angefochtenen Regelung nicht entscheidend ist.
3.
Wenn die Erteilung einer gewerbepolizeilichen Bewilligung unter anderem von Voraussetzungen abhängig ist, welche nur eine natürliche Person erfüllen kann (wie guter Leumund, bestimmte Kenntnisse und Fähigkeiten, usw.), dann schliesst dies nicht aus, dass die bewilligungspflichtige gewerbliche Tätigkeit auch von einem als juristische Person organisierten
BGE 99 Ia 381 S. 386
Unternehmen ausgeübt wird; die speziellen persönlichen Voraussetzungen müssen jedoch vom verantwortlichen Leiter des Betriebes erfüllt sein. Für die Bewilligungserteilung gibt es in diesem Fall zwei Wege:
a) Die Bewilligung kann formell auf die Gesellschaft, d.h. auf die juristische Person lauten, wird aber erst nach Prüfung der persönlichen Voraussetzungen des für den Betrieb verantwortlichen Geschäftsführers erteilt und stillschweigend oder ausdrücklich an die Bedingung geknüpft, dass diese natürliche Person ihre leitende Funktion behält und dass jeder künftige personelle Wechsel in der verantwortlichen Leitung der Bewilligungsbehörde zur Genehmigung gemeldet werden muss (Beispiel einer solchen Regelung: VV zum Bankengesetz vom 30. August 1961 Art. 30 ff. betr. Revisionsstellen).
b) Die Bewilligung kann aber auch auf die Person lauten, welche als Leiter des Betriebes der Gesellschaft die persönlichen Voraussetzungen zur Bewilligungserteilung erfüllt.
Die gesetzgebungspolitische Wahl der einen oder andern Gestaltungsform dürfte weitgehend von Überlegungen der Praktikabilität, vom Gewicht der persönlichen Voraussetzungen und von den Verhältnissen in der betreffenden Branche abhängen.
Die Stadt St. Gallen entschied sich im neuen Taxi-Reglement für die zweite Lösung (b), während vorher eine Regelung im Sinne von lit. a galt. Dass polizeilich begründete und im vorliegenden Fall nicht angefochtene Bewilligungsvoraussetzungen persönlicher Art auch bei einem als Gesellschaft organisierten Taxiunternehmen gegeben sein müssen, steht ausser Zweifel. Beide oben umschriebenen Wege zur Kontrolle und Gewährleistung solcher persönlicher Voraussetzungen im Rahmen einer Gesellschaft sind an sich verfassungsrechtlich zulässig. Die Wahl der Rechtsform der bewilligungspflichtigen Unternehmung wird dadurch nicht in einer sachlich ungerechtfertigten Weise behindert oder eingeengt; beide Lösungen wollen lediglich gewährleisten, dass auch bei der bewilligungspflichtigen Tätigkeit einer Gesellschaft die erforderlichen persönlichen Voraussetzungen vorhanden sind.
4.
Werden nur natürliche Personen als Bewilligungsträger anerkannt, so entsteht eine besondere Problematik, wenn der Geschäftsführer als Bewilligungsinhaber aus dem rechtlich als Gesellschaft organisierten Unternehmen ausscheidet. Die Schöpfer des neuen TR haben diese Problematik erkannt. Durch
BGE 99 Ia 381 S. 387
Art. 8 Ziff. 4 wird verhindert, dass der ausscheidende Geschäftsführer die auf ihn lautenden Bewilligungen "mitnehmen" kann; seine Bewilligung ist an seine Tätigkeit in der juristischen Person gebunden. Inwiefern diese Vorschrift eine Verfassungsnorm verletzen soll, lässt sich der Beschwerdebegründung nicht entnehmen. Bei Beibehaltung des Systems, wonach nur natürliche Personen Taxi-Bewilligungen bekommen können, bildet Art. 8 Ziff. 4 eine unerlässliche Korrektur zum Schutze der in Gesellschaftsform organisierten Unternehmen. An der Aufhebung dieser Bestimmung ohne vollständige Änderung des Systems kann die Beschwerdeführerin kein Interesse haben; eine solche isolierte Aufhebung von Art. 8 Ziff. 4 TR wäre für sie nur nachteilig. Dass aber die im Taxi-Reglement getroffene Lösung, welche juristische Personen als Bewilligungsträger ausschliesst, verfassungsrechtlich zulässig ist, wurde bereits dargelegt.
Zu prüfen bleibt die Frage, ob Art. 10 Abs. 4 TR eine gegen
Art. 4 und
Art. 31 BV
verstossende Diskriminierung der als Gesellschaft organisierten Taxiunternehmen darstellt. Diese Vorschrift ermöglicht einerseits die Übertragung einer A-Bewilligung auf den neuen Geschäftsführer einer Gesellschaft ohne Ausschreibung. Diese positive Konsequenz der Bestimmung ist hier nicht angefochten. Aus der Formulierung, der Polizeivorstand könne freigewordene Betriebsbewilligungen A auf den neuen Geschäftsführer übertragen, lässt sich aber ableiten, dass die Übertragung auch verweigert werden kann, obwohl der neue Geschäftsführer die Voraussetzungen von Art. 7 TR erfüllt. Wäre diese aus dem Wortlaut sich ergebende Entscheidungsmöglichkeit etwa in dem Sinne zu verstehen, dass der Polizeivorstand ohne weitern Grund jeden Geschäftsführerwechsel zum Anlass nehmen dürfte, um der ein Taxiunternehmen betreibenden Gesellschaft die Betriebsbewilligung A zu entziehen, dann könnte ein so interpretierter Art. 10 Abs. 4 TR der verfassungsrechtlichen Prüfung nicht standhalten; denn er würde für die im Taxiwesen tätigen juristischen Personen ohne polizeiliche Notwendigkeit in bezug auf eine wesentliche Voraussetzung ihrer Aktivität eine grosse Unsicherheit schaffen und dadurch die Möglichkeit, ein Taxiunternehmen als juristische Person zu betreiben, ernstlich in Frage stellen. In den Vernehmlassungen des kantonalen Volkswirtschaftsdepartementes und des Stadtrates wird nun aber in überzeugender
BGE 99 Ia 381 S. 388
Weise dargetan, dass die Kann-Vorschrift in Art. 10 Abs. 4 keineswegs einen willkürlichen, nicht durch sachliche Motive begründeten Bewilligungsentzug erlauben soll. Bei einem normalen Geschäftsführerwechsel wird die Bewilligung ohne Ausschreibung zu übertragen sein, sofern der neue Leiter des Unternehmens die Voraussetzungen von Art. 7 TR erfüllt. Die Kann-Vorschrift von Art. 10 Abs. 4 TR lässt sich allerdings nicht damit begründen, dass bei einem solchen Wechsel gewissermassen eine Überprüfung der gesamten Bewilligungsvoraussetzungen am Platze sei und daher die Bewilligung allenfalls wegen Mängeln verweigert werden müsste, die nichts mit der Eignung des neuen Geschäftsführers zu tun hätten. Sind irgendwelche sachlichen Entzugsgründe gegeben (Art. 9 TR), so braucht selbstverständlich auch eine Übertragung nicht bewilligt zu werden, selbst wenn keine Kann-Vorschrift den Weg zur Verweigerung der Übertragung öffnen würde.
In den Vernehmlassungen kommt jedoch die Befürchtung zum Ausdruck, es könnte hinter einem Geschäftsführerwechsel unter Umständen ein eigentlicher Verkauf der nicht übertragbaren Betriebsbewilligung A verdeckt sein (z.B.: der Bewilligungsinhaber wandelt sein Taxiunternehmen in eine Aktiengesellschaft um, verkauft die Aktien und tritt dann als Geschäftsführer zurück). Es ist offensichtlich, dass die Gefahr der Umgehung des Verbots der Bewilligungsübertragung durch Schaffung juristischer Personen besteht. Wird das "kann" in Art. 10 Abs. 4 in dem Sinne verstanden, dass ein dem verdeckten Bewilligungsverkauf dienender Geschäftsführerwechsel nicht anerkannt werden muss, sondern dass in einem solchen Fall die Bewilligungsübertragung verweigert werden darf, so verstösst diese etwas unbestimmte Formulierung nicht gegen
Art. 4 oder
Art. 31 BV
. Die in der Kann-Vorschrift liegende Ermächtigung zur allfälligen Ablehnung einer Bewilligungsübertragung soll dem Polizeivorstand also lediglich die Möglichkeit geben, einen Missbrauch von Art. 10 Abs. 4 TR für verpönte Geschäfte mit Bewilligungen zu verhindern. Wird die angefochtene Bestimmung in diesem Sinne angewendet, so verstösst sie gegen keine Verfassungsnorm. Von einer Aufhebung der Bestimmung kann daher abgesehen werden, obschon der Wortlaut weit ist und eine verfassungswidrige, die juristischen Personen diskriminierende Praxis nicht von vornherein ausschliesst. Gegen eine nicht verfassungskonforme Handhabung der Vorschrift steht
BGE 99 Ia 381 S. 389
den Betroffenen jedoch stets die staatsrechtliche Beschwerde offen.
Dispositiv
Demnach erkennt das Bundesgericht:
Die Beschwerde wird im Sinne der Erwägungen abgewiesen. | public_law | nan | de | 1,973 | CH_BGE | CH_BGE_002 | CH | Federation |
d205b8a4-c041-4484-846d-fa461a3a3556 | Urteilskopf
83 IV 134
35. Auszug aus dem Urteil des Kassationshofes vom 11. Juli 1957 i.S. Gaudy gegen Staatsanwaltschaft des Kantons Zürich. | Regeste
Art. 41 Ziff. 3 Abs. 1StGB.
Der Grundsatz, dass die vorsätzliche Begehung eines Verbrechens oder Vergehens den Widerruf des bedingten Strafvollzuges zwingend nach sich zieht, gilt einzig in besonders leichten Fällen (Abs. 2) nicht. | Sachverhalt
ab Seite 134
BGE 83 IV 134 S. 134
Aus dem Tatbestand:
Gaudy beging während der ihm vom Obergericht Zürich auferlegten Probezeit vorsätzlich Unzucht mit Kindern und wurde deswegen vom Obergericht von Appenzell A.Rh. zu einer bedingt vollziehbaren Gefängnisstrafe verurteilt. Er ficht den Vollzug der vom Obergericht Zürich bedingt aufgeschobenen Gefängnisstrafe unter anderem mit der Begründung an, seit der Revision des Strafgesetzbuches von 1950 ziehe ein während der Probezeit vorsätzlich begangenes Verbrechen oder Vergehen nicht mehr zwingend den Vollzug der bedingt aufgeschobenen Strafe nach sich.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
Die Strafe ist auch dann vollziehen zu lassen, wenn dem Verurteilten für das während der Probezeit begangene neue Verbrechen oder Vergehen wiederum der bedingte
BGE 83 IV 134 S. 135
Strafvollzug zugebilligt worden ist. Diese gesetzliche Regelung, die schon bisher galt (
BGE 70 IV 108
), hat durch die Gesetzesrevision von 1950 keine Änderung erfahren. Die Revision hat zwar zu der Lockerung geführt, dass der Richter nunmehr ermächtigt ist, in besonders leichten Fällen an Stelle des Strafvollzuges eine der in
Art. 41 Ziff. 3 Abs. 2 StGB
aufgeführten Ersatzmassnahmen treten zu lassen. Für Fälle wie den vorliegenden, wo diese Voraussetzung nicht zutrifft, hat der Gesetzgeber auf eine Abschwächung des zwingenden Charakters der Ziff. 3 Abs. 1 aber bewusst verzichtet und damit gewollt an der alten Ordnung festgehalten (vgl. Botschaft des Bundesrates vom 20. Juni 1949, BBl 1949 I S. 1249). Von einer Gesetzeslücke, die der Richter ausfüllen könnte, kann daher entgegen der Ansicht des Beschwerdeführers keine Rede sein. | null | nan | de | 1,957 | CH_BGE | CH_BGE_006 | CH | Federation |
d20b55c4-08ff-4e37-b50b-ebe2373a8900 | Urteilskopf
90 II 1
1. Arrêt de la IIe Cour civile du 24 janvier 1964 dans la cause Hurni c. Büchi et consorts. | Regeste
Bäuerliches Erbrecht. Hat ein Landwirt letztwillig verfügt, die von ihm hinterlassenen Liegenschaften seien gleichmässig unter seine Kinder zu teilen, so ist dadurch die Anwendung der Regeln des bäuerlichen Erbrechtes ausgeschlossen (Erw. 2).
Beansprucht einer der Erben die ungeteilte Zuweisung eines landwirtschaftlichen Gewerbes zum Ertragswert, so ist dieses Begehren gegenüber allen Miterben geltend zu machen, so dass sie dazu Stellung nehmen können (Erw. 1). | Sachverhalt
ab Seite 1
BGE 90 II 1 S. 1
A.-
Les époux Jacob et Lina Hurni-Guggisberg ont eu six enfants, à savoir Jacob, à Estavayer-le-Lac, Rosa Büchi, à Winterthour, Albert, à Berne, Ernest, à Gex
BGE 90 II 1 S. 2
(France), Frédéric, à Chartres (France) et Hermann, à Genève. Le mari était propriétaire d'un domaine agricole formé de plusieurs parcelles, d'une surface totale d'environ 27 poses ou 10 ha, situé sur le territoire des communes d'Estavayer-le-Lac, Sevaz et Seiry. La taxe cadastrale des immeubles est de 28 835 fr. pour la terre et 54 000 fr. pour le bâtiment.
Jacob Hurni père est décédé le 25 novembre 1948 à Estavayer-le-Lac. Il a laissé un testament olographe rédigé le 15 juin 1948, dans lequel il a ordonné que sa succession fût partagée également entre ses six enfants, de façon que chacun d'eux reçoive notamment un sixième des immeubles, et que sa femme jouît d'un usufruit viager sur ses biens. Dame Hurni est décédée à son tour le 18 mai 1953.
B.-
Le 11 avril 1957, Rosa Büchi introduisit une action en partage. Elle réclamait un sixième des biens laissés par son père, selon le testament rédigé par le défunt, en alléguant que les immeubles étaient du terrain à bâtir.
Jacob et Hermann Hurni soutinrent dans leur réponse que le testament était nul et que les immeubles formaient une exploitation agricole. Ils conclurent à ce qu'elle fût attribuée à Jacob, qui exploitait le domaine depuis de nombreuses années, à la valeur de rendement.
Ernest Hurni demanda le partage en nature du domaine agricole; il admettait cependant, pour éviter le morcellement, que l'exploitation fût attribuée à son frère Jacob pour une valeur de 120 000 fr. environ.
Frédéric et Albert Hurni n'ont pas procédé. Ils se sont contentés d'écrire qu'ils ne s'opposaient pas à ce que leur frère Jacob obtienne l'attribution du domaine à la valeur de rendement; Albert a articulé le chiffre de 75 000 fr., qu'il estimait raisonnable.
Les experts commis en première instance admirent que les immeubles et bâtiments laissés par Jacob Hurni père formaient une exploitation agricole au sens de l'art. 620 CC, qu'ils ne pouvaient être utilisés comme terrain à bâtir
BGE 90 II 1 S. 3
et que la valeur de rendement s'élevait à 60 500 fr. De son côté, l'office d'estimation de l'Union suisse des paysans, à Brougg, avait fixé la valeur de rendement à 56 100 fr.
Le 20 mai 1960, le Tribunal civil de l'arrondissement de la Broye prononça la nullité du testament, arrêta la valeur de rendement de l'exploitation agricole à 60 500 fr. et se déclara incompétent pour statuer sur son attribution.
Rosa Büchi et Ernest Hurni appelèrent de ce jugement. Il résulte d'une nouvelle expertise ordonnée en seconde instance que la plupart des parcelles peuvent être considérées comme du terrain à bâtir.
Statuant le 10 juillet 1963, la Cour d'appel du Tribunal cantonal de l'Etat de Fribourg ordonna que la succession de feu Jacob Hurni père fût partagée entre ses six enfants par parts égales, conformément au testament du 15 juin 1948. Elle estime qu'au jour de son arrêt, les immeubles laissés par feu Jacob Hurni étaient dans leur majeure partie du terrain à bâtir. Cela concerne en tout cas neuf parcelles, dont la valeur totale s'élève à 556 088 fr., à raison d'une valeur au m2 variant de 5 à 25 fr. Quant aux six autres parcelles, leur superficie totale est de 27 485 m2 ou 7,63 poses fribourgeoises. Même si elles avaient encore un caractère agricole - ce qui est douteux pour certaines d'entre elles - ces parcelles ne suffiraient pas pour former une exploitation agricole viable et offrant des moyens d'existence qui assurent l'entretien d'une famille paysanne.
C.-
Jacob et Herman Hurni recourent en réforme au Tribunal fédéral. Ils concluent au rejet de la demande de partage formée par Rosa Büchi et Ernest Hurni, à l'annulation du testament de leur père et au renvoi de la cause à l'autorité cantonale pour qu'elle prononce l'attribution du domaine agricole paternel à Jacob Hurni, conformément à l'art. 620 CC.
Ernest Hurni et Rosa Büchi concluent au rejet du recours.
Albert Hurni, qui n'a pas déposé de mémoire, a déclaré
BGE 90 II 1 S. 4
verbalement à l'audience qu'il demandait la confirmation de l'arrêt cantonal.
Frédéric Hurni s'est exprimé par lettre dans le même sens.
Erwägungen
Considérant en droit:
1.
L'héritier qui demande le partage de la succession du défunt doit citer comme défendeurs tous ses cohéritiers qui s'opposent à sa requête; en revanche, le droit fédéral n'exige pas qu'il fasse assigner ceux qui se sont déclarés d'accord avec le partage (RO 86 II 455 consid. 3). Toutefois, lorsque l'un des héritiers requiert l'attribution d'immeubles selon les règles du droit successoral paysan, tous ses cohéritiers doivent être appelés, en vertu du droit fédéral, à se déterminer sur la demande. La forme dans laquelle ils sont entendus est fixée par la procédure cantonale (RO 72 II 346, lettre a, 74 II 220, consid. 1, 75 II 198, consid. 1).
En l'espèce, les prescriptions fédérales ont été observées, puisque tous les héritiers du défunt sont parties au procès. La Cour cantonale a reconnu avec raison cette qualité même aux deux consorts défaillants. Comme l'arrêt de la Cour d'appel fribourgeoise, celui du Tribunal fédéral produira des effets à l'égard des six enfants de feu Jacob Hurni, qu'ils aient procédé ou non devant la juridiction de réforme.
2.
Ayant admis que les biens-fonds laissés par feu Jacob Hurni ne formaient pas un domaine agricole au sens de l'art. 620 CC, la juridiction cantonale ne s'est pas prononcée sur la validité de la disposition testamentaire par laquelle le défunt avait ordonné le partage de ses immeubles en six parts égales. L'art. 608 CC permet au disposant de prescrire des règles pour le partage de sa succession, qui sont obligatoires pour ses héritiers. Mais l'art. 620 CC prévoit que, s'il existe parmi les biens à partager une exploitation agricole constituant une unité économique et offrant des moyens d'existence suffisants
BGE 90 II 1 S. 5
pour assurer l'entretien d'une famille paysanne, cette exploitation est attribuée entièrement à celui des héritiers qui le demande et qui paraît capable de se charger de l'entreprise; le prix en est fixé à la valeur de rendement et s'impute sur la part de l'héritier.
a) Avant la revision partielle du droit successoral paysan qui résulte de la LDDA, entrée en vigueur le 1er janvier 1947, le propriétaire d'un domaine agricole conservait la liberté de disposer pour cause de mort en liant ses héritiers par une règle de partage fondée sur l'art. 608 CC, même sans désigner celui de ses successeurs à qui les immeubles seraient attribués (TUOR, Ire éd., 1929, supplément, p. 1093; ESCHER, 2e éd., 1943, n. 4 ad art. 620 CC ancien; l'arrêt publié au RO 50 II 459 ss., 463 ne tranche pas la question, mais interdit au testateur de prescrire l'aliénation du domaine de façon à en priver l'héritier qui, de par la loi, serait fondé à le recevoir à la valeur de rendement).
b) Le législateur a entrepris la revision partielle dans le dessein de rendre le droit successoral paysan impératif. Quelques auteurs ont invoqué le but et la genèse de la loi pour affirmer que seules demeuraient valables les règles de partage qui n'empêchaient pas l'attribution en entier de l'exploitation à un requérant capable, et cela pour un prix n'excédant pas la valeur de rendement (TUOR/DESCHENAUX, Le Code civil suisse, 2e éd. française, p. 395; LIVER, Die Änderungen am bäuerlichen Erbrecht des ZGB, Festschrift Tuor, p. 76-83, notamment 82; A. JOST, Die Unteilbarkeit des Bauerngutes, RSJ 45 (1949) 84/6). D'autres estimaient que le disposant conservait intacte sa liberté de tester quant au partage de l'exploitation agricole (K. FEHR, Das neue bäuerliche Erbrecht, RJB 82 (1946) p. 17 ss., 21) ou laissaient à la jurisprudence le soin de résoudre la question (ESCHER, 2e éd., appendice, p. 438, qui relève que l'intention nettement exprimée par le législateur de restreindre sur ce point la liberté du testateur ne peut guère être déduite du texte de la loi; O. K. KAUFMANN,
BGE 90 II 1 S. 6
Das neue ländliche Bodenrecht der Schweiz, p. 266/7; A. COMMENT, Le droit successoral paysan, RJB 90 (1954) p. 344).
c) Appelé à trancher un litige opposant la veuve du propriétaire d'une exploitation agricole, mort sans enfant, laquelle se prévalait du testament rédigé en sa faveur, à la soeur du défunt, qui invoquait le droit successoral paysan, le Tribunal fédéral a donné raison à la première. Il a constaté que la seule modification apportée au texte de l'art. 620 CC était le remplacement, dans le texte allemand, du verbe "soll" par "ist", tandis que les textes français et italien ne subissaient aucun changement. Cette faible nuance ne saurait faire échec au principe selon lequel les règles de partage ordonnées par le disposant sont obligatoires pour les héritiers (art. 608 CC). Si le législateur voulait déroger sur ce point à la liberté de tester, il aurait dû exprimer clairement son intention dans le texte légal lui-même. Comme il ne l'a pas fait, force est de conclure que la revision partielle du droit successoral paysan n'a rien modifié au rapport entre l'art. 608 et les art. 620 ss. CC (RO 80 II 208, confirmé dans les motifs de l'arrêt publié au RO 81 II 593 ss., 596).
d) Plusieurs auteurs ont approuvé cette jurisprudence (GUHL, RJB 92 (1956) p. 99/100; K. FEHR, Die Testierfreiheit im bäuerlichen Erbrecht, RSJ 51 (1955) p. 217-224). D'autres professent des opinions plus nuancées. Ainsi, BOREL/NEUKOMM estiment difficile d'affirmer que le texte finalement adopté par les Chambres est impératif en ce sens qu'il restreindrait la liberté de tester; le disposant devrait cependant, à leur avis, "s'en tenir aux buts généraux ancrés actuellement dans la législation relative à la propriété foncière rurale"; l'attribution intégrale de l'exploitation agricole à la valeur de rendement figurerait, en partie du moins, au nombre des règles établies dans l'intérêt de l'ordre public et des moeurs que mentionne l'art. 2 Tit. fin. CC; une disposition pour cause de mort qui rendrait illusoires les buts principaux visés par l'art. 620 CC devrait être considérée comme un abus de droit au sens
BGE 90 II 1 S. 7
de l'art. 2 CC; il faut donc apprécier chaque fois la valeur de la disposition ordonnée par le défunt (Le droit successoral paysan, 4e éd., p. 51/2 ss.) A cela K. FEHR a répondu pertinemment que l'art. 2 Tit. fin. est une norme transitoire et que l'application de l'art. 2 CC requiert une violation des règles de la bonne foi; en outre, la validité d'une disposition pour cause de mort ne saurait dépendre du but visé par son auteur, à moins que la disposition ne soit contraire aux moeurs, et partant annulable selon l'art. 519 ch. 3 CC (op. cit., p. 220). De son côté, A. JOST prétend que l'arrêt publié au RO 80 II 208 s'applique seulement à la règle de partage attribuant l'exploitation agricole à un héritier; il ne résoudrait pas la question de savoir si la liberté de tester n'a subi aucune restriction quant au morcellement des immeubles agricoles (cf. art. 616 CC), ni quant au prix à fixer selon la valeur de rendement (Der Erbteilungsprozess ..., p. 140; contra: K. FEHR, RSJ 51 (1955) p. 222). Pour sa part, G. BOUVERAT estime qu'en dépit de l'arrêt précité, l'art. 620 CC est en principe une disposition impérative à l'égard du testateur; il appartient à la doctrine et à la jurisprudence de fixer dans chaque cas la portée du principe; en particulier, la règle de partage qui a pour effet la division des immeubles n'est valable que si la séparation d'une parcelle ne porte pas atteinte à l'unité économique de l'exploitation agricole (De la liberté de disposer d'un domaine agricole ..., thèse Fribourg 1957, p. 75 et 91). Enfin, dans la dernière édition de son commentaire, ESCHER admet qu'on ne peut guère inférer du texte légal une restriction à la liberté de disposer; il n'exprime pas une opinion bien nette à propos de la règle de partage ordonnant le morcellement de l'exploitation (3e éd., n. 10 et 14 ad art. 620 nouveau CC).
e) La jurisprudence ne saurait adopter, sans appui suffisant dans le texte légal et au mépris de la sécurité du droit, les distinctions proposées par une partie de la doctrine. Les considérants de l'arrêt reproduit au RO 80 II 208 ss., rappelés plus haut, demeurent pleinement valables. Ils s'appliquent à toutes les règles de partage
BGE 90 II 1 S. 8
ordonnées par le testateur, qu'elles aient pour objet l'attribution du domaine à un héritier, le morcellement de l'exploitation ou la valeur à laquelle elle doit être portée en compte. La liberté de tester n'est restreinte en aucune manière par le droit successoral paysan en vigueur. Cela est si vrai qu'on a proposé, de lege ferenda, une disposition expresse selon laquelle les descendants capables de se charger de l'exploitation ne peuvent en être privés par une disposition testamentaire ou un pacte successoral (art. 620 al. 4 CC figurant dans l'avant-projet V concernant la revision de la loi sur la propriété foncière rurale; cf. A. COMMENT, Vers la revision du droit foncier rural, Revue suisse du notariat et du registre foncier, 1963, p. 321 ss., 327).
3.
En l'espèce, feu Jacob Hurni a ordonné le partage de ses immeubles en six parts égales qui doivent être attribuées à chacun de ses six enfants. Sa disposition pour cause de mort exprime la volonté de préférer l'égalité entre ses descendants à l'application du droit successoral paysan. Aucune circonstance résultant des faits constatés par la Cour cantonale ne permet de penser que le défunt aurait abusé de son droit de tester d'une façon contraire aux règles de la bonne foi. La disposition testamentaire est donc pleinement valable.
La succession devant être partagée selon la volonté exprimée par le testateur, il n'est pas nécessaire d'examiner si les immeubles qu'elle comprend forment une exploitation agricole au sens de l'art. 620 CC et de la jurisprudence, ou s'ils doivent être considérés, du moins dans leur majeure partie, comme des terrains à bâtir, selon l'opinion des juges d'appel fribourgeois. De toute manière, en effet, la décision attaquée serait confirmée dans son résultat.
Dispositiv
Par ces motifs, le Tribunal fédéral
Rejette le recours et confirme l'arrêt rendu le 10 juillet 1963 par la Cour d'appel du Tribunal cantonal de l'Etat de Fribourg. | public_law | nan | fr | 1,964 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
d20deb8d-b95d-4d5e-8dcd-6dccc4e90701 | Urteilskopf
110 Ib 63
11. Extrait de l'arrêt de la IIe Cour de droit public du 12 avril 1984 dans la cause Pensionnat Mont-Olivet, Soeurs Cellier et Larreina c. Commission de recours en matière de police des étrangers du canton de Vaud (recours de droit public et recours de droit administratif) | Regeste
Verordnung über die Begrenzung der Zahl der erwerbstätigen Ausländer vom 22. Oktober 1980.
1.
Art. 100 lit. b Ziff. 3 OG
ist anwendbar bei Streitigkeiten über die Erteilung einer Aufenthaltsbewilligung, nicht jedoch, wo es ausschliesslich um die Frage der Anwendbarkeit der genannten Verordnung geht (E. 2a und b).
2. Abgesehen von den in Art. 2 und 3 der Verordnung genannten Fällen hat die kantonale Behörde darüber zu befinden, ob eine Person von der Begrenzungsmassnahme des Bundesrates erfasst wird; der diesbezügliche Entscheid ist mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde anfechtbar (E. 2c). Frage, ob nicht nur der Arbeitgeber sondern auch der Arbeitnehmer beschwerdeberechtigt ist, offen gelassen (E. 2d).
3. Begriff der auf Erwerb gerichteten Tätigkeit i.S. von
Art. 3 Abs. 1 ANAV
(E. 4b). Die Funktionen, die im konkreten Fall zwei Nonnen in einem Mädchenpensionat zu erfüllen haben, sind objektiv nicht als auf Erwerb gerichtete Tätigkeit zu qualifizieren (E. 4c). | Sachverhalt
ab Seite 64
BGE 110 Ib 63 S. 64
Créé à Lausanne en 1917, le Pensionnat Mont-Olivet est un institut catholique d'enseignement et d'éducation de jeunes filles, de réputation internationale. Il comprend actuellement dix-sept religieuses qui - sans recevoir de salaire en espèces - sont chargées de l'enseignement et de l'éducation de 350 jeunes filles fréquentant l'institut comme internes ou comme externes.
Le 10 novembre 1982, la directrice du Pensionnat Mont-Olivet a présenté des demandes d'autorisation de séjour - sans activité lucrative - pour trois religieuses étrangères, les Soeurs Antonia Larreina, ressortissante espagnole, Marie Cellier et Alice Laurent, ressortissantes françaises, en qualité de religieuses et d'animatrices spirituelles. Ces demandes ont été écartées par l'Office cantonal de contrôle des habitants et de police des étrangers du canton de Vaud le 27 janvier 1983.
A la suite du recours formé en temps utile par le Pensionnat Mont-Olivet et par les trois religieuses requérantes, Soeur Alice Laurent a, en raison de son âge, reçu l'autorisation de "séjourner en Suisse en qualité de religieuse en retraite" le 15 mars 1983. En revanche, l'Office cantonal du travail a confirmé son préavis négatif pour les deux autres demandes.
Par décision motivée du 21 septembre 1983, la Commission cantonale de recours en matière de police des étrangers a rejeté le recours des Soeurs Marie Cellier et Antonia Larreina et a imparti aux intéressées un délai au 31 décembre 1983 pour quitter le territoire vaudois. La Commission de recours a en effet estimé que les recourantes ne pouvaient échapper aux mesures de limitation prévues à l'art. 4 lettre a de l'ordonnance du 22 octobre 1980 limitant le nombre des étrangers qui exercent une activité lucrative;
BGE 110 Ib 63 S. 65
elles ne sauraient dès lors bénéficier d'autorisations de séjour en marge des contingents cantonaux.
Dans un seul et même acte, le Pensionnat Mont-Olivet et les Soeurs Marie Cellier et Antonia Larreina forment auprès du Tribunal fédéral un recours de droit public fondé sur l'
art. 4 Cst.
Ils concluent, avec suite de frais et dépens, à l'annulation de la décision de la Commission cantonale de recours du 21 septembre 1983, pour arbitraire et inégalité de traitement.
Erwägungen
Considérant en droit:
1.
Selon l'
art. 84 al. 1 OJ
, une décision prise en dernière instance cantonale peut être attaquée par la voie du recours de droit public, notamment pour violation de droits constitutionnels des citoyens (lettre a) ou de traités internationaux (lettre c). Toutefois, en vertu du principe de la subsidiarité, un tel recours est irrecevable lorsque la prétendue violation peut être soumise au Tribunal fédéral ou à une autre autorité fédérale, par une action ou par un autre moyen de droit (
art. 84 al. 2 OJ
).
Or, lorsque - comme en l'espèce - la décision attaquée est fondée sur des normes de droit public fédéral, la voie de recours de droit administratif est normalement ouverte, sous réserve des cas prévus aux art. 98 à 102 OJ. Il importe donc peu que les recourants déclarent former un recours de droit public pour violation de l'
art. 4 Cst.
et que - de manière expresse ou implicite - les autorités intimées tiennent ce recours pour recevable au sens des
art. 84 ss OJ
. Le Tribunal fédéral examine en effet d'office la recevabilité des recours dont il est saisi, sans être lié par les conclusions des parties, ni par les moyens qu'elles ont - ou n'ont pas - fait valoir à ce sujet (
ATF 109 Ia 64
,
ATF 106 Ib 126
et les arrêts cités). Il accepte ainsi d'office de traiter un acte intitulé "recours de droit public" comme un recours de droit administratif si cet acte en remplit les conditions (
ATF 109 Ib 143
,
ATF 108 Ib 74
consid. 1b). De même, dans la mesure où une autre autorité fédérale est compétente pour se prononcer sur le recours, le Tribunal fédéral ne déclare pas le recours irrecevable, mais il le transmet à cette autre autorité fédérale, le cas échéant, après avoir obtenu l'accord de celle-ci dans le cadre d'une procédure d'échange de vues (
art. 96 al. 1 et 2 OJ
). Dans ces conditions, il y a lieu d'examiner au préalable si le présent recours peut être considéré comme un recours de droit administratif ou si, pour raison d'incompétence
BGE 110 Ib 63 S. 66
du Tribunal fédéral, cet acte doit être transmis à une autre autorité fédérale.
2.
a) Aux termes de l'art. 18 al. 1 de la loi fédérale sur le séjour et l'établissement des étrangers du 26 mars 1931 (LSEE; RS 142.20), le refus d'autorisation de séjour prononcé par le canton est définitif, de sorte qu'en vertu de l'
art. 74 let
. e PA, le recours administratif au Conseil fédéral est en principe exclu.
En outre, cette décision cantonale, prise en matière de police des étrangers, ne peut pas non plus faire l'objet d'un recours de droit administratif au Tribunal fédéral, dans la mesure tout au moins où le droit fédéral ne confère pas à l'étranger requérant un droit (Rechtsanspruch) à obtenir l'autorisation qu'il sollicite (
art. 100 lettre b ch. 3 OJ
). Or, selon la jurisprudence, la législation interne ne confère normalement pas aux étrangers un droit à obtenir une autorisation de séjour, d'établissement ou de tolérance (ou le renouvellement d'une telle autorisation), car l'
art. 4 LSEE
précise à ce sujet que l'autorité cantonale statue librement dans le cadre des prescriptions légales et des traités conclus avec des Etats étrangers (
ATF 106 Ib 127
consid. 2a,
ATF 99 Ia 320
/321 consid. 2). Il est vrai que la Suisse a conclu avec l'Espagne - le 14 novembre 1879 (RS 0.142.113.321) - et avec la France - le 23 février 1882 (RS 0.142.113.491) - des traités d'établissement aux termes desquels les Espagnols - ou les Français - "seront reçus et traités dans chaque canton de la Confédération, relativement à leurs personnes et à leurs propriétés, sur le même pied et de la même manière que le sont ou pourront l'être à l'avenir les ressortissants des autres cantons" (art. 1er al. 1). Mais cette clause conventionnelle a toujours été interprétée en ce sens qu'elle ne confère pas aux ressortissants de ces Etats étrangers le droit - qui est reconnu aux Confédérés - d'obtenir en Suisse un permis d'établissement ou même une autorisation de séjour; d'ailleurs, ces traités d'établissement - en particulier, ceux conclus avec l'Espagne et la France - réservent généralement l'application "des lois et règlements de police", c'est-à-dire précisément des dispositions de la loi fédérale sur le séjour et l'établissement des étrangers (
ATF 106 Ib 127
/128 consid. 2b; voir aussi diverses décisions administratives, JAAC 1977 no 56, 1975 no 46, 1961 no 78).
Ainsi, dans la mesure où le litige porte sur l'octroi d'une autorisation de séjour, la disposition exceptionnelle de l'
art. 100 lettre b ch. 3 OJ
, excluant le recours de droit administratif, est applicable.
BGE 110 Ib 63 S. 67
b) Toutefois, l'autorité cantonale ne s'est pas fondée en l'espèce sur le principe énoncé à l'
art. 4 LSEE
, mais sur l'ordonnance du Conseil fédéral du 22 octobre 1980 limitant le nombre des étrangers qui exercent une activité lucrative (en abrégé: l'ordonnance; RS 823.21). En effet, la nouvelle ordonnance du Conseil fédéral du 26 octobre 1983 (RO 1983 p. 1446 ss) n'était pas encore en vigueur au moment où la décision attaquée a été rendue; les modifications qu'elle a apportées à la législation ne sont, au demeurant, pas décisives dans le cadre du présent recours. La Commission cantonale de recours en matière de police des étrangers a ainsi considéré que les deux religieuses étrangères, bien que non rétribuées en espèces, auraient à exercer une "activité lucrative" dans le Pensionnat Mont-Olivet et que, ne pouvant être qualifiées d'ecclésiastiques au sens de l'art. 7 lettre m de l'ordonnance, elles ne pouvaient pas recevoir une autorisation de séjour de l'Office fédéral de l'industrie, des arts et métiers et du travail (ci-après: l'OFIAMT) non imputable sur le contingent cantonal.
Il ressort donc clairement du dossier que le litige ne porte pas sur l'octroi d'autorisations de séjour, que l'autorité cantonale peut librement refuser en vertu du principe énoncé à l'
art. 4 LSEE
, mais bien sur la question de savoir si l'ordonnance limitant le nombre des étrangers exerçant une activité lucrative est applicable. Reste à déterminer quelle est l'autorité compétente pour statuer sur l'applicabilité de cette ordonnance, dans le cas des deux recourantes.
c) Avant l'entrée en vigueur - le 1er novembre 1980 - de l'ordonnance, celui qui contestait l'assujettissement aux mesures de limitation devait s'adresser à l'OFIAMT, seul compétent pour se prononcer en première instance sur cette question (voir art. 17 al. 2 de l'arrêté du Conseil fédéral du 6 juillet 1973 limitant le nombre des étrangers exerçant une activité lucrative; RO 1973 p. 1098 ss). L'ordonnance du 22 octobre 1980 a cependant modifié la répartition des compétences, répartition d'ailleurs maintenue dans la nouvelle ordonnance du 26 octobre 1983. Selon l'art. 18 al. 2, l'OFIAMT demeure l'autorité compétente pour délivrer certaines autorisations - soit, notamment, les autorisations de séjour à l'année sans imputation sur les contingents cantonaux conformément à l'art. 7 -, mais il n'a plus à se prononcer sur l'assujettissement aux mesures de limitation. En vertu de l'art. 18 al. 1 lettre a de l'ordonnance, c'est à l'Office fédéral des étrangers
BGE 110 Ib 63 S. 68
qu'il appartient de prendre "les décisions relatives à l'assujettissement à l'ordonnance du Conseil fédéral conformément à l'article 2 et aux mesures de limitation conformément à l'article 3". En revanche, aucune disposition de l'ordonnance ne confère à cet Office ou à l'OFIAMT la compétence de se prononcer sur l'applicabilité de l'ordonnance limitant le nombre des étrangers exerçant une activité lucrative ou - autrement dit - sur l'assujettissement à l'ordonnance en dehors des cas particuliers énumérés à l'art. 2. Il en résulte que cette compétence appartient à l'autorité habilitée - selon le principe général énoncé à l'
art. 15 al. 1 LSEE
- à exercer toutes les fonctions qui ne sont pas dévolues à une autorité fédérale, c'est-à-dire à l'autorité cantonale.
Or, en l'espèce, le Pensionnat Mont-Olivet a demandé aux autorités vaudoises de délivrer, en faveur de deux religieuses étrangères, des autorisations de séjour "sans activité lucrative". Pratiquement, cela signifie que les recourants n'entendaient pas se prévaloir d'une des dispositions particulières de l'art. 2 de l'ordonnance (personnes non soumises aux mesures de limitation) ou de l'art. 3 (exceptions aux mesures de limitation), mais qu'ils tenaient l'ordonnance elle-même pour inapplicable, dès lors que les deux religieuses - les Soeurs Marie Cellier et Antonia Larreina - n'auraient à exercer aucune "activité lucrative". Il appartenait ainsi à l'autorité cantonale - et non pas à l'Office fédéral des étrangers - de se prononcer sur la question de l'assujettissement des deux recourantes aux mesures de limitation prises par le Conseil fédéral dans son ordonnance du 22 octobre 1980. La décision prise sur ce point par la Commission cantonale de recours peut dès lors être attaquée par la voie du recours de droit administratif.
Demeure toutefois réservée la question subsidiaire de l'application de l'art. 7 lettre m de l'ordonnance, qui relève de la compétence de l'OFIAMT, mais sur laquelle l'autorité cantonale a aussi statué. Ainsi, dans la mesure où la thèse des recourants (non-assujettissements aux mesures de limitation) n'est pas admise, le Tribunal fédéral devrait examiner s'il y a lieu de transmettre le dossier à l'OFIAMT pour qu'il détermine si les deux religieuses étrangères peuvent être considérées comme des ecclésiastiques et recevoir, le cas échéant, des autorisations de séjour non imputables sur le contingentement cantonal.
d) Le Tribunal fédéral a déjà eu l'occasion d'admettre la recevabilité de recours de droit administratif formés par
BGE 110 Ib 63 S. 69
l'employeur pour violation de certaines dispositions de l'ordonnance (
ATF 109 Ib 244
consid. 3d,
ATF 106 Ib 129
/130) de même que pour violation de dispositions de l'arrêté du Conseil fédéral du 6 juillet 1973 (
ATF 100 Ib 106
; arrêt non publié du 15 mars 1978 dans la cause Epoux Lembke et Verein Spätregenmission c. Conseil d'Etat du canton d'Argovie, consid. 1). Dans ces arrêts, le Tribunal a cependant laissé indécis le point de savoir si l'étranger concerné par l'autorisation de séjour avait également qualité pour recourir. Cette question peut également rester ouverte en ce qui concerne les deux Soeurs recourantes dans la mesure où elles n'ont pas agi séparément et que la qualité pour former un recours de droit administratif doit être reconnue au Pensionnat Mont-Olivet selon l'art. 103 lettre c OJ. Le recourant a en effet établi son existence juridique comme association par son inscription au registre du commerce de Lausanne; il peut donc être considéré comme "employeur" au sens de l'art. 26 de l'ordonnance.
e) Dans ces conditions, le présent recours est recevable en tant que recours de droit administratif formé par le Pensionnat Mont-Olivet contre la décision de la Commission cantonale de recours relative à l'assujettissement aux mesures de limitation. Il doit, par conséquent, être déclaré irrecevable en tant que recours de droit public, conformément au principe de la subsidiarité prévu par l'
art. 84 al. 2 OJ
.
4.
a) Selon l'
art. 16 al. 1 LSEE
, les autorités compétentes pour délivrer des autorisations "doivent tenir compte des intérêts moraux et économiques du pays, ainsi que du degré de surpopulation étrangère". Les mesures de limitation que le Conseil fédéral a édictées dans son arrêté du 6 juillet 1973, puis dans son ordonnance du 22 octobre 1980, sont de simples mesures d'exécution de cette disposition légale; elles ne peuvent donc pas aller au-delà de ce que les intérêts moraux et économiques du pays exigent. Or, il importe de relever que le Conseil fédéral n'a pas limité le nombre de tous les étrangers séjournant en Suisse, mais seulement le nombre des étrangers qui exercent une "activité lucrative", ce dans le but "d'améliorer qualitativement la structure du marché du travail et de contribuer à ce que la situation de l'emploi soit aussi équilibrée que possible" (art. 1er al. 1, 2e phrase, de l'ordonnance). Il en résulte que ces mesures de limitation (soit principalement de contingentement du nombre des autorisations) sont inapplicables non seulement dans les cas mentionnés à l'art. 2
BGE 110 Ib 63 S. 70
de l'ordonnance - c'est-à-dire à des catégories de personnes qui, il importe de le souligner, exercent généralement une activité lucrative -, mais déjà lorsque, comme en l'espèce, un étranger demande une autorisation de séjour "sans activité lucrative".
Au fond, la question essentielle est donc de savoir si - comme le prétend le recourant - les deux religieuses étrangères sont appelées à exercer au Pensionnat Mont-Olivet une activité qui, contrairement à l'opinion exprimée par les autorités cantonales, pourrait être considérée comme "non lucrative".
b) Aux termes de l'art. 3 al. 1 du règlement d'exécution de la LSEE (RSEE; RS 142.201), l'expression "activité lucrative" désigne aussi bien la prise d'emploi que toute autre activité qui, par sa nature, a normalement un but lucratif. Or, d'après la jurisprudence, cette définition est valable non seulement pour la LSEE et pour son règlement d'exécution, mais aussi pour l'ordonnance limitant le nombre des étrangers qui exercent une activité lucrative. La question n'est donc pas de savoir si, dans le cas particulier, l'étranger requérant va exercer une activité dans le but de gagner sa vie en Suisse, mais bien plutôt de savoir si, sur le marché du travail, cette activité est normalement génératrice de gain. Autrement dit, le critère de distinction - entre les activités lucratives, soumises à limitation, et celles qui ne le sont pas et échappent aux mesures de limitation - est essentiellement objectif et non pas subjectif (arrêt Lembke du 15 mars 1978, déjà cité, consid. 2a).
Sur ce point, la Commission cantonale de recours a certes considéré à juste titre que "la notion d'activité lucrative doit être comprise dans un sens très large", mais elle est certainement allée trop loin dans ce sens en concluant "qu'ainsi l'exercice de toute activité, même gratuite, est assimilée à une activité lucrative justifiant l'application des mesures de limitation imposées aux cantons par la Confédération". Adopter une telle solution conduirait, en réalité, à nier l'hypothèse d'activités non lucratives, alors que le Tribunal fédéral l'a expressément admise, examinant - notamment dans l'arrêt Lembke du 15 mars 1978 - si l'activité exercée pouvait être considérée comme non lucrative et échapper ainsi aux mesures de limitation prévues par l'ordonnance.
c) En l'occurrence, il n'est pas contesté que les religieuses du Pensionnat Mont-Olivet ne reçoivent aucune rémunération en espèces; dans ce sens, la directrice - qui est elle-même une religieuse - a précisé que leur travail se limitait "à des fins
BGE 110 Ib 63 S. 71
purement humanitaires et caritatives". La Soeur Marie Cellier serait ainsi partiellement responsable de la catéchèse des jeunes élèves et assurerait la fonction de surveillante de l'internat. Quant à la Soeur Antonia Larreina, elle s'occuperait particulièrement des rapports entre l'institut, les élèves de langue espagnole et leurs parents, ainsi que de la formation morale de ces jeunes filles.
Les deux Soeurs concernées font partie de la congrégation religieuse des "Soeurs de la Présentation de Marie" et ont été envoyées en Suisse par leur Mère supérieure pour exercer leur ministère au sein de la communauté de religieuses du Pensionnat Mont-Olivet. D'un point de vue subjectif, cette activité n'est donc certainement pas lucrative. Toutefois, selon le texte même de l'art. 3 al. 1 du RSEE, cela ne suffit pas pour exclure l'application de l'ordonnance limitant le nombre des étrangers qui exercent une activité lucrative; il faut encore qu'objectivement, une telle activité dans un pensionnat de jeunes filles n'ait normalement pas un but lucratif. Or, si - théoriquement tout au moins - la surveillance de jeunes pensionnaires peut, dans un établissement scolaire normal, être confiée à des laïcs qui, généralement, touchent un salaire, il n'en est pas de même pour le Pensionnat Mont-Olivet, qui est une institution catholique où les jeunes filles reçoivent non seulement une instruction scolaire, mais aussi et surtout une éducation chrétienne. De ce fait, la présence de religieuses au sein de l'institut apparaît indispensable. La question de savoir si leur présence serait également nécessaire dans le cadre d'activités qui ne concernent pas directement l'éducation des élèves - comme l'enseignement des mathématiques ou du français - peut rester ouverte en l'espèce, dès lors qu'il est établi que les Soeurs Marie Cellier et Antonia Larreina seront précisément appelées à accomplir au Pensionnat Mont-Olivet des tâches qui, si l'on veut préserver l'esprit de l'institution, ne peuvent être confiées qu'à des religieuses. En effet, les fonctions accomplies par ces femmes qui, ayant fait le voeu de pauvreté, ne cherchent pas à gagner leur vie, mais vivent leur vocation, ne sont nullement offertes sur le marché du travail et ne peuvent être assumées par des personnes laïques. De telles fonctions ne sauraient donc, du point de vue objectif, être assimilées à une activité lucrative au sens de l'
art. 3 al. 1 RSEE
, de sorte qu'elles échappent à toute mesure de limitation prise par le Conseil fédéral dans le cadre de son ordonnance du 22 octobre 1980.
d) En déclarant les deux demandes d'autorisation soumises au contingentement, la Commission cantonale de recours a ainsi violé
BGE 110 Ib 63 S. 72
une norme de droit public fédéral; sa décision doit donc être annulée en application de l'
art. 104 lettre a OJ
, la cause étant renvoyée à l'Office cantonal de la police des étrangers pour qu'il se prononce sur les deux demandes d'autorisation de séjour "sans activité lucrative", hors contingent cantonal.
e) Dès lors que l'ordonnance limitant le nombre des étrangers qui exercent une activité lucrative n'est pas applicable, le Tribunal fédéral n'a pas à examiner si l'Office fédéral des étrangers pourrait, pour des raisons humanitaires, approuver l'octroi de deux autorisations de séjour à l'année, selon l'art. 3 lettre f de l'ordonnance, ou si le dossier devrait être transmis à l'OFIAMT pour qu'il accorde, le cas échéant, ces deux autorisations en application de l'art. 7 lettre m de l'ordonnance.
Dispositiv
Par ces motifs, le Tribunal fédéral:
1. a) Déclare le recours irrecevable en tant que recours de droit public;
b) Admet le recours dans la mesure où il est recevable en tant que recours de droit administratif.
2. Annule la décision attaquée et renvoie l'affaire à l'Office cantonal de la police des étrangers pour qu'il se prononce sur les deux demandes d'autorisation de séjour - non imputables sur le contingent cantonal - présentées par les Soeurs Marie Cellier et Antonia Larreina. | public_law | nan | fr | 1,984 | CH_BGE | CH_BGE_003 | CH | Federation |
d20e39aa-1669-4bc6-9f20-2c288a952b2a | Urteilskopf
134 III 112
20. Auszug aus dem Urteil der II. zivilrechtlichen Abteilung i.S. X. AG gegen Y. GmbH (Beschwerde in Zivilsachen)
5A_421/2007 vom 13. Dezember 2007 | Regeste
Art. 64 und 65 SchKG
; Zustellung von Betreibungsurkunden.
Betreibungsurkunden können den in
Art. 65 Abs. 1 SchKG
als Vertreter genannten Personen unmittelbar auch ausserhalb des Geschäftslokals der betriebenen juristischen Person oder Gesellschaft zugestellt werden (E. 3.1). Wenn der betreffende Vertreter nicht persönlich angetroffen wird, ist für die Ersatzzustellung
Art. 64 SchKG
anzuwenden (E. 3.2). | Sachverhalt
ab Seite 113
BGE 134 III 112 S. 113
Das Betreibungsamt Schaffhausen stellte am 23. März 2007 in der gegen die X. AG laufenden Betreibung Nr. x (Gläubigerin: Y. GmbH) die Konkursandrohung zu.
Gegen die Konkursandrohung erhob die X. AG am 30. März 2007 Beschwerde beim Obergericht Schaffhausen als kantonaler Aufsichtsbehörde über das Schuldbetreibungs- und Konkurswesen und machte geltend, sie habe nie einen Zahlungsbefehl erhalten, weshalb die Konkursandrohung nichtig sei. Mit Entscheid vom 17. Juli 2007 wies die kantonale Aufsichtsbehörde die Beschwerde unter Kostenfolgen (Fr. 600.-) ab.
Mit Beschwerde in Zivilsachen vom 26. Juli 2007 beantragt die X. AG dem Bundesgericht, der Entscheid der kantonalen Aufsichtsbehörde sei aufzuheben und es sei die Nichtigkeit der Konkursandrohung festzustellen; eventuell sei diese aufzuheben.
Das Betreibungsamt und die Aufsichtsbehörde haben auf eine Vernehmlassung verzichtet. Die Gläubigerin als Beschwerdegegnerin schliesst sinngemäss auf Abweisung der Beschwerde.
Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
3.
3.1
Ist die Betreibung gegen eine juristische Person gerichtet, so erfolgt die Zustellung an den Vertreter derselben; als solcher gilt u.a. für eine Aktiengesellschaft jedes Mitglied der Verwaltung (
Art. 65 Abs. 1 Ziff. 2 SchKG
). Soweit die Beschwerdeführerin - eine Aktiengesellschaft - unter Hinweis auf den Wortlaut der Bestimmung in Frage stellt, dass der Zahlungsbefehl ihrem Verwaltungsratspräsidenten direkt ausserhalb des Geschäftslokals zugestellt werden könne, geht sie fehl. Das Bundesgericht hat in
BGE 125 III 384
ff. nach Auseinandersetzung mit den Lehrmeinungen und unter Hinweis auf seine Rechtsprechung (
BGE 72 III 71
mit Hinweis auf
BGE 44 III 21
) entschieden, dass Betreibungsurkunden den in
Art. 65 Abs. 1 SchKG
genannten Personen auch ausserhalb des Geschäftslokals der betriebenen juristischen Person oder Gesellschaft zugestellt werden können, ohne dass vorgängig die Zustellung im Geschäftslokal versucht werden muss (
BGE 125 III 384
E. 2b S. 385). Diese Rechtsprechung wird in der Lehre bestätigt (JEANNERET/LEMBO, in: Commentaire romand, Poursuite et faillite, Basel 2005, N. 18 zu
Art. 65 SchKG
mit Hinweisen; GILLIÉRON, Poursuite pour dettes, faillite et concordat,
BGE 134 III 112 S. 114
4. Aufl., Basel 2005, Rz. 491). Entgegen den Ausführungen der Beschwerdeführerin ist an dieser Rechtsprechung festzuhalten.
3.2
Die Beschwerdeführerin bringt vor, dass eine Ersatzzustellung gemäss
Art. 64 Abs. 1 SchKG
- hier an die Ehefrau des Verwaltungsratspräsidenten der Aktiengesellschaft - unzulässig sei, wenn der betreffende Vertreter einer juristischen Person oder Gesellschaft in seiner Wohnung nicht angetroffen werde. Der Einwand geht fehl. In der Lehre ist anerkannt, dass bei einer direkten Zustellung der Betreibungsurkunden an die in
Art. 65 Abs. 1 SchKG
genannten Personen ausserhalb des Geschäftslokals der betriebenen juristischen Person oder Gesellschaft für die Ersatzzustellung
Art. 64 SchKG
anzuwenden ist, wenn der betreffende Vertreter nicht persönlich angetroffen wird (JEANNERET/LEMBO, a.a.O.). Die kantonale Aufsichtsbehörde hat zu Recht festgehalten, dass
Art. 64 SchKG
, der die Zustellung an natürliche Personen regelt, einen allgemeinen Grundsatz enthält, der - soweit nötig - die Bestimmungen des
Art. 65 SchKG
zu ergänzen hat (
BGE 72 III 71
S. 72;
44 III 21
S. 23). Entgegen der Auffassung der Beschwerdeführerin ändert nichts daran, dass die Ersatzzustellung hier nicht an einen Angestellten, sondern an die Ehefrau, welche nichts mit der Beschwerdeführerin zu tun habe, erfolgt ist. Bereits in
BGE 44 III 21
(S. 22 f.) hat das Bundesgericht für den Fall, dass der Vertreter einer Gesellschaft in seiner Wohnung nicht angetroffen wird, entschieden, dass eine zur Haushaltung des Schuldners gehörende erwachsene Person die gleichen Garantien für eine Übermittlung an den eigentlichen Schuldner bietet wie ein Angestellter. Es sind keine Anhaltspunkte ersichtlich, welche die auf diese Überlegung gestützte Praxis in Frage stellen würden. Vor diesem Hintergrund liegt keine Rechtsverletzung vor, wenn die kantonale Aufsichtsbehörde zum Ergebnis gelangt ist, dass die Zustellung des Zahlungsbefehls am 5. Dezember 2006 an den Verwaltungsratspräsidenten der Beschwerdeführerin an dessen privatem Wohnsitz und dort ersatzweise an dessen Ehefrau wirksam sei. Der Einwand der Beschwerdeführerin, die kantonale Aufsichtsbehörde habe zu Unrecht angenommen, dass sich die Konkursandrohung auf einen wirksam zugestellten Zahlungsbefehl stütze, geht fehl und die Beschwerde erweist sich insoweit als unbegründet. | null | nan | de | 2,007 | CH_BGE | CH_BGE_005 | CH | Federation |
d20e486b-3b7e-4753-bd40-55a0c784205c | Urteilskopf
87 I 126
20. Urteil vom 3. Mai 1961 i.S. von Tobel gegen Künzle und Bezirksgericht St. Gallen. | Regeste
Wohnsitzgerichtsstand.
Anfechtbare Verfügung; Natur der Feststellungsklage über das Bestehen oder Nichtbestehen einer persönlichen Ansprache; Zulässigkeit der Widerklage am Ort der Einleitung der Hauptklage nur bei Rechtshängigkeit der Hauptklage. | Sachverhalt
ab Seite 126
BGE 87 I 126 S. 126
A.-
Die Beschwerdeführerin erliess gegenüber dem Beschwerdegegner im Oktober 1959 einen Zahlungsbefehl für
BGE 87 I 126 S. 127
eine Forderung von Fr. 50'000.--. Als Grund der Forderung wurde angegeben: "Ungerechtfertigte Bereicherung (übersetzte Rechnungsstellung als Willensvollstrecker, und Schadenersatz gemäss den eingereichten Strafklagen)". Der Betriebene erhob Rechtsvorschlag. Darauf lud die Beschwerdeführerin den Beschwerdegegner vor das Vermittleramt St. Gallen und verlangte, es sei gerichtlich zu erkennen, der Beklagte habe der Klägerin einen Betrag von Fr. 4000.-- nebst Zins zu bezahlen. Der Beklagte verlangte widerklageweise die Feststellung, dass die von der Klägerin durch Zahlungsbefehl geltend gemachte Forderung von Fr. 50'000.-- nicht zu Recht bestehe. Die Widerbeklagte bestritt die Widerklage. Auf Grund des ihm vom Vermittleramt ausgestellten Leitscheins ersuchte der Widerkläger das Bezirksgericht St. Gallen am 25. November 1960, vor Einreichung der Klage, um Einschreibung des Streites über die Widerklage. Vom Eingang der Widerklage wurde der Widerbeklagten am 30. November 1960 Kenntnis gegeben, damit sie die Antwort darauf binnen 20 Tagen einreiche. Der Ehemann der Widerbeklagten ersuchte am 16. Dezember um Erstreckung der Frist, welches Begehren bewilligt wurde (Verfügung vom 20. Dezember 1960). Einem weiteren Gesuch wurde durch Gewährung einer Frist bis zum 10. Februar 1961 entsprochen (Verfügung vom 21. Januar 1961) und nach deren Ablauf, d.h. am 13. Februar 1961, der Widerbeklagten eine Notfrist von 14 Tagen zur nachträglichen Einreichung der Antwort angesetzt (Verfügung vom 13. Februar 1961).
B.-
Frau Dr. Fanny von Tobler-Isler erhebt mit Eingabe vom 23. Februar 1961 staatsrechtliche Beschwerde mit dem Antrag, die Einschreibung der Widerklage vom 25. November 1960 sowie die Fristansetzung des Bezirksgerichtspräsidenten von St. Gallen vom 13. Februar 1961 wegen Verletzung von
Art. 59 BV
als unzulässig zu erklären und aufzuheben. Zur Begründung wird ausgeführt: Da die Hauptklage beim Bezirksgericht noch nicht anhängig sei, hätte die Wiederklage nicht eingeschrieben werden dürfen.
BGE 87 I 126 S. 128
Damit eine Widerklage hängig gemacht werden könne, müsse eine Hauptklage anhängig sein. Auch die st. gallische Prozessordnung bestimme, dass der Beklagte eine allfällige Widerklage im Anschluss an die Antwort einzureichen habe.
§ 213 Abs. 2 ZPO
treffe nicht zu, da der Widerkläger unterlassen habe, die Einschreibung der Klage zu verlangen. Das Gericht habe daher davon abgesehen, die Klägerin zur Einreichung der Klage schriftlich aufzufordern. Die Einschreibung der Widerklage und die Aufforderung an die Widerbeklagte, die Antwort einzureichen, verletze deshalb
Art. 59 BV
. Die Begründung, die der Widerkläger für sein Verhalten gebe, sei nicht überzeugend, was näher ausgeführt wird.
C.-
Der Beschwerdegegner beantragt, auf die Beschwerde nicht einzutreten, eventuell sie abzuweisen. Der Nichteintretensantrag wird damit begründet, dass bei Einreichung der Beschwerde mehr als 30 Tage seit der Einschreibung des Prozesses verstrichen gewesen seien. Wenn aber die Prozesseinschreibung rechtsgültig sei, müsse dies auch für die Ausführungshandlungen (Zustellung der Klage, Fristansetzung usw.) gelten, weil diese keinen selbständigen rechtlichen Charakter hätten und nicht Gegenstand besonderer Anfechtung sein könnten.
Das Bezirksgericht St. Gallen hat die Behandlung der Widerklage bis zur Erledigung der staatsrechtlichen Beschwerde eingestellt und in den Erwägungen u.a. ausgeführt: Es sei fragwürdig, ob auf die staatsrechtliche Beschwerde eingetreten werden könne, nachdem sie nicht binnen 30 Tagen seit der Einschreibung der Widerklage erhoben wurde, es sich überdies beim Streitgegenstand um eine Feststellung, nicht um eine persönliche Ansprache gegenüber der Widerbeklagten handle, sodass
Art. 59 BV
nicht anwendbar sein dürfte.
Erwägungen
Das Bundesgericht zieht in Erwägung:
1.
Die staatsrechtliche Beschwerde richtet sich gegen die Einschreibung der Widerklage und die Fristansetzung
BGE 87 I 126 S. 129
zu deren Beantwortung. Sie wird damit begründet, dass diese Verfügungen
Art. 59 BV
verletzen, weil die Hauptklage noch nicht gerichtlich anhängig gemacht worden sei.
Die staatsrechtliche Beschwerde wegen Verletzung von
Art. 59 BV
kann gegen jede gerichtliche Verfügung erhoben werden, mit welcher der Richter richterliche Tätigkeit ausübt (
BGE 66 I 232
,
BGE 68 I 151
). Sie kann, wenn sie sich gegen die Zulässigkeit einer Widerklage richtet, also noch nach Beurteilung der Widerklage, im Anschluss an das Sachurteil darüber erhoben werden, wenn mit dem Urteil gleichzeitig über die bestrittene Zuständigkeit entschieden wird, allfällig noch gegen die Vollstreckung (
BGE 69 I 85
). Sie kann aber auch angeschlossen werden an die Einschreibung des Prozesses oder an die Aufforderung des Gerichtes, auf die Widerklage zu antworten. Ist sie gegen die Einschreibung der Widerklage, mit der die Rechtshängigkeit begründet wird, verspätet, wird sie aber rechtzeitig an die Aufforderung zur Einreichung der Antwort angeschlossen, so hat die Gutheissung der Beschwerde implicite zur Folge, dass auch die Prozesseinschreibung aufgehoben wird.
Da die vorliegende Beschwerde innert der der Beschwerdeführerin angesetzten Frist zur Einreichung der Widerklageantwort erhoben worden ist, ist sie rechtzeitig, d.h. kann auf Grund derselben darüber entschieden werden, ob die Aufforderung zur Beantwortung
Art. 59 BV
verletzt.
2.
Das Bezirksgericht verneint eine Verletzung von
Art. 59 BV
schon aus dem Grunde, weil der Widerkläger eine Feststellungsklage erhebe.
Nach ihrer äusseren Form ist die Widerklage allerdings eine Feststellungsklage. Es soll festgestellt werden, dass die von der Widerbeklagten gegen den Widerkläger durch Betreibung geltend gemachte persönliche Forderung von Fr. 50'000.-- nicht zu Recht bestehe. Es handelt sich also um eine Feststellungsklage über das Bestehen oder Nichtbestehen einer persönliche Ansprache. Derartige - positive oder negative - Feststellungsklagen sind nach der Rechtsprechung (
BGE 25 I 425
,
BGE 32 I 74
, nicht publiziertes Urteil
BGE 87 I 126 S. 130
vom 7. Februar 1944 i.S. Wipf S. 8, mit Hinweis auf LEUCH ZPO, II. Auflage zu Art. 174, Note 1 S. 173) persönliche Ansprachen im Sinne von
Art. 59 BV
.
3.
Der Widerklagegerichtsstand am Ort der Einleitung der Hauptklage ist mit
Art. 59 BV
vereinbar, sofern Klage- und Widerklageforderung miteinander in einem rechtlichen Zusammenhang stehen, d.h. konnex sind (
BGE 58 I 169
; BURCKHARDT, Komm. zu Art. 59 S. 558). Damit die Widerklage zulässig ist, muss daher die Hauptklage angehoben und rechtshängig gemacht worden (BGE 17, 373) und noch rechtshängig sein. Kompetenzgrund für die Widerklage ist die Rechtshängigkeit der Hauptklage; die Berechtigung des Gerichtsstandes der Widerklage, welcher den Widerbeklagten seines natürlichen Richters beraubt, beruht darin, dass die gerichtliche Beurteilung der Klage in tatsächlicher Beziehung diejenige der Widerklage fördert. Besteht diese Verwandtschaft nicht, so ist kein genügender Grund vorhanden, den Widerbeklagten vor dem Gericht des Widerklägers festzuhalten (LEUCH, bern. ZPO zu Art. 33 Note 1; BURCKHARDT, a.a.O. S. 559).
Nach st. gallischem Prozessrecht (
Art. 205 Ziff. 3 ZPO
) kann die Widerklage allerdings schon vor dem Vermittler angehoben werden. Da die Rechtshängigkeit von Klage und Widerklage aber erst mit der Einschreibung des Rechtsstreites beim Richter eintritt (
Art. 213 ZPO
; LUTZ dazu Note 4), kann nach kantonalem Recht die Widerklage schon vor Eintritt der Rechtshängigkeit angehoben, eingeleitet werden (
Art. 96 Abs. 4 ZPO
). Das vermag jedoch nichts daran zu ändern, dass im interkantonalen Verhältnis die Hauptklage rechtshängig sein muss, damit der Gerichtsstand der Widerklage begründet ist. Im innerkantonalen Verhältnis bedarf es für die Widerklage der Konnexität nicht (LUTZ zu Art. 96 Note 2). Ob sie gegeben ist, kann definitiv erst festgestellt werden, wenn die Klage begründet worden ist, was mit der Anhängigmachung des Rechtsstreites geschieht (
Art. 275 ZPO
). Im innerkantonalen Verhältnis ist auch nicht erforderlich,
BGE 87 I 126 S. 131
dass die Hauptklage noch rechtshängig sei, fällt also der Gerichtsstand der Widerklage bei Rückzug der Klage, bei einem Vergleich darüber oder Gegenstandslosigkeit derselben nicht dahin, während im interkantonalen Verhältnis der Gerichtsstand der Widerklage vor
Art. 59 BV
nur dann gerechtfertigt ist, wenn die Hauptklage (noch) anhängig ist. Da dies hier noch nicht der Fall ist, verletzt die Entgegennahme und Behandlung der Widerklage
Art. 59 BV
und ist daher die Aufforderung zu deren Beantwortung aufzuheben. Damit fällt auch die Einschreibung der Widerklage dahin.
Dispositiv
Demnach erkennt das Bundesgericht:
Die Beschwerde wird gutgeheissen und die Fristansetzung zur Einreichung der Widerklageantwort aufgehoben. | public_law | nan | de | 1,961 | CH_BGE | CH_BGE_001 | CH | Federation |
d212bf57-623c-4ed9-b76e-0decc16e2486 | Urteilskopf
135 V 373
46. Auszug aus dem Urteil der II. sozialrechtlichen Abteilung i.S. Stiftung Sicherheitsfonds BVG gegen Bank C. (Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten)
9C_763/2008 vom 24. Juli 2009 | Regeste
Art. 56a Abs. 1,
Art. 73 Abs. 1 lit. d BVG
; sachliche Zuständigkeit; doppelrelevante Tatsachen.
Die sachliche Zuständigkeit des Berufsvorsorgegerichts zur Beurteilung einer Rückgriffsklage des Sicherheitsfonds ist bereits gegeben, wenn die zur Begründung des eingeklagten Anspruchs vorgebrachten Tatsachen mit einer gewissen Wahrscheinlichkeit vorliegen (E. 3.4). | Sachverhalt
ab Seite 373
BGE 135 V 373 S. 373
A.
Die M. AG, Bauunternehmung (nachfolgend: Arbeitgeberin), war zur Sicherung der Vorsorge ihrer Arbeitnehmer der Personalfürsorgestiftung der Firma M. AG (nachfolgend: Vorsorgeeinrichtung) angeschlossen. In dem am 5. Juni 1996 eröffneten Konkurs über die Arbeitgeberin blieb die Vorsorgeeinrichtung mit ihrer in der 2. Klasse kollozierten Forderung in der Höhe von Fr. 5'428'000.- weitgehend ungedeckt, worauf sie ebenfalls liquidiert werden musste. Für die ungedeckten Forderungen der versicherten Angestellten erbrachte der Sicherheitsfonds BVG Leistungen von insgesamt über 6,2 Millionen Franken.
BGE 135 V 373 S. 374
Die Arbeitgeberin hatte bei der Bank C. ein Wertschriftendepot unterhalten, welches sie am 1. Juli 1983 auf die Vorsorgeeinrichtung übertrug. Die Zinserträge und Kapitalrückzahlungen in Gesamthöhe von Fr. 119'500.- zahlte die Bank C. auch noch nach der Übertragung der Wertschriften jeweils an die Arbeitgeberin aus. Die Vorsorgeeinrichtung erhielt über die Auszahlungen jeweils schriftliche Mitteilung. Sie führte die ausbezahlten Beiträge in ihrer Buchhaltung als Forderungen gegenüber der Arbeitgeberin auf. Im Konkurs der Arbeitgeberin blieben diese aber ungedeckt.
B.
Mit Eingabe vom 28. Dezember 2006 erhob die Stiftung Sicherheitsfonds BVG Klage gegen die Bank C. auf Bezahlung von Fr. 119'500.- nebst 5 % Zins. Mit Entscheid vom 23. April 2008 trat das Sozialversicherungsgericht Basel-Stadt auf die Klage nicht ein.
C.
Die Stiftung Sicherheitsfonds BVG lässt Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten führen mit dem Antrag, in Aufhebung des vorinstanzlichen Entscheides sei die Angelegenheit zur materiellen Beurteilung an das Sozialversicherungsgericht Basel-Stadt zurückzuweisen.
Die Bank C. lässt auf Abweisung der Beschwerde schliessen. Das Bundesamt für Sozialversicherungen verzichtet auf eine Vernehmlassung.
Die Beschwerde wird gutgeheissen.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
2.
Im Streit liegt, ob der von der Stiftung Sicherheitsfonds BVG eingeklagte, gestützt auf
Art. 56a BVG
(SR 831.40) geltend gemachte Anspruch in die sachliche Zuständigkeit des Berufsvorsorgegerichts nach
Art. 73 BVG
fällt.
2.1
Nach der ursprünglichen, bis 31. Dezember 1996 in Kraft gewesenen Fassung von Art. 56 Abs. 1 lit. b Satz 2 BVG (AS 1983 797) regelte der Bundesrat die Voraussetzungen für die Leistungen des Sicherheitsfonds und das Rückgriffsrecht auf Organe zahlungsunfähiger Vorsorgeeinrichtungen. Gestützt darauf hatte der Bundesrat die Verordnung vom 7. Mai 1986 über die Verwaltung des Sicherheitsfonds BVG (aSFV 2; AS 1986 867; in Kraft bis 30. Juni 1998, AS 1998 1662) erlassen. Nach deren Art. 11 hat der Sicherheitsfonds gegenüber den Personen, die für die Zahlungsunfähigkeit der
BGE 135 V 373 S. 375
Vorsorgeeinrichtung ein Verschulden trifft, ein Rückgriffsrecht im Umfang der sichergestellten Leistungen. Am 1. Januar 1997 trat
Art. 56a Abs. 1 BVG
(in der bis 31. Dezember 2004 gültig gewesenen Fassung) in Kraft (AS 1996 3067), wonach der Sicherheitsfonds gegenüber Personen, die für die Zahlungsunfähigkeit der Vorsorgeeinrichtung oder des Versichertenkollektivs ein Verschulden trifft, ein Rückgriffsrecht im Umfang der sichergestellten Leistungen hat. In der seit 1. Januar 2005 geltenden Fassung sieht
Art. 56a Abs. 1 BVG
vor, dass der Sicherheitsfonds gegenüber Personen, die für die Zahlungsunfähigkeit der Vorsorgeeinrichtung oder des Versichertenkollektivs ein Verschulden trifft, im Zeitpunkt der Sicherstellung im Umfang der sichergestellten Leistungen in die Ansprüche der Vorsorgeeinrichtung eintreten kann.
2.2
Die Stiftung Sicherheitsfonds BVG leitet den geltend gemachten Anspruch aus Umständen ab, die sich vor dem 31. Dezember 2004 ereignet haben. Anwendbar ist daher die bis zu diesem Zeitpunkt massgebende Fassung von
Art. 56a BVG
bzw. Art. 11 aSFV 2 (
BGE 135 V 163
E. 5.2 S. 168; vgl. auch SVR 2006 BVG Nr. 30 S. 116, B 97/05 E. 3). Nach dieser Regelung subrogiert der Sicherheitsfonds nicht in die Ansprüche, die der Vorsorgeeinrichtung nach
Art. 52 BVG
zustehen, sondern hat einen eigenen Anspruch, der sich im Unterschied zur Haftung nach
Art. 52 BVG
nicht nur gegen Organe der Stiftung richtet, sondern auch gegen andere Personen, die an der Zahlungsunfähigkeit der Stiftung ein Verschulden trifft (
BGE 130 V 277
E. 2.1 S. 280 ff.), und zwar gemäss Art. 11 aSFV 2 über den Wortlaut des Gesetzes hinaus auch bereits in der ursprünglichen Fassung (
BGE 135 V 163
E. 5.2 S. 168 mit Hinweisen).
2.3
Die Haftung nach
Art. 56a BVG
bzw. Art. 11 aSFV 2 setzt nach dem Wortlaut der Normen in der deutschen Fassung bloss voraus, dass die in Anspruch genommene Person an der Zahlungsunfähigkeit der Vorsorgeeinrichtung ein Verschulden trifft. In der französischen und italienischen Version richtet sich der Anspruch gegen "les personnes responsables de l'insolvabilité" (
Art. 56a BVG
und Art. 11 aSFV 2) bzw. "persone a cui è imputabile l'insolvibilità" (
Art. 56a BVG
) oder "le persone responsabili dell'insolvenza" (Art. 11 aSFV 2). Weitere Haftungsvoraussetzungen werden nicht genannt. Auch ist die dogmatische Natur des Anspruchs (eigenständiger Haftungstatbestand oder Subrogation des Sicherheitsfonds in die Ansprüche der Vorsorgeeinrichtung) in der Lehre umstritten (vgl. einerseits THOMAS GEISER, Haftung für Schäden der
BGE 135 V 373 S. 376
Pensionskassen, in: Mélanges en l'honneur de Jean-Louis Duc, 2001, S. 67 ff., 72 f.; KRISTIN M. LÜÖND, Der Sicherheitsfonds BVG, 2004, S. 105 und 108; andererseits RITA TRIGO TRINDADE, Fondations de prévoyance et responsabilité: développements récents, in: Institutions de prévoyance: devoirs et responsabilité civile, 2006, S. 141 ff., 169). So oder so ist entsprechend allgemeinen Grundsätzen des Schadenersatzrechts ein widerrechtliches bzw. pflichtwidriges Verhalten vorauszusetzen (
BGE 130 V 277
E. 3.3 S. 283; GEISER, a.a.O., S. 73 f.), welches zudem gemäss der deutschsprachigen Gesetzesfassung schuldhaft sein muss; dabei genügt jedes Verschulden, mithin auch leichte Fahrlässigkeit (vgl. zu
Art. 52 BVG
:
BGE 128 V 124
E. 4e S. 132). Vorauszusetzen ist ferner ein Schaden sowie ein natürlicher und adäquater Kausalzusammenhang zwischen der Pflichtverletzung und dem Schaden (vgl.
BGE 128 V 124
E. 4a S. 127 f. und E. 4f S. 133 zur Haftung gemäss
Art. 52 BVG
). Der Schaden besteht darin, dass der Sicherheitsfonds für eine Leistung aufkommen muss, welche an sich durch die entsprechenden Vorsorgeeinrichtungen zu erbringen wäre.
2.4
Eine haftpflichtrechtlich massgebliche Widerrechtlichkeit setzt die Verletzung eines von der Rechtsordnung geschützten Gutes voraus, sei es, dass ein absolutes Recht des Geschädigten verletzt wird (Erfolgsunrecht), sei es, dass eine reine Vermögensschädigung durch Verstoss gegen eine einschlägige Schutznorm bewirkt wird (Verhaltensunrecht). Das Vermögen als solches ist kein Rechtsgut, seine Schädigung für sich allein somit nicht widerrechtlich. Vermögensschädigungen ohne Rechtsgutverletzung sind daher nur rechtswidrig, wenn sie auf ein Verhalten zurückgehen, das von der Rechtsordnung als solches, d.h. unabhängig von seiner Wirkung auf das Vermögen, verpönt wird. Vorausgesetzt wird, dass die verletzten Verhaltensnormen dem Schutz vor diesen Schädigungen dienen (
BGE 133 III 323
E. 5.1 S. 329 f.;
BGE 132 II 305
E. 4.1 S. 317 f.,
BGE 132 II 449
E. 3.3 S. 457;
BGE 123 II 577
E. 4c S. 581). Das gesetzlich geforderte Verhalten kann aus einem Tun bestehen oder aus einem Unterlassen, wenn eine Handlungspflicht besteht, die das Interesse des Geschädigten verfolgt und sich aus einer Schutzvorschrift zu dessen Gunsten ergibt (Garantenstellung;
BGE 132 II 305
E. 4.1 S. 317 f.;
BGE 123 II 577
E. 4d/ff S. 583 f.). Die Pflichten, die verletzt werden, ergeben sich in erster Linie aus dem Gesetz; für die Organe im Sinne von
Art. 52 BVG
sind ferner die statutarischen und reglementarischen Pflichten und Vorschriften massgebend, ferner die
BGE 135 V 373 S. 377
Weisungen der Aufsichtsbehörden und die Pflichten, die sich aus einem Vertrag ergeben (
BGE 128 V 124
E. 4d S. 129).
3.
3.1
Gemäss
Art. 73 Abs. 1 BVG
bezeichnet jeder Kanton ein Gericht, das als letzte kantonale Instanz über Streitigkeiten zwischen Vorsorgeeinrichtungen, Arbeitgebern und Anspruchsberechtigten entscheidet. Laut Satz 2 dieser Bestimmung (in der Fassung gemäss Ziff. I des Bundesgesetzes vom 3. Oktober 2003 [1. BVG-Revision], in Kraft seit 1. Januar 2005) entscheidet es zudem über Verantwortlichkeitsansprüche nach Art. 52 (lit. c) und über den Rückgriff nach
Art. 56a Abs. 1 BVG
(lit. d).
Das Berufsvorsorgegericht gemäss
Art. 73 Abs. 1 Satz 2 BVG
ist zuständig zur Beurteilung von Klagen auf Verantwortlichkeit nach
Art. 52 BVG
sowie auf Rückgriff und Rückforderung nach
Art. 56a BVG
, auch wenn sich der Sachverhalt wie hier vor dem 1. Januar 1997 verwirklicht hat (
BGE 130 V 279
E. 1.2;
BGE 128 V 126
E. 2; SZS 2003 S. 524, B 76/01 und B 77/01; SVR 2006 BVG Nr. 34 S. 131, B 10/05 E. 4.3).
3.2
Nach der Rechtsprechung des Bundesgerichts ist bei der Beurteilung der Zuständigkeit auf den von der klagenden Partei eingeklagten Anspruch und dessen Begründung abzustellen (
BGE 122 III 252
E. 3b/bb;
BGE 119 II 67
f. E. 2a; je mit Hinweisen). Sofern Anknüpfungspunkt für die Zuständigkeit eine Tatsache darstellt, der auch materiellrechtlich entscheidende Bedeutung zukommt - eine sogenannte doppelrelevante Tatsache -, ist darüber ausnahmsweise nicht im Rahmen der Eintretensfrage, sondern des Sachentscheides (Begründetheit der Klage) zu befinden (
BGE 131 III 157
E. 5.1;
BGE 122 III 252
E. 3b/bb mit Hinweisen auf Rechtsprechung und Lehre). Dies wird hauptsächlich mit dem Schutz der beklagten Partei begründet, da die klagende Partei im Falle eines (blossen) Nichteintretensentscheides den Anspruch andernorts wiederum geltend machen könnte (
BGE 131 III 157
E. 5.1;
BGE 124 III 386
E. 3;
BGE 122 III 252
E. 3b/bb;
BGE 121 III 502
E. 6d; Urteil des Bundesgerichts 4P.289/1998 vom 23. März 1999 E. 5; VOGEL/SPÜHLER, Grundriss des Zivilprozessrechts, 8. Aufl. 2006, S. 130 f., mit Vorbehalten). Nicht in diesem Sinne wurde entschieden im Falle eines über seine Zuständigkeit befindenden Schiedsgerichts, sofern die Gültigkeit der Schiedsklausel bestritten ist. Denn es kann der bestreitenden Partei nicht zugemutet werden, dass ein allenfalls unzuständiges
BGE 135 V 373 S. 378
Gericht materiell entscheidet, ohne dass die Gültigkeit der Schiedsklausel erstellt ist (
BGE 121 III 495
). Ebenfalls bereits im Rahmen der Zuständigkeitsprüfung wurde die Frage der auch materiell relevanten Immunität eines fremden Staates beurteilt, da es diesem Grundsatz geradezu zuwiderlaufen würde, wenn sich der darauf berufende Staat der materiellen Entscheidung des Gerichts des fremden Staates unterziehen müsste (
BGE 124 III 382
). Ist ein Umstand nur im Hinblick auf die Gerichtszuständigkeit, nicht aber materiellrechtlich entscheidend, darf jedenfalls nicht einfach auf die Darstellung der klagenden Partei abgestellt werden, sondern ist im Rahmen des Eintretensentscheides - soweit nötig - ein Beweisverfahren durchzuführen (
BGE 122 III 249
). Für die Anerkennung der Zuständigkeit genügt es, wenn die vorgebrachten Tatsachen, welche sowohl für die Zulässigkeit der Klage als auch für deren materielle Begründetheit erheblich (doppelrelevant) sind, mit einer gewissen Wahrscheinlichkeit vorliegen (
BGE 131 III 157
E. 5.1).
Diese im Zivilprozess entwickelten Grundsätze finden nach der Rechtsprechung auch auf den Sozialversicherungsprozess Anwendung (RKUV 2004 S. 241, K 5/03 E. 2.2; Urteile des Eidg. Versicherungsgerichts K 185/00 vom 3. Februar 2003 und B 24/00 vom 30. Oktober 2001, letzteres zusammengefasst in: SZS 2003 S. 135).
3.3
3.3.1
Das kantonale Gericht verneinte seine sachliche Zuständigkeit mit der Begründung, bei der beklagten Bank handle es sich um eine zivilrechtliche Vertragspartnerin der zahlungsunfähigen Vorsorgeeinrichtung. Die Beziehung zwischen den beiden Prozessparteien sei rein privatrechtlich gewesen. Die Beklagte habe keine Funktion oder Aufgabe im Bereich der beruflichen Vorsorge ausgeübt und sei somit nicht eigentliche Vorsorgebeteiligte. Den Rechtsweg über das Sozialversicherungsgericht auch für gewöhnliche Vertragspartner zu öffnen, könne nicht Sinn und Zweck von
Art. 56a Abs. 1 BVG
entsprechen. Für die sich stellenden Rechtsfragen fehle es am BVG-rechtlichen Zusammenhang. Eine Klage im Sinne von
Art. 73 BVG
müsse sich aber zumindest materiell auf die berufliche Vorsorge beziehen (Hinweis auf RIEMER/RIEMER-KAFKA, Das Recht der beruflichen Vorsorge in der Schweiz, 2. Aufl. 2006, S. 162 § 8 Rz. 7 und HANS-ULRICH STAUFFER, Berufliche Vorsorge, 2005, S. 626 Rz. 1650). Andernfalls würde dies dazu führen, dass jede Streitigkeit zwischen einer Vorsorgeeinrichtung und einem Dritten - unabhängig vom betroffenen Rechtsgebiet - vor dem gemäss
Art. 73
BGE 135 V 373 S. 379
BVG
zuständigen Gericht ausgetragen werden könnte, sobald der Sicherheitsfonds einen Rückgriff habe. Das Kriterium, ob der Sicherheitsfonds einen Rückgriff habe oder nicht, sei eher zufällig und rechtfertige daher nicht, die allgemeine Gerichtsorganisation mit den üblichen Zuständigkeiten zu übergehen. Dies würde dazu führen, dass das gemäss
Art. 73 BVG
vorgesehene Spezialgericht auch über rechtliche Materien entscheiden müsste, die ihm eher fremd seien und für welche gerade andere Gerichte spezialisiert wären. Eine Eingrenzung müsse auch über den Begriff des Verschuldens an der Zahlungsunfähigkeit der Vorsorgeeinrichtung erfolgen, in dem für dieses Verschulden verlangt werde, dass eine mit der beruflichen Vorsorge zusammenhängende Aufgabe nicht oder schlecht erfüllt werde und dass eine einfache zivilrechtliche Vertragsverletzung nicht ausreiche. Immerhin müsse die in Frage stehende Forderung gemäss dem Wortlaut von
Art. 56a Abs. 1 BVG
einen kausalen Zusammenhang mit der Zahlungsunfähigkeit der Vorsorgeeinrichtung haben. Auch dies sei hier offensichtlich nicht der Fall. Der klagende Sicherheitsfonds mache Forderungen in der Gesamthöhe von Fr. 119'500.- nebst Zins geltend, währenddem im Konkurs der Vorsorgeeinrichtung ein Gesamtschaden von 6,2 Millionen Franken resultierte. Es könne demnach nicht ernsthaft behauptet werden, die geltend gemachte Forderung sei gegenüber der Beklagten massgeblich kausal gewesen für die Illiquidität der Vorsorgeeinrichtung. Dagegen spreche auch der zeitliche Zusammenhang. Die Zahlungen seien nämlich von 1989 bis 1996 fälschlicherweise - wie die Klägerin geltend mache - an die Arbeitgeberin geleistet worden. Die Arbeitgeberin sei erst im Jahr 1997 liquidiert worden. Schliesslich sei darauf hinzuweisen, dass die Vorsorgeeinrichtung, obwohl sie über die Auszahlung der Zinserträge und Rückzahlungen an die Arbeitgeberin jeweils Meldung erhalten habe, nie bei der Bank gegen dieses Vorgehen opponiert habe. Die Vorsorgeeinrichtung habe alle Bewegungen in ihrer Buchhaltung erfasst, nicht nur die an die Arbeitgeberin bezahlten Zinsen und Rückzahlungen, sondern auch die von der Arbeitgeberin bezahlten Bankspesen. Unter diesen Voraussetzungen die Bank für die eigene Zahlungsunfähigkeit verantwortlich zu machen, gehe doch zu weit. Die gesamten Umstände zeigten klar, dass die Voraussetzung des Verschuldens an der Zahlungsunfähigkeit nicht erfüllt sei.
3.3.2
Die Beschwerdeführerin ruft den Beschwerdegrund nach
Art. 95 lit. a BGG
an, weil der vorinstanzliche Entscheid
Art. 56a
BGE 135 V 373 S. 380
Abs. 1 und
Art. 73 BVG
als auch das Verbot der Rechtsverweigerung nach
Art. 29 Abs. 1 BV
verletze. Nach dem Willen des Gesetzgebers sollte der Sicherheitsfonds ermächtigt werden, Rückgriffsansprüche im einfachen, kostenlosen Verfahren nach
Art. 73 Abs. 2 BVG
geltend zu machen. Damit sei ein einheitliches Verfahren gewährleistet, womit auch der Prozessökonomie Rechnung getragen werde. Der Sicherheitsfonds solle nicht zusätzlich viel Zeit und Geld für komplizierte Verfahren aufwenden müssen, um seinen Schaden gegenüber den Verantwortlichen geltend machen zu können. Zu Unrecht grenze die Vorinstanz die im Rahmen von
Art. 56a BVG
passivlegitimierten Personen auf diejenigen ein, deren Verschulden sich auf die Nicht- oder Schlechterfüllung einer mit der beruflichen Vorsorge "direkt" zusammenhängenden Aufgabe beziehe. Die Beschwerdegegnerin habe als mit der Verwaltung von Mitteln der beruflichen Vorsorge betraute juristische Person eine Aufgabe im Bereich der beruflichen Vorsorge gemäss
Art. 56a BVG
inne. Nach der Rechtsprechung dürfe die Passivlegitimation nicht über das Verschulden eingeschränkt werden (Hinweis auf das Urteil des Eidg. Versicherungsgerichts SVR 2006 BVG Nr. 34 S. 131, B 10/05), wie dies das kantonale Gericht unzulässigerweise getan habe. Auch mit der Verneinung eines Verschuldens im Rahmen der Prüfung der Prozessvoraussetzungen habe die Vorinstanz
Art. 73 und
Art. 56a Abs. 1 BVG
verletzt. Schliesslich stelle die Vorgehensweise des kantonalen Gerichts, verschiedene materielle Fragestellungen (Passivlegitimation, Verschulden, Kausalität) nur marginal und im Rahmen der Prozessvoraussetzungen zu prüfen, eine Rechtsverweigerung im Sinne von
Art. 29 Abs. 1 BV
dar.
3.4
Unbestritten ist, dass der Sicherheitsfonds Leistungen der in Liquidation befindlichen zahlungsunfähigen Vorsorgeeinrichtung sichergestellt hat. Darunter befindet sich auch jener Teil der im Konkurs der Arbeitgeberin ungedeckt gebliebenen Forderungen in Höhe von Fr. 119'500.-, welcher den Überweisungen der Beklagten an die Arbeitgeberin nach Übertragung des Wertschriftendepots auf die Vorsorgeeinrichtung entspricht. Im Umfang der sichergestellten Leistungen hat der Sicherheitsfonds nach
Art. 56a Abs. 1 BVG
ein Rückgriffsrecht gegenüber Personen, die für die Zahlungsunfähigkeit der Vorsorgeeinrichtung ein Verschulden trifft. Gestützt auf diese Norm hat er denn auch den eingeklagten Anspruch begründet. Da der unter die Haftungsnorm des
Art. 56a Abs. 1 BVG
fallende haftpflichtige Personenkreis sehr weit gefasst ist (Urteil des Eidg.
BGE 135 V 373 S. 381
Versicherungsgerichts SVR 2006 BVG Nr. 34 S. 131, B 10/05 E. 8.1), kommt als passivlegitimierte Beklagte auch eine Bank in Frage, welche - wie hier - Teile des Stiftungsvermögens einer Vorsorgeeinrichtung verwaltet hatte. In einem solchen Fall nimmt die mit der Verwaltung des Vermögens betraute Person eine Aufgabe im Bereich der beruflichen Vorsorge wahr. Da der Sicherheitsfonds in die Schadenersatzforderungen der Vorsorgeeinrichtungen eintritt, kann er sich zur Begründung des widerrechtlichen Verhaltens auf die Verletzung des zwischen der Vorsorgeeinrichtung und der Bank geschlossenen Vertrags berufen (SVR 2008 BVG Nr. 33 S. 135, 9C_92/2007 E. 5.1). Da des Weiteren die Haftung bereits für leichte Fahrlässigkeit besteht (erwähntes Urteil 9C_92/2007 vom 30. April 2008 E. 1.3) und ein Mitverschulden genügt (
BGE 130 V 277
E. 2.1 S. 280), sind die in der Klage vom 28. Dezember 2006 zur Begründung des Rückgriffs nach
Art. 56a BVG
vorgebrachten Tatsachen mit der für das Eintreten auf die Klage erforderlichen Wahrscheinlichkeit (
BGE 131 III 157
E. 5.1) als gegeben zu betrachten. Der vorinstanzliche Entscheid widerspricht auch dem Grundsatz, dass eine Tatsache, die sowohl für die Zulässigkeit als auch für deren materielle Begründetheit erheblich (doppelrelevant) ist, nach der bundesgerichtlichen Rechtsprechung grundsätzlich erst im Stadium der materiellen Beurteilung zu prüfen ist (E. 3.2 hievor). Gründe für eine ausnahmsweise Prüfung bereits im Eintretensstadium sind nicht ersichtlich, zumal die Vorinstanz die Eingrenzung der sachlichen Zuständigkeit namentlich auch über die materielle Frage des Verschuldens vorgenommen hat. Der angefochtene Entscheid verletzt mithin Bundesrecht. Die Sache geht daher an das kantonale Gericht zurück, damit es materiell auf die Klage vom 28. Dezember 2006 eintrete. | null | nan | de | 2,009 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
d2132c6f-d6e3-4053-8d86-ea6f3dfeda3f | Urteilskopf
124 V 338
57. Arrêt du 2 septembre 1998 dans la cause Helsana Assurances SA contre J. et Tribunal administratif du canton de Neuchâtel | Regeste
Art. 25 Abs. 2 lit. g KVG
;
Art. 56 KVV
;
Art. 26 KLV
: Transportkosten.
- Anspruch einer Versicherten auf einen Beitrag an medizinisch notwendige Transportkosten bei Fehlen einer Vereinbarung zwischen dem Krankenversicherer und einem Transportunternehmen am Wohnsitz der Versicherten. Das Vorliegen eines Tarifvertrages zwischen Sozialversicherer und Leistungserbringer ist nicht Voraussetzung für den Anspruch auf Versicherungsleistungen.
- Die Kantone sind nicht verpflichtet, eine Liste der Transport- und Rettungsunternehmen aufzustellen, welche befugt sind, ihre Tätigkeiten auf Kosten der Krankenversicherer auszuüben.
- Begriff der medizinisch notwendigen Transportkosten. Stellt die Inanspruchnahme eines Taxiunternehmens im konkreten Fall eine adäquate Lösung dar, hat der Versicherte unter den in
Art. 26 KLV
aufgestellten Bedingungen und im Rahmen der dort festgehaltenen Grenzen Anspruch auf Vergütung der dadurch anfallenden Kosten.
Art. 87 lit. g KVG
: Parteientschädigung für das kantonale Verfahren. Der als Beistand oder Vormund bezeichnete Anwalt, der den Prozess der verbeiständeten oder bevormundeten Person erfolgreich führt, hat Anspruch auf eine Parteientschädigung. | Sachverhalt
ab Seite 339
BGE 124 V 338 S. 339
A.-
J., née en 1915, domiciliée à Neuchâtel, a présenté en avril 1996 une insuffisance rénale aiguë sur déshydratation ayant nécessité une dialyse. Elle souffre en outre de diverses affections, dont d'importantes douleurs au genou droit sur une chondrocalcinose ce qui, au dire du médecin traitant, rend l'usage des transports publics impossible et nécessite, depuis le 14 mai 1996, le recours au transport par voiture ou par taxi pour se rendre aux consultations dudit médecin, toutes les deux ou trois semaines, ainsi qu'à des séances de physiothérapie.
Représentée par son curateur, G., avocat à X, Dame J. a demandé à sa caisse-maladie, HELSANA Assurances SA (ci-après: la caisse), le 9 octobre 1996, de prendre en charge des frais de taxi s'élevant à 471 fr. 80 pour la période du 5 juin au 2 octobre 1996. La caisse a refusé toute prestation à ce titre, d'abord par lettre du 21 octobre 1996, puis par décision formelle du 20 janvier 1997 et, finalement, par décision sur opposition du 7 avril 1997. Elle a considéré, en bref, qu'elle n'avait pas à intervenir, dans le cadre de l'assurance obligatoire des soins, pour des frais de transport par taxi, en l'absence d'une liste des entreprises de transport reconnues par le canton de domicile de l'assurée et, par conséquent, d'une convention tarifaire entre elle-même et l'entreprise de taxi à laquelle l'assurée a fait appel.
BGE 124 V 338 S. 340
B.-
Saisi d'un recours de Dame J., le Tribunal administratif du canton de Neuchâtel l'a admis par jugement du 27 août 1997 et dit que l'assurée avait droit au remboursement par la caisse d'une somme de 235 fr. 90 plus intérêts à 5 pour cent dès le 21 octobre 1996. Il a en outre condamné la caisse à verser à Dame J. une indemnité de dépens de 500 francs.
L'autorité cantonale de recours a considéré que les frais de transport litigieux devaient, conformément aux prescriptions du droit fédéral, être supportés à raison de 50 pour cent par la caisse, bien que celle-ci n'ait conclu aucune convention tarifaire avec l'entreprise de taxi en cause, ni avec aucune autre entreprise de transport neuchâteloise. Une caisse ne saurait, en effet, s'affranchir de ses obligations à l'égard de ses assurés en s'abstenant de conclure une convention avec un ou plusieurs fournisseurs de prestations.
C.-
La caisse interjette recours de droit administratif et demande au Tribunal fédéral des assurances d'annuler le jugement attaqué.
Dame J. conclut au rejet du recours, tandis que l'Office fédéral des assurances sociales (OFAS) propose de l'admettre. Les parties se sont exprimées sur le préavis de l'OFAS, chacune persistant dans ses conclusions.
Erwägungen
Considérant en droit:
1.
a) Dans la procédure de recours concernant l'octroi ou le refus de prestations d'assurance, le pouvoir d'examen du Tribunal fédéral des assurances n'est pas limité à la violation du droit fédéral - y compris l'excès et l'abus du pouvoir d'appréciation - mais s'étend également à l'opportunité de la décision attaquée. Le tribunal n'est alors pas lié par l'état de fait constaté par la juridiction inférieure, et il peut s'écarter des conclusions des parties à l'avantage ou au détriment de celles-ci (
art. 132 OJ
;
ATF 121 V 222
consid. 1, 366 s. consid. 1c,
ATF 120 V 448
consid. 2a/aa,
ATF 117 V 306
consid. 1a).
b) Le Tribunal fédéral des assurances n'étant pas lié par les motifs que les parties invoquent (art. 114 al. 1 en corrélation avec l'
art. 132 OJ
), il examine d'office si le jugement attaqué viole des normes de droit public fédéral ou si la juridiction de première instance a commis un excès ou un abus de son pouvoir d'appréciation (
art. 104 let. a OJ
). Il peut ainsi admettre ou rejeter un recours sans égard aux griefs soulevés par le
BGE 124 V 338 S. 341
recourant ou aux raisons retenues par le premier juge (
ATF 122 V 36
consid. 2b,
ATF 119 V 28
consid. 1b, 442 s. consid. 1a et les références).
2.
a) Selon l'
art. 25 al. 2 let
. g LAMal, l'assurance obligatoire des soins prend en charge une contribution aux frais de transport médicalement nécessaires ainsi qu'aux frais de sauvetage. D'après l'
art. 33 al. 2 LAMal
, il appartient au Conseil fédéral de désigner en détail ces prestations. A l'
art. 33 let
. g OAMal, le Conseil fédéral, comme le permet l'
art. 33 al. 5 LAMal
, a délégué à son tour cette compétence au Département fédéral de l'intérieur (DFI).
Le DFI a fait usage de cette délégation aux art. 26 (pour les frais de transport) et 27 (pour les frais de sauvetage) de l'ordonnance sur les prestations dans l'assurance obligatoire des soins en cas de maladie du 29 septembre 1995 (OPAS; RS 832.112.31). Selon l'
art. 26 OPAS
, l'assurance prend en charge 50 pour cent des frais occasionnés par un transport médicalement indiqué pour permettre la dispensation des soins par un fournisseur de prestations admis, apte à traiter la maladie et qui fait partie des fournisseurs que l'assuré a le droit de choisir, lorsque l'état de santé du patient ne lui permet pas d'utiliser un autre moyen de transport public ou privé; le montant maximum est de 500 francs par année civile (al. 1). Le transport doit être effectué par un moyen qui corresponde aux exigences médicales du cas (al. 2).
b) La recourante soutient qu'on ne saurait, comme le fait la juridiction cantonale, lui reprocher de n'avoir conclu aucune convention avec une entreprise de transport neuchâteloise du moment que le canton de Neuchâtel a omis, jusqu'à présent, d'établir une liste des entreprises de transport qu'il juge aptes à exercer à la charge des assureurs-maladie. Tant que cette condition n'est pas remplie, lesdits assureurs ne sont pas en mesure de conclure une convention tarifaire et ne peuvent donc être astreints à prendre en charge des frais de transport aux conditions fixées par la loi.
aa) La recourante perd toutefois de vue que l'existence d'une convention tarifaire entre l'assureur social et le fournisseur de prestations n'est pas, en soi, une condition du droit aux prestations d'assurance, ainsi que le Tribunal fédéral des assurances l'a déjà jugé, à propos de la prise en charge par l'assurance-invalidité des frais d'un traitement médical entrepris dans un établissement hospitalier ou de cure, en application de l'
art. 14 al. 2 LAI
(RCC 1976 p. 530 s. consid. 2b). Selon un principe fondamental du droit fédéral de l'assurance-maladie, tout assureur autorisé à gérer l'assurance obligatoire des soins en vertu des
art. 11 et 13 LAMal
BGE 124 V 338 S. 342
doit être en mesure d'allouer à ses assurés en tout temps, dans son rayon d'activité territorial, l'ensemble des prestations générales en cas de maladie qui sont énumérées à l'
art. 25 LAMal
. En particulier, la loi fait obligation à l'institution d'assurance autorisée à pratiquer l'assurance-maladie sociale de garantir l'égalité de traitement des assurés (
art. 13 al. 2 let. a LAMal
), ainsi que de disposer d'une organisation et de pratiquer une gestion qui garantissent le respect des dispositions légales (
art. 13 al. 2 let. b LAMal
). S'agissant de la contribution aux frais de transport médicalement nécessaires ainsi qu'aux frais de sauvetage, elle est due aux conditions et dans les limites fixées par le DFI aux
art. 26 et 27 OPAS
. S'il n'existe pas de convention tarifaire pour de tels frais, soit à l'échelon national, soit à l'intérieur d'un canton, il incombe aux assureurs-maladie d'entreprendre toutes démarches utiles afin d'en conclure une, en se conformant aux principes applicables dans ce domaine (cf. plus spécialement les
art. 43 et 46 LAMal
) ou, à défaut, de mettre en oeuvre la procédure prévue à l'
art. 47 LAMal
en l'absence de convention tarifaire.
bb) Il est vrai qu'aux termes de l'
art. 56 OAMal
, sous le titre "Entreprises de transport et de sauvetage", le Conseil fédéral a prévu que celui qui est admis en vertu du droit cantonal et qui conclut un contrat sur les transports et le sauvetage avec un assureur-maladie est autorisé à exercer son activité à la charge de cet assureur. On ne saurait cependant déduire de cette disposition réglementaire que chaque canton a l'obligation d'établir une liste des entreprises de transport et de sauvetage admises à pratiquer aux frais de l'assurance-maladie, comme c'est le cas, par exemple, pour les établissements hospitaliers et les établissements médico-sociaux, en vertu de l'
art. 39 al. 1 let
. e et al. 3 LAMal. Bien plutôt faut-il comprendre l'
art. 56 OAMal
comme une condition formelle à l'approbation d'une convention tarifaire par l'autorité compétente (
art. 46 al. 4 LAMal
). Cela signifie, contrairement à ce que soutient la recourante, que l'initiative dans ce domaine n'incombe pas prioritairement aux cantons mais aux assureurs-maladie qui doivent, à cette fin, conclure des conventions avec les entreprises de transport et de sauvetage aptes à fournir à leurs assurés les prestations garanties par la loi, puis en requérir l'approbation par l'autorité compétente. Si l'entreprise partie à la convention n'est pas encore admise en vertu du droit cantonal, le contrat sera soumis à la condition (résolutoire) qu'elle obtienne cette reconnaissance. Rien n'empêche d'ailleurs les partenaires à la convention de conduire les deux procédures en parallèle. On peut au demeurant relever
BGE 124 V 338 S. 343
que le droit neuchâtelois, ici en cause, contient des prescriptions relatives aux transports de patients à l'art. 117 de la loi de santé du 6 février 1995 (RSN 800.1).
cc) En conclusion et comme l'admet d'ailleurs l'OFAS dans son préavis, la recourante ne saurait tirer argument de l'absence de convention entre assureurs-maladie et fournisseurs de prestations pour refuser le remboursement des frais de transport litigieux.
c) Si l'OFAS propose néanmoins d'admettre le recours, c'est pour d'autres motifs que ceux invoqués par la recourante. Il soutient, en effet, que les frais de taxi encourus par l'intimée n'étaient pas des frais de transport médicalement nécessaires au sens de l'
art. 25 al. 2 let
. g LAMal. S'appuyant sur les travaux préparatoires de la loi, il fait valoir que le législateur a voulu exclure les frais de voyage (notamment les frais de taxi, de bus ou de tram) du catalogue des prestations de l'assurance-maladie obligatoire. De plus, le texte de l'
art. 26 al. 1 OPAS
, où il est question de "frais occasionnés par un transport médicalement indiqué (...) lorsque l'état de santé du patient ne lui permet pas d'utiliser un autre moyen de transport public ou privé" semble exclure les moyens de transport ordinaires tels que la voiture personnelle, le bus ou le taxi. Et l'OFAS en déduit que seuls les véhicules spécialement équipés en vue du transport des malades seraient ici visés. D'après lui, l'assurance couvre uniquement les frais supplémentaires de transport liés à l'état de santé du patient (ce dernier nécessitant des soins en cours de trajet par exemple ou ne pouvant être transporté que couché), et non les frais consécutifs à un trajet effectué par un moyen de transport ordinaire.
aa) L'
art. 25 al. 2 let
. g LAMal, destiné à remédier à ce que d'aucuns considéraient comme une lacune de l'ancien droit (cf.
ATF 118 V 173
ss consid. 2), trouve son origine dans le projet de loi présenté par la Commission d'experts pour la révision de l'assurance-maladie, dans son rapport du 2 novembre 1990. En effet, selon l'
art. 14 al. 2 let
. f de ce projet, les prestations à la charge de l'assurance obligatoire des soins devaient comprendre "les frais de transport médicalement nécessaires ainsi que les frais de sauvetage, jusqu'à concurrence d'un montant maximal fixé par le Conseil fédéral". Pour sa part, le Conseil fédéral, sensible aux critiques adressées au cours de la procédure de consultation à cette formulation, jugée trop large, proposait une rédaction plus restrictive, limitée à une participation aux frais de transport d'urgence et de sauvetage (Message concernant la révision de l'assurance-maladie, du
BGE 124 V 338 S. 344
6 novembre 1991, FF 1992 I 135 et 250 ad
art. 19 al. 2 let
. f du projet de loi).
Dans sa séance des 4/6 novembre 1992, la Commission de la sécurité sociale et de la santé publique du Conseil des Etats, après une discussion où il apparaît que c'est avant tout l'administration qui défendait une conception très restrictive de cette nouvelle prestation, a décidé, par 6 voix contre 4, de donner la préférence à la version de la commission d'experts ("medizinisch notwendige Transportkosten" au lieu de "Transportkosten bei Notfällen"). Cette proposition (p. 57 du procès-verbal de la commission) a été acceptée sans discussion par le Conseil des Etats dans sa séance du 16 décembre 1992 (BO 1992 CE p. 1293 s., 1298) et suivie, également sans discussion, par le Conseil national dans sa séance du 5 octobre 1993 (BO 1993 CN p. 1837 ss) pour devenir l'actuel
art. 25 al. 2 let
. g LAMal.
On constate ainsi que, s'agissant de la définition des frais de transport à la charge de l'assurance, le législateur a préféré la rédaction de la commission d'experts à celle, plus restrictive, du Conseil fédéral et de l'administration. En revanche, l'exécutif a été suivi en ce qui concerne l'étendue de cette prise en charge, limitée à une contribution s'élevant en l'occurrence à 50 pour cent des frais et seulement jusqu'à concurrence de 500 francs par année civile.
En réalité, la conception défendue ici par l'OFAS repose essentiellement sur les déclarations faites lors de la séance déjà mentionnée de la commission parlementaire par le directeur de l'office, représentant l'administration, mais dont le point de vue, comme on l'a dit, n'a pas prévalu.
bb) Cette conception ne cadre pas non plus avec le texte de l'
art. 26 OPAS
. Celui-ci ne fait aucune allusion à un genre spécifique de moyen de transport pouvant entrer en considération pour les déplacements visés par cette disposition, la seule exigence posée à cet égard ayant trait à l'adéquation du moyen utilisé, qui doit correspondre aux exigences médicales du cas (al. 2). En particulier, on ne peut pas déduire de ce texte que seuls doivent être remboursés les frais consécutifs à un trajet effectué au moyen d'un véhicule spécialement équipé pour le transport de malades.
Dès lors, lorsqu'un assuré ne peut utiliser, pour des raisons médicales - attestées par un médecin - les transports publics ou son propre moyen de transport (automobile, vélo, etc.), c'est-à-dire lorsqu'il est contraint, pour se rendre chez un fournisseur de prestations, comme l'exige l'
art. 26 al. 1 OPAS
, de recourir aux services d'une entreprise de transport conventionnée (
art. 56 OAMal
), les conditions de la prise en charge par
BGE 124 V 338 S. 345
l'assurance obligatoire des soins sont réunies. Si, dans ce cas, le recours à une entreprise de taxis est une solution adéquate, l'assuré a droit, dans les limites fixées, au remboursement des frais qui en découlent. La modicité du montant couvert par l'assurance (moitié des frais effectifs mais 500 francs au plus par année civile) est, quoi qu'il en soit, le moyen le plus efficace d'éviter un recours abusif à cette prestation.
d) En l'espèce, sur le vu des attestations du médecin traitant de l'assurée, on doit admettre que celle-ci ne peut utiliser les transports publics ou un propre moyen de transport pour se rendre aux consultations de son médecin traitant et à des séances de physiothérapie. On a vu d'autre part que l'absence de convention entre l'assureur-maladie et une entreprise de transport au domicile de l'assurée n'est pas, en l'occurrence, une condition du droit aux prestations. C'est donc à bon droit que les premiers juges ont statué que l'intimée avait droit au remboursement de ses frais de transport en taxi jusqu'à concurrence de la moitié des frais effectifs (la limite de 500 francs par année n'étant pas atteinte en l'occurrence).
3.
Le jugement attaqué est toutefois entaché d'erreur de droit - ce qu'il y a lieu de constater d'office (consid. 1b supra) - dans la mesure où le Tribunal administratif a mis à la charge de la caisse un intérêt à 5 pour cent l'an sur la somme due à l'intimée, à compter du 21 octobre 1996. Il est en effet de jurisprudence constante que le versement d'intérêts moratoires sur des prestations d'assurance sociale ne peut être ordonné qu'à titre exceptionnel, en présence d'actes ou d'omissions illicites et fautifs de l'assureur social, ce qui n'est manifestement pas le cas en l'espèce (
ATF 119 V 81
consid. 3a,
ATF 117 V 351
).
4.
La recourante conteste le droit de l'intimée à des dépens pour la procédure cantonale, au motif que celle-ci agit par la voix de son curateur.
Savoir si et à quelles conditions une indemnité peut être allouée à la partie qui obtient gain de cause en procédure cantonale est une question qui, dans le nouveau régime de l'assurance-maladie, relève du droit fédéral (
art. 87 let
. g LAMal; RAMA 1997 no KV 15 p. 320). Or, de ce point de vue, le grief soulevé par la recourante est infondé. En effet, comme le Tribunal fédéral des assurances l'a jugé à propos de l'
art. 85 al. 2 let
. f LAVS, l'avocat désigné comme curateur ou tuteur qui mène avec succès le procès de son pupille peut prétendre des dépens (arrêt non publié A. du 26 février 1982).
5.
(Dépens) | null | nan | fr | 1,998 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
d213fede-60f6-439b-b937-186757683742 | Urteilskopf
140 II 33
5. Auszug aus dem Urteil der I. öffentlich-rechtlichen Abteilung i.S. A. und B. gegen C., D. und Gemeinderat Möhlin sowie Departement Bau, Verkehr und Umwelt des Kantons Aargau (Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten)
1C_250/2013 vom 12. Dezember 2013 | Regeste
Vorsorgliche Begrenzung von Lichtemissionen (Weihnachts- und ganzjährige Zierbeleuchtung) gestützt auf
Art. 11 Abs. 2 und
Art. 12 Abs. 2 USG
.
Rechts- und Beurteilungsgrundlagen (E. 4).
Öffentliches Interesse an der Begrenzung von Lichtemissionen im Allgemeinen (E. 5.4) und insbesondere im Nachtruhefenster zwischen 22.00 und 06.00 Uhr (E. 5.5).
Die ganzjährige Zierbeleuchtung wurde auf die Zeit bis 22.00 Uhr begrenzt. Dies schränkt die Eigentumsgarantie und allfällige andere Grundrechte der Beschwerdeführer nur geringfügig ein und ist verhältnismässig (E. 5.6- 5.8).
Die Weihnachtsbeleuchtung wurde auf die Zeit vom 1. Advent bis zum 6. Januar begrenzt und darf bis 01.00 Uhr des Folgetags betrieben werden. Damit wurde dem privaten Interesse der Beschwerdeführer wie auch der Tradition der Advents- und Weihnachtsbeleuchtung ausreichend Rechnung getragen (E. 6).
Keine Verletzung des Rechtsgleichheitsgebots (E. 7). | Sachverhalt
ab Seite 34
BGE 140 II 33 S. 34
A.
A. und B. bewohnen ein Haus (...) in Möhlin. Vom 11. November (Martinstag) bis zum 2. Februar (Maria Lichtmess) schmücken sie die Aussenfassade des Hauses, den Carport und den Garten
BGE 140 II 33 S. 35
(Bäume, Sträucher, Gewächshaus) mit Weihnachtsbeleuchtung (u.a. beleuchtete Sterne, Weihnachtsmänner, Lichtergirlanden). Zudem leuchten Sterne in den Fenstern des Hauses.
Nach der Weihnachtszeit wird eine reduzierte Beleuchtung für das ganze Jahr hindurch installiert (Ganzjahresbeleuchtung). Die Hausfassaden werden von allen Seiten mit Spots beleuchtet. Gewisse Lichterketten (z.B. am Carport) bleiben bestehen und einzelne Bäume werden weiterhin beleuchtet. In den Fenstern befinden sich anstelle der Sterne kleine Tischlampen.
Die Steuerung der Beleuchtung erfolgt mit Zeitschaltuhren. Zur Weihnachtszeit wird die Beleuchtung zwischen 16.30 und 17.00 Uhr ein- und zwischen 00.30 und 01.00 Uhr abgeschaltet. Ausserhalb der Weihnachtszeit schaltet die Beleuchtung jeweils mit dem Eindunkeln entsprechend der Jahreszeit ein.
D. und C. bewohnen das vis-à-vis liegende Haus (...). Sie fühlen sich durch die Weihnachts- und Ganzjahresbeleuchtung gestört. Am 9. Februar 2011 beantragten sie bei der Gemeinde Möhlin eine zeitliche Beschränkung und Reduktion der Lichtimmissionen. Der Gemeinderat wies den Antrag am 20. Juni 2011 ab.
B.
Dagegen erhoben D. und C. Verwaltungsbeschwerde an das Departement Bau, Verkehr und Umwelt des Kantons Aargau (BVU). Dieses führte einen Augenschein durch. Am 19. April 2012 hiess es die Beschwerde gut und verpflichtete A. und B., die Zierbeleuchtung (Ganzjahresbeleuchtung und Weihnachtsbeleuchtung) ab 22.00 Uhr abzuschalten; nur am 24., 25. und 26. Dezember dürfe sie bis 01.00 Uhr des Folgetags eingeschaltet bleiben.
C.
Gegen den Entscheid des BVU gelangten A. und B. am 18. Mai 2012 an das Verwaltungsgericht des Kantons Aargau. Dieses führte am 11. Dezember 2012 eine Augenscheinsverhandlung durch. Am 18. Dezember 2012 hiess es die Beschwerde teilweise gut. Es änderte den angefochtenen Entscheid wie folgt ab:
"A. und B. werden verpflichtet, die Zierbeleuchtung (Ganzjahresbeleuchtung) (...) ab 22.00 Uhr abzuschalten; die Weihnachtsbeleuchtung ist vom 1. Advent bis 6. Januar zulässig und darf bis 01.00 Uhr des Folgetags eingeschaltet bleiben."
D.
Gegen den verwaltungsgerichtlichen Entscheid haben A. und B. am 4. März 2013 Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten erhoben. (...)
BGE 140 II 33 S. 36
Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab.
(Auszug)
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
4.
Künstliches Licht besteht aus elektromagnetischen Strahlen und gehört daher zu den Einwirkungen i.S.von
Art. 7 Abs. 1 USG
(SR 814.01), die beim Austritt aus Anlagen als Emissionen, am Ort ihres Einwirkens als Immissionen bezeichnet werden (
Art. 7 Abs. 2 USG
).
4.1
Im Sinne der Vorsorge sind Einwirkungen, die schädlich oder lästig werden könnten, frühzeitig zu begrenzen (
Art. 1 Abs. 2 USG
). Demgemäss sind u.a. Strahlen durch Massnahmen bei der Quelle zu begrenzen (
Art. 11 Abs. 2 USG
; Emissionsbegrenzungen), und zwar unabhängig von der bestehenden Umweltbelastung, so weit, als dies technisch und betrieblich möglich und wirtschaftlich tragbar ist (
Art. 11 Abs. 2 USG
; Vorsorgeprinzip).
Art. 12 Abs. 1 USG
nennt als Massnahmen zur Emissionsbegrenzung den Erlass von Emissionsgrenzwerten (lit. a), Bau- und Ausrüstungsvorschriften (lit. b) und Verkehrs- oder Betriebsvorschriften (lit. c). Die Begrenzungen werden durch Verordnungen oder, soweit diese nichts vorsehen, durch unmittelbar auf das USG abgestützte Verfügungen vorgeschrieben (
Art. 12 Abs. 2 USG
).
Nach dem klaren Wortlaut des Gesetzes sind daher Emissionsbegrenzungen nach
Art. 12 Abs. 2 USG
nicht nur zum Schutz gegen schädliche oder lästige Emissionen geboten, sondern - gestützt auf das Vorsorgeprinzip - auch zur Vermeidung unnötiger Emissionen (
BGE 133 II 169
E. 175;
BGE 126 II 366
E. 2b S. 368 mit Hinweisen). Sie werden insbesondere durch das Verhältnismässigkeitsprinzip begrenzt; zudem können (namentlich bei bewilligten Anlagen) Gründe des Vertrauensschutzes der (sofortigen) Herstellung des rechtmässigen Zustands entgegenstehen (vgl. Urteil des Bundesgerichts 1C_177/2011 vom 9. Februar 2012 E. 4.2 mit Hinweisen; GRIFFEL/RAUSCH, Kommentar zum Umweltschutzgesetz, Ergänzungsband, 2011, N. 10 zu
Art. 16 USG
).
4.2
Gemäss
Art. 11 Abs. 3 USG
werden die Emissionsbegrenzungen verschärft, wenn feststeht oder zu erwarten ist, dass die Einwirkungen unter Berücksichtigung der bestehenden Umweltbelastung schädlich oder lästig werden. Da Immissionsgrenzwerte für sichtbares Licht fehlen, müssen die Behörden die Lichtimmissionen im
BGE 140 II 33 S. 37
Einzelfall beurteilen, unmittelbar gestützt auf die
Art. 11-14 USG
sowie
Art. 16-18 USG
(
BGE 124 II 219
E. 7a S. 230 mit Hinweis; Urteile des Bundesgerichts 1C_177/2011 vom 9. Februar 2012 E. 5.2; 1C_105/2009 vom 13. Oktober 2009 E. 3.1, in: URP 2010 S. 145, RDAF 2011 I S. 480). Dabei muss analog
Art. 14 lit. a und b USG
sichergestellt werden, dass die Immission nach dem Stand der Wissenschaft oder der Erfahrung Menschen, Tiere und Pflanzen, ihre Lebensgemeinschaften und Lebensräume nicht gefährden und die Bevölkerung in ihrem Wohlbefinden nicht erheblich stören.
4.3
Die Vollzugsbehörde kann sich hierfür auf Angaben von Experten und Fachstellen stützen. Als Entscheidungshilfe dienen ferner fachlich genügend abgestützte ausländische Richtlinien, sofern die Kriterien, auf welchen diese Unterlagen beruhen, mit denjenigen des schweizerischen Umweltrechts vereinbar sind (
BGE 133 II 292
E. 3.3 S. 297). Dazu gehört insbesondere die Richtlinie 150 der Commission Internationale de l'Eclairage aus dem Jahr 2003 (nachfolgend: Richtlinie CIE 150:2003) sowie die "Hinweise zur Messung, Beurteilung und Minderung von Lichtimmissionen" der deutschen Bund/Länder-Arbeitsgemeinschaft vom 13. September 2012 (im Folgenden; LAI 2012; es handelt sich um die überarbeitete Fassung der LAI 2000) (Urteil des Bundesgerichts 1C_216/2010 vom 28. September 2010 E. 3.2, in: URP 2010 S. 698, RDAF 2011 I S. 481).
Das Bundesamt für Umwelt, Wald und Landschaft (BUWAL; heute BAFU) hat im Jahr 2005 Empfehlungen zur Vermeidung von Lichtemissionen (nachfolgend: Empfehlungen BUWAL) herausgegeben. Diese konkretisieren in erster Linie das Vorsorgeprinzip, indem sie aufzeigen, wie sich unnötige Lichtemissionen durch eine nachhaltige Lichtnutzung in Aussenräumen vermeiden lassen. Sie zeigen aber auch die negativen Konsequenzen von Lichtimmissionen auf Menschen, Tiere und Pflanzen, ihre Lebensgemeinschaften und Lebensräume auf, die bei der Beurteilung der Schädlichkeit von Lichtimmissionen zu berücksichtigen sind (
Art. 1 Abs. 1 und
Art. 14 lit. a USG
analog; vgl. auch Art. 18 des Bundesgesetzes vom 1. Juli 1966 über den Natur- und Heimatschutz [NHG; SR 451] und
Art. 1 Abs. 1 und
Art. 7 Abs. 4 des Bundesgesetzes vom 20. Juni 1986 über die Jagd und den Schutz wildlebender Säugetiere und Vögel [JSG; SR 922.0]
).
Seit 1. März 2013 gilt die SIA-Norm 491 zur Vermeidung von unnötigen Lichtemissionen im Aussenraum (im Folgenden: SIA 491: 2013).
BGE 140 II 33 S. 38
Diese verzichtet bewusst auf die Festlegung von Richtwerten, und zielt darauf ab, unnötige Lichtemissionen an der Quelle zu vermeiden, in Anwendung des Vorsorgeprinzips und entsprechend dem Stand der Technik (Ziff. 0.3). Sie kann als Äusserung von Fachleuten zu dieser Fragestellung auch in Verfahren herangezogen werden, die - wie hier - schon vor dem 1. März 2013 eingeleitet worden sind.
4.4
Die Vorinstanzen gingen gestützt auf ihren Augenschein davon aus, dass die Weihnachts- und Ganzjahresbeleuchtung der Beschwerdeführer keine schädlichen oder lästigen Immissionen, namentlich für die Beschwerdegegner, verursachen. Dies verkennen die Beschwerdeführer, wenn sie dem Verwaltungsgericht vorwerfen, zu Unrecht auf die subjektive Empfindlichkeit der Beschwerdegegner abgestellt zu haben.
Im Folgenden ist daher zu prüfen, ob sich die angeordneten Emissionsbegrenzungen auf das Vorsorgeprinzip stützen können, verhältnismässig und mit den Grundrechten der Beschwerdeführer vereinbar sind. Dabei ist zu unterscheiden zwischen der Ganzjahresbeleuchtung, die um 22.00 Uhr abgeschaltet werden muss (unten E. 5), und der Weihnachtsbeleuchtung, die vom 1. Advent bis zum 6. Januar bis 01.00 Uhr des Folgetags eingeschaltet bleiben darf (unten E. 6).
Da die Beschwerdegegner das Urteil des Verwaltungsgerichts nicht angefochten haben, ist nicht zu prüfen, ob weitergehende Emissionsbegrenzungen zulässig oder sogar geboten gewesen wären.
5.
Die Beschwerdeführer halten die zeitliche Beschränkung der Ganzjahresbeleuchtung auf 22.00 Uhr für unzulässig.
5.1
Sie verletze das Umweltschutzrecht, weil sie auf einer undifferenzierten Gleichschaltung von Licht- und Lärmimmissionen beruhe. Die Empfehlungen des BUWAL, auf die sich das Verwaltungsgericht berufen habe, beträfen ausschliesslich öffentliche oder sehr lichtintensive private Beleuchtungen (z.B. Skybeamer) und seien auf die hier streitige Lichtinstallation nicht anwendbar, die aus gewöhnlichen, im Detailhandel erhältlichen Leuchtkörpern bestehe.
Die Beschwerdeführer rügen eine Verletzung der persönlichen Freiheit (
Art. 10 Abs. 2 BV
), der Eigentumsgarantie (
Art. 26 BV
) und der Kunstfreiheit (
Art. 21 BV
). Die Zierbeleuchtung im Garten sei Ausdruck ihrer Lebensfreude und Teil ihrer
BGE 140 II 33 S. 39
Persönlichkeitsentfaltung. Sie sei die Fortsetzung der kunstvollen Wohnungseinrichtung und bilde mit dieser ein Gesamtkunstwerk. Es gebe keine Norm, die das Aufstellen von Kunstobjekten, zu denen auch Lichtinstallationen gehörten, verbieten würde. Überdies umfasse die Eigentumsgarantie das Recht, Haus und Garten im Rahmen der gesetzlichen Bestimmungen nach Belieben zu beleuchten. Sie machen geltend, dass die Beleuchtung auch dem Schutz vor Einbrechern diene und insofern Sicherheitsfunktion habe. Insbesondere in der warmen Jahreszeit schränke das Verbot der Beleuchtung nach 22.00 Uhr die Nutzung des Gartens ein. Unverhältnismässig sei zudem das Verbot von Zierbeleuchtung in den Fenstern: Dies würde die Beschwerdeführer dazu zwingen, entweder die Fensterläden zu schliessen oder das Licht im Haus teilweise zu löschen.
Die Einschränkung dieser Grundrechte sei nur zulässig, wenn eine gesetzliche Grundlage vorliege, die Einschränkung im öffentlichen Interesse liege oder dem Schutz von Grundrechten Dritter diene und verhältnismässig sei (
Art. 36 Abs. 1-3 BV
). Diese Voraussetzungen fehlten im vorliegenden Fall. Insbesondere fehle ein öffentliches Interesse an der Einschränkung der Zierbeleuchtung, an der sich einzig die Beschwerdegegner störten. Die Einschränkung sei auch unverhältnismässig, weil das Schlafzimmer der Beschwerdegegner ohnehin durch die Strassenbeleuchtung erhellt werde, das Abschalten der Zierbeleuchtung daher nicht zu einer feststellbaren Verdunkelung des Strassenraums führen würde. Der "Gewinn" für die Beschwerdegegner sei so geringfügig, dass er den Grundrechtseingriff nicht zu rechtfertigen vermöge.
5.2
Das Verwaltungsgericht führte aus, dass es sich um eine Zierbeleuchtung handle, die nicht der Sicherheit diene, sondern der Verschönerung von Haus und Garten. Dem privaten Interesse der Beschwerdeführer am möglichst uneingeschränkten Betrieb ihrer Zierbeleuchtung stehe das Interesse an der Vermeidung von unnötigen Lichtemissionen entgegen. In Analogie zur Nachtruhe für den Lärmschutz gemäss Anhang 3-5 der Lärmschutz-Verordnung vom 15. Dezember 1986 (LSV; SR 814.41) und § 9 Abs. 2 des Polizeireglements Unteres Fricktal hielt es eine zeitliche Beschränkung der Betriebszeit der Ganzjahresbeleuchtung auf 22.00 Uhr für sinnvoll und angemessen. Ab 22.00 Uhr sei das Bedürfnis der Bevölkerung bzw. der Nachbarschaft an einer ungestörten Nachtruhe hoch zu werten; auch Gründe der Ökologie und der Energieersparnis
BGE 140 II 33 S. 40
sprächen für eine Einschränkung solcher Beleuchtungen, insbesondere wenn sie das ganze Jahr über betrieben würden.
5.3
Wie bereits oben (E. 4.1) aufgezeigt wurde, verlangt
Art. 11 Abs. 2 USG
die Begrenzung von Emissionen an der Quelle im Rahmen der Vorsorge. Hierfür kann insbesondere eine zeitliche Beschränkung des Betriebs angeordnet werden (
Art. 12 Abs. 1 lit. c USG
), unmittelbar gestützt auf das Umweltschutzgesetz (
Art. 12 Abs. 2 USG
). Es ist unstreitig, dass es technisch und betrieblich möglich und wirtschaftlich tragbar ist, die Zierbeleuchtung nach 22.00 Uhr abzuschalten.
Art. 11 Abs. 2 USG
ist jedoch im Lichte des Verhältnismässigkeitsprinzips auszulegen. Insofern ist im Folgenden noch die Verhältnismässigkeit der Massnahme zu prüfen; hierfür sind die öffentlichen und privaten Interessen an der Vermeidung von (unnötigen) Lichtimmissionen mit den privaten Interessen der Beschwerdeführer abzuwägen.
5.4
In den Empfehlungen des BUWAL (S. 15 ff.) wird dargelegt, dass die zunehmende Aufhellung des Nachthimmels die Wahrnehmung des Sternenhimmels und das Erlebnis der nächtlichen Landschaft beeinträchtigt; hinzu kommen mögliche negative Auswirkungen auf die Gesundheit des Menschen sowie auf Tiere und Pflanzen (S. 17 ff.).
Dies bestätigt der vom Bundesrat am 13. Februar 2013 genehmigte Bericht des BAFU "Auswirkungen von künstlichem Licht auf die Artenvielfalt und den Menschen" vom 29. November 2012 (
http://www.admin.ch/aktuell/00089/index.html?lang=de&msgid=47743
). Danach haben die gegen oben gerichteten Lichtemissionen in der Schweiz in den letzten zwanzig Jahren um rund 70 % zugenommen. Dadurch nimmt die Nachtdunkelheit ab und grosse, natürlich dunkle Gebiete werden immer seltener. In der Schweiz tragen der hohe Zersiedelungsgrad und die coupierte Topografie dazu bei, dass Kunstlicht weit in die nächtliche Landschaft hinaus wirkt. Die Lebensräume nachtaktiver Tiere können durch künstliches Licht erheblich gestört werden, wodurch die Überlebensfähigkeit lichtempfindlicher Arten reduziert und ihr Sterberisiko erhöht wird. Der Lebensraum von Tieren kann durch Lichtemissionen zerschnitten, ihr Aktionsradius eingeschränkt und das Nahrungsangebot reduziert werden. Nachtaktive Tiere erwachen wegen der Beleuchtung später und haben weniger Zeit für die Nahrungssuche. In Lebensgemeinschaften kann es zur Verschiebung und Verarmung der
BGE 140 II 33 S. 41
Artenzusammensetzung kommen. Bei bedrohten Arten muss ein Rückgang oder gar das Aussterben von kleinen, isolierten Populationen besonders dort befürchtet werden, wo Lebensräume durch die städtische Entwicklung zerschnitten werden. Einflüsse von künstlichem Licht auf Tiere und Pflanzen sind in zahlreichen Fällen nachgewiesen worden; eine systematische Erforschung der Beeinträchtigung von Arten, Organismengruppen oder Lebensgemeinschaften fehlt jedoch. Nachgewiesen ist immerhin, dass eine hohe Zahl von Insekten und Vögeln durch Lichtquellen zugrunde geht (vgl. dazu bereits die Empfehlungen des BUWAL, S. 18 f.).
Da bislang Erkenntnisse zur Quantifizierung der negativen Auswirkungen von Lichtemissionen auf Pflanzen und Tiere fehlen, besteht ein gewichtiges öffentliches Interesse daran, zumindest unnötige Lichtemissionen im Rahmen der Vorsorge zu begrenzen.
5.5
Dies gilt - entgegen der Auffassung der Beschwerdeführer - nicht nur für öffentliche Beleuchtungsanlagen und besonders intensive private Lichtemissionen (wie Skybeamer): Bei der zunehmenden Belastung durch Licht handelt es sich um einen schleichenden Prozess; jede künstliche Lichtquelle ist potenziell Mitverursacherin unerwünschter Lichtemissionen (Empfehlungen BUWAL, S. 12). Insofern besteht ein öffentliches Interesse daran, auch die Beleuchtung privater Gebäude und Anlagen vorsorglich zu begrenzen. Das BAFU bestätigt daher in seiner Vernehmlassung ausdrücklich, dass die Empfehlungen von 2005 zur Vermeidung von Lichtimmissionen auch für private Emittenten gelten (so auch der Leitfaden zur Vermeidung unnötiger Lichtimmissionen des Amts für Umwelt des Kantons Solothurn aus dem Jahre 2011, S. 10).
Auch die SIA 491:2013 widmet der Beleuchtung privater Gebäude und Anlagen, einschliesslich Einfamilienhäusern und Privatgärten, einen eigenen Abschnitt (Ziff. 3.8). Zu den möglichen unnötigen Lichtimmissionen dieser Kategorie zählen u.a. das Anleuchten von nicht zu beleuchtenden Umgebungsflächen, das ungenaue Anleuchten oder das unnötige ganznächtliche Anleuchten von Objekten (Ziff. 3.8.2.2). Zu den möglichen Auswirkungen zählen die Aufhellung des Nachthimmels, die Aufhellung von Naturräumen und naturnahen Gebieten, die Störung von Fledermäusen, Zugvögeln und Wildsäugern, die Anziehung von Insekten und die Verkünstlichung der natürlichen Nachtlandschaft (Ziff. 3.8.3). Als emissionsmindernde Massnahme empfiehlt die Norm u.a. die Minimierung und
BGE 140 II 33 S. 42
Begrenzung von Betriebszeiten (Ziff. 3.8.4.2); zum Schutz der Nachtruhe wird empfohlen, im Zeitraum zwischen 22.00 und 06.00 Uhr u.a. auf Garten- und Dekorbeleuchtung sowie die Anstrahlung von Objekten zu verzichten (Ziff. 2.5.5 i.V.m. Ziff. 3.8.4.1).
Dies entspricht der Empfehlung des BUWAL (Ziff 5.2.9 S. 34) und anderer Stellen (z.B. dem bereits erwähnten Leitfaden des Kantons Solothurn, S. 17 und 30), wonach eine Synchronisierung mit dem Nachtruhefenster, ähnlich wie im Lärmschutz, von 22.00 bis 06.00 Uhr anzustreben sei. Die Gemeinde Möhlin kommt dieser Empfehlung insofern nach, als sie die öffentliche Strassenbeleuchtung nach 22.00 Uhr zwar nicht abgeschaltet, wohl aber um 30-40 % der Stärke abdämmt.
Nach dem Gesagten besteht ein öffentliches Interesse daran, Lichtemissionen nach 22.00 Uhr so weit wie möglich zu reduzieren und - sofern sie nicht (z.B. aus Sicherheitsgründen) benötigt werden - abzustellen.
5.6
Dispositiv Ziff. 2 des angefochtenen Entscheids ordnet die Abschaltung der "Zierbeleuchtung" nach 22.00 Uhr an. Bereits in der Verfügung des BVU vom 19. April 2012 wurde ausdrücklich festgehalten, dass es den Beschwerdeführern freigestellt sei, aus Sicherheitsgründen Licht mit Bewegungsmeldern zu installieren, das nur die eigene Liegenschaft anleuchte. Ebenfalls bleibe es zulässig, bei effektivem Aufenthalt im Aussenbereich eine angemessene Beleuchtung einzuschalten. Dieser Vorbehalt wurde von den Beschwerdegegnern nicht angefochten und auch vom Verwaltungsgericht nicht beanstandet, weshalb er weiterhin gilt. Die folgenden Erwägungen beschränken sich daher auf Zierbeleuchtung.
Dazu gehören auch die Tischlämpchen in den Fenstern, die nach den Feststellungen der Vorinstanz ebenfalls der Aussenbeleuchtung dienen. Dagegen ist es den Beschwerdeführern nicht untersagt, ihr Haus von innen zu beleuchten, wenn sie sich dort aufhalten.
5.7
Berührt ist daher lediglich das Interesse der Beschwerdeführer, ihre Aussenanlagen nach Belieben mit Beleuchtung zu schmücken (Zierbeleuchtung). Dieses fällt grundsätzlich unter den Schutz der Eigentumsgarantie. Ob auch die persönliche Freiheit und die Kunstfreiheit berührt sind, kann offenbleiben, wenn auch die Voraussetzungen für eine Einschränkung dieser Grundrechte vorliegen (vgl. dazu auch Urteil 1C_529/2012 vom 29. Januar 2013 E. 7).
BGE 140 II 33 S. 43
Dieses Interesse wird nur insofern tangiert, als die Beschwerdeführer die Beleuchtung von 22.00 bis 06.00 Uhr abschalten müssen. Dagegen wurden ihnen keinerlei Auflagen zu Umfang, Intensität, Art und Platzierung der Zierbeleuchtung gemacht. Die zulässige Beleuchtungsdauer (vom Eindunkeln bis 22.00 Uhr) ist im Sommer kurz; in den übrigen Jahreszeiten dauert sie dagegen mehrere Stunden; insofern haben die Beschwerdeführer wie auch Anwohner und Passanten ausreichend Gelegenheit, die Zierbeleuchtung zu betrachten. Während der Weihnachtszeit gilt zudem eine grosszügigere Regelung (vgl. unten, E. 6). In diesem Zusammenhang ist zu berücksichtigen, dass sich das Haus der Beschwerdeführer nicht in einem städtischen Zentrum befindet, das bis spät in die Nacht animiert ist, sondern in einem ruhigen Einfamilienhausquartier, in dem nach 22.00 Uhr ohnehin nur wenig Publikum verkehrt.
5.8
Unter diesen Umständen ist die Einschränkung der Eigentumsgarantie und allfälliger anderer Grundrechte der Beschwerdeführer geringfügig; die zeitliche Beschränkung der Ganzjahresbeleuchtung bis 22.00 Uhr liegt im öffentlichen Interesse und ist verhältnismässig.
6.
Die Weihnachtsbeleuchtung wurde auf die Zeit vom 1. Advent bis zum 6. Januar begrenzt und darf bis 01.00 Uhr des Folgetags betrieben werden.
6.1
Das Verwaltungsgericht berücksichtigte, dass Weihnachtsbeleuchtung in der Advents- und Weihnachtszeit weit verbreitet und üblich sei, weshalb in diesem Zeitraum die Akzeptanz für solche Zierbeleuchtungen allgemein höher sei. In dieser Zeitspanne könne daher ein grosszügigeres Regime und ein Abweichen vom Nachtruhefenster toleriert werden. Üppige Weihnachtsbeleuchtungen vor dem 1. Advent und nach dem 6. Januar seien dagegen im Kanton Aargau weder verbreitet noch üblich.
6.2
Diese Erwägungen sind aus Sicht des Bundesrechts nicht zu beanstanden und verletzen die Grundrechte der Beschwerdeführer nicht; hierfür kann grundsätzlich auf das oben (E. 5) Ausgeführte verwiesen werden. Ergänzend ist Folgendes festzuhalten:
Weihnachtsbeleuchtung wird von vielen Menschen nicht als störend empfunden, sondern als festlicher Brauch geschätzt. Insofern verhält es sich ähnlich wie beim Glockengeläut (vgl.
BGE 126 II 366
E. 3c S. 371) oder anderen Immissionen, die nicht als unerwünschte Nebenwirkungen einer bestimmten Tätigkeit auftreten, sondern
BGE 140 II 33 S. 44
bezweckt werden bzw. zur Tradition gehören (vgl.
BGE 126 II 300
E. 4c/dd S. 309: Schiesslärm am Liestaler Banntag). Derartige Emissionen als unnötig und unzulässig zu qualifizieren, würde implizieren, die betreffende Tätigkeit oder Tradition generell als unnötig zu betrachten. Die Rechtsprechung hat solche Emissionen zwar ebenfalls aufgrund des Umweltschutzgesetzes beurteilt, aber - unter Berücksichtigung des öffentlichen und privaten Interesses an der Tätigkeit bzw. der Tradition - nicht völlig verboten, sondern bloss einschränkenden Massnahmen unterworfen, i.d.R. durch eine Einschränkung der Betriebszeiten (
BGE 126 II 366
E. 2d S. 369,
BGE 126 II 300
E. 4d/aa S. 309;
BGE 119 Ib 463
E. 4-6;
BGE 118 Ib 234
E. 2b S. 239 f.; vgl. auch Urteil 1C_297/2009 vom 18. Januar 2010 zum hergebrachten Stundenschlag der Kirchglocke, in: AJP 2010 S. 648, URP 2010 S. 269, ZBl 112/2011 S. 442).
6.3
Im vorliegenden Fall wurde die Dauer der Weihnachtsbeleuchtung auf die im Kanton Aargau und der Gemeinde Möhlin ortsübliche Dauer (1. Advent bis 6. Januar) begrenzt. Während dieses Zeitraums von mindestens 5 Wochen Dauer unterliegen die Beschwerdeführer keiner sachlichen oder zeitlichen Beschränkung, sondern können Haus und Garten schmücken und - wie bisher - bis 01.00 Uhr beleuchten. Vor und nach diesem Zeitraum dürfen sie immerhin die (gegenüber der Weihnachtsbeleuchtung reduzierte) Ganzjahresbeleuchtung bis 22.00 Uhr betreiben. Damit trug das Verwaltungsgericht dem privaten Interesse der Beschwerdeführer wie auch der Ortsüblichkeit und der Tradition der Advents- und Weihnachtsbeleuchtung ausreichend Rechnung.
6.4
Nichts anderes ergibt sich aus dem Urteil 1A.202/2006 vom 10. September 2007 (in: URP 2008 S. 621): Damals hielt das Bundesgericht fest, dass eine aussergewöhnlich grosse und helle Weihnachtsbeleuchtung gegen den Grundsatz der vorsorglichen Emissionsbegrenzung verstossen und sogar schädliche oder lästige Immissionen verursachen könne (E. 5.2). Es verneinte lediglich die Baubewilligungspflicht gemäss
Art. 22 Abs. 1 RPG
(SR 700), d.h. die Notwendigkeit einer
vorgängigen
präventiven Kontrolle: Es genüge, wenn die baupolizeiliche Überprüfung im Falle konkreter Beanstandungen ansetze und die Baubehörde dann in einer beschwerdefähigen Verfügung darüber befinde, ob die Beleuchtung die bau- und umweltschutzrechtlichen Vorschriften einhalte; damit werde zugleich der rechtliche Rahmen für die zulässige Weihnachtsbeleuchtung der kommenden Jahre bestimmt (E. 5.3-5.6).
BGE 140 II 33 S. 45
7.
Die Beschwerdeführer rügen weiter eine Verletzung des Rechtsgleichheitsgebots (
Art. 8 Abs. 1 BV
) und des Diskriminierungsverbots (
Art. 8 Abs. 2 BV
). Sie machen geltend, dass kein Nachbar in der Umgebung einer ähnlichen Einschränkung unterworfen werde, obwohl sich vergleichbare Zierbeleuchtungen auch in der näheren und weiteren Nachbarschaft fänden. (...)
7.1
Bereits das Verwaltungsgericht hat eine Verletzung der Rechtsgleichheit verneint, weil nicht erkennbar sei, dass ein Nachbar eine vergleichbar extensive Aussenbeleuchtungsanlage unterhalte. Dies ist nicht zu beanstanden. (...)
7.2
Zwar hat die Gemeinde in ihrer Vernehmlassung eingeräumt, dass die öffentliche Weihnachtsbeleuchtung der Gemeinde direkt an die Elektroverteiler angeschlossen sei und die ganze Nacht leuchte. Diese beschränkt sich allerdings auf einzelne beleuchtete Weihnachtsbäume entlang der Hauptstrasse und beleuchtete Kastanienbäume auf dem Vorplatz des Gemeindehauses im Gemeindezentrum. Diese Beleuchtung ist von ihrer Platzierung (an der Hauptstrasse) und Funktion her nicht mit derjenigen der Beschwerdeführer vergleichbar, weshalb sie im vorliegenden Verfahren nicht zu behandeln ist. Es wird Sache der Gemeinde sein zu prüfen, ob ihre Praxis mit dem Vorsorgeprinzip vereinbar ist.
7.3
Den Beschwerdeführern ist einzuräumen, dass die heutige Praxis der Behörden, vorsorgliche Beschränkungen von Lichtimmissionen nur im Fall von Beanstandungen anzuordnen, insofern unbefriedigend ist, als es vom Wohlwollen bzw. der Empfindlichkeit der Nachbarn abhängt, ob überhaupt ein Verfahren eingeleitet wird. Dies ist eine Konsequenz des Verzichts auf ein präventives Bewilligungsverfahren (vgl. oben, E. 6.4). Die zuständigen (kantonalen oder kommunalen) Behörden können jedoch von Amtes wegen Kontrollen vornehmen und nötigenfalls Beschränkungen anordnen. | public_law | nan | de | 2,013 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
d219a33e-d9ed-455b-8ca0-12f2423caa9e | Urteilskopf
80 II 187
30. Auszug aus dem Urteil der II. Zivilabteilung vom 10. Juni 1954 i. S. Wyttenbach gegen Gysin. | Regeste
Ehescheidung. Entschädigung gemäss
Art. 151 Abs. 1 ZGB
für verlorenen ehelichen Unterhalt in Form einer Rente.
Eine solche Rente kann später allenfalls aufgehoben oder herabgesetzt, nicht aber erhöht werden; letzteres kann auch nicht durch Anbringung eines entsprechenden allgemeinen Vorbehaltes im Scheidungsurteil vorgesehen werden (es wäre denn zufolge Parteivereinbarung im Rahmen einer Scheidungskonvention). Wohl aber kann im Scheidungsurteil zum voraus angeordnet werden, dass beim Eintritt eines bestimmten, nach den Umständen des konkreten Falles sicher voraussehbaren Ereignisses die Rente sich auf einen bestimmten Betrag erhöhe (
Art. 151-153 ZGB
). | Sachverhalt
ab Seite 187
BGE 80 II 187 S. 187
Bei der Scheidung der Ehe der Parteien nach Trennung sprach die Vorinstanz der beklagten Ehefrau eine monatliche Entschädigungsrente im Sinne von Art. 151 Abs,
BGE 80 II 187 S. 188
1 ZGB für verlorenen ehelichen Unterhalt in der Höhe von Fr. 50.- zu mit folgenden Vorbehalten:
"Diese Rente kann
a) bei einer wesentlichen Verminderung der Arbeitsfähigkeit oder Erwerbsmöglichkeit der Beklagten erhöht
b) bei einer unverschuldeten, wesentlichen Verminderung der Arbeitsfähigkeit oder Erwerbsmöglichkeit des Klägers herabgesetzt werden."
Vor Bundesgericht beantragt die Beklagte mit Hauptberufung, dass der Vorbehalt der Herabsetzung, der Kläger mit Anschlussberufung, dass derjenige der Erhöhung gestrichen werde.
Erwägungen
Das Bundesgericht zieht in Erwägung:
1.
......
2.
a) Die Vorinstanz weist zutreffend darauf hin, dass das Bundesgericht mit dem Entscheid i.S. Kunz (
BGE 71 II 9
) über das Präjudiz i.S. Lösch (
BGE 60 II 395
) insofern hinausgegangen ist, als im letztern dem Richter nahegelegt wurde, durch Anbringung einer Berichtigungsklausel im Scheidungsurteil dem Leistungspflichtigen die Möglichkeit vorzubehalten, eine Abänderung des Urteils zu verlangen, wenn ihm die fernere Leistung nicht mehr möglich sein sollte, während i.S. Kunz die Herabsetzbarkeit einer solchen Rente schon von Gesetzes wegen, ohne entsprechenden Vorbehalt im Scheidungsurteil, angenommen wird. Die Vorinstanz geht aber in der Auslegung der Art. 151/153 ZGB einen wesentlichen Schritt über diese Praxis hinaus, indem sie, ohne Begründung, darin auch die Rechtfertigung zu einer nachträglichen Erhöhung einer Rente für verlorenen Unterhalt erblickt. Dieser Sinn kann den Motiven der publizierten Entscheide nicht entnommen werden. Bei allen handelte es sich um eine Herabsetzung der Rente infolge Verminderung der Leistungsfähigkeit des Pflichtigen. Auch wo im Laufe der Argumentation gelegentlich von einem Berichtigungsvorbehalt (
BGE 60 II 395
), von einer Revisionsmöglichkeit (
BGE 68 II 8
) oder einer "possibilité de modifier ultérieurement le jugement"
BGE 80 II 187 S. 189
(77 II 27) schlechthin gesprochen wird, geht aus der übrigen Begründung klar hervor, dass immer nur die Herabsetzbarkeit bezw. Aufhebbarkeit der Rente bejaht werden wollte.
Den Ausgangspunkt bildete unverkennbar die Bestimmung in Art. 153 Abs. 2, welche eine Aufhebung oder Herabsetzung der Bedürftigkeitsrente vorsieht. Die allgemeinen Erwägungen, welche dieser Bestimmung zugrunde liegen, wurden als auch auf die Unterhaltsrente nach Art. 151 zutreffend erklärt (
BGE 60 II 395
). In der Folge wurde die Frage dahin gestellt, "ob und inwieweit die auf Art. 151 gestützten Unterhaltsansprüche ... entsprechend der eigentlichen Bedürftigkeitsrente des Art. 152 zu behandeln seien", und gefolgert: "Es drängt sich auf, solche Unterhaltsansprüche grundsätzlich gleichfalls der gerichtlichen Herabsetzung ... zu unterstellen"; nun sehe aber Art. 153 Abs. 2 keine nachträgliche Erhöhung, sondern nur eine allfällige Aufhebung oder Herabsetzung vor (
BGE 71 II 12
). Es handelt sich also offensichtlich um eine analoge Anwendung von Art. 153 Abs. 2 auf die Unterhaltsrente nach Art. 151 in Ansehung des Zutreffens der ratio legis der erstern Bestimmung auf letztern Tatbestand. Die Erweiterung der nachträglichen Abänderbarkeit von der Herabsetzung auf die Erhöhung aber hätte mit analoger Anwendung nichts mehr zu tun, sondern liefe auf eine Ergänzung und Abänderung des Gesetzes hinaus. Die Unhaltbarkeit dieser Gesetzesauslegung erhellt ohne weiteres aus folgender Überlegung: Wird, ausgehend von der durch die bisherige Rechtsprechung gebilligten analogen Anwendung von Art. 153 Abs. 2 auf die Unterhaltsrenten nach Art. 151, für letztere gleich auch die Erhöhungsmöglichkeit angenommen, so ist nicht einzusehen, wieso dieses Auslegungsresultat nicht wiederum kraft der gleichen Analogie rückwärts auf die Bedürftigkeitsrente nach Art. 152/153 Abs. 2 sollte angewendet werden können, auf welche die für die Abänderbarkeit nach oben sprechenden Erwägungen ebensogut zuträfen. Dann aber läge der
BGE 80 II 187 S. 190
Widerspruch mit dem Wortlaut des Gesetzes in aller Schärfe zutage, indem schwer denkbar ist, dass Art. 153 Abs. 2 nur von "Aufhebung und Herabsetzung der Rente auf Verlangen des pflichtigen Ehegatten" spräche, wenn daneben auch eine Erhöhung auf Verlangen des berechtigten Ehegatten Platz finden sollte. Dass und warum diese Beschränkung in Art. 153 Abs. 2 nicht auf einem Versehen des Gesetzgebers beruht, sondern von ihm gewollt ist, wurde vom Bundesgericht mit eingehender Begründung dargetan (
BGE 77 II 23
ff.). Ein Grund, eine Erhöhung der Unterhaltsrente nach Art. 151, im Gegensatz zur Bedürftigkeitsrente nach Art. 152, zuzulassen, kann auch nicht darin erblickt werden, dass jene ein Verschulden des Pflichtigen voraussetzt, diese aber nicht. Wird eine Bedürftigkeitsrente einem schuldigen Ehegatten auferlegt, so bleibt sie dem Art. 153 Abs 2 unterstellt, unterliegt also nur der Herabsetzung oder Aufhebung, und zwar selbst wenn sie zu einem Teil ihren Rechtsgrund in Art. 151 hat (
BGE 68 II 8
). Abgesehen vom eindeutigen Wortlaut des Art. 153 Abs. 2, hat die bisherige Praxis als entscheidend erachtet, dass die Herabsetzbarkeit - wegen wesentlicher Verschlechterung der Lage des Pflichtigen - und nicht etwa die Abänderbarkeit schlechthin dem Inhalt und Zweck der Unterhaltsrente nach Art. 151 entspreche (
BGE 71 II 13
). Freilich soll nach Art. 151 Abs. 1 die Entschädigung für beeinträchtigte Vermögensrechte, somit auch für verlorenen ehelichen Unterhalt, angemessen sein. Eine erhebliche Verbesserung z.B. der Einkommensverhältnisse des geschiedenen Ehemanns oder eine wesentliche Verschlechterung der Erwerbsfähigkeit der Frau seit der Scheidung kann zur Folge haben, dass die der Frau in Form einer Rente zugesprochene Entschädigung für verlorenen ehelichen Unterhalt dem Werte des Unterhalts, den sie jetzt bei weiterbestehender Ehe genösse, nicht mehr entspricht, also nicht mehr "angemessen" ist. Das Gesetz geht aber von dem Grundsatz aus, dass mit der Scheidung die Ehe beendigt ist, die finanziellen Nebenfolgen
BGE 80 II 187 S. 191
nach Art. 151 /52 auf Grund der zur Zeit des Scheidungsurteils vorhandenen und der mit Sicherheit zu erwartenden Gegebenheiten zu bemessen und die in die Zukunft hineinreichenden Nachwirkungen der Ehe auf das absolut Nötige zu beschränken sind. Damit verträgt sich unter bestimmten, vom Gesetze genannten Voraussetzungen wohl ein Abbau oder die Aufhebung der rechtlichen Verpflichtungen, welche die geschiedenen Ehegatten noch aneinander binden, nicht aber deren Verstärkung durch nachträgliche Erhöhung der geschuldeten Beträge auf Grund späterer Ereignisse und neuer Prozesse.
b) Diese im Sinne des Gesetzes liegende Ordnung kann nicht durch Anbringung entsprechender Vorbehalte im Scheidungsurteil durchbrochen werden. Führt die Auslegung der
Art. 151-153 ZGB
, wie dargetan, zu der Schlussfolgerung, dass sowohl die Bedürftigkeitsrente nach Art. 152 als die Unterhaltsrente nach Art. 151 nur der nachträglichen Herabsetzung und Aufhebung auf Verlangen des Pflichtigen, nicht aber der Erhöhung auf Verlangen des Berechtigten unterliegt, so ist nicht einzusehen, wieso der Scheidungsrichter etwas, was auf Grund des Gesetzes allein nicht zulässig, weil nach dem klaren Wortlaut ausgeschlossen ist, dadurch sollte ins Scheidungsrecht einführen können, dass er im Scheidungsurteil einen entsprechenden Vorbehalt anbringt. Ein allgemeiner Vorbehalt, wonach die rentenberechtigte Frau bei wesentlicher Verschlechterung ihrer Erwerbsfähigkeit Erhöhung der Rente verlangen kann, macht die Regelung im Scheidungsurteil zu einer nur scheinbar definitiven, indem er neuen Prozessen mit neuem Walten des richterlichen Ermessens ruft. Wo das Gesetz die Möglichkeit einer Neubeurteilung des Rechtsverhältnisses bezw. ein Nachklagerecht zulassen will, weil unvermeidlich, hat es dies ausdrücklich vorgesehen (z.B.
Art. 157 ZGB
, 46 Abs. 2 OR, 10 EHG).
Mit der Ablehnung des Erhöhungsvorbehalts setzt sich das Bundesgericht mit seiner bisherigen Praxis in dieser Frage keineswegs in Widerspruch. Wenn mit Bezug auf
BGE 80 II 187 S. 192
die Bedürftigkeitsrente gesagt wurde, die Möglichkeit späterer Abänderung des Scheidungsurteils "doit donc être restreinte aux cas qui ont été prévus de façon non équivoque par le jugement lui-même" (
BGE 77 II 27
), so kann man sich zwar noch fragen, ob damit nicht auch ein allgemein gehaltener Erhöhungsvorbehalt im Sinne des von der Vorinstanz angebrachten als zulässig und genügend angesehen werden wollte. Diese Ungewissheit wurde jedoch im folgenden Urteil beseitigt mit der Präzisierung, es habe damit lediglich gesagt werden wollen, "der Scheidungsrichter könne im Urteil anordnen, dass beim Eintritt eines bestimmten, nach den Umständen des konkreten Falles sicher voraussehbaren Ereignisses die Rente sich auf einen bestimmten Betrag erhöhe" (
BGE 79 II 136
). Diese Möglichkeit, eine künftige ziffermässig fixierte Erhöhung der Unterhaltsrente in Funktion eines bestimmten zukünftigen Ereignisses zum voraus festzusetzen, so dass sie mit diesem automatisch und ohne neuen Prozess rechtskräftig wird und ohne weiteres der Vollstreckung zugänglich ist, bleibt dem Scheidungsrichter vorbehalten. Er kann z.B. dem bei der Scheidung noch vermögenslosen und wenig verdienenden Sohne eines reichen Vaters eine Unterhaltsrente nach Art. 151 von Fr. 50.- auferlegen mit der Bestimmung, dass sie sich ipso iure auf Fr. 100.-- oder 200.-- erhöht, sobald der Pflichtige den Vater beerbt. Oder er kann eine solche bestimmte Erhöhung anordnen für den Zeitpunkt, da die rentenberechtigte Frau ihren Beruf nicht mehr ausüben kann, was eine Erhöhung des Wertes des erlittenen Unterhaltsverlustes bedeutet. Solche dem Betrage nach bestimmte, lediglich suspensiv bedingte Erhöhungsklauseln laufen dem Postulat, dass die Lasten aus der Scheidung von Anfang an bekannt, jederzeit ohne neuen Prozess vollstreckbar und als Nachwirkung der aufgelösten Ehe nicht nachträglicher Intensivierung ausgesetzt sein sollen, nicht zuwider.
Dagegen wäre wohl gegen einen allgemein gehaltenen Vorbehalt eines Nachklagerechts auf Erhöhung der Rente,
BGE 80 II 187 S. 193
falls im Rahmen einer Scheidungskonvention von den Parteien vereinbart und dem Gericht zur Genehmigung vorgelegt, grundsätzlich nichts einzuwenden.
Dispositiv
Demnach erkennt das Bundesgericht:
Die Berufung der Beklagten wird abgewiesen, die Anschlussberufung des Klägers teilweise gutgeheissen dahin, dass der Vorbehalt der Erhöhung der Rente (Disp. 2 lit. a des angefochtenen Urteils) aufgehoben wird. Im übrigen wird die Anschlussberufung abgewiesen und das Urteil des Obergerichts bestätigt. | public_law | nan | de | 1,954 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
d21a19d7-333f-46af-8ad7-121880cdccab | Urteilskopf
116 III 42
10. Extrait de l'arrêt de la Chambre des poursuites et des faillites du 29 mars 1990 dans la cause L'Aiglon S.A. (recours LP) | Regeste
Art. 281 SchKG
. Anwendungsvoraussetzungen.
Es ist nicht erforderlich, dass der Arrestgläubiger selbst um die Teilnahme im Sinne von
Art. 281 SchKG
nachsuchen muss. Sofern er von der Teilnahme - die bewilligt worden ist, weil er die Pfändung bis dahin nicht selbst erwirken konnte - zu profitieren beabsichtigt, obliegt es ihm bloss, binnen zehn Tagen nach Erteilung der definitiven Rechtsöffnung oder Erlass eines vollstreckbaren Urteils die definitive Pfändung zu beantragen (E. 2a).
Damit das Teilnahmerecht wirksam ausgeübt werden kann, darf die Verteilung des Erlöses erst dann zum Abschluss gebracht werden, wenn der Prozess über die Rechtsbeständigkeit des Arrests oder über die Forderung selbst beendet ist. Ohne Belang ist dabei, dass das Verwertungsbegehren nach Ablauf der Teilnahmefrist von
Art. 110 SchKG
gestellt worden ist (E. 2c).
Die Frage, ob und in welchem Umfang jemand an einer Zwangsvollstreckung teilnimmt, bildet stets Gegenstand eines Entscheides der mit der Vollstreckung betrauten Behörde (E. 3a). Das Versäumnis eines solchen Entscheides kann keinen Verlust eines gesetzlichen Rechts zur Folge haben (E. 3b).
Sofern der Arrestgläubiger in der Lage ist, die Fortsetzung der Betreibung innerhalb der Frist des
Art. 110 SchKG
zu beantragen, kann die Spezialbestimmung des
Art. 281 SchKG
nicht mehr zur Anwendung gelangen (E. 4). | Sachverhalt
ab Seite 43
BGE 116 III 42 S. 43
A.-
Le 27 septembre 1985, Union Bank of Nigeria Ltd. obtint un séquestre No 885 SQ 445 au préjudice de Charles Godwill Atohoun, portant sur les actifs de celui-ci en mains de la Société de Banque Suisse (ci-après: la SBS) pour une créance de 370'000 francs plus accessoires. La poursuite No 85 092863 G en validation de ce séquestre fut frappée d'opposition.
Le 18 septembre 1987, L'Aiglon S.A. obtint un séquestre No 1087 SQ 506 au préjudice du même débiteur, portant sur les actifs de ce dernier en mains de la SBS pour une créance de 204'158 francs plus accessoires. Le 3 mai 1988, L'Aiglon S.A. requit la continuation de la poursuite No 87 079995 F. Le séquestre fut converti en saisie définitive le 9 mai 1988 et porta sur un montant de 231'896 francs en mains de la SBS. Le 13 juin 1988, le procès-verbal de saisie a été notifié à la créancière, ainsi qu'au débiteur. Il ne mentionnait que L'Aiglon S.A. au titre de créancier.
Le 28 octobre 1988, Union Bank of Nigeria Ltd. requit la continuation de la poursuite No 85 092863 G sur la base d'un jugement de la Cour de justice du 16 septembre 1988 confirmant la mainlevée de l'opposition au commandement de payer prononcée par le Tribunal de première instance le 4 février 1988.
Le 20 juillet 1988, L'Aiglon S.A. déposa une réquisition de vente auprès de l'Office. Par lettres des 16 septembre et 18 octobre 1988, elle relança cette dernière, toutefois sans succès. La créancière ne reçut qu'une lettre du 20 septembre 1988 l'informant que la SBS avait été invitée à transférer les avoirs frappés de saisie.
Entre-temps, l'Office constata qu'il avait omis d'inscrire au procès-verbal de saisie No 87 079995 F la poursuite intentée par
BGE 116 III 42 S. 44
Union Bank of Nigeria Ltd. Il décida, le 22 novembre 1988, de faire participer la poursuite No 85 092863 G (séquestre No 885 SQ 445) à la saisie exécutée dans le cadre de la poursuite No 87 079995 F et d'inscrire à cet effet cette poursuite sur le procès-verbal de saisie No 87 079995 F.
B.-
Le 24 novembre 1988, L'Aiglon S.A. déposa plainte contre la décision de l'Office des poursuites prise le 22 novembre 1988.
Le 10 janvier 1990, l'Autorité de surveillance des offices de poursuite pour dettes et de faillite du canton de Genève a rejeté la plainte.
C.-
Le 25 janvier 1990, L'Aiglon S.A. a déposé un recours auprès de la Chambre des poursuites et des faillites du Tribunal fédéral. Elle conclut à l'annulation de la décision attaquée, ainsi que de celle prise par l'Office des poursuites le 22 novembre 1988. Tout comme devant l'autorité cantonale, elle fait valoir que les biens ne doivent être saisis qu'à son seul profit.
Erwägungen
Considérant en droit:
2.
La recourante reproche à l'Autorité de surveillance d'avoir violé l'
art. 281 LP
. Elle aurait méconnu le fait qu'une participation de "plein droit" d'un créancier au bénéfice d'un séquestre antérieur à la saisie opérée au profit d'une autre poursuite ne peut intervenir que si l'Office prend une décision effective, et ce au plus tard lors de l'expiration du délai de participation. En l'espèce, une telle décision ne serait pas intervenue, à tout le moins pas dans le délai. Ce qui a été ordonné le 22 novembre 1988 ne serait pas une participation à la saisie, mais à la vente. Une telle décision ne reposerait sur aucune base légale.
a) Ce moyen n'est pas fondé. Il est incontestable que les conditions de l'
art. 281 LP
sont effectivement remplies en l'espèce. Selon cette disposition, lorsque les objets séquestrés viennent à être saisis par un autre créancier avant que le séquestrant ne soit dans les délais pour opérer la saisie, ce dernier participe de plein droit à la saisie à titre provisoire. Il n'est pas nécessaire que le créancier séquestrant doive lui-même requérir cette participation. Il lui incombe seulement de demander la saisie définitive dans les dix jours du jugement de mainlevée définitive ou d'un jugement exécutoire, s'il entend bénéficier de la participation concédée à raison du fait qu'il ne pouvait jusqu'alors requérir lui-même la saisie (
ATF 92 III 14
et les références citées, notamment la circulaire de
BGE 116 III 42 S. 45
la Chambre des poursuites et des faillites No 27 du 1er novembre 1910; GILLIÉRON, Poursuite pour dettes, Faillite et Concordat, Lausanne 1988, p. 199, 378/379; AMONN, Grundriss des Schuldbetreibungs- und Konkursrechts, 4e éd., Berne 1988, § 25 n. 11, § 51 n. 53 et 55; FRITZSCHE, Schuldbetreibung und Konkurs, Zurich 1968, vol. 2, p. 247).
b) En l'espèce, Union Bank of Nigeria avait obtenu en 1985 déjà le séquestre de la créance saisie ultérieurement par la recourante. La poursuite en validation du séquestre fut intentée en temps utile. Toutefois, la procédure de mainlevée ne prit fin que le 16 septembre 1988, par le jugement de la Cour de justice. La créancière séquestrante requit le 28 octobre 1988 la continuation de la poursuite. Manifestement, elle déposa cette requête, conformément à la circulaire No 27 précitée, dès qu'elle fut effectivement en mesure de le faire et en respectant le délai de dix jours prescrit. Lorsque l'opposition est levée par le juge, ce délai commence à courir, non pas dès le jour où le jugement a été rendu, mais dès qu'il a été communiqué aux parties (
ATF 101 III 90
consid. 1c). La recourante ne conteste d'ailleurs pas le respect de ce délai.
c) Afin que le droit de participation puisse être efficacement exercé, la distribution des deniers n'interviendra qu'une fois terminée la procédure relative à la validité du séquestre ou de la créance elle-même (JAEGER, Commentaire de la loi fédérale sur la poursuite pour dettes et la faillite, Lausanne 1920, rem. 4 ad art. 281). Peu importe dès lors que la recourante ait requis la vente une fois écoulé le délai de participation de l'
art. 110 LP
. Cette réquisition ne pouvait faire tomber le droit de participation provisoire de Union Bank of Nigeria. La communication de l'Office des poursuites du 20 septembre 1988 ne laisse d'ailleurs planer aucun doute. La créancière séquestrante n'était effectivement pas encore en mesure de rendre sa participation définitive par l'introduction d'une réquisition de continuer la poursuite.
3.
L'Autorité de surveillance a admis qu'une participation à la saisie selon l'
art. 281 LP
était possible sans que l'Office des poursuites ne prenne une décision. Elle a relevé, d'une part, que l'
art. 112 al. 2 LP
prévoit certes que le droit de participation du séquestrant doit être consigné au procès-verbal de saisie. Mais en se référant à JAEGER (op.cit., rem. 7 ad art. 112), dont l'opinion n'a d'ailleurs pas été approuvée par le Tribunal fédéral (
ATF 81 III 116
consid. 5b renvoyant àATF 33 I 480 s.), elle ajoute: "pour autant toutefois que le préposé a connaissance du séquestre, ce qui
BGE 116 III 42 S. 46
ne sera pas toujours le cas lorsqu'il s'agit d'une saisie ou d'un séquestre portant sur des créances ou si le lieu de séquestre et celui de la poursuite sont différents". D'autre part, l'autorité cantonale estime que la consignation au procès-verbal du droit de participation du séquestrant n'est qu'une prescription de forme. Enfin, l'
art. 281 LP
doit être interprété littéralement et non pas extensivement.
Il faut confirmer dans son résultat la décision querellée, lors même que sa motivation est certes sommaire et pas complètement convaincante.
a) La recourante se réfère à l'arrêt Gauch (
ATF 81 III 109
ss, spéc. 113 consid. 4). Le Tribunal fédéral y a jugé que l'
art. 110 LP
n'implique pas une participation automatique, bien que la loi n'en dise rien. La question de savoir si et dans quelle mesure une personne participe à une exécution forcée doit toujours faire l'objet d'une décision de l'autorité chargée de l'exécution. La raison en est que, dans chaque cas, l'office doit examiner si les conditions de procédure auxquelles est subordonné un certain mode de participation à une procédure d'exécution forcée sont réalisées.
Contrairement à l'avis de l'autorité cantonale de surveillance, il en va de même pour la participation provisoire de l'
art. 281 LP
. L'office doit également examiner l'application de cette disposition. Le débiteur a aussi le droit de savoir, tout comme le créancier séquestrant, pour quel créancier et quelle prétention des biens sont saisis. Certes, contrairement au cas de l'
art. 110 LP
, aucun complément de saisie ne peut être en principe opéré au bénéfice du créancier séquestrant. En effet, selon une jurisprudence constante, ne peuvent être réalisées dans le cadre d'une poursuite en validation du séquestre que les valeurs patrimoniales figurant au procès-verbal de séquestre (
ATF 110 III 29
consid. 1b;
ATF 90 III 80
;
ATF 51 III 122
). Mais il n'y a aucune raison de renoncer à l'exigence d'une décision de l'office au sens de l'
art. 112 al. 2 LP
. Ce dernier doit dans tous les cas veiller à ce que les conditions de la participation soient remplies.
b) En l'espèce, une décision existe. La question est bien plutôt de savoir si celle qui a été prise le 22 novembre 1988 n'était pas tardive parce qu'elle n'est pas intervenue le 9 mai 1988, voire aussitôt après le 29 juin 1988, fin du délai de participation de l'
art. 110 LP
. Cela aurait pour conséquence que la créancière séquestrante serait forclose.
BGE 116 III 42 S. 47
Dans l'arrêt Gauch précité (
ATF 81 III 115
ss), le Tribunal fédéral considéra que la nécessité d'une décision de l'office pour participer à une saisie ne signifiait pas qu'une telle décision, qui n'avait tout d'abord pas été prise, ne pourrait plus intervenir par la suite. Ainsi, il était possible d'admettre une participation après l'exécution de la saisie lorsque celle-ci offrait une couverture suffisante pour les prétentions du créancier saisissant et du créancier participant. En tout cas le premier créancier saisissant ne devrait pas être désavantagé par une participation subséquente (en l'occurrence celle d'un créancier saisissant).
On ne saurait hésiter en l'espèce, où seules la créancière séquestrante et celle qui a obtenu une saisie postérieurement au séquestre sont en cause. Union Bank of Nigeria a bloqué par son premier séquestre les avoirs du débiteur auprès de la SBS. La poursuite de la recourante, intervenue après plus de deux ans et ayant conduit à la saisie des mêmes avoirs ne devrait rien changer aux droits de la créancière séquestrante. Elle ne pouvait d'emblée compter que ces avoirs seraient réservés à elle seule. Aussi longtemps que le séquestre demeurait pendant, aucune distribution ne pouvait intervenir (cf. supra consid. 2c). Si l'on suivait la recourante, la portée de l'
art. 281 LP
serait considérablement restreinte, au désavantage du premier créancier séquestrant. L'exigence d'une décision de l'office au sujet de la participation d'un créancier ne peut entraîner la perte d'un droit légal simplement en raison de la tardiveté d'une telle décision. Cette conséquence ne saurait survenir que si l'office - méconnaissant un séquestre antérieur - avait déjà réalisé les biens saisis et distribué les deniers. Or, ce n'était pas le cas le 22 novembre 1988.
4.
En l'espèce, il n'était pas question d'une situation tombant sous le coup de l'
art. 110 LP
. Le cas présent ne saurait non plus être assimilé à l'hypothèse où une participation des créanciers séquestrants est possible dans le délai de l'
art. 110 LP
(
ATF 101 III 86
ss). L'
art. 281 LP
et la jurisprudence confirmée par la circulaire No 27 ont pour seul objet de permettre au créancier séquestrant de participer à la saisie à titre provisoire hors du délai normal de participation de trente jours de l'
art. 110 LP
. Lorsque le créancier séquestrant est en mesure de requérir la continuation de la poursuite dans ce délai de trente jours, la disposition spéciale de l'
art. 281 LP
n'entre plus en considération (
ATF 101 III 89
). Or, il a été démontré que Union Bank of Nigeria ne pouvait agir dans ce délai de trente jours (cf. supra consid. 2b). Le recours se révèle ainsi infondé. | null | nan | fr | 1,990 | CH_BGE | CH_BGE_005 | CH | Federation |
d21a9021-45eb-4610-9178-1a5333755e1a | Urteilskopf
90 IV 79
17. Urteil des Kassationshofes vom 25. Juni 1964 i.S. X. gegen Staatsanwaltschaft des Kantons Aargau. | Regeste
Art. 292 StGB
.
Ob die missachtete Verwaltungsverfügung während der Dauer ihrer Anfechtbarkeit verbindlich sei, hängt davon ab, ob das gegen die Verfügung erhobene Rechtsmittel aufschiebende Wirkung hat. | Sachverhalt
ab Seite 79
BGE 90 IV 79 S. 79
A.-
Der verheiratete X. unterhielt seit einiger Zeit ein ehewidriges Verhältnis mit einer Berufskollegin. Am
BGE 90 IV 79 S. 80
9. Dezember 1962 verliess er die eheliche Wohnung in Y., ohne dass er nach
Art. 170 ZGB
zur Aufhebung des gemeinsamen Haushaltes berechtigt gewesen wäre, und zog nach Aarau. Er beabsichtigte, vom 29. Dezember 1962 bis 2. Januar 1963 mit seiner Geliebten und seinem 1948 geborenen Sohn, der weiterhin bei seiner Mutter in Y. wohnte, gemeinsam Skiferien zu verbringen. Als der Gemeinderat von Y. davon Kenntnis erhielt, sah er sich als Vormundschaftsbehörde veranlasst, zum Schutze des Knaben, der unter dem ehelichen Zerwürfnis seiner Eltern litt, gestützt auf
Art. 283 ZGB
gegen das geplante Vorhaben einzuschreiten. Er verbot X. unter Hinweis auf die Strafdrohung des
Art. 292 StGB
, gleichzeitig seinen Sohn und seine Geliebte in die Ferien mitzunehmen.
X. begab sich trotz des Verbots, das ihm am 26. Dezember 1962 mündlich und zwei Tage später schriftlich eröffnet worden war, zusammen mit seinem Sohn und der Geliebten in die Ferien. Nach seiner Rückkehr focht er es durch Beschwerde an. Diese wurde vom Bezirksamt Aarau und am 8. März 1963 vom Regierungsrat des Kantons Aargau abgewiesen.
B.-
Am 28. Februar 1964 verurteilte das Obergericht des Kantons Aargau X. wegen Ungehorsams gegen eine amtliche Verfügung (
Art. 292 StGB
) zu einer bedingt vorzeitig löschbaren Busse von Fr. 100. -.
C.-
X. führt Nichtigkeitsbeschwerde mit dem Antrag, er sei freizusprechen.
Erwägungen
Der Kassationshof zieht in Erwägung:
1.
Es ist unbestritten, dass der Gemeinderat von Y. als Vormundschaftsbehörde an sich örtlich und sachlich zuständig war, eine Verfügung im Sinne des
Art. 283 ZGB
zum Schutze eines in Y. wohnhaften Kindes zu erlassen.
2.
Der Beschwerdeführer bestreitet dagegen, dass die Vormundschaftsbehörde zum Erlass der in Frage stehenden Verfügung berechtigt gewesen sei, weil das Verbot, den Sohn zusammen mit seiner Freundin in die Ferien mitzunehmen,
BGE 90 IV 79 S. 81
einen unzulässigen Eingriff in Persönlichkeitsrechte darstelle.
Wie der Kassationshof wiederholt entschieden hat, ist eine von der zuständigen Behörde formgerecht ergangene Verfügung, deren Nichtbefolgung im Sinne des
Art. 292 StGB
mit Strafe bedroht wurde, vom Strafrichter auf ihre materielle Richtigkeit nicht zu überprüfen (
BGE 71 IV 219
,
BGE 73 IV 256
,
BGE 78 IV 118
und weitere nicht veröffentlichte Entscheidungen). Selbst wenn aber der Strafrichter entgegen dieser Rechtsprechung über die Zulässigkeit der amtlichen Verfügung frei zu entscheiden hätte, so könnte der Auffassung des Beschwerdeführers nicht gefolgt werden. Er handelte nicht nur seinen ehelichen Pflichten zuwider, wenn er mit einer andern Frau, die seine Geliebte war, gemeinsam die Ferien verbrachte, sondern er verletzte auch seine Pflichten als Vater, wenn er seinen noch nicht 15 Jahre alten Sohn mitnahm und somit in dessen Gegenwart ehewidrige Beziehungen unterhielt. Der Beschwerdeführer stellt denn auch mit Recht nicht in Abrede, dass sein rechtswidriges Verhalten, das er vorhatte, geeignet war, die sittliche Entwicklung seines Kindes, das zudem ohnehin unter dem ehelichen Zerwürfnis seiner Eltern litt, erheblich zu gefährden. Die von der Vormundschaftsbehörde getroffene Schutzmassnahme war unter diesen Umständen sachlich gerechtfertigt und dem verfolgten Zweck angemessen. Die Verfügung untersagte nur, dass der Beschwerdeführer seinen Sohn und die Geliebte gleichzeitig in die Ferien mitnehme, verbot ihm aber nicht, mit einem der beiden in die Ferien zu gehen. Von einem unzulässigen Eingriff in Persönlichkeitsrechte kann daher keine Rede sein.
3.
Der Beschwerdeführer macht ferner geltend, eine Bestrafung nach
Art. 292 StGB
sei auch deshalb unstatthaft, weil die Verfügung in der Zeit vom 29. Dezember 1962 bis 2. Januar 1963, während der er ihr zuwiderhandelte, noch nicht rechtskräftig und damit auch nicht verbindlich gewesen sei. Denn er habe gegen den Beschluss der Vormundschaftsbehörde vom 26. Dezember 1962 innert
BGE 90 IV 79 S. 82
der zehntägigen Frist, nämlich am 4. Januar 1963, Beschwerde nach
Art. 420 ZGB
geführt, so dass das gegen ihn erlassene Verbot erst nach dem 8. März 1963, d.h. mit der Zustellung des Regierungsratsentscheides, in Rechtskraftt erwachsen sei.
Dieser Einwand hält nicht stand. Im Kanton Aargau werden vormundschaftliche Massnahmen zum Schutze der Kinder, wie sie
Art. 283 ZGB
vorsieht, von den Verwaltungsbehörden getroffen. Die von ihnen erlassenen Verfügungen sind demnach Verwaltungsakte, die ihm allgemeinen mit ihrer Eröffnung rechtswirksam, d.h. materiell verbindlich werden und für den Empfänger wie für die Behörden rechtsgültig bleiben, bis sie aufgehoben werden oder von Rechts wegen ihr Ende nehmen. Das gilt grundsätzlich auch für Verwaltungsakte, die mit Rechtsmängeln behaftet sind. Nicht rechtswirksam ist ein Verwaltungsakt nur beim Vorliegen eines Nichtigkeitsgrundes und im Falle blosser Anfechtbarkeit dann, wenn von der Anfechtung Gebrauch gemacht wird und das Rechtsmittel Suspensiveffekt hat. Wo das Rechtsmittel diese Wirkung nicht hat, bleibt auch die noch nicht formell rechtskräftige Verwalrungsverfügung solange verbindlich, als sie von der Rechtsmittelinstanz nicht aufgehoben wird (GIACOMETTI, Allgemeine Lehren des rechtsstaatlichen Verwaltungsrechts, Bd. I, S. 393, 424 ff., 431, 433).
Das Verfahren, in dem über die Beschwerde nach
Art. 420 ZGB
von den kantonalen Aufsichtsbehörden entschieden wird, untersteht dem kantonalen Recht. Dieses bestimmt insbesondere, ob der Beschwerde Suspensivwirkung zukommt oder nicht (EGGER, N. 53 zu
Art. 420 ZGB
). Wie das Obergericht feststellt, hat die Beschwerde nach aargauischem Prozessrecht nicht ohne weiteres, sondern nur auf ausdrückliche Verfügung der Beschwerdeinstanz aufschiebende Wirkung. Diese Feststellung kann vom Kassationshof nicht überprüft und mit der Nichtigkeitsbeschwerde nicht angefochten werden (Art. 269 Abs. 1, 273 Abs. 1 lit. b und 277 bis Abs. 1 BStP). Auf die
BGE 90 IV 79 S. 83
Ausführungen, mit denen der Beschwerdeführer die obergerichtliche Auslegung des kantonalen Rechts zu widerlegen versucht, ist daher nicht einzutreten. Da seiner Beschwerde, mit der er erfolglos die Verfügung des Gemeinderates von Y. anfocht, keine aufschiebende Wirkung zuerkannt worden ist, hat er daher eine verbindliche Verfügung missachtet. Er ist infolgedessen zu Recht nach
Art. 292 StGB
bestraft worden.
Dispositiv
Demnach erkennt der Kassationshof:
Die Nichtigkeitsbeschwerde wird abgewiesen, soweit auf sie eingetreten werden kann. | null | nan | de | 1,964 | CH_BGE | CH_BGE_006 | CH | Federation |
d220f2ca-81c3-4774-bfe7-df91dbee375a | Urteilskopf
107 V 17
4. Urteil vom 23. Januar 1981 i.S. Leonardelli gegen Ausgleichskasse der Aargauischen Industrie- und Handelskammer und Versicherungsgericht des Kantons Basel-Landschaft | Regeste
Art. 28 Abs. 2 IVG
.
- Aufgabe des Arztes und des Berufsberaters bei der Erarbeitung von Grundlagen für die Bemessung der Invalidität (Erw. 2b).
- Bedeutung von Alter und mangelnder Ausbildung bei der Bemessung der Invalidität (Erw. 2c).
Art. 41 IVG
,
Art. 88bis Abs. 2 IVV
und
Art. 132 lit. c OG
. Zeitpunkt der Aufhebung einer Invalidenrente, die revisionsweise von einer ganzen auf eine halbe herabgesetzt wurde und im letztinstanzlichen Verfahren im Sinne der reformatio in peius ganz aufgehoben wird:
-
Art. 41 IVG
und
Art. 88bis Abs. 2 IVV
sind sinngemäss anwendbar.
- Die Aufhebung erfolgt auf den Beginn des Monats, der der Zustellung des letztinstanzlichen Urteils folgt (Erw. 3b). | Sachverhalt
ab Seite 18
BGE 107 V 17 S. 18
A.-
Der 1929 geborene italienische Staatsangehörige Italo Leonardelli musste seine Arbeit als Pflästerer und Maurer Ende 1974 wegen Beschwerden im rechten Arm und in der rechten Hand aufgeben. Ab. 1. Dezember 1975 bezog er eine ganze Invalidenrente. Im Rahmen eines Revisionsverfahrens wurde diese Rente mit Verfügung vom 31. März 1977 ab 1. April 1977 auf eine halbe herabgesetzt, nachdem die Invalidenversicherungs-Kommission des Kantons Basel-Landschaft den Invaliditätsgrad von bisher 75% neu auf 50% veranschlagt hatte. Die gegen die Kassenverfügung vom 31. März 1977 erhobene Beschwerde wies das Versicherungsgericht des Kantons Basel-Landschaft mit Entscheid vom 30. Juni 1977 ab. Dagegen hiess das Eidg. Versicherungsgericht die daraufhin eingereichte Verwaltungsgerichtsbeschwerde in dem Sinne gut, dass es den vorinstanzlichen Entscheid und die Kassenverfügung aufhob und die Sache an die Verwaltung zurückwies, damit diese, nach Aktenergänzung im Sinne der Erwägungen, über den Rentenanspruch neu verfüge. Zur Begründung wurde ausgeführt, der Sachverhalt sei ungenügend abgeklärt worden; es seien u.a. noch Erhebungen nötig, ob und in welchem Umfang der Versicherte durch eine ihm zumutbare Tätigkeit auf dem ausgeglichenen Arbeitsmarkt ein Erwerbseinkommen erzielen könne; auf alle Fälle dürfte eine Herabsetzung der Rente frühestens auf den 1. Mai 1977 erfolgen (Urteil vom 3. Juli 1978).
In der Folge holte die Invalidenversicherungs-Kommission bei der Medizinischen Abklärungsstelle (MEDAS) des Basler Bürgerspitals einen ergänzenden Bericht (vom 5. Februar 1979) sowie eine nochmalige Stellungnahme der Regionalstelle für berufliche Eingliederung in Basel (Bericht vom 29. Mai 1979) ein. Mit Beschluss vom 2. Juli 1979 setzte sie den Invaliditätsgrad erneut auf 50% fest, worauf die Ausgleichskasse am
BGE 107 V 17 S. 19
1. August 1979 verfügte, dass dem Versicherten ab 1. Mai 1977 nur noch eine halbe Invalidenrente zustehe.
B.-
Die hiegegen erhobene Beschwerde wies das Versicherungsgericht des Kantons Basel-Landschaft mit Entscheid vom 5. Dezember 1979 ab.
C.-
Mit der vorliegenden Verwaltungsgerichtsbeschwerde lässt Italo Leonardelli den Antrag erneuern, es sei ihm ab 1. Mai 1977 weiterhin eine ganze Invalidenrente auszurichten. Zur Begründung macht er im wesentlichen geltend, die zusätzlichen Abklärungen hätten nicht ergeben, wie sich die theoretisch vorhandene Restarbeitsfähigkeit wirtschaftlich verwerten lasse und welches Erwerbseinkommen er damit zu erzielen vermöchte; daher sei davon auszugehen, dass eine Verwertung nicht mehr in Frage komme und mithin vollständige Invalidität bestehe. Die Verwaltung habe schon zur Zeit, als er noch in der Schweiz gewohnt habe, keine Eingliederungsbemühungen unternommen; es dürfe ihm nun nicht angelastet werden, dass wegen seiner Rückkehr nach Italien keine konkreten Eingliederungsversuche durchgeführt werden könnten; er sei im übrigen ohne weiteres bereit, einer Aufforderung nachzukommen, sich in der Schweiz Eingliederungsmassnahmen zu unterziehen.
Die Ausgleichskasse verzichtet auf eine Stellungnahme zur Verwaltungsgerichtsbeschwerde. Das Bundesamt für Sozialversicherung hält weitere Abklärungen für erforderlich und weist zudem auf die Möglichkeit einer reformatio in peius hin.
D.-
Der Instruktionsrichter hat dem Versicherten im Hinblick auf eine allfällige reformatio in peius Gelegenheit zur Stellungnahme gegeben. Italo Leonardelli hält an seinem Begehren fest.
Erwägungen
Das Eidg. Versicherungsgericht zieht in Erwägung:
1.
(Hinweis auf
BGE 105 V 158
f.)
2.
a) Das Eidg. Versicherungsgericht hat im Urteil vom 3. Juli 1978 festgehalten, dass das im Rentenrevisionsverfahren beim Chefarzt der MEDAS in Basel eingeholte Gutachten vom 23. Februar 1977 in bezug auf die Arbeitsunfähigkeit und die Zumutbarkeit von Arbeit Fragen offen lasse und dass die Invalidenversicherungs-Kommission nicht untersucht habe, ob sich die verbliebene Arbeitsfähigkeit wirtschaftlich verwerten lasse
BGE 107 V 17 S. 20
und welches Erwerbseinkommen allenfalls erzielt werden könnte. Aus diesem Grunde hat das Gericht die Sache zu ergänzenden Abklärungen an die Verwaltung zurückgewiesen.
b) Im neu eingeholten Bericht vom 5. Februar 1979 wird vom Chefarzt der MEDAS gerügt, dass man ihm die Funktion eines Berufsberaters zumute. Dazu ist zunächst zu bemerken, dass die Aufgabe des Arztes der MEDAS eine arbeitsmedizinische und keine berufsberatende ist; letztere ist der Regionalstelle vorbehalten (
Art. 63 lit. b IVG
). Zwischen Mediziner und Berufsberater ist aber eine enge, sich gegenseitig ergänzende Zusammenarbeit erforderlich. Der Arzt sagt, inwiefern der Versicherte in seinen körperlichen bzw. geistigen Funktionen durch das Leiden eingeschränkt ist, wobei es als selbstverständlich gilt, dass sich der Arzt vor allem zu jenen Funktionen äussert, welche für die nach seiner Lebenserfahrung im Vordergrund stehenden Arbeitsmöglichkeiten des Versicherten wesentlich sind (so etwa, ob der Versicherte sitzend oder stehend, im Freien oder in geheizten Räumen arbeiten kann oder muss, ob er Lasten heben und tragen kann usw.). Der Berufsberater dagegen sagt, welche konkreten beruflichen Tätigkeiten aufgrund der ärztlichen Angaben und unter Berücksichtigung der übrigen Fähigkeiten des Versicherten in Frage kommen, wobei unter Umständen entsprechende Rückfragen beim Arzt erforderlich sind.
c) Mit dem Bericht der MEDAS vom 5. Februar 1979 wird klargestellt, dass sich die seinerzeit im Gutachten vom 23. Februar 1977 angegebene Arbeitsunfähigkeit von 50% auf die "ehemalige Beschäftigung als Maurer-Hilfsarbeiter" bzw. Pflästerer bezog, d.h. auf einen Beruf, "in dem er nicht Schwerstarbeit leisten" musste. Zudem wird ausgeführt, "in einem leichten Beruf wäre er voll leistungsfähig", was dahin zu verstehen ist, dass der Beschwerdeführer ganztägig arbeiten und bei körperlich leichter Arbeit volle Leistungen erbringen könnte. Ferner weist die MEDAS - grundsätzlich zutreffend - darauf hin, es sei Sache des Berufsberaters, einen entsprechenden Beruf für den Beschwerdeführer zu finden. In diesem Zusammenhang ist aber festzustellen, dass es primär Sache des Versicherten ist, sich um eine angemessene Eingliederung zu bemühen. Denn nach der Rechtsprechung hat, wer Leistungen der Invalidenversicherung beansprucht, von sich aus alles ihm Zumutbare vorzukehren, um die Folgen seiner Invalidität
BGE 107 V 17 S. 21
bestmöglich zu mildern; deshalb besteht kein Rentenanspruch, wenn der Versicherte selbst ohne Eingliederungsmassnahmen zumutbarerweise in der Lage wäre, ein rentenausschliessendes Erwerbseinkommen zu erzielen (ZAK 1976 S. 99 f., 277 Erw. 1, 1972 S. 238 Erw. 2b, 738 Erw. 1).
Im Rahmen der ergänzenden Abklärungen holte die Invalidenversicherungs-Kommission auch bei der Regionalstelle Basel einen Zusatzbericht (vom 29. Mai 1979) ein. Darin wird im wesentlichen bloss ausgeführt, dass man den Beschwerdeführer, wenn er den Wohnsitz in der Schweiz beibehalten hätte, "wegen der Summierung der invaliditätsfremden (Alter, geringe Schulbildung, mangelnde Deutschkenntnisse etc.) und invaliditätsbedingten Gründe höchstwahrscheinlich überhaupt nicht eingliedern" könnte. In welchem Umfang die rein invaliditätsbedingten Faktoren sich auf die Vermittelbarkeit aus invalidenversicherungsrechtlicher Sicht auswirken, wird von der Regionalstelle jedoch mit keinem Wort gesagt. Dies zu wissen, wäre aber im Hinblick auf die Bemessung des Invaliditätsgrades von Bedeutung. Denn Erwerbslosigkeit aus invaliditätsfremden Gründen vermag keinen Rentenanspruch zu begründen (ZAK 1976 S. 99 f.). Die Invalidenversicherung hat nicht dafür einzustehen, wenn ein Versicherter zufolge seines Alters, wegen mangelnder Ausbildung oder Verständigungsschwierigkeiten keine entsprechende Arbeit findet; die hieraus sich ergebende "Arbeitsunfähigkeit" ist nicht invaliditätsbedingt (ZAK 1980 S. 255, 279). Wohl hält Rz 67 der Wegleitung des Bundesamtes für Sozialversicherung über Invalidität und Hilflosigkeit (gültig ab 1. Januar 1979) fest, dass die zweckmässige Ausnützung der verbliebenen Arbeitsfähigkeit von der beruflichen Ausbildung und den physischen und geistigen Fähigkeiten des Versicherten abhänge und dass auch das Alter zu berücksichtigen sei; indessen sind die genannten Gesichtspunkte keine zusätzlichen Faktoren, welche neben der Zumutbarkeit weiterer Erwerbstätigkeit das Ausmass der Invalidität mitbestimmen würden (nicht veröffentlichte Urteile Vitali vom 20. Oktober 1980 und Cuk vom 9. September 1980). Entgegen den Ausführungen des Bundesamtes sind aber vorliegend keine weiteren Erhebungen bezüglich der invalidenversicherungsrechtlich massgebenden Vermittelbarkeit erforderlich.
d) Aufgrund des zweiten Berichtes der MEDAS kann festgestellt werden, dass der Beschwerdeführer bei körperlich leichter
BGE 107 V 17 S. 22
Tätigkeit als Hilfsarbeiter voll arbeitsfähig wäre. Für die Bemessung der Invalidität ist zwar nicht die Arbeitsunfähigkeit, sondern die Erwerbsunfähigkeit massgebend, doch kann bei zumutbarer Verwertung voller Arbeitsfähigkeit in einem körperlich leichten Beruf keine hälftige und schon gar nicht eine mindestens zwei Drittel betragende Invalidität angenommen werden. Die vom ärztlichen Dienst des Bundesamtes in der Stellungnahme zur Verwaltungsgerichtsbeschwerde als relativ geringfügig bezeichnete Behinderung durch Funktionsausfall am rechten Ellbogen lässt nach allgemeiner Erfahrung nicht auf eine mindestens hälftige Verminderung der Erwerbsfähigkeit auf dem dem Beschwerdeführer offenstehenden, doch recht weiten Feld von Erwerbsmöglichkeiten schliessen. Vielmehr ist davon auszugehen, dass das hypothetische Invalideneinkommen mit Sicherheit mehr als 50% des hypothetischen Valideneinkommens in einem körperlich anstrengenden Beruf wie dem bis Ende 1974 ausgeübten betragen würde, in welchem er zuletzt rund 3'400.- Franken im Monat verdient hatte. Ein Rentenanspruch muss daher verneint werden. Diese Beurteilung ergibt sich im übrigen aufgrund der allgemeinen Einkommensvergleichsmethode, wenn auch im Rahmen eines bloss schätzungsweisen und summarischen Vergleichs der beiden hypothetischen Erwerbseinkommen (Prozentvergleich;
BGE 104 V 136
Erw. 2b). Dass der Beschwerdeführer "seit 1974 nicht mehr arbeitet" und dass deshalb "Angaben über das Einkommen seit Eintritt der Invalidität" fehlen, ist - entgegen den Ausführungen der Vorinstanz - kein Anlass für die Anwendung des ausserordentlichen Bemessungsverfahrens.
e) Die in der Verwaltungsgerichtsbeschwerde erhobenen Einwendungen vermögen nicht zu einer andern Betrachtungsweise zu führen. Aus dem Umstand, dass die Verwaltung keine Eingliederungsversuche unternahm, kann nicht gefolgert werden, der Beschwerdeführer könne aus invaliditätsbedingten Gründen beruflich nicht mehr eingegliedert werden und sei mithin vollständig invalid. Wie bereits erwähnt wurde, ist es primär Sache des Versicherten, sich selber um eine dem Leiden angepasste Stelle zu bemühen, soweit dies möglich und zumutbar ist. Vorliegend bestand jedenfalls kein invaliditätsbedingter Hinderungsgrund, selber eine entsprechende Hilfsarbeitertätigkeit zu suchen.
3.
a) Aus dem Vorstehenden folgt, dass dem Beschwerdeführer keine Rente mehr zusteht. Die ursprünglich gewährte
BGE 107 V 17 S. 23
ganze Invalidenrente hätte daher mit der streitigen Kassenverfügung revisionsweise nicht nur auf einen halbe herabgesetzt, sondern gänzlich aufgehoben werden sollen.
Nach
Art. 132 lit. c OG
kann das Eidg. Versicherungsgericht bei Verfügungen über die Bewilligung oder Verweigerung von Versicherungsleistungen zu Gunsten oder zu Ungunsten der Parteien über deren Begehren hinausgehen. Der Beschwerdeführer wurde praxisgemäss auf die Möglichkeit einer reformatio in peius aufmerksam gemacht; er machte jedoch von der Rückzugsmöglichkeit keinen Gebrauch, sondern hielt ohne weitere Stellungnahme an seinem Begehren fest. Die formellen Voraussetzungen für eine reformatio in peius sind demnach erfüllt.
b) Nach
Art. 41 IVG
ist die Rente für die Zukunft entsprechend zu erhöhen, herabzusetzen oder aufzuheben, wenn sich der Grad der Invalidität eines Rentenbezügers in einer für den Anspruch erheblichen Weise ändert. Ferner bestimmt
Art. 88bis Abs. 2 lit. a IVV
, dass die Herabsetzung oder Aufhebung frühestens vom ersten Tag des der Zustellung der Verfügung folgenden Monats an erfolgt.
Im Urteil vom 3. Juli 1978 hat das Eidg. Versicherungsgericht ausgeführt, dass die revisionsweise Herabsetzung der Rente im Hinblick auf das Zustelldatum der damals angefochtenen Verfügung frühestens mit Wirkung ab 1. Mai 1977 angeordnet werden dürfe, in welchem Sinne die Ausgleichskasse denn auch in der nunmehr streitigen Kassenverfügung vom 1. August 1979 verfuhr. Im Falle einer reformatio in peius sind
Art. 41 IVG
und
Art. 88bis Abs. 2 IVV
sinngemäss anwendbar (nicht veröffentlichtes Urteil Eigenmann vom 29. Dezember 1977). Demzufolge darf im vorliegenden Fall, in welchem der Beschwerdeführer die Leistung weder unrechtmässig erwirkt noch die Meldepflicht verletzt hat (Art. 88bis Abs. 2 lit. b), die Herabsetzung bzw. die Aufhebung der Rente nur für die Zukunft erfolgen (Art. 88bis Abs. 2 lit. a), was bedeutet, dass sie nicht auf das Zustelldatum der angefochtenen Verfügung bezogen werden darf, welche diese Leistungsverminderung bzw. -aufhebung noch nicht vorsah. Die dem Beschwerdeführer bislang gewährte Invalidenrente ist daher vom ersten Tag des Monats an aufzuheben, der der Zustellung dieses Urteils folgt. Bis zu diesem Zeitpunkt ist ihm dagegen noch die halbe einfache Invalidenrente auszurichten.
4.
...
BGE 107 V 17 S. 24
Dispositiv
Demnach erkennt das Eidg. Versicherungsgericht:
Die Verwaltungsgerichtsbeschwerde wird abgewiesen. Der Entscheid des Versicherungsgerichts des Kantons Basel-Landschaft vom 5. Dezember 1979 und die Verfügung der Ausgleichskasse der Aargauischen Industrie- und Handelskammer vom 1. August 1979 werden insofern abgeändert, als die laufende halbe Invalidenrente auf den ersten Tag des der Zustellung dieses Urteils folgenden Monats hin aufgehoben wird. | null | nan | de | 1,981 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
d2269353-36e8-48d0-85c7-8c091b6ea581 | Urteilskopf
100 V 208
51. Urteil vom 16. Dezember 1974 i.S. Humbert gegen Ausgleichskasse der Uhrenindustrie und Versicherungsgericht des Kantons Bern | Regeste
Über die Begriffe des Versicherungsfalls und des anspruchsbegründenden Sachverhalts.
Bei der Witwenrente tritt der Versicherungsfall am Tage nach Ablauf des Todesmonats ein (
Art. 23 Abs. 3 AHVG
). | Sachverhalt
ab Seite 208
BGE 100 V 208 S. 208
A.-
Am 5. Dezember 1972 verstarb der 1924 geborene Jean Humbert, der seit 1948 mit Gertrud Suter kinderlos verheiratet war. Mit Verfügung vom 20. März 1973 sprach die Ausgleichskasse der Uhrenindustrie der am 10. November 1928 geborenen Ehefrau eine Witwenabfindung zu.
B.-
Beschwerdeweise verlangte Gertrud Humbert-Suter, dass ihr anstelle der Witwenabfindung die ordentliche Witwenrente ausbezahlt werde.
Das Versicherungsgericht des Kantons Bern hat die Beschwerde am 4. Juli 1973 abgewiesen: Es sei nicht nach altem, sondern nach dem am 1. Januar 1973 in Kraft getretenen neuen Recht (8. AHV-Revision) zu beurteilen, ob der Beschwerdeführerin eine Abfindung oder aber eine ordentliche Hinterlassenenrente zustehe. Auf Grund des
Art. 23 Abs. 3 AHVG
wäre ein allfälliger Rentenanspruch nämlich erst am 1. Januar 1973 entstanden. Damals sei aber das neurechtliche Erfordernis, dass die Witwe das 45. Altersjahr zurückgelegt habe, nicht erfüllt gewesen.
C.-
Mit der gegen diesen Entscheid erhobenen Verwaltungsgerichtsbeschwerde lässt Gertrud Humbert ihr Rentenbegehren wiederholen. Zur Begründung wird im wesentlichen vorgebracht: Das Gesetz stelle auf den Zeitpunkt der Verwitwung ab. Im Sozialversicherungsrecht von diesem klar definierten zivilrechtlichen Begriff abzuweichen, bestehe kein Anlass. Die Verschiebung des Rentenbeginns auf den Ersten des nächsten Monats stelle eine rein technische Massnahme
BGE 100 V 208 S. 209
dar, die keine Auswirkungen auf den Zeitpunkt und den Begriff der Verwitwung habe. Hätte der Gesetzgeber das Datum des Rentenbeginns als massgebend erachtet, so hätte er dies im Gesetz gesagt. Massgebend sei daher im vorliegenden Fall der 5. Dezember 1972, weshalb altes Recht zur Anwendung gelange. Damals habe die Beschwerdeführerin das 40. Altersjahr bereits zurückgelegt gehabt, so dass ihr vom Januar 1973 hinweg eine Witwenrente zustehe.
Die Ausgleichskasse und das Bundesamt für Sozialversicherung beantragen die Abweisung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde.
Erwägungen
Das Eidg. Versicherungsgericht zieht in Erwägung:
1.
Nach dem altrechtlichen
Art. 23 Abs. 1 lit. b AHVG
haben kinderlose Witwen dann Anspruch auf eine Hinterlassenenrente, wenn sie im Zeitpunkt der Verwitwung das 40. Altersjahr zurückgelegt haben und mindestens fünf Jahre verheiratet gewesen sind. Das hier festgelegte Mindestalter ist mit dem Inkrafttreten der 8. AHV-Revision am 1. Januar 1973 auf 45 Jahre hinaufgesetzt worden (vgl. den neurechtlichen
Art. 23 Abs. 1 lit. d AHVG
). Der Anspruch auf Witwenrente entsteht - sowohl nach altem wie nach neuem Recht - am 1. Tag des dem Tode des Ehemannes folgenden Monats (
Art. 23 Abs. 3 AHVG
).
Ob in einem Fall wie dem vorliegenden altes oder neues Recht angewandt werden muss, beurteilt sich nach dem Zeitpunkt, in welchem das Rechtsverhältnis des Versicherungsfalles als Grundvoraussetzung für den Bezug von Versicherungsleistungen entstanden ist (vgl. Rz. 8 der Rentenwegleitung). Vom Versicherungsfall zu unterscheiden ist die Erfüllung des leistungsbegründenden Sachverhalts. Dieser umfasst alle jene Elemente, die in tatbeständlicher Hinsicht gegeben sein müssen, damit der Versicherungsfall überhaupt eintreten kann. Der Zeitpunkt des Eintritts des Versicherungsfalles und jener der Erfüllung des anspruchsbegründenden Sachverhalts sind nicht ohne weiteres identisch. Mit andern Worten beinhaltet der leistungsbegründende Sachverhalt noch kein Rechtsverhältnis. Den Zeitpunkt, da dieses entsteht, umschreibt das Gesetz regelmässig in der Weise, dass es erklärt, wann der Leistungsanspruch entsteht. Wenn in der Invalidenversicherung
BGE 100 V 208 S. 210
beispielsweise die Entstehung des Anspruchs auf eine Invalidenrente unabhängig von einem bestimmten Monatstag auf jenen Zeitpunkt festgelegt wird, da die erwerbliche Beeinträchtigung eine gewisse Intensität erreicht hat (vgl.
Art. 29 Abs. 1 IVG
), so stimmen hier der Zeitpunkt der Erfüllung des anspruchsbegründenden Sachverhalts und jener der Entstehung des Rechtsverhältnisses von Gesetzes wegen. überein. Dagegen bestimmt
Art. 23 Abs. 3 AHVG
implicite, dass der Anspruch auf Witwenrente nicht schon mit der Erfüllung des anspruchsbegründenden Sachverhalts, nämlich mit dem Tod des Ehemannes, sondern am Ersten des darauffolgenden Monats entsteht. Der Zeitpunkt, da sich der anspruchsbegründende Sachverhalt erfüllt, unterscheidet sich nach dem klaren gesetzlichen Wortlaut vom Zeitpunkt der Entstehung des Rentenanspruchs. Das Rechtsverhältnis des Versicherungsfalles entsteht hier - entgegen Rz. 9. der Rentenwegleitung - erst nach Ablauf des Todesmonats (Beschluss des Gesamtgerichts vom 18. September 1974).
2.
Für die vorliegenden Belange ergibt sich daraus, dass der Versicherungsfall hinsichtlich des Rentenanspruchs nicht schon mit dem Tod des Versicherten am 5. Dezember 1972, sondern am 1. Januar 1973 eingetreten wäre. Auf diesen Zeitpunkt ist aber der revidierte
Art. 23 Abs. 1 AHVG
in Kraft getreten. Somit beurteilt sich nach neuem Recht, ob der Beschwerdeführerin eine Witwenrente zusteht. Da das neue Recht eine Hinterlassenenrente lediglich jenen kmderlosen Witwen zuerkennt, die bereits das 45. Altersjahr zurückgelegt haben, eine Voraussetzung, welche die Beschwerdeführerin am 1. Januar 1973 nicht erfüllte, steht ihr kein Rentenanspruch, sondern eine Abfindung gemäss
Art. 24 AHVG
zu.
Dispositiv
Demnach erkennt das Eidg. Versicherungsgericht:
Die Verwaltungsgerichtsbeschwerde wird abgewiesen. | null | nan | de | 1,974 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
d2288767-2ba1-49b8-a3d9-d63633854f94 | Urteilskopf
106 Ia 155
30. Auszug aus dem Urteil der II. Zivilabteilung vom 19. Februar 1980 i.S. Konkursmasse Texalig AG gegen Politische Gemeinde Küsnacht (Berufung) | Regeste
Art 94 OG
.
Wird einer staatsrechtlichen Beschwerde gegen einen Steuerentscheid aufschiebende Wirkung zuerkannt, so ändert dies an der Rechtskraft dieses Entscheids nichts und die Veranlagungsverjährung läuft deswegen nicht weiter. | Sachverhalt
ab Seite 155
BGE 106 Ia 155 S. 155
Gestützt auf eine am 28. Dezember 1967 erfolgte Eigentumsübertragung an fünf Grundstücken wurde die Texalig AG durch die Grundsteuerkommission der Gemeinde Küsnacht mit Nach- und Strafsteuerverfügung vom 5. November 1971 verpflichtet, über die bereits früher bezahlte Handänderungssteuer hinaus eine Nachsteuer von Fr. 16'390.40 und eine Strafsteuer von Fr. 3'278.-- zu bezahlen. Diese Verfügung wurde auf Beschwerde hin von der Finanzdirektion des Kantons Zürich am 28. März 1974 und vom Verwaltungsgericht des Kantons Zürich am 24. August 1977 bestätigt. Inzwischen war am 25. August 1972 über die Texalig AG der Konkurs eröffnet worden. Die Konkursmasse reichte gegen den Entscheid des Verwaltungsgerichts beim Bundesgericht staatsrechtliche Beschwerde ein. Dieser wurde vom Präsidenten der staatsrechtlichen
BGE 106 Ia 155 S. 156
Kammer für Beschwerden wegen Verletzung von
Art. 4 BV
am 22. November 1977 aufschiebende Wirkung beigelegt. Mit Urteil der genannten Kammer vom 1. Februar 1978 wurde die Beschwerde abgewiesen.
Im Konkursverfahren über die Texalig AG hatte die Gemeinde Küsnacht inzwischen unter anderem die Handänderungs-Nachsteuer von Fr. 16'390.40 mit 5% Verzugszins vom 16. Dezember 1971 bis zur Pfandverwertung als grundpfandversicherte Forderung und die Strafsteuer von Fr. 3'278.-- mit 5% Verzugszins vom 16. Dezember 1971 bis zum 25. August 1972 (Datum der Konkurseröffnung) als Fünftklassforderung angemeldet. Das Konkursamt Enge-Zürich lehnte die Aufnahme beider Forderungen in den Kollokationsplan bzw. ins Lastenverzeichnis mit Verfügung vom 7. Oktober 1978 ab, weil die Ansprüche seit Ende Dezember 1977 verjährt seien. Die darauf von der Gemeinde Küsnacht eingereichte Kollokationsklage wurde vom Einzelrichter im beschleunigten Verfahren des Bezirksgerichts Zürich am 28. Februar 1979 und vom Obergericht des Kantons Zürich am 25. September 1979 dahin gutgeheissen, es werde im Konkurs der Texalig AG
"a) die Forderung der Klägerin von Fr. 21'337.20, zuzüglich laufenden Zinses ab 1. Januar 1978, als grundpfandgesicherte Forderung kolloziert und ins Lastenverzeichnis betreffend grundpfandgesicherte Forderungen aufgenommen;
b) die Forderung der Klägerin von Fr. 3'391.40 in der 5. Klasse kollziert."
Mit rechtzeitig eingereichter Berufung beantragt die Konkursmasse der Texalig AG dem Bundesgericht, das obergerichtliche Urteil aufzuheben und die Klage abzuweisen. Die Gemeinde Küsnacht ersucht um Abweisung der Berufung und Bestätigung des obergerichtlichen Urteils.
Das Bundesgericht weist die Berufung ab.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
2.
Nach den in diesem Punkt für das Bundesgericht verbindlichen Urteilen beider kantonaler Instanzen gilt für den Nach- und Strafsteueranspruch der Gemeinde Küsnacht eine absolute Verjährungsfrist von 10 Jahren, die nicht unterbrochen werden kann und die mit der Grundeigentumsübertragung vom 28. Dezember 1967 begann. Ist der Steueranspruch
BGE 106 Ia 155 S. 157
vor Ablauf dieser absoluten Verjährungsfrist rechtskräftig festgestellt worden, so endet damit die Veranlagungsverjährung, und es begann die Bezugsverjährung. War dagegen die Steuerveranlagung im Zeitpunkt des Ablaufs der absoluten Verjährungsfrist noch nicht rechtskräftig abgeschlossen, so trat damit die Veranlagungsverjährung ein, und mit ihr ist die Steuerforderung untergegangen. Der Entscheid des Verwaltungsgerichts des Kantons Zürich vom 24. August 1977 erging vor Ablauf, das Urteil des Bundesgerichts vom 1. Februar 1978 nach Ablauf dieser absoluten Verjährungsfrist. Der Eintritt der Verjährung hängt somit davon ab, ob das Veranlagungsverfahren durch den erstgenannten oder erst durch den zweitgenannten Entscheid abgeschlossen wurde.
3.
Die staatsrechtliche Beschwerde ans Bundesgericht gemäss
Art. 84 ff. OG
hat von Gesetzes wegen keine aufschiebende Wirkung; der Präsident der für die Beurteilung zuständigen Abteilung kann jedoch gemäss
Art. 94 OG
auf Ansuchen einer Partei diejenigen vorsorglichen Verfügungen treffen, die erforderlich sind, um den bestehenden Zustand zu erhalten oder bedrohte rechtliche Interessen einstweilen sicherzustellen. In der Mehrzahl der Fälle bestehen solche vorsorglichen Verfügungen darin, dass der Präsident der Beschwerde aufschiebende Wirkung verleiht. Es stellt sich nun die Frage, ob eine derartige Verfügung lediglich die Vollstreckung des angefochtenen Urteils vorläufig verhindert oder aber bewirkt, dass dieses in seinem ganzen Umfange erst mit dem Entscheid über die Beschwerde in Rechtskraft erwächst. Die Beklagte steht unter Berufung auf GULDENER (Schweizerisches Zivilprozessrecht, 2. Aufl., S. 328 und 499) auf dem Standpunkt, eine Verfügung, die einem Rechtsmittel aufschiebende Wirkung zuerkenne, müsse in jedem Fall nicht nur die Vollziehbarkeit, sondern den Eintritt der Rechtskraft des angefochtenen Entscheides schlechthin aufschieben. Indessen ist diese Schlussfolgerung keineswegs zwingend. So weist GULDENER bereits in der von der Beklagten zitierten 2. Auflage seines Werkes darauf hin, dass nach verschiedenen Prozessgesetzen nicht die Rechtskraft, sondern lediglich die Vollstreckbarkeit aufgeschoben werde (a.a.O., S. 328 N. 109). In der neuesten 3. Auflage (S. 392 N. 126), wirft er die Frage auf, ob in einem solchen Fall der nachträgliche Wegfall der aufschiebenden Wirkung (z.B. infolge Abweisung des Rechtsmittels) den rückwirkenden Eintritt
BGE 106 Ia 155 S. 158
der Rechtskraft bewirke, und auch seine Ausführungen an einer anderen Stelle (a.a.O., S. 486 N. 39) lassen erkennen, dass auch er davon ausgeht, ein Entscheid, der mit einem ausserordentlichen Rechtsmittel angefochten wird, könne mit Bezug auf seine Vollziehbarkeit einerseits und den Eintritt seiner Rechtskraft anderseits durchaus verschieden behandelt werden.
Daraus folgt, dass einer Verfügung, die einem Rechtsmittel aufschiebende Wirkung zuerkennt, nicht zum vornherein zu entnehmen ist, ob sie lediglich die Vollziehbarkeit oder aber den Eintritt der Rechtskraft hemmt, jedenfalls dann nicht, wenn sie darüber nicht ausdrücklich etwas aussagt, wie das im vorliegenden Falle zutraf. Es ist auch nicht etwa so, dass ein Aufschub der Rechtskraft automatisch sich auch auf die Vollziehbarkeit beziehen würde, gibt es doch Fälle, wo ein Rechtsmittel zwar den Eintritt der Rechtskraft hindert, trotzdem aber die vorläufige oder teilweise Vollstreckung des angefochtenen Urteils angeordnet werden kann (GULDENER, a.a.O., S. 390 N. 112 lit. b, S. 486 N. 39 und S. 617; vgl. auch
BGE 104 II 143
E. 3).
4.
Dass die Frage, welche Auswirkungen einer Verfügung betreffend aufschiebende Wirkung zukommen, nicht einheitlich beantwortet werden kann, zeigt auch sofort ein Blick auf verschiedene Beispiele. So weist GYGI (Aufschiebende Wirkung und vorsorgliche Massnahmen in der Verwaltungsrechtspflege, ZBl 77/1976, S. 1 ff.) mit Recht darauf hin, dass im Falle der Verwaltungsgerichtsbeschwerde über die Prämientarife der Motorfahrzeughaftpflicht-Versicherung (
BGE 99 Ib 51
ff.) die der Beschwerde zuteil gewordene aufschiebende Wirkung nicht zur Folge haben konnte, dass die Versicherungsgesellschaften die erhöhten Prämien erst für die Zeit nach dem bundesgerichtlichen Urteil hätten einfordern können. Insoweit hemmte also das Verwaltungsbeschwerdeverfahren vor dem Bundesgericht den Eintritt der Rechtskraft der angefochtenen Verfügung nicht, wohl aber wurde die Vollstreckbarkeit in dem Sinne aufgeschoben, als die Versicherungsgesellschaften in der Zwischenzeit die erhöhten Tarife nicht einziehen konnten (GYGI, a.a.O., S. 11). Auf der andern Seite muss selbstverständlich die aufschiebende Wirkung, die der Beschwerde gegen einen Führerausweisentzug zukommt, insoweit auch die Rechtskraft des angefochtenen Entscheides hemmen, als sich der Motorfahrzeugführer,
BGE 106 Ia 155 S. 159
der in der Zwischenzeit ein Fahrzeug führt, nicht strafbar macht, wenn nachträglich seine Beschwerde abgewiesen wird (auch dieses Beispiel bei GYGI, a.a.O., S. 11). Wieder anders lag der Sachverhalt, der in
BGE 99 Ib 215
ff. zu beurteilen war. In jenem Falle führten einige Erdölgesellschaften Beschwerde gegen eine Verfügung des Preisüberwachers, mit welcher ihnen eine Preiserhöhung untersagt worden war. Ihrer Beschwerde wurde die aufschiebende Wirkung entzogen. Damit aber hätten sie selbstverständlich, wenn ihre Beschwerde schliesslich zum Erfolg geführt hätte, nicht von den inzwischen belieferten Kunden die Preisdifferenz nachfordern können. Schliesslich kann in diesem Zusammenhang auch noch auf die Entwicklung hingewiesen werden, die die Rechtsprechung zur Frage, welcher Zeitpunkt im Falle des Weiterzuges eines Konkurserkenntnisses für die Konkurseröffnung massgebend sei, durchgemacht hat (vgl. dazu
BGE 85 III 157
ff.).
5.
Aus diesen Beispielen ergibt sich deutlich, dass von einer einheitlichen, für alle Fälle gültigen Lösung nicht die Rede sein kann. Es muss vielmehr in jedem einzelnen Falle untersucht werden, welche Tragweite vernünftigerweise einer Verfügung betreffend aufschiebende Wirkung zuzumessen ist. Wohl kann der verfügende Richter diese Tragweite bereits in seiner Verfügung selbst festhalten. Vielfach aber wird das im betreffenden Stadium des Verfahrens,wo aufgrund bloss summarischer Kenntnisse entschieden werden muss, noch gar nicht möglich sein. In solchen Fällen muss die Tragweite einer derartigen Verfügung danach beurteilt werden, welchen Zwecken sie vernünftiger- und legitimerweise dienen soll. Im vorliegenden Falle konnte es sich einzig darum handeln, zu verhindern, dass die Gemeinde Küsnacht die Steuer einziehe, bevor das Bundesgericht über die staatsrechtliche Beschwerde entschieden hatte. In diesem Sinne hatte sich denn die Gemeinde Küsnacht mit der Zuerkennung der aufschiebenden Wirkung auch einverstanden erklärt. Dagegen besteht nicht die geringste Veranlassung, der in Frage stehenden Präsidialverfügung auch die Wirkung zuzuerkennen, dass die Rechtskraft des angefochtenen Entscheides des Verwaltungsgerichtes Zürich schlechthin in dem Sinne aufgeschoben worden wäre, dass das ganze Veranlagungsverfahren weiterhin in der Schwebe geblieben wäre. Daran hatte die damalige Beschwerdeführerin keinerlei schützenswertes Interesse. Sie konnte deshalb die Verfügung
BGE 106 Ia 155 S. 160
vernünftigerweise auch nicht in diesem Sinne auffassen. Es ist vielmehr, nachdem die staatsrechtliche Beschwerde abgewiesen worden und damit die aufschiebende Wirkung dahingefallen ist, so zu halten, wie wenn kein Suspensiveffekt ausgelöst worden wäre. Andernfalls hätte die Beschwerdeführerin mit ihrer staatsrechtlichen Beschwerde, obwohl diese unbegründet war, einen völlig ungerechtfertigten materiellrechtlichen Vorteil zum Schaden der obsiegenden Partei erzielt. Das widerspräche dem Grundsatz, wonach das Prozessrecht der Verwirklichung des materiellen Rechtes und nicht dessen Verhinderung zu dienen hat (vgl. auch dazu GYGI, a.a.O., S. 11/12).
In diesem Sinne hat das Bundesgericht übrigens bereits in dem ganz ähnlich gelagerten
BGE 101 Ia 109
E. 3 entschieden. Dort ging es um die Frage, ob die einer staatsrechtlichen Beschwerde zuerkannte aufschiebende Wirkung zur Folge haben könne, dass mit Bezug auf einen Straftatbestand des kantonalen Strafrechtes nach dem Entscheid der letzten kantonalen Instanz während des Verfahrens der staatsrechtlichen Beschwerde vor dem Bundesgericht die absolute Verjährung eintreten könne. Das Bundesgericht hat das mit der Begründung verneint, die aufschiebende Wirkung könne lediglich "suspendre l'application d'une décision cantonale exécutoire et définitive; elle ne modifie pas le caractère même de cette décision" (Vgl. auch
BGE 92 IV 173
,
BGE 73 IV 13
ff. zum Einfluss einer strafrechtlichen Nichtigkeitsbeschwerde an den Kassationshof des Bundesgerichts auf den Lauf von Verfolgungs- und Vollstreckungsverjährung). Gleiches muss folgerichtig auch im vorliegenden Fall gelten. Die einer staatsrechtlichen Beschwerde zuerkannte aufschiebende Wirkung kann daher die Rechtskraft des angefochtenen Entscheides nur dann hemmen, wenn das entweder in der Verfügung ausdrücklich gesagt wird oder aber wenn es sich im konkreten Fall als zur Sicherstellung gefährdeter Interessen notwendig erweist. Keines von beidem trifft im vorliegenden Falle zu, so dass die Berufung als offensichtlich unbegründet abzuweisen ist. | public_law | nan | de | 1,980 | CH_BGE | CH_BGE_002 | CH | Federation |
d22baeeb-4454-4cc4-b215-21203e2b8a33 | Urteilskopf
137 II 371
32. Extrait de l'arrêt de la IIe Cour de droit public dans la cause A. SA, Fondation B. et C. contre Instance pour la publicité des participations de la SIX Swiss Exchange S.A. (recours en matière de droit public)
2C_719/2010 du 27 mai 2011 | Regeste
Art. 20 BEHG
und Art. 46a aBEHV-EBK; Pflicht zur Offenlegung von Beteiligungen und Ausnahmen hievon; Übergangsrecht.
Anwendbares Recht: Ob die Beschwerdeführer ihre Beteiligungen an der E. AG im Jahr 2008 melden mussten, beurteilt sich im Lichte von Art. 46a aBEHV-EBK (E. 4).
Art. 20 Abs. 5 BEHG
stellt eine genügende formell-gesetzliche Grundlage dar, gestützt auf welche die Aufsichtsbehörde eine Übergangsbestimmung betreffend die Meldepflicht in Art. 46a aBEHV-EBK erlassen konnte (E. 5).
Die den Beschwerdeführern auferlegte Meldepflicht stellt keinen schweren Eingriff in ihre Privatsphäre dar; es handelt sich dabei um eine übergangsrechtliche Massnahme, welche im öffentlichen Interesse liegt und verhältnismässig ist (E. 6). | Sachverhalt
ab Seite 372
BGE 137 II 371 S. 372
A.
A. SA est une société anonyme dont le siège se trouve à Bâle et dont l'entier du capital-actions est détenu par la Fondation B. à Vaduz (ci-après: la Fondation).
Le 20 février 2008, A. SA a déclaré à l'Instance pour la publicité des participations de SWX Swiss Exchange SA - actuellement SIX Swiss Exchange SA - (ci-après: l'IPP) qu'elle détenait des actions de E. SA, société dont les titres de participation sont cotés à la SIX Swiss Exchange SA. Elle a précisé posséder 89'135'960 actions de E. SA, ce qui correspondait à 3,2663 % de son capital-actions. (...)
Le 31 mars 2008, A. SA a requis de l'IPP une exemption de l'obligation de déclarer sa participation dans E. SA, subsidiairement un allégement de cette obligation.
Par une recommandation du 13 juin 2008 adressée à A. SA et à la Fondation, l'IPP a constaté qu'il existait, à la suite de la révision législative entrée en vigueur le 1
er
décembre 2007, une obligation de déclarer la participation dans E. SA détenue par la Fondation via la société A. SA et de désigner les membres de la famille B.-C., qui étaient de facto en mesure de décider les changements de statuts de la Fondation, en tant qu'ayants droit économiques des participations de A. SA dans E. SA. L'IPP a refusé tout motif d'exemption ou d'allégement de cette obligation.
A la suite du rejet de cette recommandation par ses destinataires, la Chambre des offres publiques d'acquisition de la Commission fédérale des banques (ci-après: la CFB) a ouvert une procédure administrative en juillet 2008.
B.
Par décision du 1
er
octobre 2008, la CFB a confirmé la recommandation de l'IPP, en rejetant l'opposition formée à son encontre par A. SA et la Fondation.
A l'encontre de cette décision, A. SA, la Fondation ainsi que C., membre du Conseil de famille de la Fondation, ont recouru auprès du Tribunal administratif fédéral qui, par arrêt du 20 juillet 2010, a rejeté leur recours. (...)
BGE 137 II 371 S. 373
C.
Contre l'arrêt précité du 20 juillet 2010, A. SA, la Fondation et C. forment un recours en matière de droit public au Tribunal fédéral. Ils concluent, sous suite de frais et dépens, à l'admission du recours, à l'annulation de l'arrêt attaqué et au renvoi de la cause au Tribunal administratif fédéral pour nouvelle décision dans le sens des considérants. (...)
Le Tribunal fédéral a rejeté le recours.
(extrait)
Erwägungen
Extrait des considérants:
4.
L'obligation de déclarer litigieuse est fondée sur l'art. 46a de l'ancienne ordonnance de la CFB du 25 juin 1997 sur les bourses, dans sa version du 1
er
novembre 2007 (RO 2007 5762; ci-après: aOBVM- CFB), selon lequel "les obligations de déclarer modifiées doivent être effectuées d'ici au 29 février 2008". Comme cette disposition a été abrogée, le 1
er
janvier 2009, par l'ordonnance du 25 octobre 2008 de l'Autorité de surveillance des marchés financiers (FINMA) sur les bourses et le commerce des valeurs mobilières (ordonnance de la FINMA sur les bourses, OBVM-FINMA; RS 954.193; cf.
art. 47 OBVM-FINMA
), le premier point à trancher est celui du droit applicable.
4.1
A titre transitoire, l'
art. 48 OBVM-FINMA
prévoit que "les déclarations effectuées en vertu de l'ancien droit restent valables" et que "les faits survenus après l'entrée en vigueur de la présente ordonnance peuvent être déclarés conformément à l'ancien droit [...] jusqu'au 30 juin 2009, à condition de contenir une mention correspondante". Cette disposition, si elle ne règle pas expressément la question du maintien de l'obligation de déclarer prévue à l'art. 46a aOBVM-CFB sous le nouveau droit, n'exclut en tous les cas pas qu'une déclaration faite avant 2009 soit examinée en application de l'aOBVM-CFB. Tel est précisément le cas en l'espèce, puisqu'initialement, A. SA a elle-même déclaré, le 20 février 2008, à l'IPP sa participation dans E. SA, avant de l'assortir, le 31 mars 2008, d'une requête d'exemption.
4.2
L'examen à l'aune de l'art. 46a aOBVM-CFB se confirme si l'on se fonde sur les règles générales régissant la détermination du droit applicable, qui s'appliquent en l'absence de dispositions transitoires particulières (cf.
ATF 131 V 425
consid. 5.1 p. 429). Selon celles-ci, l'interdiction de la rétroactivité (proprement dite) fait obstacle à
BGE 137 II 371 S. 374
l'application d'une norme à des faits entièrement révolus avant son entrée en vigueur. En revanche, pour les faits ayant pris naissance sous l'empire de l'ancien droit, mais qui déploient encore des effets sous le nouveau droit, il est admissible d'appliquer ce dernier (rétroactivité improprement dite), sous réserve des droits acquis (
ATF 122 II 113
consid. 3b/dd p. 124; arrêt 2C_236/2010 du 14 octobre 2010 consid. 1.1, in RDAF 2011 II p. 84).
4.2.1
En l'espèce, il est vrai que les recourants détiennent depuis 1964 des participations dans E. SA, de sorte que, sous cet angle, on est en présence d'un état de fait durable. Le régime juridique a toutefois changé à la suite de la modification de l'art. 20 de la loi fédérale du 24 mars 1995 sur les bourses et le commerce des valeurs mobilières (loi sur les bourses, LBVM; RS 954.1), entrée en vigueur le 1
er
décembre 2007 (RO 2007 5291), qui a abaissé la limite de participation soumise à l'obligation d'annonce de 5 % à 3 %. L'art. 46a aOBVM-CFB a été conçu comme une disposition transitoire permettant de mettre en place ce changement, en fixant un délai échéant le 29 février 2008 pour procéder aux obligations d'annonce modifiées. Dès lors que la participation des recourants dans E. SA était, le 1
er
décembre 2007, supérieure à la nouvelle limite de 3 % fixée à l'
art. 20 LBVM
, ceux-ci tombaient a priori sous le coup de l'art. 46a aOBVM-CFB.
4.2.2
Contrairement à ce que soutiennent les recourants, le fait que le nouveau droit a abrogé, à partir du 1
er
janvier 2009, l'aOBVM-CFB et en particulier son article 46a ne justifie pas de ne pas tenir compte de cette disposition.
Par définition, une disposition transitoire vise à régler une situation limitée dans le temps. En l'occurrence, passé le délai d'annonce fixé au 29 février 2008, l'art. 46a aOBVM-CFB, même s'il n'avait pas été abrogé, aurait perdu toute portée pratique (cf. par analogie au sujet de l'
art. 51 LBVM
, HOFSTETTER/SCHILTER-HEUBERGER, in Commentaire bâlois, Börsengesetz - Finanzmarktaufsichtsgesetz, 2
e
éd. 2011, seul n° ad
art. 51 LBVM
p. 1331). Partant, le fait que l'OBVM-FINMA, entrée en vigueur le 1
er
janvier 2009, n'a pas repris l'art. 46a aOBVM- CFB ne signifie pas que le nouveau droit a supprimé les effets des mesures transitoires mises en place pour accompagner la modification de la LBVM entrée en vigueur le 1
er
décembre 2007. Il n'a seulement pas repris un texte qui, à partir de 2009, n'avait plus de raison d'être. Toutefois, s'agissant de la question limitée dans le temps
BGE 137 II 371 S. 375
qui consiste à savoir si, en 2008, les recourants étaient ou non tenus de déclarer leur participation dans le délai imparti à la suite de la modification législative en vigueur depuis décembre 2007, elle doit être tranchée au regard de la disposition transitoire alors en vigueur, soit de l'art. 46a aOBVM-CFB (cf., en ce sens, ROLF H. WEBER, in Commentaire bâlois, Börsengesetz - Finanzmarktaufsichtsgesetz, 2
e
éd. 2011, n° 228 ad
art. 20 LBVM
).
5.
Pour que l'art. 46a aOBVM-CFB soit opposable aux recourants, il faut qu'il constitue une base légale suffisante permettant de soumettre à l'obligation d'annonce les détenteurs passifs de participations supérieures à 3 % mais inférieures à 5 % des droits de vote.
5.1
Selon l'
art. 20 al. 1 LBVM
dans sa version en vigueur dès le 1
er
décembre 2007 (RO 2007 5291), "quiconque directement, indirectement ou de concert avec des tiers, acquiert ou aliène pour son propre compte des titres ou des droits concernant l'acquisition ou l'aliénation de titres d'une société ayant son siège en Suisse et dont au moins une partie des titres sont cotés en Suisse, et dont la participation, à la suite de cette opération, atteint, dépasse ou descend en-dessous des seuils de 3, 5, 10, 15, 20, 25, 33 1/3, 50 ou 66 2/3 % des droits de vote, qu'il soit habilité à en faire usage ou non, doit le déclarer à la société et aux bourses où les titres sont cotés". Dans la version originale de la LBVM, cette obligation existait déjà, mais le seuil minimal impliquant une déclaration était de 5 % et non de 3 % (RO 1997 73 s.). En outre, l'
art. 20 al. 5 1
re
phrase LBVM établit, dans sa version initiale, que "l'autorité de surveillance édicte des dispositions relatives à l'étendue de l'obligation de déclarer, au traitement des droits d'acquisition et d'aliénation, au calcul des droits de vote, au délai de déclaration et au délai imparti aux sociétés pour publier les modifications de l'actionnariat au sens du 1
er
alinéa". Cette phrase n'a subi depuis lors que des modifications purement rédactionnelles, notamment pour remplacer "l'autorité de surveillance" par "la FINMA".
L'
art. 20 LBVM
ne parle que d'acquisition ou d'aliénation, mais pas de détention passive de participations. En revanche, une obligation d'annonce liée à la détention passive figure expressément à l'
art. 51 LBVM
qui prévoit que "quiconque, à l'entrée en vigueur de la présente loi, détient une participation d'au moins 5 % des droits de vote d'une société anonyme ayant son siège en Suisse et dont les titres sont cotés en bourse doit l'annoncer, dans un délai de trois ans, à la
BGE 137 II 371 S. 376
société et aux bourses où les titres sont traités". Cette disposition a été introduite, à titre de disposition transitoire, afin de concrétiser l'
art. 20 LBVM
dans sa version initiale de 1995 (s'agissant de l'objectif poursuivi par l'
art. 51 LBVM
, cf. infra, consid. 5.2). Toutefois, lors de l'abaissement de la limite de participation de 5 % à 3 % établie à l'
art. 20 LBVM
dans sa version en vigueur depuis le 1
er
décembre 2007, le législateur n'a prévu aucune disposition transitoire semblable à l'
art. 51 LBVM
. On peut se demander s'il s'agit d'un oubli. Pour répondre à cette question, il y a lieu de rappeler dans quelles circonstances cette modification a vu le jour.
5.2
En 2007, lorsqu'il a abaissé le seuil à partir duquel il existait une obligation d'annonce, le législateur avait pour objectif d'accroître la transparence de la place financière suisse (BO 2007 CN 99 ss; IFFLAND/GILLIARD, Les nouvelles règles en matière de publicité des participations importantes, Gesellschafts- und Kapitalmarktrecht [GesKR], 2007 p. 369), afin de permettre d'améliorer la qualité et la sécurité sur le marché financier suisse (BO 2007 CN 100 s.). La Commission chargée du projet s'est déclarée convaincue que c'était une condition fondamentale que le public ait au moins connaissance des actionnaires principaux. On a fixé la nouvelle limite en tenant compte des législations des pays voisins prévoyant aussi un seuil minimal à 3 % (BO 2007 CN 99, 100 et 103).
A plusieurs reprises, les parlementaires ont insisté sur le caractère urgent de cette modification et sur la nécessité de la mettre en vigueur rapidement. Celle-ci a du reste été élaborée en l'absence de message et de procédure de consultation (WEBER, op. cit., n° 44 ad
art. 20 LBVM
). Initialement, le Conseil national avait même prévu d'introduire les nouvelles dispositions sous forme de loi urgente (BO 2007 CN 100), ce que le Conseil des Etats a refusé, tout en acceptant qu'il appartienne aux Chambres, et non au Conseil fédéral, de fixer elles-mêmes la date d'entrée en vigueur (BO 2007 CE 419).
Les débats aux Chambres se sont focalisés sur les
art. 20 et 31 LBVM
et ils ne contiennent aucune précision sur d'éventuelles mesures transitoires. Ainsi, aucun indice ne permet de déduire que le législateur aurait eu l'intention de soumettre la nouvelle limite de 3 % à une réglementation transitoire différente de celle mise en place lors de l'introduction de l'obligation d'annonce initiale de 5 %. On peut d'ailleurs raisonnablement considérer que, si le législateur avait voulu s'écarter du système prévu à l'
art. 51 LBVM
, il aurait au moins évoqué cette problématique lors des débats parlementaires.
BGE 137 II 371 S. 377
Quoi qu'en disent les recourants, il n'est pas sans intérêt, s'agissant de statuer sur l'existence de mesures transitoires découlant de la modification de la LBVM en vigueur depuis le 1
er
décembre 2007, de se demander quel était l'objectif du législateur, lorsqu'il a prévu l'
art. 51 LBVM
en 1995. L'idée était alors de garantir la transparence de l'actionnariat en assujettissant à l'obligation de déclaration toutes les personnes détenant une participation qualifiée au moment de l'entrée en vigueur de la loi. Sans une telle disposition, la signification et l'importance de déclarer au sens de l'
art. 20 LBVM
auraient été fortement compromises (cf. Message du 24 février 1993 concernant la loi sur les bourses, FF 1993 I 1331 ch. 2.10.8), car les détenteurs de participations dépassant 5 % et ne modifiant pas leurs parts n'auraient jamais été soumis à une obligation d'annonce (SUSANNE METTIER, Offenlegung von Beteiligungen im Börsengesetz, 1999, p. 197 s.). Or, pour que les acteurs du marché puissent mesurer l'impact des futures modifications dans les participations, il est indispensable d'avoir une vue de la composition des participations à un certain moment (ROBERT BERNET, Die Regelung öffentlicher Kaufangebote im neuen Börsengesetz [BEHG], 1998, p. 99).
Puisque, lors de la révision de 2007, le législateur visait clairement à renforcer les obligations d'annonce et à accroître la transparence, on voit mal qu'il ait délibérément renoncé à une mesure transitoire semblable à celle qu'il avait prévue en 1995 à l'
art. 51 LBVM
, mettant ainsi en péril l'efficacité de l'abaissement de la limite de 5 % à 3 % pour déclarer les participations. Force est donc d'admettre que l'absence d'une telle mesure dans la LBVM résulte d'un oubli (cf. PETER V. KUNZ, Die Stimmrechtssuspendierungsklage im revidierten Börsengesetz, RSDA 2008 p. 284 note 43; BERNET/TEXTOR, Sind unveränderte Bestände plötzlich meldepflichtig-, NZZ du 4 décembre 2007 n° 282 p. 29), qui peut s'expliquer par la précipitation dans laquelle cette modification de 2007 a vu le jour.
5.3
L'interprétation des recourants, selon laquelle l'obligation de déclarer les participations passives n'a volontairement été prévue qu'à partir de 5 %, car cela correspondrait à la limite figurant dans le droit de l'Union européenne ne peut être suivie. S'il est vrai que la directive 2004/109/CE du Parlement européen et du Conseil du 15 décembre 2004 sur l'harmonisation des obligations de transparence concernant l'information sur les émetteurs dont les valeurs mobilières sont admises à la négociation sur un marché réglementé (JO L 390/38 du 31 décembre 2004) n'impose pas un seuil de 3 % mais
BGE 137 II 371 S. 378
de 5 % (cf. art. 9 de la directive précitée), il ne s'agit que d'une exigence minimale, les Etats étant libres de prévoir des dispositions plus strictes (WEBER, op. cit., n° 36 ad
art. 20 LBVM
). Un seuil à 3 % existe ainsi en Allemagne et en Grande-Bretagne (l'Italie prévoit même un seuil de 2 %) (cf. WEBER, op. cit., n° 58 ad
art. 20 LBVM
; CHRISTIAN RENN, Einsatz und Offenlegung von Derivaten bei Unternehmensübernahmen, 2010, p. 155 et 164) et c'est par référence à ces pays que la limite de 3 % a été adoptée en Suisse (BO 2007 CN 99; IFFLAND/GILLIARD, op. cit., p. 369).
Pour exclure toute obligation de déclarer une participation inférieure à 5 % des droits de vote, les recourants invoquent aussi une analogie avec le CO, en particulier avec l'
art. 663c al. 1 et 2 CO
, qui oblige les sociétés cotées en bourse à indiquer dans l'annexe au bilan, les actionnaires importants, soit les actionnaires et les groupes d'actionnaires liés par des conventions de vote, dont la participation dépasse 5 % de l'ensemble des voix. Il est vrai qu'à l'origine, la limite prévue à l'
art. 663c al. 2 CO
pour définir les actionnaires importants pouvait être rapprochée des exigences d'annonce prévues dans la LBVM (HENRI TORRIONE, in Commentaire romand, Code des obligations, vol. II, 2008, n° 3 ad
art. 663c CO
). La modification de l'
art. 20 LBVM
en 2007 et l'abaissement à 3 % des participations induisant une obligation d'annonce a eu toutefois pour résultat de supplanter en pratique l'
art. 663c al. 1 et 2 CO
(PETER BÖCKLI, Schweizer Aktienrecht, 4
e
éd. 2009, § 7 n. 57 p. 787 s. et § 8 n. 661 p. 1034) par la création d'une disposition spéciale de droit public. Désormais, les nouvelles limites fixées notamment à l'
art. 20 LBVM
ne trouvent plus leur pendant dans le droit commercial (WEBER, op. cit., n° 59 ad
art. 20 LBVM
). Partant, les recourants ne peuvent rien tirer d'un parallèle avec l'
art. 663c CO
.
5.4
Il convient dès lors d'examiner si, sur la base du seul
art. 20 al. 5 LBVM
, l'autorité de surveillance pouvait édicter l'art. 46a aOBVM- CFB, soit instituer une disposition transitoire prévoyant une obligation d'annonce pour les détenteurs passifs de participations comprises entre 3 % et 5 % des droits de vote, ce que contestent les recourants.
Selon l'
art. 20 al. 5 LBVM
dans sa version de 2007 (RO 2007 5291 s.), l'autorité de surveillance a la compétence d'édicter des dispositions relatives notamment "à l'étendue de l'obligation de déclarer". La jurisprudence a souligné que l'étendue des compétences
BGE 137 II 371 S. 379
réglementaires confiées par l'
art. 20 al. 5 LBVM
à l'autorité de surveillance (actuellement la FINMA) est large. Elle doit être déduite du véritable sens de l'
art. 20 LBVM
qui découle du but de la loi sur les bourses. Celui-ci consiste, pour ce qui concerne la présente espèce, à garantir transparence et égalité de traitement envers les investisseurs (
art. 1 LBVM
; cf.
ATF 136 II 304
consid. 7.4 p. 323).
Interprété littéralement, l'
art. 20 LBVM
limite les obligations de déclarer à l'acquisition ou à l'aliénation de titres. Toutefois, l'obligation de déclarer les participations importantes n'atteint son but que si elle met en lumière les rapports de force en présence (Message précité, FF 1993 I 1288 s. ch. 163; arrêt 2A.174/2001 du 4 décembre 2001 consid. 2b, in Bulletin CFB 43 2003 p. 75). Pour obtenir une vue complète de ces forces et garantir ainsi la transparence recherchée par le législateur, il est nécessaire que les détenteurs passifs de participations entrant dans la limite nouvellement fixée se déclarent dans un certain délai. C'est d'ailleurs ce même objectif qui était poursuivi à l'
art. 51 LBVM
, lors de la fixation de la limite originaire de 5 % à l'
art. 20 LBVM
(cf. supra, consid. 5.2).
Ainsi, l'
art. 20 al. 5 LBVM
apparaît comme une base légale formelle suffisante pour permettre à l'autorité de surveillance, la CFB en l'occurrence, d'édicter une disposition transitoire concernant l'obligation d'annonce dans l'aOBVM-CFB, à savoir l'art. 46a aOBVM-CFB (cf. en ce sens HANS CASPAR VON DER CRONE ET AL., Neuerungen im Offenlegungsrecht, RSDA 2008 p. 14 s.; contra KUNZ, op. cit., p. 296 s.; BERNET/TEXTOR, op. cit., p. 29, qui se limitent toutefois à une interprétation purement littérale de l'
art. 20 LBVM
, sans tenir compte de l'objectif visé). Au demeurant, le fait que l'
art. 20 al. 5 LBVM
mentionne l'obligation d'annonce avec les autres éléments de l'acquisition et de l'aliénation n'est pas déterminant, compte tenu de la marge de manoeuvre étendue que cette disposition laisse à l'autorité de surveillance. En outre, l'obligation d'annonce est limitée dans le temps et, même à l'origine, elle a été réglementée seulement dans les dispositions finales de la loi sur les bourses (cf.
art. 51 LBVM
), et non pas dans l'
art. 20 LBVM
. Cette obligation n'a ainsi pas été traitée sur le même plan que les autres éléments des transactions citées à l'
art. 20 al. 1 LBVM
et elle peut donc être considérée comme moins importante, dès lors qu'elle ne constitue pas une restriction grave à un droit fondamental (cf. infra, consid 6.2). Dans ces conditions, on peut admettre qu'elle soit prévue dans une simple ordonnance.
BGE 137 II 371 S. 380
5.5
Contrairement à ce que soutiennent les recourants, il ne s'agit pas d'asseoir une nouvelle obligation d'annonce qui ne serait pas prévue dans la loi, mais de concrétiser les exigences accrues de transparence voulues par le législateur lors de la révision de l'
art. 20 LBVM
entrée en vigueur le 1
er
décembre 2007 (VON DER CRONE ET AL., op. cit., p. 14 s.). Celles-ci, pour déployer leur efficacité, devaient être complétées par une disposition, limitée dans le temps, obligeant les détenteurs passifs de participations se situant entre 3 % et 5 % à se déclarer, à l'instar de ce qui avait été prévu à l'
art. 51 LBVM
. Sans vue d'ensemble du marché relative à cette nouvelle limite, les obligations de déclarer les acquisitions et les aliénations ultérieures prévues par le nouvel
art. 20 LBVM
auraient eu une signification très restreinte.
6.
Les recourants prétendent que c'est à tort que le Tribunal administratif fédéral n'a pas admis une violation de l'
art. 13 Cst.
De leur point de vue, l'obligation d'annonce qui leur est imposée porte atteinte à leur sphère privée et ne remplit aucune des conditions de l'
art. 36 Cst.
6.1
L'
art. 13 Cst.
protège la sphère privée dans une acception large, qui comprend la protection des données personnelles (PASCAL MAHON, in Petit commentaire de la Constitution fédérale de la Confédération suisse du 18 avril 1999, 2003, n° 2 ad
art. 13 Cst.
). Sont visés l'identité, les relations sociales et les comportements intimes de chaque personne physique, l'honneur et la réputation ainsi que, notamment, toutes les informations se rapportant à une personne qui ne sont pas accessibles au public (
ATF 124 I 34
consid. 3a p. 36), en particulier les informations relatives aux dossiers de procédures civiles, pénales ou administratives, qui porteraient atteinte à sa considération sociale (
ATF 135 I 198
consid. 3.1 p. 207). Statuant sur la publicité des audiences en matière fiscale, la Cour de céans a laissé ouverte la question de savoir si l'indication du revenu et de la fortune d'un contribuable en public constituait une atteinte à sa sphère privée garantie par l'
art. 13 Cst.
(
ATF 135 I 198
consid. 3.2 p. 207 s.;
ATF 124 I 176
consid. 5 p. 177 ss et consid. 4 non publié aux ATF, mais in EuGRZ 1999 p. 53).
Non seulement, les personnes physiques, mais encore les personnes morales bénéficient de la protection de la sphère privée, bien que ces dernières ne soient pas titulaires de tous les aspects protégés par l'
art. 13 Cst.
(cf. MAHON, op. cit., n° 4 ad
art. 13 Cst.
).
BGE 137 II 371 S. 381
En l'espèce, l'obligation de déclaration imposée aux recourants, en tant que détenteurs directs ou ayants droit économiques de plus de 3 % des titres de E. SA, implique de rendre publique leur identité complète, à savoir leur nom, prénom et domicile ainsi que leurs participations dans cette société (cf. art. 17 ss aOBVM-CFB). On peut se demander, s'agissant de A. SA et de la Fondation, dont le nom, l'adresse et la qualité d'actionnaires de E. SA ont déjà été rendus publics (cf. notamment le site internet de la Fondation B.), s'il y a véritablement une atteinte à l'
art. 13 Cst.
La question peut demeurer indécise, dès lors que, dans la mesure où C. se voit lui aussi tenu d'indiquer publiquement son domicile et ses participations indirectes dans E. SA, il convient d'admettre une atteinte à la sphère privée.
6.2
Il découle de l'
art. 36 Cst.
que toute restriction d'un droit fondamental doit être fondée sur une base légale (les restrictions graves devant être prévues par une loi au sens formel), être justifiée par un intérêt public et être proportionnée au but visé. La gravité de l'atteinte doit être appréciée objectivement et non pas en fonction de l'impression subjective du destinataire (
ATF 119 Ia 178
consid. 6a p. 187; arrêt 2C_1/2009 du 11 septembre 2009 consid. 4.3).
Contrairement à la perception des recourants, la publication litigieuse ne constitue pas une atteinte grave à leur sphère privée. En effet, hormis l'identité complète (nom, prénom et adresse) des recourants, en particulier de C., l'information financière divulguée concerne le pourcentage de leurs participations dans E. SA. Or, selon la jurisprudence (
ATF 107 Ia 52
consid. 3 p. 55 ss; arrêt 2P.259/1997 du 15 mai 1998 consid. 4e, non publié in
ATF 124 I 176
, mais in EuGRZ 1999 p. 53), la divulgation de données financières ne porte une atteinte inadmissible à la liberté individuelle que si elle est propre à affecter la considération sociale et économique de l'individu, sa dignité ou son honneur, ce qui n'est pas le cas en l'occurrence. L'atteinte à la sphère privée causée par l'obligation d'annonce ne saurait ainsi être qualifiée de grave, de sorte qu'il n'est pas nécessaire que son fondement se trouve exclusivement dans une loi au sens formel. Par conséquent, l'obligation litigieuse qui découle des art. 17 ss et 46a aOBVM-CFB, concrétisant l'objectif poursuivi par l'
art. 20 LBVM
, repose sur une base légale suffisante.
L'obligation d'annoncer en vue de la publication, dans un certain délai, les noms des détenteurs passifs de participations à partir de 3 % est une mesure transitoire d'intérêt public. Elle tend à permettre aux
BGE 137 II 371 S. 382
acteurs du marché d'avoir une vue d'ensemble de celui-ci, afin qu'il soit possible de mesurer l'impact des futures modifications dans les participations. Partant, la seconde exigence de l'
art. 36 Cst.
est réalisée. On ne voit du reste pas pour quels motifs déclarer des participations détenues passivement à partir de 5 % revêtirait un caractère d'intérêt public qui serait absent à partir de 3 %, comme le soutiennent les recourants, alors que, précisément, le législateur a décidé en 2007 d'abaisser cette limite pour accroître la transparence. Du reste, ce n'est pas en raison de l'influence des détenteurs passifs de participations sur les prises de décisions des sociétés que ceux-ci sont tenus à une obligation d'annonce, mais pour garantir une vue d'ensemble du marché. Sans cette dernière, les obligations d'annoncer les acquisitions ou les aliénations à partir de 3 %, dont les recourants ne contestent pas l'intérêt public, verraient leur portée fortement réduite.
6.3
Reste à examiner la proportionnalité de la mesure. La publication des personnes détenant, de manière directe ou indirecte, une participation supérieure à 3 % dans une société cotée en bourse suisse est propre à atteindre l'objectif de publicité poursuivi par la loi. On voit mal quelle mesure moins incisive pourrait être prise pour assurer la transparence requise. Quant aux inconvénients soulevés par les recourants, soit les risques d'enlèvement, de chantage, de sollicitations diverses, de réflexes de jalousie empêchant de mener une vie normale, ils ne touchent que les personnes physiques. Ils ne découlent toutefois pas tant de l'obligation de déclarer ces participations, que des risques inhérents à la possession d'une grande fortune. N'étant qu'indirectement liés à la publication litigieuse, ces inconvénients ne sont pas propres à fonder une atteinte disproportionnée à la sphère privée de C.
Au demeurant, si les recourants considèrent l'obligation de déclarer leur participation comme insupportable et qu'ils souhaitent garder l'anonymat, le chiffre 2 du dispositif de l'arrêt attaqué leur offre la possibilité de réduire leur participation à un taux inférieur à 3 %, dans un délai approprié fixé par la FINMA. A ce propos, il n'y a pas lieu d'entrer en matière sur les critiques formulées par la FINMA au sujet de cette clause. En effet, dès lors que cette autorité n'a pas elle-même recouru auprès du Tribunal fédéral pour se plaindre du chiffre 2 du dispositif précité, elle ne peut demander dans ses déterminations que l'arrêt attaqué soit modifié à son avantage (
art. 107 al. 1 LTF
; BERNARD CORBOZ, Commentaire de la LTF, 2009, n° 8 ad
art. 107 LTF
).
BGE 137 II 371 S. 383
Par conséquent, on ne voit pas que l'obligation d'annonce, telle qu'envisagée dans l'arrêt attaqué porte une atteinte injustifiée à la sphère privée des recourants.
6.4
Les griefs portant sur la violation des
art. 13 et 36 Cst.
sont partant infondés. | public_law | nan | fr | 2,011 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
d22bc1cd-316d-47ac-b946-9f7763f9042e | Urteilskopf
115 II 213
37. Estratto della sentenza 25 maggio 1989 della II Corte civile nella causa X e Y contro Dipartimento di giustizia della Repubblica e Cantone del Ticino (ricorso di diritto amministrativo) | Regeste
Eintragung eines Resolutivbedingungen unterworfenen Wohnrechts in das Grundbuch (
Art. 776 ff. ZGB
,
Art. 12 GBV
).
1. Möglichkeit, erstmals mit einer Verwaltungsgerichtsbeschwerde Urkunden einzureichen, die schon dem Grundbuchverwalter hätten vorgelegt werden können (
Art. 105 OG
; E. 2).
2. Ein Wohnrecht kann mit Resolutivbedingungen verknüpft werden, handle es sich um die Trennung oder die Scheidung der Ehe der Vertragsparteien, um das Vorabsterben der das Recht einräumenden oder um die Wiederverheiratung der berechtigten Partei; wo das Eintreten der Bedingung für sich allein nicht ausreicht, das Recht zum Erlöschen zu bringen, und dazu noch ein bestimmtes Verfahren notwendig ist, muss der Dienstbarkeitsvertrag sämtliche Anweisungen betreffend das weitere Vorgehen enthalten (Wartefrist, Kündigung, Zahlung einer Entschädigung), und zwar unter Angabe der zu beachtenden Fristen, Modalitäten und Formen (E. 3, 4 und 5). | Sachverhalt
ab Seite 214
BGE 115 II 213 S. 214
A.-
Il signor X ha concesso alla signora Y, il 13 giugno 1988, un diritto di abitazione gratuito su un appartamento della propria villa. Il contratto sarebbe entrato in vigore con il matrimonio delle parti e si sarebbe estinto con la separazione, il divorzio o - in caso di premorienza del concedente - con le nuove nozze dell'usuaria. Inoltre, ove il concedente fosse deceduto in epoca anteriore al 1o gennaio 1993, 1998, 2003 o 2008, il diritto di abitazione sarebbe durato ancora due, rispettivamente tre, quattro o cinque anni dopo la morte. Scaduto questo periodo la servitù non si sarebbe estinta da sola, ma il nuovo proprietario del fondo avrebbe avuto facoltà di dare disdetta alla beneficiaria con un termine di dodici mesi per sgomberare l'appartamento; la cancellazione del diritto dal registro fondiario avrebbe richiesto, in tale ipotesi, il consenso scritto dell'usuaria e l'attestazione con cui la medesima dichiarava di aver ricevuto l'indennizzo pattuito di Fr. 500'000.-- adeguato all'indice nazionale dei prezzi al consumo il giorno della cancellazione.
BGE 115 II 213 S. 215
B.-
L'Ufficio dei registri del Distretto di Locarno ha rifiutato l'iscrizione della servitù. Statuendo l'11 agosto 1988 sull'istanza introdotta il 9 agosto dal notaio, ha rilevato che la validità del contratto soggiaceva al matrimonio delle parti e che in ogni modo le condizioni risolutive stabilite nel rogito non erano ammissibili. I contraenti e il notaio sono insorti il 15 settembre 1988 al Dipartimento di giustizia del Cantone Ticino, autorità di vigilanza sul registro fondiario, che il 29 novembre 1988 ha dichiarato irricevibile il gravame del notaio e respinto quello delle parti.
C.-
X et Y hanno presentato il 16 gennaio 1989 un ricorso di diritto amministrativo al Tribunale federale in cui chiedono che la decisione dell'autorità di vigilanza sia annullata e che all'ufficiale del registro fondiario sia fatto ordine di iscrivere il diritto di abitazione così com'è stato stipulato.
Erwägungen
Dai considerandi:
2.
Il concedente e l'usuaria del diritto di abitazione si sono sposati il 18 giugno 1988, cinque giorni dopo la firma dell'atto pubblico. Al momento in cui il notaio ha chiesto di iscrivere la servitù nel registro fondiario (9 agosto 1988) la condizione sospensiva prevista nel contratto si era dunque verificata. L'autorità di vigilanza ha giudicato il fatto ininfluente perché ignoto all'ufficiale del registro e perché non dimostrato. Il primo motivo non può essere condiviso: certo, l'ufficiale decide per principio sulla sola base dei documenti che gli sono prodotti (
DTF 112 II 29
in fine); ciò non toglie che davanti all'autorità di vigilanza sia lecito allegare elementi nuovi - quanto meno ove siano anteriori al rigetto dell'iscrizione - anche se avrebbero già potuto essere sottoposti all'ufficiale (DESCHENAUX, Das Grundbuch, in: Schweizerisches Privatrecht, vol. V, tomo 3/I, pag. 189 nota 31a e pag. 572 nota 34a). Il secondo motivo addotto dall'autorità è, di contro, pertinente e le parti nemmeno pretendono che il loro matrimonio non dovesse essere documentato; da questo profilo la decisione cantonale è ineccepibile. Se non che, al ricorso di diritto amministrativo le parti accludono il loro atto di matrimonio: la questione è di sapere se si possa tener conto del nuovo mezzo probatorio.
L'
art 105 OG
abilita il Tribunale federale a controllare d'ufficio gli accertamenti di fatto (cpv. 1), salvo che l'autorità inferiore sia un tribunale cantonale o una commissione di ricorso; in tale caso
BGE 115 II 213 S. 216
possono essere rettificate solo constatazioni manifestamente inesatte, incomplete o accertate violando norme essenziali di procedura (cpv. 2). La possibilità di invocare nuovi mezzi di prova in un ricorso di diritto amministrativo soggiace una volta ancora all'
art. 105 OG
: se, di regola, tale facoltà è data quand'anche le prove avrebbero già potuto essere offerte sul piano cantonale, nell'ipotesi dell'
art. 105 cpv. 2 OG
essa è limitata in larga misura (
DTF 113 Ib 331
consid. 2b,
DTF 109 Ib 248
consid. 3b e rinvii). Ora, contrariamente all'opinione di DESCHENAUX (op.cit., pag. 202 e 582), un'autorità di vigilanza sul registro fondiario non è sempre e per forza una commissione di ricorso nel senso dell'
art. 105 cpv. 2 OG
. Solo un organo cui può essere riconosciuta l'indipendenza di un tribunale gode di simile prerogativa: non, quindi, una commissione presieduta da un Consigliere di Stato (
DTF 103 Ib 372
) e neppure un Consiglio di Stato statuente come autorità di ricorso (
DTF 106 Ib 202
consid. 1b). Un singolo Dipartimento, a maggior ragione, non rientra nelle previsioni dell'
art. 105 cpv. 2 OG
. Poco importa che la tenuta del registro fondiario sia, nella prospettiva del diritto civile, un atto di giurisdizione non contenziosa: le regole enunciate in materia dal Codice civile rimangono di diritto pubblico (
DTF 97 I 270
consid. 1) e la procedura di ricorso al Tribunale federale ha carattere amministrativo. Non si giustifica pertanto un'interpretazione dell'
art. 105 cpv. 2 OG
in contrasto con la giurisprudenza.
Da quanto esposto discende che il nuovo mezzo di prova addotto dai ricorrenti può essere considerato ai fini del giudizio in virtù dell'
art. 105 cpv. 1 OG
. Se il diritto di abitazione fosse stato soggetto unicamente al matrimonio delle parti, il Tribunale federale potrebbe prendere atto in questa sede che la condizione sospensiva si è verificata e invitare senz'altro l'ufficiale del registro fondiario a iscrivere la servitù (
art. 114 cpv. 2 OG
). Nel contratto firmato dai ricorrenti, tuttavia, figurano anche condizioni risolutive. Sapere se le stesse siano compatibili con gli art. 776 segg. CC è un problema di diritto federale che dev'essere esaminato senza riguardo ai motivi su cui si fonda la decisione impugnata e alle censure sollevate dai ricorrenti (art. 114 cpv. 1 seconda frase OG).
3.
Il Tribunale federale ha già avuto modo di ribadire, nonostante l'avviso contrario di alcuni autori, che una servitù vincolata a condizioni sospensive o risolutive non può essere iscritta nel registro fondiario; condizioni del genere sarebbero
BGE 115 II 213 S. 217
inconciliabili con le esigenze di chiarezza e sicurezza, renderebbero più difficili le mansioni dell'ufficiale e complicherebbero oltre misura la tenuta del registro (
DTF 87 I 315
consid. 2). Un cambiamento di prassi è intervenuto nel 1980, quando è stata ammessa la possibilità di iscrivere nel registro fondiario un diritto di abitazione destinato a cessare con le nuove nozze dell'usuaria. Il Tribunale federale ha osservato allora che, in ogni caso, un diritto di abitazione si estingue con la morte del titolare (art. 776 cpv. 2 e 3 in relazione con l'
art. 749 cpv. 1 CC
), ossia in un momento che non può essere predeterminato; tale circostanza non potendosi accertare sulla base del registro fondiario, chi desidera sapere se la servitù sussista deve svolgere un'altra ricerca. La fattispecie non è sostanzialmente diversa se la condizione risolutiva è costituita dalle nuove nozze dell'usuaria: l'accertamento del nuovo matrimonio richiede bensì un'indagine complementare, la quale si esaurisce tuttavia - come per l'accertamento del decesso - in una domanda all'ufficio dello stato civile o, trattandosi di acquistare un diritto reale sul fondo, nel chiedere al dante causa un documento che dimostri le nuove nozze o il decesso dell'usuaria (
DTF 106 II 331
consid. 3c).
4.
Nel caso in rassegna non occorre decidere a titolo generale se l'esistenza di un diritto reale limitato, e segnatamente di una servitù, possa essere sottoposta a condizioni sospensive o risolutive. Il litigio riguarda soltanto il diritto di abitazione (
art. 776-778 CC
) che, come sottolinea con pertinenza l'Ufficio federale di giustizia, è stato disciplinato dal legislatore in maniera sommaria e lacunosa rispetto all'uso e all'applicazione che ne sono fatti attualmente.
a) Anzitutto è necessario correggere la tesi secondo cui sarebbe in contrasto con l'
art. 12 RRF
iscrivere nel registro fondiario una servitù condizionata (
DTF 85 II 615
consid. 4): è la richiesta all'ufficiale del registro che in ossequio a tale norma dev'essere senza condizioni e riserve, non il diritto da iscrivere (DESCHENAUX, op.cit., pag. 277; LIVER in: Zürcher Kommentar, 2a edizione, nota 69 ad
art. 730 CC
). L'inammissibilità di servitù condizionate deriva - come si è visto - dalle esigenze di chiarezza, sicurezza e compiutezza del registro fondiario; il suo scopo è quello di tutelare la funzione del registro, ossia il principio di pubblicità (
art. 970 CC
), e non solo di agevolare il compito dell'ufficiale. Ciò posto, è vero che il divieto di iscrivere servitù soggette a condizioni non discende dal concetto stesso di diritto reale limitato (REY in:
BGE 115 II 213 S. 218
Berner Kommentar, 2a edizione, nota 134 ad
art. 730 CC
; RIEMER, Die beschränkten dinglichen Rechte, Berna 1986, pag. 53 n. 20). Non lede, in particolare, l'istituto della servitù personale intrasferibile un diritto di abitazione che cessa con il divorzio, la separazione, le nuove nozze dell'usuaria o con la premorienza del concedente, anche se in quest'ultimo caso si riservano, oltre a una certa durata minima, l'obbligo di una disdetta e il versamento di un'indennità da parte del nuovo proprietario del fondo. Il desiderio di vincolare un diritto di abitazione a clausole risolutive che non siano solo la morte dell'usuario può perfino essere sorretto da interessi legittimi, così come il proposito di rendere opponibili a un terzo acquirente del fondo patti che senza iscrizione avrebbero semplice portata bilaterale e obbligatoria. Il problema è di sapere se le esigenze di chiarezza, sicurezza e compiutezza cui deve attenersi il registro fondiario permettano di iscrivere condizioni risolutive come quelle stipulate dai ricorrenti.
b) Che un diritto di abitazione destinato a estinguersi con le nuove nozze del titolare possa essere iscritto nel registro fondiario è, oggi, fuori dubbio (
DTF 106 II 331
consid. 3c). Il divorzio delle parti o la premorienza del concedente (che in concreto lascia sussistere il diritto per una durata minima predeterminata) sono condizioni risolutive accertabili alla stessa stregua di un nuovo matrimonio; del resto il decesso del titolare, che è una causa legale di estinzione, non può essere verificato nel registro fondiario e implica un'ulteriore indagine. Appare eccessivo, quindi, pretendere che il principio di pubblicità si estenda non soltanto a eventuali condizioni risolutive, ma anche al loro avverarsi, nel senso che il compimento di queste debba evincersi dal registro medesimo (al proposito: PIOTET, Les droits réels limités en général, in: Traité de droit privé suisse, vol. V/3, pag. 38 nota 26; SCHATZMANN, Eintragungsfähigkeit der dinglichen Rechte und Prüfungspflicht des Grundbuchverwalters, tesi, Berna 1939, pag. 88 seg.). Appare eccessivo altresì pretendere che l'evento in questione debba risultare da registri pubblici (di tale parere: ZOBL, Der zulässige Inhalt von Dienstbarkeiten, tesi, Zurigo 1976, pag. 65 supra): decisivo è ch'esso abbia a emergere da un documento univoco, non suscettibile di interpretazione o apprezzamento. L'eventuale separazione dei coniugi, seppure non figurerà in registri pubblici, risulterà da una sentenza del giudice e potrà essere accertata in modo indiscutibile. Quanto alla durata minima del diritto in caso di premorienza del concedente, essa è già fissata nell'atto di
BGE 115 II 213 S. 219
costituzione e non lascia spazio a incertezze: può, di conseguenza, essere iscritta nel registro fondiario.
c) Più delicato è chiarire se sia compatibile con il principio di pubblicità, e in specie con le esigenze di sicurezza, iscrivere nel registro fondiario le note modalità di disdetta (lettera raccomandata, termine di preavviso) e l'obbligo di versare un indennizzo (entità, adeguamento al rincaro), presupposti cumulativi la cui corretta osservanza può richiedere altre indagini. A questo riguardo bisogna considerare, intanto, che per espressa norma di legge un diritto di abitazione non è cedibile (
art. 776 cpv. 2 CC
): una clausola risolutiva non può ledere dunque gli interessi di un terzo cessionario. Non può neppure, come ben rileva l'Ufficio federale di giustizia, recar danno agli interessi di chi detiene diritti reali limitati posteriori al diritto di abitazione (ipoteche, servitù, oneri fondiari), né gli interessi di normali creditori sprovvisti di ipoteche: tutti costoro non possono che essere avvantaggiati dall'esistenza di una condizione suscettibile di por fine a un diritto reale e di diminuire l'aggravio del fondo. È semmai nell'interesse del proprietario dimostrare che la condizione risolutiva si è adempiuta e che il diritto di abitazione si è estinto: ad esempio se intende ottenere nuovi mutui da creditori in possesso di ipoteche accese dopo il diritto di abitazione.
Non diversa è la situazione del terzo acquirente del fondo. Anch'egli ha un interesse manifesto - come i titolari di diritti reali limitati e i normali creditori - a che il registro fondiario sia chiaro, completo e affidabile. Nondimeno, se un diritto di abitazione è vincolato a una o più clausole risolutive figuranti nel libro mastro o nei documenti giustificativi, egli non potrà sostenere di aver ignorato tale circostanza, ma sarà tenuto a svolgere le debite indagini e a informarsi se le condizioni si siano adempiute o in che modo possano adempiersi (LIVER, op.cit., nota 70 ad
art. 730 CC
). Ciò non comporta ricerche defatiganti: basta esaminare l'atto costitutivo del diritto di abitazione (che deve contenere, come nella fattispecie, tutti i ragguagli sulla via da seguire nel caso in cui si verifichi la condizione risolutiva) e invitare il proprietario del fondo a ostendere ogni documento utile a provare i passi già compiuti. Il terzo sa esattamente quali siano tali passi: le esigenze di chiarezza, sicurezza e compiutezza del registro fondiario sono rispettate. Anche una ponderazione degli opposti interessi non induce ad altro giudizio: la necessità di consultare l'atto costitutivo
BGE 115 II 213 S. 220
del diritto di abitazione e di chiedere al proprietario del fondo i documenti che dimostrino il verificarsi di condizioni risolutive o gli atti compiuti dopo il verificarsi di queste non implicano ricerche di durata esorbitante o di esito incerto, ma possono ragionevolmente essere pretese da ogni interessato.
d) Rimane da domandarsi se la richiesta di iscrivere (o di cancellare) un diritto di abitazione legato a condizioni risolutive sia conciliabile con il potere d'esame che spetta all'ufficiale del registro (
DTF 107 II 213
consid. 1) e non complichi oltre misura la tenuta del registro stesso. Nessuno dei due quesiti, in realtà, ha portata pratica. L'ufficiale non deve né valutare l'opportunità delle condizioni risolutive e delle eventuali procedure di adempimento, né decidere - in presenza di una richiesta di cancellazione firmata dall'usuario (
art. 964 cpv. 1 CC
) - se il diritto si sia davvero estinto. Tutt'al più ci si potrebbe interrogare se il proprietario del fondo sia abilitato egli pure a chiedere la cancellazione (
art. 976 CC
) - come in caso di morte dell'usuario (
DTF 95 II 611
infra) - documentando all'ufficiale l'adempimento di una condizione nei modi e nelle forme previste dall'atto costitutivo. Il problema esula però dal caso in esame, ove la richiesta di cancellazione potrà aver luogo, nell'unica ipotesi che implica una procedura di adempimento, "solo su espresso consenso scritto della beneficiaria": quest'ultimo costituendo in ogni modo una procura, non sussistono più dubbi sulla legittimazione ad agire del concedente (DESCHENAUX, op.cit., pag. 300 nota 21); dovesse la beneficiaria rifiutarsi di rilasciare il proprio consenso, sarà il giudice a decidere, non l'ufficiale del registro (LIVER, op.cit., nota 26 ad
art. 734 CC
).
5.
Giovi aggiungere che tanto il diritto tedesco quanto il diritto austriaco, i cui registri immobiliari più si avvicinano nel sistema di pubblicità al diritto svizzero, permettono l'iscrizione di servitù soggette a condizioni risolutive (LIVER, op.cit., nota 67 ad
art. 730 CC
; per il diritto tedesco: STAUDINGER/RING, Kommentar zum Bürgerlichen Gesetzbuch, 12a edizione, nota 34 al § 1018; FALCKENBERG in: Münchner Kommentar, Monaco 1981, nota 7 al § 1018 BGB; ROTHE in: Das Bürgerliche Gesetzbuch, Kommentar, 12a edizione, nota 21 al § 1018; SOERGEL/BAUR, Bürgerliches Gesetzbuch, 11a edizione, nota 45 al § 1018; per il diritto austriaco: PETRASCH in: Rummel, Kommentar zum Allgemeinen bürgerlichen Gesetzbuch, Vienna 1983, nota 1 al § 527; GSCHNITZER, Österreichisches Sachenrecht, 2a edizione,
BGE 115 II 213 S. 221
pag. 176 n. 6). Non sembra che ciò abbia dato luogo finora a difficoltà o inconvenienti particolari. Tanto meno risulta aver compromesso la sicurezza giuridica. | public_law | nan | it | 1,989 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
d22c915d-a6cb-4aca-8c5f-99da5ee50628 | Urteilskopf
118 Ia 118
17. Extrait de l'arrêt de la IIe Cour civile du 24 avril 1992 dans la cause M. contre hoirs S. (recours de droit public) | Regeste
Rechtsmittel gegen Entscheide betreffend die Anerkennung und Vollstreckung ausländischer Urteile.
Gegenstand der Entscheide betreffend die Anerkennung und Vollstreckung ausländischer Urteile bildet weder eine Zivilrechtsstreitigkeit im Sinne von
Art. 44 und 46 OG
noch eine Zivilsache gemäss
Art. 68 Abs. 1 OG
; Berufung und Nichtigkeitsbeschwerde sind daher unzulässig. Da solche Entscheide auch nicht in Anwendung öffentlichen Rechts des Bundes im Sinne von
Art. 5 VwVG
ergehen, ist die Verwaltungsgerichtsbeschwerde (
Art. 97 ff. OG
) nicht gegeben. Solche Entscheide können einzig mit staatsrechtlicher Beschwerde wegen Verletzung von
Art. 25 ff. IPRG
(
Art. 84 Abs. 1 lit. a OG
) oder wegen Verletzung eines Staatsvertrages mit dem Ausland (
Art. 84 Abs. 1 lit. c OG
) angefochten werden. | Erwägungen
ab Seite 119
BGE 118 Ia 118 S. 119
Considérant en droit:
1.
Le Tribunal fédéral examine d'office et librement la recevabilité du recours de droit public (
ATF 117 Ia 252
, 303, 337 consid. 1, 343 consid. 2 et 394 consid. 1a et les arrêts cités). Il vérifie donc la voie de droit ouverte dans chaque cas particulier, quel que soit l'intitulé de l'acte de recours (
ATF 115 Ib 459
consid. 1,
ATF 115 IV 133
consid. 1a).
a) Le recours de droit public n'est recevable que si la prétendue violation ne peut pas être soumise par une action ou par un autre moyen de droit quelconque au Tribunal fédéral ou à une autre autorité fédérale (
art. 84 al. 2 OJ
). Ce principe de subsidiarité est absolu et ne tolère aucune exception (KÄLIN, Das Verfahren der staatsrechtlichen Beschwerde, Berne 1984, p. 265).
En l'absence de convention entre la Grande-Bretagne et la Suisse sur la reconnaissance et l'exécution des jugements, cette question relève des dispositions de la loi fédérale sur le droit international privé (
art. 1er al. 2 et 25 ss LDIP
). Postérieurement à son entrée en vigueur le 1er janvier 1989 (RO 1988 p. 1827), la jurisprudence a
BGE 118 Ia 118 S. 120
confirmé que les décisions relatives à la reconnaissance et à l'exécution des jugements étrangers, notamment dans le cadre d'une poursuite pour dettes (
art. 81 al. 3 LP
; SJ 1992 p. 180 let. a et les références), ne tranchent pas une contestation civile au sens des
art. 44 et 46 OJ
, ni une affaire civile au sens de l'
art. 68 al. 1 OJ
, de sorte qu'elles ne peuvent être soumises au Tribunal fédéral par la voie du recours en réforme (
ATF 116 II 377
consid. 2; SJ 1991 p. 237/238 consid. 1) ou en nullité (
ATF 116 II 378
consid. 3). Le recours du droit des poursuites (
art. 19 LP
et 75 ss OJ) est également exclu (
ATF 116 II 628
consid. 3b). Aussi, le Tribunal fédéral a-t-il admis la recevabilité du recours de droit public fondé sur l'art. 84 al. 1 let. a ou let. c OJ, selon qu'est invoquée la violation des
art. 25 ss LDIP
ou celle d'un traité international (
ATF 116 II 378
consid. 3b; SJ 1991 p. 237/238 consid. 1).
En revanche, il n'a pas examiné dans ces arrêts la question de la recevabilité du recours de droit administratif au sens des
art. 97 ss OJ
contre une décision rendue en dernière instance cantonale (
art. 98 let
. g OJ) sur la reconnaissance et l'exécution d'un jugement étranger en application des
art. 25 ss LDIP
ou d'une convention internationale, voie préconisée par certains auteurs (POUDRET/WURZBURGER, Unité ou dualité des recours au Tribunal fédéral contre les décisions rendues en matière de reconnaissance des jugements étrangers?, in JdT 1991 I p. 290 ss; POUDRET/WURZBURGER/HALDY, Procédure civile vaudoise, Lausanne 1991, n. 2 ad
art. 507c CPC
; POUDRET, Commentaire de la loi fédérale d'organisation judiciaire, vol. V, Supplément ad
art. 1-82 OJ
, Berne 1992, p. 236). Dans un arrêt de 1973, le Tribunal fédéral avait déjà relevé que la modification de la loi fédérale d'organisation judiciaire (OJ), à l'entrée en vigueur de la loi sur la procédure administrative (PA; RS 172.021), avait en principe ouvert la voie du recours de droit administratif en cas de violation de normes de droit public contenues dans un traité international (
ATF 99 Ia 82
/83). Un arrêt récent précise cependant que dans les causes susceptibles d'un recours en réforme la violation de ces dispositions peut être invoquée à l'appui d'un tel recours (
ATF 117 Ia 83
consid. 1).
Dans un arrêt du 17 octobre 1991, la cour de céans a examiné la question de la recevabilité du recours de droit administratif contre une décision d'exequatur rendue en application de la Convention franco-suisse du 15 juin 1869. Il l'a laissée indécise, estimant que cette voie ne présentait pas de différences notables par rapport à celle du recours de droit public pour violation d'un traité international
BGE 118 Ia 118 S. 121
(arrêt L. c. dame B., SJ 1992, p. 179 ss, spéc. consid. 1b, non publié in ATF 117 Ib No 42). Comme le recourant se plaint en l'espèce de la violation des
art. 25 ss LDIP
, il y a lieu d'y revenir.
b) Le Tribunal fédéral connaît des recours de droit administratif contre des décisions au sens de l'
art. 5 PA
(
art. 97 al. 1 OJ
), notamment lorsqu'elles émanent d'une autorité cantonale statuant en dernière instance (
art. 98 let
. g OJ). Sont considérées comme des décisions les mesures prises par les autorités dans des espèces, lorsqu'elles sont fondées sur le droit public fédéral et qu'elles ont en particulier pour objet de créer, de modifier ou d'annuler des droits ou des obligations, ou d'en constater l'existence, l'inexistence ou l'étendue (
art. 5 al. 1 let. a et b PA
). En l'espèce, l'arrêt attaqué est une décision qui a pour objet de créer le droit à l'exécution forcée du jugement anglais en Suisse. L'exequatur est un acte formateur constitutif, qui attribue à la décision étrangère un effet nouveau, à savoir la force exécutoire dans un Etat étranger (STOJAN, Die Anerkennung und Vollstreckung ausländischer Zivilurteile in Handelssachen, thèse Zurich 1986, p. 177 et les références). Reste à déterminer s'il est fondé sur le "droit public fédéral" au sens de l'
art. 5 PA
.
L'arrêt attaqué a été rendu en application des
art. 25 ss LDIP
, c'est-à-dire selon des règles d'exécution forcée qui relèvent du droit public (POUDRET, op.cit., vol. II, p. 53). Mais la notion de "droit public fédéral" au sens de l'
art. 5 PA
n'englobe pas l'ensemble du droit public édicté par la Confédération: la doctrine dominante estime qu'elle se limite au droit administratif fédéral (BRUNSCHWILER, Staatsrecht und Verwaltungsrecht sind nicht dasselbe, in Mélanges André Grisel, Neuchâtel 1983, p. 713 ss; GRISEL, Traité de droit administratif, vol. II, Neuchâtel 1984, p. 855; HÄFELIN/MÜLLER, Grundriss des Allgemeinen Verwaltungsrechts, Zurich 1990, p. 319 No 1501; HALLER, in Commentaire de la Constitution fédérale, n. 22 et 66 ad.
art. 114bis Cst.
; HALTNER, Begriff und Arten der Verfügung im Verwaltungsverfahrensrecht des Bundes (Art. 5 VwVG), thèse Zurich 1979, p. 109; MOOR, Droit administratif, vol. II, Berne 1991, p. 142; SALADIN, Das Verwaltungsverfahrensrecht des Bundes, Bâle-Stuttgart 1979, p. 77 no 10.52). Cette interprétation paraît conforme à l'
art. 114bis al. 1 Cst.
, qui dispose que la Cour administrative fédérale connaît des "contestations administratives" en matière fédérale (BRUNSCHWILER, op.cit., p. 713/714; HALLER, op.cit., n. 22 et 66 ad
art. 114bis Cst.
; SCHMIDT, BGE 102 Ib 264 : Verwaltungsgerichtsbeschwerde gegen die Veranlagung zu kantonalen Steuern?, in Mélanges André Grisel précités, p. 701; contra: PATRY, Le critère de
BGE 118 Ia 118 S. 122
distinction, ibid., p. 706/707). Par conséquent, l'arrêt attaqué ne serait susceptible d'un recours de droit administratif que s'il tranchait, en application du droit fédéral, une contestation administrative. Mais tel n'est pas le cas.
La décision, objet de la contestation administrative, émane d'une autorité administrative ou statuant ès qualités. Le fondement d'une loi de procédure administrative est alors d'assurer la protection des intérêts des administrés, dans la mesure où l'administration est compétente pour définir unilatéralement, par voie de décision, un régime juridique (MOOR, op.cit., vol. II, p. 142). L'administration intervient donc au débat comme juge et partie (MOOR, op.cit., vol. I, p. 5). Or, le juge de l'exequatur, même dans une procédure de mainlevée, n'est pas une autorité administrative, ni partie à un contentieux administratif; il est chargé de trancher un litige entre deux parties privées. Sa décision n'est pas rendue dans une contestation administrative du seul fait qu'elle n'a pas pour but de régler les rapports juridiques entre deux particuliers agissant sur un pied d'égalité, "mais de décider si l'Etat mettra à disposition du requérant la puissance publique pour assurer l'exécution du jugement" (POUDRET/WURZBURGER, op.cit., p. 295). D'une part, le critère tiré du caractère unilatéral de la décision n'est pas propre à l'administration, mais peut s'appliquer également au juge (GULDENER, Schweizerisches Zivilprozessrecht, 3e éd., Zurich 1979, p. 30). D'autre part, s'il est vrai que la procédure d'exécution forcée règle "l'intervention de l'Etat dans les rapports entre créanciers et débiteurs, en vue d'assurer une réalisation des créances conforme au droit et de maintenir ainsi l'ordre dans les relations sociales" (FAVRE, Droit des poursuites, 3e éd., Fribourg 1974, p. 11 in fine), il n'en demeure pas moins que s'agissant de l'activité du juge de l'exequatur, elle aménage le cadre dans lequel il se prononce sur des intérêts particuliers, à savoir le droit du créancier à l'exécution forcée contre son débiteur (GULDENER, op.cit., p. 38/39). Cette activité n'a donc pas la même finalité que celle de l'administration (MOOR, op.cit., vol. I, p. 4/5). La position du requérant à l'exequatur est celle d'un justiciable qui requiert la collaboration de l'Etat et non celle d'un administré qui se trouve dans un rapport de subordination à l'égard de ce dernier. Aussi, selon la doctrine dominante, la notion de "droit public fédéral" au sens de l'
art. 5 PA
n'englobe-t-elle pas le droit de l'exécution forcée (GRISEL, op.cit., p. 855; HÄFELIN/MÜLLER, op.cit., p. 319 No 1501; HALTNER, op.cit., p. 109; MOOR, op.cit., vol. II, p. 142; SALADIN, op.cit., p. 77 No 10.52).
BGE 118 Ia 118 S. 123
Par conséquent, la décision dont l'objet est la reconnaissance et l'exécution d'un jugement étranger, qu'elle soit prise en vertu des
art. 25 ss LDIP
ou d'une convention internationale, ne saurait engendrer une contestation administrative. L'arrêt attaqué n'est donc pas une décision fondée sur le "droit public fédéral" au sens de l'
art. 5 PA
; la voie du recours de droit administratif n'est dès lors pas ouverte.
Au demeurant, la cour de céans avait déjà relevé dans l'arrêt précité du 17 octobre 1991 que la portée pratique de la question de la recevabilité du recours de droit administratif ne devait pas être surestimée (SJ 1992 p. 182/183; cf. KAUFMANN, Einleitung, in Mélanges André Grisel précités, p. 693). En effet, selon la jurisprudence, un recours de droit public, irrecevable comme tel, peut être traité comme recours de droit administratif (
ATF 115 Ib 507
, 115 IV 133/134,
ATF 112 Ib 243
consid. 1a,
ATF 104 Ib 121
consid. 1,
ATF 102 Ib 266
consid. 1a). En outre, dans les recours fondés sur la violation d'un traité international, la nature de la voie de droit ouverte n'a guère d'incidence, le pouvoir d'examen du Tribunal fédéral étant le même dans le recours de droit public et celui de droit administratif (KAUFMANN, ibid.). Cette dernière voie n'est d'ailleurs pas toujours la plus avantageuse: le recours fondé sur l'
art. 84 al. 1 let
. c OJ n'est pas soumis à l'exigence de l'épuisement préalable des instances cantonales (
art. 86 al. 3 OJ
) et les nova sont admis, même si les parties les ont épuisées (
ATF 115 Ib 198
consid. 4a,
ATF 101 Ia 524
consid. 1b in fine). Il est vrai, en revanche, que dans le recours de droit public, le Tribunal fédéral ne peut examiner que les violations du traité dénoncées par le recourant (
ATF 108 Ib 87
consid. 2a,
ATF 101 Ia 523
/524,
ATF 98 Ia 541
consid. 2 et 553 consid. 1c), ce qui n'est pas le cas dans le recours de droit administratif. Il faut enfin relever que l'opinion soutenue par POUDRET/WURZBURGER (op.cit., p. 298) présente, en matière de mainlevée définitive, l'inconvénient pratique de contraindre le recourant à interjeter simultanément les deux recours lorsqu'il invoque à la fois la violation d'une convention internationale, ou des
art. 25 ss LDIP
, respectivement celle de l'
art. 81 al. 1 LP
(SJ 1992 p. 182/183).
c) Lorsque l'application du droit fédéral - en l'occurrence celle des
art. 25 ss LDIP
- lui est soumise par la voie du recours de droit public pour violation de l'
art. 4 Cst.
(
art. 84 al. 1 let. a OJ
), le Tribunal fédéral ne l'examine que sous l'angle restreint de l'arbitraire (
ATF 116 II 628
consid. 3b). L'arrêt déféré ne sera donc annulé que s'il est manifestement insoutenable, méconnaît gravement une norme ou un principe juridique clair et indiscuté, ou encore heurte de manière choquante le sentiment de la justice et de l'équité (ATF 117
BGE 118 Ia 118 S. 124
Ia 15/16, 20 let. c, 32 consid. 7a, 106 let. b, 122 consid. 1b et 139 let. c). Il ne suffit pas que sa motivation soit insoutenable; encore faut-il que la décision apparaisse arbitraire dans son résultat (
ATF 117 Ia 139
let. c, 116 Ia 327 let. a et 334 let. d,
ATF 115 Ia 125
). | public_law | nan | fr | 1,992 | CH_BGE | CH_BGE_002 | CH | Federation |
d22ebcd9-827c-4460-9ce2-738280c9745e | Urteilskopf
95 II 354
48. Urteil der I. Zivilabteilung vom 17. Juni 1969 i.S. Stabilimenti Chimici Arlem di Levi Gino gegen Elisabeth Arden GmbH. | Regeste
Markenrecht.
Unterscheidbarkeit der Marken der Parteien (Elisabeth Arden, Arden und Ardena einerseits und Arlem anderseits).
Art. 6 Abs. 1 MSchG
(Erw. 1).
Art. 6 bis MSchG
. Diese Bestimmung lässt die Hinterlegung gleicher oder ähnlicher Warenzeichen zu, wenn ihr Gebrauch durch rechtlich selbständige, wirtschaftlich eng miteinander verbundene Inhaber (Konzerne) weder zur Täuschung des Publikums über Herkunft und Beschaffenheit der Ware geeignet ist noch sonstwie das öffentliche Interesse verletzt. Die Marken der Klägerin sind daher wegen ihrer wirtschaftlicden Zugehörigkeit zum Arden-Konzern gültig, obwohl sie sich von der Stammarke "Elisabeth Arden" nicht im Sinne von
Art. 6 Abs. 1 MSchG
genügend unterscheiden. Die Beklagte kann daher der Klägerin nicht die Einrede entgegenhalten, sie sei wegen Nichtigkeit ihrer Marken nicht klageberechtigt (Erw. 2).
Keine Verwirkung des Klagerechts, wenn der Inhaber der verletzten Marke vom Gebrauch eines verwechselbaren Zeichens keine Kenntnis gehabt hat (Erw. 3). | Sachverhalt
ab Seite 355
BGE 95 II 354 S. 355
A.-
Florence N. Graham, geschiedene Lewis, New York, war die Leiterin und das Haupt des internationalen Elizabeth Arden-Konzerns, dessen Muttergesellschaft, die "Elizabeth Arden Sales Corporation", in New York ihren Sitz hat. Sie hinterlegte am 6. Januar 1926 in der Schweiz die Marke "Elizabeth Arden" Nr. 60'864 für "lotions et crèmes pour la peau, lotion amaigrissante, crème pour blanchir la peau et dépilatoirs". Am 9. Januar 1946 erneuerte sie die Marke unter Nr. 113'737.
Am 8. Juli 1939 gründete Florence N. Graham die "Cosmetic Produkte G.m.b.H.", in Zürich, welche in der Folge in "Elizabeth Arden GmbH" umbenannt wurde. Diese Gesellschaft befasst sich mit der Herstellung und dem Vertrieb von kosmetischen Produkten unter der Marke "Elizabeth Arden". Ihr Stammkapital beträgt Fr. 1'300,000.--. Die "Elizabeth Arden Sales Corporation", in New York, ist mit einer Stammeinlage
BGE 95 II 354 S. 356
von Fr. 1'276,000.-- und der amerikanische Staatsangehörige Thaddeus Gordon Yates, in London, mit einer solchen von Fr. 24'000.-- beteiligt. Florence N. Graham ist Geschäftsführerin und allein einzelnzeichnungsberechtigt. Die Gesellschaft hinterlegte am 1. Oktober 1953 die Marke "Ardena Invisible Veil" (Nr. 148'423), am 9. Januar 1957 und 8. Februar 1961 die Marken "Arden for men" (Nr. 164'555, 164'556 und 184'874). Sie ist auch Inhaberin der Marke "Ardena" (Nr. 134'540), die ursprünglich, d.h. am 2. August 1950, von der Firma "Elizabeth Arden Ltd., London" eingetragen worden ist.
Am 4. Februar 1946 liess Florence N. Graham im Handelsregister des Kantons Zürich die Einzelfirma "Produits Elizabeth Arden, Mrs F. N. Graham" eintragen. Zweck der Firma war die Herstellung und der Vertrieb kosmetischer, pharmazeutischer und verwandter Erzeugnisse der Marke "Elizabeth Arden". Am 8. März 1947 hinterlegte Mrs F. N. Graham auf den Namen dieser Einzelfirma die Marken "Ardena, Perfection Cream" (Nr. 122'486), "Elizabeth Arden Pat-a-Creme" (Nr. 124'133) und am 14. Juli 1948 die Marke "Elizabeth Arden Sleek" (Nr. 125'920), alle für kosmetische Erzeugnisse.
Mit Vertrag vom 15. Juni 1948 übernahm die "Elizabeth Arden GmbH" die Einzelfirma "Produits Elizabeth Arden, Mrs F. N. Graham" mit Aktiven und Passiven. Am 21. Januar 1949 wurden die auf den Namen der Einzelfirma von Mrs F. N. Graham eingetragenen Marken "Ardena, Perfection Cream", "Elizabeth Arden Pat-a-Creme" und "Elizabeth Arden Sleek" auf die "Elizabeth Arden GmbH" übertragen. Dagegen übertrug Florence N. Graham die Stammarke "Elizabeth Arden" nicht auf die "Elizabeth Arden GmbH", sondern trat sie am 12. Mai 1966 der "Elizabeth Arden Sales Corporation", in New York ab.
Die "Stabilimenti Chimici Arlem die Levi Gino" ist ein italienisches Unternehmen, das neben andern Erzeugnissen auch kosmetische Präparate herstellt und vertreibt und für diese den Namen "Arlem" verwendet. Am 27. September 1962 liess sie beim Internationalen Bureau zum Schutz des gewerblichen Eigentums unter Nr. 260'318 die internationale Wort-Marke "Arlem" eintragen. In der Zeitschrift "Annabelle" vom 24. November 1965 veröffentlichte sie ein zweiseitiges Grossinserat, in welchem sie ein "Kosmetik-Kästchen von Arlem"
BGE 95 II 354 S. 357
anbot. Das Inserat weist darauf hin, dass die angepriesenen Erzeugnisse zu den besten der Welt gehörten und innert kurzer Zeit in den besten Parfumerien der Schweiz verkauft würden.
Am 20. April 1966 teilte die "Elizabeth Arden GmbH" der "Stabilimenti Chimici Arlem di Levi Gino" mit, dass sie sich durch dieses Inserat in ihren Rechten verletzt fühle und deshalb beim Friedensrichter Zürich Klage eingeleitet habe; sie ersuche um Stellungnahme, ob die Klage aussergerichtlich anerkannt werde oder nicht. Die "Stabilimenti Chimici Arlem di Levi Gino" anerkannte die Klage nicht.
B.-
Am 6. Juli 1967 reichte die "Elizabeth Arden GmbH" beim Handelsgericht des Kantons Zürich Klage ein mit folgenden Rechtsbegehren:
"1. Es sei festzustellen, dass die Beklagte durch die Verwendung der Bezeichnung 'Arlem' für kosmetische Produkte im Geschäftsverkehr, auf ihren Waren und Verpackungen, Drucksachen, Reklamen oder sonstwie, die Rechte der Klägerin an ihrem Namen und ihren Marken 'Arden' und deren Abwandlungen verletzt und unlauteren Wettbewerb begeht.
2. Es sei der Beklagten die Fortsetzung der unerlaubten Handlungen gemäss Klagebegehren 1 zu untersagen, unter der Androhung der Überweisung an den Strafrichter wegen Ungehorsams, bei Busse und Haft gemäss
Art. 292 StGB
im Falle der Zuwiderhandlung.
3. Es sei die internationale Marke Nr. 260.318/1962 'Arlem' der Beklagten für das Gebiet der Schweiz ungültig zu erklären und das eidgenössische Amt für geistiges Eigentum, Bern, anzuweisen, die Löschung vorzunehmen, zu veröffentlichen und dem internationalen Amt zu notifizieren."
Die Beklagte beantragte Abweisung der Klage. Sie bestritt die Verwechslungsgefahr und berief sich ausserdem auf den Vorgebrauch ihrer Marke "Arlem" seit 1945 in der Schweiz; subeventuell erhob sie die Einrede der Verwirkung.
Das Handelsgericht erklärte am 6. Februar 1962 die internationale Marke Nr. 260'318/1962 "Arlem" der Beklagten für das Gebiet der Schweiz hinsichtlich kosmetischer Produkte als nichtig und ordnete ihre Löschung an. Ferner untersagte es der Beklagten, im Gebiete der Schweiz die Bezeichnung "Arlem" für kosmetische Produkte im Geschäftsverkehr, auf ihren Waren und Verpackungen, Drucksachen markenmässig oder in anderer Weise zu verwenden, unter der Androhung von Haft und Busse wegen Ungehorsams gegen eine amtliche Verfügung im Sinne von
Art. 292 StGB
im Zuwiderhandlungsfalle. Im übrigen trat es auf die Klage nicht ein.
BGE 95 II 354 S. 358
C.-
Die Beklagte beantragt mit der Berufung, das Urteil des Handelsgerichts aufzuheben und die Klage abzuweisen; eventuell die Sache zur Ergänzung der Akten und zu neuem Entscheid an die Vorinstanz zurückzuweisen.
Die Klägerin beantragt, die Berufung abzuweisen.
Erwägungen
Das Bundesgericht zieht in Erwägung:
1.
Die Beklagte hält in der Berufung daran fest, dass sich die Marke "Arlem" von der Marke "Elizabeth Arden" und den davon abgeleiteten Zeichen durch wesentliche Merkmale im Sinne von
Art. 6 Abs. 1 MSchG
unterscheide. Trifft diese Auffassung zu, so ist die Klage ohne weiteres abzuweisen.
a) Die Unterscheidbarkeit beurteilt sich nach dem Gesamteindruck, den die zu vergleichenden Zeichen in der Erinnerung des letzten Abnehmers hinterlassen (
BGE 92 II 273
Erw. 3,
BGE 93 II 265
Erw. 3 a). Im vorliegenden Fall sind an die Unterscheidbarkeit der in Frage stehenden Marken besonders hohe Anforderungen zu stellen, weil sie für kosmetische Erzeugnisse, d.h. für Waren des täglichen Gebrauchs verwendet werden und daher für das breite Publikum bestimmt sind, von dem bei der Prüfung der Markenunterschiede keine besondere Aufmerksamkeit erwartet werden darf (
BGE 88 II 379
und dort erwähnte Entscheide).
b) Nach verbindlicher Feststellung des Handelsgerichts wird die Firmenmarke "Elizabeth Arden" als Verbindung von Eigen- und Familiennamen aufgefasst. Es legte daher bei der Prüfung der Verwechslungsgefahr das Schwergewicht auf den Bestandteil "Arlem". Das verstösst - entgegen der Auffassung der Beklagten - nicht gegen den erwähnten Grundsatz, dass die Verwechslungsgefahr der einander gegenüberstehenden Zeichen nach dem Eindruck zu beurteilen ist, den sie als Ganzes und nicht in ihre Bestandteile zerlegt hinterlassen; denn der charakteristische Hauptbestandteil einer Marke ist für den bleibenden Eindruck in der Erinnerung des Käufers entscheidend (
BGE 47 II 34
). Mit Recht erklärt das Handelsgericht, dass nach allgemeiner Erfahrung im Verkehr dem Familiennamen die grössere Unterscheidungskraft zukommt als dem Eigennamen (vgl. in diesem Sinne
BGE 93 II 47
, wo das Bundesgericht in der Firmenrechtsstreitigkeit der Helena Rubinstein SA gegen Rubinia AG dem Vornamen Helena keine kennzeichnungskräftige
BGE 95 II 354 S. 359
Wirkung zuerkannte). Bezeichnend dafür ist, dass die Klägerin in den von der Stammarke "Elizabeth Arden" abgewandelten Marken den Eigennamen "Elizabeth" fallen liess. Zudem stellt das Handelsgericht fest, dass ein grosser Teil des Publikums nur die Kurzbezeichnung "Arden" verwende und nach "Arden-Produkten" frage. Der Gesamteindruck der Marke wird somit eindeutig durch den längst eingebürgerten Kosmetikbegriff "Arden" geprägt, der als fremdartiger Familienname im Gedächtnis viel leichter haften bleibt als der Vorname "Elizabeth". Daran würde sich auch dann nichts ändern, wenn das Wort "Arden" bloss eine Phantasiebezeichnung wäre wie die Beklagte behauptet. Massgebend ist nur, dass sich diese Kurzbezeichnung in Abnehmerkreisen eingelebt hat.
c) Zu vergleichen sind somit unter dem Gesichtspunkt der Verwechslungsgefahr die Bezeichnungen "Arden" und "Arlem". Sie unterscheiden sich nach Silbenzahl, Vokalfolge und Wortkadenz nicht. Die beiden Konsonanten "m" und "n" haben wegen ihrer Stellung am Wortende, namentlich im mündlichen Verkehr, wie etwa am Telephon, praktisch keine kennzeichnende Bedeutung. Auch die Konsonanten "d" und "l" drücken den Unterschied nicht so scharf aus, als dass er in der Erinnerung haften bliebe. Zudem sieht oder hört das kaufende Publikum die beiden Zeichen gewöhnlich nicht am gleichen Ort und zur gleichen Zeit, sondern hat entweder nur das eine oder das andere vor sich, was die Verwechslungsgefahr erhöht (vgl.
BGE 92 II 97
und die dort erwähnten Entscheide).
Mit dem Handelsgericht ist auch die Verwechslungsgefahr zwischen "Ardena" einerseits und "Arlem" anderseits zu bejahen. "Ardena" ist dreisilbig und auf der zweiten Silbe betont, "Arlem" dagegen zweisilbig und auf der ersten Silbe betont. Trotzdem besteht zwischen den beiden Zeichen noch eine auffallende Ähnlichkeit; denn die zwei ersten Silben der beiden Zeichen stimmen weitgehend überein und die dritte Silbe besteht aus einem klanglich unbedeutenden Endlaut.
Die Verwechslungsgefahr wird auch nicht durch die den beiden Hauptbestandteilen "Arden" oder "Ardena" beigefügten Zusätze, wie z.B. "Arden for men" oder "Ardena Pat-a-Creme" behoben; denn diese Zusätze haben keine hinweisende Kraft, sondern dienen bloss der näheren sachlichen Umschreibung der Erzeugnisse.
BGE 95 II 354 S. 360
2.
a) Nach ständiger Rechtsprechung des Bundesgerichts geniesst eine Marke keinen Schutz, die sich nicht im Sinne von
Art. 6 MSchG
durch wesentliche Merkmale von einer bereits eingetragenen Marke unterscheidet. Auf Nichtigkeit können sich nicht nur die Inhaber der anderen Marke und die getäuschten Käufer berufen, sondern auch alle andern Personen, die daran ein Interesse haben (vgl.
BGE 91 II 4
und die dort erwähnten Entscheide). Die Rechtsprechung folgert daraus, dass der Beklagte im Prozess die Einrede der Nichtigkeit der vom Kläger verwendeten Marke erheben darf, wenn diese gegenüber einer früher eingetragenen Marke sich nicht genügend unterscheidet. Verträgt sich die Marke des Klägers mit der früher eingetragenen Marke nicht, so ist sie nach der Rechtsprechung absolut nichtig und wird nicht dadurch gültig, dass sich auch die Marke des Beklagten nicht genügend von der Drittmarke unterscheidet. Dem Kläger würde angesichts der Nichtigkeit der eigenen Marke das Klagerecht fehlen und er hätte kein schutzwürdiges Interesse, die Nichtigerklärung der Marke des Beklagten zu verlangen (vgl.
BGE 90 II 47
).
b) Nach
Art. 6 bis MSchG
können wirtschaftlich eng miteinander verbundene Produzenten, Industrielle oder Handeltreibende auch für Erzeugnisse oder Waren, die ihrer Natur nach nicht voneinander abweichen, die nämliche Marke hinterlegen. Auch dürfen sie, obwohl das Gesetz es nicht ausdrücklich sagt, Zeichen eintragen lassen, die sich voneinander nicht durch genügende Merkmale im Sinne von
Art. 6 MSchG
unterscheiden.
Art. 6 bis MSchG
gestattet indessen die Hinterlegung gleicher oder ähnlicher Warenzeichen nur, wenn ihr Gebrauch durch rechtlich selbständige, wirtschaftlich eng miteinander verbundene Inhaber (Konzerne) weder zur Täuschung des Publikums über Herkunft und Beschaffenheit der Ware geeignet ist noch sonstwie das öffentliche Interesse verletzt. Diese Vorschrift schwächt allerdings wie
Art. 7 bis MSchG
die hinweisende Kraft des Zeichens ab; denn es gewährleistet nicht die Herkunft eines Erzeugnisses aus einem bestimmten Betrieb, sondern deutet nur an, dass die Ware aus irgendeinem der mehreren zum Konzern gehörenden Unternehmen stammt (vgl.
BGE 86 II 275
).
c) Die Klägerin ist rechtlich ein selbständiges Unternehmen, das mit dem Elizabeth Arden-Konzern eng verflochten ist. Das kommt insbesondere darin zum Ausdruck, dass die amerikanische
BGE 95 II 354 S. 361
Muttergesellschaft die Hauptbeteiligte wurde und die Firma völlig beherrscht. Die Marken der Klägerin sind wegen ihrer wirtschaftlichen Zugehörigkeit zum Konzern gültig, obwohl sie sich von der Stammarke "Elizabeth Arden" nicht genügend unterscheiden (
Art. 6 bis MSchG
). Der Klägerin kann nicht entgegengehalten werden, ihre Zeichen seien wegen der Gebrauchspriorität der Stammarke "Elizabeth Arden" durch einen Dritten nichtig und folglich habe sie kein rechtliches Interesse, die Nichtigkeit der Marke Arlem unter Berufung auf die vorgebrauchte Marke "Elizabeth Arden" zu beanspruchen. Dieses Interesse ist der Klägerin umso mehr zuzuerkennen, als sie mit der Änderung der Firma in "Elizabeth Arden GmbH" den Arden-Konzern in der Schweiz vertrat und nach dem Gesellschaftszweck kosmetische Erzeugnisse der Marke "Elizabeth Arden" herstellt und vertreibt. Das Publikum dürfte daher nicht Gefahr laufen, dass die Klägerin unter den verschiedenen, von der Stammarke abgewandelten Zeichen minderwertigere oder anders beschaffene Erzeugnisse auf den Markt bringt (vgl.
BGE 58 II 180
). Dass dem nicht so sei, behauptet übrigens die Beklagte selber nicht.
Das Handelsgericht stellt fest, dass die Marke "Elizabeth Arden" im Gebrauch war, bevor die Beklagte im Jahre 1945 ihre Erzeugnisse unter der Marke "Arlem" auf den schweizerischen Markt gebracht haben will. Die Klägerin ist daher als Mitglied des Arden-Konzerns nach
Art. 6 MSchG
befugt, sich auf die Nichtigkeit der Marke "Arlem" wegen Verwechslungsgefahr mit der früher eingetragenen und gebrauchten Marke "Elizabeth Arden" zu berufen, obwohl diese Marke ihr nicht gehört, sondern von der Inhaberin vor Einleitung des Prozesses auf die amerikanische Muttergesellschaft des Arden-Konzerns übertragen worden ist. Sie hat zwar diesen Standpunkt nicht eingenommen. Das schadet ihr aber nicht, da die Berufungsinstanz im Rahmen von
Art. 43 OG
in bezug auf die rechtliche Würdigung von Tatsachen frei ist, ohne an die Auffassung der Parteien gebunden zu sein (
Art. 63 Abs. 2 OG
;
BGE 91 II 65
Erw. 1 und dort erwähnte Entscheide). Die Nichtigkeitsklage ist daher nach der erwähnten Rechtsprechung allein auf Grund der festgestellten Gebrauchspriorität der Stammarke "Elizabeth Arden" zu schützen, ohne dass sich die Klägerin als Inhaberin derselben auszuweisen brauchte.
3.
Die Beklagte behauptet, die Klägerin habe das Klagerecht
BGE 95 II 354 S. 362
verwirkt, weil sie seit 1945 den Gebrauch der Marke "Arlem" für kosmetische Erzeugnisse in der Schweiz jahrelang geduldet habe.
Nach der Rechtsprechung kann der Inhaber einer Marke das Recht, auf Löschung einer verwechselbaren Marke zu klagen, verwirken, wenn er ihren Gebrauch längere Zeit geduldet und sich die Marke in Abnehmerkreisen durchgesetzt hat. Die Verwirkung leitet sich aus
Art. 2 ZGB
ab und setzt daher voraus, dass die Ausübung des Klagerechts "offenbar" missbräuchlich ist. Diesen Vorwurf kann gegen den Markeninhaber grundsätzlich nur erheben, wer selber das Gebot nach Treu und Glauben zu handeln beachtet. Daraus folgt, dass im allgemeinen nur der gutgläubige Verletzer sich auf die Verwirkung des Klagerechts berufen darf (
BGE 73 II 183
,
BGE 76 II 393
,
BGE 81 II 289
).
Das Markenschutzgesetz beruht auf dem Grundsatz der Territorialität (vgl.
BGE 92 II 262
Erw. 3, MATTER, Kommentar zum Markenschutzgesetz, S. 50, DAVID, Kommentar zum Markenschutzgesetz, 2. Aufl. 1960, S. 52, TROLLER, Immaterialgüterrecht I, 2. Aufl. 1968, S. 148 ff.), und es sind daher für die zu beurteilende Frage die Verhältnisse in der Schweiz ausschlaggebend. Die Klägerin hat sich somit das Verhalten der rechtlich selbständigen Arden-Gesellschaften im Ausland und insbesondere jener in Italien nicht anrechnen zu lassen. Ob diese Unternehmen etwa aus rechtlichen oder praktischen Gründen den behaupteten Gebrauch der Marke "Arlem" geduldet haben, ist daher belanglos.
Die Duldung einer Rechtsverletzung setzt voraus, dass die Klägerin vom unzulässigen Gebrauch der Marke "Arlem" in der Schweiz durch die Beklagte Kenntnis hatte. Diese behauptet nach Feststellung der Vorinstanz selber nicht, die Klägerin habe vor Erscheinen des Werbeinserates in der Zeitschrift "Annabelle" vom 24. November 1965 gewusst, dass die Marke "Arlem" in der Schweiz für kosmetische Erzeugnisse verwendet werde. Für eine solche Annahme finden sich nach den Ausführungen des Handelsgerichts auch sonst in den Akten keinerlei Anhaltspunkte. Dagegen steht fest, dass die Klägerin auf den Versuch der Beklagten, ihre Waren durch Werbung in der erwähnten Zeitschrift bekannt zu machen, reagierte und der Beklagten eröffnete, sie werde ihre Rechte wahren. Die Klägerin duldete somit den Gebrauch der Marke "Arlem" nicht, und das Klagerecht blieb ihr gewahrt. Unter diesen Umständen
BGE 95 II 354 S. 363
ist das Ergebnis, welches ein Beweisverfahren über gelegentliche Warenlieferungen der Beklagten nach der Schweiz zutage fördern könnte, unerheblich.
Dispositiv
Demnach erkennt das Bundesgericht:
Die Berufung wird abgewiesen und das Urteil des Handelsgerichts des Kantons Zürich von 6. Februar 1969 bestätigt. | public_law | nan | de | 1,969 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
d22f9135-8ea5-41ba-8ce7-71f080641364 | Urteilskopf
118 Ia 236
33. Auszug aus dem Urteil der I. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 2. September 1992 i.S. O., A. und E. gegen T. und Kassationsgericht des Kantons Zürich (staatsrechtliche Beschwerde). | Regeste
Prozessfähigkeit.
Art. 14 BZP
,
Art. 16 und
Art. 18 ZGB
.
1. Begriff. Eintretensvoraussetzung im Verfahren der staatsrechtlichen Beschwerde. Sie ist nicht erfüllt beim psychopathischen Querulanten (E. 2).
2. Beschränkte Prozessfähigkeit im Verfahren über die Frage der Prozessfähigkeit selbst (E. 3). | Sachverhalt
ab Seite 237
BGE 118 Ia 236 S. 237
O. wurde vom Bundesstrafgericht zu 14 Jahren Zuchthaus sowie 15 Jahren Landesverweisung verurteilt. Der ausserordentliche Kassationshof trat auf die gegen das Urteil des Bundesstrafgerichts erhobenen Nichtigkeitsbeschwerden nicht ein. Nach Verbüssung von zwei Dritteln der Zuchthausstrafe liessen die zürcherischen Behörden O. am 8. November 1985 ins Ausland ausschaffen.
Am 29. Juni 1988 erhob O. beim Bezirksgericht Winterthur zivilrechtliche Klage gegen T., einen Chefbeamten der Kantonspolizei Zürich, wegen Verletzung in den persönlichen Verhältnissen (Art. 27/28 ZGB). Das Bezirksgericht Winterthur trat auf die Klage nicht ein.
O. führte gegen den Beschluss des Bezirksgerichts Winterthur Rekurs, auf welchen das Obergericht des Kantons Zürich mangels Prozessfähigkeit nicht eintrat. Das Obergericht verwies auf einen früheren Rekursentscheid, in welchem es O. die Fähigkeit abgesprochen hatte, Prozesshandlungen wirksam vorzunehmen, soweit sich diese auf das Urteil des Bundesstrafgerichts und den Vollzug der darin ausgesprochenen Nebenstrafe beziehen. Eine beim Kassationsgericht des Kantons Zürich eingereichte Nichtigkeitsbeschwerde blieb erfolglos.
O., A. und E. führen staatsrechtliche Beschwerde gegen das Urteil des Kassationsgerichts. Das Bundesgericht tritt auf die Beschwerde insofern nicht ein, als sie von A. und E. erhoben wurde. Im übrigen weist das Bundesgericht die Beschwerde ab, soweit es darauf eintritt.
Erwägungen
Auszug aus den Erwägungen:
2.
a) Nach
Art. 40 OG
in Verbindung mit
Art. 14 BZP
kann eine Partei insoweit selbständig Prozess führen, als sie handlungsfähig ist. Die Prozessfähigkeit ist demnach im Verfahren der staatsrechtlichen Beschwerde eine Eintretensvoraussetzung. Ob sie erfüllt ist, prüft das Bundesgericht von Amtes wegen (
BGE 116 II 386
E. 2).
b) Die Prozessfähigkeit ist eine Wirkung der vom Bundesrecht in
Art. 12 ff. ZGB
geordneten Handlungsfähigkeit im Prozess. Sie setzt die Urteilsfähigkeit des Rechtsuchenden voraus und fehlt somit der Prozesspartei, die nicht in der Lage ist, vernunftgemäss zu handeln (
Art. 16 ZGB
). So verhält es sich namentlich beim psychopathischen Querulanten, das heisst beim Menschen, dessen abnorme Reaktionen auf eine psychisch krankhafte Persönlichkeitsentwicklung
BGE 118 Ia 236 S. 238
zurückzuführen sind und der das eigene, meist falsch beurteilte Recht in übertriebener und rücksichtsloser Art und mit Rechtsbehelfen durchzusetzen versucht, die in keinem angemessenen Verhältnis zum erreichbaren Ziel stehen.
Die Urteilsfähigkeit ist zu vermuten. Wie diese Vermutung widerlegt werden kann, sagt das Gesetz nicht. Wird, was im allgemeinen angezeigt ist, ein medizinischer Sachverständiger zugezogen, so hat sich sein Bericht darauf zu beschränken, den Geisteszustand des Untersuchten möglichst genau zu beschreiben und aufzuzeigen, ob und in welchem Mass das geistige Vermögen versagt. Welche rechtlichen Schlüsse aus dem Ergebnis der medizinischen Begutachtung zu ziehen sind, entscheidet der Richter. Beim Entscheid darüber, ob ein Rechtsuchender als psychopathischer Querulant im soeben erwähnten Sinn bezeichnet werden muss, kann indessen ausnahmsweise vom Beizug eines Psychiaters abgesehen werden, wenn das langjährige, allgemein bekannte prozessuale Verhalten der Partei zum zwingenden Schluss führt, dass die fraglichen Handlungen auf keinerlei vernünftigen Überlegungen mehr beruhen, sondern schlechterdings nur noch als Erscheinungsformen einer schweren psychischen Störung gewürdigt werden können. Eine Querulanz, die in ihren Wirkungen die Urteilsfähigkeit im Sinne von
Art. 16 ZGB
ausschliesst, darf indessen nicht leichthin bejaht werden. Nicht jeder, der sein vermeintliches Recht hartnäckig mit allen ihm zur Verfügung stehenden Mitteln und gelegentlich unter Missachtung des gebotenen Anstandes durchzusetzen versucht und auf diese Weise die Geduld von Gerichten und Behörden über Gebühr in Anspruch nimmt, gilt als psychopathischer Querulant. Zu beachten ist ferner, dass das schweizerische Recht keine abstrakte Feststellung der Urteilsunfähigkeit kennt. Der Richter hat vielmehr stets zu prüfen, ob die fragliche Person im konkreten Fall, das heisst im Zusammenhang mit einer bestimmten Handlung oder bei der Würdigung bestimmter tatsächlicher Gegebenheiten als urteilsfähig angesehen werden kann. Insbesondere beim Querulanten kann die Prozessunfähigkeit auf einen bestimmten, mehr oder weniger grossen Bereich von Rechtsstreitigkeiten beschränkt bleiben (
BGE 98 Ia 324
E. 3, mit zahlreichen Hinweisen).
Nach diesen Grundsätzen ist zu entscheiden, ob der Beschwerdeführer für das vorliegende bundesgerichtliche Verfahren als prozessfähig gelten kann.
c) Aus einem bei den Akten liegenden Urteil des Obergerichts des Kantons Zürich vom 12. Januar 1990 geht hervor, dass sich die
BGE 118 Ia 236 S. 239
Zürcher Behörden seit etwa zehn Jahren ständig mit Strafanzeigen und Zivilklagen des Beschwerdeführers befassen mussten, welche sich alle auf die Verurteilung des Beschwerdeführers durch das Bundesstrafgericht am 22. Mai 1979 und die ebenfalls ausgesprochene Landesverweisung bezogen. Der Beschwerdeführer begnügte sich nicht damit, alle denkbaren Rechtsmittel gegen die in seiner Sache ergangenen Entscheidungen zu ergreifen, sondern er verfolgte auch die daran beteiligten sowie die mit dem Vollzug der Strafe und der Landesverweisung beauftragten Personen und Behörden mit Klagen wegen Ehrverletzung und Verletzung in den persönlichen Verhältnissen. Insgesamt liess er bei den zürcherischen Bezirksbehörden allein in den Jahren 1986 bis 1989 ungefähr 115 neue straf- und zivilrechtliche Verfahren durchführen (ohne Ausstandsverfahren), alle im Zusammenhang mit seiner Verurteilung und der Landesverweisung. Fast alle dieser Verfahren blieben erfolglos.
Im gleichen Zeitraum reichte der Beschwerdeführer in derselben Sache mehr als 70 Rechtsmittel beim Bundesgericht ein, in der Regel staatsrechtliche Beschwerden. Kein einziges dieser Rechtsmittel wurde gutgeheissen. In einem Urteil vom 28. August 1989 wies das Bundesgericht den Beschwerdeführer zudem ausdrücklich darauf hin, dass die vom Bundesstrafgericht verhängte Strafe vom Bundesgericht überprüft worden ist und in dieser Sache bereits mehrere rechtskräftige Entscheide des Bundesgerichts im Sinne von
Art. 38 OG
vorliegen.
Wird die hohe Zahl aussichtsloser Verfahren, welche der Beschwerdeführer in immer derselben Sache bei kantonalen und eidgenössischen Behörden veranlasst hatte, in Betracht gezogen, erweist sich sein prozessuales Verhalten - immer in bezug auf seine Verurteilung durch das Bundesstrafgericht und die damit verbundene Landesverweisung - als dasjenige eines krankhaften Querulanten; vernünftigerweise kann es nur noch als Erscheinungsform einer schweren psychischen Störung gewürdigt werden. Ein psychiatrisches Gutachten ist unter diesen Umständen entbehrlich. Dem Beschwerdeführer fehlt damit grundsätzlich die erforderliche Urteilsfähigkeit, um im Zusammenhang mit seiner Verurteilung und der Landesverweisung bei kantonalen und eidgenössischen Gerichten Prozesse zu führen.
3.
a) Dieses Ergebnis führt indessen nicht ohne weiteres dazu, dass das Bundesgericht auf die vorliegende staatsrechtliche Beschwerde nicht eintreten kann. Wer nicht urteilsfähig und damit gemäss
Art. 18 ZGB
auch nicht handlungsfähig ist, dem fehlt die
BGE 118 Ia 236 S. 240
Fähigkeit, selber oder durch einen zu diesem Zweck beauftragten Vertreter einen Prozess anzuheben oder andere wirksame Prozesshandlungen vorzunehmen. Bis zur endgültigen gerichtlichen Feststellung der Prozessunfähigkeit muss der betreffenden Partei aber die Möglichkeit der Prozessführung gewahrt bleiben, weil sie sich sonst gegen die Verneinung ihrer Prozessfähigkeit nicht wirksam zur Wehr setzen könnte. Spricht ein kantonales Gericht - wie auch im vorliegenden Fall - in einer bestimmten Sache dem Beschwerdeführer die Prozessfähigkeit ab, so muss dieser die Möglichkeit haben, dagegen die staatsrechtliche Beschwerde an das Bundesgericht wegen Rechtsverweigerung zu ergreifen, da ihm sonst kein anderes Rechtsmittel zur Verfügung steht (unveröffentlichtes Urteil des Bundesgerichts vom 1. Juli 1985 i.S. B., E. 2b; vgl. auch WALDER-BOHNER, Zivilprozessrecht, 3. Auflage 1983, S. 141 Rz. 1, sowie S. 142 Fn. 9). Auf die staatsrechtliche Beschwerde ist daher einzutreten, soweit sie wegen Rechtsverweigerung im Sinne von
Art. 4 BV
erhoben und damit begründet wird, das Kassationsgericht habe zu Unrecht dem Beschwerdeführer die Prozessfähigkeit abgesprochen. Im übrigen ist allerdings mangels Prozessfähigkeit des Beschwerdeführers auf die staatsrechtliche Beschwerde nicht einzutreten.
b) Die Prozessfähigkeit richtet sich ausschliesslich nach den Bestimmungen des Bundeszivilrechts; für kantonale Regelungen bleibt dabei kein Raum (vgl.
BGE 116 II 387
E. 4, mit Hinweisen). Der Beschwerdeführer muss deshalb auch im kantonalen Verfahren als prozessunfähig gelten, wenn er im bundesgerichtlichen Verfahren grundsätzlich für prozessunfähig erklärt worden ist. Wie bereits festgestellt wurde (oben E. 2), fehlt dem Beschwerdeführer die erforderliche Prozessfähigkeit, um in der erwähnten Sache - ausser in bezug auf seine Prozessfähigkeit selbst - staatsrechtliche Beschwerde zu führen. Daher war er auch im kantonalen Verfahren vor den zürcherischen Gerichten prozessunfähig. Seine entsprechenden Rügen in der staatsrechtlichen Beschwerde erweisen sich als unbegründet. | public_law | nan | de | 1,992 | CH_BGE | CH_BGE_002 | CH | Federation |
d2348156-6060-4f1a-90a5-19a1bfd3f5ed | Urteilskopf
114 V 272
50. Auszug aus dem Urteil vom 17. Oktober 1988 i.S. Kranken- und Unfallkasse "Die Eidgenössische" gegen B. und Versicherungsgericht des Kantons Bern | Regeste
Art. 1 Abs. 2 Satz 2,
Art. 12 Abs. 2 Ziff. 3 KUVG
: Badekurbeiträge aus Zusatzversicherungen.
Es ist nicht bundesrechtswidrig, wenn die Kassen die Gewährung von Badekurleistungen aus Zusatzversicherungen reglementarisch davon abhängig machen, dass der Badekur eine ärztliche Behandlung vorausgegangen ist. | Erwägungen
ab Seite 272
BGE 114 V 272 S. 272
Aus den Erwägungen:
3.
a) Die Kasse beschränkt in den Zusatzversicherungen die Leistungspflicht für Badekuren auf die Tatbestände der Badekuren
BGE 114 V 272 S. 273
im Anschluss an einen Spitalaufenthalt einerseits und an eine intensive Vorbehandlung anderseits...
b) Das Eidg. Versicherungsgericht hat zu
Art. 12 Abs. 2 Ziff. 3 KUVG
für die gesetzliche Grundversicherung erkannt, dass die Kassen die Gewährung des Badekurbeitrages nicht davon abhängig machen dürfen, dass bereits vor der Badekur Behandlungen durchgeführt wurden (RKUV 1987 Nr. K 709 S. 19 Erw. 2c, 1986 Nr. K 662 S. 45 Erw. 2b; RSKV 1982 Nr. 485 S. 96 Erw. 2a, 1979 Nr. 374 S. 162 Erw. 2). Es stellt sich die Frage, ob die Kassen berechtigt sind, diese Bedingung für Badekurbeiträge aus Zusatzversicherungen vorzuschreiben.
Die Frage ist zu bejahen. Die Kassen sind von Bundesrechts wegen nicht verpflichtet, aus den Zusatzversicherungen Badekurleistungen zu gewähren. Das Gesetz schreibt ihnen auch nicht vor, dass zusatzversicherte Badekurbeiträge gegebenenfalls von einem bestimmten Minimalumfange sein müssten oder immer auch dann auszurichten wären, wenn Badekurleistungen aus der Grundversicherung erbracht würden. Vielmehr können die Kassen aufgrund von
Art. 1 Abs. 2 Satz 2 KUVG
in ihren Satzungen die Leistungsberechtigung so regeln, dass nicht bei allen Badekuren, die in der gesetzlichen Grundversicherung einen Anspruch begründen, Deckung auch in den Zusatzversicherungen gewährt wird. Wohl werden im vorliegenden Fall damit die badekurbedürftigen Versicherten benachteiligt, welche die Voraussetzung der vorgängigen Behandlung nicht erfüllen, aber ebenfalls einen medizinisch ausgewiesenen Bedarf nach den Leistungen aus den Zusatzversicherungen haben. Darin liegt jedoch keine Willkür. Sinn und Zweck der Voraussetzung vorgängiger Behandlung ist im wesentlichen darin zu sehen, dass die Versicherten zuerst die Möglichkeiten einer Behandlung an ihrem Wohnort erproben sollen, bevor die nicht unbedeutenden Badekurleistungen aus den Zusatzversicherungen in Anspruch genommen werden. Dass die Kasse nur Badekuren berücksichtigt, die eine notwendige abschliessende oder ergänzende Massnahme zu einer vorgängigen Behandlung darstellen, dient schliesslich auch der Missbrauchsbekämpfung, indem rein präventiven Badekuren oder gar blossen Ferien am Badekurort zu Lasten der Versicherung vorgebeugt wird. Die genannte Anspruchsvoraussetzung ist daher bundesrechtlich grundsätzlich nicht zu beanstanden. Wie der Sonderfall zu behandeln wäre, dass eine vorgängige Behandlung unzweckmässig und damit unwirtschaftlich wäre, kann hier dahingestellt bleiben. | null | nan | de | 1,988 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
d23774e1-c068-4d32-9da0-c130a156cdf0 | Urteilskopf
124 IV 59
10. Estratto della sentenza della Corte di cassazione penale del 20 febbraio 1998 nella causa P. contro Ministero pubblico del Cantone Ticino (ricorso per cassazione) | Regeste
Art. 70 ff. StGB
,
art. 146 Abs. 2 StGB
, Art. 148 Abs. 2 aStGB; Verfolgungsverjährung, gewerbsmässiger Betrug.
Die einzelnen strafbaren Handlungen eines gewerbsmässigen Betruges bilden keine verjährungsrechtliche Einheit. Der vom Gesetz hergestellte Zusammenhang zwischen diesen und dem Qualifikationsmerkmal der Gewerbsmässigkeit betrifft die Strafzumessung. | Sachverhalt
ab Seite 59
BGE 124 IV 59 S. 59
Il 25 ottobre 1995 la Corte delle assise criminali di Lugano ha riconosciuto E. P. tra l'altro colpevole, congiuntamente a E. F. e a A. P., di ripetuta e continuata truffa aggravata, commessa per mestiere, per avere nel periodo ottobre 1976-ottobre 1985, in qualità di vicepresidente della F. SA, ripetutamente ingannato clienti della ditta nell'ambito di operazioni immobiliari promosse in Svizzera mediante la pubblicazione di prospetti ed eseguite all'estero. Tenuto conto del lungo tempo trascorso dalla commissione dei reati, la Corte delle assise ha condannato E. P. alla pena di 3 anni di reclusione.
In quanto ammissibile, il ricorso inoltrato dal condannato è stato respinto dalla Corte di cassazione e di revisione penale del Tribunale d'appello del Cantone Ticino (CCRP) con sentenza del 22 novembre 1996.
E. P. è insorto con tempestivi ricorsi di diritto pubblico e per cassazione dinanzi al Tribunale federale, chiedendo di annullare quest'ultima sentenza nonché di essere posto al beneficio dell'assistenza giudiziaria con gratuito patrocinio.
Il Tribunale federale ha respinto, nella misura in cui era ammissibile, il ricorso di diritto pubblico, mentre ha parzialmente accolto, in quanto era ammissibile, il gravame per cassazione.
BGE 124 IV 59 S. 60
Erwägungen
Dai considerandi:
3.
Il ricorrente contesta inoltre l'applicazione degli
art. 70-72 CP
effettuata dall'autorità cantonale in relazione ai reati di truffa per mestiere commessi nel periodo ottobre 1976-ottobre 1985. A suo avviso, gli atti rimproveratigli non sono suscettibili di costituire un'unica infrazione, bensì vanno giudicati separatamente. Ne discenderebbe, qualora l'ipotesi prospettata dall'interessato fosse corretta, che al momento di pronunciare la decisione impugnata, il 22 novembre 1996, la gran parte di essi era prescritta in modo assoluto.
a) Giusta l'
art. 70 cpv. 2 CP
, l'azione penale si prescrive in dieci anni, se al reato è comminata la reclusione o la detenzione, ciò che è il caso per i reati rimproverati al ricorrente (
art. 146 cpv. 2 CP
, 148 cpv. 2 vCP). L'azione penale è prescritta assolutamente quando il termine ordinario della prescrizione sia superato della metà o, qualora si tratti di reati contro l'onore e di contravvenzioni, col decorso di un termine pari al doppio della durata normale (
art. 72 n. 2 cpv. 2 CP
). Di principio, la prescrizione decorre dal giorno in cui l'imputato ha compiuto il reato; ove quest'ultimo sia stato eseguito mediante atti successivi, essa decorre invece dal giorno in cui è stato compiuto l'ultimo atto (
art. 71 cpv. 1 e 2 CP
).
b) L'azione penale relativa al reato di truffa per mestiere si prescrive, in modo assoluto, in 15 anni. Dato che la decisione cantonale di ultima istanza è stata pronunciata il 22 novembre 1996, gli atti di truffa per mestiere antecedenti il 22 novembre 1981 dovrebbero essere ritenuti prescritti qualora, come preteso dal ricorrente, i singoli atti dovessero essere considerati infrazioni a sé stanti ai sensi dell'
art. 71 cpv. 1 CP
. Per converso, qualora gli atti imputati al ricorrente, risalenti al periodo ottobre 1976-ottobre 1985, costituissero una sola infrazione ai sensi dell'
art. 71 cpv. 2 CP
, la loro prescrizione assoluta non sarebbe ancora subentrata. Si pone pertanto il quesito di sapere se le infrazioni rimproverate al ricorrente vadano considerate come singoli atti a sé stanti o se, invece, costituiscano una sola entità sotto il profilo della prescrizione, come reputato dall'autorità cantonale.
aa) Il Tribunale federale ha rinunciato, nella
DTF 117 IV 408
, alla figura giuridica del reato continuato. Da allora, la questione se e a quali condizioni una pluralità di infrazioni debba essere riunita in un'entità giuridica che le comprenda tutte va decisa, separatamente e unicamente in base a criteri oggettivi, in ognuno degli ambiti in
BGE 124 IV 59 S. 61
cui sinora era applicata la nozione di reato continuato. Più infrazioni distinte devono essere considerate come una sola ai fini dell'
art. 71 cpv. 2 CP
, secondo cui il termine della prescrizione decorre per l'insieme dei singoli atti solamente a partire dal giorno in cui è stato commesso l'ultimo atto, quando esse siano della stessa indole, siano commesse a pregiudizio dello stesso bene giuridico e costituiscano - senza che sussista un reato permanente ai sensi dell'
art. 71 cpv. 3 CP
- un comportamento illecito durevole, contemplato, esplicitamente o implicitamente, dalla fattispecie penale applicabile in concreto. Le condizioni precise che devono all'uopo essere adempiute non possono essere esaurientemente definite con una formula astratta (
DTF 120 IV 6
consid. 2b;
DTF 117 IV 408
consid. 2f). Nondimeno, la sussistenza di una sola entità sotto il profilo della prescrizione va ammessa in modo restrittivo, onde evitare la reintroduzione sotto altra etichetta della nozione giuridica abolita. Il Tribunale federale ha ammesso la riunione di più infrazioni in una sola entità sotto il profilo della prescrizione in caso di amministrazione infedele (
DTF 117 IV 408
consid. 2g), di trascuranza degli obblighi di mantenimento (
DTF 118 IV 325
consid. 2b), di ripetute infrazioni alla legge sulle dogane (
DTF 119 IV 73
consid. 2d/cc) nonché di atti sessuali con fanciulli commessi da un maestro di scuola elementare (
DTF 120 IV 6
consid. 2c/cc), mentre l'ha negata in caso di accettazione di doni (
DTF 118 IV 309
consid. 2c) e di offese all'onore (
DTF 119 IV 199
consid. 2). Tale riunione di più infrazioni in una sola entità è stata altresì ammessa, di recente, in caso di appropriazione indebita (
DTF 124 IV 5
).
Nella fattispecie, l'autorità cantonale ha ritenuto, senza che il ricorrente sollevi obiezioni al proposito, che le infrazioni in causa sono della stessa indole e sono state commesse a pregiudizio dello stesso bene giuridico. Senonché, ancorché le modalità operative messe successivamente in atto dal ricorrente e dagli altri imputati fossero sostanzialmente le medesime, è lecito chiedersi se, considerate la moltitudine di parti lese e di operazioni immobiliari nonché la pluralità (almeno due) di azioni fraudolenti, si possa ancora legittimamente parlare di reati della stessa indole e commessi a pregiudizio dello stesso bene giuridico. Il quesito non merita tuttavia di essere approfondito, visto che, contrariamente a quanto sostenuto nella decisione impugnata, in concreto fa comunque difetto un comportamento durevolmente contrario ad un dovere permanente dell'agente. Il reato di cui all'
art. 146 CP
(art. 148 vCP) non comprende infatti un tale elemento a carattere durevole. Diversamente dal
BGE 124 IV 59 S. 62
caso di amministrazione infedele o di appropriazione indebita, l'agente non è costantemente tenuto a tutelare gli interessi pecuniari della controparte, rispettivamente a riparare il danno causatole. I singoli atti truffaldini non implicano una situazione suscettibile di prolungarsi nel tempo, bensì costituiscono atti a sé stanti, puntuali. Ne deriva che, ancorché secondo gli accertamenti vincolanti dell'autorità cantonale (
art. 277bis cpv. 1 PP
) tali atti si iscrivevano nell'ambito di un rapporto d'affari fondato anche sulla fiducia, in concreto non può essere ammessa la sussistenza di un comportamento durevolmente contrario ad un dovere permanente facente parte, esplicitamente o implicitamente, degli elementi oggettivi costitutivi del reato di truffa.
bb) La precedente giurisprudenza considerava più infrazioni come una sola ai sensi dell'
art. 71 cpv. 2 CP
non solo in caso di reato continuato, bensì pure in quello di reato commesso per mestiere. Con la rinuncia alla figura giuridica del reato continuato, è stata lasciata aperta la questione se e a quali condizioni possa essere ammessa un'unità sotto il profilo della prescrizione nel caso in cui l'agente sia ritenuto colpevole - come nella fattispecie - di aver fatto mestiere del reato commesso (
DTF 117 IV 408
consid. 2f/aa). In concreto, ci si deve quindi chiedere se i singoli atti truffaldini rimproverati al ricorrente non siano suscettibili di essere riuniti in una sola entità, con la conseguenza che per tutti gli atti la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui è stato compiuto l'ultimo atto (
art. 71 cpv. 2 CP
).
In dottrina il quesito sollevato non trova una soluzione univoca. Alcuni autori associano l'
art. 71 cpv. 2 CP
unicamente al reato continuato (THORMANN/VON OVERBECK, Schweizerisches Strafgesetzbuch, AT, 1940, pag. 230; ERNST HAFTER, Lehrbuch des schweizerischen Strafrechts, AT, 1946, pag. 348 e 432; PAUL LOGOZ, Commentaire du Code pénal suisse, partie générale, 1976, pag. 389). Altri menzionano invece anche il reato commesso per mestiere quale esempio d'applicazione dell'
art. 71 cpv. 2 CP
(VITAL SCHWANDER, Das schweizerische Strafgesetzbuch, 1964, pag. 220); HANS SCHULTZ, Einführung in den allgemeinen Teil des Strafrechts, I, 1982, pag. 249; JÖRG REHBERG, Strafrecht I, 1996, pag. 285). A sostegno della loro tesi, questi due ultimi autori fanno in particolare riferimento alla
DTF 105 IV 12
, in base alla quale sia il reato continuato sia il reato commesso per mestiere sono cosiddetti reati collettivi ("Kollektivdelikte") che giuridicamente costituiscono una sola entità, di modo che ad entrambi è applicabile l'
art. 71 cpv. 2
BGE 124 IV 59 S. 63
CP
. Per converso, GÜNTHER STRATENWERTH (Schweizerisches Strafrecht, AT I, 1996, pag. 478 seg.) ritiene corretta siffatta conclusione solo qualora siano contemporaneamente realizzati i normali presupposti di un'unità sotto il profilo della prescrizione (v. consid. 3b/aa). Per la dottrina germanica, SCHÖNKE/SCHRÖDER (Strafgesetzbuch, Kommentar, 1997, pag. 691 e 926) considerano che le singole infrazioni mantengono la loro indipendenza e non formano, per il semplice fatto di essere state commesse per mestiere, una sola entità giuridica. A loro avviso, la prescrizione decorre quindi singolarmente da ciascun atto punibile.
Da questi cenni dottrinali (e giurisprudenziali) risulta che l'
art. 71 cpv. 2 CP
è stato prevalentemente associato al reato continuato, nel frattempo abolito (
DTF 120 IV 6
;
DTF 117 IV 408
). Taluni autori evocano pure il reato commesso per mestiere, senza tuttavia fornire particolari motivazioni, salvo quella secondo cui (anche) esso costituisce un cosiddetto reato collettivo ("Kollektivdelikt", "Sammelstraftat"), ovvero una sola entità giuridica, per la quale la prescrizione decorrerebbe dal giorno in cui è stato compiuto l'ultimo atto. Senonché, allorquando il Codice penale fa riferimento alla nozione di mestiere (art. 119 n. 3, 139 n. 2, 146 cpv. 2 CP, ecc.), si tratta di regola di una circostanza aggravante, per la quale è comminata una pena (notevolmente) più rigorosa rispetto al reato non qualificato, ciò che spiega perché in simili casi l'
art. 68 CP
non è di principio applicabile (GÜNTER STRATENWERTH, op.cit., pag. 478; STEFAN TRECHSEL, Schweizerisches Strafgesetzbuch, Kurzkommentar, 1997, n. 35 ad art. 146, n. 10 ad art. 68). L'aggravamento della pena suole tuttavia essere previsto nel "Capo secondo: Della commisurazione della pena" (art. 63 segg. CP) anziché nel "Capo terzo: Della prescrizione" (art. 70 segg. CP) del Codice penale. Ne deriva che il legame creato dalla legge tra i singoli atti punibili con l'istituzione della citata aggravante non concerne la prescrizione, ma, piuttosto, la commisurazione della pena. Secondo la giurisprudenza, la nozione di mestiere dipende principalmente dall'intenzione dell'agente di procurarsi redditi regolari alla stessa stregua di una professione (
DTF 119 IV 129
;
DTF 116 IV 319
). Prevedendo che la pena è della reclusione fino a dieci anni o della detenzione non inferiore a tre mesi se il colpevole fa mestiere della truffa, la legge tiene conto, già a livello di comminatoria legale, della particolare pericolosità sociale così dimostrata dall'agente. In tal senso, l'
art. 146 cpv. 2 CP
non illustra un elemento costitutivo della fattispecie penale in causa, bensì una circostanza suscettibile di portare all'applicazione del quadro più
BGE 124 IV 59 S. 64
rigoroso della pena. L'
art. 146 cpv. 2 CP
costituisce quindi una norma riferita alla commisurazione della pena (cosiddetta "Strafzumessungsregel"), che, in quanto tale, non impone di trattare come una sola entità anche sotto il profilo della prescrizione i singoli atti punibili. Questi ultimi vanno bensì considerati indipendenti gli uni dagli altri (GÜNTER STRATENWERTH, op.cit., pag. 478; SCHÖNKE/SCHRÖDER, op.cit., pag. 926), con la conseguenza che ciascuno di essi si prescrive singolarmente (
art. 71 cpv. 1 CP
).
cc) Da quanto esposto deriva che le infrazioni imputate al ricorrente in connessione alle operazioni immobiliari promosse nel periodo 1976-1985 non sono suscettibili, benché punite nel loro insieme in quanto commesse per mestiere, di costituire una sola entità sotto il profilo della prescrizione. Quest'ultima decorre bensì, dal giorno in cui le singole truffe sono state compiute. Conseguentemente, il gravame va ammesso su questo punto e la causa rinviata all'autorità cantonale affinché si pronunci di nuovo, segnatamente ricommisuri la pena, dopo aver tenuto conto dell'intervenuta prescrizione per le infrazioni precedenti il 22 novembre 1981. | null | nan | it | 1,998 | CH_BGE | CH_BGE_006 | CH | Federation |
d23ae720-0410-44cd-825e-39454bb4b8f9 | Urteilskopf
93 I 566
70. Arrêt de la Ie Cour civile du 14 novembre 1967 dans la cause dame Bergholz-Jeanrenaud contre Vaud, Cour administrative du Tribunal cantonal. | Regeste
Art. 102 OG
Unzulässigkeit neuer Begehren in einer verwaltungsgerichtlichen Beschwerde in Handelsregistersachen (Erw. 4).
Art. 953 Abs. 2 OR
.
Wer ein bestehendes Geschäft übernimmt und die frühere Firma beibehält unter Beifügung eines Hinweises darauf, dass er der Nachfolger ist, kann diese Firma in das Handelsregister eintragen lassen, selbst wenn die frühere Firma nicht eingetragen war (Erw. 1-3). | Sachverhalt
ab Seite 566
BGE 93 I 566 S. 566
A.-
Dame Flory Bergholz-Jeanrenaud est la seule héritière de son père Alexandre Jeanrenaud, décédé le 27 avril 1965, qui exploitait de son vivant une entreprise individuelle de gravure et de vente de timbres en caoutchouc, dans un atelier sis à Lausanne, rue de Bourg 21. Le 30 novembre 1966, elle a requis le préposé au registre du commerce de Lausanne d'inscrire la raison "A. Jeanrenaud, F. Bergholz-Jeanrenaud, successeur" pour l'entreprise du défunt, dont elle continuait l'exploitation. Le préposé au registre du commerce a rejeté cette réquisition.
Il a motivé sa décision en considérant que la raison proposée ne serait admissible que si la raison "A. Jeanrenaud" avait été elle-même inscrite; or tel n'était pas le cas.
Le 3 mars 1967, la Cour administrative du Tribunal cantonal vaudois a rejeté le recours interjeté par dame Bergholz-Jeanrenaud. Elle a fait sien le motif du préposé et relevé en outre que
BGE 93 I 566 S. 567
la désignation "F. Bergholz-Jeanrenaud" n'était pas conforme à l'art. 945 al. 2 CO, aux termes duquel la femme mariée doit ajouter à son nom de famille la mention "Madame" ou au moins un prénom en toutes lettres.
B.-
Dame Bergholz-Jeanrenaud a formé un recours de droit administratif. Elle conclut à l'annulation de la décision attaquée dans la mesure où elle est fondée sur l'art. 953 al. 2 CO et à ce que le préposé au registre du commerce du district de Lausanne admette l'inscription de la raison de commerce "A. Jeanrenaud, Madame F. Bergholz-Jeanrenaud, successeur".
La Cour administrative du Tribunal cantonal n'a pas formulé d'observations et s'est référée aux considérants de sa décision.
Le Département fédéral de justice et police propose de rejeter le recours.
Erwägungen
Considérant en droit:
1.
Selon l'art. 953 al. 2 CO, celui qui reprend une maison existante peut, avec l'autorisation expresse ou tacite de ses prédécesseurs ou de leurs héritiers, maintenir l'ancienne raison de commerce, s'il y apporte une adjonction exprimant qu'il en est le successeur. Le même droit appartient à l'héritier d'une entreprise (HIS, n. 13 ad art. 953 CO). Contrairement à l'avis du préposé et de l'autorité cantonale, il n'est pas nécessaire que la raison ait déjà été inscrite au registre du commerce par le prédécesseur. La lettre de l'art. 953 CO ne l'exige nullement. Et le propriétaire d'une entreprise peut exploiter son affaire sous une raison de commerce sans être inscrit au registre; il le peut même s'il n'a pas l'obligation de s'inscrire; l'art. 934 al. 2 CO lui confère en pareil cas la faculté de requérir l'inscription.
Assurément, le titre trente et unième du Code des obligations (art. 944 ss. CO) ne traite que des raisons de commerce inscrites au registre. De même, la protection que l'art. 956 CO accorde aux raisons de commerce est limitée à celles qui sont inscrites. Mais il n'en résulte pas qu'une raison de commerce dont l'inscription est requise par celui qui reprend une affaire ne puisse être formée selon l'art. 953 CO que si le prédécesseur était lui-même inscrit au registre du commerce. Le but visé par cette disposition légale est de permettre au nouvel exploitant de marquer la continuité entre l'ancienne et la nouvelle raison
BGE 93 I 566 S. 568
de commerce, afin que le changement survenu à la tête de l'entreprise n'entraîne pas une perte de la clientèle. Cet intérêt peut exister, même si l'ancienne raison n'était pas inscrite. Ni le principe de la véracité des raisons de commerce, ni l'intérêt public (art. 944 CO) ne s'opposent à l'indication, en pareil cas, du rapport de succession. Personne n'en déduira que le titulaire antérieur de la raison était déjà inscrit. Du reste, tous ceux qui s'intéressent à la question pourront vérifier la chose en consultant le registre et la Feuille officielle suisse du commerce.
2.
L'autorité cantonale estime que, si la raison reprise n'était pas inscrite au registre du commerce, il serait pratiquement impossible au préposé de vérifier si elle a été formée régulièrement et si la nouvelle teneur est identique à l'ancienne. L'objection n'est pas décisive. Le préposé au registre du commerce est souvent appelé à élucider des faits qui ne ressortent pas des inscriptions déjà opérées. Par exemple, il doit statuer sur l'obligation de requérir, modifier ou radier une inscription, ou encore examiner si la raison dont l'inscription est requise pouvait induire en erreur (art. 940, 941 CO, 63 ORC). Au demeurant, l'art. 953 CO n'oblige pas le préposé à administrer des preuves d'office. S'il a des doutes sur l'usage antérieur de la raison dont le requérant a repris l'affaire, il peut inviter ce requérant à en apporter la preuve.
3.
Dans l'arrêt Meyer-Graber c. Turlin (RO 39 II 38 ss.), le Tribunal fédéral a certes jugé que l'existence réelle d'une entreprise était une condition nécessaire pour que la raison de commerce soit protégée; une maison purement fictive ne possède aucun droit sur la raison sous laquelle elle s'est fait inscrire et ne saurait dès lors transférer à un tiers un droit qu'elle n'a pas. Mais cet arrêt ne subordonne pas le transfert d'une raison à son inscription préalable au registre du commerce. Il est vrai que selon HIS (n. 7 ad 953 CO), la reprise d'une raison en vertu de l'art. 953 al. 2 CO suppose que le prédécesseur du requérant l'ait déjà fait inscrire. Mais cet auteur ne donne aucun motif à l'appui de son affirmation. F. DE STEIGER ne s'explique pas non plus sur ce point; il se borne à écrire que la raison dont le requérant désire le maintien doit avoir été régulièrement formée et être inscrite au registre du commerce; il tient en effet pour exclue la reprise d'une raison que son titulaire a utilisée jusqu'alors au mépris des
BGE 93 I 566 S. 569
prescriptions légales (F. DE STEIGER/FAVEY, Les raisons de commerce en droit suisse, p. 51). Sa remarque ne vise peut-être que les raisons qui n'étaient pas conformes aux prescriptions de la loi ou n'étaient pas inscrites au mépris de l'obligation légale. Elle ne concerne pas nécessairement le chef d'une maison qui n'était pas tenu de s'inscrire. Quoi qu'il en soit, l'opinion exprimée par cet auteur n'est pas motivée non plus.
On ne saurait dès lors interdire à celui qui reprend une maison existante et maintient l'ancienne raison, en y apportant l'adjonction prévue à l'art. 953 al. 2 CO, de faire inscrire cette raison au registre du commerce, même si elle ne l'était pas auparavant.
4.
Aux termes de l'art. 945 al. 1 CO, celui qui est seul à la tête d'une maison de commerce doit prendre comme élément essentiel de la raison son nom de famille avec ou sans prénoms. La femme mariée est en outre tenue d'ajouter à son nom de famille la mention "Madame" ou au moins un prénom en toutes lettres (art. 945 al. 2 CO). La recourante admet expressément que la raison "F. Bergholz-Jeanrenaud" n'est pas conforme à cette exigence légale. Elle précise que si le Tribunal fédéral lui donne raison quant à l'application de l'art. 953 al. 2 CO, elle présentera une nouvelle réquisition conforme à l'art. 945 al. 2 CO. Désirant faire trancher la première question, dame Bergholz-Jeanrenaud a pris dans son recours de droit administratif des conclusions tendant à faire inscrire la raison nouvelle "A. Jeanrenaud, Madame F. Bergholz-Jeanrenaud, successeur".
Selon la jurisprudence du Tribunal fédéral, les conclusions nouvelles présentées dans un recours de droit administratif sont irrecevables (RO 69 I 100 s., 81 I 380, 86 I 121, 134). Or la recourante a abandonné expressément sa réquisition initiale pour lui substituer une conclusion qui renferme un élément nouveau, à savoir la mention "Madame". Dès lors, quand bien même le recours apparaît fondé au regard de l'art. 953 al. 2 CO, il est irrecevable.
Dispositiv
Par ces motifs, le Tribunal fédéral:
Déclare le recours irrecevable. | public_law | nan | fr | 1,967 | CH_BGE | CH_BGE_001 | CH | Federation |
d23e83a7-dd83-44cd-a348-fca6629a650b | Urteilskopf
111 IV 170
42. Auszug aus dem Urteil des Kassationshofes vom 18. September 1985 i.S. B. gegen Generalprokurator des Kantons Bern (Nichtigkeitsbeschwerde) | Regeste
Art. 55 Abs. 2, 91 Abs. 1 SVG;
Art. 138 Abs. 3 VZV
.
Art. 138 Abs. 3 VZV
verbietet den kantonalen Behörden nicht, bei einem Atemlufttestergebnis von weniger als 0,6 Gewichtspromillen eine Blutprobe anzuordnen. Die Anordnung einer Blutprobe ist insbesondere zweckmässig, wenn zwischen der Tat und dem Atemlufttest (Ergebnis 0,55 Gewichtspromille) verhältnismässig lange Zeit verstrichen ist (E. 2). | Erwägungen
ab Seite 170
BGE 111 IV 170 S. 170
Aus den Erwägungen:
2.
Der Beschwerdeführer meint, dass ihm namentlich die Kosten der Blutentnahme und der beiden Gutachten des Gerichtlich - medizinischen Instituts der Universität Bern vom 29. Juli 1983 und vom 22. Januar 1985, jedenfalls aber die Kosten des letzten Gutachtens nicht auferlegt werden durften. Soweit er zur Begründung andeutet, dass das zweite Gutachten vom 22. Januar 1985 unnötig gewesen sei, und behauptet, dass der durch sein Verhalten begründete Verdacht des Fahrens in angetrunkenem Zustand eine diesbezügliche Kostenauflage nicht gerechtfertigt habe, wirft er wiederum Fragen des kantonalen Prozessrechts und allenfalls des Verfassungsrechts auf, über die im Verfahren der eidgenössischen Nichtigkeitsbeschwerde nicht entschieden werden kann. Soweit er auf
Art. 138 Abs. 3 VZV
verweist, wonach von weiteren Untersuchungen abgesehen wird, wenn die mit dem Atemprüfgerät durchgeführte Atemprobe einen Alkoholgehalt von weniger als 0,6 Gew. %o ergibt, ist sein Einwand unbegründet. Wohl ergab der Atemlufttest vorliegend lediglich eine Blutalkoholkonzentration
BGE 111 IV 170 S. 171
von 0,55 Gew. %o.
Art. 138 Abs. 3 VZV
verbietet den kantonalen Behörden indessen nicht, auch bei einem Atemlufttestergebnis von weniger als 0,6 Gew. %o eine Blutprobe anzuordnen. Diese Bestimmung kann trotz ihres Wortlauts ("wird abgesehen") vernünftigerweise nur dahin verstanden werden, dass bei einem Atemlufttestergebnis von weniger als 0,6 Gew. %o von weiteren Untersuchungen (Blutprobe) abgesehen werden kann; sie schreibt aber nicht vor, dass in diesem Fall auf weitere Untersuchungsmassnahmen verzichtet werden muss. Wenn schon die Durchführung des Atemlufttests nach dem Wortlaut von
Art. 138 Abs. 3 VZV
fakultativ ist und somit ohne diese Vorprobe bei Anzeichen von Angetrunkenheit (
Art. 55 Abs. 2 SVG
,
Art. 138 Abs. 2 VZV
) direkt eine Blutprobe angeordnet werden kann, so muss die Anordnung einer Blutprobe auch dann zulässig sein, wenn das Ergebnis des fakultativ durchgeführten Atemlufttests einen Alkoholgehalt von weniger als 0,6 Gew. %o ergibt. Dies muss vor allem dann gelten, wenn zwischen Tat und Atemlufttest verhältnismässig lange Zeit verstrichen ist. Im vorliegenden Fall ergab der Atemlufttest mehrere Stunden nach der Tat einen Blutalkoholgehalt von 0,55 Gew. %o. Die Voraussetzungen für die Anordnung einer Blutprobe waren demnach erfüllt. Die Unzulässigkeit der Auflage der Kosten der Blutprobe und der diesbezüglichen Gutachten kann somit nicht damit begründet werden, dass die Anordnung einer Blutprobe, die gemäss Dienstbefehl 2C erfolgte, bundesrechtswidrig gewesen sei. | null | nan | de | 1,985 | CH_BGE | CH_BGE_006 | CH | Federation |
d23f5d2b-6077-49a0-b5a7-265b58833281 | Urteilskopf
88 II 405
57. Urteil der II. Zivilabteilung vom 22. November 1962 i.S. Bezirksrat Zürich gegen Z. | Regeste
Entmündigung gemäss
Art. 370 ZGB
.
Langjähriges gewohnheitsmässiges Delinquieren stellt lasterhaften Lebenswandel im Sinne von
Art. 370 ZGB
dar.
Sind Grund und Voraussetzungen zu daheriger Bevormundung gegeben, so wird diese durch bereits bestehende strafrechtliche Vorbeugungsmassnahmen - bedingte Entlassung mit Schutzaufsicht, Androhung der Verwahrung - nicht überflüssig gemacht. | Sachverhalt
ab Seite 405
BGE 88 II 405 S. 405
A.-
M. Z., geb. 1924, wurde nach einer harten Jugend in sozial ungünstigen Verhältnissen und sehr mangelhafter Erziehung schon mit 17 Jahren wegen Diebstahls straffällig und kam in eine Erziehungsanstalt (1941), hielt sich in der Folge in keiner Stelle dauernd und zog sich in den Jahren 1943, 1949 und 1950 wegen Eigentumsdelikten kürzere Freiheitsstrafen zu, ferner 1951 in B. wegen Nötigung, Körperverletzung und Freiheitsberaubung, zusammen mit seinem Bruder begangen, sowie Diebstahls 1 3/4 Jahre Gefängnis. Nach einigen Jahren unsteter Betätigung in verschiedenen Branchen folgten 1955 in L. eine neue Gefängnisstrafe von 6 Monaten wegen wiederholten Diebstahls etc., 1958 und 1959 in A. Strafen wegen Verkehrsvergehens und im Dezember 1960 als Nr. 9 des Strafregisters die Verurteilung durch das Obergericht Z. zu 22 Monaten Gefängnis wegen banden- und gewerbsmässigen Diebstahls.
BGE 88 II 405 S. 406
Nach dieser Straftat beantragte die Vormundschaftsbehörde der Stadt Zürich dem Bezirksrat nur die Entmündigung wegen Freiheitsstrafe gemäss
Art. 371 ZGB
und wollte von einer solchen gemäss
Art. 370 ZGB
absehen, unter Androhung mehrjähriger Verwahrung bei neuerlichem Delinquieren. Der Bezirksrat Zürich erachtete jedoch eine Entmündigung wegen lasterhaften Lebenswandels gemäss
Art. 370 ZGB
für begründet und sprach sie aus. Zufolge Opposition des Interdizenden erhob der Bezirksrat Klage auf Bestätigung seiner Massnahme.
Mit Urteil vom 7. Dezember 1961 wies das Bezirksgericht Zürich die Klage ab, ebenso das Obergericht Zürich mit Urteil vom 20. März 1962. Es bejahte einen lasterhaften Lebenswandel und die Führungsbedürftigkeit des Interdizenden und hielt eine Notstands- und Verarmungsgefahr für möglich, war jedoch der Auffassung, es sei dem Schutz- und Führungsbedürfnis des Beklagten bereits hinlänglich Rechnung getragen, da angesichts seiner guten Vorsätze, seines guten Betragens in der Strafanstalt, des günstigen Einflusses der Ehefrau, des ihm durch sie und die Kinder gebotenen Haltes die Rückfallsgefahr geringer geworden sei und er nach bedingter Entlassung mit dreijähriger Probezeit unter Schutzaufsicht gestellt worden sei. Von der Begehung ähnlicher Delikte könnte der Interdizend durch eine Vormundschaft nicht abgehalten werden, denn auch der eifrigste Vormund könne sein Mündel nicht ununterbrochen bewachen. Die Drohung mit der Verwahrungsanstalt werde sich als viel wirksameres Mittel erweisen. Seine leichte Beeinflussbarkeit dürfte sich auch im guten Sinne auswirken; er habe Vertrauen zu seinem Schutzaufsichtsbetreuer gefasst und sich in beruflicher Hinsicht stark eingesetzt. Es sei höchst fraglich, ob ein Vormund mehr ausrichten könnte. Nachdem das Obergericht auch die Entmündigung des weit stärker belasteten Bruders und Mitdelinquenten W. abgelehnt habe, rechtfertige es sich, dem Beklagten nochmals eine Chance zu geben. Wohl bestehe keine völlige Sicherheit,
BGE 88 II 405 S. 407
dass er das in ihn gesetzte Vertrauen nicht missbrauchen werde; doch müsse in einem solchen Zweifelsfall zu seinen Gunsten entschieden werden, zumal keine Anhaltspunkte ersichtlich seien, dass er sich dem Einfiuss des Betreuers zu entziehen trachte oder eine Besserung nur simuliere. Der Beklagte müsse sich auch bewusst sein, dass ihm bei nochmaligem Versagen nicht nur die Entmündigung nach
Art. 370 ZGB
, sondern die mehrjährige Verwahrung drohe.
B.-
Mit der vorliegenden Berufung beantragt der Bezirksrat Zürich, es sei sein Entmündigungsbeschluss zu bestätigen und dem Interdizenden die elterliche Gewalt gegenüber den Kindern zu entziehen. Er hält daran fest, das langdauernde Delinquieren, das auf einer Neigung des Charakters beruhe, stelle lasterhaften Lebenswandel im Sinne des
Art. 370 ZGB
dar, und dieser habe im Zeitpunkt des Entmündigungsbeschlusses des Bezirksrats (3. März 1961) angedauert; der seitherige Verlauf sei unerheblich.
Erwägungen
Das Bundesgericht zieht in Erwägung:
1.
Die Vorinstanzen weichen in der Qualifikation der bisherigen Lebensführung des Interdizenden im Grunde von der Auffassung des Bezirksrates und der Vormundschaftsbehörde nicht wesentlich ab, wohl aber bezüglich der praktischen Zweckmässigkeit und Notwendigkeit der streitigen Massnahme. Als lasterhaft hat nach der Rechtsprechung zu
Art. 370 ZGB
jedes Verhalten zu gelten, das in erheblichem Masse gegen die Rechtsordnung oder die guten Sitten verstösst. Für die Annahme, dass der Lebenswandel lasterhaft sei, genügt eine einzelne Verfehlung nicht, sondern es muss sich um ein fortgesetztes, gewohnheitsmässiges Verhalten der erwähnten Art handeln, von dem anzunehmen ist, dass es auch in Zukunft andauern würde, wenn keine vormundschaftlichen Massnahmen ergriffen würden (
BGE 88 II 402
und dortige Zitate).
Mit einem solchen Falle hat man es hier zu tun. Die zahlreichen Verurteilungen haben nicht vermocht, den Interdizenden dauernd zu bessern, jedenfalls wird dies
BGE 88 II 405 S. 408
durch die letzte, klaglos verlaufene Zeit noch nicht bewiesen. Auch die Entmündigungsvoraussetzungen sind gegeben. Bei weiterem Delinquieren wäre mit neuen Freiheitsstrafen und der Schädigung oder Vernichtung der wirtschaftlichen Existenz zu rechnen. Ein Bedürfnis nach persönlicher Betreuung und Überwachung besteht nicht nur im Interesse der Vermeidung wirtschaftlicher Nachteile, sondern auch im Hinblick auf die Bewahrung der Persönlichkeit vor dem moralischen und sozialen Niedergang. Endlich wurden durch die Vermögensdelikte immer auch Dritte geschädigt.
2.
Die Vorinstanzen lehnen die Entmündigung ab, weil die bereits bestehenden strafrechtlichen Vorbeugungsmassnahmen - Schutzaufsicht und Androhung der Verwahrung - den erwähnten Zwecken genügten und ein Vormund kaum grössere Wirkungsmöglichkeiten hätte, die Bevormundung mithin auf eine Zweispurigkeit der Massnahmen hinausliefe.
Freilich bestand zur Zeit der Einführung des ZGB mit seinem Bevormundungsgrund des Art. 370 das Schweizerische Strafgesetzbuch mit seinen Präventivmassnahmen der Verwahrung, der bedingten Entlassung bei Freiheitsstrafen und der Schutzaufsicht noch nicht. Es fragt sich daher in der Tat, ob diese Massnahmen das Anwendungsgebiet des
Art. 370 ZGB
, soweit dauerndes Delinquieren darunter fällt, eingeschränkt haben. Dies ist indessen zu verneinen. Die Vormundschaft ist in ihren Wirkungen umfassender, ergreift die ganze Persönlichkeit des Mündels und gibt dem Vormund weitgehende Eingriffsmöglichkeiten (
Art. 406, 407, 412 ZGB
). Mit Bezug auf alle Bevormundungsgründe hat die Rechtsprechung immer angenommen, dass bei gegebenen Voraussetzungen die Entmündigung ausgesprochen werden muss, auch wenn die Schutz- und Fürsorgeaufgabe z.B. von Angehörigen aus freien Stücken besorgt wird (
BGE 50 II 437
); die Vormundschaft wird also nicht durch anderweitige Wahrung ihrer Zwecke überflüssig gemacht. Ferner wurde - allerdings mit Bezug auf
BGE 88 II 405 S. 409
die Entmündigung gemäss
Art. 369 ZGB
- wiederholt entschieden, dass bei gegebenem Bevormundungsgrund die Entmündigung auszusprechen ist, selbst wenn diese Massnahme den Geisteszustand ungünstig beeinflussen kann, dass also psychotherapeutische Rücksichten keine Rolle spielen sollen (Urteile vom 24. März 1959 i.S. Bossart, vom 4. April 1959 i.S. Ruf, vom 13. September 1960 i.S. Zürcher). Ebensowenig vermag eine unter der Drohung des Entmündigungsverfahrens eingetretene momentane Besserung eines Interdizenden der Entmündigung (nach
Art. 370 ZGB
) den Boden zu entziehen; und wenn eine Bewährungsfrist als wünschbar erscheint, so ist nicht deswegen die Entmündigung zu unterlassen oder zu verschieben, sondern die Bewährungsprobe ist unter bestehender Vormundschaft zu bestehen (
BGE 86 II 6
,
BGE 85 II 461
; Urteile vom 28. März 1961 i.S. Stierli, vom 14. April 1961 i.S. Schneider). Wenn selbstverständlich in jedem konkreten Fall bei der Beurteilung der Notwendigkeit und Zweckmässigkeit einer Bevormundung das Bestehen strafrechtlicher Präventiv- und Fürsorgemassnahmen berücksichtigt werden kann, so soll doch das zivilrechtliche Institut nicht zu bloss subsidiärer Geltung zurückgedrängt werden. Wie der Bezirksrat zutreffend ausführt, stehen dem Vormund, wenn er seinen Schutzbefohlenen auch nicht vor jedem Rückfall bewahren kann, doch viele Einflussmöglichkeiten zur Verfügung, um die moralische Aufrichtung und soziale Wiedereingliederung des Bevormundeten zu erleichtern und zu fördern. Im vorliegenden Falle hat übrigens die Vormundschaftsbehörde nicht die Bestellung eines überlasteten Amtsvormundes, sondern eines besonders ad hoc ausgesuchten Vormundes in der Person eines ehemaligen Beamten des Fürsorgeamtes in Aussicht genommen, der sowohl die Erfahrung als auch die Zeit zu individueller Betreuung des Mündels haben soll. Auch bleibt grundsätzlich immer noch die Möglichkeit, die Vormundschaft der Ehefrau zu übertragen (vgl. Prof. MERZ in ZSR NF Band 81 I S. 34 ff.). Jedenfalls sind in casu die Konflikte, die aus
BGE 88 II 405 S. 410
einer partiellen Doppelspurigkeit der Massnahmen entstehen könnten, nicht derart, dass die Ordnung des ZGB als zum Teil überholt und überflüssig zurückzutreten hätte. Es ist daher dem Begehren der antragstellenden Behörden stattzugeben und die Bevormundung, für welche die gesetzlichen Voraussetzungen zweifellos gegeben sind, auszusprechen.
Die Bevormundung hat den Entzug der elterlichen Gewalt von Gesetzes wegen zur Folge (
Art. 285 Abs. 1 ZGB
).
Dispositiv
Demnach erkennt das Bundesgericht:
Die Berufung wird gutgeheissen, das angefochtene Urteil aufgehoben und in Bestätigung des Beschlusses des Bezirksrats Zürich vom 3. März 1961 der Berufungsbeklagte wegen lasterhaften Lebenswandels gestützt auf
Art. 370 ZGB
entmündigt und ihm die elterliche Gewalt über seine Kinder ..... entzogen. | public_law | nan | de | 1,962 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
d244d4f3-cf5a-4713-a4da-6ede31b7811a | Urteilskopf
90 III 90
21. Entscheid vom 21. Oktober 1964 i.S. Konkursamt Bern. | Regeste
1. Sachliche Zuständigkeit der Konkursverwaltung. Forderungen, welche die Konkursmasse und Dritte gleichzeitig beanspruchen, können von der Konkursverwaltung nicht durch eine Verfügung als Massagut "erkannt" werden. Eine solche Massnahme ist nichtig.
2. Es ist Sache des Richters zu entscheiden, wer von den Prätendenten Gläubiger der Forderung ist. Gegen wen hat die Konkursmasse zu klagen? | Sachverhalt
ab Seite 90
BGE 90 III 90 S. 90
A.-
Am 13. Juni 1964 starb Simon Eduard Dieboldswyler, Angestellter des statistischen Amtes des Kantons Bern. In der Folge schlugen die gesetzlichen Erben des Verstorbenen, der mehrjährige Sohn Eduard aus erster Ehe sowie die minderjährige Tochter Marianne aus zweiter Ehe, die Erbschaft aus. Über den Nachlass wurde der Konkurs eröffnet.
Dieboldswyler war Mitglied der Sparkasse gewesen, die der Versicherungskasse des bernischen Staatspersonals angeschlossen ist. Am 23. Juni 1964 stellte die Verwaltungskommission der Versicherungskasse fest: Vom gesamten Sparkapital des Verstorbenen von Fr. 34'851.95, Wert 13. September 1964, seien die Einlagen des Staates einschliesslich Zins von Fr. 19'502.35 an die Tochter Marianne allein und die eigenen Einlagen des Versicherten einschliesslich Zins von Fr. 15'349.60 an die Tochter Marianne und den Sohn Eduard je zur Hälfte auszuzahlen.
BGE 90 III 90 S. 91
B.-
Am 4. September 1964 verfügte das Konkursamt Bern als Verwaltung im Konkursnachlass Dieboldswyler gegenüber den beiden gesetzlichen Erben des Verstorbenen:
"a) Die eigenen Einlagen des verstorbenen Herrn S. E. Dieboldswyler in die Sparkasse der Versicherungskasse des bernischen Staatspersonalverbandes inkl. daherige Zinsen werden im Betrage von Fr. 15'349.60 als Massa gut erkannt. Die Staatseinlagen. unseres Wissens ausmachend Fr. 19'502.35, werden gemäss Entscheid der Versicherungskasse der minderjährigen Tochter Marianne Dieboldswyler zukommen.
b) Der Besoldungsnachgenuss gemäss Versicherungsdekret dient einerseits als Übergang von der bisherigen Lohnzahlung zur Rentenzahlung bezw. Auszahlung des Ver icherungsanspruches, sowie anderseits zur Tilgung normaler Kosten, wie sie ein Todesfall mit sich bringt. Es rechtfertigt sich deshalb diesen Nachgenuss im Rahmen des betreibungsrechtlichen Existenzminimums der versicherten Marianne Dieboldswyler auszubezahlen, während die Restanz gemäss nachstehender Berechnung ebenfalls als Massa gut bezeichnet wird:
Total Besoldungsnachgenuss Fr. 3'873.60
Existenzminimum Tochter Marianne
Fr. 307.-- x 3 Fr. 921.--
Massagut Fr. 2'952.60"
C.-
Gegen die Verfügung des Konkursamtes erhoben Marianne und Eduard Dieboldswyler am 16. September 1964 mit Erfolg Beschwerde bei der Aufsichtsbehörde für den Kanton Bern. Die angefochtene Verfügung des Konkursamtes Bern wurde aufgehoben. Nach materieller Prüfung der Streitsache kommt die Aufsichtsbehörde zum Schluss, weder die von Dieboldswyler an die Sparkasse geleisteten Beiträge noch der Besoldungsnachgenuss stellten Erbschaftsaktiven dar, welche die Konkursverwaltung zur Masse ziehen könne.
D.-
Das Konkursamt Bern hat Rekurs an das Bundesgericht ergriffen.
Erwägungen
Die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer zieht in Erwägung:
1.
Gegenstand des Streites sind Forderungen, die durch den Tod des Simon Eduard Dieboldswyler gegenüber der Versicherungskasse des bernischen Staatspersonals und
BGE 90 III 90 S. 92
gegenüber dem Kanton Bern als ehemaligem Arbeitgeber Dieboldswylers entstanden sind. Die Konkursmasse Nachlass Dieboldswyler und die gesetzlichen Erben des Verstorbenen beanspruchen nämlich einen Teil der Forderungen gleichzeitig, und zwar Einlagen an die Versicherungskasse von Fr. 15'349.60 und Fr. 2952.60 Besoldungsnachgenuss; beide Parteien berufen sich auf ihre Eigenschaft als Gläubiger. Das rekurrierende Konkursamt hat zu Unrecht versucht, diesen Streit mit der Verfügung vom 4. September 1964 zu beenden. Denn es ist alleine Sache des Richters zu entscheiden, wer von den Prätendenten Gläubiger der Forderungen ist. Das Konkursamt hat, wenn es auf seinen Ansprüchen beharrt, entweder gegen die Versicherungskasse und den Kanton Bern einen Prozess zu eröffnen oder - falls diese Schuldner den streitigen Betrag gemäss
Art. 168 Abs. 1 OR
hinterlegen - gegen die andern Prätendenten gerichtlich vorzugehen (vgl.
BGE 70 III 36
ff.,
BGE 76 III 10
/11 und
BGE 87 III 16
). Die Verfügung vom 4. September 1964, mit der die umstrittenen Forderungen als Massagut "erkannt" werden, ist als eine ausserhalb des Bereiches der Amtsbefugnisse getroffene Massnahme nichtig und von Amtes wegen aufzuheben (vgl.
BGE 50 III 3
/4,
BGE 52 III 11
und
BGE 76 III 49
/50).
2.
Sollten die umstrittenen Forderungen teilweise schon an die Konkursmasse ausbezahlt worden sein - dies scheint aus den Akten für den Besoldungsnachgenuss hervorzugehen - so können die gesetzlichen Erben, sofern die Schuldner nicht mit befreiender Wirkung bezahlt haben, ihre Ansprüche gegen die Versicherungskasse und den Kanton Bern geltend machen. Es bleibt ihnen aber unbenommen, sich die Rechte der Schuldner gegen die Konkursmasse abtreten zu lassen, und gegen die Masse direkt vorzugehen. Auch in diesem Falle ist kein Raum für Entscheidungen des Konkursverwalters und der Aufsichtsbehörden; nur der Richter hat die gegen die Konkursmasse gerichteten Forderungen zu beurteilen (vgl.
BGE 75 III 23
und 59).
BGE 90 III 90 S. 93
3.
Der Entscheid der Vorinstanz, die angefochtene Verfügung des Konkursamtes sei aufzuheben, ist im Ergebnis richtig. Somit ist der Rekurs abzuweisen. Nur hätte sich die Aufsichtsbehörde auf den Streit um die Zugehörigkeit der Ansprüche gegen die Versicherungskasse und den Kanton Bern nicht einlassen sollen. Ihre Erwägungen sind - obwohl sie zutreffend erscheinen - auch nicht als Weisungen an das rekurrierende Amt aufrechtzuerhalten (vgl.
BGE 87 III 19
-22). Die Gläubiger der Konkursmasse Nachlass Dieboldswyler müssen über das weitere Schicksal der Ansprüche frei beschliessen können.
Dispositiv
Demnach erkennt die Schuldbetr.- u. Konkurskammer:
Der Rekurs wird abgewiesen. | null | nan | de | 1,964 | CH_BGE | CH_BGE_005 | CH | Federation |
d248fea7-ebdf-4c1b-b99f-93ebede2cd4d | Urteilskopf
96 I 297
49. Auszug aus dem Urteil vom 16. September 1970 i.S. Denner AG gegen Schweiz. Bierbrauerverein und Mitbeteiligte und Obergericht des Kantons Zürich. | Regeste
Kartellgesetz, Preisbindung der zweiten Hand, vorsorgliche Massnahme, Willkür.
Zulässigkeit der staatsrechtlichen Beschwerde wegen Verletzung des
Art. 4 BV
gegen den Entscheid, mit dem der Richter vorsorgliche Massnahmen gemäss
Art. 10 KG
anordnet (Erw. 1).
Kognition des Bundesgerichts (Erw. 2).
Beweislastverteilung im kantonalen Verfahren (Erw. 3).
Verfügung, welche die Bierbrauereien für die Dauer des ordentlichen Prozesses zur Belieferung eines Discountgeschäfts, dieses aber zur Einhaltung eines bestimmten (unter dem bisher vom Bierkartell festgesetzten Ansatzliegenden) Detailverkaufspreises von Flaschenbier verpflichtet. Voraussetzungen solcher Preisbindung der zweiten Hand nach
Art. 5 lit. e KG
. Überprüfung unter dem beschränkten Gesichtswinkel des
Art. 4 BV
. | Sachverhalt
ab Seite 298
BGE 96 I 297 S. 298
Aus dem Tatbestand:
A.-
Die Denner AG betreibt in Zürich und andern Orten herkömmliche Läden und Discountgeschäfte, in denen sie auch Flaschenlagerbier in 6 dl Mehrwegflaschen verkaufte, die sie zum Teil von der Löwenbräu Zürich AG und von der Brauerei A. Hürlimann AG bezog. Diese Brauereien sind Mitglieder des Schweizerischen Bierbrauervereins, dem mit drei Ausnahmen sämtliche schweizerischen Brauereien beigetreten sind. Seine Mitglieder haben durch eine Konvention eine Marktordnung geschaffen, durch die u.a. für die Zwischen- und Letztverteilerstellen bestimmte Mindestverkaufspreise für Lagerbier in Mehrwegflaschen festgesetzt wurden. Auf den festgesetzten Preisen dürfen noch die üblichen Rabatte und Rückvergütungen gewährt werden. Jede Vertragsbrauerei hat dafür zu sorgen, dass ihre Abnehmer die festgesetzten Verkaufspreise einhalten (Veröffentlichungen der Schweizerischen Kartellkommission 1966, S. 99). Kunden, die die vorgeschriebenen Detailverkaufspreise nicht beachten, sind mit einer Liefersperre zu belegen. Auf den Fakturaformularen der Brauereien ist vermerkt, dass die Lieferung zu den in Rechnung gestellten Engrospreisen den Kunden verpflichtet, die geltenden Minimalverkaufspreise einzuhalten.
Gemäss Preisliste der Brauereidistriktverbände im Raume Zürich von Ende Mai 1967 beträgt der Detailverkaufspreis der 6 dl Flasche zur Zeit 70 Rappen, der Engrospreis 50 Rappen mit 2% Skonto bei Bezahlung innert 15 Tagen.
Als die Denner AG in der Presse ankündigte, sie werde künftig in ihren Discountgeschäften die Flasche Lagerbier zu 50 Rappen verkaufen, wurden ihre bei der Löwenbräu Zürich AG und der Brauerei A. Hürlimann AG aufgegebenen
BGE 96 I 297 S. 299
Bestellungen nicht mehr ausgeführt und weitere Lieferungen abgelehnt. Ausserdem teilten die beiden und weitere Brauereien der Denner AG mit, dass sie ihr eine in frühern Jahren gewährte Rückvergütung nicht mehr weiter zubilligen würden.
B.-
Auf Begehren der Denner AG verfügte der Einzelrichter im summarischen Verfahren des Bezirkes Zürich am 10. Dezember 1969, gestützt auf Art. 10 des Bundesgesetzes über Kartelle und ähnliche Organisationen vom 20. Dezember 1962 (KG, AS 1964, 53), unter Androhung der Straffolgen nach
Art. 292 StGB
, der Schweizerische Bierbrauerverein habe die gegen die Denner AG verhängte Liefersperre zu widerrufen und die ihm angeschlossenen Brauereien anzuweisen, der Denner AG und ihren Verkaufsstellen das von ihr bestellte Lagerbier zu liefern, sofern dessen Endverkaufspreis den bisherigen Endverkaufspreis der Discountgeschäfte nicht unterschreite. Der Löwenbräu Zürich AG und der Brauerei A. Hürlimann AG verbot er in gleicher Weise, sich an der Liefersperre gegen die Denner AG zu beteiligen und verhielt sie, ihr und ihren Verkaufsstellen das bestellte Lagerbier zu liefern, sofern der bisherige Endverkaufspreis der Discountgeschäfte nicht unterschritten werde. Der Denner AG wurde Frist zur Einreichung der Klage angesetzt. Ihre weitergehenden Begehren wies er ab.
Der Schweizerische Bierbrauerverein und die beiden Brauereien (nachfolgend Brauereien genannt) verlangten beim Obergericht des Kantons Zürich die Aufhebung der Verfügung; eventuell sei die Gesuchstellerin anzuweisen, einen Endverkaufspreis von 60 Rappen pro 6 dl Retourflasche einzuhalten. Das Obergericht hiess den Rekurs am 21. April 1970 teilweise gut, indem es die Brauereien verhielt der Denner AG und ihren Verkaufsstellen Lagerbier in 6/10 Mehrwegflaschen zu liefern, sofern der Endverkaufspreis in Discountgeschäften 60 Rappen nicht unterschreite, ebenfalls unter Androhung der Straffolgen nach
Art. 292 StGB
im Widerhandlungsfall.
C.-
Gegen diesen Entscheid des Obergerichts hat die Denner AG staatsrechtliche Beschwerde erhoben. Sie wirft dem Obergericht willkürliche Anwendung des KG und Verletzung des
Art. 31 BV
vor.
D.-
Der Schweizerische Bierbrauerverein und die beiden angeschlossenen Brauereien beantragen Nichteintreten, eventuell Abweisung der Beschwerde unter Kostenfolge. Das Obergericht des Kantons Zürich hat auf Vernehmlassung verzichtet.
BGE 96 I 297 S. 300
Erwägungen
Das Bundesgericht zieht in Erwägung:
1.
Nach
Art. 10 KG
verfügt der Richter auf Antrag einer Partei zum Schutze von Ansprüchen aus unzulässiger Wettbewerbsbehinderung vorsorgliche Massnahmen, wobei Art. 9-12 des Bundesgesetzes vom 30. September 1943 über den unlautern Wettbewerb (UWG) sinngemäss anwendbar sind. Es handelt sich bei diesem Verfahren um ein zivilprozessuales Mittel des Bundesrechts zur provisorischen Sicherung privater Ansprüche (SCHÜRMANN, Bundesgesetz über Kartelle und ähnliche Organisationen S. 111). Obwohl die Kantone die Verfahrensart und die zuständigen Gerichte zu bezeichnen haben, ist das Verfahren um Anordnung vorsorglicher Massnahmen vor Anhebung des Hauptprozesses ein selbständiges bundesrechtliches Verfahren. Der Entscheid, der es abschliesst, ist daher ein Endentscheid und nicht ein blosser Zwischenentscheid, gegen den die staatsrechtliche Beschwerde wegen Verletzung von
Art. 4 BV
nur bei Vorliegen eines nicht wiedergutzumachenden Nachteils zulässig wäre. Daran ändert nichts, dass die vorsorgliche Massnahme dahinfällt, wenn der Richter sie im Hauptprozess abändert oder aufhebt, falls die Verhältnisse sich geändert haben (VON BÜREN, Kommentar zum UWG S. 208 N. 19) und dass zwischen dem Verfahren um Erlass vorsorglicher Verfügungen und dem Hauptprozess ein Zusammenhang besteht. Beide bilden ihrem Gegenstand nach noch nicht eine Einheit, so dass nicht vom gleichen Verfahren gesprochen werden kann, was dem abschliessenden Entscheid im Verfahren über vorsorgliche Massnahmen den Charakter des Endentscheides nehmen würde (
BGE 94 I 369
). Sofern der Richter im Hauptprozess keine Änderung verfügt, bleibt es bei der vorsorglichen Massnahme, und wird die Klage abgewiesen, so hat sie in der Zwischenzeit dennoch ihre Wirksamkeit entfaltet. Das rechtfertigt die selbständige Anfechtbarkeit der Verfügungen nach
Art. 10 KG
durch staatsrechtliche Beschwerde.
2.
Die Verletzung von
Art. 31 BV
erblickt die Beschwerdeführerin einzig in der willkürlichen Auslegung und Anwendung des KG durch das Obergericht; diese führe zu einer unzulässigen Einschränkung der Handels- und Gewerbefreiheit. Der Vorwurf, der angefochtene Entscheid missachte
Art. 31 BV
, fällt deshalb mit demjenigen der Willkür zusammen. Dass die Bestimmungen des KG, mit denen das Obergericht seinen Entscheid
BGE 96 I 297 S. 301
begründete, selber gegen die Handels- und Gewerbefreiheit verstossen würden, behauptet die Beschwerdeführerin nicht. Ein solcher Vorwurf wäre übrigens unbehelflich, da das Bundesgericht gemäss
Art. 113 BV
die Verfassungsmässigkeit der Bundesgesetze nicht überprüfen darf.
Willkür liegt nach der Rechtsprechung (
BGE 93 I 6
/7 und dort angeführte frühere Urteile) nur vor, wenn ein Entscheid nicht bloss unrichtig, sondern schlechthin unhaltbar ist. Nur unter diesem beschränkten Gesichtswinkel können vorsorgliche Massnahmen, deren Erlass im übrigen in die ausschliessliche Zuständigkeit der von den Kantonen bezeichneten Behörden fällt, vom Bundesgericht überprüft werden. Dabei ergibt sich eine zusätzliche Beschränkung noch daraus, dass im Verfahren betreffend Anordnung vorsorglicher Massnahmen der streitige Anspruch und seine Gefährdung nur glaubhaft zu machen sind, der Richter sich also mit dem Eindruck einer gewissen Wahrscheinlichkeit für das Vorhandensein der in Frage kommenden Tatsachen sowie mit einer bloss summarischen Prüfung der Rechtsfragen begnügen darf (vgl.
BGE 88 I 14
/15).
3.
Im Verfahren nach
Art. 10 KG
hat der Gesuchsteller glaubhaft zu machen, dass er durch die ihm gegenüber angewandten Massnahmen eines Kartells oder einer ähnlichen Organisation in unzulässiger Weise im Wettbewerb beschränkt wird und dass ihm infolgedessen ein nicht leicht ersetzbarer Nachteil droht, der nur durch eine vorsorgliche Massnahme abgewendet werden kann. Dagegen liegt ihm nicht ob, glaubhaft zu machen, dass keiner der in
Art. 5 KG
genannten Rechtfertigungsgründe für die wettbewerbsbehindernden Massnahmen gegeben ist (MERZ, Das schweizerische Kartellgesetz S. 74). Dass ein Rechtfertigungsgrund im Sinne von
Art. 5 KG
vorliegt, hat im Hauptprozess die Gegenpartei darzutun (
BGE 94 II 339
E. 5 a). Im Verfahren über die Anordnung vorläufiger Massnahmen kann es nicht anders sein. Die Gegenpartei hat deshalb das Vorhandensein der Tatsachen glaubhaft zu machen, die eine Wettbewerbsbeschränkung rechtfertigen. Da die Tatsachen nur glaubhaft zu machen, nicht zu beweisen sind, ist über ihren Bestand kein erschöpfendes Beweisverfahren durchzuführen. Ihre abschliessende Beurteilung ist erst im Hauptprozess möglich. Das ist von Bedeutung vor allem hinsichtlich der Tatsachen, die sich erst in der Zukunft möglicherweise oder wahrscheinlich oder mit Sicherheit als Folge der Ergreifung oder Unterlassung wettbewerbsbeschränkender
BGE 96 I 297 S. 302
Massnahmen einstellen werden. Für die Würdigung der bezüglichen Verhältnisse verbleibt dem Massnahmenrichter daher ein weiter Spielraum.
4.
a) Es ist unbestritten, dass die von den Brauereien der Beschwerdeführerin gegenüber verhängte Liefersperre eine Wettbewerbsbehinderung im Sinne von
Art. 4 KG
darstellt. Auch die Erheblichkeit der Behinderung ist zu bejahen, weil Liefersperren in der Regel eine erhebliche Wettbewerbsbehinderung darstellen, denn sie sind immer geeignet, das wirschaftliche Verhalten des Betroffenen zu beeinflussen (
BGE 94 II 337
E. 3; SCHLUEP, Von der Kontrahierungspflicht der kartellähnlichen Organisation, Wirtschaft und Recht 1969, S. 207). Die Beschwerdegegner bestreiten auch nicht, dass der Beschwerdeführerin ein nicht leicht ersetzbarer Nachteil droht, der nur durch eine vorsorgliche Massnahme abgewendet werden kann. Nicht von Bedeutung ist, dass die Beschwerdeführerin bereits bestelltes Bier, über dessen Lieferung eventuell ein gültiger Vertragsschluss zustandegekommen ist, auf Grund des vertraglichen Anspruchs noch anfordern könnte. Es ist unstreitig, dass die Liefersperre sich auch auf künftige Bestellungen bezieht. In diesem Sinne ist die Verfügung des Einzelrichters, wonach die Brauereien bestelltes Bier zu liefern hätten, zu verstehen. Streitig ist einzig noch, ob die Wettbewerbsbehinderung deswegen rechtmässig ist, weil sie mit einem der in
Art. 5 KG
genannten Rechtfertigungstatbestände begründet werden kann. Wettbewerbsbehinderungen sind danach zulässig, wenn die Vorkehren durch überwiegende schutzwürdige Interessen gerechtfertigt sind und sie die Freiheit des Wettbewerbs im Verhältnis zum angestrebten Ziel sowie nach Art und Durchführung nicht übermässig beeinträchtigen. Abs. 2 zählt, ohne vollständig sein zu wollen, einzelne Fälle von überwiegenden schutzwürdigen Interessen auf. Von ihnen hat das Obergericht nur den Rechtfertigungsgrund nach lit. e gelten lassen. Mit Recht geht es davon aus, dass das KG Wettbewerbsbeschränkungen zur Durchsetzung von Preisbindungen der zweiten Hand grundsätzlich zulässt. Das bringt der in den parlamentarischen Verhandlungen umstrittene
Art. 5 Abs. 2 lit. e KG
unmissverständlich zum Ausdruck. Immerhin kann nicht jede Preisbindung der zweiten Hand mittels Wettbewerbsbeschränkungen gegenüber Aussenseitern durchgesetzt werden. Sie hat im Gegenteil gewissen Erfordernissen zu entsprechen.
BGE 96 I 297 S. 303
Abgesehen von der in Abs. 1 enthaltenen allgemeinen Einschränkung, muss sie in erster Linie angemessen sein. Darunter ist zu verstehen, dass die Gewinnmarge des Detaillisten, der durch die Preisbindung geschützt werden soll, nicht übersetzt (MERZ, a.a.O. S. 67, MATILE, Problèmes du droit suisse des cartels, ZSR 1970 II S. 234 ff.) oder (SCHÜRMANN, a.a.O. S. 96) wenigstens nicht extrem, offensichtlich unangemessen und unbillig ist. Sodann hat die Preisbindung durch weitere Gründe, wie z.B. die Sorge für den Kundendienst oder die Wahrung der Qualität ihre Rechtfertigung zu finden (so zutreffend MERZ, a.a.O. S. 67 gegen SCHÜRMANN, a.a.O. S. 97). Als Rechtfertigungsgründe für eine zu Kampfmassnahmen berechtigende Preisbindung der zweiten Hand kommen ausserdem die in Art. 5 Abs. 2 lit. a-d genannten Interessen in Betracht; das ist der Sinn des zweiten Halbsatzes von
Art. 52 lit. e KG
(SCHÜRMANN, a.a.O., MATTMANN, Die Preisbindung der zweiten Hand nach dem Schweizerischen Kartellgesetz, Diss. 1970, S. 60 ff.). Schliesslich darf die Massnahme zur Durchsetzung der Preisbindung den Betroffenen im Verhältnis zum angestrebten Ziel sowie nach Art und Durchführung nicht übermässig beeinträchtigen (
Art. 5 Abs. 1 KG
,
BGE 91 II 37
E. 4 c). Die Beschwerdeführerin macht in letzterer Hinsicht nicht geltend, dass eine Liefersperre ihr gegenüber unverhältnismässig sei. Eine solche Einwendung wäre auch nicht begründet (dazu zuletzt MATILE, a.a.O. S. 250 ff.).
b) Das Obergericht ist der Auffassung, dass allein die Tatsache, dass es sich beim Bier regelmässig um einen Markenartikel handelt, eine Preisbindung der zweiten Hand, die durch Wettbewerbsbeschränkungen gesichert werden könne, rechtfertige, da der gleichbleibende Preis in den Augen vieler Käufer auch eine gleichbleibende Qualität garantiere. Die Beschwerdeführerin hält diese Auffassung für willkürlich. Ob heute, nachdem die Preisbindung zweiter Hand für zahlreiche Markenartikel hinfällig geworden ist und vor allem in Discountgeschäften Markenartikel zu teilweise erheblich tiefern Preisen verkauft werden als in herkömmlichen Geschäften, die Meinung des Obergerichts noch zutrifft, kann indessen offen bleiben. Die Rechtfertigung der Preisbindung hat es nämlich in erster Linie bejaht, weil sie zur Gewährleistung des Kundendienstes beitrage. Was unter Kundendienst zu verstehen sei, ergibt sich aus dem KG nicht ausdrücklich und in den Kreisen der Wirtschaft
BGE 96 I 297 S. 304
scheinen darüber keine einhelligen Meinungen zu herrschen (MATTMANN, a.a.O. S. 64). Es wird in erster Linie darunter zu verstehen sein, dass der Verkäufer einer Ware mit oder nach dem Verkauf gewisse zusätzliche Leistungen, die sich auf die Ware selbst beziehen, erbringt, wie Beratung, Verpackung, Instruktion, Hauslieferung, nachträgliche Wartung usw. Das Obergericht hat unter Kundendienst auch die Möglichkeit verstanden, dass den Kunden die Gelegenheit zu bequemem Einkauf durch dezentralisierte Einkaufsmöglichkeiten geboten wird. Diese Auffassung ist jedenfalls nicht völlig unhaltbar. Die Möglichkeit, Genussmittel bequem in der Nähe seiner Wohnstätte einkaufen zu können, fällt für den Kaufsentschluss des Kunden offensichtlich ins Gewicht. Das trifft vor allem dann zu, wenn er nur geringe Mengen, z.B. eine oder einige wenige Flaschen, kaufen möchte. Er wird dann vermutlich den Weg zu einem möglicherweise in beträchtlicher Entfernung liegenden Discountgeschäft scheuen und auf den Kauf der Ware unter Umständen verzichten. Das Interesse der Kunden an der Gewährleistung eines Kundendienstes in diesem Sinne durch Aufrechterhaltung eines weitgestreuten Netzes von Detailverkaufsstellen kann deshalb nicht von vornherein als unmassgeblich abgetan werden. So hat z.B. die Kartellkommission angenommen, die Aufrechterhaltung einer genügenden örtlichen Streuung der Apotheken liege im Interesse des Patienten und bilde einen Faktor für die Anerkennung der Preisbindung zweiter Hand (Veröffentlichungen der Schweizerischen Kartellkommission 1966, S. 286). Als vertretbar erscheint aber auch die Annahme, falls die Beschwerdeführerin durch massive Unterbietung die herkömmlichen Detailverkaufsstellen erheblich konkurrenziert und ihnen einen Teil des Umsatzes wegnimmt, so werde dieses Verteilernetz in seinem gegenwärtigen Bestand gefährdet, weil bei der gedrückten Marge für den einen oder andern Depositär der Bierverkauf nicht mehr lohnend ist. Wie eine Aufgabe der Preisbindung der zweiten Hand in dieser Hinsicht sich auswirken wird, ist nicht leicht voraussehbar und kann mit Gewissheit nur auf Grund von eingehenden Untersuchungen ermittelt werden, wofür in einem Verfahren nach
Art. 10 KG
kein Raum ist. Jedenfalls ist es nicht völlig unhaltbar, wenn das Obergericht die von ihm geschilderten Folgen erwartet.
Damit fällt auch der Einwand der Beschwerdeführerin dahin,
BGE 96 I 297 S. 305
die Beschwerdegegner würden überhaupt kein eigenes Interesse an der Preisbindung verfechten, sondern bloss dasjenige der Detaillisten, da durch die Belieferung der Beschwerdeführerin der Bierumsatz im Ganzen eher gesteigert werde. Ob das zutrifft, kann zuverlässig wiederum nur durch eingehende Untersuchungen ermittelt werden. Solange das nicht geschehen ist, kann jedenfalls ohne Willkür angenommen werden, dass die Brauereien an der Aufrechterhaltung des weitgespannten Verteilernetzes direkt interessiert sind, weil bequeme Einkaufsmöglichkeiten für die Kunden auf die Dauer vermutlich den Umsatz steigern helfen.
c) Ebenso ist es nicht völlig unhaltbar, anzunehmen, die Qualität des Bieres könne unter Umständen nicht mehr gehalten werden, wenn die Preise auf dem Biermarkt zufolge des Verhaltens der Beschwerdeführerin zusammenbrechen sollten. Es ist nicht ausgeschlossen, dass die übrigen Detaillisten, wenn sie, um konkurrenzfähig zu bleiben, den Verkaufspreis ebenfalls senken müssen, eine angemessene Gewinnmarge dadurch zu erreichen suchen, dass sie auf die Engrospreise drücken. Zwar mag es fraglich erscheinen, ob einem solchen Unterfangen der angestrebte Erfolg beschieden wäre, weil eine Senkung des Engrospreises zu einer weitern Herabsetzung der Verkaufspreise bei der Beschwerdeführerin führen könnte, so dass sich schliesslich die frühere Situation wiederherstellte. Allein es ist nicht abwegig, anzunehmen, dass dieser Ausweg dennoch beschritten würde. Damit, dass durch Aufgabe der Preisbindung zweiter Hand schliesslich ein Druck auf die Herstellerpreise erfolgen und dieser zu einer Leistungsverschlechterung führen könnte, rechnet auch die Kartellkomission (Veröffentlichungen 1966, S. 281). Es darf deshalb ohne Willkür davon ausgegangen werden, dass die Brauereien versuchen würden, einen Druck auf die Engrospreise mit einer Verschlechterung der Bierqualität wettzumachen. Die Beschwerdeführerin wendet ein, dass einem solchen Vorgehen die Lebensmittelgesetzgebung entgegenstehe. Allein die Lebensmittelgesetzgebung (Art. 377 ff. der Lebensmittelverordnung, BS 4, 575) enthält nur Minimalvorschriften inbezug auf die Qualität und die Beschwerdeführerin behauptet nicht, dass die Brauereien jetzt schon nur Bier herstellen, das lediglich den Minimalanforderungen genüge, so dass eine Qualitätsverschlechterung auch bei Preisdruck gar nicht möglich sei.
BGE 96 I 297 S. 306
d) Erweisen sich die Erwägungen über die besondern Gründe, die zur Rechtfertigung der Preisbindung der zweiten Hand führen, als vertretbar, verbleibt die Prüfung der Frage ihrer Angemessenheit. Das Obergericht hält die Preisbindung wahrscheinlich für angemessen, soweit der Detailverkaufspreis der Mehrwegflasche 60 Rappen nicht übersteigt. Es ergibt sich dabei für den Wiederverkäufer bei einem Engrospreis von 50 Rappen und unter Berücksichtigung des Skontos von zwei Prozent eine Gewinnmarge von 11 Rappen pro Flasche. Die Beschwerdeführerin wendet dagegen ein, dass sie zufolge ihrer günstigeren Kostenstruktur mit einer erheblich geringeren Marge auskommen könne. Die Annahme des Obergerichts, bei der Beurteilung der Angemessenheit einer Marge könne nicht auf die am günstigsten arbeitende Unternehmung abgestellt werden, sondern es sei kalkulatorisch auch auf schwächere Betriebe Rücksicht zu nehmen, ist jedoch nicht völlig unhaltbar. Die Preisbindung zweiter Hand, deren Zulässigkeit, wie dargelegt, grundsätzlich vom Gesetzgeber anerkannt ist, verfolgt gerade den Zweck, auch weniger günstig arbeitenden Betrieben eine Gewinmöglichkeit offen zu halten. Die Preisbindung der zweiten Hand wäre weitgehend überflüssig, wenn nur die Margen der unter optimalen Bedingungen wirtschaftenden Unternehmen als angemessen anerkannt würden. Ob es dabei zulässig wäre, auf die Verhältnisse von ganz unrationell arbeitenden Unternehmungen abzustellen, mag dahingestellt bleiben, da die Beschwerdeführerin nicht behauptet, ein Engrospreis von 60 Rappen gehe hievon aus (vgl. zur Problematik MATILE, a.a.O. S. 238).
Sodann ist die Auffassung nicht willkürlich, die Margenverhältnisse im Biergeschäft könnten wahrscheinlich als angemessen gelten, weil die Kartellkommission bezüglich dieser Verhältnisse noch keine Sonderuntersuchung im Sinne von
Art. 20 KG
durchgeführt habe. Zwar decken sich die Begriffe der Angemessenheit der Preisbindung der zweiten Hand nach
Art. 5 KG
und der Begriff der volkswirtschaftlich oder sozial schädlichen Auswirkung von Kartellen im Sinne von
Art. 20 Abs. 1 KG
, die allein Anlass zu einer Sonderuntersuchung geben können, nicht. Eine Preisbindung kann unangemessen sein, ohne volkswirtschaftlich oder sozial schädliche Auswirkungen zu haben, z.B. weil dem kartellierten Gewerbszweig keine erhebliche wirtschaftliche oder soziale Bedeutung zukommt
BGE 96 I 297 S. 307
(SCHÜRMANN, Die Durchführung des Kartellgesetzes, Wirtschaft und Recht 1969, S. 75; Veröffentlichungen der Schweizerischen Kartellkommission 1970, S. 4 unten). Beim Biermarkt ist angesichts seiner Bedeutung eine unangemessene Preisbindung volkswirtschaftlich wohl eher als schädlich zu betrachten. Nachdem eine Sonderuntersuchung durch die zuständige Stelle nicht angeordnet wurde, obwohl die Margenverhältnisse durch den Bericht der Kartellkommission über die Wettbewerbsverhältnisse auf dem Bier- sowie dem Mineral- und Süssgetränkemarkt vom 11. März 1966 bekannt waren, darf ohne Willkür der Schluss gezogen werden, dass die zuständigen Behörden sie jedenfalls nicht als offensichtlich unangemessen betrachteten. Es ist auch nicht abwegig, wenn das Obergericht zur Stützung seiner Auffassung berücksichtigte, dass die Beschwerdeführerin das unter einer Eigenmarke verkaufte Flaschenbier ebenfalls zu 60 Rappen abgab. Zu Unrecht wendet diese ein, der Preis von 60 Rappen habe nur für die herkömmlichen Dennerläden gegolten, nicht aber für ihre Discountgeschäfte. Sie anerkennt damit indirekt, dass in herkömmlichen Läden ein Verkaufspreis von 60 Rappen aus Rentabilitätsgründen angezeigt erscheint. Dass sie nun in ihren Discountgeschäften mit einer wesentlich niedrigern Marge auskommen kann, ändert darum nichts, weil, wie ausgeführt, die Preisbindung zweiter Hand gerade darauf ausgerichtet ist, auch den herkömmlichen Geschäftsbetrieben eine bestimmte Marge zu sichern. Dass die Discountgeschäfte als neue Betriebsform des Detailhandels mit einer geringern Marge auskommen können, vermag nicht von vornherein die Preisbindung der zweiten Hand als nicht mehr schutzwürdig erscheinen zu lassen. Der Schluss, die Preisbindung beim Verkaufspreis von 60 Rappen sei wahrscheinlich angemessen, erweist sich deshalb, soweit sie in einem Verfahren nach
Art. 10 KG
getroffen wurde, nicht als willkürlich. Die genauere Abklärung der Angemessenheit muss dem Hauptprozess vorbehalten bleiben.
Dispositiv
Demnach erkennt das Bundesgericht:
Die Beschwerde wird abgewiesen, soweit darauf einzutreten ist. | public_law | nan | de | 1,970 | CH_BGE | CH_BGE_001 | CH | Federation |
d24d8fce-04ac-43c2-af00-857e85d902ea | Urteilskopf
98 IV 199
37. Auszug aus dem Urteil des Kassationshofes vom 18. August 1972 i.S. Staatsanwaltschaft des Kantons Zürich gegen X. | Regeste
Art. 191 StGB
.
Nachfolgende Eheschliessung zwischen Täter und Opfer bildet keinen Strafbefreiungsgrund. | Sachverhalt
ab Seite 199
BGE 98 IV 199 S. 199
A.-
X, geboren 1945, knüpfte im September 1970 ein Freundschaftsverhältnis mit der am 26. August 1955 geborenen Y. an. Die beiden verliebten sich ernsthaft. Als die Mutter des Mädchens anfangs Februar 1971 gegen diese Verbindung auftrat, flüchteten die jungen Leute zusammen nach Frankreich. Dort kam es in der Zeit vom 6. bis 9. Februar 1971 zwischen ihnen dreimal zum Geschlechtsverkehr. Nach der Rückkehr in die Schweiz unterhielten sie weiterhin intime Beziehungen. Am 11. oder 12. Februar hatten sie in Solothurn, am 22./23. Februar in Winterthur und während der Osterfeiertage 1971 im Tessin Geschlechtsverkehr. In der Zeit zwischen dem 14. und 19. Februar 1971 betastete X. das Mädchen anlässlich von gemeinsamen Übernachtungen in Solothurn, Zürich und Basel drei- bis viermal an den nackten Brüsten. Das Mädchen war mit allen beschriebenen Handlungen einverstanden.
Am 21. Oktober 1971 heiratete X. das Mädchen in London. Y. brachte am 19. Januar 1972 einen Knaben zur Welt.
B.-
Das Bezirksgericht Winterthur verurteilte X. am 5. November 1971 wegen wiederholter Unzucht mit einem Kind im Sinne von Art. 191 Ziff. 1 Abs. 1 und Ziff. 2 Abs. 1 StGB zu einer unbedingten Gefängnisstrafe von 6 1/2 Monaten, teilweise als Zusatzstrafe zum Urteil des Bezirksgerichtes Zürich vom 23. Februar 1971.
BGE 98 IV 199 S. 200
Auf Berufung des Angeklagten sprach das Obergericht des Kantons Zürich diesen am 1. Februar 1972 von Schuld und Strafe frei. Von der Frage ausgehend, ob beim Tatbestand der Unzucht mit einem Kinde die nachfolgende Eheschliessung zwischen dem Täter und der Geschädigten ähnlich der in den Art. 196 Abs. 2 und 197 Abs. 2 StGB getroffenen Regelung einen Strafaufhebungsgrund bilde, kam das Obergericht zum Schluss, dass bei
Art. 191 StGB
hinsichtlich des "matrimonium subsequens" eine echte Lücke bestehe, die durch richterliche Rechtsanwendung auszufüllen sei. Der Tatbestand der Unzucht mit Kindern habe den Schutz der sexuellen Integrität des Kindes im Auge. Wenn dessen Liebesbeziehungen zum Täter aber in ein eheliches Verhältnis übergeführt würden, entfalle das Schutzbedürfnis der Geschädigten und der Strafanspruch des Staates habe zurückzutreten. Es liefe auf eine Zerstörung der Ehe hinaus, wollte man den Täter wegen vor der Ehe begangener Unzuchtshandlungen mit seiner nunmehrigen Ehefrau bestrafen. Ein derartiges Ergebnis könne der Gesetzgeber nicht gewollt haben. Aus diesen Gründen sei X. straflos zu erklären.
C.-
Die Staatsanwaltschaft des Kantons Zürich führt Nichtigkeitsbeschwerde an das Bundesgericht. Sie beantragt Aufhebung des obergerichtlichen Entscheides und Rückweisung der Sache an die Vorinstanz, damit diese X. im Sinne von
Art. 191 Ziff. 1 und 2 StGB
schuldig spreche und bestrafe.
Erwägungen
Der Kassationshof zieht in Erwägung:
1.
Art. 191 StGB
bedroht denjenigen mit Strafe, der ein Kind unter 16 Jahren zum Beischlaf oder zu einer ähnlichen Handlung missbraucht, oder der mit einem Kind unter 16 Jahren eine andere unzüchtige Handlung vornimmt. Dem Wortlaut dieser Bestimmung ist nichts zu entnehmen, was im Falle eines sogenannten "matrimonium subsequens" auf eine Strafloserklärung des Täters schliessen liesse. Der Umstand, dass das Gesetz in
Art 191 StGB
in dieser Hinsicht nichts sagt, bedeutet noch nicht, dass es insoweit eine Lücke aufweist, die vom Richter ausgefüllt werden darf. Hat der Gesetzgeber gewollt darauf verzichtet, bei
Art. 191 StGB
die nachfolgende Ehe zwischen Täter und Geschädigter als Strafbefreiungsgrund zu berücksichtigen, so liegt ein qualifiziertes Schweigen vor. Bieten jedoch das Gesetz und die Materialien keinen Anhaltspunkt dafür, dass eine negative Entscheidung in der betreffenden Frage
BGE 98 IV 199 S. 201
gewollt war, so ist auch damit noch nicht eine Lücke des Gesetzes dargetan. Eine solche ist nur anzunehmen, wenn vom Standpunkt des positiven Rechts aus eine Bestimmung unerlässlich erscheint (MEIER-HAYOZ, N 251 ff. zu
Art. 1 ZGB
,
BGE 92 II 182
).
Ob eine zwingende Notwendigkeit zur Aufnahme einer Bestimmung über die betreffende Rechtsfrage besteht und wie bei Annahme einer echten Lücke diese zu füllen sei, hat der Strafrichter nach anerkannten Auslegungsregeln zu prüfen. Im Strafrecht ist ergänzende Rechtsfindung allerdings im Gegensatz zum Privatrecht insofern unzulässig, als dadurch ohne gesetzliche Grundlage die Strafbarkeit begründet werden soll (GERMANN, Kommentar zum StGB, N 12 7 zu
Art. 1 StGB
).
2.
Die Entstehungsgeschichte des Gesetzes erlaubt keine eindeutige Antwort auf die Frage, ob eine negative Entscheidung gewollt war. In den Beratungen der Expertenkommission wurde seinerzeit wiederholt hervorgehoben, dass
Art. 191 StGB
dem im Schutzalter stehenden Kind einen umfassenden Schutz gegen sexuelle Angriffe verleihen solle (2. ExpK III S. 154 ff). Damit ist jedoch noch nicht erwiesen, dass der Gesetzgeber die Frage des "matrimonium subsequens" in diesem Zusammenhang geprüft und in negativem Sinne entschieden hat. Aus dem von der Staatsanwaltschaft angeführten Votum von ZÜRCHER, dass in solchen Fällen die nachfolgende Ehe nicht als Strafausschliessungsgrund angesehen werde, könnte zwar auf eine bewusste negative Entscheidung geschlossen werden. Immerhin ist auch dieses nicht schlüssig, da es sich beim erwähnten Votum um eine Erläuterung zum Vorentwurf des Strafgesetzbuches handelt. Ob der Gesetzgeber selbst sich in der Folge mit der betreffenden Frage tatsächlich beschäftigt hat und durch sein Schweigen die Strafbefreiung ausschliessen wollte, ist zweifelhaft.
3.
Erlauben daher die Materialien keinen entsprechenden Schluss, so ist nach Sinn und Zweck des Gesetzes zu prüfen, ob im Falle von
Art. 191 StGB
bei nachfolgender Ehe zwischen Täter und Geschädigter eine Strafbefreiung unerlässlich erscheint.
Im angefochtenen Entscheid wird ausgeführt, die vom Strafgesetzbuch bezweckte Verbrechensbekämpfung werde ins Gegenteil verkehrt. wenn die Anwendung des Gesetzes die Gefahr neuer Rechtsbrüche schaffe.
Art. 191 StGB
wolle die
BGE 98 IV 199 S. 202
geschlechtliche Integrität des Kindes schützen; gehe dieses eine Ehe mit dem Partner ein, mit dem es intime Beziehungen unterhalten habe, so müsse der Strafanspruch des Staates zurücktreten, da eine solche Ehe durch die Bestrafung des erwachsenen Partners verletzt würde.
Diese Auffassung vermag nicht zu überzeugen.
a) Die Strafe bezweckt in erster Linie eine Resozialisierung des Täters und damit einen Schutz der Gesellschaft vor künftigen deliktischen Handlungen. Dass der nach
Art. 191 StGB
beurteilte Täter nach der Straftat das Opfer heiratet, ist unter diesem Gesichtspunkt ohne Bedeutung.
b) Der
Art. 191 StGB
innewohnende, besondere Zweckgedanke besteht darin, Kinder vor verfrühten sexuellen Erlebnissen zu schützen. Das Gesetz geht davon aus, dass sexuelle Erlebnisse im Kindesalter, besonders zu Beginn der Pubertät, die körperliche und geistige Entwicklung des Kindes ernsthaft schädigen können. Da Kinder deswegen geschützt werden sollten, weil ihnen die geistig-charakterliche Reife und die Kenntnisse der möglichen Gefahren abgehen, sodass sie das intensive sexuelle Erlebnis innerlich noch nicht sachgerecht verarbeiten können, wurde mit
Art. 191 StGB
eine besonders einschneidende Strafnorm geschaffen. Der Gegensatz in der Voraussetzung und in der Zielsetzung zwischen dieser Bestimmung einerseits und den
Art. 183, 196 und 197 StGB
anderseits ist offensichtlich. Diese drei Normen betreffen Straftaten gegenüber Personen, die an sich für geschlechtliche Erlebnisse reif erscheinen. Geschützt wird hier nicht die ungestörte Entwicklung eines Kindes, das von verfrühtem geschlechtlichen Kontakt ferngehalten werden soll, sondern die Willensfreiheit der Frau, insbesondere in ihrem Entschlusse darüber, ob und mit wem sie geschlechtliche Beziehungen aufnehmen will. Sie soll nicht gegen ihren freien Willen entführt (
Art. 183 StGB
) oder in Ausnützung jugendlicher Unerfahrenheit oder des Vertrauens (
Art. 196 StGB
) oder eines Abhängigkeitsverhältnisses (
Art. 197 StGB
) zur geschlechtlichen Hingabe veranlasst werden, die sie bei völlig freiem Willensentschluss nicht gewährt hätte. Es ist folgerichtig, dass in diesen Fällen die nach der Tat freiwillig vom Opfer mit dem Täter abgeschlossene Ehe als Heilung des früheren Angriffs auf den freien Willen gedeutet wird, begibt sich die Frau damit doch in eine Schicksals- und Geschlechtsgemeinschaft mit dem Täter. Da Schutzobjekt des
Art. 191
BGE 98 IV 199 S. 203
StGB
nicht die Willensfreiheit des Kindes ist, der Täter im Gegenteil selbst dann bestraft wird, wenn das Kind die treibende Kraft zur Begehung der Tat war, lässt sich jedenfalls nicht behaupten, eine Strafbefreiung erscheine hier ebenso unerlässlich für den Fall, dass sich der Wille des Opfers schliesslich auch noch im Eheschluss mit dem Täter äussert. Ob ein 15-jähriges Mädchen sich unter Umgehung schweizerischer Rechtsvorschriften im Ausland trauen lässt und nachher fortgesetzt mit dem erwachsenen Ehemann geschlechtlichen Umgang hat oder ob es dasselbe in einem festen Liebesverhältnis ohne Ehe tut, macht für die psychische und physische Entwicklung des Kindes, die durch
Art. 191 StGB
geschützt werden soll, keinen Unterschied. Aus derselben Überlegung hat das Bundesgericht in 86 IV 213 die Strafbarkeit des Geschlechtsverkehrs zwischen einem Ehemann und seiner 15 1/2-jährigen Ehefrau nicht etwa deshalb verneint, weil durch die Eheschliessung die Schutzaltersgrenze hinfällig oder der Zweckgedanke des
Art. 191 StGB
gegenstandslos geworden wäre, sondern weil damals angenommen wurde, Unzucht unter Eheleuten sei begrifflich ausgeschlossen.
c) Würde in Fällen wie dem vorliegenden im "matrimonium subsequens" ein Strafbefreiungsgrund erblickt, dann könnten künftige Täter versucht sein, das von ihnen missbrauchte Kind zu einer überstürzten Eheschliessung zu verleiten, um selber der Strafverfolgung zu entgehen. Solche Ehen sind unerwünscht, weil jedenfalls das noch im Entwicklungsalter stehende Kind durch die eingegangene Verbindung und eine allfällige Mutterschaft überfordert wird. Zudem stehen sie im Widerspruch zu dem vom schweizerischen Gesetzgeber geschaffenen Institut der Ehe, das eine innige Lebensgemeinschaft zweier verantwortungsbewusster Menschen im Auge hat.
d) Im angefochtenen Entscheid wird ausgeführt, der Gesetzgeber habe bei Schaffung von
Art. 191 StGB
die Strafbefreiung bei nachfolgender Ehe zwischen dem Täter und der Geschädigten deshalb nicht aufgenommen, weil er nicht an die Möglichkeit der Verheiratung eines noch nicht 16-jährigen Kindes gedacht habe. Diese Auffassung stellt eine blosse Vermutung dar und findet weder in den Materialien noch in Lehre und Rechtsprechung eine Stütze.
Wieso aber die Bestrafung des Beschwerdegegners die Gefahr neuer Rechtsbrüche schaffen soll, nachdem das von ihm geheiratete
BGE 98 IV 199 S. 204
Mädchen inzwischen die Schutzaltersgrenze überschritten hat, ist schlechterdings nicht einzusehen. Die Vorinstanz gibt denn auch keine Begründung für diese Behauptung.
Unbehelflich ist ferner das Argument des Obergerichts, dass sich eine nachträgliche Bestrafung von X. zum Nachteil der Ehefrau und des Kindes auswirke. Diese an sich unerwünschte Folge tritt mit jeder Verurteilung eines Familienvaters zu einer unbedingten Freiheitsstrafe ein. Die Vorinstanz verkennt, dass in
Art. 191 StGB
das Schutzobjekt und der staatliche Strafanspruch nicht davon abhängen, wie sich die Beziehungen zwischen dem Täter und der Geschädigten nach der Tat gestalten.
Dispositiv
Demnach erkennt der Kassationshof:
Die Nichtigkeitsbeschwerde wird gutgeheissen, das angefochtene Urteil aufgehoben und die Sache zur Neubeurteilung im Sinne der Erwägungen an die Vorinstanz zurückgewiesen. | null | nan | de | 1,972 | CH_BGE | CH_BGE_006 | CH | Federation |
d2520c57-b411-490d-be63-cd0456c85d11 | Urteilskopf
84 II 329
44. Urteil der II. Zivilabteilung vom 10. Juli 1958 i.S. H. gegen L. | Regeste
Genugtuung wegen Ehestörung (
Art. 28 ZGB
,
Art. 49 OR
).
Zulässigkeit und Voraussetzungen der Klage eines Ehegatten gegen die Drittperson, mit welcher der andere Ehegatte ehewidrige Beziehungen unterhält, auf Leistung einer Geldsumme als Genugtuung. | Sachverhalt
ab Seite 329
BGE 84 II 329 S. 329
A.-
Der zweimal geschiedene Mechaniker L. heiratete nach Ablauf der ihm bei der zweiten Scheidung auferlegten Wartefrist am 23. November 1946 eine geschiedene Frau, die unmittelbar vor der Geburt eines von einem andern Manne gezeugten Kindes stand. Am 24. Februar 1948 gebar Frau L. ein zweites Kind. Von 1950/51 an arbeitete sie als Verkäuferin im Geschäft des H. Mitte Februar 1955 leitete sie gegen ihren Ehemann Klage auf Scheidung wegen tiefer Zerrüttung des ehelichen Verhältnisses ein, weil ihr Ehemann sie schlecht behandelt habe. L. beantragte zunächst Abweisung der Klage mit der Begründung, die bestehende Zerrüttung sei von seiner Frau verschuldet worden, die in der Ehe nur ihren Vorteil gesucht und ihn zu übermässigen Aufwendungen für die Wohnung, neue Möbel und Kleider gedrängt habe und seit
BGE 84 II 329 S. 330
einiger Zeit mit ihrem Arbeitgeber ein Verhältnis unterhalte, einigte sich dann aber mit ihr auf ein gemeinsames Scheidungsbegehren. Darauf sprach das Gericht mit Urteil vom 30. Juni 1955 die Scheidung aus, ohne zu untersuchen, ob die gegenseitigen Anschuldigungen, insbesondere der gegen die Ehefrau erhobene Vorwurf der Untreue, den sie entschieden bestritt, begründet seien oder nicht.
B.-
Am 22. August 1955 leitete L. gegen H. Klage ein mit dem Begehren, der Beklagte sei zu verpflichten, ihm als Schadenersatz und Genugtuung Fr. 10'000.-- zu bezahlen, weil er, wie unterdessen in einem mit dem Scheidungsprozess des Beklagten zusammenhängenden Strafverfahren an den Tag gekommen sei, mit seiner Frau unter Ausnützung seiner Stellung als Millionär und Arbeitgeber ein ehebrecherisches Verhältnis angeknüpft und ihm auf diese Weise Frau und Familie, die sein Glück gewesen seien, weggenommen habe. Der Beklagte, der heute mit der geschiedenen Frau des Klägers verheiratet ist, machte demgegenüber geltend, nicht er, sondern das eigene Verhalten des Klägers, der gewalttätig sei und seine Frau nicht verstanden habe, sei am Zerwürfnis zwischen den Eheleuten L. schuld und habe Frau L. veranlasst, sich ihm (dem Beklagten) zuzuwenden.
Nach Durchführung eines Beweisverfahrens sprach das untere kantonale Gericht dem Kläger mit Urteil vom 21. November 1957 als Genugtuung Fr. 3000.-- zu und wies die Klage im Mehrbetrag ab. Das obere kantonale Gericht, vor dem der Beklagte Abweisung der Klage, der Kläger mit Anschlussberufung Zusprechung von Fr. 6000.-- als Schadenersatz und Genugtuung verlangte, hat mit Urteil vom 24. März 1958 den Beklagten zur Zablung einer Genugtuungssumme von Fr. 6000.-- verpflichtet.
C.-
Mit seiner Berufung an das Bundesgericht erneuert der Beklagte seinen Antrag auf Abweisung der Klage. Der Kläger schliesst auf Bestätigung des angefochtenen Urteils. Das Bundesgericht schützt die Berufung und weist die Klage ab.
BGE 84 II 329 S. 331
Erwägungen
Erwägungen:
1.
Wie das Bundesgericht in ständiger Rechtsprechung angenommen und in einem neuern Entscheid unter Widerlegung von gegen diese Auffassung erhobenen Einwänden bestätigt hat, verletzt ein Dritter, der mit einem Ehegatten ehewidrige Beziehungen unterhält und so die Ehe stört, den andern Ehegatten in seinen persönlichen Verhältnissen und kann dieser in einem solchen Falle gemäss
Art. 49 OR
, wenn die besondere Schwere der Verletzung und des Verschuldens es rechtfertigt, vom Dritten die Leistung einer Genugtuung verlangen, und zwar ohne Rücksicht darauf, ob die Ehe geschieden worden sei oder nicht (
BGE 43 II 323
Erw. 5; Urteile der I. Zivilabteilung vom 28. März 1927 i.S. Sch. gegen G., vom 14. Januar 1936 i.S. B. gegen Sch., vom 27. März 1945 i.S. J. gegen St.;
BGE 78 II 291
Erw. 2 und 297 Erw. 6). Die in
BGE 35 II 576
erwähnte Gefahr der missbräuchlichen Erhebung solcher Ansprüche ist kein genügender Grund, dem beleidigten Ehegatten diesen Anspruch grundsätzlich abzuerkennen, und es lässt sich auch nicht allgemein sagen, eine Verurteilung der Drittperson sei sinnlos, weil sie praktisch doch nicht diese, sondern den am ehewidrigen Verhältnis beteiligten Ehegatten treffe, wie GUHL dies bei Besprechung des Entscheides
BGE 78 II 289
ff. über die Klage einer Ehefrau gegen die Geliebte des Mannes geltend gemacht hat (ZBJV 1954 S. 243). Ebensowenig kann man die Genugtuungsklage gegen den Dritten mit der Begründung als unzulässig erklären, "der Hauptschuldige, Ehemann oder Ehefrau, dürfe doch nicht in die Rolle eines tertius gaudens gedrängt werden" (GUHL a.a.O.). Abgesehen davon, dass kein Grundsatz des Zivilrechts den Geschädigten hindert, von zwei Schädigern allein den weniger schuldigen zu belangen (
BGE 78 II 299
), ist dieses Argument auch schon deswegen nicht stichhaltig, weil der untreue Ehegatte im Vergleich zum Dritten nicht notwendig der Hauptschuldige zu sein braucht, wenn auch
BGE 84 II 329 S. 332
der von ihm begangene Fehler insofern schwerer wiegt, als er sich gegen die eheliche Treuepflicht vergeht, während der Dritte zum beleidigten Ehegatten nicht in einem besondern Rechtsverhältnis steht, sondern nur die für jedermann bestehende Pflicht zur Respektierung der Ehe eines andern verletzt. Dagegen lässt sich nicht bestreiten, dass eine Geldleistung, die hier praktisch allein in Betracht kommende Art der Genugtuung, ohnehin nur ein sehr unvollkommenes Mittel zur Wiedergutmachung seelischer Kränkungen bildet und als Mittel hiezu besonders problematisch wird, wenn es sich um eine Beleidigung der hier in Frage stehenden Art handelt (vgl.
BGE 35 II 576
und Urteil vom 28. März 1927 i.S. Sch. gegen G.). Auch dies reicht aber nicht aus, um in solchen Fällen die Anwendung von
Art. 49 OR
schlechtweg auszuschliessen, sondern kann nur dazu Anlass geben, bei Prüfung der Frage, ob die gesetzlichen Voraussetzungen für eine Genugtuung gegeben seien, einen besonders strengen Massstab anzulegen. Bereits unter der Herrschaft des alten OR, nach dessen Art. 55 die Befugnis des Richters, auch ohne Nachweis eines Vermögensschadens auf eine angemessene Geldsumme zu erkennen, schon gegeben war, wenn jemand in seinen persönlichen Verhältnissen unbefugterweise "ernstlich verletzt" wurde, hat deshalb das Bundesgericht gefunden, die Störung einer Ehe könne die Zusprechung einer solchen Geldleistung höchstens in "speziell qualifizierten Fällen" rechtfertigen (
BGE 35 II 576
). Unter dem neuen OR, dessen Art. 49 den Anspruch auf Genugtuung wegen Verletzung in den persönlichen Verhältnissen ausdrücklich von einer besondern Schwere der Verletzung und des Verschuldens abhängig macht, ist eine solche Zurückhaltung erst recht am Platze (vgl. das Urteil vom 28. März 1927 i.S. Sch. gegen G.).
2.
Im vorliegenden Fall ist festgestellt, dass der Beklagte mit der Frau des Klägers seit Januar 1955 geschlechtliche Beziehungen unterhielt und diese nicht aufgab, als er erfuhr, dass der Kläger seine Frau vor dem
BGE 84 II 329 S. 333
Eheschutzrichter solcher Beziehungen bezichtigt hatte, sondern dem Kläger gegenüber das Bestehen eines Verhältnisses bestritt und mit rechtlichen Schritten gegen den Urheber dieser Beschuldigung drohte. Angesichts der Tatsache, dass der Beklagte sich fortgesetzt des Ehebruchs mitschuldig machte und an seinem Verhältnis mit der Frau des Klägers trotz dessen Gegenwehr unter frecher Bestreitung unerlaubter Beziehungen festhielt, lässt sich nicht in Abrede stellen, dass sein Verhalten, rein objektiv betrachtet, in besonders schwerer Weise gegen die Pflicht zur Achtung der Ehe des Klägers verstiess. Für die Annahme, dass der Kläger besonders schwer in seinen persönlichen Verhältnissen verletzt worden sei, wäre jedoch ausserdem erforderlich, dass die Verfehlung des Beklagten den Kläger auch besonders empfindlich traf. Hieran sind Zweifel möglich. Die Behauptung des Klägers, Frau und Familie, die ihm der Beklagte weggenommen habe, seien "sein Glück" gewesen, verträgt sich schlecht mit seinen eigenen Ausführungen im Scheidungsprozess, wonach seine Frau als Egoistin ohne Anpassungsfähigkeit und Gemeinschaftswillen nur auf ihren Vorteil bedacht war und ihn veranlasste, Schulden zu machen, damit er ihre zunehmenden materiellen Bedürfnisse befriedigen konnte. Die Vorinstanz stellt denn auch nicht fest, dass die Ehe des Klägers noch glücklich gewesen sei, als der Beklagte sie zu stören begann, sondern sagt, der Beklagte sei in eine Ehe eingedrungen, die vielleicht nicht mehr glücklich, sondern zeitweise getrübt, aber bis dahin "auch nicht völlig zerrüttet" bzw. "nicht scheidungsreif" gewesen sei. Die Beeinträchtigung einer Ehe, die ohnehin schon gestört war, kann den andern Ehegatten nicht so stark treffen wie die Beeinträchtigung einer gesunden Ehe. Dass etwa der Beklagte sich vor Bekannten des Klägers als dessen Nebenbuhler zu erkennen gegeben und so den Kläger empfindlich in seinem Ansehen geschädigt hätte oder dass er mit Frau L. unter für den Kläger als Ehemann besonders verletzenden Umständen (z.B. in der ehelichen Wohnung)
BGE 84 II 329 S. 334
zusammengekommen wäre, wird nicht behauptet. Daher lässt sich kaum sagen, dass man es mit einer besonders schweren Verletzung zu tun habe.
Auf jeden Fall aber fehlt es an einem besonders schweren Verschulden des Beklagten. Die Vorinstanz nimmt zwar an, zweifellos habe der Beklagte Frau L. verführt und nicht diese ihn; denn er habe seine Möglichkeiten ausgenützt und seine Mittel spielen lassen. Konkrete Feststellungen hierüber fehlen jedoch. Man weiss nichts darüber, wie die ehebrecherischen Beziehungen zwischen der Frau des Klägers und dem Beklagten entstanden sind. Als der Beklagte Frau L. zu gemeinsamen Reisen und Ausflügen einlud, bestanden diese Beziehungen bereits. Es ist sehr wohl möglich, dass Frau L., die sich schon ca. 1953 gegenüber einer Drittperson über ihren Ehemann beklagt hatte, und der Beklagte, der mit seiner Frau auch nicht im besten Einvernehmen lebte, mit der Zeit aneinander Gefallen fanden und dass ihre zunächst rein geschäftlichen Beziehungen immer enger wurden und sich schliesslich zu einem intimen Verhältnis entwickelten, ohne dass es dazu besonderer Bemühungen des Beklagten bedurft hätte. Auch wenn man aber noch annehmen will, der Beklagte habe diese Entwicklung aktiv gefördert, so machte ihm die von der Vorinstanz festgestellte Sehnsucht der Frau L. nach einem höhern Lebensstandard die Erreichung seiner Ziele zweifellos leicht und musste er sich angesichts ihrer Einstellung zum Kläger nicht sagen, dass er in eine ungetrübte Ehe eindringe. Wenn damit sein Verhalten auch keineswegs entschuldigt wird, so kann ihm unter den gegebenen Umständen doch kein besonders schweres Verschulden vorgeworfen werden (vgl. das Urteil vom 27. März 1945 i.S. J. gegen St., wo das Vorliegen eines solchen Verschuldens aus ähnlichen Gründen verneint wurde). Dabei bleibt es auch, wenn man mitberücksichtigt, dass er sich durch den Widerstand des Klägers von der Fortsetzung seines Verhältnisses mit Frau L. nicht abhalten liess, sondern den Kläger sogar noch einzuschüchtern suchte. Dass
BGE 84 II 329 S. 335
Frau L. wirtschaftlich von ihm abhängig gewesen sei und er dies benützt habe, um sie gefügig zu machen, ist nicht dargetan. Als tüchtige Verkäuferin hätte sie zweifellos auch anderwärts eine Stelle finden können. Es kann auch keine Rede davon sein, dass sie ihm etwa geistig unterlegen gewesen sei und er diesen Umstand ausgenützt habe. Ebensowenig kann sich der Vorwurf eines besonders schweren Verschuldens gegenüber dem Kläger darauf stützen, dass der Beklagte Frau L. "in aller Heimlichkeit" für sich gewann und sich "auch über die Schranken hinwegsetzte, die für ihn als verheirateten Mann hätten bestehen sollen."
Die strengen Voraussetzungen, unter denen ein Ehegatte vom Dritten, der mit dem andern Gatten ehewidrige Beziehungen unterhält, ausnahmsweise eine Genugtuungssumme verlangen kann, sind hier also nicht verwirklicht. | public_law | nan | de | 1,958 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
d256b487-3cd6-40a4-a3e5-c42c87e07125 | Urteilskopf
91 IV 51
15. Urteil des Kassationshofes vom 16. Februar 1965 i.S. Jesumann gegen Trümpy. | Regeste
Art. 351, 346 StGB
, 268 BStP.
Gegen Entscheidungen in innerkantonalen Streitigkeiten über den Gerichtsstand des Begehungsortes ist die Nichtigkeitsbeschwerde nicht zulässig. | Sachverhalt
ab Seite 51
BGE 91 IV 51 S. 51
A.-
Maria Jesumann schrieb am 15. Mai 1964 an ihrem Wohnort Maur (Bezirk Uster) einen an den Obmann der Jagdgesellschaft Wassberg gerichteten Brief, worin sie Hermann Trümpy, Mitglied dieser Jagdgesellschaft, beschuldigte, sich als Mensch und Jäger verwerflich verhalten zu haben. Am 18. Mai 1964 übergab die Verfasserin den Brief in Zürich der Post zum Versand. Hermann Trümpy, der vom Inhalt des Briefes Kenntnis erhielt, reichte darauf gegen Maria Jesumann beim Bezirksgericht Uster Strafklage wegen Ehrverletzung ein.
B.-
Das Bezirksgericht Uster beschloss am 30. September 1964, die Klage mangels örtlicher Zuständigkeit des Gerichtes nicht zuzulassen. Es ging davon aus, die eingeklagte Verleumdung oder üble Nachrede sei erst mit der Übergabe des ehrverletzenden Briefes an die Post, also in Zürich begangen worden.
Das Obergericht des Kantons Zürich, an das der Kläger rekurrierte, vertrat dagegen die Auffassung, dass die behauptete Ehrverletzung teils am Ort, wo der Brief niedergeschrieben, teils am Ort, wo er der Post aufgegeben wurde, im Sinne des
Art. 346 Abs. 1 StGB
ausgeführt worden sei. Es hob am 12. November 1964 den angefochtenen Beschluss auf und erklärte in Anwendung
BGE 91 IV 51 S. 52
von
Art. 346 Abs. 2 StGB
das Bezirksgericht Uster, wo der Ehrverletzungsprozess zuerst anhängig gemacht wurde, örtlich zuständig.
C.-
Maria Jesumann führt gegen den Entscheid des Obergerichts Nichtigkeitsbeschwerde mit dem Antrag, diesen aufzuheben und den Beschluss des Bezirksgerichts Uster auf Nichtzulassung der Klage wegen örtlicher Unzuständigkeit des angerufenen Richters zu bestätigen.
D.-
Hermann Trümpy beantragt, die Beschwerde sei in Bestätigung des angefochtenen Entscheides abzuweisen.
Erwägungen
Der Kassationshof zieht in Erwägung:
Ist der Gerichtsstand unter den Behörden mehrerer Kantone streitig, so bezeichnet das Bundesgericht den Kanton, der zur Verfolgung und Beurteilung berechtigt und verpflichtet ist (
Art. 351 StGB
). Nach dem klaren Wortlaut dieser Bestimmung kann das Bundesgericht nur angerufen werden, wenn die örtliche Zuständigkeit unter den Behörden verschiedener Kantone streitig ist. Die ausdrückliche Beschränkung auf interkantonale Konflikte hat offensichtlich den Sinn, dass Gerichtsstandsstreitigkeiten, an denen bloss Behörden ein und desselben Kantons beteiligt sind, dem Bundesgericht nicht zum Entscheid unterbreitet werden können. Die Entstehungsgeschichte des
Art. 351 StGB
bestätigt diese Auslegung. In der 2. Expertenkommission führten Zürcher und Gautier übereinstimmend aus, dass nurinterkantonale Gerichtsstandsstreitigkeitenvom Bundesgericht, innerkantonale dagegen von der nach kantonalem Recht zuständigen oberen kantonalen Instanz zu entscheiden seien (Prot., Bd. VIII, S. 78). Ebenso äusserten sich Seiler und Baumann als Berichterstatter in den eidgenössischen Räten (StenBull. NR 1930, S. 577; StR 1931, S. 243). Die gleiche Auffassung wird allgemein auch in der Literatur vertreten (HAFTER, Allg. Teil, 2. Aufl., S. 89; THORMANN/OVERBECK, Note 1 zu
Art. 351 StGB
; CAVIN in ZSR 1946, S. 26 a f.; COUCHEPIN in ZStR 1948, S. 101; PANCHAUD in Schweiz. Jur. Kartothek Nr. 899, D I/2 lit. b).
Die Vorschrift des
Art. 351 StGB
bezieht sich auf das Bundesgericht als Ganzes, nicht bloss auf die Anklagekammer, die schon auf Grund des
Art. 264 BStP
einzig in interkantonalen Gerichtsstandsstreitigkeiten zu entscheiden hat. Daraus ist zu
BGE 91 IV 51 S. 53
schliessen, dass der Strafgesetzgeber ein ordentliches eidgenössisches Rechtsmittel gegen kantonale Gerichtsstandsentscheidungen, die innerkantonale Konflikte betreffen, ausschliessen wollte. Es ist daher nach
Art. 351 StGB
, der als Sondernorm dem
Art 268 BStP
vorgeht, in solchen Fällen auch die Nichtigkeitsbeschwerde wegen Verletzung der
Art. 346-350 StGB
nicht gegeben. Dieses Ergebnis mag als nicht folgerichtig erscheinen, erklärt sich aber daraus, dass der eidgenössische Gesetzgeber mit den einheitlichen Gerichtsstandsvorschriften in erster Linie Konflikte unter den Kantonen ausschalten und sodann interkantonal wie innerkantonal die Durchführung und Anwendung der materiellen Bestimmungen des StGB sichern wollte, dass er im übrigen jedoch unnötige Eingriffe in die kantonale Organisation und Prozessgesetzgebung zu vermeiden trachtete (vgl. Botschaft des Bundesrates vom 23. Juli 1918, BBl 1918 IV 81). Der Ausschluss eines ordentlichen eidgenössischen Rechtsmittels ist übrigens auch auf dem Gebiet des Bundeszivilrechts anzutreffen, dessen Verletzung in vielen Fällen ebenfalls nur mit staatsrechtlicher Beschwerde beim Bundesgericht gerügt werden kann.
Es kann im vorliegenden Falle, wo
Art. 346 StGB
in Frage steht, offen bleiben, ob bei andern Gerichtsstandsbestimmungen, z.B.
Art. 347 oder 349 StGB
, welche die Einheit der Strafverfolgung gewährleisten wollen, die Nichtigkeitsbeschwerde an das Bundesgericht zuzulassen wäre. Beim Gerichtsstand des Begehungsortes ist bundesrechtlich ohne Bedeutung, wie die Kantone auf ihrem Gebiet den Zuständigkeitsbereich der Strafverfolgungsbehörden territorial abgrenzen und in welchem von mehreren Bezirken der Tatort liegt. Materiellrechtlich will mit
Art. 346 StGB
nur erreicht werden, dass die Tat in dem Kanton verfolgt und beurteilt werde, in dem sie ausgeführt wurde. Es muss daher beim Entscheid des Obergerichts, der das Bezirksgericht Uster zur Verfolgung und Beurteilung der Ehrverletzungsklage örtlich zuständig erklärt, sein Bewenden haben.
Dispositiv
Demnach erkennt der Kassationshof:
Auf die Nichtigkeitsbeschwerde wird nicht eingetreten. | null | nan | de | 1,965 | CH_BGE | CH_BGE_006 | CH | Federation |
d25e6f5a-9110-490a-9c64-ac101c63c588 | Urteilskopf
94 IV 144
39. Estratto della sentenza 18 ottobre 1968 della Corte di cassazione penale nella causa Ministero pubblico della Confederazione contro Valsangiacomo | Regeste
Art. 365 StGB
und 273 Abs. 1 lit. b BStP.
Ob im kantonalen Verfahren eine Frage als Tat- oder Rechtsfrage zu gelten habe, beurteilt sich nach dem kantonalen Prozessrecht; sie kann daher nicht Gegenstand einer Nichtigkeitsbeschwerde an das Bundesgericht sein. | Sachverhalt
ab Seite 145
BGE 94 IV 144 S. 145
Riassunto dei fatti:
Nel 1961, nel corso di un accertamento fiscale a carico della ditta F. Ili Valsangiacomo, l'Amministrazione federale delle contribuzioni (AFC), fondandosi sull'art. 8 cpv. 2 LB, ordinava alla contribuente di produrre gli atti del controllo cantina, prescritto dal DCF 12 maggio 1959 sul commercio dei vini. La produzione di tali atti veniva rifiutata, per cui l'AFC infliggeva a Fausto Valsangiacomo, amministratore della società, una multa di fr. 500.--, in applicazione dell'art. 93 OLB. Valsangiacomo fece opposizione e il giudizio deferito al Pretore di Mendrisio. Questi considerò che gli atti di cui era richiesta la produzione, non erano essenziali all'accertamento della fattispecie fiscale, e ne concluse che la contribuente non poteva essere costretta a produrre gli atti richiesti. La Corte cantonale di cassazione ha respinto il ricorso del Ministero pubblico della Confederazione. Questo ha interposto ricorso per cassazione al Tribunale federale.
Erwägungen
Considerando in diritto:
4.
Secondo la Corte cantonale, la questione di stabilire se gli atti del controllo cantina sono essenziali per la determinazione dell'imponibile fiscale del contribuente è di fatto, per cui, il relativo accertamento non essendo stato censurato come arbitrario, essa è vincolata al giudizio del Pretore. Ne consegue che a tale proposito, secondo il diritto ticinese, il giudizio di questo giudice sarebbe normalmente di istanza unica cantonale. Il ricorrente afferma che tratterebbesi, ad ogni modo, di una questione di diritto; l'argomentazione della Corte cantonale violerebbe l'art. 8 LB.
Il Tribunale federale definisce le questioni di fatto e di diritto in applicazione degli art. 269 cpv. 1, 273 cpv. 1 lett. b e 277 bis cpv. 1 PPF (RU 83 IV 140 consid. 3, 88 IV 114/15, 89 IV 102 consid. 2). Ma procede a tale definizione solo per stabilire i limiti del suo potere di apprezzamento, e quindi della sua competenza ratione materiae. Trattandosi di norme di natura processuale, nel cui ambito il diritto federale non contiene alcuna speciale norma derogatoria (art. 365 CP), in questo campo i cantoni non sono però vincolati alla giurisprudenza stabilita da questa sede nell'interpretazione delle norme del PPF, applicabili al ricorso federale per cassazione. Essi possono
BGE 94 IV 144 S. 146
conferire ad un tribunale l'esclusivo giudizio sui fatti e concedere determinati rimedi limitatamente alle questioni di diritto (federale o cantonale). L'interpretazione delle relative norme di diritto cantonale, quand'anche fosse in contrasto con quella espressa dal Tribunale federale in applicazione delle analoghe norme del PPF, non può costituire oggetto di ricorso per cassazione a questa sede (art. 273 cpv. 1 lett. b PPF; cfr. sentenza inedita 12 agosto 1943 su ricorso Procuratore generale della confederazione c. Maderni). | null | nan | it | 1,968 | CH_BGE | CH_BGE_006 | CH | Federation |
d25e73a0-3c65-43af-884c-bd73daffc02c | Urteilskopf
96 III 121
21. Entscheid vom 13. November 1970 i.S. Betreibungsamt Winterthur I. | Regeste
Art. 16 GebT.
Das Betreibungsamt kann diese Rekurslegitimation nicht in Anspruch nehmen gegenüber dem Entscheid einer Aufsichtsbehörde über die Frage, wer die Gebühren für die Mitteilung der Drittansprachen an die Gläubiger vorzuschiessen hat. Dies ist nicht im Tarif, sondern in
Art. 68 SchKG
geregelt. | Sachverhalt
ab Seite 121
BGE 96 III 121 S. 121
A.-
Das Betreibungsamt Winterthur I pfändete am 7. Oktober 1969 beim Schuldner Franz Michel in der Pfändungsgruppe 232 verschiedene Gegenstände. Der Schuldner behauptete dabei, einige Objekte befänden sich im Eigentum Dritter. Am 9. Februar 1970 liess er dem Betreibungsamt
BGE 96 III 121 S. 122
mitteilen, weitere 20 gepfändete Gegenstände stünden im Eigentum von neun Drittpersonen. Bevor das Betreibungsamt den Gläubigern hievon Anzeige machte, setzte es dem Schuldner eine Frist zur Bezahlung eines Kostenvorschusses von Fr. 450.-- mit der Androhung, dass andernfalls das Widerspruchsverfahren über diese Drittansprachen nicht durchgeführt würde.
Eine weitere Pfändung wurde am 13. Mai 1970 in der Gruppe 48 vorgenommen. Auch hier machte der Schuldner noch nachträglich am 25. Mai 1970 weitere Drittansprachen an gepfändeten Objekten geltend. Das Betreibungsamt setzte ihm wiederum Frist, um einen Kostenvorschuss von Fr. 570.-- zu leisten, ansonst das Widerspruchsverfahren nicht durchgeführt würde.
B.-
Der Schuldner führte gegen die beiden Verfügungen des Betreibungsamtes, worin er zur Bezahlung eines Kostenvorschusses verpflichtet wurde, Beschwerde an das Bezirksgericht Winterthur als untere kantonale Aufsichtsbehörde über Schuldbetreibung und Konkurs. Dieses hiess beide Beschwerden am 26. August 1970 gut.
Gegen beide Entscheide reichte das Betreibungsamt Winterthur I beim Obergericht des Kantons Zürich als oberer kantonaler Aufsichtsbehörde Rekurs ein. Das Obergericht vereinigte die beiden Rekurse und trat auf sie mit Beschluss vom 16. Oktober 1970 nicht ein. Es hielt dafür, dass das Betreibungsamt zur Rekursführung nicht legitimiert sei, weil es durch die angefochtenen Entscheide nicht unmittelbar in seinen Interessen tangiert werde. Aber selbst wenn auf die Rekurse einzutreten wäre, müssten sie abgewiesen werden; denn nach
Art. 68 SchKG
habe der Gläubiger die Betreibungskosten vorzuschiessen und nicht der Schuldner.
C.-
Das Betreibungsamt Winterthur I erhebt Rekurs an die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer des Bundesgerichts und beantragt die Aufhebung des angefochtenen Entscheides sowie die Rückweisung der Sache an die Vorinstanz zur materiellen Behandlung. Das Amt macht geltend, es sei dadurch, dass es gezwungen sei, den erforderlichen Kostenvorschuss nicht beim Schuldner, sondern bei einer grossen Zahl von Gläubigern einzutreiben, unmittelbar in seinen Interessen berührt. Im Gesetz bestehe eine Lücke, wenn es nur eine Vorschusspflicht des Gläubigers und nicht auch eine solche des Schuldners kenne. Die Praxis stimme mit dem Gesetzestext
BGE 96 III 121 S. 123
nicht überein, indem der Schuldner tatsächlich immer dann zur Vorschussleistung angehalten werde, wenn er an das Betreibungsamt einen Antrag stelle.
Erwägungen
Die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer zieht in Erwägung:
Der Rekurrent beruft sich auf Art. 16 GebT und beantragt eine extensive Auslegung dieser Vorschrift. Nach dieser Bestimmung wachen die Aufsichtsbehörden von Amtes wegen über die richtige Anwendung des Gebührentarifs, und die Betreibungs- und Konkursbeamten haben das Recht zur Weiterziehung in Fragen der Anwendung dieses Tarifs. Wie die Vorinstanz indessen mit Recht festgestellt hat, ist im vorliegenden Fall gar nicht die Anwendung des Gebührentarifs umstritten, sondern es geht um die Frage, wer dem Betreibungsamt die Gebühren für die Mitteilung der Drittansprachen an die Gläubiger vorzuschiessen hat. Diese Frage wird nicht im Gebührentarif, sondern in
Art. 68 SchKG
geregelt, wonach zwar der Schuldner die Betreibungskosten zu tragen, der Gläubiger sie aber vorzuschiessen hat. Kommt der Gläubiger dieser Pflicht nicht nach, kann er hiefür betrieben werden (vgl.
BGE 62 III 15
). Das Betreibungsamt wird daher durch den Entscheid, dass der Kostenvorschuss von den Gläubigern und nicht vom Schuldner zu verlangen sei, in seinen Interessen gar nicht unmittelbar berührt. Es ist demgemäss auch nicht legitimiert, einen solchen Entscheid weiterzuziehen.
Gewiss trifft es zu, dass der Schuldner in der Praxis immer wieder anstelle des Gläubigers zur Vorschussleistung herangezogen wird. Doch hat schon das Bezirksgericht Winterthur in seinem Entscheid vom 26. August 1970 ausgeführt, dass es sich dabei stets um Fälle handelt, in denen das Betreibungsamt ausschliesslich im Interesse des Schuldners tätig werden soll. Im vorliegenden Fall hingegen liegt die Entgegennahme der Drittansprachen und die Einleitung des Widerspruchsverfahrens vorwiegend im Interesse der Drittansprecher. Zudem könnte das Betreibungsamt die Drittansprachen nicht einfach unbeachtet lassen; es müsste sie den Gläubigern mitteilen, auch wenn eine Vorschussleistung des Schuldners unterbliebe. Es kann in diesem Zusammenhang auf die zutreffenden Ausführungen der Vorinstanz verwiesen werden. Eine weitere
BGE 96 III 121 S. 124
Prüfung dieser Fragen erübrigt sich, nachdem es dem Betrei bungsamt an der Legitimation zur Rekursführung fehlt. Der vorliegende Rekurs ist daher abzuweisen und der angefochtene Entscheid zu bestätigen.
Dispositiv
Demnach erkennt die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer:
Der Rekurs wird abgewiesen. | null | nan | de | 1,970 | CH_BGE | CH_BGE_005 | CH | Federation |
d2618db4-c21c-4cd2-b942-a88ce724f68b | Urteilskopf
101 II 374
63. Urteil der I. Zivilabteilung vom 14. August 1975 in Sachen Nordfinanz-Bank Zürich gegen Nordic Verwaltungs & Finanz AG. | Regeste
Erläuterung.
Art. 145 OG
. Wer den Rechtsspruch eines bundesgerichtlichen Entscheides in der ausländischen Presse veröffentlichen darf, kann nicht verlangen, dass wegen der unterschiedlichen Gesetzgebung im Lande der Publikation Erläuterungen in das Erkenntnis aufgenommen werden. | Erwägungen
ab Seite 374
BGE 101 II 374 S. 374
Erwägungen:
Nach
Art. 145 Abs. 1 OG
ist die Erläuterung des Rechtsspruches eines bundesgerichtlichen Entscheides vorzunehmen, wenn er unklar, unvollständig oder zweideutig ist oder seine Bestimmungen untereinander oder mit den Entscheidungsgründen im Widerspruch stehen.
Die Gesuchstellerin hatte im Prozess gegen die Gesuchsgegnerin nicht verlangt, dass die zur Übersetzung des Urteilsspruchs in die schwedische Sprache zuständige Stelle bestimmt werde. Für eine solche Anordnung bestand und besteht kein Anlass, und zwar umso weniger als die Meinungsverschiedenheiten der Parteien nicht die sprachliche Fassung, sondern den Inhalt des Urteilsspruchs betreffen. Die Gesuchstellerin ist ermächtigt, auf Kosten der Gesuchsgegnerin das Dispositiv des fraglichen Urteils in den näher bezeichneten schwedischen Zeitungen zu veröffentlichen. Sie darf es also in deutscher oder schwedischer Sprache erscheinen lassen wie es lautet. Die Gesuchsgegnerin hat die Veröffentlichung auf ihre Kosten zu
BGE 101 II 374 S. 375
dulden, und sie ist nicht befugt, die "Berichtigung" einer dem Original entsprechenden Publikation des Urteils in der schwedischen Presse zu verlangen oder die Bezahlung der Publikationskosten zu verweigern. Inwiefern die Nichtbezeichnung eines autorisierten Übersetzers im Dispositiv die Gesuchstellerin an der ihr bewilligten Urteilspublikation hindern sollte, ist nicht zu ersehen. Der Widerstand der Gesuchsgegnerin richtet sich gegen die Durchsetzung des Urteils, und ihm ist daher mit den Mitteln des Vollzugs zu begegnen, der nicht dem Bundesgericht, sondern den hiefür vorgesehenen kantonalen Instanzen obliegt (
Art. 39 OG
).
Dass nach der schwedischen Gesetzgebung der Begriff des unlauteren Wettbewerbs nur im strafrechtlichen Sinne zu verstehen sei, ist ohne Belang. Es handelt sich hier nicht um ein schwedisches, sondern um ein vom Schweizerischen Bundesgericht in einem Zivilrechtsstreit zwischen in der Schweiz domizilierten Parteien nach schweizerischem Recht gefälltes Urteil. Als solches ist es zu veröffentlichen und wird es vom schwedischen Leser, an den sich die Publikation richtet, auch verstanden werden. Bedürfte es noch einer zusätzlichen Erläuterung des zivilrechtlichen Charakters des zwischen den Parteien durchgeführten Prozesses, so wäre es der Gesuchstellerin unbenommen, sie in den Ingress der Publikation aufzunehmen. In das materielle Erkenntnis selber gehört sie dagegen nicht. | public_law | nan | de | 1,975 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
d262e305-88dc-47b2-8a84-187788af9967 | Urteilskopf
104 Ib 141
25. Arrêt du 12 juillet 1978 dans la cause Division fédérale de la justice contre X. S.A. et consorts et Conseil d'Etat du canton du Valais. | Regeste
Erwerb von Grundstücken durch Personen im Ausland. Berechtigtes Interesse. Art. 2 lit. e, Art. 6 Abs. 2 lit. a Ziff. 3,
Art. 6 Abs. 3 BewB
.
1. Der Bewilligungspflicht unterliegt ein langfristiger Mietvertrag, durch den einer ausländischen Gesellschaft praktisch die wirtschaftliche Verfügungsmacht über ein Grundstück übertragen wird (E. 1).
2. Nur das auf Dauer gerichtete Interesse des Bewerbers zum eigenen Betrieb eines Gewerbes (hier: Hotellerie) rechtfertigt eine Bewilligung zum Liegenschaftserwerb; einer ausländischen Gesellschaft ist die Bewilligung zu verweigern, ein solches Recht auf wirtschaftliche Nutzung an Dritte zu übertragen (E. 3).
3. Bewilligung, erteilt an Personen im Ausland, zum Erwerb von Zweitwohnungen, die in erster Linie dem persönlichen Aufenthalt dienen sollen; der Gebrauch solcher Wohnungen kann nicht im Rahmen eines langfristigen Mietvertrages auf Jahre hinaus einer ausländischen Gesellschaft überlassen werden. Vermögensanlage (E. 4). | Sachverhalt
ab Seite 142
BGE 104 Ib 141 S. 142
Le 15 novembre 1976, la société X. S.A. a signé deux contrats lui conférant l'usage et l'exploitation d'un grand complexe immobilier situé dans la station touristique de N. Le premier contrat porte sur l'ensemble des logements et studios, y compris tous les équipements matériels, meubles et objets mobiliers qui les garnissent; il a été passé avec la société A. S.A., qui groupe les copropriétaires - étrangers - des appartements et des studios. Le second contrat, qui porte sur les locaux généraux et le complexe parahôtelier, a été passé avec la société B. S.A., qui en est propriétaire et qui a son siège en Suisse, mais qui est considérée comme dominée par des personnes domiciliées à l'étranger; les autorisations d'acquérir accordées à cette dernière société en 1970 et 1972 avaient été grevées d'une interdiction d'aliéner pendant dix ans et d'un contrôle des loyers.
Les deux contrats conféraient à X. S.A. le droit exclusif à l'usage et l'exploitation, d'une part, des appartements et studios (sauf quatre semaines par année si les propriétaires privés le demandaient), d'autre part des locaux généraux et du complexe parahôtelier. Ils étaient conclus pour une durée minimum de 15 ans, avec tacite reconduction de 5 ans en 5 ans; ils prévoyaient un loyer annuel minimum de 300'000 francs pour les appartements et studios, de 100'000 francs pour les locaux généraux et le complexe parahôtelier, montants qui augmenteraient dès la 4e année.
Considérant l'acquisition des droits découlant des deux contrats comme assujettie au régime de l'autorisation en vertu de l'
art. 2 let
. e de l'arrêté fédéral sur l'acquisition d'immeubles par des personnes domiciliées à l'étranger (AFAIE), le Service juridique du registre foncier du canton du Valais a refusé l'autorisation en vertu de l'
art. 6 al. 1 AFAIE
.
BGE 104 Ib 141 S. 143
Le Conseil d'Etat du canton du Valais ayant accordé l'autorisation à la suite de recours des trois Sociétés intéressées, la Division fédérale de la justice a formé contre la décision du Conseil d'Etat un recours de droit administratif. Le Tribunal fédéral a admis ce recours et refusé définitivement l'autorisation.
Erwägungen
Considérant en droit:
1.
Dans son recours au Conseil d'Etat, X. S.A. avait conclu principalement à ce que les deux contrats ne soient pas assujettis au régime de l'autorisation et subsidiairement à ce que l'autorisation soit accordée. Ayant obtenu gain de cause sur sa conclusion subsidiaire, elle n'avait pas de raison de recourir contre la décision du Conseil d'Etat. Mais comme la Division fédérale de justice conteste la légalité de l'autorisation accordée par le Conseil d'Etat, X. S.A. peut soulever, en sa qualité d'intimée, la question préalable du principe de l'assujettissement; le fait qu'elle n'ait pas elle-même recouru ne saurait être interprété comme une renonciation à contester ledit principe.
Quoi qu'il en soit, le Tribunal fédéral doit examiner d'office si les actes en cause sont assujettis au régime de l'autorisation; en effet, il n'est pas lié par les motifs invoqués par les parties (
art. 114 al. 1 OJ
).
a) L'
art. 2 let
. e AFAIE assimile à l'acquisition de la propriété sur des immeubles - soumise à autorisation - l'acquisition de droits résultant notamment d'actes fiduciaires, de baux à loyer ou à ferme, d'opérations de crédit qui, par leur contenu ou leur étendue, permettent d'atteindre un but économique analogue à celui d'une acquisition d'immeubles ou de droits sur des immeubles au sens des lettres a à d.
Dans son message du 25 octobre 1972, le Conseil fédéral a dit que cette lettre e - laquelle prévoyait, selon le projet soumis aux chambres, de tenir compte des baux d'une durée supérieure à cinq ans - "est une disposition générale qui s'inspire de l'article 226 m alinéas 1 et 2 CO en matière de vente par acomptes; elle s'en écarte en tablant moins sur la volonté des parties que sur les faits eux-mêmes... Un bail à loyer ou à ferme peut ainsi vider de sa substance le droit de propriété lorsqu'il porte sur une durée de plus de cinq ans - avec ou sans annotation au
BGE 104 Ib 141 S. 144
registre foncier au sens des articles 260 et 282 CO et de l'article 959 CC - ou qu'il prévoit le paiement anticipé du loyer pour la durée du contrat" (FF 1972 II p. 1251 et 1252). Les Chambres fédérales ont admis le bien-fondé de ces considérations. Devant le Conseil des Etats, le rapporteur de la Commission a précisé à ce sujet que l'énumération des divers genres de contrats n'est pas exhaustive: ce qui compte, ce n'est pas le genre de contrat, mais l'étendue et le contenu des droits que le contrat confère. En outre, la durée du bail n'est pas en soi décisive. Dans ce sens, le professeur Jeanprêtre avait dit devant la Commission: "Pour que ce soit un "Umgehungsgeschäft", il faut que le droit obtenu permette d'atteindre un but économique analogue à une acquisition d'immeubles. Autrement dit, un bail de vingt ans n'est pas nécessairement une opération destinée à éluder la loi." C'est pourquoi, sur proposition de sa Commission, le Conseil des Etats a décidé de supprimer, dans le texte de l'
art. 2 let
. e AFAIE, la mention d'une durée du contrat de bail. Cependant, contrairement à l'opinion exprimée par M. Bolla, le rapporteur de la Commission a donné la précision suivante: "Um diesbezüglich keine Missverständnisse aufkommen zu lassen, beantragt die Kommission, die Vertragsdauer von mehr als fünf Jahren zu streichen. Die Bewilligungspflicht soll damit nicht etwa abgeschwächt werden. Es wird vielmehr der Charakter von Buchstabe e als Generalklausel gegen Umgehungsgeschäfte betont" (BO CE 1973 p. 16). Par ailleurs, il convient encore de relever que le Conseil National a rejeté, de manière très nette, une proposition qui tendait à introduire dans cette clause générale l'élément subjectif de l'intention (d'éluder la loi). Le législateur a ainsi clairement et expressément confirmé l'avis du Conseil fédéral selon lequel il ne faut pas tabler sur la volonté des parties, mais sur les faits eux-mêmes. Il s'agit donc de savoir si, par le contenu et l'étendue des droits qu'il confère au preneur, le bail est de nature à permettre d'atteindre un but économique analogue à celui d'une acquisition d'immeubles (voir BO CN 1972 p. 2218 ss, notamment 2221).
b) En l'espèce, le fait que les contrats de bail ont été conclus le 15 novembre 1976 pour une durée minimum de 15 ans (renouvelable de 5 ans en 5 ans dès le 1er décembre 1991) n'est pas en soi suffisant pour justifier l'application de l'
art. 2 let
. e AFAIE. Il n'en reste pas moins que cette longue durée joue un certain rôle dans l'appréciation de la situation.
BGE 104 Ib 141 S. 145
Dès le 1er décembre 1976 et pour au moins 15 ans, X. S.A. s'est vu conférer "le droit exclusif à l'usage et à l'exploitation, en son nom et sous sa responsabilité", de tout le complexe touristique de N., sans aucune restriction ni réserve. "Elle pourra notamment faire occuper les unités d'hébergement par ses clients et/ou par les clients de sa ou de ses filiales, recruter et diriger le personnel et, d'une manière générale, assurer toutes les activités directes ou connexes nécessaires à l'exploitation, sous la seule réserve de se conformer aux lois et règlements de police en vigueur ainsi qu'au règlement de copropriété de l'immeuble" (art. 2 al. 2 des deux contrats). De plus, X. S.A. a obtenu "le droit d'effectuer à sa charge et en prenant toutes mesures pour qu'il ne puisse être fait aucune réclamation au bailleur, tous travaux d'agrandissement et d'amélioration qu'elle jugerait nécessaires au bon usage de l'installation et/ou à l'exploitation de son activité". Il est vrai que le preneur "sera tenu d'en avertir le bailleur", mais en cas de refus de ce dernier, "il pourra passer outre; il devra alors en fin de bail remettre les lieux en état" (art. 13 al. 2, 3 et 4 des deux contrats). Enfin, selon l'art. 15, X. S.A. "aura la faculté de sous-louer tout ou partie de l'installation" (al. 1) et "dans les mêmes conditions, elle aura le droit de sous-louer, sous réserve de la législation existante, sans l'autorisation du bailleur, des emplacements de terrain ou des constructions à titre précaire, à des commerçants pouvant faciliter l'exploitation de l'installation; le produit de ces sous-locations sera acquis à X. S.A.
c) Si l'on tient compte de la puissance économique de X. S.A. - qui est évidente face aux sociétés A. S.A. et B. S.A. -, il faut bien admettre que les deux contrats de bail conclus le 15 novembre 1976 confèrent à cette organisation de séjours de vacances des droits qui, par leur contenu et leur étendue, lui permettent de se comporter pratiquement comme le propriétaire (économique) de l'ensemble du complexe hôtelier et parahôtelier de N. A cet égard, la brochure publicitaire éditée au nom de la société Y. - une filiale de X. S.A. - est particulièrement significative. C'est en vain que, dans ses observations, X. S.A. prétend vouloir se comporter en locataire et non comme le propriétaire économique; d'ailleurs, sur le plan juridique, l'intention ne compte pas dans l'application de l'
art. 2 let
. e AFAIE. Ce qui compte, c'est qu'en fait les droits de copropriété sur les "hébergements" et sur les locaux généraux sont
BGE 104 Ib 141 S. 146
pratiquement vidés de leur substance. Non seulement les copropriétaires d'appartements ou de studios n'ont plus la possibilité de faire usage de leur résidence secondaire (sauf pendant 4 semaines par année, étant alors traités comme les autres clients), mais encore ils se trouvent privés de leur droit de disposition, car on ne voit pas comment ils pourraient faire usage de leur droit de dénoncer le bail - contrat auquel ils ne sont pas partie - selon l'
art. 259 al. 2 CO
.
d) C'est donc à bon droit que les autorités cantonales ont déclaré applicable la disposition de l'
art. 2 let
. e AFAIE. En soumettant les droits découlant des deux contrats conclus le 15 novembre 1976 au régime de l'autorisation, elles n'ont violé aucune disposition de droit fédéral; elle n'ont pas non plus commis un abus ou un excès de leur pouvoir d'appréciation. La conclusion principale des intimées doit donc être rejetée.
2.
La recourante soutient que le Conseil d'Etat a violé des dispositions du droit fédéral en accordant à X. S.A. l'autorisation d'acquérir les droits découlant des deux contrats de bail conclus le 15 novembre 1976 avec les sociétés A. S.A. et B. S.A. C'est là une question juridique que le Tribunal fédéral examine librement, sans être lié par les motifs invoqués par les parties (art. 114 al. 1 in fine OJ).
Selon l'
art. 6 al. 1 AFAIE
, l'autorisation doit être accordée si l'acquéreur prouve un intérêt légitime à l'acquisition. Tel est notamment le cas, aux termes de l'
art. 6 al. 2 let. b AFAIE
, "lorsque l'immeuble en cause servira à l'acquéreur entièrement ou pour une part importante à abriter l'établissement stable d'une entreprise faisant le commerce, exploitant une fabrique ou exerçant quelque autre industrie en la forme commerciale, sans que des locaux d'habitation soient détournés de leur affectation".
En l'espèce, ces conditions générales doivent être considérées comme réalisées. Il est clair que X. S.A. et sa filiale, la société de gestion immobilière Y., sont des entreprises qui exercent une activité commerciale, au sens des
art. 52 ss ORC
. On doit aussi constater qu'elles ont la faculté d'obtenir l'autorisation d'exercer cette activité dans le complexe hôtelier et parahôtelier de N.: selon une communication verbale émanant du Service des concessions et patentes de l'Etat du Valais, la concession accordée pour cette exploitation pourrait être transférée à X. S.A. (voir décision du 24 décembre 1976, p. 6). Il est vrai qu'on
BGE 104 Ib 141 S. 147
ignore si cette dernière ou sa filiale fait l'objet d'une inscription au registre du commerce en Suisse; mais cela n'est pas décisif, car il serait facile de satisfaire à cette condition - que semble poser l'art. 13 al. 1 de l'ordonnance du Conseil fédéral du 21 décembre 1973 sur l'acquisition d'immeubles par des personnes domiciliées à l'étranger (OAIE) - en faisant inscrire une succursale. Par ailleurs, il convient de relever que, si le fait pour une personne physique de mettre le logement qu'elle a acquis à la disposition d'une organisation exploitant une entreprise d'hébergement ne constitue pas un établissement stable (
art. 13 al. 4 let
. c OAIE), l'acquisition de droits sur des immeubles par une organisation qui exploite une entreprise d'hébergement - ce qui est manifestement le cas en l'espèce - doit être considérée comme servant à l'exploitation d'un établissement stable (
art. 13 al. 5 OAIE
). Enfin, on ne peut pas dire qu'en mettant les appartements et les studios à la disposition de ses clients pour leurs séjours de vacances, X. S.A. détourne des locaux d'habitation de leur affectation: faisant partie d'un complexe touristique situé loin de toute agglomération, ces appartements et studios ne peuvent, de toute façon, être utilisés que comme résidences secondaires, pour des séjours de vacances.
Il en résulte logiquement qu'en vertu de l'
art. 6 al. 2 let. b AFAIE
, X. S.A. peut se prévaloir - en ce qui la concerne, tout au moins - d'un intérêt légitime à l'acquisition de droits sur le complexe touristique de N. qu'elle entend exploiter. Dans sa décision du 24 décembre 1976, le Chef du Service juridique du registre foncier l'avait déjà admis. Cela ne signifie cependant pas que l'autorisation de conclure les contrats de bail doive être accordée. Il s'agit en effet d'examiner encore si les propriétaires actuels - personnes domiciliées à l'étranger - peuvent valablement conférer à X. S.A., tout en respectant l'intérêt légitime pour lequel l'autorisation d'acquérir leur avait été accordée, le droit exclusif d'exploiter leurs locaux.
3.
Il n'est pas contesté que la société B. S.A. - société anonyme ayant son siège en Suisse - a le statut d'une personne domiciliée à l'étranger au sens de l'
art. 1er AFAIE
, étant financièrement dominée par des personnes qui ont leur domicile ou leur siège à l'étranger (
art. 3 let
. c AFAIE). C'est d'ailleurs à ce titre qu'elle a sollicité et obtenu, en 1970 et 1972, l'autorisation d'acquérir les parts de copropriété sur les locaux généraux -ou
BGE 104 Ib 141 S. 148
commerciaux - qui forment le complexe hôtelier ou parahôtelier de N. L'autorisation lui a donc été accordée, en vertu de l'
art. 6 al. 2 let. b AFAIE
, en vue d'exploiter ce complexe hôtelier et parahôtelier; elle a été grevée non seulement d'une interdiction d'aliéner pendant 10 ans, mais encore d'une charge relative au contrôle des locations.
a) Par le contrat de bail signé le 15 novembre 1976, B. S.A. n'a pas transféré ses droits de copropriété, mais a conféré à X. S.A. le droit exclusif à l'usage et à l'exploitation de tous les locaux commerciaux; X. S.A. entend exploiter ces locaux commerciaux en son nom et sous sa responsabilité. B. S.A. n'a donc pas transgressé l'interdiction d'aliéner; il ne semble pas non plus qu'elle ait violé la charge du contrôle des locations, car l'autorité compétente ne lui a pas interdit toute location, mais seulement soumis à un certain contrôle les locations de magasins (dont la société B. ne peut évidemment pas assurer elle-même la gestion).
b) Mais la question essentielle qui se pose en l'espèce est de savoir si une personne domiciliée à l'étranger - ou considérée comme telle, ce qui est le cas de B. S.A. - peut valablement céder à autrui le droit d'exercer dans ses locaux l'activité commerciale pour laquelle elle avait obtenu l'autorisation de les acquérir, en vertu de l'
art. 6 al. 2 let. b AFAIE
.
Dans le système de l'arrêté fédéral, l'autorisation d'acquérir n'est accordée que si elle est justifiée par un intérêt légitime. Mais cet intérêt doit être durable, et non seulement exister au moment de la demande et de l'octroi. C'est ce que le Tribunal fédéral a déjà relevé dans l'arrêt Sofindex du 11 octobre 1974 (
ATF 100 Ib 462
) et c'est pour assurer le caractère sérieux et durable de cet intérêt que l'arrêté fédéral prévoit des charges, à mentionner au registre foncier (cf. art. 6 al. 4 AF 1961, art. 6ter AF 1970 et art. 8 AF 1973, ainsi qu'
art. 17 OAIE
), avec les conséquences pénales qu'entraîne l'inobservation de ces charges (art. 25 AF 1973).
c) Il est vrai qu'à l'époque aucune charge n'a été inscrite pour assurer l'affectation des locaux acquis par B. au but indiqué par l'acquéreur. Mais cela ne veut pas dire qu'en l'absence de charges mentionnées au registre foncier, l'acquéreur soit libre d'affecter son immeuble à d'autres fins que celle qui a justifié l'octroi de l'autorisation. Dans ce sens, la Commission fédérale de recours avait déjà dit, sous l'empire de
BGE 104 Ib 141 S. 149
l'ancien texte, que l'art. 6 al. 3 let. b AF 1961 (devenu dès 1970 l'art. 6 al. 2 let. b) suppose que l'acquéreur exploitera lui-même l'entreprise à quoi doit servir l'immeuble à acquérir (décision du 11 novembre 1964, RNRF 1965 p. 233 consid. 2; cf. aussi
ATF 102 Ib 136
consid. 2b); cette jurisprudence a été consacrée par le législateur dès la révision de 1970, qui précise que l'immeuble doit servir "à l'acquéreur" (cf. FF 1969 II p. 1400). Il s'agit là d'une condition essentielle, qui non seulement doit être remplie au moment de l'octroi de l'autorisation, mais que l'acquéreur doit respecter de manière durable. Il est significatif à cet égard que l'ordonnance du 21 décembre 1973 précise qu'en règle générale, les charges visant à assurer l'affectation de l'immeuble au but indiqué par l'acquéreur sont pour le moins, dans le cas visé à l'
art. 6 al. 2 let. b AFAIE
, non seulement l'interdiction d'aliéner l'immeuble pendant 10 ans, mais en outre l'obligation - non limitée dans le temps - d'utiliser l'immeuble essentiellement pour abriter l'établissement stable d'une entreprise exploitée par l'acquéreur (art. 17 al. 2 let. b ch. 1 et 2 OAIE). Certes, cette disposition n'est pas directement applicable au cas présent puisque c'est en 1970 et 1972 que les autorisations ont été accordées à la société B. S.A., mais on peut tout de même voir dans ce texte réglementaire édicté en 1973 la confirmation d'une règle fondamentale de l'AFAIE, selon laquelle l'acquéreur étranger doit exploiter lui-même l'entreprise à l'exploitation de laquelle sert l'immeuble en cause. Par ailleurs, le fait pour l'acquéreur de ne plus exploiter lui-même son entreprise revient pratiquement à faire de l'acquisition - autorisée à l'époque - un placement de capitaux, qui ne peut pas être considéré comme un intérêt légitime apte à justifier une telle acquisition (
art. 6 al. 3 AFAIE
).
d) Il est vrai que les charges mentionnées au registre foncier peuvent être révoquées si l'exécution en paraît impossible en raison d'une modification des circonstances ou se trouve être d'une rigueur excessive (art. 17 al. 4 OFAIE); il doit en aller de même d'une obligation d'exploiter qui n'a pas fait l'objet d'une charge expresse et mentionnée au registre foncier. Mais, en l'espèce, B. S.A. n'a pas demandé formellement d'être libérée d'une telle obligation ni surtout tenté de démontrer que l'exécution de cette obligation serait devenue impossible ou d'une rigueur extrême pour elle. Les quelques allusions faites aux difficultés économiques rencontrées dans l'exploitation de ses
BGE 104 Ib 141 S. 150
locaux commerciaux sont trop vagues pour justifier une dérogation.
e) En conclusion, il n'est donc pas possible d'accorder à B. S.A. l'autorisation - qu'elle sollicite elle-même - de céder à X. S.A. le droit d'exploiter à sa place les locaux qu'elle a pu acquérir dans le complexe touristique de N.
4.
En ce qui concerne les hébergements (appartements et studios) qui font l'objet du contrat de bail signé par A. S.A., le dossier ne contient pas d'indication relative aux dates où les autorisations ont été accordées. Mais la décision du 24 décembre 1976 précise - et cette précision n'a été contredite par personne - que "les propriétaires étrangers d'appartements et de studios ont été autorisés sur la base de l'art. 6 al. 2 let. a ch. 3 de l'AF du 23 mars 1961". Or la forme de cette disposition est celle que lui a donnée la novelle du 24 juin 1970. Il faut en conclure que les autorisations ont été accordées postérieurement à l'entrée en vigueur de cette novelle au 1er janvier 1971 (l'arrêt pénal publié aux
ATF 102 IV 53
parle d'ailleurs de ventes qui ont eu lieu "notamment en 1971 et 1972"). Il en résulte que ces appartements et studios n'ont pu être acquis par des étrangers comme résidence secondaire que pour servir, en premier lieu, au séjour personnel de l'acquéreur ou à celui des membres de sa famille. Pour l'autorité compétente, il ne pouvait donc être question d'accorder l'autorisation à des étrangers qui entendaient se réserver la possibilité de céder à une organisation d'hébergement, contre paiement d'un loyer, le droit d'utiliser en permanence leurs résidences secondaires. Une telle location pour une longue durée correspond à un placement de capitaux, lequel ne peut constituer un intérêt légitime, même s'il n'y a pas spéculation ni recherche d'une source sûre de revenus (
ATF 102 Ib 28
consid. 2). Or le Tribunal fédéral a jugé que, sous réserve d'exceptions non admises dans les cas visés à l'
art. 6 al. 2 let. a et b AFAIE
, l'autorisation doit être refusée, en vertu de l'art. 6 al. 3, aux acquisitions qui servent à placer des capitaux (
ATF 102 IV 55
consid. Ib).
Certes, il n'est pas possible d'interdire toute location (cf. arrêt non publié du 2 mars 1977, Bignami c. Commission vaudoise de recours en matière foncière). D'ailleurs, le législateur ne l'exige pas puisque, aux termes de l'
art. 6 al. 2 let. a AFAIE
, l'immeuble doit servir "en premier lieu" - et non pas exclusivement - au séjour de l'acquéreur ou de sa famille. Mais la
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location, par un étranger, de sa résidence secondaire doit tout de même demeurer dans des limites raisonnables; on peut notamment l'admettre, par exemple, dans la mesure où le loyer encaissé ne fait que couvrir les charges financières et les frais d'entretien de l'immeuble.
Ces limites raisonnables sont largement dépassées en l'espèce, où les propriétaires étrangers renoncent pratiquement pendant 15 ans au moins à utiliser leur appartement comme résidence secondaire personnelle (sous réserve de la possibilité de l'occuper quatre semaines par année), et tirent de cette location un profit non négligeable. A cela ne change rien le fait que la pratique admette que la condition générale de l'art. 6 al. 2 let. a (utilisation, au premier chef, pour le séjour de l'acquéreur ou de sa famille) est réalisée dans la mesure où les intéressés occupent leur résidence secondaire au moins trois semaines par an, comme le relève la décision du 24 décembre 1976; en effet, même si une telle pratique est admise, elle n'implique pas l'autorisation de louer une telle résidence en permanence pendant tout le reste de l'année.
Il est vrai que les propriétaires étrangers pourraient revendre leurs appartements, puisque aucune interdiction d'aliéner ne leur a été imposée, semble-t-il. On pourrait en déduire qu'ils peuvent aussi les louer, en vertu du principe "qui peut le plus peut le moins". Mais la location aux conditions prévues par le contrat passé par A. S.A. le 15 novembre 1976 revient à faire, des acquisitions autorisées à l'époque, des placements de capitaux, ce qui ne saurait être admis en vertu de l'
art. 6 al. 3 AFAIE
.
Ainsi le contrat de bail du 15 novembre 1976 signé par A. S.A. et X. S.A. ne peut pas non plus être autorisé.
5.
Comme ni A. S.A. ni B. S.A. ne peuvent être autorisées à céder les droits prévus par les deux contrats du 15 novembre 1976, c'est à tort que le Conseil d'Etat a accordé l'autorisation requise, de sorte que sa décision du 20 juillet 1977 doit être annulée et que la demande d'autorisation doit être rejetée. | public_law | nan | fr | 1,978 | CH_BGE | CH_BGE_003 | CH | Federation |
d263353b-795b-48bd-b769-9f39e0bd781a | Urteilskopf
100 Ib 465
77. Sentenza 6 dicembre 1974 nella causa Società Immobiliare X. SA e litisconsorti contro Commissione di ricorso del Cantone Ticino per l'applicazione del DF 23 marzo 1961 concernente l'acquisto di fondi da parte di persone all'estero. | Regeste
BB vom 23. März 1961 über den Erwerb von Grundstücken durch Personen im Ausland. Erwerb durch Immobiliengesellschaften. Wert und Tragweite notarieller Erklärungen über das Fehlen einer beherrschenden finanziellen Beteiligung von Personen im Ausland.
Art. 9 ZGB
und 23 der Verordnung vom 21. Dezember 1973.
1. Voller Beweis mit öffentlichen Urkunden:
Art. 9 ZGB
und 23 Abs. 4 der Verordnung (Erw. 3).
2. Allgemeine Erklärungen im Sinne von Art. 23 Abs. 5 der Verordnung (Erw. 4).
3. Eine öffentliche Urkunde über die Übertragung von Grundeigentum erbringt vollen Beweis im Sinne von Art. 23 Abs. 4 der Verordnung nur für die wesentlichen Elemente des Geschäfts und für allfällige Nebenabreden, die für die Feststellung des Geschäftswillens der Parteien erheblich sind (Erw. 5). | Sachverhalt
ab Seite 466
BGE 100 Ib 465 S. 466
La Società Immobiliare X. S. A. è una società anonima con un capitale sociale di Fr. 50 000.--, diviso in 50 azioni al portatore di Fr. 1000.-- ciascuna. Il suo scopo è la compera, la vendita, la costruzione e locazione, nonchè la gestione di beni immobili, la partecipazione ad imprese commerciali ed industriali, l'amministrazione del patrimonio di proprietà di terzi e operazioni finanziarie. La sua sede è in Svizzera presso lo studio legale e notarile Y.
Il 15 marzo 1974 il notaio Y. rogava un atto di compravendita con cui A. e B. vendevano all'Immobiliare X. S. A. un terreno avente una superficie di 32425 mq. Il prezzo di Fr. 324250.-- era da pagare con assegni bancari. Nel n. 6 dell'atto il notaio dichiarava:
"Con riferimento al contratto di compravendita di cui al presente atto pubblico, il sottoscritto notaio dichiara e certifica, nella sua qualità di notaio e con conoscenza e responsabilità personale, che la Società Immobiliare X. SA è composta esclusivamente da azionisti svizzeri, che il finanziamento necessario per l'acquisto di cui al presente contratto è stato fornito con mezzi propri esclusivamente da azionisti svizzeri e che alla società medesima o alla presente transazione non sono interessate a nessun titolo e in nessun modo, nemmeno fiduciario o con prestiti, persone domiciliate all'estero o in un modo qualsiasi non autorizzate a concludere affari immobiliari in Svizzera, a finanziarli o a esservi interessate. Il sottoscritto notaio ha accertato personalmente."
Con decisione 5 aprile 1974 l'Autorità di prima istanza per l'applicazione del decreto federale del 23 marzo 1961/21 marzo 1973 sull'acquisto di fondi da parte di persone all'estero accertava, in base alla dichiarazione rilasciata dal notaio Y. e senza ulteriore esame, che il negozio di compravendita non era soggetto all'autorizzazione richiesta dall'art. 1 del decreto federale sopra menzionato (RS 211.412.41, designato in seguito: il decreto federale).
Su gravame proposto dall'Autorità cantonale di sorveglianza legittimata a ricorrere ai sensi dell'art. 10 lett. b del decreto federale, la Commissione cantonale di ricorso annullava il 22 maggio 1974 tale decisione e rinviava gli atti all'Autorità di prima istanza perchè accertasse il nome, il domicilio degli azionisti e l'origine del capitale destinato all'acquisto del fondo, e provvedesse a tutte le ulteriori indagini necessarie per raggiungere il pieno convincimento della legittimità dell'operazione. La Commissione rilevava che la dichiarazione emessa
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dal notaio Y. era una dichiarazione generale ai sensi del-l'art. 23 cpv. 5 dell'ordinanza del Consiglio federale sull'acquisto di fondi da parte di persone all'estero del 21 dicembre 1973 (RS 211.412.411; designata in seguito: l'ordinanza); come tale, detta dichiarazione era inidonea a provare che presso l'acquirente nessuna persona con domicilio o sede al-l'estero esercitava un'influenza preponderante sulla società. Nel caso di un acquisto da parte di una società immobiliare l'autorità non può contentarsi di una dichiarazione generica rilasciata dal notaio rogante, ma ha l'obbligo di esaminare le prove a suo sostegno, in particolare quello di stabilire l'identità degli azionisti e la provenienza dei mezzi finanziari utilizzati per l'operazione.
Con ricorso di diritto amministrativo le due venditrici e la società acquirente sono insorte contro la decisione della Commissione cantonale di ricorso; esse chiedono che tale decisione sia annullata e sia accertato che la compravendita a cui si riferisce non è soggetta all'obbligo dell'autorizzazione. Le ricorrenti fanno valere che la dichiarazione del notaio Y. soddisfaceva le condizioni poste dall'art. 23 cpv. 4 dell'ordinanza, sì da rendere superflue altre indagini. Tacciano inoltre di contraria al diritto federale la disposizione di cui all'art. 7 cpv. 3 del decreto esecutivo di applicazione del decreto federale, che il Consiglio di Stato ticinese aveva emanato il 22 gennaio 1974 (Raccolta delle leggi vigenti nel Cantone Ticino, X. 521): in virtù di tale disposizione, ove il notaio faccia uso della facoltà, conferitagli dal cpv. 2 dello stesso articolo, di accertare che sono date le condizioni che legittimano l'iscrizione a registro fondiario o di commercio senza autorizzazione, egli deve indicare nell'atto i documenti su cui si basa il suo accertamento.
Erwägungen
Considerando in diritto:
1.
Con il giudizio impugnato la Commissione di ricorso ha annullato la decisione di prima istanza con cui era stato accertato che l'acquisto immobiliare effettuato dall'Immobiliare X. S. A. non era soggetto all'obbligo dell'autorizzazione. La Commissione non ha deciso se questo obbligo fosse dato nella fattispecie, ma ha rinviato la causa all'Autorità di prima istanza perchè esaminasse tale questione. La decisione della Commissione di ricorso ha pertanto per il momento soltanto effetti di carattere procedurale. Nondimeno non trattasi di
BGE 100 Ib 465 S. 468
una decisione di natura meramente processuale; essa è finale per quanto concerne la questione della rilevanza da attribuire, in sede d'esame dell'esistenza o inesistenza dell'obbligo di autorizzazione, alla dichiarazione notarile contenuta nell'atto di compravendita. In modo generale, una decisione dell'autorità cantonale che rinvia la causa ad un'istanza inferiore perchè statuisca ai sensi dei considerandi costituisce, nella misura in cui contiene istruzioni imperative, una decisione finale, e non una semplice decisione incidentale (RU 99 Ib 519/520). E'quindi superfluo esaminare se siano dati nella fattispecie i presupposti richiesti dall'art. 45 cpv. 1 PAF per l'impugnabilità di una decisione incidentale.
Il gravame risulta pertanto ammissibile in linea di principio, almeno nella misura in cui esso è proposto dalla X. S. A. Inammissibile è, per converso, la doglianza per cui l'art. 7 cpv. 3 del decreto esecutivo del Consiglio di Stato viola il diritto federale. La Commissione di ricorso non ha infatti accolto il ricorso dell'Autorità cantonale di sorveglianza per non aver il notaio rogante indicato nell'atto pubblico i documenti sui quali aveva basato il suo accertamento; essa non ha, cioè, applicato la cennata disposizione, ragione per cui i ricorrenti non sono legittimati a censurarla.
2.
a) Il decreto federale intende limitare l'acquisto di fondi in Svizzera da parte di persone con domicilio o sede all'estero. Il suo art. 3 definisce la cerchia di tale persone. Giusta la lett. c di detto articolo, vi appartengono anche persone giuridiche e società di persone senza personalità giuridica ma con capacità patrimoniale, che hanno sede in Svizzera e alle quali partecipano finanziariamente in maniera preponderante persone non aventi domicilio o sede in Svizzera. Esse possono ottenere l'autorizzazione d'acquistare fondi in Svizzera soltanto se dimostrano un interesse legittimo ai sensi dell'art. 6 del decreto federale. Perchè il decreto federale possa essere attuato nel senso voluto dal legislatore e perchè, nei limiti del possibile, tutti i negozi suscettibili di dar luogo ad un acquisto soggetto ad autorizzazione possano essere esaminati, risultano tra l'altro necessarie una serie di misure destinate specificamente ad accertare in quali casi una persona giuridica o una società di persone con capacità patrimoniale con sede in Svizzera sia dominata da persone o società non aventi domicilio o sede in Svizzera.
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Il Consiglio federale ha stabilito nella sua ordinanza che deve ammettersi una partecipazione finanziaria in misura preponderante da parte di persone con domicilio o sede all'estero allorchè tale partecipazione sia superiore a un terzo del capitale (art. 5 cpv. 1). Una partecipazione preponderante a una persona giuridica da parte di persone all'estero può nondimeno aver luogo anche senza che ricorra una partecipazione di almeno un terzo al capitale. Per considerare questi casi ed impedire che sia elusa l'attuazione dei fini del decreto federale, il Consiglio federale ha emanato nell'art. 5 cpv. 2 ulteriori disposizioni, tra le quali è rilevante nella fattispecie quella corrispondente alla lett. c. In virtù della regola ivi enunciata deve ammettersi una partecipazione preponderante da parte di persone all'estero anche quando non possa escludersi con certezza che persone con domicilio o sede in Svizzera, le quali partecipino per più di un terzo al capitale o concedano crediti considerevoli, siano finanziate da persone con domicilio o sede all'estero.
Ciò significa che, in linea di principio, vanno esaminati tutti gli acquisti immobiliari effettuati da società svizzere e che l'esame concerne tanto il capitale di tali società o altre forme del controllo esercitato su di esse, quanto la partecipazione da parte loro ad un concreto acquisto immobiliare. Questo accertamento è spesso disagevole, specialmente nel caso di società anonime le cui azioni siano al portatore e largamente disseminate. L'esteso obbligo d'informazione e di edizione introdotto dall'art. 15 del decreto federale serve a facilitare l'indagine. Una proposta fatta nel corso delle deliberazioni parlamentari, tendente ad obbligare le società immobiliari ad emettere solamente azioni nominative, non era stata approvata (Boll. Sten. CN 1962, 2223 segg.). L'accertamento delle singole partecipazioni, richiesto dal decreto federale, ha come conseguenza che l'eventuale desiderio degli azionisti di conservare l'anonimato deve cedere il passo all'interesse pubblico volto ad un'attuazione corretta della disciplina autorizzativa stabilita dal medesimo decreto federale (RU 99 Ib 405 consid. 3). Nella presente fattispecie è stato probabilmente un desiderio di tal genere, manifestato dagli azionisti della Immobiliare X. S. A., che ha indotto il notaio Y. ad accertare egli stesso l'inesistenza di una partecipazione di persone con domicilio o sede all'estero.
b) Poichè nell'acquisto di fondi da parte di società immobiliari
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con sede in Svizzera il rishio di operazioni intese ad eludere la disciplina autorizzativa è particolarmente elevato, l'ordinanza esige che gli organi competenti per il rilascio dell'autorizzazione sottopongano ad esame ogni negozio d'acquisto immobiliare effettuato da tali società. L'ufficiale del registro fondiario è quindi tenuto a rinviare all'autorità di prima istanza il richiedente che notifichi un acquisto di un fondo in Svizzera effettuato da una società immobiliare, qualora non sia prodotta l'autorizzazione definitiva (art. 21 cpv. 2 lett. b dell'ordinanza). L'Immobiliare X. S. A. è incontestabilmente una persona giuridica "un cui scopo principale, secondo gli statuti o il contratto di società, è l'acquisto, l'alienazione, l'interposizione o altre operazioni inerenti a diritti su fondi", ai sensi dell'art. 21 cpv. 2 lett. b dell'ordinanza. Per tale ragione è d'uopo esaminare con particolare attenzione se l'operazione che ha dato origine alla controversia sia soggetta ad autorizzazione.
3.
a) L'art. 23 dell'ordinanza prescrive all'autorità competente per il rilascio dell'autorizzazione in che modo debba esaminare i casi che le sono deferiti. Ovviamente essa è tenuta ad acclarare in quale misura esista un'eventuale partecipazione finanziaria di persone all'estero; in quanto non esista una partecipazione diretta di tali persone mediante apporto di una quota del capitale della società o mediante crediti a questa accordati, dovrà accertare se le quote di capitale conferite o i crediti accordati non siano stati finanziati in modo preponderante da persone all'estero. L'autorità competente per il rilascio dell'autorizzazione può quindi, in quanto necessario, pretendere da ogni singola persona che partecipi alla società la prova della provenienza dei mezzi finanziari con cui s'è concretata la sua partecipazione; tale modo di procedere s'impone in particolare nei casi in cui la partecipazione sia da ritenersi preponderante.
Secondo l'art. 23 cpv. 1 dell'ordinanza le autorità accertano i fatti d'ufficio; esse possono fondarsi soltanto su allegazioni da esse esaminate e di cui hanno all'occorrenza assunto le prove (cpv. 2). Tale disposizione non eccede i limiti della delega conferita dal legislatore al Consiglio federale.
Il cpv. 4 contiene una regola in materia di prove. In virtù di essa, i pubblici documenti fanno piena prova dei fatti che attestano se il pubblico ufficiale vi certifica d'averli verificati di
BGE 100 Ib 465 S. 471
persona e nulla venga ad infirmare la loro pertinenza. Tale norma rinvia espressamente all'art. 9 CC ed è stata anche in parte elaborata sul modello di quest'ultimo. Il cpv. 5 stabilisce peraltro che le dichiarazioni generali che si restringono a contestare le condizioni dell'obbligo dell'autorizzazione o ad affermarne l'adempimento non hanno in alcun caso forza probante. Questa disposizione si riferisce in primo luogo al cpv. 4 e ne limita la portata; essa completa nondimeno anche il cpv. 2.
b) In quanto siano da esaminare negozi giuridici che, come la compravendita di immobili, vanno stipulati con atto pubblico, vale ai fini del valore probatorio dei fatti ivi attestati la regola enunciata nell'art. 9 CC; tale regola sarebbe d'altronde applicabile anche in assenza del rinvio contenuto nell'art. 23 cpv. 4 dell'ordinanza. Quest'ultima disposizione va tuttavia oltre quanto previsto nell'art. 9 CC. In primo luogo, essa stabilisce che la piena prova è data soltanto se il pubblico ufficiale certifica di aver verificato di persona i fatti attestati. Tale divergenza rispetto a quanto espresso nell'art. 9 CC è priva di rilevanza pratica, essendo ovvio che il notaio attesti esclusivamente fatti della cui esistenza si sia sincerato (KUMMER, n. 43 ad art. 9 CC). Poichè la certificazione richiesta dall'art. 23 cpv. 4 dell'ordinanza è contenuta nell'atto pubblico rogato dal notaio Y., è comunque superfluo dilungarsi al proposito.
L'art. 23 cpv. 4 dell'ordinanza diverge dall'art. 9 CC anche per il fatto che il primo riconosce la piena prova soltanto ove nulla venga ad infirmare la pertinenza dei fatti attestati, mentre l'art. 9 CC riconosce la piena prova sino a che sia dimostrata l'inesattezza di tali fatti. A prima vista parrebbe che l'art. 23 cpv. 4 dell'ordinanza abbia inteso attenuare la forza probante dell'atto pubblico quale prevista dall'art. 9 CC e quale fa stato nei confronti di ognuno. La divergenza è tuttavia soltanto apparente. L'art. 23 dell'ordinanza è soprattutto una norma con cui l'autorità competente per il rilascio dell'autorizzazione è resa edotta in qual modo debbano essere assunte e valutate le prove. Nello stabilire che l'atto pubblico fa piena prova soltanto se nulla infirma la pertinenza dei fatti ivi attestati, s'è voluto dire in realtà che l'autorità non può limitarsi a considerare come pienamente provato il contenuto poco verosimile di un atto pubblico, bensì deve sforzarsi di
BGE 100 Ib 465 S. 472
provarne l'eventuale inesattezza. In questo senso l'art. 23 cpv. 4 dell'ordinanza appare compatibile con l'art. 9 CC. Tale questione può comunque restare indecisa, non essendo litigiosa nè essendo sostenuto da alcuno che vi siano indizi che lascino supporre inesatti i fatti attestati nell'atto pubblico di cui trattasi. Litigioso è, per converso, se il n. 6 di tale atto pubblico contenga solamente dichiarazioni generali ai sensi dell'art. 23 cpv. 5 dell'ordinanza, oppure attesti circostanze specifiche giuridicamente rilevanti.
4.
a) Mentre la Commissione di ricorso ritiene che la dichiarazione contenuta nel n. 6 dell'atto pubblico di compravendita del 15 marzo 1974 sia una dichiarazione di carattere meramente generale, le ricorrenti sono d'avviso che essa basti a provare pienamente i fatti da loro allegati.
La Commissione di ricorso e il Dipartimento federale di giustizia e polizia reputano che la dichiarazione notarile in parola non possa essere considerata determinante già per il fatto che essa attesta la situazione esistente in un dato momento e che tale situazione può mutare subito dopo. Questa eccezione non appare convincente. Infatti un'autorizzazione deve sempre fondarsi sulla situazione esistente in un dato momento, e ciò anche nei casi in cui essa si fonda con ragione su un'attestazione conforme all'art. 23 cpv. 4 dell'ordinanza. Successive modifiche possono essere rilevanti ai fini di stabilire se abbia avuto luogo un negozio destinato ad eludere la disciplina del decreto federale e se si sia inteso conseguire l'autorizzazione in modo fraudolento. La prova dell'intento di eludere le disposizioni del decreto federale può essere fornita più facilmente quando, nel momento in cui è rilasciata l'autorizzazione, siano esattamente note le circostanze relative alle diverse forme di partecipazione ad una società. Tale esigenza rende necessaria un'interpretazione restrittiva dell'art. 23 cpv. 4 dell'ordinanza, nel senso che la dichiarazione del notaio deve adempiere rigorosi criteri di concretezza.
b) Quali dichiarazioni generali ai sensi del cpv. 5 devono ovviamente valere dichiarazioni che si limitino ad attestare che l'acquisto non è soggetto ad autorizzazione o che sono adempiute le condizioni per il rilascio di quest'ultima. Dichiarazioni di tale indole non possono beneficiare della forza probante garantita dall'art. 9 CC già per la ragione che non attestano fatti, bensì costituiscono conclusioni giuridiche. Il notaio
BGE 100 Ib 465 S. 473
Y. non ha peraltro emesso una dichiarazione di questo genere, bensì ha attestato fatti in senso proprio. Egli ha dichiarato che tutti gli azionisti della società acquirente sono svizzeri, che il finanziamento necessario per l'acquisto è stato fornito con mezzi propri esclusivamente da tali azionisti e che alla società acquirente non sono interessate, a nessun titolo e in nessun modo, nemmeno a titolo fiduciario o con prestiti, persone domiciliate all'estero. Nella dichiarazione il notaio avrebbe dovuto correttamente aggiungere d'avere accertato che anche le azioni e gli eventuali mutui accordati dagli azionisti provenivano da persone con domicilio in Svizzera. Tale accertamento può tuttavia essere ritenuto implicito in quello secondo cui alla Immobiliare X. S. A. non sono interessate ad alcun titolo persone domiciliate all'estero, ed in quello per cui il finanziamento dell'acquisto è stato fornito con mezzi esclusivamente propri degli azionisti.
In quanto gli accertamenti contenuti in tale dichiarazione risultino successivamente esatti, l'acquisto non è effettivamente soggetto ad autorizzazione. La Commissione di ricorso ha nondimeno rilevato con ragione che la dichiarazione rimane, malgrado l'ampiezza della formula usata, considerevolmente generale. Per poter controllare efficacemente se il negozio soggiacesse al regime autorizzativo, era d'uopo che essa avesse un maggior grado di concretezza di quello risultante nell'atto pubblico del 15 marzo 1974. Diversamente, all'autorità competente per il rilascio dell'autorizzazione non sarebbe neppure possibile esaminare se esistano indizi per ritenere inesatti i fatti attestati, fuorchè nel caso in cui essa fosse entrata in possesso di tali indizi attraverso informazioni raccolte presso terzi. La dichiarazione deve essere formulata in modo tanto concreto da consentire all'autorità competente di determinarsi almeno se tentare la prova dell'inesattezza del suo contenuto. Dipende dalle circostanze particolari di ogni caso fino a che punto i fatti attestati debbano essere concretizzati. La dichiarazione dovrà in ogni modo contenere almeno i nomi degli azionisti e, in quanto l'acquisto non sia avvenuto con i mezzi della società, il nome dei datori di capitale o di credito. Dare una forma concreta ad una dichiarazione destinata al fine di cui sopra non è d'altronde agevole, dato che in molti casi va fornita una prova negativa (v. per esempio art. 5 cpv. 2 lett. c dell'ordinanza).
BGE 100 Ib 465 S. 474
5.
a) La questione sino a che punto una dichiarazione debba essere concretizzata può nondimeno restare indecisa. Invero a fatti come quelli attestati nel n. 6 dell'atto pubblico non può comunque essere estesa una forza probante qualificata, dato che, nella misura in cui riconoscesse ad attestazioni su tali fatti o su altri dialoghi espressi più concretamente il valore di piena prova, l'ordinanza violerebbe il decreto federale.
b) La compravendita di immobili deve avvenire mediante atto pubblico. I fatti attestati in quest'ultimo sono considerati pienamente provati ai sensi dell'art. 9 CC. Tale forza probante prevista dal diritto federale vige anche nei confronti delle autorità amministrative. La sua estensione è peraltro assai minore di quanto ritenuto dalle ricorrenti. Essa si riferisce infatti al solo contenuto negoziale per il quale il diritto federale prescrive la forma dell'atto pubblico (RU 96 II 167, KUMMER, op.cit. n. 37). Tale forma è, cioè, richiesta soltanto per gli elementi essenziali della compravendita, nonchè per le eventuali pattuizioni accessorie rilevanti per determinare la volontà negoziale delle parti. Le attestazioni contenute nel n. 6 dell'atto pubblico del 15 marzo 1974 non si riferiscono manifestamente a questi oggetti. Benchè l'art. 7 cpv. 2 del decreto esecutivo ticinese di applicazione del decreto federale attribuisca espressamente al notaio la facoltà di accertare nell'atto pubblico se siano date le condizioni che legittimano l'iscrizione a registro fondiario o a registro di commercio senza autorizzazione, tali accertamenti facoltativi non partecipano della forza probante qualificata prevista dall'art. 9 CC; aperta può rimanere la questione - che qui non si pone - se siffatti accertamenti possano assumere forza probante in una procedura retta dal diritto cantonale. La cennata limitazione del valore probatorio appare d'altronde giustificata. L'art. 9 CC intende conferire all'atto pubblico una forza probante accresciuta nella misura in cui ciò sia necessario per garantire l'attuazione del diritto civile. Non v'è per il diritto federale motivo di estendere ulteriormente tale valore probatorio qualificato. Altrimenti chiunque potrebbe assicurare alle proprie allegazioni di fatto, di qualsiasi natura esse siano, una forza probante particolare, facendosele attestare in un atto pubblico, il che non è certo il senso dell'art. 9 CC (KUMMER, op.cit. n. 51). Le ricorrenti non possono pertanto dedurre dall'art. 9 CC che le
BGE 100 Ib 465 S. 475
indicazioni figuranti nel n. 6 dell'atto pubblico godono di una forza probante qualificata e che devono essere accettate senz'altro dall'autorità.
Il legislatore federale avrebbe certamente potuto, con riferimento alla procedura prevista dal decreto federale, estendere i limiti dell'art. 9 CC, e riconoscere, ad esempio, la piena forza probante anche a dichiarazioni notarili analoghe a quella litigiosa nel presente giudizio. Nè può escludersi che un siffatto proposito esistesse allorchè fu emanato l'art. 23 cpv. 4 dell'ordinanza. Ove dovesse essere interpretato in tal senso, il citato cpv. 4 eccederebbe tuttavia i limiti della delega conferita dal Parlamento al Consiglio federale. Vincolato nella sua giurisprudenza al decreto federale (art. 113 cpv. 3 CF), il Tribunale federale può accertare con cognizione illimitata se l'ordinanza del Consiglio federale non sia contraria al decreto federale su cui si fonda (RU 99 Ib 165). Tale decreto federale esige che un'autorità accerti se esistano i presupposti necessari perchè un negozio non sia soggetto ad autorizzazione. Detta autorità deve esaminare essa stessa attentamente i negozi sottoposti al suo controllo ed emanare i provvedimenti necessari in materia di prove. Qualora si seguisse il modo di vedere delle ricorrenti, che corrisponde in ciò a quello della Commissione di ricorso e del Dipartimento federale di giustizia e polizia, l'accertamento delle circostanze non verrebbe più effettuato da un'autorità, bensì da un notaio; esso sarebbe, cioè, deferito a quest'ultimo. L'autorità potrebbe, secondo tale opinione, intervenire soltanto ove disponga di indizi che le consentano di ritenere inesatte le dichiarazioni contenute nell'atto pubblico. Qualora avesse previamente rinunciato a svolgere proprie indagini e fosse vincolata agli accertamenti risultanti dall'atto pubblico, essa sarebbe tuttavia spesso fatalmente sprovvista di indizi di tale natura e non avrebbe quindi la possibilità di adempiere le proprie funzioni di controllo. Una siffatta disciplina sarebbe dunque contraria alle finalità del decreto federale e alle norme organizzative da esso stabilite (v. nello stesso senso la decisione 29 aprile 1969 della Commissione federale di ricorso nella causa Waldegg Immobilien- und Verwaltungs-AG, in Zeitschrift für Beurkundungs- und Grundbuchrecht, 1969, pag. 185). Ne seguirebbe che l'autorità dovrebbe in molti casi prescindere dalla propria intima convinzione, soltanto perchè obbligata a fondarsi sulla dichiarazione notarile laddove manchino
BGE 100 Ib 465 S. 476
sufficienti indizi per ritenere quest'ultima inesatta. Da considerare è altresì che il notaio rogante può a sua volta essere vittima di indicazioni erronee fornitegli dalle parti ed essere indotto ad attestarne in buona fede l'esattezza. Il risultato sarebbe che, in modo generale, l'autorità diffiderebbe anticipatamente di dichiarazioni notarili di questa indole e considererebbe dati indizi d'inesattezza anche quando questi in realtà non esistessero e potessero semmai essere trovati solamente nel corso di vere e proprie indagini. Tutto ciò sarebbe pregiudizievole ad un armonico svolgimento della funzione notarile. Infine, nei casi in cui non fosse consentito provare l'inesattezza del rogito, la regola in materia probatoria enunciata dall'art. 5 cpv. 2 lett. c dell'ordinanza non potrebbe esplicare pienamente i suoi effetti, ciò che limiterebbe l'efficacia della disciplina voluta del decreto federale. Per tutti questi motivi l'art. 23 cpv. 4 dell'ordinanza va interpretato nel senso ristretto sopra illustrato, che è l'unico conforme alla normativa del decreto federale.
Poichè dichiarazioni del genere di quella contenuta nell'atto pubblico del 15 marzo 1974 non fanno piena prova neppure se formulate in modo più dettagliato, nè possono sostituire un accertamento effettuato dall'autorità, la Commissione di ricorso ha nella fattispecie con ragione annullato la decisione dell'Autorità di prima istanza e rinviato gli atti a quest'ultima perchè disponga gli accertamenti richiesti dalle circostanze. Il gravame dev'essere quindi respinto nella misura in cui è ammissibile.
Dispositiv
Il Tribunale federale pronuncia:
In quanto ricevibile, il ricorso è respinto. | public_law | nan | it | 1,974 | CH_BGE | CH_BGE_003 | CH | Federation |
d2648047-7661-4ef3-95b4-abb010802efa | Urteilskopf
119 III 8
3. Auszug aus dem Urteil der II. Zivilabteilung vom 4. Februar 1993 i.S. I. AG gegen Société S. und Obergericht des Kantons Basel-Landschaft (staatsrechtliche Beschwerde) | Regeste
Art. 4 BV
(Willkür); nachträglicher Rechtsvorschlag (
Art. 77 SchKG
).
1. Der Rechtsvorschlag kann anlässlich der Zustellung des Zahlungsbefehls gegenüber dem Postbeamten erklärt werden, der als Betreibungsgehilfe handelt. Wird der erhobene Rechtsvorschlag vom Postbeamten nicht verurkundet, so ist die Annahme nicht willkürlich, dass diese Unterlassung durch Beschwerde nach
Art. 17 SchKG
bei der Aufsichtsbehörde über Schuldbetreibung und Konkurs hätte angefochten werden können (E. 2).
2. Nicht willkürlich ist die Auffassung, es dürfe von jedem im Geschäftsleben tätigen Menschen erwartet werden, dass er korrekt Rechtsvorschlag erhebt. Vor allem wer erstmals im Leben einen Zahlungsbefehl erhält, muss das Formular genau lesen, um seiner Sorgfaltspflicht zu genügen (E. 4). | Sachverhalt
ab Seite 9
BGE 119 III 8 S. 9
A.-
Der Direktor der I. AG hatte in der gegen diese gerichteten Betreibung Nr. 92/2509 des Betreibungsamtes B. den Zahlungsbefehl auf dem Postamt entgegengenommen.
Mit einem Gesuch um Bewilligung des nachträglichen Rechtsvorschlages machte die I. AG geltend, der Direktor habe gegenüber der Postbeamtin erklärt, er erhebe für die I. AG Rechtsvorschlag. Er sei der Meinung gewesen, die Postbeamtin fülle den Zahlungsbefehl entsprechend aus. Da indessen der Rechtsvorschlag auf dem an das Betreibungsamt zurückgesandten Gläubigerdoppel nicht vermerkt sei, müsse davon ausgegangen werden, dass der Rechtsvorschlag irrtümlicherweise nicht erfolgt sei.
Der Bezirksgerichtspräsident ging zugunsten der I. AG von einer unverschuldeten Verhinderung an der Erhebung des Rechtsvorschlags im Sinne von
Art. 77 SchKG
aus und bewilligte demzufolge den nachträglichen Rechtsvorschlag.
Demgegenüber hiess der Ausschuss des Obergerichts des Kantons Basel-Landschaft die Appellation der Société S. gut, indem er den erstinstanzlichen Beschluss aufhob. Das Obergericht erwog insbesondere, dass die I. AG ein allfälliges Fehlverhalten der Postbeamtin als Betreibungsgehilfin mit einer Beschwerde gemäss
Art. 17 SchKG
hätte rügen müssen. Es betrachtete aber auch die Unterlassung des Rechtsvorschlages durch die I. AG nicht als unverschuldet im Sinne von
Art. 77 SchKG
.
B.-
Soweit auf die gegen das kantonale Urteil gerichtete staatsrechtliche Beschwerde einzutreten war, wurde sie vom Bundesgericht abgewiesen.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
2.
a) Die Beschwerdeführerin sieht das Willkürverbot des
Art. 4 BV
verletzt, weil das Obergericht des Kantons Basel-Landschaft den nachträglichen Rechtsvorschlag unter anderem mit der Begründung abgewiesen hat, die I. AG hätte durch Beschwerde gegen das zuständige Betreibungsamt die nachträgliche Berücksichtigung eines Rechtsvorschlags, der effektiv bei der den
BGE 119 III 8 S. 10
Zahlungsbefehl zustellenden Postbeamtin erhoben worden sei, anstreben müssen. Damit habe das Obergericht den Beweisnotstand der I. AG verkannt; denn die Postbeamtin hätte, da die Tatsache des unterbliebenen Rechtsvorschlags erst mehr als einen Monat später festgestellt worden sei, den Vorgang gar nicht mehr mit hinreichender Klarheit schildern können. Somit sei der Beschwerdeführerin nichts anderes übriggeblieben, als auf eine Beschwerde im Sinne von
Art. 17 SchKG
zu verzichten und beim Richter gestützt auf
Art. 77 SchKG
ein Gesuch um nachträgliche Bewilligung des Rechtsvorschlags zu stellen.
b) Das Obergericht des Kantons Basel-Landschaft ist im angefochtenen Urteil zutreffend davon ausgegangen, dass bei Zustellung des Zahlungsbefehls durch die Post der zustellende Postbote als Betreibungsgehilfe handelt (AMONN, Grundriss des Schuldbetreibungs- und Konkursrechts, 4. Auflage, Bern 1988, § 12 N. 9). Sodann ist im angefochtenen Urteil zu Recht auf
BGE 85 III 167
verwiesen worden, wonach die Erklärung über die Erhebung des Rechtsvorschlags anlässlich der Zustellung des Zahlungsbefehls gegenüber dem Postboten abgegeben werden kann, welcher die Erklärung an das Betreibungsamt weiterzuleiten hat (Art. 153a V(1) zum PVG; es schadet entgegen der Meinung der Beschwerdeführerin nichts, dass das Obergericht in diesem Zusammenhang eine überholte, inhaltlich aber grundsätzlich gleichlautende Bestimmung dieser Verordnung angerufen hat).
Wenn das Obergericht gestützt hierauf zum Schluss gelangt ist, der Rechtsvorschlag wäre gültig erfolgt, wenn der Direktor der I. AG bei der Entgegennahme des Zahlungsbefehls der Postbeamtin gegenüber sofort Rechtsvorschlag erklärt hätte, und dass damit gar kein Anlass für die Bewilligung des nachträglichen Rechtsvorschlags bestanden hätte, so ist dies nichts anderes als folgerichtig. Die Tatsache, dass die Postbeamtin den Rechtsvorschlag nicht verurkundet hat, aber hätte mit der Beschwerde gemäss
Art. 17 SchKG
gerügt werden können. Dass die Beschwerde zum voraus aussichtslos gewesen wäre, erscheint zumindest nicht als derart sicher, dass die Verweisung des Obergerichts auf den Beschwerdeweg als geradezu unhaltbar zu betrachten wäre. Eine Verletzung von
Art. 4 BV
liegt deshalb in diesem Punkt nicht vor.
4.
a) Die Beschwerdeführerin rügt auch, das Obergericht des Kantons Basel-Landschaft habe willkürlich verneint, dass die I. AG unverschuldet verhindert war, innerhalb der gesetzlichen Frist Rechtsvorschlag zu erheben. Ihrer Ansicht nach hat das Obergericht
BGE 119 III 8 S. 11
Massstäbe gesetzt, die allenfalls gegenüber Juristen angängig seien. Es sei nämlich zu berücksichtigen, dass der Direktor der I. AG zum erstenmal in seinem Leben einen Zahlungsbefehl entgegengenommen habe, nachdem kurz zuvor der bis dahin zuständige Sachbearbeiter krankheitshalber aus dem Unternehmen ausgeschieden sei.
b) Das Obergericht des Kantons Basel-Landschaft hat mit eingehender Begründung die Schuldlosigkeit der Beschwerdeführerin bzw. des für sie handelnden Organs verneint und demzufolge die Bewilligung für den nachträglichen Rechtsvorschlag im Sinne von
Art. 77 SchKG
verweigert. Es hat ausgeführt, von jedem im Geschäftsleben tätigen Menschen, vor allem aber von einem Direktor dürfe erwartet werden, dass er korrekt Rechtsvorschlag erhebe. Nicht zuletzt im Hinblick auf die betriebene Forderung von rund Fr. 250'000.-- wäre es dem Direktor zuzumuten gewesen, den Zahlungsbefehl genau durchzusehen und insbesondere die auf dem Zahlungsbefehl abgedruckten Hinweise für die Erhebung des Rechtsvorschlags zu beachten. Zwar befinde sich die Rubrik "Rechtsvorschlag"; in unmittelbarer Nähe zur Rubrik "Zustellbescheinigung"; aber trotz dieser nahen Plazierung könne nicht gesagt werden, dass das Formular unübersichtlich sei.
Diese Ausführungen sind alles andere als unhaltbar. Sie stimmen insbesondere mit der Aktenlage überein. Vor allem wer erstmals im Leben einen Zahlungsbefehl erhält, muss das Formular genau lesen, um seiner Sorgfaltspflicht zu genügen. Die Schlussfolgerung des Obergerichts ist auch deshalb nicht willkürlich, weil die Praxis in der Anwendung des
Art. 77 SchKG
allgemein restriktiv ist (FRITZSCHE/WALDER, Schuldbetreibung und Konkurs nach schweizerischem Recht, Band I, § 17 Rz. 48). | null | nan | de | 1,993 | CH_BGE | CH_BGE_005 | CH | Federation |
d26d4614-3b9e-48fe-adef-2accefa3f788 | Urteilskopf
133 IV 288
42. Extrait de l'arrêt de la Ire Cour de droit public dans la cause A. contre B., Masse en faillite de A., Juge d'instruction, Procureur général ainsi que Cour de justice du canton de Genève (recours en matière pénale)
1B_88/2007 du 12 septembre 2007 | Regeste
Art. 92 und 93 BGG
; Zwischenentscheid über die Zuständigkeit in Strafsachen.
Ein Entscheid während der Strafuntersuchung, der die Frage der örtlichen Zuständigkeit nicht endgültig regelt, fällt nicht unter
Art. 92 BGG
(E. 2.1-2.2).
Ein nicht wiedergutzumachender Nachteil im Sinne von
Art. 93 Abs. 1 lit. a BGG
liegt nicht vor (E. 3.1);
Art. 93 Abs. 1 lit. b BGG
- der in Strafsachen restriktiv auszulegen ist - kommt im konkreten Fall nicht zur Anwendung (E. 3.2-3.3). | Sachverhalt
ab Seite 289
BGE 133 IV 288 S. 289
Le 1
er
décembre 2003, le Ministère public genevois a ouvert une information pénale contre A. pour escroquerie et blanchiment d'argent. Il lui était reproché d'avoir, dans le cadre de sa faillite personnelle ouverte à Miami (Floride/USA) en juillet 2000, omis de mentionner des avoirs lui appartenant, notamment des comptes bancaires aux Iles Caiman et en Suisse. Le Juge d'instruction chargé de la cause a découvert plusieurs comptes (détenus notamment par la société X. dont A. était le vice-président) dont les ayants droit étaient la mère ou la fille de l'inculpé. Le 2 avril 2004, le Tribunal de première instance du canton de Genève a prononcé l'exequatur du jugement de faillite rendu aux Etats-Unis, et a ordonné la faillite ancillaire de A. Le 5 juillet 2004, le Juge d'instruction l'inculpa de banqueroute frauduleuse, pour avoir versé en automne 2002 1,5 million d'USD sur le compte détenu par X., à l'insu de l'administrateur de la faillite.
A la requête de l'inculpé, le Juge d'instruction rendit, le 17 janvier 2007, une ordonnance sur la compétence territoriale. Il estimait que l'inculpé avait agi en Suisse, lieu où avaient abouti ou transité les fonds litigieux.
Par ordonnance du 28 mars 2007, la Chambre d'accusation genevoise a confirmé cette décision. La condition objective de punissabilité était réalisée par l'ouverture de la faillite ancillaire en Suisse, même si les actes punissables avaient été commis auparavant. La dissimulation en Suisse de valeurs patrimoniales et l'indication erronée de l'ayant droit économique permettaient d'admettre qu'une partie de l'activité délictueuse s'était déroulée en Suisse. A ce stade, l'appartenance des fonds au recourant était suffisamment vraisemblable.
BGE 133 IV 288 S. 290
A. forme un recours en matière pénale contre cette ordonnance. Il en demande l'annulation, ainsi que la constatation que les tribunaux suisses sont incompétents pour connaître des faits qui lui sont reprochés.
Le Tribunal fédéral a déclaré le recours irrecevable.
Erwägungen
Extrait des considérants:
2.
La décision attaquée porte sur la compétence répressive des autorités suisses. Elle est de nature incidente, puisqu'elle ne met pas un terme à la procédure pénale, de sorte que la recevabilité du recours doit être examinée au regard des art. 92 et 93 de la loi du 17 juin 2005 sur le Tribunal fédéral (LTF; RS 173.110).
2.1
Selon l'
art. 92 LTF
, les décisions préjudicielles et incidentes qui sont notifiées séparément et qui portent sur la compétence ou sur une demande de récusation peuvent faire l'objet d'un recours (al. 1). Ces décisions ne peuvent plus être attaquées ultérieurement (al. 2). Cette disposition tient à des motifs d'économie de procédure, s'agissant de questions qui doivent être tranchées immédiatement sans attendre l'issue de la cause au fond. Les décisions attaquables sont celles qui portent sur la compétence à raison du lieu ou de la matière, voire la compétence fonctionnelle. Le libellé de l'
art. 92 LTF
est pratiquement identique à celui des
art. 87 al. 1 OJ
(recours de droit public) et 49 OJ (recours en réforme). S'agissant du pourvoi en nullité (
art. 268 PPF
), il n'était en principe lui aussi ouvert que contre des jugements sur le fond ou contre des décisions incidentes traitant de manière définitive une question préjudicielle (
ATF 128 IV 34
consid. 1a p. 35). Le législateur n'a ainsi pas voulu s'écarter sur ce point de la pratique antérieure, tout en l'unifiant pour l'ensemble des recours (Message concernant la révision totale de l'organisation judiciaire fédérale du 28 février 2001, FF 2001 p. 4131; arrêt 1B_22/ 2007 du 29 mai 2007). Selon l'OJ (RO 3 p. 521), le recours de droit public était aussi recevable pour violation des prescriptions de droit fédéral sur la délimitation de compétence à raison de la matière ou du lieu (
art. 84 al. 1 let
. d OJ), ce qui a permis dans certains cas au Tribunal fédéral d'intervenir dans les conflits de compétence soulevés à titre incident (arrêt 1P.641/1994 du 25 avril 1994). En règle générale toutefois, l'exigence d'un préjudice irréparable (
art. 87 OJ
) n'était pas réalisée (arrêt 6S.507/2007 du 30 janvier 2007). Quoi qu'il en soit, cette voie de droit particulière n'a pas été reprise dans la LTF.
BGE 133 IV 288 S. 291
2.2
Une décision séparée portant comme en l'espèce sur la compétence internationale doit, pour pouvoir faire l'objet du recours prévu à l'
art. 92 al. 1 LTF
, trancher la question de manière définitive. En matière pénale, lorsque l'autorité d'instruction rend une décision sur la compétence territoriale des autorités suisses en application des
art. 3 ss CP
, elle statue sur la base des faits établis ou vraisemblables en l'état de l'enquête: sa décision ne lie l'autorité de jugement ni en fait (des faits nouveaux pertinents peuvent apparaître par la suite, et l'autorité de jugement apprécie librement des preuves) ni en droit. Les parties peuvent toujours soulever aux débats un déclinatoire d'incompétence (cf.
art. 154 PPF
pour la procédure fédérale, et
art. 281 CPP
/GE concernant les questions préjudicielles à soulever à l'ouverture des débats), quand bien même la question aurait déjà été examinée durant l'instruction. La question de la compétence internationale n'est donc pas réglée de manière définitive par la décision attaquée, de sorte que le recours incident prévu à l'
art. 92 LTF
n'est pas ouvert.
3.
Selon l'
art. 93 al. 1 LTF
, le recours est aussi recevable contre les décisions incidentes autres que celles mentionnées à l'article précédent, en cas de dommage irréparable (let. a) ou si l'admission du recours peut conduire immédiatement à une décision finale qui permet d'éviter une procédure probatoire longue et coûteuse (let. b).
3.1
La notion de préjudice irréparable a été reprise de l'
art. 87 al. 2 OJ
, de sorte que la jurisprudence relative à cette disposition peut être transposée pour l'interprétation de l'
art. 93 al. 1 let. a LTF
(
ATF 133 IV 139
consid. 4 p. 141; FF 2001 p. 4000 ss, 4131). Selon cette jurisprudence, un tel préjudice s'entend du dommage juridique qui ne peut pas être réparé ultérieurement, notamment par la décision finale (
ATF 131 I 57
consid. 1 p. 59;
ATF 127 I 92
consid. 1c p. 94;
ATF 126 I 207
consid. 2 p. 210 et les arrêts cités). Il en va ainsi lorsqu'une décision finale, même favorable au recourant, ne ferait pas disparaître entièrement ce préjudice, en particulier quand la décision incidente contestée ne peut plus être attaquée avec la décision finale, rendant ainsi impossible le contrôle constitutionnel par le Tribunal fédéral (
ATF 127 I 92
consid. 1c p. 94). Le fait d'avoir à subir une procédure pénale et les inconvénients qui y sont liés ne constituent pas un préjudice irréparable (
ATF 133 IV 139
consid. 4 p. 141 et les arrêts cités).
En l'occurrence, le préjudice allégué prendrait totalement fin si la compétence répressive des autorités suisses devait être niée au terme
BGE 133 IV 288 S. 292
de l'instruction par la juridiction de renvoi ou du fond. Il n'y a donc pas de préjudice irréparable.
3.2
Il reste à déterminer si la condition de l'
art. 93 al. 1 let. b LTF
est réalisée. Cette disposition est reprise de la règle de l'
art. 50 al. 1 OJ
(FF 2001 p. 4000 ss, spéc. p. 4131). Elle s'applique donc particulièrement en matière civile. Selon la jurisprudence, l'ouverture du recours, pour des motifs d'économie de procédure, contre les décisions préjudicielles ou incidentes, constitue une exception et doit être interprétée de manière restrictive, d'autant plus que les parties ne subissent aucun préjudice lorsqu'elles n'attaquent pas immédiatement de telles décisions, qu'elles peuvent contester en même temps que la décision finale (
art. 93 al. 3 LTF
). Le Tribunal fédéral examine librement si les conditions de recevabilité sont réalisées. Ainsi, s'il découle manifestement de la décision attaquée ou de la nature de la cause que la poursuite de la procédure prendra un temps considérable et exigera des frais très importants, il peut être renoncé à une longue démonstration. En revanche, si tel n'est pas le cas, la partie recourante doit indiquer de manière détaillée quelles questions de fait sont encore litigieuses et quelles sont les preuves longues et coûteuses qui devraient être administrées (cf.
ATF 118 II 91
consid. 1a p. 92; arrêt 4A_35/2007 du 2 mai 2007).
En matière pénale, l'
art. 93 al. 1 let. b LTF
doit recevoir une interprétation plus restrictive encore, sous peine d'admettre la recevabilité de recours dirigés contre les différentes décisions qui sont prises au cours de la procédure, en particulier l'inculpation ou le renvoi en jugement. Or, la jurisprudence a toujours considéré que de telles décisions ne peuvent être attaquées immédiatement (
ATF 133 IV 139
consid. 4 p. 141;
ATF 115 Ia 311
consid. 2c p. 315;
63 I 313
consid. 2 p. 314; cf. en dernier lieu l'arrêt 6B_149/2007 du 17 juillet 2007).
Le recours immédiat a été admis sur la base de l'
art. 93 al. 1 let. b LTF
, en matière d'entraide judiciaire, contre une décision fixant à l'autorité requérante un délai d'une année pour introduire une demande d'entraide, après quoi l'autorité suisse devrait ouvrir une procédure interne tendant au prononcé d'une créance compensatrice (
ATF 133 IV 215
). Il s'agit là de circonstances exceptionnelles.
3.3
En l'occurrence, le recourant se contente de relever que l'admission de ses griefs permettrait de mettre fin immédiatement aux poursuites pénales. Cela n'est manifestement pas suffisant pour admettre la réalisation des conditions posées à l'
art. 93 al. 1 let. b LTF
. Le
BGE 133 IV 288 S. 293
recourant n'allègue pas que l'enquête pénale serait susceptible de se prolonger, ni qu'il pourrait en résulter des frais considérables. Au contraire, il ressort des observations du Juge d'instruction qu'après inculpation complémentaire, l'instruction pourrait être rapidement terminée. | null | nan | fr | 2,007 | CH_BGE | CH_BGE_006 | CH | Federation |
d274635b-5e13-46d3-8d95-c0c3df130d5b | Urteilskopf
137 IV 79
10. Estratto della sentenza della Corte di diritto penale nella causa Ministero pubblico della Confederazione contro A. e B. (ricorso in materia penale)
6B_221/2010 del 25 gennaio 2011 | Regeste
Art. 305
bis
StGB
; Geldwäscherei betreffend Vermögenswerte, die aus der Erfüllung eines Vertrages stammen, dessen Abschluss durch Korruption begünstigt wurde.
Vermögenswerte, die aus einem Rechtsgeschäft stammen, welches mittels Korruption abgeschlossen wurde, rühren aus einem Verbrechen her, wenn sie zur Straftat in einem natürlichen und adäquaten Kausalzusammenhang stehen. Sie brauchen dabei nicht notwendigerweise die direkte und unmittelbare Folge der Straftat zu sein. In einem solchen Fall können diese Vermögenswerte Gegenstand des Tatbestands der Geldwäscherei sein (E. 3). | Erwägungen
ab Seite 80
BGE 137 IV 79 S. 80
Dai considerandi:
3.
3.1
Il ricorrente fa valere una violazione dell'
art. 305
bis
CP
lamentando il fatto che la precedente istanza ha considerato di origine criminale soltanto i valori patrimoniali destinati al corrotto e non anche quelli destinati ai corruttori. Sostiene che tutto il guadagno dei corruttori, ricavato dalla vendita del carbone nel periodo incriminato e transitato sul conto y, sarebbe provento di reato, siccome sarebbe collegato in un rapporto di causalità adeguata con il reato di corruzione.
3.2
Occorre quindi stabilire in che misura i valori patrimoniali conseguiti dagli accusati mediante il commercio di carbone, favorito dall'accordo corruttivo, possono essere considerati provento della corruzione e quindi possibili oggetto di riciclaggio.
Secondo l'
art. 305
bis
n. 1 CP
commette riciclaggio di denaro ed è punito con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria, chiunque compie un atto suscettibile di vanificare l'accertamento dell'origine, il ritrovamento o la confisca di valori patrimoniali sapendo o dovendo presumere che provengono da un crimine. La giurisprudenza ha in particolare posto l'accento sull'atto suscettibile di vanificare la confisca, atto che di per sé include anche quello suscettibile di vanificare l'accertamento dell'origine e il ritrovamento dei valori patrimoniali (
DTF 129 IV 238
consid. 3.3). Il comportamento è quindi punibile se è idoneo a compromettere la confisca del prodotto del crimine.
Giusta l'
art. 70 cpv. 1 CP
, il giudice ordina la confisca segnatamente dei valori patrimoniali che costituiscono il prodotto di un reato. Nell'ambito di sentenze in materia di confisca, in applicazione del vecchio
art. 59 n. 1 cpv. 1 CP
, sostanzialmente corrispondente all'
art. 70 cpv. 1 CP
, il Tribunale federale ha rilevato che il reato deve essere la causa essenziale ed adeguata dell'ottenimento dei valori patrimoniali e che questi devono provenire tipicamente dal reato in questione. Deve quindi esistere, tra il reato e l'ottenimento dei valori patrimoniali un nesso causale tale da fare apparire il secondo come
la conseguenza diretta e immediata
del primo. È in particolare questo il caso, quando l'ottenimento dei valori patrimoniali costituisce un elemento oggettivo o soggettivo del reato o quando rappresenta un vantaggio diretto derivante dalla commissione dell'infrazione. Per contro, i valori patrimoniali non possono essere considerati come il
BGE 137 IV 79 S. 81
risultato del reato, quando quest'ultimo ha soltanto facilitato il loro ottenimento ulteriore mediante un atto successivo senza connessione immediata con il reato stesso (cfr. sentenze 6S.667/2000 del 19 febbraio 2001 consid. 3a, in SJ 2001 I pag. 330; 6S.819/1998 del 4 maggio 1999 consid. 2a, in SJ 1999 I pag. 417). Il Tribunale federale aveva al riguardo richiamato in particolare il commentario edito da NIKLAUS SCHMID, Kommentar Einziehung, organisiertes Verbrechen, Geldwäscherei, vol. I, 1998 (cfr. SCHMID, op. cit., n. 30 e 34 segg. all'
art. 59 CP
; cfr. inoltre, nella stessa opera, JÜRG-BEAT ACKERMANN, n. 164 all'
art. 305
bis
CP
).
Trattandosi in particolare di redditi derivanti da negozi giuridici resi possibili grazie alla corruzione, il primo degli autori succitati aveva negato ch'essi potessero essere qualificati quali "valori patrimoniali che costituiscono il prodotto di un reato" e che potessero quindi essere confiscati, mancando un rapporto diretto tra il reato e il vantaggio economico conseguito (cfr. SCHMID, op. cit., n. 36 all'
art. 59 CP
, pag. 102). In considerazione del mutato quadro legale, questo autore ha tuttavia rivisto e precisato questa opinione nella seconda edizione dell'opera citata, in cui non esclude che possa anche essere sostenuta la tesi contraria, purché la confisca sia limitata alla parte di profitto riconducibile alla corruzione sulla base di un nesso causale dimostrato (cfr. SCHMID, op. cit., 2
a
ed. 2007, n. 36a segg. agli
art. 70-72 CP
). Questa soluzione è sostenuta dalla dottrina più recente, che ammette di massima la possibilità di una confisca di valori patrimoniali conseguiti in esecuzione di un contratto ottenuto in rapporto di causalità adeguata mediante un atto corruttivo (cfr. BERNARD BERTOSSA, Confiscation et corruption, SJ 2009 II pag. 371, 378; cfr. inoltre BERTRAND PERRIN, La répression de la corruption d'agents publics étrangers en droit pénal suisse, 2008, pag. 272 seg.; DANIEL JOSITSCH, Das Schweizerische Korruptionsstrafrecht, 2004, pag. 425 seg. e 428; MARK PIETH, Korruptionsgeldwäsche, in Wirtschaft und Strafrecht, Festschrift für Niklaus Schmid, 2001, pag. 448 seg.). A ragione la precedente istanza vi ha quindi fatto esplicito riferimento nel suo giudizio, esaminando sotto questo profilo la questione di sapere se il vantaggio (indiretto) conseguito dai corruttori proveniva da un crimine e poteva quindi essere oggetto di riciclaggio giusta l'
art. 305
bis
CP
. Alla luce di queste considerazioni, l'esposta giurisprudenza del Tribunale federale deve quindi essere precisata nel senso che, per essere considerati prodotto di reato, i valori patrimoniali ottenuti da un negozio giuridico conseguito mediante la
BGE 137 IV 79 S. 82
corruzione devono stare in un rapporto causale naturale ed adeguato con il reato, senza che siano necessariamente la conseguenza diretta ed immediata dello stesso.
3.3
In concreto, il semplice fatto che i vantaggi patrimoniali conseguiti dagli accusati provenivano dal commercio del carbone e derivavano quindi soltanto indirettamente dall'accordo corruttivo non basta perciò a negare che possano essere considerati come provenienti da un crimine. Come visto, neppure la precedente istanza ha preteso il contrario, ma ha rettamente richiesto l'esistenza di una causalità adeguata.
Al riguardo, i primi giudici hanno rilevato che non era sufficientemente dimostrato un nesso causale tra la corruzione del sindaco C. e i valori patrimoniali conseguiti dagli accusati mediante il commercio del carbone destinato alla centrale termoelettrica di X. Hanno in particolare ritenuto che non era provato, "che in assenza di tale accordo corruttivo i gruppi funzionanti a carbone della centrale termoelettrica di X. sarebbero stati chiusi, rispettivamente che la centrale non sarebbe stata rifornita col carbone Adaro atteso che questa soluzione è stata comunque adottata sulla base di parallele sentenze del TAR e del Consiglio di Stato e continua tuttora ad essere adottata a X. nonostante sia notorio a tutti quanto è successo intorno al sindaco C.". La Corte penale del TPF si è invero chiesta "se ciò sarebbe avvenuto anche senza l'accordo tra C. e gli accusati nella misura in cui tale accordo ha dato l'abbrivio, limitando per una certa inevitabile inerzia le successive possibilità di scelta della D. S.p.A. di approvvigionarsi in carbone presso altri fornitori o comunque di guardarsi in giro alla ricerca di altre soluzioni". Poiché non erano stati apportati sufficienti indizi sul rapporto di causalità, la Corte penale non ha però esaminato oltre la questione ed ha per finire negato che i valori patrimoniali di spettanza degli accusati derivanti dal commercio del carbone potessero essere considerati di origine criminale ai sensi dell'
art. 305
bis
n. 1 CP
.
Il ricorrente sostiene che la precedente istanza avrebbe negato a torto il nesso causale tra i valori patrimoniali ottenuti dagli opponenti e l'accordo corruttivo, ma non si confronta con queste considerazioni. Nemmeno tiene conto degli accertamenti relativi all'esistenza delle decisioni sia del Tribunale amministrativo regionale (TAR) sia del Consiglio di Stato e al mantenimento dell'approvvigionamento in carbone "Adaro" malgrado la notorietà delle vicende che hanno
BGE 137 IV 79 S. 83
coinvolto il sindaco. Non fa in particolare valere, con una motivazione conforme alle esigenze di motivazione degli art. 42 cpv. 2 e 106 cpv. 2 LTF, che questi accertamenti sarebbero manifestamente insostenibili o chiaramente in contrasto con gli atti, né spiega per quali ragioni, nonostante le considerazioni dei primi giudici, un rapporto causale dovrebbe comunque essere ammesso o non sarebbe venuto meno.
Certo, nel giudizio impugnato, i primi giudici danno un peso rilevante alla corruzione del sindaco nell'ottica del mantenimento in esercizio della centrale. Inoltre, le decisioni del Tribunale amministrativo regionale e del Consiglio di Stato sembrano concernere unicamente una domanda incidentale di sospensione dell'esecuzione dell'ordine di chiusura disposto dal sindaco. Tuttavia, il ricorrente adduce in sostanza solo che l'esistenza dell'accordo corruttivo risulterebbe dalle sentenze emanate nell'ambito del procedimento italiano e sarebbe ammessa dagli stessi accusati. Non sostanzia, con chiarezza e precisione, che le considerazioni della precedente istanza sulle decisioni del Tribunale amministrativo regionale e del Consiglio di Stato e sulla loro rilevanza sarebbero manifestamente in contrasto con specifiche constatazioni risultanti dai giudizi italiani. Né egli sostiene che, anche tenendo conto di questi elementi, avrebbe dimostrato che la corruzione del sindaco costituirebbe la condizione per la fornitura del carbone alla centrale, attività commerciale che ha permesso in ultima analisi agli accusati di realizzare gli utili in discussione. Le argomentazioni ricorsuali non consentono quindi di concludere che i primi giudici hanno violato l'
art. 305
bis
CP
ritenendo che tali valori patrimoniali non potevano essere considerati come provento di crimine. | null | nan | it | 2,011 | CH_BGE | CH_BGE_006 | CH | Federation |
d27c54d8-c959-4f8f-a4d4-292cd8521f35 | Urteilskopf
135 III 334
49. Auszug aus dem Urteil der I. zivilrechtlichen Abteilung i.S. Z.und Mitb. gegen V. Versicherungen AG und X. (Beschwerde in Zivilsachen)
4A_527/2008 vom 11. März 2009 | Regeste
Bindung an den Rückweisungsentscheid nach dem Bundesgerichtsgesetz (BGG).
Bindung des Bundesgerichts und der kantonalen Gerichte an einen Rückweisungsentscheid des Bundesgerichts (E. 2).
Die Vereinigung des Verfahrens nach erfolgtem Rückweisungsentscheid mit einem nicht von diesem betroffenen ist an sich unzulässig. Erheben die Betroffenen dagegen im kantonalen Verfahren aber keine Einwände, wird angenommen, sie liessen den Rückweisungsentscheid gegen sich gelten (E. 2.2). | Erwägungen
ab Seite 335
BGE 135 III 334 S. 335
Aus den Erwägungen:
2.
Vor Einführung des Bundesgerichtsgesetzes (BGG) durfte die kantonale Instanz, an die eine Sache zurückgewiesen wurde, nach
Art. 66 Abs. 1 OG
neues Vorbringen berücksichtigen, soweit es nach dem kantonalen Prozessrecht noch zulässig war. Die nach kantonalem Prozessrecht zulässigen Noven hatten sich dabei stets innerhalb des rechtlichen Rahmens zu bewegen, den das Bundesgericht mit seinem Rückweisungsentscheid vorgegeben hatte. Der von der Rückweisung erfasste Streitpunkt durfte also nicht ausgeweitet oder auf eine neue Rechtsgrundlage gestellt werden (
BGE 131 III 91
E. 5.2 S. 94;
BGE 116 II 220
E. 4a S. 222; je mit Hinweisen). Die mit der Neubeurteilung befasste kantonale Instanz hatte vielmehr die rechtliche Beurteilung, mit der die Rückweisung begründet wurde, ihrer Entscheidung zugrunde zu legen. Diese Beurteilung band auch das Bundesgericht (
BGE 133 III 201
E. 4.2 S. 208;
BGE 125 III 421
E. 2a S. 423). Wegen dieser Bindung der Gerichte war es ihnen wie auch den Parteien, abgesehen von allenfalls zulässigen Noven, verwehrt, der Beurteilung des Rechtsstreits einen anderen als den bisherigen Sachverhalt zu unterstellen oder die Sache unter rechtlichen Gesichtspunkten zu prüfen, die im Rückweisungsentscheid ausdrücklich abgelehnt oder überhaupt nicht in Erwägung gezogen worden waren (
BGE 131 III 91
E. 5.2 S. 94;
BGE 116 II 220
E. 4a S. 222; enger
BGE 111 II 94
E. 2 S. 95; je mit Hinweisen). Wie weit die Gerichte und Parteien an die erste Entscheidung gebunden waren, ergab sich aus der Begründung der Rückweisung, die sowohl den Rahmen für die neuen Tatsachenfeststellungen als jenen für die neue rechtliche Begründung vorgab. Jedenfalls durfte der zuvor obsiegende Berufungskläger im neuen Verfahren keine Verschlechterung seiner Rechtsstellung erleiden. Im für ihn ungünstigsten Fall musste er sich mit dem bisherigen, von der Gegenpartei nicht angefochtenen Ergebnis abfinden (
BGE 131 III 91
E. 5.2 S. 94;
BGE 116 II 220
E. 4a S. 222).
2.1
Entsprechende Bestimmungen finden sich im BGG nicht, da die Bindung der kantonalen Instanz an den Rückweisungsentscheid als selbstverständlich angesehen wurde (vgl. Botschaft vom 28. Februar 2001 zur Totalrevision der Bundesrechtspflege, BBl 2001 4346 Ziff. 4.1.4.5 zu Art. 101 E-BGG am Ende). Daher besteht kein Anlass, unter der Herrschaft des BGG von der zu
Art. 66 Abs. 1 OG
ergangenen Rechtsprechung abzuweichen (Urteil des Bundesgerichts 4A_71/2007 vom 19. Oktober 2007 E. 2.1 f.). Offen ist lediglich, ob
BGE 135 III 334 S. 336
auch gemäss BGG der Umfang der Bindung je nach dem Grund der Rückweisung unterschiedlich ist, analog der unterschiedlichen Wirkung der Rückweisung im Berufungsverfahren und im Verfahren der staatsrechtlichen Beschwerde (Urteil des Bundesgerichts 4A_5/2008 vom 22. Mai 2008 E. 1.1-1.3). Mit Blick auf die Bindung des Bundesgerichts und des Handelsgerichts an den Rückweisungsentscheid sind jedenfalls die vom Bundesgericht bereits entschiedenen Fragen nicht mehr zu überprüfen. Diesbezüglich kann die seither ergangene Rechtsprechung des Bundesgerichts oder des EuGH nicht berücksichtigt werden, und sind neue rechtliche Vorbringen entgegen der Auffassung der Beschwerdeführer unzulässig.
2.2
Vor diesem Hintergrund erscheint die Vereinigung zweier Verfahren problematisch, wenn nur eines vom Rückweisungsentscheid des Bundesgerichts betroffen war. Die Verfahren befinden sich nicht im selben Prozessstadium (vgl. MAX GULDENER, Schweizerisches Zivilprozessrecht, 3. Aufl. 1979, S. 303; STEFAN KRAFT, Die gerichtliche Trennung und Vereinigung von Prozessen im zürcherischen Zivilprozess, 1959, S. 81), so dass die Ausdehnung des Rückweisungsentscheides auf daran nicht Beteiligte deren Rechte verkürzt. Die Beschwerdeführer 25 und 26 erheben diesbezüglich aber keine Rügen und sind mit der Vereinigung der Verfahren offensichtlich einverstanden. Andernfalls hätten sie sich dagegen bereits im kantonalen Verfahren umgehend zur Wehr setzen müssen, da es nach dem Grundsatz von Treu und Glauben und dem Verbot des Rechtsmissbrauchs nicht zulässig ist, formelle Rügen, die in einem früheren Prozessstadium hätten geltend gemacht werden können, bei ungünstigem Ausgang noch später vorzubringen (
BGE 134 I 20
E. 4.3.1 S. 21;
BGE 132 II 485
E. 4.3 S. 496;
BGE 130 III 66
E. 4.3 S. 75). Daher gilt die Bindungswirkung des Rückweisungsentscheides auch für die Beschwerdeführer 25 und 26. | null | nan | de | 2,009 | CH_BGE | CH_BGE_005 | CH | Federation |
d27f4277-6e12-4a10-98db-3162f1415a9f | Urteilskopf
134 III 390
65. Auszug aus dem Urteil der I. zivilrechtlichen Abteilung i.S. X. AG gegen Y. AG und A. (Beschwerde in Zivilsachen)
4A_499/2007 vom 13. Mai 2008 | Regeste
Vertrauenshaftung; Verjährung.
Ansprüche aus Vertrauenshaftung unterliegen der Verjährungsfrist von
Art. 60 OR
(E. 4). | Sachverhalt
ab Seite 390
BGE 134 III 390 S. 390
A.
Die Y. AG (Beschwerdegegnerin 1) bezweckt die Übernahme und Durchführung von Prüfungs-, Beratungs- und Treuhandmandaten sowie aller damit direkt oder indirekt zusammenhängenden
BGE 134 III 390 S. 391
Aufgaben und Tätigkeiten. Sie hat auf dem Wege der Fusion die Z. AG übernommen; diese war die statutarische Revisionsstelle des Sportvereins D. A. (Beschwerdegegner 2) war ehemals Finanzchef des Sportvereins D.
Die X. AG (Beschwerdeführerin) war seit Mitte des Jahres 2000 Hauptsponsorin des Sportvereins D. Im Jahre 2001 wurde ein neuer Vereinspräsident für den Sportverein D. gesucht. E., einziger Verwaltungsrat der Beschwerdeführerin, kam öffentlich ins Gespräch für dieses Amt. Am 11. September 2001 wurde er zum Präsidenten gewählt. Im Frühling 2002 erhielt der Sportverein D. trotz massiver finanzieller Probleme und des gescheiterten Versuchs eines Nachlassverfahrens die Lizenz für den Spielbetrieb 2002/2003 in der Challenge League. Im Februar 2003 wurde erneut ein Nachlassverfahren eröffnet, in dessen Folge ein Nachlassvertrag zustande kam, der vom zuständigen Einzelrichter im Juli 2003 genehmigt und für verbindlich erklärt wurde.
Die Beschwerdeführerin machte in der Folge geltend, E. habe vor seinem Engagement als Präsident des Sportvereins D. detaillierte Auskünfte über die finanzielle Situation des Vereins verlangt. Als ihm die Beschwerdegegnerin 1 und der Beschwerdegegner 2 (nachfolgend gemeinsam: Beschwerdegegner) - insbesondere mittels der revidierten Bilanz und Erfolgsrechnung per 30. Juni 2001 - zugesichert hätten, die Vereinsschulden würden Fr. 200'000.-, höchstens aber Fr. 500'000.- betragen, hätte er unmittelbar vor oder nach seiner Wahl zum Vereinspräsidenten namens der Beschwerdeführerin versprochen, dass die Beschwerdeführerin für die Schulden des Sportvereins D. mindestens bis zur Saison 2002/2003 aufkommen und für den Erhalt einer Challenge-League-Lizenz besorgt sein werde. Ende Februar 2002 habe sich indessen gezeigt, dass der Sportverein D. Schulden in der Höhe von rund Fr. 1,8 Mio. gehabt habe. In der Folge habe die Beschwerdeführerin, an ihr Zahlungsversprechen gebunden, diverse Zahlungen leisten müssen. Diese Zahlungen fordert sie von den Beschwerdegegnern zurück mit der Begründung, diese hätten sie über die schlechte Finanzlage des Sportvereins D. getäuscht. E. hätte sich niemals zum Präsidenten wählen lassen und die Beschwerdeführerin hätte kein Zahlungsversprechen abgegeben, wenn die Finanzlage korrekt offengelegt worden wäre. Die beiden Beschwerdegegner verwahren sich gegen jegliche Haftung und erheben zudem die Einrede der Verjährung.
BGE 134 III 390 S. 392
B.
Die von der Beschwerdeführerin erhobene Klage gegen die Beschwerdegegner auf Zahlung von Fr. 1,2 Mio. zuzüglich Zins von 5 % seit 7. Juli 2003 wies das Handelsgericht des Kantons Zürich mit Urteil vom 12. Oktober 2007 ab.
C.
Gegen das handelsgerichtliche Urteil hat die Beschwerdeführerin beim Bundesgericht Beschwerde in Zivilsachen erhoben. Sie beantragt zur Hauptsache die Aufhebung des handelsgerichtlichen Urteils sowie die Gutheissung der Klage. Die Beschwerdegegner beantragen in ihren Vernehmlassungen die kostenfällige Abweisung der Beschwerde. Die Vorinstanz hat auf eine Vernehmlassung verzichtet.
Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab, soweit darauf eingetreten wird.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
4.
Die von der Beschwerdeführerin erhobenen Ansprüche aus Vertrauenshaftung (
Art. 2 ZGB
) bzw. unerlaubter Handlung (
Art. 41 OR
) werden von den Beschwerdegegnern bestritten. Zudem erheben sie die Einrede der Verjährung. Die Vorinstanz hat daher - ohne darauf einzugehen, ob im konkreten Fall überhaupt von einer Vertrauenshaftung auszugehen wäre - die Frage der Verjährung vorab geprüft und erwogen, dass auch Ansprüche aus Vertrauenshaftung der Verjährungsfrist von
Art. 60 OR
unterliegen. Entsprechend hat sie sämtliche von der Beschwerdeführerin geltend gemachten Ansprüche - sei es aus Vertrauenshaftung oder aus unerlaubter Handlung - als verjährt erachtet und die Klage abgewiesen.
4.1
Die Beschwerdeführerin wendet dagegen zunächst ein, auf die Vertrauenshaftung sei die zehnjährige Verjährungsfrist nach
Art. 127 OR
, eventuell analog die fünfjährige Frist gemäss
Art. 760 Abs. 2 OR
anwendbar. Auszugehen sei von einer fallspezifischen Rechtsprechung über die Vertrauenshaftung, wobei im vorliegenden Fall eine rechtliche Nähe zu einem Vertragsverhältnis bestehe. Die Vertrauenshaftung, so die Beschwerdeführerin weiter, müsse der vertraglichen Haftung gleichgestellt werden. Angesichts der rechtlichen Nähe zum Vertragsrecht sei die Anwendung von Deliktsrecht gesetzeswidrig. Die Vorinstanz habe Bundesrecht verletzt, indem sie
Art. 127 OR
für nicht anwendbar erachtet habe. Die Anwendbarkeit dieser Bestimmung ergebe sich im Übrigen bereits aus deren Wortlaut. Da
Art. 60 OR
die Vertrauenshaftung nicht erfasse und das Bundeszivilrecht auch sonst keine Ausnahmen vorsehe, komme die
BGE 134 III 390 S. 393
zehnjährige Frist von
Art. 127 OR
im Sinne eines Regel- und Auffangtatbestands zur Anwendung. Die Vertrauenshaftung habe zudem nichts mit
Art. 41 ff. OR
zu tun, weshalb die Anwendung von
Art. 60 OR
auch aus diesem Grund entfalle.
4.2
Die Beschwerdegegnerin 1 macht demgegenüber geltend, die Vorinstanz sei mit ausführlicher und überzeugender Begründung zum Schluss gelangt, dass die Vertrauenshaftung nicht auf einem gewollten Zusammenwirken von zwei Personen beruhe, wie es einer vertraglichen Verbindung innewohne, sondern auf einem Verhältnis, das rechtlich näher beim Delikt anzusiedeln sei. Die Begründung der Vorinstanz stimme zudem mit der bundesgerichtlichen Rechtsprechung überein, die an die Haftung aus erwecktem und enttäuschtem Vertrauen strenge Anforderungen knüpfe. Entsprechend könne das vorvertragsähnliche Verhältnis, das der Rechtsfigur der Vertrauenshaftung zugrunde liege, auch unter dem Gesichtspunkt der Verjährung nicht den gleichen Schutz verdienen wie ein vertragliches Verhältnis.
Der Beschwerdegegner 2 stellt sich ebenfalls auf den Standpunkt, dass bei der Vertrauenshaftung die deliktische Verjährungsfrist gemäss
Art. 60 OR
zur Anwendung kommen müsse, und verweist im Weiteren auf die Ausführungen der Vorinstanz.
4.3
Das Bundesgericht hatte bislang nicht zu entscheiden, ob Ansprüche aus Vertrauenshaftung der zehnjährigen Verjährungsfrist (
Art. 127 OR
) oder der einjährigen Deliktsverjährung (
Art. 60 OR
) zu unterstellen sind. Obwohl fraglich ist, ob vorliegend tatsächlich von einem Anwendungsfall der Vertrauenshaftung auszugehen wäre, ist die Verjährungsfrage nachfolgend zu prüfen, zumal die Vorinstanz die Abweisung der Klage zur Hauptsache damit begründet hat, sämtliche Ansprüche der Beschwerdeführerin - ob aus Vertrauenshaftung oder aus unerlaubter Handlung - seien nach
Art. 60 OR
verjährt.
4.3.1
Zur Frage der für die Vertrauenshaftung massgebenden Verjährungsfrist werden in der Literatur verschiedene Meinungen vertreten. Während die einen eine Verjährung nach
Art. 127 OR
für sachgerecht halten (GAUCH/SCHLUEP/SCHMID/REY, Schweizerisches Obligationenrecht, Allgemeiner Teil, Bd. I, 8. Aufl., Zürich 2003, Rz. 982l; PETER LOSER, Die Vertrauenshaftung im schweizerischen Schuldrecht, Bern 2006, Rz. 1124 ff.; DÄPPEN, Basler Kommentar, N. 4a zu
Art. 60 OR
; EUGEN BUCHER, Vertrauenshaftung: Was?
BGE 134 III 390 S. 394
Woher? Wohin?, in: Richterliche Rechtsfortbildung in Theorie und Praxis, Festschrift für Hans Peter Walter, Bern 2005, S. 259; HANS PETER WALTER, Vertrauenshaftung: Unkraut oder Blume im Garten des Rechts-, in: ZSR 20/2001 I S. 99; PICHONNAZ, Commentaire romand, N. 22 zu
Art. 127 OR
; THÉVENOZ, Commentaire romand, N. 29 zu
Art. 97-109 OR
; JÖRG SCHMID, Vertrauenshaftung bei Formungültigkeit, in: Richterliche Rechtsfortbildung [...], a.a.O., S. 423; MOSER/BERGER, Vertrauenshaftung auch im Bankgeschäft - zur Haftungsgrundlage und zu den Grenzen von Aufklärungspflichten, in: AJP 1999 S. 545), sprechen sich andere für die kürzere Deliktsverjährung nach
Art. 60 OR
aus (BAUMANN, Zürcher Kommentar, N. 191 und 229 zu
Art. 2 ZGB
; PIERRE TERCIER, Abus de confiance?, in: La responsabilité fondée sur la confiance/Vertrauenshaftung, Journée de la responsabilité civile 2000, Zürich 2001, S. 75; WERRO, Commentaire romand, N. 6 zu
Art. 60 OR
; SYLVAIN MARCHAND, Un ornithorynque juridique, in: La responsabilité [...], a.a.O., Zürich 2001, S. 174; VITO ROBERTO, Schweizerisches Haftpflichtrecht, Zürich 2002, Rz. 289 f.).
Die Befürworter der Zehnjahresfrist begründen deren Anwendbarkeit unter anderem mit dem Wortlaut von
Art. 127 OR
, weshalb mangels gesetzlicher Sondervorschriften die zehnjährige Verjährungsfrist als Regelfrist zur Anwendung kommen müsse. Dabei sei zu bedenken, dass Rechtsverlust durch Verjährung oder Verwirkung nur bei klarer positivrechtlicher Grundlage eintreten dürfe (BUCHER, a.a.O., S. 259). Weiter wird vorgebracht, da nach geltendem Recht nur die Wahl zwischen der Einjahresfrist (
Art. 60 OR
) und der Zehnjahresfrist (
Art. 127 OR
) bestehe, sei die längere Frist vorzuziehen. Für diese Lösung spreche auch der Umstand, dass die Verjährung die für das Privatrecht charakteristische Stabilität und Kontinuität der einmal begründeten Rechtsverhältnisse durchbreche und der Verjährung im weitesten Sinne enteignende Wirkung zukomme. Angesichts des Ausnahmecharakters des Verjährungsinstituts solle eine kurze Frist nur dort eingreifen, wo es notwendig sei. Diese Notwendigkeit habe der historische Gesetzgeber beim typischen Zufallskontakt als gegeben erachtet; für die Verantwortlichkeit wegen Vertrauens in rechtsgeschäftsbezogene Sonderverbindungen fehle diese indessen (LOSER, a.a.O., S. 1125).
Die Befürworter der kürzeren Verjährungsfrist nach
Art. 60 OR
weisen demgegenüber darauf hin, dass die Vertrauenshaftung weder auf der Verletzung allgemeiner Verhaltenspflichten noch auf der
BGE 134 III 390 S. 395
Verletzung vertraglicher Pflichten beruhe. Die Frage nach den Modalitäten dieser Schadenersatzpflicht sui generis sei daher für jede Modalität gesondert zu beantworten, wobei bezüglich der Verjährung die Einjahresfrist nach
Art. 60 OR
angemessen sei (TERCIER, a.a.O., S. 75; BAUMANN, a.a.O., N. 191 und 229 zu
Art. 2 ZGB
).
Wiederum andere Lehrmeinungen sprechen sich in Bezug auf die Haftungsmodalitäten für eine differenzierte Betrachtungsweise nach dem konkreten Einzelfall aus (REY, Ausservertragliches Haftpflichtrecht, 4. Aufl., Zürich 2008, Rz. 37a; HAUSHEER/JAUN, Die Einleitungsartikel des ZGB, Bern 2003, N. 86 zu
Art. 2 ZGB
) oder wollen einheitlich auf deliktische oder vertragliche Grundsätze abstellen, je nachdem ob die verletzte Schutzpflicht eine generelle ist, die sich auf eine Vielzahl unbestimmter Personen erstreckt, oder aber eine besondere, die sich auf einen bestimmten Personenkreis beschränkt (CHRISTINE CHAPPUIS, Les règles de la bonne foi entre contrat et délit, in: Pacte, convention, contrat, Festschrift für Bruno Schmidlin, Basel/Frankfurt a.M. 1998, S. 242).
4.3.2
Die Haftung aus erwecktem Vertrauen ist zwischen Vertrag und Delikt angesiedelt. Sie erfasst als Oberbegriff die Haftung aus culpa in contrahendo und die weiteren interessenmässig gleich gelagerten Tatbestandsgruppen, wie etwa die Haftung für falsche Auskunft (
BGE 130 III 345
E. 2.1;
BGE 121 III 350
E. 6c S. 355;
BGE 120 II 331
E. 5a S. 336 f.). Die Vertrauenshaftung setzt nach bundesgerichtlicher Rechtsprechung voraus, dass die Beteiligten in eine so genannte "rechtliche Sonderverbindung" zueinander getreten sind, die erst rechtfertigt, die aus Treu und Glauben (
Art. 2 ZGB
) hergeleiteten Schutz- und Aufklärungspflichten greifen zu lassen (
BGE 130 III 345
E. 2.2 S. 349;
BGE 120 II 331
E. 5a S. 336).
Da es sich bei der Vertrauenshaftung um eine eigenständige Haftungsgrundlage zwischen Vertrag und Delikt handelt, ist die Frage nach der Rechtsnatur dieser - gesetzlich nicht geregelten - Rechtsfigur im Hinblick auf die massgebende Verjährungsfrist nicht zielführend (BUCHER, a.a.O., S. 244; vgl. bereits SCHÖNENBERGER/JÄGGI, Zürcher Kommentar, N. 595 zu
Art. 1 OR
). Auch im Rahmen der Culpa-Haftung, die sich in der neueren Rechtsprechung als Erscheinungsform der Vertrauenshaftung herausgestellt hat (
BGE 130 III 345
E. 2.1;
BGE 121 III 350
E. 6c S. 355;
BGE 120 II 331
E. 5a S. 336), hatte sich das Bundesgericht hinsichtlich deren Rechtsnatur seit einiger Zeit nicht mehr festgelegt (
BGE 121 III 350
E. 6c S. 354 f.;
BGE 108 II 419
BGE 134 III 390 S. 396
E. 5 S. 422;
BGE 101 II 266
E. 4c S. 269). Es geht dabei in ständiger Rechtsprechung davon aus, dass sich die Verjährung von Ansprüchen aus culpa in contrahendo nach
Art. 60 OR
richtet (
BGE 121 III 350
E. 6c S. 354 f.;
BGE 108 II 419
E. 5 S. 422;
BGE 101 II 266
E. 4c S. 269 f.). Dies wird im Wesentlichen damit begründet, dass es mit der Rechtssicherheit nicht vereinbar wäre, eine Partei, die Vertragsverhandlungen geführt hat, während der zehnjährigen Frist von
Art. 127 OR
Schadenersatzansprüchen auszusetzen. Vielmehr seien die Ansprüche aus culpa in contrahendo innert angemessener Frist zu regeln. Die Verjährungsbestimmung von
Art. 60 OR
werde den Interessen der Beteiligten gerecht. So sei es einerseits dem Geschädigten zumutbar, innerhalb der Jahresfrist von
Art. 60 OR
zu klagen oder die Verjährung auf andere Art - insbesondere durch Schuldbetreibung - zu unterbrechen. Der anderen Partei sei es demgegenüber nicht zuzumuten, während einer übertrieben langen Dauer mit Ansprüchen konfrontiert zu werden, wenn der Geschädigte vom Schaden und der Person des Geschädigten Kenntnis habe (
BGE 101 II 266
E. 4c S. 269).
Diese Rechtsprechung ist auch in neuerer Zeit von einem beachtlichen Teil der Lehre kritisiert worden (BUCHER, Basler Kommentar, N. 94 zu
Art. 1 OR
;
ders.
, Schweizerisches Obligationenrecht, Allgemeiner Teil, 2. Aufl., Zürich 1988, S. 287 f.; GAUCH/SCHLUEP/SCHMID/REY, a.a.O., Rz. 971 f.; ENGEL, Traité des obligations en droit suisse, 2. Aufl., Bern 1997, S. 753; KRAMER, Berner Kommentar, N. 141 der Allg. Einleitung in das Schweizerische OR; BERTI, Zürcher Kommentar, N. 38 ff. zu
Art. 127 OR
; WIEGAND, Basler Kommentar, N. 11 der Einleitung zu
Art. 97-109 OR
; DÄPPEN, Basler Kommentar, N. 4 zu
Art. 60 OR
; PICHONNAZ, a.a.O., N. 22 zu
Art. 127 OR
; THÉVENOZ, a.a.O., N. 29 zu
Art. 97-109 OR
; NIKLAUS LÜCHINGER, Die Verjährung von Ansprüchen aus culpa in contrahendo, SJZ 102/2006 S. 197 ff.; HANS-ULRICH BRUNNER, Die Anwendung deliktsrechtlicher Regeln auf die Vertragshaftung, Diss. Freiburg 1991, Rz. 625 ff.; GUHL/KOLLER/SCHNYDER/DRUEY, Das Schweizerische Obligationenrecht, 9. Aufl., Zürich 2000, § 13 N. 6). Diejenigen Stimmen, die eine Anwendbarkeit von
Art. 127 OR
nicht mit der (vermeintlich vertraglichen) Rechtsnatur der culpa in contrahendo begründen, bringen im Wesentlichen auch diesbezüglich vor, dass der Verlust ausgewiesener Rechtspositionen durch Zeitablauf nur aufgrund klarer, eindeutiger und dem Rechtssuchenden zweifelsfrei erkennbarer Gesetzesgrundlagen eintreten dürfe. Aufgrund des Wortlauts von
Art. 127 OR
müsse der Anspruch aus culpa in contrahendo, da er sich nicht
BGE 134 III 390 S. 397
eindeutig als Deliktshaftung qualifizieren lasse, der allgemeinen Zehnjahresfrist unterstellt werden. Zudem wird die Einjahresfrist von
Art. 60 OR
als zu kurz erachtet (statt vieler: BUCHER, Basler Kommentar, N. 94 zu
Art. 1 OR
;
ders.
, Schweizerisches Obligationenrecht, Allgemeiner Teil, S. 287 f.).
Das Bundesgericht hat an seiner Rechtsprechung jedoch in Kenntnis der in der Literatur geäusserten Kritik auch in neuerer Zeit festgehalten (
BGE 121 III 350
E. 6c S. 354 f.; Urteile 4C.409/2005 vom 21. März 2006, E. 3.1, SJ 2006 I S. 437; 4C.354/2004 vom 9. November 2005, E. 2.3). Wie die Befürworter der einjährigen Verjährungsfrist nach
Art. 60 OR
zutreffend vorbringen, handelt es sich bei der culpa in contrahendo um einen Haftungstatbestand eigener Art, der richtigerweise auch eigenen Gesetzmässigkeiten zu unterwerfen ist, wozu eine den besonderen Verhältnissen angemessene Regelung der Verjährungsfrage gehört (BAUMANN, a.a.O., N. 189 f. zu
Art. 2 ZGB
). Die bundesgerichtliche Rechtsprechung trägt dabei dem Umstand Rechnung, dass die Haftung für culpa in contrahendo dem Schutz des rechtlichen Verkehrs dient, dass dieser Schutz aber nicht durch eine übermässige zeitliche Ausdehnung gefährdet werden darf. Dem Gebot der Rechtssicherheit ist daher grosse Bedeutung beizumessen, weshalb kein Anlass besteht, von der bisherigen Rechtsprechung abzuweichen (so im Ergebnis auch BAUMANN, a.a.O., N. 190 f. zu
Art. 2 ZGB
; WERRO, a.a.O., N. 6 zu
Art. 60 OR
; TERCIER, a.a.O., S. 75; MARCHAND, a.a.O., S. 174; STEPHAN HARTMANN, Die vorvertraglichen Informationspflichten und ihre Verletzung, Diss. Freiburg 2001, Rz. 314; NICOLAS KUONEN, La responsabilité précontractuelle, Diss. Freiburg, Zürich 2007, Rz. 1709 f.; BREHM, Berner Kommentar, N. 12c zu
Art. 60 OR
; VITO ROBERTO, a.a.O., Rz. 569; vgl. bereits SPIRO, Die Begrenzung privater Rechte durch Verjährungs-, Verwirkungs- und Fatalfristen, Bern 1975, S. 706;
ders.
, Die Haftung für Abschluss- und Verhandlungsgehilfen, in: ZSR 105/1986 I S. 645; HANS MERZ, Vertrag und Vertragsschluss, 2. Aufl., Freiburg 1992, Rz. 153;
ders.
, Die privatrechtliche Rechtsprechung des Bundesgerichts im Jahre 1975, in: ZBJV 113/1977 S. 183 f.; PAUL PIOTET, La culpa in contrahendo aujourd'hui, in: SJZ 77/1981 S. 242;
ders.
, Culpa in contrahendo, Bern 1963, S. 63; KELLER/SCHÖBI, Das Schweizerische Schuldrecht, Bd. I, Basel/Frankfurt a.M. 1988, S. 44; SCHÖNENBERGER/JÄGGI, a.a.O., N. 595 zu
Art. 1 OR
).
4.3.3
Diese Grundsätze gelten nicht nur für die Haftung aus culpa in contrahendo, sondern auch für die Vertrauenshaftung im
BGE 134 III 390 S. 398
Allgemeinen. Es handelt sich bei dieser Haftungsgrundlage nicht um eine gesetzlich geregelte, sondern eine von der Rechtsprechung entwickelte Rechtsfigur, auf welche die vom Gesetzgeber vorgesehene allgemeine Verjährungsbestimmung nach
Art. 127 OR
nicht unbesehen angewendet werden kann.
Das Bundesgericht hat jeweils betont, dass die Vertrauenshaftung keinesfalls zu einer Haftung gegenüber jedermann ausufern und die Anerkennung dieser Haftungsgrundlage nicht dazu führen darf, dass das Rechtsinstitut des Vertrags ausgehöhlt wird (
BGE 133 III 449
E. 4.1;
BGE 130 III 345
E. 3.2 S. 353). Das Bundesgericht knüpft die Haftung aus erwecktem Vertrauen daher an strenge Voraussetzungen (
BGE 133 III 449
E. 4.1 S. 451;
BGE 124 III 297
E. 6a S. 303;
BGE 121 III 350
E. 6c S. 355;
BGE 120 II 331
E. 5a S. 336). Die Rechtssicherheit gebietet, eine ungerechtfertigte Ausdehnung der Vertrauenshaftung, die weder auf einer Verletzung einer Vertragspflicht noch auf einem Verstoss gegen allgemeine gesetzliche Gebote oder Verbote beruht, auch in zeitlicher Hinsicht zu vermeiden. Unter diesem Gesichtspunkt wäre zudem eine einzelfallspezifische Beurteilung der Verjährungsfrage - je nachdem, ob im konkreten Fall von einer rechtlichen Nähe zu einem Vertragsverhältnis auszugehen ist -, wie sie von der Beschwerdeführerin und einzelnen Lehrmeinungen postuliert wird, nicht zu rechtfertigen. Auch der Umstand, dass sich Art und Umfang der sich aus Treu und Glauben (
Art. 2 ZGB
) ergebenden Verhaltenspflichten nach den gesamten Umständen des Einzelfalls beurteilen (
BGE 130 III 345
E. 2.2 S. 350 f.;
BGE 120 II 331
E. 5a S. 337), verlangt - angesichts der damit verbundenen Beweisschwierigkeiten infolge Zeitablaufs - nach einer zeitlichen Nähe der Klärung derartiger Ansprüche. Es wäre mit dem Gebot der Rechtssicherheit unvereinbar, die aus Vertrauenshaftung in Anspruch genommene Partei während zehn Jahren möglichen Haftungsansprüchen auszusetzen. Vielmehr sind Ansprüche aus Vertrauenshaftung, nachdem der Geschädigte vom Eintritt des Schadens und der Person des Ersatzpflichtigen Kenntnis erlangt hat, innert angemessener Frist zu regeln. Ansprüche aus Vertrauenshaftung verjähren somit nach
Art. 60 OR
. | null | nan | de | 2,008 | CH_BGE | CH_BGE_005 | CH | Federation |
d2804bf5-37ed-49d9-99e0-3af698e5c87e | Urteilskopf
97 V 42
10. Auszug aus dem Urteil vom 29. März 1971 i.S. Hummel gegen Schweizerische Ausgleichskasse und Rekurskommission der Schweizerischen Ausgleichskasse | Regeste
Art. 6 Abs. 1 IVG
und 19 Abs. 1 lit. b des Abkommens zwischen der Schweizerischen Eidgenossenschaft und der Bundesrepublik Deutschland über Soziale Sicherheit vom 25. Februar 1964: Versicherungsklausel.
Deutsche Staatsangehörige gelten hinsichtlich ihres Anspruches auf eine Rente der schweizerischen Invalidenversicherung dann als Angehörige der deutschen Rentenversicherung, wenn sie bei dieser bis unmittelbar vor Eintritt des nach schweizerischem Recht versicherten Falles Beitragszeiten oder angerechnete Ausfallzeiten zurückgelegt haben. - Massgeblichkeit von Bescheinigungen der zuständigen deutschen Stelle. | Erwägungen
ab Seite 42
BGE 97 V 42 S. 42
Das Eidg. Versicherungsgericht zieht in Erwägung:
1.
Gemäss
Art. 29 Abs. 1 IVG
entsteht der Rentenanspruch, sobald der Versicherte mindestens zur Hälfte bleibend erwerbsunfähig geworden ist (Variante 1) oder während 360 Tagen ohne wesentlichen Unterbruch durchschnittlich zur Hälfte arbeitsunfähig war und weiterhin mindestens zur Hälfte erwerbsunfähig ist (Variante 2). Wie die Vorinstanz zutreffend ausgeführt hat, ist im vorliegenden Fall diese zweite Variante anwendbar. Da die Beschwerdeführerin erst seit dem 5. September 1968 ununterbrochen arbeitsunfähig war, ist es richtig, dass der Versicherungsfall des schweizerischen Rechts frühestens im August 1969 eingetreten sein kann.
BGE 97 V 42 S. 43
2.
Nach
Art. 6 Abs. 1 IVG
hat Anspruch auf Leistungen der schweizerischen Invalidenversicherung, wer im Zeitpunkt des Versicherungsfalles versichert war. Gemäss Art. 19 Abs. 1 lit. b des schweizerisch-deutschen Abkommens über Soziale Sicherheit vom 25. Februar 1964 gelten deutsche Staatsangehörige in Bezug auf den Anspruch auf ordentliche Renten der schweizerischen Invalidenversicherung auch dann als Versicherte im Sinne der schweizerischen Rechtsvorschriften, wenn sie der deutschen Rentenversicherung angehören. Dieser Begriff der Versicherungszugehörigkeit ist zunächst ein solcher des Staatsvertrags und nicht etwa innerstaatlichen Rechts. Bei seiner Auslegung ist davon auszugehen, dass die Staatsangehörigen der beiden Vertragsparteien laut Art. 4 des Abkommens in ihren Rechten und Pflichten aus den beiderseitigen Rechtsvorschriften einander im wesentlichen gleichstehen. Dementsprechend kann einem deutschen Staatsangehörigen aus der schweizerischen Sozialversicherung nicht mehr oder anderes zustehen als einem Schweizerbürger in vergleichbarer Lage. Ein solcher, der früher in der Schweiz versichert war und infolge Wohnsitzverlegung nach Deutschland aus der obligatorischen Versicherung ausscheidet, kann seine Anwartschaft auf Leistungen der schweizerischen Invalidenversicherung nur aufrechterhalten, wenn er der freiwilligen Versicherung beitritt. Er hat also weiterhin und regelmässig Beiträge an die schweizerische Versicherung zu entrichten. Auf der Basis der gegenseitigen Anerkennung von Versicherungszeiten kann ein früher in der Schweiz versichert gewesener deutscher Staatsangehöriger, der seinen Wohnsitz nach Deutschland verlegt, das Erfordernis von Art. 19 Abs. 1 lit. b des Abkommens demnach erfüllen, wenn er mindestens bis unmittelbar vor Eintritt des Versicherungsfalls nach schweizerischem Recht bei der deutschen Rentenversicherung Beitragszeiten zurückgelegt hat. Ebenfalls anerkannt werden in diesem Zusammenhang beitragslose Zeiten, soweit sie sich auf die persönliche Rentenbemessungsgrundlage auswirken und zweifelsfrei nachgewiesen sind. Diese Auffassung ist schweizerischerseits dem deutschen Vertragspartner mit folgenden Worten zur Kenntnis gebracht worden (Niederschrift Freiburg i. Br. vom 31. März 1967):
"Die schweizerische Delegation bringt der deutschen Delegation unter Hinweis auf die von den deutschen Verbindungsstellen für die Rentenversicherung zu Artikel 19, Absatz 1, Buchstabe b des Abkommens
BGE 97 V 42 S. 44
aufgeworfenen Fragen zur Kenntnis, dass die schweizerischen Träger für die Anwendung der genannten Bestimmung vorbehältlich der Rechtsprechung darauf abstellen, ob der Gesuchsteller unmittelbar vor Eintritt des Versicherungsfalles bei der deutschen Rentenversicherung Beitragszeiten oder Ausfallzeiten zurückgelegt hat."
Ob die genannten Voraussetzungen bestehen, ist zunächst ausschliesslich eine Frage des deutschen Rechts. Die schweizerischen Behörden sind daher auf entsprechende Bescheinigungen der deutschen Verbindungsstelle angewiesen. Schweizerischerseits ist nur zu prüfen, ob eine derartige Bescheinigung tatsächlich Aufschluss über die Versicherungszugehörigkeit gibt und ob sie im Rahmen der staatsvertraglichen Zugeständnisse die Bedingungen für ihre Anerkennung erfüllt (vgl. das die analoge Rechtslage im Verhältnis mit Italien behandelnde nicht publizierte Urteil Sticotti vom 20. Oktober 1970).
3.
Im vorliegenden Fall hat die Landesversicherungsanstalt Baden am 26. August 1969 bescheinigt, nach ihren Feststellungen habe Ruth Hummel zuletzt bis zum 3. September 1968 Beitragszeiten oder Ausfallzeiten bei der deutschen Rentenversicherung zurückgelegt. Dass die Beschwerdeführerin auch noch im August 1969 im Sinne von Art. 19 Abs. 1 lit. b des Abkommens in Deutschland versichert gewesen sei, wird nicht behauptet, und es ergibt sich auch sonst aus den Akten kein Anhaltspunkt für eine derartige Annahme. Es braucht daher nicht entschieden zu werden, wie andernfalls vorzugehen wäre.
Der Hinweis der Verbindungsstelle auf den Zeitpunkt des Eintrittes des Versicherungsfalles nach deutschem Recht vermag der Beschwerdeführerin ebenfalls nicht zu helfen. Bei der Anwendung der erwähnten Abkommensbestimmung ist einzig nach tatsächlich zurückgelegten Beitrags- und Ausfallzeiten zu fragen. Jedenfalls ist ein Gleichziehen bei der Rentengewährung im Staatsvertrag nicht vorgesehen, ganz abgesehen davon, dass ein derartiges Zugeständnis an den deutschen Vertragspartner wohl nur in Ausnahmefällen mit dem Prinzip der Gleichbehandlung (vgl. Erwägung 2 hievor) vereinbar sein dürfte.
4.
Dem Gericht entgeht die Problematik der gegenwärtigen Rechtslage nicht. Diese stellt aber, wie das Ergebnis jeder zwischenstaatlichen Vereinbarung auch sozialversicherungsrechtlicher Natur, ein parteimässig ausgehandeltes Gefüge mit eigenem inneren Gleichgewicht dar, das die Verwaltungsjustiz als Ausdruck des übereinstimmenden Willens beider Vertragspartner zu beachten hat, solange sie nichts anderes abmachen. | null | nan | de | 1,971 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
d2824fa3-6eee-47da-a609-cf848d2f24cd | Urteilskopf
125 V 351
55. Auszug aus dem Urteil vom 14. Juni 1999 i.S. B. gegen "Winterthur" Schweizerische Versicherungs-Gesellschaft und Sozialversicherungsgericht des Kantons Zürich | Regeste
Art. 4 BV
;
Art. 108 Abs. 1 lit. b UVG
;
Art. 40 BZP
in Verbindung mit
Art. 19 VwVG
; Art. 95 Abs. 2 in Verbindung mit
Art. 113 und 132 OG
: Beweiswürdigung, Parteigutachten.
Ein Parteigutachten besitzt nicht den gleichen Rang wie ein vom Gericht oder von einem Unfallversicherer nach dem vorgegebenen Verfahrensrecht eingeholtes Gutachten.
Es verpflichtet indessen den Richter, den von der Rechtsprechung aufgestellten Richtlinien für die Beweiswürdigung folgend, zu prüfen, ob es in rechtserheblichen Fragen die Auffassung und Schlussfolgerungen des vom Gericht oder vom Unfallversicherer förmlich bestellten Gutachters derart zu erschüttern vermag, dass davon abzuweichen ist. | Erwägungen
ab Seite 351
BGE 125 V 351 S. 351
Aus den Erwägungen:
2.
Es stellt sich die Frage, ob die Beschwerdeführerin nach dem 31. Juli 1995 noch an Versicherungsleistungen auslösenden somatischen Beschwerden leidet, die auf den Unfall vom 22. Februar 1992 zurückzuführen sind. Die Vorinstanz verneinte diese Frage in Bestätigung des Einspracheentscheids im Wesentlichen mit der Begründung, das Gutachten des Dr. med. K. vom 28. Juni 1995 sei wie ein Gerichtsgutachten zu behandeln, weshalb grundsätzlich darauf abzustellen und nicht ohne zwingende Gründe davon abzuweichen sei. Die
BGE 125 V 351 S. 352
Beschwerdeführerin macht demgegenüber unter Berufung auf die von ihr eingeholten und im vorinstanzlichen Verfahren aufgelegten Gutachten der Dres. med. H. und M. vom 28. März 1996 bzw. 17. Mai 1996 geltend, das erwähnte Gutachten, welches das kantonale Gericht unbesehen übernehme, weise massive Widersprüche und Mängel auf, die aktenkundig belegt seien, sodass seine Unzuverlässigkeit augenfällig sei.
3.
a) Das Bundesrecht schreibt nicht vor, wie die einzelnen Beweismittel zu würdigen sind. Für das gesamte Verwaltungs- und Verwaltungsgerichtsbeschwerdeverfahren gilt der Grundsatz der freien Beweiswürdigung (
Art. 40 BZP
in Verbindung mit
Art. 19 VwVG
;
Art. 95 Abs. 2 OG
in Verbindung mit
Art. 113 und 132 OG
). Danach haben Versicherungsträger und Sozialversicherungsrichter die Beweise frei, d.h. ohne Bindung an förmliche Beweisregeln, sowie umfassend und pflichtgemäss zu würdigen. Für das Beschwerdeverfahren bedeutet dies, dass der Sozialversicherungsrichter alle Beweismittel, unabhängig davon, von wem sie stammen, objektiv zu prüfen und danach zu entscheiden hat, ob die verfügbaren Unterlagen eine zuverlässige Beurteilung des streitigen Rechtsanspruches gestatten. Insbesondere darf er bei einander widersprechenden medizinischen Berichten den Prozess nicht erledigen, ohne das gesamte Beweismaterial zu würdigen und die Gründe anzugeben, warum er auf die eine und nicht auf die andere medizinische These abstellt. Hinsichtlich des Beweiswertes eines Arztberichtes ist also entscheidend, ob der Bericht für die streitigen Belange umfassend ist, auf allseitigen Untersuchungen beruht, auch die geklagten Beschwerden berücksichtigt, in Kenntnis der Vorakten (Anamnese) abgegeben worden ist, in der Beurteilung der medizinischen Zusammenhänge und in der Beurteilung der medizinischen Situation einleuchtet und ob die Schlussfolgerungen des Experten begründet sind. Ausschlaggebend für den Beweiswert ist grundsätzlich somit weder die Herkunft eines Beweismittels noch die Bezeichnung der eingereichten oder in Auftrag gegebenen Stellungnahme als Bericht oder Gutachten (
BGE 122 V 160
f. Erw. 1c mit Hinweisen).
b) Dennoch hat es die Rechtsprechung mit dem Grundsatz der freien Beweiswürdigung als vereinbar erachtet, in Bezug auf bestimmte Formen medizinischer Berichte und Gutachten Richtlinien für die Beweiswürdigung aufzustellen.
aa) So weicht der Richter bei Gerichtsgutachten nach der Praxis nicht ohne zwingende Gründe von der Einschätzung des medizinischen Experten ab, dessen Aufgabe es ist, seine Fachkenntnisse der Gerichtsbarkeit zur Verfügung zu
BGE 125 V 351 S. 353
stellen, um einen bestimmten Sachverhalt medizinisch zu erfassen. Ein Grund zum Abweichen kann vorliegen, wenn die Gerichtsexpertise widersprüchlich ist oder wenn ein vom Gericht eingeholtes Obergutachten in überzeugender Weise zu andern Schlussfolgerungen gelangt. Abweichende Beurteilung kann ferner gerechtfertigt sein, wenn gegensätzliche Meinungsäusserungen anderer Fachexperten dem Richter als triftig genug erscheinen, die Schlüssigkeit des Gerichtsgutachtens in Frage zu stellen, sei es, dass er die Überprüfung durch einen Oberexperten für angezeigt hält, sei es, dass er ohne Oberexpertise vom Ergebnis des Gerichtsgutachtens abweichende Schlussfolgerungen zieht (
BGE 118 V 290
Erw. 1b,
BGE 112 V 32
f. mit Hinweisen).
bb) Den im Rahmen des Verwaltungsverfahrens durch die Schweizerische Unfallversicherungsanstalt (SUVA) und durch UVG-Privatversicherer eingeholten Gutachten von externen Spezialärzten, welche auf Grund eingehender Beobachtungen und Untersuchungen sowie nach Einsicht in die Akten Bericht erstatten und bei der Erörterung der Befunde zu schlüssigen Ergebnissen gelangen, ist bei der Beweiswürdigung volle Beweiskraft zuzuerkennen, solange nicht konkrete Indizien gegen die Zuverlässigkeit der Expertise sprechen (
BGE 104 V 212
Erw. c; RKUV 1993 Nr. U 167 S. 96 Erw. 5a mit weiteren Hinweisen). Zu beachten ist, dass die SUVA bei der Einholung von solchen Gutachten sinngemäss nach den Bestimmungen des Bundeszivilprozesses zu verfahren und insbesondere die in
Art. 57 ff. BZP
genannten Mitwirkungsrechte der Verfahrensbeteiligten zu beachten hat (RKUV 1993 Nr. U 167 S. 96 Erw. 5b), was sinngemäss auch für die nach
Art. 68 Abs. 1 UVG
zugelassenen Privatversicherer gilt (
BGE 120 V 361
f. Erw. 1c).
cc) In Bezug auf Berichte von Hausärzten darf und soll der Richter der Erfahrungstatsache Rechnung tragen, dass Hausärzte mitunter im Hinblick auf ihre auftragsrechtliche Vertrauensstellung in Zweifelsfällen eher zu Gunsten ihrer Patienten aussagen (unveröffentlichte Urteile B. vom 11. Juni 1997, B. vom 22. Februar 1994 und P. vom 22. Oktober 1984; Plädoyer 6/94 S. 67; MEYER-BLASER, Die Rechtspflege in der Sozialversicherung, in: BJM 1989 S. 31).
dd) Was Parteigutachten anbelangt, rechtfertigt der Umstand allein, dass eine ärztliche Stellungnahme von einer Partei eingeholt und in das Verfahren eingebracht wird, nicht Zweifel an ihrem Beweiswert (ZAK 1986 S. 189 Erw. 2a in fine).
ee) Auch den Berichten und Gutachten versicherungsinterner Ärzte kommt schliesslich Beweiswert zu, sofern sie als schlüssig erscheinen,
BGE 125 V 351 S. 354
nachvollziehbar begründet sowie in sich widerspruchsfrei sind und keine Indizien gegen ihre Zuverlässigkeit bestehen. Die Tatsache allein, dass der befragte Arzt in einem Anstellungsverhältnis zum Versicherungsträger steht, lässt nicht schon auf mangelnde Objektivität und auf Befangenheit schliessen. Es bedarf vielmehr besonderer Umstände, welche das Misstrauen in die Unparteilichkeit der Beurteilung objektiv als begründet erscheinen lassen. Im Hinblick auf die erhebliche Bedeutung, welche den Arztberichten im Sozialversicherungsrecht zukommt, ist an die Unparteilichkeit des Gutachters allerdings ein strenger Massstab anzulegen (
BGE 122 V 161
f. Erw. 1c).
c) Wie bereits erwähnt (Erw. 3b/dd), enthält auch ein Parteigutachten Äusserungen eines Sachverständigen, welche zur Feststellung eines medizinischen Sachverhalts beweismässig beitragen können. Daraus folgt indessen nicht, dass ein solches Gutachten den gleichen Rang wie ein vom Gericht oder von einem Unfallversicherer nach dem vorgegebenen Verfahrensrecht eingeholtes Gutachten besitzt. Es verpflichtet indessen - wie jede substanziiert vorgetragene Einwendung gegen ein solches Gutachten - den Richter, den von der Rechtsprechung aufgestellten Richtlinien für die Beweiswürdigung folgend, zu prüfen, ob es in rechtserheblichen Fragen die Auffassungen und Schlussfolgerungen des vom Gericht oder vom Unfallversicherer förmlich bestellten Gutachters derart zu erschüttern vermag, dass davon abzuweichen ist. | null | nan | de | 1,999 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
d284f147-b753-4209-b1c0-ee1414173285 | Urteilskopf
116 III 82
18. Estratto della sentenza 1o giugno 1990 della Camera delle esecuzioni e dei fallimenti nella causa X contro banca Z (ricorso) | Regeste
Pfandansprache auf ein Bank-Kontokorrent: Fristansetzung zur gerichtlichen Klage (
Art. 106 ff. SchKG
).
Der Saldo eines Bank-Kontokorrents stellt eine gewöhnliche Forderung des Kontoinhabers dar. Da es sich nicht um eine Sache handelt, kann die Frage, ob die Frist zur Klage gemäss
Art. 106 ff. SchKG
dem Drittansprecher oder dem Gläubiger anzusetzen sei, nicht aufgrund des Gewahrsams beurteilt werden. Der Betreibungsbeamte hat daher zu prüfen, ob das vom Drittansprecher behauptete Recht (im vorliegenden Fall ein Pfandrecht) als glaubhaft erscheint. | Sachverhalt
ab Seite 82
BGE 116 III 82 S. 82
A.-
Il Pretore del Distretto di Lugano, Sezione 4, ha decretato il 26 gennaio 1990, su istanza di X, un sequestro di Fr. 200'000.-- più interessi a carico di Y, risiedente allora a San José (Costa Rica). Causa del sequestro era l'
art. 271 cpv. 1 n. 4 LEF
(debitore dimorante all'estero). L'Ufficio esecuzione e fallimenti di Lugano, Circondario 1, ha dato seguito al decreto in due riprese, il 26 e 29 gennaio 1990, sequestrando tra l'altro un conto corrente del debitore presso la banca Z di Lugano. Dopo averne preso nota, il 5 febbraio 1990 la banca ha comunicato all'Ufficio che il conto
BGE 116 III 82 S. 83
in questione presentava al momento del sequestro un saldo attivo di Fr. 23'971.57, ma ch'essa faceva valere un diritto di pegno per interessi ipotecari e ammortamenti dovuti dal correntista; dedotto il totale di questi ultimi, il saldo denunciava un passivo di Fr. 18'347.18.
B.-
Il 20 febbraio 1990 l'Ufficio di esecuzione ha assegnato a X un termine di dieci giorni per agire giudizialmente contro la banca (
art. 109 LEF
). X è insorta il 22 febbraio 1990 alla Camera di esecuzione e fallimenti del Tribunale di appello del Cantone Ticino, autorità di vigilanza, chiedendo che il termine di dieci giorni fosse impartito alla banca, non a lei stessa (
art. 107 cpv. 1 LEF
). Con sentenza del 25 aprile 1990 la corte ha respinto il reclamo.
C.-
X ha introdotto il 30 aprile 1990 un ricorso alla Camera delle esecuzioni e dei fallimenti del Tribunale federale riproponendo la stessa conclusione formulata in sede di reclamo. Il Tribunale federale ha parzialmente accolto il ricorso e rinviato la causa all'autorità di vigilanza per nuovo giudizio nel senso dei considerandi.
Erwägungen
Dai considerandi:
2.
Gli art. 106 segg. LEF, cui rinvia l'
art. 275 LEF
, impongono all'Ufficio di dar luogo alla procedura di rivendicazione quando il debitore sostenga che l'oggetto pignorato (o sequestrato) sia proprietà o pegno di un terzo, oppure quando un terzo rivendichi un diritto di proprietà o di pegno sull'oggetto stesso. Se l'oggetto è in possesso del debitore, spetta al terzo rivendicante intentare azione (
art. 106 e 107 LEF
); se invece l'oggetto è in possesso del terzo, spetta al creditore procedere in tal senso (
art. 109 LEF
). Un credito ordinario (cioè non incorporato in una cartavalore) non è un "oggetto"; secondo giurisprudenza nondimeno gli art. 106 segg. LEF si applicano, per analogia, anche ove l'Ufficio pignori (o sequestri) un credito di cui un terzo pretenda essere titolare (
DTF 88 III 115
consid. 1). In questo caso la nozione di possesso è supplita da quella di migliore verosimiglianza: se la posizione del terzo rivendicante appare provvista di maggior fondamento rispetto a quella del debitore, incombe al creditore promuovere azione; nell'ipotesi contraria il termine per agire va assegnato al terzo (
DTF 97 III 64
consid. 1,
DTF 88 III 57
consid. 1). I criteri
BGE 116 III 82 S. 84
del possesso, rispettivamente della migliore verosimiglianza, valgono solo per definire il ruolo delle parti nella causa di rivendicazione: l'onere della prova rimane invariato (
art. 8 CC
;
DTF 88 III 127
).
3.
In concreto l'Ufficio di esecuzione ha sequestrato il saldo (Fr. 23'971.57) di un conto corrente bancario. Su quest'ultimo la banca ha rivendicato un diritto di pegno in base a un "atto di pegno generale", firmato - a suo dire - dal cliente il 20 ottobre 1988. La corte cantonale ha ritenuto che ciò bastasse per costringere la creditrice ad agire in giudizio (
art. 109 LEF
). Disconosce però che la rivendicante non fa valere un diritto di pegno su un oggetto in suo possesso - come poteva essere un deposito, una cauzione o una garanzia - ma sul saldo di un conto corrente, che è un credito ordinario del titolare (v.
art. 117 cpv. 2 CO
; GUGGENHEIM, Les contrats de la pratique bancaire suisse, 2a edizione, pag. 252; OFTINGER/BÄR in: Zürcher Kommentar, 3a edizione, nota 80 ad
art. 899 CC
). E siccome ai crediti ordinari si applica - come detto - la nozione di "migliore verosimiglianza", il problema di sapere a chi vada assegnato il termine per adire il giudice con la causa di rivendicazione secondo gli art. 106 segg. LEF dipende dalla maggiore o minore plausibilità del diritto avanzato dalla banca.
Ora, la banca invoca un "atto di pegno generale" sottoscritto dal correntista il 20 ottobre 1988. Un documento del genere è senza dubbio idoneo a rendere attendibile l'esistenza del pegno (
art. 900 cpv. 1 CC
). Se non che, esso non è mai stato prodotto dalla banca. Su questo punto la ricorrente ha ragione. Sbaglia invece quando crede che la banca dovesse rendere verosimile anche l'entità della pretesa: chi fa valere un diritto di pegno deve specificare la propria identità, l'oggetto del pegno e l'ammontare del credito (
DTF 109 III 57
consid. 4a,
DTF 84 III 159
consid. 5). All'Ufficio non compete di giudicare la fondatezza della notifica: deve verificare però chi possegga l'oggetto della rivendicazione, poiché senza tale accertamento non è possibile stabilire a chi vada assegnato il termine degli art. 106 segg. LEF. Nel caso in esame, trattandosi di un credito ordinario e non di un oggetto, l'Ufficio avrebbe dovuto chiarire se il diritto di pegno rivendicato dalla banca appariva verosimile. A questo proposito sarebbe bastato richiamare l'atto di pegno generale menzionato dalla banca; invece l'Ufficio ha assegnato senz'altro alla creditrice il termine per promuovere azione. Tale modo di agire non può essere condiviso.
BGE 116 III 82 S. 85
4.
La ricorrente chiede che la Camera delle esecuzioni e dei fallimenti non solo annulli il termine impartitole dall'Ufficio (
art. 109 LEF
), ma statuisca essa medesima nel merito assegnando alla rivendicante il termine per agire davanti al giudice (
art. 107 cpv. 1 LEF
). Ciò non è possibile. Come si è spiegato, nella fattispecie manca qualsiasi accertamento che consenta un giudizio sulla verosimiglianza del pegno litigioso: non si può dire pertanto se il ruolo di attore nella causa di rivendicazione incomba alla banca o alla creditrice. Ne segue che la sentenza cantonale dev'essere annullata e gli atti ritornati all'autorità di vigilanza perché inviti la rivendicante - dandosi il caso per il tramite dell'Ufficio - a produrre il contratto di pegno relativo al saldo di conto corrente. In seguito la corte si pronuncerà sulla verosimiglianza del pegno, ossia sull'assegnazione del termine. | null | nan | it | 1,990 | CH_BGE | CH_BGE_005 | CH | Federation |
d2879f3f-1e1d-4a79-9d8f-bbf70dc3bf23 | Urteilskopf
117 Ib 237
30. Extrait de l'arrêt de la IIe Cour de droit public du 29 novembre 1991 en la cause Fondation officielle de la Jeunesse c. Département fédéral de justice et police (recours de droit administratif) | Regeste
Art. 5 Abs. 1 des Bundesgesetzes vom 5. Oktober 1984 über die Leistungen des Bundes für den Straf- und Massnahmenvollzug; Verfahren der Anerkennung von Erziehungsheimen mit Berechtigung für Betriebsbeiträge.
Setzt sich eine Erziehungseinrichtung aus mehreren Einheiten mit je unterschiedlichen Aufnahmebedingungen und Insassengruppen zusammen, so ist die Beitragsberechtigung für jede Einheit separat zu ermitteln. | Sachverhalt
ab Seite 238
BGE 117 Ib 237 S. 238
Suite à l'entrée en vigueur, le 1er janvier 1987, de la loi fédérale du 5 octobre 1984 sur les prestations de la Confédération dans le domaine de l'exécution des peines et des mesures (LPPM; RS 341), le Département fédéral de justice et police a examiné si, en tant que maison d'éducation, les "Foyers de Gilly", situés sur le territoire de la commune du Grand-Lancy, ont un droit à obtenir une subvention fédérale destinée à couvrir une partie de leurs frais d'exploitation.
Constatant que cette institution est, en réalité, composée de quatre foyers distincts s'adressant chacun à une clientèle différente sur la base d'un concept thérapeutique spécifique, l'autorité fédérale a décidé, le 20 décembre 1990, d'examiner séparément si chaque unité satisfait aux conditions fixées par la loi pour obtenir une subvention d'exploitation. Sur les quatre foyers, deux seulement ont été reconnus en tant que maison d'éducation ayant droit aux subventions.
Agissant par recours de droit administratif, la Fondation officielle pour la Jeunesse, qui exploite les "Foyers de Gilly", demande au Tribunal fédéral d'annuler la décision du 20 décembre 1990. Pour l'essentiel, la Fondation estime contraire au droit fédéral le fait d'apprécier séparément les quatre unités des "Foyers de Gilly" alors qu'ils constituent un ensemble administratif unique, géographiquement très concentré et sous la surveillance d'une direction centralisée.
Le Tribunal fédéral a rejeté le recours.
Erwägungen
Extrait des considérants:
4.
La recourante se plaint essentiellement du fait que, pour procéder aux reconnaissances litigieuses, le Département fédéral
BGE 117 Ib 237 S. 239
de justice et police a examiné séparément chaque unité des "Foyers de Gilly" au lieu d'apprécier globalement tous les établissements comme une seule maison d'éducation.
a) Pour justifier une appréciation séparée des différentes unités des "Foyers de Gilly", l'autorité intimée a indiqué, dans ses observations, que les critères mis en oeuvre pour déterminer si une reconnaissance unique peut englober plusieurs sections de la même institution ne dépendent pas exclusivement de l'indépendance administrative ou spatiale des différentes sections, mais surtout de leurs conditions d'admission et de la définition de la clientèle dans leur concept.
Dès lors que - comme on le verra ci-après (consid. 4c) - ces critères découlent directement des exigences de l'art. 3 let. e OPPM, il convient d'examiner en premier lieu si cette norme dispose d'une base légale suffisante et si, en l'adoptant, le Conseil fédéral n'a pas excédé les limites de ses compétences. Il faudra ensuite regarder si, sur cette base, l'autorité intimée pouvait, à bon droit, fixer les critères qu'elle a développés et si elle les a appliqués correctement.
b) Le législateur fédéral a expressément conféré au Conseil fédéral le pouvoir de soumettre l'octroi des subventions d'exploitation à des charges et conditions. L'art. 6 al. 1 LPPM enjoint tout d'abord au gouvernement fédéral de déterminer les conditions d'octroi des subventions par analogie avec l'art. 3 LPPM; l'art. 6 al. 2 LPPM accorde, pour le surplus, au Conseil fédéral la compétence de subordonner cet octroi "à des conditions supplémentaires ou l'assortir de charges".
Faisant usage des pouvoirs ainsi délégués, le Conseil fédéral a promulgué l'art. 3 OPPM qui fixe en partie les conditions auxquelles doivent satisfaire les maisons d'éducation pour obtenir la reconnaissance qui leur donnera droit aux subventions. En particulier, il a édicté l'art. 3 let. e OPPM qui prévoit que "la maison d'éducation dispose d'un personnel dont l'effectif correspond à la gravité des difficultés des pensionnaires. La maison d'éducation la plus petite comprendra au moins 2,5 postes dont deux d'éducateurs au sens de l'art. 5 al. 1 ou 2, let. a." Trouvant directement sa source à l'art. 6 LPPM, l'art. 3 let. e OPPM dispose ainsi d'une base légale suffisante.
Cette norme réglementaire ne concrétise par ailleurs aucun excès ou abus du pouvoir délégué. Les travaux des Chambres fédérales montrent clairement que le législateur n'entendait verser des
BGE 117 Ib 237 S. 240
subventions d'exploitation qu'aux maisons d'éducation qui assurent un encadrement particulier, adapté aux pensionnaires (voir BO 1982 E 612 ss). A défaut d'indication précise dans la loi et compte tenu de la grande marge d'appréciation dont jouissait le Conseil fédéral, ce dernier pouvait dès lors raisonnablement poser des exigences quant à l'effectif du personnel dont doit disposer la maison d'éducation qui sollicite un subventionnement; par ce biais, il assure, en effet, autant que possible un certain degré de qualité des institutions bénéficiant de l'aide fédérale et répond ainsi à l'attente du législateur. Rien n'indique que ces exigences qui tendent à favoriser les personnes prises en charge sont excessives ou déraisonnables. Conformes à la volonté du législateur et en rapport avec la fin visée, elles ne violent pas le droit fédéral (cf. GRISEL, Traité de droit administratif, p. 328; voir également, quant au personnel spécialisé disponible durant la nuit, l'arrêt non publié du 24 août 1990, déjà cité, consid. 3c). Il faut d'ailleurs remarquer que la recourante, pourtant spécialisée dans les questions d'éducation, ne critique à aucun moment les exigences posées par le Conseil fédéral en matière d'effectif en personnel qualifié.
c) L'art. 3 let. e OPPM pose comme principe que, pour être subventionnée, la maison d'éducation doit disposer d'un personnel dont l'effectif correspond à la gravité des difficultés des pensionnaires. Or, pour déterminer si l'effectif des éducateurs est vraiment adapté à la gravité des difficultés rencontrées par les personnes prises en charge, il est logique de ne prendre en considération - ainsi que l'a fait l'autorité intimée - que le personnel véritablement chargé de la catégorie de pensionnaires concernée; pareillement, seuls les jeunes gens se situant à un même stade thérapeutique peuvent entrer dans le calcul de l'adéquation du personnel et des pensionnaires. Il n'est pas conforme à l'art. 3 let. e OPPM d'additionner, pour les besoins du subventionnement, personnel et pensionnaires d'institutions différentes s'adressant à des catégories distinctes de clientèle et dont les conditions d'admission sont différentes; un pareil procédé rendrait en effet illusoire l'exigence d'un effectif en personnel adapté à la gravité des difficultés rencontrées par les pensionnaires.
Il s'ensuit que les critères dégagés par l'autorité intimée pour déterminer si un foyer doit ou non être examiné isolément en vue du subventionnement de son exploitation échappent à la critique.
d) Ces considérations ne sont pas en contradiction avec les moyens de la recourante qui fait valoir que, par le passé, les
BGE 117 Ib 237 S. 241
autorités fédérales ont soutenu une individualisation poussée des institutions; ce soutien n'est pas remis en cause. Tout au plus la nouvelle législation cerne-t-elle avec précision la taille minimale que doit avoir une maison d'éducation pour bénéficier des subventions d'exploitation et jusqu'à quel point il y a lieu d'individualiser les prises en charge. Le refus d'accepter une reconnaissance globale de tous les foyers de la recourante ne vise pas à l'empêcher de concrétiser dans les faits le principe d'une prise en charge par étapes des jeunes dont elle s'occupe. Il est juste cependant, pour les motifs exposés précédemment, que chaque foyer disposant d'une catégorie définie de pensionnaires satisfasse aux exigences posées par le subventionnement et en particulier par l'art. 3 let. e OPPM.
e) En l'espèce, il ressort clairement des concepts pédagogiques établis pour les unités des "Foyers de Gilly" que la clientèle visée est à chaque fois différente: des enfants de 5 à 12 ans pour le foyer "Les Chouettes", des préadolescents de 11 à 16 ans pour le foyer "La Spirale", des adolescents de plus de 15 ans pour le foyer "Les Pontets" et des jeunes adultes ou des familles avec enfants pour le foyer "La Grange". Les besoins de chaque catégorie de pensionnaires sont distincts et l'encadrement nécessaire varie fortement d'un foyer à l'autre. Des enfants de moins de 10 ans ou des adolescents sur le point de gagner une complète autonomie requièrent des éducateurs un suivi différencié et ne posent pas les mêmes problèmes d'encadrement. D'ailleurs, il faut constater que les concepts varient également d'un foyer à l'autre en ce qui concerne les affections dont peuvent être atteints les pensionnaires. Le foyer "Les Chouettes" s'occupe d'enfants qui, bien que perturbés, ne présentent pas de grosses difficultés de comportement; "La Spirale", en revanche, admet des pensionnaires présentant de tels troubles, alors que le foyer "Les Pontets" refuse les adolescents présentant une délinquance affirmée et revendiquée ainsi que ceux présentant un déficit intellectuel ne permettant pas d'envisager un apprentissage professionnel ou une suite scolaire normale. Face à une telle diversité de la clientèle, il serait contraire aux exigences de l'art. 3 let. e OPPM de procéder à une appréciation globale de toutes les unités des "Foyers de Gilly"; un tel amalgame viderait en effet de son sens l'exigence d'un effectif en personnel adapté à la gravité des difficultés des pensionnaires. L'autorité intimée n'a donc pas violé le droit fédéral en procédant à un examen spécifique de chaque foyer pour déterminer l'existence d'un droit au subventionnement.
BGE 117 Ib 237 S. 242
f) Peu importe en outre que, par le passé, la reconnaissance ait été accordée globalement. L'appréciation qu'a opérée en l'espèce l'autorité intimée ne découle pas d'une interprétation nouvelle de dispositions anciennes; la décision de refuser une reconnaissance globale repose sur la nouvelle législation, mise en oeuvre pour la première fois. L'autorité d'exécution n'est donc pas liée par la manière dont elle a considéré la situation sous l'angle de l'ancien droit. La recourante ne peut ainsi tirer aucun avantage de la pratique qui a été abandonnée (cf. consid. 3).
5.
La recourante conteste également les constatations de l'autorité intimée selon lesquelles le foyer "Les Pontets" - considéré de manière individuelle - ne remplit pas les conditions posées pour obtenir la reconnaissance d'un droit aux subventions dès lors qu'il ne dispose que de 6 places au lieu de 7 et qu'il refuse les adolescents renvoyés en vertu du code pénal.
La Fondation fait valoir en particulier que l'absence de pensionnaires renvoyés en vertu du code pénal serait due exclusivement au fait que les autorités pénales n'ordonnent pas le placement de jeunes délinquants dans leur institution. Cette allégation ne correspond pas à la réalité. Il ressort en effet du concept du foyer produit par la recourante elle-même le 23 novembre 1990 que l'admission est refusée à "tout adolescent présentant une délinquance affirmée et revendiquée", cela afin de ne pas déséquilibrer les jeunes déjà hébergés. Dans la mesure où l'une des conditions essentielles pour se voir reconnaître un droit aux subventions est de s'engager à accueillir des enfants et des adolescents en application des art. 82 ss et 89 ss CP (cf. art. 5 al. 1 let. b, 1re phrase LPPM; art. 2 al. 2 in fine LPPM), il apparaît d'emblée qu'avec cette restriction de principe contenue dans son concept pédagogique le foyer "Les Pontets" se place en dehors du champ d'application de la loi fédérale sur les prestations de la Confédération dans le domaine de l'exécution des peines et mesures. L'autorité intimée n'a donc pas violé le droit fédéral en refusant la reconnaissance d'un droit à la subvention.
Pour le motif indiqué ci-dessus, il est inutile d'examiner si la taille du foyer qui ne comporte que 6 places au lieu des 7 exigées par l'administration dans ses directives justifierait également le refus de la reconnaissance. | public_law | nan | fr | 1,991 | CH_BGE | CH_BGE_003 | CH | Federation |
d28f3904-68f3-4d0c-ada7-6585b986336c | Urteilskopf
106 III 51
12. Arrêt de la Chambre des poursuites et des faillites du 24 octobre 1980 dans la cause Fiduciaire B. S.A. (recours LP) | Regeste
Erlöschen des Rechts zur Stellung des Fortsetzungsbegehrens (Art. 88 Abs. 2 und 166 Abs. 2 SchKG).
1. Das Betreibungsamt muss auf Verlangen des Gläubigers die Konkursandrohung zustellen, solange die Frist von
Art. 166 Abs. 2 SchKG
nicht abgelaufen ist; nur der Richter ist zuständig zur Beurteilung der Frage, ob das Konkursbegehren rechtzeitig gestellt worden ist (E. 2).
2. Die Frist zur Stellung des Fortsetzungsbegehrens steht still, solange der Gläubiger nicht in den Besitz einer Urkunde gelangen kann, welche das Rechtsöffnungsurteil als vollstreckbar erklärt (E. 3). | Sachverhalt
ab Seite 52
BGE 106 III 51 S. 52
A.-
Le 23 août 1972, sur requête de la Fiduciaire B. S.A., l'Office des poursuites de Genève fit notifier un commandement de payer à V. P. pour une créance de 2'628 fr. 60, avec intérêt (poursuite no 250105). Le débiteur fit opposition. La créancière ouvrit une action en reconnaissance de dette le 22 mai 1973. Le Tribunal de première instance de Genève condamna V. P. au paiement de 2'628 fr. 60 avec intérêt à 5% l'an à compter du 23 août 1972; il leva définitivement, à concurrence de cette somme, l'opposition formée à la poursuite no 250105 de l'Office de Genève. Par arrêt du 11 mai 1979, la Cour de justice rejeta l'appel de V. P. et confirma le jugement attaqué. Statuant le 16 mai 1980 selon la procédure prévue à l'
art. 60 al. 1 OJ
, le Tribunal fédéral déclara irrecevable le recours en réforme interjeté par V. P., faute pour le recourant d'avoir fourni en temps utile les sûretés exigées en garantie des frais judiciaires présumés.
Le 29 juillet 1980, sur requête de la créancière, l'Office des poursuites fit notifier à V. P. une commination de faillite pour
BGE 106 III 51 S. 53
la somme de 2'628 fr. 60 avec intérêt à 5% l'an à compter du 23 août 1972.
B.-
Le débiteur a porté plainte en temps utile et demandé l'annulation de la commination de faillite. Il n'a pas invoqué une violation des règles de l'exécution, mais s'est borné à rediscuter le fond et à contester l'existence de la créance.
Par décision du 10 septembre 1980, l'Autorité de surveillance des offices de poursuite pour dettes et de faillite du canton de Genève a annulé la commination de faillite. Elle a considéré que le droit de requérir la faillite se périme par un an à compter de la notification du commandement de payer (
art. 166 al. 2 LP
). En l'espèce, ce délai aurait dû expirer le 23 août 1973. Il avait toutefois été suspendu durant six ans, onze mois et vingt jours, soit le temps écoulé entre le 22 mai 1973, jour d'introduction de l'action en reconnaissance de dette, et le 16 mai 1980, date de l'arrêt du Tribunal fédéral. Il venait donc à échéance le samedi 16 août 1980 et était reporté de plein droit au lundi 18. Or la commination de faillite avait été notifiée le 29 juillet et l'atermoiement de vingt jours que la loi reconnaît au débiteur n'expirait que le 18 août. La créancière ne pouvait dès lors requérir la faillite que le 19 août, soit après la péremption de la poursuite. De ce fait, la commination attaquée accordait à la créancière un délai pour requérir la faillite qui était incompatible avec l'
art. 166 al. 2 LP
. Elle devait être annulée d'office pour prévenir une ouverture de la faillite prononcée par erreur.
C.-
La Fiduciaire B. S.A. a interjeté un recours au Tribunal fédéral. Elle conclut à la confirmation de la commination de faillite notifiée le 29 juillet 1980. Elle fait valoir que l'arrêt rendu par le Tribunal fédéral le 16 mai 1980 n'a été expédié que le 2 juin et notifié le 3 juin. Elle soutient que le délai de péremption de la poursuite a été suspendu jusqu'au 3 juin 1980 et ne venait donc à échéance que le 4 septembre 1980, c'est-à-dire bien après l'expiration de l'atermoiement de vingt jours que la loi accorde au débiteur menacé de faillite.
La recourante a requis et obtenu l'octroi de l'effet suspensif.
Erwägungen
Considérant en droit:
1.
La recourante se plaint d'une violation de son droit d'être entendue. Elle reproche à l'autorité cantonale d'avoir annulé la commination de faillite en se fondant sur la péremption
BGE 106 III 51 S. 54
imminente de la poursuite, sans donner à la créancière l'occasion de s'exprimer sur ce point.
La procédure de la plainte relève en principe du droit cantonal. Aucune règle spéciale du droit fédéral n'impose à l'autorité cantonale d'entendre la partie intimée. Le justiciable privé de la faculté de s'exprimer peut certes invoquer une violation de l'
art. 4 Cst.
Toutefois, seule la voie du recours de droit public lui est ouverte à cet effet (
art. 81 et 43 al. 1 OJ
;
ATF 101 III 68
ss).
L'irrecevabilité du grief n'entraîne en l'espèce aucun préjudice pour la recourante. L'
art. 79 al. 1 OJ
permet en effet aux parties de présenter devant le Tribunal fédéral les preuves et faits nouveaux qu'elles n'ont pu faire valoir devant l'autorité cantonale de surveillance. Sont notamment recevables les moyens dont les parties disposaient déjà en procédure cantonale, mais qu'elles n'avaient alors aucune raison de produire (
ATF 102 III 132
s., 87 III 5,
ATF 84 III 78
consid. 1). La recourante ne pouvait s'attendre à ce que l'autorité de surveillance soulevât d'office le moyen tiré de la péremption de la poursuite alors que le délai n'était manifestement pas échu au moment de l'acte attaqué. Elle doit donc être admise à alléguer et prouver que l'arrêt rendu par le Tribunal fédéral le 16 mai 1980 n'a été expédié que le 2 juin et notifié le 3 juin. Ce fait est établi par les pièces du dossier.
2.
La commination de faillite du 29 juin 1980 a été notifiée moins d'un an après le commandement de payer, compte tenu de la durée de l'action en reconnaissance de dette. L'autorité de surveillance l'a toutefois annulée, jugeant que le droit de requérir la faillite serait périmé à l'expiration de l'atermoiement de vingt jours reconnu au débiteur. Ce faisant, l'autorité de surveillance a empiété sur les compétences du juge de la faillite. Il appartient au juge seul de déterminer si la requête de faillite dont il est ou peut être saisi a été présentée en temps utile, donc avant l'expiration du délai prévu à l'
art. 166 al. 2 LP
; il doit d'ailleurs le faire d'office (JAEGER, Commentaire de la loi fédérale sur la poursuite, n. 1 ad art. 172). L'office des poursuites doit, s'il en est requis, faire notifier une commination de faillite tant que le commandement de payer n'est pas périmé; il n'a pas à se demander si la péremption interviendra pendant le sursis de vingt jours que la loi accorde au débiteur menacé de faillite.
3.
L'autorité cantonale de surveillance a empiété sur les compétences du juge de la faillite; sa décision doit être annulée.
BGE 106 III 51 S. 55
Le présent recours soulève toutefois un problème de computation de délais qui peut se poser aux autorités d'exécution. Avant de notifier un avis de saisie ou une commination de faillite, l'office des poursuites doit en effet s'assurer que le commandement de payer n'est pas périmé. Lorsque la cause a été portée devant le Tribunal fédéral par la voie d'un recours en réforme, l'office doit savoir si le délai de péremption a été suspendu jusqu'à la date de l'arrêt ou jusqu'au jour de sa notification. La Chambre de céans juge utile de prendre position sur ce point, pour garantir une application uniforme de la loi sur la poursuite (
art. 15 LP
;
ATF 103 III 77
consid. 1,
ATF 99 III 62
et les arrêts cités).
Dans sa version française, la loi prévoit qu'en cas d'opposition, le délai de péremption est suspendu depuis l'introduction de l'action et "jusqu'à chose jugée" (art. 88 al. 2 et 166 al. 2 LP). On pourrait être amené à penser que la suspension prend fin le jour où le Tribunal fédéral statue, puisque ses arrêts passent en force de chose jugée dès qu'ils sont prononcés (
art. 38 OJ
). Cette interprétation purement technique est toutefois infirmée par la formulation toute générale des textes italien et allemand, selon lesquels le délai est suspendu jusqu'au règlement judiciaire du litige (giudiziale definizione dell'azione, gerichtliche Erledigung der Klage). Les art. 88 al. 2 et 166 al. 2 LP doivent prévenir un allongement démesuré de la durée des poursuites par la déchéance dont ils frappent le créancier qui se désintéresse de la procédure d'exécution. La péremption de la poursuite est la sanction de l'inaction du créancier, raison pour laquelle le délai est suspendu tant que dure l'instance judiciaire tendant à faire lever l'opposition du débiteur. Le délai ne recommence donc à courir au préjudice du créancier que si, après avoir obtenu une décision exécutoire, il n'en fait pas usage pour requérir la continuation de la poursuite. Or le créancier ne peut obtenir une saisie ou une commination de faillite qu'en justifiant par titre de la levée de l'opposition. Partant, le délai de péremption reste suspendu tant que le créancier n'a pas la faculté d'obtenir une déclaration authentique établissant le caractère définitif et exécutoire du jugement levant l'opposition (décision du Conseil fédéral du 16 décembre 1895 en la cause Martinelli, Archiv für Schuldbetreibung und Konkurs, 1896 p. 98 ss; cf., en matière de séquestre,
ATF 101 III 90
s. consid. 1c).
Les arrêts du Tribunal fédéral sont exécutoires dès leur prononcé.
BGE 106 III 51 S. 56
Cela ne signifie pas que le créancier à qui ils donnent gain de cause soit de ce seul fait en mesure de requérir la continuation de la poursuite. Le délai de péremption ne saurait recommencer à courir tant que l'arrêt n'a pas été communiqué par écrit aux parties, au moins dans son dispositif.
En l'espèce, le débiteur avait interjeté un recours en réforme contre l'arrêt de la Cour de justice confirmant sa condamnation et la mainlevée définitive de son opposition à la poursuite no 250105. Son recours a été déclaré irrecevable, faute de dépôt de l'avance de frais en temps utile. On ne peut en conclure que le délai de péremption de la poursuite ait recommencé à courir dés le prononcé de l'arrêt cantonal. Certes, le recours en réforme ne suspend l'exécution de la décision attaquée que s'il est recevable (
art. 54 al. 2 OJ
). Point n'est besoin toutefois de déterminer en l'espèce si l'on doit reconnaître effet suspensif à un recours déclaré irrecevable en raison de faits postérieurs à son dépôt. L'autorité cantonale ne saurait en effet munir son prononcé de la formule exécutoire lorsque la voie du recours en réforme est ouverte et qu'un acte de recours a été déposé en temps utile. Dans ces conditions, le créancier ne peut se fonder sur la décision cantonale pour requérir la continuation de la poursuite; il doit attendre que le Tribunal fédéral ait statué. En l'espèce, le délai de péremption de la poursuite n'a donc recommencé à courir qu'au moment Où la recourante a eu connaissance de l'arrêt du Tribunal fédéral et a reçu une pièce lui permettant d'en établir le dispositif, soit le 3 juin 1980.
Dispositiv
Par ces motifs, la Chambre des poursuites et des faillites:
Admet le recours, annule la décision attaquée et confirme la commination de faillite notifiée le 29 juillet 1980 dans la poursuite no 250105 de l'Office de Genève. | null | nan | fr | 1,980 | CH_BGE | CH_BGE_005 | CH | Federation |
d2937183-008e-4579-9a0b-4a70791a69a6 | Urteilskopf
135 III 663
96. Auszug aus dem Urteil der II. zivilrechtlichen Abteilung i.S. X. gegen Y. AG und Betreibungsamt Schaffhausen (Beschwerde in Zivilsachen)
5A_515/2009 vom 5. November 2009 | Regeste
Pflichten des Schuldners bei der Pfändung;
Art. 91 SchKG
.
Gegenstand und Umfang der Auskunftspflicht des Schuldners (E. 3). | Sachverhalt
ab Seite 663
BGE 135 III 663 S. 663
A.
Das Betreibungsamt Schaffhausen vollzog in der gegen X. laufenden Betreibung Nr. 1 (Gläubigerin: Y. AG) am 14. Januar 2009 die Pfändung (Pfändungsurkunde vom 6. Februar 2009). Am 23. Februar 2009 verlangte die Gläubigerin die Nachpfändung von 100 Inhaberaktien der A. AG, deren Alleinaktionär der Schuldner sein soll. Am folgenden Tag lud das Betreibungsamt X. auf den 4. März 2009 zur Nachpfändung vor. Nachdem der Schuldner ausblieb, liess ihn das Betreibungsamt am 17. März 2009 (rechtshilfeweise durch das Gemeindeammann- und Betreibungsamt Niederglatt) einvernehmen. Auf die Frage nach 100 Inhaberaktien der A. AG, welche gemäss Begehren der Gläubigerin zu pfänden seien, erklärte er, keine Aktien zu besitzen; diese seien auch nicht bei seiner Mutter. Er werde die Namen der Aktionäre nicht bekanntgeben. Mit Schreiben vom 25. März 2009 forderte das Betreibungsamt Schaffhausen X. unter Strafandrohung auf, "die Eigentümer der Inhaberaktien der A. AG mitzuteilen".
B.
Gegen diese Aufforderung gelangte X. an das Obergericht des Kantons Schaffhausen als Aufsichtsbehörde über das Schuldbetreibungs- und Konkurswesen. Er beklagte sich über das Vorgehen des Betreibungsamtes und beantragte die Aufhebung der Aufforderung
BGE 135 III 663 S. 664
vom 25. März 2009. Mit Entscheid vom 24. Juli 2009 wies die kantonale Aufsichtsbehörde die Beschwerde ab und gab der Aufsichtsanzeige keine Folge.
C.
X. ist mit als "staatsrechtliche Beschwerde" bezeichneter Eingabe vom 5. August 2009 (Postaufgabe) an das Bundesgericht gelangt. Der Beschwerdeführer verlangt sinngemäss die Aufhebung des Entscheides der kantonalen Aufsichtsbehörde vom 24. Juli 2009 und der Aufforderung des Betreibungsamtes zur Auskunft vom 25. März 2009. (...)
Das Bundesgericht weist die Beschwerde in Zivilsachen ab.
(Auszug)
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
3.
Im Wesentlichen wirft der Beschwerdeführer der Aufsichtsbehörde eine Verletzung der Regeln über die Auskunftspflicht des Schuldners gemäss
Art. 91 SchKG
sowie von
Art. 9 BV
vor.
3.1
Vorliegend hat die Gläubigerin am 23. Februar 2009 die Nachpfändung von 100 Inhaberaktien der A. AG verlangt, da der Beschwerdeführer nicht nur alleiniger Verwaltungsrat und Geschäftsführer, sondern (seit der Übernahme im Jahre 2005) auch Alleinaktionär der AG sei. Zu Recht ist unbestritten, dass im Fall, in dem ein Gläubiger behauptet, ein gewisser Vermögensgegenstand stehe im Eigentum des Schuldners, dieser gegebenenfalls nachzupfänden ist (
BGE 42 III 116
S. 118), und dass die Regeln der Pfändung auch für die Nachpfändung gemäss
Art. 115 Abs. 3 SchKG
gelten. Der Schuldner ist daher bei Straffolge verpflichtet, seine Vermögensgegenstände, einschliesslich derjenigen, die sich nicht in seinem Gewahrsam befinden, anzugeben, soweit dies zu einer genügenden Pfändung nötig ist (
Art. 91 SchKG
Abs. 1 Ziff. 2 SchKG).
3.2
Entgegen der Darstellung des Beschwerdeführers hat die Aufsichtsbehörde nicht über die Nachpfändung der erwähnten Aktien entschieden. Anlass zur Beschwerde gibt einzig die Frage, ob das Betreibungsamt den Beschwerdeführer (gemäss
Art. 91 Abs. 6 SchKG
) bei Straffolge auf seine Pflicht aufmerksam machen durfte, Auskunft über die 100 Inhaberaktien der A. AG zu erteilen.
3.2.1
Der Einwand des Beschwerdeführers, die Aufsichtsbehörde könne ihn nicht zur Auskunft über "Vermögenswerte Dritter" verpflichten, geht fehl. Zwar trifft zu, dass nur gepfändet werden darf,
BGE 135 III 663 S. 665
was dem Schuldner rechtlich gehört (
BGE 105 III 107
E. 4 S. 115; AMONN/WALTHER, Grundriss des Schuldbetreibungs- und Konkursrechts, 8. Aufl. 2008, § 23 Rz. 2 ff.). Über die Pfändbarkeit entscheidet allerdings nicht der Beschwerdeführer als Schuldner, sondern - wie die Aufsichtsbehörde zu Recht erwogen hat - das Betreibungsamt (JAEGER, Schuldbetreibung und Konkurs, Bd. I, 1911, N. 6 und 7 zu
Art. 91 SchKG
). Ebenso ist es Sache des Betreibungsamtes, eine Pfändung unter Vormerkung von Ansprüchen Dritter vorzunehmen (
Art. 106 ff. SchKG
).
3.2.2
Der Beschwerdeführer übergeht, dass er als Schuldner dem Betreibungsamt umfassend, d.h. auch bei konkreten Anfragen nach bestimmten Vermögensstücken Auskunft zu geben hat, z.B. über Objekte, von denen der Beamte kraft eigenen Wissens, auf Grund von Angaben seitens Dritter oder des Gläubigers Kenntnis hat (vgl. JEANDIN, in: Commentaire romand, Poursuite et faillite, 2005, N. 9 zu
Art. 91 SchKG
; KUHN, Die Auskunftspflicht des Schuldners, 1956, S. 38). Die Auskunftspflicht des Schuldners kann sich im Hinblick auf mögliche Anfechtungsgeschäfte auch auf die sogenannte Verdachtsperiode beziehen (
BGE 129 III 239
E. 3.2 S. 241 f.; Urteil 7B.109/2004 vom 17. August 2004 E. 4.2), so dass der Schuldner dem Betreibungsbeamten auch Aufschluss z.B. über Veräusserungen zu erteilen hat (KUHN, a.a.O., S. 61 f.). Vorliegend steht nach dem angefochtenen Entscheid fest, dass das Betreibungsamt von der Gläubigerin konkrete Hinweise auf mögliche pfändbare Vermögenswerte erhalten hat. Wenn die Aufsichtsbehörde die Auskunftspflicht des Beschwerdeführers bestätigt hat, obwohl dieser selber der Meinung ist, die 100 Inhaberaktien der A. AG gehörten ihm nicht, kann von einer Rechtsverletzung nicht gesprochen werden.
3.2.3
Aus dem angefochtenen Entscheid geht weiter hervor, dass der Beschwerdeführer die Auskunft über die 100 Inhaberaktien abgelehnt hat. Diese Ablehnung der Auskunft ist eine für das Bundesgericht verbindliche Tatsachenfeststellung (
Art. 105 Abs. 1 BGG
), und der Beschwerdeführer legt nicht dar, inwiefern diese auf einer Rechtsverletzung im Sinne von
Art. 95 BGG
beruhe oder offensichtlich unrichtig, d.h. willkürlich festgestellt worden sei (
Art. 97 Abs. 1 BGG
;
BGE 133 III 393
E. 7.1 S. 398). Der Hinweis des Beschwerdeführers, dass die Auskunft "ungeahnte Wirkungen", z.B. auf die Privatsphäre derjenigen Personen habe, welche die betreffenden Aktien in der Hand halten, ist unbehelflich. Das Gesetz sieht vor, dass Dritte, welche Vermögensgegenstände des Schuldners verwahren, im
BGE 135 III 663 S. 666
gleichen Umfang wie der Schuldner auskunftspflichtig sind (
Art. 91 Abs. 4 SchKG
), und dass sie allenfalls ihre Ansprüche im Widerspruchsverfahren (
Art. 106 ff. SchKG
) geltend zu machen haben. Der Beschwerdeführer legt insoweit nicht dar, inwiefern die Aufforderung des Betreibungsamtes, Auskunft über die 100 Inhaberaktien der A. AG zu erteilen, und der Hinweis auf die Straffolgen eine Rechtsverletzung darstellen sollen (
Art. 42 Abs. 2 BGG
).
3.3
Nach dem Dargelegten ist der Vorwurf des Beschwerdeführers, die Aufsichtsbehörde habe die Regeln über seine Pflichten als Schuldner im Pfändungsverfahren unrichtig angewendet, unbegründet. | null | nan | de | 2,009 | CH_BGE | CH_BGE_005 | CH | Federation |
d2959d34-8073-4cc3-ace0-8303355267c2 | Urteilskopf
121 IV 49
12. Auszug aus dem Urteil des Kassationshofes vom 20. März 1995 i.S. Staatsanwaltschaft des Kantons Zürich gegen X. (Nichtigkeitsbeschwerde) | Regeste
1. Vollendeter Versuch; Strafmilderung (
Art. 22, 63, 65 StGB
).
Tritt der tatbestandsmässige Erfolg nicht ein, so ist die Strafe jedenfalls zu mindern. Das Mass der zulässigen Reduktion hängt beim vollendeten Versuch unter anderem von der Nähe des tatbestandsmässigen Erfolges und von den tatsächlichen Folgen der Tat ab (E. 1).
2. Begründung des Strafmasses. Auffallende Diskrepanz zwischen der Strafe für eine versuchte vorsätzliche Tötung und ihrer Begründung (
Art. 63 ff. und 111 StGB
,
Art. 277 und 277ter BStP
).
Die ausgefällte Strafe muss aufgrund der Urteilsbegründung plausibel erscheinen. Dies ist unter anderem dann nicht der Fall, wenn die Strafe angesichts der im Urteil festgestellten Tatsachen und der diese bewertenden Erwägungen auffallend hoch oder milde ist. Ob im Falle einer solchen Diskrepanz die Strafe im Ergebnis unvertretbar oder ihre Begründung mangelhaft sei, ist oft nicht zweifelsfrei erkennbar. Daher weist der Kassationshof die Sache in der Regel lediglich zur neuen Entscheidung an die Vorinstanz zurück, ohne diese ausdrücklich anzuweisen, dass sie eine bestimmte andere Strafe ausspreche (E. 2a).
Auffallende Diskrepanz zwischen dem Strafmass und der Begründung im konkreten Fall unter anderem einer versuchten vorsätzlichen Tötung angesichts der relevanten Gesichtspunkte bejaht (E. 2b-h). | Sachverhalt
ab Seite 50
BGE 121 IV 49 S. 50
A.-
Am 14. Februar 1991, gegen 16.30 Uhr, begaben sich zwei zivile Fahnder der Stadtpolizei Zürich, A. und B., mit ihrem zivilen Dienstwagen zu einer Liegenschaft in der Bremgartnerstrasse in Zürich, um eine - mit X. nicht identische - Person, die sie dort vermuteten, zu verhaften. Als die beiden Polizeibeamten auf die Haustür zugingen, verliessen gerade ein Mann und eine Frau das Haus. A. merkte sofort, dass es sich beim Mann um X. handelte, der einige Wochen zuvor im Schweizerischen Polizeianzeiger wegen
BGE 121 IV 49 S. 51
des Verdachts u.a. auf Veruntreuungen zur Verhaftung ausgeschrieben worden war. Als X. aufgefordert wurde, den beiden Beamten auf die Polizeiwache zu folgen, gab er vor, er habe in der Wohnung seiner Begleiterin, die sich im Haus befand, das er soeben verlassen hatte, ein Mäppchen mit Prozessakten zurückgelassen, welches er unbedingt benötige. X. und seine Begleiterin begaben sich gemeinsam mit den beiden Polizeibeamten in die Wohnung, um dort das angeblich zurückgelassene Mäppchen zu suchen. In der Wohnung gab X. vor, das Mäppchen befinde sich möglicherweise in dem in der Bremgartnerstrasse parkierten Fahrzeug von seiner Begleiterin. Die beiden Polizeibeamten begaben sich daher zusammen mit X. zu diesem Personenwagen. Da X. das Mäppchen dort ebenfalls nicht fand, kehrten die drei Männer in die Wohnung zurück. Danach begaben sie sich ein zweites Mal zum Fahrzeug und kehrten nach erfolgloser Suche wieder in die Wohnung zurück. Die Suche nach dem Mäppchen, an der sich stets auch der Polizeibeamte A. beteiligt hatte, blieb erfolglos. Schliesslich verliessen die beiden Polizeibeamten zusammen mit X. die Wohnung, um sich zu dem an der gegenüberliegenden Seite der Bremgartnerstrasse parkierten Dienstwagen zu begeben und in diesem gemeinsam auf die Polizeiwache zu fahren.
Der Polizeibeamte A. überquerte als erster die Strasse, um vom gegenüberliegenden Trottoir aus auf der Beifahrerseite in den Dienstwagen zu steigen. Als X. zusammen mit dem Polizeibeamten B. seinerseits an der Fahrerseite des Wagens angelangt war, führte er mit der linken Hand an der in der rechten Manteltasche mitgeführten Selbstladepistole "Beretta", deren Magazin ca. sieben Patronen enthielt, eine Ladebewegung durch. Er nahm die durchgeladene Waffe blitzschnell hervor und gab aus einer Entfernung von weniger als einem Meter einen Schuss ab, wobei die Waffe nicht gezielt auf den Polizeibeamten B. gerichtet war. Dieser hatte erfolglos versucht, X. mit der Aufforderung, "(X.), mach kei Seich", von der Schussabgabe abzuhalten. Die Kugel traf die Sportjacke von B. und die darunter getragene Pelzfaserjacke. Nach diesem Schuss versuchte der Polizeibeamte B., X. einen Schlag gegen die Schulter zu versetzen. X. gab aus einer Distanz von weniger als einem Meter, dem Polizeibeamten B. frontal gegenüberstehend und die durchgeladene Waffe auf den Bereich von dessen Oberkörper zielend, einen zweiten Schuss ab. Die Kugel durchbohrte die Lunge des B., verletzte die Leber und trat im Rücken aus dem Körper aus.
In der kurzen Zeit zwischen dem ersten und dem zweiten Schuss sprang der Polizeibeamte A. von der Beifahrerseite des Dienstwagens kommend auf die
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Strasse zu seinem Kollegen und zu X.. Als er dort ankam, hatte X. schon den zweiten Schuss abgegeben. X. richtete nun seine durchgeladene Waffe auf den Polizeibeamten A.. Dieser zog sich daher hinter das Polizeifahrzeug zurück und ging dort in Deckung. X. ergriff zu Fuss die Flucht.
Das Leben des Polizeibeamten B. konnte nur dank der sofortigen medizinischen Versorgung gerettet werden. B. war bis zum 6. März 1991 hospitalisiert und bis Anfang Mai 1991 arbeitsunfähig. Er erlitt keine bleibenden Nachteile.
Vier Tage nach der Schussabgabe, am 18. Februar 1991, stahl X. in Zürich einen Personenwagen.
Einen Monat danach, am 18. März 1991, geriet X. mit diesem Fahrzeug auf der Sattelegg/SZ in eine Polizeikontrolle. Er entzog sich dieser Kontrolle durch eine Fluchtfahrt, auf der er mehrmals Verkehrsregeln grob verletzte. So fuhr er auf der Umfahrungsstrasse von Einsiedeln bei einer zulässigen Höchstgeschwindigkeit von 80 km/h mit ca. 140 bis 160 km/h. In Einsiedeln missachtete er ein Rotlicht. Auf kurvenreichen Strassenabschnitten zwischen Einsiedeln und Schindellegi überfuhr er mindestens dreimal die Sicherheitslinie. In Schindellegi Dorf fuhr er zweimal linksseitig an Verkehrsinseln vorbei. Er fuhr bei einer zulässigen Höchstgeschwindigkeit von 80 km/h mit einer Geschwindigkeit von bis zu 120 km/h von Schindellegi nach Samstagern, durchquerte dieses Dorf bei einer zulässigen Höchstgeschwindigkeit von 50 km/h mit ca. 90 km/h, überholte in Samstagern trotz Gegenverkehrs und fuhr in Richterswil unter gleichzeitigem unzulässigen Überholen von zwei Personenwagen linksseitig an einer Verkehrsinsel vorbei. In Richterswil konnte er schliesslich verhaftet werden.
B.-
Das Geschworenengericht des Kantons Zürich sprach X. am 24. September 1993 wegen dieser Handlungen der versuchten vorsätzlichen Tötung (Art. 111 i.V.m. mit
Art. 22 Abs. 1 StGB
), der Gefährdung des Lebens (
Art. 129 StGB
), der Gewalt und Drohung gegen Beamte (
Art. 285 Ziff. 1 StGB
), des Diebstahls (
Art. 137 Ziff. 1 StGB
) sowie der mehrfachen groben Verletzung von Verkehrsregeln schuldig. Es sprach ihn zudem wegen anderer Handlungen, die X. vor seiner Verurteilung zu 18 Monaten Gefängnis (unbedingt) unter anderem wegen banden- und gewerbsmässigen Diebstahls durch den Berufungsentscheid des Zürcher Obergerichts vom 18. Januar 1991 begangen hatte, der mehrfachen Veruntreuung (durch Verkauf von zwei geleasten bzw. gemieteten Personenwagen) sowie des mehrfachen Missbrauchs von Ausweisen und Schildern und des mehrfachen Fahrens ohne Fahrzeugausweis schuldig. Das
BGE 121 IV 49 S. 53
Geschworenengericht bestrafte ihn mit 7 1/2 Jahren Zuchthaus, unter Anrechnung von 336 Tagen Untersuchungshaft, sowie mit einer Busse von 800 Franken.
C.-
Die Staatsanwaltschaft des Kantons Zürich führt eidgenössische Nichtigkeitsbeschwerde mit dem Antrag, das Urteil des Geschworenengerichts sei wegen Verletzung von
Art. 63 und
Art. 22 Abs. 1 StGB
aufzuheben und die Sache zur Ausfällung einer schuldangemessenen Freiheitsstrafe an die Vorinstanz zurückzuweisen.
X. beantragt in seiner Vernehmlassung die Abweisung der Nichtigkeitsbeschwerde. Zudem ersucht er um die Gewährung der unentgeltlichen Rechtspflege.
D.-
Das Kassationsgericht des Kantons Zürich wies am 22. August 1994 die von X. erhobene kantonale Nichtigkeitsbeschwerde ab, soweit es darauf eintrat.
Erwägungen
Das Bundesgericht zieht in Erwägung:
1.
a) Gemäss den Ausführungen im angefochtenen Entscheid ist der Umstand, dass es lediglich beim Versuch blieb, nur wenig strafmildernd (
Art. 22 Abs. 1 StGB
i.V.m.
Art. 65 StGB
) zu beachten, da es nur dem Zufall und der raschen medizinischen Versorgung und nicht dem Verhalten des Beschwerdegegners zuzuschreiben sei, dass der Tod beim Opfer nicht eintrat.
Die Beschwerdeführerin macht geltend, unter den gegebenen Umständen verstosse selbst eine geringfügige Strafmilderung wegen Ausbleibens des tatbestandsmässigen Tötungserfolgs gegen Bundesrecht. Gemäss
Art. 63 StGB
sei die Strafe grundsätzlich ausschliesslich nach dem Verschulden und nicht etwa auch nach dem Erfolg zu bemessen.
Art. 22 Abs. 1 StGB
enthalte eine Kann-Vorschrift, die Strafmilderung sei somit fakultativ. Das Ausbleiben des tatbestandsmässigen Erfolgs beim vollendeten Versuch könne somit "nicht zwingend" zu einer Strafmilderung führen. Entscheidend seien insoweit vielmehr die Umstände des konkreten Falles. Der Beschwerdegegner habe den zweiten Schuss gezielt, aus nächster Nähe und dem Opfer frontal gegenüberstehend, abgegeben. Die Kugel habe die Lunge durchschlagen und die Leber in Mitleidenschaft gezogen. Nur dank sofortiger medizinischer Versorgung in der Notfallabteilung des Stadtspitals Triemli habe das Leben des Polizeibeamten gerettet werden können. Die Wahrscheinlichkeit der Verwirklichung des tatbestandsmässigen Tötungserfolgs sei also extrem hoch
BGE 121 IV 49 S. 54
gewesen. Unter diesen Umständen sei selbst eine geringfügige Strafmilderung wegen des Ausbleibens des tatbestandsmässigen Erfolgs bundesrechtswidrig.
b) Wird die strafbare Tätigkeit zu Ende geführt, tritt aber der zur Vollendung des Verbrechens oder des Vergehens gehörende Erfolg nicht ein, so kann der Täter gemäss
Art. 22 Abs. 1 StGB
i.V.m.
Art. 65 StGB
milder bestraft werden. Das Gesetz stellt es somit in das Ermessen des Richters, ob er die Strafe im Sinne von
Art. 65 StGB
mildern will. Der Richter, der die Strafe in Ausübung dieses Ermessens herabsetzt, verstösst dadurch nicht gegen Bundesrecht. Allerdings hängt das Mass der zulässigen Reduktion der Strafe beim vollendeten Versuch unter anderem von der Nähe des tatbestandsmässigen Erfolgs und den tatsächlichen Folgen der Tat ab. Die Reduktion der Strafe wird mit andern Worten umso geringer sein, je näher der tatbestandsmässige Erfolg und je schwerwiegender die tatsächliche Folge der Tat war. Stets aber ist eine Herabsetzung der Strafe wegen des Ausbleibens des tatbestandsmässigen Erfolgs zulässig.
Es stellt sich nun weiter die Frage, ob die Herabsetzung der Strafe innerhalb des ordentlichen Strafrahmens wegen des Ausbleibens des tatbestandsmässigen Erfolgs im übrigen nicht nur erlaubt, sondern bundesrechtlich geboten sei. Diese letztere Lösung wird - entsprechend der deutschen Doktrin (so LEIPZIGER KOMMENTAR [Vogler], 10. Aufl. 1985, § 23 dt.StGB N. 9, 20) - in der Schweiz vor allem von STRATENWERTH (Schweiz. Strafrecht Allg. Teil I, § 12 N. 41 f. und § 3 N. 22 f.) sowie von PETER ALBRECHT (Der untaugliche Versuch, Diss. Basel 1973, S. 77 f.) vertreten. Die gegenteilige Auffassung - vertreten von REHBERG (Strafrecht I, 5. Aufl. 1993, S. 83 unten) - nimmt demgegenüber im Einklang mit dem französischen Recht (BERNARD BOULOC, Droit pénal général, 15ème éd., Paris: Dalloz 1994, no. 251 p. 207) an, dass bei Versuch die Strafmilderung innerhalb des gesetzlichen Strafrahmens nur fakultativ sei und gegebenenfalls überhaupt (so das französische Recht) oder zumindest bei vollendetem Versuch (so REHBERG) auch ganz unterbleiben könne. Andere Autoren haben sich bezüglich dieser beiden möglichen Lösungen nicht eindeutig festgelegt oder scheinen im Ergebnis die fakultative Strafmilderung zu favorisieren (so - sich von STRATENWERTH diesbezüglich abgrenzend - SCHULTZ, Einführung in den Allg. Teil des Strafrechts, 4. Aufl. 1982, S. 274; ebenso - in deutlicher Anlehnung an die Lösung des französischen Rechts - GRAVEN, L'infraction pénale punissable, p. 269; weniger bestimmt NOLL/TRECHSEL, Schweiz.
BGE 121 IV 49 S. 55
Strafrecht, Allg. Teil I, 4. Aufl. 1994, S. 154 f.).
Die beiden Positionen beruhen letztlich auf zwei unterschiedlichen Grundhaltungen gegenüber dem Versuchsproblem. Nach dem reinen Willensstrafrecht, wie es der Konzeption des Code pénal von 1810 zugrunde lag, sowie nach den Vorstellungen der Défense sociale konnte es auf den Erfolg nicht ankommen, sondern allein auf den (bösen) Willen des Täters oder dessen Gefährlichkeit (dazu BOULOC, a.a.O.). Nach der neoklassischen Schule und der stärker auf die Störung des Rechtsfriedens (vgl. NOLL/TRECHSEL, a.a.O.) ausgerichteten Konzeption macht es - im Hinblick auf den Unrechtsausgleich - indessen einen Unterschied, ob der Erfolg eingetreten ist oder nicht.
Das Bundesgericht hat sich zur Frage der obligatorischen oder bloss fakultativen Strafmilderung bei vollendetem Versuch bisher nicht geäussert, wohl aber generell in bezug auf die Strafmilderungsgründe des
Art. 64 StGB
sowie die verminderte Zurechnungsfähigkeit im Sinne von
Art. 11 StGB
erkannt (
BGE 116 IV 11
S. 13/14, 300 E. 2 b/bb), dass beim Vorliegen derartiger Strafzumessungsfaktoren (wie auch beim Vorliegen von Strafschärfungsgründen) der gesetzliche Strafrahmen zwar nur fakultativ nach unten (bzw. nach oben) erweitert sei, der Richter aber den betreffenden Umstand mindestens im Rahmen von
Art. 63 StGB
strafmindernd (bzw. straferhöhend) zu berücksichtigen habe. Würde nun in bezug auf
Art. 22 StGB
anders entschieden, d.h. eine obligatorische Strafminderung (im Rahmen von
Art. 63 StGB
) verneint, so ergäbe sich eine sachlich nicht gerechtfertigte Differenzierung gegenüber anderen Strafmilderungsgründen.
Die Vorinstanz hat somit entgegen der Ansicht der Beschwerdeführerin Bundesrecht nicht verletzt, indem sie das Ausbleiben des tatbestandsmässigen Erfolgs "wenig strafmildernd" berücksichtigte.
2.
Die Beschwerdeführerin macht geltend, die Vorinstanz habe "die im übrigen vollumfänglich erkannten Strafzumessungsgründe" in Überschreitung oder Missbrauch ihres Ermessens allzu einseitig zugunsten des Beschwerdegegners gewichtet, wie bei der Lektüre der "eingehend und sorgfältig dargelegten Erwägungen zur Strafzumessung" sofort auffalle. Unter Berücksichtigung aller von der Vorinstanz erkannten Strafzumessungsgründe und vor dem Hintergrund der Tatsache, dass dem voll zurechnungsfähigen, massiv vorbestraften Beschwerdegegner unter anderem eine versuchte vorsätzliche Tötung zur Last gelegt werde, habe die
BGE 121 IV 49 S. 56
Vorinstanz mit der Ausfällung einer Zuchthausstrafe von bloss 7 1/2 Jahren das ihr zustehende weite Ermessen unverkennbar eindeutig missbräuchlich unterschritten.
a) aa) Das Bundesgericht stellt in seiner neueren Rechtsprechung höhere Anforderungen an die Begründung der Strafzumessung durch den Sachrichter und greift häufiger in die Strafzumessung ein als früher. Der Sachrichter hat im Urteil die wesentlichen schuldrelevanten Tat- und Täterkomponenten so zu erörtern, dass festgestellt werden kann, ob alle rechtlich massgebenden Gesichtspunkte berücksichtigt und wie sie gewichtet wurden. Entsprechendes gilt für die im Gesetz genannten Strafschärfungs- und Strafmilderungsgründe. Die blosse Auflistung einiger Strafzumessungsfaktoren mit der anschliessenden Bemerkung, unter diesen Umständen sei die ausgefällte Strafe angemessen, reicht nicht aus. Der Sachrichter muss die Überlegungen, die er bei der Bemessung der Strafe angestellt hat, in seinem Urteil in den Grundzügen darstellen. Er muss die Strafzumessung so gut wie möglich nachvollziehbar machen. Dann ist es auch möglich zu prüfen, ob er sich von zutreffenden oder unzutreffenden Gesichtspunkten leiten liess und ob er sich bei der Gewichtung der relevanten Faktoren im Rahmen seines weiten Ermessens hielt. Besonders hohe Anforderungen an die Begründung der Strafzumessung werden unter anderem dann gestellt, wenn die ausgesprochene Strafe ungewöhnlich bzw. auffallend hoch oder auffallend milde ist (zum Ganzen
BGE 116 IV 288
,
BGE 117 IV 112
, 401 E. 4,
BGE 118 IV 14
, 119, 120 IV 136 E. 3a; GIUSEP NAY, Neue Entwicklungen in der Rechtsprechung des Kassationshofes des Bundesgerichts, ZStrR 112/1994 S. 175 ff., 179/80).
Der Richter ist, unter Vorbehalt gewisser Ausnahmen (s.
BGE 118 IV 120
E. 2c betreffend die retrospektive Konkurrenz), aber nicht verpflichtet, im Urteil in absoluten Zahlen oder in Prozenten anzugeben, inwieweit er bestimmte strafzumessungsrelevante Tatsachen straferhöhend oder strafmindernd berücksichtigt hat (siehe die bereits zitierten Entscheide). Er muss von Bundesrechts wegen auch nicht etwa eine "Einsatzstrafe" beziffern, die er bei Fehlen bestimmter Strafschärfungs- und Strafmilderungsgründe sowie anderer gewichtiger Faktoren ausgefällt hätte. Zwar können derartige Angaben im Urteil die Begründung (und damit auch die Überprüfung) der Strafzumessung erleichtern, da sich aus ihnen ergeben kann, weshalb z.B. eine auf den ersten Blick auffallend hohe oder milde Strafe ausgesprochen worden ist. Doch ist der Richter bundesrechtlich nicht
BGE 121 IV 49 S. 57
verpflichtet, sich bei den einzelnen Teilschritten der Urteilsbegründung auf bestimmte Zahlenangaben festzulegen. Es kommt insoweit allein darauf an, dass die gefundene Strafe insgesamt, d.h. unter gesamthafter Berücksichtigung aller massgeblichen Strafzumessungsgesichtspunkte, im Ergebnis bundesrechtlich vertretbar ist.
bb) Wenn gemäss den vorstehenden Ausführungen die Erwägungen betreffend die Strafzumessung so gut wie möglich nachvollziehbar sein sollen, so bedeutet dies insbesondere auch, dass sie die ausgefällte Strafe rechtfertigen müssen. Das Strafmass muss mit anderen Worten plausibel erscheinen. Der Kassationshof greift ein, wenn die ausgefällte Strafe angesichts der im Urteil festgestellten strafzumessungsrelevanten Tatsachen und der diese bewertenden Erwägungen der Vorinstanz als auffallend hoch oder milde erscheint, wenn also zwischen der Strafe und ihrer Begründung offensichtlich eine Diskrepanz besteht. Liegt eine solche Diskrepanz vor, so ist entweder die Strafe im Ergebnis unvertretbar oder aber ihre Begründung im Urteil mangelhaft bzw. unvollständig. Ob diese oder jene Alternative vorliege, ist oft nicht zweifelsfrei erkennbar (
BGE 120 IV 136
E. 3a S. 143). Daher wird der Kassationshof bei auffallender Diskrepanz zwischen dem Strafmass und seiner Begründung die Sache in der Regel lediglich zur neuen Entscheidung an die Vorinstanz zurückweisen, ohne diese ausdrücklich anzuweisen, dass sie eine andere Strafe ausfälle. Denn es ist nicht ausgeschlossen, dass der Sachrichter bei der Strafzumessung auch Kriterien berücksichtigt hat, die in der Urteilsbegründung nicht ausdrücklich erwähnt oder missverständlich beschrieben bzw. gewichtet worden sind und bei deren Berücksichtigung die ausgefällte Strafe im Ergebnis als bundesrechtskonform erscheint (siehe zum Ganzen BERNARD CORBOZ, La motivation de la peine, ZBJV 131/1995 S. 1 ff., 28/29, 33).
cc) Eine bestimmte Strafe kann unter Umständen schon bei einer abstrakten Betrachtungsweise angesichts der Art der Straftaten, die ihr zugrunde liegen, auffallend hoch oder milde sein. So hat der Kassationshof in
BGE 117 IV 401
erkannt, dass eine Zuchthausstrafe von fünfzehn Jahren für drei Vergewaltigungen ausserordentlich hart sei und sich nur bei Vorliegen ganz aussergewöhnlicher erschwerender Umstände rechtfertigen lasse; der angefochtene Entscheid wurde aufgehoben, weil die darin aufgeführten Kriterien eine solche Strafe nicht rechtfertigten. In
BGE 120 IV 136
hat der Kassationshof eine Zuchthausstrafe von zwölf Jahren angesichts der ihr
BGE 121 IV 49 S. 58
zugrunde liegenden Taten (u.a. bandenmässiger Raub und gewerbsmässiger Diebstahl) als ungewöhnlich hoch erachtet und das angefochtene Urteil aufgehoben, weil die vorinstanzliche Begründung diese Strafe nicht rechtfertigte. Der Kassationshof hat dabei abschliessend bemerkt, der Fehler liege wohl nicht in der Begründung, sondern wahrscheinlich darin, dass die Strafe zu hoch sei (S. 146 oben).
Auch wenn aber eine bestimmte Strafe nicht schon bei einer abstrakten Betrachtungsweise angesichts der Art der ihr zugrunde liegenden Delikte ungewöhnlich hoch oder milde ist, wird sie vom Kassationshof aufgehoben, wenn zwischen ihr und den sie begründenden Erwägungen im konkreten Fall eine auffallende Diskrepanz besteht.
b) Die von der Vorinstanz ausgefällte Strafe von 7 1/2 Jahren Zuchthaus u.a. für eine versuchte vorsätzliche Tötung ist nicht schon an sich ungewöhnlich. Sie ist aber angesichts der im angefochtenen Entscheid festgestellten strafzumessungsrelevanten Tatsachen und der diese bewertenden vorinstanzlichen Erwägungen aus nachstehenden Gründen auffallend milde. Zwischen dieser Strafe und ihrer Begründung besteht mit anderen Worten eine auffällige Diskrepanz. Zudem sind einzelne Umstände im angefochtenen Urteil erkennbar unzutreffend gewichtet worden. Im einzelnen ergibt sich folgendes.
c) aa) Die Vorinstanz geht bei der Strafzumessung vom vollendeten Versuch der vorsätzlichen Tötung als schwerste Tat aus. Sie bewertet das "objektive Tatverschulden" als "schwer". Der Beschwerdegegner habe aus ausschliesslich egoistischem Motiv in einer von ihm selbst verschuldeten Situation rücksichtslos auf einen Menschen, den er nicht gekannt und der ihm nichts getan habe, geschossen und ihm dadurch schwerste Verletzungen zugefügt. Danach habe er die Schusswaffe gegen einen weiteren Menschen gerichtet. Die beiden Polizeibeamten hätten ihm nicht den geringsten Anlass zu einem solchen Verhalten gegeben, ihn insbesondere weder bedrängt noch provoziert, sondern sie seien im Gegenteil ausgesprochen korrekt, hilfsbereit und langmütig gewesen. Die Vorinstanz geht auch mit Bezug auf die groben Verkehrsregelverletzungen von einem "schweren Verschulden" aus. Der Beschwerdegegner habe hierbei erneut ein ausgesprochen rücksichts- und hemmungsloses Verhalten an den Tag gelegt, indem er sich durch eine halsbrecherische und für die übrigen Verkehrsteilnehmer gefährliche Fluchtfahrt wiederum der drohenden Verhaftung zu entziehen versucht habe.
BGE 121 IV 49 S. 59
bb) Der Umstand, dass es beim Versuch blieb, ist nach Ansicht der Vorinstanz "nur wenig strafmildernd" (Art. 22 Abs. 1 i.V.m.
Art. 65 StGB
) zu beachten; denn es sei lediglich dem Zufall und der raschen medizinischen Versorgung und nicht dem Verhalten des Beschwerdegegners zuzuschreiben, dass der tatbestandsmässige Tötungserfolg nicht eingetreten sei. Die Vorinstanz geht in Übereinstimmung mit dem psychiatrischen Gutachter davon aus, dass der Beschwerdegegner im unmittelbaren Vorfeld der versuchten vorsätzlichen Tötung aus Angst vor einem neuerlichen Gefängnisaufenthalt und aus Bestürzung über seine unerwartete Verhaftung unter einem "starken Affektdruck" gestanden habe. Insoweit könne ihm eine heftige Gemütsbewegung zugebilligt werden, doch sei diese nicht im Sinne von
Art. 113 StGB
(Totschlag) entschuldbar, da der Beschwerdegegner die Konfliktsituation durch sein Verhalten, insbesondere das Mitführen einer geladenen Schusswaffe, selbst verschuldet habe. Der starke Affektdruck habe laut dem psychiatrischen Gutachten nicht zu einer Beeinträchtigung des Bewusstseins im Sinne von
Art. 11 StGB
geführt und sei daher auch nicht als Verminderung der Zurechnungsfähigkeit zu werten. Nach Ansicht der Vorinstanz ist diesem starken Affektdruck aber (im Rahmen der Strafzumessung nach
Art. 63 StGB
) "merklich strafmindernd" Rechnung zu tragen. Die Vorinstanz berücksichtigt schliesslich einige weitere Tatsachen "ebenfalls strafmindernd", nämlich die problematische Kindheit und Jugend des Beschwerdegegners, welche von Heimaufenthalten, Schul- und Lehrabbrüchen sowie ersten Straftaten geprägt war; das Teilgeständnis in bezug auf einige Tatbestände (nämlich Gewalt und Drohung gegen Beamte, grobe Verletzung von Verkehrsregeln sowie Diebstahl); die Tatsache, dass er sich seit rund einem Jahr freiwillig einer psychotherapeutischen Behandlung mit regelmässigen wöchentlichen Sitzungen unterziehe, sowie seine sehr guten Arbeitsleistungen während des Strafvollzugs.
cc) Gemäss den weiteren Ausführungen im angefochtenen Urteil wirken sich die Deliktsmehrheit, die mehrfache Tatbegehung sowie der "krasse" Rückfall im technischen Sinne strafschärfend aus. "Erheblich straferhöhend" seien die neun Vorstrafen des (im Jahre 1935 geborenen) Beschwerdegegners zu berücksichtigen, welche auf eine "hohe kriminelle Energie" schliessen liessen. Dass der Beschwerdegegner sich bis heute von keinem Strafverfahren und keinem Strafvollzug ausreichend und nachhaltig habe beeindrucken lassen, zeige sich auch darin, dass er die vorliegend zu beurteilenden
BGE 121 IV 49 S. 60
Delikte teilweise während laufender Strafuntersuchung und laufender Probezeit aus der bedingten Entlassung begangen habe, was sich "ebenfalls straferhöhend" auswirke.
d) aa) Der Beschwerdegegner handelte aus dem egoistischen Motiv, sich der Verhaftung und einem erneuten Strafvollzug zu entziehen. Er täuschte den Polizeibeamten zunächst vor, dass er dringend benötigte Prozessakten mitnehmen müsse. Während der langwierigen Suche nach diesen Akten in der Wohnung und im Personenwagen seiner Begleiterin waren die Polizeibeamten äusserst geduldig und hilfsbereit. Da sich der Beschwerdegegner in dieser Zeit ruhig und unauffällig verhielt und gegen seine Verhaftung weder verbal noch auf andere Weise protestierte, hatten die Polizeibeamten auch keinen Anlass, ihn zum Beispiel nach Waffen zu durchsuchen. Als der Beschwerdegegner offenkundig erkannte, dass sich ihm während der vorgetäuschten Suche nach den Aktenstücken keine Gelegenheit bot, sich der Verhaftung etwa durch eine List zu entziehen, entschloss er sich zur Anwendung von Gewalt. Er entsicherte kurz vor dem Besteigen des Polizeifahrzeugs heimlich die in der Manteltasche mitgeführte Selbstladepistole "Beretta", zog diese plötzlich hervor und gab einen ersten und kurz darauf, dem Opfer in einer Entfernung von weniger als einem Meter frontal gegenüberstehend, einen gezielten, lebensgefährlichen zweiten Schuss auf den Polizeibeamten B. ab. Die Gewaltanwendung erfolgte nicht mittels irgendeines Gegenstandes, der zufällig gerade in Reichweite war, sondern durch gezielten Einsatz einer Schusswaffe, die der Beschwerdegegner, wie schon bei anderen Gelegenheiten, gewissermassen für alle Fälle mit sich führte. Auch wenn zugunsten des Beschwerdegegners davon auszugehen ist, dass er den Entschluss zur Schussabgabe erst unmittelbar vor dessen Ausführung in dem Moment fasste, als er keine andere Möglichkeit zur Flucht mehr sah, ist seine Tat angesichts der Motive, der Umstände und des Vorgehens als ein vergleichsweise schwerwiegender Tötungsversuch im Grenzbereich zwischen versuchter vorsätzlicher Tötung und versuchtem Mord zu qualifizieren. Das nach den zutreffenden Ausführungen im angefochtenen Urteil egoistische und rücksichtslose Verhalten des Beschwerdegegners enthält, auch wenn es nicht als "besonders skrupellos" im Sinne des Mordtatbestandes (
Art. 112 StGB
) zu qualifizieren ist, Elemente der Skrupellosigkeit, die sich bei der Strafzumessung innerhalb des in
Art. 111 StGB
für den Tatbestand der vorsätzlichen Tötung vorgesehenen Strafrahmens erheblich erschwerend auswirken müssen.
BGE 121 IV 49 S. 61
Das Gesetz droht für vorsätzliche Tötung Zuchthaus von fünf bis zwanzig Jahren (
Art. 111 StGB
) und für Mord Zuchthaus von zehn bis zwanzig Jahren oder lebenslänglich Zuchthaus (
Art. 112 StGB
) an. Die den voll zurechnungsfähigen Beschwerdegegner erheblich belastenden Umstände legen für die Tat zum Nachteil des Polizeibeamten B., wäre der tatbestandsmässige Tötungserfolg eingetreten, eine Zuchthausstrafe von mindestens zehn Jahren als Ausgangspunkt nahe.
bb) Die Vorinstanz hat dem Beschwerdegegner einen starken Affektdruck zugebilligt und diesen "merklich strafmindernd" berücksichtigt. Dem kann nicht gefolgt werden. Wohl ist, wie die Vorinstanz unter Hinweis auf das psychiatrische Gutachten ausführt, der Wunsch des Beschwerdegegners, sich der drohenden Verhaftung durch Flucht zu entziehen, "an sich normalpsychologisch verständlich", und ist es mit andern Worten "einfühlbar", dass der Beschwerdegegner "durch die Verhaftungssituation in einen Affekt geraten" sei. Ein durch die Angst vor dem Gefängnisaufenthalt und die Bestürzung über die Verhaftung begründeter sogenannter Affekt kann aber, wenn überhaupt, höchstens geringfügig strafmindernd berücksichtigt werden, jedenfalls dann, wenn ein Tötungsversuch zum Nachteil eines korrekt seine Aufgabe erfüllenden Polizeibeamten unter den beschriebenen Umständen begangen wird. Der Beschwerdegegner war trotz dieses "starken Affektdruckes" beispielsweise in der Lage, die beiden Polizeibeamten durch eine List, nämlich durch die vorgetäuschte Suche nach angeblich wichtigen Aktenstücken, hinzuhalten, und er war während der langwierigen Suche in der Wohnung und in dem vor dem Haus parkierten Personenwagen gefasst und unauffällig. Dem angefochtenen Urteil kann nicht entnommen werden, ob der dem Beschwerdegegner zugebilligte starke Affektdruck allenfalls nicht allein aus der an sich normalen Angst vor einem erneuten Gefängnisaufenthalt und aus der Bestürzung über die unerwartete Verhaftung resultierte, sondern auch aus speziellen, etwa durch die laut Gutachten "multifaktorielle Persönlichkeitsstörung" bedingten Umständen, welche eine "merkliche" Strafminderung rechtfertigen könnten.
Das Ausbleiben des tatbestandsmässigen Tötungserfolgs wurde von der Vorinstanz angesichts der Nähe dieses Erfolgs und der schwerwiegenden Folgen der Tat zu Recht "nur wenig strafmildernd" beachtet.
Die im angefochtenen Urteil aufgelisteten weiteren vier Kriterien können nur geringfügig strafmindernd berücksichtigt werden, wovon anscheinend auch die Vorinstanz ausgeht.
BGE 121 IV 49 S. 62
cc) Mit Recht hat die Vorinstanz die Tatmehrheit gemäss
Art. 68 StGB
straferhöhend berücksichtigt. Von Bedeutung ist dabei insbesondere der Tatbestand der Gefährdung des Lebens (
Art. 129 StGB
), den der Beschwerdegegner dadurch erfüllte, dass er die durchgeladene Schusswaffe gezielt auf den Kopf und auf den Oberkörper des Polizeibeamten A. richtete. Ins Gewicht fallen aber auch die zahlreichen groben Verkehrsregelverletzungen, die der Beschwerdegegner auf seiner Flucht vor einer Polizeikontrolle am 18. März 1991 beging und durch welche er erneut seine Rücksichtslosigkeit bekundete.
Zutreffend hat die Vorinstanz sodann den gemäss Strafregister neun Vorstrafen des Beschwerdegegners "erheblich straferhöhend" Rechnung getragen. Von Bedeutung sind dabei vor allem die (vom Bundesgericht am 8. Februar 1985 bestätigte) Verurteilung vom 2. Dezember 1983 zu sieben Jahren Zuchthaus u.a. wegen besonders gefährlichen Raubes mit einer Schusswaffe sowie die Verurteilung vom 8. Januar 1976 zu fünf Jahren Zuchthaus u.a. wegen gewerbs- und bandenmässigen Diebstahls sowie fortgesetzter Widerhandlung gegen die Verordnung über den Handel mit Waffen und Munition, das Waffentragen und den Waffenbesitz. Daraus wird auch deutlich, dass der Beschwerdegegner schon wiederholt eine Schusswaffe mit sich führte mit der Bereitschaft, sie unter Umständen auch einzusetzen.
Mit Recht hat die Vorinstanz ferner "straferhöhend" berücksichtigt, dass der Beschwerdegegner die von ihr zu beurteilenden Delikte teilweise während laufender Strafuntersuchung und laufender Probezeit aus der bedingten Entlassung beging.
Dem "krassen" Rückfall im technischen Sinne von
Art. 67 StGB
, den die Vorinstanz ebenfalls berücksichtigte, kann dagegen nur eine geringe Bedeutung zukommen. Denn erstens ist dieser Strafschärfungsgrund ohnehin problematisch (siehe dazu statt vieler TRECHSEL, Kurzkommentar, Art. 67 N. 8), und zweitens überschneiden sich vorliegend die den Rückfall begründenden Tatsachen teilweise mit den Tatsachen, die von der Vorinstanz ohnehin schon, zu Recht, straferhöhend berücksichtigt worden sind.
e) Dem angefochtenen Urteil kann nicht entnommen werden, ob die Vorinstanz die darin ausdrücklich genannten Strafmilderungs- und Strafminderungsgründe gesamthaft stärker oder schwächer gewichtet habe als die von ihr ausdrücklich erwähnten Strafschärfungs- und Straferhöhungsgründe.
Die Strafreduktion, die infolge der im angefochtenen Urteil ausdrücklich strafmildernd und strafmindernd berücksichtigten Tatsachen (Ausbleiben des
BGE 121 IV 49 S. 63
Tötungserfolgs, starker Affektdruck etc.) in Betracht kommt, kann bei deren nach den Umständen gebotenen Gewichtung jedenfalls nicht grösser sein als die Straferhöhung, die infolge der im angefochtenen Entscheid ausdrücklich strafschärfend und straferhöhend berücksichtigten Tatsachen (Tatmehrheit, Vorstrafen etc.) in Betracht fällt.
f) Zusammenfassend ergibt sich somit folgendes: Die Strafe, die gegen den voll zurechnungsfähigen Beschwerdegegner für die Schussabgabe im Falle des Eintritts des tatbestandsmässigen Tötungserfolgs auszufällen wäre, kann angesichts der Tatmotive sowie der Tatumstände und des Vorgehens nicht weniger als zehn Jahre Zuchthaus betragen. Das knappe Ausbleiben des tatbestandsmässigen Erfolgs, der sogenannte starke Affektdruck, wie er von der Vorinstanz begründet worden ist, und die im angefochtenen Urteil genannten weiteren entlastenden Tatsachen können jedenfalls nicht stärker ins Gewicht fallen als die Tatmehrheit, die Vorstrafen und die im angefochtenen Entscheid genannten weiteren belastenden Umstände. Daher erscheint eine Strafe von weniger als zehn Jahren Zuchthaus als unhaltbar milde.
g) Obschon somit manches dafür spricht, dass die von der Vorinstanz ausgefällte Zuchthausstrafe von 7 1/2 Jahren bundesrechtswidrig milde ist, wird die Sache in Gutheissung der eidgenössischen Nichtigkeitsbeschwerde nicht zur Ausfällung einer Zuchthausstrafe von mindestens zehn Jahren, sondern lediglich zur neuen Entscheidung an die Vorinstanz zurückgewiesen. Denn es kann nicht ausgeschlossen werden, dass die Vorinstanz bei der Bemessung der Strafe, insbesondere etwa im Zusammenhang mit dem von ihr merklich strafmindernd in Rechnung gestellten starken Affektdruck, auch Gesichtspunkte berücksichtigt hat, die im angefochtenen Urteil nicht oder nicht deutlich genug zum Ausdruck kommen und bei deren zulässigen Berücksichtigung eine Strafe von 7 1/2 Jahren Zuchthaus noch vertretbar sein könnte.
h) Die eidgenössische Nichtigkeitsbeschwerde ist somit teilweise gutzuheissen, das Urteil des Geschworenengerichts des Kantons Zürich vom 24. September 1993 aufzuheben und die Sache in bezug auf die Strafzumessung zur neuen Entscheidung an die Vorinstanz zurückzuweisen.
3.
(Kostenfolgen). | null | nan | de | 1,995 | CH_BGE | CH_BGE_006 | CH | Federation |
d29d20e1-f66f-499d-94e8-0eb2124063c8 | Urteilskopf
111 II 371
72. Auszug aus dem Urteil der I. Zivilabteilung vom 19. Dezember 1985 i.S. Bank in Menziken gegen Adosped Transport AG (Berufung) | Regeste
Frachtvertrag. Verjährung der Forderung auf Frachtlohn. Art. 32 Ziff. 1 des Übereinkommens über den Beförderungsvertrag im internationalen Strassengüterverkehr (CMR) vom 19. Mai 1956.
Sämtliche Ansprüche aus einem Vertrag, der in den Geltungsbereich der CMR fällt, unterliegen der einjährigen Verjährungsfrist gemäss Art. 32 Ziff. 1, die der zehnjährigen Verjährungsfrist gemäss
Art. 127 OR
vorgeht; das gilt auch für Ansprüche des Frachtführers auf Frachtlohn (E. 2). | Sachverhalt
ab Seite 372
BGE 111 II 371 S. 372
A.-
Die Meto-Bau AG beauftragte 1981 die ITG Gebr. Gondrand AG (Gondrand) mit Strassentransporten von Würenlingen nach Jeddah (Saudiarabien). Der Auftrag ging von der Gondrand über die Adosped Transport AG (Adosped) an die Trans Road Service, die ihn ihrerseits einem Dritten überliess. In der zweiten Hälfte des Jahres 1981 wurden die Frachtverträge abgeschlossen und die Transporte ausgeführt. Die Trans Road behauptete, die Adosped schulde ihr noch Frachtlohn, den sie an die Bank in Menziken abtrat; am 10. November 1982 fiel sie in Konkurs.
B.-
Am 6. Juli 1984 klagte die Bank in Menziken beim Handelsgericht des Kantons Zürich gegen die Adosped auf Zahlung von Fr. 100'094.15 nebst Zins zu 5% seit 3. Dezember 1981. Das Handelsgericht wies die Klage am 1. Juli 1985 ab, da es die Forderung für verjährt hielt. Das Bundesgericht weist die dagegen gerichtete Berufung ab.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
2.
Die Klägerin rügt einzig, der Anspruch auf Frachtlohn sei entgegen der Vorinstanz nicht nach Art. 32 Ziff. 1 des Übereinkommens über den Beförderungsvertrag im internationalen Strassengüterverkehr (CMR) vom 19. Mai 1956 (AS 1970 S. 864) verjährt, sondern unterliege der zehnjährigen Frist von
Art. 127 OR
;
Art. 32 Ziff. 1 CMR
gelte nicht für Lohnforderungen des Frachtführers.
Der Standpunkt der Klägerin ist offensichtlich unbegründet. Literatur und Rechtsprechung unterstellen sämtliche Ansprüche aus einem Vertrag, der in den Geltungsbereich des Übereinkommens fällt, der einjährigen Verjährungsfrist gemäss Art. 32 Ziff. 1, also auch Forderungen des Frachtführers (Urteil des BGH vom 28. Februar 1975, in Versicherungsrecht 1975, S. 445;
BGE 111 II 371 S. 373
HELM, Grosskommentar zum Handelsgesetzbuch, Anm. 1 mit Hinweisen und 7 zu § 452, Anhang III; GLÖCKNER/MUTH, Leitfaden zur CMR, N. 2 und N. 7 zu Art. 32 mit Hinweisen; NICKEL-LANZ, La convention relative au contrat de transport international de marchandises par route, Diss. Lausanne 1976, S. 161 Ziff. 212 a.E. mit Hinweis).
Dass sämtliche Voraussetzungen der Anwendbarkeit des Übereinkommens (
Art. 1 Ziff. 1 CMR
) erfüllt sind, wird zu Recht nicht angefochten. Regelt das Übereinkommen den Vertrag umfassend, geht es auch
Art. 127 OR
vor (
BGE 109 II 472
E. 1 mit Hinweis). | public_law | nan | de | 1,985 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
d2a095ff-4cc0-46fb-9a21-b276cf40ad44 | Urteilskopf
87 II 132
19. Auszug aus dem Urteil der II. Zivilabteilung vom 16. Februar 1961 i.S. Frau L. gegen Vormundschaftsbehörde der Stadt Zürich. | Regeste
Besteht eine in der Schweiz gegenüber einem Schweizer angeordnete Beiratschaft (
Art. 395 Abs. 1 und 2 ZGB
) weiter, wenn der Schutzbefohlene seinen Wohnsitz in das Ausland verlegt hat? In welchem Verhältnis steht
Art. 28 NAG
zu den Artikeln 29 und 30 NAG? | Sachverhalt
ab Seite 132
BGE 87 II 132 S. 132
A.-
Frau Ruth L., geboren 1914, von Zürich, steht seit 16. August 1954 gemäss einem Beschluss des Bezirksrates
BGE 87 II 132 S. 133
Zürich unter Beiratschaft im Sinne des
Art. 395 Abs. 1 und 2 ZGB
. Seit dem Monat Februar 1959 weilt sie mit einer Tochter in Buenos Aires, während ihr Vermögen weiter von ihrem Beirat in Zürich verwaltet wird.
B.-
Mit Gesuch vom 14. Juli 1959 hat sie die Aufhebung der Beiratschaft verlangt. Der Bezirksrat Zürich hat das Gesuch abgewiesen, ebenso die Justizdirektion des Kantons Zürich und, mit Entscheid vom 30. Juni 1960, der Regierungsrat.
C.-
Gegen diesen Entscheid hat die Gesuchstellerin Berufung an das Bundesgericht eingelegt. Der Antrag geht auf Aufhebung der Beiratschaft, eventuell auf Rückweisung der Sache an die Vorinstanz zur nähern Abklärung des Sachverhaltes und zu neuer Beurteilung. Die Gesuchstellerin nimmt weiterhin den Standpunkt ein, sie habe in Argentinien Wohnsitz genommen, und die argentinische Gesetzgebung unterstelle alle Bewohner des Landes in Bezug auf vormundschaftliche Massnahmen dem dort geltenden Recht. Darauf sei nach
Art. 28 NAG
auch in der Schweiz Rücksicht zu nehmen. Somit sei die seinerzeit in der Schweiz angeordnete Beiratschaft infolge der Wohnsitznahme in Argentinien ohne weiteres aufzuheben.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
In welchem Verhältnis
Art. 28 NAG
zu den speziell die Vormundschaft für Auslandschweizer betreffenden Artikeln 29 und 30 NAG stehe, ist umstritten. Nach der einen Ansicht gilt
Art. 28 NAG
auch für die Vormundschaft (und andere vormundschaftliche Massnahmen) uneingeschränkt. Art. 29 (und ebenso Art. 30) grenzt nach dieser Betrachtungsweise lediglich die Zuständigkeit der schweizerischen Vormundschaftsbehörden unter sich ab für den in
Art. 28 Ziff. 2 NAG
vorgesehenen Fall, dass die ausländische Gesetzgebung den in ihrem Gebiet wohnhaften Schweizer dem ausländischen Recht nicht unterwirft (so namentlich ISENSCHMID, Die Vormundschaft über Ausländer in der
BGE 87 II 132 S. 134
Schweiz und über Schweizer im Ausland, S. 30 ff.). Nach der andern Ansicht stellen die Artikel 29 und 30 selbständige, nicht an die Schranken des Art. 28 gebundene Regeln auf. Bei dieser Art der Auslegung greift die in den Artikeln 29 und 30 NAG vorgesehene Fürsorge schweizerischer Vormundschaftsbehörden für Auslandschweizer Platz ohne Rücksicht auf die im Wohnsitzstaate geltenden Zuständigkeits- und Rechtsanwendungsnormen (so namentlich ALEXANDER, Die Vormundschaft für Ausländer in der Schweiz und für Auslandschweizer, S. 88 ff.). Das Bundesgericht ist neulich in bezug auf
Art. 30 NAG
der zweiten Auffassung beigetreten (
BGE 86 II 323
ff.). Was in jenem Entscheid, unter Würdigung der verschiedenen Lehrmeinungen, zu
Art. 30 NAG
ausgeführt wurde, gilt um so mehr für die Anwendung des Art. 29, der die Weiterführung einer bereits vor der Auswanderung des Betroffenen angeordneten Vormundschaft vorsieht. Unzutreffend ist auf alle Fälle die von ISENSCHMID (a.a.O.) vertretene Meinung, schon infolge des systematischen Zusammenhanges könne Art. 29 keinen Gegensatz zu
Art. 28 NAG
bilden. Denn die beiden Vorschriften weichen in einer Hinsicht offenkundig voneinander ab: Nach Art. 28 Ziff. 2 wäre für die vormundschaftliche Betreuung eines dem ausländischen Rechte nicht unterworfenen Schweizers der Heimatkanton zuständig; nach Art. 29 in Verbindung mit
Art. 10 NAG
und
Art. 376 ZGB
ist es dagegen der Wohnsitzkanton. Aber auch abgesehen hievon gilt Art. 29 nicht nur in den Schranken des
Art. 28 NAG
. Das ist aus dem in jener Bestimmung ausgesprochenen Gebote zu schliessen, die schweizerische Vormundschaft sei am bisherigen Orte weiterzuführen, "solange der Grund der Vormundschaft fortbesteht". Damit ist zweifellos der nach schweizerischem Recht gegebene Grund der Vormundschaft (bezw. Beiratschaft) gemeint, wie er eben zu dieser Massnahme geführt hat, und im übrigen wird eine fortdauernde Zuständigkeit der schweizerischen Vormundschaftsbehörde vorgesehen ohne jeden Vorbehalt, wie er
BGE 87 II 132 S. 135
sich aus Art. 28 ergeben könnte. Die Vorschrift des Art. 29 hat nur dann einen guten Sinn, wenn sie dahin verstanden wird, die Vormundschaft falle in keinem Falle schon mit der Begründung eines ausländischen Wohnsitzes weg, also auch dann nicht, wenn das Mündel nach der Gesetzgebung des Wohnsitzstaates dem ausländischen Recht untersteht.
Die Durchsetzung dieses Grundsatzes kann freilich auf praktische Schwierigkeiten stossen. Die schweizerischen Behörden sind bisweilen nicht in der Lage, den landesabwesenden Bürger gehörig zu betreuen. Das ist jedoch kein Grund, die gesetzliche Regel überhaupt nicht anzuerkennen und, soweit es möglich ist, anzuwenden (wofür unter Umständen die Rechtshilfe ausländischer Behörden in Anspruch genommen werden kann). Gerade im vorliegenden Falle lässt sich die Beiratschaft in ihrer wichtigsten Beziehung, der Vermögensverwaltung, trotz dem Wegzug der schutzbedürftigen Person ausüben. Das ganze Wertschriftenvermögen der Berufungsklägerin liegt in der Schweiz und kann daher vor einer etwa noch drohenden Verschleuderung durch die unter Beiratschaft gestellte Person bewahrt werden.
Im übrigen wäre es unrichtig anzunehmen, einem im Wohnsitzstaate dem (dortigen) ausländischen Recht unterworfenen Schweizer werde in jenem Staat ohnehin die nötige Fürsorge zuteil. Das trifft nur zu, wenn die Behörden des Wohnsitzstaates ihre Befugnisse tatsächlich ausüben, wobei vom Standpunkt der
Art. 29 und 30 NAG
ausserdem die Geltung einer dem schweizerischen Recht entsprechenden Vormundschaftsordnung vorausgesetzt werden müsste. Selbst Autoren, die grundsätzlich auch im Gebiete des Vormundschaftswesens den
Art. 28 NAG
angewendet wissen wollen, halten denn auch dafür, es komme nicht einfach auf die Zuständigkeits- und Rechtsanwendungsnormen des Wohnsitzstaates an, sondern auf die effektive, dem Auslandschweizer wirksamen Schutz bietende Ausübung der vormundschaftlichen Befugnisse (A. SCHNITZER,
BGE 87 II 132 S. 136
Internationales Privatrecht, 4. Auflage, I S. 487; A. HEINI, Zum kollisionsrechtlichen Problem der Vormundschaft üher Auslandschweizer, SJZ 55-1959 S. 301 ff., besonders S. 307 Ziff. 2). Ein solcher Vorbehalt liesse sich aber schwerlich mit den Regeln des
Art. 28 NAG
in Einklang bringen. Indessen bedarf es einer speziellen Auslegung des Art. 28 für die Zwecke des Vormundschaftswesens gar nicht, da die Artikel 29 und 30 NAG von jener Bestimmung unabhängig sind und den schweizerischen Behörden volle Handlungsfreiheit zum Schutz der Auslandschweizer gewähren.
Anderseits zwingen die Artikel 29 und 30 NAG die schweizerischen Behörden nicht, an jeglichen etwa im Ausland getroffenen vormundschaftlichen Massnahmen vorbeizusehen und ihre Befugnisse unter allen Umständen auszuüben. Wie in
BGE 86 II 330
ausgeführt wurde, können sich Massnahmen im Sinne des
Art. 30 NAG
als "unnötig" erweisen, wenn dem betreffenden Bürger im Wohnsitzstaate der ihm gebührende Schutz gewährt wird. Auch eine in der Schweiz bereits vor der Auswanderung des Bürgers angeordnete vormundschaftliche Massnahme kann wegen entsprechender Vorkehren der ausländischen Behörden unter Umständen gänzlich überflüssig werden. Lässt der Wohnsitzstaat dem Auslandschweizer einen gleichwertigen Schutz angedeihen, so ist damit der Grund einer in der Schweiz zu führenden Vormundschaft (bezw. Beiratschaft), wie ihn
Art. 29 NAG
im Auge hat, dahingefallen, was ihre Aufhebung im gegebenen Falle rechtfertigen würde. | public_law | nan | de | 1,961 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
d2a5774b-3df2-446d-a0b1-7de5bb2d60df | Urteilskopf
110 III 84
23. Arrêt de la Chambre des poursuites et des faillites du 24 octobre 1984 dans la cause Lawson (recours LP) | Regeste
Art. 211 Abs. 2 SchKG
. Erfüllung der Verpflichtung des Gemeinschuldners. Unzulässigkeit einer Beschwerde des Vertragspartners.
Zuständig für die Beurteilung der Frage der Verbindlichkeit oder der Erfüllbarkeit eines Vertrags, den zu erfüllen die Konkursverwaltung beschlossen hat, ist ausschliesslich der Zivilrichter; auch der Entschluss der Konkursverwaltung als solcher kann durch den Vertragspartner nicht mit Beschwerde angefochten werden. | Sachverhalt
ab Seite 84
BGE 110 III 84 S. 84
A.-
Par contrat du 3 janvier 1983, Conor Michael Lawson a acheté à la Société pour le développement sportif et touristique S.A. (ci-après: SDST), à Val-d'Illiez, un appartement et une place de parc en PPE, au lieu dit Champoussin, pour le prix de 221'000 francs. Etait comprise dans ce montant la cession d'une action nominative de 100 francs de la Société Champoussin-Services S.A. (ci-après: CSSA), laquelle possédait une part de copropriété de 1%o dans la PPE en question. Cette vente a fait l'objet d'un acte authentique reçu par le notaire Boissard, auquel l'acheteur a versé un acompte de 77'326 francs.
Le 9 mars 1983, SDST a été déclarée en faillite. Le 1er juin 1983, Lawson a signifié à l'administrateur de la masse de SDST qu'en raison de la faillite intervenue, il résiliait la vente précitée. Le 30 juin 1983, le président de l'administration spéciale de la masse en faillite a informé Lawson que la masse entendait effectuer en nature les prestations incombant à la venderesse SDST en vertu de l'acte du 3 janvier 1983, sous réserve de ratification par la commission de surveillance constituée par l'assemblée des créanciers. Cette ratification est intervenue le 19 août 1983.
BGE 110 III 84 S. 85
Dans une lettre du 2 septembre 1983 à l'administration spéciale, la commission de surveillance, communiquant cette ratification, précisa que le notaire Boissard devait être averti du fait que la somme déposée chez lui, soit 77'326 francs, devrait être mise à la disposition de la masse. Cette décision fut communiquée à Lawson par l'administration spéciale; y figurait la mention selon laquelle ladite décision pouvait être portée, par voie de plainte, à l'autorité inférieure de surveillance.
B.-
Lawson a déposé plainte, le 16 septembre 1983, en concluant à l'annulation des décisions de l'administration spéciale et de la commission de surveillance, et à ce qu'il soit ordonné à l'administration spéciale de renoncer à l'exécution de la vente du 3 janvier 1983 et d'informer le notaire Boissard du fait que ce dernier doit laisser la somme de 77'326 francs à la libre disposition du plaignant.
Le 6 janvier 1984, l'autorité inférieure de surveillance a rejeté la plainte. Un recours du plaignant contre cette décision a été rejeté, dans la mesure où il était recevable, par l'autorité supérieure de surveillance, le 3 septembre 1984.
C.-
En temps utile, Lawson recourt à la Chambre des poursuites et des faillites du Tribunal fédéral en concluant à l'annulation de la décision critiquée, à l'annulation de la décision de l'administration spéciale et de la commission de surveillance de la masse en faillite SDST, et à ce qu'il soit ordonné à l'administration spéciale de renoncer à l'exécution de l'acte authentique du 3 janvier 1983 et d'informer le notaire Boissard du fait que ce dernier doit laisser la somme de 77'326 francs à la libre disposition du plaignant.
L'administration spéciale et la commission de surveillance ont été invitées à se prononcer sur le recours. La première ne l'a pas fait en temps utile, la seconde conclut au rejet du recours.
Erwägungen
Considérant en droit:
La plainte a pour objet la décision de l'administration de la masse SDST S.A. de faire application de l'
art. 211 al. 2 LP
et d'exécuter en nature le contrat de vente passé par la faillie. Une telle décision ne peut faire l'objet d'une opposition quelconque de la part du cocontractant du failli. Celui-ci est en effet lié par le contrat - telle la vente - qu'il a passé précédemment avec le failli et qui ne devient pas caduc par l'ouverture de la faillite
BGE 110 III 84 S. 86
(TAILLENS, Des effets de la faillite sur les contrats du débiteur, thèse Lausanne 1950, p. 13). La seule conséquence de la décision de l'administration appliquant l'
art. 211 al. 2 LP
est que le cocontractant cesse d'être un créancier du failli en tant que tel et devient créancier de la masse pour la prestation qui lui est due (
ATF 106 III 124
; BRAND, FJS 1003 a p. 9 lettre b). Tout au plus le cocontractant peut-il requérir des sûretés (AMONN, § 42, n. 28 p. 338; FRITZSCHE, t. II, § 42, II, 4, p. 66). C'est donc à tort que l'administration de la faillite a déclaré au recourant que sa décision pouvait faire l'objet d'une plainte.
Il n'y a pas lieu d'examiner en l'espèce si les créanciers de la masse pourraient s'opposer à la décision de l'administration d'exécuter un contrat en nature, ce qui est pour le moins douteux (cf. TAILLENS, op.cit., p. 89/90). En effet la plainte, dans la présente espèce, n'émane pas d'un autre créancier, mais du cocontractant à l'égard duquel l'administration déclare vouloir exécuter en nature les prestations promises par le failli, savoir le transfert de la chose vendue.
Les moyens articulés par le recourant suffisent au surplus à démontrer que le conflit soulevé ne relève nullement de la procédure d'exécution forcée, mais de l'application du droit matériel. Le recourant fait en effet valoir que le contrat du 3 janvier 1983 serait nul pour vice de forme ou pour défaut d'exécution, par la faillie, de la prestation qui lui incombait (
art. 82 CO
), ou encore qu'il serait partiellement inexécutable dans la mesure où il a pour objet le transfert d'une action de CSSA, tombée en faillite depuis lors. La question de la validité ou de l'exécutabilité du contrat relève uniquement du juge civil, et ne saurait être tranchée par l'administration de la faillite ou par les autorités de surveillance.
Il s'ensuit que l'autorité cantonale statuant en tant qu'autorité supérieure de surveillance, pas plus qu'avant elle l'autorité inférieure de surveillance, n'avaient à entrer en matière sur la plainte. Dans la mesure où le recours qu'a interjeté le plaignant auprès de l'autorité cantonale a été rejeté alors qu'il aurait dû être déclaré irrecevable, le recourant ne subit aucun préjudice quelconque, si bien que le présent recours ne peut qu'être rejeté.
Pour le surplus, il convient de réformer d'office le prononcé attaqué en ce sens que la plainte est déclarée irrecevable. | null | nan | fr | 1,984 | CH_BGE | CH_BGE_005 | CH | Federation |
d2acd6ff-b4d4-48b6-af07-13582c53ed69 | Urteilskopf
98 V 225
56. Auszug aus dem Urteil vom 15. November 1972 i.S. De Ponte gegen Schweizerische Krankenkasse Artisana und Versicherungsgericht Basel-Stadt | Regeste
Anspruch darauf, wie ein Züger im Sinne von
Art. 7 Abs. 2 KUVG
behandelt zu werden, hat nur, wer bisher bei einer vom Bund anerkannten Krankenkasse versichert war (Bemerkung de lege ferenda). | Erwägungen
ab Seite 225
BGE 98 V 225 S. 225
Aus den Erwägungen:
Art. 7 Abs. 2 KUVG
schreibt vor, dass der in einen Betrieb eintretende Versicherte, der durch Anstellungsvertrag zum Beitritt in eine bestimmte Kasse verpflichtet wird, wie ein Züger behandelt werden muss. Und nach
Art. 9 Abs. 1 KUVG
darf die Aufnahmebedingung des Gesundheitszustandes dem Züger nicht entgegengehalten werden. Der Züger hat keine Karenzzeit zu bestehen und keine Eintrittsgebühr zu bezahlen.
a) Der Beschwerdeführer fällt indessen hinsichtlich der Krankenpflege- und der Spitalzusatzversicherung nicht unter
Art. 7 Abs. 2 KUVG
. Infolge seiner Anstellung bei der Generalunternehmung Keller war er nämlich nicht verpflichtet, sich bei der Krankenkasse Artisana für die soeben erwähnten Risiken versichern zu lassen. Für diese hätte er durch Übertritt von der Kollektiv- zur Einzelversicherung (
Art. 5bis Abs. 4 KUVG
) bei der Grütli-Krankenversicherung versichert bleiben können. Denn er blieb im Tätigkeitsbereich dieser Kasse, die ihren Versicherungsschutz weder auf das Personal eines Betriebes noch auf die Angehörigen einer bestimmten Berufsgruppe oder eines Berufsverbandes beschränkt.
BGE 98 V 225 S. 226
b) Anderseits war der Beschwerdeführer durch den Gesamtarbeitsvertrag verpflichtet, sich mit Wirkung ab 16. September 1969 bei der Krankenkasse Artisana für krankheitsbedingten Lohnausfall, d.h. für Taggeld, versichern zu lassen. Dies zwang ihn praktisch und vielleicht auch rechtlich, auf den Versicherungsschutz für dieses Risiko durch die VITA-Lebensversicherungsgesellschaft zu verzichten. Nach der in der Verwaltungsgerichtsbeschwerde vertretenen Auffassung wäre aber
Art. 7 Abs. 2 KUVG
immer dann anwendbar, wenn ein Versicherter arbeitsvertraglich verpflichtet wird, einer bestimmten Kasse beizutreten; und zwar bestände die Anwendbarkeit dieser gesetzlichen Vorschrift ohne Rücksicht darauf, ob die betreffende Person vorher einer vom Bund anerkannten Krankenkasse (
Art. 1 KUVG
) oder einer andern Versicherung angehört hat. Dieser Auffassung kann jedenfalls hinsichtlich jener Personen, die bis zum Beginn des Anstellungsverhältnisses nicht versichert waren, nicht beigepflichtet werden. Denn
Art. 7 Abs. 2 KUVG
gilt nach seinem ausdrücklichen Wortlaut nur für jene Arbeitnehmer, die bei Eintritt in den neuen Betrieb bereits versichert waren ("Wird einem ... Versicherten durch Anstellungsvertrag vorgeschrieben..."). Unter Versicherten im Sinn des die Krankenversicherung betreffenden ersten Titels des KUVG sind jene Personen zu verstehen, die bei einer gemäss
Art. 1 KUVG
vom Bund anerkannten Krankenkasse versichert sind, und nicht solche Personen, welche den Versicherungsschutz einer Privatversicherung geniessen.
Art. 7 Abs. 2 KUVG
lässt keine Ausnahme von dieser Regel zu.
Virginio De Ponte war bei seiner Aufnahme in die Krankenkasse Artisana am 16. September 1969 nicht bereits bei einer anerkannten Krankenkasse für Krankengeld versichert.
Art. 7 Abs. 2 KUVG
war demnach in dieser Beziehung auf ihn nicht anwendbar.
War die Beschwerdegegnerin nach dem Gesagten nicht verpflichtet, ihn wie einen Züger zu behandeln, so war sie berechtigt, für das bei der Aufnahme bereits bestehende Rückenleiden - noch nachträglich - einen Vorbehalt anzubringen. Demzufolge erweist sich die Verwaltungsgerichtsbeschwerde in diesem Punkt als unbegründet.
c) Das Gericht verkennt nicht, dass die geltende Rechtslage unbefriedigend ist. Je nachdem ob ein Arbeitgeber sein Personal bei einer anerkannten Krankenkasse oder bei einer
BGE 98 V 225 S. 227
andern Versicherung kollektiv versichert, gelangt der Arbeitnehmer, der seinen Arbeitsplatz wechselt, in den Genuss der den Zügern vorbehaltenen Regelung des
Art. 9 Abs. 1 KUVG
. Der Sozialversicherungsrichter ist indessen nicht zuständig, diesen Mangel zu beheben. Vielmehr ist es Sache des Gesetzgebers, den heutigen Rechtszustand zu ändern. Eine solche Änderung wird aber nur voll wirksam sein, wenn man auch in der auf die privaten Versicherungsgesellschaften anwendbaren Gesetzgebung die Verpflichtung statuiert, dass diese Versicherungen jene Personen als Züger aufnehmen müssen, die bisher Mitglieder einer anerkannten Krankenkasse waren, aber durch die neuen Anstellungsbedingungen verpflichtet werden, einer zwischen dem Arbeitgeber und einer privaten Versicherungsgesellschaft abgeschlossenen Kollektivversicherung beizutreten. | null | nan | de | 1,972 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
d2acfc16-61b8-496f-a7bb-57e83c0025ca | Urteilskopf
105 V 319
66. Urteil vom 20. Dezember 1979 i.S. P. gegen Bundesamt für Militärversicherung und Versicherungsgericht des Kantons Bern | Regeste
Art. 25 Abs. 3 und
Art. 40bis MVG
.
- Rentenanspruch bei gleichzeitiger Beeinträchtigung der Erwerbsfähigkeit und der körperlichen oder psychischen Integrität; Bestätigung der Praxis (Erw. 1).
- Versicherte, die eine Rente gemäss
Art. 25 Abs. 3 MVG
beziehen, haben keinen Anspruch auf Genugtuung (Erw. 2).
- Bemerkung de lege ferenda (Erw. 3). | Sachverhalt
ab Seite 319
BGE 105 V 319 S. 319
A.-
Hans P. verunfallte am 22. Februar 1971 als Pilot eines Armee-Helikopters. Er zog sich u.a. eine Contusio cerebri, eine Rippenserienfraktur sowie eine Humerusluxationsfraktur links zu und war während mehrerer Wochen bewusstlos. Die mehr als ein Jahr dauernde Spitalbehandlung mit anschliessender Badekur führte in körperlicher Hinsicht zu einer weitgehenden Heilung. Dagegen blieb eine posttraumatische Enzephalopathie mit Hirnleistungsschwäche und organischer Persönlichkeitsveränderung im Sinne eines psychoorganischen Syndroms leichten bis mittelschweren Grades bestehen (Gutachten Prof. S. vom 15. Februar 1973). Mit Aufenthalten in den Neurologischen
BGE 105 V 319 S. 320
Kliniken G./BRD vom 20. September bis 13. Dezember 1973 und 23. September bis 18. November 1974 konnte eine Besserung auch mit Bezug auf die geistige Leistungsfähigkeit erreicht werden. In der Folge zeigte sich jedoch, dass der Versicherte nicht mehr in der Lage war, seinen Beruf als Lehrer auszuüben. Von April 1975 bis Frühjahr 1977 war er im Sinne einer Arbeitstherapie bei einer Schuldirektion tätig. Seither arbeitet er ohne Lohn und ohne feste Arbeitszeit auf einem Bundesamt. Er ist verbeiständet und lebt seit Oktober 1976 von Ehefrau und Kindern getrennt.
Die Militärversicherung richtet Hans P. seit dem 23. Februar 1971 eine Rente auf Grund voller Bundeshaftung, eines Leistungsansatzes von 90% und einer Invalidität von 100% aus. Ab dem 1. Oktober 1975 belief sich die Rente bei einem anrechenbaren Jahresverdienst von Fr. 53'520.-- (gesetzliches Maximum) auf Fr. 4'014.-- und nach der am 1. Januar 1976 in Kraft getretenen Erhöhung des höchstanrechenbaren Verdienstes (Fr. 56'196.--) auf Fr. 4'214.70 im Monat. Nebst dieser Rente bezieht er eine Rente sowie eine Hilflosenentschädigung der Invalidenversicherung. Nach den Abklärungen der Militärversicherung machten die Versicherungsleistungen im Jahre 1977 einen Betrag von Fr. 83'972.40 aus bei einem entgehenden Bruttoverdienst von Fr. 86'742.--.
Im März 1976 liess der Versicherte die Zusprechung einer Genugtuung beantragen. Am 12. November 1976 eröffnete ihm die Militärversicherung, die hiefür geltenden Voraussetzungen seien nicht erfüllt, weshalb das Begehren abgewiesen werden müsse.
B.-
In der hiegegen erhobenen Beschwerde liess Hans P. im wesentlichen geltend machen, mit der zugesprochenen Invalidenrente werde zufolge der Begrenzung des anrechenbaren Verdienstes lediglich der Erwerbsausfall - und auch dieser nicht vollständig - ausgeglichen. Nach
Art. 25 Abs. 3 MVG
sei aber bei der Rentenfestsetzung nebst der erwerblichen gleichzeitig auch der Integritätsbeeinträchtigung Rechnung zu tragen. Weil dies im vorliegenden Fall wegen der Grenze des höchstanrechenbaren Verdienstes nicht möglich sei, müsse die Beeinträchtigung der Integrität auf dem Wege der Genugtuung entschädigt werden. Dem stehe
Art. 40bis Abs. 2 MVG
, wonach die Integritätsrente die Genugtuung ausschliesse, nicht entgegen. Nach der gesetzlichen Regelung könne damit allein das Verhältnis der reinen Integritätsrente zur Genugtuung gemeint
BGE 105 V 319 S. 321
sein. Man habe verhindern wollen, dass immaterieller Schaden, welcher Ursache er auch sei, doppelte Abgeltung erfahre. Eine Auslegung, wonach die Genugtuungsleistung stets ausgeschlossen sei, falls eine Invalidenrente ausbezahlt werde, lasse sich mit dem Zweck des
Art. 40bis Abs. 2 MVG
nicht vereinbaren.
Das Versicherungsgericht des Kantons Bern wies die Beschwerde mit Entscheid vom 20. Dezember 1977 ab. Nach der Rechtsprechung des Eidg. Versicherungsgerichts könne keine Genugtuung zugesprochen werden, falls der Versicherte eine Invalidenrente beziehe, mit welcher gleichzeitig eine Integritätsbeeinträchtigung abgegolten werde. Zwar führe die entsprechende Leistungseinschränkung im vorliegenden Fall zu einem unbefriedigenden Ergebnis. Ein anderer Entscheid würde indessen voraussetzen, dass das Eidg. Versicherungsgericht seine Praxis oder der Gesetzgeber das Gesetz ändere.
C.-
Hans P. lässt Verwaltungsgerichtsbeschwerde erheben mit dem Antrag, der vorinstanzliche Entscheid sei aufzuheben und es sei die Militärversicherung zu verpflichten, ihm "eine gerichtlich zu bestimmende Genugtuungssumme und Zins in gerichtlich zu bestimmender Höhe seit einem gerichtlich zu bestimmenden Zeitpunkt zu bezahlen". Mit der Eingabe wird die erstinstanzliche Beschwerdebegründung erneuert und ergänzend geltend gemacht, der Hinweis der Vorinstanz auf die höchstrichterliche Rechtsprechung gehe fehl, weil das Eidg. Versicherungsgericht noch nie zur Frage Stellung genommen habe, ob die Genugtuung gemäss
Art. 40bis MVG
durch die "in maiore minus-Praxis" zu
Art. 25 Abs. 3 MVG
ausgeschlossen werde. Dem Willen des Gesetzgebers, wonach auch der Integritätsbeeinträchtigung Rechnung zu tragen sei, könne in Fällen wie dem vorliegenden nur entsprochen werden, indem eine Genugtuung im Sinne von
Art. 40bis Abs. 1 MVG
ausgerichtet werde.
Die Militärversicherung beantragt Abweisung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde. In einer im Instruktionsverfahren angeordneten ergänzenden Stellungnahme äussert sie sich zu den grundsätzlichen Fragen, die sich im vorliegenden Fall erheben.
Erwägungen
Das Eidg. Versicherungsgericht zieht in Erwägung:
1.
a) Nach
Art. 23 Abs. 1 MVG
besteht Anspruch auf eine Invalidenrente, wenn von der Fortsetzung der ärztlichen
BGE 105 V 319 S. 322
Behandlung keine namhafte Besserung des Gesundheitszustandes des Versicherten mehr erwartet werden kann und die versicherte Gesundheitsschädigung eine voraussichtlich bleibende Beeinträchtigung der Erwerbsfähigkeit oder eine erhebliche Beeinträchtigung der körperlichen oder psychischen Integrität hinterlässt.
Im ersten Fall richtet sich die Höhe der Leistung im Rahmen von
Art. 24 MVG
nach dem Grad der Erwerbsunfähigkeit, welcher ermittelt wird durch Vergleich des Einkommens, welches der Versicherte ohne den Gesundheitsschaden zu erzielen vermöchte, mit dem Einkommen, welches er trotz der versicherten Gesundheitsschädigung nach seinen beruflichen Fähigkeiten bei ausgeglichener Arbeitsmarktlage noch zu erwerben fähig ist (EVGE 1967, S. 22). Die Rente für erhebliche Beeinträchtigung der körperlichen oder psychischen Integrität wird in Würdigung aller Umstände nach billigem Ermessen festgesetzt (
Art. 25 Abs. 1 MVG
). Für die Berechnung der Integritätsrente ist in der Regel ein Leistungsansatz von 85% und der Mittelwert zwischen dem gesetzlichen Verdienstminimum und dem gesetzlichen Verdienstmaximum massgebend (EVGE 1968, S. 88, 1966, S. 148).
Laut
Art. 25 Abs. 3 MVG
wird bei gleichzeitigem Vorliegen einer Beeinträchtigung der Erwerbsfähigkeit und einer erheblichen Beeinträchtigung der körperlichen oder psychischen Integrität nur eine Rente zugesprochen, bei deren Berechnung jedoch beiden Beeinträchtigungen Rechnung getragen wird.
b) In EVGE 1966, S. 151 Erw. 2, hat das Eidg. Versicherungsgericht ausgeführt, beim Zusammentreffen von Erwerbsunfähigkeit und erheblicher Beeinträchtigung der Integrität habe der Integritätsschaden regelmässig als im Invaliditätsansatz mitenthalten zu gelten, wenn die Verminderung der Erwerbsfähigkeit schwerer wiege. Beeinträchtige der körperliche oder psychische Nachteil die Erwerbsfähigkeit in geringerem Masse oder gar nicht, sei er aber als Integritätsschaden erheblich, so sei eine Rente für Integritätsschädigung auszurichten. Diese Rentenart sei nicht eingeführt worden, um die ökonomische und integritätsmässige Beeinträchtigung kumulativ zu entschädigen; vielmehr habe man damit verhüten wollen, dass der Versicherte, der keine erwerbliche Einbusse, wohl aber einen erheblichen Integritätsschaden erleide, leer ausgehe.
Im grundsätzlichen Urteil vom 27. November 1970 i.S. Rey (
BGE 96 V 110
) hat das Gericht diese Praxis dahingehend präzisiert,
BGE 105 V 319 S. 323
dass im Hinblick auf die unterschiedlichen Regeln für die Bemessung und Berechnung der Renten nicht nur eine Kumulation, sondern auch eine Kombination von Renten wegen Integritätsschädigung und Beeinträchtigung der Erwerbsfähigkeit ausgeschlossen sei. Die gesetzliche Regelung, wonach nur eine Rente auszurichten, jedoch beiden Beeinträchtigungen Rechnung zu tragen sei, müsse in dem Sinne verstanden werden, dass der im Einzelfall überwiegende Schaden voll zu entschädigen sei. Dabei sei in der Weise vorzugehen, dass die Rente für beide Schadensarten nach den hiefür massgebenden Bemessungs- und Berechnungsregeln getrennt festgesetzt und dem Versicherten die jeweils höhere Rente zugesprochen werde.
An dieser (im Urteil vom 5. September 1978 i.S. Nussbaum bestätigten) Rechtsprechung ist gemäss einem Beschluss des Gesamtgerichts vom 24. September 1979 festzuhalten.
2.
a) Der Beschwerdeführer ist zufolge des im Militärdienst erlittenen Unfalls vollständig invalid und in der (psychischen) Integrität erheblich beeinträchtigt. Dabei ist unbestritten, dass die Voraussetzungen zur Zusprechung einer Integritätsrente an sich erfüllt sind. Da die erwerblichen Auswirkungen des Gesundheitsschadens eindeutig schwerer wiegen, ist die Rente jedoch nach Massgabe der Beeinträchtigung in der Erwerbsfähigkeit auszurichten. Der Beschwerdeführer schliesst hieraus, dass der Integritätsnachteil in Form einer Genugtuung gemäss
Art. 40bis MVG
zu entschädigen sei. Nach dieser Bestimmung kann die Militärversicherung bei Körperverletzung oder im Todesfall unter Würdigung der besonderen Umstände dem Versicherten bzw. dessen Angehörigen eine angemessene Geldsumme als Genugtuung zusprechen. Gemäss Absatz 2 der Bestimmung schliesst die Rente für Beeinträchtigung der körperlichen oder psychischen Integrität die Genugtuung aus.
b) In rechtlicher Hinsicht stellt sich die Frage nach dem Verhältnis des Art. 25 Abs. 3 zu
Art. 40bis MVG
. Streitig ist, ob
Art. 40bis Abs. 2 MVG
auch dann Anwendung zu finden hat, wenn nicht eine reine Integritätsrente, sondern eine Rente zur Ausrichtung gelangt, die im Sinne von
Art. 25 Abs. 3 MVG
und der zugehörigen Praxis sowohl der Beeinträchtigung der Integrität wie derjenigen der Erwerbsfähigkeit Rechnung trägt.
In EVGE 1966, S. 151, hat das Gericht die Frage nach den Auswirkungen des (auf den 1. Januar 1964 in Kraft getretenen)
Art. 40bis MVG
auf die Praxis zu
Art. 25 Abs. 3 MVG
offen
BGE 105 V 319 S. 324
gelassen. Im Urteil vom 28. Februar 1967 i.S. Barlogis stellte es sinngemäss fest, dass kein Anspruch auf Genugtuung bestehe, falls der Versicherte eine Rente beziehe, die nach
Art. 25 Abs. 3 MVG
eine Wertkomponente enthalte, welche den Integritätsschaden abgelte. Nach der mit Urteil vom 27. November 1970 i.S. Rey (
BGE 96 V 110
) begründeten neuen Praxis wird zwar ausschliesslich derjenige Nachteil entschädigt, der, für sich allein betrachtet, die höhere Leistung ergibt. Dies ändert grundsätzlich jedoch nichts daran, dass der geringere Nachteil in der zur Ausrichtung gelangenden höheren Rente enthalten ist und mit dieser abgegolten wird. Ungeachtet dessen, dass die Beeinträchtigung in der Integrität nicht in Form eines Zuschlages zur Erwerbsausfallrente entschädigt wird, steht dem Versicherten, welcher eine Rente nach
Art. 25 Abs. 3 MVG
bezieht, daher keine Genugtuung zu.
Dass der Beschwerdeführer auf Grund der Beeinträchtigung in der Erwerbsfähigkeit Anspruch auf die gemäss
Art. 24 MVG
höchstmögliche Rente (Invalidität von 100%, Leistungsansatz 90%, anrechenbarer Jahresverdienst im gesetzlichen Höchstbetrag) hat, vermag zu keinem andern Ergebnis zu führen. Der Integritätsnachteil hat auch unter solchen Umständen durch die (höhere) Rente wegen Beeinträchtigung der Erwerbsfähigkeit als entschädigt zu gelten, weshalb sich die Zusprechung einer Genugtuung mit
Art. 40bis Abs. 2 MVG
nicht vereinbaren lässt. Der vom Beschwerdeführer beantragten subsidiären Entschädigung des Integritätsnachteils in Form einer Genugtuung stünde zudem der unterschiedliche Charakter der beiden Leistungsarten entgegen (vgl.
BGE 96 V 113
sowie BBl 1963 I 865).
3.
Das Gericht verkennt nicht, dass die geltende Regelung zu unbefriedigenden Ergebnissen führt. Diese resultieren jedoch aus der gesetzlichen Ordnung, welche sich durch ein Nebeneinander nicht eindeutig abgegrenzter Leistungen sowie deren undifferenzierte Unterordnung unter die Höchstgrenze kennzeichnet. Die bestehenden Mängel können daher nicht mit einer blossen Praxisänderung, sondern nur auf dem Wege der Gesetzgebung behoben werden.
Dispositiv
Demnach erkennt das Eidg. Versicherungsgericht:
Die Verwaltungsgerichtsbeschwerde wird abgewiesen. | null | nan | de | 1,979 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
d2ae5d98-78af-435b-ac4c-caf8aeb38b0a | Urteilskopf
114 II 402
77. Auszug aus dem Urteil der II. Zivilabteilung vom 17. November 1988 i.S. B.-H. gegen B. (staatsrechtliche Beschwerde) | Regeste
Familienwohnung (
Art. 145 und 169 ZGB
).
Die Tatsache des Getrenntlebens gestützt auf
Art. 145 ZGB
stellt nicht schon als solche einen triftigen Grund im Sinne von
Art. 169 Abs. 2 ZGB
dar. | Erwägungen
ab Seite 402
BGE 114 II 402 S. 402
Aus den Erwägungen:
2.
b) Der dem nicht dinglich oder obligatorisch an der Wohnung berechtigten Ehegatten von
Art. 169 ZGB
gewährte Schutz mag dort seine Berechtigung verlieren, wo dieser Ehegatte die Familienwohnung endgültig verlassen hat oder verlassen muss und wo keine Aussicht mehr darauf besteht, dass die Ehegatten in der vormaligen Familienwohnung das Zusammenleben wiederaufnehmen werden (Kommentar HAUSHEER/REUSSER/GEISER, N. 22 zu
Art. 169 ZGB
und
Art. 271a OR
;
BGE 114 II 399
E. b).
Im vorliegenden Fall ist der Präsident der II. Zivilkammer des Kantonsgerichts St. Gallen nicht vorweg davon ausgegangen, angesichts des schon seit rund zwei Jahren andauernden Getrenntlebens sei keine Familienwohnung im Sinne von
Art. 169 ZGB
mehr vorhanden. Er hält aber dafür, dass nur noch rechtlich, jedoch nicht mehr faktisch von einer Familienwohnung gesprochen werden könne. Nicht nur lebten die Ehegatten getrennt - wird im angefochtenen Entscheid ausgeführt -, sondern auch von den vier Kindern wohne nur noch das jüngste im angestammten Einfamilienhaus. Aussicht auf Wiedervereinigung der Parteien bestehe trotz der von der Ehefrau geäusserten Hoffnung bei nüchterner Betrachtung kaum. Die Ehefrau beanspruche die vormalige Familienwohnung "als Basis und Symbol eines möglichen Neuanfangs", doch erscheine dies nicht mehr realistisch. Der Ehemann nämlich betrachte ein erneutes Zusammenleben als absolut undenkbar, und auch die Ehefrau habe in anderem Zusammenhang
BGE 114 II 402 S. 403
ausgeführt, dass eine Wiedervereinigung nur unter verschiedenen Vorbehalten erfolgen könnte. Zudem erscheine es nicht zwingend, dass eine Wiedervereinigung durch die frühere Umgebung erleichtert werde; vielmehr sei es denkbar, dass ein Neuanfang durch eine neue Umgebung, die weniger an die früheren Verhältnisse erinnere, gefördert werde. Unter diesen Umständen und im Hinblick auf den grossen Aufwand für das Einfamilienhaus im Vergleich zu anderen, den Verhältnissen angemessenen Lösungen wird es im angefochtenen Entscheid für richtig gehalten, dem Ehemann den Verkauf des Einfamilienhauses zu gestatten, was die Verpflichtung der Ehefrau nach sich zieht, sich binnen sechs Monaten nach Abschluss eines Kaufvertrags nach einer neuen Wohnung umzusehen.
3.
Damit verkennt der Präsident der II. Zivilkammer des Kantonsgerichts St. Gallen den zentralen Schutzgedanken von
Art. 169 ZGB
, dem auch im Rahmen von
Art. 145 ZGB
Rechnung zu tragen ist. Seine Betrachtungsweise ist insofern widersprüchlich, als einerseits die besondere Schutzbedürftigkeit auch und gerade in Ehekrisen anerkannt wird, anderseits in Vorwegnahme der noch nicht ausgesprochenen Scheidung und der Regelung der Nebenfolgen dem schutzbedürftigen Ehegatten der Verzicht auf die Familienwohnung nur schon aufgezwungen wird, weil die Eheleute seit rund zwei Jahren getrennt leben und der Ehemann ein erneutes Zusammenleben als undenkbar bezeichnet.
Freilich kann der in
Art. 169 ZGB
verankerte Schutzgedanke nicht dazu führen, die bisherige Familienwohnung dem schutzbedürftigen Ehegatten ungeachtet wesentlicher Änderungen der Verhältnisse immer bis zur Auflösung der Ehe zu erhalten. Indessen verlangt Art. 169 Abs. 2 triftige Gründe, die den Richter veranlassen, anstelle des betroffenen Ehegatten die Zustimmung zur Veräusserung der Familienwohnung zu erteilen. Ein solcher triftiger Grund läge zum Beispiel beim Nachweis darüber vor, dass die veränderten Verhältnisse die bisherige Familienwohnung als nicht mehr tragbar erscheinen lassen
BGE 114 II 401
E. b.
Darüber enthält der angefochtene Entscheid keine konkreten Angaben, wenngleich auf den grossen finanziellen Aufwand für die eheliche Liegenschaft hingewiesen wird. Es lässt sich aus diesem Hinweis nicht der zwingende Schluss ziehen, dass sich die wirtschaftlichen Verhältnisse des Ehemannes derart verändert hätten, dass die zwischen den Ehegatten am 5. Dezember 1986 abgeschlossene Vereinbarung unumgänglich einer Änderung bedürfte. Ohne
BGE 114 II 402 S. 404
eine solche Feststellung über die tatsächlichen Verhältnisse aber entbehrt der angefochtene Entscheid der sachlichen Begründung und ist daher als willkürlich aufzuheben. | public_law | nan | de | 1,988 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
d2b53f0c-a04c-4488-9fe4-26ccdc180347 | Urteilskopf
105 II 1
1. Urteil der II. Zivilabteilung vom 22. Februar 1979 i.S. D. gegen D.(Berufung) | Regeste
Abkommen über die Rechtsstellung der Flüchtlinge vom 28. Juli 1951.
Klage auf Feststellung des Bestehens einer Ehe; Anerkennung eines ausländischen Scheidungsurteils.
Das Scheidungsurteil, das ein Flüchtling mit schweizerischem Wohnsitz im gemeinsamen Heimatstaat der Ehegatten erwirkt hat, kann in der Schweiz jedenfalls dann nicht anerkannt werden, wenn der Beklagte, der ebenfalls als Flüchtling in der Schweiz wohnt, sich auf den Scheidungsprozess nicht eingelassen hat. | Sachverhalt
ab Seite 1
BGE 105 II 1 S. 1
A.-
Die ungarischen Staatsangehörigen Andreas Istvan D. und Maria-Anna Klara P. heirateten im Jahre 1945 in Bupapest. Seit dem Jahre 1956 leben sie als anerkannte Flüchtlinge in der Schweiz. Am 17. Juli 1970 verliess der Ehemann die eheliche Wohnung in Zürich und weigert sich seither, die eheliche Gemeinschaft wiederaufzunehmen. Mit Verfügung vom 12. November 1970
BGE 105 II 1 S. 2
bewilligte der Einzelrichter des Bezirksgerichts Zürich der Ehefrau die Aufhebung des gemeinsamen Haushalts und genehmigte eine Vereinbarung der Parteien, worin sich der Ehemann zur Bezahlung eines Unterhaltsbeitrags von monatlich Fr. 1'500.- verpflichtete. Dieser Betrag wurde am 27. Februar 1973 vom Einzelrichter auf Fr. 1'700.- erhöht.
Anfangs 1973 beauftragte der Ehemann einen ungarischen Rechtsanwalt mit der Einreichung einer Scheidungsklage in Ungarn. Dieser forderte die Ehefrau auf, ihrerseits einen ungarischen Anwalt mit der Führung des Prozesses zu beauftragen. Frau D. weigerte sich jedoch, dies zu tun, da sie die ungarischen Gerichte für unzuständig erachtete. Sie verweigerte auch die Annahme der Vorladung zur Verhandlung, die ihr das Zentrale Bezirksgericht von Pest auf dem Rechtshilfeweg hatte zukommen lassen. Mit Urteil vom 29. November 1973, rechtskräftig geworden am 9. April 1974, schied dieses Gericht die Ehe der Parteien. Frau D. nahm das ihr auf dem Rechtshilfeweg zugestellte Urteil nicht an.
In der Folge stellte der Ehemann die Zahlung der durch den Eheschutzrichter festgesetzten Unterhaltsbeiträge ein, worauf er von der Ehefrau betrieben wurde. Als er Rechtsvorschlag erhob, verlangte diese beim Einzelrichter im summarischen Verfahren des Bezirksgerichts Zürich die Rechtsöffnung. Ihr Begehren wurde jedoch am 6. September 1974 abgewiesen. Der Einzelrichter nahm an, das Scheidungsurteil vom 29. November 1973 sei in der Schweiz anzuerkennen, da es von einem zuständigen Gericht erlassen worden sei und nicht gegen den schweizerischen ordre public verstosse; für Eheschutzmassnahmen bestehe daher kein Raum mehr. Sämtliche Rechtsmittel gegen diese Verfügung wurden abgewiesen, darunter mit Urteil vom 20. Oktober 1975 auch eine staatsrechtliche Beschwerde an das Bundesgericht.
B.-
Am 15. Oktober 1976 leitete Frau D. gegen Andreas Istvan D. eine Klage ein, mit der sie beantragte, "es sei festzustellen, dass die Klägerin mit dem Beklagten nach wie vor in rechtsgültiger Ehe verheiratet ist". Mit Urteil vom 17. Oktober 1977 hiess das Bezirksgericht Zürich die Klage gut. Demgegenüber wies das Obergericht des Kantons Zürich in Gutheissung einer Berufung des Beklagten mit Urteil vom 15. Juni 1978 die Klage ab, im wesentlichen mit der Begründung, das ungarische Scheidungsurteil müsse in der Schweiz anerkannt werden, da der
BGE 105 II 1 S. 3
Flüchtlingsstatus es einem Flüchtling nicht verbiete, statt der Gerichte des Wohnsitzstaates diejenigen der Heimat anzurufen, zumal wenn der Heimatstaat die ausschliessliche Zuständigkeit in Anspruch nehme, wie dies für Ungarn mit Bezug auf die Scheidung ungarischer Staatsangehöriger der Fall sei; schliesslich verstosse dieses Urteil auch nicht gegen den schweizerischen ordre public.
C.-
Mit der vorliegenden Berufung an das Bundesgericht beantragt die Klägerin, das Urteil des Obergerichts aufzuheben und dasjenige des Bezirksgerichts wiederherzustellen.
Der Beklagte beantragt die Abweisung der Berufung. Ferner verlangt er, das von der Klägerin eingereichte Gutachten von Prof. Pierre A. Lalive sei aus dem Recht zu weisen.
Erwägungen
Das Bundesgericht zieht in Erwägung:
1.
Es ist den Parteien im Berufungsverfahren vor Bundesgericht nicht verwehrt, ihren Standpunkt durch Rechtsgutachten zu bekräftigen. Ein solches Parteigutachten hat jedoch kein grösseres Gewicht als die rechtlichen Erörterungen in der Berufungsschrift der betreffenden Partei. Berücksichtigt man ferner, dass der Berufungsrichter das Recht von Amtes wegen anzuwenden hat, so besteht vollends kein Anlass, das von der Klägerin eingereichte Gutachten aus dem Recht zu weisen.
2.
Zu Recht sind die kantonalen Gerichte auf die vorliegende Feststellungsklage eingetreten. Die Klägerin hat ein offensichtliches Interesse an der Abklärung der Frage, ob ihre Ehe weiterhin besteht oder ob sie durch das Urteil des Zentralen Bezirksgerichts von Pest vom 29. November 1973 geschieden worden ist. Die Ungewissheit, die zwischen den Parteien über diese Frage besteht, kann nur durch eine Klage auf Feststellung des Fortbestehens der Ehe beseitigt werden. Sie wurde durch die vorausgegangenen Entscheide im Rechtsöffnungsverfahren nicht behoben. Gegenstand jenes Verfahrens bildete die Erteilung der Rechtsöffnung, nicht das Bestehen der Ehe, und über die Anerkennung des ungarischen Scheidungsurteils wurde damals nur vorfrageweise entschieden. Die staatsrechtliche Kammer des Bundesgerichts überprüfte die betreffenden Entscheide der zürcherischen Gerichte in ihrem Urteil vom 20. Oktober 1975 zudem nur unter dem beschränkten Gesichtswinkel der Willkür. Die Frage des Bestehens der Ehe der
BGE 105 II 1 S. 4
Parteien ist daher noch nicht rechtskräftig beurteilt. Der Beklagte beruft sich denn auch nicht auf die Einrede der Rechtskraft, sondern er begnügt sich damit, die Begründung der Rechtsöffnungsentscheide zur Stützung seines Standpunkts heranzuziehen.
3.
Wie zwischen den Parteien unbestritten ist, hängt das Schicksal der Klage einzig davon ab, ob das ungarische Scheidungsurteil vom 29. November 1973 in der Schweiz anzuerkennen ist, eine Frage, die sich nach eidgenössischem Recht beurteilt (
BGE 99 II 4
ff. E. 3). Ein Staatsvertrag mit Ungarn über die Anerkennung von Urteilen besteht nicht, und das Haager Übereinkommen über die Anerkennung von Ehescheidungen und Ehetrennungen vom 1. Juni 1970 (SR 0.211.212.3), für die Schweiz in Kraft getreten am 17. Juli 1976, ist nicht anwendbar, weil Ungarn nicht zu den Vertragsstaaten gehört und die Schweiz zudem den Vorbehalt angebracht hat, das Übereinkommen nicht auf Scheidungsurteile anzuwenden, die vor seinem lnkrafttreten für die Schweiz erwirkt worden sind.
Aus den Akten geht hervor, dass beide Parteien in der Schweiz als Flüchtlinge im Sinne des Genfer Abkommens über die Rechtsstellung der Flüchtlinge vom 28. Juli 1951 (SR 0.142.30), dem die Schweiz beigetreten ist, anerkannt sind. Nach Art. 12 Ziff. 1 dieses Abkommens bestimmt sich die personenrechtliche Stellung (le statut personnel) eines Flüchtlings nach dem Gesetz seines Wohnsitzlandes oder, wenn er keinen Wohnsitz hat, nach dem Gesetz des Aufenthaltslandes. Zur persönlichen Rechtsstellung einer Person gehören auch ihre familienrechtlichen Beziehungen (
BGE 93 II 358
/359). Art. 16 Ziff. 2 des Abkommens stellt die Flüchtlinge ferner hinsichtlich des Zugangs zu den Gerichten den Angehörigen des Staates gleich, wo sie ihren Wohnsitz bzw. ihren ordentlichen Aufenthalt haben. Aus diesen Bestimmungen ergibt sich, dass ein Flüchtling an seinem schweizerischen Wohnsitz auf Grund des schweizerischen materiellen Rechts auf Scheidung klagen kann, ohne gemäss
Art. 7h Abs. 1 NAG
den Nachweis erbringen zu müssen, dass Gesetz oder Gerichtsgebrauch seiner Heimat den angerufenen Scheidungsgrund zulassen und den schweizerischen Gerichtsstand anerkennen (
BGE 93 II 359
,
BGE 88 II 330
), was den Parteien, die beide unbestrittenermassen die ungarische Staatsangehörigkeit beibehalten haben, nicht möglich
BGE 105 II 1 S. 5
wäre (
BGE 93 II 357
,
BGE 88 II 329
). Auf Grund des Flüchtlingsabkommens steht dem in der Schweiz wohnhaften Flüchtling somit ein schweizerischer Scheidungsgerichtsstand zur Verfügung. Entscheidend ist nun, ob diese Zuständigkeit der schweizerischen Gerichte als ausschliesslich zu betrachten ist, oder ob der Flüchtling, der seine ursprüngliche Staatsangehörigkeit beibehalten hat, die Möglichkeit behält, in seinem Heimatstaat auf Scheidung zu klagen, so dass eine konkurriende Scheidungszuständigkeit des Heimat- und des Wohnsitzstaates bestehen würde. Ist der schweizerische Gerichtsstand ausschliesslich, so kann das ungarische Scheidungsurteil nicht anerkannt werden. Ist jedoch neben dem schweizerischen auch der heimatliche Richter für die Beurteilung der Scheidungsklage zuständig, so ist die Anerkennung zu gewähren, sofern das Urteil vor dem schweizerischen ordre public standhält.
4.
Das Obergericht hat sich gegen die Ausschliesslichkeit des schweizerischen Scheidungsgerichtsstands entschieden, mit der Begründung, das Flüchtlingsabkommen wolle die Rechtsstellung des als Flüchtling in der Schweiz lebenden Ausländers im Vergleich mit der Rechtsstellung des "gewöhnlichen" Ausländers mit Wohnsitz in der Schweiz verbessern, indem es ihm die Vornahme gewisser Rechtshandlungen und die Verfolgung seiner Rechte im Wohnsitzstaat erleichtere. Der Flüchtling werde jedoch nicht weitergehend einem Angehörigen des Wohnsitzstaates gleichgestellt, mit der Massgabe, dass er die mit seiner Staatsangehörigkeit zusammenhängenden Rechte nicht mehr wahrnehmen könne. Der Wohnsitzstaat habe keinen Grund, für die auf seinem Staatsgebiet wohnenden Flüchtlinge die ausschliessliche Gerichtsbarkeit zu beanspruchen, wie er es für die eigenen, im Inland wohnenden Staatsangehörigen tue. Dass das Flüchtlingsabkommen die bisherige Rechtsstellung des Flüchtlings nicht schmälern, sondern lediglich in gewissen Beziehungen erweitern wolle, lasse sich aus dem Vorbehalt der wohlerworbenen Rechte in Art. 12 Ziff. 2 schliessen. Mit Bezug auf die Zulassung der Scheidungsklage am schweizerischen Wohnsitz bestehe die Erleichterung der Rechtsstellung des Flüchtlings darin, dass die Einschränkungen von
Art. 7h Abs. 1 NAG
wegfielen. Dagegen finde sich kein Anhaltspunkt und keine Notwendigkeit für die Annahme, dass mit dieser Verbesserung der Rechtsstellung durch das Flüchtlingsabkommen auch ein Verlust einhergehe, indem der Flüchtling nur noch bei den
BGE 105 II 1 S. 6
Gerichten und nach dem Recht seines Wohnsitz- oder Aufenthaltslandes auf Scheidung klagen könne, jedoch nicht mehr in seiner Heimat. Auch die Lehre vertrete die Auffassung, es bestehe für den Flüchtling eine konkurrierende Scheidungszuständigkeit des Heimat- und des Wohnsitzstaates, soweit sie sich überhaupt mit dieser Frage befasse (BEITZKE, in: Festschrift Fragistas, Thessaloniki 1966, S. 389; ders., Zeitschrift für das gesamte Familienrecht 1966, S. 639; HIRSCHBERG, NJW 1972, S. 365/366). Der Flüchtling könne beachtliche Gründe dafür haben, statt der Gerichte des Wohnsitzstaates diejenigen der Heimat anzurufen, insbesondere wenn der Heimatstaat die ausschliessliche Zuständigkeit in Anspruch nehme, wie es für Ungarn mit Bezug auf die Scheidung ungarischer Staatsangehöriger gelte, und daher im Ausland ergangene Scheidungsurteile nicht anerkenne.
5.
Es ist zweifellos richtig, dass das Flüchtlingsabkommen bezweckt, die Rechtsstellung des Flüchtlings zu verbessern. Es fragt sich aber, worin diese Besserstellung besteht. Nach Art. 1A Ziff. 2 des Abkommens ist Flüchtling jede Person, die sich aus begründeter Furcht vor Verfolgung wegen ihrer Rasse, Religion, Staatszugehörigkeit, Zugehörigkeit zu einer bestimmten sozialen Gruppe oder wegen ihrer politischen Überzeugung ausserhalb ihres Heimatlandes befindet und dessen Schutz nicht beanspruchen kann oder wegen dieser Befürchtungen nicht beanspruchen will. Das Abkommen geht somit davon aus, dass der Flüchtling sämtliche Beziehungen zu seiner Heimat abgebrochen hat und nicht mehr dorthin zurückkehren kann oder "aus begründeter Furcht vor Verfolgung" nicht will, so dass sich seine Stellung derjenigen eines Staatenlosen annähert. Das Abkommen bezweckt nun - und insofern verbessert es die Rechtsstellung des Flüchtlings -, das durch den Bruch mit der Heimat entstandene rechtliche Vakuum auszufüllen, indem es den Flüchtling mit Bezug auf das Personalstatut und den Zugang zu den Gerichten im Wohnsitzstaat den Inländern gleichstellt. Mit dieser ratio des Abkommens ist es nicht vereinbar, dass dem Flüchtling neben dem Gerichtsstand des Wohnsitzes auch derjenige der Heimat zur Verfügung stehen soll. Das Abkommen rechnet nicht damit, dass ein Flüchtling in der Lage ist, seine Rechte im Heimatstaat wahrzunehmen, und wenn er es dennoch tun kann, so ist er eben keine Person, die sich "aus begründeter Furcht vor Verfolgung"
BGE 105 II 1 S. 7
ausserhalb ihrer Heimat befindet. Dementsprechend fällt ein Flüchtling nach Art. 1C Ziff. 1 nicht mehr unter das Abkommen, wenn er sich freiwillig wieder unter den Schutz des Landes, dessen Staatsangehörigkeit er besitzt, gestellt hat. Aus der Sicht des Abkommens ist der Flüchtlingsstatus ein Ganzes; man kann nicht gleichzeitig die Vorteile dieses Status im Wohnsitzstaat, nämlich die weitgehende Gleichstellung mit dem Inländer, in Anspruch nehmen und sich auf den Gerichtsstand der Heimat berufen. Könnte der Flüchtling nach Belieben wählen, als Inländer oder als Ausländer behandelt zu werden, so wäre er nicht nur besser gestellt, als die Ausländer, die nicht Flüchtlinge sind, sondern auch als die Inländer. Das ist nicht der Sinn des Flüchtlingsabkommens.
Freilich ist einzuräumen, dass der Flüchtling gute Gründe haben kann, eine Scheidungsklage vor den Gerichten seines Heimatlandes anzubringen, so etwa wegen der Rechtsstellung der in der Heimat zurückgelassenen minderjährigen Kinder, des ehelichen Güterrechts, des in der Heimat zurückgelassenen Vermögens oder des späteren Erbrechts (BEITZKE, in: Festschrift Fragistas, S. 386). Beanspruchen die Gerichte des Heimatstaates die ausschliessliche Zuständigkeit, wie dies im Falle von Ungarn zutrifft, so kann er gezwungen sein, sie anzurufen, wenn ihm an der Anerkennung des Scheidungsurteils durch diesen Staat gelegen ist. Auch ist es eine Erfahrungstatsache, dass der Bruch der Beziehungen zum Heimatstaat mit der Zeit den absoluten Charakter verlieren kann, den das Abkommen bei der Umschreibung des Flüchtlingsbegriffs in Art. 1A Ziff. 2 im Auge hat, so dass es einem Flüchtling möglich sein kann, sich vorübergehend in seiner Heimat aufzuhalten oder doch sich in einem Prozess vertreten zu lassen, ohne Repressalien befürchten zu müssen. Es stellt sich daher die Frage, ob es einem Flüchtling jedenfalls dann gestattet sein soll, in seiner Heimat auf Scheidung zu klagen, wenn er hiefür beachtliche Gründe hat.
Wie es sich mit dieser Frage verhält, braucht indessen nicht entschieden zu werden, weil das ungarische Scheidungsurteil, wie sich im folgenden ergeben wird, ohnehin nicht anerkannt werden kann.
6.
Zu berücksichtigen ist nämlich, dass es nicht nur um den Status des damaligen Scheidungsklägers geht, sondern um den ehelichen Stand beider Ehegatten. Nun ist aber auch die
BGE 105 II 1 S. 8
damalige Beklagte Flüchtling im Sinne des Flüchtlingsabkommens. Auch sie untersteht daher gemäss Art. 12 und 16 des Abkommens mit Bezug auf das Personalstatut dem schweizerischen Recht und kann sich auf den Gerichtsstand des Wohnsitzes berufen. Die Zuständigkeit der ungarischen Gerichte lässt sich deshalb nicht einfach damit begründen, es könne einem Flüchtling nicht verwehrt sein, auf die ihm durch das Flüchtlingsabkommen eingeräumten Rechte zu verzichten, wenn er ein Interesse daran habe, da auf diese Weise die ebenfalls durch das Abkommen garantierten Rechte des beklagten Ehegatten zunichte gemacht werden könnten. Flüchtlinge haben scheidungsrechtlich weitgehend die gleiche Stellung wie Inländer. Eine in der Schweiz wohnende Schweizerin kann aber nur im Inland von ihrem schweizerischen Ehegatten geschieden werden (
BGE 89 I 306
/307,
BGE 86 II 309
,
BGE 80 II 101
). Wie das Bundesgericht im Falle Baumberger (
BGE 89 I 303
ff., 313) dargelegt hat, kann auch ein Doppelbürger nicht in seinem ausländischen Heimatstaat auf Scheidung klagen, wenn beide Ehegatten wie hier in der Schweiz wohnen, auch wenn ihn der ausländische Heimatstaat als eigenen Staatsangehörigen behandelt und ihm einen Scheidungsgerichtsstand zur Verfügung stellt. Dies spricht gegen eine konkurrierende Zuständigkeit des Heimatstaates.
Der Klägerin ist es auch nicht zuzumuten, sich in ihrer Heimat auf einen Scheidungsprozess einzulassen. Als anerkannter Flüchtling gehört gemäss dem Wortlaut von Art. 1A Ziff. 2 des Flüchtlingsabkommens auch sie zu den Personen, die sich aus begründeter Furcht vor Verfolgung wegen ihrer Rasse, Religion, Staatsangehörigkeit, Zugehörigkeit zu einer bestimmten sozialen Gruppe oder wegen ihrer politischen Überzeugung ausserhalb ihres Heimatlandes befinden und dessen Schutz nicht beanspruchen können oder wegen dieser Befürchtungen nicht beanspruchen wollen. Hat sie aber Grund, sich vor Verfolgung in ihrer Heimat zu fürchten, so kann von ihr nicht verlangt werden, persönlich vor den dortigen Gerichten zu erscheinen, wie dies für eine wirksame Verteidigung in einem Scheidungsprozess unerlässlich ist, oder auch nur Anstalten zu unternehmen, sich dort vertreten zu lassen. Der Sinn des Flüchtlingsabkommens besteht gerade darin, den Flüchtling aus der Zwangslage zu befreien, sich zur Wahrung seiner Rechte mit den Behörden des Heimatstaates, aus dem er geflohen ist,
BGE 105 II 1 S. 9
herumschlagen zu müssen. Deshalb stellt es ihm für Statusfragen das Recht und den Gerichtsstand des Wohnsitzes zur Verfügung. Zu beachten ist ferner, dass die Klägerin Gefahr läuft, ihre Flüchtlingseigenschaft zu verlieren, wenn sie an einem Scheidungsprozess in Ungarn teilnimmt. Stellt sich nämlich ein Flüchtling freiwillig wieder unter den Schutz des Landes, dessen Staatsangehörigkeit er besitzt, so wird er nach Art. 1C Ziff. 1 des Abkommens nicht mehr als Flüchtling anerkannt. Man kann sich freilich fragen, ob sich der Flüchtling bereits durch die Führung eines Scheidungsprozesses in seinem Heimatstaat dem "Schutz" dieses Staates unterstellt oder ob hiefür nicht ein Mehreres erforderlich ist, etwa die Inanspruchnahme des diplomatischen Schutzes oder das Gesuch um Ausstellung eines Passes (vgl. hiezu SCHÜRCH, Das schweizerische Asylrecht, ZBJV 104/1968, S. 260/261; BEITZKE, in: Festschrift Fragistas, S. 386/387). Wie es sich damit verhält, kann jedoch offen bleiben. Es genügt, dass die Klägerin im Falle ihrer Teilnahme am Scheidungsprozess in Ungarn ernstlich mit der Gefahr rechnen muss, ihren Flüchtlingsstatus zu verlieren, damit ihr diese Teilnahme nicht zugemutet werden kann. Dass die Befürchtung der Klägerin, sie könnte ihren Flüchtlingsstatus jedenfalls dann verlieren, wenn sie persönlich vor dem ungarischen Scheidungsrichter erscheine, nicht völlig unbegründet ist, ergibt sich übrigens aus mehreren bei den Akten liegenden Äusserungen der eidgenössischen Polizeiabteilung gegenüber ihrem Anwalt.
Auf der andern Seite ist der Beklagte nicht auf den heimatlichen Scheidungsgerichtsstand angewiesen, hat er doch auf Grund des Flüchtlingsabkommens anders als seine in der Schweiz wohnenden Landsleute, die nicht Flüchtlinge sind (
BGE 93 II 357
,
BGE 88 II 329
), die Möglichkeit, an seinem schweizerischen Wohnsitz zu klagen. Die Anrufung des schweizerischen Richters ist ihm umso eher zuzumuten, als beide Ehegatten seit vielen Jahren in diesem Lande wohnen und der Gerichtsstand am gemeinsamen ehelichen Wohnsitz eigentlich der natürliche Scheidungsgerichtsstand ist. Dass dadurch ein hinkendes Eheverhältnis herbeigeführt werden kann, weil Ungarn das schweizerische Scheidungsurteil nicht anerkennt, ist zwar richtig, ergibt sich aber notwendig aus dem System des Flüchtlingsabkommens, das die Staatsangehörigkeit
BGE 105 II 1 S. 10
als Anknüpfungspunkt für das Personalstatut und den Gerichtsstand generell durch den Wohnsitz ersetzt und dadurch hinkende Scheidungen zum vornherein in Kauf nimmt.
7.
Aus diesen Überlegungen ist zu schliessen, dass das Scheidungsurteil, das ein in der Schweiz wohnender Flüchtling im gemeinsamen Heimatstaat der Ehegatten erwirkt hat, in der Schweiz jedenfalls dann nicht anerkannt werden kann, wenn der Beklagte, der ebenfalls als Flüchtling in der Schweiz Wohnsitz hat, sich auf den Scheidungsprozess nicht eingelassen hat, wie dies hier der Fall war. Dem Urteil vom 29. November 1973 ist daher in der Schweiz die Anerkennung zu versagen. Bei dieser Sachlage braucht nicht geprüft zu werden, ob das Urteil entsprechend den Behauptungen der Klägerin gegen den schweizerischen ordre public verstosse.
Ist aber das ungarische Scheidungsurteil in der Schweiz nicht anzuerkennen, so ist die Klage gutzuheissen, da der Beklagte keine andern Gründe gegen den Bestand der Ehe vorgebracht hat und solche auch nicht ersichtlich sind.
Dispositiv
Demnach erkennt das Bundesgericht:
Die Berufung wird gutgeheissen und das Urteil des Obergerichts des Kantons Zürich vom 15. Juni 1978 aufgehoben; in Gutheissung der Klage wird festgestellt, dass die Klägerin mit dem Beklagten nach wie vor in rechtsgültiger Ehe verheiratet ist. | public_law | nan | de | 1,979 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
d2c6ec58-e27c-4d66-8e3c-e6c0bcdd1275 | Urteilskopf
121 I 150
21. Auszug aus dem Urteil der II. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 20. Juni 1995 i.S. S. gegen Kantonale Steuerverwaltung Thurgau und Verwaltungsgericht des Kantons Thurgau (staatsrechtliche Beschwerde) | Regeste
Art. 46 Abs. 2 BV
; Ehegattenalimente.
Getrennte oder geschiedene Ehegatten sind mit Bezug auf die Unterhaltszahlungen in besonderer Weise rechtlich und wirtschaftlich verbunden. Im interkantonalen Verhältnis ist daher das Doppelbesteuerungsverbot zu beachten (Änderung der Rechtsprechung).
Die Unterhaltszahlungen stehen im interkantonalen Verhältnis dem Wohnsitzkanton des Empfängers zur ausschliesslichen Besteuerung zu; der Wohnsitzkanton des Verpflichteten muss sie zum Abzug von dessen steuerbarem Einkommen zulassen. | Sachverhalt
ab Seite 151
BGE 121 I 150 S. 151
S. wurde im Rahmen von vorsorglichen Massnahmen vom Bezirksgericht Zürich verpflichtet, seiner im Kanton Zürich wohnhaften Ehefrau während des Ehescheidungsverfahrens monatliche Unterhaltsbeiträge von Fr. -.-- zu zahlen.
Die Steuerkommission X. (Kanton Thurgau), wo S. damals Wohnsitz hatte, setzte sein steuerbares Einkommen für das Veranlagungsjahr 1991 (ab 1. Juni 1991) unter Aufrechnung der abgezogenen Unterhaltszahlungen auf Fr. -.-- fest. Der Steuerpflichtige erhob dagegen erfolglos Einsprache und Rekurs.
Das Verwaltungsgericht des Kantons Thurgau wies das Begehren von S., die seiner im Kanton Zürich wohnhaften Ehefrau bezahlten Unterhaltsbeiträge zum Abzug zuzulassen, mit Urteil vom 17. August 1994 ab.
Das Bundesgericht heisst die staatsrechtliche Beschwerde von S. gut und hebt den Entscheid des Verwaltungsgerichts vom 17. August 1994 auf,
Erwägungen
aus folgenden Erwägungen:
1.
a) Gemäss § 19 lit. c des Steuergesetzes des Kantons Thurgau in der hier noch anwendbaren Fassung vom 9. Juli 1964 (StG) können dauernde periodische Beiträge an den geschiedenen oder gerichtlich getrennten Ehegatten vom steuerbaren Einkommen des Schuldners abgezogen werden. Hingegen werden Unterhaltsbeiträge, die nach Aufhebung des gemeinsamen Haushalts vom Massnahmerichter gestützt auf
Art. 145 ZGB
für die Dauer des Scheidungsverfahrens zugesprochen werden, nicht zum Abzug zugelassen. In § 34 Abs. 1 Ziff. 5 des neuen thurgauischen Steuergesetzes vom 14. September 1992 (nStG) ist der Abzug periodischer Unterhaltsbeiträge umfassender vorgesehen: nebst den Unterhaltsbeiträgen an den geschiedenen oder gerichtlich getrennten können auch Unterhaltsbeiträge an den tatsächlich getrennten Ehegatten abgezogen werden.
b) Der Beschwerdeführer macht geltend, seine Ehefrau sei im fraglichen Zeitraum im Kanton Zürich wohnhaft gewesen und habe die Alimente dort gestützt auf § 19 lit. h des Zürcher Gesetzes vom 8. Juli 1951 über die direkten Steuern versteuern müssen. Wenn er die Alimente nicht abziehen könne, entstehe eine unzulässige Doppelbesteuerung. Nach
Art. 46 Abs. 2 BV
sei es nicht zulässig, das gleiche Einkommen beim Ehemann und bei der Ehefrau zu besteuern. Auch bei nach
Art. 145 Abs. 1 ZGB
getrenntlebenden
BGE 121 I 150 S. 152
Ehegatten bestehe - wie dies das Bundesgericht für Alimentenzahlungen an die Kinder angenommen habe (
BGE 118 Ia 277
ff.) - eine enge wirtschaftliche und rechtliche Beziehung fort, so dass es sich rechtfertige, das Doppelbesteuerungsverbot auf den Fall der Ehegattenalimente anzuwenden.
c) Das Doppelbesteuerungsverbot von
Art. 46 Abs. 2 BV
schliesst eine Besteuerung der gleichen Person durch zwei oder mehrere Kantone für das gleiche Steuerobjekt und die gleiche Zeit aus. Unzulässig ist sowohl die aktuelle als auch die virtuelle Doppelbesteuerung (vgl.
BGE 117 Ia 516
E. 2 S. 518;
116 Ia 127
E. 2a S. 130, mit Hinweisen). Vom Erfordernis, dass sich die Steueransprüche gegen das gleiche Steuersubjekt richten (Steuersubjektidentität), kann abgesehen werden, wenn zwei Steuersubjekte mit Bezug auf einen bestimmten Sachverhalt rechtlich und wirtschaftlich in besonderem Masse verbunden sind (Steuersubjektverbundenheit, vgl. ERNST HÖHN, Interkantonales Steuerrecht, 3. Aufl. 1993, N. 12 zu § 4 S. 71 und
BGE 118 Ia 277
E. 2 S. 279/280, mit Beispielen und Hinweisen). Eine solche Verbundenheit, die zur Anwendung des Doppelbesteuerungsverbots führt, hat das Bundesgericht angenommen für Kinderunterhaltsbeiträge zwischen dem Leistenden und dem Empfänger der Unterhaltsbeiträge (
BGE 118 Ia 277
ff.), bei der Nutzniessung zwischen Nutzniesser und Eigentümer, bei der Kollektiv- und Kommanditgesellschaft zwischen der Gesellschaft und dem Gesellschafter, zwischen der Stiftung und dem Stifter sowie dem Schenkenden und dem Beschenkten (vgl. THOMAS KOLLER, Die Besteuerung von Unterhaltsleistungen an Kinder im Lichte von
BGE 118 Ia 277
ff. [= ASA 61 S. 741 ff.] und deren Auswirkungen auf das Zivilrecht, ASA 62 S. 289 ff., S. 296 ff.; HÖHN, a.a.O., N. 13 zu § 4 S. 71, und Kommentar BV, N. 41 zu
Art. 46 Abs. 2 BV
, mit Hinweisen).
aa) Bei Ehegatten hat das Bundesgericht eine Doppelbesteuerung zufolge Identität des Steuersubjekts angenommen, wenn Ehemann und Ehefrau, die zusammenleben und demzufolge gemeinsam besteuert werden, je von einem Kanton für das gleiche Objekt zu Steuern herangezogen werden (HÖHN, a.a.O., N. 13 zu § 4 S. 71 f.). Es hat das Vorliegen einer Doppelbesteuerung in bezug auf Ehegattenalimente bisher verneint (
BGE 90 I 293
E. 2 S. 297); massgebend hiefür war die Erwägung, dass bei Scheidung oder Trennung der gemeinsame Haushalt aufgelöst ist, keine Gemeinschaftlichkeit der Mittel mehr besteht und beide Ehegatten demzufolge als eigenständige Steuersubjekte behandelt werden. Im folgenden ist zu prüfen, ob daran festgehalten werden kann.
BGE 121 I 150 S. 153
bb) Getrennt lebende Ehegatten sind nach dem Gesagten im interkantonalen Verhältnis eigenständige Steuersubjekte, wenn keine Gemeinschaftlichkeit der Mittel für Wohnung und Lebensunterhalt besteht, d.h. wenn sich die Unterstützung des einen an den anderen Ehegatten - wie im vorliegenden Fall - in der Leistung von ziffernmässig bestimmten Unterhaltsbeiträgen erschöpft (vgl.
BGE 121 I 14
E. 5c S. 19;
BGE 118 Ia 277
E. 2 S. 279 unten). Tatsächlich bleiben sie jedoch in bezug auf den Unterhalt auch nach der Trennung oder Scheidung rechtlich und wirtschaftlich in besonderem Masse verbunden: So gilt die Unterhaltspflicht der Ehegatten (
Art. 163 Abs. 1 ZGB
) für die ganze Dauer des rechtlichen Bestands der Ehe und somit auch für die Dauer des Getrenntlebens nach Art. 175 f. ZGB (vgl.
Art. 176 Abs. 1 Ziff. 1 ZGB
) oder des Scheidungsprozesses (vgl. BÜHLER/SPÜHLER, Berner Kommentar, N. 111 zu
Art. 145 ZGB
; SPÜHLER/FREI-MAURER, Berner Kommentar, Ergänzungsband 1991, N. 111 zu
Art. 145 ZGB
). In der Bedürftigkeitsrente nach
Art. 152 ZGB
lebt aus dem Gedanken der nachehelichen Solidarität die Beistandspflicht der Ehegatten (
Art. 159 Abs. 3 ZGB
) auch nach der Scheidung fort (SPÜHLER/FREI-MAURER, a.a.O., N. 4 zu
Art. 152 ZGB
). Die Unterhaltsersatzrente nach
Art. 151 Abs. 1 ZGB
ist zwar nicht eine Forderung aus der ehelichen Gemeinschaft, sondern Schadenersatz; doch beruht auch dieser auf dem Verlust von Ansprüchen, die sich aus der Ehe ergeben (SPÜHLER/FREI-MAURER, a.a.O., N. 9 zu
Art. 151 ZGB
, mit Hinweisen).
Unabhängig davon, ob die Ehegatten noch verheiratet oder bereits geschieden sind, besteht demnach in bezug auf den Unterhalt eine besondere rechtliche und wirtschaftliche Verbundenheit der Ehegatten, in der die Ehe bzw. die frühere Ehe nach der Trennung noch Folgen zeitigt. Eine solche Verbundenheit zwischen den betroffenen Steuersubjekten rechtfertigt es, auf das formale Erfordernis der Steuersubjektidentität zu verzichten (vgl. KOLLER, a.a.O., S. 296 ff. und 301). In bezug auf die Unterhaltsbeiträge, die ein Ehegatte vom anderen nach der Trennung oder Scheidung für sich erhält, ist daher im interkantonalen Verhältnis das Doppelbesteuerungsverbot zu beachten. An der bisherigen Praxis, die der nach wie vor bestehenden besonderen rechtlichen und wirtschaftlichen Verbindung der Ehegatten zuwenig Rechnung trägt, kann nicht festgehalten werden. Das Doppelbesteuerungsverbot schliesst aus, dass der Wohnsitzkanton des Ehegatten, der die Unterhaltsbeiträge zahlt, dessen Einkommen voll (ohne Abzug der Unterhaltsbeiträge) erfasst und der Wohnsitzkanton des Empfängers die Beiträge gleichzeitig ebenfalls als Einkommen besteuert;
BGE 121 I 150 S. 154
dadurch würden getrenntlebende gegenüber zusammenlebenden Ehegatten in nicht zu rechtfertigender Weise schlechter gestellt (vgl. KOLLER, a.a.O., S. 301).
cc) Mit dieser Praxisänderung wird zudem der Rechtsentwicklung in den Kantonen und im Bund Rechnung getragen. Innerkantonal sind alle Kantone dazu übergegangen, Unterhaltsleistungen an den geschiedenen oder getrennten Ehegatten und an die Kinder nur einmal steuerlich zu belasten (vgl. KOLLER, a.a.O., S. 294). Nur noch einige wenige Kantone lassen den Abzug von Ehegattenalimenten beim leistenden Ehegatten nicht bereits mit der tatsächlichen Trennung, sondern erst mit der Scheidung oder gerichtlichen Trennung zum Abzug zu. Art. 7 Abs. 4 lit. g des Bundesgesetzes vom 14. Dezember 1990 über die Harmonisierung der direkten Steuern der Kantone und Gemeinden (Steuerharmonisierungsgesetz; StHG, SR 642.14) verpflichtet die Kantone einerseits, die vom geschiedenen oder gerichtlich oder tatsächlich getrenntlebenden Ehegatten erhaltenen Unterhaltsbeiträge beim Empfänger zu besteuern,
Art. 9 Abs. 2 lit. c StHG
verpflichtet sie andererseits, die entsprechenden Unterhaltsbeiträge beim Leistenden zum Abzug zuzulassen; dieselbe Besteuerung sehen auch die
Art. 23 lit. f und 24 lit. e des Bundesgesetzes vom 14. Dezember 1990 über die direkte Bundessteuer (DBG; SR 642.11)
vor.
Wie dies in
BGE 118 Ia 277
(E. 3 S. 281) bereits für die Unterhaltsbeiträge an die Kinder entschieden wurde, rechtfertigt sich auch für die Unterhaltsbeiträge der Ehegatten doppelbesteuerungsrechtlich keine Zuteilungsnorm, die von den in den Steuergesetzen getroffenen Regelungen abweicht. In Anlehnung an die Lösung, die bei der Steuerharmonisierung gewählt und bereits von den meisten Kantonen übernommen wurde, sind daher Alimente, die an den geschiedenen oder (gerichtlich oder tatsächlich) getrenntlebenden Ehegatten bezahlt werden, im interkantonalen Verhältnis zur Vermeidung einer Doppelbesteuerung dem Wohnsitzkanton des Empfängers zur ausschliesslichen Besteuerung zuzuweisen und beim Verpflichteten zum Abzug zuzulassen (vgl. KOLLER, a.a.O., S. 305 ff.).
d) Der Kanton Thurgau hat somit seine Steuerhoheit überschritten, indem er den Beschwerdeführer einschliesslich der an seine Ehefrau im Kanton Zürich bezahlten Alimente besteuert hat. Die Beschwerde ist daher gutzuheissen und der angefochtene Entscheid aufzuheben. Das Verwaltungsgericht hat einen neuen Entscheid zu fällen und dabei die vom Beschwerdeführer geleisteten Unterhaltsbeiträge zum Abzug zuzulassen. | public_law | nan | de | 1,995 | CH_BGE | CH_BGE_001 | CH | Federation |
d2c92684-0bf0-43bd-9712-07ff59da46f9 | Urteilskopf
120 Ia 194
29. Auszug aus dem Urteil der I. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 8. August 1994 i.S. H. gegen S., Evangelische Kirchgemeinde Bussnang und Evangelischer Kirchenrat des Kantons Thurgau (staatsrechtliche Beschwerde) | Regeste
Art. 85 lit. a OG
; Zulässigkeit der Stimmrechtsbeschwerde.
Gegen Wahlen und Abstimmungen der evangelischen Kirchgemeinden des Kantons Thurgau kann Stimmrechtsbeschwerde nach
Art. 85 lit. a OG
erhoben werden (E. 1a).
Als Beschwerdegrund der Stimmrechtsbeschwerde ist auch die Rüge zulässig, es werde zu Unrecht davon ausgegangen, der Gemeindepfarrer sei von Amtes wegen Mitglied der Kirchenvorsteherschaft und es hätte richtigerweise ein Mitglied mehr in diese Behörde gewählt werden müssen (E. 1b).
§ 29 Abs. 1 der Verfassung des Kantons Thurgau; Unzulässigkeit der Mitgliedschaft des evangelischen Gemeindepfarrers in der Kirchenvorsteherschaft.
Der Grundsatz von § 29 Abs. 1 der Thurgauer Kantonsverfassung, nach dem niemand seiner unmittelbaren Aufsichtsbehörde angehören darf, ist auch bei der Umschreibung der Mitgliedschaft in der Kirchenvorsteherschaft zu beachten (E. 2c).
Gemeindepfarrer unterstehen zumindest in administrativen Fragen unmittelbar der Kirchenvorsteherschaft (E. 2b). Ihre von Amtes wegen bestehende Mitgliedschaft in dieser Behörde, wie sie § 16 Abs. 3 der Verfassung der Evangelischen Landeskirche vorsieht, verstösst gegen § 29 Abs. 1 der Kantonsverfassung (E. 2d und e). | Sachverhalt
ab Seite 195
BGE 120 Ia 194 S. 195
Heinrich H. gehört der evangelischen Kirchgemeinde Bussnang an. Im Blick auf die bevorstehenden Gesamterneuerungswahlen der Kirchenvorsteherschaft stellte er in der Kirchgemeindeversammlung vom 17. Februar 1992 die Frage, weshalb der Gemeindepfarrer Mitglied der Kirchenvorsteherschaft und damit seiner vorgesetzten Behörde sein dürfe. An der folgenden Kirchgemeindeversammlung vom 22. April 1992, an der die Gesamterneuerungswahlen vorgenommen wurden, erklärte deren Präsident, die Pfarrer seien nach geltendem kirchlichem Recht von Amtes wegen Mitglied der Kirchenvorsteherschaft und daher nicht zu wählen.
Am 2. Mai 1992 erhob Heinrich H. gegen die am 22. April 1992 vorgenommenen Wahlen eine Beschwerde beim Evangelischen Kirchenrat des Kantons Thurgau.
BGE 120 Ia 194 S. 196
Er machte geltend, die Regelung, wonach der Gemeindepfarrer Mitglied der Kirchenvorsteherschaft sei, verstosse gegen die §§ 29 und 92 der Verfassung des Kantons Thurgau vom 16. März 1987 (KV). Nachdem ein mehrfacher Briefwechsel zu keinem Ergebnis geführt hatte, verlangte Heinrich H. am 4. August 1993 einen Entscheid über seine Beschwerde. Der Evangelische Kirchenrat wies die Beschwerde darauf am 29. September 1993 ab.
Heinrich H. hat gegen den Entscheid des Evangelischen Kirchenrats eine staatsrechtliche Beschwerde beim Bundesgericht eingereicht und beantragt dessen Aufhebung. Er rügt eine Verletzung von § 29 Abs. 1 KV sowie des Grundsatzes der Gewaltentrennung.
Das Bundesgericht heisst die Beschwerde gut.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
1.
Der angefochtene Entscheid verneint eine Unvereinbarkeit zwischen dem Amt des Gemeindepfarrers und seiner Mitgliedschaft in der Kirchenvorsteherschaft (Exekutivbehörde der Kirchgemeinde). Zugleich weist er eine gegen die Gesamterneuerungswahl der Kirchenvorsteherschaft Bussnang vom 22. April 1992 gerichtete Beschwerde ab.
a) Nach
Art. 85 lit. a OG
beurteilt das Bundesgericht Beschwerden betreffend die politische Stimmberechtigung der Bürger und betreffend kantonale Wahlen und Abstimmungen. Als kantonal im Sinne dieser Bestimmung gelten neben den Wahlen und Abstimmungen auf kantonaler Ebene auch jene in den Gemeinden (
BGE 119 Ia 167
E. 1a S. 169;
BGE 110 Ia 183
E. 3c S. 186;
BGE 108 Ia 38
E. 2 S. 39). Ferner fallen nicht nur Wahlen und Abstimmungen in den Kantonen, Bezirken und politischen Gemeinden unter
Art. 85 lit. a OG
, sondern auch diejenigen in anderen Körperschaften, soweit sie dem öffentlichen Recht unterstehen.
Die evangelischen Kirchgemeinden des Kantons Thurgau sind Körperschaften des öffentlichen Rechts (§ 93 KV; § 8 der Verfassung der Evangelischen Kirchen des Kantons Thurgau vom 10. Dezember 1984 [EKV]). Auf ihre Abstimmungen und Wahlen findet öffentliches Recht Anwendung (§ 12 EVK). Sie können dementsprechend beim Bundesgericht mit Stimmrechtsbeschwerde angefochten werden (
BGE 105 Ia 368
E. 2 S. 369 f.).
b) Die politischen Rechte umfassen das Recht, an Abstimmungen teilzunehmen, Initiativen und Referendumsbegehren zu unterschreiben, sowie das aktive und
BGE 120 Ia 194 S. 197
passive Wahlrecht. Mit der Stimmrechtsbeschwerde kann die Verletzung sämtlicher im Zusammenhang mit den politischen Rechten stehenden Vorschriften gerügt werden. Dazu zählen namentlich auch Wählbarkeits- und Unvereinbarkeitsvorschriften (
BGE 119 Ia 167
E. 1c S. 170;
BGE 116 Ia 477
E. 1a 479 ff.;
BGE 114 Ia 395
E. 3b S. 400 f.).
Der Beschwerdeführer macht die Unvereinbarkeit des Amtes des Gemeindepfarrers mit der Mitgliedschaft in der Kirchenvorsteherschaft geltend. Der Kirchenrat habe dadurch § 29 Abs. 1 KV verletzt, dass er erklärt habe, Pfarrer Klaus S. gehöre von Amtes wegen der Kirchenvorsteherschaft Bussnang an.
Es trifft zwar zu, dass bei den angefochtenen Wahlen vom 22. April 1992 Pfarrer Klaus S. gar nicht als Kandidat teilgenommen hat. Wie erwähnt gehört er nach Auffassung der Thurgauer Kirchenbehörden als Gemeindepfarrer der Kirchenvorsteherschaft von Amtes wegen an. Der Beschwerdeführer stellt jedoch im Zusammenhang mit den Gesamterneuerungswahlen die Verfassungsmässigkeit dieser Regelung in Frage. Sie wirkte sich auf die angefochtenen Wahlen aus. Würde sie - wie dies der Beschwerdeführer geltend macht - als verfassungswidrig betrachtet, so hätte am 22. April 1992 ein Mitglied mehr in die Kirchenvorsteherschaft gewählt werden müssen, da ihr Pfarrer Klaus S. nicht mehr angehören könnte.
Die vorliegend gerügte Verletzung von § 29 Abs. 1 KV hat demnach einen direkten Einfluss auf die Ausübung der politischen Rechte. Ihre Verletzung kann daher mit Stimmrechtsbeschwerde gerügt werden.
c) Wer in der Körperschaft, deren Wahl oder Abstimmung angefochten ist, das Stimm- und Wahlrecht hat, ist zur Erhebung einer Stimmrechtsbeschwerde nach
Art. 85 lit. a OG
legitimiert (
BGE 119 Ia 167
E. 1b S. 169;
BGE 118 Ia 184
E. 1b S. 188; 116 Ia E. 3a S. 364). Heinrich H. gehört der evangelischen Kirchgemeinde Bussnang an. Er ist daher befugt, gegen die in dieser Kirchgemeinde durchgeführten Wahlen eine Stimmrechtsbeschwerde zu ergreifen.
d) Nach
Art. 86 Abs. 1 OG
kann das Bundesgericht nur gegen letztinstanzliche kantonale Entscheide angerufen werden. Der Evangelische Kirchenrat bezeichnet es als zweifelhaft, ob im vorliegenden Fall diese Voraussetzung erfüllt sei.
Nach § 73 EKV in Verbindung mit § 72 Ziff. 24 EKV kann gegen Entscheide des Evangelischen Kirchenrats über die Stimmberechtigung Beschwerde beim Verwaltungsgericht des Kantons Thurgau erhoben werden. Der Beschwerdeführer
BGE 120 Ia 194 S. 198
geht ohne Begründung davon aus, diese Bestimmung finde im vorliegenden Fall keine Anwendung. Der Kirchenrat hat dem angefochtenen Entscheid keine Rechtsmittelbelehrung beigefügt.
Es erscheint nicht klar, ob die in § 72 Ziff. 24 EKV genannten Anstände über die Stimmberechtigung auch solche über die Unvereinbarkeit zweier Ämter umfassen. Unter "Stimmberechtigung" im engeren Sinne könnte nur das Stimm- und das aktive Wahlrecht, allenfalls noch das passive Wahlrecht, die Wählbarkeit, verstanden werden. Im vorliegenden Fall geht es indessen nicht um die Wählbarkeit von Pfarrer Klaus S. in die Kirchenvorsteherschaft, sondern um die Vereinbarkeit zwischen Pfarramt und Mitgliedschaft in der Kirchenvorsteherschaft. Das Bundesgericht hat lange Zeit Beschwerden über solche Unvereinbarkeitsbestimmungen nicht als Stimmrechtsbeschwerden nach
Art. 85 lit. a OG
, sondern als Verfassungsbeschwerden behandelt. Erst in jüngerer Zeit zählt es auch die Unvereinbarkeitsbestimmungen zum Schutzbereich der politischen Rechte (vgl.
BGE 119 Ia 167
E. 1c S. 170;
BGE 116 Ia 477
E. 1a 479 ff.;
BGE 114 Ia 395
E. 3b S. 400 f.). Es erscheint jedenfalls als ungewiss, ob das Verwaltungsgericht in der hier gegebenen Streitsache auf eine Beschwerde gegen den Entscheid des Kirchenrats eintreten würde. Da nach der bundesgerichtlichen Rechtsprechung vom Erfordernis der Ausschöpfung des kantonalen Instanzenzugs abgesehen werden kann, wenn ernsthafte Zweifel über die Zulässigkeit eines kantonalen Rechtsmittels bestehen (
BGE 118 Ia 415
E. 3 S. 418 f.;
BGE 116 Ia 442
E. 1a S. 444;
BGE 114 Ia 263
E. 2b S. 265), ist auf die vorliegende Beschwerde einzutreten.
e) Gemäss
Art. 89 Abs. 1 OG
sind Stimmrechtsbeschwerden innert 30 Tagen seit Eröffnung des angefochtenen Akts zu erheben. Sowohl der Beschwerdeführer als auch der Evangelische Kirchenrat gehen davon aus, dass nicht schon die am 9. Juli 1992 formlos erteilte Antwort als anfechtbarer Entscheid anzusehen ist, sondern erst die förmliche Abweisung der Beschwerde am 29. September 1993. Dem ist beizupflichten. Die Beschwerdefrist ist unter diesen Umständen eingehalten.
f) Es sind damit sämtliche Voraussetzungen zur Erhebung einer Stimmrechtsbeschwerde erfüllt. Auf das Rechtsmittel ist daher einzutreten.
2.
Der Beschwerdeführer macht geltend, § 16 Abs. 3 EKV, wonach der von der Gemeinde gewählte Pfarrer von Amtes wegen der Kirchenvorsteherschaft angehöre, widerspreche der Unvereinbarkeitsbestimmung von § 29 Abs. 1 KV, der verbiete, dass jemand seiner unmittelbaren Aufsichtsbehörde angehöre.
BGE 120 Ia 194 S. 199
Es verletze die politischen Rechte, wenn der Evangelische Kirchenrat die Auffassung vertrete, Pfarrer Klaus S. gehöre der Kirchenvorsteherschaft Bussnang von Amtes wegen an.
Das Bundesgericht prüft im Rahmen der Stimmrechtsbeschwerde die Auslegung und Anwendung des kantonalen Verfassungsrechts frei (
BGE 119 Ia 167
E. 2 S. 174).
a) Die Thurgauer Verfassung vom 16. März 1987 stellt am Anfang ihres organisationsrechtlichen Teils in § 29 Abs. 1 den Grundsatz auf, dass niemand seiner unmittelbaren Aufsichtsbehörde angehören dürfe.
Die etwas ältere Verfassung der Evangelischen Landeskirche aus dem Jahre 1984 bestimmt in § 16 Abs. 3, dass von der Gemeinde gewählte Pfarrer von Amtes wegen Mitglieder der Kirchenvorsteherschaft seien.
Ob diese beiden Normen im vorliegenden Fall zueinander in Widerspruch treten, wie dies der Beschwerdeführer behauptet, hängt davon ab, ob die Kirchenvorsteherschaft die unmittelbare Aufsichtsbehörde des Gemeindepfarrers ist (dazu nachstehend lit. b) und ob § 29 Abs. 1 KV für den in Frage stehenden Bereich der kirchlichen Organisation Anwendung findet (dazu nachstehend lit. c). Anhand der gefundenen Antworten ist anschliessend über das Vorliegen einer Verletzung des kantonalen Verfassungsrechts und damit der politischen Rechte des Beschwerdeführers zu befinden (nachstehend lit. d und e).
b) Die Aufgaben der Kirchenvorsteherschaft werden in § 18 EKV im einzelnen aufgeführt. Nach Ziff. 8 dieser Bestimmung zählt dazu ausdrücklich die Aufsicht über die Amtsführung der Pfarrer.
Der Evangelische Kirchenrat anerkennt, dass die Gemeindepfarrer zumindest in administrativer Hinsicht der unmittelbaren Aufsicht der Kirchenvorsteherschaft unterstehen. Er macht jedoch geltend, in seinem Amt als Hirte der Gemeinde sei ihm die Kirchenvorsteherschaft beigeordnet, und in Fragen der Glaubensverkündigung und Liturgie habe sie keine Kompetenzen. In dieser letzteren Hinsicht sei der Pfarrer direkt der Aufsicht des Kirchenrats unterstellt. Wenn der Gemeindepfarrer somit der Kirchenvorsteherschaft angehöre, so sitze er höchstens dann in seiner Aufsichtsbehörde, wenn es um rein administrative Belange gehe. Diesfalls würden aber die üblichen Ausstandsregeln gelten, weshalb eine Verletzung von § 29 Abs. 1 KV nicht angenommen werden könne. Im übrigen sei die
BGE 120 Ia 194 S. 200
Stellung des Pfarrers in der Kirchenvorsteherschaft historisch begründet; früher sei er sogar von Amtes wegen deren Präsident gewesen.
Auch wenn sich die Aufsicht der Kirchenvorsteherschaft über die Amtsführung der Pfarrer gemäss § 18 Ziff. 7 EKV nicht auf die geistlichen Belange erstreckt, so besteht sie unbestrittenermassen im Bereich der administrativen Fragen. Diese mögen bei der Verwirklichung des kirchlichen Auftrags zwar weniger im Vordergrund stehen als die geistlichen Aufgaben, doch kommt ihnen im kirchlichen Leben keineswegs eine nur nebensächliche Bedeutung zu. Entgegen der Auffassung des Evangelischen Kirchenrats wird § 29 Abs. 1 KV nicht Genüge getan, wenn der Gemeindepfarrer bei der Behandlung administrativer Fragen, die ihn betreffen, in den Ausstand tritt. Die Verfassungsbestimmung bezweckt vielmehr eine klare Trennung zwischen den Aufsichtsbehörden und den ihnen unmittelbar Unterstellten. Sie will damit die Unabhängigkeit des für die Aufsicht zuständigen Organs gegenüber den Beaufsichtigten gewährleisten. Diese Unabhängigkeit ist nicht in gleichem Masse vorhanden, wenn ein Untergebener zugleich Mitglied der Aufsichtsbehörde ist und nur einzelfallweise in den Ausstand tritt. Umgekehrt hindert die Nichtmitgliedschaft des Pfarrers in der Kirchenvorsteherschaft diese nicht, ihn beratend beizuziehen, namentlich wenn Fragen aus dem geistlichen Bereich zu behandeln sind.
Die Hinweise des Evangelischen Kirchenrats auf den historischen Hintergrund von § 16 Abs. 3 EKV sind im vorliegenden Zusammenhang nicht von Bedeutung. Die frühere Kantonsverfassung kannte keine § 29 Abs. 1 KV entsprechende Bestimmung. Die Meinungsäusserungen zu § 16 Abs. 3 EKV in der vorberatenden Kommission vom 18. März 1983 konnten die erst vier Jahre später beschlossene neue Kantonsverfassung noch nicht mitberücksichtigen.
Es ergibt sich somit, dass die Kirchenvorsteherschaft zumindest im administrativen Bereich die unmittelbare Aufsichtsbehörde des Gemeindepfarrers ist. Eine Verletzung von § 29 Abs. 1 KV liegt aber nur vor, soweit diese Norm auch im hier zu beurteilenden kirchlichen Bereich beachtet werden muss.
c) Nach § 92 Abs. 1 KV ordnet die evangelisch-reformierte Landeskirche des Kantons Thurgau ihre inneren Angelegenheiten selbständig. Die Belange, welche sowohl den staatlichen als auch den kirchlichen Bereich betreffen, regelt sie in einem Erlass, der die demokratischen und rechtsstaatlichen Grundsätze zu wahren hat (§ 92 Abs. 2 KV). Zu den letzteren gehört auch § 29 Abs. 1 KV, wonach niemand seiner unmittelbaren Aufsichtsbehörde angehören darf.
BGE 120 Ia 194 S. 201
Zu den inneren Angelegenheiten der Landeskirchen zählen gemeinhin Lehre, Verkündigung, Kultus, Seelsorge, kirchlicher Unterricht, Mission und karitative Tätigkeit, zu den äusseren Angelegenheiten dagegen Organisation, Mitgliedschaft, Stimm- und Wahlrecht und Finanzordnung (ULRICH HÄFELIN, Kommentar BV, Art. 49, N. 23; UELI FRIEDERICH, Kirchen und Glaubensgemeinschaften im pluralistischen Staat, Diss. Bern, 1993, S. 374 ff.; PETER KARLEN, Das Grundrecht der Religionsfreiheit in der Schweiz, Diss. Zürich, 1988, S. 138 f.). Während die Evangelische Landeskirche des Kantons Thurgau in der Ordnung der inneren Angelegenheiten gemäss § 92 Abs. 1 KV Autonomie geniesst und daher grundsätzlich nicht an die Prinzipien der Thurgauer Kantonsverfassung gebunden ist, besteht eine solche Bindung gemäss § 92 Abs. 2 KV für die äusseren bzw. gemischten Angelegenheiten (vgl. auch KARLEN, a.a.O., S. 283; FELIX HAFNER, Kirchen im Kontext der Grund- und Menschenrechte, 1992, S. 333).
Die in § 18 EKV genannten Aufgaben der Kirchenvorsteherschaft erstrecken sich zu einem erheblichen Teil auf äussere Angelegenheiten. Ebensowenig ist die Tätigkeit der Gemeindepfarrer auf innere Angelegenheiten beschränkt (vgl. § 23 EKV). Auch die Aufsicht der Kirchenvorsteherschaft über die Amtsführung der Pfarrer berührt in einem beträchtlichen Umfang äussere Angelegenheiten. Dies gilt namentlich mit Bezug auf organisatorische, administrative und finanzielle Fragen. Die Bildung und Zusammensetzung der Kirchenvorsteherschaft ist jedenfalls insoweit ebenfalls als äussere Angelegenheit zu betrachten, als deren Tätigkeit äussere Angelegenheiten betrifft.
Die Bestimmung der Zusammensetzung der Kirchenvorsteherschaft kann somit nicht vollständig dem inneren Bereich zugerechnet werden, in dem der Landeskirche Autonomie zukommt. Demzufolge ist gemäss § 92 Abs. 2 KV bei der Umschreibung des Mitgliederkreises der Kirchenvorsteherschaft der Grundsatz von § 29 Abs. 1 KV zu beachten.
d) Wie bereits dargelegt wurde, ist die Kirchenvorsteherschaft zumindest in administrativen Fragen die unmittelbare Aufsichtsbehörde der Pfarrer. In diesem zugleich den äusseren Angelegenheiten zuzurechnenden Bereich ist § 29 Abs. 1 KV auch für die kirchliche Organisation verbindlich. Für eine abweichende Regelung, wie sie § 16 Abs. 3 EKV darstellt, besteht kein Raum. Diese letztere Norm ist daher mit § 29 Abs. 1 KV insoweit nicht vereinbar.
BGE 120 Ia 194 S. 202
Die Genehmigung von § 16 Abs. 3 EKV durch den Grossen Rat des Kantons Thurgau vom 4. November 1985 ändert an dieser Feststellung nichts. Einmal ist zu beachten, dass sie noch unter der Herrschaft der alten Kantonsverfassung von 1869 erfolgte, welche keine § 29 Abs. 1 KV entsprechende Bestimmung enthielt. Die neue Verfassung vom 16. März 1987 trat am 1. Januar 1990 in Kraft und setzte alles früher erlassene Recht, das ihr widersprach, ausser Kraft (§ 96 Abs. 1 KV). Sodann könnte ein Genehmigungsentscheid eines Kantonsparlaments das Bundesgericht nicht hindern, auf staatsrechtliche Beschwerde hin eine mit der Kantonsverfassung im Widerspruch stehende Bestimmung der Kirchenverfassung aufzuheben bzw. als nicht anwendbar zu erklären.
e) Aus den voranstehenden Erwägungen ergibt sich, dass der Evangelische Kirchenrat im vorliegenden Fall § 16 Abs. 3 EKV wegen Widerspruchs zu § 29 Abs. 1 KV nicht hätte anwenden und Pfarrer Klaus S. nicht von Amtes wegen als Mitglied der Kirchenvorsteherschaft Bussnang hätte ansehen dürfen. Sein Entscheid ist in Gutheissung der staatsrechtlichen Beschwerde daher aufzuheben. Zur Herstellung des verfassungsmässigen Zustands hat der Evangelische Kirchenrat einen neuen Entscheid zu fällen, der darauf hinausläuft, dass Pfarrer Klaus S. nicht länger das Amt eines Mitglieds der Kirchenvorsteherschaft Bussnang wird ausüben dürfen. Über die aus diesem Urteil für andere Kirchgemeinden zu ziehenden Konsequenzen ist hier nicht zu befinden, da sich der Streitgegenstand des vorliegenden Falls auf die Zulässigkeit der Mitgliedschaft von Pfarrer Klaus S. in der Kirchenvorsteherschaft Bussnang beschränkt. | public_law | nan | de | 1,994 | CH_BGE | CH_BGE_002 | CH | Federation |
d2cf4735-c68f-4c61-bdab-d140632ab542 | Urteilskopf
133 IV 342
50. Auszug aus dem Urteil der Strafrechtlichen Abteilung i.S. A.S. gegen Generalprokurator des Kantons Bern (Beschwerde in Strafsachen)
6B_324/2007 vom 5. Oktober 2007 | Regeste
Art. 99 Abs. 1 BGG
;
Art. 385 StGB
; echte tatsächliche Noven; Wiederaufnahme des Verfahrens.
Art. 99 Abs. 1 BGG
schliesst echte tatsächliche Noven im bundesgerichtlichen Beschwerdeverfahren aus. Solche können zur Wiederaufnahme des Verfahrens im Sinn von
Art. 385 StGB
berechtigen (E. 2.1).
Ein nach dem kantonal letztinstanzlichen Strafurteil ergangenes Geständnis eines Dritten, er habe die dem Verurteilten vorgeworfene Tat begangen, ist als echtes tatsächliches Novum im Beschwerdeverfahren vor Bundesgericht unzulässig (E. 2.2). | Sachverhalt
ab Seite 342
BGE 133 IV 342 S. 342
Mit Strafmandat vom 30. September 2005 büsste das Untersuchungsrichteramt IV Berner Oberland A.S. wegen "Nichtwahrens eines ausreichenden Abstandes beim Hintereinanderfahren mit Personenwagen, begangen am 16. September 2005, morgens, auf der Autobahn A6, Thun Nord - Thun Süd," im Sinne von
Art. 12 Abs. 1 VRV
und
Art. 34 Abs. 4 SVG
in Anwendung von
Art. 90 Ziff. 1 SVG
mit 300 Franken. Der Gerichtspräsident 6 des Gerichtskreises X Thun bestätigte das Strafmandat am 22. November 2006 im Schuld- wie im Strafpunkt. Er gelangte zur Überzeugung, dass kein vernünftiger Zweifel daran bestehen könne, dass A.S. die
BGE 133 IV 342 S. 343
Verkehrsregelverletzung begangen hatte, auch wenn das betreffende Fahrzeug von mehreren Familienmitgliedern benutzt wurde. Auf Appellation des A.S. hin bestätigte das Obergericht des Kantons Bern am 24. Mai 2007 das erstinstanzliche Urteil vollumfänglich.
Mit Beschwerde in Strafsachen beantragt A.S., das obergerichtliche Urteil aufzuheben und ihn freizusprechen, die Verfahrenskosten aller Instanzen dem Kanton Bern aufzuerlegen und ihm für alle Instanzen eine angemessene Parteientschädigung zuzusprechen.
Das Bundesgericht tritt auf die Beschwerde nicht ein.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
1.
Der Beschwerdeführer bringt vor, er habe bereits in der Appellationsbegründung vom 6. Februar 2007 ausführlich dargelegt, dass keine gehörigen Belastungstatsachen für seine Täterschaft vorlägen, weshalb er darauf verweise. Vor allem aber legt er ein Schreiben des B.S. vom 22. Juni 2007 ins Recht, worin dieser ausführt, er habe das Tatfahrzeug gelenkt. Er mache diese Aussage, damit nicht sein Sohn A.S. zu Unrecht für ein Vergehen bestraft werde, das er nicht begangen habe. Der Beschwerdeführer hält dafür, der angefochtene Entscheid habe B.S. Anlass zum Verfassen dieses Geständnisses geboten, und es sei entscheidend für den Ausgang des Verfahrens, weshalb es sich um ein zulässiges Novum handle.
2.
2.1
Das Bundesgericht legt seinem Urteil den Sachverhalt zu Grunde, den die Vorinstanz festgestellt hat (Art. 105 Abs. 1 des Bundesgesetzes vom 17. Juni 2005 über das Bundesgericht [BGG; SR 173.110]). Der Beschwerdeführer kann tatsächliche Feststellungen nur rügen, wenn sie offensichtlich unrichtig sind oder auf einer Rechtsverletzung beruhen und die Behebung des Mangels den Ausgang des Verfahrens beeinflussen kann (
Art. 97 BGG
). Neue Tatsachen und Beweismittel dürfen nur so weit vorgebracht werden, als erst der angefochtene Entscheid dazu Anlass gab (
Art. 99 Abs. 1 BGG
;
BGE 133 III 393
E. 3 mit Verweis auf die analoge Praxis zur altrechtlichen staatsrechtlichen Beschwerde). Aus der Beschränkung der bundesgerichtlichen Sachverhaltsprüfung auf offensichtlich falsche bzw. willkürliche Feststellungen, wie sie regelmässig bereits in gleicher Weise für die altrechtliche Verwaltungsgerichtsbeschwerde galt (soweit eine richterliche Behörde als Vorinstanz tätig war,
Art. 105 Abs. 2 OG
), hat das Bundesgericht in konstanter Praxis auch für dieses
BGE 133 IV 342 S. 344
Rechtsmittel abgeleitet, dass echte tatsächliche Noven, das heisst solche Tatsachen, die erst nach dem Ergehen des angefochtenen Entscheids aufgetreten sind, unzulässig sind (
BGE 130 II 493
E. 2;
BGE 128 II 145
E. 1.2.1, je mit Hinweisen). Daran wollte der Gesetzgeber für das neurechtliche Beschwerdeverfahren ausdrücklich festhalten (Botschaft des Bundesrates zur Totalrevision der Bundesrechtspflege vom 28. Februar 2001, BBl 2001 S. 4340). Dies ist auch durchaus folgerichtig, haben doch die Kantone nach
Art. 385 StGB
gegenüber Strafurteilen die Wiederaufnahme des Verfahrens zu Gunsten des Verurteilten zu gestatten, wenn erhebliche Tatsachen oder Beweismittel aufgetaucht sind, die dem urteilenden Gericht nicht bekannt waren.
2.2
Das vom Beschwerdeführer eingereichte schriftliche Geständnis seines Vaters datiert vom 22. Juni 2007. Es ist nach dem angefochtenen Urteil vom 24. Mai 2007 entstanden und damit ein echtes tatsächliches Novum; als solches ist es nach dem Gesagten im vorliegenden Beschwerdeverfahren unbeachtlich.
Man könnte sich zudem mit Fug fragen, ob das angefochtene Urteil erst Anlass gab im Sinne von
Art. 99 Abs. 1 BGG
zur Einreichung dieses Beweismittels. Der Vater (einmal vorausgesetzt, das Geständnis entspricht der Wahrheit) wusste bereits während des kantonalen Verfahrens, dass sein Sohn die ihm vorgeworfene Verkehrsregelverletzung nicht begangen haben konnte. Er hat nach seinen eigenen Angaben sein Geständnis nur eingereicht, weil dieses mit der Verurteilung seines Sohnes endete. Es kann nicht der Sinn dieser Bestimmung sein, Nova zuzulassen, nur weil der Ausgang des Verfahrens nicht den Erwartungen des Betroffenen entsprach. Das eingereichte Geständnis ist somit auch aus diesem Grund unbeachtlich. | null | nan | de | 2,007 | CH_BGE | CH_BGE_006 | CH | Federation |
d2d76958-5125-4089-83b6-0832b1489993 | Urteilskopf
102 Ia 88
16. Extrait de l'arrêt du 7 avril 1976 dans la cause C. contre Berne, Chambre pénale de la Cour suprême. | Regeste
Unentgeltlicher Rechtsbeistand im Strafverfahren.
Art. 4 BV
.
Unmittelbar aus
Art. 4 BV
lässt sich der Anspruch auf Bestellung eines Offizialverteidigers in jenen Fällen ableiten, wo die Aussprechung von freiheitsentziehenden Massnahmen oder einer Strafe, deren Dauer die Gewährung des bedingten Strafvollzuges ausschliesst, in Aussicht steht.
In den übrigen Fällen kann ein solcher Anspruch nur dann gestützt auf
Art. 4 BV
anerkannt werden, wenn zur relativen Schwere des Falles besondere tatsächliche oder rechtliche Schwierigkeiten hinzukommen. | Sachverhalt
ab Seite 88
BGE 102 Ia 88 S. 88
Résumé des faits:
Dans une procédure pénale ouverte pour vol, éventuellement brigandage, contre K. et C., ce dernier a demandé qu'on lui désigne un défenseur d'office; sa demande a été rejetée. Par jugement du 17 décembre 1975, le Tribunal de district a reconnu C. coupable de brigandage et l'a condamné à une peine d'emprisonnement ferme de douze mois, sous déduction d'un jour de détention préventive.
C. s'est pourvu en appel auprès de la Chambre pénale de la Cour suprême du canton de Berne et a demandé à nouveau la désignation d'un défenseur d'office; cette demande a été également rejetée par ladite Chambre.
BGE 102 Ia 88 S. 89
Agissant par la voie du recours de droit public, C. requiert le Tribunal fédéral d'annuler la décision de la Chambre pénale de la Cour suprême et de lui désigner un défenseur pour la procédure d'appel.
Erwägungen
Extrait des considérants:
1.
(droit cantonal).
2.
a) Dans l'arrêt Schefer du 8 octobre 1937 (
ATF 63 I 209
), le Tribunal fédéral a relevé qu'en matière pénale, où le jugement repose non sur les faits établis par les parties - comme en matière civile -, mais sur le résultat d'une instruction opérée d'office et dans laquelle les questions de fait et de droit sont résolues indépendamment de l'attitude des intéressés au procès, la garantie des droits des parties résidait en premier lieu dans la procédure elle-même; aussi a-t-il déclaré qu'on ne pouvait pas, en vertu du droit fédéral, exiger des cantons qu'en plus de cette garantie, ils donnent au prévenu le droit à un avocat d'office. Il n'en a pourtant pas tiré la conclusion qu'on pourrait toujours refuser la garantie d'un tel défenseur sans commettre un déni de justice. Il a cependant laissé cette question ouverte, car le droit cantonal en cause n'allait pas jusque-là; il prévoyait au contraire la désignation d'un défenseur d'office dans les affaires graves, pour lesquelles une peine privative de liberté assez longue était à prévoir, ce qui n'était pas le cas en l'espèce. On peut tout de même déduire de cet arrêt que lorsqu'il s'agit d'un cas peu grave, le prévenu ne peut pas se fonder sur l'
art. 4 Cst.
pour prétendre avoir droit à un défenseur d'office.
Dans un arrêt non publié du 29 avril 1959 (Habegger c. Berne, Cour suprême), le Tribunal fédéral a expressément reconnu qu'il y a des cas où, en dépit du principe de l'instruction d'office qui prévaut en procédure pénale, la défense des droits de l'inculpé ne peut être assurée de manière suffisamment efficace que par la désignation d'un défenseur d'office et que l'inculpé a droit à une telle désignation, en vertu de l'
art. 4 Cst.
, s'il risque d'être lésé dans ses droits. Tel est le cas lorsque l'affaire présente, sur des points de fait ou de droit, des difficultés que l'inculpé ou éventuellement son représentant légal ne sont pas en mesure de maîtriser. Le fait que l'infraction soit passible d'une lourde peine ou qu'une lourde
BGE 102 Ia 88 S. 90
peine puisse être envisagée en raison des circonstances n'est pas déterminant à lui seul, mais seulement dans la mesure où une défense d'office apparaît indispensable en raison de difficultés dans les questions de fait ou de droit. Il ne saurait être question de reconnaître à l'inculpé le droit à une défense d'office en vertu de l'
art. 4 Cst.
chaque fois que la peine envisagée dépasse un minimum déterminé (par exemple, une année de réclusion). L'autorité compétente doit au contraire examiner attentivement dans chaque cas si le droit à une défense d'office existe en vertu de l'
art. 4 Cst.
: elle doit tenir compte à cet effet des circonstances spéciales du cas, notamment des difficultés et de la gravité de l'affaire, du niveau d'instruction de l'inculpé et de la possibilité pour un défenseur d'office d'assurer véritablement sa défense.
Dans un arrêt récent (
ATF 100 Ia 187
), le Tribunal fédéral a rappelé sa jurisprudence selon laquelle un droit à la défense d'office ne découle directement de l'
art. 4 Cst.
que lorsque l'affaire n'est pas un cas de peu d'importance (Bagatellfall) et qu'elle présente des difficultés particulières quant aux faits et au droit, difficultés auxquelles l'inculpé et, le cas échéant, son représentant légal ne sont pas en mesure de faire face. Il s'est demandé à ce propos si la jurisprudence de l'arrêt Schefer (
ATF 63 I 209
), limitant la défense d'office aux cas de délits graves, serait encore compatible aujourd'hui avec les principes constitutionnels, mais il n'a pas eu à trancher cette question, seule la défense d'office en raison d'une longue détention préventive étant alors en cause.
b) En règle générale, il faut maintenir le principe selon lequel la gravité d'une infraction ne suffit pas à elle seule à faire naître le droit à la désignation d'un défenseur d'office en vertu de l'
art. 4 Cst.
, ainsi notamment lorsque l'inculpé a avoué, que les faits sont clairement établis et que leur qualification juridique ne pose guère de problème.
On pourrait cependant retenir, comme ligne de conduite, qu'un tel droit devrait être reconnu lorsque, indépendamment des difficultés de fait ou de droit que l'affaire peut présenter, il faut s'attendre au prononcé d'une peine dont la durée exclut l'octroi du sursis, ou au prononcé de mesures privatives de liberté (notamment l'internement au sens de l'
art. 42 CP
); mais il ne s'agit là que d'un principe général, dont l'autorité pourrait s'écarter en raison de circonstances particulières.
BGE 102 Ia 88 S. 91
Dans les autres cas, le droit à la désignation d'un défenseur d'office ne pourrait être reconnu en vertu de l'
art. 4 Cst.
que si, à la gravité relative du cas, s'ajoutaient des difficultés particulières quant aux faits ou au droit, ces divers éléments devant faire l'objet d'un examen attentif de l'autorité requise, dans chaque cas particulier.
c) En l'espèce, le recourant a été condamné à douze mois d'emprisonnement, soit à une peine qui n'exclut pas le sursis en principe; s'il n'a pourtant pas bénéficié du sursis, c'est, semble-t-il, en raison de ses condamnations antérieures. Il n'y a guère lieu de s'attendre à un recours joint du Ministère public ni, partant, à une aggravation de la peine.
En revanche, le cas ne paraît pas si simple, en fait et en droit, que le prétend la Chambre pénale du Tribunal cantonal. Si C. admet s'être livré à des voies de fait sur le lésé W. pour se venger des prétendues injures qu'il en aurait reçues, et à la suite de quoi W. aurait été amené à remettre son enveloppe de paie au coaccusé K., il n'a en revanche pas reconnu avoir voulu le faire en vue d'atteindre ce dernier but. Il s'agit là d'un délicat point de fait (cf.
ATF 100 IV 121
s., 182 consid. 3 b), dont l'importance est déterminante pour la qualification juridique de l'infraction et, partant, pour la détermination de la peine. Il pourrait aussi se poser des questions quant à la mesure de la participation de l'inculpé à l'infraction (coauteur, complice). Aussi le recourant a-t-il notamment demandé l'audition, comme témoin, de l'épouse de K., qui aurait été l'instigatrice de ce mauvais coup.
Pour ces différentes raisons, on doit admettre qu'à défaut d'être assisté d'un défenseur d'office pour la procédure d'appel, le recourant risque sérieusement de n'être pas en mesure d'assurer valablement sa défense, ce qui serait contraire aux principes découlant de l'
art. 4 Cst.
Il est vrai que C. est assisté de son tuteur, fonctionnaire de l'office des tutelles, lequel a certes entrepris des démarches utiles et notamment rédigé le présent recours. Mais il n'est pas juriste et on ne saurait attendre de lui qu'il maîtrise les délicats problèmes évoqués ci-dessus. D'ailleurs, le rédacteur du présent recours n'y a pas soulevé un des griefs - fondés sur le droit cantonal - qui aurait peut-être pu conduire à lui seul à l'admission du recours.
d) En conclusion, la décision attaquée doit être déclarée
BGE 102 Ia 88 S. 92
incompatible avec les principes déduits de l'
art. 4 Cst.
et, partant, annulée.
En raison du caractère en principe cassatoire du recours de droit public, il n'appartient pas à la chambre de céans d'accorder elle-même l'assistance judiciaire requise (
ATF 99 Ia 326
consid. 1b). Comme l'annulation replace l'affaire en l'état où elle se trouvait avant que la décision attaquée ne soit rendue, l'autorité cantonale devra statuer à nouveau, en tenant compte des considérants du présent arrêt, sur la requête dont elle avait été saisie.
Dispositiv
Par ces motifs, le Tribunal fédéral:
Admet le recours et annule la décision attaquée. | public_law | nan | fr | 1,976 | CH_BGE | CH_BGE_002 | CH | Federation |
d2da504b-29ab-46bf-ad81-2c8cac3fbc03 | Urteilskopf
93 II 185
26. Extrait de l'arrêt de la IIe Cour civile du 9 mars 1967 dans la cause Bourgeoisie de Chermignon contre Burgener et consorts. | Regeste
Errichtung einer Bauverbots-Dienstbarkeit gegen Zahlung einer jährlichen Abgabe.
Natur der Vereinbarung.
Die Uneinigkeit der Parteien über die Höhe der Abgabe (die nach 50 Jahren neu festgesetzt werden sollte) lässt die Dienstbarkeit nicht dahinfallen.
Festsetzung dieses Betrages durch den Richter. | Sachverhalt
ab Seite 186
BGE 93 II 185 S. 186
Résumé des faits:
Le 11 octobre 1912, la Bourgeoisie de Chermignon a vendu à Marc Burgener, Dominique Clivaz et Alfred Jaeckle une parcelle de 25 000 m2, sise à Chorecrans, sur le territoire de la commune de Chermignon, pour le prix de 2 fr. le m2, soit au total 50 000 fr. Les acquéreurs s'engageaient à édifier sur la parcelle vendue un ou plusieurs hôtels d'une valeur imposable d'un million de francs au minimum. La Bourgeoisie s'obligeait de son côté à ne pas construire sur les fonds voisins, dont elle demeurait propriétaire, moyennant le paiement par les acquéreurs ou leurs ayants cause d'une redevance annuelle de 0,01 fr. par m2. La redevance était fixée pour un terme de 50 ans dès l'homologation de la convention par le Conseil d'Etat. A l'expiration de ce terme, une nouvelle convention devait être passée au sujet du prix. Le Conseil d'Etat du canton du Valais a homologué la convention le 7 février 1913. Les acquéreurs ont construit en 1928 l'Hôtel Carlton, qui est compris dans la station de Crans sur Sierre et qui est exploité actuellement par une société anonyme.
Le 4 décembre 1962, la Bourgeoisie de Chermignon a introduit contre Donato Burgener et consorts, ayants cause des acquéreurs qui avaient signé le contrat de 1912, une action tendant à faire prononcer que la servitude de non-bâtir avait cessé d'exister dès le 7 février 1963, du moment que les parties n'avaient pas pu se mettre d'accord pour fixer la nouvelle redevance, et que cette servitude devait être radiée au registre foncier. Subsidiairement, la demanderesse requérait une augmentation de la redevance.
Les défendeurs ont conclu au rejet de la demande. Ils ont proposé que la redevance fût majorée en fonction de la dépréciation de la monnaie ou, subsidiairement, fixée par le juge.
Statuant le 15 juin 1966, le Tribunal cantonal valaisan a rejeté la demande principale et fixé la redevance annuelle à 0,40 fr. par m2 grevé de la servitude d'interdiction de bâtir.
Le Tribunal fédéral a rejeté le recours en réforme de la Bourgeoisie de Chermignon.
BGE 93 II 185 S. 187
Erwägungen
Extrait des considérants:
2.
L'acte du 11 octobre 1912 est un contrat complexe dans lequel les parties ont combiné notamment une vente immobilière avec la constitution, moyennant paiement d'une redevance annuelle, d'une servitude de non-bâtir en faveur des acheteurs, grevant une partie de la surface dont la venderesse conservait la propriété. Les parties ont fixé le montant de la redevance pour la durée de cinquante ans et prévu qu'à ce terme, elles passeraient une nouvelle convention pour régler le prix. Le terme échu, elles n'ont pas réussi à s'entendre au sujet de la redevance. Selon la recourante, leur désaccord sur ce point, qualifié par elle d'essentiel, entraînerait la caducité de la servitude et sa radiation au registre foncier.
L'argumentation développée à l'appui du recours se heurte au texte même, au but et au sens de la convention. Les parties n'ont pas déclaré qu'à défaut d'accord sur le montant de la redevance, après cinquante ans, la servitude deviendrait caduque. Elles ne l'ont pas davantage admis implicitement. Elles ont constitué la servitude d'interdiction de bâtir pour une durée indéterminée, comme c'est la règle (LIVER, Kommentar zum ZGB, n. 62 ad art. 730 CC). Le but visé par les contractants exigeait d'ailleurs qu'il en fût ainsi. En effet, la recourante a vendu un terrain de 25 000 m2 aux auteurs des intimés, qui s'engageaient à y construire un ou plusieurs hôtels d'une valeur d'un million de francs. Elle cherchait de la sorte à promouvoir l'essor d'une station touristique. Pour assurer le dégagement, la lumière, la vue et la tranquillité nécessaires à l'exploitation des hôtels projetés, elle a constitué en faveur des acquéreurs une servitude qui interdisait de construire sur une vaste surface. Par sa nature même, l'intérêt à cette servitude n'était pas limité dans le temps, mais au contraire permanent et durable. Plus la station se développait, plus il était utile aux propriétaires des fonds dominants de conserver un espace non bâti qui ménage la tranquillité des lieux et laisse la vue libre. La Cour cantonale relève que l'utilité de la servitude a plutôt augmenté que diminué. Les citadins désirent toujours plus fuir la promiscuité des villes et séjourner dans un endroit calme qui présente un paysage agréable. Déjà valables en 1912, ces considérations le sont plus encore aujourd'hui. Aussi ne saurait-on admettre, en l'absence d'une clause contractuelle qui le dispose expressément,
BGE 93 II 185 S. 188
que la servitude soit devenue caduque parce que les parties ne se sont pas entendues sur le montant de la nouvelle redevance.
4.
Contrairement à l'opinion de la recourante, le Tribunal cantonal n'a pas violé l'art. 2 al. 2 CO en fixant la redevance sur laquelle les parties n'ont pas pu s'entendre. Cette disposition légale est certes mentionnée dans le jugement attaqué, mais avec la précision qu'elle serait applicable par analogie plutôt que directement. Il est vrai que l'art. 2 al. 2 CO ne confère au juge, à défaut d'accord entre les parties contractantes, le pouvoir de régler que les points secondaires en tenant compte de la nature de l'affaire. Mais le texte légal en question n'épuise pas tous les cas où le juge intervient pour fixer les effets d'un contrat; la doctrine cite d'autres hypothèses (cf. par exemple W. YUNG, Les éléments objectifs dans les contrats, Etudes de droit commercial en l'honneur de Paul Carry, Genève 1964, p. 178 ch. 4).
Point n'est besoin d'envisager en l'espèce l'application de la clausula rebus sic stantibus, du moment que les parties sont elles-mêmes convenues d'une revision de la redevance après cinquante ans (cf. RO 88 I 189 consid. 6). Le litige porte uniquement sur le montant de la redevance, soit de la contreprestation que les bénéficiaires de la servitude doivent fournir, en vertu du contrat, au propriétaire du fonds servant. Peu importe à cet égard que l'on considère la constitution d'une servitude moyennant une contre-prestation comme une vente (WIELAND, Sachenrecht, n. 4 a ad art. 731 CC) ou comme un contrat innommé (cf. LIVER, op.cit., n. 49 ss. ad art. 732 CC). De toute manière, la Cour cantonale n'a pas complété le contrat sur un point essentiel que les parties n'auraient ni réglé ni même envisagé en 1912, mais elle a suppléé au défaut d'accord des parties sur le montant de la nouvelle redevance due par les intimés à partir du 7 février 1963, terme de revision prévu dans le contrat. Or il suffit que le contenu et l'étendue des prestations promises soient déterminables pour que le contrat vienne à chef (VON TUHR/SIEGWART, Allgemeiner Teil des schweizerischen Obligationenrechts, tome I, § 24 V p. 182; cf. art. 184 al. 3 CO pour la détermination du prix de vente). Cela vaut à plus forte raison lorsque le juge n'est pas appelé à compléter un contrat qui présentait une lacune dès son origine, mais seulement à en préciser ultérieurement les effets, à défaut d'accord des parties sur un point qu'elles avaient soumis elles-mêmes
BGE 93 II 185 S. 189
à une revision. Le juge fixe alors l'étendue de la prestation due selon l'équité, en tenant compte des éléments que lui fournit le contrat (VON TUHR, loc.cit.) et des circonstances (cf. art. 184 al. 3 CO). Ainsi, le Tribunal fédéral a déterminé la quantité de litres/minute que le bénéficiaire d'une servitude de prise d'eau était en droit de prélever (RO 88 II 507 s. consid. 5). De même, il est appelé parfois à modifier une redevance fixée dans une concession pour l'utilisation de la force hydraulique et soumise à revision; il a précisé que la redevance devait alors être adaptée dans la mesure où les facteurs qui avaient concouru à sa fixation se trouvaient eux-mêmes modifiés, afin de lui conférer une valeur constante et de maintenir les deux parties dans la situation initiale qu'elles avaient créée par leur accord (RO 88 I 187). Le juge suit les mêmes principes, comme l'a relevé la Cour cantonale, lorsqu'il intervient, en vertu de l'art. 2 CC sur lequel repose la clausula rebus sic stantibus, pour rétablir l'équilibre contractuel gravement rompu par des circonstances imprévisibles (cf. RO 59 II 374 ss.; MERZ. Kommentar, n. 189, 221 ss. ad art. 2 CC; MERZ, Die Revision der Verträge durch den Richter, RDS 1942, p. 394 a ss.; DESCHENAUX, La revision des contrats par le juge, RDS 1942, p. 511 a ss.). | public_law | nan | fr | 1,967 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
d2dae7a1-0a51-4b21-a135-467bf0709876 | Urteilskopf
101 Ia 592
91. Estratto della sentenza del 12 dicembre 1975 nella causa Fioroni, Cazzaniga e Prampolini contro Ministero pubblico della Confederazione. | Regeste
Europäisches Auslieferungsübereinkommen; schweizerisches Auslieferungsgesetz (AuslG).
1. Beidseitige Strafbarkeit. Eine unterschiedliche rechtliche Qualifikation der dem Verfolgten zur Last gelegten Taten durch den ersuchenden Staat einerseits und den ersuchten Staat anderseits steht der Auslieferung nicht entgegen; diese muss bewilligt werden, wenn sowohl nach der einen wie der andern Qualifikation die fragliche Handlung unter jene Straftatbestände fällt, für die im Übereinkommen die Auslieferung vorgesehen ist (E. 5a).
2. Begünstigung. Die Begünstigung einer Handlung, für welche die Auslieferung bewilligt ist, begründet ihrerseits die Auslieferung, sei das AuslG anwendbar oder das Übereinkommen (E. 5).
3. Territorialitätsprinzip. Die Anwendung dieses Grundsatzes darf nicht die Gefahr hervorrufen, dass die Verfolgung der Straftat verunmöglicht oder behindert wird. Falls die Gerichtsbarkeit beider Staaten oder allein des ersuchenden Staates von der endgültigen Qualifikation der Tat abhängt, kann die Auslieferung nur verweigert werden, wenn die Qualifikation der Handlung, welche die Zuständigkeit des ersuchten Staates begründet, klar ist; andernfalls muss dem Auslieferungsbegehren des Staates, der unabhängig von der endgültigen Qualifikation der Straftat in jedem Falle zur Strafverfolgung zuständig wäre, entsprochen werden (E. 6). | Sachverhalt
ab Seite 594
BGE 101 Ia 592 S. 594
Carlo Fioroni, Maria Cristina Cazzaniga e Franco Prampolini, cittadini italiani, sono stati fermati il 16 maggio 1975 dalla polizia cantonale ticinese a Lugano mentre stavano compiendo operazioni di cambio. Dai successivi accertamenti è risultato che 63 banconote italiane da Lire italiane 10'000 trovate in loro possesso provenivano dall'importo di Lire italiane 470'000'000 che i familiari dell'ing. Carlo Saronio di Milano, rapito nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1975 e attualmente non ancora liberato, avevano versato per il di lui riscatto.
Con nota 6 giugno 1975, fondandosi sull'ordine di cattura 19 maggio 1975 del Sostituto Procuratore della Repubblica di Milano, l'Ambasciata d'Italia a Berna chiedeva a nome del Governo Italiano l'estradizione di Fioroni, Cazzaniga e Prampolini, nel frattempo posti in stato di arresto a titolo estradizionale, per concorso nel reato di sequestro di persona a scopo di rapina o estorsione ai danni di Carlo Saronio. Con nota successiva l'Ambasciata di Italia estendeva, per il solo Fioroni, la domanda di estradizione al reato di partecipazione a banda armata e ad associazione sovversiva.
I ricercati si sono opposti all'estradizione. Il Dipartimento federale di giustizia e polizia ha trasmesso gli atti al Tribunale federale, allegando il rapporto della divisione della polizia e le osservazioni del Ministero pubblico della Confederazione, concludenti per la concessione dell'estradizione per il reato di sequestro di persona, e per il rifiuto dell'estradizione per il reato di partecipazione a banda armata e ad associazione sovversiva.
Il Tribunale ha accordato l'estradizione all'Italia di Fioroni, Cazzaniga e Prampolini per l'imputazione di concorso nel reato di sequestro di persona a scopo di rapina o estorsione, e l'ha rifiutata per l'imputazione, mossa al solo Fioroni, di partecipazione a bande armate e ad associazioni sovversive.
BGE 101 Ia 592 S. 595
Erwägungen
Considerato in diritto:
5.
In realtà, le opposizioni sollevate dalla Cazzaniga e - soprattutto - da Prampolini, hanno tratto alla qualificazione giuridica della fattispecie. Mentre la domanda d'estradizione deduce dai fatti ritenuti contro i ricercati ch'essi hanno partecipato - come coautori o complici - al rapimento dell'ing. Saronio, secondo gli opponenti le circostanze a loro carico consentono - tutt'al più - la prevenzione di ricettazione o quella di favoreggiamento.
a) Una diversa qualificazione giuridica dei fatti addebitati ai ricercati da parte dello Stato richiedente e dello Stato richiesto non osta necessariamente all'estradizione. Questa ha da esser in ogni modo concessa, se, tanto secondo l'una quanto secondo l'altra qualificazione, la fattispecie rientra nel novero di quelle, per le quali l'estradizione è prevista dal trattato. Per questo, nella giurisprudenza del Tribunale federale, il problema della qualificazione è sempre Stato esaminato solo con riferimento alla natura estradizionale del reato ed alla esigenza della doppia incriminazione (
DTF 77 I 55
consid. 3;
DTF 87 I 200
;
DTF 88 I 41
;
DTF 92 I 115
segg. consid. 2, 387 consid. 2;
DTF 101 Ia 63
;
DTF 101 Ia 423
consid. 4). Con ciò si tiene, tra l'altro, conto della circostanza che l'obbligo di estradare sussiste per una fattispecie, la cui qualificazione penale, al momento in cui l'estradizione è richiesta, potrebbe per le incomplete risultanze dell'inchiesta ancor essere incerta (
DTF 57 I 294
;
DTF 101 Ia 63
;
DTF 101 Ia 410
). D'altro canto neppure il principio della specialità dell'estradizione (consacrato dall'art. 14 della Convenzione) osta a che lo Stato richiedente valuti, a estradizione intervenuta, in modo diverso dal punto di vista giuridico la fattispecie posta alla base dell'estradizione, alla condizione tuttavia che l'atto perseguito rientri sempre nel novero dei reati giustificanti l'estradizione, e che, in concreto, non si debba ritenere che l'estradizione sarebbe stata rifiutata sulla scorta di codesta altra qualifica (
DTF 101 Ia 409
e segg. e riferimenti di dottrina ivi addotti).
b) In applicazione di questi principi i requisiti dell'estradizione sarebbero adempiuti - sotto il profilo in esame - anche se si dovesse ammettere che i fatti ritenuti a carico di Cazzaniga e Prampolini consentono solo le imputazioni di ricettazione o di favoreggiamento reale.
BGE 101 Ia 592 S. 596
Infatti il reato di ricettazione è punito tanto dal diritto italiano (art. 648 CPI), quanto da quello svizzero (art. 144 CPS), con pene edittali superiori ai minimi previsti dalla Convenzione (art. 2, § 1): in Svizzera è comminata la reclusione sino a 5, in Italia sino a 6 anni. Il reato figura nell'elenco (IV, n. 19). Come il Tribunale federale ha recentemente riconosciuto (sentenza Tani del 4 giugno 1975, consid. 2 non pubblicato), tanto per il diritto svizzero - esplicitamente - quanto per quello italiano - implicitamente - è richiesto, quale condizione soggettiva del reato, che l'autore conoscesse o dovesse presumere la provenienza illecita della cosa. Certo, il diritto italiano pone inoltre l'esigenza che l'autore agisca per fine di lucro, mentre nel diritto svizzero ciò non è richiesto e si rende colpevole di ricettazione anche chi agisce disinteressatamente. Ma, per il diritto italiano, in tale ipotesi l'autore non sfugge alla persecuzione penale, ma si rende colpevole del reato di favoreggiamento reale (art. 379 CPI). Anche questo meno grave reato adempie i requisiti circa la misura della pena edittale (reclusione sino a 5 anni) (cfr. V. MANZINI, trattato di diritto penale italiano, vol. V, n. 1696 e vol. IX, n. 3465 e i riferimenti di dottrina e giurisprudenza ivi addotti). Ne viene che alla ricettazione del diritto svizzero fanno riscontro in quello italiano, alternativamente, due reati, e che per tutti le condizioni d'estradizione sono adempiute.
c) Anche se si volesse ritenere a carico degli opponenti il reato di favoreggiamento (art. 305 CPS), al quale fa riscontro nel diritto italiano il delitto di favoreggiamento personale (art. 378 CPI), in casu nell'ipotesi formulata nel primo capoverso di tale disposto, i requisiti della doppia incriminazione e della misura della pena (in Svizzera, detenzione sino al massimo di tre anni, art. 305 e 36 CPS; in Italia, sino a 4 anni, art. 378 CPI) sarebbero adempiuti.
Certo, l'elenco notificato dalla Svizzera al Consiglio di Europa non prevede espressamente, contrariamente alla ricettazione, il reato di favoreggiamento. Tuttavia devesi ritenere che, in quanto riferito ad un reato compreso nell'elenco, anche il favoreggiamento dia luogo ad estradizione, per i seguenti motivi.
aa) Considerati nel diritto penale comune come forme di partecipazione, ricettazione e favoreggiamento sono assurti, nelle più moderne legislazioni, CPS e CPI compresi, a reati
BGE 101 Ia 592 S. 597
autonomi (SCHULTZ, pag. 27). Sotto il profilo estradizionale, la loro situazione è però diversa.
La legge federale sull'estradizione del 1892 ha fatto della ricettazione un reato autonomo, contemplandola come tale all'art. 3, IV, n. 19. Quando l'estradizione non è retta dalla legge, ma da un trattato bilaterale, occorre distinguere a seconda dell'epoca di conclusione di questo. Per trattati, stipulati posteriormente al 1892, vale di regola la presunzione ch'essi siano stati conclusi dalla Svizzera in conformità col proprio diritto estradizionale interno. Per fondare l'estradizione, occorre quindi di norma che la ricettazione sia menzionata espressamente nel trattato (SCHULTZ, pag. 282). Per trattati bilaterali, conclusi prima del 1892, devesi per contro ricercare a quale nozione di partecipazione i contraenti si siano al momento della conclusione ispirati, e la ricettazione sarà reato estradizionale se le parti si sono riferite alla nozione larga di partecipazione del diritto comune, a nulla rilevando che, nel diritto penale interno, la ricettazione sia assurta nel frattempo a reato autonomo (SCHULTZ, op.cit., pagg. 277/8 e passim, nonché giurisprudenza citata).
bb) Quanto al favoreggiamento, la legge federale sull'estradizione (art. 3 cpv. 2) lo ha bensì terminologicamente distinto dalla partecipazione [(chiamata, nel testo tedesco "Teilnahme" (Anstiftung und Gehilfenschaft), in quello francese "participation" (instigation et complicité) ma in quello italiano "complicità" (istigazione ed ausilio)]. Ma il legislatore ha lasciato inserito il favoreggiamento al cpv. 2 dell'
art. 3 LEstr
. cioè in una disposizione generale, che si applica a tutti i reati che, secondo il cpv. 1, danno luogo ad estradizione, e lo ha equiparato al tentativo, all'istigazione ed alla complicità (SCHULTZ, op.cit., pag. 282 e note). Quando è applicabile la LEstr. il favoreggiamento di un reato estradizionale previsto al cpv. 1 dell'art. 3 stessa legge dà quindi luogo all'estradizione, se sono, beninteso, adempiute le altre condizioni. Se all'estradizione è invece applicabile un trattato bilaterale, occorre ricercare se sulla scorta del trattato - esplicitamente o implicitamente - il favoreggiamento di un reato, per il quale l'estradizione è prevista - dia a sua volta luogo all'estradizione o meno (SCHULTZ, op.cit., pag. 283 segg., v. anche pag. 111, nota 183).
BGE 101 Ia 592 S. 598
Per quanto riguarda la Convenzione europea, nel preambolo dell'elenco dei reati che autorizzano l'estradizione, notificato al Consiglio d'Europa, è fatto espresso riferimento all'art. 3 della legge federale del 22 gennaio 1892. Ora, come s'è visto, nel capoverso 2 di tale disposto è espressamente prevista l'estradizione per il favoreggiamento di uno dei reati menzionati al capoverso precedente. È vero che nel preambolo dell'elenco notificato al Consiglio d'Europa, accanto al riferimento all'
art. 3 LEstr
., di cui rende nota l'applicabilità, la Svizzera si è limitata a specificare che secondo tale disposto l'estradizione potrà essere concessa per i "fatti seguenti, compreso il tentativo e la partecipazione".
Un'interpretazione meramente testuale del termine "partecipazione", che porterebbe all'esclusione della possibilità di estradare, non è però ammissibile. Non v'è infatti alcun motivo di ritenere che, aderendo alla Convenzione, e avvalendosi della facoltà conferitale dall'art. 2 §§ 3 e 4 di questa, la Svizzera abbia voluto limitare l'obbligo generale di estradare previsto dalla Convenzione in misura maggiore di quanto stabilito dal proprio diritto estradizionale interno. Ciò trova riscontro nei lavori legislativi, in cui si rileva che "sembra opportuno di limitare, conformemente all'art. 2, § 3 della Convenzione, l'applicazione della medesima ai reati menzionati nella legge" (cfr. Messaggio del Consiglio federale del 1o marzo 1966, FF 1966 I pag. 431), e in modo affatto generale, è confermato dall'attitudine della Svizzera su altri punti, ov'essa, con le sue dichiarazioni, è andata oltre quanto strettamente richiesto dalla Convenzione (così in materia d'estradizione accessoria, cfr.
DTF 101 Ia 420
, consid. 1b; FF 1966 I pagg. 431/34). Se ne deve concludere che il favoreggiamento di un reato, per cui l'estradizione è concessa, fonda a sua volta l'estradizione così quando è applicabile la LEstr., come quando è applicabile la Convenzione.
6.
La diversità di qualificazione suscita però problemi sotto il profilo del principio di territorialità. Sfiorata di transenna nell'opposizione di Prampolini, la questione va esaminata d'ufficio.
Se, con gli opponenti, si ritiene che la fattispecie loro addebitata può esser qualificata soltanto quale ricettazione, si deve allora ammettere che, almeno parzialmente, le infrazioni sono state commesse in territorio svizzero, ove l'operazione di "reciclaggio" del riscatto ha avuto luogo.
BGE 101 Ia 592 S. 599
L'art. 7 della Convenzione conferisce in tal caso alla Svizzera la facoltà di rifiutare l'estradizione, e le dichiarazioni e riserve formulate nel decreto federale del 27 settembre 1966 agli art. 7 e 8 della Convenzione, gliene impongono il dovere, con l'unica riserva del caso in cui l'estradizione debba esser comunque accordata a dipendenza di altre infrazioni commesse sul (solo) territorio dello Stato richiedente. Questa situazione eccezionale non potendosi verificare, per l'impossibilità che i ricercati siano contemporaneamente autori o complici del delitto di sequestro di persona, e ricettatori del productum sceleris, l'estradizione dovrebbe essere negata (
DTF 101 Ia 402
/403 consid. 3a e b;
DTF 43 I 66
e riferimenti;
DTF 78 I 39
segg., consid. 4b).
a) Il principio della territorialità, cui la Svizzera si attiene, sgorga dall'idea che lo Stato, sul territorio del quale l'infrazione è stata commessa, ha il dovere primordiale di perseguirla e punirla, e non può esentarsene facendo capo all'estradizione, e consentendo che altri esercitino le sue prerogative e gli si sostituiscano nella repressione del reato (cfr.
DTF 101 Ia 403
, e dottrina ivi menzionata).
Il principio, tuttavia, non ha portata assoluta, e concorre con altri che, secondo le circostanze, possono prevalere su di esso. Che ciò sia il caso, è dimostrato dal fatto che, in virtù della Convenzione e delle dichiarazioni ad essa relative, la Svizzera, pur confermando di volersi attenere al principio della territorialità, si è riconosciuta la facoltà di applicarlo o di rinunciarvi, quando il ricercato debba comunque esser estradato per infrazioni commesse nella giurisdizione dello Stato richiedente, ed appaia opportuno, segnatamente allo scopo di favorire la sua riclassificazione sociale, di giudicarlo in una sola e stessa procedura per tutti i reati a suo carico (DF, art. 2, ad art. 7 e 8 della Convenzione; cfr. Messaggio FF 1966 I pag. 435).
Volto a garantire l'esercizio del diritto-dovere dello Stato di punire il reato, il principio della territorialità non deve, nella sua concreta applicazione, far sorgere il rischio che la persecuzione del reato sia resa impossibile o venga intralciata. In tal caso, il principio che vuole che le violazioni dell'ordinamento penale siano punite prevale su quello, in virtù del quale spetta ad un determinato Stato di provvedervi.
BGE 101 Ia 592 S. 600
Tale rischio sussiste in un caso come il presente, in cui, a dipendenza della qualificazione che si darà in definitiva al reato, la competenza giurisdizionale potrebbe sussistere, in applicazione del principio territoriale, in entrambi gli Stati, o soltanto nello Stato richiedente. In tal caso l'estradizione può esser rifiutata solo allorquando la qualificazione del reato, che fonda la giurisdizione dello Stato richiesto, sia chiara. In caso contrario, va dato seguito alla domanda d'estradizione dello Stato che, qualunque sia la qualificazione definitiva del reato, avrebbe in ogni caso giurisdizione per perseguirlo.
Sulla scorta di questo principio, ispirato dalle esigenze di collaborazione internazionale, si deve concludere che la regola della territorialità non osta, in casu, all'estradizione. Infatti:
b) L'imputazione di concorso in sequestro di persona, formulata dall'Italia nei confronti di Fioroni, poggia su seri indizi, sì vero che il ricercato stesso non contesta neppure che essi, oltre le sue stesse dichiarazioni, appaiano sufficienti per fondare il mandato di cattura.
Altrettanto può affermarsi per Maria Cristina Cazzaniga. Non soltanto risulta ch'essa conosceva la vittima, ma che insieme a Fioroni, sotto falso nome e spacciandosi per la di lui moglie, aveva pernottato, in epoca prossima al sequestro (marzo 1975) in casa Saronio a Milano e a Bogliasco. Da questo soggiorno sembrano trarre la loro origine le informazioni, di cui si sono avvalsi i rapitori per qualificarsi nei confronti della famiglia Saronio ed esigere il pagamento del riscatto. Risulta inoltre che la Cazzaniga, nell'aprile 1975, condusse con la sua vettura il Fioroni da Milano a Treviglio, dove questi si incontrò con persone implicate verosimilmente nel rapimento; inoltre sembra che nella sua vettura sia stato rintracciato un rotolo di nastro adesivo, la cui parte mancante sarebbe servita ad atti preparatori precedenti l'incontro tra i rapitori e il rappresentante della famiglia Saronio. Risulta infine che, su richiesta del Fioroni, essa aveva ospitato nel suo appartamento di Milano, nell'estate del 74, certo Carlo Casiraghi e la di lui amante, che appaiono implicati nel sequestro, ed ancora che a Fioroni essa ha fornito un passaporto sottratto ad un amico. Questi elementi sono sufficienti per affermare che, allo stadio attuale dell'inchiesta, l'ipotesi che alla Cazzaniga sia imputabile solo il reato di ricettazione o di favoreggiamento reale non appare affatto sicura, e che l'imputazione
BGE 101 Ia 592 S. 601
di concorso in sequestro, formulata dall'autorità italiana, poggia su indizi concreti.
Anche per Prampolini, nonostante siano più tenui, gli elementi attuali non consentono di derubricare senz'altro all'imputazione di sola ricettazione l'accusa formulata. Sono le sue relazioni, che sembrano esser state strette, col Fioroni a indiziarlo. Inoltre, dopo aver asserito di non aver mai conosciuto le altre persone indicate da Fioroni come i probabili esecutori materiali del sequestro, egli ha dovuto ammettere di aver conosciuto tanto il Casiraghi quanto la Carobbio, e d'essersi con loro intrattenuto insieme col Fioroni.
c) D'altronde, l'estradizione all'Italia non impegna affatto quest'ultima a perseguirvi i ricercati per sequestro di persona, ma, senza violazione del principio della specialità (supra, consid. 5a), le consente, anzi, l'obbliga, a processarli unicamente per ricettazione o favoreggiamento reale se dovesse risultare successivamente che i ricercati si sono limitati ad intervenire a sequestro compiuto e riscatto pagato.
d) Questo modo di vedere è per di più conforme alle conclusioni che il Procuratore pubblico sopracenerino ha tratto dall'inchiesta esperita a Lugano. Col decreto d'accusa del 30 maggio 1975 egli si è infatti limitato a perseguire Fioroni per falsità in certificati ed entrata illegale, ed ha abbandonato il procedimento incoato per ricettazione. È vero che dal dispositivo potrebbe dedursi che il Procuratore si sia ritenuto incompetente per esser la ricettazione avvenuta (soltanto) in Italia; ma dalla motivazione risulta invece chiaramente che l'imputazione di ricettazione è caduta perché in Italia è stata formulata l'accusa di sequestro di persona a carico di tutti i ricercati.
Dispositiv
Il Tribunale federale pronuncia:
1. L'opposizione è respinta ed è accordata l'estradizione all'Italia di Carlo Fioroni, Maria Luisa Cazzaniga e Franco Prampolini per i fatti ritenuti nel mandato di cattura del 19 maggio 1975 del Sostituto Procuratore della Repubblica di Milano motivanti l'imputazione di concorso nel reato di sequestro di persona a scopo di rapina e d'estorsione.
2. L'opposizione di Carlo Fioroni è accolta ed è rifiutata l'estradizione all'Italia per i fatti motivanti le imputazioni di
BGE 101 Ia 592 S. 602
partecipazione a bande armate e associazioni sovversive, di cui al mandato di cattura del 24 dicembre 1974 del Giudice istruttore presso il Tribunale civile e penale di Torino.
3. ... | public_law | nan | it | 1,975 | CH_BGE | CH_BGE_002 | CH | Federation |
d2dd486a-5119-492c-804f-8ce8717e31b3 | Urteilskopf
139 III 120
16. Extrait de l'arrêt de la Ire Cour de droit civil dans la cause X. contre Banque Y. SA (recours en matière civile)
4A_425/2012 du 26 février 2013 | Regeste
Anschein der Befangenheit eines beisitzenden Richters (
Art. 47 ZPO
,
Art. 30 Abs. 1 BV
und
Art. 6 Ziff. 1 EMRK
); Entdeckung eines Ablehnungsgrundes nach Abschluss des Verfahrens (
Art. 51 Abs. 3 und
Art. 328 Abs. 1 ZPO
).
Ein Rechtsanwalt, der die Funktion eines beisitzenden Richters in einer Berufungsinstanz in Mietsachen bekleidet, erscheint objektiv als befangen, wenn er in einem anderen hängigen Verfahren die Gegenpartei einer der vor dieser Instanz prozessierenden Parteien vertritt (E. 3.2).
Prozessrechtliche Folgen der Entdeckung eines Ausstandsgrundes nach der Mitteilung des kantonalen Entscheides, aber vor Ablauf der Rechtsmittelfrist (E. 3.1). | Sachverhalt
ab Seite 120
BGE 139 III 120 S. 120
A.
Par jugement du 16 mars 2011, le Tribunal des baux et loyers du canton de Genève a déclaré irrecevable la requête que le bailleur X. avait déposée le 13 janvier 2011 en vue d'obtenir l'expulsion de la Banque Y. SA d'un appartement loué par elle dans un immeuble sis à Genève.
BGE 139 III 120 S. 121
Saisie d'un appel du bailleur, la Chambre des baux et loyers de la Cour de justice (ci-après: la Chambre des baux et loyers) a confirmé ledit jugement par arrêt du 18 juin 2012.
B.
Le 27 juin 2012, X., par l'entremise de son conseil, a adressé à la Chambre des baux et loyers une demande de récusation dirigée contre le Juge assesseur Pierre Stastny (ci-après: le juge assesseur), l'un des cinq membres de la juridiction d'appel ayant rendu l'arrêt précité.
Par lettre du 2 juillet 2012, la Chambre des baux et loyers lui a répondu qu'elle n'était plus saisie du dossier depuis qu'elle avait prononcé son arrêt dans la cause en litige.
Relancée par l'intéressé, la cour cantonale lui a confirmé, dans un courrier du 5 juillet 2012, qu'elle était dessaisie de la procédure en question. Elle lui a indiqué que la voie d'un recours au Tribunal fédéral restait ouverte.
C.
Le 16 juillet 2012, X. (ci-après: le recourant) a formé un recours en matière civile aux fins d'obtenir l'annulation de l'arrêt du 18 juin 2012 et des décisions des 2 et 5 juillet 2012. Il y invite le Tribunal fédéral à ordonner à la cour cantonale de traiter sa demande de récusation du 27 juin 2012; subsidiairement, il lui demande de prononcer la récusation du juge assesseur.
La Banque Y. SA (ci-après: l'intimée) a renoncé à se déterminer sur le recours. La Chambre des baux et loyers se réfère, quant à elle, aux considérants de son arrêt.
En annexe à un courrier du 11 octobre 2012, le recourant a communiqué au Tribunal fédéral une copie, caviardée, d'un arrêt du 8 octobre 2012 concernant le même juge assesseur.
(résumé)
Erwägungen
Extrait des considérants:
2.
En vertu de l'adage
lata sententia iudex desinit esse iudex
, le juge est dessaisi de la cause à partir du moment où il a rendu son jugement. Sous réserve de diverses exceptions, il voit alors sa compétence s'éteindre relativement à la cause jugée (arrêt 4A_14/2012 du 2 mai 2012 consid. 3.1.1 et les références; FABIENNE HOHL, Procédure civile, tome I, 2001, n
os
1265-1268). En particulier, il n'est plus habilité à statuer sur une demande de récusation formulée ultérieurement dans le cadre de la même procédure (arrêt 4A_451/2012 du 1
er
novembre 2012 consid. 2). Conformément à l'
art. 51 al. 3 CPC
, si un motif de
BGE 139 III 120 S. 122
récusation n'est découvert qu'après la clôture de la procédure, les dispositions sur la révision (
art. 328 ss CPC
) sont applicables.
En refusant d'entrer en matière sur la demande de récusation que le recourant lui avait soumise le 2 juillet 2012, postérieurement à la notification de l'arrêt du 18 juin 2012, et qu'il avait renouvelée le 5 juillet 2012, la Chambre des baux et loyers a fait une application correcte du principe ainsi codifié.
Il suit de là que le recours en matière civile doit être rejeté dans la mesure où il a trait aux décisions prises les 2 et 5 juillet 2012 par l'autorité intimée. Partant, ces deux décisions ne seront pas annulées et la Chambre des baux et loyers ne sera pas invitée à traiter la demande de récusation du 27 juin 2012.
3.
Le présent recours porte encore sur l'arrêt rendu le 18 juin 2012 par la Chambre des baux et loyers. Avant d'examiner ses mérites, il sied d'apporter quelques précisions quant à sa recevabilité.
3.1
3.1.1
Selon l'
art. 75 al. 1 LTF
, le recours est recevable contre les décisions rendues par les autorités cantonales de dernière instance, ce qui implique que les griefs soulevés en instance fédérale ne soient pas susceptibles d'un recours au niveau cantonal (
ATF 138 III 130
consid. 2.1).
L'
art. 51 al. 3 CPC
, on l'a vu, déclare applicables les dispositions sur la révision si un motif de récusation n'est découvert qu'après la clôture de la procédure. En vertu de l'
art. 328 al. 1 CPC
, seule une décision "entrée en force" peut faire l'objet d'une demande de révision auprès du tribunal qui a statué en dernière instance. A contrario, si le motif de récusation est découvert après la clôture de la procédure (i.e. une fois la décision attaquable rendue) mais avant l'écoulement du délai de recours, autrement dit avant que la décision litigieuse soit revêtue de la force de chose jugée formelle, il doit être invoqué dans le cadre de ce recours (
ATF 138 III 702
consid. 3.4 p. 704; DENIS TAPPY, in Code de procédure civile commenté, 2011, n° 16 ad
art. 51 CPC
; MARK LIVSCHITZ, in Schweizerische Zivilprozessordnung [ZPO], Baker & McKenzie [éd.], 2010, n° 6 ad
art. 51 CPC
; STEPHAN WULLSCHLEGER, in Kommentar zur Schweizerischen Zivilprozessordnung [ZPO], Sutter-Somm/Hasenböhler/Leuenberger [éd.], 2010, n° 10 ad
art. 51 CPC
; DAVID RÜETSCHI, in Berner Kommentar, Schweizerische Zivilprozessordnung, vol. I, 2012, n° 8 ad
art. 51 CPC
).
BGE 139 III 120 S. 123
En l'espèce, le recourant a découvert le motif de révision à réception de l'arrêt du 18 juin 2012. Partant, c'est à juste titre qu'il l'invoque dans son recours en matière civile. Quoi qu'il en soit, le Tribunal fédéral a jugé récemment, dans une cause comparable, que, pour admettre la recevabilité d'un tel recours formé devant lui, il n'était pas nécessaire que la partie recourante ait fait usage de la possibilité de demander la révision du jugement attaqué (arrêt 4A_733/2011 du 16 juillet 2012 consid. 1.2 et les arrêts cités).
Force est d'admettre, dans ces conditions, que l'arrêt déféré constitue une décision prise par une autorité cantonale de dernière instance, au sens de l'
art. 75 al. 1 LTF
.
3.1.2
Dans un recours au Tribunal fédéral, aucun fait nouveau ni preuve nouvelle ne peut être présenté à moins de résulter de la décision de l'autorité précédente (
art. 99 al. 1 LTF
). L'exclusion des faits et moyens de preuve nouveaux est la règle. Aussi bien, le Tribunal fédéral est juge du droit, et non du fait. Cette règle connaît une exception lorsque c'est la décision de l'autorité précédente qui, pour la première fois, a rendu pertinents ces faits ou moyens de preuve. Il peut s'agir, notamment, de faits et moyens de preuve qui se rapportent à la procédure conduite devant l'instance précédente, telle une prétendue irrégularité affectant la composition de l'autorité ayant rendu la décision querellée (arrêt 4A_18/2010 du 15 mars 2010 consid. 2.1). En revanche, le Tribunal fédéral ne peut pas tenir compte de faits ou moyens de preuve survenus postérieurement au prononcé de la décision entreprise, c'est-à-dire de véritables
nova
(
ATF 133 IV 342
consid. 2.1 et les arrêts cités). Il appartient, le cas échéant, au recourant d'exposer les raisons pour lesquelles il considère être en droit de présenter exceptionnellement des faits ou des moyens de preuve nouveaux (
ATF 133 III 393
consid. 3).
Sans être contredit, le recourant soutient qu'il n'a appris qu'à la lecture de l'arrêt du 18 juin 2012 que le juge assesseur faisait partie de la composition de la cour ayant statué sur son appel alors que, selon lui, ce magistrat aurait dû se récuser. Comme c'est l'arrêt cantonal qui justifie de présenter, pour la première fois, les faits et moyens de preuve nouveaux concernant le juge assesseur, ceux-ci sont recevables. Tel n'est pas le cas, en revanche, s'agissant d'un véritable
novum
, de la copie caviardée de l'arrêt du 8 octobre 2012. Abstraction sera donc faite, ci-après, de ce moyen de preuve.
BGE 139 III 120 S. 124
3.2
Le recourant soutient que, du fait de la présence en son sein du juge assesseur, l'autorité intimée ne constituait pas un tribunal indépendant et impartial.
3.2.1
La garantie minimale d'un tribunal indépendant et impartial, telle qu'elle résulte des
art. 30 al. 1 Cst.
et 6 par. 1 CEDH - lesquels ont, de ce point de vue, la même portée - permet, indépendamment du droit de procédure (en l'occurrence l'
art. 47 CPC
), de demander la récusation d'un juge dont la situation ou le comportement est de nature à susciter des doutes quant à son impartialité. Elle vise à éviter que des circonstances extérieures à l'affaire puissent influencer le jugement en faveur ou au détriment d'une partie. Elle n'impose pas la récusation seulement lorsqu'une prévention effective est établie, parce qu'une disposition relevant du for intérieur ne peut guère être prouvée; il suffit que les circonstances donnent l'apparence d'une prévention et fassent redouter une activité partiale du magistrat. Cependant, seules les circonstances objectivement constatées doivent être prises en compte, les impressions purement subjectives de la partie qui demande la récusation n'étant pas décisives (
ATF 138 I 1
consid. 2.2 et les arrêts cités).
L'avocat qui exerce les fonctions de juge apparaît objectivement partial non seulement lorsque, dans le cadre d'une autre procédure, il représente ou a représenté l'une des parties à la procédure dans laquelle il siège, mais également lorsqu'il représente ou a représenté récemment la partie adverse de cette partie (
ATF 135 I 14
consid. 4.1-4.3 confirmé par l'
ATF 138 I 406
consid. 5.4).
Selon un principe général, la partie qui a connaissance d'un motif de récusation doit l'invoquer aussitôt, sous peine d'être déchue du droit de s'en prévaloir ultérieurement (
ATF 138 I 1
consid. 2.2 p. 4 et les arrêts cités; voir aussi l'
art. 49 al. 1 CPC
). Il est, en effet, contraire aux règles de la bonne foi de garder en réserve le moyen tiré de la composition irrégulière du tribunal pour ne l'invoquer qu'en cas d'issue défavorable de la procédure (
ATF 136 III 605
consid. 3.2.2). Cela ne signifie toutefois pas que l'identité des juges appelés à statuer doive nécessairement être communiquée de manière expresse au justiciable; il suffit que le nom de ceux-ci ressorte d'une publication générale facilement accessible, par exemple l'annuaire officiel. La partie assistée d'un avocat est en tout cas présumée connaître la composition régulière du tribunal. En revanche, un motif de prévention concernant un juge suppléant peut, en principe, encore être valablement soulevé dans le cadre d'une procédure de recours, car le justiciable
BGE 139 III 120 S. 125
pouvait partir de l'idée que la juridiction inférieure statuerait dans sa composition ordinaire. Cette jurisprudence au sujet des juges suppléants doit s'appliquer de la même manière quand il s'agit d'examiner si un justiciable devait ou non s'attendre à la présence d'un assesseur qui est appelé à fonctionner, de cas en cas, dans la composition du tribunal saisi de l'affaire (
ATF 128 V 82
consid. 2b et les références).
3.2.2
En l'espèce, le recourant n'a appris qu'à réception de l'arrêt attaqué, rendu le 18 juin 2012 par la Chambre d'appel des baux et loyers, que l'avocat Stastny avait statué sur son appel, conjointement avec quatre autres juges, en tant que juge assesseur représentant les groupements de locataires, conformément à l'art. 121 al. 1 de la loi genevoise du 26 septembre 2010 sur l'organisation judiciaire (RSG E 2 05). Il s'est prévalu sans tarder, dans le cadre de sa double demande de récusation, puis dans son recours au Tribunal fédéral, de la composition irrégulière de la juridiction d'appel cantonale, en raison de la participation du juge assesseur prénommé. Dès lors, son droit d'invoquer pareil moyen n'est pas périmé.
Sans être contredit ni par la cour cantonale ni par l'intimée, le recourant allègue et prouve par pièces que le juge assesseur est intervenu, en 2010, comme conseil des parties adverses dans deux autres procédures contentieuses non connexes auxquelles lui, le recourant, est partie et qui sont toujours pendantes, l'une devant la Chambre des baux et loyers, l'autre devant le Tribunal des baux et loyers. Selon la jurisprudence susmentionnée (cf. consid. 3.2.1, 2
e
§), de telles circonstances sont objectivement de nature à susciter des doutes quant à l'impartialité du juge assesseur en question à l'égard du recourant. L'expérience enseigne, en effet, qu'une partie à un procès reporte souvent ses sentiments négatifs contre sa partie adverse sur l'avocat de celle-ci au point de le considérer comme un adversaire, à l'égal de cette partie. Aussi est-il compréhensible qu'une partie n'attende pas d'un juge assesseur qu'il se comporte soudainement en toute impartialité envers elle, alors qu'il la combat ou l'a combattue dans une autre procédure en sa qualité de représentant de sa partie adverse (
ATF 135 I 14
consid. 4.3 p. 18). L'apparence de prévention était si évidente, en l'occurrence, que le juge assesseur aurait dû se récuser spontanément (cf.
art. 48 CPC
).
Partant, le moyen tiré de la violation de la garantie d'un tribunal indépendant et impartial s'avère fondé. Cette garantie revêtant un
BGE 139 III 120 S. 126
caractère formel, sa violation doit entraîner l'annulation de la décision attaquée, indépendamment des chances de succès de la thèse que le recourant soutient dans la procédure au fond (arrêt 4A_217/2012 du 9 octobre 2012 consid. 6, non publié in
ATF 138 I 406
).
En conclusion, il y a lieu d'admettre partiellement le recours en matière civile, d'annuler l'arrêt attaqué et de renvoyer la cause à la Chambre des baux et loyers pour qu'elle statue à nouveau sur l'appel du recourant sans la participation du juge assesseur. | null | nan | fr | 2,013 | CH_BGE | CH_BGE_005 | CH | Federation |
d2de3cbb-c98e-4639-976d-dbdf3e9add59 | Urteilskopf
135 IV 27
4. Auszug aus dem Urteil der Strafrechtlichen Abteilung i.S. Oberstaatsanwaltschaft des Kantons Zürich gegen H.C. und E.A. (Beschwerde in Strafsachen)
6B_522/2008 / 6B_523/2008 vom 27. November 2008 | Regeste
Verfahrensrechtliche Umsetzung der Wiedergutmachung (
Art. 53 StGB
).
Wird das bewirkte Unrecht umgehend ausgeglichen, kann die Untersuchungsbehörde von einer Strafverfolgung absehen. Ist die Strafverfolgung bereits im Gang, kann die Staatsanwaltschaft das Verfahren einstellen oder von einer Überweisung an das Gericht absehen. Sind die Wiedergutmachungsvoraussetzungen erst im Gerichtsverfahren gegeben, ist ein Schuldspruch bei gleichzeitigem Strafverzicht auszufällen (E. 2). | Sachverhalt
ab Seite 28
BGE 135 IV 27 S. 28
Am 12. November 2005 kam es zwischen H.C. (Beschwerdegegner I) und E.A. (Beschwerdegegner II) zu einer tätlichen Auseinandersetzung, in deren Verlauf letzterer auch ein Messer eingesetzt haben soll.
Mit Urteil vom 10. Januar 2007 sprach das Bezirksgericht Zürich H.C. der einfachen Körperverletzung im Sinne von
Art. 123 Ziff. 1 Abs. 1 StGB
schuldig und bestrafte ihn mit einer unbedingten Geldstrafe von 190 Tagessätzen zu Fr. 30.- als Gesamtstrafe. Vom Vorwurf der qualifizierten einfachen Körperverletzung im Sinne von
Art. 123 Ziff. 2 Abs. 1 StGB
wurde er freigesprochen.
Gleichentags sprach das Bezirksgericht E.A. der einfachen Körperverletzung im Sinne von Art. 123 Ziff. 1 Abs. 1 und Ziff. 2 Abs. 1 StGB und der Sachbeschädigung im Sinne von
Art. 144 Abs. 1 StGB
schuldig. Vom Vorwurf der mehrfachen Drohung im Sinne von
Art. 180 StGB
sprach es ihn frei. Er wurde bestraft mit einer bedingten Geldstrafe von 240 Tagessätzen zu Fr. 30.-, wovon 36 Tagessätze als durch Untersuchungshaft geleistet galten.
Sowohl H.C. als auch E.A. erhoben Berufung. Die Staatsanwaltschaft des Kantons Zürich erhob Anschlussberufung.
An der mündlichen Berufungsverhandlung schlossen die Parteien unter Mitwirkung des Obergerichts des Kantons Zürich folgende Vereinbarung:
"1. H.C. und E.A. erklären ihr gegenseitiges Desinteresse an der weiteren Strafverfolgung.
2. Jeder Angeklagte verpflichtet sich, die Kosten seines Strafverfahrens (Untersuchungskosten sowie Kosten des erst- und zweitinstanzlichen Gerichtsverfahrens), einschliesslich Kosten seiner amtlichen Verteidigung/Rechtsvertretung, zu bezahlen.
3. E.A. verpflichtet sich, H.C. als Ausgleich der gegenseitigen Schadenersatz- und Genugtuungsansprüche Fr. 2'000.- zu bezahlen, zahlbar in vier monatlichen Raten à Fr. 500.-, erstmals am 1. des Monats, welcher der Rechtskraft der Abschreibungsbeschlüsse folgt."
BGE 135 IV 27 S. 29
Mit Beschluss vom 21. April 2008 nahm das Obergericht des Kantons Zürich von der Vereinbarung Vormerk und schrieb beide Strafprozesse in Anwendung von
Art. 53 StGB
als erledigt ab.
Mit zwei in den vorliegend wesentlichen Punkten identischen Beschwerden in Strafsachen beantragt die Oberstaatsanwaltschaft des Kantons Zürich die Aufhebung des Beschlusses vom 21. April 2008 und die Rückweisung an die Vorinstanz.
Das Obergericht des Kantons Zürich verzichtet auf eine Stellungnahme. Beide Beschwerdegegner beantragen in ihrer Vernehmlassung die Abweisung der Beschwerde. Der Beschwerdegegner I verlangt zudem die unentgeltliche Rechtspflege und Verbeiständung.
Das Bundesgericht heisst die Beschwerde gut.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
2.
Die Beschwerdeführerin macht eine Verletzung von
Art. 53 StGB
geltend. Zu Unrecht habe die Vorinstanz die Voraussetzungen des bedingten Strafvollzugs (
Art. 42 Abs. 1 StGB
) bejaht und das Interesse der Öffentlichkeit an der Strafverfolgung als gering erachtet.
2.1
Art. 53 StGB
(Wiedergutmachung) bestimmt: Hat der Täter den Schaden gedeckt oder alle zumutbaren Anstrengungen unternommen, um das von ihm bewirkte Unrecht auszugleichen, so sieht die zuständige Behörde von einer Strafverfolgung, einer Überweisung an das Gericht oder einer Bestrafung ab, wenn:
a. die Voraussetzungen für die bedingte Freiheitsstrafe (Art. 42) erfüllt sind; und
b. das Interesse der Öffentlichkeit und des Geschädigten an der Strafverfolgung gering sind.
Es stellt sich die Frage, wie der Strafbefreiungsgrund der Wiedergutmachung gemäss
Art. 53 StGB
im Gerichtsverfahren prozessual zu behandeln ist, ob auch hier eine Einstellung erfolgen kann oder ob bloss eine Strafbefreiung (neben einem Schuldspruch) möglich ist.
2.2
Der Vierte Abschnitt des Dritten Titels (Strafen und Massnahmen) und des Ersten Kapitels (Strafen) des Strafgesetzbuches ist unterteilt in die Strafbefreiung einerseits und die Einstellung des Verfahrens andererseits. Zur Strafbefreiung zählen das fehlende Strafbedürfnis (
Art. 52 StGB
), die Wiedergutmachung (
Art. 53 StGB
)
BGE 135 IV 27 S. 30
und die Betroffenheit des Täters durch seine Tat (
Art. 54 StGB
). Die Einstellung des Verfahrens (
Art. 55a StGB
) ist - bei hier nicht zu diskutierenden Voraussetzungen - in allen Verfahrensstadien möglich, wenn ein Ehegatte, eine eingetragene Partnerin, ein eingetragener Partner oder Lebenspartner Opfer ist. Der Gesetzgeber unterscheidet demnach zwischen Strafbefreiung einerseits und Einstellung andererseits. Die in
Art. 55a StGB
geschaffene Möglichkeit einer Einstellung in allen Verfahrensstadien ist deshalb sinnvoll, weil in Fällen von häuslicher Gewalt die Offizialisierung abgeschwächt und deshalb das Verfahren immer eingestellt werden soll, wenn das Opfer eines Deliktes im sozialen Nahraum die Durchführung eines Strafverfahrens nicht wünscht und ein Eingriff in den partnerschaftlichen Bereich möglichst vermieden werden soll (RIEDO/SAURER, in: Basler Kommentar, Strafrecht, 2. Aufl. 2007, N. 34 zu
Art. 55 StGB
).
2.3
Der Regelung von
Art. 53 StGB
liegt der Gedanke zu Grunde, dass selbst bei voller Wiedergutmachung das öffentliche Interesse an einer Strafverfolgung nicht zwingend entfallen muss (vgl.
BGE 135 IV 12
E. 3). Unter dem Randnotentitel "1. Gründe für die Strafbefreiung/Wiedergutmachung" bestimmt
Art. 53 StGB
, dass die
zuständige Behörde
bei gedecktem Schaden oder hinreichenden Unrechtsausgleichsbemühungen von einer Strafverfolgung, einer Überweisung an das Gericht oder einer Bestrafung absieht. Je nach Verfahrensstadium zeitigt eine Wiedergutmachung somit unterschiedliche Wirkung. Wird das bewirkte Unrecht umgehend ausgeglichen, kann die Untersuchungsbehörde von einer Strafverfolgung absehen. Ist die Strafverfolgung bereits im Gang, so kann die zuständige Behörde (Staatsanwaltschaft) das Verfahren einstellen oder von einer Überweisung an das Gericht absehen. Sind die Voraussetzungen der Wiedergutmachung schliesslich erst im Gerichtsverfahren gegeben, steht dem Gericht als zuständiger Behörde nur noch der Schuldspruch bei gleichzeitigem Strafverzicht offen (FRANZ RIKLIN, in: Basler Kommentar, Strafrecht, 2. Aufl. 2007, N. 18 und 24-29 vor Art. 52 f. StGB; FELIX BOMMER, Bemerkungen zur Wiedergutmachung, forumpoenale 3/2008 S. 175-177; SILVAN FLÜCKIGER,
Art. 66
bis
StGB
/Art. 54 f. StGB
neu
- Betroffenheit durch Tatfolgen, Straftatfolgen als Einstellungsgrund und Strafersatz? 2006, S. 79; a.M. SCHWARZENEGGER/HUG/JOSITSCH, Strafrecht II, 8. Aufl. 2007, S. 68; JOSITSCH, Strafbefreiung gemäss
Art. 52 ff. StGB
neu
und prozessrechtliche Umsetzung, SJZ 100/2004 S. 9).
BGE 135 IV 27 S. 31
Die unterschiedlichen Rechtsfolgen in den verschieden Verfahrensstadien sind vom Gesetzgeber gewollt. Nur bei ganz offensichtlichen Fällen soll bereits den Untersuchungsbehörden die Möglichkeit gegeben werden, ein Verfahren gar nicht an die Hand zu nehmen und gegebenenfalls einzustellen, um ein langes und aufwändiges Verfahren zu vermeiden, das einerseits für die Betroffenen eine Belastung darstellen kann und andererseits dem Grundsatz der Prozessökonomie zuwiderlaufen würde. Im Gerichtsverfahren andererseits wäre eine reine Wiedergutmachung ohne jede strafrechtliche Komponente der Strafe unterlegen. Die wesentlichen Abschreckungselemente des Strafrechts bleiben nur erhalten, wenn man die Strafdrohung, die staatliche Strafverfolgung, das Strafverfahren und den strafrechtlichen Schuldspruch neben der Wiedergutmachung beibehält (vgl. HEINZ SCHÖCH, Empfehlen sich Anmerkungen oder Ergänzungen bei den strafrechtlichen Sanktionen, ohne Freiheitsentzug, Gutachten C am 59. deutschen Juristentag, München 1992 zum Allgemeinen Entwurf zur Wiedergutmachung C 64). Mit dieser Differenzierung schuf der Gesetzgeber die Möglichkeit, dem Einzelfall gerecht zu werden und dem Grundsatz besser zu genügen, Gleiches gleich und Ungleiches ungleich zu behandeln (Urteil des Obergerichts des Kantons Zürich vom 12. September 1996 zu aArt. 66
bis
StGB, in: ZR 96/1997 Nr. 59 S. 153, vom Bundesgericht bestätigt: Urteil 6S.4/1997 vom 4. Februar 1997).
2.4
Zusammenfassend ist demnach festzuhalten, dass die Vorinstanz
Art. 53 StGB
verletzt hat, als sie von der Vereinbarung zwischen den Beschwerdegegnern bloss Vormerk nahm und den Strafprozess als erledigt abschrieb. Eine Einstellung aufgrund Wiedergutmachung ist nach dem Ausgeführten im
Gerichtsverfahren
von Bundesrechts wegen ausgeschlossen. Abweichendes kantonales Strafprozessrecht ist insoweit unbeachtlich (
Art. 49 Abs. 1 BV
). Bei der erneuten Befassung wird die Vorinstanz bei gegebenen Tatbestandsvoraussetzungen einen Schuldspruch auszufällen haben. Dabei wird sie sich in Bezug auf die Vorwürfe gegen den Beschwerdegegner I vorab auch mit der von der Beschwerdeführerin aufgeworfenen Frage des Strafantragsrückzugs auseinandersetzen müssen. Sofern die von der Beschwerdeführerin vorliegend bestrittenen Voraussetzungen der Wiedergutmachung nach
Art. 53 StGB
(bedingter Strafvollzug; öffentliches Interesse an der Strafverfolgung) gegeben sind, wird sie von einer Bestrafung abzusehen haben. | null | nan | de | 2,008 | CH_BGE | CH_BGE_006 | CH | Federation |
d2deb9e9-b6ad-4bf0-8d75-58fef292c716 | Urteilskopf
119 II 16
5. Auszug aus dem Urteil der II. Zivilabteilung vom 25. Januar 1993 i.S. A. (Verwaltungsgerichtsbeschwerde) | Regeste
Vormerkung eines Mietvertrages im Grundbuch (
Art. 959 ZGB
).
1. Die Kognition des Grundbuchbeamten beschränkt sich im Eintragungsverfahren auf die Prüfung der grundbuchlichen Voraussetzungen und der Formerfordernisse. Die Überprüfung materiellen Rechts steht ihm nicht zu; er darf eine richterliche Anordnung nur dann nicht vollziehen, wenn die gesetzlichen Voraussetzungen des einzutragenden Rechts offensichtlich nicht gegeben sind.
2. Voraussetzungen für die Vormerkung eines Mietvertrages. | Sachverhalt
ab Seite 16
BGE 119 II 16 S. 16
A.-
Mit Vertrag vom 25. November 1986 mietete A. von T. Räumlichkeiten zum Betrieb eines Lebensmittelgeschäfts. Die Parteien vereinbarten eine feste Mietdauer von fünf Kalenderjahren, endend
BGE 119 II 16 S. 17
am 31. Dezember 1991. Die Mieterin erhielt das Recht, den Vertrag fünfmal um je drei Jahre zu den gleichen Bedingungen zu verlängern. Ebenso wurde verabredet, dass der Mietvertrag "im Grundbuch eingetragen werden" könne. A. übte ihr Verlängerungsrecht zweimal um je drei Jahre aus. Da T. keine Zustimmung zur Vormerkung des Mietvertrages im Grundbuch erteilte, gelangte A. an den Kreispräsidenten von X.; sie erwirkte von ihm am 23. Januar 1992 eine Verfügung mit folgendem Wortlaut:
"1. Im Sinne eines provisorischen Amtsbefehls wird das Grundbuchamt Z. aufgefordert, die am 14. Januar 1992 vorbereitete Anmeldung eines Mietvertrages zwischen den obgenannten Parteien unverzüglich provisorisch vorzumerken."
Das Grundbuchamt Z. wies die noch am gleichen Tag erfolgte Anmeldung dieses Amtsbefehls ab.
B.-
Die von A. dagegen erhobene Grundbuchbeschwerde wies die Regierung des Kantons Graubünden am 18. August 1992 ab.
C.-
Mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde vom 21. September 1992 gelangt A. an das Bundesgericht; sie beantragt die Aufhebung des angefochtenen Entscheides und die Anweisung an das Grundbuchamt Z., ihren mit T. abgeschlossenen Mietvertrag vorzumerken.
Die Regierung des Kantons Graubünden und das Bundesamt für Justiz beantragen die Abweisung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde. Das Grundbuchamt Z. stellt in seiner Vernehmlassung keine Rechtsbegehren. T. hat sich nicht vernehmen lassen.
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
2.
Die Regierung schützte die Abweisungsverfügung des Grundbuchamtes, da aus der richterlichen Verfügung nicht mit genügender Klarheit hervorgehe, was für ein Anspruch und aus welchem Rechtsgrund dieser geltend gemacht worden sei. Überdies ergebe sich aus dem Mietvertrag keine genügende Grundlage für dessen Vormerkung im Grundbuch.
a) Jede grundbuchliche Verfügung setzt voraus, dass sich der Gesuchsteller über seine Verfügungsberechtigung und über den Rechtsgrund ausweist (
Art. 965 ZGB
). Der Grundbuchverwalter hat im wesentlichen nur zu prüfen, ob die Formerfordernisse erfüllt sind. Dagegen hat er sich grundsätzlich nicht um den materiellen Bestand des Rechtsverhältnisses zu kümmern, sondern er hat eine Anmeldung
BGE 119 II 16 S. 18
nur dann abzuweisen, wenn sich diese auf einen offensichtlich nichtigen Rechtstitel stützt. Ferner muss der Grundbuchverwalter prüfen, ob das angemeldete Recht sich seiner Natur nach zur Aufnahme ins Grundbuch eignet (BGE
BGE 116 II 292
E. 2;
BGE 114 II 326
E. 2b; DESCHENAUX, Das Grundbuch, SPR V/3, I, S. 495 ff.; REY, Die Grundlagen des Sachenrechts und das Eigentum, Band I, S. 316 N. 1509 ff.; STEINAUER, Les droits réels, Tome premier, deuxième édition, S. 232 N. 848 ff.). Er entscheidet im Eintragungsverfahren allein gestützt auf die ihm vorgelegten Urkunden; er kann somit weder Gutachten einholen noch Zeugen vernehmen (
BGE 112 II 29
E. 2). Stützt sich eine Anmeldung - wie im vorliegenden Fall - auf einen richterlichen Entscheid, so hat der Grundbuchverwalter lediglich zu untersuchen, ob der betreffende Richter zuständig war und die Anordnung gegen die gemäss Grundbuch legitimierte Person ergriffen wurde, nicht aber, ob der Entscheid materiell stichhaltig sei. Eine Prüfungsbefugnis unter dem Gesichtspunkt des materiellen Rechts ist ihm insofern zuzugestehen, als er zur Verweigerung des Grundbucheintrages befugt sein muss, wenn sich aus dem Entscheid eindeutig ergibt, dass gesetzliche Voraussetzungen des einzutragenden Rechts offensichtlich nicht erfüllt sind. In jedem Fall hat der Grundbuchverwalter sodann auch bei der sich auf einen Gerichtsentscheid stützenden Anmeldung die grundbuchrechtlichen Voraussetzungen insoweit zu prüfen, als er die Eintragung eines nicht eintragungsfähigen Rechts zu verweigern hat (
BGE 102 Ib 11
E. 2b mit Hinweisen; DESCHENAUX, a.a.O., S. 508 ff.; HUTTER, Die richterliche Anweisung an das Grundbuchamt, Diss. Zürich 1992, S. 162/163). Andererseits braucht der Eintrag nicht das Spiegelbild der Anmeldung zu sein, d.h. der Grundbuchverwalter ist an die in der Anmeldung verwendeten Begriffe nicht gebunden und darf den Eintrag gegenüber den Anmeldung verbessern (HUTTER, a.a.O., S. 111).
b) In der Verfügung des Kreispräsidenten wird ausdrücklich auf die vom Grundbuchamt am 14. Januar 1992 vorbereitete Anmeldung verwiesen. Ob in einer im Rahmen eines kantonalen Befehlsverfahrens ergangenen Anordnung das Dispositiv im Hinblick auf
Art. 74 Abs. 1 GBV
allenfalls geschickter abgefasst werden könnte, kann offen bleiben, sofern die vorzunehmende Handlung daraus unmissverständlich hervorgeht. Durch den Verweis auf die grundbuchtechnisch einwandfrei abgefasste Anmeldung, welche die Parteien, das Grundstück, den Mietvertrag und die Vormerkungsdauer umschreibt, wird diese gleichsam zum Bestandteil der richterlichen Verfügung. Für den Grundbuchverwalter sollte daher kein Zweifel
BGE 119 II 16 S. 19
bestehen, wie er die Verfügung des Kreispräsidenten zu vollstrecken hat. Hier derart rigorose Formvorschriften aufzustellen, wie die Regierung sich dies vorstellt, wäre sachlich nicht gerechtfertigt und käme dadurch formeller Rechtsverweigerung in Gestalt des überspitzten Formalismus gleich (
BGE 115 Ia 17
E. 3b).
c) Dass der Kreispräsident zum Erlass des Amtsbefehls zuständig war, war immer unbestritten. Ebenso wurde nie in Zweifel gezogen, dass die von ihm angeordnete Vorkehr grundbuchtechnisch durchaus vollziehbar ist. Da sein Entscheid vom Grundbuchverwalter auf die materielle Richtigkeit nicht zu überprüfen ist, gibt es überhaupt keinen Grund, diesem nicht Folge zu leisten.
d) Selbst wenn die Prüfungsbefugnis des Grundbuchverwalters weiter gezogen wird, als dies nach der Rechtsprechung und der Lehre der Fall ist, kann er die Voraussetzungen für die Vormerkung des Mietvertrages als gegeben erachten. Die Vertragsparteien sind nämlich übereingekommen, dass der Mietvertrag im Grundbuch vorgemerkt werden kann. Dass sie bei der Vertragsabfassung den grundbuchtechnisch falschen Ausdruck "eintragen" verwendet haben, kann keine Rolle spielen, da beiden Seiten klar war, was damit gemeint war. Überdies war vor Erlass des Amtsbefehls sowohl seitens der Vertragsparteien wie auch seitens des Grundbuchamtes immer nur von einer Vormerkung des Vertrages die Rede. Die Beschwerdeführerin hat von ihrem Verlängerungsrecht vertragskonform Gebrauch gemacht, was durch den angefochtenen Entscheid bestätigt wird; der Mietvertrag ist somit auf jeden Fall bis zum 31. Dezember 1997 gültig, womit auch die zeitliche Begrenzung, wie sie in
Art. 71 Abs. 2 GBV
gefordert wird, klar feststeht. Der Hinweis der Regierung auf
BGE 81 I 75
ff., der für den Fall der stillschweigenden Weiterdauer eines Mietvertrages die Vormerkung auf die fest vereinbarte Vertragsdauer begrenzt, ist damit unbehelflich. | public_law | nan | de | 1,993 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
d2df4435-c252-4e43-b8f4-5a9845023861 | Urteilskopf
111 IV 37
10. Auszug aus dem Urteil des Kassationshofes vom 12. März 1985 i.S. B. gegen Staatsanwaltschaft des Kantons Luzern (Nichtigkeitsbeschwerde) | Regeste
Art. 320 Ziff. 1 Abs. 2 StGB
,
Art. 15 Abs. 1 VG
; Verfolgungsermächtigung.
Die Strafverfolgung bedarf stets einer Ermächtigung durch das EJPD, wenn sich der Vorwurf der strafbaren Handlung auf die durch das Verantwortlichkeitsgesetz erfasste amtliche Funktion bezieht, unabhängig davon, ob der Betroffene die Verfehlung erst nach Ausscheiden aus dieser Funktion beging (Präzisierung der Rechtsprechung). | Sachverhalt
ab Seite 37
BGE 111 IV 37 S. 37
A.-
B. war in den Jahren 1975-1980 Mitglied der Eidgenössischen Konsultativ-Kommission für die Motorfahrzeug-Haftpflichtversicherung (=KKMHV). Nach seinem Ausscheiden aus der Kommission veröffentlichte er in einer Fachzeitschrift einen Artikel, in welchem er sich über ein versicherungstechnisches Problem und die diesbezügliche Haltung der Vertreter der Strassenverkehrsverbände in der Kommission äusserte. In der Folge wurde ihm zur Last gelegt, er habe mit dieser Äusserung sein Wissen um die Stellungnahme der Vertreter der Strassenverkehrsverbände bekanntgegeben; dieses Wissen habe er nur als ehemaliges Mitglied der KKMHV besessen, und er sei zur Geheimhaltung verpflichtet gewesen.
BGE 111 IV 37 S. 38
B.-
Das Amtsgericht Luzern-Land verurteilte B. am 12. April 1983 wegen Verletzung des Amtsgeheimnisses gemäss
Art. 320 StGB
zu einer Busse von Fr. 80.--.
Eine hiegegen eingereichte Kassationsbeschwerde hat das Obergericht des Kantons Luzern am 15. November 1984 abgewiesen.
C.-
B. führt gegen das Urteil des Obergerichtes eidgenössische Nichtigkeitsbeschwerde mit dem Antrag, das angefochtene Urteil sei aufzuheben und die Angelegenheit sei zur Einstellung, eventuell zur Freisprechung, subeventuell zur Neubeurteilung an die Vorinstanz zurückzuweisen.
Erwägungen
Das Bundesgericht zieht in Erwägung:
2.
a) Mit dem Einwand, es fehle eine nach VG erforderliche Verfolgungsermächtigung, wird ein Mangel des angefochtenen Urteils geltend gemacht, der gemäss
Art. 269 Abs. 1 BStP
als Verletzung eidgenössischen Rechts zu rügen ist. Zwar unterliegt die Verwaltungsverfügung, mit welcher eine Ermächtigung verweigert wird, gemäss
Art. 15 Abs. 5 VG
der Verwaltungsgerichtsbeschwerde. Das ändert aber nichts daran, dass eine Bundesrechtsverletzung durch ein Strafurteil mit der Nichtigkeitsbeschwerde geltend zu machen ist, auch wenn der gerügte Mangel in der Missachtung einer Verfahrensvorschrift besteht, nicht in einer unrichtigen Auslegung des materiellen Rechts. Auf die Rüge eines Verstosses gegen
Art. 15 VG
ist daher in diesem Verfahren einzutreten (s.
BGE 110 IV 47
).
b) Dass KKMHV-Mitglieder in bezug auf die Strafverfolgung wegen Handlungen, die sich auf die Kommissionstätigkeit beziehen, gemäss
Art. 1 und 2 VG
den Beamten gleichgestellt sind und dass folglich
Art. 15 VG
sinngemäss zur Anwendung kommen muss, ist unbestritten.
Die Bundesanwaltschaft und das EJPD haben jedoch in ihrer Stellungnahme gegenüber den kantonalen Behörden die Auffassung vertreten, das Ermächtigungserfordernis gelte nur für "während der Dauer des amtlichen Verhältnisses" begangene Verfehlungen, nicht aber für Handlungen, die nach dem Ausscheiden aus dem Amt oder der Behörde begangen wurden.
In
BGE 106 Ib 273
hat das Bundesgericht gemäss dem der publizierten Entscheidung vorangestellten Leitsatz entschieden, dass das Ermächtigungserfordernis im Sinne von
Art. 15 VG
auch nach dem Ausscheiden aus dem Amt gelte. Im konkreten Fall handelte es sich jedoch um eine Verfehlung während der Amtszeit;
BGE 111 IV 37 S. 39
nur die Frage der Strafverfolgung stellte sich erst nach dem Ausscheiden aus dem Bundesdienst. Es ist jetzt zu prüfen, ob die dort geäusserte Auffassung insofern einschränkend zu präzisieren ist, als die Strafverfolgung wegen Handlungen nach dem Ausscheiden aus der amtlichen oder behördlichen Funktion ohne Ermächtigung möglich sein soll, auch wenn sich der Vorwurf strafbaren Verhaltens auf die amtliche Tätigkeit oder Stellung bezieht.
Der Wortlaut des Gesetzes (
Art. 15 VG
) erfasst jede Strafverfolgung wegen Delikten, die sich auf die amtliche Tätigkeit oder Stellung beziehen. Dass aus der Wendung "Strafverfolgung von Beamten" nicht abgeleitet werden darf, im Zeitpunkt der Verfolgung müsse die Beamteneigenschaft bzw. die das Erfordernis begründende Funktion (als Behördemitglied) noch bestehen, wurde in
BGE 106 Ib 273
einlässlich dargetan. Wenn es bei
Art. 15 VG
nur darum ginge, "durch den Schutz von Beamten und Behördemitgliedern vor unbegründeten, insbesondere trölerischen oder mutwilligen Strafanzeigen den reibungslosen Gang der Verwaltung sicherzustellen" (
BGE 106 Ib 277
), dann wäre es wohl folgerichtig, diesen Schutz nicht zu gewähren, sobald es sich um eine Verfehlung nach dem Ausscheiden aus der betreffenden Funktion handelt und die in Frage stehende Strafverfolgung den Gang der Verwaltungs- oder Behördenarbeit nicht zu tangieren vermöchte. Schon in
BGE 106 Ib 277
hat das Bundesgericht aber festgehalten, das Ermächtigungsverfahren sei, "wenn auch nur in zweiter Linie, im Interesse der mit öffentlichrechtlichen Aufgaben betrauten Personen selber aufgestellt". Von dieser Auffassung abzuweichen besteht kein Grund.
Art. 15 VG
schützt auch die Funktionsträger (Beamter, Behördemitglied) persönlich vor unnötigen Strafverfahren, die sich auf ihre amtliche Tätigkeit oder Stellung beziehen. Dieser Schutz hört mit dem Ausscheiden aus der öffentlichen Funktion nicht auf. Soweit eine spätere Strafverfolgung sich auf die amtliche Tätigkeit oder Stellung bezieht, gilt das Ermächtigungserfordernis ebenfalls. Geheimnisverletzungen durch Beamte und Behördemitglieder während der Dauer der Funktion nur mit Ermächtigung zu verfolgen, nach Beendigung des amtlichen oder dienstlichen Verhältnisses aber bei Verletzung der weiterdauernden Schweigepflicht (
Art. 320 Ziff. 1 Abs. 2 StGB
) einen Wegfall des Ermächtigungserfordernisses anzunehmen, lässt sich nicht überzeugend begründen. In der Beschwerdeschrift wird mit Recht darauf hingewiesen, dass es besonders stossend wäre, wenn von zwei Mittätern der nicht mehr im Amt befindliche ohne weiteres
BGE 111 IV 37 S. 40
verfolgt werden könnte, während der noch im Amt befindliche durch das Ermächtigungsverfahren geschützt wäre. Viel naheliegender als eine solche Differenzierung zwischen Verfehlungen während der Amtszeit und späteren Verstössen gegen Nachwirkungen der Amtspflicht ist der Schluss, dass
Art. 15 VG
das Ermächtigungsverfahren stets verlangt, wenn die Strafverfolgung sich auf die durch das Verantwortlichkeitsgesetz erfasste Funktion (als Beamter oder Behördemitglied) bezieht, unabhängig davon, ob der Betroffene bereits aus dieser Funktion ausgeschieden ist.
Ob der geäusserte Verdacht einer strafbaren Handlung unter Abwägung aller Interessen die Untersuchung der betreffenden amtlichen oder behördlichen Tätigkeit im Rahmen eines Strafverfahrens rechtfertigt, ist im übrigen oft auch eine Frage des Ermessens, die nach der ratio legis von
Art. 15 VG
- unabhängig vom Zeitpunkt des inkriminierten Verhaltens - in der Hand der Ermächtigungsinstanz bleiben sollte.
c) Die dem Beschwerdeführer vorgeworfene Verletzung seiner Geheimhaltungspflicht als KKMHV-Mitglied ist eine Verfehlung, die sich auf seine behördliche Tätigkeit bezieht. Für die Strafverfolgung ist daher die Ermächtigung des EJPD notwendig. Diese wurde nicht eingeholt. Ob sie angesichts der Geringfügigkeit einer eventuellen Geheimnisverletzung zu erteilen wäre, kann hier offen bleiben. Das EJPD beschränkte sich auf die Verneinung des Ermächtigungserfordernisses und zog die allfällige vorsorgliche Erteilung der Ermächtigung gar nicht in Erwägung. Das zeigt, dass die von der Vorinstanz mit einer Busse von Fr. 80.-- geahndete Äusserung nicht etwa einen klaren Anlass zur Bewilligung der Strafverfolgung darstellt.
Das ohne die erforderliche Ermächtigung ergangene Strafurteil verstösst gegen
Art. 15 VG
und ist aufzuheben. Die Vorinstanz hat unter Berücksichtigung des kantonalen Prozessrechts darüber zu befinden, ob das Verfahren wegen Fehlens einer Prozessvoraussetzung (vgl. O. BEHRINGER, Ermächtigung und Ermächtigungsdelikte, Diss. Zürich 1933, S. 21 ff.) durch Einstellung abzuschliessen oder ob das unterlassene Ermächtigungsverfahren nachträglich noch einzuleiten sei. | null | nan | de | 1,985 | CH_BGE | CH_BGE_006 | CH | Federation |
d2e30321-5148-4276-a6d4-cdf909f3ecf1 | Urteilskopf
115 V 151
23. Auszug aus dem Urteil vom 15. Juni 1989 i.S. V. gegen Schweizerische Unfallversicherungsanstalt und Versicherungsgericht des Kantons Thurgau | Regeste
Art. 37 Abs. 1 UVG
.
Selbsttötung und Suizidversuch sind auch im neuen Unfallversicherungsrecht gleich zu behandeln. | Erwägungen
ab Seite 151
BGE 115 V 151 S. 151
Aus den Erwägungen:
4.
Des weitern ist die Frage zu prüfen, ob ein misslungener Suizidversuch als Unfall im Rechtssinne qualifiziert werden kann. Selbsttötung und Suizidversuch wurden unter der Herrschaft des KUVG nach ständiger Rechtsprechung rechtlich gleich behandelt (EVGE 1963 S. 18, bestätigt in
BGE 100 V 80
Erw. 1d). Im Gegensatz zur Regelung in
Art. 98 Abs. 1 KUVG
, wonach als Voraussetzung für einen Leistungsausschluss der Unfall absichtlich herbeigeführt sein musste, verlangt das UVG im 2. Abschnitt des 3. Kapitels mit dem Titel "Schuldhafte Herbeiführung des Unfalles" in Art. 37 Abs. 1, der Versicherte müsse "den Gesundheitsschaden oder den Tod" absichtlich herbeigeführt haben.
BGE 115 V 151 S. 152
MAURER (Schweizerisches Unfallversicherungsrecht, S. 199 f.), auf den sich die Beschwerdeführerin im vorinstanzlichen Verfahren berief, erachtet es daher als "immerhin fraglich", ob die Rechtsprechung zum bisherigen Recht mit der neuen gesetzlichen Regelung vereinbar sei, da Wortlaut und Sinn von
Art. 37 Abs. 1 UVG
"eher zum gegenteiligen Ergebnis" führen würden; massgebend sei danach, was beabsichtigt gewesen sei; nur für die beabsichtigten Folgen entfalle der Anspruch.
Auszugehen ist davon, dass der Wortlaut von
Art. 98 Abs. 1 KUVG
und
Art. 37 Abs. 1 UVG
nicht übereinstimmen. Nach bisherigem Recht musste der Versicherte den Unfall, nach neuem Recht den Gesundheitsschaden oder den Tod absichtlich herbeigeführt haben. Damit wollte der Gesetzgeber indessen Selbsttötung und Suizidversuch nicht grundsätzlich anders als im bisherigen Recht behandeln. In der Botschaft führte er hiezu aus:
"Eine absichtlich herbeigeführte Selbstschädigung stellt keinen Unfall
im Rechtssinn dar, weil gerade das Erfordernis der unbeabsichtigten
schädigenden Einwirkung auf den menschlichen Körper nicht erfüllt ist.
Es wären somit hierfür überhaupt keine Versicherungsleistungen
auszurichten. Entsprechend der bisherigen Ordnung wird jedoch in diesem
Fall, sofern der Versicherte an den Folgen der Selbstschädigung stirbt,
die Bestattungsentschädigung gewährt. Die Gleichstellung des in bewusstem
Zustand begangenen Selbstmordes mit einem Unfall liesse sich begrifflich
kaum vertreten; es ist jedoch anzumerken, dass die Leistungen der AHV
bei Selbstmord voll erbracht werden." (Botschaft zum Bundesgesetz über
die Unfallversicherung vom 18. August 1976, BBl 1976 III S. 198.)
Nach wie vor sollte eine absichtlich herbeigeführte Selbstschädigung keinen Unfall im Rechtssinn darstellen. Minderheitsanträge, die bei Selbsttötung und Suizidversuch eine Leistungspflicht der Unfallversicherung in beschränktem Umfange in das Gesetz einführen wollten, blieben im National- und Ständerat erfolglos (Amtl.Bull. 1979 N 251 ff.; Amtl.Bull. 1980 S 481 f.). Nach dem klaren gesetzgeberischen Willen, der auch im Titel zum 2. Abschnitt im 3. Kapitel des UVG zum Ausdruck kommt, entfällt bei Selbsttötung und Suizidversuch grundsätzlich eine Leistungspflicht der Unfallversicherung, weil das Begriffsmerkmal der nicht beabsichtigten schädigenden Einwirkung nicht erfüllt ist. Zwar ist MAURER (a.a.O., S. 174) darin beizupflichten, dass die Absicht bzw. Unfreiwilligkeit auf die gesundheitliche Schädigung selbst und nicht auf die zur schädigenden Einwirkung führende Handlung gerichtet sein muss (
BGE 87 II 379
Erw. 1; in diesem Sinne ist auch
BGE 100 V 82
zu verstehen). Hingegen kann ihm nicht
BGE 115 V 151 S. 153
darin gefolgt werden, dass nach
Art. 37 Abs. 1 UVG
nur für die beabsichtigten Folgen ein Leistungsanspruch entfalle (a.a.O., S. 200 oben), da zu unterscheiden ist zwischen der Körperschädigung einerseits und ihren allfälligen Folgen (wie Tod, Invalidität, vorübergehende Gesundheitsschädigung) anderseits (KOENIG, Schweizerisches Privatversicherungsrecht, 3. Aufl., S. 453). Im Willen, sich selbst zu töten, ist denn auch die Absicht, seinen Körper zu schädigen, notwendigerweise mit eingeschlossen, unabhängig davon, ob das angestrebte Ziel im Anschluss an die Körperschädigung eintritt oder nicht. Selbsttötung und Suizidversuch sind daher auch unter der Herrschaft des
Art. 37 Abs. 1 UVG
rechtlich gleich zu behandeln. | null | nan | de | 1,989 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
d2e30d29-48bc-4645-acb7-e1000b9d7e5e | Urteilskopf
140 V 356
48. Auszug aus dem Urteil der I. sozialrechtlichen Abteilung i.S. Basler Versicherung AG gegen A. (Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten)
8C_51/2014 vom 14. Juli 2014 | Regeste
Art. 6 UVG
; Adäquanzbeurteilung bei psychischen Beschwerden nach Unfall.
Eine HIV-Infektion ist für sich allein betrachtet adäquanzrechtlich nicht geeignet, das nach der Psycho-Praxis (
BGE 115 V 133
) bei der Beurteilung der Unfallkausalität von psychischen Fehlentwicklungen gegebenenfalls mitzuberücksichtigende Kriterium der Schwere oder besonderen Art der erlittenen Verletzung in besonders ausgeprägter Weise zu erfüllen (E. 5). | Sachverhalt
ab Seite 357
BGE 140 V 356 S. 357
A.
A. war seit dem 1. November 1998 beim Gefängnis B. als Gefängnisleiter angestellt und in dieser Eigenschaft bei der Basler Versicherungen AG (nachfolgend: Basler oder Beschwerdeführerin) gegen die Folgen von Unfällen und Berufskrankheiten versichert. Gemäss Bagatellunfall-Meldung vom 17. Januar 2006 hat der Versicherte im April/Mai 2003 beim Durchsuchen eines neu eintretenden Gefangenen in eine benutzte Fixernadel gegriffen und sich gestochen. Anlässlich von umfassenden Labortests im Rahmen eines gesundheitlichen Generalchecks zeigten Blutuntersuchungsergebnisse im September 2003 eine Infektion mit dem HI-Virus.
Die Basler übernahm in der Folge die Kosten für die ab 2007 einsetzende medikamentöse Behandlung der chronischen HIV-Infektion. Nachdem ein psychisch auffälliger Strafgefangener in dem vom Versicherten geleiteten Gefängnis am Abend des 27. Mai 2010 die Matratzen seiner Zelle in Brand gesetzt hatte, wurde dem Versicherten ab Juni 2010 erstmals eine volle Arbeitsunfähigkeit aufgrund psychischer Beschwerden bescheinigt. Darauf liess die Basler den Versicherten bei Dr. med. C., Facharzt FMH für Psychiatrie und Psychotherapie, begutachten. Mit Verfügung vom 2. Juli 2012 verneinte sie den adäquaten Kausalzusammenhang zwischen dem Ereignis von April/Mai 2003 und den geltend gemachten psychischen Beschwerden. Daran hielt sie auf Einsprache hin fest und verneinte zusätzlich auch den natürlichen Kausalzusammenhang (Einspracheentscheid vom 24. Januar 2013).
B.
Die hiegegen erhobene Beschwerde des A. hiess das Versicherungsgericht des Kantons Aargau am 27. November 2013 gut. Es bejahte den Kausalzusammenhang zwischen dem Unfall und den psychischen Beschwerden sowie folglich die entsprechende Leistungspflicht der Basler und wies die Sache zur Neuverfügung an Letztere zurück.
C.
Die Basler führt Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten mit dem Antrag, das vorinstanzliche Urteil sei aufzuheben und der Einspracheentscheid sei zu bestätigen. Eventuell sei
BGE 140 V 356 S. 358
die Sache an die Vorinstanz zur Neubeurteilung zurückzuweisen. (...)
Das Bundesgericht heisst die Beschwerde gut.
(Auszug)
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
3.
Streitig ist, ob das psychische Leiden, welches ab November 2008 von der Psychotherapeutin Dr. phil. D. behandelt wurde und ab Juni 2010 Arbeitsunfähigkeit zur Folge hatte, gemäss angefochtenem Entscheid in einem anspruchsbegründenden, natürlich und adäquat kausalen Zusammenhang zu dem datumsmässig nicht mehr genau erinnerlichen Nadelstich mit HIV-Infektion von April/Mai 2003 steht.
3.1
Das kantonale Gericht hat die gesetzlichen Bestimmungen über den Anspruch auf Leistungen der obligatorischen Unfallversicherung im Allgemeinen (
Art. 6 Abs. 1 UVG
), über den Anspruch auf Heilbehandlung (
Art. 10 Abs. 1 UVG
), auf Taggeld (
Art. 16 Abs. 1 UVG
) und auf eine Invalidenrente (
Art. 18 Abs. 1 UVG
) im Besonderen sowie die Grundsätze zu dem für eine Leistungspflicht des Unfallversicherers vorausgesetzten natürlichen Kausalzusammenhang zwischen dem Unfall und dem eingetretenen Schaden (Krankheit, Invalidität, Tod;
BGE 129 V 177
E. 3.1 S. 181 mit Hinweisen), zu dem im Sozialversicherungsrecht geltenden Beweisgrad der überwiegenden Wahrscheinlichkeit (
BGE 129 V 177
E. 3.1 S. 181 mit Hinweisen) und zum Beweiswert sowie zur Beweiswürdigung medizinischer Berichte und Gutachten (
BGE 125 V 351
E. 3a S. 352 mit Hinweis) zutreffend dargelegt. Gleiches gilt für die Rechtsprechung über den zusätzlich zum natürlichen Kausalzusammenhang erforderlichen adäquaten Kausalzusammenhang (
BGE 129 V 177
E. 3.2 S. 181 mit Hinweis). Darauf wird verwiesen.
3.2
Die Adäquanz spielt im Sozialversicherungsrecht als rechtliche Eingrenzung der sich aus dem natürlichen Kausalzusammenhang ergebenden Haftung des Unfallversicherers im Bereich organisch objektiv ausgewiesener Unfallfolgen praktisch keine Rolle, da sich hier die adäquate weitgehend mit der natürlichen Kausalität deckt (
BGE 138 V 248
E. 4 S. 250 f. mit Hinweisen). Anders verhält es sich bei natürlich unfallkausalen, aber organisch nicht objektiv ausgewiesenen Beschwerden. Hier ist bei der Adäquanzprüfung vom augenfälligen Geschehensablauf auszugehen, wobei zwischen banalen bzw. leichten Unfällen einerseits, schweren Unfällen
BGE 140 V 356 S. 359
anderseits und schliesslich dem dazwischenliegenden mittleren Bereich unterschieden wird, und es sind je nachdem weitere unfallbezogene Kriterien einzubeziehen. Bei psychischen Fehlentwicklungen nach Unfall werden diese Adäquanzkriterien unter Ausschluss psychischer Aspekte geprüft (sog. Psycho-Praxis;
BGE 115 V 133
).
(...)
5.
Die Vorinstanz ging unbestritten und zu Recht davon aus, dass auf die vorliegende Konstellation die Rechtsprechung, welche mit
BGE 115 V 133
begründet worden ist, Anwendung findet. Danach ist zwischen dem natürlichen (nicht publ. E. 4) und dem adäquaten Kausalzusammenhang zu unterscheiden. Im Folgenden sind daher die Voraussetzungen der Adäquanz separat zu prüfen.
5.1
Den Ausgangspunkt der Adäquanzbeurteilung bildet das (objektiv erfassbare) Unfallereignis. Im Rahmen einer objektivierten Betrachtungsweise ist zu untersuchen, ob der Unfall eher als leicht, als mittelschwer oder als schwer erscheint, wobei im mittleren Bereich gegebenenfalls eine weitere Differenzierung nach der Nähe zu den leichten oder schweren Unfällen erfolgt. Abhängig von der Unfallschwere sind je nachdem weitere Kriterien in die Beurteilung einzubeziehen. Diese werden unter Ausschluss psychischer Aspekte geprüft (
BGE 115 V 133
E. 6 S. 138 ff.; SVR 2013 UV Nr. 3 S. 7, 8C_398/2012 E. 5 Ingress mit Hinweisen).
Massgebend für die Beurteilung der Unfallschwere ist der augenfällige Geschehensablauf mit den sich dabei entwickelnden Kräften (SVR 2013 UV Nr. 3 S. 7, 8C_398/2012 E. 5.2 Ingress mit Hinweisen; vgl. auch
BGE 129 V 177
E. 4.1 S. 183 f. mit Hinweisen).
5.2
5.2.1
Die Vorinstanz hat ausgeführt, der nach dem Unfallhergang einzustufende Nadelstich sei ohne weiteres als leichtes Unfallereignis zu qualifizieren. Weil er als unmittelbare Unfallfolge eine Infektion mit dem HI-Virus gezeitigt habe, sei die Beurteilung anhand der mittelschweren Unfälle vorzunehmen. Im vorliegenden Fall sei das Kriterium der Schwere oder besonderen Art der Verletzung, insbesondere ihre erfahrungsgemässe Eignung, psychische Fehlentwicklungen auszulösen, in besonders ausgeprägter Weise zu bejahen, bestehe doch nach einer derartigen Infektion stets die Befürchtung, dass die Krankheit ausbrechen könnte.
(...)
BGE 140 V 356 S. 360
5.3
Bei der Katalogisierung der Unfälle mit psychisch bedingten Folgeschäden ist am augenscheinlichen Geschehensablauf, also am Unfallereignis an sich, jedoch nicht am Unfallerlebnis anzuknüpfen (
BGE 115 V 133
E. 6 Ingress S. 138 f.). Wie die Vorinstanz zu Recht ausgeführt hat, handelt es sich bei diesem Ereignis in casu um einen Nadelstich, welcher in Anbetracht der gesamten Umstände als banaler Unfall zu qualifizieren ist. Dass dabei das HI-Virus übertragen wurde, spielt bei der Beurteilung der Unfallschwere keine Rolle, weil die Infektion nicht das Unfallereignis an sich betrifft, sondern Unfallfolge ist.
Grundsätzlich wäre demnach die Adäquanz schon aufgrund der Unfallschwere ohne weiteres zu verneinen (
BGE 115 V 133
E. 6a S. 139). Indessen hat das Bundesgericht entschieden, dass die Adäquanz des Kausalzusammenhanges ausnahmsweise auch bei einem leichten Unfall zu prüfen sei. Dies gilt insbesondere, wenn das Ereignis unmittelbare Unfallfolgen zeitigt, die nicht offensichtlich unfallunabhängig sind (Urteil 8C_824/2008 vom 30. Januar 2009 E. 4.2 Ingress mit Hinweisen). Diesfalls muss der adäquate Kausalzusammenhang jedoch bewiesen werden nach den bei mittlerem Schweregrad anzuwendenden Kriterien (
BGE 129 V 402
E. 4.4.2 S. 408 mit Hinweis).
5.4
Da hier der banale Spritzennadelstich mit der mutmasslich natürlich kausalen Folge (nicht publ. E. 4) der Ansteckung mit dem HI-Virus verbunden war, sind die Voraussetzungen für die Prüfung der Zusatzkriterien erfüllt. Mithin haben von den sieben Zusatzkriterien (
BGE 129 V 177
E. 4.1 S. 183 f.;
BGE 115 V 133
E. 6c/aa S. 140) mehrere in einfacher Weise oder ein einzelnes in besonders ausgeprägter Form vorzuliegen, um die Adäquanz bejahen zu können.
5.5
Im Vordergrund steht das Kriterium der Schwere oder besonderen Art der erlittenen Verletzung und ihre erfahrungsgemässe Eignung, psychische Fehlentwicklungen auszulösen.
5.5.1
Das Bundesgericht hat sich letztmals im Urteil SVR 2013 UV Nr. 3 S. 7, 8C_398/2012 E. 6.2.1 f. mit diesem Kriterium näher auseinandergesetzt und dabei die aktuelle Kasuistik wie folgt wiedergegeben:
"Bejaht wurde das Kriterium in jüngerer Zeit bei einem Unfall mit Verbrühungen, wobei als direkte psychotraumatologische Auswirkung eine ausgeprägte phobische Störung vor Hitzequellen und als Folgeerscheinung eine komorbide mittelgradige depressive Episode vorlagen. In
BGE 140 V 356 S. 361
Bezug auf die phobische Störung vor Hitzequellen wurde das Kriterium aufgrund erhöhter psychischer Vulnerabilität der Versicherten infolge früherer Belastungen (insbesondere Krieg) sogar in besonders ausgeprägter Weise bejaht, hinsichtlich der depressiven Episode in der einfachen Form (SVR 2012 UV Nr. 23 S. 83, 8C_435/2011 E. 4.2.7). Bejaht wurde das Kriterium ferner etwa: bei Wirbelkörperfrakturen, wobei dem bei solchen Verletzungen bestehenden erhöhten Risiko von Lähmungserscheinungen und den im konkreten Fall wiederholt erforderlich gewesenen operativen Eingriffen Rechnung getragen wurde (Urteil 8C_488/2011 vom 19. Dezember 2011 E. 5.2); bei einer instabilen Fraktur eines Lendenwirbels, wobei berücksichtigt wurde, dass sich der Versicherte damit eine für einen mittelschweren, im Grenzbereich zu den leichten Ereignissen zu qualifizierenden Unfall relativ schwere Verletzung zugezogen habe, welche zudem nach ärztlicher Einschätzung erfahrungsgemäss geeignet sei, psychische Fehlentwicklungen auszulösen (Urteil 8C_116/2009 vom 26. Juni 2009 E. 4.3); bei einer Augenläsion samt beträchtlichem Visusverlust, wobei die Beurteilung der Frage, ob das Kriterium aufgrund der im konkreten Fall bestandenen psychisch bedingten Prädisposition gar in besonders ausgeprägter Weise erfüllt sei, von ergänzender medizinischer Abklärung abhängig gemacht wurde (Urteil 8C_965/2008 vom 5. Mai 2009 E. 4.3); bei einem Kehlkopftrauma mit partiellem Abriss der Luftröhre und Erstickungsgefahr (RKUV 2005 Nr. 555 S. 322, U 458/04 E. 3.5.2).
[6.2.2] Verneint wurde das Kriterium u.a.: bei einer luxierten, subkapitalen 3-Fragment-Humerusfraktur links (Urteil 8C_744/2009 vom 8. Januar 2010 E. 11.2); bei einem von den Ärzten als schwer bezeichneten Polytrauma mit Thorax- und Abdominaltrauma sowie offenen Gesichtsschädelfrakturen (Urteil 8C_197/2009 vom 19. November 2009 E. 3.6); bei einem Fersenbeinbruch (Urteil 8C_432/2009 vom 2. November 2009 E. 5.3); bei einer traumatischen Milzruptur, Rippenserienfraktur mit Hämatopneumothorax links und Rissquetschwunde frontal am Kopf links (Urteil 8C_396/2009 vom 23. September 2009 (Sachverhalt A und E. 4.5.6); bei einem akuten linksbetonten Cervicocephal- und Lumbovertebralsyndrom (Urteil 8C_249/2009 vom 3. August 2009 Sachverhalt A und E. 8.3); bei einer Beckenstauchung mit rezividierenden ISG-Blockaden und aktivierter Ileitis rechts (Urteil 8C_275/2008 vom 2. Dezember 2008 E. 3.3.2); bei Frakturen im Gesichtsbereich (Urteil 8C_825/2008 vom 9. April 2009 E. 4.4); bei einer Commotio cerebri, Rissquetschwunde parietal sowie Schürfungen an Gesicht, Knien und Händen (Urteil U 151/04 vom 28. Februar 2005 E. 5.2.2); bei Rippenfrakturen, diversen Kontusionen und Kopfprellung (Urteil U 272/03 vom 25. August 2004 E. 4.3)."
Im eben zitierten Urteil SVR 2013 UV Nr. 3 S. 7, 8C_398/2012, Sachverhalt lit. A und E. 6.2.3 schloss das Bundesgericht mit Blick auf die dargestellte Rechtsprechung, dass das zu beurteilende Polytrauma (mit Milzruptur und Mageneinriss, Hämatopneumothorax
BGE 140 V 356 S. 362
beidseits, Rippenserienfraktur links 2-12, Rippenfraktur rechts 4 und 6, Sternumfraktur mit retrosternalem Hämatom, Lendenwirbelkörper 4-Querfortsatzfraktur, Scapulafraktur links, Claviculafraktur links, Contusio cordis mit Pericarderguss zirkulär 3 mm) zwar das Kriterium der Schwere oder besonderen Art der erlittenen Verletzung erfülle, dieses jedoch nicht in besonderer Ausprägung vorliege, auch wenn die versicherte Person potentiell lebensgefährliche Verletzungen erlitt und während längerer Zeit auf intensivmedizinische Betreuung angewiesen war.
5.5.2
In casu handelt es sich bei der Verletzung um den an sich harmlosen Nadelstich und die damit verbundene HIV-Infektion. Dabei ist zu berücksichtigen, dass die durch das Virus übertragbare Erkrankung beim Versicherten nicht ausgebrochen ist. Entgegen der sinngemäss anderslautenden, medizinisch nicht belegten Behauptung des Beschwerdegegners hat die Verletzung - zumindest bis anhin - einzig zur Infektion geführt (vgl. E. 5.6.3 hienach). Der seit 2007 medikamentös antiretroviral therapierende Infektiologe Dr. med. E. hielt in seinem Bericht vom 17. November 2011 ausdrücklich fest, dass keine körperlichen Beschwerden oder Symptome, keine opportunistischen Infektionen und auch keine HIV-assoziierten Komplikationen aufgetreten seien; vielmehr sei die HIV-Infektion sehr gut kontrolliert und die Prognose unproblematisch. Bei der HIV- Infektion handelt es sich gemäss
BGE 139 IV 214
E. 3.4.3 S. 218 um eine nachteilige pathologische Veränderung mit Krankheitswert. Diese kann zwar nicht als harmlos bezeichnet werden, ist jedoch für sich selbst auch nicht als besonders schwer zu qualifizieren, wie nachfolgend darzulegen ist.
5.5.3
Mit der Vorinstanz ist zu prüfen, ob eine HIV-Infektion besonders geeignet ist, psychische Fehlentwicklungen auszulösen.
5.5.3.1
Das kantonale Gericht hat diese Frage bejaht. Es hat festgestellt, bei einer derartigen Infektion bestehe stets die Befürchtung, dass die Krankheit ausbrechen könnte. Die Einwendungen der Beschwerdeführerin, angesichts der aktuellen medizinischen Behandlungsmöglichkeiten und der wissenschaftlichen Erkenntnisse sei diese Befürchtung nicht mehr objektivierbar, was aus einem Urteil des Bundesgerichts zu den strafrechtlichen Folgen einer HIV-Übertragung deutlich hervorgehe, hat es verworfen.
5.5.3.2
Das Bundesgericht hatte sich im Urteil 6B_337/2012 vom 19. März 2013 E. 3, auszugsweise publ. in:
BGE 139 IV 214
mit
BGE 140 V 356 S. 363
den strafrechtlichen Folgen einer wissentlichen Übertragung des HI-Virus durch ungeschützten Sexualverkehr auseinanderzusetzen. Insbesondere hatte es zu prüfen, ob diese Übertragung eine schwere Körperverletzung nach
Art. 122 StGB
darstelle.
Entgegen den Erwägungen im angefochtenen Entscheid sind die Ausführungen gemäss
BGE 139 IV 214
für den vorliegenden Fall durchaus massgebend. Das Bundesgericht hatte nämlich die Frage zu entscheiden, ob an der Rechtsprechung, wonach die HIV-Infektion als lebensgefährliche schwere Körperverletzung zu qualifizieren sei, weil mit dem HI-Virus nach relativ langer Zeit bei vielen Betroffenen mit hoher Wahrscheinlichkeit die Immunschwäche AIDS ausbreche und diese mit hoher Wahrscheinlichkeit zum Tod führe, festgehalten werden könne. In diesem Zusammenhang hat das Bundesgericht unter Beiziehung von diversen Lehrmeinungen und medizinischer Fachliteratur eine Beurteilung der Folgen der Übertragung vornehmen müssen. Es hat festgestellt, dass die HIV-Infektion als solche auch unter Berücksichtigung der medizinischen Fortschritte nach wie vor eine nachteilige pathologische Veränderung mit Krankheitswert darstelle. Im Rahmen dieser Beurteilung sei aber einerseits in Rechnung zu stellen, dass HIV und AIDS heute in der Medizin wie andere chronische Krankheiten behandelt werden. Die modernen Kombinationstherapien seien effizient und würden in der Regel gut ertragen. Die Lebenserwartung von HIV-Infizierten gleiche derjenigen von Gesunden. Andrerseits sei HIV nicht heilbar. Eine Impfung sei trotz grosser medizinischer Fortschritte nicht in Sicht. Die Therapien stellten hohe Anforderungen an die Disziplin der Betroffenen. Die Medikamente seien ein Leben lang vorschriftsgemäss einzunehmen und könnten zu körperlichen und/oder seelischen Nebenwirkungen führen, welche die Lebensqualität beeinträchtigten. Eine betroffene Person könne daher trotz verbesserter Behandlungsmethoden und Medikamentenverträglichkeit nach wie vor komplexen physischen und psychischen Belastungen ausgesetzt sein, was zur Erschütterung des seelischen Gleichgewichts führen könne (
BGE 139 IV 214
E. 3.4.4 S. 218 f.). Basierend auf diesen Erwägungen hielt das Bundesgericht im genannten Entscheid an der bundesgerichtlichen Praxis, wonach der Zustand der Infiziertheit schon als solcher generell lebensgefährlich sei, nicht fest.
5.5.3.3
Diese Erwägungen lassen sich auf die Beurteilung der Frage übertragen, ob die HIV-Infektion vorliegend das Adäquanzkriterium der Schwere oder besonderen Art der erlittenen Verletzung
BGE 140 V 356 S. 364
zu erfüllen vermag, welche erfahrungsgemäss geeignet ist, eine psychische Fehlentwicklungen auszulösen. Es ist dabei selbstredend davon auszugehen, dass die Infektion mit Belastungen für die betroffenen Personen verbunden ist. So hat sie sich einerseits einer konsequenten und langen Therapie zu unterziehen. Solche Therapien mittels Heilmittel oder anderer Substanzen, z.B. tägliche Injektionen, sind allerdings auch bei zahlreichen anderer Krankheitsbildern lebenslang notwendig und müssen von sehr vielen Menschen zur Erhaltung ihrer Gesundheit hingenommen werden. Es kann daher nicht gesagt werden, die notwendige Medikamentierung führe zu einer schweren seelischen Belastung. Andererseits kann trotz erheblicher wissenschaftlicher Fortschritte nicht ganz ausgeschlossen werden, dass die Krankheit AIDS ausbricht. Diesem Aspekt der Belastung ist mit der Vorinstanz ein grösseres Gewicht beizumessen. Er wird allerdings durch den Umstand relativiert, dass die Krankheit dank medizinischer Behandlungsmöglichkeiten nicht mehr mit hoher Wahrscheinlichkeit ausbricht und, im Falle eines Ausbruchs, nicht mehr mit hoher Wahrscheinlichkeit zum Tode führt. Vielmehr darf angenommen werden, dass sich die Lebenserwartung von HIV- Infizierten derjenigen von gesunden Menschen annähert (vgl.
BGE 139 V 214
E. 3.4.2 S. 217 mit Hinweisen; vgl. auch BEHRENS/HACKENBROCH, Von Heilung träumen, Der Spiegel 36/2013 S. 114 ff.). Aus dem Gesagten ist zu schliessen, dass eine HIV-Infektion für sich allein betrachtet adäquanzrechtlich jedenfalls nicht geeignet ist, das nach der Psycho-Praxis (
BGE 115 V 133
) bei der Beurteilung der Unfallkausalität von psychischen Fehlentwicklungen gegebenenfalls mitzuberücksichtigende Kriterium der Schwere oder besonderen Art der erlittenen Verletzung in besonders ausgeprägter Weise zu erfüllen.
5.5.3.4
Basierend auf dieser Ausgangslage ist zu prüfen, ob die Infektion beim Versicherten geeignet war, die psychische Fehlentwicklung auszulösen. Dabei ist den konkreten Umständen und insbesondere den erheblichen seelischen Belastungen Rechnung zu tragen, denen der Beschwerdegegner ausgesetzt war. Von Bedeutung ist dabei zunächst die sich an erster Stelle aus dem massgeblichen psychiatrischen Gutachten ergebende Tatsache, dass der Versicherte eine deprivierte Kindheits- und Jugendzeit ohne leibliche Eltern, jedoch mit gewalttätigen Pflegeeltern zu durchleben hatte und diese Situation im vierzehnten Lebensjahr zur Flucht in ein Jugendheim und mit fünfzehneinhalb Jahren zu einem ersten
BGE 140 V 356 S. 365
Suizidversuch mit Spitalaufenthalt führte. Diese Entwicklung setzte sich im Rahmen seiner ersten Ehe fort. In seinem beruflichen Alltag war er mit schwierigen Situationen (grosser Arbeitsdruck als Gefängnisaufseher und -leiter mit drei Suiziden von Gefangenen) konfrontiert. Insbesondere auch nach der HIV-Infektion war er als Gefängnisleiter stets stark gefordert, zumal seinen Begehren um mehr Personal nicht stattgegeben wurde und er sich - trotz höchstem persönlichen Engagement - nicht ernst genommen fühlte. Während sich diese berufliche Belastungssituation seit 2003 weiter zuspitzte, kam es im Mai 2010 im unmittelbaren Anschluss an einen Gefängniszellenbrand zu einem psychischen Zusammenbruch, in deren Folge dem Versicherten wegen eines Burnouts Arbeitsunfähigkeit attestiert werden musste. Die HIV-Infektion ist daher auch mit Blick auf den zeitlichen Verlauf - mit einer spezifischen somatischen Behandlungsbedürftigkeit der Infektion erst ab 2007, einer guten Prognose und einem komplikationslosen Fortgang (E. 5.5.2 hievor) - nur Teilursache der psychischen Beschwerden. Diese sind erst rund fünfeinhalb Jahre nach der Infektion aufgetreten und hatten erstmals ab Juni 2010 Arbeitsunfähigkeit zur Folge, was die Möglichkeit offenlässt, dass die Erkrankung durch andere Ursachen, insbesondere durch die schwierige, sehr belastende Situation am Arbeitsplatz ausgelöst worden ist.
5.5.3.5
Unter diesen Umständen erscheint es fraglich, ob das Kriterium der Schwere oder der besonderen Art der erlittenen Verletzung erfüllt ist. Jedenfalls kann nicht gesagt werden, es sei in besonders ausgeprägtem Masse gegeben. Der Infektion von April/Mai 2003 kommt neben den psychosozialen Belastungsfaktoren eine höchstens mitursächliche Bedeutung zu hinsichtlich der ab November 2008 aufgetretenen behandlungsbedürftigen psychischen Erkrankung. Die unmittelbaren Folgen der Infektion beschränken sich auf die von der Beschwerdeführerin unbestritten übernommene und notwendige Medikamenteneinnahme. Diese verläuft nach wie vor erfolgreich und weitgehend komplikationslos. Die Prognose des behandelnden Infektiologen ist "unproblematisch". Dennoch ist nicht auszuschliessen, jedoch offensichtlich nicht überwiegend wahrscheinlich, dass die Krankheit eines Tages ausbrechen könnte. Sollte dies der Fall sein, bestehen schon heute gute Behandlungsmöglichkeiten, die sich inskünftig allenfalls noch verbessern lassen, sicher aber nicht verschlechtern werden. Unter diesen Umständen treten die Belastungen durch die HIV-Infektion gegenüber den zahlreichen
BGE 140 V 356 S. 366
weiteren Faktoren, die eine psychische Erkrankung auszulösen vermögen (sehr schwierige Kindheit, problembeladene erste Ehe, schwer ertragbare berufliche Situation, welche auch nach der Infektion andauerte und sich kontinuierlich verschlimmerte) in den Hintergrund. War die HIV-Infektion nach dem Gesagten sowohl hinsichtlich ihrer generellen Eignung, psychische Fehlentwicklungen auszulösen (vgl. dazu E. 5.5.3.2 f. hievor), als auch in Bezug auf den konkreten posttraumatischen Verlauf der psychischen Beeinträchtigungen im Besonderen (vgl. hievor E. 5.5.2 und 5.5.3.4) von höchstens teilursächlichem Einfluss, so kommt dieser Infektion unter den gegebenen Umständen hinsichtlich der adäquanzrechtlichen Bewertung dieses Kriteriums jedenfalls keine primäre oder gar besonders hohe Bedeutung zu in Bezug auf die Entwicklung der psychischen Erkrankung.
5.5.3.6
Insgesamt ist daher entgegen der Annahme der Vorinstanz nicht davon auszugehen, dass die HIV-Infektion in besonders ausgeprägter Weise geeignet war, die - erst fünfeinhalb Jahre danach erfolgte - psychische Fehlentwicklung beim Versicherten auszulösen.
5.6
Wenn mithin dieses einzelne Kriterium (E. 5.5 hievor) höchstens in der einfachen Form gegeben ist, bleibt zu prüfen (vgl. hievor E. 5.4), ob weitere Kriterien erfüllt sind:
5.6.1
Der Versicherte erachtet die Begleitumstände des Unfalles deshalb als besonders dramatisch, weil ihm bei der Durchsuchung keine stichfesten Handschuhe zur Verfügung standen. Für die Anschaffung dieser Schutzmassnahme habe er sich vor dem Unfall eingesetzt, es sei aber dieser Forderung nicht stattgegeben worden. Dieser Auffassung kann nicht gefolgt werden, da sich die Begleitumstände aus dem Unfall selber ergeben müssen und es nicht auf das subjektive Empfinden der versicherten Person, sondern auf objektive Umstände ankommt (SVR 2013 UV Nr. 3 S. 7, 8C_398/2012 E. 6.1 mit Hinweisen).
5.6.2
Das Kriterium der ungewöhnlich langen Dauer der ärztlichen Behandlung setzt eine länger dauernde, kontinuierliche und zielgerichtete Behandlung somatisch begründbarer Beschwerden voraus (SVR 2012 UV Nr. 27 S. 96, 8C_498/2011 E. 6.2.3 mit Hinweisen). Der behandelnde Infektiologe verneinte gemäss Bericht vom 17. November 2011 derartige körperlichen Beschwerden oder Symptome. In der von ihm ausdrücklich als komplikationslos beschriebenen antiretroviralen Therapie mit unproblematischer Prognose zwecks
BGE 140 V 356 S. 367
Erhaltung günstiger Blutwerte kann keine aussergewöhnlich intensive oder als langwierig zu bezeichnende ärztliche Behandlung erblickt werden.
5.6.3
Zur Bejahung des Kriteriums des schwierigen Heilungsverlaufs und der erheblichen Komplikationen bedarf es besonderer Gründe, die die Heilung beeinträchtigt haben (SVR 2012 UV Nr. 23 S. 83, 8C_435/2011 E. 4.2.5 mit Hinweis). In dieser Hinsicht schliesst der Beschwerdegegner darauf, dieses Kriterium sei als erfüllt zu qualifizieren, weil die Krankheit nicht heilbar sei. Dabei übersieht er, dass eine unheilbare Erkrankung bisher gar nicht ausgebrochen ist und eine Symptombehandlung deshalb bis anhin nicht durchgeführt werden musste (vgl. auch E. 5.5.2 hievor). Vielmehr beschränkt sich die komplikationslos verlaufende Behandlung seit 2007 auf eine prognostisch unproblematische medikamentöse Therapie der HIV-Infektion zwecks Erhaltung günstiger Blutwerte (E. 5.6.2). Für die mit Beschwerdeantwort vom 24. Februar 2014 sinngemäss vorgetragene Behauptung, die aus anamnestischen Angaben bekannte Bildung von Warzen im Jahre 2008 stünde in einem ursächlichen Zusammenhang mit dem HI-Virus bzw. der Behandlung desselben, finden sich in den medizinischen Unterlagen, insbesondere in den Beurteilungen des behandelnden Infektiologen keine Anhaltspunkte. Folglich fehlt es auch am Kriterium des schwierigen Heilungsverlaufs und der erheblichen Komplikationen.
5.7
Nach dem Gesagten ist keines der massgebenden Kriterien gemäss
BGE 115 V 133
E. 6c/aa S. 140 in besonders ausgeprägtem Masse erfüllt und es sind nicht mehrere Kriterien in einfacher Form gegeben, weshalb die Unfalladäquanz der strittigen psychischen Beschwerden zu verneinen ist. | null | nan | de | 2,014 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
d2e8f199-16b7-4c34-976d-14ddaeab208e | Urteilskopf
120 V 128
17. Arrêt du 21 février 1994 dans la cause M. contre Caisse nationale suisse d'assurance en cas d'accidents et Tribunal des assurances du canton de Vaud | Regeste
Art. 37 Abs. 2 UVG
, Art. 69 lit. f und Art. 73 lit. a des Übereinkommens IAO Nr. 102, Art. 68 lit. f und Art. 72 lit. a der Europäischen Ordnung der Sozialen Sicherheit (EOSS): Kürzung der Geldleistungen bei grobfahrlässiger Herbeiführung eines Berufsunfalles.
- Voraussetzungen, unter welchen die Änderung der Rechtsprechung ausnahmsweise zum Widerruf einer rechtskräftigen Leistungskürzungsverfügung führen kann (E. 3c).
- Zur Bestimmung des Eintritts des Versicherungsfalles im Sinne der internationalen Normen der Sozialen Sicherheit ist die mögliche Verschlimmerung der Invalidität zu berücksichtigen (E. 4).
- Anwendungsfall: Die im Rahmen einer rechtskräftigen Verfügung vorgenommene Leistungskürzung infolge Grobfahrlässigkeit des Versicherten findet keine Ausdehnung auf die die ursprüngliche Invalidität übersteigende Mehrinvalidität, welche nach Inkrafttreten der internationalen Bestimmungen, die eine Leistungskürzung verbieten, eingetreten ist. | Sachverhalt
ab Seite 129
BGE 120 V 128 S. 129
A.-
M., né en 1939, a travaillé en qualité de représentant de commerce au service de la société O. SA. A ce titre, il était assuré contre le risque d'accident auprès de la Caisse nationale suisse d'assurance en cas d'accidents (ci-après: la CNA).
Le 7 février 1974, il a été victime d'un accident de la circulation alors qu'au volant de son automobile il regagnait son domicile après son travail. Dans le but de doubler un véhicule, il a emprunté la voie centrale qui était recouverte d'une couche de neige. Il a alors perdu la maîtrise de son véhicule, lequel est entré en collision avec un train routier circulant en sens inverse. Victime notamment d'un traumatisme cranio-cérébral, il a été hospitalisé.
Par décision du 18 avril 1974, la CNA, qui avait pris en charge le cas, a notifié à M. qu'elle réduisait ses prestations de 20 pour cent au motif que l'accident assuré considéré comme un accident professionnel était dû à une faute grave du prénommé.
Depuis le 14 mars 1976, celui-ci perçoit une rente d'invalidité fondée sur une incapacité de gain de 50 pour cent (décision du 28 avril 1976). Une aggravation de l'invalidité étant survenue dès le 1er janvier 1988, la CNA lui a accordé une rente fondée sur une incapacité de gain de 80 pour cent à partir de cette date; l'assuré a été par ailleurs mis au bénéfice d'une indemnité pour atteinte à l'intégrité fondée sur une diminution de l'intégrité de 20 pour cent (décision du 3 août 1988).
B.-
Le 27 février 1991, M. a demandé à la CNA de supprimer la réduction des prestations prononcée le 18 avril 1974. Par décision du 27 mars 1991, l'établissement a refusé de faire droit à cette requête, motif pris que les
BGE 120 V 128 S. 130
conditions de révision d'une décision entrée en force n'étaient pas réalisées. Saisie d'une opposition formée par l'assuré, la CNA l'a rejetée par décision du 25 juin 1991.
C.-
Par jugement du 10 décembre 1991, le Tribunal des assurances du canton de Vaud a rejeté le recours formé par M. contre cette dernière décision.
D.-
Le prénommé, représenté, comme en première instance, par le Service juridique pour handicapés, interjette recours de droit administratif contre ce jugement, dont il demande l'annulation, en concluant à l'octroi d'une rente d'invalidité non soumise à réduction, principalement dès le 13 septembre 1978 et subsidiairement "dès le moment où le Tribunal fédéral des assurances aura, par la présente affaire ou une autre, modifié la jurisprudence Courtet".
La CNA conclut au rejet du recours. Quant à l'Office fédéral des assurances sociales, il renonce à se déterminer sur celui-ci.
Erwägungen
Considérant en droit:
1.
Par sa décision du 18 avril 1974, la CNA a institué une réduction des prestations de 20 pour cent, motif pris que l'accident à l'origine de l'atteinte à la santé de l'assuré était dû à une faute grave de celui-ci. Elle s'est fondée pour cela sur l'
art. 98 al. 3 LAMA
, en vigueur jusqu'au 31 décembre 1983, aux termes duquel, si l'assuré a causé l'accident par une faute grave, les prestations assurées autres que les frais funéraires sont réduites dans une mesure répondant au degré de la faute.
L'assuré a requis la révision de la décision précitée et l'octroi d'une rente d'invalidité non soumise à réduction en faisant valoir que l'
art. 68 let
. f du Code européen de sécurité sociale (CESS) du 16 avril 1964 n'autorise pas une réduction pour faute grave en matière d'accidents professionnels.
2.
a) Aux termes de l'
art. 68 let
. f CESS, en vigueur pour la Suisse depuis le 17 septembre 1978 (RO 1978 II 1518), et de l'
art. 69 let
. f de la Convention OIT no 102 concernant la norme minimum de la sécurité sociale du 28 juin 1952, en vigueur pour notre pays depuis le 18 octobre 1978 (RO 1978 II 1626), les prestations d'assurance sociale auxquelles une personne aurait droit peuvent être "suspendues", c'est-à-dire refusées, réduites ou retirées, lorsque l'éventualité a été provoquée "par une faute intentionnelle de l'intéressé". Il en résulte, a contrario, que les prestations ne peuvent être "suspendues" en cas de faute non intentionnelle de l'intéressé.
BGE 120 V 128 S. 131
Ces instruments visent notamment les prestations d'invalidité en cas d'accident professionnel (
art. 31 CESS
; art. 31 de la Convention no 102).
b) Dans un arrêt
ATF 119 V 171
du 25 août 1993, le Tribunal fédéral des assurances - revenant sur la jurisprudence de l'arrêt Courtet (
ATF 111 V 201
) - a considéré que l'
art. 68 let
. f CESS était directement applicable ("self-executing"). Il en va de même pour l'
art. 69 let
. f de la Convention no 102. Ces normes internationales l'emportent donc sur les normes du droit fédéral de l'assurance des accidents professionnels permettant la réduction des prestations en espèces en cas d'invalidité, si l'assuré a provoqué l'accident par une négligence grave (
art. 37 al. 2 LAA
).
3.
a) Cette nouvelle jurisprudence vaut incontestablement pour les cas futurs, ainsi que pour les affaires pendantes devant un tribunal au moment de son changement (v. par ex.
ATF 108 V 3
; RCC 1990 p. 271 consid. 3b et les arrêts cités;
ATF 119 V 241
,
ATF 119 V 410
; PROBST, Die Änderung der Rechtsprechung, p. 518 note 613).
Mais, en l'espèce, à la différence des circonstances de l'arrêt
ATF 119 V 171
précité, ce n'est pas lors de l'allocation d'une rente réduite que le recourant a contesté la sanction prise à son endroit. En effet, dans le cas présent, la réduction est intervenue dans le cadre d'une décision antérieure, entrée en force; la décision sur opposition litigieuse, du 25 juin 1991, porte sur le refus de l'intimée de supprimer, à la demande du bénéficiaire de rente, la réduction en cours.
Le problème se pose donc de savoir si la force formelle et matérielle attachée à une décision de réduction de rente s'oppose à une application de la nouvelle jurisprudence au cas du recourant.
b) Un changement de jurisprudence n'est un motif ni de révision au sens procédural du terme ni de reconsidération (KNAPP, Précis de droit administratif, 4e édition, p. 276, note 1303; KÖLZ/HÄNER, Verwaltungsverfahren und Verwaltungsrechtspflege des Bundes, p. 118, note 193; GRISEL, L'apport du Tribunal fédéral des assurances au développement du droit public, Mélanges Berenstein, p. 448). Il ne s'agit pas davantage d'un motif de révision au sens de l'
art. 22 al. 1 LAA
. En effet, la rente n'est susceptible d'être révisée, en vertu de cette disposition légale, qu'en cas de modification notable de l'état de santé de l'assuré ou lorsque les conséquences économiques d'un état de santé demeuré inchangé se sont modifiées (
ATF 113 V 275
consid. 1a et les arrêts cités;
ATF 119 V 475
; RAMA 1989 no U 65 p. 70 consid. 1c).
BGE 120 V 128 S. 132
c) En droit des assurances sociales, un changement de jurisprudence peut toutefois exceptionnellement conduire à la révocation d'une décision, même si cette décision est assortie d'effets durables (notamment si elle concerne des prestations périodiques). Il faut alors que la nouvelle jurisprudence ait une telle portée générale qu'il serait contraire au droit à l'égalité de ne pas l'appliquer dans tous les cas, en particulier en maintenant une ancienne décision pour un seul assuré ou un petit nombre d'assurés. Si cette condition est remplie, la modification n'aura, en règle ordinaire, des effets que pour l'avenir. Cette pratique restrictive vaut en tout cas lorsque l'application d'une jurisprudence nouvelle s'opérerait au détriment du justiciable (sur ces divers points, voir:
ATF 115 V 314
consid. dd,
ATF 112 V 394
;
ATF 119 V 410
déjà cité; KNAPP, op.cit., p. 281, note 1344; RHINOW/KRÄHENMANN, Schweizerische Verwaltungsrechtsprechung, Ergänzungsband, p. 140 no 45 B III/a).
Commentant cette jurisprudence, KNAPP (op.cit., p. 282, note 1346) estime que si une nouvelle interprétation est plus favorable pour le destinataire de la décision, l'autorité donnera sans autre examen la priorité au droit à l'égalité et accordera le nouvel avantage même aux anciens bénéficiaires.
4.
a) Selon les art. 73 let. a de la Convention no 102 et 72 let. a CESS, ces instruments ne s'appliquent pas aux éventualités survenues avant l'entrée en vigueur de la partie correspondante de ceux-ci pour l'Etat intéressé.
En l'espèce, il est donc indispensable de distinguer entre l'événement assuré, c'est-à-dire l'accident qui s'est produit le 7 février 1974, et l'éventualité assurée qui est la survenance de l'invalidité. Or, dans le cas particulier, une aggravation de l'invalidité est survenue dès le 1er janvier 1988, soit postérieurement à l'entrée en vigueur pour la Suisse de la Convention no 102 (18 octobre 1978) et du CESS (17 septembre 1978). Dès lors il y a lieu de faire une distinction entre l'invalidité de 50 pour cent survenue le 14 mars 1976, date à partir de laquelle le recourant a perçu une rente d'invalidité, selon décision du 28 avril 1976, et l'aggravation de 30 pour cent de cette invalidité survenue le 1er janvier 1988, conformément à la nouvelle décision de rente du 3 août 1988.
b) En règle ordinaire, si la convention internationale ne contient aucune règle à ce sujet, ou si celle qui existe ne permet pas de trancher avec certitude le cas d'espèce, on applique le droit en vigueur au moment où s'est produite l'éventualité assurée (
ATF 113 V 104
, ATFA 1956 p. 53; SPIRA, L'application du droit international de la sécurité sociale par le
BGE 120 V 128 S. 133
juge, Mélanges Berenstein, p. 485). Une règle analogue figure aux art. 73 let. a Convention no 102 et 72 let. a CESS. Par ailleurs, on ne se trouve pas dans l'hypothèse prévue à la let. b de ces deux dispositions (v. sur ce point VILLARS, Le code européen de sécurité sociale et le Protocole additionnel, pp. 122/123).
c) En l'espèce, l'éventualité assurée est, aux termes de l'
art. 32 let
. c de la Convention no 102 et de l'
art. 32 let
. c CESS, la "perte totale de la capacité de gain ou (la) perte partielle de la capacité de gain au-dessus d'un degré prescrit, lorsqu'il est probable que cette perte totale ou partielle sera permanente, ou (la) diminution correspondante de l'intégrité physique", ce qui correspond à l'invalidité au sens du droit fédéral de l'assurance-accidents (VILLARS, op.cit., pp. 149 ss).
d) Cela étant, lorsque le degré d'invalidité augmente, comme ce fut le cas en l'espèce à partir du 1er janvier 1988, on est en présence, pour la partie augmentée de l'invalidité, d'une nouvelle survenance de l'éventualité assurée au sens de ces conventions internationales. Dans ces conditions, il y a lieu d'admettre, dans le cas particulier, que la réduction de 20 pour cent intervenue dans le cadre de la décision du 18 avril 1974 n'aurait pas dû s'étendre à la part de 30 pour cent d'augmentation de l'invalidité survenue en 1988.
D'ailleurs, aux termes de l'
art. 118 al. 2 let. b LAA
, le nouveau droit relatif, notamment, à la réduction des prestations pour faute grave (
art. 37 al. 2 LAA
) s'applique aux prestations d'assurance allouées pour les accidents qui sont survenus avant l'entrée en vigueur de la nouvelle loi. C'est dire qu'en l'occurrence et contrairement à ce qui est indiqué au bas de la décision de rente du 3 août 1988, la réduction de la rente d'invalidité allouée au recourant n'était plus régie par l'
art. 98 al. 3 LAMA
mais par l'
art. 37 al. 2 LAA
. De plus, à cette date, les
art. 68 let
. f CESS et 69 let. f de la Convention no 102 étaient en vigueur pour la Suisse. Dès lors, la solution qui consiste à ne pas réduire de 20 pour cent la part augmentée de 30 pour cent de la rente d'invalidité allouée au recourant par décision du 3 août 1988 est également en accord avec la loi nationale.
Quant au moment à partir duquel la réduction doit être supprimée, il y a lieu de se référer aux principes ci-dessus exposés (consid. 3c) et de donner effet à cette mesure à partir du prononcé de l'arrêt
ATF 119 V 171
déjà cité, soit dès le 25 août 1993.
Vu ce qui précède, la conclusion subsidiaire du recourant doit être partiellement admise. | null | nan | fr | 1,994 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
d2e99c60-463b-43bc-8513-b9a184eca52e | Urteilskopf
99 V 65
24. Arrêt dn 24 août 1973 dans la cause Société vaudoise et romande de secours mutuels contre Unimed SA et Tribunal des assurances du canton de Vaud | Regeste
Das Recht des Versicherten, von der Kollektiv- in die Einzelversicherung überzutreten, unterliegt keinen weiteren Beschränkungen als jenen des
Art. 5 Abs. 4 KUVG
.
Eine analoge Anwendung des Art. 8 Abs. 3 ist daher ausgeschlossen. | Sachverhalt
ab Seite 65
BGE 99 V 65 S. 65
A.-
La maison Unimed SA, fabrique d'aiguilles médicales, à Lausanne, a conclu en faveur de son personnel un contrat d'assurance-maladie collectifavec la Société vaudoise et romande de secours mutuels (en abrégé: SVRSM), caisse-maladie reconnue ayant son siège à Lausanne. Cet accord est soumis aux dispositions de droit fédéral valable en matière d'assurancemaladie et accidents, ainsi qu'aux statuts et conditions d'assurance de la caisse-maladie précitée. Le contrat prévoit que tout membre quittant la collectivité pour raison mentionnée dans les statuts peut devenir membre individuel de la caisse; il lui incombe alors de payer les primes individuelles ordinaires calculées selon la classe d'âge à laquelle il appartenait lors de son entrée dans la collectivité, étant entendu que ces dispositions s'appliquent également en cas de dissolution de la collectivité. Quant à l'employeur, il est tenu de renseigner les assurés sur les dispositions ci-dessus et supporte les conséquences éventuelles de la violation de cette obligation.
B.-
Antonietta Scrimitore, née en 1918, veuve, ouvrière d'Unimed SA, est affiliée à la SVRSM dans le cadre de la
BGE 99 V 65 S. 66
convention précitée. Malade et incapable de travailler depuis 1969, elle a épuisé son droit à l'indemnité journalière le 9 juillet 1971. Ses seules ressources sont la rente de l'assurance-invalidité fédérale qui lui est servie, ainsi qu'une aide mensuelle des services sociaux de la commune de Lausanne.
Fernande Rosset, née en 1914, mariée, également ouvrière d'Unimed SA et affiliée auprès de la SVRSM dans le cadre de la convention collective, est incapable de travailler depuis le mois de mai 1970. Son droit aux indemnités journalières a été épuisé dès le 30 juin 1972. Le mari de l'assurée réalise un revenu d'environ ... fr. par mois. Quant à son épouse, elle est bénéficiaire d'une rente de l'assurance-invalidité.
Filippa Pappalardo, née en 1930, mariée, ouvrière d'Unimed SA, est affiliée elle aussi à la SVRSM dans le cadre de la convention précitée. Elle est entièrement incapable de travailler à compter du 14 mai 1971. Elle a 6 enfants âgés de 8 à 21 ans. Un de ses fils, employé chez Bobst SA, à Prilly, verse ... fr. de pension mensuelle à ses parents. Quant au mari de l'assurée, il touche un salaire de ... fr. par mois. Le loyer actuel à charge du ménage de l'assurée est de ... fr. par mois.
Danielle Voria, née en 1943, ouvrière, mariée et mère de 2 enfants en bas âge, est assurée auprès de la SVRSM dans le cadre de l'assurance collective déjà mentionnée. Entièrement incapable de travailler d'octobre 1971 à juin 1972 par suite de maladie, puis à 50% à compter du 12juin 1972, elle n'a pas repris son travail à temps partiel dès cette dernière date, voulant se consacrer à ses enfants. Après plusieurs demandes infructueuses d'Unimed SA, tendant à l'obtention d'un certificat médical, l'assurée a vu son contrat d'engagement résilié avec effet au 30 juin 1972.
Le personnel ouvrier de la maison Unimed SA est assuré auprès de la SVRSM pour une indemnitéjournalière en classe B, à concurrence de 60% du salaire dès le 4e jour d'incapacité de travail.
Le 12 juin 1972, la maison Unimed SA a demandé à la SVRSM d'effectuer sur la tête des quatre assurées précitées un transfert du régime de l'assurance collective à celui de l'assurance individuelle.
Par décision du 24 juillet 1972, la SVRSM a refusé d'opérer le transfert demandé, déclarant appliquer l'art. 8 LAMA par analogie, même si la maison Unimed SA venait à l'avenir à
BGE 99 V 65 S. 67
résilier le contrat de travail de toutes les personnes susmentionnées.
C.-
La maison Unimed SA a recouru contre cette décision en concluant au transfert de l'assurance collective à l'assurance individuelle des quatre assurées précitées. Par jugement du 4 décembre 1972, le Tribunal des assurances du canton de Vaud a admis le recours en ce sens qu'il a contraint la SVRSM à opérer le transfert demandé, dans la mesure toutefois où les prescriptions légales et statutaires seraient respectées dans le cas de chacune des assurées en cause.
D.-
La SVRSM a interjeté en temps utile un recours de droit administratif auprès du Tribunal fédéral des assurances. Elle conteste que la résiliation par le preneur d'assurance collective du contrat de travail de collaborateurs malades ait obligatoirement pour conséquence le transfert de ces derniers dans l'assurance individuelle. Insistant sur le principe de mutualité dans le cadre de l'assurance-maladie, elle conclut au rétablissement de sa décision litigieuse du 24 juillet 1972.
La maison Unimed SA n'a pas déposé de réponse au recours. En revanche, l'Office fédéral des assurances sociales en propose le rejet.
Erwägungen
Considérant en droit:
1.
L'art. 5bis al. 4 LAMA dispose que lorsqu'il cesse d'appartenir au cercle des personnes auxquelles s'étend une assurance collective, ou lorsque le contrat d'assurance collective prend fin, l'assuré a le droit de passer dans l'assurance individuelle de la caisse, à la condition qu'il réside dans le rayon d'activité de celle-ci ou qu'il fasse partie de l'entreprise, de la profession ou de l'association professionnelle à laquelle la caisse limite son activité. Les caisses ont, dans les limites de l'assurance individuelle, l'obligation de garantir à l'assuré qui sort de l'assurance collective les prestations qui lui étaient accordées jusqu'alors.
L'art. 8 al. 3 LAMA, applicable dans le cadre du libre passage, dispose que les assurées qui, quittant une entreprise ou une association professionnelle, doivent sortir soit de la caisse de cette entreprise ou de cette association professionnelle, soit d'une assurance collective, et qui sont enceintes ou bénéficient des prestations prévues à l'art. 14, n'ont droit au libre passage
BGE 99 V 65 S. 68
qu'à l'expiration de la durée du droit aux prestations pour l'accouchement en cause.
2.
La question de droit que la caisse recourante voudrait voir tranchée en l'espèce est la suivante: la résiliation par le preneur d'assurance collective du contrat de travail de collaborateurs malades a-t-elle obligatoirement pour conséquence un transfert sur la tête de ces derniers du régime de l'assurance collective à celui de l'assurance individuelle? Dans le jugement attaqué, le Tribunal des assurances du canton de Vaud a répondu par l'affirmative. Il a considéré que l'application littérale de l'art. 5bis al. 4 LAMA précité était seule possible en l'occurrence et que, par conséquent, le transfert demandé par Unimed SA devait être accordé aux assurées, dans la mesure où les dispositions légales et statutaires étaient respectées.
Au contraire, la caisse recourante voudrait voir la jurisprudence apporter au droit de l'assuré collectif de passer dans l'assurance individuelle une restriction analogue à celle de l'art. 8 al. 3 LAMA, précité, applicable en cas de grossesse. Selon elle, la règle de l'art. 8 al. 3 LAMA aurait une portée plus générale qu'il ne semble: il s'agirait d'un rappel du principe de la mutualité valable dans de nombreuses hypothèses, à l'exemple de l'application de l'art. 12bis al. 4 LAMA par le Tribunal fédéral des assurances au versement partiel de l'indemnité journalière à raison d'une incapacité de travail partielle. Elle s'oppose ainsi à ce que les assurées précitées puissent être mises au bénéfice du transfert demandé par Unimed SA, étant donné que les personnes en question sont malades depuis plusieurs années, ne travaillent plus et ont épuisé leur droit à l'indemnité journalière. Selon elle, en effet, il serait contraire au principe de la mutualité que ces mauvais risques vinssent grever une communauté d'assurés sans qu'il eût été contribué tout d'abord aux réserves destinées à couvrir les prestations qui seront dues aux intéressées.
3.
Le régime de l'assurance collective, qui n'était pas prévu par l'ancienneloi, mais néanmoins déjà pratiqué sur une grande échelle depuis plusieurs années, a été introduit à la faveur de la revision de la LAMA en 1964. Or, ainsi que le relève l'Office fédéral des assurances sociales dans son préavis, rien dans le message du Conseil fédéral du 5 juin 1961 se rapportant à cette revision (FF 1961 I p. 1474) n'autorise à inférer que le législateur ait voulu soumettre le passage du régime de l'assurance collective
BGE 99 V 65 S. 69
à celui de l'assurance individuelle à d'autres conditions restrictives que celles qui sont mentionnées dans le message; ces conditions ont d'ailleurs été reprises sans modification par l'art. 5bis al. 4 LAMA. Dans ces circonstances, il paraît exclu d'appliquer "contra legem", par analogie, l'art. 8 al. 3 LAMA aux cas ressortissant à l'art. 5bis al. 4. Au surplus, les dispositions des statuts de la caisse-maladie recourante, ainsi que celles de la convention d'assurance collective en cause, sont conformes à cette dernière disposition légale.
Certes en droit désirable serait-il concevable de régler la situation comme la caisse recourante le propose, en ce sens que les malades demeureraient à la charge de l'assurance collective même après la résiliation de leur contrat de travail, jusqu'au moment où, une fois guéris, ils auraient alors le droit de demander leur passage à l'assurance individuelle. Cependant, il n'appartient pas au juge des assurances de modifier la loi, mais bien de l'appliquer telle qu'elle est et que le législateur l'a voulue, sauflorsqu'une véritable lacune doit être comblée par la voie de la jurisprudence. Aussi ne peut-on qu'approuver le juge cantonal dans la mesure où il a fait application de l'art. 5bis al. 4 LAMA, cela malgré les abus que cette disposition pourrait permettre et que la caisse recourante signale dans son recours.
4.
Il faut dès lors admettre que, en cas de résiliation de leur contrat de travail, les assurées Scrimitore, Rosset et Pappalardo ont le droit de bénéficier du transfert de l'assurance collective à l'assurance individuelle aux conditions de l'art. 5bis al. 4 LAMA, en rapport avec l'art. 12 nouveau des statuts de la SVRSM, cela même si ces assurées sont encore malades et, par suite, incapables de travailler. Pour les deux premières, la question du transfert ne se pose que pour l'assurance des frais médicaux et pharmaceutiques et l'indemnitéjournalière complémentaire d'hospitalisation, comme le relève à juste titre le juge cantonal. Pour Filippa Pappalardo, en revanche, le problème se pose également pour l'assurance d'une indemnitéjournalière, du fait que, comme il a été établi en procédure cantonale, cette assurée devrait travailler, si elle le pouvait, afin de subvenir aux charges de son ménage et à l'entretien de ses enfants, dont les trois plus jeunes vont encore à l'école. Aussi la SVRSM devrat-ellel'assurerdans uneclassed'indemnitéjournalière correspondant autant que possible à celle assurée selon le contrat collectif.
BGE 99 V 65 S. 70
Quant à Danielle Voria, dont le contrat de travail a été résilié avec effet au 30juin 1972, elle a également en principe le droit de bénéficier du transfert de l'assurance collective à l'assurance individuelle, mais - ainsi que le relève le premier juge - on ignore si les formalités y relatives ont eu lieu; le cas devra être réglé entre Danielle Voria et la caisse recourante...
Dispositiv
Par ces motifs, le Tribunal fédéral des assurances prononce: Le recours de droit administratif est rejeté. | null | nan | fr | 1,973 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
d2eb8986-5a38-4d14-b3b7-2c4c111549b3 | Urteilskopf
109 V 30
6. Extrait de l'arrêt du 19 janvier 1983 dans la cause Caisse cantonale vaudoise de compensation contre Blesi et Tribunal des assurances du canton de Vaud | Regeste
Art. 3 Abs. 1 lit. a ELG
.
Bei der Berechnung des massgebenden Einkommens einer Mutter, die für ihre Kinder den Haushalt besorgt, sind die von diesen geschuldeten Mietzinsen und Kostgelder nicht nur dann anzurechnen, wenn sie eine Erwerbstätigkeit ausüben, sondern auch dann, wenn sie nicht erwerbstätig sind, von ihnen aber im Hinblick auf ihre wirtschaftliche Lage eine solche Kostenbeteiligung verlangt werden kann (Präzisierung der Rechtsprechung). | Erwägungen
ab Seite 30
BGE 109 V 30 S. 30
Extrait des considérants:
3.
a) Aux termes de l'art. 3 al. 1 let. a LPC, le revenu déterminant comprend notamment les ressources en espèces et en nature provenant de l'exercice d'une activité lucrative.
Dans un arrêt Keller, du 14 avril 1972, le Tribunal fédéral des assurances a admis que, lorsqu'une mère tient le ménage pour ses enfants et les nourrit, la participation que ceux-ci lui doivent et qui dépasse le coût effectif de la pension, représente la rétribution pour son travail au ménage, laquelle doit être prise en compte comme
BGE 109 V 30 S. 31
revenu de l'activité lucrative au sens de l'art. 3 al. 1 let. a LPC. Il en va de même du produit de la sous-location de chambres, que celles-ci soient destinées à des personnes étrangères ou aux propres enfants (RCC 1972 p. 485 = ZAK 1972 p. 504). A cet égard, il importe peu que l'assuré renonce au loyer. Ce n'est que si ces rémunérations tombent sous le coup de l'art. 3 al. 3 LPC qu'elles ne font pas partie du revenu déterminant.
Certes, l'arrêt précité semble limiter la prise en compte, dans le revenu déterminant, des seuls loyers et pensions payés par les enfants exerçant une activité lucrative. Or, bien qu'en règle générale on ne puisse parler d'une participation (pour pension et logement) due aux parents que lorsque les enfants exercent une activité lucrative, on ne saurait la limiter à ces seuls cas. Ainsi lorsque, eu égard à sa situation financière, notamment à sa fortune, on peut exiger de l'enfant qui n'exerce aucune activité lucrative une telle participation, celle-ci doit être calculée et prise en considération pour fixer le revenu déterminant. Toute autre solution créerait une inégalité de traitement qui n'a aucun fondement dans la loi. Dès lors, dans la mesure où les chiffres 170 et 184 des directives concernant les prestations complémentaires s'en tiennent à la lettre de l'arrêt Keller, à savoir aux seuls enfants exerçant une activité lucrative, ils sont contraires à la loi. | null | nan | fr | 1,983 | CH_BGE | CH_BGE_007 | CH | Federation |
d2ec3b41-fde4-4fa1-a096-faf41b136000 | Urteilskopf
140 II 262
25. Auszug aus dem Urteil der I. öffentlich-rechtlichen Abteilung i.S. World Wide Fund for Nature (WWF) Schweiz, Stiftung für Natur und Umwelt, Pro Natura, Schweizerischer Bund für Naturschutz und Stiftung Landschaftsschutz Schweiz (SL) gegen KWOG Kraftwerke Obergoms AG (Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten)
1C_283/2012 vom 2. April 2014 | Regeste
Art. 8 RPG
;
Art. 10a USG
;
Art. 29 ff. GSchG
;
Art. 22, 39 und 58 WRG
; Wassernutzungskonzession für Kleinwasserkraftwerk.
Das in Frage stehende Kleinwasserkraftwerk erfordert keine Grundlage im Richtplan (E. 2).
Prüfungsgegenstand der ersten Stufe der Umweltverträglichkeitsprüfung im Rahmen des Konzessionsentscheids (E. 4).
Grundsätze zur Festlegung der Mindestrestwassermenge (E. 5).
Erhöhung der Mindestrestwassermenge zum Schutz seltener Lebensräume und -gemeinschaften; inhaltliche Anforderungen an den Umweltverträglichkeitsbericht (E. 6).
Erhöhung der Mindestrestwassermenge zur Gewährleistung der für die freie Fischwanderung erforderlichen Wassertiefe. Eine Erhöhung setzt voraus, dass im naturnahen Zustand die freie Fischwanderung überhaupt möglich ist (E. 7).
Umfassende Interessenabwägung unter Berücksichtigung namentlich des gesetzlichen Ziels, die Erzeugung von Elektrizität aus erneuerbaren Energien zu fördern (E. 8).
Die Konzessionsdauer von 80 Jahren entspricht der gesetzlichen Höchstdauer. Sie ist zulässig, auch wenn die Amortisationsdauer für die getätigten Investitionen deutlich kürzer ist (E. 10). | Sachverhalt
ab Seite 263
BGE 140 II 262 S. 263
A.
Die KWOG Kraftwerke Obergoms AG (KWOG AG) plant, auf dem Gemeindegebiet von Obergoms ein Kraftwerk mit einer Bruttoleistung von 4,2 MW zu bauen. Das Projekt betrifft die beiden Fliessgewässer Gerewasser und Gonerliwasser, die am Fusse des Hungerbergs oberhalb von Oberwald in die Goneri und später in die Rhone münden. Vorgesehen sind eine Wasserfassung, ein Entsander und ein Regulierbecken von 200 m
3
im Gerental auf 1'650 m ü.M. sowie eine Wasserfassung und ein Entsander im Gonerlital auf 1'760 m ü.M. Das dem Gonerliwasser entnommene Wasser soll über eine unterirdische Hangleitung von 60 cm Durchmesser und 2,2 km Länge zur Fassung des Gerewassers geleitet werden. Von dort führt gemäss den Plänen ein begehbarer Stollen von etwas mehr als 2 km Länge zum Wasserschloss Hungerberg und zum Portal Griewald, wo das Wasser via Druckleitung (Länge: ca. 640 m; Durchmesser: 90-100 cm) einer Zentrale in Oberwald zugeführt und schliesslich turbiniert werden soll.
BGE 140 II 262 S. 264
Der Gemeinderat Obergoms entschied am 24. Februar 2009, der KWOG AG eine Wasserrechtskonzession zu erteilen, und die Urversammlung genehmigte das Vorhaben am 20. März 2009. Die vom 23. August 2010 datierende Konzession wurde nach öffentlicher Auflage vom Staatsrat des Kantons Wallis mit Entscheid vom 30. März 2011 unter verschiedenen Auflagen und Bedingungen genehmigt. Die unter anderem vom World Wide Fund for Nature Schweiz (WWF), der Pro Natura, Schweizerischer Bund für Naturschutz (Pro Natura) und der Stiftung Landschaftsschutz Schweiz (Stiftung Landschaftsschutz) erhobenen Einsprachen wies der Staatsrat ab, soweit sie nicht gegenstandslos geworden waren.
Gegen den Entscheid des Staatsrats legten der WWF, Pro Natura und die Stiftung Landschaftsschutz Verwaltungsgerichtsbeschwerde ein. Das Kantonsgericht Wallis hiess das Rechtsmittel mit Urteil vom 19. April 2012 teilweise gut und ergänzte den staatsrätlichen Entscheid mit weiteren Auflagen. Diese betreffen den Verzicht auf die Wasserfassung des Tällibachs, die Restwassermenge, eine Massnahme, die verhindern soll, dass Fische in die Turbinen des Kraftwerks gelangen, sowie die Beschränkung der für den Bau notwendigen Helikopterflüge. Im Übrigen wies das Kantonsgericht die Beschwerde ab, soweit es darauf eintrat.
B.
Mit Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten vom 24. Mai 2012 beantragen der WWF, Pro Natura und die Stiftung Landschaftsschutz, das Urteil des Kantonsgerichts und die Wasserrechtskonzession seien aufzuheben. Zudem seien ihnen die Kosten des Gutachtens X. von Fr. 17'589.65 von der Beschwerdegegnerin zu erstatten. Eventualiter beantragen sie, die Angelegenheit mit verschiedenen Vorgaben zur Neubeurteilung an die Vorinstanz zurückzuweisen: Die Restwassermenge für die Fassung des Gerewassers sei auf mindestens 750 l/s (Januar-September) bzw. 1800 l/s (Oktober-Dezember) festzulegen und auf die Fassung des Gonerliwassers sei gänzlich zu verzichten; zur Verhinderung der Kolmation in der Schluchtstrecke seien fünf mittlere Hochwasser während zwei Tagen vollständig durchzuleiten; für die Beeinträchtigung schutzwürdiger Lebensräume und Landschaften seien Ersatzmassnahmen zu bezeichnen und dazu sei eine Verlustbilanz zu erstellen; und schliesslich sei die Konzessionsdauer auf 40 Jahre zu begrenzen.
(...)
C.
Am 9. September 2013 führte eine Delegation des Bundesgerichts einen Augenschein beim geplanten Kraftwerk durch. (...)
(...)
BGE 140 II 262 S. 265
Das Bundesgericht heisst die Beschwerde im Sinne der Erwägungen teilweise gut und hebt den angefochtenen Entscheid auf, soweit er die Genehmigung der beanstandeten Wasserrechtskonzession bestätigt. Insofern, als mit der Beschwerde die Erstattung der Kosten für das Gutachten X. beantragt wird, weist es sie ab, soweit es darauf eintritt.
(Auszug)
Erwägungen
Aus den Erwägungen:
2.
2.1
Die Beschwerdeführer machen in erster Linie geltend, die Richtplanung des Kantons Wallis sei unvollständig (
Art. 8 RPG
[SR 700]). Der kantonale Richtplan selbst bezeichne Vorhaben für die Wassernutzung als koordinationsbedürftig. Das Koordinationsblatt G.3/2 des Richtplans sehe zudem nicht den Neubau von weiteren Wasserkraftwerken vor, sondern verlange in erster Priorität die Erneuerung der bestehenden Anlagen. Weiter werde der Kanton angewiesen, in Zusammenarbeit mit den Gemeinden eine kantonale Übersicht zu erstellen, die aufzeige, welche Anlagen Erneuerungspotenzial aufweisen, wo allfällig neue Kraftwerksanlagen erstellt werden können und welche Kriterien dafür erfüllt sein müssen. Ohne Koordination auf Richtplanebene könne nicht bestimmt werden, wo die Stromproduktion aus Wasserkraft unter besserer Schonung der Natur erfolgen kann.
2.2
Das Kantonsgericht führt im angefochtenen Entscheid aus, die Konzessionserteilung stehe weder zum Raumplanungsgesetz noch zum kantonalen Richtplan im Widerspruch. Aus den Koordinationsblättern G.3/2, G.4/2 und G.2/2 werde ersichtlich, welch grosse Bedeutung der Wasserkraftnutzung zur Stromerzeugung im Kanton Wallis zukomme (G.3/2: "Produktion von Energie aus Wasserkraft", G.4/2: "Projekte und Ausbau bestehender Anlagen" [beide vom Staatsrat erlassen am 28. April 1999 und durch den Bund genehmigt am 22. Dezember 1999], G.2/2: "Energieversorgung" [vom Staatsrat erlassen am 11. Februar 2009 und durch den Bund genehmigt am 30. April 2009]). Entgegen der Ansicht der Beschwerdeführer lasse der Richtplan zu diesem Zweck nicht nur die Sanierung oder den Ausbau bestehender Wasserkraftwerke, sondern auch den Neubau zu. Dies gehe unter anderem aus Grundsatz 6 des Koordinationsblatts G.2/2 hervor. Wohl sei die bisherige Planung betreffend Kleinkraftwerke verbesserungsfähig, doch sei die Erteilung von Wassernutzungskonzessionen nicht ausgeschlossen, nur weil Kanton
BGE 140 II 262 S. 266
und Gemeinden die von Koordinationsblatt G.3/2 geforderte Übersicht noch nicht erstellt hätten. Aus dem Bundesrecht gehe zudem nicht schlüssig hervor, welche Vorhaben derart bedeutend seien, dass sie nur aufgrund eines Richtplans genehmigt werden dürften. Der Umstand, dass für ein Projekt eine Umweltverträglichkeitsprüfung durchzuführen sei, sei zwar ein gewichtiges Indiz dafür, dass es der Planungspflicht unterliege. Dabei handle es sich indessen um die Nutzungs- und nicht um die Richtplanung. Für ein Vorhaben der Grössenordnung, wie sie hier vorliege, bedürfe es deshalb keiner Richtplananpassung.
2.3
2.3.1
Die Raumplanung bildet mit der Richt- und Nutzungsplanung sowie den nachfolgenden Baubewilligungs- und allfälligen Ausnahmebewilligungsverfahren ein Ganzes, in dem jeder Teil eine spezifische Funktion erfüllt. Für die Erstellung der Richtpläne bestimmen die Kantone in den Grundzügen, wie sich ihr Gebiet räumlich entwickeln soll (
Art. 6 Abs. 1 RPG
). Nutzungspläne ihrerseits ordnen die zulässige Nutzung des Bodens für jede Parzelle und unterscheiden vorab Bau-, Landwirtschafts- und Schutzzonen (
Art. 14 RPG
). Das Baubewilligungsverfahren schliesslich dient der Abklärung, ob Bauten und Anlagen den im Nutzungsplan ausgedrückten räumlichen Ordnungsvorstellungen entsprechen (zum Ganzen
BGE 137 II 254
E. 3.1 S. 257;
BGE 131 II 103
E. 3.3 S. 117 f.; Urteil 1C_7/2012 vom 11. Juni 2012 E. 2.3, in: ZBl 114/2013 S. 281; je mit Hinweisen; vgl. dagegen noch
BGE 119 Ib 254
E. 5c S. 270). Das Bundesrecht verlangt mithin, dass bei der Erfüllung raumplanerischer Aufgaben das angemessene Planungs- bzw. Entscheidungsinstrument zum Einsatz gelangt.
2.3.2
Gemäss
Art. 8 RPG
zeigen Richtpläne mindestens, wie die raumwirksamen Tätigkeiten im Hinblick auf die anzustrebende Entwicklung aufeinander abgestimmt werden (lit. a) und in welcher zeitlichen Folge und mit welchen Mitteln vorgesehen ist, die Aufgaben zu erfüllen (lit. b). Laut
Art. 5 Abs. 1 RPV
(SR 700.1) zeigt der Richtplan die im Hinblick auf die anzustrebende räumliche Entwicklung wesentlichen Ergebnisse der Planung im Kanton und der Zusammenarbeit mit Bund, Nachbarkantonen und benachbartem Ausland; er bestimmt die Richtung der weiteren Planung und Zusammenarbeit, insbesondere mit Vorgaben für die Zuweisung der Bodennutzungen und für die Koordination der einzelnen Sachbereiche, und bezeichnet die dafür erforderlichen Schritte.
BGE 140 II 262 S. 267
Hinsichtlich der Bestimmung der Richtplaninhalte gesteht das RPG den Kantonen einen grossen Spielraum zu. Wohl verlangen teilweise Spezialbestimmungen, einzelne Nutzungen oder die Standorte bedeutender Vorhaben im Richtplan festzulegen. Dies gilt etwa für Intensivlandwirtschaftszonen (
Art. 16a Abs. 3 RPG
) oder für die Standorte von Abfalldeponien (
Art. 17 der technischen Verordnung über Abfälle vom 10. Dezember 1990 [TVA; SR 814.600]
). Eine Norm, welche die Kantone verpflichten würde, die Standorte aller Wasserkraftwerke im Richtplan festzulegen, besteht jedoch nicht.
In seiner bisherigen Rechtsprechung hat das Bundesgericht bei der Beurteilung der Notwendigkeit einer richtplanerischen Festsetzung auf die räumliche Wesentlichkeit des Vorhabens abgestellt. In
BGE 119 Ib 254
liess es vor diesem Hintergrund die Erteilung der Konzession für ein grosses Wasserkraftwerk zu, obwohl keine detaillierten Angaben im Richtplan bestanden (a.a.O., E. 5c S. 270). Es verlangte jedoch, dass bei der Projektüberprüfung die nach Raumplanungsrecht erforderliche Abstimmung der raumwirksamen Tätigkeiten beachtet und insbesondere dem Gebot der haushälterischen und umweltschonenden Nutzung (
Art. 2 Abs. 1 lit. d RPV
) Rechnung getragen wird. In
BGE 137 II 254
erachtete es einen Richtplan, der keine präzisen Vorgaben zur Ausdehnung und zum Standort einer Auto-Rundstrecke enthielt, dagegen als unvollständig. Entscheidend ist gemäss diesem Urteil, ob angesichts der weitreichenden Auswirkungen des Vorhabens eine vorgängige umfassende Interessenabwägung notwendig erscheint, die nur durch den Prozess der Richtplanung garantiert werden kann (a.a.O., E. 3.2 f. S. 257 ff. mit Hinweisen; vgl. auch Art. 8 Abs. 2 des [noch nicht in Kraft stehenden] revidierten Raumplanungsgesetzes, wonach Vorhaben mit gewichtigen Auswirkungen auf Raum und Umwelt einer Grundlage im Richtplan bedürfen; Bundesgesetz über die Raumplanung, Änderung vom 15. Juni 2012, BBl 2012 5988 f.; Botschaft vom 20. Januar 2010 zu einer Teilrevision des Raumplanungsgesetzes, BBl 2010 1067 ff.).
2.3.3
Das Bundesamt für Umwelt (BAFU), das Bundesamt für Energie (BFE) und das Bundesamt für Raumentwicklung (ARE) haben im Jahr 2011 gemeinsam eine Empfehlung zur Erarbeitung kantonaler Schutz- und Nutzungsstrategien im Bereich Kleinwasserkraftwerke publiziert (
www.bafu.admin.ch/publikationen
[besucht am 11. April 2014]). Sie listet mögliche Richtplaninhalte auf, die für die Interessenabwägung bei der Wasserrechtsverleihung bedeutsam
BGE 140 II 262 S. 268
sein können. Dazu gehört auch die Bezeichnung von Gebieten, die für Kleinwasserkraftwerke nicht oder nur bedingt in Frage kommen oder sich dafür besonders eignen (a.a.O., S. 24). Jedoch werden die Kantone im Einklang mit der erwähnten Rechtsprechung nicht dazu angehalten, sämtliche Standorte einzeln auszuweisen.
2.3.4
Wie bereits von der Vorinstanz dargelegt, hat sich der Kanton Wallis auf Richtplanebene mit verschiedenen Fragen rund um die Produktion von Energie aus Wasserkraft auseinandergesetzt und dabei Vorgaben formuliert. Insbesondere hat er Grundsätze zur Steigerung der Energieeffizienz und -produktion in Berücksichtigung der Anliegen der Raumplanung und des Umweltschutzes festgelegt und diese für den Bereich der Wasserkraft konkretisiert (Koordinationsblätter G.2/2, G.3/2 und G.4/2). Ein spezifisches Koordinationsblatt (g.316/2) wurde 2010 für das ebenfalls in der Gemeinde Obergoms gelegene und deutlich grössere Projekt Gletsch erlassen. Daraus geht hervor, dass die Wasserkraftnutzung in diesem Gebiet in den letzten Jahren eingehend untersucht worden ist.
Der Walliser Richtplan enthält mithin verschiedene Ansätze zur Koordination des Baus künftiger Wasserkraftwerke, auch wenn die einzelnen Standorte nicht speziell ausgewiesen werden. Zwar trifft ebenfalls zu, dass das Koordinationsblatt G.3/2 der Erneuerung von bestehenden Anlagen den Vorrang gibt und eine kantonale Übersicht verlangt, die aufzeigt, welche Anlagen Erneuerungspotenzial aufweisen und wo neue Kraftwerksanlagen erstellt werden können. Diese Vorgaben haben jedoch keinen absoluten Charakter und es ist nicht die Rede davon, bis zur Schaffung einer entsprechenden Übersicht sei der Neubau von Kraftwerksanlagen ausgeschlossen. Zu berücksichtigen ist in diesem Zusammenhang auch, dass sowohl das 2009 erlassene Koordinationsblatt G.2/2 als auch die im gleichen Jahr in Kraft getretene Bestimmung von Art. 1 Abs. 4 des Energiegesetzes vom 26. Juni 1998 (EnG; SR 730.0) die Steigerung der Energieproduktion aus Wasserkraft bezwecken - unabhängig davon, ob dies durch eine Erneuerung bestehender oder durch den Bau neuer Anlagen geschieht.
Vor diesem Hintergrund kann nicht davon gesprochen werden, ohne eine entsprechende Grundlage im Richtplan sei der Bau eines Kleinwasserkraftwerks von den hier zur Diskussion stehenden Dimensionen nicht möglich. Dass sich die geplanten Wasserfassungen und die Hangleitung vom Gonerli- zum Gerewasser innerhalb eines Landschaftsschutzgebiets von kantonaler Bedeutung befinden (vgl. E. 8.4.2
BGE 140 II 262 S. 269
hiernach), ändert daran nichts. Die Abstimmung der zu berücksichtigenden räumlichen Interessen erfordert keine aufwendige Koordination, die nur der Prozess der Richtplanung gewährleisten könnte. Wie aus den nachfolgenden Erwägungen hervorgeht, erlauben es die vorliegenden Grundlagen, die erforderliche umfassende Interessenabwägung vorzunehmen (vgl. E. 4 ff. hiernach). Eine Ausscheidung sämtlicher Standorte möglicher künftiger Kleinkraftwerksanlagen ist dafür nicht erforderlich. Das Kantonsgericht hat deshalb kein Bundesrecht verletzt, wenn es die Notwendigkeit einer spezifischen Grundlage im kantonalen Richtplan verneinte. Wie es sich bei grossen Wasserkraftprojekten verhält, muss im konkreten Einzelfall geprüft werden und ist hier nicht näher zu erörtern.
(...)
4.
4.1
Das geplante Kraftwerk der KWOG AG stellt eine Anlage im Sinne von
Art. 7 Abs. 7 USG
(SR 814.01) dar. Bevor eine Behörde über die Planung, Errichtung oder Änderung von Anlagen entscheidet, prüft sie möglichst frühzeitig die Umweltverträglichkeit (
Art. 10a Abs. 1 USG
). Anlagen, welche Umweltbereiche erheblich belasten können, so dass die Einhaltung der Vorschriften über den Schutz der Umwelt voraussichtlich nur mit projekt- oder standortspezifischen Massnahmen sichergestellt werden kann, sind der Umweltverträglichkeitsprüfung unterstellt (
Art. 10a Abs. 2 USG
). Gemäss
Art. 10a Abs. 3 USG
bezeichnet der Bundesrat die Anlagetypen, die der Umweltverträglichkeitsprüfung unterstehen. Es handelt sich dabei um Anlagen, welche im Anhang zur Verordnung vom 19. Oktober 1988 über die Umweltverträglichkeitsprüfung (UVPV; SR 814.011) aufgeführt sind (
Art. 1 UVPV
). Bei den Energieanlagen werden in Ziff. 21.3 des Anhangs zur UVPV Speicher- und Laufkraftwerke mit einer installierten Leistung von mehr als 3 MW genannt. Dabei wird eine mehrstufige Umweltverträglichkeitsprüfung vorgeschrieben. Die erste Stufe der Umweltverträglichkeitsprüfung ist im Konzessionsverfahren durch die zur Verleihung von Wasserrechten zuständige Behörde desjenigen Kantons vorzunehmen, in dessen Gebiet die in Anspruch genommene Gewässerstrecke liegt (
Art. 38 Abs. 1 des Bundesgesetzes vom 22. Dezember 1916 über die Nutzbarmachung der Wasserkräfte [Wasserrechtsgesetz, WRG; SR 721.80]
). Das massgebliche Verfahren für die zweite Stufe wird durch das kantonale Recht bestimmt.
4.2
Gemäss Art. 4 Abs. 1 des Gesetzes des Kantons Wallis vom 28. März 1990 über die Nutzbarmachung der Wasserkräfte (GNW;
BGE 140 II 262 S. 270
SGS 721.8) kommt das Recht, innerhalb der Kantonsgrenzen über die Wasserkräfte der Rhone und des Genfersees zu verfügen, dem Kanton zu. Die Verfügung über die Wasserkräfte der übrigen öffentlichen Gewässer obliegt den Gemeinden (Art. 4 Abs. 2 GNW). Zuständige Wasserrechtsverleihungsbehörde ist im vorliegenden Fall der Gemeinderat Obergoms, wobei die von der Gemeinde erteilte Wasserrechtskonzession der Genehmigung des Regierungsrats unterliegt (Art. 9 Abs. 2 GNW). Das Verfahren der Konzessionserteilung, in welches die erste Stufe der UVP eingebettet ist, wird in Art. 7 ff. GNW näher ausgeführt. Auf das Konzessionsverfahren folgt gemäss Art. 31 GNW ein Plangenehmigungsverfahren, in dessen Rahmen die in Ausübung der Konzession zur errichtenden Bauwerke beurteilt werden. In diesem Plangenehmigungsverfahren erfolgt die zweite Stufe der Umweltverträglichkeitsprüfung (vgl. Urteil 1C_67/2011 vom 19. April 2012 E. 9.1.2, in: URP 2013 S. 72).
4.3
Die Gliederung der Projektierung und Beurteilung erlaubt es, zunächst einen Grundsatzentscheid über die Zulässigkeit eines Vorhabens herbeizuführen, ohne dass schon über sämtliche, auch untergeordnete Bewilligungen entschieden werden müsste (
BGE 126 II 26
E. 5d S. 39 mit Hinweisen). Die Aufteilung auf zwei Verfahrensstufen erfordert, dass im Rahmen der ersten Stufe (dem Konzessionsverfahren) sämtliche grundsätzlich wesentlichen Aspekte der Anlage behandelt werden; diese dürfen auf der zweiten Stufe nicht mehr in Frage gestellt werden (
BGE 126 II 26
E. 5d S. 39; Urteil 1A.104/2001 vom 15. März 2002 E. 2.1; je mit Hinweisen; RICCARDO JAGMETTI, Energierecht, SBVR Bd. VII, 2005, Rz. 4431; ENRICO RIVA, Wasserkraftanlagen: Anforderungen an die Vollständigkeit und Präzision des Konzessionsentscheids, URP 2014 S. 11 ff.). Zu den wesentlichen Aspekten gehört insbesondere die Feststellung, dass dem fraglichen Projekt aus umweltrechtlicher Sicht grundsätzlich nichts entgegensteht (
BGE 121 II 378
E. 6c S. 393 f.; Urteil 1C_67/2011 vom 19. April 2012 E. 9.1.1, in: URP 2013 S. 72; je mit Hinweisen). In diesem Sinne hat das Bundesgericht aus der Koordinationspflicht abgeleitet, dass insbesondere die gewässerschutzrechtliche Bewilligung nach
Art. 29 GSchG
(SR 814.20), welche die nutzbare Wassermenge festlegt, zwingend zusammen mit der Konzession zu erteilen ist (
BGE 125 II 18
E. 4b/aa S. 22 f.;
BGE 119 Ib 254
E. 6b S. 272; je mit Hinweisen). In das nachfolgende Verfahren der zweiten Stufe dürfen regelmässig nur Fragen verwiesen werden, denen bei gesamthafter Beurteilung lediglich untergeordnete Bedeutung zukommt
BGE 140 II 262 S. 271
(
BGE 121 II 378
E. 6c S. 394;
BGE 119 Ib 254
E. 9c S. 277 f.; Urteil 1A.104/2001 vom 15. März 2002 E. 2.1 und 3.3.6; je mit Hinweisen). Dies kann Massnahmen betreffen, die für die Bauzeit anzuordnen sind, um dem Lärmschutz und der Luftreinhaltung Rechnung zu tragen (
BGE 119 Ib 254
E. 10hd S. 297), im Einzelfall aber auch eine allenfalls notwendige Ausnahmebewilligung nach
Art. 24 RPG
oder eine Rodungsbewilligung nach
Art. 5 des Bundesgesetzes vom 4. Oktober 1991 über den Wald ([Waldgesetz, WaG; SR 921.0]
; vgl. im Einzelnen
BGE 119 Ib 254
E. 9c S. 277 f.; HANS GAUDENZ SCHMID, Landschaftsverträgliche Wasserkraftnutzung, 1997, S. 125 ff.; RIVA, a.a.O., S. 20 f.). Im vorliegenden Fall erteilte der Staatsrat zusammen mit der Genehmigung der kommunalen Wasserrechtsverleihung die notwendige Rodungsbewilligung; in Bezug auf
Art. 24 RPG
wies er auf die positive Stellungnahme der kantonalen Dienststelle für Raumentwicklung hin und behielt die spätere Erteilung der Ausnahmebewilligung (im Rahmen der zweiten Verfahrensstufe) vor. Dieses Vorgehen steht mit der erwähnten bundesgerichtlichen Rechtsprechung im Einklang.
4.4
Im Rahmen des Verfahrens der Verleihung der Wasserrechtskonzession (erste Verfahrensstufe) ist gemäss
Art. 39 WRG
eine umfassende Interessenabwägung vorzunehmen. Dabei sind nach dem Ausgeführten alle wesentlichen Fragen des Vorhabens zu klären. Miteinzubeziehen sind allgemeinwirtschaftliche Interessen sowie der Schutz der Landschaft, des Ortsbilds, geschichtlicher Stätten und von Natur- und Kulturdenkmälern (
Art. 22 WRG
,
Art. 3 Abs. 1 des Bundesgesetzes vom 1. Juli 1966 über den Natur- und Heimatschutz [NHG; SR 451]
; vgl. JÜRG RUF, Infrastrukturbauten, in: Beraten und Prozessieren in Bausachen, 1998, Rz. 21.105).
4.5
Im Folgenden ist entsprechend den in der Beschwerdeschrift vorgebrachten Rügen zu prüfen, ob die Erteilung der Wasserrechtskonzession die gewässerschutzrechtlichen Bestimmungen über die Mindestrestwassermenge und die dem Landschaftsschutz dienende Vorschrift von
Art. 22 WRG
respektiert sowie einer umfassenden Interessenabwägung standhält.
5.
5.1
Die Beschwerdeführer machen geltend, dass die Restwassermenge erhöht werden müsse, weil dies zur Erhaltung seltener Lebensräume und -gemeinschaften (
Art. 31 Abs. 2 lit. c GSchG
) und zur Gewährleistung der freien Fischwanderung (
Art. 31 Abs. 2 lit. d GSchG
) erforderlich sei. Zudem erfordere auch die Abwägung der für und
BGE 140 II 262 S. 272
gegen die Wasserentnahme sprechenden Interessen, wie sie von
Art. 33 GSchG
vorgeschrieben werde, eine Erhöhung der Restwassermenge. Das Kantonsgericht habe in seiner Interessenabwägung die wirtschaftliche Bedeutung des Kraftwerks überschätzt und der landschaftlichen Beeinträchtigung zu wenig Bedeutung beigemessen. Dies verstosse auch gegen
Art. 22 Abs. 1 WRG
.
5.2
Wer einem Fliessgewässer mit ständiger Wasserführung über den Gemeingebrauch hinaus Wasser entnehmen will, benötigt dazu gemäss
Art. 29 lit. a GSchG
eine Bewilligung. Die Entnahme kann bewilligt werden, wenn die Anforderungen nach
Art. 31-35 GSchG
erfüllt sind (
Art. 30 lit. a GSchG
;
BGE 120 Ib 233
E. 5a S. 240 mit Hinweisen).
Art. 31 GSchG
setzt die Einhaltung einer Mindestrestwassermenge voraus. Diese wird dabei in Abhängigkeit von der Abflussmenge Q
347
definiert. Das ist jene Abflussmenge, die - gemittelt über zehn Jahre - durchschnittlich während 347 Tagen des Jahres erreicht oder überschritten wird und die durch Stauung, Entnahme oder Zuleitung von Wasser nicht wesentlich beeinflusst ist (
Art. 4 lit. h GSchG
). Abs. 1 von
Art. 31 GSchG
setzt für Fliessgewässer mit geringer Abflussmenge prozentual höhere Mindestrestwassermengen fest als für solche mit grösserer Abflussmenge (vgl. Botschaft vom 29. April 1987 zur Volksinitiative "zur Rettung unserer Gewässer" und zur Revision des Bundesgesetzes über den Schutz der Gewässer, BBl 1987 II 1129 Ziff. 322.2). Ausgehend von einer Abflussmenge Q
347
des Gonerliwassers von 75 l/s und des Gerewassers von 230 l/s haben die Vorinstanzen eine Mindestrestwassermenge von 62 l/s für das Gonerliwasser und 161 l/s für das Gerewasser errechnet.
Nach Abs. 2 von
Art. 31 GSchG
muss die nach Abs. 1 berechnete Restwassermenge unter bestimmten Voraussetzungen erhöht werden, so etwa zur Erhaltung seltener Lebensräume und -gemeinschaften (lit. c) und zur Gewährleistung der freien Fischwanderung (lit. d). In einem weiteren Schritt ist die Mindestrestwassermenge gemäss
Art. 33 GSchG
insoweit zu erhöhen, als sich dies aufgrund einer Abwägung der Interessen für und gegen die Wasserentnahme ergibt (
BGE 125 II 18
E. 4a/bb S. 22 mit Hinweis). Die hierbei unter anderem zu berücksichtigende Bedeutung der Gewässer als Landschaftselement (
Art. 33 Abs. 3 lit. a GSchG
) ist dabei auch bei der Beurteilung im Licht von
Art. 22 WRG
bedeutsam (vgl. Urteil 1A.151/2002 vom 22. Januar 2003 E. 5.1, in: URP 2003 S. 235). Nach dieser letztgenannten Bestimmung sind Naturschönheiten zu schonen und
BGE 140 II 262 S. 273
da, wo das allgemeine Interesse an ihnen überwiegt, ungeschmälert zu erhalten (Abs. 1). Zudem sind die Wasserwerke so auszuführen, dass sie das landschaftliche Bild nicht oder möglichst wenig stören (Abs. 2). Vorausgesetzt ist mithin eine Beurteilung des mit einer Gewässernutzung verbundenen Landschaftseingriffs und eine Abwägung der Interessen am Eingriff gegenüber den Interessen an der Erhaltung der Landschaft (Urteil 1A.59/1995 vom 28. April 2000 E. 3b, in: URP 2000 S. 691).
Der Schutz des landschaftlichen Bilds gemäss
Art. 22 WRG
und die umfassende Interessenabwägung gestützt auf
Art. 39 WRG
(vgl. E. 4.2 hiervor) können schliesslich über eine blosse Erhöhung der Mindestrestwassermenge hinaus gebieten, auf die Fassung eines Fliessgewässers ganz zu verzichten.
5.3
Die Beschwerdeführer beanstanden die Berechnung der Mindestrestwassermenge nach
Art. 31 Abs. 1 GSchG
durch die kantonalen Behörden nicht. Sie sind nach dem Gesagten jedoch der Auffassung, die Mindestrestwassermenge müsse gemäss
Art. 31 Abs. 2 und
Art. 33 GSchG
erhöht werden und der mit dem Kraftwerksbau einhergehende Landschaftseingriff sei mit
Art. 22 WRG
nicht vereinbar. Wie es sich damit verhält, ist im Folgenden zu prüfen. Dabei ist zu berücksichtigen, dass sich eine allfällige Erhöhung der Restwassermenge im Gere- oder im Gonerliwasser direkt auf die Restwassermenge in der Goneri auswirkt, weshalb es angezeigt ist, das Augenmerk zunächst auf die beiden obenliegenden Gewässer zu legen.
6.
6.1
In einem ersten Schritt ist zu untersuchen, ob das Kantonsgericht eine Erhöhung der Mindestrestwassermenge zum Schutz seltener Lebensräume und -gemeinschaften hätte anordnen müssen (
Art. 31 Abs. 2 lit. c GSchG
). Die Beschwerdeführer rügen in dieser Hinsicht zum einen, der angefochtene Entscheid sei unzureichend begründet (
Art. 29 Abs. 2 BV
). Zum andern bringen sie vor, ihrer Fotodokumentation seien Hinweise auf schützenswerte Lebensräume zu entnehmen. Die Beschwerdegegnerin habe dazu jedoch keine Untersuchungen angestellt. Ihr Umweltverträglichkeitsbericht genüge insofern den Anforderungen von
Art. 3 UVPV
nicht.
6.2
Das Kantonsgericht hält fest, es sei nach
Art. 31 Abs. 2 lit. c GSchG
keine Erhöhung der Mindestrestwassermenge erforderlich. Zur Begründung verweist es unter anderem auf den
BGE 140 II 262 S. 274
Umweltverträglichkeitsbericht vom 17. Februar 2009, wo dargelegt wird, weshalb keine seltenen Lebensräume bestehen. Auch wenn sich das Kantonsgericht mit einem Verweis begnügte, erfüllte es seine Begründungspflicht. Das rechtliche Gehör verlangt nicht, dass sich die Behörde mit allen Parteistandpunkten einlässlich auseinandersetzt und jedes einzelne Vorbringen ausdrücklich widerlegt. Vielmehr kann sie sich auf die für den Entscheid wesentlichen Punkte beschränken. Die Beschwerdeführer wurden durch den Verweis und die Ausführungen im Umweltverträglichkeitsbericht in die Lage versetzt, sich über die Tragweite des Entscheids Rechenschaft zu geben und ihn in voller Kenntnis der Sache weiterzuziehen (vgl.
BGE 136 I 229
E. 5.2 S. 236 mit Hinweisen). Die Rüge der Verletzung von
Art. 29 Abs. 2 BV
ist deshalb unbegründet.
6.3
Art. 31 Abs. 2 lit. c GSchG
zielt in erster Linie auf den Erhalt von inventarisierten Schutzzonen für seltene Lebensräume und -gemeinschaften ab (BBl 1987 II 1133 Ziff. 322.2). Die Vorschrift ist aber auch anwendbar, wenn keine Inventarisierung der seltenen Lebensräume und -gemeinschaften vorliegt (Bundesamt für Umwelt, Wald und Landschaft [BUWAL, heute: BAFU], Wegleitung: Angemessene Restwassermengen - Wie können sie bestimmt werden?, 2000, S. 42; MAURUS ECKERT, Rechtliche Aspekte der Sicherung angemessener Restwassermengen, 2002, S. 64 f.). Vorausgesetzt ist, dass es konkrete Anzeichen dafür gibt, dass mit den vorgesehenen Restwassermengen bestehende seltene Lebensräume und -gemeinschaften nicht erhalten werden könnten, wobei diesbezüglich mit der Pflicht zur UVP eine Untersuchungsobliegenheit einhergeht (vgl.
Art. 10b Abs. 2 USG
,
Art. 3 und 9 UVPV
).
Das BAFU geht in seiner Vernehmlassung davon aus, dass es keine Hinweise auf das Schutzbedürfnis von seltenen Lebensräumen gibt. Im Umweltverträglichkeitsbericht wird ausgeführt, dass die Uferbereiche der Restwasserstrecken des Gere- und des Gonerliwassers steil seien und offene Felsflächen aufwiesen. Die Ufervegetation sei kaum ausgeprägt. Die Ufer der Goneri, welche zudem teilweise stark kanalisiert sei, wiesen ebenfalls keine seltenen Lebensräume auf. An anderer Stelle ergänzt der Bericht diese Feststellungen mit einer ausführlichen Beschreibung der vom Projekt betroffenen Flora und Fauna, welche auch Artenlisten umfasst.
Mit diesen Angaben sind die gesetzlichen Anforderungen an den Umweltverträglichkeitsbericht erfüllt worden. Eine weitergehende, insbesondere eine kartografische Erfassung sämtlicher Pflanzen und
BGE 140 II 262 S. 275
Tiere im Projektbereich ist nicht erforderlich. Am Augenschein bestätigte sich zudem die erwähnte Beschreibung der Restwasserstrecken im Umweltverträglichkeitsbericht. Auch ergaben sich keine konkreten Hinweise auf seltene Lebensräume und -gemeinschaften im Uferbereich, die durch die Wasserreduktion gefährdet würden. Weitere Abklärungen erscheinen deshalb nicht als notwendig.
7.
7.1
Unter dem Titel von
Art. 31 Abs. 2 lit. d GSchG
beanstanden die Beschwerdeführer, dass mit den vorgesehenen Restwassermengen die Wanderung der Bachforelle im Gerewasser nicht gewährleistet sei. Die Mindestrestwassermenge des Gerewassers sei deshalb auf 750 l/s und für die Zeit der Laichwanderung von Oktober bis Dezember auf 1'800 l/s zu erhöhen. Sie stützen sich für diese Forderung auf das von ihnen in Auftrag gegebene Gutachten der Unternehmen X. und Y. GmbH (Gutachten X.), datierend vom 22. Februar 2012. Dieses basiert auf der Untersuchung eines angeblich repräsentativen Modellabschnitts von ca. 110 m Länge im unteren Bereich der Restwasserstrecke des Gerewassers.
7.2
Im Gerewasser wie im Übrigen auch im Gonerliwasser und in der Goneri werden jährlich Jungfische ausgesetzt. Es handelt sich somit um Fischbesatzgewässer bzw. um Fischgewässer im Sinne des Gesetzes (vgl.
BGE 119 Ib 254
E. 9g S. 283; Aquarius: Arbeitsgemeinschaft für Fischerei- und Umweltbiologie, Beurteilungshilfe zur Klassierung von Fliessgewässern als Nichtfischgewässer nach Art. 32 Bst. b GSchG, 2000, S. 2 und 5). Nach
Art. 31 Abs. 2 lit. d GSchG
muss deshalb die für die freie Fischwanderung erforderliche Wassertiefe gewährleistet sein. Dies setzt freilich voraus, dass im naturnahen Zustand die freie Fischwanderung überhaupt möglich ist (BBl 1987 II 1134 Ziff. 322.2; BUWAL, a.a.O., S. 38). Im Gonerliwasser ist dies wegen der hohen Abstürze nicht der Fall, wovon auch die Beschwerdeführer ausgehen. Laut dem Umweltverträglichkeitsbericht und der Stellungnahme des BAFU ist indessen auch das Gerewasser nicht fischgängig. Dieses weise ebenfalls einige grössere Abstürze auf. Zudem sei es aufgrund der geologischen Verhältnisse seines Einzugsgebiets bereits bei kleineren Hochwassern bedingt durch die hohe Menge an Schwebstoffen stark getrübt. Daher seien in der Restwasserstrecke bei natürlichen Bedingungen Ablagerungen auf der Sohle sichtbar. Das Gerewasser eigne sich deshalb als Laichgewässer nicht und eine Fischwanderung adulter Tiere finde nicht statt. Das BAFU weist zudem auf methodische
BGE 140 II 262 S. 276
Schwachstellen des Gutachtens X. hin. So sei die darin gewählte Modellstrecke nicht ohne Weiteres repräsentativ für die weiteren Gewässerabschnitte und Ungenauigkeiten der Vermessungsaufnahmen von bis zu 5 cm (in der Höhe) könnten nicht ausgeschlossen werden. Die betreffenden Ergebnisse stellten im Übrigen lediglich eine Momentaufnahme dar, da im Gerewasser bei Hochwasser Geschiebe umgelagert werde.
In ihrer Replik bekräftigen die Beschwerdeführer, die Messungen und Berechnungen für die Modellstrecke seien die zuverlässigsten Angaben, die vorlägen. Und die Feststellung bezüglich Schwebstoffen halten sie für gewagt, da die Hochwasser eher nicht in der Laichperiode vorkämen. Mit diesen Argumenten stellen sie indessen die plausible Annahme, dass auch in der Laichperiode Ablagerungen auf der Flusssohle bestehen, nicht in Frage. Damit gibt es keinen Grund, diesbezüglich von den Feststellungen des BAFU als fachkundiger Bundesbehörde abzuweichen, zumal diese im Ergebnis mit der Beurteilung durch die kantonale Fachstelle übereinstimmen (vgl.
BGE 119 Ib 254
E. 8a S. 274 mit Hinweisen). Es ist deshalb davon auszugehen, dass das Gerewasser aufgrund der Abstürze, der durch Schwebstoffe verursachten Trübung und der damit einhergehenden Ablagerungen auf der Sohle als Laichgewässer ungeeignet ist und dass eine Wanderung adulter Fische nicht stattfindet.
Art. 31 Abs. 2 lit. d GSchG
kommt deshalb auf den Restwasserbereich des Gerewassers nicht zur Anwendung. Die betreffende Rüge der Beschwerdeführer ist unbegründet.
Dass im Rahmen von
Art. 31 Abs. 2 lit. d GSchG
keine Erhöhung der Mindestrestwassermenge anzuordnen ist, bedeutet freilich nicht, dass die Auswirkungen der Wasserentnahme auf die Fische rechtlich unbeachtlich bliebe. Diese sind im Rahmen der Interessenabwägung nach
Art. 33 GSchG
und
Art. 39 WRG
zu berücksichtigen. Darauf ist im Folgenden einzugehen.
8.
8.1
Unter dem Titel der umfassenden Interessenabwägung (
Art. 33 GSchG
und
Art. 39 WRG
) und insbesondere des Landschaftschutzes (
Art. 22 WRG
) fordern die Beschwerdeführer eine Erhöhung der Mindestrestwassermenge und einen gänzlichen Verzicht auf die Fassung der Gonerli. Wohl habe der Staatsrat, wie gesetzlich vorgesehen, eine Interessenabwägung vorgenommen. Dabei habe er jedoch die wirtschaftlichen Interessen jenen am Naturschutz zu Unrecht vorangestellt. Das Kraftwerk habe indessen eine bloss lokale
BGE 140 II 262 S. 277
Bedeutung. Es rechtfertige keinen Eingriff in ein noch weitestgehend intaktes Naturgebiet. Das Gonerliwasser, das vom Weg ins Gere- und Gonerlital sowie vom Weiler Gere bzw. vom Hungerberg gut einsehbar sei, bilde eine der wenigen unberührten und imposanten Kaskaden im Goms und sei landschaftlich sehr wertvoll. Eine Restwassermenge von 62 l/s würde dieses eindrückliche Landschaftselement zum Verschwinden bringen. Auch die Goneri und das Gerewasser seien teilweise einsehbar und das Rauschen vom Weg eindrücklich hörbar. Vor allem im Bereich der Brücke erscheine das Gerewasser als imposanter Bergbach. Die Wirkung der vorgesehenen Bauten (Fassungen, Entsander und Regulierbecken) sei völlig vernachlässigt worden. Diese Aspekte und die Frage der wirtschaftlichen Tragbarkeit fehlten im Restwasserbericht. Dieser genüge den Anforderungen von
Art. 33 GSchG
deshalb nicht.
8.2
Art. 33 GSchG
nennt in nicht abschliessender Weise Aspekte, welche in die umfassende Interessenabwägung einfliessen sollen. Interessen für die Wasserentnahme sind danach namentlich die öffentlichen Interessen, denen sie dienen soll, die wirtschaftlichen Interessen des Wasserherkunftsgebiets, die wirtschaftlichen Interessen desjenigen, der Wasser entnehmen will, sowie die Energieversorgung, wenn ihr die Wasserentnahme dienen soll (Abs. 2). Interessen gegen die Wasserentnahme sind namentlich die Bedeutung der Gewässer als Landschaftselement und als Lebensraum für die davon abhängige Tier- und Pflanzenwelt, die Erhaltung einer ausreichenden Wasserführung, um die Anforderungen an die Wasserqualität der Gewässer langfristig zu erfüllen, die Erhaltung eines ausgeglichenen Grundwasserhaushalts und die Sicherstellung der landwirtschaftlichen Bewässerung (Abs. 3). Wer einem Gewässer Wasser entnehmen will, hat der zuständigen Behörde einen Bericht zu unterbreiten über die Auswirkungen unterschiedlich grosser Wasserentnahmen auf die Interessen an der Wasserentnahme, insbesondere auf die Herstellung von elektrischer Energie und deren Kosten sowie über die voraussichtlichen Beeinträchtigungen der Interessen gegen eine Wasserentnahme und über mögliche Massnahmen zu deren Verhinderung (Abs. 4).
8.3
Der von den Beschwerdeführern vorgelegte Restwasserbericht, der Teil des Umweltverträglichkeitsberichts bildet (Art. 35 Abs. 1 der Gewässerschutzverordnung vom 28. Oktober 1998 [GSchV; SR 814.201]), behandelt entgegen der Auffassung der Beschwerdeführer die voraussichtliche Beeinträchtigung der Landschaft durch das
BGE 140 II 262 S. 278
Projekt (vgl.
Art. 33 Abs. 4 lit. b GSchG
). Im Ergebnis wird im Bericht festgehalten, dass aufgrund des Überlaufs zwischen Mai und Oktober sowie des schluchtartigen Charakters des Gonerli- und des Gerewassers das Landschaftserlebnis nur sehr gering beeinträchtigt werde. Den Anforderungen von
Art. 33 Abs. 4 GSchG
ist insofern Genüge getan. Die Frage, ob die Feststellungen im Restwasserbericht tatsächlich zutreffen, beurteilt sich nach Abs. 1-3 von
Art. 33 GSchG
, nicht nach Abs. 4. Darauf ist weiter unten einzugehen.
Diskutiert wird im Restwasserbericht auch die Frage der wirtschaftlichen Tragbarkeit, das heisst die Auswirkungen unterschiedlich grosser Wasserentnahmen auf die Interessen an der Wasserentnahme (vgl.
Art. 33 Abs. 4 lit. a GSchG
). So werden im Zusatzbericht vom 2. Februar 2011 zum Umweltverträglichkeitsbericht die wirtschaftlichen Auswirkungen von vier Projektvarianten aufgeführt (Varianten 1a-1d, welche sich hinsichtlich der Wasserentnahme unterscheiden).
Variante 1a beinhaltet die Fassung des Tällibachs, welche die Projektanten ursprünglich geplant hatten, auf die sie aber noch vor Verfassen des Umweltverträglichkeitsberichts verzichteten. Nach Variante 1b wird der Tällibach nicht gefasst, dafür im Bereich zwischen der Fassung des Gerewassers und dem Zufluss des Tällibachs eine Restwassermenge vorgesehen, die unter dem Minimum gemäss
Art. 30 Abs. 1 GSchG
liegt. Variante 1c schliesslich ist jene, die von der Beschwerdegegnerin gewählt wurde und somit Verfahrensgegenstand bildet. Sie basiert auf der Fassung des Gonerli- und des Gerewassers, wobei im Gegensatz zu Variante 1b bei Letzterem die Mindestrestwassermenge nach
Art. 31 Abs. 1 GSchG
eingehalten wird. Als Variante 1d wird im Umweltverträglichkeitsbericht im Sinne einer Modifikation von Variante 1c die deutliche Erhöhung der Restwassermenge im Gerewasser für die Monate Mai, September (je um 300 l/s), Oktober (um 200 l/s) und November (um 100 l/s) aufgeführt. Zur Wirtschaftlichkeit wird dargelegt, dass die Gestehungskosten bei Variante 1d bei 11,1 Rp./kWh liegen (bezogen auf eine Konzessionsdauer von 80 Jahren) und die kostendeckende Einspeisevergütung 11,85 Rp./kWh beträgt. Diese geringe Differenz zwischen den Gestehungskosten und der Einspeisevergütung reiche indessen nicht aus, um während der Vergütungsdauer jene erhöhten Abschreibungen vorzunehmen, die notwendig seien, um danach zu den deutlich tieferen Marktpreisen produzieren zu können. Die Wirtschaftlichkeit sei somit bei der Variante 1d nicht mehr gegeben.
BGE 140 II 262 S. 279
Variante 1c sei dagegen wirtschaftlich, da bei dieser die Gestehungskosten mit rund 10,5 Rp./kWh tiefer seien.
Am Augenschein ergänzte der Vertreter des BFE, der voraussichtliche Vergütungssatz für das Projekt (Variante 1c) betrage 12,6 Rp./kWh (vgl. zur kostendeckenden Einspeisevergütung E. 8.4.1 hiernach). Die Vergütung werde während 25 Jahren ausgerichtet, wobei das Werk in diesem Zeitraum nicht vollständig abgeschrieben werde. Die Beschwerdeführer machten zudem in ihrer Stellungnahme zum Augenscheinsprotokoll geltend, selbst bei einem Verzicht auf die Nutzung des Gonerliwassers und angemessenen Restwassermengen im Gerewasser könne noch eine Rendite von 3,5-4 % auf die Gesamtinvestitionen erzielt werden.
Die Ausführungen im Restwasserbericht sind zum einen insofern unvollständig, als sie für das Gonerliwasser die Auswirkungen unterschiedlich grosser Wasserentnahmen ausblenden. Zum andern wird nicht aufgezeigt, bei welcher Restwassermenge die Grenze der wirtschaftlichen Tragbarkeit liegt. Zwar wird ausgehend von Variante 1c behauptet, weitere Abstriche seien aus Gründen der Wirtschaftlichkeit nicht mehr möglich, was nahelegt, dass Variante 1c die grösste, wirtschaftlich gerade noch tragbare Restwassermenge vorsieht. Doch wird diese Behauptung nicht weiter begründet. Sie erscheint zudem angesichts der Aussage der Beschwerdegegnerin am Augenschein, dass bei einer Konzessionsdauer von 80 Jahren mit einer Rentabilität von immerhin 5-6 % zu rechnen sei, nicht ohne Weiteres plausibel. Trotz dieser Mängel ist jedoch auf der Grundlage der Informationen in den Akten eine Beurteilung des Projekts und insbesondere eine umfassende Interessenabwägung unter Berücksichtigung der wirtschaftlichen Aspekte möglich, wie sich aus den folgenden Erwägungen ergibt.
8.4
8.4.1
Das öffentliche Interesse an der Wasserentnahme gründet primär in der einheimischen Energieproduktion aus erneuerbaren Quellen (
Art. 33 Abs. 2 lit. a und d GSchG
,
Art. 89 Abs. 1 BV
; Urteil 1A.151/2002 vom 22. Januar 2003 E. 4.6, in: URP 2003 S. 235). Das Energiegesetz enthält eine ausdrückliche Zielvorgabe für die Erzeugung von Elektrizität aus erneuerbaren Energien im Allgemeinen und Wasserkraft im Besonderen. Gemäss Abs. 3 von
Art. 1 EnG
ist die durchschnittliche Jahreserzeugung von Elektrizität aus erneuerbaren Energien bis zum Jahr 2030 gegenüber dem Jahr 2000 um mindestens 5'400 GWh zu erhöhen (wobei der Bundesrat
BGE 140 II 262 S. 280
Elektrizität, welche aus erneuerbaren Energien im Ausland erzeugt wurde, bis zu einem Anteil von 10 % diesem Ziel anrechnen kann). Abs. 4 definiert für Elektrizität aus Wasserkraftwerken für denselben Zeithorizont das Ziel einer Erhöhung um 2'000 GWh. Zu dessen Erreichung ist im Gesetz das Förderinstrument der kostendeckenden Einspeisevergütung (KEV) vorgesehen, von welcher auch die Wirtschaftlichkeit des von der Beschwerdegegnerin geplanten Kleinwasserkraftwerks abhängt (vgl.
Art. 7a EnG
und Art. 3 ff. der Energieverordnung vom 7. Dezember 1998 [EnV; SR 730.01]). Die KEV deckt für die Stromproduktion aus erneuerbaren Energien die Differenz zwischen dem (tieferen) Marktpreis und den (höheren) Gestehungskosten. Die der Berechnung der KEV zugrunde gelegten Gestehungskosten entsprechen dabei jenen von Referenzanlagen mit der effizientesten Technologie (
Art. 7a Abs. 2 EnG
). Die Vergütungsdauer berücksichtigt die Amortisation und beträgt bei Kleinwasserkraftanlagen 25 Jahre (
Art. 7a Abs. 2 lit. c EnG
; Ziff. 4.2 von Anhang 1.1 zur EnV).
Das projektierte Kleinwasserkraftwerk dient der Erreichung des gesetzgeberischen Ziels, die Erzeugung von Elektrizität aus erneuerbaren Energien zu fördern. Der Gesetzgeber hat indessen der erwähnten Zielvorgabe und dem darauf gerichteten Förderungsinstrumentarium kein erhöhtes Gewicht gegenüber den ebenfalls in Verfassung und Gesetz verankerten Anliegen des Umwelt-, Natur- und Landschaftsschutzes verliehen (vgl.
BGE 132 II 408
E. 4.5.1 S. 419). Es ist vielmehr davon auszugehen, dass jede Anlage, welche eine kostendeckende Einspeisevergütung beanspruchen will, alle gesetzlichen Anforderungen, insbesondere in den Bereichen des Umwelt-, Natur- und Landschaftsschutzes, von vornherein erfüllen muss (vgl. BFE, Wording zum Thema Kleinwasserkraftprojekte und kostendeckende Einspeisevergütung [KEV], 2009,
www.bfe.admin.ch/dokumentation/publikationen
[besucht am 11. April 2014]). Vor dem Hintergrund der in
Art. 33 GSchG
und
Art. 39 WRG
vorgesehenen Interessenabwägung bedeutet dies, dass vor allem Anlagen realisiert werden sollen, die mit möglichst geringen Eingriffen einen möglichst grossen Nutzen für die Stromproduktion bringen.
Diese Zielsetzung stimmt weitgehend mit der Energiestrategie des Bundesrats überein. Dieser schlägt ein neues Energiegesetz vor, das den erneuerbaren Energien zu besseren Realisierungschancen verhelfen soll (Botschaft vom 4. September 2013 zum ersten Massnahmenpaket der Energiestrategie 2050 [Revision des Energierechts] und zur Volksinitiative "Für den geordneten Ausstieg aus der
BGE 140 II 262 S. 281
Atomenergie [Atomausstiegsinitiative]", BBl 2013 7561). Eine Lockerung des Umweltschutz- und Gewässerschutzrechts wird damit jedoch nicht angestrebt (BBl 2013 7604 Ziff. 2.5.4). Auch ist es nicht die Ansicht des Bundesrats, dass sämtliche noch freien Standorte verbaut werden, erst recht nicht in Schutzgebieten (BBl 2013 7628 Ziff. 4.2.6). Bei der in jedem Einzelfall notwendigen Interessenabwägung sollen Kriterien wie Leistung oder Produktion sowie die Fähigkeit, zeitlich flexibel und marktorientiert zu produzieren, berücksichtigt werden (vgl. Art. 14 Abs. 5 des Gesetzesentwurfs, BBl 2013 7761 f.; vgl. auch BBl 2013 7666 Ziff. 5.1). Der Botschaft lässt sich im Ergebnis entnehmen, dass nach den Vorstellungen des Bundesrats gegenwärtig wie auch künftig dem untergeordneten Energiepotenzial von Kleinanlagen, namentlich wenn sie nur dank der kostendeckenden Einspeisevergütung finanziell tragbar sind, angemessen Rechnung zu tragen ist.
Die Stromproduktion des geplanten Kraftwerks beträgt laut den Unterlagen der nationalen Netzgesellschaft (
Art. 3g EnV
) 30,9 GWh pro Kalenderjahr, was bei einem durchschnittlichen schweizerischen Pro-Kopf-Verbrauch von 7'376 kWh (Basis: Jahr 2012) den Bedarf von rund 4'200 Personen deckt (BFE, Schweizerische Elektrizitätsstatistik 2012, 2013, S. 24,
www.bfe.admin.ch/dokumentation/publikationen
[besucht am 11. April 2014]). Der Beitrag an die heimische Energieerzeugung ist somit eher gering (vgl. Urteil 1A.151/2002 vom 22. Januar 2003 E. 4.3 mit Hinweisen, in: URP 2003 S. 235). Ungünstig wirkt sich aus, dass die Sommerproduktion markant höher ist als die Winterproduktion, was die bereits bestehende Divergenz zwischen saisonaler Produktion und saisonalem Verbrauch in der Schweiz negativ beeinflusst (Produktionsüberhang im Sommer, Verbrauchsüberhang im Winter; vgl. BFE, a.a.O., S. 14; vgl. auch Urteil 1A.59/1995 vom 28. April 2000 E. 3d, in: URP 2000 S. 691, wonach der aktuellen energiepolitischen Situation Rechnung zu tragen ist). Eine weitere Verringerung des öffentlichen Interesses an der Wasserentnahme ergibt sich aus dem insgesamt geringen Gefälle der Restwasserstrecken. Der prognostizierten Energieproduktion steht mithin eine relativ lange beeinträchtigte Restwasserstrecke gegenüber.
Für die Wasserentnahme sprechende Interessen sind zudem die wirtschaftlichen Interessen des Wasserherkunftsgebiets (
Art. 33 Abs. 2 lit. b GSchG
). Diese liegen primär in der Einnahme von Wasserzins und der durch das Projekt ausgelösten wirtschaftlichen
BGE 140 II 262 S. 282
Wertschöpfung. Schliesslich sind auch die wirtschaftlichen Interessen der Beschwerdegegnerin selbst in die Abwägung miteinzubeziehen (vgl.
Art. 33 Abs. 2 lit. c GSchG
). Auf deren Ausführungen zur Wirtschaftlichkeit verschiedener Projektvarianten mit unterschiedlichen Restwassermengen wurde bereits hingewiesen (E. 8.3 hiervor).
8.4.2
Im Rahmen der gegen die Wasserentnahme sprechenden Interessen ist zunächst die Bedeutung der betroffenen Gewässer als Landschaftselement (
Art. 33 Abs. 3 lit. a GSchG
) zu beurteilen. Dabei fliessen auch die Vorgaben der Nutzungsplanung ein. Das Gere- und das Gonerliwasser liegen bis kurz nach ihrem Zusammentreffen in einem Landschaftsschutzgebiet von kantonaler Bedeutung (Landschaftsschutzgebiet Geren: "Mittaghorn-Piz Rotondo-Mutthörner", LK 1a). Der erläuternde Bericht zum Nutzungsplan der Gemeinde Oberwald vom 15./16. Mai 2004 wie auch der erläuternde Bericht zum noch nicht in Kraft stehenden Nutzungsplan der Gemeinde Obergoms beschreiben das Gebiet als schönes, wildes Alpental mit sehr reicher, vielfältiger Tierwelt und interessanter Flora. Dieser landschaftliche Aspekt fällt vorliegend besonders ins Gewicht, wie sogleich noch näher auszuführen sein wird. Indessen kann entgegen der Auffassung der Beschwerdeführer nicht schon aus dem Umstand, dass der erläuternde Bericht für das Landschaftsschutzgebiet Geren das Schutzziel "keine Wasserfassungen" vorsieht, auf die Unzulässigkeit des Projekts geschlossen werden, zumal ein erläuternder Bericht nach Art. 33 Abs. 4 des Gesetzes des Kantons Wallis vom 23. Januar 1987 zur Ausführung des Bundesgesetzes über die Raumplanung (SGS 701.1) keine Rechtsverbindlichkeit geniesst.
Das Gonerliwasser bildet ein wertvolles Landschaftselement. Seine Kaskade verläuft in einer geschwungenen Geländestruktur, die in unmittelbarer Nähe zum Wasser kaum bewaldet, sondern vor allem mit Buschwerk versetzt ist. Das Gewässer ist deshalb gut sichtbar, insbesondere vom Weg ins Gere- und Gonerlital sowie vom Weiler Gere aus. Bei hoher Wasserführung, wie sie am Tag des Augenscheins bestand, bietet das Gonerliwasser mit seinen zahlreichen Abstürzen und dem aus der Ferne hörbaren Rauschen ein eindrückliches Naturschauspiel. Es ist zudem in keiner Weise baulich beeinträchtigt. Auch in seiner Umgebung befinden sich weder Häuser noch Strassen. Andere Siedlungseinflüsse sind ebenfalls nicht sichtbar. Einzig ein schmaler Fusspfad führt hinauf zum vorgesehenen Fassungsort. Durch die Reduktion auf eine Restwassermenge von 62 l/s würde das Gonerliwasser die Dynamik, welche seinen
BGE 140 II 262 S. 283
landschaftlichen Reiz mit ausmacht, verlieren. Die Unterschiede zwischen der natürlichen Abflussmenge und der Restwassermenge sind bedeutend. Im August etwa stünde einem natürlichen mittleren Monatsabfluss von 748 l/s eine weniger als einen Zehntel betragende Restwassermenge gegenüber. Zwar ist im Winter die natürliche Abflussmenge deutlich kleiner und verringerte sich auch der Unterschied zur Restwassermenge, doch würde sich durch das Restwasserregime diese trockene Zeit erheblich verlängern. Lediglich im Juni und Juli sind die natürlichen mittleren Monatsabflüsse derart hoch, dass es zu einem Überlauf käme und sich Restwassermengen ergäben, welche über dem gesetzlichen Minimum liegen. Im Juni würde ein natürlicher mittlerer Abfluss von 1'298 l/s einer Restwassermenge von 448 l/s gegenüberstehen, während die entsprechenden Werte im Juli 1'106 l/s gegenüber 256 l/s betragen würden.
Beim Gerewasser präsentiert sich der Verlust an natürlicher Dynamik ähnlich. Hier steht für den Monat August ein natürlicher mittlerer Monatsabfluss von 2'522 l/s einer Restwassermenge von 161 l/s gegenüber. Dieser Verlust wird indessen dadurch gemindert, dass kurz nach der Fassung der Tällibach ins Gerewasser mündet und so dessen Restwasser stark erhöht (im August um durchschnittlich 369 l/s). Zudem tritt das Gerewasser aufgrund der Geländestrukturen viel weniger prominent in Erscheinung als das Gonerliwasser. Wiederum im Gegensatz zum Gonerliwasser ist der Bereich des Gerewassers schliesslich durch menschliche Einflüsse deutlich vorbelastet: Es führt ein Fahrweg ins Geretal und im Bereich des vorgesehenen Fassungsstandorts besteht eine Brücke sowie ein kleines Gebäude auf einer aufgeschütteten Ebene.
Hinsichtlich weiterer negativer Auswirkungen des Projekts, insbesondere auf Lebensräume (
Art. 33 Abs. 3 lit. b GSchG
), hält der Umweltverträglichkeitsbericht fest, es komme in der Restwasserstrecke wegen der reduzierten Wassermenge zu einer Verschlechterung der Längs- und Quervernetzung. Beeinträchtigt würden aquatische Lebensräume (Fische und Nährtiere) wie auch semiaquatische (Uferbereich). Die Reduktion des natürlichen Wasserabflusses habe zur Folge, dass die aquatischen Lebensräume in ihrer Fläche abnähmen. Zudem leide auch die Qualität der Lebensräume, da die natürlichen Variationen der Wassertiefen und der Fliessgeschwindigkeiten abnähmen. Insbesondere die hohen Fliessgeschwindigkeiten seien wichtig, um das Sohlesubstrat zu bewegen und zu durchlüften. Hingegen seien die Wasserentnahmen vorliegend für den
BGE 140 II 262 S. 284
Grundwasserhaushalt und die landwirtschaftliche Bewässerung (
Art. 33 Abs. 3 lit. d und e GschG
) als nicht relevant einzustufen.
8.4.3
Eine Abwägung aller erheblichen in Frage stehenden Interessen für und gegen die Wasserentnahme ergibt, dass die geplante Fassung des Gonerliwassers einen Landschaftseingriff darstellt, der nicht zu rechtfertigen ist. Dabei fällt besonders ins Gewicht, dass es sich um einen Ersteingriff handeln würde. Die durch die Klassifizierung als Landschaftsschutzgebiet von kantonaler Bedeutung bestätigte Schutzwürdigkeit ist insbesondere bei hoher Wasserführung offenkundig; die Kaskaden wirken auch aus der Distanz äusserst eindrücklich. Der Beitrag, den das Gonerliwasser gemäss den Akten an die Elektrizitätsproduktion leisten würde, ist dagegen bescheiden. Er rechtfertigt den Verlust des Charakters dieses bisher noch ganz unberührten Gewässers nicht.
Anders ist die Situation bezüglich des Gerewassers. Das Interesse an dessen Nutzung fällt aufgrund der grösseren Wassermenge stärker ins Gewicht als beim Gonerliwasser. Die Restwasserstrecke ist zudem in verschiedener Hinsicht bereits von menschlichen Eingriffen betroffen. Dies gilt insbesondere für den Bereich der geplanten Wasserfassung im Geretal. Die Restwasserstrecke ist auch weniger gut einsehbar, so dass die landschaftliche Wirkung der Wasserentnahme weniger gross ist. Dass der Tällibach kurz nach der Wasserfassung ins Gerewasser mündet, führt zu einer verbesserten Gewässerdynamik und mildert die landschaftliche Beeinträchtigung. Auch die Verschlechterung der Lebensbedingungen für Wassertiere, insbesondere für Fische (vgl. E. 7.2 hiervor), fällt dadurch weniger stark aus. Insgesamt überwiegen deshalb die Interessen an der Wasserentnahme, auch wenn diese nach dem Ausgeführten aus gesamtwirtschaftlicher Sicht nicht als besonders gewichtig zu bewerten sind.
Während die Fassung des Gerewassers somit im Rahmen des Projekts der Beschwerdegegnerin mit
Art. 22 und 39 WRG
sowie
Art. 33 GSchG
vereinbar ist, ist es die Fassung des Gonerliwassers nicht. Der angefochtene Entscheid verstösst insofern gegen Bundesrecht.
8.4.4
Die Beschwerdegegnerin geht davon aus, dass bei einem Verzicht auf die Nutzung des Gonerliwassers das Projekt nicht mehr wirtschaftlich ist, zumal die Kosten nur rund 10 % der gesamten Investitionskosten ausmachten, der Anteil an der Stromproduktion aber einen Viertel bis einen Drittel betrage. Ob dies zutrifft, lässt sich aufgrund der Akten nicht beurteilen, da entsprechende
BGE 140 II 262 S. 285
Berechnungen fehlen. Es ist auch nicht entscheidend: Selbst wenn das Werk dadurch unrentabel würde, wäre nach den vorangehenden Erwägungen auf die Fassung des Gonerliwassers zu verzichten. Es wird Sache der Beschwerdegegnerin sein zu prüfen, ob und inwiefern ihr Projekt angepasst werden könnte, damit es einerseits wirtschaftlich ist, andererseits aber auch die bundesrechtlichen Vorschriften zum Umwelt-, Natur- und Heimatschutz einhält.
Beim vorliegenden Zwischenergebnis erübrigt sich, auf die von den Beschwerdeführern vorgetragene Rüge einzugehen, wonach die Verlegung der Leitung zur Fassung des Gonerliwassers
Art. 18 Abs. 1
ter
NHG
verletzt. Mit der Fassung des Gonerliwassers entfällt auch die Leitung zwischen dieser und der Fassung des Gerewassers.
9.
9.1
Die Beschwerdeführer tragen mehrere Rügen in Bezug auf die Restwassermenge in der Goneri vor, so etwa hinsichtlich der für die freie Fischwanderung erforderlichen Wassertiefe (
Art. 31 Abs. 1 lit. d GSchG
). Angesichts des Wegfalls der Fassung des Gonerliwassers erübrigen sich dazu vertiefte Ausführungen, zumal sich die Wassermenge in der Goneri dadurch erhöht. Im Hinblick auf eine allfällige Anpassung des Projekts durch die Beschwerdegegnerin sind jedoch folgende Ergänzungen angezeigt.
9.2
Die Beschwerdeführer rügen auch bei der Goneri die vorinstanzliche Interessenabwägung nach
Art. 33 GSchG
und
Art. 22 WRG
. In dieser Hinsicht ist ähnlich wie beim Gerewasser zu berücksichtigen, dass es sich nicht um eine unberührte Landschaft handelt. Entlang der gesamten Restwasserstrecke führt eine 3. Klass-Strasse und im unteren Bereich ist die Goneri stark verbaut. Nur ein sehr kurzes Stück im obersten Bereich wird vom Landschaftsschutzgebiet kantonaler Bedeutung LK 1a erfasst. Weitergehende Massnahmen zum Schutz der Landschaft drängen sich bei diesen Gegebenheiten ebenso wenig auf wie beim Gerewasser.
9.3
Die Beschwerdeführer erachten
Art. 18 Abs. 1
ter
NHG
als verletzt, weil weder eine umfassende Revitalisierung des Unterlaufs der Goneri noch dessen Vernetzung mit der weiter oben liegenden, natürlicheren Restwasserstrecke angeordnet worden sei.
Gemäss dem Zusatzbericht vom 2. Februar 2011 zum Umweltverträglichkeitsbericht ist vorgesehen, im Unterlauf der Goneri, das heisst von der Wasserrückgabe bei der Zentrale bis zur Mündung in
BGE 140 II 262 S. 286
die Rhone, die bestehenden Schwellen fischgängig zu machen (wobei die Kosten auf Fr. 70'000.-bis Fr. 100'000.-geschätzt werden). Der Staatsrat erklärte diese Kompensationsmassnahme im Sinne von
Art. 18 Abs. 1
ter
NHG
für verbindlich.
Art. 18 Abs. 1
ter
NHG
verlangt bei Eingriffen in schutzwürdige Lebensräume einen angemessenen Ersatz, soweit nicht Massnahmen zum Schutz oder zur Wiederherstellung ausreichen. Für zerstörte Biotope soll somit, wenn sie sich nicht erhalten oder wiederherstellen lassen, ein möglichst gleichwertiger Ersatz geschaffen werden (Urteil 1A.82/1999 vom 19. November 1999 E. 4a mit Hinweis, in: URP 2000 S. 369; vgl. in Bezug auf Bachforellen: Urteil 1C_371/2012 vom 30. Mai 2013 E. 5.8).
Unbesehen des angeordneten Verzichts auf die Fassung des Gonerliwassers erscheinen die Beeinträchtigungen, welche die Tier- und Pflanzenwelt durch das Projekt erfährt und welchen nicht durch Schutz- und Wiederherstellungsmassnahmen begegnet wird, nicht als gross. Wie bereits dargelegt, ist das Gerewasser (wie auch das Gonerliwasser) ohnehin nicht fischgängig. Die Goneri ist im oberen Bereich fischgängig, wobei das Projekt hier durch die Reduktion des Wasserabflusses eine gewisse Verschlechterung mit sich bringt. Diese Verschlechterung wird jedoch nach Ansicht der kantonalen Fachbehörde hinreichend kompensiert, indem im unteren Bereich der Goneri die Fischgängigkeit wieder hergestellt wird. Die Kritik der Beschwerdeführer gibt keinen Anlass, von dieser Einschätzung abzuweichen. Eine umfassende Revitalisierung und eine Vernetzung mit dem oberen Gewässerbereich, die im Übrigen auch eine Messstation des BAFU betreffen würde, ginge über die Anforderungen von
Art. 18 Abs. 1
ter
NHG
hinaus. Die Rüge ist unbegründet.
10.
10.1
Die Beschwerdeführer rügen die ihrer Ansicht nach übermässig lange Konzessionsdauer von 80 Jahren und beantragen deren Reduktion auf 40 Jahre. Sie machen geltend, die Konzessionärin werde für das von ihr geplante Wasserkraftwerk während 25 Jahren von der KEV profitieren und die Anlage innerhalb dieser Zeit amortisieren können.
10.2
Das Kantonsgericht führt aus, bei der Festlegung der Konzessionsdauer handle es sich um eine zweiseitige Bestimmung. Die Autonomie der konzedierenden Behörde und des Konzessionärs werde in diesem Bereich nur durch die von
Art. 58 WRG
vorgesehene
BGE 140 II 262 S. 287
Maximaldauer von 80 Jahren beschränkt. Zweck der Beschränkung sei es, dass sich das Gemeinwesen nicht seiner Rechte und seiner Hoheit entäussere, wobei die Maximaldauer es dem Konzessionär aber auch erlauben solle, seine ökonomischen Interessen zu wahren und insbesondere seine Investitionen zu amortisieren. Das Kantonsgericht weist zudem mit Blick auf die von den Beschwerdeführern wahrgenommenen Interessen des Gewässerschutzes, der Fischerei und des Naturschutzes darauf hin, dass unter gewissen Voraussetzungen auch nachträglich noch Massnahmen zu deren Schutz angeordnet werden könnten. All dies habe sich mit der Einführung der KEV nicht geändert. Folgte man der Ansicht der Beschwerdeführer, so würde
Art. 58 WRG
seines Gehalts entleert.
10.3
Die Konzessionsdauer von 80 Jahren entspricht der gesetzlichen Höchstdauer von Konzessionen für die Wasserkraftnutzung nach
Art. 58 WRG
. Wie die Vorinstanz richtig darlegte, wollte der Gesetzgeber mit der Maximaldauer verhindern, dass sich das Gemeinwesen dieses Hoheitsrechts entäussert. Der gesetzliche Rahmen wurde so gewählt, dass die ökonomischen Interessen der Konzessionärin gewahrt bleiben, namentlich im Hinblick auf die Amortisation der getätigten Investitionen (vgl.
BGE 130 II 18
E. 3.2 S. 22;
BGE 127 II 69
E. 4c S. 74 f. und E. 5b S. 76 f. mit Hinweisen). Dies bedeutet indessen nicht, dass im Einzelfall die Konzessionsdauer nach der voraussichtlichen Amortisationsdauer bestimmt werden müsste. Eine derartige Auslegung lässt sich aus dem mit dem Erlass von
Art. 58 WRG
verfolgten öffentlichen Interesse nicht ableiten. Die Bestimmung der Dauer der Konzession liegt vielmehr im Ermessen des konzedierenden Gemeinwesens und ist gleichzeitig Gegenstand der Vereinbarung der Parteien. Mithin steht eine Konzessionsdauer, die länger oder auch deutlich länger ist als die voraussichtliche Amortisationsdauer, deswegen nicht im Widerspruch zu
Art. 58 WRG
.
An dieser Rechtslage hat sich mit der Einführung der kostendeckenden Einspeisevergütung nichts geändert (Urteil 1C_371/2012 vom 30. Mai 2013 E. 6.4 mit Hinweis). Das Förderinstrument hat für die Festsetzung der Konzessionsdauer keine Bedeutung. Die Rüge der Beschwerdeführer ist deshalb unbegründet. | public_law | nan | de | 2,014 | CH_BGE | CH_BGE_004 | CH | Federation |
d2ed66d6-a7da-4562-b7fa-4c189e1197ec | Urteilskopf
86 I 86
16. Urteil vom 16. März 1960 i.S. X. und Konsorten gegen Generalprokurator und Obergericht des Kantons Bern. | Regeste
Kantonaler Zivilprozess; Zeugnisverweigerungsrecht.
1. Ist die Vorschrift, wonach der Richter die Zeugen über das Zeugnisverweigerungsrecht zu belehren hat, eine Ordnungs- oder eine Gültigkeitsvorschrift? (Erw. 2).
2. Auslegung einer Vorschrift, wonach die Partei und die mit ihr nahe verwandten Zeugen die Antwort auf Fragen über solche Tatsachen verweigern können, welche die Ehre der Partei berühren. Die Annahme, ausserehelicher Geschlechtsverkehr sei für eine ledige Frau auf keinen Fall ehrenrührig, ist unhaltbar und willkürlich (Erw. 3). | Sachverhalt
ab Seite 87
BGE 86 I 86 S. 87
A.-
Die bern. ZPO enthält über den Zeugenbeweis und das Parteiverhör unter anderm folgende Bestimmungen:
"Art. 245. Der Ehegatte, der Verlobte ... die Verwandten oder Verschwägerten einer Partei in der geraden Linie und im zweiten Grade der Seitenlinie können die Beantwortung von Fragen über Tatsachen verweigern, über welche die Partei selber nicht auskunftspflichtig ist (275) .....
Art. 247. Überdies kann der Zeuge die Aussage verweigern, wenn er glaubwürdig versichert, dass die Aussage über die an ihn gestellte Frage seiner Ehre nachteilig sei oder ihn persönlich verantwortlich machen würde.
Art. 248. Über die Zulässigkeit der Verweigerung des Zeugnisses entscheidet der Richter: Der Zeuge kann sofort nach Eröffnung des Entscheides dessen Überprüfung durch den Appellationshof verlangen. Macht er von diesem Rechte Gebrauch, so sendet der Richter die Akten mit seinem motivierten Entscheide dem Appellationshofe ein. Die Weiterziehung hat aufschiebende Wirkung.
Art. 252. Die Abhörung des Zeugen erfolgt durch den Richter unter Austritt der übrigen Zeugen. Nach Feststellung der Identität, Befragung über Alter, Beruf und Wohnort ... macht der Richter den Zeugen auf die Zeugenpflicht und deren Umfang (243, 245, 246, 247, 250), sowie auf die strafrechtlichen Folgen einer falschen Aussage aufmerksam; er ermahnt ihn, nichts anderes als die volle Wahrheit auszusagen.
Art. 274. Die Parteien sind verpflichtet, die gestellten Fragen nach bestem Wissen und Gewissen der Wahrheit gemäss zu beantworten. ....
Art. 275. Eine Partei kann die Beantwortung von Fragen über Tatsachen, die ihre Ehre berühren, verweigern."
B.-
Die 1932 geborene ledige Therese X. unterhielt vom August bis Ende Dezember 1953 ein intimes Verhältnis mit S. Am 13. August 1954 gebar sie ein aussereheliches
BGE 86 I 86 S. 88
Kind. In dem beim Zivilamtsgericht von Bern eingeleiteten Vaterschaftsprozess erhob S. die Einrede des Mehrverkehrs, indem er behauptete, Therese X. habe in der Silvesternacht 1953/54 mit M. in der Mansarde ihres Bruders X.-Y. genächtigt und Anfangs Januar 1954 auch mit N. geschlechtlich verkehrt. Therese X. bestritt dies und berief sich auf ihren Vater, ihren Bruder und dessen Ehefrau sowie auf N. als Zeugen, nachdem sie diese überredet hatte, wahrheitswidrig zu ihren Gunsten auszusagen. Bei der Einvernahme am 5. April 1956, bei der diese Zeugen zur Wahrheit ermahnt und auf die Folgen des falschen Zeugnisses aufmerksam gemacht, aber nicht über das Zeugnisverweigerungsrecht belehrt wurden, erklärten die Ehegatten X.-Y. wahrheitswidrig, dass M. in der Silvesternacht 1953/54 allein in ihrer Mansarde genächtigt habe und Therese X. in die väterliche Wohnung zurückgekehrt sei, was ihr Vater bestätigte, während N., der Therese X. Anfangs Januar 1954 zu einer Autofahrt eingeladen und auf dieser mit ihr intim verkehrt hatte, bestritt, je Geschlechtsverkehr mit ihr gehabt zu haben. Angesichts dieses Beweisergebnisses schloss S. einen gerichtlichen Vergleich, durch den er sich zu Vermögensleistungen an Therese X. und ihr Kind verpflichtete und die Kosten des Vaterschaftsprozesses übernahm.
C.-
Am 6. Oktober 1958 reichte S. gegen die Ehegatten X.-Y. Strafanzeige wegen falschen Zeugnisses ein. Im Laufe des Strafverfahrens, das auf Therese X., ihren Vater Ernst X. und N. ausgedehnt wurde, gaben alle Angeschuldigten ihre Verfehlungen zu, bestritten aber ihre Strafbarkeit, da die Zeugen nicht über das Zeugnisverweigerungsrecht belehrt worden und ihre Aussagen daher ungültig gewesen seien. Das Strafamtsgericht Bern wies diesen Einwand zurück und verurteilte am 17. April 1959 die Ehegatten X.-Y., Ernst X. und N. wegen falschen Zeugnisses und Therese X. wegen Anstiftung dazu zu bedingten Gefängnisstrafen.
Das Obergericht des Kantons Bern, an das alle Angeschuldigten
BGE 86 I 86 S. 89
mit Ausnahme von Ernst X. appellierten, bestätigte mit Urteil vom 18. September 1959 den erstinstanzlichen Schuldspruch und verurteilte Therese X. zu 6 und die übrigen Angeschuldigten zu je 2 Monaten Gefängnis unter Gewährung des bedingten Strafvollzuges. Den Erwägungen dieses Urteils ist zu entnehmen:
Der Tatbestand des falschen Zeugnisses (
Art. 307 StGB
) sei nur erfüllt, wenn ein nach kantonalem Prozessrecht gültiges Zeugnis vorliege. Nach Art. 252 bern. ZPO sei der Richter verpflichtet, den Zeugen über das Zeugnisverweigerungsrecht zu belehren. Dabei handle es sich entgegen LEUCH N. 2 nicht um eine blosse Ordnungs-, sondern um eine Gültigkeitsvorschrift. Indessen liege nach der Praxis trotz fehlender Belehrung ein gültiges Zeugnis vor, wenn der Zeuge keinen Zeugnisverweigerungsgrund anrufen durfte, wenn er das ihm zustehende Zeugnisverweigerungsrecht kannte oder wenn aus den Umständen zwingend zu schliessen sei, dass er trotz Belehrung über das Zeugnisverweigerungsrecht falsch ausgesagt hätte. Im vorliegenden Falle hätten die Ehegatten X.-Y. nach
Art. 245 ZPO
das Zeugnis nur verweigern dürfen, wenn Therese X. darüber, dass sie die Silvesternacht 1953/54 mit M. in deren Mansarde zugebracht habe, weil ihre Ehre berührend, gemäss
Art. 275 ZPO
die Auskunft hätte verweigern dürfen. "Eine solche Tatsache ist indessen nicht ehrenrührig - Therese X. war damals (1956) noch ledig - und es bestand für sie kein Grund, die Aussage über diesen Punkt zu verweigern. Die Eheleute X.-Y. konnten sich mithin nicht auf
Art. 245 ZPO
berufen; ihr Zeugnis ist gültig". Dagegen hätte N. als verheirateter Mann die Aussagen über seine intimen Beziehungen zu Therese X. gemäss
Art. 247 ZPO
verweigern können, da er durch wahrheitsgemässe Aussage nicht nur in seiner Ehre getroffen worden wäre, sondern sich sogar der Gefahr einer strafrechtlichen Verfolgung (
Art. 214 StGB
) ausgesetzt hätte. Indessen habe er das ihm zustehende Zeugnisverweigerungsrecht gekannt, und da er in Kenntnis dieses Rechts falsch ausgesagt habe,
BGE 86 I 86 S. 90
sei anzunehmen, dass er auch dann falsches Zeugnis abgelegt hätte, wenn ihn der Richter auf sein Recht aufmerksam gemacht hätte. Sein Zeugnis sei daher ebenfalls gültig. Therese X. habe ihren Vater, ihren Bruder, ihre Schwägerin und N. vorsätzlich zu falschem Zeugnis bestimmt. Da alle Angeschuldigten der falschen Zeugenaussagen schuldig gesprochen worden seien, sei sie wegen Anstiftung zu verurteilen, wobei eine Strafe von 6 Monaten Gefängnis angemessen erscheine. Wenn die andern Angeschuldigten mangels gültigen Zeugnisses nicht bestraft werden könnten, so wäre sie der erfolglosen Anstiftung schuldig zu sprechen und in die gleiche Strafe zu verfällen, denn ihr Verschulden wäre nicht geringer, wenn die Angestifteten wegen einer prozessualen Bestimmung straflos ausgegangen wären.
D.-
Gegen dieses Urteil des Obergerichts des Kantons Bern haben die Ehegatten X.-Y., N. und Therese X. beim Bundesgericht sowohl Nichtigkeitsgeschwerde gemäss
Art. 268 ff. BStP
als auch staatsrechtliche Beschwerde wegen Verletzung von
Art. 4 BV
erhoben.
Der Kassationshof ist auf die Nichtigkeitsbeschwerde nicht eingetreten, da sie nicht mit der Verletzung von Bundesrecht begründet war.
E.-
Der Generalprokurator des Kantons Bern und S. beantragen die Abweisung der staatsrechtlichen Beschwerde. Das Obergericht des Kantons Bern hat auf Stellungnahme verzichtet und auf die Begründung des angefochtenen Urteils verwiesen.
Erwägungen
Das Bundesgericht zieht in Erwägung:
1.
Ein nach
Art. 307 StGB
strafbares falsches Zeugnis liegt nicht vor, wenn die Aussage ungültig ist (
BGE 69 IV 219
,
BGE 71 IV 43
). Die Eheleute X.-Y. und N. sind vor ihrer Einvernahme als Zeugen im Vaterschaftsprozess gegen S. nicht über das Zeugnisverweigerungsrecht belehrt worden. Ob ihre Aussgagen gleichwohl gültig sind, ist ausschliesslich eine Frage des kantonalen Prozessrechts, dessen
BGE 86 I 86 S. 91
Verletzung nicht mit der Nichtigkeitsbeschwerde beim Kassationshof gerügt werden kann. Auf die staatsrechtliche Beschwerde, mit der vor allem die Annahme des Obergerichts, jene Zeugenaussagen seien gültig, als willkürlich angefochten wird, ist daher einzutreten.
2.
Nach Art. 252 bern. ZPO hat der Richter die Zeugen auf die Zeugnispflicht und deren Umfang aufmerksam zu machen. Dazu gehört, wie nicht streitig ist, auch die Belehrung über das Zeugnisverweigerungsrecht. Das Obergericht erblickt hierin eine Gültigkeitsvorschrift, nimmt aber an, eine Aussage könne unter gewissen Voraussetzungen trotz Nichtbeachtung der Vorschrift gültig sein. Diese Auslegung wird in der Beschwerde zu Unrecht als mit
Art. 252 ZPO
unvereinbar und willkürlich beanstandet. Diese Bestimmung verpflichtet zwar den Richter zur Belehrung des Zeugen über das Zeugnisverweigerungsrecht, spricht sich aber über die Folgen der Unterlassung der Belehrung nicht aus. Es war daher mit dem Wortlaut von
Art. 252 ZPO
vereinbar und nicht willkürrlich, wenn Rechtsprechung und Lehre die Bestimmung zunächst als blosse Ordnungsvorschrift verstanden haben (LEUCH N. 2 und dort erwähnter Beschluss der Obergerichtskammern vom 11. November 1942). Ebensowenig ist es willkürlich, wenn das Obergericht sie nun im angefochtenen Entscheid zwar grundsätzlich als Gültigkeitsvorschrift betrachtet, ihr aber nicht absolute Geltung zuerkennt, sondern gewisse Ausnahmen macht. Der Einwand der Beschwerdeführer, dass dies zu einer willkürrlichen Ungleichbehandlung der Zeugen führe, ist nicht begründet, da sich die einzelnen Ausnahmen mit ernsthaften sachlichen Gründen vertreten lassen. So leuchtet es ein, dass ein Zeugnis gültig sein soll, wenn der Zeuge trotz Unterlassung der vorgeschriebenen Belehrung weiss, dass er das Zeugnis verweigern kann, aber trotzdem aussagt. Als vertretbar erscheint aber auch die Auffassung, die Unterlassung der Belehrung schade nicht, wenn der Zeuge keinen Zeugnisverweigerungsgrund anrufen könne oder wenn anzunehmen sei, er hätte trotz Belehrung über
BGE 86 I 86 S. 92
das Zeugnisverweigerungsrecht falsch ausgesagt. Nicht zu übersehen ist freilich, dass bei Unterlassung der Belehrung der Strafrichter nachträglich auf Grund umfassender Erhebungen über das Vorliegen eines Zeugnisverweigerungsgrundes befindet, während im Falle der Belehrung der Zivilrichter nach der damaligen Prozess- und Sachlage darüber entscheidet und sein Entscheid vom Zeugen an den Appellationshof weitergezogen werden kann (
Art. 248 ZPO
). Welche Bedeutung dieser Verschiebung der Zuständigkeit beizumessen ist, kann jedoch dahingestellt bleiben, da die Beschwerdeführer in dieser Beziehung keine Rügen erheben. Sie bestreiten nur, dass das Obergericht die streitigen Zeugenaussagen aus den von ihm angenommenen Gründen als gültig betrachten durfte. Diese Gründe sind für die Ehegatten X.-Y. und für N. nicht die gleichen, weshalb die Frage der Gültigkeit ihrer Zeugenaussagen getrennt zu prüfen ist.
3.
Nachdem Therese X. Silvester 1953/54 mit Verwandten und Bekannten, darunter M., im Kursaal Bern gefeiert hatte, hat sie den Rest der Nacht mit M. in der Mansarde ihres Bruders verbracht und dort mit ihm intim verkehrt. Auf die ihnen als Zeugen gestellte Frage, ob Therese X. mit M. in ihrer Mansarde übernachtet habe, durften die Eheleute X.-Y. nach
Art. 245 ZPO
die Antwort verweigern, wenn Therese X. als Prozesspartei selber hierüber nach
Art. 275 ZPO
die Auskunft verweigern konnte, weil es ihre Ehre berührte. Das Obergericht verneint dies, weil Therese X damals (im Vaterschaftsprozess) noch ledig gewesen sei. Diese Betrachtungsweise wird mit der Beschwerde als willkürlich angefochten.
a) Die Gesetzesbestimmungen, welche den Parteien und Zeugen die Aussage über für sie ehrenrührige Tatsachen erlassen, nehmen auf ihre Persönlichkeit und Geheimsphäre Rücksicht und wollen sie vor der inbezug auf solche Tatsachen besonders grossen Versuchung bewahren, nicht die Wahrheit zu sagen. Der in diesen Bestimmungen verwendete Begriff der Ehre, der nicht ohne weiteres dem
BGE 86 I 86 S. 93
strafrechtlichen Ehrbegriff gleichzusetzen ist, umfasst das Ehrgefühl des Betroffenen und seinen Ruf als ehrbarer Mensch (sog. innere und äussere Ehre). Seine nähere Auslegung wird durch sich widerstreitende Interessen erschwert. Das Interesse der Wahrheitserforschung und der Verwirklichung des materiellen Rechts (vgl.
BGE 84 I 221
) lässt eine enge Auslegung als geboten erscheinen (vgl. auch
Art. 42 lit. a BZP
, wonach das Zeugnis nur verweigert werden kann über Fragen, deren Beantwortung dem Zeugen oder seinen Verwandten die Gefahr einer schweren Benachteiligung der Ehre zuziehen kann). Der Zweck der Bestimmungen, die Betroffenen vor Gewissenskonflikten zu bewahren, ruft dagegen nach einer weiten Auslegung. Sodann entspricht es diesem Zweck, die persönlichen Verhältnisse des Betroffenen möglichst weitgehend zu berücksichtigen, während das Bedürfnis nach einfacher und einheitlicher Anwendung der Bestimmungen eine Beurteilung nach objektiven Gesichtspunkten nahe legt.
b) Das Obergericht hat sich nicht darüber ausgesprochen, nach welchen Grundsätzen die Art. 245, 247 und 275 bern. ZPO auszulegen sind. Sein Entscheid beruht auf der Annahme, dass eine ledige Person, gleichgültig welchen Geschlechts, als Partei oder Zeuge die Auskunft über ausserehelichen Geschlechtsverkehr (mit andern ledigen Personen) keinesfalls verweigern dürfe, da ein solcher Verkehr nicht ehrenrührig sei. Diese Auffassung muss indessen, soweit sie sich auf ledige Frauen bezieht, als unhaltbar bezeichnet werden.
Es erscheint schon als fraglich, ob es angeht, allgemein zu sagen, das Zugeständnis ausserehelichen Geschlechtsverkehrs berühre die Ehre eines ledigen Mannes nicht, wie LEUCH (N. 1 zu Art. 247) und das bernische Obergericht (ZBJV 88 S. 118) vorbehaltlos annehmen. Wenn auch, wie Leuch bemerkt, weite Kreise hierüber eine freiere Auffassung haben, so gilt ausserehelicher Geschlechtsverkehr doch allgemein als moralisch verwerflich (LEUCH, a.a.O., und GULDENER, Schweiz. Zivilprozessrecht S. 361 N. 24 d)
BGE 86 I 86 S. 94
und gibt es zweifellos noch immer zahlreiche ledige Männer, deren Ehr- und Schamgefühl durch ein vor Dritten abgelegtes Geständnis solchen Verkehrs so stark betroffen wird, dass ihnen dieses nicht zuzumuten ist. Verschiedene Gerichte haben denn auch dem unverheirateten Manne, der über intime Beziehungen zu einer ledigen Frau als Zeuge auszusagen hatte, das Recht der Zeugnisverweigerung zugestanden oder doch ihren Entscheid hierüber auf Grund der konkreten Umstände und der persönlichen Verhältnisse des Zeugen getroffen (Rekurskommission des st.-gall. Kantonsgerichts, Amtsbericht 1926 Nr. 24; Appellationsgericht Basel-Stadt, SJZ 1951 S. 143/44; Kassationsgericht Zürich, SJZ 1956 S. 92/93).
Lässt sich somit schon für den ledigen Mann nicht allgemein sagen, dass ausserehelicher Geschlechtsverkehr seine Ehre auf keinen Fall berühre und er daher als Partei oder Zeuge die Auskunft darüber nicht verweigern dürfe, so geht dies noch weniger an für die unverheiratete Frau. Bei der Frau ist nicht nur das Schamgefühl im allgemeinen feiner und zugleich stärker entwickelt als beim Manne, sondern werden auch aussereheliche Geschlechtsbeziehungen von der Moral schärfer missbilligt. Soweit ersichtlich, hat denn auch bisher noch kein schweizerisches Gericht die Auffassung vertreten, dass eine unverheiratete Frau vor Gericht als Partei oder Zeugin stets verpflichtet sei, über intime Beziehungen zu Männern Auskunft zu geben, während LEUCH, der inbezug auf den ledigen Mann einer freieren Auffassung folgt, ausdrücklich erklärt, dass die Kindsmutter im Vaterschaftsprozess die Aussagen über den Verkehr mit noch andern Männern unbedingt verweigern könne (ebenso für das deutsche Recht STEIN/JONAS/SCHÖNKE, 18. Auflage, und BAUMBACH/LAUTERBACH, 24. Auflage, zu
§ 384 Ziff. 2 d ZPO
). Die dem angefochtenen Entscheid zugrunde liegende Annahme, dass eine ledige Frau in keinem Falle berechtigt sei, unter Berufung auf ihre Ehre die Auskunft über ihre sexuelle Lebensweise und über ein Verhalten wie dasjenige der Therese X. in der
BGE 86 I 86 S. 95
Silvesternacht 1953/54 zu verweigern, ist mit den in der Schweiz herrschenden Auffassungen von Recht und Sitte unvereinbar und muss als schlechterdings unhaltbar, geradezu willkürlich bezeichnet werden.
Damit soll nicht gesagt sein, dass es nicht Fälle geben könne, wo es auch einer ledigen Frau ausnahmsweise zuzumuten ist, als Partei oder Zeugin über aussereheliche Geschlechtsbeziehungen Auskunft zu geben, weil sie dadurch nach den Umständen und nach ihren persönlichen Verhältnissen nicht in ihrer Ehre (im Sinne der
Art. 245, 247 und 275 ZPO
) betroffen wird. Unter welchen Voraussetzungen das angenommen werden darf, hat das Bundesgericht vorliegend nicht zu untersuchen. Der Entscheid hierüber bleibt den zuständigen kantonalen Gerichten vorbehalten.
Die Verurteilung der Ehegatten X.-Y. wegen falschen Zeugnisses beruht auf der Annahme, sie seien zur Verweigerung des Zeugnisses deshalb nicht berechtigt gewesen, weil eine ledige Frau auf keinen Fall befugt sei, als Partei oder Zeugin die Auskunft über ausserehelichen Geschlechtsverkehr zu verweigern. Diese Annahme ist nach dem Gesagten unhaltbar und willkürlich, weshalb die Beschwerde der Eheleute X.-Y. gutzuheissen und der angefochtene Entscheid insoweit, als er sich auf sie bezieht, wegen Verletzung von
Art. 4 BV
aufzuheben ist.
4.
Der Beschwerdeführer N. war, wie auch das Obergericht annimmt, nach
Art. 247 ZPO
berechtigt, die Antwort auf die Frage nach intimen Beziehungen zu Therese X. zu verweigern, weil er verheiratet ist und durch wahrheitsgemässe Aussage nicht nur in seiner Ehre getroffen worden wäre, sondern sich sogar der Gefahr strafrechtlicher Verfolgung (wegen Ehebruchs;
Art. 214 StGB
) ausgesetzt hätte. Das Obergericht ist jedoch der Auffassung, sein Zeugnis sei, obwohl er über das Zeugnisverweigerungsrecht nicht belehrt wurde, deshalb gleichwohl gültig, weil er das ihm zustehende Zeugnisverweigerungsrecht gekannt habe und anzunehmen sei, dass er auch falsch ausgesagt hätte,
BGE 86 I 86 S. 96
wenn ihn der Richter auf sein Recht aufmerksam gemacht hätte. Diese Betrachtungsweise wird in der Beschwerde lediglich mit der bereits in Erw. 2 widerlegten Begründung als willkürlich angefochten, die Belehrung der Zeugen über das Zeugnisverweigerungsrecht sei ein unbedingtes Gültigkeitserfordernis, von dem es keine Ausnahmen gebe. Nicht bestritten und noch weniger als willkürlich angefochten wird dagegen die Annahme, dass N. sein Zeugnisverweigerungsrecht kannte und auch im Falle der Belehrung darüber falsch ausgesagt hätte. Von Willkür kann auch nicht die Rede sein, da seinen Äusserungen vor Strafamtsgericht zu entnehmen ist, dass er das ihm zustehende Zeugnisverweigerungsrecht tatsächlich kannte, jedoch davon auf Ersuchen von Therese X. keinen Gebrauch machte, weil sie befürchtete, dies könnte zu ihren Ungunsten ausgelegt werden. Wenn hieraus überdies geschlossen wird, N. hätte auch im Falle der Belehrung über das Zeugnisverweigerungsrecht falsch ausgesagt, so kann dieser Schluss, mag er auch nicht zwingend sein, doch jedenfalls nicht als offensichtlich unrichtig, geradezu willkürlich bezeichnet werden. Die Beschwerde des N. ist daher abzuweisen.
5.
Vater X. hat gegen seine Bestrafung wegen falschen Zeugnisses durch das Strafamtsgericht nicht appelliert, so dass dessen Urteil, soweit es ihn betrifft, rechtskräftig geworden ist. Anderseits hat Therese X. in der Strafuntersuchung zugegeben, ihren Vater zu falschen Aussagen veranlasst zu haben. Es ist daher nicht zu beanstanden, dass das Obergericht sie wegen Anstiftung des Vaters zu falschem Zeugnis verurteilt hat. Da sie ferner auch N. angestiftet hat und dessen Verurteilung sich als unanfechtbar erweist, ist sie auch zu Recht wegen Anstiftung des N. verurteilt worden. Dagegen ist zufolge Gutheissung der staatsrechtlichen Beschwerde der Ehegatten X.-Y. das angefochtene Urteil insoweit aufzuheben, als Therese X. der Anstiftung derselben schuldig erklärt worden ist. Das Obergericht hat im angefochtenen Urteil freilich erklärt, dass es Therese X. in die gleiche Strafe verfällt
BGE 86 I 86 S. 97
hätte, wenn die Aussagen aller Zeugen ungültig gewesen wären und Therese X. daher nur wegen erfolgloser Anstiftung (bzw. Anstiftungsversuchs,
Art. 24 Abs. 2 StGB
) zu bestrafen wäre. Das ändert aber nichts daran, dass jedenfalls der Schuldspruch aufzuheben ist, was zur Folge hat, dass das Obergericht in seinem neuen Entscheid nochmals zu prüfen haben wird, ob die gegenüber Therese X. ausgesprochene Strafe nicht zu mildern sei. | public_law | nan | de | 1,960 | CH_BGE | CH_BGE_001 | CH | Federation |
d2f1c775-92bf-44fc-9efe-f1d39e8dc638 | Urteilskopf
142 I 26
4. Estratto della sentenza della I Corte di diritto pubblico nella causa Swisscom (Svizzera) SA, Sunrise Communications AG e Orange Communications SA contro Consiglio di Stato del Cantone Ticino (ricorso in materia di diritto pubblico)
1C_118/2015 dell'8 dicembre 2015 | Regeste
Bestimmung des Kantons Tessin zum Standort von Mobilfunkantennen; Gewaltenteilungsprinzip und Gemeindeautonomie; Einschränkung der Informationsfreiheit und der Wirtschaftsfreiheit (
Art. 16 Abs. 3, 27 und 36 BV
).
Die angefochtene, von der Kantonsregierung erlassene Bestimmung verlangt die Festlegung des Standorts von Mobilfunkantennen innert einer Übergangsfrist von zehn Jahren. Dies verletzt das Gewaltenteilungsprinzip und die Gemeindeautonomie im Bereich der Raumplanung (E. 3.3-3.7).
Möglichkeiten für Gemeinden und Kanton, den Standort von Mobilfunkanlagen mittels raumplanerischer Massnahmen und Bauordnung festzulegen (E. 4.2).
Die umstrittene Regelung sieht ein Kaskadenmodell vor, welches undifferenziert auf das gesamte Kantonsgebiet anwendbar sein soll. Sie garantiert keine ausreichende Mobilfunkversorgung und ist nicht verhältnismässig zum Schutz bestimmter Wohnzonen in den einzelnen Gemeinden (E. 4.3-4.5). | Sachverhalt
ab Seite 27
BGE 142 I 26 S. 27
A.
Con decreto del 21 gennaio 2015 il Consiglio di Stato del Cantone Ticino ha modificato il regolamento della legge sullo sviluppo territoriale del 20 dicembre 2011 (RLst; RL 7.1.1.1.1). All'art. 30 cpv. 1 RLst, che stabilisce il contenuto del regolamento edilizio riguardo al piano delle zone, è stata aggiunta una nuova cifra 8 che impone ai Comuni di disciplinare le condizioni per l'ubicazione e la costruzione delle antenne di telefonia mobile. È stato inoltre emanato un nuovo art. 117 RLst, che regola le disposizioni transitorie in materia di antenne per la telefonia mobile.
Le modifiche del regolamento hanno il seguente tenore:
Art. 30 cpv. 1 cifra 8 (nuova)
8. Le condizioni per l'ubicazione e la costruzione delle antenne di telefonia mobile:
a) per tutelare il carattere, la qualità e l'attrattività in particolare delle zone destinate all'abitazione mediante la protezione dalle immissioni ideali delle antenne di telefonia mobile,
b) per garantire il loro adeguato inserimento nel contesto territoriale, in particolare a salvaguardia del patrimonio naturale, culturale e del paesaggio.
Art. 117 Antenne per la telefonia mobile
1
I Comuni provvedono ad adottare le disposizioni di cui all'art. 30 cpv. 1 cifra 8 entro dieci anni.
BGE 142 I 26 S. 28
2
Sino all'entrata in vigore di tali disposizioni, si applicano le seguenti norme.
1. Le antenne per la telefonia mobile finalizzate a coprire il territorio comunale o ampie porzioni di esso vanno ubicate nelle zone per il lavoro (art. 27 cifra II) o nelle zone per scopi pubblici (art. 27 cifra V) nelle quali sono ammessi contenuti con ripercussioni paragonabili a quelle delle zone per il lavoro. Nelle altre zone le antenne devono servire alla copertura di quartiere.
2. In ogni caso le antenne per la telefonia mobile percepibili visivamente sono ammissibili solo nelle seguenti zone e con le seguenti priorità:
I. priorità: zone per il lavoro (art. 27 cifra II);
II. priorità: zone per scopi pubblici (art. 27 cifra V) nelle quali sono ammessi contenuti con ripercussioni paragonabili a quelle delle zone per il lavoro (art. 27 cifra II);
III. priorità: zone per l'abitazione nelle quali sono ammesse anche attività di produzione di beni e servizi (art. 27 cifra I cpv. 2 seconda frase);
IV. priorità: zone per il tempo libero (art. 27 cifra IV);
V. priorità: zone destinate esclusivamente all'abitazione (art. 27 cifra I cpv. 2 prima frase) a carattere intensivo (alta densità);
VI. priorità: nuclei;
VII. priorità: zone destinate esclusivamente all'abitazione (art. 27 cifra I cpv. 2 prima frase) a carattere estensivo (bassa densità);
VIII. priorità: zone per scopi pubblici (art. 27 cifra V) nelle quali non sono ammessi contenuti con ripercussioni paragonabili a quelle delle zone per il lavoro (art. 27 cifra II);
IX. priorità: aree delimitate dal raggio di 100 metri da locali dove soggiornano persone particolarmente sensibili (bambini, anziani, ammalati).
3. I gestori delle antenne per la telefonia mobile percepibili visivamente devono di volta in volta dimostrare che non sono disponibili ubicazioni nelle zone con priorità più alta.
4. Le domande di costruzione per antenne per la telefonia mobile percepibili visivamente che interessano beni naturali, culturali e paesaggi protetti devono essere accompagnate dalla perizia di un esperto esterno, in ordine al loro inserimento.
5. Sono percepibili visivamente e sottostanno alle precedenti disposizioni anche le antenne per la telefonia mobile identificabili come tali per foggia, forma e dimensioni, nonostante eventuali mascheramenti.
6. Le dimensioni e segnatamente l'altezza delle antenne per la telefonia mobile non devono eccedere quanto oggettivamente necessario per la loro funzione.
BGE 142 I 26 S. 29
3
Le norme del cpv. 2 si applicano a tutti i procedimenti in corso, in ogni stadio di procedura.
4
Su richiesta dell'istante, il Municipio provvede sollecitamente a una procedura di conciliazione nella quale indica ubicazioni alternative e decide sulla domanda di costruzione entro il termine di tre mesi.
(...)
B.
Swisscom (Svizzera) SA, Sunrise Communications AG e Orange Communications SA (ora: Salt Mobile SA) impugnano la modifica dell'art. 117 RLst con un ricorso in materia di diritto pubblico al Tribunale federale, chiedendo in via principale di annullare integralmente la disposizione. (...)
Il Tribunale federale ha parzialmente accolto il ricorso e ha annullato i capoversi 2, 3 e 4 dell'art. 117 RLst.
(estratto)
Erwägungen
Dai considerandi:
3.
3.1
Le ricorrenti lamentano la violazione del principio della separazione dei poteri e dell'autonomia comunale. Sostengono che non sarebbero adempiute le condizioni di una delega legislativa al Consiglio di Stato per disciplinare la posa di antenne per la telefonia mobile sul territorio cantonale, giacché nessuna legge in senso formale la prevederebbe. Adducono in particolare che l'art. 23 della legge del 21 giugno 2011 sullo sviluppo territoriale (LST; RL 7.1.1.1) non costituirebbe una base legale sufficiente per una delega, siccome consentirebbe all'Esecutivo cantonale unicamente di disciplinare più nel dettaglio gli elementi dei regolamenti edilizi comunali, ma non il loro contenuto materiale. Rilevano che la competenza in materia di pianificazione del territorio spetterebbe per contro ai Comuni, i quali elaborano il piano regolatore comunale e beneficiano al proposito di un'autonomia costituzionalmente protetta.
3.2
Nella risposta al gravame, il Consiglio di Stato richiama l'art. 2 cpv. 3 LST, secondo cui esso esercita la vigilanza sullo sviluppo territoriale, può istituire commissioni consultive in ambiti settoriali specifici e disciplina per regolamento i dettagli della legge. Il Governo sostiene che quest'ultima parte della norma costituirebbe una "delega generale". Richiama inoltre l'art. 23 LST, che disciplina il regolamento edilizio quale componente vincolante del piano regolatore comunale, facendo in particolare riferimento al cpv. 2 della disposizione, secondo cui il Consiglio di Stato stabilisce i dettagli.
BGE 142 I 26 S. 30
Si tratterebbe, a suo dire, di una "delega legislativa specifica" che lo autorizzerebbe a precisare il contenuto del regolamento edilizio.
3.3
Il principio della separazione dei poteri è garantito, almeno implicitamente, da tutte le costituzioni cantonali e costituisce un diritto costituzionale di cui può prevalersi il cittadino. Questo principio assicura il rispetto delle competenze stabilite dalla costituzione cantonale. Spetta infatti in primo luogo al diritto pubblico cantonale determinare le competenze delle autorità. Il Tribunale federale esamina liberamente l'interpretazione delle norme costituzionali; rivede sotto il profilo ristretto dell'arbitrio quelle di rango inferiore (
DTF 130 I 1
consid. 3.1;
DTF 128 I 113
consid. 2c e rinvii). Il principio della separazione dei poteri vieta a un organo dello Stato di interferire nelle competenze di un altro organo. In particolare, proibisce al potere esecutivo di emanare delle regole di diritto, a meno che ciò non avvenga nell'ambito di una valida delega conferita dal legislatore (
DTF 136 I 241
consid. 2.5.1;
DTF 134 I 322
consid. 2.2). Una delega adempie queste condizioni se il diritto cantonale non la vieta, se è prevista da una legge formale, se è limitata a una materia determinata e se la legge enuncia nelle grandi linee le regole fondamentali (
DTF 134 I 322
consid. 2.4 e rinvii;
DTF 128 I 113
consid. 3c).
3.4
Nel Cantone Ticino, la separazione dei poteri è garantita espressamente dall'
art. 51 Cost./TI
(RS 131.229), secondo cui l'autorità, in quanto non riservata al popolo, è esercitata dai tre poteri, tra di loro distinti e separati: il legislativo, l'esecutivo e il giudiziario. Giusta l'
art. 70 lett. b Cost./TI
, il Consiglio di Stato cura l'esecuzione delle leggi federali e cantonali e delle decisioni del Gran Consiglio; emana norme mediante decreti esecutivi, regolamenti, risoluzioni o altre disposizioni. In virtù dell'art. 79 cpv. 2 della previgente legge del 17 dicembre 2002 sul Gran Consiglio e sui rapporti con il Consiglio di Stato (vLGC; BU 2003 87), il regolamento disciplina l'applicazione di una legge; non può tuttavia regolare questioni estranee alla stessa (cfr. ora l'art. 67 LGC [RL 2.4.1.1]). La Costituzione cantonale non esclude poi la delega legislativa (cfr. art. 51, 59 cpv. 1 lett. c e 70 lett. b Cost./TI; art. 76 segg. vLGC [cfr. ora 62 segg. LGC]; sentenza 4C_3/2013 del 20 novembre 2013 consid. 7, non pubblicato in
DTF 140 III 59
). In ogni caso, sia in presenza di un'ordinanza di esecuzione sia di fronte a un'ordinanza sostitutiva fondata su una delega, la regolamentazione dell'autorità esecutiva deve di principio rimanere entro i limiti delle facoltà conferitele dal legislatore, trattandosi in entrambi i casi di ordinanze dipendenti dalla legge (cfr.
BGE 142 I 26 S. 31
TSCHANNEN/ZIMMERLI/MÜLLER, Allgemeines Verwaltungsrecht, 4
a
ed. 2014, pag. 109 n. 25).
3.5
Il Comune ticinese beneficia in vasti settori nel campo edilizio e della pianificazione del territorio di un ampio margine di decisione e di apprezzamento, che la giurisprudenza fa rientrare nell'autonomia tutelabile (
DTF 103 Ia 468
consid. 2; sentenze 1C_77/2015 del 16 marzo 2015 consid. 3.2 e 1C_234/2007 del 27 maggio 2008 consid. 5.2, non pubblicato in
DTF 134 II 217
, ma in RtiD 2009 I pag. 195 segg.). In particolare, l'autonomia sussiste di principio in rapporto all'allestimento del piano regolatore e all'adozione delle relative norme di attuazione (sentenza 1P.675/2004 del 12 luglio 2005 consid. 2.2, in RDAT 2005 II pag. 100 segg.). Con l'entrata in vigore della LST il 1° gennaio 2012, la nozione di norme di attuazione del piano regolatore è stata sostituita con quella di regolamento edilizio (cfr. Messaggio governativo n. 6309 del 9 dicembre 2009 sul Disegno di Legge sullo sviluppo territoriale, pag. 46; rapporto del 1° marzo 2011 della Commissione speciale per la pianificazione del territorio sul messaggio, pag. 8 seg.). Il regolamento edilizio costituisce infatti, con il piano delle zone e il piano dell'urbanizzazione (corredato dal programma d'urbanizzazione), una componente vincolante del piano regolatore (art. 19 cpv. 2 LST).
L'art. 23 LST prevede che il regolamento edilizio comprende le norme di diritto comunale in materia edilizia; in particolare quelle relative al piano delle zone e al piano di urbanizzazione (cpv. 1). La norma soggiunge poi che il Consiglio di Stato stabilisce i dettagli (cpv. 2). Il regolamento edilizio costituisce il corrispondente normativo dei piani delle zone e dell'urbanizzazione: accorpa in sostanza il diritto comunale in materia edilizia e pianificatoria (cfr. Messaggio citato, pag. 46 e rapporto citato, pag. 9). Il suo contenuto materiale dipende ed è quindi adattato alla specifica situazione del singolo Comune, che rimane competente per adottare il piano regolatore e il relativo disciplinamento. L'art. 23 cpv. 2 LST consente di conseguenza all'Esecutivo cantonale unicamente di precisare nell'ambito del RLst i temi e gli aspetti che il Comune deve disciplinare nel suo regolamento edilizio. Non gli conferisce per contro la facoltà di sostituirsi all'autorità comunale codificando direttamente, sotto il profilo materiale, la pianificazione locale. Qualora ne siano date le condizioni, il Consiglio di Stato, cui spetta l'esame e la verifica della conformità del piano regolatore, può semmai intervenire nelle scelte pianificatorie comunali nell'ambito dell'approvazione del piano
BGE 142 I 26 S. 32
regolatore (cfr. art. 29 LST; sentenza citata 1C_77/2015 consid. 3.2 e riferimenti).
Del resto, l'art. 30 RLst, che concretizza l'art. 23 LST, si limita ad elencare i temi che devono essere disciplinati nel regolamento edilizio, ma non ne precisa il contenuto normativo. L'art. 117 cpv. 2 RLst contiene per contro norme specifiche e dettagliate in materia di pianificazione delle antenne di telefonia mobile, che impongono ai Comuni un chiaro ordine di priorità per stabilire l'ubicazione di questi impianti. Una simile regolamentazione materiale, seppur di natura transitoria, ma comunque applicabile per un periodo prolungato, invade la competenza pianificatoria comunale ed eccede manifestamente i limiti posti dal legislatore al Consiglio di Stato nell'ambito dell'esecuzione dell'art. 23 LST. Null'altro può essere dedotto al riguardo dall'art. 2 cpv. 3 secondo periodo LST. Come riconosce il Governo nelle sue osservazioni al ricorso, quest'ultima norma riveste infatti nel contesto qui in esame una portata più generale rispetto all'art. 23 cpv. 2 LST, disponendo semplicemente che l'Esecutivo cantonale disciplina per regolamento i dettagli della LST.
3.6
3.6.1
Nella risposta al gravame, il Consiglio di Stato evidenzia che l'art. 117 RLst costituisce una disposizione transitoria, che non impedisce ai Comuni di adottare in un secondo tempo altri modelli per determinare l'ubicazione delle antenne di telefonia mobile, purché compatibili con le esigenze del diritto federale in materia di telecomunicazioni e di protezione dalle radiazioni non ionizzanti.
La normativa si applica tuttavia immediatamente a tutti i procedimenti in corso, in ogni stadio di procedura (cfr. art. 117 cpv. 3 RLst). La durata massima del periodo transitorio è di dieci anni (cfr. art. 117 cpv. 1 RLst) ed appare quindi importante. Il Governo medesimo rileva che lo svolgimento della procedura pianificatoria da parte dei Comuni per disciplinare nei loro piani regolatori le questioni legate alla costruzione e all'ubicazione delle antenne per la telefonia mobile presuppone un iter di diversi anni. In pratica, la regolamentazione dell'art. 117 RLst troverebbe quindi un'applicazione generale a tutti i procedimenti edilizi in materia di antenne di telefonia mobile per un periodo di durata rilevante. La sua natura formale di norma transitoria non muta di conseguenza la conclusione esposta al precedente considerando. Non è peraltro seriamente addotto, o comunque ravvisabile, che un disciplinamento immediato degli aspetti
BGE 142 I 26 S. 33
perseguiti dall'art. 30 cpv. 1 cifra 8 RLst risponde a un interesse pubblico talmente urgente che non si possa attendere fino all'adozione delle normative di competenza dei Comuni. La tutela della salute della popolazione dalle radiazioni non ionizzanti dannose o moleste è infatti garantita dall'ordinanza del 23 dicembre 1999 sulla protezione dalle radiazioni non ionizzanti (ORNI; RS 814.710), mentre le disposizioni sulla protezione del paesaggio e sull'estetica, di carattere federale, cantonale o comunale possono, se del caso, essere invocate anche in relazione con progetti di impianti di telefonia mobile (cfr. sentenza 1C_265/2014 del 22 aprile 2015 consid 4-6, non pubblicati, e consid. 7 pubblicato in
DTF 141 II 245
).
3.6.2
Il Consiglio di Stato sostiene di essere abilitato ad emanare l'art. 117 RLst, quale misura sostitutiva di natura transitoria, sulla base dell'art. 3 cpv. 3 LST. Questa disposizione prevede che, se i Comuni non adempiono al loro obbligo di pianificare, il Cantone può adottare misure sostitutive. Essa concerne tuttavia essenzialmente i casi in cui un Comune dovesse rivelarsi inadempiente nell'adottare o nell'uniformare il proprio piano regolatore (cfr. art. 4 RLst; Messaggio citato, pag. 23). Poiché un'eventuale inadempienza da parte di determinati Comuni allo stadio attuale non può essere accertata, il richiamo dell'art. 3 cpv. 3 LST è prematuro e non entra in considerazione in questa fase della procedura.
3.6.3
Laddove nega una violazione dell'autonomia comunale, il Governo si fonda sulla natura transitoria dell'art. 117 RLst e sul fatto che questa disposizione deriverebbe da una valida delega legislativa, concorrendo pertanto a definire i limiti stessi dell'autonomia comunale. Come esposto ai precedenti considerandi, entrambi gli argomenti sono infondati. La portata precedentemente stabilita dell'autonomia comunale può semmai essere limitata dal legislatore cantonale mediante un'adeguata modifica legislativa, fintanto che non vengano violate facoltà o esigenze garantite direttamente dalla Costituzione (DFT 136 I 265 consid. 2.4 con rinvio).
3.7
Nelle esposte circostanze, adottando l'art. 117 RLst come formulato, il Consiglio di Stato ha oltrepassato il quadro delle competenze conferitegli dall'art. 23 cpv. 2 LST, incorrendo quindi nell'arbitrio, disattendendo contestualmente il principio della separazione dei poteri, e violando l'autonomia comunale. La disposizione impugnata deve essere annullata nei suoi contenuti materiali, segnatamente per quanto concerne il cpv. 2 e i cpv. 3 e 4, componenti che non hanno una portata propria. Sia l'applicabilità generale della normativa
BGE 142 I 26 S. 34
a tutti i procedimenti in corso (art. 117 cpv. 3 RLst) sia la procedura di conciliazione in cui il Municipio indica ubicazioni alternative (art. 117 cpv. 4 RLst) sono infatti strettamente legate all'esistenza della regolamentazione delle priorità prevista dall'art. 117 cpv. 2 RLst.
Per contro, il cpv. 1 dell'art. 117 RLst, che prevede un termine di dieci anni entro il quale il Comune deve adottare le disposizioni di cui all'art. 30 cpv. 1 cifra 8 RLst, può essere mantenuto in vigore indipendentemente dall'annullamento dei capoversi successivi della disposizione. Le ricorrenti, che non contestano la costituzionalità dell'art. 30 cpv. 1 cifra 8 RLst, non sollevano infatti nemmeno obiezioni specifiche riguardo al termine massimo previsto per darvi seguito. Non adducono che la sua durata sarebbe di per sé lesiva del diritto, segnatamente dell'autonomia comunale. Le esigenze di motivazione per i ricorsi al Tribunale federale previste dall'
art. 42 cpv. 2 LTF
e quelle, accresciute, prescritte dall'
art. 106 cpv. 2 LTF
valgono in effetti anche per i gravami contro gli atti normativi cantonali (
DTF 141 I 78
consid. 4.1). Questa Corte non è pertanto tenuta a vagliare tutte le questioni giuridiche che si pongono, se queste non sono presentate nella sede federale (
DTF 133 II 249
consid. 1.4.1). In tali circostanze, l'art. 117 cpv. 1 RLst può rimanere in vigore, riservata la possibilità per il Consiglio di Stato di eventualmente modificarlo successivamente, a seguito dell'esito del presente giudizio.
4.
4.1
Per completezza si giustifica di esaminare le ulteriori censure sollevate dalle ricorrenti, che ritengono in particolare violate anche le garanzie costituzionali della libertà economica e di quella d'informazione. Ribadiscono l'insufficienza della base legale per le restrizioni, reputandole inoltre non giustificate dall'interesse pubblico, né proporzionate allo scopo perseguito. Sostengono che il modello a cascata imposto dal Consiglio di Stato con l'art. 117 RLst sarebbe troppo rigido, siccome applicabile indistintamente all'intero territorio cantonale, senza possibilità di essere adattato alle singole realtà comunali e alle diverse esigenze tecniche e di copertura del territorio. Ritengono poi il provvedimento inidoneo a perseguire l'interesse della tutela dalle immissioni ideali, giacché renderebbe impossibile per gli operatori telefonici la realizzazione di una rete di telefonia mobile conforme alle esigenze della legge del 30 aprile 1997 sulle telecomunicazioni (LTC; RS 784.10). Le ricorrenti rilevano come l'orografia di ogni singolo Comune sarebbe peculiare, per cui le necessità di copertura e di natura tecnica sarebbero differenti. Diversi Comuni
BGE 142 I 26 S. 35
non disporrebbero inoltre di zone per il lavoro (cfr. art. 27 cifra II RLst) o di zone per scopi pubblici nelle quali sono ammessi contenuti con ripercussioni paragonabili a quelle delle zone per il lavoro (cfr. art. 27 cifra V RLst), oppure disporrebbero in simili comparti soltanto di superfici esigue, insufficienti per permettere la realizzazione di impianti di telefonia mobile idonei a coprire il territorio comunale.
4.2
Il Tribunale federale ha già avuto modo di rilevare che un'antenna per la telefonia mobile, quand'anche non conforme alla zona di utilizzazione, non è di principio soggetta a un obbligo di pianificazione in virtù del diritto federale, segnatamente dell'
art. 2 LPT
(RS 700). In particolare, gli effetti che ne derivano sull'ordinamento pianificatorio non sono talmente importanti da imporre una modifica della pianificazione (cfr. sentenze 1A.140/2003 del 18 marzo 2004 consid. 3.2, in ZBl 107/2006 pag. 193 segg.; 1A.148/2002 del 12 agosto 2003 consid. 2.2; 1A.316/2000 del 21 settembre 2001 consid. 5a e 1A.62/2001 del 24 ottobre 2001 consid. 6a; HEINZ AEMISEGGER, Die bundesgerichtliche Rechtsprechung zu Standortgebundenheit und Standortplanung von Mobilfunkanlagen, Raum & Umwelt 2/2008 pag. 10 seg.; ALEXANDRA GERBER, Téléphonie mobile dans la jurisprudence du Tribunal fédéral: aspects de droit public, URP 2004 pag. 739 seg.). Rientra di principio nelle facoltà del diritto cantonale, rispettivamente di quello comunale, e della pianificazione delle zone di utilizzazione, determinare in quali zone le costruzioni dell'infrastruttura, alle quali appartengono anche gli impianti per la telefonia mobile, sono generalmente ammissibili o possono essere ammessi soltanto eccezionalmente (
art. 22 cpv. 2 lett. a LPT
e
art. 23 LPT
;
DTF 141 II 245
consid. 2.1;
DTF 138 II 173
consid. 5.3). In virtù del principio della separazione tra l'area edificabile e quella non edificabile, gli impianti destinati ad urbanizzare ed a servire il comprensorio insediativo devono di massima essere realizzati all'interno dei comparti edificabili e non al di fuori. Negli stessi, gli impianti infrastrutturali necessari a servire una determinata zona sono conformi alla stessa nella misura in cui, quanto alla loro ubicazione e allo loro conformazione, si trovino in un rapporto funzionale diretto con il luogo in cui devono essere eretti e coprano principalmente il territorio edificabile. La conformità di zona di tali impianti può essere ammessa anche quando servano l'intera zona edificabile e non soltanto la parte specialmente in discussione (
DTF 138 II 173
consid. 5.3;
DTF 133 II 321
consid. 4.3.1 e 4.3.2). Considerazioni legate al rispetto del
BGE 142 I 26 S. 36
principio della proporzionalità e di natura tecnica non consentono infatti di esigere che le radiazioni delle antenne di telefonia mobile si arrestino al limite della singola zona, ciò che sarebbe impossibile già dal profilo della fisica (
DTF 138 II 173
consid. 5.4). Nemmeno è escluso che un'antenna ubicata nella zona edificabile approvvigioni un importante perimetro in zona non edificabile (cfr.
DTF 141 II 245
consid. 2.2 e 2.4).
Nell'ambito delle proprie competenze in materia di pianificazione del territorio ed edilizia, i Comuni e i Cantoni possono emanare misure pianificatorie e disposizioni edilizie anche con riferimento alle antenne per la telefonia mobile e possono quindi influire sulla loro ubicazione, purché siano rispettati i limiti derivanti dal diritto federale sulle telecomunicazioni e sulla protezione dell'ambiente (
DTF 133 II 64
consid. 5.3,
DTF 133 II 321
consid. 4.3.4 e 4.3.5, 353 consid. 4.2 pag. 360). Al riguardo entra in considerazione una pianificazione negativa, che vieta di principio le antenne per la telefonia mobile in determinati settori degni di protezione o su specifici oggetti protetti. Sono inoltre concepibili misure pianificatorie positive, con le quali vengono assegnate alle antenne per la telefonia mobile zone specifiche, in quanto si tratti di ubicazioni particolarmente idonee che consentano un approvvigionamento sufficiente da parte di tutti gli operatori telefonici. Nondimeno, il rispetto dei valori limite dell'impianto previsto dall'ORNI pone limiti stretti a una concentrazione dei punti di trasmissione all'interno del comprensorio insediativo (cfr. n. 62 cpv. 1 dell'allegato 1 ORNI, secondo cui tutte le antenne di trasmissione in uno spazio ristretto sono considerate un impianto e devono rispettare insieme il valore limite dell'impianto). Presupposto per simili misure pianificatorie è in ogni caso una base legale nel diritto comunale o cantonale. Inoltre, le disposizioni relative agli impianti di telefonia mobile non devono essere circoscritte a singole parti esigue del territorio comunale, ma devono di principio essere elaborate sulla base di una valutazione globale dei problemi rilevanti. Rimangono riservate misure di protezione isolate a favore di determinati oggetti da tutelare (
DTF 138 II 173
consid. 6.3;
DTF 133 II 321
consid. 4.3.4).
Quale ulteriore misura pianificatoria è pure ammissibile un modello a cascata, che ammette le antenne per la telefonia mobile in prima priorità nelle zone destinate al lavoro, laddove queste si prestano per il servizio di telefonia mobile del Comune interessato, in seconda priorità nelle zone miste e in terza linea nelle zone destinate all'abitazione (
DTF 138 II 173
consid. 6.4-6.6;
DTF 141 II 245
consid. 2.1). È
BGE 142 I 26 S. 37
altresì ammissibile che simili impianti siano soggetti all'obbligo di rispettare determinate norme comunali sull'estetica o sull'inserimento nel paesaggio (
DTF 141 II 245
consid. 7.1 e 7.4).
In tutti gli esposti casi, le regolamentazioni edilizie e pianificatorie applicabili agli impianti per la telefonia mobile non possono però vanificare o eccessivamente aggravare l'adempimento del compito di approvvigionamento del gestore di telefonia mobile secondo la legislazione federale sulle telecomunicazioni. Quest'ultima mira infatti a garantire a tutte le cerchie della popolazione, in tutte le parti del Paese, un servizio universale di telecomunicazione affidabile e a prezzi accessibili, nonché a rendere possibile una concorrenza efficace nella fornitura dei servizi di telecomunicazione (art. 1 cpv. 2 lett. a e c LTC;
DTF 141 II 245
consid. 7.1;
DTF 133 II 64
consid. 5.3,
DTF 133 II 321
consid. 4.3.4 pag. 328). L'obbligo di garantire il servizio pubblico di telefonia all'insieme della popolazione e in tutto il Paese è altresì confermato nelle relative concessioni rilasciate ai gestori (
art. 92 Cost.
, art. 14 cpv. 1 e 16 cpv. 1 lett. a LTC;
DTF 138 II 570
consid. 4.2). Questi interessi pubblici concretizzati nella LTC, non devono quindi essere violati dai suddetti provvedimenti pianificatori, i quali devono inoltre essere adeguati sotto il profilo del diritto della pianificazione del territorio e devono rispettare i presupposti per una limitazione dei diritti fondamentali dei privati (cfr.
DTF 133 II 321
consid. 4.3.5 pag. 330; BENJAMIN WITTWER, Bewilligung von Mobilfunkanlagen, 2
a
ed. 2008, pag. 92 seg.).
4.3
In concreto, le limitazioni delle possibili ubicazioni per le antenne di telefonia mobile previste nell'art. 117 cpv. 2 RLst toccano in primo luogo la libertà economica (
art. 27 Cost.
) degli operatori. Esse possono comportare la conseguenza che la diffusione e la ricezione di dati, e quindi di informazioni, non sia attuabile in determinate regioni o sia soltanto di scarsa qualità: ciò può pure tangere la libertà d'informazione ai sensi dell'
art. 16 cpv. 3 Cost.
(
DTF 138 II 173
consid. 7.1). Le restrizioni dei diritti fondamentali necessitano di una base legale, devono essere giustificate da un interesse pubblico o dalla protezione di diritti fondamentali altrui e devono essere proporzionate allo scopo (
art. 36 cpv. 1-3 Cost.
).
Richiamando la sentenza di questa Corte pubblicata in
DTF 138 II 173
, il Consiglio di Stato sostiene che la libertà economica e la libertà d'informazione delle ricorrenti verrebbero limitate soltanto in misura minima dalla regolamentazione litigiosa. Tuttavia, in
BGE 142 I 26 S. 38
concreto la restrizione è più severa rispetto a quella oggetto della causa invocata, siccome l'ordine delle priorità secondo il modello a cascata litigioso è maggiormente articolato e non riguarda unicamente il territorio di un determinato Comune, ma è applicabile all'intero territorio cantonale. Inoltre, il campo di applicazione della norma si estende in parte anche alle antenne per la telefonia mobile non percepibili visivamente (cfr. art. 117 cpv. 2 n. 1 RLst). La disposizione è invero formalmente di natura transitoria, ma può trovare applicazione per un periodo prolungato (cfr. consid. 3.6.1). La questione della gravità o meno delle restrizioni non deve comunque essere ulteriormente approfondita giacché, come si è visto, l'art. 117 RLst non costituisce in ogni caso una valida base legale, siccome disattende il principio della separazione dei poteri e l'autonomia comunale (cfr. consid. 3.7). Quanto all'interesse pubblico e alla proporzionalità delle restrizioni, occorre rilevare quanto segue.
4.4
4.4.1
In
DTF 138 II 173
il Tribunale federale ha esaminato la regolamentazione del Comune di Urtenen-Schönbühl, che prevedeva un modello a cascata, in cui le antenne per la telefonia mobile esterne agli edifici e percepibili visivamente dovevano essere ubicate in prima priorità nelle zone destinate al lavoro, in seconda in quelle residue (miste) e in terza in quelle destinate all'abitazione. Questa Corte ha rilevato che in quel Comune le zone destinate al lavoro si prestavano particolarmente bene per il servizio di telefonia mobile, trattandosi di una larga striscia di terreno situata lungo l'autostrada. Alle stesse zone occorreva inoltre aggiungere quelle (senza destinazione abitativa) destinate all'utilizzazione pubblica e quelle per lo sport e il tempo libero situate a nord ed a sud del territorio comunale. Nella citata sentenza, il Tribunale federale ha inoltre richiamato i pregiudizi derivanti dall'esistenza di molteplici impianti infrastrutturali nel Comune di Urtenen-Schönbühl e l'importanza di tutelare la qualità abitativa, nonché la protezione dell'aspetto del sito e del villaggio. Ha quindi ritenuto ragionevole, sotto il profilo pianificatorio, riunire gli impianti di telefonia mobile con le infrastrutture esistenti (in particolare l'autostrada e le linee ferroviarie), concentrandole per quanto possibile nei comparti già pregiudicati visivamente e da immissioni di rumore e gas di scarico. Questa Corte ha considerato l'ubicazione prioritaria delle antenne nella zona destinata al lavoro, situata lungo l'autostrada, di principio idonea e proporzionata al raggiungimento dello scopo, ritenendo poi che la limitazione di tali
BGE 142 I 26 S. 39
antenne nelle zone destinate all'abitazione appariva un mezzo adeguato per tutelare il carattere e l'attrattività dei comparti residenziali dalle immissioni di natura immateriale. Ha per finire giudicato non criticabile la ponderazione degli interessi eseguita dal Comune di Urtenen-Schönbühl, pur rilevando che se a dipendenza dello sviluppo tecnico, delle frequenze e della domanda erano necessarie nuove ubicazioni, queste potevano essere richieste anche nelle zone miste e addirittura in quelle destinate esclusivamente all'abitazione (cfr.
DTF 138 II 173
consid. 6.6, 7.3, 7.4.2, 7.4.3).
4.4.2
Nella sentenza 1C_51/2012 del 21 maggio 2012 (in URP 2012 pag. 586) il Tribunale federale si è pronunciato su due disposizioni dell'ordinamento edilizio del Comune di Hinwil, che per l'ubicazione delle antenne di telefonia mobile prevedevano quale prima priorità le zone industriali o artigianali, quale seconda le zone per edifici pubblici in cui sono ammesse aziende fortemente e mediamente moleste, seguite in terza priorità dalle zone centrali, nonché da quelle destinate all'abitazione con facilitazioni artigianali e in quarto rango dalle zone dei nuclei. La regolamentazione ammetteva l'installazione di un impianto di telefonia mobile in un'altra zona abitativa solo se l'operatore dimostrava che le condizioni tecniche imponevano un'ubicazione fuori dalle citate zone prioritarie. Questa Corte ha rilevato che la zona industriale e artigianale del Comune di Hinwil, di prima priorità, era molto estesa, seppur concentrata a nord-ovest del territorio comunale, e arrivava fino al centro della località. Vi si aggiungevano poi le zone, prevalentemente centrali, di seconda, terza e quarta priorità. Nel complesso, le zone prioritarie da 1 a 4 rappresentavano circa i due terzi dell'intera superficie edificabile del Comune, per cui di per sé si poteva ritenere che nelle stesse dovevano essere disponibili ubicazioni adeguate alle esigenze tecniche di trasmissione. In caso contrario, sarebbero entrate in considerazione anche ubicazioni nella zona destinata essenzialmente all'abitazione (cfr. sentenza citata, consid. 5.1). Il Tribunale federale ha rilevato che pure il Comune di Hinwil perseguiva la tutela del carattere e dell'attrattività delle zone residenziali dalle immissioni di natura immateriale derivanti dagli impianti di telefonia mobile che, come già riconosciuto, si prestavano a creare determinati inconvenienti. Ha constatato che, anche in questo caso, la regolamentazione teneva sufficientemente conto delle esigenze degli operatori di telefonia mobile di disporre di antenne il più possibile vicine al cliente finale, concludendo che la ponderazione degli interessi eseguita dal
BGE 142 I 26 S. 40
Comune non era contestabile (cfr. sentenza citata, consid. 5.4). Il Tribunale federale ha nondimeno accolto il ricorso degli operatori nella misura in cui la regolamentazione comunale comprendeva anche le antenne non percepibili visivamente. Ha rilevato che l'interesse pubblico alla protezione dalle immissioni immateriali, non potendosi trattare della protezione dalle radiazioni non ionizzanti, appariva minimo nel caso di impianti non visibili, sicché una limitazione delle ubicazioni per questi impianti risultava sproporzionata (cfr. sentenza citata, consid. 5.5).
4.5
Simili valutazioni, riferite a due specifici Comuni ed alla loro situazione concreta, non possono essere compiute con riferimento alla regolamentazione generale ed astratta in esame. La norma impugnata prevede infatti il medesimo disciplinamento sull'ubicazione delle antenne per la telefonia mobile in modo indifferenziato per l'intero territorio cantonale. Non tiene conto né delle pianificazioni esistenti nei singoli Comuni né delle loro situazioni e caratteristiche territoriali e paesaggistiche concrete. Non si fonda quindi su una ponderazione degli interessi verificabile sulla base di accertamenti riferiti ad un determinato comprensorio, nonché alla sua pianificazione da parte del Comune interessato, che beneficia altresì di uno specifico margine di apprezzamento in materia di valutazioni relative all'estetica e all'inserimento degli impianti nel paesaggio (cfr. sentenza 1C_265/2014 del 22 aprile 2015 consid. 4.1 e 5.3, non pubblicati in
DTF 141 II 245
). In particolare, la criticata normativa non consente di vagliare se, in considerazione della situazione del singolo Comune, il prospettato ordine delle priorità previsto dall'art. 117 RLst permette ancora di garantire un adeguato servizio di telecomunicazione regolato dal diritto federale di rango superiore. Le norme di piano regolatore devono infatti tenere conto degli interessi di una fornitura di telefonia mobile di qualità e di una concorrenza efficace tra i fornitori (cfr.
art. 1 LTC
;
DTF 133 II 64
consid. 5.3).
D'altra parte, le esigenze di tutela della qualità delle zone destinate all'abitazione dalle immissioni immateriali legate alla presenza di impianti di telefonia mobile, a dipendenza della loro conformazione e delle loro diverse caratteristiche, possono essere differenti nei vari Comuni. La necessità di influire sull'ubicazione delle antenne può quindi divergere da un Comune ad un altro e deve essere valutata sulla base della situazione concreta nel singolo caso. La disposizione cantonale litigiosa risulta inoltre essere applicabile, almeno parzialmente, anche alle antenne non percepibili visivamente (cfr. art. 117
BGE 142 I 26 S. 41
cpv. 2 n. 1 RLst). Come visto, nel succitato caso, il Tribunale federale ha tuttavia avuto modo di precisare che in tale circostanza l'interesse pubblico alla protezione dalle immissioni immateriali è talmente ridotto che una limitazione delle ubicazioni delle antenne risulta sproporzionata. Certo, è possibile che anche le antenne non visibili possano suscitare sentimenti di paura e di preoccupazione nei cittadini che ne conoscono l'ubicazione e che temono gli effetti delle radiazioni. Nella fattispecie, non si tratta però di proteggere la popolazione dalle radiazioni non ionizzanti, ciò che non rientra nelle competenze dei Cantoni e dei Comuni, ma di tutelare determinate aree abitative dalle immissioni di natura immateriale legate alla visione percepibile delle antenne, che generano sentimenti e reazioni negative negli abitanti (sentenza citata 1C_51/2012 consid. 5.5).
Alla luce dell'insieme di queste circostanze, la regolamentazione a livello cantonale dell'art. 117 cpv. 2 n. 1 e 2 RLst non appare né necessaria né proporzionata a proteggere la qualità abitativa di determinati comparti nel territorio dei singoli Comuni sulla base delle loro caratteristiche e specificità. Così come formulata, essa non si presta di principio ad un'interpretazione conforme al diritto costituzionale o al diritto federale di rango superiore. (...) | public_law | nan | it | 2,015 | CH_BGE | CH_BGE_001 | CH | Federation |
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