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Urteilskopf 91 I 449 70. Estratto della sentenza 15 ottobre 1965 nella causa Bossi contro Confederazione.
Regeste VG. Verantwortlichkeit des Bundes für Handlungen des Bundesrates. 1. Der Kläger braucht die Person oder die Personen, denen er das widerrechtliche Verhalten zur Last legt, nicht zu bezeichnen; es genügt, dass er die Amtstelle oder Behörde nennt, welche für die von ihm als widerrechtlich betrachtete Handlung oder Unterlassung verantwortlich ist (Erw. 1). 2. Grenzen der Verantwortlichkeit des Bundes für Handlungen des Bundesrates (Erw. 2). 3. Begriff des widerrechtlichen Verhaltens im Sinne des Art. 3 Abs. 1 VG (Erw. 3). 4. Die Erstattung und die Verbreitung einer unbegründeten Strafanzeige durch eine eidgenössische Amtsstelle oder Behörde können die Verantwortlichkeit des Bundes begründen, jedoch nur, wenn nachgewiesen ist, dass die Amtsstelle oder Behörde ihr Ermessen überschritten oder missbraucht hat (Erw. 2 und 4). 5. Geheimnis der Strafanzeige und der Untersuchungsmassnahmen. Ausnahmen (Erw. 5).
Erwägungen ab Seite 450 BGE 91 I 449 S. 450 1. La LResp. si riferisce a danni causati da "funzionari" o "membri di autorità federali", ma le relative disposizioni non precisano se l'attore debba designare nominalmente il o i funzionari, al cui atto illecito riferisce la sua azione. Dai materiali legislativi si deve però desumere che il legislatore non ha inteso fissare una siffatta esigenza. Il postulato accolto dal medesimo di stabilire una responsabilità primaria della Confederazione è stato giustificato anche dalla difficoltà per la persona lesa, data la moltiplicazione degli uffici ela complessità della distribuzione delle competenze, di individuare il funzionario che ha preso la decisione effettivamente determinante (Boll. sten. 1957, CN, p. 809). Si deve pertanto concludere che il funzionario, autore dell'atto illecito, è sufficientemente designato se l'attore indica l'ufficio o l'autorità responsabile dell'azione o dell'omissione illecite. In applicazione della nuova LResp., la determinazione di responsabilità personali è indispensabile solo nell'ambito di un'eventuale azione di regresso nei confronti del o dei funzionari colpevoli (art. 3 cpv. 4, 7 e seg. LResp.); la quale azione non interessa direttamente la parte lesa. Nel caso particolare, l'attore, avendo dichiarato che la decisione di presentare la denuncia penale e di pubblicare il comunicato alla stampa è stata presa dalla maggioranza del Consiglio federale, ha sufficientemente designato gli autori degli asseriti atti illeciti. Come ammette anche la convenuta, la questione di stabilire quali consiglieri federali abbiano assunto la responsabilità delle decisioni asserite illecite è irrilevante. BGE 91 I 449 S. 451 La LResp. essendo applicabile anche agli atti o alle omissioni dei membri del Consiglio federale (art. 1 cpv. 1 lett. b, art. 2 cpv. 2), l'azione è a questo riguardo ricevibile. 2. La legge esclude che mediante l'azione di responsabilità possa essere esaminata la legittimità di decisioni e sentenze definitive (art. 12). Questa eccezione non pregiudica il caso particolare, perchè le decisioni asserite illecite non vennero emanate a conclusione di un procedimento di ricorso, durante il quale l'interessato abbia comunque avuto la possibilità di esprimersi. Il diritto estero esclude dall'azione di responsabilità anche quegli atti, in genere, che il governo emana nell'esercizio del potere sovrano, attribuitogli in modo esclusivo dalla Costituzione; quelli, ad esempio, che riguardano i rapporti con il parlamento e con gli stati esteri (Nouveau Répertoire DALLOZ, tome IV p. 205; WOLFF, Verwaltungsrecht, IV Auflage § 46 III b). La LResp. non contiene al riguardo una regola generale ma, riservate le norme speciali e in particolare la LF sulle garanzie politiche del 26 marzo 1934 (art. 3 cpv. 2, art. 2 cpv. 3), indica un'unica eccezione, e cioè quella dei pareri espressi nell'Assemblea federale o nelle commissioni parlamentari (art. 2 cpv. 2). La dichiarazione di voler deporre una denuncia penale nei confronti dell'attore potrebbe pertanto essere esclusa dall'azione di responsabilità, solo se fosse stata fatta nell'ambito di discussioni parlamentari. Comunque, anche se si dovesse pretendere che determinati atti di governo, deliberati dal Consiglio federale nell'esercizio di sue esclusive competenze costituzionali, vanno esenti da responsabilità, non si potrebbe certo ammettere che la presentazione di una denuncia penale e la divulgazione della medesima mediante comunicato alla stampa, su questioni di politica interna, possano ricadere nell'ambito dei suesposti atti di governo. Infatti, essendo evidente che il perseguimento del reato imputato a Bossi spettava d'ufficio alla giurisdizione cantonale, la denuncia poteva essere proposta direttamente dal Ministero pubblico della Confederazione (art. 107 PPF). Nè si vede in che modo la pubblicazione di un comunicato, considerato nècessario per rendere edotta l'opinione pubblica di una denuncia penale, potesse ricadere, benchè concernente l'amministrazione federale, nelle esclusive competenze costituzionali del Consiglio federale. Ciò stante, l'opinione espressa nella duplica, nel senso che trattasi di questioni di carattere politico da risolvere secondo il BGE 91 I 449 S. 452 "libero" apprezzamento del Consiglio federale, non può essere condivisa, almeno in quanto intesa ad escludere il controllo giurisdizionale sulla relativa responsabilità della Confederazione. 3. Secondo l'art. 3 LResp., la Confederazione risponde del danno cagionato illecitamente ("rechtswidrig", "sans droit") a terzi da un funzionario nell'esercizio delle sue funzioni, senza riguardo alla colpa del funzionario. L'art. 3 LResp. non presuppone più, quindi, come i combinati 4 e 7 della vecchia legge del 1850, un atto illegale vale a dire un delitto o un crimine o, comunque, la violazione di norme costituzionali, legali o regolamentari della Confederazione, ma ammette come possibile generatore di responsabilità qualsiasi atto illecito e, quindi, anche qualsiasi illegittima menomazione di un diritto altrui. Da alcuni passi del messaggio del Consiglio federale (v. specialmente FF. 1956 I, p. 1424, BBl p. 1398) e anche dalla discussione in Consiglio degli Stati (Boll. sten. 1956 p. 324/325), ove la nozione di illiceità appare equiparata a quella di illegalità, si potrebbe dedurre che il legislatore non ha inteso effettuare al riguardo alcuna innovazione. Ma ciò può essere riferito al fatto che, in casi limite, tale equiparazione era già stata ammessa anche in applicazione della vecchia legge (RU 77 I 261 consid. 3 e citazioni; cfr. BEZZOLA: Der Einfluss des privaten auf die Entwicklung des öffentlichen Schadenersatzes, Tesi di Zurigo 1960 p. 27). Comunque, negli interventi dei relatori di maggioranza, Boerlin e Guisan, in Consiglio nazionale, è sempre stata questione soltanto di atti leciti e illeciti; si è persino dichiarato che, dato il presupposto della illiceità, la responsabilità della Confederazione deve essere considerata causale (Boll. sten. 1957 CN p. 805). Il deputato Odermatt, intervenendo a favore del disegno approvato dalla maggioranza, precisò che, in principio, costituiscono atto illecito nel senso suesposto le seguenti fattispecie: "Das Handeln eines Staatsorgans ausserhalb des gesetzlichen Zuständigkeitsbereiches der betreffenden Amtstelle (Handeln ohne gesetzliche Grundlage, Ermessenüberschreitung und Ermessenmissbrauch); das Unterlassen einer Amtspflicht, die ein Gesetz einer Amtsstelle auferlegt; die Verletzung einer allgemeinen Amtspflicht gegenüber dem Bürger, und die Verletzung einer allgemeinen Bürgerpflicht durch einen Amtsträger im Rahmen seiner amtlichen Tätigkeit." Ciò stante, il funzionario e l'autorità federali commettono atto illecito nel senso dell'art. 3 LResp. non solo quando trasgrediscono BGE 91 I 449 S. 453 norme disciplinanti le loro funzioni, ma anche quando, quantunque non legittimati da norme speciali, ledono interessi privati protetti in genere dall'ordinamento giuridico. Ne consegue che, mutatis mutandis, l'atto illecito dell'art. 3 LResp. corrisponde a quello dell'art. 41 cpv. 1 CO, definito dalla giurisprudenza: un comportamento dannoso in urto a espliciti o impliciti precetti o divieti dell'ordinamento giuridico, stabiliti a tutela del bene giuridico leso (RU 82 II 28, 88 II 280 consid. 4 lett. a). L'art. 3 cpv. 1 LResp. va poi oltre l'art. 41 CO, poichè non esige che l'attore dimostri una colpa, vale a dire un dolo, una negligenza o un'imprudenza di un funzionario. All'attore incombe, in proposito, soltanto di dimostrare l'oggettiva illiceità dell'atto o dell'omissione dannosi. Gli basta pertanto dimostrare che detto comportamento ha costituito violazione di una norma applicabile al caso particolare o illegittima menomazione di un suo diritto. D'altra parte, prescrivendo che l'azione di risarcimento deve essere comunque fondata su un atto illecito, il legislatore ha posto un limite alla responsabilità della Confederazione. Una proposta parlamentare di riconoscere il diritto ad una indennità anche a chi fosse leso in modo eccessivo da atti legali, vale a dire di riconoscere la responsabilità della Confederazione anche per il rischio amministrativo di atti legittimi, come è stato fatto rilevare essere il caso per i diritti francese, tedesco e italiano (Boll. sten. 1957 CN p. 809 in fine), venne respinta dal Consiglio nazionale con voti 69 contro 54 (ibidem p. 824). Ciò significa che il cittadino può essere chiamato a subire una particolare menomazione di un proprio interesse privato, protetto in genere dall'ordinamento giuridico, senza avere diritto al risarcimento. Questo è escluso - riservate le leggi speciali (art. 3 cpv. 2) - per le menomazioni disposte nell'interesse publico dalle autorità e dall'amministrazione federali, conformemente alle loro competenze. L'atto o l'omissione lesivi di un interesse individuale danno perciò diritto al risarcimento, soltanto se l'organo federale li ha commessi, trasgredendo doveri o divieti relativi alle proprie funzioni, oppure oltrepassando le proprie competenze o abusando del proprio potere di apprezzamento. 4. a) Una denuncia penale per reati perseguibili d'ufficio può evidentemente essere proposta da ogni persona (cfr. art. 100 cpv. 1 PPF). In determinati casi può anzi costituire adempimento di un dovere personale, la cui trasgressione in altri ordinamenti BGE 91 I 449 S. 454 giuridici può avere conseguenze penali (vedi ad es. § 138 del codice penale tedesco; SCHRÖDER, Kommentar p. 614). Il diritto penale svizzero tiene conto della funzione della denuncia da parte di privati nell'amministrazione della giustizia penale, poichè persegue penalmente una denuncia infondata, solo se interposta dolosamente ( art. 303 e 304 CP). Una denuncia penale può comunque essere lesiva pure di diritti personali protetti da norme di diritto civile (art. 28 CC e 49 CO), ma a questo proposito la giurisprudenza ha statuito che una responsabilità del denunciante può essere ammessa, solo se la denuncia è stata presentata per dolo o estrema leggerezza (RU 39 II 222, 44 II 432, consid. 2). Invece, per gli organi dello Stato la denuncia di un reato perseguibile d'ufficio può costituire esercizio di una funzione speciale, come è il caso per i funzionari della polizia, oppure adempimento di un dovere di assistenza fra le autorità. In queste condizioni si trova anche il Ministero publico della Confederazione, se è edotto di affari penali, il cui perseguimento compete alla giurisdizione cantonale (art. 107 PPF). In tal caso, l'atto del Ministero pubblico soggiace non alle norme comuni di diritto civile, ma alla LResp. Ne consegue che la responsabilità della Confederazione ne è coinvolta anche se la denuncia non è stata presentata per dolo o estrema leggerezza - come è il caso per la responsabilità civile delle persone - ed anche se è stata presentata senza colpa, purchè sia dimostrato che l'organo federale ha, al riguardo, oggettivamente oltrepassato il proprio potere di apprezzamento o ne ha abusato. 5. a) La notorietà di un procedimento penale comporta per il prevenuto dei gravi pregiudizi alle relazioni personali, che possono risultare totalmente o in parte ingiustificati, qualora il procedimento si concluda con un giudizio liberatorio o quando la condanna ritenga solo parzialmente gli addebiti inizialmente proposti contro il prevenuto. Ne consegue che l'autorità procedente non può, senza grave motivo, rivelare al pubblico, l'esistenza del procedimento o gli elementi dell'istruttoria, almeno fin tanto che non lo esiga la pubblicità del processo e il magistrato competente si sia pronunciato, mediante l'emanazione dell'atto di accusa, sulla consistenza dell'imputazione penale. Questi principi sono espressi in modo esemplare nella stessa legge di procedura penale del Cantone di Berna. A chiarimento BGE 91 I 449 S. 455 delle relative norme, la Camera di accusa di detto Cantone ha anzi diramato, con circolare del 21 gennaio 1960, ai giudici d'istruzione, ai procuratori distrettuali e ai comandi di polizia delle direttive sulle comunicazioni alla stampa in punto alle istruzioni penali in corso. Essa fece rilevare che, di massima, le udienze della procedura preliminare e dell'istruttoria sono segrete (art. 93 del codice di procedura penale), che lo sono anche rispetto alle parti fino al giorno in cui il giudice, considerando di aver acquisito gli atti essenziali all'istruttoria, procede alla convocazione delle parti (art. 95). La Camera d'accusa fece nondimeno notare che a tale regola poteva essere fatta eccezione nei casi in cui lo esigesse lo scopo dell'istruttoria, vale a dire qualora fosse richiesta la collaborazione della popolazione, e nei casi in cui lo esigesse l'interesse pubblico, e cioè occorresse mettere in guardia la collettività da criminali pericolosi o orientare l'opinione pubblica a proposito di crimini gravi che inquietano la popolazione. Norme analoghe sono contenute anche in altre procedure cantonali come, ad esempio, il codice di procedura vodese ( art. 103 e 104 ), e come anche, benchè non in modo così esplicito, il CPP ticinese (art. 151). Ora se, riservati casi speciali, neppure l'autorità competente è autorizzata a rendere pubblico il contenuto di denunzie penali o di atti di istruttoria, a maggior ragione non può esserne legittimato il denunciante. Nel diritto austriaco, una siffatta pubblicazione è considerata attentato alla libera ricerca della verità da parte del giudice e pertanto perseguita come delitto (TH. RITTER, Lehrbuch des österreichischen Strafrechts, IIo volume, p. 469/470). Il diritto svizzero non contempla una speciale analoga fattispecie penale, ma l'atto suesposto potrebbe nondimeno costituire oggetto di azione civile, qualora conseguisse una lesione della personalità civile a'sensi degli art. 28 CC e 49 CO. Nel caso particolare, tale lesione è evidente. b) ..... c) Detta lesione è però illecita a'sensi dell'art. 3 cpv. 1 LResp., e quindi suscettiva di risarcimento, soltanto se l'amministrazione federale l'ha provocata trasgredendo precisi doveri o abusando del suo potere di apprezzamento. E'indubbio che, in unademocrazia comela nostra, l'autorità federale deve informare i cittadini di ogni rilevante vicenda, connessa all'amministrazione delle finanze federali. Questa informazione si svolge BGE 91 I 449 S. 456 normalmente attraverso lo scarico che essa dà del suo mandato al parlamento. Ma è certo, ed è pacifico, che nei casi di particolare importanza, come quando si tratti di notevoli perdite finanziarie o di reati che inquietano l'opinione pubblica, l'autorità federale può rivolgersi al pubblico anche mediante la stampa e anche se il dovere di informazione dell'autorità collida con interessi privati giuridicamente protetti. In tali casi, l'interesse pubblico essendo in principio prevalente sull'interesse privato e la materia non essendo disciplinata da precise norme di legge, l'informazione può esplicarsi soltanto nell'ambito del potere di apprezzamento dell'autorità esecutiva.
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Urteilskopf 115 II 167 29. Auszug aus dem Urteil der II. Zivilabteilung vom 14. März 1989 i.S. Josef Ferdinand Eisenring gegen Staat Zürich (Verwaltungsgerichtsbeschwerde)
Regeste Einspruch gegen den Verkauf einer landwirtschaftlichen Liegenschaft ( Art. 19 Abs. 1 EGG ). 1. Landwirtschaftliche Nutzung im Sinne von Art. 2 EGG bejaht bei einem Grundstück, welches sich in einer Reservezone gemäss § 65 Abs. 1 des zürcherischen Planungs- und Baugesetzes befindet und in näherer Zukunft nicht überbaut werden kann (E. 6). 2. Tragweite des Vorbehaltes gemäss Art. 3 EGG : Der Begriff der Bauzone ist mit demjenigen in Art. 15 RPG gleichzusetzen (E. 7). 3. Kauf eines in der Reservezone gelegenen Grundstückes durch den Inhaber eines Architekturbüros: Tatbestand von Art. 19 Abs. 1 lit. a EGG (Spekulation) in Anbetracht der gesamten Umstände bejaht (E. 8).
Sachverhalt ab Seite 168 BGE 115 II 167 S. 168 A.- Mit Kaufvertrag vom 29. Januar 1988 erwarb Josef Ferdinand Eisenring von der Erbengemeinschaft des Hans Niederberger das in Winterthur-Seen gelegene Grundstück Kat. Nr. 2661 (Grundbuch Kbl. 125 LB 1178) zum Preis von Fr. 300'000.--. Bei einer Fläche von 5805 m2 (Wiese und Acker) entspricht dies einem Entgelt von Fr. 51.68 pro m2. Dieses Grundstück war früher Teil der Bauzone, ist aber inzwischen ausgezont worden und liegt heute in einer sogenannten Reservezone. B.- Das Landwirtschaftsamt des Kantons Zürich, dem das Veräusserungsgeschäft gemeldet worden war, erhob dagegen am 9. Februar 1988 Einspruch. Zur Begründung führte es an, der vorliegende Kauf habe spekulativen Charakter; überdies beabsichtige die dem Erwerber gehörende J. Eisenring AG weitere Landkäufe, weshalb die Annahme eines Güteraufkaufs gerechtfertigt sei. Käufer und Verkäufer widersetzten sich dem Einspruch. Das Landwirtschaftsgericht des Kantons Zürich hat ihn indessen mit Urteil vom 21. Juni 1988 in Gutheissung der Klage des Landwirtschaftsamtes bestätigt. C.- Dagegen hat Josef Ferdinand Eisenring am 22. August 1988 beim Bundesgericht Verwaltungsgerichtsbeschwerde erhoben. Er beantragt die Aufhebung des angefochtenen Entscheides und die Beseitigung des Einspruchs gegen den Verkauf des Grundstücks Kat. Nr. 2661, 58,05 a Land mit Gebäude Assek. Nr. 927 in der Gemeinde Winterthur-Seen. Das Landwirtschaftsamt schliesst in seiner Vernehmlassung auf Abweisung der Beschwerde. Das Landwirtschaftsgericht verzichtete auf eine Stellungnahme, während das Bundesamt für Justiz sinngemäss die Bestätigung des angefochtenen Entscheides beantragt. Erwägungen Aus den Erwägungen: 6. a) Das zürcherische Planungs- und Baugesetz (PBG) vom 7. September 1975 unterscheidet zwischen folgenden Zonenarten: der Landwirtschaftszone, zwei Arten von Freihaltezonen sowie den Bau- und Reservezonen. Letztere umfassen gemäss § 65 Abs. 1 PBG jene Flächen, die vorläufig keiner anderen Zone zugewiesen sind. Die definitive Regelung erfolgt in der Planrevision, sei dies durch Zuweisung der betroffenen Flächen zu einer Bauzone oder durch endgültige Anordnung einer anderen Bewertung, entweder BGE 115 II 167 S. 169 als Landwirtschafts- oder als Freihaltezone (so der Entscheid des Verwaltungsgerichts des Kantons Zürich, VK 14/84 vom 20. Juni 1986, S. 7/8). Die Reservezone umfasst somit Gebiete, deren Nutzung noch nicht bestimmt ist oder in denen eine bestimmte Nutzung erst später zugelassen wird ( Art. 18 Abs. 2 RPG ; BGE 112 Ib 388 ff.). Solange Grundstücke in einer solchen Zone künftiger oder noch ungewisser Nutzung verharren, wird an Bautätigkeit höchstens das zugelassen, was Art. 24 RPG erlaubt ( BGE 109 Ib 127 f., E. 2b; EJPD/BRP, Erläuterungen RPG, 1981, N. 16 zu Art. 18, S. 238, im übrigen auch SCHÜRMANN, Bau- und Planungsrecht, 2. A. Bern 1984, S. 177, Rz. 4, sowie AEMISEGGER, Leitfaden zum RPG, VLP-Schriftenfolge Nr. 25, Bern 1980, S. 63). b) Gemäss dem nach Art. 105 Abs. 2 OG von Amtes wegen eingeholten Bericht der kantonalen Amtsstelle für Raumplanung vom 14. Februar 1989 liegt das Grundstück Kat. Nr. 2661 in Winterthur-Seen nordöstlich des Dorfkerns von Gotzenwil. Mit Beschluss des Grossen Gemeinderates vom 11. März 1986, vom Regierungsrat genehmigt am 28. Januar 1987, fand es Aufnahme in eine Reservezone im Sinne von § 65 Abs. 1 PBG . Eine Revision der Nutzungsplanung steht derzeit nicht an. Die Liegenschaft befindet sich nach kantonalem Gesamtplan - erlassen am 10. Juli 1978 und seither laufend angepasst - im Anordnungsspielraum zwischen Siedlungs- und Landwirtschaftsgebiet, weshalb sie von der Etappierung gemäss § 21 PBG nicht erfasst wird; eine Erweiterung des Siedlungsgebietes ist nicht zu erwarten. Es obliegt der (kommunalen) Ortsplanung, im fraglichen Gebiet die sachgerechte Abgrenzung zur Bauzone vorzunehmen; nebst Zuweisung zu einer Bauzone kommt dabei auch die Festsetzung einer Landwirtschaftszone oder die Erweiterung der nördlich angrenzenden Freihaltezone in Frage. Die gegenwärtige Zuordnung des Grundstückes zur Reservezone lässt die Errichtung von Bauten und Anlagen nur im Rahmen von Art. 24 RPG zu. c) Die fragliche Liegenschaft ist dem Bundesgesetz über die Entschuldung landwirtschaftlicher Heimwesen vom 12. Dezember 1940 unterstellt worden. Nach eigener Zugabe des Beschwerdeführers bezogen die Verkäufer für die Grasnutzung ein jährliches Entgelt von Fr. 80.--. Wie das Bundesamt für Justiz in seiner Vernehmlassung zutreffend ausführt, handelt es sich auch bei dieser extensiven Nutzung mit nur geringem Ertrag um landwirtschaftliche Nutzung (mit Hinweis auf BBl 1982 I 271 [Botschaft zum Bundesgesetz über die landwirtschaftliche Pacht]). Aus der BGE 115 II 167 S. 170 Stellungnahme der kantonalen Amtsstelle für Raumplanung ergibt sich schliesslich, dass aufgrund der planungsrechtlichen Situation im betroffenen Gebiet mit einer Überbauung des Grundstückes Kat. Nr. 2661 in näherer Zukunft nicht gerechnet werden kann. Warum deshalb heute an das Vorliegen der landwirtschaftlichen Nutzung strengere Anforderungen zu stellen und die Anwendung des EGG restriktiv zu handhaben wäre, ist nicht ersichtlich. Kann nämlich bei dieser Sachlage nicht gefolgert werden, dass das betreffende Grundstück nur noch auf Zusehen hin landwirtschaftlich genutzt werde, steht der Anwendung des bäuerlichen Bodenrechts nichts im Wege ( BGE 113 II 136 E. 5a, 488 E. 6a). Das Landwirtschaftsgericht hat somit die Voraussetzungen des Art. 2 EGG zutreffend als gegeben erachtet und - unter diesem Gesichtspunkt - die Anwendbarkeit des einschlägigen Bundesgesetzes mit Recht bejaht. 7. a) Art. 3 Abs. 1 EGG überträgt den Kantonen die Befugnis, den Anwendungsbereich des Gesetzes einzuschränken. Hiebei handelt es sich um einen echten, ermächtigenden Vorbehalt; wird davon kein Gebrauch gemacht, gilt ohne weiteres Bundesrecht. Inhalt und Umfang des Vorbehaltes bestimmen sich nach Bundesrecht; gleiches gilt für die Umschreibung der darin verwendeten Begriffe (LIVER, Kommentar, Bern 1966, N. 18, 21, zu Art. 5 ZGB ; M. JAGMETTI, Vorbehaltenes kantonales Privatrecht, in Schweizerisches Privatrecht, Bd. I, S. 249, 252). Der Kanton Zürich hat von diesem Vorbehalt zumindest teilweise Gebrauch gemacht, indem gemäss § 2 des Einführungsgesetzes zum EGG (EGzEGG vom 23. September 1984) die Grundstücke, die in der Bauzone liegen, vom Einspruchsverfahren ausgenommen werden. Keine Einspruchsmöglichkeit besteht demnach gegenüber der Veräusserung von Land, welches sich für die Überbauung eignet und weitgehend überbaut ist oder voraussichtlich innert 15 Jahren benötigt und erschlossen wird (vgl. Art. 15 RPG ). Die Reservezone nach zürcherischem Recht kann nun aber weder als Bauzone qualifiziert werden, noch gelten die darin gelegenen Grundstücke schlechthin als Bauerwartungsland, wie das der Beschwerdeführer geltend macht. Konsequenterweise hat das Landwirtschaftsgericht deshalb schon wiederholt entschieden, dass die einer Reservezone zugeordneten Grundstücke vom Einspruchsverfahren nicht ausgenommen sind. Dass diese Rechtsauffassung durchaus im Einklang mit Bundesrecht steht, wird nachfolgend zu zeigen sein. BGE 115 II 167 S. 171 b) Der Begriff der "Bauzone" fand bereits mit dem EGG vom 12. Juni 1951 Eingang ins Gesetzesrecht des Bundes (Art. 3). Während der Vorentwurf zum EGG den Vorbehalt noch für Liegenschaften, die in Städten oder in Ortschaften mit städtischen Verhältnissen gelegen sind, begrenzt haben wollte, einigten sich die Räte - auf Anraten der ständerätlichen Kommission - im Bestreben um Klarheit und Vereinfachung auf das Kriterium der Bauzone (Botschaft zum Entwurf eines Bundesgesetzes über die Erhaltung des bäuerlichen Grundbesitzes vom 30. Dezember 1947, in BBl 1948 I 49, 73; Sten.Bull. 1948 N 377, 1949 S 329, N 874). Die ältere Lehre definierte die Bauzone im Sinne von Art. 3 EGG als in die Ortsplanung einbezogene Fläche, für welche Überbauungspläne bestehen (JOST, Handkommentar zum EGG, 1951, S. 18 f.). Aber auch dort, wo keine Bauzonen ausgeschieden waren, erachtete man es als gerechtfertigt, baureifes Land von den Bestimmungen des landwirtschaftlichen Bodenrechts auszunehmen (CLAVADETSCHER, in: Das neue landwirtschaftliche Bodenrecht der Schweiz, 1954, S. 20 mit Hinweisen). Welche Bauzonen für die Entwicklung einer Ortschaft unentbehrlich sind, sollte dem Ermessen des kantonalen Gesetzgebers überlassen werden, der die Befugnis zum Ausschluss des EGG sogar an die Gemeinden weitergeben darf (JENNY, Das Gesetz über die Erhaltung des bäuerlichen Grundbesitzes, SJZ 49/1953, S. 37 ff., insb. S. 39). Das auf die Erhaltung bäuerlichen Grundbesitzes abzielende EGG konnte zur Zeit seiner Entstehung noch nicht auf die Unterstützung eines umfassenden Planungswerks zählen, welches auch dem Schutz der Landwirtschaft angemessen Rechnung getragen hätte (JOST, a.a.O., S. 19). Das Anliegen nach wirksamem Schutz schützenswerter Liegenschaften verlangte gleichzeitig nach einschränkender Anwendung des Gesetzes und damit notgedrungen nach tauglichen Abgrenzungskriterien. Dass in Art. 3 EGG eine einfache und transparente Eingrenzung des Geltungsbereichs gesucht wurde, erhellt einerseits aus den bereits erwähnten Materialien, letztlich aber auch aus Art. 3 EGG selbst, der immerhin in Abs. 2 die grundbuchliche Aufzeichnung der vom EGG ausgenommenen Gebiete vorsieht. Aus dem Aufbau des Gesetzes geht sodann hervor, dass mit Art. 3 EGG über die kantonale Gesetzgebung ein generell-abstraktes Ausscheidungsinstrument geschaffen werden sollte, während es den rechtsanwendenden Instanzen im Einzelfall vorbehalten bleibt, die eigentliche Feinausscheidung über Art. 2 EGG vorzunehmen. BGE 115 II 167 S. 172 Mit Inkrafttreten des RPG auf den 1. Januar 1980 wurde der Begriff der Bauzone zum Zweck der haushälterischen Nutzung des Bodens von Bundesrechts wegen eingeführt ( Art. 1, 15 RPG ); die Kantone sind daran gebunden und dürfen den Begriff weder enger noch weiter fassen (SCHÜRMANN, a.a.O., S. 157, Rz. 1). Soll daher dem Bestreben des Gesetzgebers um eine einfache und klare Ordnung zum Durchbruch verholfen werden, liegt es nahe, den Begriff der Bauzone im Sinne des Art. 3 EGG mit demjenigen des Raumplanungsgesetzes in Einklang zu bringen. Eine solche Angleichung erweist sich mit Blick auf die Einheit der Rechtsordnung als wünschenswert und bei der Auslegung eines auf die Erhaltung des bäuerlichen Grundbesitzes ausgerichteten Gesetzes geradezu als geboten. Durch die Formulierung des Art. 3 EGG bleibt es dabei den Kantonen unbenommen, den Vorbehalt auch nur teilweise bzw. in einer Weise auszuschöpfen, die die Anwendung des Gesetzes auch auf Liegenschaften innerhalb der Bauzone (Dorfkernbetriebe) zulässt. c) Aus diesen allgemeinen Erwägungen ergibt sich, dass die vom Beschwerdeführer kritisierte Praxis der Vorinstanz, die in der Reservezone gemäss § 65 Abs. 1 PBG gelegenen Grundstücke nicht als Bauzonenland im Sinne des kantonalen Einführungsgesetzes bzw. des EGG zu behandeln, aus der Sicht des Bundesrechts nicht beanstandet werden kann. Auch die Formulierung des § 2 EGzEGG erweist sich durchaus als bundesrechtskonform. Für den Geltungsbereich des Vorbehaltes gemäss Art. 3 EGG bedarf es einer klar abgegrenzten Ordnung wie sie z.B. im Einführungsgesetz des Kantons Zürich gegeben wird. Was der Beschwerdeführer zur Begründung vorbringt, vermag insbesondere angesichts der tatsächlichen planungsrechtlichen Lage - nicht zu überzeugen. Die Annahme, das betroffene Grundstück werde über kurz oder lang der landwirtschaftlichen Nutzung entzogen, verbietet sich für die absehbare Zukunft; gemäss Richtplan befindet es sich im übrigen nicht - wie geltend gemacht - im Siedlungsgebiet, sondern im Anordnungsspielraum zwischen Siedlungs- und Landwirtschaftsgebiet, was eine Prognose über die künftige Zuweisung zusätzlich erschwert. Denkbar wäre bei dieser Sachlage ebensogut die Zuordnung zur Landwirtschaftszone. Nicht von Belang wird bei einer künftigen Planrevision jedenfalls sein, dass das Grundstück bereits einmal als Bauland eingezont war. 8. a) Nach Art. 19 Abs. 1 lit. a EGG kann gegen Kaufverträge über landwirtschaftliche Heimwesen und landwirtschaftliche BGE 115 II 167 S. 173 Liegenschaften Einspruch erhoben werden, wenn der Käufer diese offensichtlich zum Zweck der Spekulation oder des Güteraufkaufs erwirbt. Was unter offensichtlicher Spekulation zu verstehen ist, beurteilt sich nach Sinn und Zweck des landwirtschaftlichen Bodenrechts (vgl. BGE 90 I 271 ), wobei die gesamten Umstände des einzelnen Falles zu berücksichtigen sind. Landwirtschaftlich genutzter Boden soll nicht - in der Regel unter Bezahlung eines entsprechend höheren Preises - zu anderen als landwirtschaftlichen Zwecken erworben werden. Im Gegensatz zu den beiden weiteren Tatbeständen von Art. 19 Abs. 1 EGG gilt der Einspruchsgrund der Spekulation bzw. des Güteraufkaufs gemäss lit. a in dem Sinne uneingeschränkt, als keine Rechtfertigungsgründe vorbehalten sind. Die Interessen des Beschwerdeführers sind demnach von vornherein unerheblich (zum Ganzen BGE 114 II 168 E. 1). Spekulation im Sinne der Landwirtschaftsgesetzgebung liegt gemäss der Rechtsprechung des Bundesgerichts vor, wenn mit dem Erwerb eines Grundstückes ein Gewinn durch Weiterveräusserung innert kurzer Zeit oder durch andere Verwendung des bisher landwirtschaftlich genutzten Bodens, insbesondere durch Erstellen von Miethäusern und Vermietung von Wohnungen, angestrebt wird (BGE BGE 110 II 217 E. 5a mit Hinweisen). Das gilt auch dann, wenn zwischen dem in Frage stehenden Rechtsgeschäft und dem verpönten Erfolg nur ein mittelbarer Zusammenhang besteht. So hielt das Bundesgericht schon in BGE 88 I 334 E. 2 den Tatbestand der Spekulation in einem Fall für erfüllt, in dem ein Bauunternehmen landwirtschaftlichen Boden in der Absicht erwarb, ihn in der Folge gegen Bauland zu tauschen. Zum gleichen Ergebnis gelangte die erkennende Abteilung in einem jüngeren Entscheid bezüglich eines landwirtschaftlichen Grundstückes, das von einem Kiesunternehmen in der Erwartung erworben worden war, es zu einem späteren Zeitpunkt als Realersatz anbieten zu können und damit seine Stellung in künftigen Verhandlungen über den Erwerb von kieshaltigem Boden zu verstärken ( BGE 113 II 537 E. 3). Ähnlich lagen die Dinge in BGE 114 II 167 ff., wo ein Grundstück an einen Kiesunternehmer veräussert wurde, der durch pachtweise Überlassung anderweitig verpachtetes Land im Austausch zum Kiesabbau gewinnen wollte. b) Der Beschwerdeführer hat für das in der Reservezone gelegene Grundstück Kat. Nr. 2661 einen Quadratmeterpreis von rund Fr. 51.-- entrichtet. Dieser Betrag steht in krassem Missverhältnis BGE 115 II 167 S. 174 zum gegenwärtig erzielbaren Ertragswert, aber auch zu dem, was in der betreffenden Region üblicherweise für landwirtschaftlich nutzbares Land bezahlt wird. Indessen vermag dieser Umstand für sich allein den Tatbestand der Spekulation noch nicht zu erfüllen, zumal die auf diese Weise indirekt geschaffene staatliche Preiskontrolle der gesetzgeberischen Absicht zuwiderliefe ( BGE 110 II 217 f.). Im überhöhten Preis liegt aber gleichwohl ein Indiz dafür, dass mit dem Kauf eine andere Absicht verbunden ist, als den Boden der landwirtschaftlichen Nutzung zu erhalten oder zuzuführen. Dass durch diese Betrachtungsweise der Handel mit landwirtschaftlich genutztem, in der Reservezone gelegenem Land erschwert werden könnte, wie der Beschwerdeführer einwendet, müsste im Interesse der Zweckverfolgung gemäss Art. 1 EGG hingenommen werden. Es wäre Sache des Gesetzgebers, allfällige nachteilige Auswirkungen zulasten der Landwirtschaft auszumerzen. Das vorliegende Beispiel vermag aber auch klar zu zeigen, dass ein wirksamer Schutz des bäuerlichen Grundbesitzes mit raumplanerischen Massnahmen allein nicht realisiert werden kann; gerade bei den im Hinblick auf künftige Änderungen der planungsrechtlichen Klassierung vorgenommenen Liegenschaftsverkäufen bedarf es einer zusätzlichen Kontrolle, wie sie durch das Einspruchsverfahren gemäss Art. 19 EGG - wenn auch nur unzureichend - gewährleistet wird. c) Wie sich aus den Akten ergibt und vom Landwirtschaftsgericht ausdrücklich festgehalten wird, hat der Beschwerdeführer im Meldeformular als Erwerbsgrund "Kapitalanlage/Bauzweck" angegeben. Auch anlässlich der vorinstanzlich durchgeführten Befragung hat er den Bauzweck bekräftigt, zugleich aber betont, dass es sich in erster Linie um eine Kapitalanlage handle; wenn es eingezont würde, könne man wieder davon (vom Bauen) sprechen - das Land sei erschlossen. In der Beschwerde bringt er wiederum vor, er wolle das Land zwecks Kapitalanlage erwerben, um darauf eine (zonenkonforme) Baumschule zu errichten; natürlich wolle er sich das Recht offenhalten, bei einer allfälligen Einzonung auch zu bauen. d) Das EGG verbietet den Landerwerb zum Zweck der Kapitalanlage nicht ausdrücklich. Sind aber die gesamten Umstände zu berücksichtigen, darf vorliegend das wirtschaftliche Interesse des Beschwerdeführers nicht ausser acht gelassen werden ( BGE 114 II 171 ). Er ist nach den Feststellungen im angefochtenen Entscheid Inhaber der Eisenring AG, die ein Architekturbüro betreibt und BGE 115 II 167 S. 175 sich als Generalunternehmerin betätigt. In dieser Eigenschaft dürfte er wohl mit dem Landerwerb vor allem geschäftliche Interessen verfolgen. Es kann daher nicht beanstandet werden, wenn das Landwirtschaftsgericht die versuchte Ausnützung einer zwar ungewissen, aber dennoch nicht völlig auszuschliessenden planungsrechtlichen Besserstellung als entscheidend erachtet hat; insbesondere die Hoffnung auf eine allfällige Eingliederung in die Bauzone und die durch bessere Nutzungsmöglichkeiten entstehende Ertrags- und Wertsteigerung der Liegenschaft dürften demnach als Hauptgrund des Landerwerbs gelten. Mit den von der Vorinstanz angeführten Indizien ist hinreichend dargetan, dass der Beschwerdeführer den fraglichen Boden einer anderen, gewinnbringenderen Verwendung zuführen möchte, als dies der Landwirt täte. Unter diesen Umständen lässt sich die offensichtliche Spekulationsabsicht im Sinne der Rechtsprechung nicht verneinen; das Landwirtschaftsgericht hat demgemäss die Anwendung des Art. 19 Abs. 1 lit. a EGG mit Recht bejaht.
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1,989
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2714c48e-8a4c-45cf-8bc9-1362a8ec7eda
Urteilskopf 105 IV 142 37. Auszug aus dem Urteil des Kassationshofes vom 4. April 1979 i.S. F. gegen Staatsanwaltschaft des Kantons Luzern (Nichtigkeitsbeschwerde)
Regeste Art. 14 Abs. 1 TSG ; Art. 11.11, 11.15 TSV in der Fassung vom 15. Dezember 1967. Werden Tiere der Rinder-, Schaf-, Ziegen- oder Schweinegattung in einen andern Viehinspektionskreis transportiert, so ist zur Einholung der Verkehrsscheine verpflichtet, wer den Transport anordnet.
Sachverhalt ab Seite 142 BGE 105 IV 142 S. 142 A.- F. ersteigerte am 26. November 1977 auf dem Hof des R. in Basswil 25 Stück Vieh. 24 Stück hievon verbrachte 10 Tage später T., Transportunternehmer, von Ballwil nach Merenschwand, wo es von B., dem Betriebsleiter von F., in Empfang genommen wurde. Auf dem Transport waren die Tiere nicht von Verkehrsscheinen begleitet. B.- Auf Einsprache gegen die Strafverfügung des Amtsstatthalters von Hochdorf vom 5. Juni 1978 sprach das Amtsgericht Hochdorf F. mit Urteil vom 13. September 1978 der Widerhandlung gegen Art. 14 Abs. 1 TSG und Art. 11.11 TSV durch Orts- und Handänderungen mit Tieren ohne die erforderlichen Verkehrsscheine schuldig und büsste ihn mit Fr. 200.-. Eine dagegen eingereichte Kassationsbeschwerde wies die II. Kammer des Obergerichts des Kantons Luzern am 3. November 1978 ab. BGE 105 IV 142 S. 143 C. F. führt Nichtigkeitsbeschwerde mit dem Antrag, das Urteil des Obergerichts sei aufzuheben und die Sache zur Freisprechung, eventuelle zur neuen Entscheidung an die Vorinstanz zurückzuweisen. Die Staatsanwaltschaft des Kantons Luzern beantragt Abweisung der Beschwerde. Eine von F. eingereichte staatsrechtliche Beschwerde hat der Kassationshof als Staatsgerichtshof am 4. April 1979 im Sinne der Erwägungen gutgeheissen. Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. a) Gemäss Art. 14 Abs. 1 des Tierseuchengesetzes vom 1. Juli 1966 in der Fassung vom 19. Dezember 1975, in Kraft seit 1. Juli 1977 (TSG, SR 916.40) muss jedes Tier der Rinder-, Schaf-, Ziegen- oder Schweinegattung, das in einen andern Viehinspektionskreis gebracht oder im eigenen Viehinspektionskreis auf den Markt oder eine Ausstellung geführt wird, von einem Verkehrsschein begleitet sein, der dem Viehinspektor am neuen Standort abzugeben ist. Art. 11.11 der Tierseuchenverordnung vom 15. Dezember 1967 (TSV, SR 916.401) führt diese Vorschrift aus und ergänzt sie. Art. 11 TSV wurde durch V vom 15. März 1978, in Kraft seit 1. Mai 1978 (AS 1978 325) in verschiedenen Punkten abgeändert. Da die Tat vor dieser Änderung verübt wurde und das neue Recht, das vor dem Urteil des Amtsgerichts Hochdorf in Kraft trat, nicht das mildere ist ( Art. 2 Abs. 2 StGB i.V.m. Art. 333 Abs. 1 StGB ; s. BGE 97 IV 237 ), findet im vorliegenden Fall Art. 11.11 TSV in einer alten Fassung (im folgenden aTSV), der weitgehend dem am 1. Mai 1978 in Kraft getretenen Art. 11.9 TSV (im folgenden nTSV) entspricht, Anwendung. Er lautet: "1) Wer ein Tier aus irgendeinem Grunde von einem Viehinspektoratskreis in einen andern verbringen will, muss beim Viehinspektor des ersten Kreises einen Verkehrsschein einholen. Das Original des ausgefüllten Verkehrsscheines wird ihm oder seinem Beauftragten übergeben. Dieser Verkehrsschein hat das Tier zu begleiten und ist dem Übernehmer des Tieres zu übergeben... 2) Wer ein Tier übernimmt, hat den Verkehrsschein dem Viehinspektor des neuen Standortes spätestens am folgenden Tag abzugeben. Findet keine Übernahme statt, obliegt diese Pflicht dem Begleiter des Tieres." b) Die Pflicht, den Verkehrsschein einzuholen, obliegt also demjenigen, der "ein Tier aus irgendeinem Grunde von einem BGE 105 IV 142 S. 144 Viehinspektoratskreis in einen andern verbringen will". Damit umschreibt die seuchenpolizeiliche Vorschrift von Art. 11.11 aTSV (Art. 11.9 nTSV) den Kreis der Pflichtigen ohne direkte Bezugnahme auf zivilrechtliche Verhältnisse, die im Einzelfall streitig werden können, wie Eigentum, Besitz, Übergang von Nutzen und Gefahr, vertraglichem Anspruch auf Eigentums- oder Besitzesübertragung, Berechtigung oder Verpflichtung, die Tiere an einen andern Ort zu verbringen, Verteilung der Transportkosten usw. Vielmehr stellt das Verwaltungsrecht auf einen tatsächlichen Vorgang ab: das Verbringen eines Tieres in einen andern Viehinspektoratskreis. Wer das beabsichtigt, muss, bevor er es tut, den Verkehrsschein und damit die behördliche Bewilligung zur Standortveränderung einholen. Das bedeutet indessen nicht, dass die Pflicht zur Einholung des Verkehrsscheins nur jenem obliegt, der das Tier auch selber transportiert. Die Pflicht trifft auch denjenigen, der den Standortwechsel anordnet, ohne ihn persönlich durchzuführen. Wie die Vorinstanz richtig ausführt, können am Transport mehrere Personen "beteiligt" sein. Sie alle müssen dann beachten, dass die Tiere nicht ohne Bewilligung in einen andern Viehinspektoratskreis verbracht werden dürfen. Doch können die sich daraus ergebenden Pflichten je nach Art. der Beteiligung am Transport im weiteren Sinne verschieden sein. Wer z.B. mit dem Transport beauftragt wird, darf diesen nicht durchführen, ohne im Besitz der Verkehrsscheine zu sein, welche die Tiere begleiten müssen (Art. 11.11 Abs. 1 Satz 3 aTSV; Art. 11.9 Abs. 1 Satz 2 nTSV); den Verkehrsschein selber einzuholen, ist er damit aber nicht verpflichtet. Wer die Tiere übernimmt, nimmt die Verkehrsscheine entgegen und muss sie spätestens am folgenden Tag dem Viehinspektor des neuen Standorts abgeben (Art. 11.11 Abs. 2 aTSV; Art. 11.9 Abs. 2 nTSV). Ohne Verkehrsschein bzw. ohne Einverständnis des Viehinspektors soll er die Tiere nicht übernehmen. Er muss zuwarten, bis die Verkehrsscheine beigebracht werden; sie beim Viehinspektor des früheren Standorts der Tiere selber einzuholen ist er hingegen nicht verpflichtet, wenn er den Transport nicht selber angeordnet hat. Die Argumentation des Obergerichts, der Käufer sei zur Einholung der Verkehrsscheine verpflichtet, wenn der Verkäufer dieser Pflicht nicht nachgekommen sei, geht fehl. Denn der Käufer, der mit dem Transport nichts zu tun hat, wird von der Unterlassung des Verkäufers in der Regel erst Kenntnis erhalten, BGE 105 IV 142 S. 145 wenn er bei Übernahme der Tiere die Verkehrsscheine herausverlangt, um diese pflichtgemäss spätestens am folgenden Tag dem Viehinspektor des neuen Standorts der Tiere abzuliefern. In diesem Moment, d.h. nach dem Transport kann die Vorschrift, wonach die Verkehrsscheine die Tiere zu begleiten haben, gar nicht mehr eingehalten werden. Der Zweck der Tierseuchengesetzgebung, der unter anderem in der Verhinderung der Ausdehnung von Tierkrankheiten besteht, kann nur noch dadurch erreicht werden, dass der Käufer bei Fehlen der Verkehrsscheine die Übernahme der Tiere verweigert. Entgegen der Auffassung der Vorinstanz lässt sich die Pflicht des Käufers zur Einholung der Verkehrsscheine auch nicht aus Art. 11.15 Abs. 4 aTSV ableiten, wonach auf jedem Verkehrsschein Name und Wohnort jedes neuen Tiererwerbers einzutragen sind und für diese Eintragungen der Erwerber verantwortlich ist. Die Formulierung "jedes neuen Tiererwerbers" ist nicht vereinbar mit Art. 11.15 Abs. 2 aTSV, der bestimmt, dass mit der Handänderung eines Tieres die Gültigkeit des zugehörigen Verkehrsscheines für jede weitere Handänderung erlischt. Art. 11.15 Abs. 4 aTSV kann sich daher nur auf den im vorliegenden Fall nicht anwendbaren Art. 11.15 Abs. 3 aTSV beziehen, wonach der gleiche Verkehrsschein jedoch gültig ist für weitere Handänderungen auf einem Markt, in einer öffentlichen Schlachtanlage oder wenn das Tier wieder veräussert und sofort weitertransportiert wird, ohne dass es in einen Stall verbracht wird. Die V vom 15. März 1978 (Art. 11.12 Abs. 3 i.f. nTSV) ergänzt denn auch folgerichtig: "Auf diesem Verkehrsschein hat jeder Erwerber des Tieres seinen Namen und seinen Wohnort einzutragen" und hebt den unklar formulierten Abs. 4 von Art. 11.15 aTSV auf. Es ist somit derjenige zur Einholung der Verkehrsscheine verpflichtet, der den Transport der Tiere anordnet. Das ist ein klares Kriterium. Wird der Transport von einer Mehrheit von Personen angeordnet, so ist grundsätzlich jede einzelne dafür verantwortlich, dass die Verkehrsscheine eingeholt werden. Beauftragt ein Pflichtiger einen Dritten zur Einholung der Verkehrsscheine, so ist er nur entlastet, wenn er in der Auswahl, Instruktion und Überwachung des Beauftragten seiner Sorgfaltspflicht nachgekommen ist. c) Damit ist nicht gesagt, dass die zivilrechtlichen Verhältnisse im Bewilligungsverfahren völlig ohne Bedeutung seien. BGE 105 IV 142 S. 146 So kann etwa der Viehinspektor gemäss Art. 11.2 Abs. 2 aTSV vom Tiereigentümer (bzw. gemäss Art. 11.2 Abs. 2 nTSV vom Tierhalter) verlangen, dass er Original und Doppel eines für Tiere seines Bestandes ausgestellten Verkehrsscheines unterzeichnet und damit bezeugt, dass sein Tierbestand frei von anzeigepflichtigen Krankheiten ist und mit verseuchten oder verdächtigen Tieren nicht in Berührung war. Wenn der Eigentümer (bzw. Halter) des Tieres weiss darüber in der Regel am besten Bescheid. Die zivilrechtlichen Verhältnisse können unter Umständen auch ein Indiz dafür sein, wer im Einzelfall den Transport angeordnet hat. 3. Der Beschwerdeführer hatte am 26. November 1977 25 Stück Vieh ersteigert, an denen er mit dem Zuschlag Eigentum erwarb ( Art. 235 Abs. 1 OR ). Diese Käufer- und Eigentümerstellung verpflichtete ihn, wie dargetan, noch nicht, die Verkehrsscheine einzuholen. Mit ihrer gegenteiligen Auffassung verkannte die Vorinstanz den Sinn von Art. 14 TSG und Art. 11.11 aTSV, was zur Aufhebung des angefochtenen Urteils führen muss. Offen bleibt, ob und wieweit sich aus den zivilrechtlichen Verhältnissen und den verfügbaren Beweismitteln ergibt, dass F. zum Transport der Tiere Auftrag erteilte und damit verpflichtet war, die Verkehrsscheine einzuholen. Die Sache ist daher gemäss Art. 277 BStP an das Obergericht zurückzuweisen. Es wird genau abzuklären sein, in welcher Weise der Verkäufer R. einerseits und der Beschwerdeführer anderseits an der Organisation des Viehtransports beteiligt waren. Sollte sich im Rückweisungsverfahren ergeben, dass F. den Transport der Tiere nicht angeordnet hat, so dürfte er nicht deshalb bestraft werden, weil er es unterliess, die Verkehrsscheine beim Viehinspektor des alten Standorts der Tiere einzuholen. Sollte sich dagegen erweisen, dass der Beschwerdeführer gemeinsam mit dem Verkäufer R. den Auftrag zum Transport erteilt hat, wäre F. nur dann entlastet, wenn R. die Einlösung der Verkehrsscheine übernommen hat und der Beschwerdeführer sich nach den Umständen darauf verlassen konnte, dass die Verkehrsscheine auch ordnungsgemäss eingeholt würden.
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2717d6df-6284-417c-aaad-c04369c207ae
Urteilskopf 96 V 95 26. Auszug aus dem Urteil vom 9. Juni 1970 i.S. Maffeis gegen Schweiz. Unfallversicherungsanstalt und Versicherungsgericht des Kantons Luzern
Regeste Art. 121 KUVG . Der Sozialversicherungsrichter muss den rechtserheblichen Sachverhalt von Amtes wegen feststellen (Präzisierung der Rechtsprechung).
Erwägungen ab Seite 95 BGE 96 V 95 S. 95 Aus den Erwägungen: Das Versicherungsgericht des Kantons Luzern erklärt, dass in der sozialen Unfallversicherung grundsätzlich die Regel des Art. 8 ZGB über die Tragung der Beweislast gelte; wer bei der SUVA versichert sei, müsse eine behauptete Tatsache beweisen, wenn er aus ihr ein Recht auf Versicherungsleistungen herleite. Wie das Eidg. Versicherungsgericht bereits im Urteil vom 12. März 1968 i.S. de Gasperi ausgeführt hat (EVGE 1968 S. 25 Erw. 1), kann dieser Ansicht nicht vorbehaltlos beigepflichtet werden. Der Sozialversicherungsprozess ist ein verwaltungsgerichtliches Verfahren und als solches von der Untersuchungsmaxime beherrscht (Gygi, Verwaltungsrechtspflege und Verwaltungsverfahren im Bund, S. 53, Ziff. 6.1.). Kraft dieser Maxime darf sich der Sozialversicherungsrichter nicht mit der Feststellung begnügen, einer rechtsuchenden Partei sei der ihr gemäss Art. 8 ZGB obliegende Beweis missglückt. Der Untersuchungsgrundsatz verlangt vielmehr, dass der Sozialversicherungsrichter den Sachverhalt von Amtes wegen, also aus eigener Initiative und ohne Bindung an die Vorbringen oder Beweisanträge der Parteien feststellt (Gygi, a.a.O., S. 53, Ziff. 6.1.). Demnach hat der Richter zu bestimmen, was alles abzuklären BGE 96 V 95 S. 96 ist; er muss für die Beschaffung der notwendigen Beweise sorgen (sei es gegebenenfalls auch nur durch Aufforderung an die Parteien, das ihnen Zumutbare selbst vorzukehren: EVGE 1967 S. 144 Erw. 1) und hernach das Ergebnis des Beweisverfahrens pflichtgemäss würdigen. So ist es denn auch in den §§ 15, 18 und 19 der luzernischen Verordnung über das Verfahren vor dem Versicherungsgericht vom 22. September 1965 eindeutig angeordnet. Dispositiv Die Untersuchungsmaxime schliesst die Beweislast im Sinne einer Beweisführungslast begriffsnotwendig aus. Im Sozialversicherungsprozess tragen mithin die Parteien (abgesehen von Ausnahmen, wie sie beispielsweise die Art. 5 Abs. 1 MVG und 141 Abs. 3 AHVV vorsehen) eine Beweislast nur insofern, als im Falle der Beweislosigkeit der Entscheid zu Ungunsten jener Partei ausfällt, die aus dem unbewiesen gebliebenen Sachverhalt Rechte ableiten wollte. In diesem Sinne ist das Urteil de Gasperi zu präzisieren.
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1,970
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2723de4a-e951-460e-9c36-692f0d4ff57c
Urteilskopf 95 IV 65 17. Auszug aus dem Urteil des Kassationshofes vom 16. Mai 1969 i.S. Rieder gegen Generalprokurator des Kantons Bern
Regeste Art. 159 Abs. 1 StGB . Ungetreue Geschäftsführung setzt voraus, dass der zur Fürsorge Verpflichtete befugt ist, über das fremde Vermögen selbständig zu verfügen.
Sachverhalt ab Seite 65 BGE 95 IV 65 S. 65 A.- Rieder war vom Oktober 1958 bis Dezember 1966 Buchhalter der Schloss- und Metall warenfabrik AG in Herzogenbuchsee. In dieser Eigenschaft oblagen ihm alle Büroarbeiten, so die Buchführung, die Abrechnungen über die Löhne, AHV-, Suval- und Krankenkassenbeiträge sowie Fremdarbeitersteuern. Die Kasse und das Kassen- sowie Postcheckbuch dagegen wurden durch Direktor Ruf geführt. In der Zeit vom 17. April 1964 bis 21. November 1966 liess sich Rieder zahlreiche Verfehlungen zuschulden kommen, durch die seine Arbeitgeberfirma im Betrage von rund Fr. 37'000 geschädigt wurde. B.- Am 19. Dezember 1968 wurde Rieder vom Obergericht des Kantons Bern wegen wiederholter ungetreuer Geschäftsführung (2 Fälle), wiederholten Betruges (13 Fälle), wiederholter Veruntreuung (5 Fälle), wiederholter Urkundenfälschung (19 Fälle) und Unterdrückung von Urkunden zu 18 Monaten Gefängnis verurteilt. C.- Rieder führt Nichtigkeitsbeschwerde mit dem Antrag, die Verurteilung wegen ungetreuer Geschäftsführung sei aufzuheben und die Sache an das Obergericht zurückzuweisen, damit es ihn in diesem Anklagepunkt freispreche und die Strafe neu festsetze. Erwägungen Aus den Erwägungen: 1. Rieder erhöhte im 4. Quartal 1966 das Taggeld der Krankenversicheruug für die Fremdarbeiter ohne Wissen der Geschäftsleitung von Fr. 10.50 auf Fr. 15.75 und liess die dadurch monatlich pro Arbeiter geschuldete Mehrprämie von Fr. 5.25, insgesamt Fr. 173.25, durch das Geschäft bezahlen, BGE 95 IV 65 S. 66 statt sie den Arbeitern zu belasten. Ferner täuschte Rieder in den Jahren 1965 und 1966 durch falsche Abrechnungen grössere Prämienzahlungen vor, als sie vom Geschäft der Krankenkasse geschuldet und entrichtet worden waren, und verwendete die Differenzbeträge, insgesamt Fr. 914.20, dazu, in Krankheitsfällen auch die Selbstbehalte und kleinere Arztrechnungen, die von den Arbeitern zu tragen gewesen wären, zu Lasten des Geschäfts zu übernehmen. Es ist unbestritten, dass Rieder die Firma vorsätzlich schädigte, um die Arbeiter zu begünstigen. Art. 159 Abs. 1 StGB ist in diesen beiden Fällen nur anwendbar, wenn Rieder die Fürsorgepflicht, die ihm für das Geschäftsvermögen oblag, als Geschäftsführer verletzt hat. Geschäftsführung setzt voraus, dass der zur Fürsorge Verpflichtete zur selbständigen Verfügung über das fremde Vermögen oder Bestandteile eines solchen befugt ist ( BGE 81 IV 279 , BGE 86 IV 14 ). Eine derartige Stellung hatte der Beschwerdeführer nicht. Weder konnte er über die Leistungen bestimmen, für die die Fremdarbeiter bei der Krankenkasse auf Kosten des Geschäfts versichert waren, noch stand ihm über die Kasse oder das Postcheckkonto ein Verfügungsrecht zu. Er hatte nur die für die Entscheidungen erforderlichen Unterlagen zu beschaffen und die technische Seite des Postcheckverkehrs zu besorgen, insbesondere die Abrechnungen sowie Einzahlungsscheine und Girozettel zu erstellen. Verfügungen zu treffen, war Sache der Direktion, die auch allein unterschriftsberechtigt war. Der Umstand, dass der Direktor auf die Fachkenntnisse des Beschwerdeführers angewiesen war und alles unterschrieb, was ihm dieser vorlegte, kennzeichnet den Beschwerdeführer entgegen der Auffassung der Vorinstanz nicht als Geschäftsführer; die Verfügungsmacht über das Geschäftsvermögen blieb trotzdem der Direktion vorbehalten. 2. Erfüllt ist dagegen der Tatbestand des Betruges ( Art. 148 Abs. 1 StGB ). Der Beschwerdeführer hat Direktor Ruf durch falsche Abrechnungen arglistig getäuscht und ihn dadurch zu den die Firma schädigenden Zahlungen bestimmt (was näher ausgeführt wird).
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2726fe64-72c6-4d21-8150-0025a8584b2c
Urteilskopf 90 II 213 25. Arrêt de la IIe Cour civile du 10 juillet 1964 dans la cause X. contre Y.
Regeste Klage auf Scheidung oder Trennung der Ehe. Örtliche Zuständigkeit. Für die Zuständigkeit des Richters nach Art. 144 ZGB ist die Sachlage zur Zeit der Klageanhebung massgebend.
Sachverhalt ab Seite 213 BGE 90 II 213 S. 213 A.- X. et Y. se sont mariés le 12 juin 1954 à Sierre où ils ont pris domicile. Quatre enfants sont issus de leur union. Le 20 juin 1963, le président du Tribunal de Sierre rendit à la requête des deux parties une ordonnance de mesures protectrices de l'union conjugale. Il autorisa les époux à se constituer un domicile séparé pour une durée indéterminée. Il confia la garde des enfants à la mère jusqu'au 31 juillet 1963, puis au père. Il régla le droit de visite des parents. Il arrêta le montant de la pension alimentaire due par le mari à sa femme et à ses enfants. Dame Y. qui est née à Genève où elle a passé toute sa jeunesse, se rendit avec les enfants chez sa mère à Veyrier (canton de Genève). Elle y passa la fin de juin et le mois BGE 90 II 213 S. 214 de juillet. En août, les enfants retournèrent auprès de leur père, à Sierre. Ils y vivent, actuellement encore, sous la surveillance de leur grand-mère maternelle. Pendant son séjour à Veyrier, en juillet, dame Y. entreprit les démarches nécessaires pour obtenir un permis d'établissement à Genève, qui lui fut délivré plus tard. Elle signa une convention avec une agence immobilière qui s'engagea à lui donner à bail, dès le 1er septembre 1963, un appartement sis dans un bâtiment locatif en construction à Corsier. Elle passa le mois d'août chez des amis à Lausanne. B.- Le 6 août 1963, dame Y. déposa au greffe du Tribunal de première instance de Genève l'exploit de citation en conciliation par lequel elle ouvrit une action en divorce. La conciliation n'ayant pas abouti, elle reçut le 4 septembre 1963 l'autorisation d'introduire le procès. A la première audience, tenue le 4 octobre 1963, le défendeur souleva le déclinatoire. Il prétendit que, le 6 août 1963, la demanderesse n'avait pas constitué valablement son domicile à Genève, et partant que les tribunaux de ce canton n'étaient pas compétents pour statuer sur l'action en divorce. Le 6 décembre 1963. le Tribunal de première instance de Genève se déclara incompétent. Admettant l'appel de l'épouse, la Première Chambre de la Cour de justice, qui statua le 10 avril 1964, débouta le mari de son exception, déclara les tribunaux genevois compétents et renvoya la cause au Tribunal de première instance pour instruire et juger le fond. C.- X. recourt en réforme au Tribunal fédéral. Il invoque une violation des art. 23 et 144 CC. Il conclut derechef à l'incompétence des autorités judiciaires genevoises. Dame Y., intimée, conclut au rejet du recours. Erwägungen Considérant en droit: 1. La décision attaquée a été rendue séparément du fond par la juridiction suprême du canton de Genève. Elle BGE 90 II 213 S. 215 concerne une contestation civile portant sur un droit de nature non pécuniaire. Le recourant se plaint d'une violation des prescriptions du droit fédéral au sujet de la compétence à raison du lieu. Le recours en réforme est donc recevable selon l'art. 49 OJ (RO 71 II 128, 82 II 161, 84 II 472 et 489). 2. Aux termes de l'art. 144 CC, le juge compétent pour connaître de l'action en divorce est celui du domicile de la partie demanderesse. Quoique la loi ne précise pas la date déterminante, le Tribunal fédéral s'est constamment fondé sur le domicile au jour de l'ouverture de l'action (RO 42 I 145, 77 II 18, 83 II 496 consid. 2, 87 II 9; cf. aussi arrêt Meister du 14 juillet 1950, inédit au RO, SJ 1951 p. 166 et J. STREBEL, Zum Gerichtsstand im Eheschutz- und Ehescheidungsverfahren, in Mélanges François Guisan, Lausanne 1950, p. 44). Plusieurs auteurs voudraient toutefois tempérer le principe en ce sens qu'il suffirait d'établir l'existence du domicile au moment où le juge rend sa décision, tandis qu'un changement du domicile qui, lors de l'introduction de la cause, se trouvait dans le ressort du magistrat saisi n'aurait aucune influence sur la compétence à raison du lieu (HINDERLING, Das schweizerische Ehescheidungsrecht, 2e éd., p. 146; LEUCH, Die Zivilprozessordnung für den Kanton Bern, 3e éd., rem. prél. ad art. 20, p. 41; W. STAUFFER, Der Ehescheidungsgerichtsstand in der Schweiz, thèse Berne 1922, p. 27, et à sa suite EGGER, n. 7 ad art. 144 CC; GULDENER, Schweizerisches Zivilprozessrecht, 2e éd., § 22 V p. 189, lequel fait une exception à la n. 65 pour le cas où le défendeur aurait refusé d'aborder le fond et plaidé l'incompétence du tribunal saisi). L'assouplissement préconisé par la doctrine aboutirait cependant à des conséquences fâcheuses. Le défendeur cité devant un tribunal incompétent à raison du lieu hésiterait à soulever le déclinatoire. Il s'exposerait en effet au risque d'être débouté au cas où le demandeur, qui n'était pas domicilié dans le ressort du juge saisi lors de l'ouverture du BGE 90 II 213 S. 216 procès, viendrait s'y établir ensuite. La décision séparée que le juge rendrait sur sa compétence - d'office ou à l'instance d'une partie - serait imprévisible, puisqu'elle dépendrait, le cas échéant, de faits nouveaux survenus en cours de procédure. Surtout, on se heurterait à de graves difficultés, lorsque chaque époux aurait ouvert une action devant un tribunal différent, pour dire quelle est la juridiction saisie valablement en premier lieu, seule compétente selon la jurisprudence pour statuer sur la demande principale et la demande reconventionnelle en divorce ou en séparation de corps (cf. RO 80 II 97 ss.). La décision risquerait d'être influencée par les manoeuvres de l'une des parties qui, en changeant de domicile après qu'elle eut ouvert action, établirait la compétence d'un tribunal jusque-là incompétent, et supprimerait du même coup la compétence de l'autre juridiction qui, par hypothèse, aurait été saisie de façon régulière, mais postérieurement, par son conjoint. Pour éviter de pareilles incertitudes, il faut s'en tenir à la règle selon laquelle le juge appelé à connaître d'une action en divorce ou en séparation de corps statue sur sa compétence en se reportant au jour de l'introduction de la cause (cf. dans ce sens: B. MéAN, De la relativité du principe suivant lequel le juge devrait fonder sa sentence sur l'état de fait existant au moment de l'inchoation de l'action, JdT 1940 III 98 ss., notamment 106 et 114). La litispendance se détermine suivant les dispositions de la procédure cantonale (RO 74 II 69). Celle-ci fixe en outre le moment à partir duquel les plaideurs ne sont plus en droit d'alléguer, à l'appui de leurs conclusions, des faits nouveaux (du point de vue de leur allégation), qu'ils se soient produits avant ou après l'ouverture d'action (cf. MÉAN, op.cit., p. 105). En l'espèce, les autorités cantonales se sont référées avec raison à la date du dépôt au greffe de l'exploit de citation en conciliation, qui constitue en procédure genevoise l'ouverture d'action. 3. Il est constant que l'intimée a été autorisée par le BGE 90 II 213 S. 217 président du Tribunal de Sierre à se créer un domicile séparé, conformément à l'art. 170 CC. Le seul point litigieux est de savoir si, le 6 août 1963, dame Y. avait fait usage de la faculté qui lui était reconnue (art. 25 al. 2 CC). Dans la négative, elle avait conservé son domicile à Sierre, alors même qu'elle ne résidait plus dans cette ville (art. 24 al. 1 CC). Selon l'art. 23 al. 1 CC, le domicile de toute personne est au lieu où elle réside avec l'intention de s'y établir. En ce qui concerne l'élément subjectif, la juridiction cantonale a déduit des circonstances que l'intimée était venue à Genève, à la fin du mois de juin 1963, dans l'intention de s'y établir et qu'elle avait déjà cette volonté à la date décisive du 6 août 1963. Elle a posé ainsi une constatation relative à la volonté dite interne d'une personne, qui ressortit au fait et lie le Tribunal fédéral (RO 77 II 17, 85 II 322, 87 II 10). Le recourant objecte quela Cour de justice n'a pas appliqué la règle selon laquelle la preuve de la constitution d'un nouveau domicile incombait à l'intimée, qui s'en prévaut. Mais l'art. 8 CC permet seulement de dire laquelle des parties supporte les conséquences de l'échec ou de l'absence de preuve touchant un fait pertinent; en revanche, il ne peut être violé lorsque l'autorité cantonale admet un fait comme prouvé, sur la base des preuves administrées (RO 81 II 124 et 155 lettre c). La constatation faite en l'espèce ne comporte pas non plus d'inadvertance manifeste. Les critiques formulées sur ce point dans le recours, qui se rapportent en réalité à l'appréciation des preuves, sont irrecevables (art. 55 al. 1 lettre c et 63 al. 2 OJ). 4. Il reste à examiner si, au moment du dépôt de l'exploit de citation en conciliation, l'intimée avait déjà manifesté son intention de s'établir durablement à Genève en y prenant une résidence effective. Pour que cet élément objectif du domicile soit réalisé, il faut que la personne en cause ait fait du lieu où elle réside le centre de son activité, de ses intérêts matériels et moraux, de ses relations personnelles BGE 90 II 213 S. 218 et professionnelles (RO 41 III 54, 64 II 403, 85 II 322, 87 II 10, 88 III 139). Selon les constatations de fait du Tribunal de première instance, auxquelles s'est référée la Cour de justice, dame Y. a passé le mois de juillet 1963 avec ses enfants chez sa mère à Veyrier. Cependant, elle recevait alors à Sierre la correspondance relative à l'appartement qui se construisait à Corsier. Le 1er août, elle est partie chez des amis à Lausanne. Elle n'est plus revenue à Veyrier, que sa mère avait d'ailleurs quitté pour se rendre à Sierre où elle dirige le ménage de son gendre et s'occupe des enfants. Elle n'a pas habité Corsier avant le mois d'octobre ou même celui de novembre. En effet, entre le 24 octobre et le 8 novembre, elle vivait à la fois à Lausanne et à Corsier. L'appartement qu'elle avait loué dans ce village était terminé, mais pas encore habitable, car il y manquait l'installation de chauffage et la cuisinière électrique. Il résulte de ces faits que, le 6 août 1963, les intérêts familiaux de l'intimée étaient localisés à Sierre, où les enfants vivaient avec sa mère. Dame Y. était rattachée également par des intérêts affectifs illégitimes à cette ville où son amant a son domicile et exerce une activité indépendante. Ne travaillant pas, elle n'avait aucun lien professionnel à Genève. Son appartement de Corsier n'était pas encore prêt. Quant au séjour à Veyrier pendant le mois de juillet, il n'avait pas le caractère d'une résidence stable. On ne saurait dès lors admettre qu'à la date indiquée, l'épouse avait fait de Genève le centre de ses relations et de ses intérêts. L'élément objectif du domicile n'était donc pas réalisé. A l'encontre de l'opinion exprimée par la Cour de justice, la présente espèce diffère de celle qui est visée au RO 83 II 499 consid. 4. Dame Y. ne s'est pas réfugiée chez sa mère avec les enfants dans l'intention d'y rester. La solution de l'arrêt précité n'est donc pas applicable par analogie. 5. L'intimée n'ayant pas constitué un nouveau domicile au moment de l'introduction de la cause, elle était BGE 90 II 213 S. 219 encore domiciliée à Sierre, comme son mari (art. 25 al. 1 et 24 al. 1 CC). Les tribunaux genevois ne sont dès lors pas compétents, selon l'art. 144 CC, pour connaître de la demande en divorce. Dispositiv Par ces motifs, le Tribunal fédéral admet le recours, annule l'arrêt rendu le 10 avril 1964 par la Première Chambre de la Cour de justice du canton de Genève et déclare les tribunaux genevois incompétents pour connaître de l'action en divorce introduite le 6 août 1963 par dame Y.
public_law
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1,964
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CH
Federation
2729599e-9a5b-4ab8-8bcf-e38399722f26
Urteilskopf 107 V 214 50. Extrait de l'arrêt du 9 octobre 1981 dans la cause Office fédéral des assurances sociales contre Cuendet et Commission fédérale de recours en matière d'AVS-AI pour les personnes résidant à l'étranger
Regeste Art. 39 Abs. 1 IVG und Art. 42 Abs. 5 AHVG . - Auslegung des Gesetzes (Erw. 2b). - Die Ehefrau eines gemäss Art. 1 Abs. 1 lit. b AHVG obligatorisch versicherten Schweizer Bürgers im Ausland kann in Anwendung von Art. 42 Abs. 5 AHVG auch eine ausserordentliche Rente beziehen. Soweit die Rz 600 der Wegleitung über die Renten das Gegenteil bestimmt, ist sie nicht gesetzeskonform (Erw. 3, 4).
Erwägungen ab Seite 215 BGE 107 V 214 S. 215 Extrait des considérants: 2. a) Aux termes de l' art. 39 al. 1 LAI , ont droit aux rentes extraordinaires les ressortissants suisses domiciliés en Suisse qui ne peuvent prétendre une rente ordinaire ou dont la rente ordinaire est inférieure à la rente extraordinaire. Les dispositions de la loi sur l'assurance-vieillesse et survivants sont applicables par analogie. L' art. 42 al. 5 LAVS dispose que les épouses de ressortissants suisses à l'étranger obligatoirement assurés qui, en vertu d'un traité bilatéral ou de l'usage international, sont exceptés de l'assurance-vieillesse, survivants et invalidité de l'Etat dans lequel ils résident ("der Alters-, Hinterlassenen- und Invalidenversicherung ihres Wohnsitzstaates nicht angehören", "che non appartengono ... all'assicurazione per la vecchiaia, i superstiti e l'invalidità dello Stato di domicilio") sont assimilées aux épouses de ressortissants suisses domiciliées en Suisse. Le Tribunal fédéral des assurances n'a pas encore eu l'occasion de se prononcer sur la portée de cette dernière règle légale, dont l'Office fédéral des assurances sociales entend limiter l'application aux seules épouses de ressortissants suisses qui travaillent à l'étranger pour le compte d'un employeur en Suisse par lequel ils sont rémunérés et qui sont donc obligatoirement assurés en vertu de l' art. 1 al. 1 let . c LAVS, excluant en revanche les épouses de ressortissants suisses domiciliés à l'étranger mais travaillant en Suisse, dont l'affiliation obligatoire à l'AVS suisse découle de l' art. 1 al. 1 let. b LAVS (voir les Directives concernant les rentes, éd. 1971 et 1980, ch. m. 600). b) La loi s'interprète en premier lieu selon sa lettre. Toutefois, si le texte n'en est pas absolument clair, si plusieurs interprétations de celui-ci sont possibles, il y a lieu de rechercher quelle est la BGE 107 V 214 S. 216 véritable portée de la norme, en la dégageant de tous les éléments à considérer, soit notamment du but de la règle, de son esprit ainsi que des valeurs sur lesquelles elle repose. Le sens qu'elle prend dans son contexte est également important. En outre, si plusieurs interprétations sont admissibles, il faut choisir celle qui est conforme à la Constitution; en effet, si le Tribunal fédéral ne peut examiner la constitutionnalité des lois fédérales ( art. 113 al. 3 Cst. ), on présume que le législateur ne propose pas de solutions contraires à la Constitution, à moins que le contraire ne résulte clairement de la lettre ou de l'esprit de la loi (voir par exemple ATF 105 Ib 53 consid. 3a et les arrêts cités). Par ailleurs, la Cour de céans, si elle est liée par la loi, s'écarte exceptionnellement de celle-ci lorsque son interprétation littérale conduirait à des résultats manifestement insoutenables, qui contrediraient la véritable intention du législateur ( ATF 105 V 47 , ATF 101 V 190 consid. 5 et les arrêts cités). 3. a) On ne saurait affirmer que le texte de l' art. 42 al. 5 LAVS n'est pas absolument clair et qu'il souffre d'être interprété de diverses manières. Or, si l'on s'en tient à la lettre de cette disposition, force est de constater que Colette Cuendet devait être réputée domiciliée en Suisse et n'avait pas perdu son droit à une rente extraordinaire pendant la période litigieuse. En effet, elle était l'épouse d'un ressortissant suisse domicilié en France qui n'était pas assujetti à l'AVS-AI française (art. 7 al. 1 de la Convention franco-suisse de sécurité sociale du 3 juillet 1975, en vigueur depuis le 1er novembre 1976; voir, pour la période antérieure, ATF 106 V 65 ); et lui-même était obligatoirement assuré à l'AVS-AI suisse, comme l'exige l' art. 42 al. 5 LAVS sans préciser à quel titre cette affiliation doit intervenir. b) Reste à examiner si la solution ressortant d'une interprétation littérale de la loi conduit à des résultats si choquants que l'on doive en déduire qu'il n'a pu entrer dans l'intention du législateur de lui conférer un tel sens. L'Office fédéral des assurances sociales invoque divers arguments à l'appui de sa thèse selon laquelle l' art. 42 al. 5 LAVS ne doit pas s'appliquer aux épouses de ressortissants suisses domiciliés à l'étranger qui sont obligatoirement assurés en Suisse en vertu de l' art. 1 al. 1 let. b LAVS . aa) L' art. 42 al. 5 LAVS a été introduit dans la loi par la loi fédérale du 15 octobre 1967 modifiant la LAI, en vigueur depuis le 1er janvier 1968. Dans son message du 27 février 1967 à l'appui BGE 107 V 214 S. 217 du projet de loi, le Conseil fédéral justifiait comme suit cette innovation: "L'épouse d'un Suisse à l'étranger assuré ne peut obtenir le bénéfice d'une rente personnelle que si elle a elle-même cotisé à l'AVS. Si tel n'est pas le cas, elle ne peut pas prétendre une rente extraordinaire, vu que celle-ci n'est servie qu'en Suisse. Ainsi que l'a constaté la commission d'experts, cette réglementation est trop rigoureuse à l'égard des épouses de Suisses à l'étranger affiliées à l'assurance obligatoire, étant donné qu'en général ces épouses ne bénéficient pas non plus de prestations de la part d'assurances sociales étrangères. L'innovation proposée prévoit de créer pour cette catégorie de femmes un domicile fictif en Suisse. De la sorte, une rente extraordinaire de l'AVS-AI pourra être versée notamment aux femmes dont le mari appartient au personnel diplomatique et consulaire, aux épouses des fonctionnaires des chemins de fer fédéraux et des douanes, ainsi que des employés d'entreprises privées suisses (telles que la Swissair)." En allemand: "Der Anspruch auf ausserordentliche AHV- und IV-Rente wird so vor allem den Ehefrauen des diplomatischen und konsularischen Personals, ferner den Ehefrauen von SBB- und Zollbeamten sowie von Arbeitnehmern privater schweizerischer Unternehmen (Swissair usw.) zugänglich gemacht" (FF 1967 I p. 727, BBl 1967 I. S. 698). D'après l'Office fédéral des assurances sociales, l'emploi de l'adverbe "notamment" à la dernière phrase résulterait d'une erreur de traduction; le texte allemand refléterait plus fidèlement la pensée de l'auteur du message en énumérant le cercle des bénéficiaires de façon exhaustive. Cet argument est manifestement infondé. Il apparaît, au contraire, que les deux versions linguistiques concordent rigoureusement, le caractère prétendument exhaustif de l'énumération du Conseil fédéral ne pouvant ressortir de l'expression "vor allem" utilisée dans la version allemande du message cité. Au demeurant, un examen de l'ensemble des travaux préparatoires démontre que l'interprétation du texte légal proposée par l'Office fédéral des assurances sociales ne correspond pas à la volonté du législateur. C'est, en fait, à la suite d'une intervention longuement motivée du représentant du Département politique fédéral devant la commission d'experts qu'il fut décidé de proposer diverses innovations destinées à améliorer la situation des Suisses de l'étranger dans l'AVS/AI. S'agissant plus spécialement de l'octroi de rentes extraordinaires aux épouses de ressortissants suisses à l'étranger, on mentionna certaines catégories de fonctionnaires (personnel diplomatique, employés des CFF) ou certaines professions (employés de Swissair) à titre d'exemples (procès-verbal de la séance de la Commission fédérale d'experts pour la révision de l'assurance-invalidité des 1-3 février 1966, BGE 107 V 214 S. 218 pp. 59 ss., plus spécialement pp. 63-64). Il est vrai que, dans la discussion qui suivit cette intervention, un fonctionnaire de l'Office fédéral des assurances sociales émit l'opinion qu'une modification s'imposait en faveur des épouses de ressortissants suisses à l'étranger obligatoirement assurés en vertu de l' art. 1 al. 1 let . c LAVS (loc.cit. p. 65). Mais le rapport des experts du 1er juillet 1966 ne contient pas une telle restriction (pp. 25 et 143; voir également RCC 1966 pp. 417-418). Il n'en fut pas question non plus lors de la suite des travaux préparatoires et des débats parlementaires. Les cas concrets cités le furent toujours à titre d'exemples seulement (ainsi: procès-verbal de la Commission du Conseil national du 29 août 1976, pp. 33-34, NAEF; BO 1967 CE 230, DANIOTH; BO 1967 CN 443, WEIBEL, WYLER). Contrairement à ce qu'affirme l'Office fédéral des assurances sociales, on ne peut donc discerner dans les travaux préparatoires de la loi un appui à la thèse qu'il soutient. bb) En second lieu, l'Office fédéral des assurances sociales fait valoir que l'exception prévue à l' art. 42 al. 5 LAVS ne devrait profiter qu'aux épouses de ressortissants suisses à l'étranger qui ont conservé un lien étroit avec l'assurance et les institutions suisses. Mais il est évident que cette condition est aussi bien remplie par l'assuré suisse qui exerce son activité lucrative dans notre pays, tout en étant domicilié à l'étranger, que par celui qui travaille à l'étranger, fût-ce pour le compte d'un employeur suisse. Cela ne justifie donc nullement une différence de traitement entre les épouses de ces deux catégories d'assurés obligatoires. cc) L'argument selon lequel une application moins restrictive de l' art. 42 al. 5 LAVS introduirait une discrimination supplémentaire à l'égard des épouses des ressortissants suisses à l'étranger affiliés à l'assurance facultative n'est guère mieux fondé. Cette discrimination a été voulue par le législateur, qui a expressément limité le privilège du "domicile fictif" aux épouses des assurés obligatoires (voir BO 1967 CN 443, Weibel, qui déclarait: "In der Kommission ist die Frage aufgeworfen worden ..., ob eine entsprechende Begünstigung nicht auch Ehefrauen von freiwillig versicherten Auslandschweizern eingeräumt werden sollte. Die Kommission war jedoch der Meinung, dass dieses Problem im Rahmen der 7. AHV-Revision einer besonderen Prüfung bedarf"; voir aussi rapport de la Commission fédérale d'experts pour la révision de l'assurance-invalidité du 1er juillet 1966, pp. 25 et 143). BGE 107 V 214 S. 219 Le juge ne peut que prendre acte de cette volonté, même si elle aboutit effectivement à une différence de traitement qui peut sembler contestable (mais qui existerait sous une autre forme, si l'on adoptait la solution de l'Office fédéral des assurances sociales). dd) Il faut enfin rejeter l'argument selon lequel, du moment qu'une interprétation restrictive a prévalu dans la jurisprudence ayant trait à la qualité ou au défaut de qualité d'assurées des épouses de ressortissants suisses à l'étranger obligatoirement assurés (voir par exemple ATF 104 V 121 , RCC 1981 p. 318), il devrait en aller de même pour définir la portée de l' art. 42 al. 5 LAVS . En effet, la disposition d'exception que constitue l' art. 42 al. 5 LAVS est rédigée en termes si clairs qu'une interprétation autre que littérale n'est pas possible, on l'a vu plus haut. Si le résultat auquel cette dernière conduit n'était pas satisfaisant, aux yeux du législateur, c'est à ce dernier qu'il incomberait de modifier l'ordre légal. ee) Force est donc de constater que rien ne s'oppose à une interprétation littérale de l' art. 42 al. 5 LAVS . 4. Vu ce qui vient d'être exposé, le ch. m. 600 des Directives de l'Office fédéral des assurances sociales concernant les rentes (éd. 1971 et 1980), qui ne lient pas le juge (voir par exemple ATF 101 V 87 ; MAURER, Schweizerisches Sozialversicherungsrecht, vol. I pp. 139-140), est contraire à la loi...
null
nan
fr
1,981
CH_BGE
CH_BGE_007
CH
Federation
27295fa8-91a7-4c37-86c5-da593e38ded5
Urteilskopf 117 III 20 8. Extrait de l'arrêt de la Chambre des poursuites et des faillites du 23 mai 1991 dans la cause Masse en faillite de Jean-Pierre C. (recours LP)
Regeste Art. 92 Ziff. 3 SchKG . Unpfändbarkeit eines Automobils. Für einen unabhängigen Zeitungsverkäufer ist ein Automobil zur Ausübung des Berufes notwendig und somit unpfändbar (E. 2). Art. 92 Ziff. 13 und Art. 93 SchKG . Pfändbarkeit einer Barauszahlung gemäss Art. 331c Abs. 4 lit. b Ziff. 2 OR. Die Barauszahlung an einen Arbeitnehmer, der eine selbständige Erwerbstätigkeit aufnimmt, ist nicht unpfändbar: weder absolut gemäss Art. 92 Ziff. 13 SchKG (E. 3), noch relativ gemäss Art. 93 SchKG (E. 4).
Sachverhalt ab Seite 21 BGE 117 III 20 S. 21 A.- Le 28 juillet 1989, Jean-Pierre C. reçut de la VITA, Compagnie d'assurances sur la vie, un versement en espèces, en application de l'art. 331c al. 4 let. b ch. 2 CO. A la suite d'une déclaration d'insolvabilité selon l' art. 191 LP , il fut déclaré en faillite par jugement du 15 août 1989. Par la suite, Jean-Pierre C. transféra, par le débit du compte sur lequel le capital d'assurance avait été versé et au crédit du compte courant de son épouse, une somme de 50'000 francs. La masse en faillite de Jean-Pierre C. obtint, par voie d'accord, la restitution provisoire de ce capital, jusqu'à droit connu quant à sa saisissabilité. Dans l'inventaire de faillite, l'office inventoria, pour mémoire, le compte courant ouvert au nom de l'épouse du failli et sur lequel figurait le montant de 50'000 francs susmentionné. Il inventoria aussi un véhicule automobile de marque Subaru et un autre de marque Fiat. Invoquant la nécessité de disposer de deux véhicules pour son activité indépendante de vendeur de journaux, Jean-Pierre C. demanda la libre disposition des deux voitures incluses dans la masse active de sa faillite. Il requit aussi que le capital de 50'000 francs ne fût pas englobé dans cette masse, car il s'agissait d'une somme destinée à sa prévoyance professionnelle. L'office contesta l'insaisissabilité de ces objets et valeurs. B.- Par plainte du 4 décembre 1989, Jean-Pierre C. attaqua l'inventaire. Par décision du 27 février 1991, l'autorité de surveillance confirma la saisissabilité du véhicule Subaru, mais déclara insaisissable la voiture Fiat et relativement insaisissable le montant de 50'000 francs. Par conséquent, elle renvoya le dossier à l'office, pour détermination du minimum vital et de la quotité saisissable. BGE 117 III 20 S. 22 C.- La masse en faillite de Jean-Pierre C. recourt au Tribunal fédéral et conclut à l'annulation de la décision de l'autorité de surveillance en tant qu'elle déclare insaisissable la voiture Fiat et relativement insaisissable le montant de 50'000 francs. La masse demande au Tribunal fédéral de prononcer que tant la voiture Fiat que la somme de 50'000 francs sont entièrement saisissables et qu'elles tombent dans la masse, au sens de l' art. 197 LP . Erwägungen Considérant en droit: 2. Au sujet de la saisissabilité des deux véhicules, l'autorité de surveillance a considéré qu'elle n'était exclue que si leur utilisation professionnelle était rentable; comme le failli n'avait pas déclaré que son activité était rentable, elle a nié l'insaisissabilité de la voiture Subaru, mais déclaré la Fiat insaisissable "dans la mesure où un véhicule est nécessaire à Jean-Pierre C. afin qu'il poursuive son activité professionnelle". La recourante critique ce point de vue, qu'elle considère comme contradictoire: pour elle, si l'activité professionnelle du failli n'est pas rentable, les deux véhicules, et non un seul, sont saisissables. Selon l' art. 92 ch. 3 LP , les outils, instruments et livres, en tant qu'ils sont nécessaires au débiteur et à sa famille pour l'exercice de leur profession, sont insaisissables. Il n'est guère contestable, et d'ailleurs pas contesté, qu'un véhicule automobile soit nécessaire pour l'exercice de l'activité de vendeur de journaux, qui constitue bien une profession et non pas l'exploitation d'une entreprise ( ATF 106 III 110 consid. 2; ATF 97 III 57 ). L'instrument considéré doit non seulement être nécessaire, mais son utilisation doit être rentable, c'est-à-dire ne pas entraîner des frais hors de proportion avec le revenu réalisé; il faut tenir compte des exigences d'un exercice rationnel et compétitif de la profession ( ATF 110 III 55 consid. 3b; ATF 86 III 52 consid. 2; ATF 84 III 20 ; BlSchK 46/1982, p. 58). L'autorité de surveillance ne paraît pas avoir examiné la question précise de la rentabilité d'un véhicule dans le cadre de l'activité professionnelle du failli, car elle s'est bornée à constater, de façon toute générale, que Jean-Pierre C. n'avait pas déclaré que son activité fût rentable. Il ressort toutefois du dossier ( art. 64 al. 2 OJ ) que l'utilisation d'un véhicule automobile est, dans l'exercice de la profession de vendeur de journaux, tout à fait usuelle. Comme la condition de rentabilité ne doit pas être appliquée de façon trop rigoureuse (RUEDIN, L'insaisissabilité des instruments professionnels, BGE 117 III 20 S. 23 in BlSchK 45/1981, p. 99), on peut admettre que cette utilisation est rentable. Il est donc justifié de considérer le véhicule Fiat comme insaisissable et, sur ce point, de rejeter le recours. Comme le failli n'a pas attaqué la décision de l'autorité de surveillance, le Tribunal fédéral ne peut revoir d'office la question de la saisissabilité du véhicule Subaru ( art. 81; art. 63 OJ ). La nécessité d'un deuxième véhicule paraît d'ailleurs douteuse. 3. Relativement à la somme de 50'000 francs, partie du versement en espèces au sens de l'art. 331c al. 4 let. b ch. 2 CO, que le failli a transférée à son épouse, celui-ci a prétendu qu'elle était insaisissable en vertu de l' art. 92 ch. 13 LP . Selon cette disposition, introduite par novelle du 25 juin 1982 (ch. 4 de l'annexe à la loi fédérale sur la prévoyance professionnelle vieillesse survivants et invalidité, RS 831.40; LPP) et en vigueur depuis le 1er janvier 1985, les droits à des prestations non encore exigibles à l'égard d'une institution de prévoyance en faveur du personnel sont insaisissables. A l'évidence, le montant de 50'000 francs inventorié dans la masse active de la faillite ne constitue pas, ni ne correspond à un droit à des prestations non exigibles. Le versement en espèces qui est intervenu postule au contraire que la créance en prestations futures fût exigible ( art. 331c al. 2 CO ). Et si la loi empêche tout acte de disposition volontaire, en particulier toute cession ou mise en gage, ou toute exécution forcée tant que le droit aux prestations futures n'est pas exigible ( art. 331c al. 2 CO ; art. 92 ch. 13 LP ), ces restrictions tombent lorsque la prestation est payée en espèces (FF 1976 I 218). Même si elle est parfaitement individualisée, ce qui est douteux dans la présente cause, la prestation en espèces qui a été exécutée est donc cessible et saisissable. En accord avec l'autorité de surveillance, il faut donc constater que l' art. 92 ch. 13 LP n'est pas applicable au présent litige ( ATF 113 III 10 consid. 1a). 4. L'autorité de surveillance a toutefois jugé que cette somme n'était que relativement saisissable au sens de l' art. 93 LP . La recourante conteste cette décision. Elle souligne que "les Fr. 50'000.-- visés ont perdu leur qualification de prévoyance professionnelle, ..., que la prestation en capital versée par la VITA a été confondue avec le patrimoine du failli" et qu'enfin, la solution préconisée par l'autorité de surveillance ne serait pas applicable en matière de faillite. a) Selon l' art. 93 LP , les revenus ne peuvent être saisis que dans la mesure où ils ne sont pas indispensables pour l'entretien du BGE 117 III 20 S. 24 débiteur et de sa famille. Il peut notamment s'agir de pensions de retraite et de rentes servies par des caisses d'assurance ou de retraite. Les différentes sortes de revenus évoqués par l' art. 93 LP sont des prestations périodiques. Toutefois, comme l' art. 93 LP exclut de façon tout à fait générale de la saisie les revenus indispensables à l'entretien, la loi n'empêche pas, par principe, que les indemnités en capital obtenues dans un but de prévoyance en cas de vieillesse bénéficient d'une relative insaisissabilité ( ATF 113 III 13 consid. 2). On ne peut donc exclure d'emblée l'application de l' art. 93 LP au cas d'une prestation en capital sans caractère périodique. b) Selon une jurisprudence confirmée, les prestations en capital des institutions de prévoyance professionnelle ne sont, comme les rentes, que relativement saisissables ( ATF 53 III 74 ; ATF 60 III 226 ; ATF 62 III 21 ; ATF 63 III 77 ; 78 III 107 ; BlSchK 29/1965, p. 148 ss; ATF 113 III 15 ). Le fait que le capital a déjà été versé n'exclut pas, à lui seul, l'application de l' art. 93 LP ( ATF 115 III 48 consid. 1b). Seul l'arrêt publié aux ATF 109 III 82 inclut dans la masse de la faillite du travailleur la créance exigible que celui-ci détient contre une institution de prévoyance en raison de contributions antérieures à sa faillite. La jurisprudence évoquée ci-dessus n'est toutefois pas déterminante, car aucun de ces arrêts ne concerne le cas d'un travailleur qui a perçu un capital de prévoyance à la suite d'une prise d'activité indépendante. A l'exception du plus récent arrêt ( ATF 115 III 45 ss), qui concernait un travailleur mis à la retraite par anticipation, et du pénultième ( ATF 113 III 10 ss), qui règle aussi le cas d'un débiteur prenant sa retraite, ils sont tous antérieurs à l'entrée en vigueur de la loi sur la prévoyance professionnelle. Or cette loi, qui a un caractère obligatoire pour les salariés ( art. 2 LPP ), régit, conjointement avec l' art. 331c al. 4 CO , le paiement en espèces tel que celui dont le failli a bénéficié le 28 juillet 1989. Son examen, sa genèse notamment, permet de trancher la question de l'application éventuelle de l' art. 93 LP à un versement en espèces effectué conformément aux art. 331c al. 4 CO et 30 LPP. c) L' art. 30 LPP et l' art. 331c al. 4 CO ont une teneur pratiquement identique. Le premier régit les prestations obligatoires et le second les prestations facultatives (Message du Conseil fédéral concernant la prévoyance facultative, FF 1976 I 1277; VISCHER, Le contrat de travail, in Traité de droit privé suisse, vol. VII, t. I, 2, p. 130; JÜRG BRÜHWILER, Die betriebliche Personalvorsorge in der Schweiz, Berne 1989, § 22, No 97, p. 524). Ils instituent tous deux le droit d'obtenir BGE 117 III 20 S. 25 l'exécution de la créance sous forme d'un versement en espèces si le travailleur n'a été affilié ou assujetti que pendant neuf mois en tout (ou, selon l' art. 331c al. 4 let. a CO , si sa créance ne représente qu'un montant insignifiant), si le travailleur quitte définitivement la Suisse, s'il s'établit à son propre compte (et, selon l' art. 30 al. 2 let. b LPP , s'il cesse aussi d'être soumis à l'assurance obligatoire) ou, enfin, s'il s'agit d'une femme, mariée ou sur le point de se marier, qui cesse d'exercer une activité lucrative. Pour s'acquitter de son obligation correspondant à la créance du travailleur, l'institution de prévoyance constitue en règle générale une créance en prestations futures ou prestation de libre passage en faveur de celui-ci ( art. 331c CO et 27 LPP). Le Message du Conseil fédéral à l'appui du projet de LPP, auquel renvoie le Message concernant la prévoyance facultative, c'est-à-dire l' art. 331c CO (FF 1976 I 1277), précise que "le paiement en espèces constitue une exception en soi contraire au système" (FF 1976 I 207) et que dans ce cas, "il s'agit de liquider le capital de prévoyance existant et de mettre fin à la prévoyance en cours" (FF 1976 I 209). Pour les salariés qui prennent une activité professionnelle indépendante, la loi permet "de distraire de la prévoyance professionnelle le capital-vieillesse que représente la prestation de libre passage afin, par exemple, de pouvoir en disposer pour le lancement de leur entreprise" (FF 1976 I 208). Ainsi, selon la claire volonté du législateur, confirmée par la doctrine (JÜRG BRÜHWILER, op.cit., § 22, n. 99, p. 525), le salarié qui devient indépendant quitte, sous réserve de l' art. 3 LPP , le système de la prévoyance professionnelle obligatoire et peut exiger l'exécution de sa créance en prestations futures sous forme d'un versement en espèces, dont il dispose librement. Le capital perçu n'est plus affecté de plein droit à des buts de prévoyance. Il fait partie, sans restriction, du patrimoine de l'ayant droit: le fait qu'il soit, comme exposé sous ch. 3, cessible et qu'il échappe à l'insaisissabilité absolue prévue par l' art. 92 ch. 13 LP le confirme. Dès lors, les espèces versées en application de l'art. 331c al. 4 let. b ch. 2 CO n'ont plus, de par la loi, le caractère d'un capital de prévoyance, c'est-à-dire affecté à l'entretien futur. Il n'est dès lors pas possible d'étendre le champ d'application de l' art. 93 LP à de tels avoirs et, par conséquent, inutile d'examiner si, en l'espèce, le failli a mélangé le capital qu'il a perçu avec le reste de son patrimoine ( ATF 115 III 48 consid. 1c; SAMUEL SIEGRIST, Die Vermögensrechte der Destinatäre BGE 117 III 20 S. 26 von betrieblichen Personalvorsorgeeinrichtungen im Lichte des Schuldbetreibungs- und Konkursrechts, thèse Zurich, 1967, p. 65) et si, ce que nie la recourante, le calcul de la part éventuellement saisissable de la prestation en capital serait effectivement possible et applicable dans le cadre d'une faillite. Le recours doit donc être partiellement admis et la somme de 50'000 francs doit être déclarée saisissable.
null
nan
fr
1,991
CH_BGE
CH_BGE_005
CH
Federation
272a8839-7f08-47fd-ae71-14df67c0610d
Urteilskopf 137 II 182 15. Auszug aus dem Urteil der II. öffentlich-rechtlichen Abteilung i.S. X. gegen A. und Mitb. sowie Amt für Landwirtschaft des Kantons Schwyz (Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten) 2C_450/2009 vom 10. Februar 2011
Regeste Landwirtschaftliches Gewerbe: Berücksichtigung verschiedener Faktoren zur Berechnung der Standardarbeitskraft; Art. 2, 7, 84 BGBB ; Art. 2a VBB ; Art. 3, 14, 27 LBV ; Art. 70 LwG ; Art. 14 Abs. 1-6 GSchG ; Art. 26 GSchV ; Art. 2 und 10 WaG . Bei der Beurteilung des Arbeitsaufwandes und auch der Frage, ob ein landwirtschaftliches Gewerbe vorliegt, ist auf durchschnittliche Bewirtschaftungsformen abzustellen (E. 3.1.3); die DZV (SR 910.13) bildet nicht den zu berücksichtigenden Massstab, da deren Vorgaben freiwillig sind (E. 3.2.3). Für die Standardarbeitskraft relevant sind die Nutzfläche und die Nutztiere. Anforderungen an die Nutzflächen stellt Art. 14 GSchG : massgebend ist eine ausgeglichene Düngerbilanz. Zu berücksichtigen ist dabei, dass in höheren Lagen ein tieferer Grenzwert für Düngergrossvieheinheiten/ha Nutzfläche gilt (E. 3.2.4.2). Nur effektiv zugepachtete Grundstücke können berücksichtigt werden (E. 3.3). Futterzukäufe sind entsprechend dem Produktemodell nicht ausgeschlossen. Korrektiv bildet die ausgeglichene Düngerbilanz (E. 3.5). Ist die Grösse der landwirtschaftlichen Nutzflächen aufgrund von Waldgrundstücken unklar, ist von Amtes wegen eine Waldfeststellung durchzuführen und das Verfahren des bäuerlichen Bodenrechts mit dem Waldfeststellungsverfahren materiell und formell zu koordinieren (E. 3.7).
Sachverhalt ab Seite 184 BGE 137 II 182 S. 184 A. X. hat am 11. September 2007 von seinem Grossvater, Y., die beiden folgenden landwirtschaftlichen Liegenschaften, welche in der Bergzone I liegen, gekauft: GB x (25'654 m 2 mit Wohnhaus, Stall, Kleinbauten) und GB y (74'166 m 2 mit Stall). Gleichentags erging auch die Anmeldung an das Grundbuchamt. Im Kaufvertrag wurde u.a. festgehalten, dass es sich bei den beiden Liegenschaften um ein landwirtschaftliches Gewerbe im Sinne von Art. 7 des Bundesgesetzes vom 4. Oktober 1991 über das bäuerliche Bodenrecht (BGBB; SR 211.412.11) handle. Am 7. Januar 2008 starb Y. B. Am 27. März 2008 beantragte X. den Erlass einer Feststellungsverfügung zur Frage, ob es sich bei den beiden erwähnten Liegenschaften um ein landwirtschaftliches Gewerbe oder um landwirtschaftliche Grundstücke handle. Grund für den Antrag bildete die erbrechtliche Auseinandersetzung. Das Landwirtschaftsamt des Kantons Schwyz stellte mit Verfügung vom 25. April 2008 fest, dass die beiden Grundstücke landwirtschaftliche Grundstücke seien, allerdings kein landwirtschaftliches Gewerbe bildeten. Dagegen hat X. erfolglos Beschwerde an das Verwaltungsgericht des Kantons Schwyz erhoben. C. Vor Bundesgericht beantragt X., den Entscheid des Verwaltungsgerichts des Kantons Schwyz vom 27. Mai 2009 aufzuheben und festzustellen, dass die Grundstücke GB y und GB x, Grundbuch N., im Zeitpunkt der Hofübernahme durch den Beschwerdeführer ein landwirtschaftliches Gewerbe bildeten, eventualiter den Entscheid aufzuheben und an die Vorinstanz zur Neubeurteilung zurückzuweisen. (...) Das Bundesgericht heisst die Beschwerde gut. (Auszug) Aus den Erwägungen: Erwägungen 3. 3.1 3.1.1 Nach Art. 7 Abs. 1 BGBB - in der noch anwendbaren Fassung vom 20. Juni 2003 (AS 2003 4123; dazu Art. 95a in Verbindung mit Art. 95 Abs. 2 BGBB ) - gilt als landwirtschaftliches BGE 137 II 182 S. 185 Gewerbe eine Gesamtheit von landwirtschaftlichen Grundstücken, Bauten und Anlagen, die als Grundlage der landwirtschaftlichen Produktion dient und zu deren Bewirtschaftung, wenn sie landesüblich ist, mindestens drei Viertel einer Standardarbeitskraft (zur Entwicklung der Erhöhung der Gewerbegrenzen vgl. BGE 135 II 313 E. 2.1 S. 315 ff., mit Hinweisen; EDUARD HOFER, Erhöhung der Gewerbegrenzen nach Artikel 7 BGBB: Auswirkungen, Blätter für Agrarrecht [BlAR] 2008 S. 235 ff., 238 ff.) nötig sind. Der Bundesrat legt die Faktoren und die Werte für die Berechnung einer Standardarbeitskraft in Abstimmung mit dem Landwirtschaftsrecht fest. Nach Art. 7 Abs. 3 BGBB sind bei der Beurteilung, ob ein landwirtschaftliches Gewerbe vorliegt, diejenigen Grundstücke zu berücksichtigen, die - entsprechend Art. 2 - dem BGBB unterstellt sind. Zudem sind die örtlichen Verhältnisse, die Möglichkeit, fehlende betriebsnotwendige Gebäude zu erstellen oder vorhandene umzubauen, instand zu stellen oder zu ersetzen, wenn die entsprechenden Aufwendungen für den Betrieb tragbar sind, und die für längere Dauer zugepachteten Grundstücke zu berücksichtigen ( Art. 7 Abs. 4 BGBB ; zum Begriff des landwirtschaftlichen Gewerbes vgl. BGE 135 II 313 E. 4 und 5 S. 318 ff.; YVES DONZALLAZ, Traité de droit agraire suisse: droit public et droit privé, Bde I und II, 2004 bzw. 2006 [Rz. durchgehend], Rz. 2389 ff.; EDUARD HOFER, in: Das bäuerliche Bodenrecht, Kommentar zum Bundesgesetz über das bäuerliche Bodenrecht vom 4. Oktober 1991, 1995, N. 12 ff. zu Art. 7 BGBB ). 3.1.2 Der Bundesrat ist in Abschnitt 1a der Verordnung vom 4. Oktober 1993 über das bäuerliche Bodenrecht (VBB; SR 211.412.110) seiner Pflicht über die Festlegung der Faktoren und Werte für die Berechnung einer Standardarbeitskraft nachgekommen. Nach Art. 2a Abs. 1 VBB gelten für die Festlegung der Betriebsgrösse nach Standardarbeitskräften (SAK) die Faktoren von Art. 3 der Verordnung vom 7. Dezember 1998 über landwirtschaftliche Begriffe und die Anerkennung von Betriebsformen (Landwirtschaftliche Begriffsverordnung, LBV; SR 910.91). Gemäss Art. 2a Abs. 2 VBB sind bestimmte Zuschläge und Faktoren ergänzend zu berücksichtigen. So ist etwa für einen betriebseigenen Wald ein Zuschlag von 0,012 SAK/ha zu berücksichtigen ( Art. 2a Abs. 2 lit. g VBB ). Nach Art. 3 LBV ist die Standardarbeitskraft eine Einheit für die Erfassung des gesamtbetrieblichen Arbeitszeitbedarfs mit Hilfe standardisierter Faktoren. Diese werden in Art. 3 Abs. 2 LBV näher umschrieben. Massgeblich sind die landwirtschaftliche Nutzfläche (lit. a) und die Anzahl BGE 137 II 182 S. 186 (gemessen in Grossvieheinheiten) der Nutztiere (lit. b), ergänzt durch Zuschläge bei bestimmten besonderen Voraussetzungen wie etwa für Hang- bzw. Steillagen im Berggebiet oder in der Hügelzone (lit. c). Als landwirtschaftliche Nutzfläche gilt die einem Betrieb zugeordnete, für den Pflanzenbau genutzte Fläche ohne die Sömmerungsfläche, die dem Bewirtschafter ganzjährig zur Verfügung steht (vgl. Art. 14 LBV ). Für die Umrechnung der landwirtschaftlichen Nutztiere in Grossvieheinheiten (GVE) gelten die Faktoren im Anhang der LBV (vgl. Art. 27 LBV ). 3.1.3 Die Beurteilung des Arbeitsaufwandes und auch der Frage, ob ein landwirtschaftliches Gewerbe vorliegt, ist nach objektiven Kriterien vorzunehmen. Nicht relevant ist die tatsächliche Nutzung, da damit die Anwendung des Gesetzes dem Einflussbereich des Grundeigentümers überlassen würde (vgl. BEAT STALDER, Die verfassungs- und verwaltungsrechtliche Behandlung unerwünschter Handänderungen im bäuerlichen Bodenrecht, 1993, S. 91; HOFER, a.a.O., N. 39, 101 zu Art. 7 BGBB ). Es ist deshalb auf durchschnittliche Bewirtschaftungsformen abzustellen und nicht auf ausgefallene Einzelfälle (vgl. AB 1991 S 140; dazu auch HOFER, a.a.O., N. 51 zu Art. 7 BGBB ). Auszugehen ist somit von landesüblichen Bewirtschaftungsformen (HOFER, a.a.O., N. 102 zu Art. 7 BGBB ). 3.2 3.2.1 3.2.1.1 Strittig ist im vorliegenden Fall die Grösse der Standardarbeitskraft; die anderen Elemente des Art. 7 BGBB (dazu BGE 135 II 313 E. 4 und 5 S. 318 ff.; DONZALLAZ, a.a.O., Rz. 2469 ff.) stehen ausser Streit. Die Standardarbeitskraft setzt sich - wie bereits dargelegt - aus mehreren Faktoren zusammen ( Art. 2a VBB i.V.m. Art. 3 LBV ): relevant sind im vorliegenden Fall insbesondere die landwirtschaftliche Nutzfläche und die Nutztiere. Da die landwirtschaftlichen Nutzflächen nur der gesetzeskonformen Produktion dienen dürfen, sind sie nur soweit zu berücksichtigen, als die Produktion darauf nach der Gesamtheit der anwendbaren Gesetzesvorschriften überhaupt zulässig ist. Dabei bildet die landwirtschaftliche Nutzfläche deshalb als solche (siehe Art. 14 LBV ) und sowohl als Futterfläche für die Viehhaltung als auch als Ausbringungsort für Hofdünger Grundlage für die Berechnung der Standardarbeitskraft: Je grösser die Fläche ist, desto grösser ist der Futterertrag einerseits und desto mehr Dünger kann andererseits ausgebracht werden, desto mehr Vieh kann gehalten werden und desto grösser ist die BGE 137 II 182 S. 187 Standardarbeitskraft. Beim Ausbringungsort ist zudem der Höhe der zulässigen Düngerausbringung Rechnung zu tragen; denn je grösser die zulässig auszubringende Menge an Dünger ist, desto mehr Vieh kann gehalten werden, desto grösser ist wiederum die Standardarbeitskraft. 3.2.1.2 Das kantonale Landwirtschaftsamt ermittelte eine Standardarbeitskraft von 0,694, wohingegen der Beschwerdeführer davon ausgeht, dass die Grenze von 0,75 Standardarbeitskraft in jedem Fall erreicht sei. Im Wesentlichen machte er geltend, dass die Berechnungen, insbesondere wegen der Berücksichtigung falscher Werte, nicht korrekt (dazu E. 3.2.3 und 3.2.4), zugepachtete Nutzflächen (dazu E. 3.3), Hofdüngerabnahmeverträge (dazu E. 3.4) und Futterzukäufe (dazu E. 3.5) nicht berücksichtigt worden seien, eine Verletzung des Grundsatzes von Treu und Glauben vorliege (dazu E. 3.6) sowie die landwirtschaftlichen Nutzflächen grösser seien, da die Waldfläche kleiner sei (dazu E. 3.7). 3.2.2 Das kantonale Landwirtschaftsamt hat für die Bestimmung der Anzahl möglicher Grossvieheinheiten (Art. 3 Abs. 2 lit. b i.V.m. Anhang LBV) auf das Produktionspotenzial bei ausgeglichener Nährstoffbilanz abgestellt und ist - entsprechend dem Grundsatze einer auf objektiven Kriterien beruhenden Berechnung (E. 3.1.3) - nicht von der effektiven Grösse des Stalles ausgegangen. Das Landwirtschaftsamt stützte sich dabei auf Art. 6 i.V.m. Ziff. 2 des Anhangs der Verordnung über die Direktzahlungen an die Landwirtschaft vom 7. Dezember 1998 (Direktzahlungsverordnung, DZV; SR 910.13). Die Vorinstanz hat dieses Vorgehen gebilligt und weitere Bestimmungen der DZV (Art. 16: ökologischer Leistungsnachweis; Art. 30 Abs. 1 lit. c: Beitragsbemessung von 1,4 Raufuttergrossvieheinheit in der Bergzone I) als anwendbar erklärt. 3.2.3 3.2.3.1 In diesem Zusammenhang hat das Bundesamt für Justiz in seiner Stellungnahme festgehalten, dass die Grenzwerte in der Direktzahlungsverordnung Förderungsschwellen seien und nicht zur Beurteilung der Gewerbeeigenschaften nach Artikel 7 BGBB beigezogen werden dürften. Auch das Bundesgericht hat sich im Urteil 2C_876/2008 vom 14. Juli 2009 gegen eine Anwendung der DZV geäussert: Art. 7 BGBB , Art. 2a VBB und Art. 3 LBV zählten die Berechnungsgrundlagen vollständig und abschliessend auf. Es komme einzig darauf an, ob die Tiere tatsächlich gehalten werden bzw. wie viel entsprechender Arbeitsaufwand anfällt (E. 4.2). BGE 137 II 182 S. 188 3.2.3.2 Landwirtschaftliche Direktzahlungen stützen sich auf Art. 70 ff. des Landwirtschaftsgesetzes vom 29. April 1998 (LwG; SR 910.1). Mit den Direktzahlungen soll eine Intensivierung der Landwirtschaft verhindert und die flächendeckende und nachhaltige Bewirtschaftung gefördert werden (dazu DONZALLAZ, a.a.O., Rz. 500 ff.; BIAGGINI/LIENHARD/RICHLI/UHLMANN, Wirtschaftsverwaltungsrecht des Bundes, 5. Aufl. 2009, S. 214 ff.). Die Direktzahlungen sind allerdings freiwillig, d.h. die Bewirtschafter entscheiden aus freien Stücken, ob sie den Betrieb so gestalten und betreiben wollen, dass sie dafür Direktzahlungen erhalten, oder ob sie andere Schwerpunkte setzen und dafür auf eine Direktzahlung verzichten wollen (vgl. etwa PAUL RICHLI, Agrarrecht, in: Wirtschaftsstrukturrecht, SBVR Bd. XIII, 2005, S. 131 ff., 236 N. 631). Ist also das System der Direktzahlungen freiwillig, ist es nicht zulässig, für die Berechnung des Produktionspotentials im Rahmen von Art. 7 BGBB auf über die normalen gewässer- und umweltschutzrechtlich hinausgehenden ( Art. 70 Abs. 4 LwG ) Anforderungen der Direktzahlungen abzustellen. Dies gilt im Übrigen selbst dann, wenn ein Betrieb Direktzahlungen erhält, da er jederzeit wieder auf diese verzichten kann. Es würde zudem auch dem Rechtsgleichheitsgebot widersprechen, wenn ein landwirtschaftlicher Betrieb je nachdem, ob er den Vorschriften über die Direktzahlungen unterliegt oder nicht, unterschiedlich beurteilt wird. Insofern besteht kein Anlass, die bisherige Rechtsprechung des Bundesgerichts überhaupt in Frage zu stellen. 3.2.4 3.2.4.1 Anforderungen an die landwirtschaftliche Nutzfläche statuiert - wie das kantonale Landwirtschaftsamt und die Vorinstanz ebenfalls zu Recht erwähnen - u.a. auch das Gewässerschutzgesetz vom 24. Januar 1991 (GSchG; SR 814.20) in seinem Art. 14 (Betriebe mit Nutztierhaltung). Nach Abs. 1 ist auf jedem Betrieb mit Nutztierhaltung eine ausgeglichene Düngerbilanz anzustreben (zu den notwendigen Anforderungen an den Umgang mit Düngern vgl. Anh. 2.6, insb. Ziff. 3.1 ChemRRV [SR 814.81]). Der Betrieb muss über eine so grosse eigene, gepachtete oder vertraglich gesicherte Nutzfläche verfügen, dass auf 1 ha höchstens drei Düngergrossvieheinheiten (DGVE) entfallen (Abs. 4 Satz 1). Nach Abs. 6 setzt die kantonale Behörde die pro ha zulässigen Düngergrossvieheinheiten herab, soweit Bodenbelastbarkeit, Höhenlage und topographische Verhältnisse dies erfordern. 3.2.4.2 Das Volkswirtschaftsdepartement des Kantons Schwyz hat in seiner Verfügung "Stofflicher Gewässerschutz in der BGE 137 II 182 S. 189 Landwirtschaft" vom 28. Februar 1997, welche generell-abstrakte Normen enthält, u.a. gestützt auf Art. 14 GSchG in Ziff. 2 lit. b Folgendes festgehalten: Ist die Nährstoffbilanz überhöht, gelten für die Anpassungen der Tierbestände folgende Fristen und Werte: a) [...] b) Grenzwerte ab 1.1.2008 [...] Bergzone I 1,8 DGVE/ha Nutzfläche Die Vorinstanz schliesst daraus, dass im vorliegenden Fall diese Grenzwerte nicht anwendbar seien, weil die Nährstoffbilanz nicht überhöht sei. Die Auslegung mag aus Sicht des grammatikalischen Elementes nachvollziehbar sein, aus Sicht des systematischen und teleologischen Elementes sowie des Art. 14 GSchG indessen nicht: Ohne kantonale Regelung nach Art. 14 Abs. 6 GSchG liegt der Grenzwert bei drei DGVE/ha Nutzfläche, d.h. Hofdünger von 3 DGVE enthaltend 315 kg Gesamtstickstoff (N) und 45 kg Phosphor (P) (vgl. dazu BAFU, Düngung und Umwelt, 2006, S. 33); dies gilt auch in der Bergzone. Indessen ist offensichtlich, dass der Nährstoffbedarf der Pflanzen in Bergzonen in jedem Fall und nicht nur, wenn die Nährstoffbilanz erhöht ist, geringer ist als in der Ackerbauzone (dazu BAFU, a.a.O., S. 33 mit Hinweis auf den Grenzwert für die Bergzone I von 1,8 DGVE/ha basierend auf dem Beschluss der Konferenz der kantonalen Landwirtschaftsdirektoren "Harmonisierung des Vollzugs im Gewässerschutz"); dieser Umstand (Höhenlage, topographische Verhältnisse) bildet deshalb gerade auch das Kriterium, damit die kantonale Behörde "die pro ha zulässigen Düngergrossvieheinheiten [herab]setzt" ( Art. 14 Abs. 6 GSchG ). In diesem Sinn ist auch die neue kantonale Organisationsgrundlage zum Erlass dieser Vorschrift zu verstehen, die von der generellen Herabsetzung der zulässigen Düngergrossvieheinheiten nach Art. 14 Abs. 6 GSchG spricht (vgl. § 2 Abs. 3 lit. b der Vollzugsverordnung vom 3. Juli 2001 zur Kantonalen Verordnung zum Gewässerschutzgesetz [GSchG-VV; SRSZ 712.111]). In der Auslegung der Vorinstanz werden indes landwirtschaftliche Betriebe in unterschiedlichen Zonen, deren Nährstoffbilanz nicht überhöht ist, gleich behandelt, obwohl sie aufgrund ihrer Höhenlage ( Art. 14 Abs. 6 GSchG ) unterschiedlich behandelt werden müssten. Im Übrigen legt auch Ziff. 1 der departementalen Verfügung nahe, dass in der Bergzone I generell der Grenzwert von 1,8 DGVE/ha Nutzfläche gilt. Insofern gilt dieser Wert immer BGE 137 II 182 S. 190 in der Bergzone I, andernfalls eine unhaltbare und stossende Rechtsanwendung vorliegen würde. Der Beschwerdeführer kann daraus allerdings noch nichts unmittelbar zu seinen Gunsten ableiten. Der Wert von 1,8 DGVE/ha Nutzfläche bildet lediglich den Grenzwert, der durch die Düngerbilanz nicht überschritten werden darf. Massgebend bleibt allemal die für den einzelnen Betrieb vorzunehmende Düngerbilanz, welche ausgeglichen zu sein hat ( Art. 14 Abs. 1 GSchG ). 3.2.4.3 Unter Berücksichtigung einer ausgeglichenen Düngerbilanz können somit einer bestimmten landwirtschaftlichen Nutzfläche nur eine bestimmte Anzahl Grossvieheinheiten zugeordnet werden (zu einem Beispiel: nicht publiziertes Urteil 1A.168/1992 vom 8. Juni 1993), andernfalls zwischen Nährstoffbedarf und ausgeschiedener Phosphor- und Stickstoffmenge ein Missverhältnis besteht. Insofern ist entgegen der Auffassung des Beschwerdeführers nicht ausschliesslich von der Stallkapazität auszugehen; zu berücksichtigen sind auch die gleichzeitig anwendbaren gewässerschutzrechtlichen - allenfalls zusätzlichen umweltschutz- und tierschutzrechtlichen - Normen (dazu HOFER, a.a.O., N. 26, 27 zu Vorbemerkungen zu den Artikeln 6-10, N. 107 zu Art. 7 BGBB ). Eine ausgeglichene Düngerbilanz verlangt, dass der Nährstoffbedarf der Pflanzen grundsätzlich den ausgeschiedenen Phosphor- und Stickstoffmengen entspricht. Dies trifft sowohl für das Gewässerschutz- als auch für das Landwirtschaftsrecht zu. Insoweit kann für die Bilanzierung der ausgeglichenen Düngerbilanz daher ohne weiteres die Methode "Suisse-Bilanz" gemäss Ziff. 2.1 Anh. DZV verwendet werden. Allerdings ist zu berücksichtigen, dass die zu beachtenden Werte nicht diejenigen der DZV, sondern des Gewässerschutzrechtes sind. Die Bilanz ist deshalb neu zu berechnen. Aus prozessökonomischen Gründen ist nachfolgend auch auf die zusätzlich vorgebrachten Rügen einzugehen. 3.3 3.3.1 Angesichts der für drei Viertel einer Standardarbeitskraft zu wenig umfangreichen landwirtschaftlichen Nutzflächen verlangt der Beschwerdeführer, dass zugepachtete Nutzflächen in die Betrachtung einzubeziehen seien. Im Kanton Schwyz entspräche dies der überwiegenden Realität. 3.3.2 Diese tatsächlichen Ausführungen des Beschwerdeführers treffen ohne Zweifel zu, sind doch im Kanton Schwyz etwa 40 % der BGE 137 II 182 S. 191 landwirtschaftlichen Nutzflächen Pachtflächen (vgl. MEIER/GIULIANI/FLURY, Flächentransfer und Agrarstrukturentwicklung. Studie im Auftrag des Bundesamtes für Landwirtschaft, Schlussbericht 2009, Juli 2009, S. 88; siehe auch HOFER, a.a.O., S. 236). Ebenso zutreffend ist auch, dass nach Art. 7 Abs. 4 lit. c BGBB zugepachtete Grundstücke zur Beurteilung der Frage, ob ein landwirtschaftliches Gewerbe vorliegt, zu berücksichtigen sind. Der Beschwerdeführer übersieht allerdings, dass er sich - entsprechend den vorinstanzlichen Feststellungen ( Art. 105 Abs. 1 BGG ) und auch laut den Akten ( Art. 105 Abs. 2 BGG e contrario) - nicht in der Situation befindet, wonach er zugepachtete Grundstücke vorweisen kann. Im Gegensatz zu Art. 7 Abs. 4 lit. b BGBB , der von der Möglichkeit spricht, nach Abschluss eines BGBB-Verfahrens, aber trotzdem aufgrund eines "ausgereifte[n]Konzept[s]" (HOFER, a.a.O., N. 116 zu Art. 7 BGBB ; Botschaft zum Bundesgesetz über das bäuerliche Bodenrecht [BGBB] sowie zumBundesgesetz über die Teilrevisionen des Zivilgesetzbuches [Immobiliarsachenrecht] und desObligationenrechts [Grundstückkauf]vom 19. Oktober 1988, BBl 1988 III 953 ff., 984 [nachfolgend Botschaft BGBB]) unter gewissen Voraussetzungen etwa noch Umbauten vorzunehmen, verlangt Art. 7 Abs. 4 lit. c BGBB bereits zugepachtete Grundstücke (vgl. HOFER, a.a.O., S. 237). Dies trifft hier gerade nicht zu. Die Vorinstanz hat deshalb zu Recht auf eine Einbeziehung von hypothetischen Pachtflächen verzichtet. 3.4 3.4.1 Der Beschwerdeführer bringt sodann vor, dass ihm die Möglichkeit eingeräumt werden müsste, mit anderen Massnahmen die auferlegten Nutzungsbeschränkungen zu kompensieren. So seien Hofdüngerabnahmeverträge in die Berechnung einzubeziehen. 3.4.2 Nach Art. 14 Abs. 5 GSchG müssen Düngerabnahmeverträge, welche entsprechend dem gesetzgeberischen Willen (vgl. die Voten in AB 1990 N 576 ff.; siehe auch den Bericht des Bundesrates über die Reduktion der Umweltrisiken von Düngern und Pflanzenschutzmitteln vom 21. Mai 2003 [BBl 2003 4802, insb. S. 4807]) die Ausnahme bleiben sollen, schriftlich abgeschlossen und von der zuständigen kantonalen Behörde genehmigt werden (siehe auch Art. 26 Abs. 1 der Gewässerschutzverordnung vom 28. Oktober 1998 [GSchV; SR 814.201]). Die kantonale Behörde erteilt die Genehmigung, wenn sichergestellt ist, dass auf dem Abnahmebetrieb die Vorschriften über die Verwendung von Düngern eingehalten werden ( Art. 26 Abs. 2 GSchV ). Bundesrechtlich gilt eine Mindestdauer von einem Jahr; die BGE 137 II 182 S. 192 Kantone können eine längere Mindestdauer vorschreiben ( Art. 26 Abs. 3 GSchV ). Daneben sieht auch Ziff. 2.1 Abs. 2 Anh. DZV die Möglichkeit von Abnahmeverträgen für Hofdünger vor. 3.4.3 Der Beschwerdeführer verfügt bislang noch über keinen Hofdüngerabnahmevertrag ( Art. 105 BGG ). Daher kann ein solcher nicht Berücksichtigung finden. 3.5 3.5.1 Der Beschwerdeführer rügt ferner, dass die Vorinstanz Futterzukäufe nicht berücksichtigt und deshalb gegen Bundesrecht verstossen habe. Diese hat dazu festgehalten, dass Zukäufe von Raufutter im Einzelfall Sinn machten, aus ökologischer und strukturpolitischer Sicht indes kein Anlass bestehe, solche Massnahmen zu fördern. 3.5.2 Mit der Totalrevision des Landwirtschaftsgesetzes im Jahre 1998 ist der Gesetzgeber - angeleitet durch die Verfassungsrevisionen im Landwirtschaftsbereich - vom sogenannten Produktionsmodell zum Produktemodell übergegangen. Danach ist die Produktion nicht nur ausschliesslich auf bodenabhängige Landwirtschaftsbetriebe fokussiert. Das BGBB (Art. 2 Abs. 1 lit. b) hat diesen Schritt ab dem 1. Januar 2004 nachvollzogen (vgl. dazu Botschaft zur Weiterentwicklung der Agrarpolitik [Agrarpolitik 2007] vom 29. Mai 2002, BBl 2002 4721, 4941; BIAGGINI/LIENHARD/RICHLI/UHLMANN, a.a.O., S. 212, siehe auch S. 202). Die Frage, wo die Grenze zwischen zulässiger und unzulässiger Bodenunabhängigkeit liegt, kann hier offengelassen werden (vgl. etwa für die Bestimmung der Zonenkonformität von Bauten und Anlagen in der Landwirtschaftszone Art. 16a Abs. 2 des Bundesgesetzes vom 22. Juni 1979 über die Raumplanung [RPG; SR 700] und Art. 36 der Raumplanungsverordnung vom 28. Juni 2000 [RPV; SR 700.1] ; siehe auch Bundesamt für Raumentwicklung, Neues Raumplanungsrecht, Erläuterungen zur Raumplanungsverordnung und Empfehlungen für den Vollzug, Bern 2001, Kapitel IV: Deckungsbeitrags- und Trockensubstanzkriterium nach Artikel 36 RPV; BGE 133 II 370 E. 4 S. 373 ff.), will der Beschwerdeführer doch im Verhältnis zu seinen landwirtschaftlichen Grundstücken offensichtlich nur geringe Futterzukäufe berücksichtigt wissen. Angesichts dieses Befundes können solche deshalb in einem gewissen Umfang für die Berechnung der zulässigen Nutztiermenge in Rechnung gezogen werden (vgl. auch e contrario Urteil 2C_876/2008 vom 14. Juli 2009 E. 4.2). Die dadurch allenfalls mögliche geringe Erhöhung der Nutztiermenge wird allerdings durch BGE 137 II 182 S. 193 die Forderung einer ausgeglichenen Düngerbilanz nach Art. 14 Abs. 1 GSchG begrenzt. Damit findet durch das GSchG indirekt wiederum eine Rückbindung der Tierhaltung an den Boden statt (vgl. dazu prägnant Botschaft zu einer Teilrevision des Bundesgesetzes über die Raumplanung, BBl 1996 III 513, 525 Ziff. 202.2). Entgegen der Auffassung der Vorinstanz ist deshalb nicht generell davon auszugehen, dass ein Zukauf von Raufutter nicht zu berücksichtigen sei. Vielmehr wäre zu prüfen, ob damit die Voraussetzung der ausgeglichenen Düngerbilanz immer noch gewährleistet wäre. 3.6 3.6.1 Der Beschwerdeführer rügt im weiteren eine Verletzung des Vertrauensschutzes. Ihm sei auf Anfrage vom kantonalen Landwirtschaftsamt vor Erlass der Feststellungsverfügung in einer Email vom 27. März 2008 bestätigt worden, dass es sich beim strittigen Betrieb um ein landwirtschaftliches Gewerbe nach Art. 7 BGBB handle; darin wurde die Standardarbeitskraft mit 0,753 beziffert. 3.6.2 Nach dem in Art. 9 BV verankerten Grundsatz von Treu und Glauben kann eine (selbst unrichtige) Auskunft, welche eine Behörde dem Bürger erteilt, unter gewissen Umständen Rechtswirkungen entfalten. Voraussetzung (vgl. dazu BGE 131 II 627 E. 6.1 S. 637; BGE 129 I 161 E. 4.1 S. 170; BGE 127 I 31 E. 3a S. 36; HÄFELIN/MÜLLER/UHLMANN, Allgemeines Verwaltungsrecht, 6. Aufl. 2010, S. 151 ff.; TSCHANNEN/ZIMMERLI/MÜLLER, Allgemeines Verwaltungsrecht, 3. Aufl. 2009, S. 163 ff., 165 ff.; PIERRE MOOR, Droit administratif, Bd. I: Les fondements généraux, 2. Aufl. 1994, S. 430 ff.) dafür ist, dass: a) es sich um eine vorbehaltlose Auskunft der Behörden handelt; b) die Auskunft sich auf eine konkrete, den Bürger berührende Angelegenheit bezieht; c) die Amtsstelle, welche die Auskunft gegeben hat, hiefür zuständig war oder der Bürger sie aus zureichenden Gründen als zuständig betrachten durfte; d) der Bürger die Unrichtigkeit der Auskunft nicht ohne weiteres hat erkennen können; e) der Bürger im Vertrauen hierauf nicht ohne Nachteil rückgängig zu machende Dispositionen getroffen hat; f) die Rechtslage zur Zeit der Verwirklichung noch die gleiche ist wie im Zeitpunkt der Auskunftserteilung; g) das Interesse an der richtigen Durchsetzung des objektiven Rechts dasjenige des Vertrauensschutzes nicht überwiegt. BGE 137 II 182 S. 194 3.6.3 Die Vorinstanz hat festgehalten, dass die behördliche Auskunft zwar unrichtig gewesen sei, doch aufgrund dieser seien keine nachteiligen Dispositionen getroffen worden. Als solche könne einzig das Gesuch um eine Feststellungsverfügung betrachtet werden, woraus sich allerdings keine Nachteile ergeben hätten. Der Kaufvertrag sei bereits vorher rechtsgültig abgeschlossen worden, und aufgrund der erbrechtlichen Auseinandersetzung sei die Frage, ob der strittige landwirtschaftliche Betrieb ein landwirtschaftliches Gewerbe sei, ohnehin gestellt worden. Auch wenn der Beschwerdeführer somit kein Feststellungsbegehren eingereicht hätte, wäre die Gewerbeeigenschaft des Betriebs zu prüfen gewesen. Diesen Argumenten der Vorinstanz ist voll zuzustimmen. Es könnte sich einzig noch die Frage stellen, ob angesichts des notwendigen Erlasses einer Feststellungsverfügung, welche zudem auch von Dritten beantragt oder angefochten werden kann (dazu STALDER, in: Das bäuerliche Bodenrecht, a.a.O., N. 12 ff. zu Art. 83 BGBB , N. 8 zu Art. 84 BGBB ) der Beschwerdeführer, der anwaltlich vertreten war, überhaupt davon ausgehen durfte, dass es sich um eine vorbehaltlose Auskunft gehandelt hatte. Diese Frage kann indes offengelassen werden: Die sieben aufgeführten Voraussetzungen müssen kumulativ erfüllt sein; ist bereits eine nicht gegeben, erübrigt es sich deshalb, die logisch vorangehenden zu prüfen. 3.7 3.7.1 Der Beschwerdeführer führt sodann an, dass die landwirtschaftliche Nutzfläche grösser sei, weil die Waldfläche kleiner sei; er stützt sich dabei auf Aussagen des kantonalen Amtes für Wald und Naturgefahren, wonach nach einem Augenschein gemäss provisorischer Abklärung der Wald ca. 0,3 bis 0,5 ha kleiner sein könne. Er habe dargelegt, dass ein Waldfeststellungsverfahren pendent sei und bei der Vorinstanz deshalb beantragt, einen Auskunftsbericht darüber beim kantonalen Forstamt einzuholen. Die Vorinstanz hat in ihrem Entscheid dazu ausgeführt, dass nicht geltend gemacht worden sei, dass eine kleinere Waldfläche festgestellt worden sei. 3.7.2 3.7.2.1 Nach Art. 2 Abs. 1 des Bundesgesetzes vom 4. Oktober 1991 über den Wald (WaG; SR 921.0) gilt jede Fläche, die mit Waldbäumen oder Waldsträuchern bestockt ist und Waldfunktionen erfüllen kann, als Wald. Entstehung, Nutzungsarten und Bezeichnung im BGE 137 II 182 S. 195 Grundbuch sind nicht massgebend. Art. 2 Abs. 2 WaG beschreibt, was zusätzlich als Wald gilt, sein Abs. 3 führt dagegen aus, was nicht als Wald gilt. Dabei handelt es sich um einen dynamischen Waldbegriff: Der Wald bestimmt seinen örtlichen Geltungsbereich und seinen Nutzungszweck aus eigener, bundesrechtlicher Kraft und geht kantonalen und kommunalen Nutzungszonen im Konfliktfall vor ( BGE 123 II 499 E. 3b/bb S. 506 f; siehe etwa WALDMANN/HÄNNI, Raumplanungsgesetz, Handkommentar, 2006, N. 49, 51 ff. zu Art. 18 RPG ); Ausnahmen davon gelten nach Art. 10 Abs. 2 WaG lediglich bei Bauzonen. Wald und nicht bewaldete Fläche hängen somit eng voneinander ab. 3.7.2.2 Nach Art. 10 Abs. 1 WaG kann derjenige, der ein schutzwürdiges Interesse nachweist, vom Kanton feststellen lassen, ob eine Fläche Wald ist. Damit wird mit einer Verfügung festgestellt, ob eine bestimmte Fläche "rechtstechnisch" Wald ist (WALDMANN/HÄNNI, a.a.O., N. 54 erster Spiegelstrich zu Art. 18 RPG ). 3.7.3 3.7.3.1 Entgegen der Auffassung der Vorinstanz - und teilweise auch des Beschwerdeführers - ist die Frage, was Wald und somit wie gross das strittige Waldgrundstück ist, nicht eine tatsächliche, sondern aufgrund von Art. 2 WaG eine rechtliche Frage. Da der Waldbegriff im Bereich ausserhalb von Bauzonen (Art. 10 Abs. 2 i.V.m. Art. 13 WaG ) dynamisch ist, sind zudem die Waldgrenzen nicht statisch, weshalb sie im Laufe der Zeit ändern können (vgl. etwa ARNOLD MARTI, in: Umweltrecht, Rausch/Marti/Griffel, [Hrsg.], 2004, S. 141 Rz. 439, 448). Nicht massgeblich für die Waldeigenschaft ist daher etwa die Bezeichnung im Grundbuch. Insofern ist die angesprochene Frage für das vorliegende Verfahren des bäuerlichen Bodenrechts von grundsätzlicher Bedeutung: Der Entscheid über die Grösse des Waldes enthält implizit einen Entscheid über die Grösse der daran angrenzenden landwirtschaftlichen Nutzfläche und dieser möglicherweise wiederum einen über die Frage, ob ein landwirtschaftliches Gewerbe vorliegt. Beide Entscheide können sich offensichtlich gegenseitig bedingen. 3.7.3.2 Die strittige Angelegenheit betrifft somit zwei Erlasse (BGBB und WaG), welche je ein eigenes Verfahren vorsehen: einerseits Art. 84 BGBB , andererseits Art. 10 WaG . Nur in diesem förmlichen Verfahren kann indes rechtskräftig entschieden werden, wie gross die Waldfläche des landwirtschaftlichen Betriebs des BGE 137 II 182 S. 196 Beschwerdeführers ist (Urteil 1A.250/1995 vom 26. Juni 1996, in: ZBl 1998 S. 37 ff., 38 f. E. 2c). Fest steht, dass im vorliegenden Fall noch kein förmliches Waldfeststellungsverfahren nach Art. 10 WaG durchgeführt worden ist - auch wenn der Beschwerdeführer noch vor Vorinstanz detailliert und glaubhaft ausgeführt hat, dass ein solches "pendent" sei. Allerdings schadet dies dem Beschwerdeführer nicht. Auch ohne dass er ein Gesuch gestellt hat, wäre die kantonale Behörde verpflichtet gewesen, von Amtes wegen ein Waldfeststellungsverfahren einzuleiten, weil sie ohne eine förmliche Waldfeststellung in der hier strittigen Angelegenheit die Frage der Grösse der landwirtschaftlichen Nutzungsflächen gar nicht behandeln konnte und auch nicht durfte (vgl. Urteil 1A.250/1995 vom 26. Juni 1996, in: ZBl 1998, S. 37 ff., 38 f. E. 2c i.f.; siehe auch MARTI, a.a.O., Rz. 447). 3.7.4 3.7.4.1 Nach der Rechtsprechung muss die Rechtsanwendung materiell koordiniert, d.h. inhaltlich abgestimmt erfolgen, wenn für die Verwirklichung eines Projekts verschiedene materiellrechtliche Vorschriften anzuwenden sind und zwischen diesen Vorschriften ein derart enger Sachzusammenhang besteht, dass sie nicht getrennt und unabhängig voneinander angewendet werden dürfen. In solchen Fällen ist die Anwendung des materiellen Rechts überdies in formeller, verfahrensmässiger Hinsicht in geeigneter Weise zu koordinieren ( BGE 117 Ib 35 E. 3e S. 39; grundlegend BGE 116 Ib 50 ; ARNOLD MARTI, in: Zürcher Kommentar, 3. Aufl. 1998, N. 56 ff. zu Art. 6 ZGB ; siehe auch TSCHANNEN/ZIMMERLI/MÜLLER, a.a.O., S. 412 ff.). Diese aus dem materiellen Recht hervorgehende inhaltliche und verfahrensmässige Koordinationspflicht ergibt sich u.a. aus dem Willkürverbot und dem Grundsatz der Einheit und Widerspruchsfreiheit der Rechtsordnung (vgl. etwa BGE 117 Ib 35 E. 3e S. 39; BGE 129 III 161 E. 2.6 S. 165 in Bezug auf die Einheit der Rechtsordnung zwischen Privat- und öffentlichem Recht), der Verhinderungen von Verfahrensverzögerungen sowie der Vereitelung von Bundesrecht ( BGE 116 Ib 50 E. 4a S. 56). 3.7.4.2 Die vorliegende Streitsache betrifft zwei Erlasse, welche die gleiche Frage unterschiedlich beantworten können. Allerdings kann nur im Waldfeststellungsverfahren nach Art. 10 WaG Gewähr bestehen, dass der Wald entsprechend den bundesrechtlichen Vorschriften korrekt bestimmt wird. Ohne Koordination der materiellen Aspekte, insbesondere auch ohne eine übereinstimmende Auslegung BGE 137 II 182 S. 197 von Begriffen (vgl. dazu auch Urteil 1A.181/1995 vom 22. Dezember 1995, in: ZBl 1997 S. 130 ff. E. 5c, S. 134 f.; RICHLI, a.a.O., S. 285 Rz. 796; implizit auch DONZALLAZ, a.a.O., Rz. 2563 ff., 2580 ff.), und des Verfahrens besteht deshalb die Gefahr, dass widersprechende Entscheide hinsichtlich der Grösse des strittigen Waldgrundstückes ergehen können. Insofern führt eine getrennte Behandlung zu sachlich unhaltbaren Ergebnissen, was eine willkürliche Rechtsanwendung darstellt. Es ist auch nicht von der Hand zu weisen, dass ein Feststellungsverfahren nach dem bäuerlichen Bodenrecht ( Art. 84 BGBB ) ohne Einbezug der Ergebnisse eines Waldfeststellungsverfahrens in einem späteren Zeitpunkt, d.h. nach Vornahme eines solchen ( Art. 10 WaG ), wieder geändert werden muss. Dies würde indes nicht der Intention des Gesetzgebers entsprechen: Danach sollen Feststellungsverfügungen den Betroffenen erlauben, richtig zu disponieren und unliebsame Überraschungen auszuschliessen (vgl. Botschaft BGBB, BBl 1988 III 1058 f; siehe auch STALDER, a.a.O., S. 214 ff.). Eine Koordination ist zudem umso mehr gefordert, als der Feststellungsentscheid Grundlage für die nach Zivilrecht zu erfolgende erbrechtliche Auseinandersetzung bildet und den Zivilrichter bindet; es handelt sich um eine privatrechtsgestaltende Verfügung (vgl. STALDER, a.a.O., S. 192 ff.; siehe auch HÄFELIN/MÜLLER/UHLMANN, a.a.O., Rz. 1019 ff.) bzw. ein Urteil, welche bzw. welches selbst nach der Feststellung der Unrichtigkeit durch ein später eingeleitetes Waldfeststellungsverfahren nicht mehr rückgängig gemacht werden kann, wenn der zivilrechtliche Akt abgeschlossen oder vollzogen ist. 3.7.4.3 Das kantonale Landwirtschaftsamt wäre deshalb gehalten gewesen, das Verfahren des bäuerlichen Bodenrechts mit dem Waldfeststellungsverfahren materiell und formell zu koordinieren (zur Koordinationspflicht im bäuerlichen Bodenrecht vgl. bereits BGE 125 III 175 Regeste S. 175 und E. 2c S. 180 und dessen nachträgliche Kodifizierung in Art. 4a VBB ; siehe auch Art. 49 RPV ; zum Ganzen DONZALLAZ, a.a.O., Rz. 1939 ff.). Wie die Koordination im Einzelnen auszugestalten ist, obliegt grundsätzlich den Kantonen. Allerdings würde sich anerbieten, die Grundsätze der Koordination von Art. 25a RPG analog anzuwenden. Das BGBB verweist verschiedentlich auf das Raumplanungsgesetz, insbesondere auch was die landwirtschaftlichen Grundstücke betrifft ( Art. 16 Abs. 1 RPG ). Zwischen den beiden Erlassen besteht eine grosse Abhängigkeit ( BGE 125 III 175 E. 2 S. 177 ff.) und Verflechtung (REINHOLD HOTZ, Auswirkungen der Teilrevision des RPG auf das BGBB, BlAR 2000 S. 3 ff., 4). BGE 137 II 182 S. 198 3.8 Zusammenfassend ist mithin festzuhalten: Für die Prüfung, ob ein landwirtschaftliches Gewerbe im Sinne von Art. 7 BGBB vorliegt, ist - wie die Vorinstanz zu Recht ausgeführt hat - auf durchschnittliche Bewirtschaftungsformen abzustellen. Bei der Bestimmung der möglichen Grossvieheinheiten, welche auf der vorhandenen Nutzfläche gehalten werden dürfen, ist nicht die DZV, sondern das GSchG und die kantonale Konkretisierung zu berücksichtigen. Aus diesem Grund erhöht sich die zulässige DGVE/ha um 0,4 von 1,4 auf 1,8 DGVE/ha. Daraus kann allenfalls ein erhöhter Viehbestand resultieren. Indes ist grundsätzlich eine Gesamtbetrachtung notwendig, welche sich an einer ausgeglichenen Nährstoffbilanz nach Art. 14 Abs. 1 GSchG zu orientieren hat. Bei der Berechnung kann auf die Methode "Suisse-Bilanz" abgestellt werden. Pachtflächen und Hofdüngerabnahmeverträge sind hier nicht zu berücksichtigen, wohingegen ein geringer Futterzukauf, allerdings wiederum unter Berücksichtigung einer ausgeglichenen Düngerbilanz, in Rechnung zu stellen ist. Schliesslich ist eine Waldfeststellung vorzunehmen und mit dem BGBB materiell und formell zu koordinieren. Allenfalls lässt sich damit eine grössere Landwirtschaftsfläche feststellen, was wiederum Auswirkungen auf die Standardarbeitskraft hätte.
public_law
nan
de
2,011
CH_BGE
CH_BGE_004
CH
Federation
27300fe1-ae0f-4abb-8675-f0fad354339b
Urteilskopf 118 Ia 20 5. Auszug aus dem Urteil der I. Zivilabteilung vom 27. Februar 1992 i.S. F. Anstalt gegen T. Company Ltd. und Kassationsgericht des Kantons Zürich (staatsrechtliche Beschwerde)
Regeste Internationales Schiedsgerichtsverfahren; Weigerung des staatlichen Richters, einen Schiedsrichter zu ernennen ( Art. 179 Abs. 3 IPRG ; Art. 4 und 58 Abs. 1 BV ; Art. 84 Abs. 1 und 87 OG ). 1. Ein Entscheid, mit dem ein staatlicher Richter aufgrund von Art. 179 Abs. 3 IPRG die Ernennung eines Schiedsrichters ablehnt, ist - im Gegensatz zum umgekehrten Fall - ein Endentscheid im Sinne von Art. 87 OG . Es handelt sich überdies um einen staatlichen Hoheitsakt im Sinne von Art. 84 Abs. 1 OG , dagegen nicht um einen Entscheid über einen Zivilrechtsstreit gemäss Art. 44 ff. OG (E. 2). 2. Wird mit staatsrechtlicher Beschwerde geltend gemacht, die von der kantonalen Instanz vertretene Auslegung von Art. 179 Abs. 3 IPRG verletze die Garantie des verfassungsmässigen Richters gemäss Art. 58 Abs. 1 BV , so ist die Kognition des Bundesgerichts auf Willkür beschränkt (E. 3a). 3. Nicht willkürlich ist die Auffassung, dass der staatliche Richter die Ernennung eines Schiedsrichters gemäss Art. 179 Abs. 3 IPRG zwar stets vorzunehmen hat, wenn er aufgrund einer summarischen Prüfung zum Schluss gelangt, die geltend gemachten Ansprüche könnten unter die Schiedsabrede fallen, nicht aber auch dann, wenn sie nach seiner Überzeugung davon eindeutig nicht erfasst werden (E. 5).
Sachverhalt ab Seite 21 BGE 118 Ia 20 S. 21 Die F. Anstalt mit Sitz in Liechtenstein und die T. Company Ltd., eine Gesellschaft nach panamaischem Recht, beschlossen mit Vereinbarung vom 18. August 1969, gemeinsam die liechtensteinische Gesellschaft F. Co. Ltd. zu gründen. In der Vereinbarung, auf die ausschliesslich schweizerisches Recht anwendbar sein sollte, wurde zudem die Vertretung beider Gesellschaften im Verwaltungsrat der F. Co. Ltd. und die Art der Geschäftsführung geregelt. Unter Ziffer 4 nahmen die Parteien sodann folgende Schiedsklausel in den Vertrag auf: BGE 118 Ia 20 S. 22 "If at any time within the period of this Agreement or thereafter, any doubt, difference or dispute shall arise between the parties concerning the validity, interpretation or execution of this Agreement or anything connected therewith or concerning the rights and liabilities of the parties hereunder, the same shall, failing any agreement to settle it by other means, be referred to arbitration." In bezug auf das Vorgehen bei der Ernennung der Schiedsrichter wurde in der gleichen Ziffer festgehalten, jede Partei bestimme einen Schiedsrichter, der dann zusammen mit dem anderen einen dritten Schiedsrichter ernenne; im Fall, dass einer oder mehrere Schiedsrichter nicht bezeichnet werden könnten, sei jede Partei berechtigt, den Präsidenten des Handelsgerichts des Kantons Zürich um die Vornahme der Ernennung zu ersuchen. Nachdem durch die F. Anstalt am 13. Januar 1989 ein Schiedsverfahren eingeleitet worden war und beide Parteien einen Schiedsrichter bezeichnet hatten, konnten sich diese nicht auf einen dritten Schiedsrichter einigen. Darauf ersuchte die F. Anstalt am 20. Dezember 1989 den Präsidenten des Handelsgerichts des Kantons Zürich um dessen Ernennung. Der Präsident wies das Gesuch indessen mit Verfügung vom 3. April 1990 ab. Zur Begründung berief er sich auf Art. 179 Abs. 3 IPRG und führte im wesentlichen aus, die Streitsache werde von der Schiedsklausel in der Vereinbarung vom 18. August 1969 nicht erfasst. Die F. Anstalt focht die Verfügung des Präsidenten des Handelsgerichts mit kantonaler Nichtigkeitsbeschwerde an, die vom Kassationsgericht des Kantons Zürich mit Beschluss vom 3. Juni 1991 abgewiesen wurde. Die F. Anstalt reichte beim Bundesgericht eine staatsrechtliche Beschwerde wegen Verletzung von Art. 4 und 58 BV ein, mit der sie beantragte, sowohl die Verfügung des Präsidenten des Handelsgerichts wie auch den Beschluss des Kassationsgerichts aufzuheben. Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab, soweit es auf sie eintritt. Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. a) Gemäss Art. 179 Abs. 3 IPRG muss ein staatlicher Richter, der mit der Ernennung eines Schiedsrichters betraut wird, diesem Begehren stattgeben, es sei denn eine summarische Prüfung ergebe, dass zwischen den Parteien keine Schiedsvereinbarung besteht. BGE 118 Ia 20 S. 23 Ein Entscheid, mit dem ein staatlicher Richter gestützt auf Art. 179 Abs. 3 IPRG die Ernennung eines Schiedsrichters ablehnt, ist ein Endentscheid im Sinne von Art. 87 OG . Ein solcher Entscheid beendet nicht nur einen Abschnitt des Schiedsverfahrens, sondern schliesst dessen Durchführung durch die Verneinung der Zuständigkeit des Schiedsgerichts endgültig aus. Damit entfällt - anders als im Fall, in dem der Richter dem Ernennungsgesuch stattgibt - die Möglichkeit, den Entscheid des Richters im Rahmen eines zukünftigen Schiedsverfahrens in Frage zu stellen. Es handelt sich deshalb nicht um einen blossen Zwischenentscheid, wie er dann vorliegt, wenn der Richter dem Gesuch Folge gebend einen Schiedsrichter ernennt (vgl. BGE 115 II 295 E. 2d: zur Kritik von POUDRET, L'irrecevabilité du recours au Tribunal fédéral contre une décision cantonale de nomination d'arbitres (art. 179 LDIP), in: Bull. ASA 1989, S. 371 ff., braucht im vorliegenden Fall nicht Stellung genommen zu werden). Bei der Verfügung des Präsidenten des Handelsgerichts handelt es sich dagegen nicht um einen Entscheid über einen Zivilrechtsstreit im Sinne der Art. 44 ff. OG , da sie nicht in einem Verfahren ergangen ist, das auf die materielle und endgültige Entscheidung eines auf Bundeszivilrecht beruhenden Anspruchs durch den angerufenen Richter ausgelegt ist ( BGE 115 II 239 mit Hinweisen). Die Beschwerdeführerin konnte deshalb die Verfügung des Handelsgerichtspräsidenten nicht mit Berufung beim Bundesgericht anfechten. Ebenfalls unzulässig war damit die Berufung gegen den Beschluss des Kassationsgerichts. Ein Ausschluss der staatsrechtlichen Beschwerde lässt sich sodann auch nicht aus Art. 180 Abs. 3 IPRG ableiten. Gemäss dieser Bestimmung urteilt der Richter endgültig über die Ablehnung eines Schiedsrichters, wobei nach zutreffender Auffassung ein solcher Entscheid auch nicht mit staatsrechtlicher Beschwerde wegen Verletzung von Art. 4 BV angefochten werden kann (LALIVE/POUDRET/REYMOND, Le droit de l'arbitrage, N 12 zu Art. 180 IPRG ). Dabei handelt es sich indessen um einen Zwischenentscheid, da er das Schiedsverfahren nicht beendet. Selbst wenn Art. 180 Abs. 3 IPRG aufgrund einer systematischen Auslegung auch auf das Ernennungsverfahren anwendbar wäre (so KARRER, Les rapports entre le tribunal arbitral, les tribunaux étatiques et l'institution arbitrale, in: Revue de droit des affaires internationales 1989, S. 766 f.), bliebe aus diesem Grund der Ausschluss der staatsrechtlichen Beschwerde auf Fälle beschränkt, wo sich diese gegen einen Zwischenentscheid BGE 118 Ia 20 S. 24 richtet; auf Endentscheide liesse sich der Ausschluss dagegen mit dieser Begründung nicht ausdehnen. b) Fraglich ist indessen, ob es sich bei der Verfügung des Präsidenten des Handelsgerichts und dem Beschluss des Kassationsgerichts um kantonale Hoheitsakte im Sinne von Art. 84 Abs. 1 OG handelt, gegen die allein staatsrechtliche Beschwerde erhoben werden kann. Aus dem unstreitigen Umstand, dass der Handelsgerichtspräsident nach der kantonalen Verfahrensordnung jedenfalls für die Anordnung einer Massnahme gemäss Art. 179 Abs. 2 IPRG nicht zuständig ist, könnte vielmehr abgeleitet werden, er habe nicht als staatlicher Richter, sondern als Privatmann gehandelt, wie die Beschwerdegegnerin denn auch geltend macht. Art. 179 Abs. 3 IPRG verpflichtet den staatlichen Richter grundsätzlich, einem Ernennungsbegehren stattzugeben. Damit wollte der Gesetzgeber der - insbesondere auch von den Präsidenten des Bundesgerichts befolgten - Praxis entgegentreten, die Ernennung eines Schiedsrichters abzulehnen, wenn eine Partei die Gültigkeit der Schiedsabrede bestritt und die Streitsache ausser dem Sitz des Schiedsgerichts keine Inlandbeziehung aufwies (ANDREAS BUCHER, Die neue internationale Schiedsgerichtsbarkeit in der Schweiz, S. 62 Rz. 149; LALIVE/POUDRET/REYMOND, N 5 zu Art. 179 IPRG ). Trotz der nun bundesgesetzlich festgelegten Entscheidungspflicht wird in einem Teil der Literatur immer noch die Ansicht vertreten, der Richter urteile nicht in amtlicher Funktion, so dass sein Entscheid mit keinem Rechtsmittel der staatlich organisierten Rechtspflege angefochten werden könne; im Fall der Verweigerung der Schiedsrichterernennung sei vielmehr der gemäss Art. 179 Abs. 2 IPRG zuständige Richter anzurufen (ANDREAS BUCHER, a.a.O., S. 62/3 Rz. 150; WENGER, Die internationale Schiedsgerichtsbarkeit, BJM 1989, S. 346; vgl. auch WALTER/BOSCH/BRÖNNIMANN, Internationale Schiedsgerichtsbarkeit in der Schweiz, S. 106/7). Diese Auffassung ist jedoch abzulehnen. Nach seinem Wortlaut und aufgrund seiner selbständigen Stellung innerhalb des Artikels verpflichtet Abs. 3 von Art. 179 IPRG eindeutig sowohl den vereinbarten wie auch den gesetzlich zuständigen staatlichen Richter als Ernennungsbehörde. Dagegen erfasst die Bestimmung bloss den staatlichen Richter und nicht auch eine andere von den Schiedsparteien prorogierte Ernennungsinstanz. Dem staatlichen Richter wird unabhängig von der Regelung des kantonalen Rechts die Pflicht zum Tätigwerden auferlegt. Insoweit stellt Art. 179 Abs. 3 IPRG eine bundesrechtliche Prozessvorschrift dar, deren Verletzung mit einem Rechtsmittel an das BGE 118 Ia 20 S. 25 Bundesgericht gerügt werden kann, falls dem nicht andere prozessuale Hindernisse entgegenstehen. Die Beschwerdegegnerin wendet zwar ein, diese Betrachtungsweise sei vom Ergebnis her unbefriedigend, und zwar besonders dann, wenn der Präsident des Bundesgerichts gestützt auf Art. 179 Abs. 3 IPRG mit der Schiedsrichterernennung beauftragt worden sei; in einem solchen Fall sei ein abweisender Entscheid der gerichtlichen Überprüfung entzogen, da der gesuchstellenden Partei sowohl ein Vorgehen nach Art. 179 Abs. 2 IPRG wie eine staatsrechtliche Beschwerde verschlossen sei. Das zwingt indessen nicht zu einer abweichenden Auslegung, sondern ist die Folge einer von den Parteien frei vereinbarten Verfahrensordnung, die insoweit einem Rechtsmittelverzicht gleichkommt, wie er wohl auch im Fall der Bezeichnung eines kantonalen Richters im Rahmen von Art. 179 Abs. 3 IPRG zulässig wäre (zum Rechtsmittelverzicht: BGE 113 Ia 30 E. 3b). 3. a) Wird mit einer staatsrechtlichen Beschwerde eine Verletzung des Anspruchs auf den verfassungsmässigen Richter im Sinne von Art. 58 Abs. 1 BV geltend gemacht, so überprüft das Bundesgericht die Auslegung und Anwendung kantonalen Gesetzesrechts lediglich auf Willkür ( BGE 116 Ia 11 E. 2b, 33 E. 2a). Gleiches hat hinsichtlich des Bundesgesetzesrechts zu gelten, wenn wie im vorliegenden Fall mit staatsrechtlicher Beschwerde gerügt wird, dessen Anwendung durch den kantonalen Richter verstosse gegen Art. 58 Abs. 1 BV . Nur dann, wenn die willkürfreie Auslegung des Bundesrechts nicht mit den Garantien von Art. 58 Abs. 1 BV und Art. 6 Ziff. 1 EMRK vereinbar wäre, müsste innerhalb der Schranken von Art. 113 Abs. 3 BV geprüft werden, ob eine freie, verfassungs- und konventionskonforme Auslegung den Grundrechtsanspruch zu verwirklichen vermöchte (vgl. BGE 116 Ia 486 E. 2a). Im vorliegenden Fall deckt sich indessen die Rüge einer Verletzung von Art. 58 Abs. 1 BV mit dem Vorwurf willkürlicher Anwendung von Art. 179 Abs. 3 IPRG . Aus diesem Grund ist allein zu prüfen, ob die Gesetzesanwendung gegen Art. 4 BV verstösst. b) Ist die Kognitionsbefugnis des Bundesgerichts somit auf Willkür beschränkt, so entspricht sie im wesentlichen jener, mit welcher das Kassationsgericht die Verfügung des Präsidenten des Handelsgerichts überprüft hat ( § 281 Ziff. 3 ZPO /ZH; STRÄULI/MESSMER, Kommentar zur Zürcherischen Zivilprozessordnung, 2. Aufl., N 45 zu § 281). Damit kann sich die Beschwerde nach ständiger Praxis lediglich gegen den Beschluss des Kassationsgerichts richten ( BGE 115 Ia 414 /5, BGE 114 Ia 311 E. 3a). Der Antrag der Beschwerdeführerin, BGE 118 Ia 20 S. 26 auch die Verfügung des Präsidenten des Handelsgerichts aufzuheben, ist deshalb unzulässig. 5. Der Präsident des Handelsgerichts hat die Ernennung eines Schiedsrichters mit der Begründung abgelehnt, die Streitsache werde offensichtlich von der Schiedsklausel nicht erfasst, da sie weder die Auslegung, die Gültigkeit oder Erfüllung bzw. damit zusammenhängende Fragen der Vereinbarung vom 18. August 1969 noch die sich daraus ergebenden Rechte und Pflichten der Parteien hinsichtlich Gründung, Organisation und Geschäftsführung der F. Co. Ltd. betreffe. Das Kassationsgericht erblickte darin keine Verletzung klaren materiellen Rechts im Sinne von § 281 Ziff. 3 ZPO /ZH, was mit der Beschwerde als willkürlich gerügt wird. a) Willkür liegt nach ständiger Rechtsprechung nicht schon dann vor, wenn eine andere Lösung ebenfalls vertretbar erscheint oder gar vorzuziehen wäre. Das Bundesgericht hebt den angefochtenen Entscheid vielmehr nur dann wegen Verletzung von Art. 4 BV auf, wenn er im Ergebnis mit den tatsächlichen Verhältnissen in klarem Widerspruch steht, eine Norm oder einen unumstrittenen Rechtsgrundsatz krass verletzt oder in stossender Weise dem Gerechtigkeitsgedanken zuwiderläuft ( BGE 117 Ia 15 E. 2c, 20 E. 3c mit Hinweisen). In einer staatsrechtlichen Beschwerde wegen Verletzung von Art. 4 BV sind neue tatsächliche und rechtliche Vorbringen grundsätzlich unzulässig ( BGE 114 Ia 205 E. 1a mit Hinweis). Das bedeutet, dass das Bundesgericht bei der Überprüfung einer als willkürlich ausgegebenen Rechtsanwendung vom Sachverhalt auszugehen hat, wie er dem angefochtenen Entscheid zugrunde gelegt worden ist, es sei denn, der Beschwerdeführer weise nach, dass die kantonale Instanz verfassungswidrig unrichtige oder unvollständige tatsächliche Feststellungen getroffen hat. b) Das Kassationsgericht legt Art. 179 Abs. 3 IPRG in dem Sinne aus, dass der staatliche Richter die Ernennung eines Schiedsrichters zwar stets vorzunehmen habe, wenn er aufgrund einer summarischen Prüfung zum Schluss gelangt, die geltend gemachten Ansprüche könnten allenfalls unter die Schiedsabrede fallen, nicht aber auch dann, wenn sie nach seiner Überzeugung davon eindeutig nicht erfasst werden. Die Beschwerdeführerin vertritt demgegenüber die Auffassung, der gemäss Art. 179 Abs. 3 IPRG angerufene staatliche Richter habe lediglich den formalen Bestand einer Schiedsvereinbarung zwischen den Parteien, nicht aber deren Tragweite zu prüfen. Gemäss Art. 186 Abs. 1 IPRG entscheidet ein Schiedsgericht selbst über seine Zuständigkeit. Es verfügt somit über die sogenannte BGE 118 Ia 20 S. 27 Kompetenz-Kompetenz. Der mit der Ernennung eines Schiedsrichters befasste staatliche Richter hat daher mit summarischer oder prima facie Prüfung lediglich über den Bestand, nicht aber über die Gültigkeit oder die genaue Tragweite der Schiedsabrede zu befinden (LALIVE/POUDRET/REYMOND, N 5 zu Art. 179 und N 1 zu Art. 186 IPRG ; BUCHER, a.a.O., S. 56 Rz. 130). Anderseits will Art. 179 Abs. 3 IPRG eine Partei aber davor bewahren, sich selbst dann auf ein Schiedsverfahren einlassen zu müssen, wenn nicht einmal der Anschein einer Schiedsabrede besteht. Aus diesen Gründen lässt sich die Bestimmung willkürfrei so auslegen, dass die Ernennung eines Schiedsrichters dann abgelehnt werden darf, wenn zwischen den Parteien zwar eine Schiedsvereinbarung besteht, jedoch kein Zweifel bestehen kann, dass sie sich einzig auf Rechtsverhältnisse bezieht, die mit den tatsächlich geltend gemachten Ansprüchen offensichtlich in keinem Zusammenhang stehen. Insbesondere beim Vorliegen internationaler Verhältnisse hat eine Partei ein schützenswertes Interesse daran, von vornherein nicht in ein Schiedsverfahren hineingezogen zu werden, falls die streitigen Ansprüche eindeutig nicht unter die Schiedsvereinbarung fallen. Diese Auffassung ist jedenfalls nicht unhaltbar; die Rüge einer willkürlichen Auslegung von Art. 179 Abs. 3 IPRG erweist sich deshalb als unbegründet. c) Im Entscheid des Kassationsgerichts wird festgehalten, die Vereinbarung vom 18. August 1969 betreffe eindeutig nur die Beziehungen der - zukünftigen - Aktionärinnen der F. Co. Ltd. unter sich, nicht aber deren Geschäfte mit Dritten oder mit einer der Aktionärinnen. Die Beschwerdeführerin habe sich bei ihrer eigenen Darstellung behaften zu lassen, wonach sie die streitigen Ansprüche aus einem Kaufgeschäft über Erdöl zwischen der National I. Company Ltd. und der F. Co. Ltd. sowie dem Weiterverkauf dieses Erdöls an die Beschwerdegegnerin und dem zessionsweisen Erwerb der Kaufpreisforderung ableite. Soweit die Beschwerdeführerin vor Bundesgericht von diesem Sachverhalt abweicht, insbesondere hinsichtlich der Tragweite der von ihr als "Joint-Venture-Vertrag" bezeichneten Vereinbarung vom 18. August 1969, ist sie nicht zu hören, da sie eine verfassungswidrige Ermittlung des massgeblichen Sachverhalts nicht nachweist, sondern dem angefochtenen Entscheid lediglich ihre eigene Darstellung entgegensetzt, damit aber nur appellatorische Kritik vorbringt, die im Beschwerdeverfahren wegen Verletzung von Art. 4 BV unbeachtlich ist ( BGE 117 Ia 11 /12 E. 4b mit Hinweisen). Die tatsächlichen Feststellungen des Kassationsgerichts müssen demnach auch für die Beurteilung durch das Bundesgericht BGE 118 Ia 20 S. 28 massgebend sein. Auf dieser Grundlage kann indessen von einer willkürlichen Anwendung von Art. 179 Abs. 3 IPRG keine Rede sein. Die der Beschwerdeführerin abgetretene Kaufpreisforderung weist offensichtlich keinen Zusammenhang mit der gesellschaftsbezogenen Rechtsstellung der beiden Aktionärinnen auf. Damit fehlt aber auch eine Verbindung zur Schiedsklausel unter Ziffer 4 der Vereinbarung vom 18. August 1969. Das gilt namentlich auch insoweit, als die Beschwerdeführerin rügt, ihr in den Schiedsanträgen enthaltenes Begehren, die Beschwerdegegnerin habe über die Verwendung der Öllieferungen Rechenschaft abzulegen und darüber abzurechnen, sei nicht berücksichtigt worden. Das Kassationsgericht hat ihr mit Recht auch hier ihre eigene Darstellung entgegengehalten, wonach die geforderte Rechenschaftsablage die Lieferung des Erdöls durch die F. Co. Ltd. an die Beschwerdegegnerin betreffe. Soweit im übrigen eine Abrechnung über die Lieferungen verlangt worden ist, handelt es sich um ein blosses Stufenbegehren zur Leistungsklage auf Zahlung des Kaufpreises (vgl. BGE 116 II 220 Nr. 40). Es ist nicht ersichtlich, warum dieses Stufenbegehren - dem letztlich keine selbständige Bedeutung zukommt - anders zu behandeln wäre als der Antrag auf Zahlung des Kaufpreises. Von einer formellen Rechtsverweigerung durch das Kassationsgericht kann somit keine Rede sein. Aus den angeführten Gründen durfte das Kassationsgericht zudem willkürfrei annehmen, eine summarische Prüfung im Sinne von Art. 179 Abs. 3 IPRG ergebe, dass der streitige Anspruch nicht unter die zwischen den Prozessparteien abgeschlossene Schiedsvereinbarung falle. Auch insoweit erweist sich die Beschwerde als unbegründet.
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de
1,992
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27320d65-df34-45e7-9dc1-6d17183931e4
Urteilskopf 104 II 222 37. Auszug aus dem Urteil der staatsrechtlichen Kammer vom 31. Mai 1978 i.S. G. gegen Obmann des Arbeitsgerichts des Bezirks Bremgarten/AG und Inspektionskommission des Obergerichts des Kantons Aargau
Regeste Art. 4 BV ; Streitigkeiten aus dem Arbeitsverhältnis: Unentgeltlichkeit des Verfahrens. Art. 343 Abs. 3 OR über die Unentgeltlichkeit des Verfahrens gilt auch in Streitigkeiten über prozessuale Nebenpunkte.
Sachverhalt ab Seite 222 BGE 104 II 222 S. 222 In einem beim Arbeitsgericht Bremgarten/AG anhängigen Streitfall lud der Obmann des Arbeitsgerichts am 18. Oktober 1977 die Parteien zur Vermittlungsverhandlung vor dem Obmann auf den 21. Oktober 1977 vor. Mit Aufsichtsbeschwerde vom 21. Oktober 1977 an die Inspektionskommission des Obergerichts des Kantons Aargau beantragte die Klägerin G. im wesentlichen, die Vorladungsverfügung aufzuheben, da sie in gesetzwidriger Weise auf eine zu kurze Frist erlassen worden sei, und das Klagebegehren nicht nur vom Obmann, sondern vom gesamten Arbeitsgericht beurteilt werden müsse. Die Inspektionskommission wies die Beschwerde ab und auferlegte der Beschwerdeführerin die Verfahrenskosten von insgesamt Fr. 70.-. Der Kostenspruch wurde nicht näher begründet. Mit staatsrechtlicher Beschwerde beantragt Frau G. sinngemäss, den Kostenspruch des vorinstanzlichen Urteils aufzuheben. Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. Die Beschwerdeführerin macht zunächst geltend, der Kostenspruch des angefochtenen Entscheides verletze Art. 343 Abs. 3 OR . Diese Rüge betrifft die Anwendung von Bundeszivilrecht. Das Bundesgericht kann im Verfahren der staatsrechtlichen Beschwerde nicht die Funktion einer gesetzlich nicht vorgesehenen Berufungsinstanz übernehmen (vgl. BGE 96 I 41 E. 2). Vielmehr prüft es in solchen Fällen nur, ob die BGE 104 II 222 S. 223 kantonale Instanz das Recht willkürlich angewendet oder die Rechtsgleichheit verletzt hat ( BGE 96 I 9 E. 2; BGE 90 I 139 E. 2). Willkürlich ist nach der Rechtsprechung des Bundesgerichts ein Entscheid, der eine Norm oder einen klaren und unumstrittenen Rechtssatz offensichtlich verletzt oder in stossender Weise dem Gerechtigkeitsgedanken zuwiderläuft ( BGE 100 Ia 6 E. b, 468). a) Gemäss Art. 343 Abs. 3 OR dürfen in Streitigkeiten aus dem Einzelarbeitsvertrag bis zu einem Streitwert von Fr. 5'000.- den Parteien - ausser im Falle mutwilliger Prozessführung - weder Gebühren noch Auslagen des Gerichts auferlegt werden. Das Bundesgericht hat wiederholt ausgeführt, dass diese Regel in allen Verfahrensstufen und vor allen Instanzen Anwendung findet ( BGE 100 Ia 129 E. 6; BGE 98 Ia 567 E. 6 a). Es kann sich nur fragen, ob dies auch in Streitigkeiten über prozessuale Nebenpunkte gelten muss. b) Der Wortlaut des Art. 343 Abs. 3 OR schränkt den sachlichen Geltungsbereich dieser Bestimmung in keiner Weise ein. Die Entstehungsgeschichte zeigt, dass der Bundesrat und die eidgenössischen Räte die Kostenlosigkeit des arbeitsgerichtlichen Prozessverfahrens als sozialpolitische Massnahme im Interesse der Rechtsverwirklichung betrachteten, die es den am Arbeitsverhältnis Beteiligten, namentlich dem Arbeitnehmer als schwächerer Partei, ermöglichen sollte, ohne Kostenrisiko um ihr Recht zu kämpfen. Der Bundesrat führte in seiner Botschaft vom 25. August 1967 zum Bundesgesetz über die Revision des Zehnten Titels und des Zehnten Titels bis des Obligationenrechts namentlich folgendes aus: "Würden für Streitigkeiten, wie sie bis anhin aus dem Fabrikarbeitsverhältnis, aus dem landwirtschaftlichen Arbeitsverhältnis oder aus dem Heimarbeitsverhältnis entstanden sind, die Regeln des gewöhnlichen Zivilprozessrechts gelten, so wäre der Arbeitnehmer in vielen Fällen gar nicht in der Lage, zur Durchsetzung seiner Ansprüche den Richter anzurufen." (BBl 1967 II 406.) Soll der sozialpolitische Gehalt des Art. 343 Abs. 3 OR voll wirksam werden, so muss diese Vorschrift klarerweise nicht nur im Verfahren der Hauptsache, sondern auch in Streitigkeiten über prozessuale Nebenpunkte zur Anwendung gelangen (vgl. ZR 1972 Nr. 75 E. 4 b). Andernfalls sähe sich der Richter immer wieder gezwungen, schwer begründbare Abgrenzungen BGE 104 II 222 S. 224 zu treffen, für welche Art. 343 Abs. 3 OR keinerlei Anhaltspunkte liefert. c) Die Kostenregelung im angefochtenen Urteil verstösst nach dem Gesagten gegen den klaren Sinn von Art. 343 Abs. 3 OR . Die Beschwerde ist daher gutzuheissen, soweit darauf eingetreten werden kann, und der angefochtene Kostenspruch ist aufzuheben.
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Urteilskopf 111 II 156 33. Urteil der I. Zivilabteilung vom 4. Juni 1985 i.S. S. gegen T. AG (Berufung)
Regeste Vorvertrag zu einem Kaufvertrag. Schadenersatzforderung des Käufers wegen ungerechtfertigten Vertragsrücktritts des Verkäufers vor Fälligkeit des Kaufpreises. Art. 91, 97 Abs. 1, 107, 108 OR und Art. 8 ZGB . 1. Will der Verkäufer wegen antizipierter Annahmeverweigerung des Käufers vom Vertrag zurücktreten, so hat er analog den Regeln der Art. 107 und 108 OR vorzugehen und darf auf eine Nachfristansetzung nur dann verzichten, wenn die Voraussetzungen gemäss Art. 108 OR gegeben sind (E. 2). 2. Macht der Käufer Schadenersatz wegen ungerechtfertigten Vertragsrücktritts des Verkäufers geltend, muss er den behaupteten Schaden und damit auch den Kausalzusammenhang zwischen der Vertragsverletzung und dem angeblich entgangenen Gewinn beweisen. Der Käufer hat daher zu beweisen, dass er den Kaufpreis im massgebenden Zeitpunkt wie vertraglich vereinbart in bar hätte erbringen können (E. 3).
Sachverhalt ab Seite 157 BGE 111 II 156 S. 157 A.- M. verkaufte am 6. Mai 1977 seine Liegenschaft Schloss Freidorf, Grundbuchkreis Roggwil TG, an S. Dieser schloss seinerseits am 28. Juni 1977 einen öffentlich beurkundeten Vorvertrag mit der inzwischen von M. als Hauptaktionär gegründeten T. AG. Darin versprach S. die Liegenschaft zu renovieren, in Stockwerkeinheiten aufzuteilen und der T. AG zwei Wohnungen im Dachstock zum Preis von Fr. 147'000.-- und 142'000.-- (inkl. Garagen) zu verkaufen. Bei der Bauausführung ergaben sich Differenzen, weil die T. AG der Ansicht war, der ganze Estrich gehöre zu den beiden für sie bestimmten Wohnungen, während S. einen Teil des Estrichs den übrigen Wohnungseigentümern vorbehalten wollte. Als die T. AG auf ihrer Auffassung bestand, hielt S. sich zum Rücktritt berechtigt; er verkaufte am 17. Juli 1968 die beiden Dachwohnungen an Dritte. B.- Mit ihrer am 19. April 1979 beim Bezirksgericht Arbon erhobenen Klage forderte die T. AG von S. Fr. 150'000.-- Schadenersatz, berechnet als Differenz zwischen dem Wert der beiden Wohnungen nebst Garagen und dem vertraglichen Kaufpreis. Das Bezirksgericht Arbon kam zum Schluss, der Beklagte habe weder den Rücktritt erklärt, noch sei er zum Rücktritt berechtigt gewesen. Nach Einholung einer Expertise hiess es die Klage für den reduzierten Betrag von Fr. 78'000.-- nebst 5% Zins seit 7. März 1979 gut. Das Obergericht des Kantons Thurgau hat dieses Urteil am 11. September 1984 bestätigt. C.- Der Beklagte hat das Urteil des Obergerichts mit staatsrechtlicher Beschwerde und Berufung angefochten. Die Beschwerde ist mit Urteil vom heutigen Datum abgewiesen worden, soweit auf sie einzutreten war. Mit der vorliegenden Berufung beantragt der Beklagte, das Urteil des Obergerichts aufzuheben und die Klage vollumfänglich abzuweisen, eventuell die Sache zur neuen Beurteilung an die Vorinstanz zurückzuweisen. Die Klägerin schliesst auf Abweisung der Berufung. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Die Klägerin fordert Ersatz des Schadens, der ihr durch die Nichterfüllung des Vorvertrages über den Verkauf der Wohnungen im Dachgeschoss entstanden ist ( Art. 97 Abs. 1 OR ). Der Beklagte widerspricht mit der Begründung, er sei berechtigterweise BGE 111 II 156 S. 158 vom Vorvertrag zurückgetreten, weil die Klägerin es abgelehnt habe, die Wohnungen mit dem von ihm vorgesehenen Ausbau zu akzeptieren. a) Mit zwei Briefen vom 28. Juni und 6. Juli 1978 beanstandete die Klägerin, dass die im Gang befindlichen Bauarbeiten nicht den Vereinbarungen entsprächen. Sie bestand darauf, dass das ganze Estrichgeschoss zu den beiden an sie verkauften Dachwohnungen geschlagen werde. Für den Fall, dass der Beklagte nicht eine entsprechende Erklärung abgebe, drohte sie ihm rechtliche Schritte an. Der Beklagte rechnete dagegen nur einen Teil des Estrichgeschosses zu den beiden Dachwohnungen. Das Obergericht ist wie schon das Bezirksgericht zum Ergebnis gelangt, die Auffassung des Beklagten treffe zu; der Klägerin sei nicht gelungen zu beweisen, dass der gesamte Estrichraum zu den beiden Wohnungen im Dachgeschoss hinzuzuschlagen sei. Diese Feststellungen des Obergerichts sind, soweit sie auf Beweiswürdigung beruhen, für das Bundesgericht verbindlich. Die Berufungsschrift nimmt darauf Bezug, und die Klägerin stellt sie mit der Berufungsantwort zu Recht nicht in Frage. b) Der Beklagte macht geltend, mit den genannten Schreiben habe die Klägerin erklärt, sie werde die beiden Wohnungen ohne das ganze Dachgeschoss auf gar keinen Fall akzeptieren; M. habe sich namens der Klägerin auch bei mündlichen Besprechungen in diesem Sinn geäussert. Er rügt eine Verletzung von Art. 8 ZGB , weil die von ihm dazu angetragenen Beweise nicht abgenommen worden seien. Diese Behauptung erweist sich indes als unerheblich. Die brieflichen Äusserungen der Klägerin sind belegt und unbestritten. Sofern sie den Anspruch des Beklagten stützen, brauchen weitere mündliche Äusserungen nicht bewiesen zu werden; soweit ihr Inhalt indes unbehelflich ist, gilt das auch für entsprechende mündliche Äusserungen. 2. Nach Ansicht des Beklagten zieht die Vorinstanz aus den beiden erwähnten Schreiben falsche Schlüsse; aus ihnen folge nämlich eindeutig, dass die Klägerin die beiden Wohnungen mit dem vom Beklagten vorgesehenen vertragskonformen Ausbau nicht akzeptiert hätte. Nach dem angefochtenen Urteil konnte indes der Beklagte diese Briefe nicht gutgläubig dahin verstehen, dass die Klägerin am Erwerb der Wohnungen nicht mehr interessiert sei. Die Klägerin brachte mit ihren Schreiben entschieden zum Ausdruck, dass sie das ganze Estrichgeschoss als zu den Dachwohnungen BGE 111 II 156 S. 159 gehörig beanspruchte und sich mit der abweichenden Meinung des Beklagten nicht abfinden wollte. Nichts erlaubte aber die Annahme, sie werde gegebenenfalls den Verzicht auf den Erwerb der Wohnungen ins Auge fassen. Die Androhung rechtlicher Schritte sollte gegenteils der Durchsetzung ihrer Auffassung dienen. Daran muss, wie die Vorinstanz zu Recht annimmt, die These des Beklagten scheitern, dass das Verhalten der Klägerin eine antizipierte Annahmeverweigerung im Sinn von Art. 91 OR dargestellt habe. Eine solche Annahmeverweigerung würde zudem einen Rücktritt des Beklagten nur nach Massgabe der Art. 107-109 OR rechtfertigen ( Art. 95 OR ). Der Beklagte hält diese Voraussetzungen für gegeben, weil unter den gegebenen Umständen eine Nachfristansetzung nicht erforderlich gewesen sei, da sie nach dem Verhalten der Klägerin unnütz gewesen wäre. Davon kann jedoch keine Rede sein, solange nicht einmal festgestellt ist, dass und wie der Beklagte auf die Schreiben der Klägerin reagiert hat; angesichts des unklaren Vertragsinhalts bestand Grund genug, durch Nachfristansetzung für eine Klärung zu sorgen (vgl. BGE 110 II 143 E. 1b). Dabei kann offenbleiben, ob die Klägerin sich in jenem Zeitpunkt bereits auf eine Nachfristansetzung hätte einlassen müssen. Da sie unterblieb, konnte der Beklagte jedenfalls nicht wirksam vom Vertrag zurücktreten. Es braucht deshalb auch nicht entschieden zu werden, ob er mündlich eine entsprechende Erklärung abgegeben hat und ob diese zum Gegenstand der Beweiserhebung hätte gemacht werden müssen. 3. Der Beklagte hält daran fest, dass die Klägerin finanziell gar nicht in der Lage gewesen wäre, den Vorvertrag zu erfüllen, das heisst die beiden Wohnungen Zug um Zug gegen Barzahlung von Fr. 289'000.-- zu erwerben. Die Klägerin habe schon im Frühjahr 1978 erklärt, dass sie den Kaufpreis nicht in bar erbringen könne, sondern ein altes Haus in Zahlung geben müsse. Das Obergericht hat den Antrag des Beklagten, der Klägerin den Beweis für die Finanzierungsmöglichkeit aufzuerlegen, verworfen. Nach seiner Ansicht hat nicht die Klägerin zu beweisen, dass sie zum Kauf in der Lage gewesen wäre; vielmehr habe der Beklagte zu beweisen, dass der Klägerin die Möglichkeit zur Übernahme gefehlt habe; dieser Beweis sei aber nicht erbracht worden. a) Die Vorinstanz behandelt die Frage der Beweislastverteilung im Zusammenhang mit dem vom Beklagten behaupteten Rücktrittsrecht BGE 111 II 156 S. 160 und nimmt deshalb an, Beweisthema sei der Wille der Klägerin zur Übernahme der Wohnungen. Tatsächlich hat der Beklagte im kantonalen Verfahren sein Rücktrittsrecht auch mit der Ablehnung der Barzahlung begründet. Dem ist aber entgegenzuhalten, dass selbst die völlige Insolvenz der Klägerin nach Art. 83 OR einen Rücktritt nur nach erfolglosem Sicherstellungsbegehren erlaubt hätte. Vor Bundesgericht kommt der Beklagte deshalb zu Recht nicht mehr auf dieses Argument zurück. Er stützt seine Auffassung, dass die Klägerin den Nachweis der Finanzierungsmöglichkeit zu erbringen habe, nunmehr eindeutig auf Schadenersatzrecht. Die Finanzierungsmöglichkeit sei eine Voraussetzung des Schadenersatzanspruchs und von der Klägerin zu beweisen, und zwar selbst dann, wenn ihm kein Recht zum Rücktritt zugestanden hätte. b) Diese Rüge ist begründet. Bei Vertragsverletzung gelten hinsichtlich des Schadenersatzes - vom Exkulpationsbeweis des Schuldners abgesehen - die Beweislastregeln des Deliktrechts ( Art. 99 Abs. 3 und Art. 42 OR ). Die Klägerin hat daher den behaupteten Schaden und damit auch den Kausalzusammenhang zwischen der Vertragsverletzung und dem ihr angeblich entgangenen Gewinn zu beweisen (KUMMER, N. 246 und N. 281 zu Art. 8 ZGB ). Da der Vorvertrag Barzahlung vorsah, muss sie auch den Beweis für die Zahlungsmöglichkeit erbringen. Zur Verteidigung der vom Obergericht vorgenommenen Beweislastverteilung führt die Klägerin in der Berufungsantwort freilich aus, ihre Erfüllungsmöglichkeit sei von vornherein zu vermuten und könne nicht durch eine unsubstantiierte Gegenbehauptung umgestossen werden. Entgegen ihrer Auffassung besteht indes keine natürliche Vermutung dafür, dass jeder Käufer von Eigentumswohnungen für Fr. 289'000.-- im massgeblichen Zeitpunkt den Preis bar zahlen kann. Die Klägerin hat daher den Beweis zu erbringen; sie ist dazu auch viel eher in der Lage als der Beklagte zum Beweis des Gegenteils. Bei dieser Sachlage braucht nicht entschieden zu werden, ob eine natürliche Vermutung überhaupt eine Umkehrung der Beweislast rechtfertigen könnte (vgl. dazu BGE 103 II 281 ; KUMMER, N. 142 f., 363 ff. zu Art. 8 ZGB ). Die Vorinstanz hat somit die Beweislast falsch verteilt und deshalb zum Nachteil des Beklagten ohne Beweisabnahme auf eine bestrittene Behauptung der Klägerin abgestellt. Damit hat sie Art. 8 ZGB verletzt, was insoweit zur Gutheissung der Berufung und Rückweisung der Streitsache führen muss. BGE 111 II 156 S. 161 4. Die Schadensberechnung des Obergerichts wird mit der Berufung zu Recht nicht angefochten. Dagegen macht der Beklagte geltend, seine Ersatzpflicht sei aufgrund von Art. 43 und 44 OR herabzusetzen, weil die Klägerin eine Mitverantwortung am Notverkauf der Wohnungen trage, denn durch ihr vertragswidriges Beharren auf Zuweisung des ganzen Estrichs habe sie zur Vertragsverletzung Anlass gegeben. Das Obergericht erwähnt den Herabsetzungsantrag in der Zusammenfassung der Parteivorbringen, geht aber in der Folge ohne Begründung über ihn hinweg. Die Klägerin behauptet in der Berufungsantwort, der Beklagte habe den Antrag verspätet erst an der Verhandlung vor Obergericht gestellt; nach kantonalem Prozessrecht hätte er die Herabsetzung bereits in den Rechtsschriften beantragen müssen. Wie es sich damit verhält, braucht nicht untersucht zu werden. Die Vorschriften von Art. 43 und 44 OR sind als Bundesrecht von Amtes wegen anzuwenden. Zudem ist im Antrag auf Abweisung einer Klageforderung sinngemäss auch jener auf Herabsetzung enthalten (vgl. BGE 109 II 121 E. 2). Ob eine Ermässigung der allfälligen Ersatzpflicht des Beklagten in Betracht fällt, muss deshalb unbekümmert darum geprüft werden, ob der Herabsetzungsantrag nach kantonalem Prozessrecht verspätet gestellt worden ist. Auf die Schadenersatzforderung wegen Nichterfüllung eines Vertrages finden grundsätzlich die Art. 43 und 44 OR Anwendung ( Art. 99 Abs. 3 OR ). Der vorliegende Sachverhalt legt indes keine Reduktion der Ersatzpflicht nahe. Denn obschon die Klägerin auf einer Vertragsauslegung bestand, die sich im kantonalen Verfahren als irrig erwiesen hat, rechtfertigte dies keineswegs, dass der Beklagte, ohne sich um eine weitere Klärung der Situation zu bemühen, einfach die Wohnungen an Dritte verkaufte. Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Berufung wird teilweise gutgeheissen, das Urteil des Obergerichts des Kantons Thurgau vom 11. September 1984 aufgehoben und die Sache zur Neubeurteilung im Sinne der Erwägungen an die Vorinstanz zurückgewiesen.
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Urteilskopf 103 V 101 24. Urteil vom 14. April 1977 i.S. Bretscher gegen Kantonales Amt für Industrie, Gewerbe und Arbeit, Zürich, und Rekurskommission für die Arbeitslosenversicherung des Kantons Zürich
Regeste Art. 13 Abs. 1 AlVG und Art. 1 Abs. 1 AlVV . Versicherungsfähigkeit eines Mitglieds der Kunstturner-Nationalmannschaft bejaht, das während eines bedeutenden Teils seiner Arbeitszeit vom Arbeitgeber für Training und Wettkampf beurlaubt wird und von dritter Seite den Lohnausfall vergütet erhält.
Sachverhalt ab Seite 101 BGE 103 V 101 S. 101 A.- Robert Bretscher (geb. 1953), Mitglied der Kunstturner-Nationalmannschaft, arbeitet seit 15. April 1969 als Maschinenschlosser bei der Schweiz. Lokomotiv- und Maschinenfabrik in Winterthur. Am 1. November 1975 ersuchte er BGE 103 V 101 S. 102 um Aufnahme in die Paritätische Arbeitslosen-Versicherungskasse der Metall- und anderer Industrien von Winterthur und Umgebung. Er war im massgebenden Zeitraum vom 1. November 1974 bis 31. Oktober 1975 während 110 Tagen einer regelmässigen und überprüfbaren Tätigkeit als Arbeitnehmer nachgegangen. Während 160 Tagen war er für Training und Wettkampf beurlaubt. Den dadurch erlittenen Lohnausfall erhielt er von der Stiftung Schweizer Sporthilfe und der "Pro Elite ETV" vergütet. Mit Verfügung vom 2. Dezember 1975 verneinte das Kantonale Amt für Industrie, Gewerbe und Arbeit, dem das Gesuch von der Kasse als Zweifelsfall unterbreitet worden war, die Versicherungsfähigkeit mangels Nachweises der regelmässigen Erwerbstätigkeit als Arbeitnehmer im massgebenden Zeitraum. B.- Die Rekurskommission für die Arbeitslosenversicherung des Kantons Zürich wies durch Entscheid vom 10. März 1976 eine gegen diese Verfügung erhobene Beschwerde mit der Begründung ab, der Rekurrent sei während seiner Tätigkeit als Spitzensportler nicht als Arbeitnehmer erwerbstätig. C.- Mit der vorliegenden Verwaltungsgerichtsbeschwerde lässt Robert Bretscher beantragen, in Aufhebung des kantonalen Entscheides und der Verfügung sei seine Versicherungsfähigkeit zu bejahen und die Kasse zu verpflichten, ihn ab 1. November 1975 gegen Arbeitslosigkeit zu versichern. Es wird im wesentlichen geltend gemacht, die dem Gesuchsteller von den Sportorganisationen vergüteten Ausfalltage für Training und Wettkampf, wofür er vom Arbeitgeber beurlaubt worden sei, müssten als Arbeitszeit angerechnet werden. An die Stelle der Tätigkeit im Betrieb sei als Surrogat - unter Aufrechterhaltung des Arbeitsvertrages - die sportliche Tätigkeit getreten; dienstliche und sportliche Tätigkeit seien gleichwertig zu erfassen. Andernfalls enthalte die gesetzliche Regelung eine Lücke, die es auszufüllen gelte. Während das Kantonale Amt für Industrie, Gewerbe und Arbeit auf eine Stellungnahme zur Verwaltungsgerichtsbeschwerde verzichtet, schliesst das Bundesamt für Industrie Gewerbe und Arbeit auf deren Abweisung. Das Bundesamt erklärt, die sportliche Tätigkeit des Gesuchstellers könne nicht als Erwerbstätigkeit im Sinne des Gesetzes gelten. Selbst wenn dies angenommen würde, müsse trotz genügender Überprüfbarkeit BGE 103 V 101 S. 103 dieser Tätigkeit die Vermittlungsfähigkeit verneint werden. Erwägungen Das Eidg. Versicherungsgericht zieht in Erwägung: 1. Beim Prozess um die Mitgliedschaft bei der Arbeitslosen-Versicherungskasse handelt es sich nicht um eine Streitigkeit um Versicherungsleistungen, weshalb das Eidg. Versicherungsgericht nur zu prüfen hat, ob der vorinstanzliche Entscheid Bundesrecht verletzt, einschliesslich Überschreitung oder Missbrauch des Ermessens, oder ob der rechtserhebliche Sachverhalt offensichtlich unrichtig, unvollständig oder unter Verletzung wesentlicher Verfahrensvorschriften festgestellt worden ist (Art. 132 in Verbindung mit Art. 104 lit. a und b sowie Art. 105 Abs. 2 OG ). 2. Gemäss Art. 13 Abs. 1 AlVG , der auf den vorliegenden Fall Anwendung findet (Art. 38 Abs. 1 lit. a und Abs. 4 des Bundesbeschlusses über die Einführung der obligatorischen Arbeitslosenversicherung vom 8. Oktober 1976), dürfen die Kassen als Versicherte nur versicherungsfähige Arbeitnehmer aufnehmen. Versicherungsfähig ist, wer regelmässig als Arbeitnehmer eine Erwerbstätigkeit ausübt, die genügend überprüfbar ist (lit. b), und wer auf Grund seiner körperlichen und geistigen Fähigkeiten sowie seiner persönlichen Verhältnisse vermittlungsfähig ist (lit. c). Als regelmässig erwerbstätige Arbeitnehmer gelten Personen, die in den 365 Tagen, welche dem Gesuch um Aufnahme in die Kasse vorausgehen, während mindestens 150 vollen Tagen im Dienste eines Arbeitgebers tätig gewesen sind und deren Tätigkeit genügend überprüfbar ist ( Art. 1 Abs. 1 AlVV ). 3. a) Im vorliegenden Fall ist unbestritten, dass der Beschwerdeführer die Voraussetzung von Art. 1 Abs. 1 AlVV erfüllt, sofern die ihm von der Stiftung Schweizer Sporthilfe bzw. der "Pro Elite ETV" vergüteten Ausfalltage, an denen er von seinem Arbeitgeber für Training und Wettkampf beurlaubt wurde, als genügend überprüfbare Arbeitszeit anzurechnen sind. Dies trifft zu. Die Abmachung, wonach der angestammte Arbeitgeber dem Eidgenössischen Turnverein gestattet, Robert Bretscher für die Verwirklichung seiner Ziele einzusetzen, gehört zum Inhalt des zwischen der Schweiz. BGE 103 V 101 S. 104 Lokomotiv- und Maschinenfabrik und dem Beschwerdeführer geltenden Arbeitsvertrages. Robert Bretscher ist somit während der ihm zugestandenen Sporturlaube auch als Turner objektiv und in überprüfbarer Weise erwerbstätig, Nicht entscheidend ist dabei, ob der Beschwerdeführer für die Zeit des Urlaubs von der Stiftung Schweizer Sporthilfe bzw. der "Pro Elite ETV" eine Verdienstausfallentschädigung erhält Oder ob der angestammte Arbeitgeber ihn voll bezahlt und dafür von jenen Organisationen im Ausmass der Urlaubszeit entschädigt wird. Unerheblich ist schliesslich, ob Robert Bretscher auch zum Eidgenössischen Turnverein in einem Arbeitsverhältnis steht. b) Es kann auch nicht gesagt werden, Robert Bretscher sei vermittlungsunfähig, weshalb seine Versicherungsfähigkeit zu verneinen sei. Der Beschwerdeführer hat zwar arbeitslosenversicherungsrechtlich keinen Anspruch darauf, während eines bedeutenden Teils seiner Arbeitszeit als Turner tätig zu sein. Es bestehen indessen keine Anhaltspunkte dafür, dass er im Falle von Arbeitslosigkeit als Maschinenschlosser objektiv nicht in der Lage wäre, eine ihm vermittelte, zumutbare Arbeit zu versehen, wobei er allenfalls auf Training und Wettkampf während der Arbeitszeit zu verzichten hätte. c) Da der Beschwerdeführer auch die übrigen Voraussetzungen ( Art. 13 Abs. 1 lit. a und d AlVG ) offensichtlich erfüllt, muss er als versicherungsfähig bezeichnet werden. Dispositiv Demnach erkennt das Eidg. Versicherungsgericht: In Gutheissung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde werden der Entscheid der Rekurskommission für die Arbeitslosenversicherung des Kantons Zürich vom 10. März 1976 sowie die Verfügung des Kantonalen Amtes für Industrie, Gewerbe und Arbeit vom 2. Dezember 1975 aufgehoben. Es wird festgestellt, dass der Beschwerdeführer auf Grund seiner Anmeldung vom 1. November 1975 versicherungsfähig ist.
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de
1,977
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CH_BGE_007
CH
Federation
27466fb3-c4c6-492f-942e-c9ec53e0d78e
Urteilskopf 142 IV 42 8. Estratto della sentenza della Corte di diritto penale nella causa A. contro Ministero pubblico del Cantone Ticino (ricorso in materia penale) 6B_958/2015 del 24 novembre 2015
Regeste Art. 429 StPO ; Entschädigung der beschuldigten Person, die über eine Rechtsschutzversicherung verfügt. Einer beschuldigten Person die Entschädigung bei Einstellung des Verfahrens alleine deswegen zu verweigern, weil sie über eine Rechtsschutzversicherung verfügt, verstösst gegen Art. 429 StPO (E. 2).
Sachverhalt ab Seite 42 BGE 142 IV 42 S. 42 A. Il 30 luglio 2010 a X. è avvenuto un incidente della circolazione stradale che ha visto coinvolti un'autovettura Ford guidata da A. e un motoveicolo Aprilia guidato da B. In seguito all'urto, il motociclista è deceduto il 1° agosto 2010. B. Il Procuratore pubblico del Cantone Ticino (PP) ha aperto nei confronti di A. un procedimento penale per il titolo di omicidio colposo. Dopo una serie di atti che non occorre qui evocare, terminata l'istruzione, con decisione del 19 maggio 2015 ha decretato l'abbandono del procedimento, negando contestualmente a A. un indennizzo ai sensi dell' art. 429 CPP . Il PP ha rilevato che sia l'onorario del difensore sia le spese per la partecipazione dell'imputato alla procedura erano coperti dalla sua assicurazione di protezione giuridica. C. Contro il diniego dell'indennità A. ha adito la Corte dei reclami penali del Tribunale d'appello (CRP). Con il reclamo ha chiesto di riconoscergli un indennizzo giusta l' art. 429 CPP di fr. 10'037.- per le spese legali e di fr. 1'113.50 per il danno economico derivante dalla sua partecipazione necessaria al procedimento penale. Con sentenza del 12 agosto 2015 la Corte cantonale ha respinto il reclamo per il fatto che l'interessato disponeva di un'assicurazione di protezione giuridica che copriva tali pretese. BGE 142 IV 42 S. 43 D. A. impugna questa sentenza con un ricorso in materia penale al Tribunale federale, chiedendo di annullarla e di modificare il dispositivo del decreto di abbandono nel senso di riconoscergli l'indennità richiesta. Il ricorrente fa valere la violazione del diritto federale, segnatamente dell' art. 429 cpv. 1 lett. a e b CPP . E. La Corte cantonale si rimette al giudizio del Tribunale federale, mentre il PP chiede di respingere il ricorso. Erwägungen Dai considerandi: 2. 2.1 Il ricorrente sostiene che il rifiuto di un'indennità (per le spese di difesa e per il danno economico derivante dalla partecipazione al procedimento penale) basato sull'esistenza di una copertura assicurativa di protezione giuridica violerebbe l' art. 429 cpv. 1 lett. a e b CPP . 2.2 La Corte cantonale ha ritenuto applicabile anche dopo l'entrata in vigore del CPP la propria giurisprudenza relativa al previgente CPP/TI, che negava all'accusato prosciolto un'indennità per la rifusione delle spese di patrocinio se disponeva di un'assicurazione di protezione giuridica. Al proposito ha richiamato il caso della responsabilità di più persone per cause diverse di cui all' art. 51 CO ed ha considerato che il danneggiato è tenuto a ridurre per quanto possibile il danno, attivando la sua copertura assicurativa. I giudici cantonali hanno inoltre rilevato che per motivi di equità e di trasparenza non si giustifica di trasferire allo Stato la copertura che le polizze di protezione giuridica offrono in materia penale. La precedente istanza ha invero fatto riferimento alla giurisprudenza del Tribunale federale esposta in DTF 135 V 473 e nella sentenza 6B_312/2010 del 13 agosto 2010, ma non l'ha ritenuta applicabile alla fattispecie. 2.3 Giusta l' art. 429 cpv. 1 CPP , se è pienamente o parzialmente assolto o se il procedimento nei suoi confronti è abbandonato, l'imputato ha diritto a un'indennità per le spese sostenute ai fini di un adeguato esercizio dei suoi diritti procedurali (lett. a); un'indennità per il danno economico risultante dalla partecipazione necessaria al procedimento penale (lett. b); una riparazione del torto morale per lesioni particolarmente gravi dei suoi interessi personali, segnatamente in caso di privazione della libertà (lett. c). Gli art. 429 segg. CPP non prevedono il rifiuto o la riduzione dell'indennizzo nel caso in cui l'imputato prosciolto beneficia di una BGE 142 IV 42 S. 44 copertura assicurativa di protezione giuridica (cfr., in particolare, art. 430 CPP ). Il Tribunale federale ha d'altra parte già avuto modo di precisare che è arbitrario negare a una parte un'indennità a titolo di ripetibili per il solo fatto ch'essa beneficia di un'assicurazione di protezione giuridica ( DTF 117 Ia 295 consid. 3). Mediante la stipulazione della polizza assicurativa e il pagamento dei relativi premi, l'assicurato tutela infatti solo la copertura del rischio dei costi a suo carico e non di quelli addossati alla controparte. La situazione non è diversa di quando il rischio dei costi è assunto da un'assicurazione di responsabilità civile, da un sindacato o da un'altra organizzazione. Del resto, neppure nel caso in cui una parte vincente beneficia del patrocinio gratuito la controparte soccombente è dispensata dall'obbligo di versarle un'indennità per ripetibili ( DTF 117 Ia 295 consid. 3). Questa giurisprudenza, sviluppata nella procedura civile, trova applicazione anche nella procedura amministrativa, segnatamente in materia di assicurazioni sociali ( DTF 135 V 473 consid. 3.1; DTF 122 V 278 consid. 3d e 3e/aa). Il Tribunale federale l'ha inoltre estesa alla procedura penale. Ha precisato che lo Stato, quando esercita l'azione penale, procede nei confronti dell'imputato con potere coercitivo. Se il procedimento penale sfocia in un'assoluzione o in un abbandono, la legge prevede pretese d'indennizzo a carico dello Stato, il quale non può sottrarsi al suo obbligo di risarcimento per il fatto che l'imputato è assicurato (sentenze 6B_976/2008 dell'8 giugno 2009 consid. 2.2; 6B_312/2010 del 13 agosto 2010 consid. 2.2; 6B_816/2013 del 22 gennaio 2014 consid. 3.2.4). Questa giurisprudenza è riportata senza particolari commenti anche da una parte della dottrina con riferimento agli art. 429 segg. CPP (cfr. WEHRENBERG/FRANK, in Basler Kommentar, Schweizerische Strafprozessordnung, 2 a ed. 2014, n. 17c ad art. 429 CPP ; NIKLAUS SCHMID, Schweizerische Strafprozessordnung [StPO], Praxiskommentar, 2 a ed. 2013, n. 7 ad art. 430 CPP ; CAMILLE PERRIER DEPEURSINGE, Code de procédure pénale suisse [CPP] annoté, 2015, pag. 520). 2.4 In concreto, la Corte cantonale ha negato al ricorrente qualsiasi indennità esclusivamente sulla base del fatto ch'egli beneficia di un'assicurazione di protezione giuridica. Alla luce dell'esposta giurisprudenza, è quindi incorsa nell'arbitrio ed ha omesso a torto di applicare l' art. 429 CPP . Contrariamente al parere della CRP, non si tratta di trasferire allo Stato la copertura di polizze assicurative private, quanto piuttosto di non addebitare all'imputato, che ha stipulato BGE 142 IV 42 S. 45 un'assicurazione e ne paga i premi, il rischio di costi che incombono di per sé allo Stato. Né i giudici cantonali potevano rinviare ai principi vigenti in materia di responsabilità per atti illeciti (art. 41 segg. CO) per esonerare l'autorità che ha esercitato l'azione penale dal suo obbligo di risarcimento derivante dall'abbandono del procedimento. In particolare, nemmeno un eventuale onere per il ricorrente di limitare il danno, può ragionevolmente estendersi a un obbligo di stipulare, prima peraltro che il danno si verifichi, un'assicurazione di protezione giuridica allo scopo di non fare sopportare all'ente pubblico il rischio di un risarcimento. Nelle esposte circostanze, il rifiuto di indennizzare il ricorrente viola pertanto il diritto federale. (...)
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274a29d3-0103-421f-90e4-f173b75f7a76
Urteilskopf 90 I 334 51. Auszug aus dem Urteil vom 16. Dezember 1964 i.S. Affolter und Mitbeteiligte gegen Regierungsrat des Kantons Luzern.
Regeste Eigentumsgarantie; Natur- und Heimatschutz; rechtliches Gehör. 1. Beschwerderecht der Gemeinde gegen einen Erlass, der zu ihrem Finanzvermögen gehörende Grundstücke betrifft (Erw. 1b). 2. Sind die betroffenen Grundeigentümer vor Erlass eines Landschaftsschutzplanes anzuhören? (Frage offen gelassen; Erw. 2). 3. Freie Prüfung der gesetzlichen Grundlagen weitreichender Landschaftsschutzmassnahmen (Erw. 3). Begriff der schützenswerten "Landschaft" (Erw. 3 a) und der "Verunstaltung" (Erw. 3 b). Verhältnismässigkeit von Landschaftsschutzmassnahmen (Erw. 3 c).
Sachverhalt ab Seite 335 BGE 90 I 334 S. 335 Der Regierungsrat des Kantons Luzern erliess am 18. Dezember 1944 eine Verordnung zum Schutze des Sempachersees und seiner Ufer. Diese untersagte die Errichtung von Bauten und Anlagen, die das Seeufer verunzieren oder in seiner landschaftlichen Wirkung beeinträchtigen; im Hinblick darauf schrieb sie vor, dass alle Bauten und Anlagen in einer Entfernung von weniger als 100 m vom Seeufer vor der Erteilung der ordentlichen Baubewilligung durch den Gemeinderat einer Bewilligung des kantonalen Baudepartements bedürfen. Im Laufe der Jahre erwies sich die Verordnung als ungenügend. Die kantonale Seeuferschutz-Kommission, die dem kantonalen Baudepartement und dem Regierungsrat in Seeuferschutz- und Bewilligungsfragen beratend und begutachtend zur Seite steht, wurde 1962 beauftragt, den Entwurf zu einer neuen Verordnung auszuarbeiten. Andererseits schlossen sich gegen 150 Eigentümer von Grundstücken am Sempachersee sowie die Einwohnergemeinderäte von vier Seeufergemeinden zur "Interessengemeinschaft Sempachersee" zusammen. Die kantonale Seeuferschutz-Kommission nahm am 30. Mai 1963 mit den Einwohnergemeinderäten der sieben am See gelegenen Gemeinden Eich, Neuenkirch, Nottwil, Oberkirch, Schenkon, Sempach und Sursee Fühlung. Sie holte zudem die Stellungnahme des Ornithologischen Vereins Sursee und Umgebung, des Luzerner Naturschutzbundes sowie der Naturforschenden Gesellschaft Luzern ein und trat mit der Interessengememschaft Sempachersee in Verbindung. BGE 90 I 334 S. 336 Am 16. Juni 1964 unterbreitete die Seeuferschutz-Kommission ihren Entwurf dem Regierungsrat, der gestützt darauf am 20. Juli 1964 eine neue Verordnung zum Schutze des Sempachersees und seiner Ufer mit zugehörigem Zonenplan erlassen hat. Die Verordnung teilt in § 2 das geschützte Gebiet in drei Zonen ein, deren Grenzen im Zonenplan festgelegt sind: in die Wasserzone, welche die Seefläche umfasst, in die Sperrzone, die aus einem Uferstreifen von 30 bis 300 m Breite besteht und in die zwei Pflanzen- und Vogelschutzreservate eingelassen sind, und in die Schutzzone, die sich landeinwärts daran anschliesst. § 4 der Verordnung untersagt in der Wasserzone und der Sperrzone alle baulichen Anlagen (Abs. 1); der Regierungsrat kann indes nach Anhörung der Seeuferschutz-Kommission bauliche Anlagen zum Schutz des Ufers, Bootshäuser, Quai-, Hafen-, Bade- und Fischereianlagen, landwirtschaftliche Anlagen sowie Camping- und Rastplätze unter sichernden Bedingungen und Auflagen bewilligen, sofern die Fischerei nicht beeinträchtigt und das Landschaftsbild nicht gestört wird (Abs. 2). Die Verordnung wurde am 25. Juli 1964 im Kantonsblatt veröffentlicht. Sie ist am 1. August 1964 in Kraft getreten. Am 15. September 1964 haben 121 Eigentümer von Grundstücken in der Sperrzone staatsrechtliche Beschwerde wegen Verletzung des Art. 4 BV und der Eigentumsgarantie erhoben. Die Beschwerdeführer sind nach Angaben der Beschwerde "mit verschwindend kleinen Ausnahmen" Mitglieder der Interessengemeinschaft Sempachersee; es handelt sich um 119 Privatpersonen und um die Einwohnergemeinden Oberkirch und Schenkon. Sie beantragen, es sei § 4 der Verordnung und der in § 2 erwähnte Zonenplan aufzuheben; vor der neuen Inkraftsetzung sei der Zonenplan in einem Planauflageverfahren gemeindeweise öffentlich bekanntzumachen und zur Einsichtnahme aufzulegen, wobei den betroffenen Grundeigentümern eine Frist für allfällige Einsprachen oder Abänderungsbegehren anzusetzen sei. BGE 90 I 334 S. 337 Das Bundesgericht hat die Beschwerde nach Einholung einer Vernehmlassung des Regierungsrates abgewiesen, soweit es darauf eingetreten ist. Erwägungen Aus den Erwägungen: 1. ...b) Die Beschwerde wird auch im Namen der Einwohnergemeinden Oberkirch und Schenkon erhoben, die durch ihre Gemeinderäte vertreten sind. Die Einwohnergemeinde Oberkirch ist Eigentümerin der im Gemeindebann Sursee gelegenen Parzelle Nr. 544, die Einwohnergemeinde Schenkon der auf ihrem Gemeindegebiet liegenden Parzelle Nr. 372; beide Grundstücke fallen in die Sperrzone. Der Regierungsrat spricht den Gemeinden das Beschwerderecht ab. Soweit nicht ihre Autonomie oder ihr Bestand in Frage stehen (was hier nicht behauptet wird), ist die Gemeinde nur insofern zur Erhebung der staatsrechtlichen Beschwerde berechtigt, als der angefochtene Erlass oder Entscheid sie in gleicher Weise wie einen Privaten trifft ( BGE 87 I 214 Erw. 2 mit Verweisungen; BGE 88 I 108 ; BGE 89 I 111 Erw. 1, 206 Erw. 1). Das ist, wie das Bundesgericht mit Urteil vom 25. Juni 1958 i.S. Birrwil (Erw. 3) erkannt hat, insbesondere dann der Fall, wenn der betreffende Erlass oder Entscheid in Rechte eingreift, die der Gemeinde als Grundeigentümerin zustehen. Dieser Schluss kann nicht in Zweifel gezogen werden, soweit die Gemeinde als Eigentümerin von Grundstücken auftritt, die zu ihrem Finanzvermögen gehören. Es fragt sich dagegen, ob der Gemeinde auch insofern das Beschwerderecht zuzuerkennen sei, als sie sich für die Rechte an einem Grundstück wehrt, das Verwaltungsvermögen darstellt oder eine öffentliche Sache im Gemeingebrauch ist. Die Frage kann indes offen bleiben, und es braucht demgemäss nicht untersucht zu werden, wie der Fall hier liege, da die Einwohnergemeinden Oberkirch und Schenkon keine andern Rügen erhoben haben als die übrigen Beschwerdeführer, auf deren Einwendungen ohnehin einzutreten ist. Es kann denn auch dahingestellt BGE 90 I 334 S. 338 bleiben, ob die Gemeinderäte (wie der Regierungsrat annimmt) zur Beschwerdeführung der Zustimmung der Gemeindeversammlung bedürften und ob ihnen deshalb eine Nachfrist zur Beibringung entsprechender Vollmachten anzusetzen sei (erwähntes Urteil i.S. Birrwil, Erw. 1). 2. Die Beschwerdeführer beanstanden in formeller Hinsicht, dass dem Erlass der Schutzverordnung und des Zonenplanes kein Einspracheverfahren vorausging. Sie erblicken hierin einen Verstoss gegen das Willkürverbot, eine formelle Rechtsverweigerung und eine Verletzung des Gebots von Treu und Glauben. Diese Vorwürfe lassen sich in der Rüge der Verweigerung des rechtlichen Gehörs zusammenfassen, die sie gleichfalls erhoben haben. Das kantonale Recht enthält keine Bestimmungen über die Anhörung der betroffenen Grundeigentümer im Falle des Erlasses von Heimatschutzvorschriften und zugehörigen Zonenplänen. Es kann sich deshalb nur fragen, ob der Regierungsrat unmittelbar auf Grund des Art. 4 BV zu einer Anhörung der Beteiligten verpflichtet gewesen sei. Das Bundesgericht hat mit Urteil vom 11. September 1963 i.S. Basler Terraingesellschaft AG (abgedruckt in ZBl 1964 S. 216 ff.) erkannt, dass die Anhörungspflicht dem Grundsatze nach wohl in Verwaltungssachen, nicht aber mit Bezug auf die materielle Rechtssetzung im Sinne des Erlasses genereller und abstrakter Normen Platz greift. Es hat es dabei offen gelassen, ob ein Zonenplan ein allgemein verbindlicher Erlass oder eine Summe von Einzelverfügungen sei, sondern hat ungeachtet der Zuordnung des Planes zu der einen oder andern Gruppe mit Rücksicht auf die fehlende Abstraktheit des dort geprüften städtischen Bebauungsplanes geschlossen, dass der betroffene Grundeigentümer einen Anspruch darauf habe, im Planfestsetzungsverfahren angehört zu werden. Der hier angefochtene regionale Landschaftsschutzplan fasst grosse Landstriche zu einer Einheit zusammen; er trifft wesentlich weniger Abstufungen und ist damit auch entsprechend abstrakter als der vorerwähnte städtische BGE 90 I 334 S. 339 Bebauungsplan. Es fragt sich deshalb, ob die mit Bezug auf diesen gezogenen Folgerungen sich ohne weiteres auf einen Plan der vorliegenden Art übertragen liessen. Darüber hinaus fragt es sich, ob sich die durch das genannte Urteil eingeleitete Rechtsprechung angesichts der dagegen angemeldeten Bedenken aufrecht erhalten lasse. Wie sich im Folgenden ergibt, können jedoch beide Fragen im vorliegenden Zusammenhang offen bleiben. Die als Sachbearbeiterin des Regierungsrates amtende kantonale Seeuferschutz-Kommission unterbreitete den Entwurf der Verordnung und des Zonenplanes im Massstab 1: 5000 am 30. Mai 1963 den Gemeinderäten der Seeufergemeinden zur Stellungnahme. Die beschwerdeführenden Einwohnergemeinden Oberkirch und Schenkon brachten mit Eingaben vom 27. und 28. Juni 1963 ihre Einwendungen vor. Die Seeuferschutz-Kommission trat darüber hinaus mit der Interessengemeinschaft Sempachersee in Verbindung und gab ihr den Verordnungsentwurf bekannt. Der Vorstand der Vereinigung bezog in einer Besprechung vom 19. Dezember 1963 sowie in Eingaben vom 28. Dezember 1963 und 12. Mai 1964 zur Vorlage Stellung. Die erstgenannte Eingabe setzte sich eingehend mit den einzelnen Bestimmungen des Entwurfes und insbesondere auch mit dem hier streitigen § 4 auseinander. Eine der wichtigsten Einwendungen des Vorstandes richtete sich dagegen, dass in der Sperrzone nur "dem öffentlichen Interesse dienende" Anlagen zugelassen werden sollten. Dieser Beanstandung wurde durch Streichung des bemängelten Zusatzes Rechnung getragen. Da die Interessengemeinschaft die Einwohnergemeinden Oberkirch und Schenkon zu ihren Mitgliedern zählt, denen der Zonen-. plan ausgehändigt worden war, war ihr auch der Plan zugänglich. Aus den Eingaben des Vorstandes geht denn auch hervor, dass er über die Tragweite der Vorlage genau im Bilde war. Die in der Interessengemeinschaft vereinigten Grundeigentümer können demnach nicht geltend machen, sie hätten keine Gelegenheit gehabt, sich über den Inhalt BGE 90 I 334 S. 340 der Vorlage zu unterrichten und dazu Stellung zu nehmen, wie sie sich auch nicht darüber beklagen können, dass ihre Einwendungen nicht geprüft worden seien. Es standen ihnen damit alle Möglichkeiten offen, die sie im Einspracheverfahren wahrnehmen wollen. Sollte der Regierungsrat beim Erlass der Schutzverordnung und des Zonenplanes zu einer Anhörung der beteiligten Grundeigentümer verpflichtet gewesen sein, so wäre er mithin den Mitgliedern der Interessengemeinschaft gegenüber wenn auch nicht der Form, so doch der Sache nach dieser Obliegenheit nachgekommen. Die Rüge der Gehörsverweigerung geht, soweit von ihrer Seite erhoben, schon aus diesem Grunde fehl. Die Beschwerde weist freilich darauf hin, dass nicht alle Beschwerdeführer Mitglieder der Interessengemeinschaft sind; eine "verschwindend kleine Ausnahme" soll ausserhalb ihrer Reihen stehen. Um den Anforderungen des Art. 90 Abs. 1 lit. b OG zu genügen, hätte die Beschwerdeschrift sich näher über diesen Punkt auszusprechen gehabt. Das ist nicht geschehen. Der betreffende Vorbehalt kann deshalb nicht gehört werden. 3. Der angefochtene § 4 der Schutzverordnung beinhaltet öffentlich-rechtliche Eigentumsbeschränkungen. Solche sind mit der Eigentumsgarantie nur vereinbar, wenn sie auf gesetzlicher Grundlage beruhen, im öffentlichen Interesse liegen und, sofern sie in der Wirkung einer Enteignung gleichkommen, gegen Entschädigung erfolgen ( BGE 89 I 384 mit Verweisungen, 467). Die Beschwerdeführer bestreiten, dass § 4 der Schutzverordnung über eine gesetzliche Grundlage verfüge. Angesichts der Tragweite der angefochtenen Bestimmung, die ausgedehnte Gebiete mit einem Bauverbot belegt, ist das Bundesgericht in der Prüfung dieser Frage grundsätzlich frei ( BGE 89 I 467 /68). Im Ingress der Verordnung beruft sich der Regierungsrat auf Art. 702 ZGB , § 99 EG ZGB, § 9 des kantonalen Gesetzes betreffend die Fischerei sowie §§ 49 und 50 des kantonalen Gesetzes über Jagd und BGE 90 I 334 S. 341 Vogelschutz. In der Vernehmlassung nennt er in diesem Zusammenhang ferner § 2 des kantonalen Wasserrechtsgesetzes und § 18 des kantonalen Gesetzes über den Gewässerschutz. Wie sich im folgenden ergeben wird, ermächtigt schon § 99 EG ZGB allein den Regierungsrat zum Erlass des § 4 der Schutzverordnung. Es braucht deshalb nicht entschieden zu werden, ob auch die weiteren im Ingress und in der Vernehmlassung erwähnten Bestimmungen die gesetzliche Grundlage dieser Vorschrift abzugeben vermöchten. a) Nach § 99 Abs. 1 EG ZGB ist der Regierungsrat berechtigt, "auf dem Verordnungswege zum Schutz und zur Erhaltung von historischen und Kunstdenkmälern, Altertümern, Naturdenkmälern, Alpenpflanzen und andern seltenen Pflanzen, zur Sicherung der Landschaften, Ortschaftsbilder und Aussichtspunkte vor Verunstaltung und zum Schutze von Heilquellen die nötigen Verfügungen zu treffen und Strafbestimmungen aufzustellen". Der Begriff der "Landschaft" ist weiter als der des "Landschaftsbildes", den Art. 96 Abs. 2 des schaffhausischen EG ZGB verwendet und von dem BGE 89 I 471 handelt. Die Berufung auf jenes Urteil geht daher in dieser Hinsicht fehl. Während als "Landschaftsbild" im Sinne des schaffhausischen Rechts nur ein zusammenhängendes, einen einheitlichen Anblick bietendes Objekt von verhältnismässig begrenztem Umfang (wie etwa ein See- oder Flussufer, ein Weiher mit Umgelände, eine Berg- oder Hügelkuppe) gilt, ist unter einer "Landschaft" ein Gebiet zu verstehen, das eine gewisse Ausdehnung aufweisen kann, dabei aber infolge bestimmter Eigenarten gleichwohl eine Einheit bildet (ZBl 1964 S. 159). In diesem Sinne hat das Bundesgericht in Anwendung der entsprechenden Begriffe des zürcherischen (§ 182 Abs. 2) und des st. gallischen (Art. 123) EG ZGB unter anderem den Greifensee, den Pfäffikersee und den Obersee mit Umgebung als "Landschaft" bezeichnet, welche Objekte sich flächenmässig durchaus mit dem Sempachersee und seinen Ufern vergleichen lassen. Aus BGE 90 I 334 S. 342 der Zwecksetzung des § 99 Abs. 1 EG ZGB ergibt sich andererseits, dass unter einer "Landschaft" im Sinne dieser Bestimmung nur eine solche zu verstehen ist, die sich durch besondere Vorzüge auszeichnet und die deshalb geschützt zu werden verdient (vgl. BGE 87 I 516 /17, BGE 88 I 230 /31; MBVR Bd. 61 S. 371; ZBl 1963 S. 437 a). Das Bundesgericht ist schon wiederholt davon ausgegangen, dass dem Sempachersee ein besonderer Schönheitswert zukommt (Urteile vom 21. Dezember 1949 i.S. Heuer, Erw. 1, vom 13. November 1957 i.S. Munzinger, vom 5. März 1958 i.S. Heizmann). Die Beschwerdeführer ankennen denn auch ausdrücklich, dass der Sempachersee einschliesslich seiner näheren Umgebung "zu den Landschaften gehört, die unter dem Gesichtspunkt von § 99 EG ZGB schützens- und sicherungswert sind". b) § 99 Abs. 1 EG ZGB spricht von einer Sicherung der Landschaft "vor Verunstaltung". Als Verunstaltung gilt nach der Rechtsprechung ein Gegensatz zum Bestehenden, der erheblich stört ( BGE 82 I 108 , ZBl 1964 S. 537). Die Beschwerdeführer bestreiten, dass jedes Haus, das in der Sperrzone errichtet werde, notwendigerweise und ungeachtet seiner Grösse, Farbe und baulichen Ausgestaltung die Landschaft verunstalte. Sie schliessen, dass sich das in § 4 Abs. 1 der Verordnung ausgesprochene Verbot aller baulichen Anlagen in der Sperrzone daher nicht auf § 99 EG ZGB stützen lasse. Der Regierungsrat hält dem entgegen, bei einer Zulassung einzelner der Landschaft gut angepasster Wohn- oder Ferienhäuser müssten aus Gründen der rechtsgleichen Behandlung auch andere derartige Bauten bewilligt werden; das hätte über kurz oder lang eine Anhäufung von Bauten zur Folge, welche der Landschaft den Reiz der Ursprünglichkeit nehmen und darüber hinaus die angestammte Pflanzenwelt (insbesondere den das Landschaftsbild kennzeichnenden Schilfgürtel) gefährden würde. Diese Betrachtungsweise ist, wie das Bundesgericht wiederholt erkannt hat, nicht willkürlich; sie hält darüber hinaus auch einer freien BGE 90 I 334 S. 343 Überprüfung stand (vgl. BGE 89 I 477 ; Urteile vom 18. Juli 1941 i.S. Wettstein, Erw. 2, vom 21. Dezember 1949 i.S. Heuer, Erw. 3 b, vom 12. Juni 1957 i.S. Jucker, Erw. 6, vom 13. November 1957 i.S. Munzinger, Erw. 4, vom 25. Juni 1958 i.S. Birrwil, Erw. 5 a). c) Im Sinne des Grundsatzes der Verhältnismässigkeit polizeilicher Eingriffe ermächtigt § 99 Abs. 1 EG ZGB den Regierungsrat nur zum Erlass der "nötigen" Verfügungen zur Sicherung der Landschaft; diese dürfen nicht über das hinausgehen, was erforderlich ist, um den Zweck zu erreichen, durch den sie gedeckt sind (vgl. ZBl 1959 S. 104 c). Nach Ansicht der Beschwerdeführer hätte es zur Sicherung der Landschaft vor Verunstaltung genügt, wenn der Regierungsrat es beim Bewilligungssystem der alten Schutzverordnung hätte bewenden lassen; es hätte dazu nicht des in § 4 Abs. 1 der neuen Verordnung eingeführten allgemeinen Verbots baulicher Anlagen in der Sperrzone bedurft. Diese Einwendung ist unbegründet. Das Bundesgericht hat in dem von den Beschwerdeführern angerufenen Urteil BGE 89 I 463 b erkannt, dass eine Bestimmung, die, wie die alte Schutzverordnung, der Behörde einen sehr ausgedehnten Spielraum des Ermessens einräumt, diese nicht von der Einhaltung der das betreffende Gebiet beschlagenden allgemeinen Rechtsgrundsätze (wie des Verbots der Willkür und der rechtsungleichen Behandlung, des Gebots von Treu und Glauben und des Grundsatzes der Notwendigkeit und Verhältnismässigkeit der Verwaltungsakte) entbindet. Wenn die Behörde unter der Herrschaft des Bewilligungssystems eine Baute zuliesse, so hätte sie um der Rechtsgleichheit willen alle weiteren unter gleichen oder ähnlichen Voraussetzungen eingereichten Bewilligungsgesuche gutzuheissen, was zu der erwähnten Anhäufung von Gebäuden führen würde. Um diese den Bestrebungen des Landschaftsschutzes zuwiderlaufende Folge zu vermeiden, bliebe der Behörde nichts anderes übrig, als von Anfang an jede Bewilligung zu versagen. Die Bewilligungspraxis würde dergestalt BGE 90 I 334 S. 344 ein Ergebnis zeitigen, das dem in § 4 Abs. 1 der Schutzverordnung ausgesprochenen Verbot gleichkäme. Das zeigt, dass der Regierungsrat mit der Aufnahme dieses Verbotes nicht weiter gegangen ist, als es der Sache nach erforderlich war. § 4 der Schutzverordnung ist im übrigen insofern vom Grundsatz der Verhältnismässigkeit geprägt, als er das in Abs. 1 ausgesprochene Verbot in Abs. 2 mit einem Erlaubnisvorbehalt verbindet. Danach können in der Sperrzone bestimmte bauliche Anlagen (nicht aber Wohn- und Ferienhäuser) bewilligt werden, sofern sie die Fischerei nicht beeinträchtigen und das Landschaftsbild nicht stören. Es handelt sich zur Hauptsache um Anlagen, die ihrem Wesen und ihrer Bestimmung nach sich leicht in die Landschaft einpassen lassen (wie landwirtschaftliche Anlagen, bauliche Anlagen zum Schutze des Ufers, Fischereianlagen), oder deren Zahl aus Gründen des Bedarfs von vornherein beschränkt ist (Quai-, Hafen- und Badeanlagen, Camping- und Rastplätze), so dass nicht mit einer untragbaren Anhäufung solcher Einrichtungen zu rechnen ist (vgl. erwähntes Urteil i.S. Jucker, Erw. 6). Abs. 2 ergänzt auf diese Weise Abs. 1, ohne dazu in Widerspruch zu stehen. Ein weiteres Zugeständnis an den Grundsatz der Verhältnismässigkeit liegt in der allgemeinen Härteklausel des § 12 der Schutzverordnung. Danach kann der Regierungsrat dann, wenn ausserordentliche Verhältnisse vorliegen und die Anwendung der Zonenvorschriften nicht zumutbar wäre, nach Anhörung des zuständigen Gemeinderates und der Seeuferschutz-Kommission Ausnahmen bewilligen, soweit dadurch das Ufer- und Landschaftsbild nicht gestört wird. Trotz seiner unbestimmten Fassung räumt § 12 der Schutzverordnung damit dem Ermessen der Behörde keinen weiteren Spielraum ein, als es bei dem von den Beschwerdeführern befürworteten Bewilligungssystem der Fall wäre. Hier wie dort ist die Handhabung des behördlichen Ermessens an die auf diesem Gebiete massgebenden allgemeinen BGE 90 I 334 S. 345 Rechtsgrundsätze gebunden (vgl. BGE 89 I 463 b). Vom Standpunkt der Wahrung der Freiheit und Rechte des Einzelnen aus, der auch der Grundsatz der Verhältnismässigkeit dient, ist die in der Schutzverordnung getroffene Regelung mithin der von den Beschwerdeführern vorgeschlagenen Lösung mindestens ebenbürtig, d) Nach § 99 Abs. 2 EG ZGB sind die Gemeinden nur insoweit berechtigt, Heimatschutzbestimmungen zu erlassen, als der Regierungsrat erklärt, von seinem Verordnungsrecht keinen Gebrauch machen zu wollen. Das Gesetz räumt dem Regierungsrat auf diesem Gebiet somit den Vortritt ein. Wenn es dem Regierungsrat mit dem Schutz des Sempachersees und seiner Ufer ernst war, so konnte er nicht zugunsten der Gemeinden auf die Ausübung seiner Befugnisse verzichten. Das Gebiet des Sempachersees ist eine Einheit; es war daher folgerichtig, zu seinem Schutze einheitliche Bestimmungen zu erlassen. Dass sich die sieben Seeufergemeinden über eine einheitliche Regelung hätten verständigen können, ist umso unwahrscheinlicher, als sie auch der Schutzverordnung gegenüber verschieden Stellung genommen haben...
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1,964
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CH_BGE_001
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274c3ab5-255b-4f05-861b-f4608784db85
Urteilskopf 116 Ib 410 51. Extrait de l'arrêt de la IIe Cour de droit public du 14 décembre 1990 en la cause Kehtari contre Département fédéral de l'intérieur et Comité directeur des examens fédéraux des professions médicales (recours de droit administratif)
Regeste Voraussetzungen für einen endgültigen Ausschluss von den eidgenössischen Prüfungen für Ärzte; besondere Fachprüfung für Auslandschweizer und eingebürgerte Schweizer. 1. Gesetz- und Verfassungsmässigkeit von Art. 39 der Allgemeinen Medizinalprüfungsverordnung (AMV) und von Art. 3 lit. d der Verordnung über besondere Fachprüfungen für Auslandschweizer und eingebürgerte Schweizer (E. 3). 2. Es ist sachgerecht zu schliessen, dass ein Kandidat, der eine Prüfung über die grundlegenden Kenntnisse in der gewählten Berufsart drei Mal nicht bestanden hat, zur Ausübung dieses Berufes nicht geeignet ist. Es ist daher nicht unverhältnismässig, die Anzahl Prüfungsversuche, auf die ein Kandidat Anspruch hat, auf drei zu begrenzen, bevor er endgültig von jeder weiteren Prüfung in der gleichen medizinischen Berufsart ausgeschlossen wird. Ausnahmen von dieser Regel zuzulassen hiesse gleichzeitig, eine grosse Missbrauchsgefahr zu schaffen, namentlich auch im Bereich der besonderen Fachprüfungen für Auslandschweizer und eingebürgerte Schweizer (E. 4a-c). 3. Die ungeschriebene Regel, wonach zur Vermeidung eines besonderen Härtefalls von den Vorschriften über die eidgenössischen Medizinalprüfungen abgewichen werden kann, kommt im vorliegenden Fall nicht zur Anwendung (E. 4d).
Sachverhalt ab Seite 411 BGE 116 Ib 410 S. 411 D'origine iranienne, Gholam-Reza Kehtari a commencé des études de médecine à l'Université nationale d'Iran. En 1970, après avoir épousé une ressortissante suisse, il est venu en Suisse pour y continuer ses études. Le 22 octobre 1971, il a réussi le deuxième examen propédeutique de la faculté de médecine de l'Université de Lausanne. Par la suite, il a échoué trois fois au troisième examen propédeutique de cette faculté. Il est alors retourné en Iran où il a terminé ses études de médecine en 1979. Après avoir travaillé trois ans en tant que médecin anesthésiste dans un centre universitaire en Iran, l'intéressé est revenu en Suisse avec sa famille en 1983 en raison des événements survenus dans son pays; il a depuis lors exercé son activité dans différents hôpitaux en qualité de médecin assistant puis, pendant une année, comme chef de clinique. En 1986, il a obtenu la nationalité suisse. Le 30 mars 1989, Gholam Kehtari a demandé son admission à l'examen professionnel particulier de médecin prévu par l'ordonnance concernant les examens professionnels particuliers pour Suisses de l'étranger et Suisses naturalisés édictée le 18 novembre 1975 par le Département fédéral de l'intérieur (ci-après l'ordonnance du 18 novembre 1975; RS 811.112.13). BGE 116 Ib 410 S. 412 Par décision du 23 mai 1989, le Comité directeur des examens fédéraux des professions médicales (ci-après le Comité directeur) a rejeté la demande en appliquant par analogie au requérant l'art. 3 lettre d de l'ordonnance du 18 novembre 1975; l'autorité saisie a estimé qu'un candidat ayant échoué trois fois à un examen de faculté ne peut plus se présenter à l'examen professionnel particulier. Statuant sur recours le 19 février 1990, le Département fédéral de l'intérieur a confirmé la décision du Comité directeur. Agissant en temps utile par la voie du recours de droit administratif, Gholam-Reza Kehtari demande au Tribunal fédéral d'annuler, sous suite de frais et dépens, les décisions du 10 janvier 1990 et du 23 mai 1989 en constatant qu'il doit être admis à l'examen professionnel particulier. A l'appui de ses conclusions, le recourant estime tout d'abord que l'art. 39 de l'ordonnance générale concernant les examens fédéraux des professions médicales du 19 novembre 1980 (OGPM; RS 811.112.1) ne respecte pas le principe de la légalité et viole ainsi l' art. 4 Cst. ; il se plaint par ailleurs d'une atteinte à sa liberté du commerce et de l'industrie garantie par l' art. 31 Cst. Dans leurs observations respectives, le Département fédéral de l'intérieur et le Comité directeur proposent le rejet du recours. Le Tribunal fédéral a rejeté le recours. Erwägungen Extrait des considérants: 2. L'art. 3 lettre d de l'ordonnance du 18 novembre 1975 prévoit que le diplôme final d'une université étrangère ne donne pas le droit d'être admis à l'examen professionnel particulier lorsque "le Suisse de l'étranger ou le Suisse naturalisé l'a obtenu après avoir été exclu définitivement d'examens fédéraux antérieurs". Fixant les conditions de l'exclusion définitive, l'art. 39 OGPM stipule pour sa part que "le candidat qui a échoué trois fois à un examen ou à une partie d'examen n'est plus autorisé à s'inscrire à aucun autre examen de la même profession". 3. Le recourant conteste la validité de l'art. 39 OGPM en prétendant qu'il outrepasserait la délégation en faveur du Conseil fédéral que contient la loi du 19 décembre 1877 concernant l'exercice des professions de médecin, de pharmacien et de vétérinaire dans la Confédération suisse (ci-après la loi de 1877; RS 811.11). BGE 116 Ib 410 S. 413 a) La loi de 1877 ne fixe pas elle-même en détail les conditions auxquelles est subordonnée la délivrance du diplôme fédéral de médecine. Selon l'art. 6 de cette loi, il appartient notamment au Conseil fédéral de régler par une ordonnance d'exécution "les connaissances scientifiques requises des aspirants" (lettre b). Le Conseil fédéral s'est acquitté de cette mission en édictant un premier règlement pour les examens fédéraux de médecine le 2 juillet 1880, qu'il a modifié à de nombreuses reprises depuis lors (cf. ATF 105 Ib 402 ). Le 19 novembre 1980, il a édicté l'OGPM qui a été expressément approuvée par un arrêté simple de l'Assemblée fédérale le 17 décembre 1981. Parallèlement, le Département fédéral de l'intérieur a édicté l'art. 3 lettre d de l'ordonnance du 18 novembre 1975 en se fondant sur l'art. 17 al. 3 du règlement des examens fédéraux pour les professions médicales du 22 décembre 1964. Cette dernière norme ayant été abrogée, l'ordonnance du département s'appuie aujourd'hui sur l'art. 26 al. 3 OGPM qui lui enjoint expressément d'arrêter les dispositions fixant les conditions relatives à l'examen professionnel particulier et les matières sur lesquelles il porte. b) Hormis quelques exceptions non réalisées en l'espèce, le Tribunal fédéral peut en principe examiner la validité d'une ordonnance du Conseil fédéral. Sont en particulier soumises à ce contrôle les ordonnances qui, comme en l'occurrence, se fondent sur une délégation législative. Dans ce cadre, le Tribunal fédéral vérifie si l'ordonnance reste dans les limites des compétences attribuées par la loi au Conseil fédéral. Par ailleurs, pour autant que la loi n'autorise pas expressément le gouvernement fédéral à déroger à la constitution ou à édicter une réglementation déterminée, le Tribunal fédéral est également habilité à revoir la constitutionnalité des règles contenues dans l'ordonnance. Lorsque la délégation législative accorde au Conseil fédéral un pouvoir formateur étendu, Le Tribunal fédéral s'astreint à une certaine réserve et se limite à examiner si les dispositions contestées de l'ordonnance sortent manifestement du cadre des compétences déléguées ou violent clairement la loi ou la constitution. Sous cet angle, il renonce, par ailleurs, à substituer sa propre appréciation à celle du délégataire. Il lui incombe toutefois de contrôler si le but fixé dans la loi par le législateur peut être atteint par l'ordonnance et si, à cet égard, le Conseil fédéral a usé de son pouvoir conformément au principe de la proportionnalité ( ATF 114 Ib 19 consid. 3; 112 Ib 368 consid. c; ATF 110 V 256 /257; ATF 109 Ib 288 consid. 2a). BGE 116 Ib 410 S. 414 L'étendue du contrôle des ordonnances prises sur délégation n'est pas restreint par le fait que l'ordonnance en cause a été approuvée après coup par un arrêté simple de l'Assemblée fédérale; du moment que l'ordonnance et l'arrêté simple sont deux sortes d'actes vérifiables par le Tribunal fédéral, il en va de même de leur conjonction ( ATF 109 Ib 85 /86, ATF 106 Ib 186 , 104 Ib 423). Tout au plus peut-on considérer qu'une approbation du législateur, autorité délégante, tend à établir que le délégataire a rempli la tâche qui lui était assignée, les dispositions de l'ordonnance approuvées étant en principe aptes à atteindre le but fixé par la loi. c) L'art. 6 de la loi de 1877 donne pour mission au Conseil fédéral de régler par ordonnance "les connaissances requises des aspirants". Il résulte logiquement de la définition de cette tâche que le Conseil fédéral doit fixer les limites en deçà desquelles un candidat ne peut pas être admis aux examens. Dès lors, en considérant, dans le cadre du large pouvoir d'appréciation que lui confère la loi, qu'un candidat ayant échoué à trois reprises à un examen ou à une partie d'examen ne peut plus s'inscrire à un autre examen de la même profession, le Conseil fédéral a précisément fixé les limites extrêmes pour l'admission d'un candidat aux examens; celui qui a échoué à trois reprises aux mêmes épreuves est considéré comme n'ayant pas les connaissances scientifiques indispensables pour pouvoir continuer des études de médecine (FF 1981 I p. 136 No 218). En édictant cette règle, le Conseil fédéral s'en est donc strictement tenu au mandat que lui a confié le parlement. Comme, par ailleurs, l'intervention du Département fédéral de l'intérieur dans le domaine des examens professionnels particuliers est clairement prévue par l'art. 26 OGPM, l'ordonnance du 18 novembre 1975 dispose en principe d'une base légale suffisante. En reprenant à l'art. 3 lettre d de cette ordonnance la notion d'exclusion définitive qui renvoie à l'art. 39 OGPM, le Département a posé pour les Suisses de l'étranger et les Suisses naturalisés la même exigence que celle qui est appliquée aux Suisses d'origine séjournant dans le pays; restant ainsi dans le cadre de la simple exécution et respectant le système - lui-même conforme à la loi de 1877 - mis en place par l'OGPM, l'art. 3 lettre d susmentionné ne va pas au-delà de ce que permet la norme de base - l'art. 39 OGPM -, ni ne modifie son contenu. BGE 116 Ib 410 S. 415 C'est donc à tort que le recourant prétend que les dispositions sur lesquelles est fondée la décision attaquée manquent de base légale parce qu'édictées dans des ordonnances qui seraient fondées sur une délégation insuffisante. 4. a) Après avoir constaté que le principe de la légalité est, en l'occurrence, respecté par les normes contestées, le Tribunal fédéral doit, sur le fond de la réglementation, tenir compte du large pouvoir d'appréciation que la loi de 1877 laisse au Conseil fédéral; son examen ne peut porter que sur le point de savoir si le gouvernement a manifestement excédé le pouvoir d'appréciation qui lui a été délégué ou si, pour une autre raison, les dispositions litigieuses des ordonnances sont contraires à la loi ou à la constitution. Le Tribunal fédéral vérifie en outre que la règle contestée réalise le but poursuivi par le législateur et que le principe de la proportionnalité a été respecté (cf. ci-dessus consid. 3b). b) Le recourant soutient à cet égard que les art. 39 OGPM et 3 lettre d de l'ordonnance du 18 novembre 1975 violent les art. 4, 31 et 33 de la Constitution. S'il admet que la profession de médecin doit être réservée aux seules personnes qui sont capables de l'exercer et ne met pas en cause la nécessité d'obtenir le diplôme fédéral, il prétend en revanche que, par leur schématisme, les décisions attaquées violent la liberté du commerce et de l'industrie et le principe de la proportionnalité. La présomption irréfragable qu'un triple échec aux examens propédeutiques ferait la preuve de l'inaptitude à exercer une profession médicale serait inutile, excessive et, par conséquent, disproportionnée. A l'appui de ses arguments, le recourant se prévaut du fait qu'il a fonctionné à satisfaction comme assistant, puis comme chef de clinique au département de médecine de l'Hôpital des Cadolles à Neuchâtel pour tenter de démontrer que la présomption tirée de l'échec aux examens propédeutiques est excessive dans la mesure où elle est absolue. La définition des connaissances exigées des candidats aux examens fédéraux de médecine nécessite la fixation de limites; avec pour conséquence que celui qui ne remplit pas les conditions posées est exclu desdits examens. La règle de l'art. 39 OGPM n'a pas d'autre but. De ce point de vue, elle est raisonnable, car il ne fait pas de doute qu'un candidat qui, à trois reprises, échoue aux examens portant sur les connaissances de base de la profession qu'il envisage d'embrasser ne peut pas prétendre offrir toutes les garanties nécessaires pour l'exercer. Admettre des exceptions à BGE 116 Ib 410 S. 416 cette règle ouvrirait très largement la porte à des abus, même pour les citoyens suisses d'origine. Rien n'empêcherait en effet celui qui aurait échoué trois fois à ses examens propédeutiques de poursuivre ses études à l'étranger, d'y obtenir un titre universitaire, puis de revenir en Suisse pour exercer sa profession comme assistant avant de demander à passer un examen facilité pour obtenir l'autorisation de pratiquer dans notre pays. Ainsi, la sélection des futurs médecins serait faussée par le fait que pour ceux qui disposent de la capacité financière leur permettant de tourner la loi un triple échec aux examens fédéraux n'entraînerait plus l'exclusion de la profession. Une telle pratique provoquerait une grave inégalité de traitement à l'égard de tous ceux qui respecteraient ou devraient respecter les règles de l'OGPM et qui se verraient exclus d'une des professions médicales. A plus forte raison ce procédé serait-il choquant s'il n'était possible que pour les seuls candidats d'origine étrangère naturalisés alors que les Suisses de souche n'auraient d'autre ressource que de s'incliner devant la rigueur de la loi. Le recourant ne peut, par conséquent, sérieusement prétendre qu'une exception au système de l'art. 39 OGPM ne constituerait pas une inégalité de traitement inacceptable au détriment de tous les candidats qui n'ont pas la possibilité de trouver, comme lui, une échappatoire. c) Dans un arrêt non publié du 17 octobre 1985 en la cause S. V., le Tribunal fédéral a expressément admis que les décisions cantonales d'exclusion définitive d'un candidat - qui n'est pas habilité à participer aux examens fédéraux - doivent être reconnues au niveau fédéral; il a considéré en effet que les examens de médecine cantonaux mis sur pied par les facultés s'avèrent en principe aussi exigeants que les examens fédéraux correspondants et que, du moment qu'un examen de faculté réussi est reconnu sur le plan fédéral, il serait choquant qu'un candidat puisse bénéficier de la reconnaissance des examens de faculté réussis sans courir, à l'instar des candidats suisses soumis aux examens fédéraux, le même risque d'exclusion définitive. Après avoir subi un triple échec aux examens de faculté, le recourant, qui à l'époque, n'étant pas suisse, n'avait pas la possibilité de se présenter aux examens fédéraux, a été exclu définitivement des études de médecine par l'Université de Lausanne. Conformément à la jurisprudence rappelée précédemment, il y a lieu de reconnaître que cette décision cantonale produit ses effets également sur le plan fédéral et équivaut pour le BGE 116 Ib 410 S. 417 recourant à une exclusion définitive au sens de l'art. 39 OGPM. Gholam Kehtari ne peut donc tirer aucun argument du fait que son exclusion est fondée sur le droit cantonal. d) Reste à examiner si la solution adoptée est d'une rigueur excessive, auquel cas il serait possible d'autoriser une dérogation compte tenu de la situation exceptionnelle du recourant. Se fondant sur le message du Conseil fédéral (FF 1981 I p. 137 No 219), le Tribunal fédéral a en effet jugé que l'entrée en vigueur de l'OGPM n'avait pas supprimé la faculté que l'art. 117 de l'ancien règlement des professions médicales, qu'elle a abrogé, donnait au Département fédéral de l'intérieur d'accorder des dérogations dans des cas exceptionnels. Ainsi, même si la nouvelle ordonnance réglemente de façon exhaustive les cas de dispense des examens fédéraux (art. 24 al. 2 OGPM), subsiste une certaine liberté d'appréciation des autorités fédérales pour déterminer si l'application stricte des art. 24 à 27 OGPM constitue un cas de rigueur excessive (cf. arrêt non publié du 30 mars 1990 en la cause H. c. Comité directeur des examens fédéraux pour les professions médicales, consid. 2 et 3). En l'espèce, le recourant soutient qu'il serait contraire au principe de la proportionnalité - qu'il rattache à l' art. 31 Cst. - de lui refuser l'accès à l'examen professionnel particulier en raison des trois échecs successifs subis au troisième examen propédeutique alors même que, par la suite, il a obtenu son diplôme final en Iran et qu'il pratique la médecine comme assistant, voire comme chef de clinique, depuis plus de cinq ans en Suisse. Il propose en d'autres termes de renverser la présomption résultant de son triple échec par la preuve contraire découlant de la pratique. Les art. 24 ss OGPM traitent en principe de la dispense des examens propédeutiques fédéraux. S'agissant des Suisses naturalisés, cette dispense est possible si l'intéressé a obtenu avant sa naturalisation des certificats suisses ou étrangers équivalents (art. 27 al. 1 OGPM). Dans le cas particulier, le recourant n'établit pas qu'il a subi en Iran des examens propédeutiques équivalents aux examens fédéraux, mais cela n'est pas en soi décisif. L'important est qu'il avait échoué à trois reprises aux examens de faculté de l'Université de Lausanne. On ne voit pas dès lors comment il pourrait se prévaloir du diplôme final obtenu en Iran pour se voir reconnaître le droit de se présenter à l'examen simplifié. C'est ce que constate logiquement l'art. 3 lettre d de BGE 116 Ib 410 S. 418 l'ordonnance du 18 novembre 1975 en déniant à un diplôme étranger la possibilité d'ouvrir la voie à l'examen simplifié lorsqu'il a été précédé pour le candidat par l'exclusion des examens fédéraux antérieurs ou de celle des examens cantonaux qui y sont assimilés. Toute autre solution ôterait sa portée à l'art. 39 OGPM et ouvrirait la porte à de multiples fraudes. Dès lors, même si la solution adoptée en l'espèce peut paraître rigoureuse compte tenu de l'activité actuelle du recourant, on ne peut pas la considérer comme excessive dès l'instant qu'elle s'inscrit dans la logique du système voulu par le législateur. On ne saurait donc y déroger sans mettre en péril le système lui-même. Au surplus, le recourant reste libre de continuer son activité sous la responsabilité d'un médecin titulaire du diplôme fédéral, ce qui atténue sensiblement les conséquences pénibles qu'a pour lui une application stricte de la loi. Le moyen tenant à la disproportion de la décision attaquée et, partant, à la violation de la liberté du commerce et de l'industrie, doit donc également être rejeté.
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Urteilskopf 126 IV 269 40. Extrait de l'arrêt de la Cour de cassation pénale du 19 décembre 2000 dans la cause X. c. Procureur général du canton de Berne (pourvoi en nullité)
Regeste Art. 99 Ziff. 2 SVG . Wer nach Übernahme eines Motorfahrzeugs von einem anderen Halter nicht fristgemäss einen neuen Fahrzeugausweis einholt, verstösst gegen Art. 99 Ziff. 2 SVG , der ausdrücklich diesen Fall regelt, und nicht gegen Art. 97 Ziff. 1 Abs. 1 SVG , der den Missbrauch von Ausweisen und Schildern ahndet (E. 2).
Sachverhalt ab Seite 269 BGE 126 IV 269 S. 269 A.- Par jugement du 16 juillet 1999, le Président 3 de l'arrondissement judiciaire I de Courtelary-Moutier-La Neuveville a reconnu X. coupable d'escroquerie ainsi que d'infraction à la LCR et l'a condamné à 20 jours d'emprisonnement avec sursis pendant 2 ans. B.- Statuant le 23 février 2000 sur appel du condamné, la IIème Chambre pénale de la Cour suprême du canton de Berne l'a libéré de la prévention d'escroquerie mais déclaré coupable d'avoir fait usage d'un permis de circulation et de plaques de contrôle qui n'étaient destinés ni à lui-même ni à son véhicule et l'a condamné à une amende de 400 fr. à inscrire au casier judiciaire pendant 1 an. BGE 126 IV 269 S. 270 Les faits suivants sont à l'origine de cette condamnation. En juin 1998, X. a acheté, pour le prix de 1'500 fr., la voiture de Y. Cette dernière a rempli les formulaires destinés à l'assurance et au service des automobiles et il a été convenu que X. entreprendrait les démarches nécessaires auprès de ces organismes en vue de la modification du nom du détenteur du véhicule. Quelques jours plus tard, Y. a revu X., qui l'a assurée que tout était en ordre. Elle s'est toutefois rendu compte que le transfert n'avait pas été effectué lorsqu'elle a reçu, à son nom, au mois d'octobre 1998, deux amendes d'un montant total de 80 fr. Elle a alors déposé plainte contre X., qui a confirmé qu'il devait déposer les plaques du véhicule mais à fin 1998 seulement, ce qu'il n'a au demeurant pas fait puisqu'il a encore roulé avec cette voiture en janvier 1999. La cour cantonale estime que X. a sciemment utilisé pendant plus de six mois plaques et permis alors qu'il savait qu'il n'en avait pas le droit et qu'il s'est ainsi rendu coupable d'infraction à l'art. 97 ch. 1 LCR. Elle admet en outre que son comportement a également violé l'art. 99 ch. 2 LCR mais que la première infraction englobe la seconde, de sorte qu'elle ne le reconnaît coupable que de violation de l'art. 97 ch. 1 LCR. S'agissant de la mesure de la peine, elle relève qu'il a agi par pur égoïsme et sans scrupules; elle note également qu'il s'est comporté correctement tout au long de la procédure, que ses antécédents ne sont pas mauvais et, enfin, qu'il se trouvait dans une situation difficile au moment des faits. C.- X. se pourvoit en nullité contre cet arrêt. Il soutient que c'est en application de l'art. 99 ch. 2 LCR et non de l'art. 97 ch. 1 al. 1 LCR qu'il aurait dû être condamné, de sorte que seule une amende d'ordre aurait dû être prononcée. Partant, il conclut, avec suite de frais et dépens, à l'annulation de l'arrêt attaqué dans la mesure où il le reconnaît coupable d'infraction aux dispositions de l'art. 97 ch. 1 al. 1 LCR et le condamne à une amende de 400 fr. et à des frais judiciaires afférents aux deux instances cantonales. D.- Le Procureur général du canton de Berne n'a pas déposé d'observations dans le délai qui lui a été imparti à cet effet. Erwägungen Considérant en droit: 1. (Recevabilité). 2. Selon le recourant, sa condamnation en vertu de l'art. 97 ch. 1 al. 1 LCR (RS 741.01) viole le droit fédéral car c'est l'art. 99 ch. 2 LCR qui devait trouver application. BGE 126 IV 269 S. 271 Aux termes de l'art. 97 ch. 1 al. 1 LCR, celui qui aura fait usage de permis ou de plaques de contrôle qui n'étaient destinés ni à lui-même ni à son véhicule sera puni de l'emprisonnement ou de l'amende. Comme le texte italien, selon lequel "chiunque usa licenze o targhe di controllo che non sono state rilasciate per lui nè per il suo veicolo ...", la version française du texte légal indique clairement le caractère cumulatif de la double condition, à savoir que tant le détenteur que le véhicule ne doivent pas être ceux auxquels étaient destinés le permis ou les plaques dont il a été fait usage. La version allemande de l'art. 97 ch. 1 al. 1 LCR, qui prévoit que "wer Ausweise oder Kontrollschilder verwendet, die nicht für ihn oder sein Fahrzeug bestimmt sind ...", donne plutôt à penser que ces conditions seraient alternatives. On ne saurait donc conclure d'emblée que cette disposition n'est pas applicable en l'espèce pour le seul motif que si le permis et les plaques dont le recourant s'est servi n'avaient pas été établis pour lui-même ils l'avaient en revanche été pour le véhicule qu'il a racheté à Y. Néanmoins, l'art. 97 ch. 1 al. 1 LCR ne vise pas le cas où le nouveau détenteur d'un véhicule automobile omet de faire établir un nouveau permis (SCHULTZ, Die Strafbestimmungen des Bundesgesetzes über den Strassenverkehr, Berne 1964, p. 293). Ce cas est visé expressément par l'art. 99 ch. 2 LCR, selon lequel est passible d'une amende de 100 fr. au maximum celui qui, après avoir repris un véhicule d'un autre détenteur, ne sollicite pas à temps un nouveau permis. Cette disposition constitue la sanction de la violation de l'obligation, imposée par l'art. 11 al. 3 LCR, de solliciter un nouveau permis de circulation notamment lorsqu'un véhicule change de détenteur (BUSSY/RUSCONI, Code suisse de la circulation routière, commentaire, 3e éd., Lausanne 1996, n. 2.1 ad art. 11 LCR; GIGER, Strassenverkehrsgesetz, 5e éd., Zurich 1996, n. 2 ad art. 99 LCR). Or, cette situation est précisément celle du cas d'espèce, de sorte que c'est bien l'art. 99 ch. 2 LCR qui devait être appliqué. Le pourvoi doit donc être admis, l'arrêt attaqué annulé et la cause renvoyée à l'autorité cantonale afin qu'elle statue à nouveau. 3. (Suite de frais).
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2752897c-42ec-4b07-a146-cbd1d450890c
Urteilskopf 141 II 207 15. Auszug aus dem Urteil der II. öffentlich-rechtlichen Abteilung i.S. A.C. und B.C. gegen Gemeinde U. (Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten) 2C_583/2014 vom 9. Februar 2015
Regeste Art. 12 Abs. 3 StHG ; steuerliche Behandlung des realisierten Grundstückgewinns im Fall einer Aufschubkette (hier: Ersatzbeschaffung selbstgenutzten Wohneigentums mit anschliessendem Eigentumswechsel infolge Erbvorbezugs unter Nutzniessungsvorbehalt). Die Besteuerung der Grundstückgewinne ist weitgehend bundesrechtlich geregelt (E. 2). Praxis des Kantons Zürich zur Abfolge von Aufschubtatbeständen (E. 3). Das bundesrechtliche System des Steueraufschubs sieht keine dahingehende Tatbestandsbindung vor, dass die Grundeigentum veräussernde Person wieder Grundeigentum zu erwerben und dieses selbst zu bewohnen hat, um dadurch eine lückenlose Aufschubkette herbeizuführen. Ebenso wenig besteht eine Mindesthaltedauer (E. 4).
Sachverhalt ab Seite 208 BGE 141 II 207 S. 208 A. Die Eheleute A.C. und B.C. erwarben am 19. April 2002 als Miteigentümer in der Gemeinde U./ZH für Fr. 1'350'000.- eine Stockwerkeinheit (41⁄2 Zimmer) und zwei Einstellhallenplätze. Das Objekt diente den Eheleuten als eheliche Wohnung. Am 15. Dezember 2003 erstanden sie gleichenorts und ebenfalls im Miteigentum ein Grundstück, das sie am 24. März 2006 parzellierten (durch Begründung von Stockwerkeigentum). Sie liessen ein Mehrfamilienhaus mit fünf Wohneinheiten erstellen, wovon sie deren drei veräusserten. Zwei Stockwerkeinheiten (mit je 3 1⁄2 Zimmern) und fünf Einstellhallenplätze behielten sie ein, um diese künftig selbst zu nutzen. Die Eheleute bezogen den Neubau im Januar 2007. In der Folge verkauften sie am 9. Mai 2007 ihr bisheriges Objekt für Fr. 2'015'000.-. B. Am 12. April 2010 veranlagte die Kommission für Grundsteuern der Gemeinde U./ZH die Grundstückgewinnsteuer. Bei Anlagekosten von Fr. 1'547'494.- und einem Erlös von Fr. 2'015'000.- ergab sich ein steuerbarer Grundstückgewinn von Fr. 467'506.- bzw. eine Grundstückgewinnsteuer von Fr. 167'580.-. Die Kommission schloss auf das Vorliegen einer steueraufschiebenden Ersatzbeschaffung. Da sich die Reinvestition in die beiden Stockwerkeinheiten und die fünf Einstellhallenplätze auf rund 3,7 Mio. Franken belief, konnte die BGE 141 II 207 S. 209 Besteuerung des realisierten Grundstückgewinns vollumfänglich aufgeschoben werden. C. Die Eheleute C. übertrugen am 12. Dezember 2011 die beiden neuen Stockwerkeinheiten und die Einstellhallenplätze auf ihre gemeinsame Tochter. Das Rechtsgeschäft erfolgte als Vorbezug (Abtretung auf Rechnung künftiger Erbschaft), wobei die Eltern sich die lebenslange Nutzniessung vorbehielten. Daraufhin widerrief die kommunale Kommission am 17. September 2012 den von ihr am 12. April 2010 ausgesprochenen Steueraufschub und auferlegte sie den Eheleuten C. die Grundstückgewinnsteuer von Fr. 167'580.- zur Bezahlung (zuzüglich Zins ab 9. Mai 2007). D. Die dagegen erhobenen kantonalen Rechtsmittel blieben erfolglos. Gegen den zuletzt ergangenen Entscheid des Verwaltungsgerichts des Kantons Zürich vom 16. April 2014 erheben die Eheleute C. (nachfolgend: die Steuerpflichtigen) beim Bundesgericht Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten mit dem Antrag, in Aufhebung des angefochtenen Entscheids sei die Grundstückgewinnsteuerveranlagung aufzuheben und es sei festzustellen, dass der Steueraufschub nicht zu widerrufen sei. Das Bundesgericht heisst die Beschwerde gut. (Zusammenfassung) Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. 2.1 Streitig und zu prüfen ist, ob die veranlagende Gemeinde unter den gegebenen Umständen auf den ursprünglich gewährten Steueraufschub zurückkommen durfte. Die Steuerpflichtigen rügen primär eine Verletzung von Bundesrecht (durch unrichtige Anwendung von Art. 12 Abs. 3 lit. e des Bundesgesetzes vom 14. Dezember 1990 über die Harmonisierung der direkten Steuern der Kantone und Gemeinden [StHG; SR 642.14]), subsidiär eine willkürliche Anwendung kantonalen Rechts. 2.2 2.2.1 Ein Grundstückgewinn im Sinne von Art. 12 StHG ergibt sich, soweit der bei Veräusserung eines Grundstücks erzielte Erlös die Anlagekosten (Erwerbspreis oder Ersatzwert zuzüglich Aufwendungen) übersteigt. Die Rechtsbegriffe "Erlös", "Anlagekosten" und "Ersatzwert" führt Art. 12 StHG nicht näher aus. Insofern überlässt der Bund den Kantonen bei der Umschreibung des steuerbaren Gewinns einen wenn auch beschränkten Spielraum ( BGE 131 II 722 BGE 141 II 207 S. 210 E. 2.1 S. 723 f. [Kanton SZ]; Urteile 2C_128/2014 vom 25. Juli 2014 E. 1.2.2 [Kanton ZH], in: ASA 83 S. 139; 2C_337/2012 vom 19. Dezember 2012 E. 2.3 [Kantone LU/NW], in: RDAF 2013 II 350, StE 2013 B 42.38 Nr. 36, StR 68/2013 S. 368; 2C_705/2011 vom 26. April 2012 E. 1.5.3 und 4.3.2 [Kanton ZH], in: ASA 82 S. 163, StE 2012 B 44.12.3 Nr. 6, StR 67/2012 S. 522). 2.2.2 Im Kanton Zürich erheben die politischen Gemeinden die Grundstückgewinnsteuer auf den Gewinnen, die sich bei Handänderungen an Grundstücken oder Anteilen von solchen ergeben (§ 205 in Verbindung mit § 216 Abs. 1 des Steuergesetzes des Kantons Zürich vom 8. Juni 1997 [LS 631.1; nachfolgend: StG/ZH]). Die Steuer fällt ungeachtet dessen an, ob es sich um Privat- oder Geschäftsvermögen handelt (monistisches System; BGE 140 I 114 E. 2.2.1 S. 117; BGE 139 II 373 E. 3.5 S. 380). 2.2.3 Harmonisierungsrechtlich wird die Besteuerung eines realisierten Grundstückgewinns insbesondere aufgeschoben bei: - Eigentumswechsel durch Erbgang (Erbfolge, Erbteilung, Vermächtnis), Erbvorbezug oder Schenkung ( Art. 12 Abs. 3 lit. a StHG bzw. § 216 Abs. 3 lit. i StG /ZH); - Veräusserung einer dauernd und ausschliesslich selbstgenutzten Wohnliegenschaft (Einfamilienhaus oder Eigentumswohnung), soweit der dabei erzielte Erlös innert angemessener Frist zum Erwerb oder zum Bau einer gleichgenutzten Ersatzliegenschaft in der Schweiz verwendet wird ( Art. 12 Abs. 3 lit. e StHG bzw. § 216 Abs. 3 lit. a StG /ZH, wobei dort von den Ersatzliegenschaften "im Kanton" die Rede ist). 2.2.4 Das Bundesgericht hat sich zu verschiedenen Aspekten des Aufschubs der Grundstückgewinnsteuer bereits äussern können. Der vollen bundesgerichtlichen Kognition, da bundesrechtlich geregelt, unterliegen danach beispielsweise: - die Steueraufschubtatbestände als solche; der Positivkatalog von Art. 12 Abs. 3 StHG ist abschliessend gehalten, weshalb die Tatbestände bundesrechtlicher Natur sind und den Kantonen kein Spielraum verbleibt (Urteil 2C_497/2011 vom 15. März 2012 E. 4.3, nicht publ. in: BGE 138 II 105 E. 4.3, aber in: RDAF 2012 II 252; BGE 130 II 202 E. 3.2 S. 206 ff.); - die Frage, ob ein Ehepaar gesamthaft als Veräusserer bzw. Erwerber zu betrachten ist (Urteil 2C_277/2011 vom 17. Oktober BGE 141 II 207 S. 211 2011, in: RDAF 2011 II 522, StE 2012 B 42.38 Nr. 34, StR 67/2012 S. 351); - der Begriff der Ersatzinvestition ( BGE 137 II 419 E. 3.2 S. 423; BGE 130 II 202 E. 3.2 S. 206 f.); - der Begriff des dauernd und ausschliesslich selbstgenutzten Wohneigentums ("ayant durablement et exclusivement servi au propre usage de l'aliénateur"); darunter fällt einzig der Hauptwohnsitz, während ein sekundäres Domizil (so etwa ein Ferienhaus oder eine Ferienwohnung, ein Objekt für die Dauer auswärtigen Wochenaufenthalts) den Tatbestand nicht erfüllt ( BGE 138 II 105 E. 6.3.1 S. 108 ff.); - der Begriff des selbst bewirtschafteten Ersatzgrundstücks im Sinne von Art. 12 Abs. 3 lit. d StHG (Urteil 2C_308/2009 vom 14. Oktober 2009 E. 1.3 und 2.5); - die Vorgehensweise, welche bei bloss teilweiser Reinvestition des Erlöses in ein Ersatzobjekt zu beachten ist; nach der absoluten Methode bleibt ein nicht reinvestierter Gewinnanteil vom Aufschubprivileg ausgenommen und gelangt er damit sofort zur Besteuerung ( BGE 137 II 419 E. 2.2.1 S. 422; BGE 130 II 202 E. 3.2 S. 206 f.); - im interkantonalen Verhältnis die Anwendung der Einheitsmethode (Erfassung des gesamten latenten Steuersubstrats am Ort der letztveräusserten Ersatzliegenschaft), was für die Zerlegungsmethode (Erfassung je nach den tatsächlichen Anteilen im Wegzugskanton und im Zuzugskanton) keinen Platz lässt (Urteil 2C_337/2012 vom 19. Dezember 2012 E. 2.4, in: RDAF 2013 II 350, StE 2013 B 42.38 Nr. 36, StR 68/2013 S. 368). 2.2.5 Demgegenüber sind die Kantone befugt, die Dauer der " angemessenen Frist " ( Art. 12 Abs. 3 lit. e StHG ; der Zeitraum zwischen zwei Handänderungen) eigenständig festzulegen ( BGE 138 II 105 E. 5.1 S. 107). Insoweit beschränkt sich die Kognition des Bundesgerichts auf Willkür (Urteil 2C_337/2012 vom 19. Dezember 2012 E. 2.4, in: RDAF 2013 II 350, StE 2013 B 42.38 Nr. 36, StR 68/2013 S. 368; SCHERER/RÖSLI, Die Harmonisierung der steuerneutralen Ersatzbeschaffung, Schweizer Treuhänder [ST] 75/2001 S. 257, insb. 261; BERNHARD ZWAHLEN, in: Bundesgesetz über die Harmonisierung der direkten Steuern der Kantone und Gemeinden, Zweifel/Athanas [Hrsg.], in: Kommentar zum Schweizerischen Steuerrecht, Bd. I/1, 2. Aufl. 2002, N. 75 zu Art. 12 StHG ). BGE 141 II 207 S. 212 3. 3.1 Es stellt sich die Rechtsfrage nach Voraussetzungen, Rechtsfolgen und insbesondere Widerruf des Aufschubtatbestands im Sinne von Art. 12 Abs. 3 lit. e bzw. lit. a StHG ( § 216 Abs. 3 lit. i und a StG /ZH). Die Prüfung hat mit voller Kognition zu erfolgen (nicht publ. E. 1.2.2 und vorne 2.2.4). 3.2 3.2.1 Die Vorinstanz stützt sich bei ihren Überlegungen auf das Rundschreiben der Finanzdirektion des Kantons Zürich vom 19. November 2001 an die Gemeinden "über den Aufschub der Grundstückgewinnsteuer und die Befreiung des Veräusserers von der Handänderungssteuer bei Ersatzbeschaffung einer dauernd und ausschliesslich selbstgenutzten Wohnliegenschaft ( § 217 Abs. 3 lit. i, § 226a und § 229 Abs. 2 lit. c StG /ZH)". Unter dem Titel "Steuerfolgen bei Veräusserung des Ersatzgrundstücks - innerkantonales Ersatzgrundstück - Veräusserung innert fünf Jahren" trägt Ziff. 20 des Rundschreibens folgenden Wortlaut: "Wird ein innerkantonales Grundstück innert fünf Jahren seit der Handänderung am ursprünglichen Grundstück definitiv zweckentfremdet oder veräussert, ohne dass erneut eine Ersatzbeschaffung stattfindet, kommt die Wegzugsgemeinde (...) auf ihren Entscheid über den Steueraufschub zurück und veranlagt die aufgeschobene Grundstückgewinnsteuer im Nachsteuerverfahren, samt Zins ab dem 91. Tag nach der Handänderung am ursprünglichen Grundstück (...)." Diesfalls wird angenommen, die steuerpflichtige Person habe von Anbeginn weg keine Absicht gehabt, eine Ersatzbeschaffung im Sinne des Steuergesetzes vorzunehmen. Dies soll dadurch zum Ausdruck kommen, dass die steuerpflichtige Person den Tatbeweis für die dauernde Selbstnutzung des Ersatzgrundstücks schuldig geblieben ist. 3.2.2 Im Unterschied dazu gilt der Tatbeweis als erbracht, soweit die Selbstnutzung während mindestens fünf Jahren angedauert hat. Wird das Ersatzgrundstück anschliessend ohne weitere Ersatzbeschaffung veräussert, ist der auf beiden Grundstücken angefallene Gewinn gesamthaft zu besteuern. Wiederum anders verhält es sich, soweit die funktionsgemässe Nutzung (Selbstnutzung zu Wohnzwecken) ohne mitlaufende Handänderung aufgegeben wird. In solchen Fällen unterbleibt eine Nachbesteuerung (dazu RICHNER/FREI/KAUFMANN/MEUTER, Kommentar zum Zürcher Steuergesetz, 3. Aufl. 2013, N. 290, 294 und 296 zu § 216 StG /ZH; FELIX RICHNER, BGE 141 II 207 S. 213 Ersatzbeschaffung von selbstgenutztem Wohneigentum, Teil III, ZStP 2011 S. 3 ff.; ders . , Steuern bei Ersatzbeschaffung von Grundstücken [imFolgenden: 2004], ZBGR 85/2004 S. 77, insb. 86). 3.2.3 Die Vorinstanz erachtet die im Rundschreiben vertretene Meinung grundsätzlich als gesetzmässig. Sie hat allerdings im Jahr 2012 bei einer Kaskadenersatzbeschaffung (unter Vorbehalt des Rechtsmissbrauchs) selbst bei kürzerer als fünfjähriger Selbstnutzung einen neuerlichen Steueraufschub gewährt, dies mit der Begründung, aus Art. 12 Abs. 3 lit. e StHG lasse sich keine Fünfjahresfrist herleiten (Urteil des Verwaltungsgerichts des Kantons Zürich SB.2011. 00154 vom 14. März 2012 E. 2.3; dazu MARTIN BYLAND, Ersatzbeschaffung bei selbstbewohntem Wohneigentum - Aktuelle Rechtsprechung, TREX 2012 S. 362 f.). Auf die Beschwerde gegen diesen Entscheid ist das Bundesgericht aus formellen Gründen nicht eingetreten (Urteil 2C_460/2012 vom 2. November 2012). Demgegenüber lehnt die Vorinstanz die Übertragung der neuen Praxis auf die vorliegende Konstellation ab. Ihre Argumentation geht dahin, es finde eine Zweckentfremdung ohne gleichzeitige Ersatzbeschaffung statt und die Mobilität (deren Nichtbehinderung das eigentliche Ziel von Art. 12 Abs. 3 lit. e StHG sei) erfahre keine Einschränkung. Bei der Veräusserung vom 12. Dezember 2011 an die Tochter habe es sich um eine privilegierte, zum Steueraufschub Anlass gebende Handänderung gehandelt. Die Grundstückgewinnsteuer wäre so lange aufzuschieben gewesen, als die Tochter das Grundstück ihrerseits dauernd und ausschliesslich selbst bewohnt. Die Tochter habe das Objekt aber gar nie bezogen. Die Steuerpflichtigen hätten das Ersatzobjekt ab Januar 2007 bewohnt und im Dezember 2011 veräussert, womit die Fünfjahresfrist unterschritten sei. Deshalb rechtfertige sich ein Zurückkommen auf die Aufschubverfügung. 3.3 3.3.1 Die Steuerpflichtigen erklären, für eine nachträgliche Besteuerung aufgrund einer Nutzungsänderung fehle es an einer gesetzlichen Grundlage. Im Unternehmenssteuerrecht falle bei nachträglicher Nutzungsänderung des Ersatzobjekts - unter Vorbehalt einer Steuerumgehung - keine nachträgliche Besteuerung an. Dasselbe müsse im Recht der Grundstückgewinnsteuer gelten. Es sei auch nicht ersichtlich, weshalb für Nutzungsänderungen etwas anderes gelten sollte als für Kaskadenersatzbeschaffungen. Die von der Vorinstanz praktizierte Fünfjahresfrist sei harmonisierungswidrig, zumal gar keine Nutzungsänderung vorliege. Da die Nachbesteuerung BGE 141 II 207 S. 214 einer gesetzlichen Grundlage entbehre, verletze der angefochtene Entscheid auch Art. 127 Abs. 1 BV und sei willkürlich ( Art. 9 BV ). 3.3.2 Ergänzend bringen die Steuerpflichtigen vor, ihre Tochter wohne ebenfalls in der streitbetroffenen Liegenschaft. Unter prozessualen Gesichtspunkten handelt es sich dabei um ein echtes Novum ( Art. 99 Abs. 1 BGG ). Ein solches ist nicht zu hören, zumal die behauptete Sachlage für die weitere Beurteilung von keiner Bedeutung ist. 4. 4.1 Es ist damit davon auszugehen, dass das streitbetroffene Objekt von den - nicht mehr Eigentümer darstellenden - Eheleuten bewohnt und spiegelbildlich von der neuen Eigentümerin nicht bewohnt wird. 4.2 4.2.1 Die Steuer aufschub tatbestände gemäss Art. 12 Abs. 3 StHG sind nach dem klaren Wortlaut nicht als Steuer befreiungs tatbestände ausgestaltet. Ihre Wirkung beschränkt sich darauf, dass die Besteuerung eines Grundstückgewinns, deren Voraussetzungen vollständig vorliegen, aufgeschoben wird, bis die privilegierenden Umstände entfallen (vgl. Urteil 2C_539/2010 vom 15. Dezember 2010 E. 2.1 mit Hinweisen, in: StR 67/2012 S. 54; ZWAHLEN, a.a.O., N. 61 zu Art. 12 StHG ; SCHERER/RÖSLI, a.a.O., S. 258; RICHNER, 2004, a.a.O., S. 79; ders. , Ersatzbeschaffung von selbstgenutztem Wohneigentum [Teil II], ZStP 2010 S. 280 f.). Aufgrund des Steueraufschubs ergibt sich eine Lage, als ob die Realisation des Grundstückgewinns nie erfolgt wäre ( BGE 100 Ia 209 E. 2c S. 212). 4.2.2 Bei dieser Konzeption entsteht die Grundstückgewinnsteuerforderung erst mit der letzten, nicht mehr zu einem (weiteren) Steueraufschub berechtigenden Handänderung. Entfällt der Grund für den Steueraufschub, kommt es zur Besteuerung, und bildet der "gesamte Gewinn" das Steuerobjekt (MICHAEL BEUSCH, Der Untergang der Steuerforderung, 2012, S. 83). Realisiert und besteuert wird damit - auch - das latente Steuersubstrat erst bei Dahinfallen des Steueraufschubs, wobei die dannzumal geltenden Modalitäten (Steuertarif, Steuerbemessungsgrundlage etc.) anwendbar sind (zum Ganzen Urteil 2C_337/2012 vom 19. Dezember 2012 E. 2.4, in: RDAF 2013 II S. 350, StE 2013 B 42.38 Nr. 36, StR 68/2013 S. 368; ZWAHLEN, a.a.O., N. 61 zu Art. 12 StHG ; KLÖTI-WEBER/BAUR, in: Kommentar zum Aargauer Steuergesetz, Klöti-Weber/Siegrist/Weber [Hrsg.], 3. Aufl. 2009, Bd. 2, N. 1 zu § 97 StG /AG und N. 1 zu § 98 StG /AG; BGE 141 II 207 S. 215 THOMAS P. WENK, in: Kommentar zum Steuergesetz des Kantons Basel-Landschaft, Nefzger/Simonek/Wenk [Hrsg.], 2004, N. 2 und 53 zu § 73 StG /BL). Es handelt sich dabei nicht um einen Nachsteuertatbestand im Sinne von Art. 53 StHG . Das Entfallen des Steueraufschubs begründet keine Tatsache im Sinne von Art. 53 Abs. 1 bzw. Art. 51 Abs. 1 lit. a StHG (Urteil 2C_337/2012 vom 19. Dezember 2012 E. 2.6, in: RDAF 2013 II S. 350, StE 2013 B 42.38 Nr. 36, StR 68/2013 S. 368), was Konsequenzen in Bezug auf die Verzinsung hat (SCHERER/RÖSLI, a.a.O., S. 258). 4.3 4.3.1 Die Vorinstanz geht übereinstimmend mit dem Rundschreiben vom 19. November 2001 davon aus, dass der Aufschub der Grundstückgewinnsteuer zu widerrufen ist, - falls innerhalb von fünf Jahren, gerechnet ab dem Eintritt der Voraussetzungen des Steueraufschubs, - entweder eine Veräusserung oder eine Zweckentfremdung/Nutzungsänderung erfolgt (vorne E. 3.2.2). Der so umrissene Auflösungsgrund beruht auf einem zeitlichen und einem funktionsbezogenen Element. In Auslegung von Art. 12 Abs. 3 StHG ist zu prüfen, ob die kantonale Lesart vor dem Bundesrecht standhält. 4.3.2 Die Botschaft vom 25. Mai 1983 zu Bundesgesetzen über die Harmonisierung der direkten Steuern der Kantone und Gemeinden sowie über die direkte Bundessteuer (BBl 1983 III 1 ff., insb. 103) sah beim Ersatz von dauernd und ausschliesslich selbstgenutztem Wohneigentum noch keinen Steueraufschub vor. Der ergänzende Art. 12 Abs. 3 lit. e StHG wurde erst durch die Eidgenössischen Räte eingefügt (Urteil 2C_337/2012 vom 19. Dezember 2012 E. 2.4, in: RDAF 2013 II S. 350, StE 2013 B 42.38 Nr. 36, StR 68/2013 S. 368). Der Botschaft lässt sich damit nichts entnehmen. Ebenso wenig hat sich das Bundesgericht bislang mit der Frage befasst, wie es sich mit der Fortdauer des Steueraufschubs verhält, wenn dem ersten Tatbestand ein andersartiger Aufschubtatbestand nachfolgt. 4.4 4.4.1 Aus den für das Bundesgericht verbindlichen Feststellungen der Vorinstanz ( Art. 105 Abs. 1 BGG ) und aus den Akten ( Art. 105 Abs. 2 BGG ) geht hervor, dass die Steuerpflichtigen das Ursprungsobjekt am 19. April 2002 erwarben und am 9. Mai 2007 gewinnbringend veräusserten. Am 15. Dezember 2003 kauften sie ein BGE 141 II 207 S. 216 Grundstück, um dieses am 24. März 2006 zu parzellieren und zwei der fünf Wohneinheiten für die Eigennutzung vorzusehen. Im Januar 2007 bezogen die Eheleute das neue Wohneigentum. Dabei wurde der gesamte Grundstückgewinn reinvestiert. Am 12. Dezember 2011 kam es zur Abtretung der beiden Stockwerkeinheiten an die gemeinsame Tochter. Diese übernahm die Objekte auf Rechnung künftiger Erbschaft und unter Nutzniessungsvorbehalt zugunsten der Eltern. 4.4.2 Unstreitig begründete das Erwerbsgeschäft vom 15. Dezember 2003 zusammen mit dem Veräusserungsgeschäft vom 9. Mai 2007 einen Aufschubtatbestand. Dieser stellt sich als vorweggenommene Ersatzbeschaffung dar. Auch die gegenüber der regelmässig anzutreffenden nachträglichen Ersatzbeschaffung "umgekehrte" Abfolge fällt unter Art. 12 Abs. 3 lit. e StHG (MARKUS LANGENEGGER, in: Praxis-Kommentar zum Berner Steuergesetz, Leuch/Kästli/Langenegger [Hrsg.], Bd. 2, 2011, N. 28 zu Art. 134StG/BE; RICHNER/FREI/KAUFMANN/MEUTER, a.a.O., N. 280 zu § 226 StG /ZH; KLÖTI-WEBER/BAUR, a.a.O., N. 5 zu § 98 StG /AG; ZWAHLEN, a.a.O., N. 72 zu Art. 12 StHG [allerdings zu lit. d]). In beiden Ausprägungen ist ein hinreichender Zusammenhang zwischen Verkauf des Ursprungsobjekts und Ankauf des Ersatzobjekts zu verlangen (vgl. LANGENEGGER, a.a.O., N. 15 zu Art. 134 StG /BE). 4.4.3 Die Vorinstanz erwägt zutreffend, die Eigentümerin oder der Eigentümer müsse sowohl das veräusserte Ursprungsobjekt als auch das erworbene Ersatzobjekt dauernd und ausschliesslich selber bewohnen. Vorausgesetzt wird unter anderem das Bestehen eines zivilrechtlichen oder steuerrechtlichen Wohnsitzes am Ort der gelegenen Sache (vgl. Bericht der Kommission für Wirtschaft und Abgaben des Nationalrates vom 19. Januar 2010 zur Parlamentarische Initiative 04.450 "Ersatzbeschaffung von Wohneigentum. Förderung der beruflichen Mobilität", BBl 2010 2585 ff., insb. 2593 f. Ziff. 2.3.2). Demgemäss schliesst Fremdnutzung einen Steueraufschub im Sinne von Art. 12 Abs. 3 lit. e StHG von vornherein aus, es sei denn, es handle sich um eine kurze Dauer (Urteil 2C_215/2008 vom 21. August 2008 E. 4.3). Zu denken ist etwa an den vorübergehenden Unterbruch des Selbstbewohnens (KLÖTI-WEBER/BAUR, a.a.O., N. 6 zu § 98 StG /AG; BASTIEN VERREY, L'imposition différée du gain immobilier: harmonisation fédérale et droit cantonal comparé, 2011, S. 199 f.). Fehlen die gesetzlichen Voraussetzungen, kommt ein (erstmaliger oder weiterer) Steueraufschub nicht infrage und wird der Grundstückgewinn im Zeitpunkt seines Anfallens besteuert. BGE 141 II 207 S. 217 4.4.4 Nach der Einschätzung der Vorinstanz hat die Selbstnutzung im Januar 2007 eingesetzt und knapp vor Ablauf von fünf Jahren ein Ende gefunden. Auch wenn die Handänderung vom Dezember 2011 ihrerseits einen Steueraufschubtatbestand erfülle, habe sie innerhalb der Fünfjahresfrist eine Zweckentfremdung bewirkt. Ausschlaggebend hierfür sei das Auseinanderfallen von Nutzung und Eigentum. Dies rechtfertige, so die Vorinstanz weiter, ein Zurückkommen auf den Steueraufschub. Eine Handänderung wirke sich grundsätzlich (nur) dann nicht auf die aufgeschobene Grundstückgewinnsteuer aus, wenn die neuerliche Handänderung wiederum einen vollständigen Steueraufschub begründe und gleichzeitig zu keiner Nutzungsänderung führe (vorne E. 3.2.1). 4.5 4.5.1 Die vorinstanzlichen Überlegungen scheinen auf der Annahme zu beruhen, dem System der Steueraufschubtatbestände wohne eine Tatbestandsbindung inne. Dies überzeugt nicht: Dem Bundesrecht ist keine Bestimmung des Inhalts zu entnehmen, dass ein bestehender Aufschubtatbestand zwingend durch einen gleichartigen ersetzt werden muss, ansonsten der gewährte Steueraufschub zu entfallen hat. Insbesondere kann es nicht darauf ankommen, ob die veräussernde Person danach wieder Grundeigentum erwirbt und dieses selbst bewohnt. 4.5.2 Der Positivkatalog von Art. 12 Abs. 3 StHG ist abschliessend gehalten (Botschaft StHG/DBG, BBl 1983 III 102), weshalb die Tatbestände bundesrechtlicher Natur sind und folglich den Kantonen kein Spielraum verbleibt (vorne E. 2.2.4). Unter den fünf Tatbeständen folgen zwei, wenn auch mit unterschiedlichen Vorzeichen, dem Ersatzbeschaffungsmodell (lit. d und e). Weitere zwei Konstellationen beruhen auf familien- und erbrechtlichen Konstellationen (lit. b und a), wobei der bisherigen Eigentümerschaft keine Gegenleistung zukommt (Erbrecht) oder die Handänderung zwecks Schuldentilgung erfolgt (Familienrecht). Unter lit. c fallen Konstellationen weitgehend fremdbestimmter Handänderungen. 4.5.3 Was allgemein die Staffelung der fünf Tatbestandsgruppen bzw. die Frage betrifft, ob ein Tatbestand durch einen andern abgelöst werden kann, ohne dass ein Unterbruch im Steueraufschub eintritt, enthält das Harmonisierungsrecht keine ausdrücklichen Anordnungen. Dies muss nicht zwangsläufig für einen kantonalen Gestaltungsspielraum sprechen. Gegenteils gilt es zu bedenken, dass das BGE 141 II 207 S. 218 System des Steueraufschubs weitestgehend bundesrechtlich normiert ist. Als solches belässt es den Kantonen in ausgewählten Bereichen zwar gewisse, aber aufgrund des Gebots der horizontalen und vertikalen Harmonisierung ohnehin stark eingeschränkte Gestaltungsräume. Zu denken ist etwa an die technische Konkretisierung der Begriffe "Erlös", "Anlagekosten" und "Ersatzwert" (vorne E. 2.2.1) oder an die Konkretisierung der "angemessenen" Frist (vorne E. 2.2.5), auch dies ein eher technischer Gesichtspunkt. Bei den bundesrechtlich nicht (abschliessend) geregelten Aspekten handelt es sich um durchaus wesentliche, aber nicht systemtragende Fragen. Wo es um konzeptionelle Weichenstellungen geht, hat der Bundesgesetzgeber seine verfassungsmässige Kompetenz ( Art. 129 BV ) ausgeschöpft (vorne E. 2.2.4; nicht abschliessende Aufzählung). Voraussetzungen, Bestand und Widerruf der Steueraufschubtatbestände sind Fragestellungen grundsätzlichen Charakters. Der Positivkatalog ist abschliessend gehalten und ruft nach einer schweizweit einheitlichen Anwendung. Vor diesem Hintergrund erweist sich die aufgeworfene Frage als eine solche des Bundesrechts. 4.5.4 Das harmonisierungsrechtliche Konzept steht einer ununterbrochenen Abfolge verschiedenartiger Aufschubtatbestände jedenfalls nicht von vornherein entgegen. Denkbar ist etwa, dass eine Person Wohneigentum unterhält und zunächst ein Ersatzobjekt erwirbt (lit. e), bald darauf verstirbt, wobei das Eigentum auf einen Erben übergeht (lit. a), dessen Ehe später geschieden wird, worauf das Wohneigentum in Abgeltung güterrechtlicher Ansprüche auf die Ehefrau übergeht (lit. b). Die Liste liesse sich verlängern. Dem klassischen Erbgang und der güterrechtlichen Auseinandersetzung wohnt zwar eine unwillkürliche Komponente inne, indem der Tatbestand weitgehend unfreiwillig ausgelöst wird. Darin besteht der wesentliche Unterschied zur vorliegenden Konstellation. Hier haben sich die Eltern aus freien Stücken entschlossen, lebzeitig ihre beiden Stockwerkeinheiten und die Einstellhallenplätze als Vorempfang (auf Rechnung künftiger Erbschaft; Art. 475, Art. 527 Ziff. 1 und Art. 626 ZGB ) und unter Nutzniessungsvorbehalt ( Art. 245 OR per analogiam in Verbindung mit Art. 7 ZGB und Art. 745 ff. ZGB ) auf die gemeinsame Tochter zu übertragen. Bei wirtschaftlicher Betrachtung führt der Nutzniessungsvorbehalt zu keinem wesentlich anderen Ergebnis, als wenn das Eigentum erst im Todesfall übergegangen wäre. Entscheidend ist jedoch, dass Art. 12 Abs. 3 lit. a StHG ausdrücklich erbrechtliche Vorgänge unter Lebenden BGE 141 II 207 S. 219 ("Erbvorbezug") und selbst eine schuldrechtliche Schenkung mitumfasst. Die Liberalität reicht damit recht weit. 4.5.5 Konzeptionell steht der unterbruchfreien Anknüpfung eines neuen an den bisherigen Steueraufschubtatbestand auch dann nichts entgegen, wenn die steuerpflichtige Person bewusst und nach freiem Willen von einer Tatbestandsgruppe zur andern übergeht. Für eine Tatbestandsbindung, wie sie der Vorinstanz vorschwebt, fehlt eine gesetzliche Grundlage, wogegen das übergeordnete Ziel des Steueraufschubs klar zum Ausdruck kommt. Es ist denn auch möglich, dass eine steuerpflichtige Person hinsichtlich ihres Grundeigentums nacheinander verschiedenartige Steueraufschubtatbestände verwirklicht. Die sich daraus ergebende Aufschubkette ist bundesrechtlich abgestützt. Nichts daran ändert, dass der Tatbestand von Art. 12 Abs. 3 lit. e StHG ursprünglich mit der Förderung der beruflichen Mobilität begründet wurde. Es ist notorisch, dass die Pendlerdistanzen laufend anwachsen und der Stellenantritt in einem andern Landesteil nicht zwingend einen Umzug erfordert. Der Mobilitätsaspekt stellt bei Auslegung und Anwendung der Norm heute kein vorrangiges Merkmal mehr dar. 4.5.6 Zwangsläufig führt dies dazu, dass von der Beachtung oder Nichtbeachtung der "angemessenen" Frist nichts abhängen kann. Besteht im Bundesrecht schon für eine Tatbestandsbindung kein Anhaltspunkt, darf die Auswechslung des Tatbestands nicht an einer Frist scheitern, die kantonal ohnehin uneinheitlich gehandhabt wird. Der Frist gemäss Art. 12 Abs. 3 lit. d und e StHG kommt auch eine dämpfende, der Spekulation entgegenwirkende Funktion zu. Begibt sich jemand freiwillig seines Grundeigentums, um damit eine lebzeitige Zuwendung vorzunehmen (lit. a), wird eine Spekulationsabsicht von vornherein auszuschliessen sein. Ebenso wenig ist damit ein Verlust von Steuersubstrat verbunden: Der aufgeschobene Grundstücksgewinn kann in solchen Fällen auch später noch erfasst werden. Vorliegend geht die latente Steuerlast auf die Tochter über und wird zu besteuern sein, sobald diese das Grundstück dereinst veräussert, ohne dass erneut ein Steueraufschubtatbestand vorliegt. 4.6 Die streitbetroffene Verfügung vom 17. September 2012, mit welcher der am 12. April 2010 ausgesprochene Steueraufschub widerrufen wird, verletzt damit Bundesrecht.
public_law
nan
de
2,015
CH_BGE
CH_BGE_004
CH
Federation
275e0f6b-7d8b-415a-9bb6-768762353715
Urteilskopf 136 V 279 33. Auszug aus dem Urteil der II. sozialrechtlichen Abteilung i.S. IV-Stelle Luzern gegen S. (Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten) 9C_510/2009 vom 30. August 2010
Regeste Art. 4 Abs. 1 IVG ; Art. 7 und 8 Abs. 1 ATSG . Ob eine spezifische und unfalladäquate HWS-Verletzung (Schleudertrauma) ohne organisch nachweisbare Funktionsausfälle invalidisierend wirkt, beurteilt sich sinngemäss nach der Rechtsprechung zu den anhaltenden somatoformen Schmerzstörungen ( BGE 130 V 352 ; E. 3).
Sachverhalt ab Seite 279 BGE 136 V 279 S. 279 Die 1962 geborene S. war für verschiedene Arbeitgeber als Reinigungsangestellte tätig. Bei Auffahrunfällen im Oktober 1997 und Dezember 2000 erlitt sie jeweils eine Distorsion der Halswirbelsäule (nachfolgend: HWS). Im Februar 2002 meldete sie sich bei der Invalidenversicherung zum Leistungsbezug an. Nach Abklärungen und Durchführung des Vorbescheidverfahrens verneinte die IV-Stelle Luzern (nachfolgend: IV-Stelle) mit Verfügung vom 26. Juli 2007 einen Rentenanspruch mangels eines Gesundheitsschadens mit Auswirkung auf die Arbeitsfähigkeit. BGE 136 V 279 S. 280 In Gutheissung der Beschwerde der S. hob das Verwaltungsgericht des Kantons Luzern mit Entscheid vom 5. Mai 2009 die Verfügung vom 26. Juli 2007 auf und verpflichtete die IV-Stelle, der Versicherten vom 1. Dezember 2001 bis 31. März 2005 eine ganze Rente und ab 1. April 2005 eine Viertelsrente der Invalidenversicherung auszurichten. Die IV-Stelle führt Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten und beantragt, den Entscheid vom 5. Mai 2009 aufzuheben. S. und das kantonale Gericht schliessen auf Abweisung der Beschwerde, das Bundesamt für Sozialversicherungen verzichtet auf eine Vernehmlassung. Am 20. August 2010 hat eine gemeinsame Sitzung der I. und II. sozialrechtlichen Abteilung gemäss Art. 23 BGG stattgefunden. Das Bundesgericht heisst die Beschwerde gut. (Zusammenfassung) Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. Die Vorinstanz hat eine vollständige Arbeitsunfähigkeit ab dem Zeitpunkt des Unfalls am 13. Dezember 2000 bis Ende Dezember 2004 und eine Arbeitsfähigkeit im angestammten Beruf von 60 % ab Januar 2005 angenommen. Entsprechend hat sie aufgrund eines Prozentvergleichs den Invaliditätsgrad auf 100 resp. 40 % festgelegt. Die Beschwerdeführerin macht geltend, es fehle an einem objektivierbaren Gesundheitsschaden, weshalb von einer vollen funktionellen Leistungsfähigkeit der Versicherten auszugehen sei. Wenn als gesundheitliche Beeinträchtigung ein ätiologisch-pathogenetisch unerklärlicher Leidenszustand vorliege, komme diesem keine invalidisierende Wirkung zu. 3. 3.1 Nach der Rechtsprechung kann eine bei einem Unfall erlittene Verletzung im Bereich von HWS und Kopf auch ohne organisch nachweisbare (d.h. objektivierbare) Funktionsausfälle zu länger dauernden, die Arbeits- und Erwerbsfähigkeit beeinträchtigenden Beschwerden führen. Derartige Verletzungen sind gemäss Rechtsprechung durch ein komplexes und vielschichtiges Beschwerdebild ( BGE 119 V 335 E. 1 S. 338; BGE 117 V 359 E. 4b S. 360) mit eng ineinander verwobenen, einer Differenzierung kaum zugänglichen Beschwerden physischer und psychischer Natur gekennzeichnet ( BGE 134 V 109 E. 7.1 S. 118). Diese mit Bezug auf die obligatorische BGE 136 V 279 S. 281 Unfallversicherung - und dabei insbesondere hinsichtlich der adäquaten Kausalität zwischen Unfall und Gesundheitsschaden (vgl. BGE 134 V 109 ; BGE 117 V 363 ) - entwickelten Grundsätze sind auch für die Invalidenversicherung massgebend. Auch hier kann eine spezifische HWS-Verletzung ohne organisch nachweisbare Funktionsausfälle mit dem für derartige Verletzungen typischen, komplexen und vielschichtigen Beschwerdebild die Arbeits- und Erwerbsfähigkeit beeinträchtigen (Urteil 8C_437/2008 vom 30. Juli 2009 E. 6.3). Aus dem Fehlen organisch nachweisbarer Befunde lässt sich in solchen Fällen jedenfalls nicht direkt auf uneingeschränkte Arbeitsfähigkeit schliessen. Damit ist indessen noch nichts über die invalidisierende Wirkung des Leidens gesagt. Diese beurteilt sich nach Art. 7 und 8 ATSG (SR 830.1) bzw. Art. 28 IVG und der dazu ergangenen Rechtsprechung. 3.2 3.2.1 Im Zusammenhang mit Schmerzleiden erwog das Eidg. Versicherungsgericht in BGE 127 V 294 E. 4c und 5a S. 298 f., dass eine fachärztlich festgestellte psychische Krankheit nicht ohne weiteres gleichbedeutend mit dem Vorliegen einer Invalidität ist. In jedem Einzelfall muss eine Beeinträchtigung der Erwerbsfähigkeit unabhängig von der Diagnose und grundsätzlich unbesehen der Ätiologie ausgewiesen und in ihrem Ausmass bestimmt sein. Entscheidend ist die nach einem weitgehend objektivierten Massstab zu erfolgende Beurteilung, ob und inwiefern der versicherten Person trotz ihres Leidens die Verwertung ihrer Restarbeitsfähigkeit auf dem ihr nach ihren Fähigkeiten offenstehenden ausgeglichenen Arbeitsmarkt noch sozial-praktisch zumutbar und für die Gesellschaft tragbar ist. Damit überhaupt von Invalidität gesprochen werden kann, sind von der soziokulturellen Belastungssituation zu unterscheidende und in diesem Sinne verselbstständigte psychische Störungen mit Auswirkungen auf die Arbeits- und Erwerbsfähigkeit unabdingbar. Bezüglich der unter die Kategorie der psychischen Leiden fallenden somatoformen Schmerzstörungen entschied das Eidg. Versicherungsgericht in BGE 130 V 352 E. 2.2.2 und 2.2.3 S. 353 ff., dass im Rahmen der sozialversicherungsrechtlichen Leistungsprüfung Schmerzangaben durch damit korrelierende, fachärztlich schlüssig feststellbare Befunde hinreichend erklärbar sein müssen, andernfalls sich eine rechtsgleiche Beurteilung der Rentenansprüche nicht gewährleisten lässt. Solche Leiden vermögen in der Regel keine lang dauernde, zu einer Invalidität im Sinne von Art. 4 Abs. 1 IVG führende Einschränkung der Arbeitsfähigkeit zu bewirken. Die - nur in Ausnahmefällen BGE 136 V 279 S. 282 anzunehmende - Unzumutbarkeit einer willentlichen Leidensüberwindung und eines Wiedereinstiegs in den Arbeitsprozess setzt voraus: das Vorliegen einer mitwirkenden, psychisch ausgewiesenen Komorbidität von erheblicher Schwere, Intensität, Ausprägung und Dauer oder aber das Vorhandensein anderer qualifizierter, mit gewisser Intensität und Konstanz erfüllter Kriterien wie chronische körperliche Begleiterkrankungen und mehrjähriger Krankheitsverlauf bei unveränderter oder progredienter Symptomatik ohne längerfristige Remission, ein ausgewiesener sozialer Rückzug in allen Belangen des Lebens, ein verfestigter, therapeutisch nicht mehr angehbarer innerseelischer Verlauf einer an sich missglückten, psychisch aber entlastenden Konfliktbewältigung (primärer Krankheitsgewinn) oder schliesslich unbefriedigende Behandlungsergebnisse trotz konsequent durchgeführter Behandlungsbemühungen (auch mit unterschiedlichem therapeutischem Ansatz) und gescheiterte Rehabilitationsmassnahmen bei vorhandener Motivation und Eigenanstrengung der versicherten Person. In BGE 130 V 396 E. 6 S. 399 ff. hielt das Gericht hinsichtlich psychogener Schmerzzustände und der damit verbundenen Beweisschwierigkeiten überdies fest, dass die Annahme eines invalidisierenden Gesundheitsschadens grundsätzlich eine fachärztliche, lege artis auf die Vorgaben eines anerkannten Klassifikationssystems abgestützte Diagnose voraussetzt. Mit BGE 132 V 65 E. 4 S. 70 ff. beschloss das Eidg. Versicherungsgericht, die im Bereich der somatoformen Schmerzstörungen entwickelten Grundsätze bei der Würdigung des invalidisierenden Charakters von Fibromyalgien analog anzuwenden. In Bezug auf Chronic Fatigue Syndrome oder Neurasthenie (Urteile 9C_662/2009 vom 17. August 2010 E. 2.3; I 70/07 vom 14. April 2008 E. 5), dissoziative Sensibilitäts- und Empfindungsstörung (SVR 2007 IV Nr. 45 S. 149, I 9/07 E. 4) sowie dissoziative Bewegungsstörung (Urteil 9C_903/2007 vom 30. April 2008 E. 3.4) gelangte das Bundesgericht zum selben Schluss. In SVR 2008 IV Nr. 62 S. 203, 9C_830/2007 E. 4.2, schliesslich bestätigte das Bundesgericht die Rechtsprechung zum invalidisierenden Charakter anhaltender somatoformer Schmerzstörungen bei weitgehendem Fehlen eines somatischen Befundes und vergleichbaren pathogenetisch (ätiologisch) unklaren syndromalen Zuständen, nachdem es sich eingehend mit der daran geübten Kritik auseinandergesetzt hatte. BGE 136 V 279 S. 283 3.2.2 In der Rechtsprechung des Bundesgerichts finden sich zahlreiche Fälle, welche belegen, dass eine Distorsion der HWS sehr oft in eine chronifizierte Schmerzproblematik, dabei insbesondere in eine diagnostizierte anhaltende somatoforme Schmerzstörung, mündet (vgl. etwa Urteile 8C_644/2009 vom 17. März 2010; 9C_985/2009 vom 2. März 2010; 8C_736/2009 vom 20. Januar 2010; 8C_357/2009 vom 14. Dezember 2009; 8C_180/2009 vom 8. Dezember 2009; 8C_325/2009 vom 23. September 2009; 9C_486/2009 vom 17. August 2009; 8C_177/2009 vom 12. August 2009; 8C_368/2009 vom 4. August 2009; 8C_673/2008 vom 10. Juli 2009; 8C_659/2008 vom 7. Juli 2009; 8C_1040/2008 vom 8. Mai 2009; 8C_996/2008 vom 24. April 2009; 8C_217/2008 vom 20. März 2009; 8C_824/2008 vom 30. Januar 2009; 8C_802/2007 vom 5. Mai 2008; 8C_219/2007 vom 18. März 2008; 9C_128/2008 vom 17. März 2008; U 56/07 vom 25. Januar 2008; 9C_322/2007 vom 22. Januar 2008 mit weiteren Beispielen aus der Praxis des Eidg. Versicherungsgerichts in E. 4.1.2). 3.2.3 An ihrer Sitzung vom 20. August 2010 gemäss Art. 23 BGG haben die vereinigten sozialrechtlichen Abteilungen die Rechtsfrage beantwortet, ob die Rechtsprechung zur anhaltenden somatoformen Schmerzstörung ( BGE 130 V 352 ) sinngemäss anwendbar sei, wenn sich die Frage nach der invalidisierenden Wirkung ( Art. 4 IVG in Verbindung mit Art. 8 ATSG ) einer spezifischen und unfalladäquaten HWS-Verletzung (Schleudertrauma) ohne organisch nachweisbare Funktionsausfälle stellt. Sie haben diese Rechtsfrage bejaht. Aus Gründen der Rechtsgleichheit ist es in der Tat geboten, sämtliche pathogenetisch-ätiologisch unklaren syndromalen Beschwerdebilder ohne nachweisbare organische Grundlage den gleichen sozialversicherungsrechtlichen Anforderungen zu unterstellen (Urteil I 70/07 vom 14. April 2008 E. 5). Es rechtfertigt sich daher, die in BGE 130 V 352 im Zusammenhang mit somatoformer Schmerzstörung entwickelten Kriterien auch für die Beurteilung der invalidisierenden Wirkung einer spezifischen HWS-Verletzung ohne organisch nachweisbare Funktionsausfälle analog anzuwenden. Dem steht der allenfalls organische Charakter des Leidens nicht entgegen, hat doch die Rechtsprechung die zu vorwiegend psychisch begründeten Schmerzstörungen (ICD-10: F45.4) entwickelten Regeln u.a. bereits auf die als organisches Leiden betrachtete Fibromyalgie (ICD-10: M79.0) übertragen (E. 3.2.1). Invaliditätsrechtlich ist auch von Bedeutung, dass als "Schleudertrauma" oder "Chronic Whiplash Injury" bezeichnete Beeinträchtigungen im Sinne eines komplexen und chronischen BGE 136 V 279 S. 284 Beschwerdebildes bisher in keinem anerkannten medizinischen Klassifikationssystem (vgl. BGE 130 V 396 E. 6.3 S. 403) als Diagnose figurieren. 3.3 Die ärztlichen Stellungnahmen zum psychischen Gesundheitszustand und zu dem aus medizinischer Sicht (objektiv) vorhandenen Leistungspotential bilden unabdingbare Grundlage für die Beurteilung der Rechtsfrage, ob und gegebenenfalls inwieweit einer versicherten Person unter Aufbringung allen guten Willens die Überwindung ihres Leidens und die Verwertung ihrer verbleibenden Arbeitskraft zumutbar (E. 3.2.2) ist. Im Rahmen der freien Beweiswürdigung ( Art. 61 lit. c ATSG ) darf sich dabei die Verwaltung - und im Streitfall das Gericht - weder über die (den beweisrechtlichen Anforderungen [ BGE 125 V 351 E. 3a S. 352] genügenden) medizinischen Tatsachenfeststellungen hinwegsetzen noch sich die ärztlichen Einschätzungen und Schlussfolgerungen zur (Rest-)Arbeitsfähigkeit unbesehen ihrer konkreten sozialversicherungsrechtlichen Relevanz und Tragweite zu eigen machen. Letzteres gilt namentlich dann, wenn die begutachtende Fachperson allein aufgrund der Diagnose einer anhaltenden somatoformen Schmerzstörung oder eines vergleichbaren Leidens eine Einschränkung der Arbeitsfähigkeit attestiert. Die rechtsanwendenden Behörden haben diesfalls mit besonderer Sorgfalt zu prüfen, ob die ärztliche Einschätzung der Arbeitsunfähigkeit auch invaliditätsfremde Gesichtspunkte (insbesondere psychosoziale und soziokulturelle Belastungsfaktoren) mit berücksichtigt, welche vom sozialversicherungsrechtlichen Standpunkt aus unbeachtlich sind (vgl. BGE 127 V 294 E. 5a S. 299; AHI 2000 S. 153, I 554/98 E. 3), und ob die von den Ärzten anerkannte (Teil-)Arbeitsunfähigkeit auch im Lichte der für eine Unüberwindlichkeit der Schmerzsymptomatik massgebenden rechtlichen Kriterien standhält ( BGE 130 V 352 E. 2.2.5 S. 355 f.). 4. 4.1 Nach Auffassung der Vorinstanz fallen für die Einschränkung der Arbeitsfähigkeit nur die Unfallfolgen in Betracht. Gestützt auf die Gutachten des Dr. med. O. vom 8. Oktober 2003 und des Dr. med. Z. vom 22. September 2006 hat das kantonale Gericht festgestellt, die Beschwerdegegnerin leide unter typischen Beschwerden nach einem Schleudertrauma der HWS wie Nackenbeschwerden, Kopfschmerzen, vegetativen Beschwerden in Form von Atemnot-Episoden, Kollapsneigung, Oberbauchbeschwerden ohne gastroskopisch feststellbares Substrat, neuropsychologischen Funktionsstörungen (ohne BGE 136 V 279 S. 285 neurologisch fassbare Ausfälle) und einer Anpassungsstörung (Angst und depressive Reaktion gemischt). Eine offensichtliche Unrichtigkeit dieser Feststellungen ist nicht ersichtlich und wird auch nicht geltend gemacht, weshalb sie für das Bundesgericht verbindlich sind ( Art. 105 Abs. 1 und 2 BGG ). Damit ist - auch ohne objektivierbare Funktionsausfälle - grundsätzlich von gesundheitlichen Beeinträchtigungen auszugehen, welche geeignet sein können, eine zu einer Invalidität führende Einschränkung der Arbeitsfähigkeit zu bewirken. Der vorinstanzliche Verweis auf die sogenannte Schleudertrauma-Praxis ( BGE 117 V 359 E. 5d/aa S. 363), welche sich mit der Frage nach der adäquaten Kausalität zum Unfall und nicht nach der invalidisierenden Wirkung des Leidens befasst (E. 3.1), genügt indessen nicht für die Annahme einer unüberwindbaren Arbeitsunfähigkeit. Ausserdem ist weder die Invalidenversicherung noch das den entsprechenden Anspruch prüfende kantonale Gericht an die Feststellung der Invalidität durch die Unfallversicherung gebunden ( BGE 133 V 549 E. 6.1 S. 553). 4.2 In der Annahme, dass ein Gesundheitsschaden ausgewiesen sei, hat die Vorinstanz mit Bezug auf die Arbeitsfähigkeit ebenfalls auf die Einschätzungen der Dres. med. O. und Z. abgestellt und diese direkt übernommen. Zur Frage, inwieweit die in den jeweiligen Gutachten vom 8. Oktober 2003 und 22. September 2006 ausgewiesene Einschränkung der Arbeitsfähigkeit auch invalidenversicherungsrechtlich relevant ist (E. 3.2), hat sie keine Feststellungen getroffen, und die (medizinischen, vgl. E. 3.3) Unterlagen sind diesbezüglich zu wenig aussagekräftig. 4.3 Der angefochtene Entscheid verletzt Bundesrecht. Die Beschwerdeführerin wird die notwendigen Abklärungen zu treffen und den Rentenanspruch unter Berücksichtigung der Kriterien für die Unzumutbarkeit einer willentlichen Überwindung des Leidens (E. 3.2 und 3.3) erneut zu beurteilen haben.
null
nan
de
2,010
CH_BGE
CH_BGE_007
CH
Federation
2760f8f8-4a9a-4d83-838d-f1f647ba8631
Urteilskopf 118 IV 200 36. Urteil des Kassationshofes vom 2. Juni 1992 i.S. W. gegen Generalprokurator des Kantons Bern (Nichtigkeitsbeschwerde).
Regeste Art. 19 und Art. 19a BetmG . Abgrenzung. 1. Wer den Kontakt zwischen Kaufinteressenten und Drogenverkäufern herstellt, um mit der aus dem nachfolgenden Drogengeschäft resultierenden, aus einem Drogenanteil bestehenden Provision den Eigenkonsum zu sichern, macht sich der Vermittlung im Sinne von Art. 19 Ziff. 1 Abs. 4 BetmG schuldig (E. 2). 2. Der privilegierte Tatbestand von Art. 19a BetmG erfasst nur jene Beschaffungshandlungen, die ausschliesslich dem eigenen Drogenkonsum dienen und somit eine Gefährdung Dritter ausschliessen. Nicht privilegiert sind Beschaffungshandlungen, die zum Drogenkonsum Dritter führen oder konkret führen können, wie insbesondere Verkauf, Vermittlung oder entsprechendes Lagern (E. 3).
Sachverhalt ab Seite 201 BGE 118 IV 200 S. 201 A.- W. verkaufte unter anderem einem Dritten Tonopan als Heroin und vermittelte verschiedenen Personen Heroin und Kokain zur Finanzierung seines Eigenkonsums. Das Strafamtsgericht von Bern verurteilte ihn am 19. Oktober 1989 wegen Betrugs, wiederholter und fortgesetzter Widerhandlung gegen Art. 19a BetmG sowie weiterer Delikte zu vier Monaten Gefängnis. B.- Auf Appellation des Bezirksprokurators des Mittellandes, vom Generalprokurator des Kantons Bern darauf beschränkt, W. sei nicht in Anwendung von Art. 19a, sondern von Art. 19 Ziff. 2 BetmG schuldig zu sprechen und entsprechend höher zu bestrafen, verurteilte das Obergericht des Kantons Bern W. am 23. Februar 1990 wegen Betrugs, wiederholter und fortgesetzter Widerhandlung gegen Art. 19 Ziff. 1 und 2 und Art. 19a BetmG sowie weiterer Delikte zu 13 Monaten Gefängnis. C.- W. erhebt eidgenössische Nichtigkeitsbeschwerde mit dem Antrag, das Urteil des Obergerichts sei hinsichtlich des Schuldspruches wegen qualifizierter Widerhandlung gegen das Betäubungsmittelgesetz sowie der Strafzumessung aufzuheben und die Sache sei an die Vorinstanz zurückzuweisen mit der Weisung, die Drogendelikte unter den privilegierten Tatbestand des Art. 19a BetmG zu subsumieren. Das Bundesgericht weist die Nichtigkeitsbeschwerde ab Erwägungen aus folgenden Erwägungen: 1. Die Vorinstanz stellt fest, dass der Beschwerdeführer in der Zeit von April bis Juli 1988 36 Gramm und von April bis Juli 1989 27 Gramm, insgesamt also 63 Gramm Heroin und von August 1988 bis Juni 1989 10 Gramm Kokain zum Zwecke des Eigenkonsums vermittelt hat. Er habe aufgrund einer zumindest konkludenten BGE 118 IV 200 S. 202 Vereinbarung mit den Dealern jeweils für die Vermittlung von drei Lappen-Briefchen als Vermittlerlohn ein Lappen-Briefchen erhalten; er habe jeweils die Dealer angefragt und für verschiedene Personen vermittelt; er habe Kaufinteressenten zum Dealer gebracht; wenn mehr gekauft wurde, habe er auch eine grössere Provision erhalten. 2. Der Beschwerdeführer macht geltend, seine Tätigkeit sei nicht als "vermitteln" im Sinne von Art. 19 Ziff. 1 Abs. 4 BetmG , sondern als straflose (weil nicht "öffentliche" im Sinne von Abs. 8) Bekanntgabe von Gelegenheiten zum Drogenerwerb zu qualifizieren. Dieser Einwand ist unbegründet. Wer, wie der Beschwerdeführer, den Kontakt zwischen Dealer und Kaufinteressenten herstellt, der erfüllt den Tatbestand der Vermittlung. In diesem Verhalten liegt mehr als das blosse Auffordern zum Betäubungsmittelkonsum oder die Bekanntgabe der Gelegenheit zum Erwerb von Betäubungsmitteln. Auch die vom Beschwerdeführer getroffene Vereinbarung betreffend seinen Provisionsanteil ist nicht typisch für das Aufforderungsdelikt gemäss Abs. 8, sondern ist ein weiteres Indiz für das Vermitteln im Sinne von Abs. 4. Im übrigen liegt in der Tätigkeit des Beschwerdeführers zumindest eine Teilnahme am In-Verkehr-Bringen von Betäubungsmitteln, was als weiteres Argument dafür spricht, sein Verhalten unter Abs. 4 zu subsumieren. 3. a) Die vorsätzliche Vermittlung von Betäubungsmitteln ist nach Art. 19 Ziff. 1 BetmG mit Gefängnis oder Busse zu bestrafen, in schweren Fällen mit Zuchthaus oder Gefängnis nicht unter einem Jahr, womit eine Busse bis zu einer Million Franken verbunden werden kann. Demgegenüber sieht der privilegierte Tatbestand von Art. 19a Ziff. 1 BetmG eine Strafdrohung von Haft oder Busse bis Fr. 5'000.-- vor für die vorsätzliche Konsumation von Betäubungsmitteln sowie für die Begehung einer Widerhandlung im Sinne von Art. 19 "zum eigenen Konsum". Die Vorinstanz will den privilegierten Tatbestand nur auf solche Beschaffungshandlungen anwenden, die ausschliesslich dem eigenen Konsum dienen, nicht aber auf die Vermittlung von Drogenkäufern an Dealer. Nach Ansicht des Beschwerdeführers sind demgegenüber alle in Art. 19 BetmG aufgezählten Handlungen, also auch der Drogenverkauf und die Drogenvermittlung, ausschliesslich nach Art. 19a BetmG zu ahnden, sofern sie den eigenen Konsum ermöglichen sollen. b) Das Bundesgericht hat angenommen, nur ausschliesslich für den Eigenkonsum bestimmte Vorbereitungshandlungen würden BGE 118 IV 200 S. 203 unter den privilegierten Tatbestand fallen ( BGE 108 IV 196 ; vgl. bereits BGE BGE 102 IV 196 f.). Die Anwendung des privilegierten Tatbestandes kommt deshalb nicht in Betracht, sobald die Verstösse gegen Art. 19 BetmG zum Konsum von Dritten führen müssen oder einen solchen Konsum neben dem Eigenverbrauch gestatten sollen. c) Massgebende Richtlinie bei der Auslegung des privilegierten Tatbestandes ist in der Lehre und Rechtsprechung die Gefährdung Dritter. Dementsprechend wird überwiegend hervorgehoben, dass Art. 19a Ziff. 1 BetmG blosse Beschaffungshandlungen, diese aber umfassend privilegiere, während Weitergabehandlungen nach Art. 19 BetmG zu bestrafen seien. Danach seien nur jene Widerhandlungen im Sinne von Art. 19 BetmG , die mit eigenem Konsum überhaupt vereinbar sind (Herstellen, Ausziehen, Umwandeln, Verarbeiten, Lagern, Ein-, Aus-, Durchführen, Befördern, Besitzen, Aufbewahren, Kaufen, Erlangen) als blosse Übertretungen anzusehen (vgl. GÜNTER HEINE, in JÜRGEN MEYER (Hrsg.): Betäubungsmittelstrafrecht in Westeuropa, Freiburg i.Br. 1987 S. 580 f. mit Hinweisen). Allerdings ist nicht zu übersehen, dass diese Auffassung zu Konsequenzen führt, die der Gesetzgeber von 1975 offenbar nicht vorausgesehen hat (vgl. HEINE, a.a.O., S. 581; GUIDO JENNY, Strafrecht in der Drogenpolitik: Eine kritische Bilanz, in: BÖKER/NELLES (Hrsg.): Drogenpolitik wohin? Bern 1991, S. 171): Bei Drogenabhängigen, die ihren Konsum auch durch Drogenhandel finanzieren, was bei einem Grossteil der Betroffenen der Fall sein dürfte, kann der privilegierte Tatbestand kaum angewendet werden. Hinzu kommt, dass je länger ein Drogenabhängiger seinen Konsum aus dem Drogenhandel finanziert und je grösser dementsprechend die Menge der in Verkehr gebrachten Betäubungsmittel ist, desto eher der qualifizierte Tatbestand (Art. 19 Ziff. 2) anzuwenden ist, jedenfalls dann, wenn man der Auslegung von Ziff. 2 die Summe der insgesamt gehandelten Menge zugrunde legt, weshalb die restriktive Auslegung des privilegierten Tatbestandes auch kritisiert wird (vgl. ALBRECHT, Die strafrechtliche Beurteilung von Drogenkonsumenten, BJM 1983 S. 217 ff.). d) Der Kritik ist insoweit beizupflichten, als die strikte Beschränkung des privilegierten Tatbestandes auf ausschliesslich für den Eigenkonsum bestimmte Vorbereitungshandlungen es praktisch verunmöglicht, den privilegierten Tatbestand auf den süchtigen Konsumenten anzuwenden, dem es einzig um die Beschaffung des für ihn selbst benötigten Stoffes geht, der jedoch aufgrund der Realitäten BGE 118 IV 200 S. 204 praktisch gezwungen ist, weitergehende Widerhandlungen gegen das Betäubungsmittelgesetz vorzunehmen. Andererseits ist nicht zu übersehen, dass bei einer Anwendung des privilegierten Tatbestandes auf sämtliche Widerhandlungen gegen das Betäubungsmittelgesetz, die mit dem Endziel des Eigenkonsums erfolgen, der Kleinhandel in einem Ausmass privilegiert würde, das mit der ratio von Art. 19 ff. StGB nicht zu vereinbaren ist. Grundsätzlich schaffen auch alle Widerhandlungen gegen Art. 19 BetmG , die allein zum Zwecke des Eigenkonsums begangen werden, eine abstrakte Gefahr für die geistige und körperliche Integrität und Gesundheit der Bevölkerung. Würde bereits diese eine Privilegierung nach Art. 19a BetmG ausschliessen, bliebe kein Raum für die Anwendung dieser Bestimmung. Der Umstand, dass Handlungen zum ausschliesslichen Zwecke des Eigenkonsums aber nicht die gleich hohe Gefährdung für Dritte bedeuten, rechtfertigt deren Privilegierung durch den Gesetzgeber. Wie der Eigenverbrauch der Drogen deren Weitergabe ausschliesst, schliesst aber auch umgekehrt die Weitergabe den Eigenverbrauch aus. Jenem, der - sei es auch nur zur Befriedigung des eigenen Bedarfs - Handel treibt, d.h. Drogen verkauft oder vermittelt und somit Dritten bzw. potentiellen Konsumenten zugänglich macht (vgl. BGE 117 IV 60 /1 E. 2a), kann der privilegierte Tatbestand von Art. 19a BetmG nicht zugute kommen. Das gleiche muss gelten, wenn durch Widerhandlungen gegen Art. 19 BetmG zum Zwecke des eigenen Konsums eine entsprechende konkrete - und damit eindeutig eine grössere als die in Art. 19 BetmG gesetzlich vermutete - Gefahr des Zugänglichwerdens von Drogen für Dritte (z.B. durch entsprechendes Lagern) geschaffen wird. Überdies hat der Richter, wie das Bundesgericht in seiner jüngeren Rechtsprechung verschiedentlich festgestellt hat, bei der Auslegung von Straftatbeständen auch der angedrohten Sanktion Rechnung zu tragen ( BGE 116 IV 315 E. aa). Wer in einem Ausmass wie der Beschwerdeführer sich auf Provisionsbasis an der Weiterverteilung von harten Drogen beteiligt hat, hat Leben und Gesundheit seiner Mitmenschen in einem Ausmass gefährdet, das mit der Übertretungsstrafdrohung von Art. 19a Ziff. 1 BetmG nicht abgegolten ist. Zusammenfassend ergibt sich somit, dass Art. 19a BetmG nur jene Beschaffungshandlungen erfasst, die ausschliesslich dem eigenen Drogenkonsum dienen, und dass ein Drogenkonsument nach Art. 19 BetmG zu bestrafen ist, sofern und soweit seine Beschaffungshandlungen BGE 118 IV 200 S. 205 für den Eigenkonsum tatsächlich auch zum Drogenkonsum Dritter führen oder im Sinne einer konkreten Gefahr dazu führen können. Ob davon eine Ausnahme zu machen ist, wenn die Weitergabe an Dritte nur ein unbedeutendes Nebendelikt darstellt, kann offenbleiben, da die dem Beschwerdeführer vorgeworfenen Handlungen offensichtlich mehr als ein blosses Nebendelikt sind. e) Dem Beschwerdeführer kann darin beigepflichtet werden, dass dem drogenabhängigen Konsumenten nach heutiger Anschauung therapeutische und fürsorgerische Alternativen angeboten werden sollen (vgl. dazu ALBRECHT, BJM 1983 S. 222 unten). Er übersieht aber, dass dies mit der rechtlichen Qualifikation der Tat nichts zu tun hat. Auch wenn der Drogenkonsument nach Art. 19 BetmG verurteilt wird, hat der Richter die Möglichkeit, den Strafvollzug aufzuschieben und eine ambulante oder stationäre Massnahme anzuordnen ( Art. 44 Ziff. 1 StGB ), womit dem Resozialisierungsgedanken Rechnung getragen ist. Diese Möglichkeit stand im übrigen dem Beschwerdeführer offen, doch war er nicht bereit, eine Massnahme anzutreten. Den Akten ist sodann zu entnehmen, dass er von Dezember 1988 bis April 1989 schon einmal in einer Methadonbehandlung stand, die nach dem Arztbericht indessen "gänzlich erfolglos" verlief und abgebrochen werden musste, weil er während der Behandlung Kokain zu sich nahm und sich den ärztlichen Kontrollen entzog. Nach dem Arztbericht vom 26. Juli 1989 kann nur eine Internierung den Beschwerdeführer zum Entzug bringen. Der Beschwerdeführer hat also von den ihm gebotenen therapeutischen und fürsorgerischen Massnahmen zuerst keinen nützlichen und im vorliegenden Verfahren überhaupt keinen Gebrauch gemacht, so dass er sich nicht darüber beklagen kann, dass ihm keine derartigen Möglichkeiten geboten worden seien. f) Die Widerhandlung gegen Art. 19 Ziff. 1 Abs. 1-6 BetmG ist als abstraktes Gefährdungsdelikt ausgestaltet ( BGE 117 IV 60 E. 2). Unter diesem Gesichtspunkt sind die weiteren Einwände des Beschwerdeführers unbehelflich. So kommt es für die Anwendung dieses Tatbestandes nicht darauf an, ob durch die Tathandlung, hier das Vermitteln, neue Abnehmerkreise von (noch) nicht süchtigen Personen erschlossen werden oder ob die vermittelten Abnehmer bereits Süchtige sind. Ebensowenig kann eine Rolle spielen, ob der Täter die Betäubungsmittel nur einem Abnehmer, ganz wenigen oder vielen Personen geliefert habe (dazu BGE 111 IV 31 ). Unerheblich für die Subsumtion ist sodann auch, ob der Täter die für den eigenen Konsum benötigten Drogen durch BGE 118 IV 200 S. 206 Verkauf oder Vermittlung erwirtschaftet. Das gleiche gilt schliesslich für das vom Beschwerdeführer angeführte Argument, dass die von ihm vermittelten Interessenten auch ohne seine Vermittlertätigkeit die von ihnen gewünschten Drogen erworben hätten, und dass umgekehrt die Dealer ihren Stoff auch ohne seine Tätigkeit abgesetzt hätten.
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Urteilskopf 118 III 62 19. Entscheid der Schuldbetreibungs- und Konkurskammer vom 12. März 1992 i.S. Pahlavi (Rekurs)
Regeste Arrestierung eines Anteils an einer unverteilten Erbschaft; Arrestort. Der Anteil eines im Ausland wohnenden Schuldners an einer im Ausland gelegenen unverteilten Erbschaft kann in der Schweiz nicht mit Arrest belegt werden, auch wenn ein zur Erbschaft gehörendes Grundstück in der Schweiz liegt.
Sachverhalt ab Seite 62 BGE 118 III 62 S. 62 A.- Zur Sicherung einer Forderung aus Arbeitsvertrag von Fr. 213'795.-- (nebst Zins) strengte der Gläubiger, der in den Diensten von Reza Pahlavi und zuvor in den Diensten von dessen Vater, dem Schah von Persien, gestanden hatte, einen auf Art. 271 Abs. 1 BGE 118 III 62 S. 63 Ziff. 4 SchKG gestützten Arrest an. Das mit dem Arrestvollzug beauftragte Betreibungsamt Oberengadin erklärte sich vorerst unzuständig, wurde aber mit Entscheid des Kantonsgerichtsausschusses von Graubünden vom 18. Juni 1991 angehalten, den Arrest zu vollziehen. Am 18. Juli 1991 belegte das Betreibungsamt Oberengadin die folgenden Gegenstände mit Arrest: "Parzelle Nr. 1406, Plan 32, Chasellas, Grundbuchblatt 455, Villa Suvretta Nr. 450, Personalhaus, Garagen Nr. 450 A, 13 119 m2 Gebäudegrundfläche, Hofraum, Anlagen, Bach, Wald und Wiese; Anteil von Reza Pahlavi aus Teilung des Gesamteigentums am Grundstück Parzelle Nr. 1406, Eigentümer: Erben des Mohammad Reza Schah Pahlavi Arya Mehr". Auf Veranlassung des Betreibungsamtes erliess das Grundbuchamt Oberengadin über die Parzelle Nr. 1406 eine Verfügungsbeschränkung. B.- Reza Pahlavi, dem eine Abschrift der Arresturkunde am 6. August 1991 zugestellt worden war, beschwerte sich über den Arrestvollzug beim Kantonsgerichtsausschuss von Graubünden als Aufsichtsbehörde über Schuldbetreibung und Konkurs. Er verlangte die Aufhebung des Arrests und die Anweisung an das Grundbuchamt, die Verfügungsbeschränkung zu löschen. Am 22. Oktober 1991 erkannte der Kantonsgerichtsausschuss: "1. Die Beschwerde wird dahin entschieden, dass der am 18. Juli 1991 vom Betreibungsamt Oberengadin vollzogene Arrest teilweise aufgehoben und der Arrestbefehl vom 15. März 1991 wie folgt vollzogen wird: Es wird mit Arrest belegt der Anteil des Arrestschuldners am Liquidationsanteil an der Erbschaft seines Vaters Mohammad Reza Shah Pahlavi Aryas Mehr, soweit sie in der Schweiz liegt. 2. Die vom Betreibungsamt Oberengadin am 18. Juli/6. August 1991 angeordnete Verfügungsbeschränkung über das Grundstück Parzelle Nr. 1406, Grundbuch St. Moritz, wird aufgehoben und das Grundbuchamt Oberengadin angewiesen, sie zu löschen. 3. Das Betreibungsamt Oberengadin wird angewiesen, die Namen der Miterben und die nähere Bezeichnung des Gemeinschaftsverhältnisses als ungeteilte Erbschaft in die Arresturkunde aufzunehmen und den darin aufgeführten Miterben das Betreibungsformular Nr. 17 zuzustellen. 4. ..." C.- Reza Pahlavi zog diesen Entscheid des Kantonsgerichtsausschusses von Graubünden an die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer des Bundesgerichts weiter, welche den Rekurs guthiess und den Arrest aufhob. BGE 118 III 62 S. 64 Erwägungen Erwägungen: 1. a) Zur Begründung ihrer Auffassung, dass das Betreibungsamt Oberengadin zuständig zum Vollzug des hier streitigen Arrestes sei, ist die kantonale Aufsichtsbehörde davon ausgegangen, dass der Schuldner Reza Pahlavi Wohnsitz im Ausland habe. Drittschuldner seines Anspruchs an der ungeteilten Erbschaft sei die Erbengemeinschaft des ehemaligen Schahs von Persien. Betreibungsort einer ungeteilten Erbschaft sei gemäss Art. 49 SchKG der Ort, wo der Erblasser zur Zeit seines Todes hätte betrieben werden können. Dies wäre am Arrestort in St. Moritz der Fall gewesen. In der Arresturkunde werde festgehalten, dass Eigentümer der Parzelle Nr. 1406 die Erben des verstorbenen Schahs seien und dass derjenige Anteil des Erben Reza Pahlavi arrestiert sei, welcher sich nach der Teilung des Gesamteigentums an der Parzelle Nr. 1406 ergebe. Wenn einerseits von dem durch Teilung festlegbaren Anteil des Schuldners die Rede sei und anderseits die Erben als Grundstückeigentümer aufgeführt seien, könne eine Aufhebung dieses Gesamteigentums nur mittels einer erbrechtlichen Auseinandersetzung erfolgen, in welcher der Anteil des Arrestschuldners an der Erbschaft ermittelt werde. Demgemäss werde dieser in der Liquidation der Erbschaft noch zu ermittelnde Anteil verarrestiert. Könne insoweit der vorliegende Arrest aufrechterhalten werden, so verstosse doch die detaillierte Bezeichnung eines zur ungeteilten Erbschaft gehörenden Gegenstandes - nämlich der Parzelle Nr. 1406 - in der Arresturkunde gegen Art. 275 SchKG in Verbindung mit Art. 1 Abs. 1 der Verordnung des Bundesgerichts über die Pfändung und Verwertung von Anteilen an Gemeinschaftsvermögen (vom 17. Januar 1923; SR 281.41; VVAG), wonach nur das Anteilsrecht selbst verarrestiert werden könne, und gegen Art. 275 SchKG in Verbindung mit Art. 5 Abs. 1 VVAG , wonach die Bestandteile des Gemeinschaftsvermögens nicht einzeln aufzuführen seien. Insoweit sei die Arresturkunde zu berichtigen. Da nur in der Schweiz liegende Vermögenswerte arrestiert werden könnten, habe sich der hier in Frage stehende Arrest auf den Liquidationsanteil an der ungeteilten Erbschaft des ehemaligen Schahs von Persien zu beziehen, insoweit dieser Anteil durch in der Schweiz verwertbare Vermögensstücke, zum Beispiel durch die in St. Moritz gelegene Parzelle Nr. 1406, zugunsten des Arrestgläubigers umgesetzt werden könne; denn nur der Erlös aus der Liquidation dieser in der Schweiz verwertbaren Vermögenswerte könne BGE 118 III 62 S. 65 anstelle des Liquidationsanteils zur Befriedigung des Gläubigers herangezogen werden. b) Die kantonale Aufsichtsbehörde hat sich jedoch der Auffassung des Arrestschuldners angeschlossen, dass zu Unrecht eine Verfügungsbeschränkung bezüglich der Parzelle Nr. 1406 im Grundbuch vorgemerkt worden sei. Gemäss Art. 5 Abs. 2 VVAG (in Verbindung mit Art. 275 SchKG ) werde keine Verfügungsbeschränkung beim Grundbuch angemeldet, wenn Grundstücke zum Gemeinschaftsvermögen gehörten. c) Schliesslich hat die kantonale Aufsichtsbehörde festgehalten, welche Vorkehren zu treffen sind, wenn es zur Arrestierung eines Anteilsrechtes an einem Gemeinschaftsvermögen kommt: Die einzelnen Erben seien in der Arresturkunde namentlich aufzuführen, es sei in der Arresturkunde festzuhalten, dass es sich um eine ungeteilte Erbschaft handle, und die Arrestierung des Anteilsrechtes sei sämtlichen Mitanteilhabern durch das obligatorische Formular Nr. 17 mitzuteilen. 2. a) Als Arrestschuldner wird im Arrestbefehl bezeichnet: "Reza Palavi [sic!], 956 Bellview Rd., Mc Lean/VA 22102, USA". Der Arrest richtet sich also klarerweise nicht gegen die Erbschaft des Schahs von Persien, was überdies auch daraus hervorgeht, dass als Forderungsurkunde ein Arbeitsvertrag vom 2. Dezember 1981 genannt wird. Schah Reza Pahlavi ist im Sommer 1980 gestorben. Der Rekurrent macht daher zu Recht geltend, dass Art. 49 SchKG nicht anwendbar sei, weil diese Bestimmung ausschliesslich die Betreibung einer ungeteilten Erbschaft zum Gegenstand habe ( BGE 102 II 387 , BGE 116 III 6 E. 2a mit Hinweisen; AMONN, Grundriss des Schuldbetreibungs- und Konkursrechts, 4. Auflage Bern 1988, § 10 N. 24; GILLIÉRON, Poursuite pour dettes, faillite et concordat, 2. Auflage 1988, S. 74, 85, 93). Der Umstand, dass Reza Pahlavi Arrestschuldner ist und Wohnsitz in den Vereinigten Staaten hat, vermöchte indessen - in einem ersten Schritt - den auf Art. 271 Abs. 1 Ziff. 4 gestützten Arrest zu rechtfertigen. b) Eine zweite und andere Frage ist es, was im vorliegenden Fall Arrestgegenstand bildet. Die Arresturkunde nennt als solchen den "Anteil von Reza Pahlavi aus Teilung des Gesamteigentums am Grundstück Parzelle Nr. 1406, Plan 32, Chasellas, Hauptbuchblatt 455, Villa Suvretta, Assek-Nr. 4590, Grundbuch St. Moritz". Der Gläubiger möchte also klarerweise den in der Schweiz greifbaren Liquidationsanteil des Reza Pahlavi an der ungeteilten Erbschaft von dessen Vater arrestiert wissen. Er ist sich offensichtlich BGE 118 III 62 S. 66 bewusst, dass Gegenstände, die sich nicht im Alleineigentum des Schuldners befinden, nicht arrestiert werden können, sondern dass sich der Arrestvollzug nur auf den Liquidationsanteil erstrecken kann, der dem Schuldner im Falle der Auflösung der das Gesamteigentum begründenden Gemeinschaft zufällt ( BGE 82 III 72 , BGE 91 III 26 E. 4). Gemäss BGE 109 III 90 ff. kann der Anspruch auf den Liquidationsanteil an einer unverteilten Erbschaft am Betreibungsort der Erbengemeinschaft arrestiert werden. Doch kann diesem Entscheid insofern nicht gefolgt werden, als er von der - unzutreffenden - Prämisse ausgeht, die Erbengemeinschaft sei im Verhältnis zum Erben Drittschuldner, und daraus auf die Anwendbarkeit von Art. 49 SchKG schliesst. c) Wie die kantonale Aufsichtsbehörde zu Recht ausgeführt hat, ist die Verordnung des Bundesgerichts über die Pfändung und Verwertung von Anteilen an Gemeinschaftsvermögen wegen Art. 275 SchKG auch auf den Arrest anwendbar ( BGE 91 III 26 E. 3 und 4). Von der Verordnung erfasst werden insbesondere die Fälle, wo der betriebene Schuldner am Vermögen einer ungeteilten Erbschaft Anteil hat ( Art. 1 VVAG ). Art. 2 VVAG erklärt zur Pfändung - diesfalls Arrestierung - des Anteilsrechts und des Ertrages das Betreibungsamt des Wohnsitzes des Schuldners zuständig, auch wenn sich das Gemeinschaftsvermögen oder Teile desselben (Grundstücke oder Fahrnis) in einem andern Betreibungskreis befinden. Der Wohnsitz des Arrestschuldners befindet sich in dem hier zu beurteilenden Fall nun aber in den Vereinigten Staaten, so dass sich der unausweichliche Schluss ergibt, dass das Betreibungsamt Oberengadin nicht zuständig ist für die Arrestierung des Liquidationsanteils von Reza Pahlavi an der ungeteilten Erbschaft seines Vaters. d) Dieses Ergebnis lässt sich auch nicht unter Berufung auf Art. 272 SchKG umstossen, wonach örtlich zuständig die Arrestbehörde des Ortes ist, wo sich der mit Arrest zu belegende Vermögenswert befindet; denn Vermögenswert ist hier nicht die in St. Moritz gelegene Liegenschaft, sondern das Anteilsrecht des Rekurrenten an der ungeteilten Erbschaft. Aus der Verordnung geht denn auch hervor, dass bei der Zwangsverwertung von Anteilen an Gemeinschaftsvermögen der Umstand, dass ein Grundstück Bestandteil des Gemeinschaftsvermögens bildet, praktisch jede Bedeutung verliert: Es wird ausdrücklich vorgeschrieben, dass die Bestandteile des Gemeinschaftsvermögens nicht einzeln aufzuführen BGE 118 III 62 S. 67 und zu schätzen seien ( Art. 5 Abs. 1 VVAG ), dass eine Verfügungsbeschränkung beim Grundbuch nicht anzumelden sei ( Art. 5 Abs. 2 VVAG ) und dass, auch wenn Grundstücke zum Vermögen gehören, für die Stellung des Verwertungsbegehrens die für die Verwertung von beweglichen Sachen und Forderungen aufgestellten Vorschriften des Art. 116 SchKG gelten ( Art. 8 Abs. 1 VVAG ). Auf Art. 49 SchKG lässt sich der Arrest gegen Reza Pahlavi - wie oben E. a bereits ausgeführt - vorweg nicht stützen, weil Schuldner im vorliegenden Fall nicht die ungeteilte Erbschaft ist. Auch der von der kantonalen Aufsichtsbehörde angerufene Art. 52 SchKG kommt hier nicht zum Zug. Die Vorschrift sagt nur, wo die Betreibung gegen den im Ausland wohnenden Gläubiger prosequiert werden muss, nachdem für eine Forderung Arrest gelegt worden ist. Wenn einerseits die jüngste Rechtsprechung festgestellt hat, dass die in Art. 538 ZGB vorgesehenen Gerichtsstände nur für Streitigkeiten gelten, die in engem Zusammenhang mit dem Erbgang stehen ( BGE 117 II 28 E. 2a), so ist anderseits dem Rekursgegner insofern zuzustimmen, als er geltend macht, dass diese Bestimmung auf Ausländer mit letztem Wohnsitz im Ausland nicht anwendbar sei ( BGE 62 II 22 E. 2; Kommentar ESCHER, N. 11 zu Art. 538 ZGB ; Kommentar TUOR/PICENONI, N. 4 zu Art. 538 ZGB ). Aus mehr als einem Grund kann demnach Art. 538 ZGB im vorliegenden Fall nicht angerufen werden. Auf erbrechtliche Auseinandersetzungen beschränkt sich aber auch die Anwendung der Art. 86 ff. IPRG ; sie sind für den vorliegenden Fall unbehelflich. Es ist am Ende - aus der Sicht des internationalen Rechts - das Territorialprinzip, welches dazu führt, dass der Anteil des Rekurrenten an der ungeteilten Erbschaft nicht mit Arrest belegt werden kann; denn bei diesem Anteil handelt es sich um einen im Ausland gelegenen Vermögenswert ( BGE 112 III 50 E. 3b).
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Urteilskopf 108 V 229 51. Auszug aus dem Urteil vom 1. Dezember 1982 i.S. Mätzler gegen Ausgleichskasse des Kantons Zürich und AHV-Rekurskommission des Kantons Zürich
Regeste Art. 71 Abs. 1, 72 Abs. 3 IVV, Art. 13 Abs. 2 VwVG . Unterlassen die Parteien in einem Verfahren, das sie durch eigenes Begehren einleiten oder in dem sie selbständige Begehren stellen können, die notwendige und zumutbare Mitwirkung, so können die kantonalen Ausgleichskassen und die Verbandsausgleichskassen bzw. die kantonalen Invalidenversicherungs-Kommissionen, anstatt aufgrund der Akten zu entscheiden ( Art. 72 Abs. 3 IVV ), im Sinne von Art. 13 Abs. 2 VwVG vorgehen und einen Nichteintretensentscheid erlassen, sofern dies das kantonale Recht oder die Praxis zulässt.
Erwägungen ab Seite 230 BGE 108 V 229 S. 230 Aus den Erwägungen: 2. Gemäss Art. 71 Abs. 1 IVV haben der Versicherte und seine Angehörigen über die für die Anspruchsberechtigung und die Festsetzung der Leistung massgebenden Verhältnisse wahrheitsgetreu und unentgeltlich Auskunft zu geben. Nach Art. 72 Abs. 1 IVV können auf Kosten der Invalidenversicherung von Ärzten, medizinischen Hilfspersonen und andern Fachleuten Gutachten, insbesondere über den Gesundheitszustand und die Arbeitsfähigkeit des Versicherten sowie über die Zweckmässigkeit bestimmter Eingliederungsmassnahmen, eingeholt werden. Macht die Begutachtung des Versicherten dessen Einweisung in eine Kranken- oder Heilanstalt oder in eine Eingliederungsstätte notwendig und leistet der Versicherte dieser Einweisung ohne genügende Entschuldigung keine Folge, so kann die Invalidenversicherungs-Kommission gemäss Art. 72 Abs. 3 IVV aufgrund der Akten beschliessen. Dieses Verfahren ist laut BGE 97 V 173 Erw. 4 auch in den Fällen von Art. 71 Abs. 1 IVV anwendbar. Nach Art. 13 Abs. 2 VwVG brauchen dagegen die eidgenössischen Behörden in einem Verfahren, das die Parteien durch eigenes Begehren einleiten oder in dem sie selbständige Begehren stellen können ( Art. 13 Abs. 1 lit. a und b VwVG ), auf das Begehren nicht einzutreten, wenn sie die notwendige und zumutbare Mitwirkung verweigern. Während Art. 72 Abs. 3 IVV verfahrensrechtlich für alle Ausgleichskassen und Invalidenversicherungs-Kommissionen gilt, ist Art. 13 Abs. 2 VwVG direkt nur im Verfahren der Schweizerischen Ausgleichskasse und der Eidgenössischen Ausgleichskasse sowie der beiden Invalidenversicherungs-Kommissionen des BGE 108 V 229 S. 231 Bundes anwendbar (Art. 1 Abs. 2 lit. e/ Art. 3 lit. a VwVG ). Wenn und soweit aber die kantonalen Ausgleichskassen oder die Verbandsausgleichskassen bzw. die kantonalen Invalidenversicherungs-Kommissionen kraft der für sie geltenden (nichtbundesrechtlichen) Bestimmungen oder auch nur praxisgemäss im Sinne von Art. 13 Abs. 2 VwVG vorgehen, kann dies nicht als bundesrechtswidrig bezeichnet werden. Art. 72 Abs. 3 IVV und Art. 13 Abs. 2 VwVG sind echte "Kann-Vorschriften" und schliessen sich gegenseitig nicht aus. Unterlassen die Parteien in einem Verfahren, das sie durch eigenes Begehren einleiten oder in dem sie selbständige Begehren stellen können, die notwendige und zumutbare Mitwirkung, so können demnach die Schweizerische Ausgleichskasse oder die Eidgenössische Ausgleichskasse bzw. die beiden Invalidenversicherungs-Kommissionen des Bundes - statt auf das Begehren nicht einzutreten - auch aufgrund der vorhandenen Akten materiell entscheiden. Ebenso steht unter den erwähnten Voraussetzungen den dem VwVG nicht unterstellten Ausgleichskassen und Kommissionen die Möglichkeit offen, statt gemäss Art. 72 Abs. 3 IVV aufgrund der Akten zu entscheiden, im Sinne von Art. 13 Abs. 2 VwVG vorzugehen und einen Nichteintretensentscheid zu erlassen. Eine andere Lösung für diese Kassen trüge nicht nur den Bedürfnissen der Praxis unzureichend Rechnung, sondern würde auch ungleiches Verfahrensrecht mit Bezug auf gleiche Rechtsansprüche schaffen. Die beiden Varianten - Nichteintreten/materieller Entscheid aufgrund der Akten - haben unterschiedliche, je nach Fall entweder begünstigende oder benachteiligende Auswirkungen auf die Rechtsstellung des Versicherten oder Ansprechers; es würde zu einer ungerechtfertigten rechtsungleichen Behandlung führen, wenn - je nachdem ein Versicherter der Schweizerischen Ausgleichskasse bzw. der Eidgenössischen Ausgleichskasse oder aber einer andern Ausgleichskasse unterstellt ist - nur die eine oder andere Variante angewendet werden dürfte. Wann die Ausgleichskassen und Invalidenversicherungs-Kommissionen unter den erwähnten Voraussetzungen bei schuldhafter Unterlassung der notwendigen und zumutbaren Mitwirkung einen Nichteintretensentscheid bzw. einen materiellen Entscheid aufgrund der vorhandenen Akten fällen können, hängt von den Umständen des Einzelfalles ab. Lässt sich beispielsweise der Sachverhalt ohne Schwierigkeiten und ohne besondern Aufwand abklären, auch wenn der Gesuchsteller die Mitwirkung verweigert oder unterlässt, so wird die Verwaltung die betreffenden Erhebungen zu BGE 108 V 229 S. 232 tätigen und anschliessend materiell zu entscheiden haben. Unter Umständen können auch schützenswerte Interessen Dritter ein solches Vorgehen erfordern (so etwa das Interesse der Ehefrau an der Invalidenrente des die Mitwirkung verweigernden Ehemannes). Ebenso wird materiell zu entscheiden sein, wenn die vorliegenden Akten einen Teilanspruch begründen (die Unterlagen erlauben beispielsweise den Schluss auf eine halbe Rente, hinsichtlich der ganzen Rente ist jedoch der Sachverhalt ungenügend erhellt). In Grenz- und Zweifelsfällen ist die für den Gesuchsteller günstigere Variante zu wählen.
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276b515e-7c44-4b0e-86f8-581fa75eba01
Urteilskopf 126 I 50 9. Urteil der I. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 5. April 2000 i.S. Swiss Online AG gegen Bezirksanwaltschaft Dielsdorf und Staatsanwaltschaft des Kantons Zürich (Verwaltungsgerichtsbeschwerde und staatsrechtliche Beschwerde)
Regeste Fernmeldegeheimnis, Überwachung des E-Mail-Verkehrs als strafprozessuale Zwangsmassnahme; Art. 4 aBV / Art. 9 BV , Art. 36 Abs. 4 aBV / Art. 13 Abs. 1 BV , § 103 und 104 ff. StPO /ZH. Die materielle Grundlage für Eingriffe in das Fernmeldegeheimnis findet sich nicht im (eidgenössischen) Fernmeldegesetz, sondern in den einschlägigen Strafprozessbestimmungen (E. 2). Es hält vor dem Willkürverbot nicht stand, vom Provider die Erforschung und Herausgabe von Angaben über Absender und Sendezeitpunkt eines manipulierten E-Mails gestützt auf § 103 StPO /ZH zu verlangen (E. 4). Die Teilnehmeridentifikation von Telefongesprächen stellt einen Eingriff in das Telefongeheimnis dar und unterliegt den verfassungs- und gesetzmässigen Voraussetzungen (E. 5b). Das verfassungsmässige Fernmeldegeheimnis gilt auch für den E-Mail-Verkehr über Internet; Anforderungen an Eingriffe (E. 6a). Die Erforschung und Herausgabe der Angaben über die Randdaten einer E-Mail-Mitteilung bedarf einer gesetzlichen Grundlage und einer richterlichen Genehmigung (E. 6b und 6c).
Sachverhalt ab Seite 51 BGE 126 I 50 S. 51 Die Bezirksanwaltschaft Dielsdorf führt eine Strafuntersuchung betreffend einen Erpressungsversuch. Anlass dazu gab ein manipuliertes E-Mail, das folgende Message-ID enthielt: 199811291950.UAA08709Oswissonline.ch. Es besteht der Verdacht, dass auf der beim Empfänger eingetroffenen erpresserischen E-Mail-Nachricht Absender und Versanddatum manipuliert worden sind. Zur Abklärung der Hintergründe forderte die Bezirksanwaltschaft Dielsdorf die Swiss Online AG als Provider des E-Mail-Verkehrs gestützt auf § 103 StPO /ZH auf, Auskunft über den tatsächlichen Absender des genannten E-Mails und dessen genauen Versandzeitpunkt zu geben. Die Swiss Online AG rekurrierte gegen diese Aufforderung bei der Staatsanwaltschaft des Kantons Zürich. Diese wies den Rekurs ab, erachtete § 103 StPO /ZH als hinreichende gesetzliche Grundlage BGE 126 I 50 S. 52 für die Auskunftserteilung und verneinte die Notwendigkeit einer richterlichen Genehmigung. Gegen den Entscheid der Staatsanwaltschaft hat die Swiss Online AG beim Bundesgericht Verwaltungsgerichtsbeschwerde und subsidiär staatsrechtliche Beschwerde erhoben. In der Verwaltungsgerichtsbeschwerde macht sie geltend, anstelle des kantonalen Rechts sei das eidgenössische Fernmelderecht anwendbar. In der staatsrechtlichen Beschwerde rügt sie eine willkürliche Anwendung von § 103 StPO /ZH und eine Verletzung des verfassungsmässigen Fernmeldegeheimnisses. Das Bundesgericht weist die Verwaltungsgerichtsbeschwerde ab und heisst die staatsrechtliche Beschwerde gut, soweit es darauf eintrat. Erwägungen Aus den Erwägungen: 1. Die Beschwerdeführerin erhebt in einer einzigen Eingabe Verwaltungsgerichtsbeschwerde und subsidiär staatsrechtliche Beschwerde. Dies ist nach der Rechtsprechung zulässig ( BGE 123 II 289 E. 1a S. 290; BGE 119 Ib 380 E. 1a S. 382 mit Hinweisen). Die staatsrechtliche Beschwerde ist gegenüber der Verwaltungsgerichtsbeschwerde subsidiär ( Art. 84 Abs. 2 OG ). Es ist daher vorerst zu prüfen, ob die Verwaltungsgerichtsbeschwerde zulässig ist. Diese Prüfung nimmt das Bundesgericht von Amtes wegen und mit freier Kognition vor ( BGE 124 II 409 E. 1 S. 411; BGE 123 II 289 E. 1a S. 290; BGE 119 Ib 380 E. 1a S. 382 mit Hinweisen). Nach Art. 97 ff. OG in Verbindung mit Art. 5 VwVG ist die Verwaltungsgerichtsbeschwerde zulässig gegen Verfügungen, die sich auf öffentliches Recht des Bundes stützen oder hätten stützen müssen ( BGE 123 II 56 E. 4a S. 61, 145 E. 1b und 2 S. 147 ff.; BGE 122 II 241 E. 2 S. 243; BGE 121 II 39 E. 2a S. 41, 72 E. 1b S. 75, 161 E. 2a S. 162 mit Hinweisen). Es kann geltend gemacht werden, es sei zu Unrecht kantonales Recht anstelle des anwendbaren Bundesrechts angewendet worden. Im vorliegenden Fall stützt sich der angefochtene Entscheid, mit dem die Beschwerdeführerin zur Bekanntgabe des Absenders eines E-Mails verpflichtet wird, auf § 103 der Strafprozessordnung des Kantons Zürich (StPO/ZH). Die Beschwerdeführerin macht indessen geltend, es hätte das (eidgenössische) Fernmeldegesetz vom 30. April 1997 (FMG, SR 784.10) zur Anwendung gebracht werden müssen. Wie es sich mit der materiellen Grundlage im Bundesverwaltungsrecht verhält, ist nachfolgend zu prüfen. BGE 126 I 50 S. 53 2. a) Das Fernmeldegesetz regelt die fernmeldetechnische Übertragung von Informationen, die nicht als Radio- oder Fernsehprogramme gelten ( Art. 2 FMG ). Als fernmeldetechnische Übertragung gilt jegliches elektrische, magnetische, optische oder anderes elektromagnetische Senden oder Empfangen von Informationen über Leitungen oder Funk ( Art. 3 lit. c FMG ). In Art. 43 umschreibt das Fernmeldegesetz das Fernmeldegeheimnis: Die Anbieterinnen von Fernmeldediensten sind zur Geheimhaltung von Angaben über den Fernmeldeverkehr von Teilnehmerinnen und Teilnehmern verpflichtet. Die Überwachung des Fernmeldeverkehrs ist in Art. 44 FMG geordnet: Bei der Verfolgung von Verbrechen und Vergehen hat jede Anbieterin den zuständigen Justiz- und Polizeibehörden des Bundes und der Kantone auf Verlangen Auskunft über den Fernmeldeverkehr von Teilnehmerinnen und Teilnehmern zu geben. Nach Art. 46 FMG regelt der Bundesrat zur Wahrung des Persönlichkeitsschutzes insbesondere die Identifikation des anrufenden Anschlusses und die Verwendung von Daten über den Fernmeldeverkehr. In der Verordnung vom 6. Oktober 1997 über Fernmeldedienste (FDV, SR 784.101.1) werden die Anbieterinnen von Fernmeldediensten verpflichtet, die persönlichen Daten der Teilnehmerinnen und Teilnehmer während sechs Monaten für die zuständigen Behörden im Rahmen der Fernmeldeüberwachung nach Art. 44 FMG ( Art. 50 Abs. 1 Satz 2 FDV ) bzw. für die Anfechtung von Rechnungen zur Verfügung zu halten. Im Hinblick auf die Liberalisierung des Fernmeldemarktes anstelle der ursprünglich im Bereiche der Telefonübermittlung allein auftretenden PTT-Betriebe hat der Bundesrat einen Dienst für die Überwachung des Post- und Fernmeldeverkehrs geschaffen (Art. 1 der Verordnung über den Dienst für die Überwachung des Post- und Fernmeldeverkehrs, Überwachungsverordnung, SR 780.11; vgl. Botschaft zum revidierten Fernmeldegesetz, BBl 1996 III 1405, insbes. 1441 f.; Botschaft zu einem Bundesgesetz betreffend die Überwachung des Post- und Fernmeldeverkehrs und über die verdeckte Ermittlung [Botschaft BÜPF], BBl 1998, 4241, insbes. 4259 f.). Der Dienst koordiniert die Überwachungen und die Auskunftserteilung zwischen den gesuchstellenden Strafverfolgungsbehörden und den Anbieterinnen. Die Begehren sind daher beim Dienst einzureichen (Art. 11 Überwachungsverordnung). Dieser hat nach Art. 6 Überwachungsverordnung im Einzelnen u.a. folgende Aufgaben: Er prüft, ob die Überwachung dem anwendbaren Recht entspricht und von einer zuständigen Behörde angeordnet wurde (lit. a); BGE 126 I 50 S. 54 er weist die Anbieterinnen von Fernmeldediensten an, die für die Überwachung notwendigen Massnahmen zu treffen (lit. b) und nimmt den von den Anbieterinnen umgeleiteten Fernmeldeverkehr der überwachten Person entgegen, zeichnet diesen auf und liefert die Aufzeichnungen der anordnenden Behörde aus (lit. c). Die Aufgaben des Dienstes, wie sie in der Überwachungsverordnung umschrieben sind, entsprechen weitgehend denjenigen, die der Bundesrat in seiner Botschaft BÜPF vorgeschlagen hat (Botschaft BÜPF, a.a.O., S. 4306). b) Im Folgenden ist zu prüfen, ob und inwiefern das dargestellte Bundesrecht Grundlage für die strafprozessuale Zwangsmassnahme von Überwachungen darstellt. Diese Prüfung ist vorerst unabhängig von der Differenzierung zwischen eigentlicher Telefonabhörung, der (nachträglichen) Teilnehmeridentifikation und den spezifischen Verhältnissen des E-Mail-Verkehrs vorzunehmen. Dabei ist auf die Bestimmungen des Strafgesetzbuches sowie auf das Fernmeldegesetz mit den dazugehörigen Materialien (inklusive die genannte Botschaft BÜPF) abzustellen. Das Fernmeldegesetz verpflichtet die mit fernmeldedienstlichen Aufgaben betrauten Personen zur Geheimhaltung und verbietet ihnen im Einzelnen, Dritten Angaben über den Fernmeldeverkehr von Teilnehmerinnen und Teilnehmern zu machen ( Art. 43 FMG ). Das Strafgesetzbuch stellt die Verletzung des Post- und Fernmeldegeheimnisses unter Strafe und verbietet Personen, die mit dem Erbringen von Post- oder Fernmeldediensten zu tun haben, die Weitergabe von Angaben über den Post-, Zahlungs- und Fernmeldeverkehr ( Art. 321ter StGB ). Diese Geheimhaltungspflicht wird durch die Überwachung des Fernmeldeverkehrs zur Verfolgung von Verbrechen und Vergehen durchbrochen: Jeder Anbieter von Fernmeldediensten wird diesfalls durch Art. 44 FMG verpflichtet, den zuständigen Justiz- und Polizeibehörden auf Verlangen Auskunft über den Fernmeldeverkehr von Teilnehmerinnen und Teilnehmern zu erteilen. Art. 179octies StGB erklärt die amtliche Überwachung des Fernmeldeverkehrs für straflos, wenn unverzüglich die Genehmigung des zuständigen Richters eingeholt wird und die Überwachung der Verfolgung von Verbrechen und Vergehen dient, deren Schwere und Eigenart den Eingriff rechtfertigen. Aus dieser Regelung geht gesamthaft hervor, dass Art. 44 FMG keine Grundlage für die Anordnung einer konkreten Überwachung darstellt. Zweck der Ordnung von Art. 43 f. FMG ist es auf der einen BGE 126 I 50 S. 55 Seite, die (privaten) Anbieterinnen von Fernmeldediensten überhaupt erst zur Geheimhaltung zu verpflichten - eine Geheimhaltung, zu der die früheren PTT-Angestellten schon auf Grund des allgemeinen Amtsgeheimnisses verpflichtet waren. Auf der andern Seite werden die Anbieterinnen von ihrer Geheimhaltungspflicht befreit und damit grundsätzlich zur Auskunft gegenüber den Strafverfolgungsbehörden verpflichtet (Botschaft FMG, a.a.O., S. 1441). Die Auskunftserteilung erfolgt auf Verlangen der Strafverfolgungsbehörden von Bund und Kantonen entsprechend ihren einschlägigen Strafprozessbestimmungen. Das Fernmeldegesetz umschreibt die Voraussetzungen für die Überwachung nicht selber, weder in formeller noch in materieller Hinsicht. Insbesondere wird die Auskunftserteilung nach Fernmeldegesetz weder an die Voraussetzung geknüpft, dass es sich um ein Verbrechen oder Vergehen handeln muss, dessen Schwere oder Eigenart den Eingriff rechtfertigt, noch wird eine richterliche Genehmigung verlangt (vgl. Art. 179octies StGB ). Diesen Voraussetzungen aber kommt bei der verfassungsmässigen Beurteilung und Abwägung des Eingriffs in das Telefongeheimnis entscheidende Bedeutung zu (vgl. BGE 109 Ia 273 E. 6 und 10, S. 285 und 295). Die Regelung des Eingriffs in das Fernmeldegeheimnis im Fernmeldegesetz wird daher als rudimentär bezeichnet (Botschaft BÜPF, a.a.O., S. 4246). Dieser Ordnung im Fernmeldegesetz entspricht auch die Umschreibung der Aufgaben des Überwachungsdienstes: Der Dienst beschränkt sich im Wesentlichen auf die Entgegennahme von Gesuchen und deren Weiterleitung an die Anbieter; er prüft lediglich formell, ob gewisse Voraussetzungen für die Zwangsmassnahme erfüllt sind. Im Wesentlichen nimmt er lediglich eine Koordinations- und Vermittlungsrolle ein (vgl. Art. 6, 8 und 11 der Überwachungsverordnung; Botschaft FMG, a.a.O., S. 1441 f.; Botschaft BÜPF, a.a.O., S. 4277). Dieses Auslegungsergebnis wird bestärkt durch die Botschaft des Bundesrates für ein neues Bundesgesetz über die Überwachung des Post- und Fernmeldeverkehrs, mit der die formellen und materiellen Voraussetzungen der Telefonüberwachung neu durch die Bundesgesetzgebung umschrieben werden sollen (Botschaft BÜPF, a.a.O., S. 4246 f., 4260 ff. und 4306 ff.). Bei dieser Sachlage zeigt sich, dass das Fernmeldegesetz keine Grundlage für eine konkrete Telefonüberwachung darstellt. Es kommt zwar insofern zur Anwendung, als die Anbieterinnen von Fernmeldediensten zur Auskunftserteilung verpflichtet werden und der Überwachungsdienst seine Koordinationsfunktion ausübt. Die BGE 126 I 50 S. 56 eigentliche materielle Grundlage für Telefonüberwachungen stellen indessen nach wie vor die Bestimmungen der anwendbaren Strafprozessordnungen der Kantone und des Bundes dar, welche den Eingriff in das Telefongeheimnis in Übereinstimmung mit Art. 179octies und Art. 400bis StGB umschreiben (vgl. § 104 ff. StPO ; JÜRG NEUMANN, Überwachungsmassnahmen im Sinne von Art. 179octies StGB , ZStrR 114/1996 S. 397 f.). Dieses Ergebnis gilt nicht nur für die eigentliche Telefonüberwachung im Sinne der Gesprächsabhörung. Auch für andere Arten der Überwachung des Fernmeldeverkehrs vermag das Fernmeldegesetz keine gesetzliche Grundlage abzugeben. Daher können sich die (nachträgliche) Teilnehmeridentifikation oder die Überwachung des E-Mail-Verkehrs zum Vornherein nicht auf das Fernmeldegesetz abstützen; auch insoweit stellt ausschliesslich das anwendbare Strafprozessrecht die materielle Rechtsgrundlage dar. Soweit die Beschwerdeführerin geltend macht, die angefochtene Verfügung stütze sich zu Unrecht auf das kantonale Recht und hätte richtigerweise auf das Fernmeldegesetz des Bundes abgestützt werden müssen, erweist sich ihre Beschwerde als unbegründet. Demnach ist die Verwaltungsgerichtsbeschwerde abzuweisen. 3. Die Beschwerdeführerin erhebt gegen die Aufforderung, den Strafverfolgungsbehörden den Absender des fraglichen E-Mails bekannt zu geben, subsidiär auch staatsrechtliche Beschwerde. (...) b) aa) Die Beschwerdeführerin kann auf Grund von Art. 4 der bis Ende 1999 geltenden Bundesverfassung (aBV) bzw. vom Art. 9 der Bundesverfassung vom 18. April 1999 (BV) eine willkürliche Anwendung von § 103 StPO /ZH rügen und geltend machen, die umstrittene Anordnung könne sich nicht auf die genannte Bestimmung der Strafprozessordnung abstützen. Da von ihr ein konkretes Handeln verlangt wird, ist sie im Sinne von Art. 88 OG zur Beschwerde legitimiert. Desgleichen ist sie zur Rüge befugt, es hätten die formellen Voraussetzungen von § 104 ff. StPO /ZH (betreffend Telefonüberwachung) eingehalten werden müssen. bb) Die Beschwerdeführerin macht weiter eine Verletzung des Post- und Telegrafengeheimnisses im Sinne von Art. 36 Abs. 4 aBV geltend. Ob diese Verfassungsbestimmung bzw. Art. 13 Abs. 1 BV für den Bereich des E-Mail-Verkehrs Anwendung findet, ist eine unten zu behandelnde materielle Frage. Zu prüfen an dieser Stelle ist indessen, ob sich die Beschwerdeführerin mit ihrer staatsrechtlichen Beschwerde überhaupt auf den verfassungsmässigen Geheimbereich berufen kann. BGE 126 I 50 S. 57 Das Telegrafen-, Telefon- und Fernmeldegeheimnis schützt die Privatsphäre desjenigen, der einen (heute von privater Seite angebotenen) Fernmeldedienst wie etwa das Telefon oder die Telegrafie in Anspruch nimmt. Der Schutz betrifft den Benützer dieser Dienstleistungen, nicht hingegen den Anbieter. Daraus folgt, dass sich die Beschwerdeführerin mit ihrer Beschwerde im vorliegenden Fall nicht in direkter Weise auf diese Verfassungsgarantien zu berufen vermag; sie erhebt die Rüge gewissermassen treuhänderisch anstelle der durch das Fernmeldegeheimnis direkt geschützten Person (vgl. zu dieser Problematik HANS MARTI, Die staatsrechtliche Beschwerde, 4. Auflage 1979, Rz. 93 S. 65). - Unter den gegebenen Umständen ist die Frage nach dem Geheimnisschutz mit in die Beurteilung einzubeziehen. Die Beschwerdeführerin ist nach dem Fernmeldegesetz grundsätzlich zum Geheimnis verpflichtet ( Art. 43 FMG ); das Strafgesetzbuch stellt die Verletzung des Fernmeldegeheimnisses unter Strafe ( Art. 321ter StGB unter Vorbehalt von Art. 179octies StGB ). Die Beschwerdeführerin ist daran interessiert, sich vor einem Gesetzesverstoss zu schützen und die Auskunft nur unter Einhaltung der gesetzlichen Voraussetzungen zu erteilen. Sie befindet sich in gleicher Lage wie Ärzte, Rechtsanwälte oder andere Angehörige von Berufsgruppen, die unter dem Berufsgeheimnis stehen und dieses gegenüber Auskunftsbegehren von Strafverfolgungsbehörden grundsätzlich anrufen können (vgl. Art. 321 StGB ). Sinngemäss macht die Beschwerdeführerin geltend, der angefochtene Entscheid vereitle Bundesrecht und verletze daher den Verfassungsgrundsatz der derogatorischen Wirkung des Bundesrechts (vgl. Urteil des Bundesgerichts in Pra 1996 Nr. 198 E. 1b). Schliesslich mag der Beschwerdeführerin die Berufung auf den verfassungsmässigen Geheimnisschutz anstelle der direkt Betroffenen in Analogie zu Art. 35 Abs. 3 BV zugestanden werden. Demnach wird im Folgenden die Frage der Verletzung des grundrechtlich garantierten Geheimnisschutzes zu prüfen sein. (...) 4. An erster Stelle gilt es zu prüfen, ob sich die angefochtene Verfügung ohne Willkür auf § 103 StPO /ZH stützen lässt. a) § 103 StPO /ZH hat folgenden Wortlaut: 1 Besteht Grund zur Annahme, dass sich Papiere oder andere der Beschlagnahme nach § 96 unterliegende Gegenstände und Vermögenswerte im Gewahrsam einer Person befinden, die an der abzuklärenden Straftat nicht beteiligt ist, wird sie von der Untersuchungsbehörde oder in dringenden Fällen von der Polizei zur Herausgabe aufgefordert. (...) 2 Kommt der Inhaber seiner Pflicht zur Herausgabe von Gegenständen und Vermögenswerten trotz Aufforderung nicht nach, kann eine BGE 126 I 50 S. 58 Hausdurchsuchung durchgeführt werden. Dabei vorgefundene Gegenstände und Vermögenswerte werden unter den Voraussetzungen von § 96 Abs. 1 beschlagnahmt, soweit eine Herausgabepflicht besteht. b) Die ursprüngliche Verfügung der Bezirksanwaltschaft stützte sich ohne nähere Begründung auf § 103 StPO /ZH. Im angefochtenen Entscheid legt die Staatsanwaltschaft dar, aus welchen Gründen § 103 StPO /ZH auf das streitige Auskunftsbegehren Anwendung finde. Im Einzelnen führt sie aus, § 96 StPO /ZH umfasse nach seinem klaren Wortlaut neben der Einziehungsbeschlagnahme (vgl. Art. 58 f. StGB) auch die Beweismittelbeschlagnahme; demnach könne § 103 StPO /ZH auch im Hinblick auf die Beschaffung der notwendigen Beweismittel angewendet werden. Sodann beziehe sich § 103 StPO /ZH nicht nur auf existierende, körperliche Gegenstände. Nach dieser Bestimmung könnten im Sinne einer Mitwirkungspflicht vielmehr auch gewisse Leistungen wie etwa die schriftliche Auskunftserteilung verlangt werden, womit ausgiebige Hausdurchsuchungen mit nachfolgenden Beschlagnahmungen oder mehrfache Befragungen erspart werden könnten. Sobald in diesem Sinne eine formulierte Auskunft vorliege, unterliege sie naturgemäss der Herausgabepflicht nach § 96 ff. StPO /ZH. Demgegenüber macht die Beschwerdeführerin in ihrer Beschwerde geltend, sie bzw. allenfalls ihre Organe könnten zwar grundsätzlich der Auskunfts- und Zeugenpflicht oder der Editionspflicht unterstehen. Hingegen sei sie auf Grund von § 103 StPO /ZH nicht zu einem weitern aktiven Handeln oder einer positiven Leistung, d.h. im vorliegenden Fall zum Aufsuchen von gewissen Gegebenheiten verpflichtet. c) Die Herausgabepflicht nach § 103 StPO /ZH bezieht sich nach seinem Wortlaut auf Papiere und (in Verbindung mit § 96 StPO /ZH) auf Gegenstände und Vermögenswerte, die als Beweismittel, zur Einziehung oder zum Verfall in Frage kommen. Es wird von keiner Seite in Frage gestellt, dass die Bestimmung auf die Erhebung von Beweismitteln (mit allfällig nachfolgender Beweismittelbeschlagnahme) anwendbar ist. In erster Linie werden mit § 103 StPO /ZH in einem weiten Sinne Gegenstände erfasst, die in der einen oder andern Form vorhanden sind und vom Pflichtigen zum Zwecke der Wahrheitsfindung herausgegeben werden müssen. Die Bestimmung spricht ausdrücklich von der "Herausgabe" und vom "Inhaber" solcher Gegenstände ( § 103 Abs. 1 Satz 2 StPO /ZH). Die Beschwerdeführerin verwendet denn auch zutreffend das Bild von BGE 126 I 50 S. 59 Gegenständen, die gewissermassen aus der Schublade herausgenommen werden könnten. Auch in der Literatur ist in diesem Zusammenhang von Sachen die Rede, für die eine Herausgabepflicht besteht (vgl. NIKLAUS SCHMID, Strafprozessrecht, 3. Auflage 1997, Rz. 742; HAUSER/SCHWERI, Schweizerisches Strafprozessrecht, 4. Auflage 1999, Rz. 4 f. zu § 70). Diesem Verständnis entspricht § 103 Abs. 2 StPO /ZH, wonach eine Hausdurchsuchung mit entsprechender Beschlagnahmung durchgeführt werden kann, wenn der Inhaber der Pflicht zur Herausgabe nicht nachkommt. In Anbetracht dieser Gesetzesauslegung erscheint das Abstützen der umstrittenen Auskunftserteilung auf § 103 StPO /ZH im vorliegenden Fall als fragwürdig. Die Staatsanwaltschaft geht selber nicht davon aus, dass die einverlangten Informationen in Form eines Papiers oder andern Gegenstandes tatsächlich bei der Beschwerdeführerin vorhanden seien. Es liegt somit nichts vor, das im eigentlichen Sinne herausgegeben werden könnte. Die Strafverfolgungsbehörden haben denn auch auf eine Hausdurchsuchung im Sinne von § 103 Abs. 2 StPO /ZH zum Zwecke einer Beschlagnahmung verzichtet. Wohl aus diesen Gründen hat die Staatsanwaltschaft die umstrittene Pflicht zur Auskunftserteilung zusätzlich mit einer allgemeinen Mitwirkungspflicht begründet. Auch in dieser Hinsicht erscheint der angefochtene Entscheid indessen als fragwürdig. Zum einen stützt sich die Staatsanwaltschaft weder auf die Pflicht zum Zeugnis ( § 128 ff. StPO /ZH) noch auf die Einvernahme von Auskunftspersonen ( § 149b StPO /ZH). Zum andern führt sie aus, die Mitwirkungspflicht führe zu gewissen Vorleistungen des Auskunftspflichtigen wie der schriftlichen Auskunftserteilung über gewisse Begebenheiten, womit den Betroffenen im Sinne der Verhältnismässigkeit Umtriebe wie die Erduldung ausgiebiger Hausdurchsuchungen mit Beschlagnahmungen oder mehrfache Einvernahmen erspart werden könnten. Dabei übersieht sie allerdings, dass auch diesbezüglich lediglich Auskünfte über ein vorhandenes Wissen eingeholt werden könnten. Zeugen haben lediglich den ihnen in Erinnerung stehenden Vorgang oder den vorhandenen Eindruck als Zeugnis wiederzugeben und ihr deliktsrelevantes Wissen mitzuteilen, ohne dass von ihnen ein spezifisches Nachforschen verlangt werden könnte (vgl. SCHMID, a.a.O., Rz. 630; HAUSER/SCHWERI, a.a.O., Rz. 3 zu § 62). Im vorliegenden Fall wird von der Beschwerdeführerin indessen nicht eine blosse Auskunftserteilung (in schriftlicher Form) über ein vorhandenes Wissen verlangt. Sie wurde in ihrer Eigenschaft als BGE 126 I 50 S. 60 Provider vielmehr aufgefordert, nach dem Absender und der Absendezeit des fraglichen E-Mails überhaupt erst zu forschen und darüber Bericht zu geben. Die streitige Verfügung übersteigt damit die Herausgabe von vorhandenen Dokumenten oder die Bekanntgabe von vorhandenem Wissen und reicht damit klar über § 103 StPO /ZH hinaus. Auch in dieser Hinsicht ist daher die rechtliche Grundlage für die umstrittene Verfügung zweifelhaft. d) Damit erweist sich die Rüge der willkürlichen Anwendung von § 103 StPO /ZH als begründet. Da ein kantonaler Entscheid im staatsrechtlichen Beschwerdeverfahren nur aufzuheben ist, wenn er sich auch im Ergebnis als willkürlich erweist ( BGE 122 I 257 S. 262), ist im Nachfolgenden zu prüfen, wie es sich mit den von der Beschwerdeführerin angerufenen Bestimmungen über die Telefonüberwachung verhält. 5. Die Beschwerdeführerin macht über die Rüge der willkürlichen Anwendung von § 103 StPO /ZH hinaus geltend, für die Suche und Herausgabe des Absenders des streitigen E-Mails hätte im Sinne der Bestimmungen von § 104 ff. StPO /ZH betreffend die Überwachung des Post- und Fernmeldeverkehrs vorgegangen werden müssen. Die (nachträgliche) Erforschung des E-Mail-Absenders stelle eine Überwachung dar und bedürfe daher nach § 104b StPO /ZH einer richterlichen Genehmigung durch den Präsidenten der Anklagekammer. Demgegenüber vertritt die Staatsanwaltschaft im angefochtenen Entscheid die Auffassung, es könne keine Parallele zur Telefonüberwachung konstruiert werden und die (nachträgliche) Erforschung des Absenders stelle keine Überwachungsmassnahme dar, weshalb die Pflicht zu einer richterlichen Genehmigung entfalle. Im Folgenden ist vorerst zu prüfen, ob die Erhebung von so genannten Randdaten im Sinne der Teilnehmeridentifikation für den Bereich des traditionellen Telefonverkehrs unter das Fernmeldegeheimnis fällt und daher eine Überwachung im Sinne von § 104 ff. StPO /ZH und Art. 179octies StGB darstellt. Erst hernach wird untersucht, wie es sich mit dem spezifischen Bereich des E-Mail-Verkehrs verhält (E. 6). a) Art. 36 Abs. 4 aBV garantiert das Post- und Telegrafengeheimnis. Zum Telegrafengeheimnis in diesem Sinne gehört nach der Rechtsprechung auch das Telefongeheimnis ( BGE 109 Ia 273 E. 4a S. 279 mit zahlreichen Hinweisen auf Rechtsprechung und Doktrin). Art. 13 Abs. 1 BV räumt einen Anspruch auf Achtung des Brief-, Post- und Fernmeldeverkehrs ein. Darin ist das Telefongeheimnis mit eingeschlossen (vgl. BBl 1997 I 153). Diese spezifischen BGE 126 I 50 S. 61 Grundrechtsgarantien gehen der allgemeineren auf Schutz der persönlichen Freiheit im Sinne der ungeschriebenen Verfassungsgarantie bzw. Art. 10 BV vor ( BGE 109 Ia 273 E. 4a S. 280). Gleichartige Garantien enthalten Art. 8 Ziff. 1 EMRK und Art. 17 des Internationalen Paktes über bürgerliche und politische Rechte (UNO-Pakt II, vgl. BGE 122 I 182 E. 3a S. 187). Das Telefongeheimnis ist - trotz des Wortlautes von Art. 36 Abs. 4 aBV , der keinen Vorbehalt aufweist - nicht absolut garantiert. Nach der Rechtsprechung kann in den Geheimnisbereich eingegriffen werden, soweit hierfür eine gesetzliche Grundlage besteht und der Eingriff einem überwiegenden öffentlichen Interesse entspricht, verhältnismässig ist und den Kerngehalt der Verfassungsgarantie wahrt ( BGE 109 Ia 273 E. 4a S. 280 und E. 7 S. 289 ; 122 I 182 E. 3a S. 187 mit weiteren Hinweisen). Die neue Bundesverfassung sieht die Einschränkung der Grundrechte nach Art. 36 in allgemeiner Weise vor. Schliesslich erlauben auch Art. 8 Ziff. 2 EMRK und Art. 17 UNO-Pakt II entsprechende Grundrechtseinschränkungen (vgl. BGE 122 I 182 E. 3a S. 188). Das Strafgesetzbuch stellt in Art. 321ter die Verletzung des Post- und Fernmeldegeheimnisses unter Strafe; vorbehalten bleibt nach Art. 179octies StGB die amtliche Überwachung des Post- und Fernmeldeverkehrs zur Verfolgung von Verbrechen und Vergehen, deren Schwere oder Eigenart den Eingriff rechtfertigen. Erforderlich ist, dass die Überwachung sich auf eine ausdrückliche gesetzliche Grundlage stützt und dafür unverzüglich die Genehmigung des zuständigen Richters eingeholt wird. Die Strafprozessordnungen der Kantone und des Bundes bilden in diesem Sinne die Grundlagen für Eingriffe in das Telefongeheimnis (vgl. oben E. 2b). b) Einen Eingriff in das Telefongeheimnis in diesem Sinne stellen klarerweise Massnahmen dar, mit denen Amtsanschlüsse überwacht und die darauf geführten Gespräche abgehört werden (vgl. BGE 109 Ia 273 ). Darüber hinaus ist zu prüfen, wie es sich mit der (nachträglichen) Teilnehmeridentifikation verhält. Die Staatsanwaltschaft hält dafür, dass eine solche Massnahme keinen Eingriff in den Geheimbereich darstelle. Die Teilnehmeridentifikation bedeutet, dass (im Nachhinein oder für die Zukunft) festgestellt und bekannt gegeben wird, welche Gespräche zu welchem Zeitpunkt und für wie lange zwischen Amtsanschlüssen geführt wurden. Dies wird auch als Erhebung von so genannten Randdaten bezeichnet (vgl. zur Bedeutung der Teilnehmeridentifikation NEUMANN, a.a.O., S. 413). Die Anbieterinnen von BGE 126 I 50 S. 62 Fernmeldediensten sind von Bundesrechts wegen verpflichtet, solche Randdaten im Hinblick auf umstrittene Rechnungen bzw. für die Bedürfnisse der Strafverfolgung während einer bestimmten Zeit aufzubewahren (vgl. Art. 50 FDV ). Die Staatsanwaltschaft ist der Auffassung, dass die Regeln der Telefonüberwachung für die Erhebung und Bekanntgabe von Randdaten deshalb nicht zur Anwendung kämen, weil die Massnahme rückwärts gerichtet sei und einzig ein einziges E-Mail betreffe, dessen Wortlaut zudem bereits bekannt ist. Diese Auffassung vermag vor dem Verfassungsrecht nicht standzuhalten. Das Bundesgericht hat sich verschiedentlich mit so genannten Zufallsfunden aus Telefonabhörungen befasst. Diese zeichnen sich gerade dadurch aus, dass die Abhörung bereits erfolgt, das Gespräch als solches bekannt ist und sich im Hinblick auf einen zufällig entdeckten Sachverhalt die Frage nach dessen nachträglicher Verwertbarkeit stellt. Das Bundesgericht hat dazu festgehalten, dass die Bekanntgabe von solchen Zufallsfunden einen Eingriff in das Telefongeheimnis bedeute und diese nur bei Vorliegen der strafprozessualen Voraussetzungen verwertet werden dürften. Insbesondere sei erforderlich, dass eine richterliche Genehmigung für die Verwendung und Verwertung von solchen Zufallsfunden ergeht. Eine solche kann durch den eigentlichen Strafrichter ( BGE 122 I 182 E. 3b S. 189; BGE 120 Ia 314 ) oder in einem separaten Verfahren bereits im Untersuchungsstadium erfolgen ( BGE 122 I 182 E. 4 S. 189). Der Umstand der erst nachträglichen Erhebung von gewissen Daten befreit daher nicht von der Beachtung der Bestimmungen über die Telefonüberwachung (vgl. BGE 122 I 182 E. 4 S. 192 sowie im Allgemeinen BGE 125 I 46 E. 5 S. 49). Die Teilnehmeridentifikation stellt in ähnlicher Weise wie die Telefonabhörung selbst einen Eingriff in das Telefongeheimnis dar. Denn es gehört zu dem durch das Fernmeldegeheimnis garantierten Geheimbereich, mit welchen Personen bzw. welchen Telefonanschlüssen zu welchem Zeitpunkt und wie lange telefoniert wird. Mit solchen Informationen über die gepflegten privaten Kontakte einer Privatperson wird in die berechtigte Erwartung der Benützer auf Respekt ihrer Geheimsphäre eingegriffen (vgl. JÖRG PAUL MÜLLER, Grundrechte in der Schweiz, 3. Auflage 1999, S. 134). Daran vermag der Umstand nichts zu ändern, dass gegenüber einer Telefonabhörung der Eingriff mangels eigentlicher Aufzeichnung weniger gravierend erscheinen mag. Auch mit der blossen Feststellung der Randdaten greift die Teilnehmeridentifikation in das Telefongeheimnis BGE 126 I 50 S. 63 ein und lässt sich daher nur bei Vorliegen der verfassungs- und gesetzmässigen Voraussetzungen rechtfertigen. Soweit ersichtlich, folgt die Praxis zur Anwendung der entsprechenden Strafprozessbestimmungen dieser Auffassung und behandelt die Teilnehmeridentifikation als Form der Telefonüberwachung. Die Anklagekammer des Bundesgerichts zählt bei der Anwendung von Art. 66 ff. des Bundesgesetzes über die Bundesstrafrechtspflege (BStP) die Teilnehmeridentifikation zu den Massnahmen der Fernmeldeüberwachung und verlangt demnach eine richterliche Genehmigung sowie nach Abschluss des Verfahrens die entsprechende Mitteilung an den Betroffenen; soweit sich eine solche Massnahme als unrechtmässig herausstellt, sind die entsprechenden Erkenntnisse aus dem Dossier zu entfernen. In diesem Sinne hat die Anklagekammer eine Überwachungsmassnahme mit einer Teilnehmeridentifikation und einer Telefonabhörung beurteilt ( BGE 123 IV 236 S. 238 f., 243 und 251); in einem nicht publizierten Entscheid vom gleichen Tag zu denselben Vorfällen stand ausschliesslich eine Teilnehmeridentifikation zur Diskussion (Urteil vom 4. November 1997 i.S. G., insbes. Sachverhalt und E. 3). - Die Beschwerdeführerin weist auf einen (Mehrheits-)Beschluss der I. Strafkammer des Obergerichts des Kantons Zürich hin (ZR 98/1999 S. 1). Danach befand die Mehrheit des Gerichts, dass nicht nur die in die Zukunft wirkende Telefonüberwachung, sondern auch die nachträgliche Teilnehmeridentifikation zu den Massnahmen der Überwachung des Fernmeldeverkehrs gehört und daher einer Genehmigung durch den Präsidenten der Anklagekammer bedarf. - Die Anklagekammer des Obergerichts des Kantons Bern fordert - nicht zuletzt aus Gründen der Abgrenzungsschwierigkeiten - auch für die Teilnehmeridentifikation die Einhaltung der allgemeinen Bestimmungen über die Fernmeldeüberwachung (ZBJV 132/1996 S. 624 f.). - Schliesslich darf berücksichtigt werden, dass der Bundesrat in seiner Botschaft zu den Bundesgesetzen betreffend die Überwachung des Post- und Fernmeldeverkehrs und über die verdeckte Ermittlung die Teilnehmeridentifikation der Überwachung des Fernmeldeverkehrs zuordnet und dafür eine richterliche Genehmigung verlangt (Botschaft BÜPF, a.a.O., S. 4259). Entgegen der Auffassung der Minderheit des erwähnten Entscheides des Zürcher Obergerichts kann aus den allgemeinen Ausführungen des Bundesrates nicht geschlossen werden, dass die Teilnehmeridentifikation nach heutiger Rechtslage nicht bereits zu den Überwachungsmassnahmen gezählt werden könnte. BGE 126 I 50 S. 64 In der Literatur wird die Frage der Zugehörigkeit der Teilnehmeridentifikation zu den einer richterlichen Genehmigung bedürftigen Überwachungsmassnahmen überwiegend bejaht (vgl. NEUMANN, a.a.O., S. 413; JÜRG AESCHLIMANN, Einführung in das Strafprozessrecht, Bern/Stuttgart/Wien 1997, Rz. 1009; THOMAS MAURER, Das bernische Strafverfahren, Bern 1999, S. 251 f.). Einzelne Autoren zählen die Teilnehmeridentifikation zu den Abhörmassnahmen, ohne sich zum Erfordernis der richterlichen Genehmigung ausdrücklich zu äussern (HAUSER/SCHWERI, a.a.O., Rz. 24 zu § 71). Die Bekanntgabe von so genannten Randdaten unterliegt der Strafnorm von Art. 321ter StGB und fällt durch den darin enthaltenen Verweis ebenfalls unter die Anforderungen von Art. 179octies StGB (JÖRG REHBERG, Änderungen im Strafgesetzbuch durch das neue Fernmeldegesetz, AJP 1998 S. 564). Schliesslich wird darauf hingewiesen, dass das Bundesrecht nicht nur den eigentlichen Fernmeldeverkehr und die damit übermittelte Information, sondern auch die so genannten Randdaten schütze; beim Empfänger befindliche Telegramme oder Briefe hingegen würden nicht durch § 104 ff. StPO /ZH erfasst (SCHMID, a.a.O., Rz. 761, mit Hinweisen); die beim Adressaten ausgelieferte Brief- und Paketpost unterliege der üblichen Beschlagnahme (NEUMANN, a.a.O., S. 414). c) Zusammenfassend ergibt sich aus diesen Erwägungen, dass eine Teilnehmeridentifikation unabhängig davon, ob sie rückwirkend oder für die Zukunft angeordnet wird, für den Bereich des Telefonverkehrs einen Eingriff in das verfassungsmässige Telefongeheimnis darstellt. Sie vermag vor der Verfassung daher nur standzuhalten, wenn sie auf einer gesetzlichen Grundlage beruht, einem überwiegenden öffentlichen Interesse entspricht, verhältnismässig ist und den Kerngehalt der Verfassungsgarantie wahrt (vgl. zu den Grundrechtseinschränkungen etwa BGE 122 I 182 E. 3a S. 187 mit Hinweisen). In diesem Sinne ermöglicht Art. 179octies StGB gestützt auf eine spezielle Rechtsgrundlage mit richterlicher Genehmigung amtliche Telefonüberwachungen zur Verfolgung oder Verhinderung eines Verbrechens oder Vergehens, dessen Schwere oder Eigenart den Eingriff rechtfertigt. Gleichermassen wie die Telefonüberwachungen sind die Teilnehmeridentifikationen auf die entsprechenden Bestimmungen in den kantonalen Strafprozessordnungen bzw. im Bundesstrafprozess abzustützen (vgl. oben E. 2b). 6. Nunmehr ist zu prüfen, ob auch der E-Mail-Verkehr über das Internet zum verfassungsmässigen Bereich des Fernmeldegeheimnisses gehört und wie es sich mit der Nachforschung nach Randdaten BGE 126 I 50 S. 65 wie dem Absender und dem Zeitpunkt des umstrittenen E-Mails verhält. a) Nach dem Verfassungsrecht werden das Post-, Telegrafen- und Telefongeheimnis ( Art. 36 Abs. 4 aBV ) bzw. das Fernmeldegeheimnis ( Art. 13 Abs. 1 BV ) geschützt. Im Hinblick auf die Bestimmung des Schutzbereiches dieser Grundrechte ist Grundgedanke der Verfassungsauslegung, dass die Kommunikation mit fremden Mitteln wie Post, Telefon und Telegrafie gegenüber Drittpersonen geheim soll erfolgen können; immer dann, wenn die Kommunikation durch eine Organisation erfolgt, soll sie im Vertrauen auf die Respektierung der Geheimsphäre vertraulich geführt werden können, ohne dass das Gemeinwesen Kenntnis und Einblick erhält und daraus gewonnene Erkenntnisse gegen den Betroffenen verwendet. Dieser Geheimbereich ist unabhängig davon zu gewähren, ob die Kommunikation durch eine staatliche Organisation wie die früheren PTT-Betriebe oder wie heute durch private Anbieterinnen von Fernmeldedienstleistungen vermittelt wird (vgl. BBl 1997 I 153 zu Art. 13 BV ). Dieselben Überlegungen gelten für den E-Mail-Verkehr über Internet (vgl. JÖRG PAUL MÜLLER, a.a.O., S. 134). Auszugehen ist von der Achtung des umfassend zu verstehenden Fernmeldeverkehrs. Nach Art. 13 Abs. 1 BV wird das Fernmeldegeheimnis in allgemeinerer Weise garantiert als durch die bisherige Verfassung in Art. 36 Abs. 4 aBV . Auch in der Bundesgesetzgebung wird der allgemeinere Ausdruck des Fernmeldeverkehrs verwendet. Das Strafgesetzbuch enthält in den Art. 179octies und 321ter StGB die entsprechenden Wendungen. Das Fernmeldegesetz regelt die fernmeldetechnische Übertragung von Informationen, die nicht als Radio- oder Fernsehprogramme gelten ( Art. 2 FMG ). Als fernmeldetechnische Übertragung gilt elektrisches, magnetisches, optisches oder anderes elektromagnetisches Senden oder Empfangen von Informationen über Leitungen oder Funk ( Art. 3 lit. c FMG ). Aus diesen Gründen werden auch die Dienste von Internet-Providern den Fernmeldediensten zugeordnet; sie fallen mit der Verpflichtung zur Geheimniswahrung ( Art. 43 FMG ) unter das Fernmeldegesetz (Botschaft BÜPF, a.a.O., S. 4255 f.). Das Kommunikationssystem des Internet-Verkehrs soll dem Vernehmen nach keine gleichartige Vertraulichkeit gewährleisten können wie etwa die Telefon- oder Telegrafiedienste. Der Benützer müsse sich vielmehr bewusst sein, dass seine Mitteilungen von Drittbenützern abgefangen bzw. zur Kenntnis genommen werden könnten. BGE 126 I 50 S. 66 Wie es sich mit dieser technischen Frage verhält, braucht nicht näher geprüft zu werden. Dieser Umstand würde nichts daran ändern, dass im Rahmen des technisch Möglichen die Geheimsphäre der E-Mail-Benützer dennoch verfassungsmässig zu wahren ist und die Strafverfolgungsbehörden über die normale Verwendung des Internet hinaus keinen besondern Zugriff zum E-Mail-Verkehr haben sollen und keine entsprechende Informationen gegen Private sollen verwenden dürfen. In diesem Sinne gilt das verfassungsmässige Fernmeldegeheimnis auch für den E-Mail-Verkehr über Internet. Daraus folgt, dass Eingriffe in die Vertraulichkeit des E-Mail-Verkehrs nur bei Vorliegen der verfassungsmässigen Anforderungen der gesetzlichen Grundlage, des überwiegenden öffentlichen Interesses, der Verhältnismässigkeit sowie der Wahrung des Kerngehalts zulässig sind ( Art. 36 BV ). Konkret gesprochen, müssen daher die Voraussetzungen von Art. 179octies StGB und der einschlägigen Bestimmungen der Strafprozessordnungen erfüllt sein. Daraus ergibt sich insbesondere, dass der Eingriff in den E-Mail-Verkehr der Verfolgung eines Verbrechens oder Vergehens dienen muss, dessen Schwere oder Eigenart den Eingriff rechtfertigt, und dafür eine richterliche Genehmigung einzuholen ist. b) Im Hinblick auf den vorliegenden Fall stellt sich abschliessend die Frage, ob auch die blosse Feststellung von Randdaten einen Eingriff in das verfassungsrechtlich geschützte Fernmeldegeheimnis darstellt. Denkbar ist beispielsweise, dass danach geforscht wird, an welche Adressaten und zu welchem Zeitpunkt ein E-Mail-Benutzer in einer bestimmten Periode Mitteilungen versendet bzw. zu welchem Zeitpunkt von welchen Absendern Mitteilungen empfangen werden. Auf Grund der vorstehenden Erwägungen zur Teilnehmeridentifikation beim Telefonverkehr ist auch insofern ein Grundrechtseingriff zu bejahen, da damit der geschützte E-Mail-Verkehr überprüft wird und Informationen über die gepflegten Kontakte von Privatpersonen erhältlich gemacht werden. Die Herausgabe solcher Erkenntnisse an die Strafverfolgungsbehörden stellt daher grundsätzlich einen Eingriff in die Vertraulichkeit des Fernmeldeverkehrs und in das grundrechtlich geschützte Fernmeldegeheimnis dar. c) Nicht anders verhält es sich im vorliegenden Fall: Es geht darum, den tatsächlichen Absender des erpresserischen E-Mails und den wahren Zeitpunkt der in Frage stehenden Mitteilung ausfindig zu machen. Die Erhebung dieser Daten greift in das Fernmeldegeheimnis BGE 126 I 50 S. 67 ein. Daran vermag insbesondere auch der Umstand nichts zu ändern, dass es dem Absender im vorliegenden Fall offenbar gelungen ist, die üblichen formellen Daten seines E-Mails zu manipulieren und damit den normalen E-Mail-Verkehr über das Internet gewissermassen zu missbrauchen. Daraus folgt für den vorliegenden Fall, dass die Erhebung von Randdaten des E-Mail-Verkehrs den allgemeinen Voraussetzungen von Grundrechtseingriffen genügen muss: Sie muss sich auf eine gesetzliche Grundlage stützen und darf im Sinne von § 179octies StGB nur mit richterlicher Genehmigung für die Verfolgung von Verbrechen oder Vergehen erfolgen, deren Schwere oder Eigenart die Massnahme rechtfertigt. Für die umstrittene Aufforderung an die Beschwerdeführerin um Auskunftserteilung bezüglich des erpresserischen E-Mails fehlte es indessen an einer richterlichen Genehmigung. Die staatsrechtliche Beschwerde erweist sich daher auch in dieser Hinsicht als begründet. 7. a) Auf Grund der vorstehenden Erwägungen ist die staatsrechtliche Beschwerde gutzuheissen und der angefochtene Entscheid aufzuheben. Es hat sich einerseits ergeben, dass es fragwürdig ist und vor dem Willkürverbot nicht standhält, die angefochtene Aufforderung zur Herausgabe der formellen Daten des in Frage stehenden E-Mails auf § 103 StPO /ZH abzustützen. Andererseits zeigt sich, dass die Erhebung von Randdaten des E-Mail-Verkehrs einen Eingriff in das Fernmeldegeheimnis darstellt, welcher im Sinne von Art. 179octies StGB einer gesetzlichen Grundlage in einer (kantonalen) Strafprozessordnung und einer richterlichen Genehmigung bedarf. In Anbetracht der Aufhebung des angefochtenen Entscheides hat die Staatsanwaltschaft daher zu prüfen, ob die Zürcher Strafprozessordnung (insbesondere § 104 ff.) eine hinreichende gesetzliche Grundlage für die angefochtene Anordnung darstellt, ob die Massnahme dem Gebot der Verhältnismässigkeit genügt und ob hierfür die fehlende richterliche Genehmigung eingeholt werden soll. b) Sind diese Voraussetzungen erfüllt, stellt sich weiter die Frage, wie in der vorliegenden Angelegenheit konkret weiter vorzugehen ist: Über die vorstehende grundrechtliche Erwägung hinaus wird auch das Bundesrecht zur Überwachung des Fernmeldeverkehrs zu beachten sein. Insbesondere ist der erwähnten Verordnung über den Dienst für die Überwachung des Post- und Fernmeldeverkehrs Rechnung zu tragen, welche das Vorgehen bei Überwachungsmassnahmen im Einzelnen umschreibt.
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Urteilskopf 109 IV 87 24. Urteil des Kassationshofes vom 5. Oktober 1983 i.S. Staatsanwaltschaft des Kantons Thurgau gegen S. (Nichtigkeitsbeschwerde)
Regeste Art. 68 Ziff. 2, 41 Ziff. 3 StGB . Im Sinne von Art. 68 Ziff. 2 StGB liegt eine Verurteilung wegen einer anderen Tat nicht erst mit dem Eintritt der Rechtskraft des Urteils vor, sondern schon mit der Urteilsfällung, unter der Voraussetzung, dass das Urteil später rechtskräftig wird. Für nach der Urteilsfällung begangene Delikte kommt dabei eine Zusatzstrafe nicht in Betracht (E. 2a). Bei der Beurteilung dieser Delikte ist über den Widerruf des für die frühere Strafe gewährten bedingten Strafvollzugs zu entscheiden (E. 2b).
Sachverhalt ab Seite 87 BGE 109 IV 87 S. 87 A.- Das Bezirksgericht Kreuzlingen verurteilte S. am 2. Juni 1982 wegen verschiedener Delikte zu 10 Wochen Gefängnis unter Gewährung des bedingten Strafvollzuges bei einer Probezeit von drei Jahren. Das Urteil wurde dem an der Hauptverhandlung BGE 109 IV 87 S. 88 anwesenden S. nach der Beratung mündlich eröffnet. Die schriftliche Mitteilung erfolgte am 2. September 1982. S. legte gegen dieses Urteil am 7. September 1982 beim Obergericht des Kantons Thurgau Berufung ein, die wegen unentschuldigten Nichterscheinens der Berufungspartei am 2. November 1982 abgeschrieben wurde. B.- In der Nacht vom 22. auf den 23. Juni 1982 beging S. zusammen mit zwei Komplizen einen unvollendeten Raubversuch und einen Hausfriedensbruch. Wegen dieser Delikte sowie wegen wiederholter, 1979 bis Sommer 1981 verübter Diebstähle verurteilte ihn die Kriminalkammer des Kantons Thurgau am 17. Mai 1983 "in Zusatz" zur vorgenannten Gefängnisstrafe von 10 Wochen zu vier Monaten Gefängnis unter Gewährung des bedingten Strafvollzugs. Den von der Staatsanwaltschaft gestellten Antrag auf Widerruf des für die frühere Strafe gewährten bedingten Strafvollzugs wies das Gericht ab. C.- Die Staatsanwaltschaft des Kantons Thurgau führt Nichtigkeitsbeschwerde mit dem Begehren, das Urteil der Kriminalkammer sei insoweit aufzuheben, als damit der vorgenannte Antrag der Beschwerdeführerin abgewiesen wurde, respektive sei die Vorinstanz anzuweisen, über die Frage des Widerrufs der bedingt aufgeschobenen Strafe gemäss Art. 41 Ziff. 3 StGB zu entscheiden. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Die Kriminalkammer hat den Antrag der Beschwerdeführerin auf Widerruf des bedingten Strafvollzugs deswegen abgelehnt, weil die Rechtskraft des Urteils des Bezirksgerichtes Kreuzlingen deutlich nach den letzten, von ihr beurteilten Straftaten liege, da der genannte Entscheid erst am 2. September 1982 versandt worden sei und der Beschwerdegegner dagegen Berufung eingelegt habe, die er im nachhinein allerdings wieder zurückgezogen habe. Damit sei bezüglich aller Anklagepunkte ein Zusatzurteil zum vorgenannten bezirksgerichtlichen Entscheid zu fällen, womit die Frage des Widerrufs entfalle. 2. Mit dieser Argumentation geht die Vorinstanz von unzutreffenden rechtlichen Überlegungen aus. a) Ihre Auffassung, wonach so lange eine Zusatzstrafe auszusprechen sei, als die neu beurteilte Tat noch vor Eintritt der Rechtskraft des früheren Strafurteils verübt wurde, widerspricht der Rechtsprechung des Bundesgerichts. Im Sinne des Art. 68 BGE 109 IV 87 S. 89 Ziff. 2 StGB "wegen einer anderen Tat zu Freiheitsstrafe verurteilt" ist der Täter nicht erst mit der Rechtskraft der Verurteilung, sondern schon mit der Urteilsfällung, unter der Voraussetzung, dass das Urteil später rechtskräftig wird ( BGE 102 IV 244 E. II 4b). Des weiteren ist in den Fällen, in denen eine nach der Urteilsfällung verübte Tat mit Straftaten zusammentrifft, die vor jener begangen wurden, nicht eine Zusatz-, sondern eine Gesamtstrafe auszufällen ( BGE 75 IV 161 ). Im vorliegenden Fall waren die neu beurteilten Delikte des unvollendeten Raubversuchs und des Hausfriedensbruchs am 22./23. Juni 1982 und damit nach dem am 2. Juni 1982 ausgefällten und dem Beschwerdegegner am gleichen Tag eröffneten Urteil des Bezirksgerichtes Kreuzlingen begangen worden. Gegen dieses Urteil hatte S. zwar Berufung eingelegt. Da er aber unentschuldigt zur Verhandlung nicht erschien, galt die Berufung gemäss § 218 Abs. 1 thurg. StPO als zurückgezogen und wurde deshalb vom Obergericht am 2. November 1982 abgeschrieben. Damit wurde der bezirksgerichtliche Entscheid rechtskräftig (§ 175 Abs. 1 thurg. StPO), mit der Folge, dass bezüglich der vorgenannten Delikte die Ausfällung einer Zusatzstrafe nicht mehr in Betracht kam. Daran änderte auch der Umstand nichts, dass der Raubversuch und der Hausfriedensbruch mit Diebstählen zusammentrafen, welche vor jenem Urteil begangen worden waren. Wie oben dargetan, hätte die Vorinstanz dem durch eine Gesamtstrafe Rechnung tragen sollen. Da dieser Punkt nicht angefochten ist, muss es insoweit beim angefochtenen Urteil sein Bewenden haben. b) Der der Vorinstanz unterlaufene Fehler kann nicht dazu führen, die Frage des Widerrufs einfach auszuklammern, als ob sie sich überhaupt nicht stellen würde; denn nach Art. 41 Ziff. 3 Abs. 1 und 2 StGB hat der Richter den bedingten Strafvollzug zu widerrufen, wenn der Täter während der Probezeit ein Verbrechen oder Vergehen begeht und es sich nicht um einen leichten Fall handelt, der bei gleichzeitig günstiger Prognose die Anordnung einer blossen Ersatzmassnahme rechtfertigt. Nach der Rechtsprechung beginnt die Probezeit mit der Eröffnung des Urteils zu laufen, das vollstreckbar wird, denn mit der Eröffnung spricht der Richter gegenüber dem Verurteilten die Erwartung aus, dass er sich schon durch eine bedingt aufgeschobene Strafe bessern lassen werde ( BGE 104 IV 59 E. 2; 90 IV 242 E. 1 und 1b). Wie bereits ausgeführt wurde, erwuchs wegen unentschuldigten Ausbleibens des Beschwerdegegners an der Berufungsverhandlung BGE 109 IV 87 S. 90 das Urteil des Bezirksgerichts Kreuzlingen in Rechtskraft. Da es überdies gemäss § 174 Abs. 1 thurg. StPO am 2. Juni 1982 in Anschluss an die Hauptverhandlung mündlich eröffnet worden war, begann die dem Beschwerdegegner auferlegte Probezeit von drei Jahren an diesem Tag zu laufen. Die am 22./23. Juni 1982 verübten Delikte des unvollendeten Raubversuchs und Hausfriedensbruchs fielen demnach in die Probezeit. Die Kriminalkammer hätte deshalb prüfen müssen, ob der dem Beschwerdegegner vom Bezirksgericht Kreuzlingen gewährte bedingte Strafvollzug gemäss Art. 41 Ziff. 3 Abs. 1 StGB zu widerrufen oder ob nach Abs. 2 der genannten Vorschrift nur eine Ersatzmassnahme anzuordnen sei. Da sich die Vorinstanz hierzu überhaupt nicht geäussert hat, ist ihr Urteil aufzuheben und die Sache insoweit zu neuer Entscheidung zurückzuweisen. Bei Prüfung der Frage, ob es sich bei den neuen Delikten um einen leichten Fall handelt, wird sie die gesamten objektiven und subjektiven Umstände beachten müssen, wobei sie auch der Dauer der Strafe wird Rechnung tragen können ( BGE 98 IV 251 ), die sie in casu bei richtiger Zumessung für den Raubversuch und den Hausfriedensbruch ausgesprochen hätte (s. auch BGE BGE 101 Ib 155 ). Schliesslich wird sie auch berücksichtigen müssen, dass Fälle, die das breite Feld durchschnittlicher Taten nicht übersteigen, nicht ohne weiteres leicht sind (vgl. BGE 102 IV 232 E. 2).
null
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1,983
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Urteilskopf 119 II 264 53. Auszug aus dem Urteil der II. Zivilabteilung vom 3. März 1993 i.S. X. (Verwaltungsgerichtsbeschwerde)
Regeste Anerkennung einer im Ausland geschlossenen Ehe ( Art. 45 IPRG ; Art. 54 BV ; Art. 8 und 12 EMRK ). Eine Ehe unter gleichgeschlechtlichen Personen verstösst gegen den schweizerischen Ordre public und darf deshalb nicht anerkannt werden (E. 3); die Nichtanerkennung verletzt weder Art. 54 BV noch Art. 8 oder 12 EMRK (E. 4 und 5). Verfahren für den rechtlichen Nachvollzug der medizinisch durchgeführten Geschlechtsumwandlung. Die Eintragung der Geschlechtsänderung in das Zivilstandsregister setzt voraus, dass die betroffene Person das neue Geschlecht - mit einer Statusklage - durch den Richter hat feststellen lassen (E. 6). Im Falle internationaler Verflechtung gilt Art. 33 Abs. 1 IPRG (E. 7).
Sachverhalt ab Seite 265 BGE 119 II 264 S. 265 Am 15. Dezember 1988 wurde in Kopenhagen (Dänemark) die Ehe zwischen dem in der Schweiz heimatberechtigten A. Y. und B. X. aus Brasilien geschlossen. Wie im Verlaufe des Jahres 1990 bekannt wurde, war die Person, die als Braut aufgetreten war, am 6. Oktober 1955 in Brasilien als Sohn des C. R. und der D. S. unter dem Namen F. R. geboren worden. Am 9. Januar 1988 hatte sie sich einer geschlechtsumwandelnden Operation unterzogen. Eine entsprechende Änderung der Zivilstandsregister fand jedoch nicht statt. Bei der Trauung wies sich die als Braut auftretende Person mit einem auf B. X. lautenden Pass aus, in den sie ihr Foto eingesetzt hatte. Mit Eingabe vom 2. Dezember 1991 stellte B. Y. - X. beim Departement des Innern des Heimatkantons von A. Y. als Aufsichtsbehörde über das Zivilstandswesen das Gesuch, es sei die am 15. Dezember 1988 in Kopenhagen geschlossene Ehe anzuerkennen und das Zivilstandsamt der Heimatgemeinde anzuweisen, den entsprechenden Registereintrag vorzunehmen. Am 4. Mai 1992 verfügte das Departement, dass die Ehe nicht anerkannt und der verlangte Registereintrag verweigert werde. B. X. (eigentlich F. R.; im folgenden der Beschwerdeführer) hat Verwaltungsgerichtsbeschwerde an das Bundesgericht erhoben mit dem Antrag, die Verfügung vom 4. Mai 1992 sei aufzuheben und dem beim kantonalen Departement eingereichten Gesuch sei zu entsprechen. Das kantonale Departement des Innern beantragt Abweisung der Beschwerde. Das Eidgenössische Justiz- und Polizeidepartement (Bundesamt für Justiz) hat erklärt, es schliesse sich im wesentlichen der Rechtsauffassung der kantonalen Instanz an. Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. Die Anerkennung und Registrierung der zwischen dem Beschwerdeführer und A. Y. in Dänemark geschlossenen Ehe hat das Departement des Innern des Kantons ... mit der Begründung verweigert, BGE 119 II 264 S. 266 es handle sich registermässig um eine Ehe unter gleichgeschlechtlichen Personen. Eine solche könne in der Schweiz nicht anerkannt werden. 3. Der Beschwerdeführer rügt vorab eine Verletzung von Art. 45 IPRG (SR 291). a) Gemäss Art. 45 Abs. 1 IPRG wird eine im Ausland gültig geschlossene Ehe in der Schweiz anerkannt. Sind Braut oder Bräutigam Schweizer Bürger oder haben beide Wohnsitz in der Schweiz, so wird die im Ausland geschlossene Ehe anerkannt, wenn der Abschluss nicht in der offenbaren Absicht ins Ausland verlegt worden ist, Nichtigkeitsgründe des schweizerischen Rechts zu umgehen ( Art. 45 Abs. 2 IPRG ). Bezüglich der Eintragung in die Zivilstandsregister, wie sie hier vom Beschwerdeführer verlangt worden ist, bestimmt Art. 32 Abs. 1 IPRG , dass eine ausländische Entscheidung oder Urkunde über den Zivilstand aufgrund einer Verfügung der kantonalen Aufsichtsbehörde in die Zivilstandsregister eingetragen wird. Die Eintragung wird bewilligt, wenn die Voraussetzungen der Art. 25 bis 27 erfüllt sind ( Art. 32 Abs. 2 IPRG ). Die Anerkennung ist unter anderem ausgeschlossen, wenn sie mit dem schweizerischen Ordre public offensichtlich unvereinbar wäre ( Art. 27 Abs. 1 IPRG ). b) Ein Verstoss gegen den Ordre public liegt nach der Rechtsprechung vor, wenn fundamentale Rechtsgrundsätze verletzt sind, der fragliche Akt mit der schweizerischen Rechts- und Wertordnung schlechthin unvereinbar ist ( BGE 116 II 636 ; BGE 111 Ia 14 E. 2a mit Hinweisen). Nach dem schweizerischen Rechtsempfinden ist die Ehe die geschlechtliche Vereinigung von Mann und Frau, mit andern Worten von zwei Menschen biologisch unterschiedlichen Geschlechts (HEGNAUER, Grundriss des Eherechts, 2. A., Rz. 4.33; HAUSHEER/REUSSER/GEISER, N. 6 zu Art. 159 ZGB ). Das so verstandene Institut der Ehe untersteht der Ordre public-Klausel (vgl. BGE 114 II 6 E. 4). c) Bei seinem Entscheid ging das kantonale Departement des Innern vom Personenstand des Beschwerdeführers aus, wie er aus dessen richtigen Personaldokumenten hervorgeht. Danach ist der Beschwerdeführer männlichen Geschlechts. Die mit A. Y. in Dänemark geschlossene Ehe hat die kantonale Instanz folgerichtig als Verbindung unter gleichgeschlechtlichen Personen qualifiziert, deren Anerkennung gegen den schweizerischen Ordre public verstossen würde. Aus dieser Sicht ist der angefochtene Entscheid nicht zu beanstanden. BGE 119 II 264 S. 267 4. In der Nichtanerkennung der Ehe mit A. Y. erblickt der Beschwerdeführer sodann einen Verstoss gegen die Art. 54 BV und 12 EMRK. a) Beruft sich ein Beschwerdeführer für den nämlichen Anspruch gleichzeitig auf ein verfassungsmässiges Recht und auf eine Bestimmung der EMRK, so prüft das Bundesgericht in der Regel zunächst, ob der angefochtene Entscheid gegen die Bundesverfassung verstosse. Gegebenenfalls berücksichtigt es dabei allerdings die Konkretisierung bestimmter Rechtsgrundsätze durch die Konventionsorgane ( BGE 112 Ia 99 E. 3 mit Hinweis). b) Nach Art. 54 Abs. 1 BV steht das Recht zur Ehe unter dem Schutz des Bundes. Geschützt ist das Institut der Ehe als solches, so wie die kulturelle Entwicklung es gestaltet hat und wie es den sittlichen Anschauungen der Bürgerinnen und Bürger entspricht. Aus dieser Sicht versteht sich die Ehe als das auf Dauer angelegte Zusammenleben von Mann und Frau in einer umfassenden Lebensgemeinschaft. Gleichgeschlechtliche Lebensgemeinschaften fallen dagegen nicht unter den Schutz von Art. 54 BV , und zwar auch dann nicht, wenn eine formelle Eheschliessung erschlichen worden ist (DICKE, Kommentar zur BV, N. 1 und 30 zu Art. 54). c) Die angeführten Grundsätze decken sich mit dem Gehalt von Art. 12 EMRK . So hat der Europäische Gerichtshof klargestellt, dass diese Konventionsbestimmung einzig die Heirat zwischen Personen unterschiedlichen biologischen Geschlechts im Auge habe. Art. 12 EMRK schützt somit lediglich die herkömmliche Ehe (vgl. die Urteile des Europäischen Gerichtshofes für Menschenrechte vom 17. Oktober 1986 in Sachen Rees (Serie A Nr. 106 § 49) und vom 27. September 1990 in Sachen Cossey (Serie A Nr. 184 § 43). Im zweiten Fall hat der Gerichtshof dafürgehalten, es sei ohne Belang, dass die als Mann geborene transsexuelle Beschwerdeführerin sozial als Frau anerkannt sei und einen ehewilligen (männlichen) Partner habe (vgl. §§ 32 und 33); dass sie keine Frau heiraten könne, beruhe nicht auf einem rechtlichen Hindernis, und soweit sie andererseits keinen Mann heiraten könne, würden die Grundsätze des (für jenen Fall massgebenden) englischen Rechts sich mit dem Art. 12 EMRK zugrundeliegenden Begriff der Ehe decken (§ 45); wenn das nationale Recht bei der Bestimmung des Geschlechts einer Person im Hinblick auf die Ehe auf rein biologische Kriterien abstelle, sei dies im übrigen mit der Konvention durchaus vereinbar (§ 46). d) Aus dem Gesagten erhellt, dass die Verweigerung des vom Beschwerdeführer angestrebten Registereintrags durch die kantonale BGE 119 II 264 S. 268 Instanz unter den gegebenen Umständen weder gegen Art. 54 BV noch gegen Art. 12 EMRK verstösst. Insbesondere ist auch aus der Sicht dieser Bestimmungen unbehelflich, dass der Beschwerdeführer nach seinem Empfinden und nach seiner sozialen Stellung eine Frau sei. 5. a) Der Beschwerdeführer rügt des weitern eine Verletzung von Art. 8 EMRK . Danach hat jedermann Anspruch auf Achtung seines Privat- und Familienlebens, seiner Wohnung und seines Briefverkehrs (Abs. 1) und ist der Eingriff einer öffentlichen Behörde in die Ausübung dieses Rechts nur statthaft, soweit er gesetzlich vorgesehen ist und eine Massnahme darstellt, die in einer demokratischen Gesellschaft für die nationale Sicherheit, die öffentliche Ruhe und Ordnung, das wirtschaftliche Wohl des Landes, die Verteidigung der Ordnung und zur Verhinderung von strafbaren Handlungen, zum Schutz der Gesundheit und der Moral oder zum Schutz der Rechte und Freiheiten anderer notwendig ist (Abs. 2). b) Das Recht auf geschlechtliche Identität (Transsexualismus) fällt als Teil des Rechts auf Achtung des Privatlebens, insbesondere des Verfügungsrechts über den eigenen Körper, in der Tat in den Schutzbereich von Art. 8 EMRK (dazu WILDHABER, IntKommEMRK, Rz. 208 ff. zu Art. 8). Die Konventionsorgane haben sich verschiedentlich damit befasst, ob Transsexuelle gegenüber dem Staat einen Anspruch darauf hätten, dass die Geschlechtsumwandlung durch eine entsprechende Änderung der Registereinträge rechtlich nachvollzogen werde. Bei der Prüfung der Frage, inwiefern der Staat in diesem Bereich eine positive Handlungspflicht habe, hat der Gerichtshof stets darauf hingewiesen, dass das jeweilige nationale Recht für ein gerechtes Gleichgewicht zwischen den Interessen der Allgemeinheit und denjenigen des Individuums (d.h. des Transsexuellen) sorgen müsse. Nach seiner Ansicht ist ein Staat nicht verpflichtet, sein bestehendes Registersystem allenfalls grundlegend zu revidieren (Urteil Rees, § 42 lit. a; Urteil Cossey, § 38 lit. a). Der Gerichtshof hat denn etwa dafürgehalten, dass die blosse Weigerung, das Geburtsregister zu ändern oder Geburtsscheine mit einem vom Register abweichenden Inhalt auszustellen, keinen "Eingriff" im Sinne von Art. 8 Abs. 2 EMRK darstelle (Urteil Rees, § 35). Die angeführten grundsätzlichen Überlegungen hat er auch im Urteil vom 25. März 1992 in Sachen B. gegen Frankreich (Serie A Nr. 232-C) bestätigt, zumal in wichtigen mit dem Transsexualismus zusammenhängenden Fragen (z. B. Zustimmung zur geschlechtsumwandelnden Operation; BGE 119 II 264 S. 269 Bedingungen, unter denen eine Geschlechtsänderung bewilligt werden kann; rechtliche Auswirkungen mit Bezug auf eine bestehende oder eine in der Zukunft zu schliessende Ehe) unter den Konventionsstaaten noch kein genügend breiter Konsens vorhanden sei, um von der bisherigen Betrachtungsweise abzuweichen (§ 48). Hingegen ist WILDHABER (Rz. 223 zu Art. 8) der Ansicht, dass zu den positiven Handlungs- und Schutzpflichten der Staaten gegenüber Transsexuellen eine Verpflichtung zur Berichtigung der Geburtsregister und Identitätspapiere oder wenigstens zur Ausstellung von Dokumenten, welche nur die neue Identität bescheinigen, gezählt werden sollte. 6. a) In der Schweiz werden Geschlechtsumwandlungs-Operationen seit rund zwanzig Jahren durchgeführt. Sie sind heute als Behandlung einer psychischen Störung von der Ärzteschaft auf breiter Basis anerkannt (dazu BGE 114 V 167 E. 4). Nach der neueren Rechtsprechung des Eidgenössischen Versicherungsgerichts gehört der chirurgische Eingriff, falls er als die einzig wirksame Behandlungsmethode erscheint, zu den Pflichtleistungen der anerkannten Krankenkassen ( BGE 114 V 161 E. c, 168 E. 5). b) Eine Regelung des rechtlichen Nachvollzugs einer medizinisch durchgeführten Geschlechtsumwandlung enthält die schweizerische Rechtsordnung nicht. Dennoch ist in verschiedenen Gerichtsurteilen die geänderte geschlechtliche Identität einer transsexuellen Person anerkannt worden (vgl. Urteil des Zivilgerichts Basel-Stadt vom 27. Juni 1961, wiedergegeben in ZBl 62/1961, S. 418 ff.; Urteil des Gerichtspräsidenten von Laupen vom 17. Februar 1971, wiedergegeben in ZZW 1971, S. 129 f.; Urteil des Gerichtspräsidenten von Vevey vom 9. Mai 1974, wiedergegeben in ZZW 1975, S. 181 ff.; Urteil des Zivilgerichts Basel-Stadt vom 8. Mai 1979, wiedergegeben in ZZW 1979, S. 281 ff.; Urteil des Kantonsgerichts Neuenburg vom 15. Dezember 1980, wiedergegeben in Recueil de jurisprudence neuchâteloise 1980-81, S. 38 ff.; Urteil des Zivilgerichts Basel-Stadt vom 17. Juli 1981, wiedergegeben in ZZW 1985, S. 374 ff.). Bei der Behandlung der Begehren betreffend Feststellung des neuen Geschlechts und entsprechende Änderung der Registereinträge zogen die Gerichte anfänglich zum Teil Art. 45 ZGB (analog) heran, wonach - unter dem Vorbehalt der Berichtigung auf offensichtlichem Versehen oder Irrtum beruhender Fehler durch die Aufsichtsbehörde (Abs. 2) - eine Eintragung nur auf Anordnung des Richters berichtigt werden darf (Abs. 1). Zutreffend wird die in BGE 119 II 264 S. 270 Frage stehende Klage heute allgemein als Statusklage besonderer Art qualifiziert, geht es doch bei der Geschlechtsumwandlung eines transsexuellen Menschen um eine nachträgliche Änderung des Personenstandes, nicht um die Berichtigung eines von Anfang an falschen Eintrags (vgl. URS PETER CAVELTI, Berichtigung und Statusklage, deren Abgrenzung und Anwendung, in ZZW 1980, S. 69; PIERRE AUBERT/HÉLÈNE REICH, Der Eintrag der Geschlechtsänderung in die Zivilstandsregister, in ZZW 1987, S. 4 f.; dazu auch BGE 92 II 132 E. 3). Die Klage lässt sich etwa mit der Feststellungsklage vergleichen, die BGE 41 II 425 ff. zugrundegelegen und ein Kind betroffen hatte, das einzig in den einschlägigen französischen Registern - als Kind einer falschen Mutter - eingetragen worden war. c) Die schweizerische Praxis geht nach dem Gesagten davon aus, dass die Anerkennung der Geschlechtsänderung die Durchführung eines richterlichen Verfahrens voraussetzt. Dieser Betrachtungsweise ist angesichts der Ordnung des Zivilstandswesens beizupflichten: Den Registereinträgen kommt auch in diesem Bereich die erhöhte Beweiskraft gemäss Art. 9 ZGB (Vermutung der Richtigkeit der durch sie bezeugten Tatsachen) zu ( Art. 28 ZStV ). Eine Änderung des Personenstandes infolge Geschlechtsumwandlung kann deshalb nicht dem persönlichen Empfinden des betroffenen Transsexuellen überlassen werden, könnten doch sonst gerade die Grundvoraussetzungen der herkömmlichen Ehe, auf denen beispielsweise auch Art. 12 EMRK beruht, allzu leicht unterlaufen werden. Die Rechtssicherheit gebietet klare, eindeutige Verhältnisse, was nur bei einem irreversiblen Geschlechtswechsel gewährleistet ist. Ähnlich wie bei der Berichtigung eines Registereintrags im Sinne von Art. 45 ZGB (dazu EGGER, N. 11 zu Art. 45 ZGB ) ist deshalb - auch im Interesse betroffener Drittpersonen (Ehegatte, Kinder) - zu verlangen, dass die Voraussetzungen für die Anerkennung einer Geschlechtsänderung in einem formellen richterlichen Verfahren abgeklärt werden. Wie aus dem oben Dargelegten (E. 5b) erhellt, steht eine solche Ordnung durchaus in Einklang mit den einschlägigen Bestimmungen der Europäischen Menschenrechtskonvention. 7. Das Geschlecht einer Person ist wie der Name ein Element der Persönlichkeit. Im Falle internationaler Verflechtung sind - abweichende gesetzliche Regelung vorbehalten - für die Beurteilung von personenrechtlichen Verhältnissen die schweizerischen Gerichte am Wohnsitz zuständig; sie wenden das Recht am Wohnsitz an ( Art. 33 Abs. 1 IPRG ). Damit ist dem Vorbringen des Beschwerdeführers, BGE 119 II 264 S. 271 registermässig sei für ihn - auf dem Weg der Berichtigung nach Art. 45 ZGB - eine Änderung des Personenstandes, die sein Heimatstaat Brasilien gestützt auf eine Geschlechtsumwandlung nicht zulasse, nur möglich, wenn die in Dänemark geschlossene Ehe hier anerkannt und in das Familienregister eingetragen werde, der Boden entzogen. Der Beschwerdeführer hat die Möglichkeit, an seinem schweizerischen Wohnsitz eine Klage auf Feststellung seines neuen Personenstandes (Geschlechts) einzureichen.
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27781e72-f2ba-41b8-a5c1-30449cd4f73c
Urteilskopf 121 V 211 33. Auszug aus dem Urteil vom 15. November 1995 i.S. Krankenkasse KKB gegen T.S. und Versicherungsgericht des Kantons Zürich
Regeste Art. 12 Abs. 2 Ziff. 1 und 2 KUVG : Pflichtleistung. Wird im Rahmen einer Mammareduktionsplastik weniger als 500 g Gewebe je beidseits entnommen, spricht dies noch nicht gegen den Pflichtleistungscharakter dieser Massnahme. Denn entscheidend ist immer, ob zwischen den geklagten körperlichen oder psychischen Beschwerden und der Mammahypertrophie ein Kausalzusammenhang besteht. Insoweit hat das massliche Kriterium "von gegen 500 g oder mehr beidseits" lediglich Richtwertcharakter. Wird diese Marke jedoch deutlich unterschritten, lassen nur ganz besondere Umstände körperliche oder psychische Beschwerden überwiegend wahrscheinlich als krankheitswertig und von der Mammahypertrophie verursacht erscheinen.
Sachverhalt ab Seite 212 BGE 121 V 211 S. 212 A.- Die 1974 geborene T.S. ersuchte im April 1992 die Krankenkasse KKB, bei welcher sie krankenversichert war, um Kostengutsprache für eine beabsichtigte Mammareduktionsplastik beidseits. Nach erfolgtem Eingriff am 4. Juni 1992 in der Klinik X lehnte die KKB mit Schreiben vom 23. Juli 1992 eine Beteiligung an den Kosten im Zusammenhang mit dieser Operation ab. Am 12. Mai 1993 erliess die Kasse eine entsprechende Verfügung, worin sie unter anderem ausführte, gemäss den Abklärungen ihres vertrauensärztlichen Dienstes sei auf beiden Seiten lediglich je 200 g Gewebe entnommen worden. Dies schliesse nach Gesetz und Kassenreglement eine Leistungspflicht aus. B.- Hiegegen erhob W.S. namens seiner Tochter Beschwerde beim Versicherungsgericht des Kantons Zürich und beantragte, die KKB sei zu verpflichten, die gesamten aufgelaufenen Kosten für den Eingriff zu übernehmen, mindestens aber eine angemessene Entschädigung zu leisten, weil sie das bereits im April 1992 gestellte Gesuch um Kostengutsprache erst nach der Operation, in Kenntnis des ganzen finanziellen Ausmasses, behandelt und abgelehnt habe. Das kantonale Versicherungsgericht hob in Gutheissung der Beschwerde die angefochtene Verfügung auf und verpflichtete die KKB, die statutarischen und reglementarischen Leistungen für die Mammareduktionsplastik zu erbringen (Entscheid vom 7. Dezember 1993). C.- Die KKB führt Verwaltungsgerichtsbeschwerde mit dem Rechtsbegehren, es sei der kantonale Entscheid aufzuheben. W.S. beantragt namens seiner Tochter T.S. Abweisung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde. Das Bundesamt für Sozialversicherung (BSV) verzichtet auf eine Vernehmlassung. D.- Die Sektion Medizin des BSV hat sich in einem anderen vor dem Eidg. Versicherungsgericht hängigen Fall dahingehend geäussert, die Eidg. Fachkommission für allgemeine Leistungen der Krankenversicherung werde in absehbarer Zeit (voraussichtlich im August 1994) die Frage der Leistungspflicht bei Mammareduktionsplastik behandeln. Die Präsidentin der III. Kammer hat daher das Verfahren bis zum Vorliegen der Stellungnahme der BGE 121 V 211 S. 213 Fachkommission sistiert (Verfügungen vom 22. März und 20. September 1994). Mit Schreiben vom 17. August 1995 ist den Parteien mitgeteilt worden, dass sich die Kommission an ihrer Sitzung vom 8. Juni 1995 mit der Frage der Leistungspflicht der Krankenkassen bei Mammareduktionsplastik befasst habe und das Eidg. Versicherungsgericht die Behandlung der Streitsache nach Erhalt der Sitzungsprotokolle fortsetzen werde. Erwägungen Aus den Erwägungen: 4. Nach der Rechtsprechung kann der Mammahypertrophie Krankheitswert zukommen. Dabei wurde die Frage bisher offengelassen, ob die Mammahypertrophie an sich als Krankheit zu betrachten sei oder nicht (RKUV 1992 Nr. K 903 S. 231 Erw. 2c mit Hinweisen). Die operative Brustreduktion zur Korrektur einer Mammahypertrophie stellt dann eine Pflichtleistung der Krankenkassen dar, wenn die Hypertrophie körperliche oder psychische Beschwerden mit Krankheitswert verursacht und Ziel des Eingriffs die Behebung dieser krankhaften Begleitumstände als der eigentlichen Krankheitsursache ist (RKUV 1994 Nr. K 931 S. 57 Erw. 2b mit Hinweisen). Entscheidend ist nicht das Vorliegen eines bestimmten Beschwerdebildes, sondern ob die Beschwerden erheblich sind und andere, vor allem ästhetische Motive genügend zurückdrängen (RKUV 1991 Nr. K 876 S. 249 Erw. 3b). Dabei genügt es, wenn sowohl die Beschwerden wie auch deren Kausalzusammenhang mit der Mammahypertrophie nach dem im Sozialversicherungsrecht üblichen Beweisgrad der überwiegenden Wahrscheinlichkeit ( BGE 119 V 9 Erw. 3c/aa) erstellt sind; die blosse Möglichkeit ist nicht ausreichend, anderseits ist ein Zusammenhang im streng wissenschaftlichen Sinn nicht erforderlich (RKUV 1992 Nr. K 903 S. 231 f. Erw. 3b mit Hinweis). 5. a) Bei der Beurteilung der medizinischen Indikation und Zweckmässigkeit der Mammareduktionsplastik ist die - gemäss ärztlichem Dienst des BSV - in Fachkreisen weitgehend vertretene Meinung zu beachten, "dass eine Reduktionsplastik bei Mammahypertrophie zu Lasten der Krankenversicherung gehen solle, sofern eine Gewebereduktion von gegen 500 g oder mehr beidseits vorgesehen ist bzw. durchgeführt wurde und wenn gleichzeitig Beschwerden geltend gemacht werden, 'die auf die Hypertrophie zurückgeführt werden können (könnten) und keine Adipositas vorliegt'" BGE 121 V 211 S. 214 (RKUV 1991 Nr. K 876 S. 250 Erw. 3c; vgl. RKUV 1994 Nr. K 931 S. 57 Erw. 2b, 1991 Nr. K 884 S. 304 Erw. 2). b) Die Fachkommission hat sich an ihrer Sitzung vom 8. Juni 1995 mit der Leistungspflicht der Krankenkassen bei Mammareduktionsplastik befasst. Einziger Diskussionspunkt war ein Vorschlag der Schweizerischen Gesellschaft für Plastisch-Rekonstruktive und Ästhetische Chirurgie für eine Änderung der geltenden Anerkennungspraxis. Danach soll die Mammareduktionsplastik eine Pflichtleistung der Krankenkassen darstellen, wenn (alternativ) "pro Seite 500gr. Gewebe entfernt werden und keine Adipositas von mehr als 120% des Normalgewichtes oder 130% des Idealgewichtes vorliegt (MBI nach Fogarthy). die 500gr. Grenze nach einer abgestuften Skala nach unten unterschritten wird und die bestehenden Beschwerden offensichtlich Krankheitswert aufweisen. Der Entscheid kann von einer persönlichen Beurteilung durch den Vertrauensarzt der Krankenkasse abhängig gemacht werden. eine Adipositas vorliegt, aber auf Grund der Grösse der Hypertrophie und der bestehenden Beschwerden ein offensichtlicher Krankheitswert besteht. Eine persönliche Beurteilung durch den Vertrauensarzt der Krankenkasse ist obligatorisch." Die Fachkommission ist diesem Vorschlag nicht gefolgt und hat sich, ohne weiter materiell zur Mammareduktionschirurgie Stellung zu nehmen, für die Beibehaltung der geltenden Praxis ausgesprochen. Das Eidg. Versicherungsgericht hat keinen Anlass, von dieser gutachtlichen Meinungsäusserung abzuweichen, zumal die vorgeschlagene Änderung weder auf neuen medizinischen Erkenntnissen beruht noch klar eine praktikablere und unter dem Gesichtspunkt der Rechtsgleichheit bessere Lösung darstellt (vgl. BGE 119 V 260 Erw. 4a mit Hinweisen). Anzufügen bleibt, dass die Fachkommission auf eine Regelung der Mammareduktionsplastik als Pflichtleistung in der Vo 9 verzichtet hat. 6. a) Das kantonale Gericht hat eine Leistungspflicht der Beschwerdeführerin für die fragliche Mammareduktionsplastik bejaht. Zur Begründung führt es im wesentlichen an, bei der Beschwerdegegnerin sei nicht nur ein Übergewicht der Brüste, sondern auch eine Hängebrust diagnostiziert worden, was zu Ausschlägen und zu einem Hautwolf geführt habe. Das Auftreten dieser Hautbeschwerden könne bei einer solchen Hängebrust nicht mit einem speziellen Büstenhalter definitiv verhindert werden. Die schwere Deformität der Brüste erlange deshalb vorliegend zusammen mit der Hypertrophie, auch wenn nur je 200 g Gewebe entnommen BGE 121 V 211 S. 215 worden seien, Krankheitswert im Sinn des Gesetzes. Die beschwerdeführende Kasse kritisiert diese Argumentation, da sie zur Folge hätte, dass beim Vorliegen einer Hängebrust, was bei einer Mammahypertrophie oft der Fall sein dürfte, die Mammareduktion unabhängig von der Menge der Gewebeentnahme eine Pflichtleistung der Krankenkassen darstellen würde. Gerade wenn es auch oder sogar hauptsächlich um die Behebung einer Brustdeformität gehe, spielten ästhetische Motive zur Vornahme einer Brustoperation eine vordergründige Rolle. Im übrigen gehe aus den von ihr eingeholten ärztlichen Zeugnissen hervor, dass es sich bei den Hautbeschwerden um eher beiläufige Beschwerden handle, welche einen operativen Eingriff unter dem Gesichtspunkt der Wirtschaftlichkeit der Behandlung nicht rechtfertigten. b) Der Vorinstanz ist darin beizupflichten, dass eine Gewebeentnahme von weniger als 500 g beidseits noch nicht gegen den Pflichtleistungscharakter der Reduktionsplastik sprechen muss. Denn entscheidend ist letztlich, ob zwischen den geklagten körperlichen oder psychischen Beschwerden und der Mammahypertrophie ein Kausalzusammenhang besteht. Insoweit hat das massliche Kriterium "von gegen 500 g oder mehr beidseits" (Erw. 5a) lediglich Richtwertcharakter. Wird diese Marke jedoch, wie im vorliegenden Fall (Gewebeentnahme von je 200 g beidseits), deutlich unterschritten, lassen nur ganz besondere Umstände körperliche oder psychische Beschwerden überwiegend wahrscheinlich als krankheitswertig und von der Mammahypertrophie verursacht erscheinen (vgl. RKUV 1994 Nr. K 931 S. 58 Erw. 3b). Solche Umstände sind mit Bezug auf die von der Beschwerdegegnerin angegebenen Hautbeschwerden (Ausschläge und Intertrigo) nicht gegeben. Namentlich und gerade die Tatsache, dass lediglich je 200 g Gewebe entnommen wurden, spricht gegen die Notwendigkeit einer Reduktionsplastik zur Behebung dieser Beschwerden. Dass die Beschwerdegegnerin eine Hängebrust (ptotische hyperplastische Mamma bei ausgeprägter Mammapendulans) hatte, ist entgegen der Auffassung des kantonalen Gerichts nicht entscheidend, dies um so weniger, als sie gemäss Angaben ihres Hausarztes nie über solche Hautprobleme geklagt hatte. Gleiches gilt hinsichtlich der weiteren körperlichen Beschwerden (Ziehen in den Schultern durch die BH-Träger, Rückenschmerzen), wobei die Vorinstanz in diesem Zusammenhang zu Recht auf die (nicht grazile) Statur der Beschwerdegegnerin (169 cm/65 kg) hinweist (vgl. RKUV 1991 Nr. K 876 S. 250 Erw. 3c). Mit BGE 121 V 211 S. 216 Blick auf die verhältnismässig geringe Gewebeentnahme ist im übrigen fraglich, ob die Reduktionsplastik geeignet war, die angegebene Behinderung beim Sport wegen der übergrossen Brüste wesentlich zu verringern. Bleibt die Frage, ob aus psychischer Sicht eine solche Massnahme angezeigt war. Die Beschwerdegegnerin bringt diesbezüglich glaubhaft vor, sie habe vor der Operation unter starken Komplexen gelitten und deshalb häufig nicht am Schulsport teilgenommen. Auch wenn diese (natürliche) Reaktion auf die Brustdeformität menschlich und psychologisch nachvollziehbar ist, kann doch nicht von einem psychischen Leidensdruck mit Krankheitswert gesprochen werden (RKUV 1994 Nr. K 931 S. 60 Erw. 3e). Soweit schliesslich geltend gemacht wird, die Mammareduktionsplastik habe für die Krankenkasse kostendämpfend gewirkt, "da Konsultationen beim Psychiater mit möglicherweise langen Behandlungszeiten wohl kaum zu umgehen gewesen wären", ist dieses Vorbringen unbehelflich. Denn rein vorsorgliche medizinische Massnahmen, die im Hinblick auf eine bloss mögliche künftige Gesundheitsschädigung durchgeführt werden, stellen nach geltendem Recht keine Pflichtleistung der Krankenkassen dar ( BGE 118 V 117 Erw. 7c mit Hinweisen). c) Nach dem Gesagten war die Brustdeformität der Beschwerdegegnerin für die von ihr geltend gemachten Beschwerden, soweit diesen überhaupt Krankheitswert zukam, mit überwiegender Wahrscheinlichkeit nicht kausal. Die Mammareduktionsplastik stellt daher keine Pflichtleistung im Sinne des KUVG dar, weshalb die Beschwerdeführerin nicht verpflichtet werden kann, sich an den Kosten im Zusammenhang mit diesem Eingriff zu beteiligen.
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Urteilskopf 111 Ia 148 26. Urteil der I. Zivilabteilung vom 9. Juli 1985 i.S. Müller gegen C. und Kassationsgericht des Kantons Zürich (staatsrechtliche Beschwerde)
Regeste Art. 88 OG ; rechtsmissbräuchlich erhobene staatsrechtliche Beschwerde. Auf eine rechtsmissbräuchlich erhobene staatsrechtliche Beschwerde wird nicht eingetreten. Voraussetzungen des Rechtsmissbrauchs bei fortgesetzt mutwilliger Prozessführung.
Erwägungen ab Seite 148 BGE 111 Ia 148 S. 148 Wird in Erwägung gezogen: 1. Erika C. stellte am 19. Juli 1984 beim Mietgericht Zürich das Gesuch um Erstreckung des Mietverhältnisses, das ihr von BGE 111 Ia 148 S. 149 Josef Müller gekündigt worden war. Noch vor der Sühnverhandlung teilte sie am 2. August dem Gericht mit, sie habe durch Zufall eine andere Wohnung gefunden und ziehe deshalb ihr Begehren zurück. Das Mietgericht schrieb das Verfahren als erledigt ab, auferlegte die Kosten von Fr. 150.-- den Parteien je zur Hälfte und sprach keiner Partei eine Entschädigung zu. Ein Rekurs Müllers, welcher sich gegen die Kostenauflage wandte und eine Umtriebsentschädigung verlangte, wurde vom Obergericht des Kantons Zürich am 23. Oktober 1984 abgewiesen, ebenso eine Nichtigkeitsbeschwerde vom Kassationsgericht am 20. Februar 1985. Gegen diesen Entscheid führt Müller staatsrechtliche Beschwerde wegen Verletzung von Art. 4 BV und Art. 6 EMRK . 2. Der Beschwerdeführer beantragt, den Fall einer Abteilung zuzuweisen, an der die Bundesrichter R., M., W. und S. nicht mitwirken, weil er gegen sie am 29. November 1984 beim eidgenössischen Parlament ein Gesuch um Ermächtigung zur Strafverfolgung eingereicht habe. Dem Beschwerdeführer ist bereits in einem Entscheid vom 20. Februar 1985 klargemacht worden, dass und weshalb damit eine Ablehnung nicht begründet werden kann. Sachverhalt und Rechtslage haben sich seither nicht geändert. Der Beschwerdeführer setzt sich auch nicht mit der am 20. Februar 1985 gegebenen Begründung auseinander, sondern wiederholt (wie schon früher) stereotyp seinen Standpunkt. Ein derartiges Ablehnungsbegehren ist missbräuchlich und unbeachtlich (vgl. BGE 105 Ib 304 ). 3. Der Beschwerdeführer wendet sich gegen die Belastung mit einem Kostenanteil von Fr. 75.--, also einem für seine Verhältnisse völlig unbedeutenden Betrag. Das Obergericht hat als Rekursinstanz die Kostenauflage gerechtfertigt und das Kassationsgericht hat sowohl eine Verletzung klaren Rechts als auch eine Gehörsverweigerung verneint, ohne damit gegen Art. 4 BV oder Art. 6 EMRK zu verstossen. Die Beschwerde erweist sich einmal mehr als mutwillig, weshalb der Beschwerdeführer mit der maximal zulässigen Ordnungsbusse zu belegen ist ( Art. 31 Abs. 2 OG ). Für die Mentalität des Beschwerdeführers ist bezeichnend, dass er sein Gesuch um aufschiebende Wirkung mit dem Zinsausfall auf seinem Kostenanteil von Fr. 75.-- begründet. 4. Der Beschwerdeführer und die von ihm beherrschte Joseph Müller AG, für die er einzustehen hat ( BGE 108 II 218 E. 1b), haben seit 1979 bis Ende April 1985 beim Bundesgericht rund 150 Verfahren geführt, namentlich staatsrechtliche Beschwerden, wobei BGE 111 Ia 148 S. 150 es nur in 6 Fällen zur ganzen oder teilweisen Gutheissung des Rechtsmittels kam. Wegen mutwilliger Prozessführung wurden in 11 Fällen Bussen zwischen Fr. 100.-- und Fr. 400.-- und sodann in 27 Fällen Bussen im gesetzlichen Höchstbetrag von Fr. 500.-- ausgefällt. Der Beschwerdeführer liess sich weder durch diese Bussen noch durch die wegen der Art seiner Prozessführung erhöhten Gerichtsgebühren beeindrucken. Statt dessen wiederholt er häufig Rügen, die sich - wie das vorliegende Ausstandsbegehren es bestätigt - längst als aussichtslos erwiesen haben. Es ist offenkundig, dass der Beschwerdeführer selbst nicht mit dem Erfolg solcher Vorbringen rechnet, sondern unbekümmert um ein konkretes Rechtsschutzinteresse alle Rechtsbehelfe ausschöpft. Indem er auch Zwischenverfügungen durch alle Instanzen weiterzieht, vermag er gewisse Verfahren geradezu zu blockieren. Sein Verhalten stellt einen offensichtlichen Rechtsmissbrauch dar. Ein solcher kann auch im öffentlichen Recht und besonders im Prozessrecht keinen Rechtsschutz finden ( BGE 107 Ia 211 , BGE 105 II 155 E. 3 mit Hinweisen). Auf missbräuchlich erhobene Rechtsmittel ist nicht einzutreten, was auch für eine staatsrechtliche Beschwerde gilt (vgl. dazu BGE 92 I 30 E. 3, wo die Frage offenbleiben konnte). Dabei ist freilich auch dem Beschwerdeführer gegenüber Zurückhaltung am Platz; so wird auch künftig nicht ohne summarische materielle Prüfung ein missbräuchlich erhobenes Rechtsmittel angenommen werden können.
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Urteilskopf 101 Ia 473 77. Arrêt du 8 octobre 1975 en la cause R. et consorts contre Conseil d'Etat du canton de Genève
Regeste Art. 31 BV ; Benutzung öffentlichen Grundes durch Prostituierte zum Zwecke der Kundensuche 1. Legitimation. Zulässigkeit erstmals in der Replik erhobener Rügen (E. 1). 2. Soweit die Prostitution nicht strafbar ist, geniesst sie grundsätzlich den Schutz von Art. 31 BV (E. 2). 3. Gesetzliche Grundlage des angefochtenen Reglementes (E. 4). 4. Wer von öffentlichem Grund einen gesteigerten Gemeingebrauch macht, um darauf eine Erwerbstätigkeit auszuüben, kann die Handels-und Gewerbefreiheit anrufen, soweit es die Zweckbestimmung des öffentlichen Grundes erlaubt (Änderung der Rechtsprechung; E. 5). 5. Das sich auf den ganzen Kanton Genf erstreckende Verbot, sich tagsüber auf öffentlicher Strasse der Prostitution hinzugeben, verletzt den Verhältnismässigkeitsgrundsatz (E. 6).
Sachverhalt ab Seite 474 BGE 101 Ia 473 S. 474 Le 8 août 1956, se référant aux dispositions de l'art. 37 ch. 3, 4, 7 et 49 de la loi pénale genevoise, le Conseil d'Etat du canton de Genève a édicté un règlement concernant la tranquillité publique. Le 28 août 1974, le Conseil d'Etat a complété ce règlement par un nouvel art. 11A, dont la teneur est la suivante: Art. 11A: Prostitution. Il est interdit de se livrer à la prostitution sur la voie publique pendant la journée et, en règle générale, de manière à troubler l'ordre public. BGE 101 Ia 473 S. 475 Par la voie d'un recours de droit public, plusieurs prostituées demandent au Tribunal fédéral d'annuler le règlement du Conseil d'Etat du canton de Genève du 28 août 1974, modifiant le règlement du 8 août 1956 sur la tranquillité publique, "en tant qu'il interdit la prostitution sur la voie publique pendant la journée". Erwägungen Considérant en droit: 1. a) Aux termes de l'art. 88 OJ, le recours de droit public est ouvert aux particuliers contre les arrêtés ou décisions qui les concernent directement ou qui sont d'une portée générale. Lorsque le recours est dirigé contre un arrêté de portée générale, la qualité pour recourir appartient à toute personne dont les intérêts juridiquement protégés sont effectivement ou virtuellement touchés par l'acte attaqué (RO 99 Ia 264 ss consid. 1). Les recourantes, qui exercent professionnellement une activité en soi non punissable, sont directement atteintes dans leurs intérêts juridiquement protégés, puisque l'arrêté entrepris interdit de se livrer à la prostitution sur la voie publique pendant la journée. A cet égard, le fait que le Tribunal fédéral a qualifié la prostitution d'"inconduite" au sens de l'art. 370 CC (RO 83 II 274), de "scandale public" (RO 81 IV 110) ou de "mal" (RO 68 IV 43) n'est pas déterminant (arrêt X. c. Conseil de la ville de Zurich et Conseil d'Etat du canton de Zurich, du 13 juin 1973, consid. 1 non publié). b) Selon l'art. 90 al. 1 lit. b OJ, les moyens invoqués à l'appui du recours de droit public doivent l'être dans le délai de trente jours prévu à l'art. 89 OJ, la réplique n'étant destinée qu'à permettre de répondre aux arguments développés par l'autorité à l'appui de sa décision. Des griefs soulevés pour la première fois dans la réplique sont dès lors, en principe, irrecevables (RO 98 Ia 494 consid. 1b). Il en est ainsi, en l'espèce, du moyen tiré d'une prétendue violation du principe de la force dérogatoire du droit fédéral. 2. Le présent recours est fondé principalement sur l'art. 31 Cst. Il importe donc d'examiner si les recourantes, qui s'adonnent à la prostitution professionnellement, peuvent en principe invoquer la garantie constitutionnelle de la liberté du commerce et de l'industrie. a) L'art. 11A du règlement des 8 août 1956/28 août 1974 BGE 101 Ia 473 S. 476 concernant la tranquillité publique interdit de "se livrer à la prostitution sur la voie publique pendant la journée". Dans sa forme, cette disposition n'est guère satisfaisante. La débauche professionnelle ou la prostitution en tant que telle n'est pas punissable et ne peut pas non plus être déclarée punissable par le droit cantonal réservé par l'art. 335 ch. 1 CP (RO 99 Ia 507/508). Le législateur fédéral s'est borné à prévoir la répression de certaines activités préalables, de certains excès et de certaines manifestations secondaires de la prostitution (cf. notamment les art. 206, 207, 209 et 210 CP). Ainsi, l'art. 206 CP, qui vise le racolage, tend à protéger les bonnes moeurs et à prévenir les réactions que les prostituées provoquent en offrant leur corps d'une façon reconnaissable pour chacun. Mais cette disposition n'entend pas incriminer toute promenade d'une prostituée sur la voie publique en vue de rechercher des clients (LOGOZ, Commentaire, n. 2 ad art. 206 CP, p. 360/361). Or c'est précisément cela que le règlement litigieux veut interdire, du moins pendant la journée. b) La doctrine et la jurisprudence ont toujours interprété la notion de commerce et d'industrie dans un sens large. Au regard de l'art. 31 Cst., une industrie est toute activité rétribuée exercée professionnellement (RO 87 I 271, 80 I 143, 67 I 87). Dès lors, l'exercice d'une activité professionnelle à des fins lucratives (RO 63 I 219) ou dans le but d'en tirer un revenu (RO 87 I 271 et les arrêts cités) bénéficie en principe de la garantie constitutionnelle de la liberté du commerce et de l'industrie. En interdisant la prostitution sur la voie publique pendant la journée, la disposition réglementaire litigieuse vise exclusivement l'activité professionnelle des prostituées. Dans la mesure où celle-ci n'est pas punissable en vertu de l'art. 206 CP (RO 95 IV 132 consid. 1), les recourantes peuvent en principe bénéficier de la protection de l'art. 31 Cst.; le Conseil d'Etat genevois ne le conteste d'ailleurs pas et, dans son arrêt du 13 juin 1973, le Tribunal fédéral l'a implicitement admis (RO 99 Ia 509 ss consid. 4). Le fait que la prostitution puisse être considérée comme contraire aux moeurs n'a pas pour effet de priver les personnes qui s'y livrent professionnellement du droit d'invoquer l'art. 31 Cst. (cf. HANS MARTI, Handels- und Gewerbefreiheit, p. 62 n. 33). 3. a) Le Conseil d'Etat genevois considère toutefois que les recourantes font un usage commun accru du domaine BGE 101 Ia 473 S. 477 public et qu'elles ne peuvent, pour ce motif, bénéficier de la protection de l'art. 31 Cst. Les recourantes ne contestent pas qu'elles utilisent les voies publiques à des fins professionnelles en s'y postant en vue de rechercher des clients; mais elles soutiennent que l'on ne saurait y voir un usage commun accru. Elles en tirent dès lors deux conclusions. Limitant l'usage commun du domaine public, le règlement litigieux devrait reposer sur une base légale; or celle-ci fait défaut en l'espèce. Par ailleurs, la disposition litigieuse violerait l'art. 31 Cst., en ne respectant pas le principe de la proportionnalité. b) La doctrine et la jurisprudence distinguent trois formes d'usage du domaine public par les administrés: l'usage commun, l'usage commun accru, qui exige une autorisation, et l'usage particulier, qui dépend d'une concession. Lorsque l'autorité subordonne à l'octroi d'une autorisation ou d'une concession toute utilisation du domaine public qui excède l'usage commun de celui-ci, elle peut le faire valablement même si aucune base légale ne le prévoit. En revanche, dans la mesure où elle limite l'usage commun (ou collectif), elle ne peut agir qu'en vertu de la loi (GRISEL, Droit administratif suisse, p. 281; BLAISE KNAPP. L'exercice du droit d'initiative sur la place publique, in SJ 94/1972, p. 420 ss; RO 100 Ia 136 consid. 5b et les arrêts cités, 398 consid. 3). Le moyen que les recourantes tirent d'une prétendue absence de base légale ne devrait donc être examiné que si l'on considère qu'en recherchant leurs clients sur la voie publique, les prostituées exercent leur activité dans le cadre de l'usage commun. Dans son arrêt publié au RO 99 Ia 510, le Tribunal fédéral a réservé cette question. Celle-ci peut également rester ouverte en l'espèce, s'il appert qu'une base légale existe et si l'on admet en outre que celui qui fait un usage commun accru du domaine public à des fins commerciales peut invoquer l'art. 31 Cst. Dans cette hypothèse en effet, le Tribunal fédéral jouira du même pouvoir d'examen, quelle que soit l'intensité de l'utilisation des voies publiques par les recourantes. 4. a) Les recourantes soutiennent qu'en vertu du droit public genevois, le Conseil d'Etat ne pouvait édicter le règlement attaqué que s'il agissait en vertu d'une délégation législative expresse ou si le règlement avait le caractère d'une disposition d'exécution. Elles se réfèrent à cet égard à plusieurs dispositions de la constitution genevoise, notamment aux art. 116 ("Le Conseil d'Etat promulgue les lois; il est chargé de leur BGE 101 Ia 473 S. 478 exécution et prend à cet effet les règlements et arrêtés nécessaires") et 125 ("Le Conseil d'Etat édicte les règlements de police dans les limites prévues par la loi. Il en ordonne et en surveille l'exécution"). Le Conseil d'Etat affirme qu'il avait la compétence d'édicter le règlement litigieux en vertu d'une coutume bien établie, que le Tribunal fédéral déclare pouvoir considérer comme une base légale suffisante (RO 84 I 95 consid. 4, 83 I 247 consid. 3). Il ne donne toutefois aucune précision quant à l'existence d'une telle coutume en droit public genevois. C'est également à tort qu'il entend fonder sa compétence sur un pouvoir général de police, conféré à l'exécutif cantonal aux fins de lui permettre de maintenir ou de rétablir l'ordre public; il ne prétend pas avoir été dans un état de nécessité qui l'aurait contraint à prendre des mesures d'urgence (cf. RO 100 Ia 146 consid. 4a et b). b) Aux termes de l'art. 38 de la loi pénale genevoise, du 20 septembre 1941, "le Conseil d'Etat est chargé de faire les règlements concernant les matières de police prévues dans la présente loi". Il y a donc bien une délégation de pouvoir en faveur de l'exécutif genevois pour réglementer les actes que le législateur a érigés en contraventions de police, soit dans les cas visés à l'art. 37 ch. 3 et 4 de la loi pénale. A la rigueur, on pourrait aussi admettre que le Conseil d'Etat a ainsi reçu du législateur les pouvoirs nécessaires pour édicter, compléter, modifier ou abroger des règlements de police dans les domaines que visent expressément les divers chiffres de cet art. 37. Toutefois, on ne peut pas admettre que, par le texte du chiffre 49, le législateur ait voulu déléguer au Conseil d'Etat genevois une compétence générale d'édicter des règlements dans d'autres matières de police. En déclarant "passibles des arrêts et de l'amende ou de l'une de ces peines seulement ceux qui ont contrevenu à d'autres lois ou règlements cantonaux prévoyant des peines de police", le législateur a simplement fait un renvoi à toutes les autres lois ou règlements cantonaux qui, dans le respect des principes de la séparation des pouvoirs et de la légalité des peines, prévoient déjà des peines de police. C'est à tort que le Conseil d'Etat voit dans cette clause générale une délégation de pouvoir consentie globalement en sa faveur par le législateur genevois. L'art. 37 ch. 49 de la loi pénale ne peut donc pas constituer la base légale du règlement du 28 août 1974; il importe peu, à cet égard, que le règlement sur la tranquillité BGE 101 Ia 473 S. 479 publique se réfère expressément aux ch. 3, 4, 7 et 49 de l'art. 37 de la loi pénale. c) Cependant, aux termes de l'art. 12 de la loi genevoise sur le domaine public, du 24 juin 1961, "chacun peut, dans les limites des lois et des règlements, utiliser le domaine public conformément à sa destination et dans le respect des droits d'autrui" et l'art. 24 al. 1 précise que "le Conseil d'Etat peut fixer par voie de règlement les modalités d'exécution de la présente loi"; les mêmes dispositions, relatives à l'utilisation des voies publiques et à la compétence réglementaire du Conseil d'Etat, se trouvent également dans la loi genevoise sur les routes du 28 avril 1967 (art. 55 et 96). Au surplus, l'art. 24 al. 2 de la loi sur le domaine public donne encore au Conseil d'Etat le pouvoir de "réglementer l'usage commun du domaine public". Ainsi, même si l'on devait considérer que les prostituées font seulement un usage commun ordinaire de la voie publique, il faudrait de toute façon constater que le législateur genevois a expressément délégué à l'exécutif la compétence de réglementer cet usage, comme aussi, et à plus forte raison, l'usage commun accru. C'est précisément ce que le Conseil d'Etat a fait en interdisant la prostitution sur la voie publique pendant la journée. Il est vrai qu'il n'a jamais déclaré fonder sa compétence réglementaire sur la loi sur le domaine public, mais il n'en a pas expressément écarté la référence. Le Tribunal fédéral peut donc la substituer à celle que, de manière inexacte, le Conseil d'Etat a faite à la loi pénale genevoise. Le grief d'absence de base légale n'est ainsi pas fondé. 5. a) Selon la jurisprudence, celui qui fait un usage commun accru du domaine public à des fins commerciales ne peut invoquer l'art. 31 Cst. Cette disposition constitutionnelle ne donne en effet aucun droit à une telle utilisation de la chose publique, et ce serait en méconnaître la nature que d'en déduire le droit à une prestation positive de l'Etat (RO 97 I 655/656, 73 I 209). Dès lors, le Tribunal fédéral n'examine que sous l'angle de l'art. 4 Cst. la réglementation de l'usage commun accru telle qu'elle est adoptée par les autorités cantonales, tenues d'éviter de commettre arbitraire, de prendre des mesures impliquant une inégalité de traitement ou de se baser sur de purs motifs de politique économique (RO 97 I 656 et les arrêts cités). Cette jurisprudence a été critiquée par plusieurs auteurs (cf. notamment HANS HUBER, in RJB 85/1949, p. 49 ss; ERNST BGE 101 Ia 473 S. 480 ABDERHALDEN, in Wirtschaft und Recht I/1949, p. 210; 4/1952 p. 148). HANS MARTI (op.cit., p. 140 ss) souligne que la question n'est pas celle de savoir si l'administré peut tirer de l'art. 31 Cst. un droit à l'usage privatif du domaine public à des fins commerciales, mais bien plutôt celle de déterminer si l'Etat peut, sans violer la liberté du commerce et de l'industrie, exclure ou limiter l'exercice d'une activité professionnelle impliquant l'usage commun ou l'usage commun accru du domaine public. PETER SALADIN ("Grundrechte im Wandel", p. 323 ss; "Unerfüllte Bundesverfassung", in RDS 93/1974, vol. I, p. 322/323) considère pour sa part qu'il ne se justifie pas de soustraire la réglementation de l'usage des choses publiques au respect des droits fondamentaux. Il convient dès lors de procéder à un nouvel examen de cette jurisprudence. b) Le Tribunal fédéral a avant tout considéré que la liberté du commerce et de l'industrie implique le droit à une abstention, et non à une prestation positive de l'Etat, et qu'elle ne comprend donc pas la faculté d'exercer une activité économique sur le domaine public en marge de l'usage commun. Mais, ainsi que le relève GRISEL (op.cit., p. 301), l'usage privatif d'une chose publique ne nécessite pas toujours une prestation positive de l'Etat. Celle-ci n'est pas requise en cas de vente de marchandises sur une route, par exemple, ou dans le cas de l'activité des recourantes, pour autant que l'on admette que celles-ci font un usage commun accru du domaine public. Il s'agira très souvent d'une simple tolérance de la part de l'Etat. Le raisonnement qui est à la base de la jurisprudence actuelle se heurte donc à une objection. Il n'est pas valable sur un plan général, ce qui vicie la solution jurisprudentielle à laquelle il conduit. Il est vrai que l'usage privatif du domaine public peut être soumis à autorisation. Mais une telle exigence n'est pas en soi de nature à priver l'administré qui fait un usage commun accru des voies publiques à des fins commerciales du droit d'invoquer la liberté du commerce et de l'industrie. Il convient de relever, à cet égard, que le Tribunal fédéral a admis que la liberté de réunion et celle d'expression protègent des activités liées à un usage privatif du domaine public et qui peuvent, pour cette raison, être soumises à autorisation (RO 100 Ia 402 et les arrêts cités). BGE 101 Ia 473 S. 481 Il faut enfin relever que le fait que le domaine public appartienne à la sphère étatique ne suffit pas, à lui seul, pour exclure toute application de l'art. 31 Cst. L'administré qui use de ce domaine à des fins commerciales se trouve dans la même situation que celui qui est lié à l'Etat par un rapport juridique spécial. L'un et l'autre doivent pouvoir jouir des libertés constitutionnelles dans la mesure où le but du domaine public ou du rapport spécial le permet. Le maintien de la jurisprudence actuelle ne se justifie donc pas. Il convient de la modifier en ce sens que l'administré qui fait un usage commun accru du domaine public aux fins d'y exercer une activité lucrative professionnelle peut invoquer la liberté du commerce et de l'industrie, dans la mesure où le but du domaine public le permet (cf. RO 99 Ia 399). c) Ainsi que l'a relevé le Tribunal fédéral dans l'arrêt publié au RO 97 I 656, ce changement de jurisprudence entraîne une extension de son pouvoir d'examen. Actuellement restreinte, sa cognition devient libre, sauf à faire preuve d'une certaine retenue dans l'examen des circonstances locales que les autorités cantonales sont mieux à même de saisir et d'apprécier (cf. RO 100 Ia 403 consid. 5 in fine et les arrêts cités). 6. Les autorités chargées de réglementer l'usage accru du domaine public doivent poursuivre des buts d'intérêt public, agir selon des critères objectifs et ne pas se fonder sur de pures considérations de politique économique. Les limitations apportées à un tel usage peuvent se baser sur des motifs autres que purement policiers (RO 99 Ia 399). Elles doivent respecter le principe de la proportionnalité. a) Dans son arrêt du 13 juin 1973 (RO 99 Ia 511 ss), le Tribunal fédéral a admis que les autorités pouvaient interdire aux prostituées de se tenir à certains endroits dans l'intention reconnaissable de se vouer à la prostitution, cette interdiction ayant pour but de maintenir la tranquillité et l'ordre publics et de protéger la santé publique. Les recourantes ne contestent pas en l'espèce que la réglementation litigieuse a été adoptée aux fins de donner aux organes de police les moyens de maintenir ou de rétablir la tranquillité et l'ordre publics. Elles affirment en revanche que le Conseil d'Etat genevois a violé le principe de la proportionnalité en leur interdisant de manière générale, pendant la journée, la recherche de clients sur les voies publiques. BGE 101 Ia 473 S. 482 b) La réglementation zurichoise soumise en 1973 à l'examen du Tribunal fédéral consistait à interdire aux prostituées d'attendre et de rechercher leur clientèle sur les rues et places publiques entourées de maisons d'habitation (sauf dans les quartiers de plaisir, de 20 h à 3 h), aux arrêts des services de transports publics pendant les heures d'exploitation, à l'intérieur et aux environs des parcs accessibles au public, enfin aux abords des églises, écoles et hôpitaux. Ce règlement laissait à disposition des prostituées, de jour comme de nuit, une large portion du territoire de la commune, défini de manière précise par des plans. Ces mesures ont été jugées adéquates par le Tribunal fédéral. Le Conseil d'Etat genevois n'a pas suivi la proposition faite par les inspecteurs de la brigade des moeurs d'adopter à Genève une réglementation semblable. Il considère en effet que la situation genevoise est très différente de celle qui existe à Zurich et que les mesures approuvées par le Tribunal fédéral vont en réalité beaucoup plus loin que la disposition litigieuse. Il souligne à cet égard que la prostitution s'exerce à Genève dans le seul quartier des Pâquis et aux alentours de la rue du Vieux-Collège, de telle sorte que "parler d'une interdiction de la prostitution de rue sur l'ensemble du territoire cantonal genevois relève d'une conception des plus utopiques". Une telle opinion n'est toutefois pas fondée. Ayant à juger si la disposition litigieuse respecte le principe de la proportionnalité, le Tribunal fédéral ne peut que se fonder sur le texte attaqué. Or celui-ci interdit effectivement la recherche et l'attente de clients par les prostituées pendant la journée sur l'ensemble du territoire genevois. Le Conseil d'Etat ne saurait donc tirer argument du fait que, pratiquement, le texte incriminé ne devrait être appliqué que dans une portion réduite du territoire cantonal. Pour justifier cette interdiction générale, l'autorité exécutive cantonale fait état des nombreuses plaintes émanant des habitants et commerçants des quartiers touchés par la prostitution. Il convient toutefois de remarquer que ces doléances concernent essentiellement le bruit nocturne provoqué par l'activité des péripatéticiennes. Or, dans sa réponse au recours, le Conseil d'Etat souligne à juste titre que l'art. 11A du règlement sur la tranquillité publique n'a pas été attaque en ce qu'il interdit de se livrer à la prostitution sur la voie publique de manière à BGE 101 Ia 473 S. 483 troubler l'ordre public et que cette disposition, si elle est violée, permettra l'intervention de l'autorité, de jour comme de nuit. En réalité, l'interdiction de se livrer à la prostitution pendant la journée a surtout pour but d'éviter aux habitants du quartier, en particulier aux enfants, le spectacle de femmes se vouant à la prostitution. Elle vise donc bien le maintien de la tranquillité et de l'ordre publics, voire la protection de la santé publique. Mais d'autres mesures que celle qui a été adoptée sont à même de permettre aux autorités d'atteindre leur but. A cet égard, une réglementation semblable à celle qui a été adoptée par les autorités zurichoises, et aménagée pour tenir compte des circonstances locales particulières, paraît suffisamment efficace. L'interdiction générale, valable sur l'ensemble du territoire genevois, viole en revanche le principe de la proportionnalité. Le recours doit dès lors être admis. Il convient donc d'annuler l'art. 11A du règlement concernant la tranquillité publique en tant qu'il interdit "de se livrer à la prostitution sur la voie publique pendant la journée". c) Il faut encore relever que la disposition litigieuse souffre de trop d'imprécision. Outre que les termes "se livrer à la prostitution" sont en l'espèce impropres, une interdiction de la recherche de clients sur la voie publique "pendant la journée" laisse une trop grande marge d'appréciation aux autorités de police chargées de veiller à son respect. Il importe d'ailleurs que celles-ci puissent se fonder sur un texte précis, qui ne prête pas à discussion. 7. Le recours étant admis en raison d'une violation du principe de la proportionnalité, il est inutile d'examiner les autres griefs formés par les recourantes. Celles-ci se plaignent d'être victimes d'une inégalité de traitement par rapport à leurs collègues de travail qui exercent leur activité de nuit. Ce grief paraît être dénué de fondement. Par ailleurs, les recourantes ne pouvaient en l'espèce tirer argument d'une prétendue violation de leur liberté personnelle (cf. RO 99 Ia 509 consid. 3). Dispositiv Par ces motifs, le Tribunal fédéral: Admet le recours en tant qu'il est recevable et annule l'art. 11A du règlement concernant la tranquillité publique dans la mesure où il interdit "de se livrer à la prostitution sur la voie publique pendant la journée".
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1,975
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277cc321-ecf3-4b59-bcda-f2b09e52798d
Urteilskopf 89 I 8 2. Auszug aus dem Urteil vom 13. Februar 1963 i.S. X. gegen Direktion der Landwirtschaft des Kantons Bern.
Regeste Sperrfrist für die Weiterveräusserung landwirtschaftlicher Grundstücke. Voraussetzungen der Ausnahmebewilligung nach Art. 22.18bis OR. Umfang des Ermessens der Bewilligungsbehörde. Überprüfungsbefugnis des Bundesgerichts.
Sachverhalt ab Seite 8 BGE 89 I 8 S. 8 Aus dem Tatbestand: Ein im Kanton Basel-Land wohnhafter Rechtsanwalt Dr. X. hat am 19. Oktober 1961 mit Y., Landwirt in Courtételle/BE, einen Kaufrechtsvertrag abgeschlossen und damit das Recht erworben, das landwirtschaftliche Heimwesen "Mont-dessus" des Y. in Courtételle, einschliesslich totes Inventar, zu einem bestimmten Maximalpreis zu kaufen. Das Kaufrecht war wirksam bis zum 1. November 1962; Fr. 30'000.-- sind Y. von Dr. X. als Vorauszahlung im Hinblick auf diesen Vertrag schon am 25. September 1961 ausbezahlt worden. Da Y. erst am 11. Juni 1955 Eigentümer des fraglichen Heimwesens geworden war, ersuchte der sich mit der Sache befassende Notar in Delsberg am 15. Februar 1962 den Regierungsstatthalter um die Bewilligung, den Kaufrechtsvertrag vor Ablauf der in Art. 218 OR vorgesehenen, zehnjährigen Sperrfrist im Grundbuch eintragen zu dürfen. Der Regierungsstatthalter von Delsberg lehnte es mit Entscheid vom 13. Juli 1962 ab, diese Bewilligung zu erteilen, im wesentlichen mit der Begründung, Dr. X. besitze bereits ein landwirtschaftliches Heimwesen in Lupsingen/BL und der Kaufrechtsvertrag sehe vor, dass das Kaufrecht abtretbar sei, was als Indiz dafür betrachtet werden könne, BGE 89 I 8 S. 9 dass das ganze Geschäft einen spekulativen Charakter habe. Auf Rekurs von Dr. X. bestätigte die Landwirtschaftsdirektion des Kantons Bern am 13. November 1962 den Entscheid des Regierungsstatthalters von Delsberg. Gegen den Entscheid der Landwirtschaftsdirektion führt Dr. X. staatsrechtliche Beschwerde wegen Verletzung von Art. 4 BV . Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab. Erwägungen Aus den Erwägungen: 3. Der Beschwerdeführer erblickt Willkür in der Art und Weise, wie die kantonalen Behörden Art. 218 f. OR angewendet und das Vorliegen wichtiger Gründe im Sinne von Art. 218bis OR verneint haben. Nach der letztgenannten Bestimmung "kann" die vom Kanton der gelegenen Sache als zuständig erklärte Behörde bei Vorliegen wichtiger Gründe, namentlich zum Zwecke einer erbrechtlichen Auseinandersetzung, der Abrundung landwirtschaftlicher Betriebe, sowie zur Verhinderung einer Zwangsverwertung, eine Veräusserung landwirtschaftlicher Grundstücke vor Ablauf der Sperrfrist von 10 Jahren gestatten. Der Sinn dieser Bestimmung ist, gewisse Härten des nach Art. 218 OR grundsätzlich geltenden, der Erhaltung des bäuerlichen Grundbesitzes durch die Unterbindung der Spekulation mit landwirtschaftlichen Grundstücken dienenden Veräusserungsverbotes zu mildern, sofern es der spezielle Fall und die besonderen Verhältnisse erfordern. Bei der Prüfung der Frage, ob eine Veräusserung innerhalb der Sperrfrist zu gestatten sei, steht der zuständigen Behörde ein weiter Spielraum freien Ermessens zu. Das Bundesgericht hat deshalb auf Beschwerden wegen Verletzung von Art. 4 BV hin nur einzuschreiten, wenn die Behörde ihr Ermessen eindeutig überschritten hat, wie es beispielsweise der Fall ist, wenn sie sich von Gesichtspunkten hat leiten lassen, die nach Sinn und Zweck des Gesetzes nicht in Betracht gezogen werden dürfen, oder wenn sie umgekehrt wesentliche Gesichtspunkte grundlos unberücksichtigt BGE 89 I 8 S. 10 gelassen hat ( BGE 84 I 5 Erw. 6; Urteil vom 26. September 1962 in Sachen Dorta/Widmer, Erw. 3a; Urteil vom 19. Dezember 1962 in Sachen Scheuber, Erw. 2). Nichts ist jedoch dagegen einzuwenden, wenn die zuständige Behörde bei ihrem Entscheid nicht nur die persönlichen Interessen der Vertragsparteien an der Veräusserung des Grundstückes berücksichtigt, sondern auch Überlegungen allgemein-wirtschaftlicher Natur anstellt, die sich auf den in Art. 1 des Bundesgesetzes über die Erhaltung des bäuerlichen Grundbesitzes vom 12. Juni 1951 (EGG) umschriebenen Zweck des landwirtschaftlichen Bodenrechtes stützen lassen. a) In Ansehung dieser Grundsätze konnte die kantonale Behörde vorliegenden Falles ohne Willkür die Auffassung vertreten, die Tatsache, dass Dr. X., der Erwerber des Kaufrechtes, selber nicht Landwirt und bereits Eigentümer eines ca. 9 Hektaren umfassenden landwirtschaftlichen Heimwesens im Kanton Basel-Land sei, spreche nicht für die Erteilung einer Ausnahmebewilligung. Der Beschwerdeführer macht zwar geltend, er habe die Absicht, das Heimwesen in Lupsingen/BL und den Hof "Mont-dessus" in Courtételle/BE als wirtschaftliche Einheit bewirtschaften zu lassen, weil der Besitz im Kanton Basel-Land zu klein sei und deshalb nicht rentiere, sodass die Vereinigung beider Betriebe zur Schaffung einer "auskömmlichen Existenz" für einen Pächter geradezu geboten sei und den landwirtschaftlichen Interessen in hohem Masse Rechnung trage. Immerhin räumt der Beschwerdeführer ein, dass er selber noch nicht genau weiss, auf welche Weise die einheitliche Bewirtschaftung der beiden weit voneinander entfernten Heimwesen verwirklicht werden soll. Abgesehen davon lässt sich die Ansicht der Landwirtschaftsdirektion, die Schaffung eines derartigen Einheitsbetriebes in der Hand eines Nichtlandwirtes sei nicht wünschbar, ohne weiteres mit dem Hinweis auf den allgemeinen Zweck des landwirtschaftlichen Bodenrechtes rechtfertigen, zumal ein 9 Hektaren umfassendes Heimwesen, BGE 89 I 8 S. 11 wie es der Beschwerdeführer in Lupsingen bereits besitzt, zu den kleineren Mittelbetrieben gerechnet werden muss, die in unserem Lande zahlreichen Landwirten eine "auskömmliche Existenz" bieten. b) Eine Ermessensüberschreitung kann auch darin nicht erblickt werden, dass die Landwirtschaftsdirektion annahm, die Tatsache, dass Emil Kneuss Geld benötigt habe, habe eine vorzeitige Veräusserung seines Heimwesens nicht erforderlich gemacht, weil noch andere Möglichkeiten der Geldbeschaffung offen gestanden hätten. Nach den vom Beschwerdeführer nicht bestrittenen Feststellungen der Landwirtschaftsdirektion betrug die Belastungsgrenze für den Hof "Mont-dessus" Fr. 117'260.--, während die tatsächliche hypothekarische Belastung sich nur auf Fr. 86'500.-- belief. Was unter diesen Umständen der Aufnahme eines durch Grundpfand gesicherten Darlehens hätte entgegenstehen sollen, ist nicht ersichtlich, weshalb sich die Annahme, Y. hätte sich das benötigte Geld auch "anders als durch Einräumung eines Kaufrechtes" verschaffen können, nicht als willkürlich bezeichnen lässt.
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de
1,963
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CH_BGE_001
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277e2775-c3a9-4298-a1ea-2a743d768455
Urteilskopf 118 III 7 3. Estratto della sentenza 9 settembre 1992 della II Corte civile nella causa X contro Pretore del Distretto di Lugano e Stato del Cantone Ticino (ricorso di diritto pubblico)
Regeste Art. 84 Abs. 2 OG ; Subsidiarität der staatsrechtlichen Beschwerde. Die örtliche Unzuständigkeit der Behörde, welche einen Arrest über ausserhalb ihres Amtskreises liegende Vermögensgegenstände verfügt, kann nur mit Beschwerde bei der kantonalen Aufsichtsbehörde über Schuldbetreibung und Konkurs und hernach allenfalls mit Rekurs bei der Schuldbetreibungs- und Konkurskammer des Bundesgerichts geltend gemacht werden. Die staatsrechtliche Beschwerde ist unzulässig.
Sachverhalt ab Seite 8 BGE 118 III 7 S. 8 A.- Il 13 dicembre 1991 l'Amministrazione ticinese delle contribuzioni ha chiesto a X di costituire garanzie per l'equivalente delle imposte (inclusi gli interessi), per le successioni dei suoi genitori A e M, di fr. 398'455.65 e fr. 425'000.--. Il 3 febbraio 1992, il Pretore del Distretto di Lugano ha ordinato, ad istanza dello Stato del Cantone Ticino e a carico dell'erede, il sequestro, fondato sulla predetta richiesta di garanzie, dei diritti ereditari - somme, titoli, crediti e beni di ogni tipo - vantati dal debitore nelle successioni citate ed esistenti presso la banca I a Zurigo. X ha chiesto, il 27 febbraio 1992, al Pretore la revoca del decreto, sostenendo che non era data la competenza dell'autorità di sequestro di Lugano, ove non erano posti i beni e dove il debitore non aveva domicilio. Egli ha contemporaneamente presentato reclamo alla Camera di esecuzione e fallimenti del Tribunale di appello, quale autorità di vigilanza, chiedendo l'annullamento del sequestro. B.- Il 25 marzo 1992 X ha pure introdotto al Tribunale federale un ricorso di diritto pubblico, con cui postula l'annullamento sia del decreto di sequestro sia del precetto esecutivo emesso dall'Ufficio di esecuzione di Lugano a convalida del sequestro. Il Tribunale federale ha dichiarato inammissibile il ricorso. Erwägungen Dai considerandi: 4. Il ricorso di diritto pubblico, per i motivi elencati all' art. 84 OG , è tuttavia ammissibile solo se la pretesa violazione del diritto non può essere sottoposta al Tribunale federale mediante un altro rimedio ( art. 84 cpv. 2 OG ). Costituisce un tale rimedio, in particolare, il ricorso alla Camera delle esecuzioni e dei fallimenti previsto dagli art. 78 segg. OG ( DTF 109 III 124 consid. 6). La giurisprudenza ha già avuto modo di precisare che un sequestro eseguito da un ufficio di esecuzione territorialmente incompetente è nullo ( DTF 103 III 88 consid. 1 in fine e le sentenze ivi citate). D'altra parte, la stessa BGE 118 III 7 S. 9 giurisprudenza ha affermato che il decreto di sequestro e la sua esecuzione da parte dell'Ufficio hanno il medesimo oggetto, ossia la costituzione di una garanzia in favore del creditore procedente, e formano un'unità, di cui il secondo elemento non rappresenta che l'adempimento del primo. Di conseguenza la decisione dell'autorità di vigilanza di annullare l'esecuzione di un decreto di sequestro toglie automaticamente ogni forza esecutiva a quest'ultimo ( DTF 107 Ia 173 consid. 2c). Nel caso specifico il Tribunale federale ha pertanto dichiarato inammissibile, in applicazione dell' art. 84 cpv. 2 OG , il ricorso di diritto pubblico che aveva sollevato la censura relativa alla designazione dei beni indicati nel decreto di sequestro ed è entrato, sulla medesima questione, nel merito di un ricorso introdotto a mente dell' art. 78 OG . I principi enunciati nella sentenza appena citata hanno subito un'attenuazione in una successiva decisione ( DTF 109 III 124 consid. 6). Così, trattandosi della pretesa di un terzo sui beni sequestrati, è stato affermato che la via del reclamo gli è aperta quando egli è manifestamente proprietario dei beni sequestrati, mentre qualora sia unicamente inverosimile che i beni elencati nel decreto di sequestro siano di proprietà del debitore, il terzo deve far capo al ricorso di diritto pubblico ( DTF 109 III 127 ). È esatto che le autorità di sequestro non sono subordinate alle autorità di esecuzione e che quest'ultime non sono autorizzate ad annullare le decisioni prese dalle prime. Inoltre, l'Ufficio di esecuzione non può riesaminare le condizioni di merito da cui dipende la concessione del sequestro ( DTF 114 III 89 consid. 2a, DTF 109 III 126 e DTF 105 III 141 consid. 2b con rinvii). Tuttavia l'Ufficio deve rifiutarsi di eseguire un decreto di sequestro non conforme alla legge o che viola, segnatamente, le disposizioni sul pignoramento, ad esempio, relative ai beni impignorabili o posti al di fuori della propria giurisdizione ( DTF 112 III 117 consid. 2 e rinvii). In quest'ultimo caso, l'esame dell'Ufficio si identifica praticamente con quello dell'autorità di sequestro, poiché il criterio per determinare ove sia posto un bene o un credito da sequestrare è il medesimo per entrambe le autorità. Un rifiuto dell'Ufficio di sequestrare beni che si trovano fuori dalla propria giurisdizione - sulla base di un esame che incontestabilmente gli spetta - rende ineseguibile e toglie fondamento allo stesso decreto di sequestro. Sul punto a sapere se al sequestro dei beni indicati nel decreto si opponga l'incompetenza territoriale dell'autorità che lo ha ordinato si giustifica, di conseguenza, di non ammettere che la via del reclamo all'autorità di vigilanza e il ricorso alla Camera delle esecuzioni e dei fallimenti del Tribunale federale, ad esclusione del ricorso di diritto BGE 118 III 7 S. 10 pubblico - rimedio sussidiario - previsto dall'art. 84 cpv. 1 lett. d OG. Infine, qualora si volesse prescindere da una tale massima e limitarsi ad applicare per analogia i principi contenuti nella sentenza pubblicata in DTF DTF 109 III 124 consid. 6, bisognerebbe allora constatare, per il caso in esame, la manifesta ed evidente impossibilità per l'autorità di Lugano di ordinare il sequestro a Zurigo di quei beni - titoli, il contenuto delle cassette di sicurezza, "valori", "beni di ogni tipo" e "tesori" - che non possono essere assimilati a crediti, per i quali soli vale la finzione, riguardo al titolare domiciliato all'estero, del domicilio presso il terzo debitore ( DTF 112 III 118 consid. 3b, DTF 107 III 149 consid. 4 con rinvii). Ciò condurrebbe nuovamente ad escludere il ricorso di diritto pubblico e a ammettere solo il reclamo ( art. 17 LEF ) e il ricorso giusta l' art. 78 OG , rimedio del resto, secondo le indicazioni del ricorrente, pendente davanti all'autorità di vigilanza cantonale.
null
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it
1,992
CH_BGE
CH_BGE_005
CH
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27853de9-d9a9-411b-b768-c534a52edeef
Urteilskopf 97 V 248 60. Auszug aus dem Urteil vom 17. Dezember 1971 i.S. Arboreta AG gegen AHV-Ausgleichskasse des Kantons Zürich und AHV-Rekurskommission des Kantons Zürich
Regeste Art. 97 und 128 OG : über die Zulässigkeit der Verwaltungsgerichtsbeschwerde gegen Zwischenverfügungen. - Die in Art. 5 Abs. 2 VwG erwähnten Verfügungen sind nur anfechtbar, wenn sie die Begriffsbestimmung des Art. 5 Abs. 1 VwG erfüllen. - Die in Art. 45 Abs. 2 VwG erwähnten Zwischenverfügungen sind nur dann selbständig anfechtbar, wenn sie einen nicht wieder gutzumachenden Nachteil im Sinne von Art. 45 Abs. 1 VwG bewirken können.
Erwägungen ab Seite 248 BGE 97 V 248 S. 248 Das Eidg. Versicherungsgericht zieht in Erwägung: 1. Das Eidg. Versicherungsgericht beurteilt gemäss Art. 128 in Verbindung mit Art. 97 OG letztinstanzlich Verwaltungsgerichtsbeschwerden gegen Verfügungen im Sinne von Art. 5 VwG auf dem Gebiete der Sozialversicherung. Als Verfügungen gelten nach der Legaldefinition in Art. 5 Abs. 1 VwG Anordnungen der Behörden im Einzelfall, die sich auf öffentliches Recht des Bundes stützen und die weiteren Voraussetzungen der Buchstaben a-c dieser Bestimmung erfüllen. Verfügungen im Sinne dieser Umschreibung können nach dem Wortlaut des zweiten Absatzes von Art. 5 VwG auch Zwischenverfügungen sein, insoweit sie den Anforderungen des vorangehenden ersten Absatzes entsprechen. Zudem verweist Art. 5 Abs. 2 VwG bezüglich der Zwischenverfügungen auf Art. 45 des gleichen Gesetzes. Diese Bestimmung enthält die weitere Einschränkung, BGE 97 V 248 S. 249 dass nur solche Zwischenverfügungen anfechtbar sind, die einen nicht wieder gutzumachenden Nachteil bewirken können (Art. 45 Abs. 1 VwG). Dieser grundsätzliche Vorbehalt gilt als Voraussetzung der Zulässigkeit eines selbständigen, der Endverfügung vorangehenden Beschwerdeverfahrens insbesondere für alle in Art. 45 Abs. 2 VwG - nicht abschliessend - aufgezählten Zwischenverfügungen ( BGE 97 I 478 , BGE 96 I 294 /295; GYGI, Verwaltungsrechtspflege und Verwaltungsverfahren im Bund, S. 90). Für das letztinstanzliche Beschwerdeverfahren ist ferner zu beachten, dass gemäss Art. 129 Abs. 2 in Verbindung mit Art. 101, Buchstabe a, OG die Verwaltungsgerichtsbeschwerde gegen Zwischenverfügungen nur zulässig ist, wenn sie auch gegen die Endverfügung offensteht. 2. Die im vorliegenden Fall angefochtene Verfügung stellt das erstinstanzliche Beschwerdeverfahren ein bis zum Eingang des ergänzenden Kontrollberichtes der Ausgleichskasse. Diese Sistierungsverfügung bewirkt für die Beschwerdeführerin keinen nicht wieder gutzumachenden Nachteil. Es fehlt mithin an einer gesetzlichen Voraussetzung eines selbständigen Beschwerdeverfahrens. Auf die Verwaltungsgerichtsbeschwerde ist daher nicht einzutreten.. .
null
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1,971
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CH_BGE_007
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2787574e-d4a7-48f8-b49e-6ef112df270b
Urteilskopf 88 II 150 24. Auszug aus dem Urteil der II. Zivilabteilung vom 18. Mai 1962 i.S. Katholischer Gesellenverein Luzern gegen Achermann.
Regeste Verlegung eines Wegrechts auf ein anderes Grundstück, das an das belastete angrenzt und dem gleichen Eigentümer gehört. Zulässigkeit und Voraussetzungen einer solchen Verlegung (analoge Anwendung von Art. 742 ZGB ).
Sachverhalt ab Seite 151 BGE 88 II 150 S. 151 Aus dem Tatbestand: A.- Der Katholische Gesellenverein Luzern ist Eigentümer der aneinandergrenzenden Grundstücke Nr. 577 (Weystrasse 17, Ecke Weystrasse/Friedenstrasse) und Nr. 579 (Friedenstrasse 8) in Luzern. Er steht im Begriff, auf dem Grundstück Nr. 577 anstelle eines abgebrochenen Hauses zur Erweiterung des Vereinshauses auf Grundstück Nr. 579 einen Neubau zu errichten, und beabsichtigt, nach dessen Fertigstellung auch das Haus auf Grundstück Nr. 579 umzubauen. Anton Achermann ist Eigentümer des Grundstücks Nr. 578 (Weystrasse 15, Ecke Weystrasse/Hofstrasse), das südlich an das Grundstück Nr. 577 grenzt und auf dem ein Wohn- und Geschäftshaus steht. Die Gebäude des Gesellenvereins und Achermanns bilden zusammen mit weitern Gebäuden ein Baugeviert, das einen Hofraum umschliesst, dessen Längsaxe von Ost nach West verläuft. Gestützt auf Grunddienstbarkeiten sind sämtliche Anstösser dieses Hofes berechtigt, über einen 3 m breiten Weg in dessen Längsaxe frei zu verkehren und den über das Grundstück Nr. 579 führenden, das Haus Friedenstrasse 8 querenden Durchgang von 3,5 m Breite nach der Friedenstrasse als Zugang und Zufahrt zur Hofseite ihrer Häuser zu benützen. Dieses Durchfahrtsrecht besteht insbesondere auch zugunsten des Grundstücks Nr. 578 (Achermann). Ausserdem ist jeder Anstösser berechtigt, seinen Hofanteil gegen den in der Längsaxe des Hofs verlaufenden Weg einzufriedigen. B.- Mit Klage vom 28. April 1961 stellte der Gesellenverein unter Berufung auf Art. 742 ZGB das Begehren, er sei für berechtigt zu erklären, das zugunsten Achermanns eingetragene Durchfahrtsrecht auf seine Kosten vom Grundstück Nr. 579 hinweg auf das Grundstück Nr. 577 zu verlegen, so dass die Durchfahrt nicht mehr in die Friedenstrasse, sondern nahe dem Hause Achermanns in BGE 88 II 150 S. 152 die Weystrasse ausmünden würde. Achermann widersetzte sich diesem Begehren und forderte für den Fall, dass es geschützt werden sollte, eine Entschädigung von Fr. 35'000.--. In Übereinstimmung mit dem Amtsgericht Luzern-Stadt hat das Obergericht des Kantons Luzern am 22. November 1961 die Klage abgewiesen, und zwar in erster Linie mit der Begründung, die Verlegung einer Dienstbarkeit auf ein anderes Grundstück könne nach dem Gesetz nicht verlangt werden. Auf Berufung des Gesellenvereins hin weist das Bundesgericht die Sache zu neuer Entscheidung an die Vorinstanz zurück. Erwägungen Aus den Erwägungen: 3. Wird durch die Ausübung einer Grunddienstbarkeit nur ein Teil des Grundstücks in Anspruch genommen, so kann der Eigentümer nach Art. 742 Abs. 1 ZGB , wenn er ein Interesse nachweist und die Kosten übernimmt, die Verlegung auf eine andere, für den Berechtigten nicht weniger geeignete Stelle verlangen (exiger qu'elle - d.h. die Dienstbarkeit - soit transportée dans un autre endroit où elle ne s'exercerait pas moins commodément, chiederne il trasporto ... sopra un'altra parte non meno adatta per il fondo dominante). Art. 742 Abs. 2 fügt bei, dass diese Befugnis dem Eigentümer auch dann zusteht, wenn die Dienstbarkeit im Grundbuch auf eine bestimmte Stelle gelegt worden ist. Durch die Ausübung des hier streitigen Wegrechts wird nur ein Teil des belasteten Grundstücks Nr. 579 in Anspruch genommen. Die erste Voraussetzung für die Anwendung von Art. 742 ZGB ist im vorliegenden Fall also erfüllt. Bezüglich der "andern Stelle", auf die der Eigentümer des belasteten Grundstücks die Dienstbarkeit gegebenenfalls verlegen lassen kann, stellt das Gesetz in ausdrücklicher Form nur das Erfordernis auf, dass sie für den Berechtigten nicht weniger geeignet sein dürfe. Eine ausdrückliche BGE 88 II 150 S. 153 Vorschrift darüber, auf welchem Grundstück diese Stelle sich befinden müsse, enthält das Gesetz nicht. Da Art. 742 ZGB die Verlegung einer Dienstbarkeit einzig für den Fall vorsieht, dass ihre Ausübung nur einen Teil des Grundstücks (fonds servant) in Anspruch nimmt, muss jedoch angenommen werden, dass mit der andern Stelle ein anderer Teil desselben Grundstücks gemeint sei. Dies ist auch daraus zu schliessen, dass die Verlegung einer Dienstbarkeit auf ein anderes Grundstück auf die Löschung der bisherigen und die Errichtung einer neuen Dienstbarkeit hinausläuft und dass Art. 742 ZGB (entgegen einem Vorschlag von HITZIG, ZSR 1900 S. 385) auf die Fragen nicht eingeht, die sich bei einer solchen Verlegung aus der verschiedenen Belastung der beiden Grundstücke mit der Dienstbarkeit vorgehenden Grundpfandrechten ergeben können. In seinem nicht veröffentlichten Urteil vom 16. Februar 1950 i.S. Renfer gegen Zesiger hat das Bundesgericht deshalb erklärt, Art. 742 ZGB ziehe die Verlegung auf ein anderes Grundstück nicht in Betracht. Dies bedeutet aber nur, dass der Eigentümer des belasteten Grundstücks ein Gesuch um Verlegung einer Dienstbarkeit auf ein anderes Grundstück nicht unmittelbar auf Art. 742 ZGB stützen kann. Dagegen bleibt die Frage offen, ob eine solche Verlegung unter Umständen in analoger Anwendung von Art. 742 ZGB erfolgen könne. Diese Möglichkeit lässt sich entgegen der Auffassung des Beklagten nicht mit der Begründung ausschliessen, dass Art. 742 ZGB eine Ausnahmevorschrift sei und daher nicht extensiv ausgelegt und nicht analog angewendet werden dürfe. Die neuere Methodenlehre lehnt dieses formalistische Argument, das in der Praxis gelegentlich verwendet wird, mit Recht ab (vgl. EGGER, 2. Aufl., N. 19, und MEIER-HAYOZ N. 191 zu Art. 1 ZGB ; die an der zuletzt genannten Stelle zit. Entscheide BGE 80 II 327 und BGE 84 II 112 bilden indes keine Beispiele für die Verwendung dieses Arguments). Bei der Beurteilung der Frage, ob und allenfalls unter welchen Voraussetzungen die Verlegung einer Grunddienstbarkeit BGE 88 II 150 S. 154 auf ein anderes Grundstück angeordnet werden dürfe, können nur in der Sache liegende Gründe massgebend sein. Das Bundesgericht hat denn auch im erwähnten Entscheide i.S. Renfer gegen Zesiger eine analoge Anwendung von Art. 742 ZGB nicht von vornherein als unstatthaft abgelehnt, sondern ausgeführt, es liessen sich ernsthafte Gründe dafür finden, dass unter Umständen die Verlegung auf ein anderes Grundstück sollte verlangt werden können. Die Klage Zesigers hat es nur deshalb abgewiesen, weil die damit verlangte Übertragung der Dienstbarkeitslast auf das Land eines Dritten ohne Zustimmung des Berechtigten dem Art. 742 ZGB durchaus fremd und nicht durchsetzbar sei. Mit dieser Frage braucht sich das Bundesgericht im vorliegenden Falle nicht zu befassen, da hier nicht die Verlegung auf das Land eines Dritten, sondern auf ein anderes Grundstück des Belasteten verlangt wird. 4. In Art. 742 ZGB liegt, wie HITZIG (ZSR 1900 S. 383 ff.) und LEEMANN (N. 2 zu Art. 742 ZGB ) zutreffend hervorgehoben haben, eine besondere Anwendung des althergebrachten, vom ZGB in Art. 737 Abs. 2 ausgesprochenen Grundsatzes, dass der Berechtigte verpflichtet ist, sein Recht in möglichst schonender Weise (civiliter) auszuüben. Der gesetzgeberische Grund des Art. 742 besteht "in dem öffentlichen (volkswirtschaftlichen) Interesse der Verhinderung jeder unnötigen Beschränkung des Eigentümers in der wirtschaftlich zweckmässigen Benutzung seines Eigentums" (LEEMANN a.a.O.). Das Bedürfnis nach einer zweckmässigen, sinnvollen Ordnung der Bodennutzung hat sich seit dem Erlass des ZGB mit der Zunahme der Bevölkerung noch wesentlich verstärkt. Eine engherzige Anwendung von Art. 742 ZGB ist daher, wie der Beklagte)dies mit Recht geltend macht, nicht am Platz. Vielmehr entspricht es der ratio legis, in analoger Anwendung dieser Bestimmung grundsätzlich auch die Verlegung auf ein an das belastete Grundstück angrenzendes, dem gleichen Eigentümer gehörendes Grundstück zuzulassen, BGE 88 II 150 S. 155 wie sie im vorliegenden Falle verlangt wird. Dies ist denn auch die einhellige Auffassung der schweizerischen Rechtsliteratur (vgl. HITZIG a.a.O. S. 384; WIELAND N. 3 und LEEMANN N. 10 zu Art. 742 ZGB ; HOMBERGER/MARTI, Schweiz. Jur. Kartothek Nr. 564, 1942, S. 8 oben; TUOR, Das schweiz. ZGB, 6. Aufl. 1953, S. 553). Es besteht kein Grund, das Verlegungsrecht davon abhängig zu machen, dass das Grundstück, auf welches die Dienstbarkeit verlegt werden soll, mit dem bisher belasteten Grundstück vereinigt wird (in welchem Falle Art. 742 nicht bloss analog, sondern unmittelbar anwendbar wäre), sondern die Verlegung kann auch dann in Frage kommen, wenn die Vereinigung der beiden Grundstücke aus grundbuchtechnischen Gründen (weil z.B. die Regelung der Grundpfandrechte Schwierigkeiten bereiten würde) unterbleibt. Die Erwägungen, mit denen die Vorinstanz, vom Hinweis auf den bereits besprochenen Gesetzeswortlaut abgesehen, ihre abweichende Auffassung zu begründen sucht, sind nicht stichhaltig. Es trifft keineswegs zu, dass dann, wenn die Verlegung einer nur auf einem Teil des belasteten Grundstücks ausgeübten Dienstbarkeit auf ein anderes Grundstück zugelassen wird, notwendigerweise auch die Verlegung einer Dienstbarkeit gestattet werden müsse, die "auf dem ganzen Grundstück ausgeübt wird". Richtig ist dagegen, dass die Verlegung auf ein anderes Grundstück unter Umständen die Sicherheit der Dienstbarkeit gefährden kann, wenn dieses andere Grundstück mit Hypotheken stark belastet ist. Dies ist aber kein Grund dafür, die Verlegung auf ein anderes Grundstück überhaupt auszuschliessen, sondern kann nur dazu führen, die Verlegung in Fällen zu verweigern, wo eine solche Gefährdung zu befürchten ist. Endlich kann für die Anwendung von Art. 742 ZGB nicht massgebend sein, dass in Deutschland, wo eine dem Art. 742 ZGB entsprechende Vorschrift besteht (§ 1023 BGB), die überwiegende Auffassung in Schrifttum und Rechtsprechung eine Verlegung der Dienstbarkeit auf ein anderes Grundstück ablehnt (vgl. die Hinweise bei STAUDINGER/RING, BGE 88 II 150 S. 156 11. Aufl. 1956, N. 2 c zu § 1023 BGB, und bei WOLFF/RAISER, Sachenrecht, 10. Bearbeitung 1957, S. 441 Anm. 9). Im übrigen mehren sich in Deutschland die Stimmen für die Zulassung einer solchen Verlegung (vgl. die eben genannten Autoren). - Es mag beigefügt werden, dass die Verlegung auf ein anderes Grundstück, das ebenfalls dem Eigentümer des belasteten Grundstücks gehört, und sogar die Verlegung auf das Grundstück eines Dritten mit dessen Zustimmung auf Grund von Art. 701 des französischen Code civil von HUC, Commentaire théorique et pratique du Code civil, IV, 1893, No. 441 S. 545, für zulässig gehalten wird, während andere französische Autoren (in neuester Zeit z.B. PLANIOL/RIPERT/PICARD, Traité pratique de droit civil français, III, 1952, No. 989, RIPERT/BOULANGER, Traité de droit civil, II, 1957, No. 3171, und COLIN/CAPITANT/JULLIOT DE LA MORANDIÈRE, Traité de droit civil, II, 1959, No. 350 4o) diese Möglichkeit zwar nicht besonders erwähnen, aber auch nicht ausschliessen, und dass der italienische Codice civile dem Richter in Art. 1068 Abs. 4 eine solche Verlegung ausdrücklich gestattet (vgl. dazu PESCATORE/ALBANO/GRECO, Della proprietà, 1958, N. 5 zu Art. 1068, S. 541). 5. Die Verlegung einer Dienstbarkeit auf ein benachbartes Grundstück desselben Eigentümers hat wie die Verlegung innerhalb des belasteten Grundstücks zur Voraussetzung, dass der Eigentümer im Sinne von Art. 742 ZGB ein Interesse nachweist (vgl. hiezuBGE 57 II 156) und die Kosten der Verlegung übernimmt, und dass die neue Stelle für den Berechtigten nicht weniger geeignet, also auf jeden Fall (vgl. den französischen Text) für die Ausübung der Dienstbarkeit nicht weniger bequem ist. (Die Frage, ob der Belastete die Verlegung gegen Entschädigung unter Umständen auch dann verlangen könne, wenn die neue Stelle für den Berechtigten etwas weniger gut geeignet ist, stellt sich im vorliegenden Falle wenigstens einstweilen nicht, da der Kläger ein Begehren auf Verlegung gegen Entschädigung bisher nicht gestellt hat; vgl. zu dieser Frage im übrigenBGE 43 II 37ff. - Zum BGE 88 II 150 S. 157 Entschädigungsbegehren, das der Beklagte in der Klageantwort gestellt hat, sieheBGE 57 II 159Erw. 2.) Dazu kommt nach Erwägung 4 Abs. 2 hievor die weitere Voraussetzung, dass durch die Verlegung auf das Nachbargrundstück der Bestand der Dienstbarkeit nicht gefährdet oder jedenfalls die Gefahr, dass sie bei einer Grundpfandverwertung gemäss Art. 812 Abs. 2 ZGB und Art. 142 SchKG gelöscht werden könnte, nicht vergrössert werden darf (vgl. HITZIG a.a.O. S. 384/385, LEEMANN N. 11 zu Art. 742 ZGB , WOLFF/RAISER und STAUDINGER/RING a.a.O.). Dies gehört in einem weitern Sinn auch zur "Eignung" der neuen Stelle. Ob diese Voraussetzung in Anbetracht der Pfandlasten, welche der Dienstbarkeit bisher vorgingen und welche ihr bei Verlegung auf das Nachbargrundstück vorgehen würden, im einzelnen Fall erfüllt sei oder nicht, ist nach vernünftigem Ermessen zu entscheiden. Von der Frage, ob die neue Stelle für den Berechtigten als solchen gleich oder weniger gut geeignet sei, ist die Frage zu unterscheiden, ob sich der Berechtigte der Verlegung eines Wegrechts gegebenenfalls mit der Begründung widersetzen könne, dass der Weg nicht nur ihm, sondern auch dem Belasteten und weitern Anstössern zur Verfügung stehe und dass sich aus der Benützung des verlegten Wegs durch alle diese Personen unzulässige Einwirkungen auf sein eigenes Grundstück ergäben. Die Befürchtung solcher Einwirkungen ist praktisch der Hauptgrund, weshalb der Beklagte sich der vom Kläger verlangten Verlegung der streitigen Durchfahrt in die Nähe seines Hauses widersetzt. Daneben hat er für den Fall, dass die Verlegung einer Dienstbarkeit auf ein Nachbargrundstück als an sich zulässig erachtet ... werden sollte, abgesehen vom Einwand, dass die erwähnten Voraussetzungen für eine solche Verlegung im vorliegenden Falle fehlen würden, auch noch geltend gemacht, durch diese Verlegung würden sein Einfriedigungsrecht verletzt und die Belastung seines Bodens durch das allgemeine Wegrecht in der Längsaxe des Hofraums vermehrt. Angesichts aller dieser noch offenen Fragen lässt sich BGE 88 II 150 S. 158 die Sache auf Grund der tatsächlichen Feststellungen der Vorinstanz nicht abschliessend beurteilen. Insbesondere hat die Vorinstanz keine für das Bundesgericht verbindliche Feststellung getroffen, indem sie der Erwägung, bei der von ihr angenommenen Rechtslage brauche nicht näher geprüft zu werden, ob die neue Stelle weniger geeignet sei, die Bemerkung beifügte, "es wäre dies aber wohl der Fall". Die Sache muss daher zur Vervollständigung des Tatbestandes und zu neuer Entscheidung an sie zurückgewiesen werden.
public_law
nan
de
1,962
CH_BGE
CH_BGE_004
CH
Federation
2787ae5d-299e-4a93-ac0d-d3fa5c04abe3
Urteilskopf 108 IV 79 21. Auszug aus dem Urteil des Kassationshofes vom 18. Januar 1982 i.S. F. gegen O. (Nichtigkeitsbeschwerde)
Regeste Art. 271 Abs. 1 BStP . Der Angeklagte ist - ob im Strafpunkt verurteilt oder freigesprochen - zur Nichtigkeitsbeschwerde im Zivilpunkt legitimiert, wenn der Zivilanspruch beurteilt worden ist.
Erwägungen ab Seite 79 BGE 108 IV 79 S. 79 Aus den Erwägungen: 1. b) Ist der Zivilanspruch zusammen mit der Strafklage beurteilt worden, so kann die Nichtigkeitsbeschwerde wegen dieses Anspruches vom Geschädigten, vom Verurteilten und von dem BGE 108 IV 79 S. 80 mit ihm ersatzpflichtig erklärten Dritten ergriffen werden ( Art. 271 Abs. 1 BStP ). Während unter Art. 161 OG 1893 die zur Nichtigkeitsbeschwerde legitimierten Personen durch die Praxis festgestellt wurden, der Bundesstrafprozess 1934 in Art. 271 Abs. 1 neben dem Geschädigten und dem ersatzpflichtig erklärten Dritten auch den "Angeklagten" als legitimiert erwähnte, ersetzte Art. 9 des Bundesbeschlusses betreffend vorläufige Änderungen in der Bundesrechtspflege vom 11. Dezember 1941 den "Angeklagten" durch den "Verurteilten". Weder in der bundesrätlichen Botschaft noch in der parlamentarischen Beratung wurde über diese Ausdrucksänderung, die über Art. 168 OG Aufnahme in den geltenden Text des Art. 271 BStP fand, ein Wort verloren. Obschon diese Bezeichnungen zweifellos nur auf die strafprozessuale Stellung dieses Beschwerdelegitimierten Bezug nehmen, bestand in der Praxis kein Zweifel, dass er als "Angeklagter" oder "Verurteilter" - auch bei Freispruch oder Einstellung des Strafverfahrens - die Berechtigung zur Führung der Nichtigkeitsbeschwerde im Zivilpunkt beibehielt (HARALD HUBER, Das Verfahren in Bundesstrafsachen, die von kantonalen Behörden zu beurteilen sind, Diss. 1939, S. 200/201 ff.; EDOUARD RÜEGSEGGER, Diss. 1946, Die eidgenössische Nichtigkeitsbeschwerde gegen kantonale Entscheide in Strafsachen eidgenössischen Rechts, S. 104 ff.; SJK, Nichtigkeitsbeschwerde gegen Entscheidungen kantonaler Behörden in Strafsachen, Karte Nr. 748 S. 10/11; WEISS, Die Kassationsbeschwerde in Strafsachen eidgenössischen Rechtes an den Kassationshof des Bundesgerichtes, in: ZStR 1900, S. 155; BIRCHMEIER, Bundesrechtspflege, S. 554 Ziff. 2c). Die Richtigkeit dieser unangefochtenen Praxis ergibt sich insbesondere aus der Überlegung, wenn dem Geschädigten als Adhäsionskläger das Beschwerderecht zustehe, müsse das zwingend auch von dem im Zivilpunkt Beklagten gelten. Die Tatsache, dass der Strafpunkt von der kantonalen Appellationsinstanz zufolge rechtskräftiger Freisprechung des Beschwerdeführers nicht mehr zu beurteilen war, vermag an der Zulässigkeit der auf den Zivilpunkt beschränkten Nichtigkeitsbeschwerde nichts zu ändern.
null
nan
de
1,982
CH_BGE
CH_BGE_006
CH
Federation
27882062-3499-46a1-9cde-1d171c800115
Urteilskopf 89 III 47 11. Urteil der H. Zivilabteilung vom 4. Juli 1963 i.S. Metelli gegen Güdemann.
Regeste 1. Berufung und staatsrechtliche Beschwerde. Art. 57 Abs. 5 OG . Ausnahme von der in dieser Bestimmung vorgesehenen Regel 2. Anfechtung. Art. 288 SchKG . Anfechtung eines nachträglich zur Sicherstellung von Darlehensforderungen abgeschlossenen Abtretungsvertrages. Erkennbarkeit der Benachteiligungsabsicht des Gemeinschuldners (Erw. 2).
Sachverhalt ab Seite 48 BGE 89 III 47 S. 48 A.- 1. André Flisch und Valmore Metelli betrieben ab 1954 als Partner in einer einfachen Gesellschaft den Handel mit Spielautomaten. Im Jahre 1958 wurde die Gesellschaft liquidiert, wobei Metelli gegen Flisch eine Forderung von Fr. 92'000.-- nebst Zinsen zugesprochen erhielt. Flisch führte daraufhin das Geschäft allein weiter. Im März 1959 verkaufte er es an die Firma Max Hauser in Zürich. Am 20. Januar 1960 brach über ihn der Konkurs aus. 2. Flisch hatte ab 1954 von seiner Schwiegermutter, Witwe Helena Güdemann, die mit ihm im selben Hause wohnte, nach beidseitiger Behauptung für seinen Geschäftsbetrieb unter mehr als 30 Malen kleinere und grössere Darlehen im Gesamtbetrag von mindestens Fr. 112'340. - erhalten, jedoch hieran trotz wiederholten Mahnungen seitens der Darleiherin nichts zurückbezahlt. Frau Güdemann verlangte deshalb von ihm, als er das Automatengeschäft verkaufte, eine Sicherstellung, worauf Flisch ihr seine Forderung gegen die Firma Max Hauser bis zum Betrag von Fr. 112'340. - abtrat. Im Konkurse Flischs machte Frau Güdemann diesen Zessionsanspruch auf die Forderung gegen Hauser, die den Hauptaktivposten der Masse darstellte, geltend, wurde damit jedoch nur bis zum Betrage von Fr. 53'857.55 zugelassen. Die Masse verzichtete auf Anfechtung der Zession und trat den Anspruch an den mit einer Forderung von Fr. 100'591.10 in 5. Klasse kollozierten Gläubiger Metelli sowie an den Staat Zürich und die Gemeinde Kilchberg ab. B.- Das Bezirksgericht Horgen hiess die von Metelli und den erwähnten Mitbeteiligten nach Art. 288 SchKG gegen Frau Güdemann eingereichte Anfechtungsklage gut und erklärte die Zession als ungültig. Das Obergericht des Kantons Zürich schützte am 9. November 1962 die dagegen erhobene Berufung und wies die Klage ab. Es nahm zwar mit der ersten Instanz als erwiesen an, dass bei Flisch die Voraussetzungen für eine Anfechtung nach Art. 288 SchKG (Absicht der Begünstigung der Beklagten zum Nachteil anderer Gläubiger) BGE 89 III 47 S. 49 gegeben seien, hielt jedoch für nicht genügend erstellt, dass die Beklagte diese Absicht erkannt habe oder bei einer den Umständen angemessenen Aufmerksamkeit hätte erkennen können. C.- Metelli hat gegen diesen Entscheid eine staatsrechtliche Beschwerde wegen willkürlicher Beweiswürdigung und die vorliegende Berufung eingereicht. Mit dem letzteren Rechtsmittel beantragt er, es sei das obergerichtliche Urteil aufzuheben und die Klage gutzuheissen. Die Beklagte lässt auf Abweisung der Berufung antragen. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Beim Zusammentreffen einer staatsrechtlichen Beschwerde mit einer zivilrechtlichen Berufung ist in der Regel die Entscheidung über das letztere Rechtsmittel bis zur Erledigung des ersteren auszusetzen ( Art. 57 Abs. 5 OG ). Wo aber, wie im vorliegenden Falle, die staatsrechtliche Beschwerde vorsorglicherweise wegen Willkür in der Beweiswürdigung eingereicht wurde, die bereits festgestellten Beweisergebnisse jedoch eine Gutheissung der Berufung als wahrscheinlich erscheinen lassen, mit der Folge, dass diesfalls die staatsrechtliche Beschwerde gegenstandslos würde, rechtfertigt es sich, umgekehrt zu verfahren und zuerst die Berufung zu erledigen. 2. Die Beklagte hat in Übereinstimmung mit dem Gemeinschuldner Flisch stets behauptet, sie habe diesem für sein Geschäft in den Jahren 1954 bis 1959 Darlehen im Gesamtbetrag von rund Fr. 112'500.-- gewährt, und zwar unter 34 Malen in Einzelbeträgen zwischen Fr. 50.- und Fr. 30'000.--. Dem entsprach auch die in der Abtretungsurkunde genannte und zur Kollokation angemeldete Forderung von Fr. 112'340.--. Im Kollokationsprozess drang die Beklagte allerdings nur mit einer Forderung von Fr. 53'851.55 durch, weil das Gericht die ins Recht gelegten Quittungen als fragwürdig erachtete und nur auf die glaubhaften Einträge in der Buchhaltung des Gemeinschuldners abstellte. Das ist aber für die im vorliegenden BGE 89 III 47 S. 50 Verfahren zu entscheidende Frage, ob die Benachteiligungsabsicht Flischs bei Abschluss des Abtretungsvertrages für die Beklagte erkennbar war oder nicht, ohne Belang. Massgebend ist einzig, von was für einem Sachverhalt diese im betreffenden Zeitpunkt selber ausgegangen ist. Sie muss daher ihre noch in der Verhandlung vor Bundesgericht aufrechterhaltene obgenannte Behauptung über die Häufigkeit und die Höhe der Darlehen gegen sich gelten lassen. Im weiteren steht fest und ist auch unbestritten, dass Frau Güdemann öfters und dringend Rückzahlung verlangte, aber nie den geringsten Betrag erhielt, vielmehr von ihrem Schwiegersohn immer wieder mit der Hoffnung auf eine Besserung seiner Lage usw. vertröstet wurde. Von der Menge der Betreibungen, mit denen Flisch von seinen Gläubigern bedrängt wurde, hatte zwar die Beklagte nach den vorinstanzlichen Feststellungen keine Kenntnis. Sie hat jedoch ein- oder zweimal das Erscheinen des Betreibungsbeamten festgestellt und auch einmal Fr. 20.- oder Fr. 30.- gegeben, um eine Betreibung oder eine Konkursandrohung abzustellen. Bei dieser Sachlage verbietet sich der von der Vorinstanz gezogene Schluss, die Beklagte habe die Absicht Flischs, sie mittels der Sicherungszession zum Nachteil der übrigen Gläubiger zu begünstigen, auch bei einer nach den Umständen angemessenen Aufmerksamkeit nicht erkennen können. Wenn ein Geschäftsmann während fünf Jahren - und dies in einer Zeit der Hochkonjunktur - immer und immer wieder Darlehen benötigt, um seine laufenden Schulden zu bezahlen und Betreibungen oder Konkursandrohungen zu begegnen, wenn er auf dringende Mahnungen nie eine Rückzahlung leistet, sondern stets auf eine erhoffte Besserung seiner Lage verweist, so kann der Darlehensgeber bei gebotener Aufmerksamkeit nicht annehmen, er sei der einzige Gläubiger und im übrigen stehe das Geschäft gut und sei nicht gefährdet. Daran ändert im vorliegenden Fall auch der Umstand nichts, dass der Kläger als ehemaliger Geschäftspartner Flischs selber in Abrede stellte, BGE 89 III 47 S. 51 dass das Geschäft unrentabel war, und erklärte, Flisch habe aus dem Ertrag der Spielautomaten sehr gut gelebt. Diese Aussage Metellis ist deswegen unbehelflich, weil in keiner Weise feststeht, dass er über die Herkunft erheblicher Geldmittel Flischs aus Darlehen der Beklagten im Bilde war. Frau Güdemann dagegen war das bekannt, und sie musste sich deshalb auch bei nur einiger Überlegung sagen, dass sie mit ihren Darlehen den Anschein des guten oder doch befriedigenden Geschäftsganges geschaffen und damit andere Gläubiger zur weiteren Kreditierung veranlasst haben könnte (s. auch BGE 89 III 18 ). Dagegen kann nicht eingewendet werden, die Beklagte sei in geschäftlichen Angelegenheiten unerfahren und naiv. Der Umstand allein schon, dass sie bei Verkauf des Geschäftes durch Flisch von diesem mangels einer Rückzahlung eine Sicherheit verlangte, erweist, dass sie mehr als bloss laienhafte Kenntnisse des Geschäftsverkehrs hat. War sie aber zu einer durchschnittlichen Aufmerksamkeit durchaus fähig (s. hiezu JÄGGI, Berner Kommentar, N. 122 ff. zu Art. 3 ZGB ), so war für sie auch erkennbar, dass es mit der Geschäftslage ihres Schwiegersohnes nicht zum besten bestellt sein konnte und dass er mit der Sicherstellung ihrer Forderung die andern Gläubiger benachteiligte. Indem sie sich unbekümmert darum dessen grösstes und, wie sich in der Folge herausstellte, auch praktisch einziges Aktivum zur Deckung ihres gesamten Guthabens abtreten liess, machte sie sich der rechtswidrigen Selbsthilfe schuldig. Darüber kann entgegen der Auffassung der Vorinstanz nicht mit der Erwägung hinweggegangen werden, Flisch habe nach seinem eigenen, "freimütigen" Zugeständnis die Beklagte angelogen und diese habe ihm vertraut und an die gute Entwicklung seines Geschäftes geglaubt. Auf den damit festgestellten guten Glauben könnte sich Frau Güdemann nur berufen, wenn sie alles ihr Zumutbare unternommen hätte, um den sich nach den Umständen aufdrängenden Verdacht der schlechten finanziellen Lage Flischs zu beheben. Sie hat indessen BGE 89 III 47 S. 52 weder den Gemeinschuldner selber nach andern Schulden und deren Höhe befragt, noch Einsicht in die Geschäftsbücher verlangt, noch sich beim zuständigen Betreibungsamt über jenen erkundigt ( Art. 8 Abs. 2 SchKG ). Dass es ihr, wie die Vorinstanz annimmt, nicht zuzumuten gewesen sei, einen Betreibungsauszug über ihren eigenen Schwiegersohn einzuholen, trifft nicht zu. Vielmehr hatte sie gerade wegen ihrer Zugehörigkeit zur Familie des Gemeinschuldners, mit dem sie übrigens im gleichen Hause lebte, eine besondere Erkundigungspflicht, weil gegen sie die natürliche Vermutung besteht, dass sie über dessen Schulden besser unterrichtet war als andere Drittpersonen ( BGE 40 III 298 ; JAEGER/DAENIKER, Praxis N. 5 C zu Art. 288 SchKG ). Abgesehen davon erscheint die Annahme des Obergerichts, dass Frau Güdemann den unwahren Angaben ihres Schwiegersohnes vertraut und an die gute Entwicklung seines Geschäfts geglaubt habe, ohnehin höchst gewagt. Hätte sie dieses Vertrauen tatsächlich gehabt, so wäre nicht zu verstehen, warum sie, kaum über den Verkauf des Geschäftes unterrichtet, sogleich und mit Nachdruck die Sicherstellung ihres gesamten Guthabens verlangte. Sie lebte ja mit Flisch in den besten persönlichen Beziehungen und musste daher nicht befürchten, dass er, in den Besitz des von Hauser für das Geschäft zu zahlenden Preises von rund Fr. 112'000.-- gelangt, ihr böswillig die Darlehensrückzahlung weiterhin verweigern werde, wenn sie ihm vertraute. Wohl aber lag die Befürchtung nahe, dass nun andere Gläubiger auf dieses Guthaben aus dem Geschäftsverkauf des Flisch greifen könnten, zumal der Kläger Metelli ihr gesagt hatte, er wisse, was er zu tun habe, er sei gedeckt. Frau Güdemann erklärte denn auch selber, sie habe daraufhin auch gewusst, was sie zu tun habe. Warum diese Aussage unklar sein sollte, ist nicht erfindlich. Die Beklagte hat durch ihr Handeln, nämlich den Abschluss des Abtretungsvertrages, deutlich zu erkennen gegeben, wie ihre Äusserung gemeint war: Sie BGE 89 III 47 S. 53 wollte die Sicherheit haben, dass die von Hauser zu bezahlende Kaufsumme zur Deckung ihrer Darlehensforderung an sie gelange, und somit verhüten, dass Flisch das Geld zur Befriedigung anderer Gläubiger verwenden müsse. Bei dieser Sachlage erscheint es wenig glaubhaft, dass sie an weitere Gläubiger kaum gedacht oder jedenfalls die Guthaben derselben für unbedeutend gehalten habe. Doch wie dem auch sei, hülfe jedenfalls der von der Vorinstanz angenommene gute Glaube der Beklagten nichts, weil sie es, wie bereits ausgeführt, an der nach den Umständen gebotenen Aufmerksamkeit hat fehlen lassen. Der Gutgläubige, der nicht aufmerksam genug war, ist nach Art. 3 Abs. 2 ZGB dem Bösgläubigen gleichgestellt (JÄGGI, op.cit. N. 106 zu Art. 3 ZGB ). 3. Ist demnach die Rechtsgrundlage für die Anfechtung des Abtretungsvertrages, nämlich die Erkennbarkeit der Benachteiligungsabsicht des Gemeinschuldners, schon nach den im angefochtenen Urteil enthaltenen tatsächlichen Feststellungen gegeben, so ist die Berufung gutzuheissen, ohne dass die Gegenstand der staatsrechtlichen Beschwerde bildenden Fragen, ob die Beklagte in eigentlicher Haushaltgemeinschaft mit Flisch gelebt, dessen Überschuldung tatsächlich gekannt und oft von Betreibungen oder Konkursandrohungen Kenntnis erhalten habe, zuvor noch beantwortet werden müssten. Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Berufung wird gutgeheissen, das Urteil des Obergerichts des Kantons Zürich vom 9. November 1962 wird aufgehoben, und die von André Flisch am 25. März 1959 an die Berufungsbeklagte vorgenommene Abtretung einer Forderung gegen Max Hauser bis zur Höhe von Fr. 112'340. - nebst 5% Zins wird ungültig erklärt.
null
nan
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1,963
CH_BGE
CH_BGE_005
CH
Federation
278846e5-6c3d-4da7-8572-c53eeda274d9
Urteilskopf 140 V 485 62. Extrait de l'arrêt de la Ire Cour de droit social dans la cause Office fédéral des assurances sociales contre A. (recours en matière de droit public ) 8C_250/2014 du 2 décembre 2014
Regeste Art. 3 und 7 Abs. 2 FamZG ; Art. 11 Abs. 1 FamZV ; Anspruch auf Differenzzahlung. Der Wortlaut von Art. 7 Abs. 2 FamZG ist klar und betrifft nur die Situation von Familien, in welchen zwei Anspruchsberechtigte in verschiedenen Kantonen arbeiten. Es bestehen keine objektiven Gründe für die Annahme, dass der Gesetzeswortlaut nicht den wahren Sinn der Bestimmung wiedergibt, weshalb diese nicht anzuwenden ist auf Fälle, in denen ein Elternteil in zwei verschiedenen Kantonen arbeitet (E. 4.2).
Sachverhalt ab Seite 485 BGE 140 V 485 S. 485 A. A., née en 1967, travaille au service de deux employeurs, l'un dont le siège est dans le canton de Vaud (B. Sàrl), et l'autre à Genève (C. SA). Elle a un enfant, D., né en 1996, dont le père vit à l'étranger. L'époux de A., E., né en 1955, qui n'exerce plus d'activité lucrative depuis 2009, est quant à lui au bénéfice d'une demi-rente de l'assurance-invalidité depuis 1996. BGE 140 V 485 S. 486 Le 13 mars 2013, C. SA a déposé auprès de la Caisse interprofessionnelle AVS de la Fédération des Entreprises Romandes (ci-après: la caisse genevoise) une demande d'allocations familiales en faveur de son employée. Par courriel du 9 avril 2013, la Caisse d'allocations familiales du Centre patronal vaudois (ci-après: la caisse vaudoise) a informé la caisse genevoise qu'elle estimait être prioritairement compétente pour le versement des allocations familiales au motif que le salaire versé à l'intéressée par B. Sàrl était plus élevé que celui versé par C. SA. Par décision du 10 avril 2013, la caisse genevoise a en conséquence refusé d'allouer à A. les allocations prétendues. A. a formé opposition à cette décision en demandant à la caisse genevoise de lui allouer, dès le 1 er mai 2012, la différence entre le montant de l'allocation familiale versée dans le canton de Vaud et celui, plus élevé, auquel elle aurait droit dans le canton de Genève. Par décision du 21 mai 2013, la caisse genevoise a rejeté l'opposition. B. A. a recouru contre cette décision devant la Chambre des assurances sociales de la Cour de justice de la République et canton de Genève. Statuant le 27 février 2014, cette juridiction a annulé la décision du 21 mai 2013 en ce sens que A. a droit au versement par la caisse genevoise de la différence de prestations entre les cantons de Genève et Vaud. C. L'Office fédéral des assurances sociales (OFAS) interjette un recours en matière de droit public dans lequel il conclut à l'annulation de l'arrêt cantonal. A. conclut au rejet du recours, tandis que la caisse genevoise adhère à la position exprimée par l'OFAS. Le recours a été admis. Erwägungen Extrait des considérants: 2. 2.1 L'allocation familiale comprend l'allocation pour enfant et l'allocation de formation professionnelle qui est octroyée au plus tard, en cas de formation, jusqu'à l'âge de 25 ans (art. 3 al. 1 de la loi fédérale du 24 mars 2006 sur les allocations familiales [LAFam; RS 836.2]). Selon l' art. 3 al. 2 LAFam , les cantons peuvent prévoir dans leur régime d'allocations familiales des taux minimaux plus élevés pour l'allocation pour enfant et l'allocation de formation BGE 140 V 485 S. 487 professionnelle que ceux prévus à l'art. 5 (respectivement 200 fr. et 250 fr.), ainsi qu'une allocation de naissance et une allocation d'adoption; les dispositions de la LAFam sont également applicables à ces allocations. 2.2 L' art. 7 LAFam prévoit un ordre de priorité en cas de cumul de droits à des prestations familiales. Il est libellé ainsi: Concours de droits 1 Lorsque plusieurs personnes peuvent faire valoir un droit aux allocations familiales pour le même enfant en vertu d'une législation fédérale ou cantonale, le droit aux prestations est reconnu selon l'ordre de priorité suivant: a. à la personne qui exerce une activité lucrative; b. à la personne qui détient l'autorité parentale ou qui la détenait jusqu'à la majorité de l'enfant; c. à la personne chez qui l'enfant vit la plupart du temps ou vivait jusqu'à sa majorité; d. à la personne à laquelle est applicable le régime d'allocations familiales du canton de domicile de l'enfant; e. à la personne dont le revenu soumis à l'AVS et provenant d'une activité lucrative dépendante est le plus élevé; f. à la personne dont le revenu soumis à l'AVS et provenant d'une activité lucrative indépendante est le plus élevé. 2 Dans le cas où les allocations familiales du premier et du second ayants droit sont régies par les dispositions de deux cantons différents, le second a droit au versement de la différence lorsque le taux minimal légal est plus élevé dans son propre canton que dans l'autre. Le Parlement a délégué au Conseil fédéral le pouvoir de régler la procédure et la compétence des caisses de compensation pour les allocations familiales concernant les personnes qui ont plusieurs employeurs ( art. 13 al. 4 let. b LAFam ). Forte de cette délégation, l'autorité exécutive a prévu à l'art. 11 al. 1 de l'ordonnance du 31 octobre 2007 sur les allocations familiales (OAFam; RS 836.21) que si une personne est employée auprès de plusieurs employeurs, la caisse de compensation pour allocations familiales compétente est celle de l'employeur qui verse le salaire le plus élevé. 2.3 Ni les premiers juges ni les parties ne remettent en cause la légalité de l' art. 11 al. 1 OAFam . A juste titre. En effet, quand la norme de délégation accorde un large pouvoir d'appréciation au Conseil fédéral, le Tribunal fédéral est lié à cet égard. Il ne peut pas substituer sa propre appréciation à celle du Conseil fédéral, mais doit seulement vérifier que l'ordonnance en cause ne sorte pas BGE 140 V 485 S. 488 manifestement du cadre de la délégation de compétence prévue par la loi ou n'apparaisse pas, pour d'autres raisons, contraire à la loi ou à la Constitution ( ATF 131 II 562 consid. 3.2 p. 566; ATF 130 I 26 consid. 2.2.1 p. 32). Tel n'est à l'évidence pas le cas en l'espèce, le critère du salaire le plus élevé apparaissant comme objectivement fondé et répondant de surcroît à un impératif de simplicité (KIESER/REICHMUTH, Bundesgesetz über die Familienzulagen - Praxiskommentar, 2010, n° 47 ad art. 13 LAFam ). 2.4 Les parties ne contestent pas davantage qu'il appartient à la caisse de compensation de l'employeur vaudois de verser - selon les normes du canton de Vaud - les allocations familiales, étant donné que le salaire réalisé par l'intimée dans le canton de Vaud est plus élevé que celui réalisé dans le canton de Genève. Dans le canton de Vaud le montant minimum de l'allocation pour enfant s'élève à 200 fr. Il a été fixé à 230 fr. à compter du 1 er janvier 2014 et sera porté à 250 fr. dès le 1 er janvier 2017 (art. 3 al. 1 de la loi d'application du canton de Vaud du 23 septembre 2008 de la loi fédérale sur les allocations familiales et sur des prestations cantonales en faveur de la famille [LVLAFam; RSV 836.01]). Le canton de Genève a pour sa part opté pour une allocation pour enfant de 300 fr. jusqu'à 16 ans et de 400 fr. de 16 à 20 ans (art. 8 al. 2 de la loi de la République et canton de Genève du 1 er mars 1996 sur les allocations familiales [LAF; rs/GE J 5 10]). 3. La question est de savoir si l'intimée a droit au versement par la caisse genevoise de la différence entre le montant de l'allocation familiale versée dans le canton de Vaud - par la caisse compétente selon l' art.11 al. 1 OAFam - et celle, plus élevée, prévue par la législation du canton de Genève. 3.1 Comme le rappelle l'autorité cantonale, l'adoption de l' art. 7 al. 2 LAFam avait été motivée par la jurisprudence rendue par le Tribunal fédéral dans l' ATF 129 I 265 . Dans cette affaire, il était question de conjoints résidant dans le canton de Fribourg. Le mari travaillait dans le canton de Soleure et son épouse dans le canton de Fribourg. Celle-ci s'était vu refuser les prestations familiales au motif que la loi fribourgeoise sur les allocations familiales prévoyait - pour les couples mariés - comme ayant droit prioritaire le père. Etant donné que son mari avait droit au versement d'allocations familiales dans le canton de Soleure, elle ne pouvait pas demander des prestations familiales dans le canton de Fribourg. Confronté à cette situation de concours de droits impliquant deux cantons, le Tribunal BGE 140 V 485 S. 489 fédéral a jugé opportun d'appliquer par analogie les règles de conflit prévues aux art. 73 et 76 du Règlement (CEE) n° 1408/71 du Conseil du 14 juin 1971 relatif à l'application des régimes de sécurité sociale aux travailleurs salariés, aux travailleurs non salariés et aux membres de leur famille qui se déplacent à l'intérieur de la Communauté (RO 2004 121). Il en résultait, dans les relations intercantonales aussi, que les allocations familiales devaient être servies par la caisse du canton de résidence des époux lorsque l'un d'entre eux travaille dans ce canton. Dans le cas où le canton dans lequel travaille l'autre époux prévoit des allocations plus élevées, le versement de la différence pouvait être demandé. L'autorité cantonale en déduit que ces principes sont aussi applicables en présence d'un seul ayant droit qui travaille dans deux cantons différents. Admettre le contraire constituerait selon les premiers juges une violation du principe de l'égalité de traitement tel que consacré à l' art. 8 al. 1 Cst. 3.2 Le recourant fait valoir que la solution préconisée par la juridiction cantonale ne repose sur aucune base légale. Le non-versement d'un éventuel différentiel résulte d'un choix du législateur. La solution de l' art. 7 al. 2 LAFam ne saurait s'appliquer ici, car la situation dans laquelle il y a un concours de droits entre plusieurs personnes n'est pas similaire à celle où le concours de droits est réalisé au sein de la même personne. 3.3 L'intimée quant à elle se rallie aux considérations des premiers juges et invoque subsidiairement l'existence d'une lacune. A son avis, l' art. 7 al. 2 LAFam a pour vocation de régler tant la situation du parent qui travaille dans deux cantons différents que celle des familles au sein desquelles les parents ne travaillent pas dans le même canton. L' art. 8 al. 1 Cst. commanderait de traiter de la même manière les deux situations. 4. 4.1 La loi s'interprète en premier lieu selon sa lettre (interprétation littérale). Dans le cas où plusieurs interprétations sont possibles, le juge recherche la véritable portée de la norme en la dégageant de sa relation avec d'autres dispositions légales et de son contexte (interprétation systématique), du but recherché, singulièrement de l'intérêt protégé (interprétation téléologique), ainsi que de la volonté du législateur telle qu'elle ressort des travaux préparatoires (interprétation historique). Le sens que prend la disposition dans son contexte est également important. Lorsqu'il est appelé à interpréter une loi, le Tribunal fédéral adopte une position pragmatique en suivant une BGE 140 V 485 S. 490 pluralité de méthodes, sans soumettre les différents éléments d'interprétation à un ordre de priorité ( ATF 140 V 227 consid. 3.2 p. 230 et les arrêts cités). L'interprétation de la loi peut conduire à la constatation d'une lacune. Une lacune proprement dite suppose que le législateur s'est abstenu de régler un point qu'il aurait dû régler et qu'aucune solution ne se dégage du texte ou de l'interprétation de la loi. En revanche, si le législateur a renoncé volontairement à codifier une situation qui n'appelait pas nécessairement une intervention de sa part, son inaction équivaut à un silence qualifié. Quant à la lacune improprement dite, elle se caractérise par le fait que la loi offre certes une réponse, mais que celle-ci est insatisfaisante. D'après la jurisprudence, seule l'existence d'une lacune proprement dite appelle l'intervention du juge, tandis qu'il lui est en principe interdit, selon la conception traditionnelle qui découle notamment du principe de la séparation des pouvoirs, de corriger les silences qualifiés et les lacunes improprement dites, à moins que le fait d'invoquer le sens réputé déterminant d'une norme ne soit constitutif d'un abus de droit, voire d'une violation de la Constitution (cf. ATF 139 I 57 consid. 5.2 p. 60 s. et les arrêts cités). 4.2 4.2.1 Le texte de l' art. 7 al. 2 LAFam est clair et ne vise que la situation des familles au sein desquelles deux ayants droit travaillent dans des cantons différents. Aussi convient-il de se demander, par la voie de l'interprétation, s'il existe des raisons objectives d'admettre que la lettre de la loi ne restitue pas le véritable sens de la disposition en cause, de sorte que l'on devrait en conclure que, nonobstant l'interprétation littérale, l' art. 7 al. 2 LAFam devrait s'appliquer aux cas où l'on est en présence d'un parent qui travaille dans deux cantons différents. 4.2.2 Dans le rapport du 20 novembre 1998 sur l'initiative parlementaire "Prestations familiales (Fankhauser)" la Commission de la sécurité sociale et de la santé publique du Conseil national (ci-après: la CSSS-CN) avait formulé à l'art. 6 du projet de loi les règles de priorité applicables en cas de concours de droits. Cette version du texte visait uniquement les cas où plusieurs personnes pouvaient faire valoir un droit aux allocations familiales pour le même enfant (FF 1999 2942, 2976). Ce n'est que dans le rapport complémentaire du 8 septembre 2004 de la CSSS-CN qu'apparaît pour la première fois le droit au versement du différentiel (art. 7 al. 2 du projet de loi; FF 2004 6459, 6502). L'adoption de cette disposition a été motivée BGE 140 V 485 S. 491 - comme l'a retenu à juste titre l'instance cantonale - par la jurisprudence rendue dans l' ATF 129 I 265 . Elle avait pour but d'accorder les mêmes droits aux familles au sein desquelles les parents exercent une activité lucrative dans deux cantons différents et à celles où l'un des parents travaille à l'étranger et l'autre en Suisse. En ce qui concerne le versement du différentiel, la CSSS-CN avait précisé que seul le deuxième ayant droit pouvait prétendre au versement de la différence (FF 2004 6478). L'art. 7 al. 2 du projet de loi prévoyait en effet ceci: "Dans le cas où les allocations familiales du deuxième ayant droit seraient plus élevées, celui-ci a droit à la différence". Par la suite, la Commission de la sécurité sociale et de la santé publique du Conseil des Etats (ci-après: la CSSS-CE) a proposé une formulation plus détaillée de l'art. 7 al. 2. La version du texte proposée par la CSSS-CE avait la teneur suivante: "Dans le cas où les allocations familiales du premier et du second ayant droit sont régies par les dispositions de deux cantons différents, le second a droit au versement de la différence lorsque le taux minimal légal est plus élevé dans son propre canton que dans l'autre" (BO 2005 CE 717). Cette version du texte a été approuvée par le Conseil des Etats et correspond à la version actuelle du texte de l' art. 7 al. 2 LAFam . La préoccupation majeure était de régler dans la LAFam les situations dans lesquelles plusieurs personnes peuvent faire valoir un droit au versement d'allocations familiales pour le même enfant. La question d'un éventuel versement du différentiel à un travailleur qui exerce des activités lucratives dans plusieurs cantons n'a jamais été soulevée lors des débats parlementaires (voir en particulier l'intervention du conseiller aux Etats Urs Schwaller BO 2005 CE 717). L'examen des travaux préparatoires ne permet donc pas de retenir que le texte de l' art. 7 al. 2 LAFam ne traduit pas sa portée véritable (voir également pour une interprétation littérale, DOROTHEA RIEDI HUNOLD, Familienleistungen, in Recht der Sozialen Sicherheit, Steiger-Sackmann/Mosimann [éd.], 2014, n. 33.65 p. 1196; MARCO REICHMUTH, Ansprüche der Erwerbstätigen, in Bundesgesetz über die Familienzulagen [FamZG], Schaffhauser/Kieser [éd.], 2009, p. 128; THOMAS FLÜCKIGER, Koordinations- und verfahrensrechtliche Aspekte bei den Kinder- und Ausbildungszulagen, in Bundesgesetz über die Familienzulagen [FamZG], Schaffhauser/Kieser [éd.], 2009, p. 169 et 177; dans le même sens: Directives pour l'application de la loi fédérale sur les allocations familiales LAFam [DAFam], valables dès le 1 er janvier 2009, ch. 411; voir toutefois pour une approche BGE 140 V 485 S. 492 plus large KIESER/REICHMUTH, op. cit., n° 96 ad art. 7 et n° 49 ad art. 13 LAFam ). 4.2.3 Du point de vue téléologique, les premiers juges insistent sur le but des allocations familiales qui est de compenser partiellement la charge financière que représentent un ou plusieurs enfants ( art. 2 LAFam ). Le but visé ne postule toutefois pas nécessairement un ordre de priorité en faveur de la législation cantonale la plus favorable ou le versement d'un montant sous la forme d'un complément différentiel. En cas de concours de droits, il incombe au législateur de faire des choix en fonction de ses objectifs de politique juridique et sociale. Le législateur était d'ailleurs conscient d'un concours possible de droits résultant de l'exercice de deux (ou plusieurs) activités simultanées par une même personne dans des cantons différents, puisqu'il a délégué au Conseil fédéral la compétence de régler cette situation en lui laissant toute latitude sur la réglementation à adopter. On peut penser que s'il avait voulu instaurer dans ce cas un système analogue à l' art. 7 al. 2 LAFam , il l'aurait prévu dans la loi. 4.2.4 La loi étant claire, l'éventualité d'une lacune proprement dite doit être exclue. Quant à l'existence d'une lacune improprement dite, elle ne peut en principe pas être comblée par le juge (supra consid. 4.1). A l'évidence, l' art. 7 al. 2 LAFam n'est pas invoqué abusivement en l'espèce. En outre, indépendamment du fait que le Tribunal fédéral est tenu d'appliquer les lois fédérales ( art. 190 Cst. ), à tout le moins lorsque le texte et le sens de la disposition légale sont absolument clairs ( ATF 136 II 120 consid. 3.5.1 p. 130; ATF 132 II 234 consid. 2.2 p. 236), on ne voit pas que la loi consacre ici une inégalité de traitement. Le principe de l'égalité de traitement ne commande pas de traiter de la même manière deux situations aussi différentes que sont l'exercice par une personne de plusieurs activités et le concours de prestations entre deux ayants droit potentiels. 5. Il suit de ce qui précède que le recours doit être admis et que le jugement de la Chambre des assurances sociales de la Cour de justice de la République et canton de Genève du 27 février 2014 doit être annulé.
null
nan
fr
2,014
CH_BGE
CH_BGE_007
CH
Federation
278a7c5e-9513-4460-99c9-5d8f6b2b43fe
Urteilskopf 119 Ia 305 36. Auszug aus dem Urteil der I. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 14. Oktober 1993 i.S. Stadt Zürich gegen X. AG und Mitbeteiligte (staatsrechtliche Beschwerde)
Regeste Gemeindeautonomie; Art. 4 und 22ter BV ; Dauer der Bindung des zuständigen Gemeinwesens an seinen Verzicht, eine Häusergruppe unter Denkmalschutz zu stellen. Fehlende gesetzliche Regelung der Frage, wie lange ein im Provokationsverfahren nach § 213 des Zürcher Planungs- und Baugesetzes ausgesprochener Verzicht, Denkmalschutzmassnahmen anzuordnen, das zuständige Gemeinwesen zu binden vermag. Beurteilung anhand der Grundsätze über den Widerruf von Verfügungen (E. 4). Ermittlung und Abwägung der sich gegenüberstehenden Interessen im konkreten Fall. Keine Verletzung der Gemeindeautonomie dadurch, dass eine nachträgliche Unterschutzstellung als unzulässiger Widerruf betrachtet wird (E. 5).
Sachverhalt ab Seite 306 BGE 119 Ia 305 S. 306 Im 18. und 19. Jahrhundert entstand in Zürich unmittelbar nördlich des Kreuzplatzes zwischen dem Zeltweg und der Klosbachstrasse eine typische Bebauung für Kleinhandwerker und Taglöhner. Trotz mehrfachen Umbauten und Veränderungen der Bausubstanz sind die Siedlungsstruktur und der Charakter der Gebäude bis heute erhalten geblieben. Der Zustand der aus 16 Häusern und Hausteilen bestehenden Überbauung ist jedoch sehr schlecht. Die privaten Eigentümer der Liegenschaften möchten die alten Häuser deshalb abreissen und das Areal neu überbauen. Eine Liegenschaft ist im Eigentum der Stadt Zürich. Die privaten Eigentümer der Liegenschaften gelangten am 25. Juli 1984 an den Stadtrat von Zürich mit dem Ersuchen, förmlich festzustellen, dass die bestehende, "hoffnungslos überalterte" Überbauung zwischen Zeltweg, Kreuzplatz und Klosbachstrasse nicht schutzwürdig sei. Der Stadtrat verzichtete mit Beschluss vom 5. Juni 1985 auf die Unterschutzstellung sämtlicher Häuser im erwähnten Geviert, traf Anordnungen bezüglich der Dokumentation durch das baugeschichtliche Archiv sowie bezüglich allfälliger archäologischer Sondierungen. Zugleich nahm er Kenntnis von der Verpflichtung der Grundeigentümer, zur Erlangung eines geeigneten Neubauprojekts gemeinsam mit dem Stadtrat einen Ideenwettbewerb durchzuführen, dessen Federführung städtischerseits beim Hochbauamt liegen sollte. Am 4. Oktober 1985 stellte die Bausektion II des Stadtrats mittels Vorentscheid fest, dass ein von den Grundeigentümern zur Ermittlung der zulässigen Bruttogeschossfläche eingereichtes Projekt den derzeitigen, allerdings in Änderung befindlichen Bauvorschriften entspreche. Für das aus dem Ideenwettbewerb hervorgegangene Projekt "Stadt-Park" wurde am 12. Mai 1987 um einen Vorentscheid BGE 119 Ia 305 S. 307 über die Bewilligungsfähigkeit nachgesucht. Die Bausektion II trat am 12. Februar 1988 auf dieses Begehren nicht ein, weil die Stadt Zürich als Eigentümerin eines von der Baueingabe erfassten Grundstücks ihre Zustimmung zum Baugesuch zurückgezogen hatte. Am 3. August 1988 wies der Stadtrat ein von den privaten Grundeigentümern eingereichtes Gesuch zur Einleitung eines Quartierplanverfahrens für das fragliche Areal am Kreuzplatz provisorisch ab. Rechtsmittel gegen diese Entscheide blieben ohne Erfolg. Unterdessen hatte der Gemeinderat der Stadt Zürich am 19. November 1986 eine Einzelinitiative unterstützt, die für das Häusergeviert am Kreuzplatz einen öffentlichen Gestaltungsplan verlangte, welcher unter anderem die Unterschutzstellung des Ensembles als eines der letzten Zeugen Alt-Hottingens gewährleisten sollte. In der Folge beauftragte das städtische Büro für Denkmalpflege den Kunsthistoriker PD Dr. Hans Martin Gubler mit der Ausarbeitung eines kulturgeschichtlichen Gutachtens über die Häusergruppe am Kreuzplatz. Es wurde am 10. April 1987 erstattet. Am 5. Mai 1987 legte Architekt Jürg Lendorff ein Gutachten über den architektonischen Zustand der Häuser vor. Beim Architekturbüro Peter Fässler wurde schliesslich eine Expertise eingeholt, welche - ausgehend von der im Gutachten Gubler dargelegten Schutzwürdigkeit des Ensembles - aufzeigen sollte, inwieweit die Bauten saniert und gemäss den heutigen Bedürfnissen genutzt werden könnten und ob eine solche Sanierung den Schutzcharakter zunichte machen würde. Sodann sprach sich die städtische Denkmalpflegekommission am 6. November 1989 mehrheitlich für eine möglichst weit gehende Unterschutzstellung der Häusergruppe aus. Am 14. November 1990 erliess der Stadtrat von Zürich zum Schutz der Siedlung zwischen Zeltweg und Klosbachstrasse am Kreuzplatz eine Schutzverordnung. Die betroffenen privaten Grundeigentümer fochten diese bei der Baurekurskommission I des Kantons Zürich an. Sie hiess am 23. August 1991 ihre Rechtsmittel gut und hob die stadträtliche Schutzverordnung auf. Die dagegen erhobenen Beschwerden der Stadt Zürich und des Zürcher Heimatschutzes wies das Verwaltungsgericht am 20. August 1992 ab. Es fügte seinem Urteil eine abweichende Minderheitsmeinung an. Nach dieser sollte der Entscheid der Baurekurskommission aufgehoben und die Sache zur weiteren Untersuchung und zu neuem Entscheid an den Stadtrat zurückgewiesen werden. Die Stadt Zürich hat gegen das Urteil des Verwaltungsgerichts eine staatsrechtliche Beschwerde beim Bundesgericht eingereicht. Sie beantragt die Aufhebung BGE 119 Ia 305 S. 308 des angefochtenen Entscheids, weil er ihre Gemeindeautonomie verletze. Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab, soweit es darauf eintritt. Erwägungen Aus den Erwägungen: 4. Das Verwaltungsgericht hat festgestellt, die Schutzverordnung Kreuzplatz des Stadtrats vom 14. November 1990 laufe auf einen unzulässigen Widerruf des früheren stadträtlichen Verzichts auf eine Unterschutzstellung vom 5. Juni 1985 hinaus, und es hat aus diesem Grund die Aufhebung der neuen Schutzverordnung durch die Baurekurskommission bestätigt. Die Stadt Zürich ist der Auffassung, das Verwaltungsgericht habe bei der Prüfung der Zulässigkeit des Widerrufs private und öffentliche Interessen willkürlich gewürdigt, die erforderliche Abwägung willkürlich vorgenommen, der Eigentumsgarantie und dem Grundsatz des Vertrauensschutzes eine zu weit gehende Bedeutung beigemessen und überdies durch den Einbezug der finanziellen Situation seine Prüfungsbefugnis überschritten. Um diese Rügen im einzelnen prüfen zu können, sind zunächst die massgeblichen Verfassungsgrundsätze und Gesetzesbestimmungen zu ermitteln. a) Im Kanton Zürich sind die Voraussetzungen und Wirkungen von Heimatschutzmassnahmen in den § § 203 ff. PBG geregelt. Diese sind am 1. September 1991 teilweise revidiert worden und gelten seit dem 1. Februar 1992 in der neuen Fassung. Das angefochtene Urteil erging am 22. August 1992, also nach dem Inkrafttreten des neuen Rechts. Das Verwaltungsgericht hat ausdrücklich auf das im Zeitpunkt des Erlasses der Schutzverordnung Kreuzplatz am 14. November 1990 bzw. des Beschlusses auf Nichtunterschutzstellung des Häusergevierts am 5. Juni 1985 massgebende kantonale Recht abgestellt. Nichts anderes gilt für das staatsrechtliche Beschwerdeverfahren, soweit es bei der Prüfung der Verfassungsmässigkeit des angefochtenen Urteils direkt oder indirekt um die Gültigkeit der beiden genannten stadträtlichen Beschlüsse geht. Konkret heisst dies, dass mit Ausnahme von § 211 Abs. 2 (hier gilt die Fassung vom 20. Mai 1984) die ursprüngliche Fassung des PBG vom 7. September 1975 zur Anwendung gelangt. b) Nach § 203 lit. c PBG - in der hier massgebenden Fassung vom 7. September 1975 - erstrecken sich die Massnahmen des Heimatschutzes BGE 119 Ia 305 S. 309 auf Orts-, Quartier-, Strassen-, und Platzbilder, Gebäudegruppen, Gebäude und Teile sowie Zugehör von solchen, die als wichtige Zeugen einer politischen, wirtschaftlichen, sozialen und baukünstlerischen Epoche erhaltenswürdig sind. Die vom Stadtrat von Zürich gestützt auf diese Bestimmung erlassene Schutzverordnung Kreuzplatz bringt für die Grundeigentümer schwerwiegende Einschränkungen ihrer Befugnisse mit sich: Sie sind gehalten, ihre Gebäude mit ihren Hof- und Gartenflächen in ihrer wesentlichen Substanz zu erhalten und durch geeigneten Unterhalt wirksam vor Beeinträchtigung und Beschädigung zu schützen. An den Gebäuden, Hof- und Gartenflächen dürfen keine Änderungen vorgenommen werden, die den sozialgeschichtlichen oder kulturhistorischen Wert der geschützten Teile beeinträchtigen. Einschränkungen des Privateigentums sind nur zulässig, wenn sie auf einer gesetzlichen Grundlage beruhen, im öffentlichen Interesse liegen und unter den gegebenen Umständen verhältnismässig sind ( Art. 22ter Abs. 2 BV ; vgl. BGE 116 Ia 181 E. 3c S. 185; BGE 115 Ia 350 E. 3a S. 351; BGE 109 Ia 257 E. 4 S. 258). Eigentumsbeschränkungen zum Schutz von Baudenkmälern liegen allgemein im öffentlichen Interesse ( BGE 116 Ia 41 E. 4d S. 49; BGE 115 Ia 370 E. 3a S. 373; 109 Ia 257 E. 5a S. 259). Allerdings ist je im konkreten Fall zu prüfen, wie weit das öffentliche Interesse reicht, insbesondere welche Objekte denkmalpflegerischen Schutz verdienen und in welchem Ausmass. c) § 213 PBG sieht vor, dass jeder Grundeigentümer vom Gemeinwesen einen innert Jahresfrist zu fällenden Entscheid über die Schutzwürdigkeit seines Grundstücks und den Umfang allfälliger Schutzmassnahmen verlangen kann. Der Sinn dieser Vorschrift liegt darin, Rechtssicherheit darüber zu schaffen, ob, und wenn ja, welche denkmalpflegerisch begründeten Hindernisse für die bauliche Nutzung eines Grundstücks bestehen (sog. Provokationsrecht). Im Gegensatz zum hier anwendbaren früheren Recht regelt die neue, auf den 1. Februar 1992 in Kraft getretene Fassung von § 213 Abs. 3 PBG auch die Folgen eines ausbleibenden Provokationsentscheids. Danach darf eine Schutzmassnahme nur noch bei wesentlich veränderten Verhältnissen angeordnet werden, wenn innerhalb der mit dem Provokationsgesuch ausgelösten und allenfalls einmalig verlängerten Frist kein Entscheid über die Schutzanordnung erfolgte. Mit dem Erlass der neuen Schutzverordnung Kreuzplatz am 14. November 1990 wurde der 1985 verfügte Verzicht auf eine Unterschutzstellung zurückgenommen. Weder im alten noch im neuen Recht wird die Frage geregelt, wie lange ein im Provokationsverfahren BGE 119 Ia 305 S. 310 ausgesprochener Verzicht auf die Anordnung von Schutzmassnahmen das zuständige Gemeinwesen zu binden vermag. Da eine ausdrückliche gesetzliche Ordnung fehlt, hat das Verwaltungsgericht die Zulässigkeit der Rücknahme eines Provokationsentscheids nach den allgemeinen Grundsätzen über den Widerruf von Verfügungen beurteilt. Von dieser zutreffenden Beurteilungsgrundlage geht auch die Stadt Zürich aus. Danach können Verwaltungsakte, die dem Gesetz nicht oder nicht mehr entsprechen, grundsätzlich widerrufen werden. Der Widerruf ist allerdings in diesen Fällen nur unter den von der bundesgerichtlichen Rechtsprechung entwickelten Voraussetzungen zulässig. Danach sind das Interesse an der richtigen Durchsetzung des objektiven Rechts und dasjenige an der Wahrung der Rechtssicherheit gegeneinander abzuwägen. Dem Postulat der Rechtssicherheit kommt in der Regel dann der Vorrang zu, wenn durch die frühere Verfügung ein subjektives Recht begründet worden ist oder wenn die Verfügung in einem Verfahren ergangen ist, in welchem die sich gegenüberstehenden Interessen allseitig zu prüfen und gegeneinander abzuwägen waren, oder wenn der Private von einer ihm durch die fragliche Verfügung eingeräumten Befugnis bereits Gebrauch gemacht hat. Diese Regel gilt allerdings nicht absolut; ein Widerruf kann auch in einem der drei genannten Fälle in Frage kommen, wenn er durch ein besonders gewichtiges öffentliches Interesse geboten ist (vgl. BGE 115 Ib 152 E. 3a S. 155; BGE 109 Ib 246 E. 4b S. 252; BGE 107 Ib 35 E. 4a S. 36 f.; ANDRÉ GRISEL, Traité de droit administratif, 1984, S. 431 ff.). d) Die von der Stadt Zürich vorgebrachten Rügen beziehen sich auf das Gewicht der privaten und öffentlichen Interessen im Rahmen der unter dem Gesichtspunkt der Eigentumsgarantie und des Widerrufs vorzunehmenden Abwägungen sowie auf die Durchführung der Abwägung selbst. Dementsprechend ist nachstehend zuerst die Bedeutung des öffentlichen Interesses an der Unterschutzstellung (E. 5a), hierauf der entgegenstehenden Gesichtspunkte des Vertrauensschutzes und des Eigentumsschutzes (E. 5b) und schliesslich die vom Verwaltungsgericht vorgenommene Abwägung zu prüfen (E. 5c). Dabei ist an die bereits erwähnten Beschränkungen der bundesgerichtlichen Überprüfungsbefugnis zu erinnern. 5. a) Die Stadt Zürich wirft dem Verwaltungsgericht vor, es sei in willkürlicher Weise davon ausgegangen, der Beschluss über den Verzicht auf die Unterschutzstellung vom 5. Juni 1985 sei nicht fehlerhaft BGE 119 Ia 305 S. 311 gewesen. Das Gutachten des Kunsthistorikers Hans Martin Gubler habe den bedeutenden Zeugenwert des fraglichen Häuserensembles nachgewiesen und die Beurteilung im Jahre 1985 als klar unzutreffend herausgestellt. Im angefochtenen Entscheid werde das grosse öffentliche Interesse an der Erhaltung der Häusergruppe in unhaltbarer Weise unterbewertet. Das Verwaltungsgericht ist davon ausgegangen, dass der Stadtrat seinerzeit gestützt auf eine durchaus sachgerechte Überprüfung des denkmalpflegerischen Sachverhalts und der massgebenden Interessen zum Schluss gelangte, auf eine Unterschutzstellung des Häusergevierts am Kreuzplatz könne verzichtet werden. Was die beschwerdeführende Stadt Zürich in vorwiegend appellatorischer und daher unzulässiger Weise dagegen einwendet, lässt die Einschätzung des Verwaltungsgerichts nicht als mit den Tatsachen in Widerspruch stehend und unhaltbar erscheinen. Die erhobenen Einwände vermögen insbesondere nicht aufzuzeigen, dass die Sachverhaltsabklärungen vor dem Entscheid über den Verzicht auf die Unterschutzstellung im Jahre 1985 (Besichtigung der Gebäude durch die städtische Kommission für Denkmalpflege am 11. Oktober 1984; Stellungnahme des städtischen Büros für Denkmalpflege zu einem Bericht der Karl Steiner AG über den baulichen Zustand der betroffenen Liegenschaften; Weisung vom 22. Mai 1985 des Vorstands des Bauamtes II an den Stadtrat, welche sich einlässlich mit den Fragen der Schutzwürdigkeit und der Verhältnismässigkeit von denkmalpflegerischen Massnahmen im vorliegenden Fall befasste) ein völlig unzutreffendes Bild ergeben hätten. Wenn das Verwaltungsgericht in diesem Zusammenhang erwogen hat, der Stadtrat habe im Jahre 1985 bei seinem Ermessensentscheid über den Verzicht auf eine Unterschutzstellung des Häusergevierts mit guten Gründen Überlegungen zur Verhältnismässigkeit allfälliger Schutzmassnahmen angestellt und dabei eingedenk möglicher Enteignungsfolgen einer Unterschutzstellung auch auf das Gebot des sparsamen Umgangs mit öffentlichen Mitteln Bedacht genommen, so liegen hierin sachlich vertretbare Überlegungen. Anders als die Beschwerdeführerin in wiederum vorwiegend appellatorischer Kritik meint, kann jedenfalls nicht gesagt werden, das Verwaltungsgericht habe insoweit seine Überprüfungsbefugnis überschritten und in die Finanzautonomie der Gemeinde eingegriffen. Überdies ist der Stadt Zürich in diesem Zusammenhang in Erinnerung zu rufen, was der Stadtrat auf Antrag der Vorsteherin des Bauamtes II am 29. Oktober 1986 im Rahmen einer Interpellationsantwort BGE 119 Ia 305 S. 312 zur Begründung des Verzichts auf die Unterschutzstellung wörtlich ausgeführt hat: "Die städtebauliche Situation ist dadurch gekennzeichnet, dass sich zwischen Zeltweg und Klosbachstrasse eine Gruppe der früheren dörflichen Siedlung erhalten hat. Diese ländlich anmutenden Häuser wirken zwar vertraut, sie stehen aber heute zunehmend isoliert im sich verdichtenden Stadtgefüge. Bergwärts schliesst zwar das Artergut mit seinem grossen Grünumschwung an, aber auch hier fehlt ein baulicher Zusammenhang. Aus der Sicht der Denkmalpflege bildet die Häusergruppe einen zufällig herausgeschnittenen Überrest einer früheren Besiedlungsstruktur, die für sich allein schwer einzuordnen ist und bloss aufgrund geschichtlicher Kenntnisse verständlich ist. Das Ensemble wurde auch nie als schützenswertes Ortsbild im engeren Sinn bezeichnet, weder in städtischen noch in kantonalen Richtplänen. Die Bausubstanz ist in sehr schlechtem Zustand. Da auch mit dem Einsatz beträchtlicher Mittel die Ausbauten in ihrer ländlichen Charakteristik nicht mehr unberührt weitergetragen werden können, würde der Aufwand für eine Instandstellung im Verhältnis zum Nutzen unverhältnismässig. Die Kommission für Denkmalpflege der Stadt Zürich hat die Gebäude im Oktober 1984 besichtigt und auf einen Antrag auf Unterschutzstellung der Häusergruppe verzichtet." Es ist zwar richtig, dass das Gutachten Gubler, welches nach Auffassung der Beschwerdeführerin mit seiner sozial-, wirtschafts- und siedlungsgeschichtlichen Sicht "den Weg vom bloss vertrauten Bild zum Denkmal gewiesen" haben soll, erst am 10. April 1987 vorlag. Indessen vermag nach dem Gesagten diese im Verhältnis zum Provokationsverfahren nachträgliche Expertenmeinung für sich allein weder den Verzicht auf die Unterschutzstellung aus dem Jahre 1985 als qualifiziert fehlerhaft hinzustellen noch gar den negativen Provokationsentscheid ungeschehen zu machen. Solches anzunehmen wäre um so weniger haltbar, als diese nachträglich eingenommene andere Sichtweise lediglich ein einziges von mehreren für die Unterschutzstellung massgebenden Kriterien anders gewichtet. Dass im Vorfeld des negativen Provokationsentscheides und unter Beizug der städtischen Kommission für Denkmalschutz die sozial- und siedlungshistorischen Aspekte nicht einfach ausgeblendet worden sind, ergibt sich neben den im angefochtenen Entscheid erwähnten Untersuchungshandlungen auch aus der vorstehend zitierten stadträtlichen Interpellationsantwort sowie aus dem Umstand, dass in den Ziffern 2 und 3 des Beschlusses vom 5. Juni 1985 Anordnungen zur Dokumentation baugeschichtlich und archäologisch bedeutsamer Sachverhalte getroffen worden sind. Weiter ist schliesslich zu beachten, dass seit dem Verzicht auf die Unterschutzstellung im Jahre 1985 am BGE 119 Ia 305 S. 313 oder um das interessierende Ensemble herum keine neuen für den Denkmalschutz erheblichen Sachverhalte zutage getreten sind. Das Verwaltungsgericht konnte somit ohne Willkür annehmen, das öffentliche Interesse an einer Unterschutzstellung sei auch aus heutiger Sicht nicht erheblich höher zu bewerten als im Jahre 1985, als der Stadtrat auf die Anordnung von Schutzmassnahmen verzichtete. b) Die beschwerdeführende Stadt Zürich kritisiert weiter, der angefochtene Entscheid räume den privaten Interessen der Grundeigentümer, die rein finanzieller Natur seien, ein viel zu grosses Gewicht ein. Auch das "abstrakte Interesse" an der Wahrung der Rechtssicherheit sei im vorliegenden Fall nicht allzu hoch zu veranschlagen, da die privaten Beschwerdegegner bereits im Vorentscheid der Bausektion II vom 4. Oktober 1985 auf das Fehlen einer planungsrechtlichen Festlegung für das fragliche Areal hingewiesen worden seien und demzufolge nicht hätten darauf vertrauen dürfen, dass eine neue Zonenfestlegung die ins Auge gefasste Gesamtüberbauung noch ermöglichen würde. Sogar wenn man den Provokationsentscheid vom 5. Juni 1985 als ursprünglich fehlerhaft bezeichnet, wie dies der Sichtweise der Stadt Zürich entspricht, bleibt festzuhalten, dass er in einem gesetzlich vorgesehenen, qualifizierten Verfahren ergangen ist, weshalb nach der dargestellten Rechtsprechung der Rechtssicherheit grundsätzlich der Vorrang vor der Verwirklichung des objektiven Rechts zukommt. Dies gilt um so mehr, als die privaten Eigentümer gestützt auf den Provokationsentscheid Dispositionen getroffen haben. Zu erwähnen sind namentlich die Ausarbeitung eines Vorprojekts für den baurechtlichen Vorentscheid vom 4. Oktober 1985, die Durchführung des Ideenwettbewerbs (hälftige Kostenbeteiligung) für eine Gesamtüberbauung, das Bereitstellen der Gesuchsunterlagen zum Vorentscheid über die Bewilligungsfähigkeit des aus dem Wettbewerb hervorgegangenen Neubauprojekts, das Einreichen eines Gesuchs für ein Quartierplanverfahren und das Ergreifen von Rechtsmitteln gegen die negativen Entscheide in den zuletzt genannten Gesuchssachen. Zwar soll nicht verkannt werden, dass der Verzicht auf die Unterschutzstellung vom 5. Juni 1985 keine unbeschränkt tragfähige Vertrauensbasis abgab. So konnten die Grundeigentümer beispielsweise eine Änderung der Zonenordnung nicht zum vornherein ausschliessen. Dennoch durften, ja mussten die betroffenen Grundeigentümer im Nachgang zum stadträtlichen Entscheid vom 5. Juni 1985 in der BGE 119 Ia 305 S. 314 beschriebenen Weise tätig werden. Ein anderes Verhalten hätte dem Sinn und Zweck des Provokationsentscheides widersprochen und wäre praktischer Vernunft zuwidergelaufen. Entgegen der Auffassung der Beschwerdeführerin kann jedenfalls nicht gesagt werden, das Verwaltungsgericht habe zulasten der Gemeindeautonomie anerkannte Regeln des Vertrauensschutzes missachtet, indem es diese Dispositionen der Grundeigentümer als ein dem Widerruf des Provokationsentscheids grundsätzlich entgegenstehendes Element berücksichtigte. c) Die Stadt Zürich macht ebenfalls geltend, bei der Abwägung aller auf dem Spiele stehenden Interessen habe das Verwaltungsgericht der Eigentumsgarantie und dem Vertrauensschutz eine zu weit gehende Bedeutung beigemessen. Vor allem sei dem besonders gewichtigen öffentlichen Interesse an der Unterschutzstellung zu Unrecht nicht der Vorrang eingeräumt worden. Das Verwaltungsgericht hat in dem vornehmlich durch das Gutachten Gubler aufgezeigten sozial-, wirtschafts- und siedlungsgeschichtlich begründeten Denkmalschutzanliegen kein besonders gewichtiges öffentliches Interesse gesehen, das den Widerruf des Unterschutzstellungsverzichts gebieten würde. Es durfte so verfahren, ohne in Willkür zu verfallen. Das auch vom Verwaltungsgericht unbestrittene Denkmalschutzanliegen erleidet im vorliegenden Fall keine unhaltbare Zurücksetzung, wenn ihm nicht widerrufsbegründende Kraft beigemessen wird. Eine andere Beurteilung drängt sich auch nicht durch den Umstand auf, dass das fragliche Häusergeviert im Rahmen der neuen, noch nicht rechtskräftigen Bau- und Nutzungszonenordnung der Kernzone zugewiesen wurde. Da diese Kernzone - sollte sie rechtskräftig werden - in ihren Wirkungen hinter der Schutzverordnung vom 14. November 1990 zurückliegt und für sich allein namentlich keine Substanzerhaltung (sc. Abbruchverbot) zu bewirken vermag (vgl. § 50 PBG in der Fassung vom 1. September 1991), hat ihr das Verwaltungsgericht mit sachlich haltbarem Grund keine entscheidende Bedeutung beigemessen. Ebensowenig gab das Verwaltungsgericht dem Vertrauensschutz und der Eigentumsgarantie eine zu grosse Tragweite, als es in Rechnung stellte, dass die Sanierung der Liegenschaften gemäss dem Gutachten von Architekt Fässler ca. Fr. 1'000.--/m3 kosten würde; ferner dass dabei im Gegensatz zu einem Neubau erst noch lediglich in beschränktem Mass eine Verbesserung der wohnhygienischen Verhältnisse oder andere wünschbare Anpassungen an heutige BGE 119 Ia 305 S. 315 Bedürfnisse möglich wären. Die Stadt Zürich legt nicht dar, dass diese Annahmen unzutreffend wären. d) Zusammenfassend ergibt sich, dass dem Verwaltungsgericht keine Verletzung der Gemeindeautonomie vorzuwerfen ist, und zwar weder mit Blick auf Auslegung und Anwendung der hier in Frage stehenden Denkmalschutzvorschriften des PBG noch in bezug auf die von der Beschwerdeführerin angerufenen Verfassungsgrundsätze. Es ist somit aus verfassungsrechtlicher Sicht haltbar, dass das Verwaltungsgericht den faktischen Widerruf des stadträtlichen Beschlusses vom 5. Juni 1985 durch die Schutzverordnung Kreuzplatz vom 14. November 1990 als unzulässig betrachtete. Soweit die Autonomiebeschwerde der Stadt Zürich im Sinne von Art. 90 Abs. 1 lit. b OG überhaupt genügend begründet worden ist und darauf eingetreten werden kann, muss sie demnach abgewiesen werden.
public_law
nan
de
1,993
CH_BGE
CH_BGE_002
CH
Federation
2794027e-ca02-4998-9a64-8c309e73b9b9
Urteilskopf 87 IV 164 40. Arrêt de la Cour de cassation pénale du 28 novembre 1961 dans la cause Rossier contre Ministère public du canton de Genève.
Regeste Art. 84 Abs. 1 lit. c OG , 269 Abs. 2. BStP. Die Rüge, eine Bestrafung wegen Übertretung von Art. 53 der interkantonalen Verordnung betreffend die Schiffahrtspolizei auf dem Genfersee usw. vom 16. Mai 1960 verletze Art. 39 des Übereinkommens zwischen der Schweiz und Frankreich betreffend die Schiffahrt auf dem Lemansee vom 10. September 1902, ist mit staatsrechtlicher Beschwerde vorzubringen.
Sachverhalt ab Seite 164 BGE 87 IV 164 S. 164 A.- Le 11 septembre 1961, Emile Rossier, loueur de bateaux, a été condamné à 20 fr. d'amende pour contravention à l'art. 53 du règlement intercantonal du 16 mai 1960 concernant la police de la navigation sur le lac Léman etc. (en abrégé: le Règlement); il avait loué une embarcation à moteur hors-bord à un client qui ne possédait pas de permis de conduire et il n'avait pas fait accompagner ledit client par un batelier. B.- Contre cet arrêt Rossier a formé à la fois un recours de droit public et un pourvoi en nullité. Erwägungen Considérant en droit: 1. Le recourant allègue qu'une disposition d'un traité international a été violée, à savoir l'art. 39 de la convention BGE 87 IV 164 S. 165 franco-suisse du 10 septembre 1902 concernant la police de la navigation sur le lac Léman (en abrégé: la Convention). Selon l'art. 84 al. 1 litt. c OJ, la violation de traités internationaux par une décision cantonale peut être alléguée devant le Tribunal fédéral par le moyen du recours de droit public, sauf s'il s'agit de dispositions de droit civil ou de droit pénal. En matière de droit civil, c'est la voie du recours en réforme (art. 43 OJ) ou du recours en nullité (art. 68 OJ) qui est seule ouverte; en matière de droit pénal, c'est celle du pourvoi en nullité (art. 268 PPF). Dans ces deux domaines, les clauses des traités internationaux sont, pour les parties, assimilables aux autres règles du droit fédéral, civil ou pénal; leur violation est sanctionnée par les mêmes voies. La réserve que fait l'art. 84 al. 1 litt. c OJ pour la recevabilité du recours de droit public découle, du reste, déjà de celle que formule d'une façon toute générale l'art. 84 al. 2: le dit recours n'est ouvert que si la prétendue violation ne peut être soumise par une action ou par un autre moyen de droit quelconque au Tribunal fédéral ou à une autre autorité fédérale. L'ancienne loi sur l'organisation judiciaire de 1893 ne réservait pas expressément, à son art. 175 al. 1 ch. 3, le cas de violation des clauses civiles et pénales des traités internationaux. Mais la jurisprudence (RO 27 I 194 ; 35 I 144 ; 41 I 336 ), partant du principe selon lequel le recours de droit public est une voie de droit subsidiaire, avait déjà introduit la réserve qui figure aujourd'hui à l'art. 84 al. 1 litt. c OJ (cf. aussi le message du Conseil fédéral du 9 février 1943, relatif à la nouvelle loi sur l'organisation judiciaire, FF 1943, p. 144). Pour savoir si le pourvoi en nullité, d'une part, ou le recours de droit public, d'autre part, sont recevables en l'espèce, il faut donc rechercher si l'art. 39 de la Convention, dont le recourant allègue la violation, relève ou non du droit pénal. Cette clause interdit "aux loueurs de bateaux de confier une embarcation à des jeunes gens ayant BGE 87 IV 164 S. 166 moins de seize ans, ainsi qu'à toute personne qui n'aurait pas l'expérience nécessaire pour la conduire". Le recourant estime qu'elle ne permet pas aux cantons riverains d'introduire des exigences plus sévères et, en particulier, d'exiger que, pour la conduite des embarcations à moteur, les clients des loueurs de bateaux soient munis d'un permis spécial. L'art. 39 précité, en lui-même, concerne la police de la navigation. C'est selon les principes applicables à l'interprétation des conventions internationales qu'il faut examiner s'il règle totalement la matière ou s'il laisse aux puissances contractantes la latitude d'édicter des prescriptions complémentaires. 2. Le pourvoi en nullité ne serait dès lors recevable que si la violation de l'art. 39, telle que l'allègue le recourant, impliquait celle de l'art. 82 de la Convention, selon lequel les contraventions aux règles fixées par les Etats contractants sont punies, dans les eaux suisses, d'une amende de deux francs à mille francs ou d'un emprisonnement d'un jour à deux mois, sans préjudice des peines plus graves prononcées par les tribunaux en cas de crime ou de délits. Supposé que l'art. 39 règle entièrement la location de bateaux, la disposition pénale de l'art. 82 porterait aussi une réglementation totale et exclurait une condamnation prononcée en vertu d'une loi interne, par exemple en vertu du Règlement appliqué en l'espèce. Ainsi, une telle condamnation violerait aussi l'art. 82, mais - et cela résulte de ce qu'on vient de montrer - on ne pourrait le constater qu'en déterminant la portée de l'art. 39. Si cette clause ne faisait pas obstacle à la création, par le droit interne, de règles complémentaires sur la location de bateaux, la condamnation prononcée de par ces règles ne violerait pas la Convention. C'est donc, en définitive, la violation de l'art. 39 et non celle de l'art. 82 qui constitue le grief décisif élevé à l'encontre de la condamnation litigieuse. Il s'ensuit que c'est par la voie du recours de droit public BGE 87 IV 164 S. 167 et non par celle du pourvoi en nullité que le moyen peut être soumis au Tribunal fédéral: Pourrait seule faire l'objet d'un pourvoi en nullité la violation de l'art. 82 lui-même par l'autorité de répression; dans ce cas seulement, le grief consisterait dans la fausse application d'une règle pénale de la Convention, selon l'art. 84 al. 1 litt. c OJ. 3. Cette solution concorde du reste avec la jurisprudence de la Cour de cassation pénale touchant les art. 268 ss. PPF. Le recourant a été condamné selon le Règlement, c'est-à-dire en vertu du droit cantonal. Il attaque cette décision, par le motif qu'elle serait contraire au droit fédéral, la Convention, qu'en effet celle-ci, par son art. 39, réglerait totalement les conditions auxquelles est subordonnée la location de bateaux. Il s'agit donc de trancher une question préjudicielle de droit fédéral, dont la solution détermine la validité de la règle pénale de droit cantonal. Ce point ne pourrait être soumis au Tribunal fédéral dans un pourvoi en nullité que s'il relevait du droit pénal fédéral (RO 73 IV 135 et divers arrêts postérieurs, non publiés). Tel n'est pas le cas en l'espèce, comme on l'a dit plus haut; l'art. 39 de la Convention relève non pas du droit pénal, mais de la police. Dispositiv Par ces motifs, la Cour de cassation pénale Déclare le pourvoi irrecevable.
null
nan
fr
1,961
CH_BGE
CH_BGE_006
CH
Federation
2797db4c-305a-4395-8757-ed2aad6b9cfd
Urteilskopf 117 Ib 105 15. Estratto della sentenza 17 luglio 1991 della I Corte di diritto pubblico nella causa B. X. e consorti c. FFS, II Circondario, G. S.A. e Presidente supplente della Commissione federale di stima del 13o Circondario (ricorso di diritto amministrativo)
Regeste Art. 60, Art. 64 lit. i Und Art. 108 EntG : Zuständigkeit zum Entscheid über das Rückforderungsrecht des Enteigneten und die damit zusammenhängenden Begehren. Der Präsident der Eidgenössischen Schätzungskommission ist nicht zuständig, in Rückforderungsbegehren allein zu beurteilen; die Kompetenz liegt ausschliesslich bei der Kommission. Frage offen gelassen, ob der Präsident aufgrund einer Parteivereinbarung gemäss Art. 60 Abs. 4 EntG allein über ein solches Begehren entscheiden könne (E. 3a-e).
Sachverhalt ab Seite 106 BGE 117 Ib 105 S. 106 Nel settembre del 1972 il Presidente della Commissione federale di stima del circondario 13 (CFS) dichiarò aperte ad istanza delle Ferrovie federali svizzere (FFS o esproprianti) due procedure di espropriazione. La prima era destinata all'acquisto nei Comuni di Lamone, Manno e Bioggio dei diritti necessari alla costruzione della nuova stazione merci di Lugano-Vedeggio; la seconda, limitata al solo Comune di Manno, aveva per scopo, quale espropriazione preventiva, di assicurare il futuro ampliamento delle progettate istigazioni ferroviarie. Secondo le tabelle di espropriazione e le precisazioni fatte dalle parti all'udienza di conciliazione, furono colpite da questa seconda espropriazione preventiva anche le particelle 803 p, 827 p (poi 830) e 829 p (poi 831), che figuravano avere una superficie complessiva di 6824 m2 e che appartenevano in comproprietà per parti uguali ai fratelli A., B. e C. X. (in seguito: gli espropriati). La decisione del 15 febbraio 1974, con la quale la CFS si era pronunciata sull'indennità dovuta agli espropriati, fu impugnata dalle FFS con ricorso di diritto amministrativo al Tribunale federale, mentre gli espropriati si avvalsero del ricorso adesivo. Dopo che una delegazione del Tribunale federale, con l'ausilio di esperti della Commissione federale superiore di stima, ebbe proceduto ad istruzione, le FFS recedettero dal loro gravame, provocando la decadenza del ricorso adesivo degli espropriati: la causa fu stralciata dai ruoli del Tribunale federale con decreto del 18 settembre 1974. A A. X., decesso, sono succedute la vedova D. ed i figli E., F., G. e H. Y. D'altro canto, le particelle dei fratelli X. a suo tempo espropriate sono state incluse, insieme con altri fondi espropriati, nella nuova particella 433 delle FFS, della superficie complessiva BGE 117 Ib 105 S. 107 di m2 149 740, tranne una striscia che ha servito all'allargamento della strada cantonale n. 376. Con istanza del 23 marzo 1989 gli espropriati chiesero al Presidente della CFS l'adozione di misure provvisionali volte ad impedire alle FFS di disporre della parte della particella n. 433 corrispondente ai fondi loro espropriati: essi preannunciavano l'inoltro di una domanda di retrocessione fondata sugli art. 102 segg. LEspr. La pratica fu trasmessa per il disbrigo dal Presidente della CFS al Presidente supplente. Questi, dopo aver adottato in via superprovvisionale misure cautelative con decisione del 10 aprile 1989 e richiesto osservazioni alle FFS, convocò le parti ad un'udienza che ebbe luogo il 23 maggio 1989. Il primo giugno seguente, gli espropriati hanno inoltrato alla CFS un'azione di retrocessione e di risarcimento dei danni. In via principale essi chiedono che le FFS siano condannate - contro rimborso dell'indennità di espropriazione - a restituire loro la parte della nuova part. 433 corrispondente ai vecchi fondi espropriati, dopo averla liberata dall'onere di diritto di superficie costituito dalle esproprianti a favore della G. S.A., riconosciuto inefficace; in via subordinata, essi postulano la retrocessione dei suddetti terreni, gravati dall'onere costituito dalle FFS a favore della citata superficiaria, e la condanna delle esproprianti al risarcimento dell'ulteriore danno, valutato in almeno fr. 1'500'000.--; infine, in via più subordinata ancora, essi chiedono che le FFS siano condannate a pagar loro un importo di almeno 3 milioni di franchi a titolo di risarcimento danni, ove risultasse che la retrocessione non è possibile. Con decisione del 9 giugno 1989, notificata il 17 giugno 1989, il Presidente supplente della CFS ha respinto, perché priva di oggetto, l'istanza 23 marzo 1989 tendente all'adozione di misure cautelari su parte del fondo n. 433 delle FFS, revocando la misura supercautelare precedentemente emanata (disp. n. 1, e § ). Inoltre, a proposito dell'azione di retrocessione, egli ha stabilito quanto segue (disp. 2): 2. L'azione di retrocessione 1o giugno 1989, presentata dai ricorrenti (recte: attori) sarà esaminata limitatamente alla richiesta subordinata, ossia all'eventuale risarcimento dei danni subiti, e ciò nell'ambito dell' art. 104 cpv. 2 LEspr , a meno di una richiesta di sospensione da parte degli espropriati, per eventualmente far annullare davanti al giudice civile il diritto di superficie concesso a favore di G. S.A. da parte delle FFS, relativamente al mappale 433 RFP di Manno. BGE 117 Ib 105 S. 108 Con ricorso di diritto amministrativo del 14 agosto 1989, consegnato alla posta il 17 agosto successivo, gli espropriati hanno impugnato questa decisione, domandandone l'annullamento. Essi hanno chiesto altresì l'accoglimento della loro azione del 1o giugno 1989, riproponendone la domanda principale e le due subordinate, e postulano l'adozione di misure provvisionali. Dopo essersi espresse sulle richieste misure cautelari, le parti hanno concluso nel merito. Il Presidente supplente e le FFS hanno chiesto la reiezione del gravame, che secondo le esproprianti è parzialmente temerario; la G. S.A. (superficiaria) si è invece limitata a postulare che il ricorso venga respinto nella misura in cui esso chiede l'annullamento del diritto di superficie costituito a di lei favore, rimettendosi per il resto al giudizio del Tribunale federale. Con decreto del giudice delegato del 7 gennaio 1991 la causa è stata sospesa a richiesta dei ricorrenti, trattative di transazione essendo in corso con le FFS. Con lettera dell'8 febbraio 1991, i ricorrenti hanno chiesto di riattivare la causa: con comunicazione del 22 febbraio 1991, essi hanno precisato che mantengono il ricorso unicamente contro i dispositivi 2, 3, 4 della decisione del 14 agosto 1989 del Presidente supplente della CFS, ritirando il gravame per quanto concerne il dispositivo 1, il diritto di superficie essendo stato costituito. Ripresa la causa limitatamente agli oggetti ancora litigiosi, le FFS hanno inoltrato in data 25 giugno 1991 la duplica, confermandosi nelle osservazioni di risposta. Erwägungen Dai considerandi: 3. La decisione impugnata è stata presa dal Presidente supplente della CFS, come risulta dal suo tenore. È vero che nelle osservazioni si fa talora allusione alla decisione come se questa fosse stata emanata dalla Commissione: ma ogni dubbio in proposito è dissipato ove si avverta che dagli atti non risulta che la Commissione sia stata costituita (cfr. art. 60 cpv. 1 LEspr ), mentre emerge che l'unica udienza indetta (prima dell'insinuazione dell'azione di retrocessione) si è svolta davanti al solo Presidente. La questione di sapere se la decisione impugnata emani dall'organo competente dev'esser esaminata d'ufficio. a) Secondo l'elenco non esaustivo ( DTF 108 Ib 500 consid. 1b, 503 consid. 21a) contenuto nell' art. 64 LEspr , la Commissione di BGE 117 Ib 105 S. 109 stima decide segnatamente (lett. i) "sul diritto dell'espropriato di ottenere la retrocessione e sulle pretese che vi si connettono". Questa disposizione rinvia all' art. 108 LEspr , il quale ribadisce esplicitamente che, qualora il diritto di ottenere la retrocessione sia contestato o le parti non possono intendersi sull'importo della controprestazione, spetta alla Commissione di stima decidere, sotto riserva del ricorso di diritto amministrativo. Dal canto suo, l' art. 60 cpv. 1 LEspr prescrive che la Commissione di stima delibera "in composizione trimembre" ("in der Besetzung von drei Mitgliedern"); il testo francese, più esplicito, prevede che "pour pouvoir délibérer, la Commission d'estimation doit être formée de trois membres". b) La legge e l'ordinanza del Tribunale federale sulle Commissioni federali di stima del 24 aprile 1972 (OCFS - RS 711.1) menzionano i casi, in cui il Presidente decide o può decidere come giudice unico. La prima prevede ch'egli statuisce da solo sulla concessione della procedura abbreviata ( art. 33 LEspr , cfr. DTF 112 Ib 240 segg. consid. 2b, c), come pure sulle domande d'anticipata immissione in possesso, a meno che non giudichi necessario l'intervento dei membri o se un tale intervento è chiesto da una parte (art. 76 cpv. 2, 64 lett. g LEspr). L'ordinanza precisa che il Presidente si pronuncia sull'ammissibilità di opposizioni e domande presentate dopo scaduti i termini per le notifiche ai sensi degli art. 39 e 40 rispettivamente 41 della legge ( art. 19 cpv. 1 OCFS ), e ch'egli assume le prove a futura memoria necessarie, sia o non sia ancora stato aperto un procedimento di espropriazione ( art. 51 OCFS ): per estensione, si può dedurre da questo disposto che il Presidente - come in casu - sia anche competente per statuire su altre misure provvisionali (cfr. disp. 1 della decisione impugnata). c) L' art. 60 cpv. 4 LEspr , sito nel capo VI relativo alla stima, prevede invero una derogazione generale a questo ordinamento. Esso stabilisce che, se le parti si dichiarano d'accordo, il Presidente o il supplente da lui designato decide al termine della procedura di conciliazione, senza la partecipazione degli altri membri. Non è necessario decidere se questa possibilità di deroga alla regola della deliberazione collegiale sia applicabile anche nella procedura di retrocessione prevista al capo IX della legge, al che - prima facie - nulla sembrerebbe opporsi. Nel caso in esame, infatti, non v'è stato alcun accordo tra le parti a che il Presidente si pronunciasse da solo, senza l'intervento dei due membri, BGE 117 Ib 105 S. 110 sull'azione di retrocessione. A tal riguardo giova rilevare che l'accordo, cui l' art. 60 cpv. 4 LEspr allude, cade nel novero di quelli che debbono esser contenuti nel processo verbale dell'udienza di conciliazione ( art. 49 cpv. 1 lett. b LEspr ) e che debbono esser firmati dalle parti, come espressamente esige il capoverso secondo di tale disposizione e precisa per i verbali di tutte le udienze l'art. 12, cpv. 2 lett. c, d e cpv. 3 OCFS. Per la validità di un simile accordo è quindi richiesta la forma scritta, che in casu manifestamente fa difetto. Per questa ragione, d'altronde, non si può neppure scorgere un accordo tra le parti, o una rinuncia degli espropriati a prevalersi di tale difetto formale, nel fatto che nella procedura di ricorso questo argomento non sia stato evocato, dal momento che - nel quadro delle conclusioni prese - il Tribunale federale applica il diritto d'ufficio ed esercita anche mansioni di sorveglianza. d) In un caso in cui era confrontato ad una situazione inversa - decisione sull'ammissibilità di una pretesa presentata dopo il termine per le notificazioni adottata dal plenum della Commissione nel giudizio di merito, invece che dal solo Presidente con giudizio preliminare - il Tribunale federale ha tuttavia rinunciato ad intervenire d'ufficio, per la doppia ragione che simile irregolarità non aveva pregiudicato i diritti delle parti e non v'era motivo di ritenere che il Presidente avesse avuto opinione divergente da quella dei membri ( DTF 106 Ib 202 consid. 1a; cfr. anche DTF 64 I 230 /31). Questa giurisprudenza non può manifestamente esser applicata nel caso in esame: sull'esito della causa, ove la decisione fosse stata presa rettamente dalla Commissione anziché dal solo Presidente, si possono fare solo delle congetture, poiché la Commissione decide le questioni di diritto a semplice maggioranza, e solo in materia di fissazione dell'indennità, quando i membri specialisti non sono concordi, spetta al Presidente di determinarne l'ammontare, restando entro gli estremi delle loro proposte (cfr. art. 53 OCFS ). D'altro canto, i ricorrenti sarebbero privati della doppia giurisdizione che la legge loro assicura (cfr. DTF 116 Ib 254 consid. 2c), poiché di massima tale garanzia è pienamente effettiva solo se le due istanze giudicano nella composizione prescritta. e) Discende da queste considerazioni che, pronunciandosi da solo sul merito della controversia, il Presidente supplente ha esercitato competenze che appartengono esclusivamente alla Commissione in virtù degli art. 64 lett. 1 e 108 LEspr . Lesivo del diritto federale, BGE 117 Ib 105 S. 111 il dispositivo 2 della decisione impugnata deve quindi essere dichiarato nullo in accoglimento del ricorso già per questo motivo. Ciò posto, spetterà alla Commissione, esperita l'istruttoria necessaria, di pronunciarsi in prima istanza sull'azione proposta dagli espropriati. La domanda dei ricorrenti tendente a che il Tribunale federale si pronunci direttamente sull'azione non può esser esaminata in difetto di una decisione dell'istanza inferiore. Nulla impedisce beninteso - e l'economia di giudizio potrebbe anzi far apparire opportuno - che la Commissione di stima, esperite le prove necessarie, si pronunci mediante giudizi parziali sul principio della retrocessione, rispettivamente sulla questione di sapere, ove tale pretesa fosse nata, se la retrocessione in natura debba esser sostituita da una pretesa di risarcimento del danno derivante dall'impossibilità di attuarla in tutto o in parte. A questo proposito giova comunque rilevare che la circostanza per cui l'espropriante abbia nel frattempo modificato lo stato di fatto o di diritto del fondo da restituire, ad esempio gravandolo di servitù, non osta di per sé necessariamente alla retrocessione (HESS, Das Enteignungsrecht des Bundes, Berna 1935, n. 9 ad art. 106; WEIBEL in HESS/WEIBEL, Das Enteignungsrecht des Bundes, Berna 1986, Vol. I, n. 5 ad art. 106).
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Urteilskopf 117 II 554 102. Auszug aus dem Urteil der I. Zivilabteilung vom 18. Dezember 1991 i.S. R. und R. Z. gegen F. (Berufung)
Regeste Art. 274g OR . Zuständigkeit des Ausweisungsrichters nach ausserordentlicher Kündigung. Ist neben dem Ausweisungsbegehren des Vermieters eine Kündigungsanfechtung oder ein Erstreckungsbegehren des Mieters hängig, so hat der Ausweisungsrichter unbekümmert um den Zeitpunkt der Anhängigmachung auch darüber zu entscheiden. Eine bereits bei der Schlichtungsbehörde oder beim Anfechtungsrichter hängige Kündigungsanfechtung ist dem Ausweisungsrichter zum Entscheid zu überweisen (E. 2a-c). Bundesrechtliche Anforderungen an die Prüfung von Anfechtung und Erstreckung im Ausweisungsverfahren (E. 2d).
Sachverhalt ab Seite 555 BGE 117 II 554 S. 555 A.- Nachdem R. und R. Z. am 21. September 1990 mit gleichzeitiger Kündigungsandrohung aufgefordert worden waren, bis zum 22. Oktober die ausstehende August- und Septembermiete für die von ihnen gemietete Terrassenwohnung in Pfäffikon/SZ zu bezahlen, kündigte ihnen der Vermieter F. am 23. Oktober wegen Zahlungsrückstand vorzeitig auf den 1. Dezember ( Art. 257d OR ). Innert dreissig Tagen nach Erhalt der Kündigung fochten die Mieter diese am 30. November bei der Schlichtungsbehörde des Bezirks Höfe als missbräuchlich an ( Art. 273 OR ). Nach der Schlichtungsverhandlung vom 8. Januar 1991 wurde das Schlichtungsverfahren am 11. Januar als erledigt abgeschrieben, weil sich die Parteien laut Protokoll vergleichsweise auf eine Verlängerung des Mietvertrags bis Ende März geeinigt hatten, sofern bis zum 15. Januar sowohl die rückständigen als auch die noch fällig werdenden Mietzinse bezahlt würden. B.- Mit der Begründung, dass entgegen dieser vereinbarten Bedingung nur die rückständigen Mietzinse eingegangen seien und das Mietverhältnis seit anfangs Dezember aufgelöst sei, verlangte der Vermieter (Kläger) am 24. Januar 1991 beim Einzelrichter des Bezirks Höfe die Ausweisung, der sich die Mieter (Beklagte) aber mit Eingaben vom 12. und 27. Februar widersetzten, weil der Einzelrichter keine Ausweisung verfügen dürfe, bevor das ohne verbindlichen Vergleich und daher zu Unrecht abgeschriebene Schlichtungsverfahren nicht ordentlich abgeschlossen sei. Als Ausweisungsrichter erklärte sich der Einzelrichter jedoch aufgrund von Art. 274g Abs. 1 OR auch für die Beurteilung der Kündigungsanfechtung zuständig und verfügte am 25. März 1991 die Ausweisung, weil der Kläger gültig auf den 1. Dezember gekündigt habe, nachdem die Zahlung der August- und Septembermiete bis zum 22. Oktober unbewiesen geblieben sei. Einen Rekurs der Beklagten wies das Kantonsgericht von Schwyz mit Beschluss vom 30. Juli 1991 ab und bestätigte die Ausweisung. BGE 117 II 554 S. 556 Den Rekursentscheid fechten die Beklagten erfolglos mit Berufung beim Bundesgericht an. Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. "Ficht der Mieter eine ausserordentliche Kündigung an und ist ein Ausweisungsverfahren hängig", so ist nach Art. 274g Abs. 1 OR der Ausweisungsrichter auch zuständig, über die Gültigkeit dieser Kündigung zu entscheiden, wenn der Vermieter ausserordentlich gekündigt hat wegen Zahlungsrückstand des Mieters ( Art. 257d OR ), wegen schwerer Verletzung der Pflicht des Mieters zu Sorgfalt und Rücksichtnahme ( Art. 257f Abs. 3 und 4 OR ), wegen wichtiger Gründe ( Art. 266g OR ) oder wegen Konkurs des Mieters ( Art. 266h OR ). Ist die Kündigung gültig ausgesprochen worden, so hat der Ausweisungsrichter im Falle der ausserordentlichen Kündigung aus wichtigen Gründen ( Art. 266g OR ) ausserdem über ein allfälliges Erstreckungsbegehren des Mieters zu entscheiden ( Art. 274g Abs. 2 OR ); diese beschränkte Zuständigkeit des Ausweisungsrichters für Erstreckungsentscheide ist Folge davon, dass Art. 272a Abs. 1 OR die Erstreckung bei den übrigen ausserordentlichen Kündigungen verbietet. a) Die Beklagten sind der Auffassung, die Zuständigkeit des Ausweisungsrichters für die Beurteilung von Kündigungsanfechtungen sei nach Art. 274g Abs. 1 OR auf den Fall beschränkt, wo während eines bereits hängigen Ausweisungsverfahrens die Kündigung angefochten werde; daraus schliessen sie, die Kompetenzvorschrift könne vorliegend nicht Anwendung finden und der Ausweisungsrichter hätte daher die ordentliche Beendigung des zu Unrecht abgeschriebenen Schlichtungsverfahrens abwarten müssen, nachdem die Kündigung am 30. November 1990 und damit nicht während eines hängigen Ausweisungsverfahrens, sondern fast zwei Monate vor dem Ausweisungsbegehren angefochten worden sei. Diese Auslegung von Art. 274g Abs. 1 OR ist bei einer isolierten Betrachtung des Wortlauts ("Ficht der Mieter ... an und ist ein Ausweisungsverfahren hängig") zwar nicht ausgeschlossen, hätte aber zur Folge, dass die zwingend vorgeschriebene Kompetenzattraktion zugunsten des Ausweisungsrichters kaum zum Tragen käme. Denn nach Art. 273 Abs. 1 OR sind Kündigungen innert dreissig Tagen nach deren Empfang bei der Schlichtungsbehörde anzufechten; innert der gleichen Frist ist bei der Schlichtungsbehörde um Erstreckung eines unbefristeten Mietverhältnisses zu BGE 117 II 554 S. 557 ersuchen ( Art. 273 Abs. 2 lit. a OR ). Selbst bei den ausserordentlichen Kündigungen, die mit dreissigtägiger Kündigungsfrist auf Monatsende ausgesprochen werden können ( Art. 257d Abs. 2, Art. 257f Abs. 3 OR ), hat der Mieter die Schlichtungsbehörde deshalb noch während laufender Kündigungsfrist und damit vor Beendigung des Mietverhältnisses anzurufen. Weil aber die Ausweisung die Beendigung des Mietvertrags voraussetzt, stellt der Vermieter das Ausweisungsgesuch regelmässig erst, nachdem der Mieter die Kündigung bei der Schlichtungsbehörde bereits angefochten bzw. Erstreckung verlangt hat, um die dreissigtägige Frist von Art. 273 OR zu wahren (ZIHLMANN, Das neue Mietrecht, S. 112 mit Hinweisen in Anm. 244; SVIT-Kommentar Mietrecht, N. 13 zu Art. 274g OR ; LACHAT/STOLL, Das neue Mietrecht für die Praxis, 2. A. 1991, S. 377 und 390 f.). b) Schon der Gesetzeszusammenhang zeigt, dass die von den Beklagten geforderte Auslegung, welche die Kompetenzattraktion zugunsten des Ausweisungsrichters von diesem Regelfall ausnehmen und praktisch auf die fristlos zulässigen Kündigungen wegen vorsätzlicher Schadenszufügung ( Art. 257f Abs. 4 OR ) und wegen Konkurs ( Art. 266h Abs. 2 OR ) einschränken würde, nicht zutreffen kann. Gemäss Abs. 3 von Art. 274g OR ist die mit einer Kündigungsanfechtung bzw. mit einem Erstreckungsbegehren befasste Schlichtungsbehörde nämlich verpflichtet, die Begehren des Mieters an den nach Abs. 1 und 2 für deren Beurteilung zuständigen Ausweisungsrichter zu überweisen. Diese Regelung zeigt klar, dass das Gesetz davon ausgeht, der Mieter werde die dreissigtägige Anfechtungsfrist des Art. 273 OR zu wahren haben und daher zuerst bei der Schlichtungsbehörde die Kündigung anfechten und eventuell die Erstreckung verlangen, bevor der Vermieter überhaupt in die Lage komme, sich an den Ausweisungsrichter zu wenden. c) Der vom Gesetzgeber mit Art. 274g OR verfolgte Zweck bestätigt die Unhaltbarkeit der von den Beklagten vertretenen Auffassung. Die Vereinigung der Kompetenz zur Ausweisung mit derjenigen zum Entscheid über Kündigungsanfechtungen bei ein und derselben Behörde soll im Interesse der beförderlichen Erledigung mietrechtlicher Auseinandersetzungen ( Art. 274d Abs. 1 OR ), die bei ausserordentlichen Kündigungen besondere Bedeutung erlangt, vermeiden, dass mehrere Verfahren vor verschiedenen Behörden durchgeführt werden müssen (vgl. Botschaft in BBl 1985 I S. 1465; SVIT-Kommentar Mietrecht, N. 14 zu Art. 274g OR ; BGE 117 II 554 S. 558 ZIHLMANN, a.a.O. S. 113). Zu welchen Verzögerungen getrennte Verfahren Anlass gäben, belegt gerade das Verhalten der Beklagten, die unter Berufung auf ein wiederaufzunehmendes Schlichtungsverfahren, für das angeblich trotz Art. 274g OR nach wie vor die Schlichtungsbehörde zuständig geblieben sei, das Ausweisungsverfahren zu blockieren versuchen. Um solches zu verhindern und die vom Gesetzgeber angestrebte Beschleunigung nicht zu unterlaufen, kann jedoch die Zuständigkeit des Ausweisungsrichters zum Entscheid über die angefochtene Kündigung nicht auf den seltenen Fall beschränkt bleiben, dass die Kündigungsanfechtung dem Ausweisungsbegehren folgt. Für die Zuständigkeit des Ausweisungsrichters zur Beurteilung beider Begehren hat es vielmehr unbekümmert um den Zeitpunkt der Einreichung zu genügen, dass neben dem Ausweisungsbegehren des Vermieters eine Kündigungsanfechtung sei es beim Ausweisungsrichter selbst, sei es bei der Schlichtungsbehörde oder bereits beim Anfechtungsrichter ( Art. 273 Abs. 5 OR ) hängig ist; in den beiden letzten Fällen hat dann eine Überweisung an den zuständigen Ausweisungsrichter stattzufinden (SVIT-Kommentar Mietrecht, N. 14 zu Art. 274g OR ). Das Kantonsgericht hat daher zu Recht erkannt, der Einzelrichter des Bezirks Höfe sei als Ausweisungsrichter für den Entscheid über die vor Einreichung des Ausweisungsbegehrens angefochtene Kündigung zuständig. d) Nicht verkannt werden darf, dass das in den Kantonen für Ausweisungen übliche Summarverfahren die Gefahr birgt, die mit der Gesetzesrevision ausgebauten Mieterrechte wieder zu verkürzen, wenn der Ausweisungsrichter gestützt auf Art. 274g OR im gleichen summarischen Verfahren endgültig und ohne Möglichkeit nachträglicher Überprüfung in einem ordentlichen Verfahren über Kündigungsanfechtungen und Erstreckungsbegehren zu befinden hat (ZIHLMANN, a.a.O. S. 113). Besonders ausgeprägt ist diese Gefahr in Kantonen, die den Ausweisungsentscheid der Schlichtungsbehörde übertragen (BBl 1985 I S. 1465) und für diese Behörde ausserdem ein Summarverfahren mit einschneidenden Beweismittelbeschränkungen vorsehen (E. 2c). Damit sich diese Gefahr nicht verwirklicht, ist der endgültig entscheidende Ausweisungsrichter bzw. die für den Ausweisungsentscheid zuständige Schlichtungsbehörde von Bundesrechts wegen gehalten, Kündigungsanfechtungen und Erstreckungen trotz des summarischen Verfahrens sowohl in tatsächlicher wie in rechtlicher Hinsicht umfassend BGE 117 II 554 S. 559 zu prüfen. Diese Pflicht ergibt sich einmal aus Art. 274d Abs. 3 OR . Nach dieser Vorschrift haben die Parteien dem Gericht in Mietstreitigkeiten sämtliche rechtserheblichen Unterlagen vorzulegen; darüber hinaus hat der Richter aufgrund der Untersuchungsmaxime den Sachverhalt von sich aus zu ergänzen, soweit dies für die Beurteilung der gestellten Begehren notwendig ist (SVIT-Kommentar Mietrecht, N. 18 f. zu Art. 274d OR ; ZIHLMANN, a.a.O. S. 230). Sodann gilt auch für den Anfechtungs- und Erstreckungsanspruch des Mieters, dass ein definitiver, der materiellen Rechtskraft teilhaftiger Entscheid über einen bundesrechtlichen Anspruch eine erschöpfende Abklärung der tatsächlichen wie rechtlichen Grundlagen voraussetzt (KUMMER, Grundriss des Zivilprozessrechts, 4. A. 1984, S. 256). Mit bloss glaubhaft gemachten Tatsachen und eingeschränkten Beweismitteln darf sich der Richter nur bei Urteilen begnügen, welche die materielle Rechtslage nicht endgültig festlegen (VOGEL, Grundriss des Zivilprozessrechts, 2. A. 1988, S. 258 Rz. 154 a.E.; KUMMER, a.a.O. S. 257). Hat daher die Kompetenzattraktion des Art. 274g OR zur Folge, dass im summarischen Ausweisungsverfahren endgültig über den Anfechtungs- und Erstreckungsanspruch des Mieters geurteilt wird, dann hat dieser Entscheid den Anforderungen zu entsprechen, die für in materielle Rechtskraft erwachsende Urteile über bundesrechtliche Ansprüche gelten (vgl. auch HABSCHEID, Schweizerisches Zivilprozess- und Gerichtsorganisationsrecht, 2. A. 1990, S. 375 ff.; STRÄULI/MESSMER, N. 7 zu § 212 ZPO /ZH). Der angefochtene Entscheid hält auch in dieser Hinsicht vor Bundesrecht stand, hat doch das Kantonsgericht die Gültigkeit der streitigen Kündigung auf den 1. Dezember 1990 einlässlich überprüft, obwohl nur die Zuständigkeit des Ausweisungsrichters Gegenstand der Rekursvorbringen war. Nachdem der Einzelrichter die Beklagten vergeblich aufgefordert hatte, Beweismittel dafür beizubringen, dass die ausstehenden Mietzinse bis zum angesetzten Termin des 22. Oktober bezahlt worden waren, stand im übrigen ausser Zweifel, dass das Mietverhältnis seit anfangs Dezember 1990 aufgelöst war ( Art. 259d OR ), zumal sich die Frage der Erstreckung nicht stellte ( Art. 272a OR ) und die Auflösung des Mietverhältnisses wegen des unstreitig nicht zustande gekommenen Vergleichs einzig von der Gültigkeit der Kündigung abhing.
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Urteilskopf 110 Ia 67 12. Arrêt de la IIe Cour de droit public du 2 mars 1984 en la cause Schneider c. Conseil d'Etat du canton de Fribourg et Municipalité de la commune de Romont (recours de droit administratif).
Regeste Art. 84 Abs. 2 OG ; Gegen einen Entscheid, der einen Privaten verpflichtet seinen Heimatschein in einer Gemeinde zu hinterlegen, ist ausschliesslich die staatsrechtliche Beschwerde - gestützt auf Art. 45 BV - gegeben.
Sachverhalt ab Seite 67 BGE 110 Ia 67 S. 67 Henri Schneider, né en 1925, travaille en qualité de contremaître pour la maison Sécurit S.A. Il a toujours vécu à Genève jusqu'en 1978, année où, en raison de son âge et des difficultés du marché de l'emploi à Genève, il a décidé de suivre son entreprise qui transférait son secteur de production à Romont. Il a ainsi quitté son domicile genevois pour venir s'établir avec son épouse à Romont et a déposé son acte d'origine dans cette commune. Malgré ce changement de domicile en janvier 1978, Henri Schneider a conservé ses relations familiales et sociales à Genève, où il se rend chaque fin de semaine et pendant les vacances. Le 27 août 1980, Henri Schneider a retiré son acte d'origine du contrôle des habitants de la commune de Romont pour le déposer à nouveau à Genève. Ayant produit une déclaration de domicile délivrée par le contrôle de l'habitant de Genève, la commune de Romont lui a délivré, le 24 septembre 1980, un permis de séjour valable 12 mois. Lors de l'examen de la demande de renouvellement de ce permis de séjour, le Conseil communal a constaté que la domiciliation de fait à Romont n'avait subi aucune modification depuis le transfert des papiers à Genève et il a imparti BGE 110 Ia 67 S. 68 à Henri Schneider un délai de dix jours pour déposer son acte d'origine, par lettre du 9 février 1982. Cette décision a été confirmée le 1er juin 1982, après audition de l'intéressé. Henri Schneider a recouru contre la décision communale auprès du Préfet du district de la Glâne, qui a rejeté le recours par prononcé du 11 février 1983. Il s'est ensuite adressé au Conseil d'Etat du canton de Fribourg qui, par décision du 6 septembre 1983, a également rejeté le recours. Cette autorité a notamment retenu que le Préfet n'avait pas violé l' art. 23 al. 1 CC en considérant que le domicile légal du recourant se trouvait à Romont. L'intéressé n'avait en effet pas démontré son intention de vivre à Genève puisque, après avoir retiré ses papiers de Romont, il ne s'était pas fixé à un endroit précis et n'avait rien changé dans son mode de vie. Agissant par la voie du recours de droit administratif, Henri Schneider demande au Tribunal fédéral d'annuler la décision du Conseil d'Etat du canton de Fribourg et de prononcer que Romont n'est pas sa commune de domicile. Il soutient en substance qu'au vu des conditions posées par l' art. 23 al. 1 CC et la jurisprudence, il doit être considéré comme étant domicilié à Genève, où il a tout le centre de ses intérêts, alors qu'il n'aurait qu'une pure relation de travail avec Romont. Le Tribunal fédéral a déclaré le recours irrecevable Erwägungen pour les motifs suivants: 1. Bien que les autorités intimées ne s'opposent pas à l'entrée en matière, il faut se demander si le présent recours est recevable. C'est là une question que le Tribunal fédéral examine d'office, sans être lié par les conclusions des parties, ni par les moyens qu'elles ont - ou n'ont pas - fait valoir au sujet de la recevabilité ( ATF 109 Ia 64 , ATF 106 Ib 126 ). 2. Aux termes de l' art. 97 al. 1 OJ , le Tribunal fédéral connaît en dernière instance des recours de droit administratif contre des décisions au sens de l' art. 5 PA , c'est-à-dire des mesures prises par les autorités dans des cas d'espèce et qui sont fondées sur le droit public fédéral, ou auraient dû l'être ( ATF 108 Ib 74 , ATF 107 Ib 172 consid. 1, 397). En l'occurrence, la décision attaquée - qui déclare le recourant domicilié à Romont et l'oblige à y déposer son acte d'origine - a été rendue sur la base du droit privé fédéral ( art. 23 CC ) et du BGE 110 Ia 67 S. 69 droit public cantonal (arrêté du Conseil d'Etat fribourgeois sur l'établissement et le séjour du 25 novembre 1944). En effet, de même que l'institution du contrôle des habitants, l'obligation de déposer un acte d'origine relève du droit cantonal. Sur ce point, le Conseil fédéral a d'ailleurs édicté une norme purement déclarative, dans son ordonnance du 22 décembre 1980 sur l'acte d'origine (RS 143.12), se bornant à prévoir que "les cantons peuvent prescrire que l'acte d'origine doit être déposé lors de l'établissement du titulaire" (art. 1er al. 2). Il en résulte que la décision attaquée ne met nullement en cause des règles de droit public fédéral, de sorte que le présent recours est irrecevable comme recours de droit administratif ( ATF 105 Ib 35 consid. 1). La désignation erronée d'un moyen de recours ne devant toutefois pas nuire à son auteur ( ATF 109 Ib 143 et les arrêts cités), il reste à examiner si l'acte de Schneider peut être recevable comme recours de droit public. 3. a) D'une manière générale, l'acte d'origine doit être déposé en Suisse où une personne a l'intention de s'établir et de se créer un domicile. Le refus de délivrer un acte d'origine, respectivement la radiation du registre des citoyens établis, constitue une violation de la liberté d'établissement - telle qu'elle est garantie par l' art. 45 Cst. - qui peut être attaquée par la voie du recours de droit public ( ATF 59 I 206 ; WALTER BURCKHARDT, Kommentar zu art. 45 Cst. , p. 390, FLEINER/GIACOMETTI, Schweizerisches Bundesstaatsrecht, p. 255). Cette jurisprudence n'a pas été modifiée par l'entrée en vigueur du nouvel art. 45 Cst. le 1er janvier 1979 (voir arrêt Regazzoni du 21 octobre 1981, consid. 3, p. 16 ss, non publié). Les mêmes principes doivent s'appliquer lorsqu'une commune ne refuse pas de délivrer un acte d'origine, mais exige son dépôt. La commune viole dès lors l' art. 45 Cst. , si elle impose une telle obligation, alors que la personne concernée n'a pas l'intention de s'établir dans la commune et qu'elle s'est constituée un établissement et un domicile dans un autre endroit. En l'espèce, le recourant pourrait donc se prévaloir de l' art. 45 Cst , dans la mesure où son mémoire répondrait aux exigences de recevabilité prévues pour le recours de droit public. b) Selon l' art. 90 al. 1 lettre b OJ , le recours de droit public doit - à peine d'irrecevabilité - contenir un exposé succinct des droits constitutionnels ou des principes juridiques violés et préciser en quoi consiste la violation. BGE 110 Ia 67 S. 70 Dans le cas particulier, le recourant reproche essentiellement au Conseil d'Etat d'avoir violé l' art. 23 al. 1 CC et les principes jurisprudentiels qui découlent de cette disposition en déduisant de sa situation personnelle qu'il n'avait pas valablement transféré son domicile à Genève. Il n'indique cependant pas en quoi la décision attaquée violerait ses droits constitutionnels. Il ne mentionne même pas l' art. 45 Cst. et ne se plaint pas davantage d'une application arbitraire du droit cantonal. Il faut dès lors considérer que son acte de recours ne satisfait manifestement pas aux conditions posées par l' art. 90 OJ pour être recevable comme recours de droit public.
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Urteilskopf 111 IV 106 26. Arrêt de la Cour de cassation pénale du 25 avril 1985 dans la cause S. c. Conseil d'Etat du canton du Valais (pourvoi en nullité)
Regeste Art. 336 Abs. 2 LMV ; der Phantasiename eines Weins darf keine täuschende Ähnlichkeit mit einem geographischen Namen aufweisen.
Erwägungen ab Seite 106 BGE 111 IV 106 S. 106 Considérant en droit: Le recourant soutient que la dénomination "Sur Les Scex" figurant sur les étiquettes du Fendant vendu par la S.A. n'est pas contraire à l' art. 336 al. 2 ODA (RS 817.02). a) L'art. 54 al. 1 de la loi fédérale sur le commerce des denrées alimentaires et de divers objets usuels, du 8 décembre 1905 (LCDA; RS 817.0) confère au Conseil fédéral la compétence d'édicter des dispositions propres à sauvegarder la santé publique et à prévenir toute fraude dans le commerce des marchandises et objets soumis au contrôle institué par la loi. Cette autorité est aussi habilitée à prescrire pour le commerce de gros et de détail des denrées alimentaires l'emploi de désignations précises, qui rendent impossible toute erreur sur la nature et la provenance de la marchandise ( art. 54 al. 2 LCDA ). L' art. 15 ODA contient une disposition générale concernant l'interdiction des indications trompeuses, notamment quant à l'origine des denrées en général. L' art. 336 al. 1 ODA , qui concerne les vins, prévoit entre autres points que les désignations de ceux-ci doivent être conformes à la réalité et exclure toute possibilité de tromperie. L' art. 336 al. 2 ODA précise que les noms de fantaisie peuvent être utilisés seulement pour des vins avec désignation d'origine ou de provenance; ils doivent "exclure toute possibilité de tromperie et ils ne présenteront BGE 111 IV 106 S. 107 en particulier pas de similitude avec des noms géographiques ou des indications de cépage". La dernière phrase de l'al. 2 ("et ils ne présenteront en particulier pas de similitude...") a été introduite en 1980 (RO 1980 I p. 1159). b) Dans le cadre du pourvoi en nullité, le recourant n'est pas recevable à présenter des griefs contre les constatations de fait de l'autorité cantonale (art. 273 al. 1 lettre b et 277bis al. 1 PPF). Dès lors, on doit considérer comme établi qu'il existe en Valais de nombreux lieux géographiques dont la désignation contient le mot "Scex" ou "Sex"; dans la région de X se trouvent en particulier des vignes appelées "Sur le Scex" ou "Sur les Scex". Savoir si une appellation est trompeuse est une question de droit. Elle s'apprécie en fonction du risque de confusion qu'elle présente pour le consommateur moyen ( ATF 107 IV 203 consid. 2d). En l'espèce, les autorités s'opposent à ce que les termes "Sur Les Scex" soient utilisés comme un nom de fantaisie figurant sur une étiquette qui comporte aussi les mentions S. ... S.A., à X (Suisse), Grands vins du Valais, et Fendant sélection. Or il existe dans la région de X des vignes appelées "Sur le Scex" ou "Sur les Scex". Déduire de ces circonstances que la désignation contestée présente une similitude avec des noms géographiques et que toute possibilité de tromperie pour le consommateur moyen n'est pas exclue, ne viole pas le droit fédéral. Les autres éléments constitutifs de l'infraction n'étant pas l'objet de griefs, le pourvoi doit être rejeté dans la mesure où il est recevable.
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Urteilskopf 84 II 247 35. Auszug aus dem Urteil der II. Zivilabteilung vom 22. Mai 1958 i.S. Kettel gegen Graf.
Regeste "Vorkaufsvertrag" über ein Grundstück. Auslegung und Form des Vertrags. Verbindung eines im Grundbuch vorgemerkten limitierten Vorkaufsrechts mit einem beim Tode des Eigentümers wirksam werdenden Kaufsrecht. Verwirkung dieser Rechte infolge Nichtausübung des Vorkaufsrechts beim Verkauf eines Teils des Grundstücks? Geschäft unter Lebenden oder Verfügung von Todes wegen? Schenkung, deren Vollziehbarkeit auf den Tod des Schenkers gestellt ist? Gemischte Schenkung?
Sachverhalt ab Seite 247 BGE 84 II 247 S. 247 Aus dem Tatbestand: A.- Am 26. November 1946 schloss Frau Bertha Graf mit Heinrich Graf, einem Neffen ihres vorverstorbenen Ehemannes, einen "Vorkaufsvertrag" über ihre Liegenschaft in Heiden, den der Gemeindeschreiber und Grundbuchverwalter Rudolf Messmer öffentlich beurkundete und der wie folgt lautet: "Frau Wwe. Bertha Graf ... räumt ihrem Neffen Heinrich Graf ... ein Vorkaufsrecht an ihrem Grundeigentum Parzelle Nr. 345, Wohnhaus Assek. Nr. 692 Schützengasse zum Preise von BGE 84 II 247 S. 248 Fr. 10'000.-- ein. Sollte dieses Vorkaufsrecht innert der gesetzlichen Maximaldauer von 10 Jahren nicht wirksam werden, so soll dieses Recht erst mit dem Ableben der heutigen Eigentümerin untergehen. Zu diesem Zeitpunkt soll sich der Vorkaufsberechtigte entscheiden, ob er alsdann das Objekt antreten oder der gesetzlichen Erbin überlassen will. Dieser Vorkaufsvertrag soll dinglich wirksam sein, er erfüllt daher die Rechtswirkungen einer Anmeldung zur Eintragung desselben in das Grundbuch." Im Grundbuch wurde gestützt auf diesen Vertrag ein Vorkaufsrecht zugunsten von Graf vorgemerkt. B.- Am 28. August 1952 verkaufte Frau Graf von der Parzelle Nr. 345 ein 19 m2 messendes Teilstück mit dem darauf stehenden Schopfzu Fr. 1000.-- an ihren Nachbar Emil Rohner. Heinrich Graf machte bei dieser Gelegenheit von seinem Vorkaufsrecht keinen Gebrauch. C.- Am 27. Februar 1956 starb Frau Graf. Als einzige Erbin hinterliess sie ihre Nichte Frau Kettel. Da diese dem Verlangen Heinrich Grafs, die Parzelle Nr. 345 sei auf Grund des Vertrages vom 26. November 1946 gegen Bezahlung von Fr. 10'000.-- auf ihn zu übertragen, nicht stattgab, leitete Graf gegen sie Klage ein mit dem Begehren, sie sei zu verpflichten, das ihm von der Erblasserin eingeräumte Vorkaufsrecht, eventuell Kaufsrecht, anzuerkennen und zur grundbuchlichen Übertragung der Parzelle Nr. 345 Hand zu bieten. Die Beklagte widersetzte sich diesem Begehren u.a. mit der Begründung, der Kläger habe sein Vorkaufsrecht durch Nichtausübung beim Verkauf vom 28. August 1952 verwirkt; auf jeden Fall könne er das allein beurkundete und vorgemerkte Vorkaufsrecht bei der vorliegenden, auf Erbgang beruhenden Handänderung nicht ausüben; ein Kaufsrecht und gar ein solches zum Preise von Fr. 10'000.-- sei weder abgemacht noch öffentlich beurkundet noch vorgemerkt worden; eventuell wäre der Vertrag deswegen ungültig, weil ein erst beim Tode der Eigentümerin entstehendes Kaufsrecht nur durch Verfügung von Todes wegen wirksam hätte bestellt werden können; diese Form wäre nach Art. 245 Abs. 2 OR auf alle Falle deshalb BGE 84 II 247 S. 249 erforderlich gewesen, weil die Bestellung eines Kaufsrechts zum Preise von Fr. 10'000.-- auf den Zeitpunkt des Todes der Eigentümerin hin angesichts der Tatsache, dass die Liegenschaft zur Zeit des Vertragsabschlusses fast den doppelten Verkehrswert gehabt habe, eine beim Tod des Schenkers vollziehbare Schenkung in sich schliesse. Das Bezirksgericht Vorderland wies die Klage ab. Das Obergericht von Appenzell A.Rh. hat sie dagegen am 27. Januar 1958 gutgeheissen. D.- Gegen dieses Urteil hat die Beklagte die Berufung an das Bundesgericht erklärt mit dem Antrag, die Klage sei abzuweisen; eventuell sei die Sache zur Aktenergänzung und zu neuer Entscheidung an die Vorinstanz zurückzuweisen. Das Bundesgericht bestätigt das angefochtene Urteil. Erwägungen Aus den Erwägungen: 4. Obwohl der Vertrag vom 26. November 1946 als "Vorkaufsvertrag" überschrieben ist und auch im Text nur von einem Vorkaufsrecht des Klägers spricht und diesen nur als "Vorkaufsberechtigten" bezeichnet, hat die Vorinstanz mit Recht angenommen, dass dieser Vertrag dem Kläger mit der Wendung: "zu diesem Zeitpunkt" (d.h. beim Ableben der Eigentümerin) "soll sich der Vorkaufsberechtigte entscheiden, ob er alsdann das Objekt antreten oder der gesetzlichen Erbin überlassen will", ein beim Tode der Erblasserin wirksam werdendes Kaufsrecht eingeräumt hat, und zwar mit dem gleichen Preis, wie er für das bis zu diesem Zeitpunkt bestehende Vorkaufsrecht galt. Dass die Parteien nicht ausdrücklich von einem Kaufsrecht gesprochen haben, verschlägt nichts; es genügt, dass der Vertrag die dem Kläger mit dem Tode der Eigentümerin erwachsende (und dann auch sogleich auszuübende) Befugnis in einer Weise umschrieben hat, die klar zeigt, dass es sich dabei um ein solches Kaufsrecht handeln sollte. Was im Vertrag in dieser Weise zum Ausdruck gekommen ist, wird auch durch die beim Vertragsabschluss BGE 84 II 247 S. 250 beobachtete Form gedeckt, so dass die Beklagte nicht mit Grund behaupten kann, das Kaufsrecht sei mangels öffentlicher Beurkundung der darauf bezüglichen Abmachung ungültig. Der Umstand schliesslich, dass im Grundbuch nur das Vorkaufsrecht, nicht auch das Kaufsrecht vorgemerkt wurde, vermag dessen Wirksamkeit gegenüber der Beklagten als Erbin der Bestellerin dieses Rechts nicht zu beeinträchtigen. 5. Wurde dem Kläger nicht bloss ein Vorkaufsrecht, sondern auch ein Kaufsrecht eingeräumt, so ist der Einwand der Beklagten, dass das Vorkaufsrecht gemäss Vertrag mit dem Tode der Eigentümerin untergegangen sei und dass zudem der Erbgang keinen Vorkaufsfall bilden könnte, von vornherein unbehelflich, weil dadurch der entscheidende Anspruch des Klägers, nämlich eben das Kaufsrecht, nicht in Frage gestellt wird. Das gleiche gilt auch für den weitern Einwand, der Kläger habe sein Vorkaufsrecht gemäss Art. 681 Abs. 3 ZGB schon zu Lebzeiten der Eigentümerin verwirkt, weil er es beim Verkauf des Teilstücks von 19 m2 (mit dem Schopf) im Jahre 1952 nicht ausgeübt habe. Im übrigen hat es die Beklagte an Ausführungen darüber fehlen lassen, inwiefern das angefochtene Urteil Bundesrecht verletzt habe, indem es diesen Einwand als unwesentlich behandelte. Sie hätte denn auch nicht mit Grund gelten machen können, der Kläger habe dadurch, dass er sein Vorkaufsrecht beim Teilverkauf von 1952 nicht ausübte, seine Rechte auch mit Bezug auf die der Eigentümerin verbliebene Restliegenschaft eingebüsst. Dass sich infolge der Verkleinerung der dem Vorkaufs- und Kaufsrecht unterworfenen Parzelle der von ihm dafür zu bezahlende Preis ermässigt habe, behauptet der Kläger nicht. Der Teilverkauf von 1952 spielt deshalb bei Beurteilung der vorliegenden Klage ... überhaupt keine Rolle. 6. Bei Prüfung der Frage, ob man es bei der Bestellung des in Frage stehenden Kaufsrechts mit einem Geschäft unter Lebenden oder mit einer Verfügung von BGE 84 II 247 S. 251 Todes wegen (deren Form nicht gewahrt wäre) zu tun habe, darf dieser Akt nicht für sich allein betrachtet werden. Im Vertrag vom 26. November 1946 wurde dem Kläger in erster Linie ein sofort wirksames Vorkaufsrecht eingeräumt. Bei der Bestellung dieses Rechts handelte es sich ohne Zweifel um ein Geschäft unter Lebenden. Das Kaufsrecht, das dem Kläger gleichzeitig auf den Tod der Erblasserin hin eingeräumt wurde, hängt nun mit dem Vorkaufsrecht innerlich eng zusammen. Es bildet seinem Zweck nach dessen Ergänzung. Das Vorkaufsrecht sollte den Kläger in den Stand setzen, die Liegenschaft der Erblasserin zu Fr. 10'000.-- an sich zu ziehen, falls die Erblasserin sie noch zu ihren Lebzeiten veräusserte, und das Kaufsrecht sollte ihm erlauben, sie zum gleichen Preis zu erwerben, wenn die Erblasserin sie bis zu ihrem Tode behielt. Wie dank dem Vorkaufsrecht gegenüber einem dritten Käufer, sollte der Kläger dank dem Kaufsrecht gegenüber der gesetzlichen Erbin ein Vorrecht auf den Erwerb der Liegenschaft erhalten. Durch die Vormerkung des Vorkaufsrechts wurde dafür gesorgt, dass der Kläger dieses Recht auch dann durchsetzen konnte, wenn die Erblasserin ihre Liegenschaft an einen Dritten verkaufte, ohne dem Kläger Gelegenheit zu geben, dieses Recht auszuüben. Indem die Vormerkung des Vorkaufsrechts die Erblasserin daran hinderte, die Liegenschaft durch einen zu ihren Lebzeiten durchgeführten Verkauf dem Zugriff des Klägers zu entziehen, sicherte sie nicht nur das Vorkaufsrecht, sondern mittelbar auch das Kaufsrecht des Klägers. Dem Sinn des Vertrags hätte es im übrigen, wie die Vorinstanz zutreffend annimt, entsprochen, wenn auch das Kaufsrecht vorgemerkt worden wäre; denn nach dem letzten Absatz des Vertrags war nicht etwa bloss das Vorkaufsrecht, sondern der ganze "Vorkaufsvertrag", der eben ausser dem Vorkaufsrecht auch ein Kaufsrecht begründete, durch "Eintragung" im Grundbuch "dinglich wirksam zu machen". Da der Vertrag vom 26. November 1946 nach alledem eine Einheit bildet und Bestimmungen BGE 84 II 247 S. 252 enthält, die darauf angelegt sind, neben dem sofort in Kraft tretenden Vorkaufsrecht auch das erst mit dem Tode der Erblasserin wirksam werdende Kaufsrecht schon zu deren Lebzeiten zu sichern, rechtfertigt es sich, den ganzen Vertrag als ein Geschäft unter Lebenden zu betrachten (vgl. BGE 46 II 234 Erw. 3, BGE 50 II 372 Erw. 1). 7. Nach Art. 245 Abs. 2 OR steht eine Schenkung, deren Vollziehbarkeit auf den Tod des Schenkers gestellt ist, unter den Vorschriften über die Verfügungen von Todes wegen. Ob anzunehmen sei, eine solche Schenkung sei nichts anderes als eine Art der Verfügung von Todes wegen, nämlich ein erbvertragliches Vermächtnis, oder ob man sie trotz der Anwendbarkeit der Vorschriften über die Verfügungen von Todes wegen als Geschäft unter Lebenden betrachten will (vgl. zu dieser Streitfrage OSER/SCHÖNENBERGER N. 19 zu Art. 245 OR mit Hinweisen; GUISAN in Festgabe für den Juristentag 1934 S. 40/41; KNAPP in Festschrift für Tuor 1946 S. 224 ff.; ESCHER, 3. Aufl., N. 7 der Einleitung zum 14. Titel, S. 99/100), braucht im vorliegenden Falle nicht entschieden zu werden. Selbst wenn man nämlich der zweiten Ansicht folgen und ausserdem annehmen wollte, die Erblasserin habe dem Kläger mit der Einraümung eines Vorkaufs- und Kaufsrechtes zum Preise von Fr. 10'000.-- eine Schenkung gemacht, so hätte man es doch nicht mit einer Schenkung zu tun, "deren Vollziehbarkeit auf den Tod des Schenkers gestellt ist". Die in Erwägung 6 hervorgehobenen Umstände verböten diese Annahme in gleicher Weise wie diejenige, dass eine Verfügung von Todes wegen vorliege. Der Charakter einer gemischten Schenkung, wie sie allein in Frage käme, könnte der Einräumung des Vorkaufs- und Kaufsrechtes im übrigen nur dann beigemessen werden, wenn die Parteien den laut Vertrag bei Ausübung dieses Rechtes zu zahlenden Preis (Fr. 10'000.--) bewusst unter dem Verkehrswert der Liegenschaft angesetzt hätten, um die Differenz dem Kläger unentgeltlich BGE 84 II 247 S. 253 zukommen zu lassen (vgl. BGE 77 II 39 und dortige Hinweise; BGE 82 II 433 Erw. 5). Dass es sich so verhalten habe, ist nach den für das Bundesgericht verbindlichen Tatsachenfeststellungen der Vorinstanz nicht dargetan, obwohl der Verkehrswert der Liegenschaft zur Zeit des Vertragsabschlusses den damals abgemachten Preis nach der von der Vorinstanz als massgebend gewürdigten Schätzung um Fr. 5000.-- überstieg. Die Vorinstanz betrachtet vielmehr als bewiesen, dass die Parteien den Betrag von Fr. 10'000.-- zwar wohl als Freundschaftspreis, aber doch als volles Entgelt für die dem Vorkaufs- und Kaufsrecht unterworfene Liegenschaft aufgefasst haben. Auch aus diesem Grunde ist Art. 245 Abs. 2 OR im vorliegenden Falle nicht anwendbar. Die Form des Erbvertrags oder allenfalls der letztwilligen Verfügung war also für die gültige Errichtung des streitigen Kaufsrechts nicht erforderlich, sondern die vorgenommene öffentliche Beurkundung des Vertrags war ausreichend. Die Klage ist daher zu Recht geschützt worden.
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Federation
27a56fc6-1a7e-4416-8b36-30d4c7b1d450
Urteilskopf 120 II 172 32. Extrait de l'arrêt de la Ire Cour civile du 19 avril 1994 dans la cause Westland Helicopters Limited contre The Arab British Helicopter Company (ABH) et Tribunal arbitral (recours de droit public)
Regeste Internationale Schiedsgerichtsbarkeit; negative Feststellungsklage; "ne ultra petita partium" ( Art. 190 Abs. 2 lit. c IPRG ). Keine Verletzung des Grundsatzes "ne ultra petita partium" liegt darin, dass ein Schiedsgericht, das über eine als unbegründet erachtete negative Feststellungsklage entscheidet, im Urteilsdispositiv die Klage nicht abweist, sondern das Vorhandensein des streitigen Rechtsverhältnisses feststellt.
Sachverhalt ab Seite 173 BGE 120 II 172 S. 173 A.- Le 29 avril 1975, la République Arabe d'Egypte (RAE), le Royaume d'Arabie Saoudite (RAS), l'Etat du Qatar et les Emirats Arabes Unis (EAU) ont conclu un traité en vue de la fondation d'un organisme supranational, doté de la personnalité juridique, appelé "The Arab Organization for Industrialization" (AOI). Cet organisme avait pour but de développer une industrie à caractère militaire dans les pays arabes. Le 27 février 1978, l'AOI et la société britannique Westland Helicopters Limited (WHL) ont signé, entre autres contrats, un "Shareholders Agreement" ayant pour objet leur participation commune à une société par actions, dénommée "The Arab British Helicopter Company" (ABH), dont le but devait consister dans la fabrication d'hélicoptères en Egypte et la vente des appareils. Cette convention comprenait une clause arbitrale. A la même date, WHL et l'ABH ont conclu une série de contrats (contrats de licence, d'assistance technique et de fourniture de matériel) contenant tous une clause similaire. B.- Le 26 mars 1979, la RAE a signé avec l'Etat d'Israël un accord impliquant la cessation des hostilités entre ces deux pays. Ce faisant, elle est entrée en conflit avec les autres membres de l'AOI, qui décidèrent de mettre fin à l'existence de cet organisme, avec effet au 1er juillet 1979, et de le liquider. Après l'échec de pourparlers, WHL prit note de la rupture et notifia, en juillet 1979, sa décision de réclamer des dommages-intérêts à l'AOI dissoute et aux Etats membres. Le 12 mai 1980, elle déposa auprès de la Chambre de Commerce Internationale (CCI), à Paris, une requête d'arbitrage dirigée contre l'AOI en liquidation, les quatre Etats membres de cette organisation et l'ABH. Le 29 octobre 1980, la Cour d'arbitrage de la CCI BGE 120 II 172 S. 174 constitua un tribunal arbitral de trois membres. Le siège de l'arbitrage fut fixé à Genève. La procédure arbitrale fut émaillée d'incidents divers. L'un d'eux avait trait à la compétence du Tribunal arbitral. Statuant le 5 mars 1984, celui-ci se déclara compétent à l'égard de toutes les parties défenderesses. La RAE recourut avec succès contre la sentence incidente rendue à cette date et fut mise hors de cause, motif pris de ce que cette défenderesse - à l'instar des EAU, du RAS et du Qatar, lesquels Etats n'avaient toutefois pas attaqué ladite sentence - n'était pas liée par les clauses compromissoires figurant dans les contrats conclus par l'AOI et l'ABH avec WHL. En revanche, l'AOI et l'ABH recoururent en vain contre cette sentence incidente. Le 21 juin 1991, le Tribunal arbitral rendit une sentence partielle dans le dispositif de laquelle il constata que les différents contrats conclus par WHL avec l'AOI et l'ABH constituaient un tout indissociable (ch. 1), que l'AOI était responsable de leur inexécution et du dommage qui en était résulté pour WHL (ch. 2), et que le RAS, les EAU et le Qatar étaient responsables - solidairement entre eux, mais subsidiairement par rapport à l'AOI - du paiement des dommages-intérêts qui seraient alloués à WHL (ch. 3 et 4), dommages-intérêts dont le montant serait fixé dans la sentence finale (ch. 7). Quant à WHL, le Tribunal arbitral admit qu'elle était fondée à ne plus exécuter les contrats conclus par elle avec l'ABH (ch. 5) et qu'elle n'assumait aucune responsabilité envers cette dernière (ch. 6). Après de nouveaux rebondissements procéduraux, le Tribunal arbitral rendit sa sentence finale le 28 juin 1993. Il condamna l'AOI, à titre principal, ainsi que les EAU, le RAS et le Qatar, à titre subsidiaire et solidairement entre eux, à payer à WHL un montant total de 364'747'000 £, intérêts en sus. Il dénia, en outre, à WHL le droit de compenser ses propres créances avec celles de l'ABH tendant au remboursement du solde des avances qu'elle lui avait versées pour l'exécution des contrats litigieux, sans toutefois ordonner la restitution de ces avances, faute d'une conclusion condamnatoire prise par l'ABH. Les frais de la procédure arbitrale furent mis, pour l'essentiel, à la charge de l'AOI et des trois Etats défendeurs. C.- WHL attaque la sentence finale par la voie d'un recours de droit public, au sens de l' art. 85 let . c OJ en liaison avec l' art. 190 al. 2 let . c LDIP (RS 291), dirigé contre l'ABH. Elle conclut à l'annulation partielle de ladite sentence, en tant qu'elle constate sa qualité de débitrice de l'intimée et lui dénie le droit de compenser ses propres BGE 120 II 172 S. 175 créances avec la créance de cette dernière. A l'appui de son recours, WHL fait valoir, en substance, que le Tribunal arbitral a statué ultra ou extra petita, étant donné qu'elle ne l'aurait saisi d'aucune conclusion dirigée contre l'ABH et que celle-ci n'aurait pas non plus pris la moindre conclusion reconventionnelle tendant à la constatation positive de l'existence d'une dette de WHL à son égard. Erwägungen Extrait des considérants: 3. a) L' art. 190 al. 2 let . c LDIP permet d'attaquer une sentence lorsque le tribunal arbitral a statué au-delà des demandes dont il était saisi. Tombent sous le coup de cette disposition les sentences qui allouent plus ou autre chose que ce qui a été demandé (ultra ou extra petita), conformément à l'interprétation qu'en a faite le Tribunal fédéral, qui a donné la préférence au texte français de la loi ( ATF 116 II 639 consid. 3a). La règle "ne eat judex ultra petita partium" garantit un aspect particulier du droit d'être entendu, dans la mesure où elle interdit au tribunal arbitral d'inclure dans sa sentence des prétentions (ou une partie d'entre elles) sur lesquelles les parties n'ont peut-être pas eu l'occasion de s'exprimer en fait et en droit ( ATF 116 II 80 consid. 3a). Cependant, en vertu du principe "jura novit curia", dès l'instant où une conclusion est motivée de manière suffisante, le juge - quel qu'il soit - est tenu d'appliquer le droit d'office, sans se limiter aux motifs avancés par les parties. Par conséquent, il ne statue pas ultra ou extra petita s'il retient des moyens de droit qui n'ont pas été invoqués, car il ne procède, dans une telle hypothèse, qu'à une nouvelle qualification des faits de la cause (arrêt non publié du 30 avril 1992, dans la cause 4P.273/1991, consid. 2a; voir aussi: POUDRET, COJ, n. 3.3 ad art. 63 OJ ). Dans un arrêt du 28 avril 1992, cité par la recourante, le Tribunal fédéral a admis qu'un tribunal arbitral avait statué ultra petita en ne se limitant pas au rejet de la conclusion du demandeur tendant à faire constater l'inexistence de la dette litigieuse, mais en condamnant de surcroît ce demandeur à régler son dû bien que le défendeur n'eût pris aucune conclusion à cette fin (consid. 2b, non publié, de l' ATF 118 II 193 ). La présente affaire se distingue de celle qui a donné lieu au prononcé de cet arrêt en ce sens que le Tribunal arbitral s'est borné à constater l'existence de la dette et n'a pas condamné le débiteur à en payer le montant au créancier. Avant d'examiner les conclusions topiques qui ont été formulées dans le cas concret, il importe de trancher, au préalable, la question de savoir si l'interdiction de statuer ultra petita est violée par BGE 120 II 172 S. 176 le tribunal qui rejette une action en constatation de droit négative qu'il estime mal fondée en constatant l'existence de la dette litigieuse dans le dispositif de son jugement. Le jugement rendu sur une action en constatation de droit, étant donné l'autorité de la chose jugée qui s'y attache, lève, une fois pour toutes, l'incertitude qui règne entre les parties au sujet du rapport de droit litigieux ( ATF 99 II 172 consid. 2). Il n'en va pas différemment lorsqu'il fait suite à une action négatoire de droit, dans la mesure où, là aussi, il dissipe définitivement les doutes des parties touchant leurs relations juridiques et s'oppose à ce que des prétentions puissent être déduites ultérieurement en justice du rapport de droit dont l'inexistence a été constatée ( ATF 42 II 696 consid. 4). A cet égard - du moins lorsque le tribunal s'est effectivement prononcé sur l'existence du rapport de droit litigieux dans les motifs de son jugement -, il est incontesté que l'autorité de la chose jugée dont est revêtu le jugement constatatoire ne dépend pas de la répartition des rôles entre les parties et qu'elle découle donc aussi bien du jugement porté sur une action en constatation de droit positive que du jugement rendu sur une action négatoire de droit (KUMMER, das Klagerecht und die materielle Rechtskraft im schweizerischen Recht, p. 81; WALTER, Zur Abweisung einer negativen Feststellungsklage, in RJB 123/1987, p. 553 ss; ROSENBERG/SCHWAB/GOTTWALD, Zivilprozessrecht, 15e éd., p. 518; ARENS, Zur Problematik von non-liquet-Entscheidungen, in FS Müller-Freienfels, p. 13 ss). En d'autres termes, le jugement sur le fond qui admet une action en constatation de droit positive et celui qui rejette une action en constatation de droit négative établissent tous deux définitivement l'existence du rapport juridique en cause. (ROSENBERG/SCHWAB/GOTTWALD, loc.cit.). Peu importe donc, sous cet angle, que la juridiction saisie d'une action négatoire de droit qu'elle estime infondée, la rejette dans le dispositif de son jugement ou y constate l'existence du rapport de droit litigieux. Dans l'un et l'autre cas, l'objet de la constatation est le même, sauf à dire que la chose constatée ressort directement du dispositif du jugement dans la seconde hypothèse, alors qu'elle en appert indirectement dans la première, par le rapprochement entre le dispositif et les motifs qui le sous-tendent ( ATF 116 II 615 consid. 5a). Il suit de là qu'une constatation positive, dans le sens sus-indiqué, ne viole pas le principe ne ultra petita partium.
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Urteilskopf 114 V 44 10. Sentenza del 9 marzo 1988 nella causa C. contro Società svizzera di mutuo soccorso Elvezia e Tribunale delle assicurazioni del Cantone Ticino
Regeste Art. 30bis Abs. 1 und 2 KUVG : Örtliche Zuständigkeit bei Versicherten ohne schweizerischen Wohnsitz. - Das geltende Krankenversicherungsgesetz räumt den Versicherten ohne schweizerischen Wohnsitz keinen andern Gerichtsstand ein als den im Kanton, in welchem die beklagte Kasse ihren Sitz hat (Erw. 3a). - Als "Sitz" einer Krankenkasse ist in diesem Zusammenhang allein derjenige am Ort der Zentralverwaltung zu verstehen, nicht aber derjenige der örtlichen oder kantonalen Agenturen und Zweigstellen (Erw. 3b).
Sachverhalt ab Seite 44 BGE 114 V 44 S. 44 A.- Luisa C., cittadina italiana, nata nel 1955, residente in Italia, lavora come frontaliera presso una ditta di Mendrisio, la quale ha assicurato collettivamente il personale presso la Società svizzera di mutuo soccorso Elvezia (SSMSE), cassa malati riconosciuta ai sensi della LAMI. Il 18 settembre 1986 la Cassa ha BGE 114 V 44 S. 45 reso nei confronti dell'assicurata una decisione di rifiuto di prestazioni, indicando nei rimedi di diritto quale autorità di ricorso il Tribunale delle assicurazioni del Cantone Zurigo. B.- Luisa C. è insorta con ricorso al Tribunale delle assicurazioni del Cantone Ticino. Sulla competenza dell'autorità adita, l'insorgente rilevò che in applicazione della LAMI nonché del CC competente sarebbe il Tribunale del Cantone Zurigo. Osservò però che il disciplinamento sull'assicurazione contro gli infortuni vigente dal 1o gennaio 1984 all' art. 107 LAINF riconosce la competenza del tribunale dell'ultimo domicilio o dell'ultimo luogo di lavoro in Svizzera: esso disposto, ricordato come in precedenza la normativa in materia di assicurazione contro gli infortuni fosse compresa nella LAMI e come elementi della nuova legislazione siano stati recepiti in via giurisprudenziale nella stessa LAMI, dovrebbe essere applicabile per analogia nell'ambito di quest'ultima legge. Sottolineò che la decisione in lite era stata resa dalla sede di Bellinzona della Cassa malati e che considerazioni pratiche conforterebbero la competenza del giudice ticinese. Accennò alla lingua del ricorso e alle eventuali spese per traduzione di atti. Peraltro, almeno una volta una cassa aveva dato ad un lavoratore frontaliere, o residente comunque all'estero, la facoltà di scegliere l'autorità giudiziaria del cantone di domicilio del datore di lavoro in Svizzera o quella della sede dell'assicurazione per la presentazione del gravame. Per giudizio 3 ottobre 1986 il Presidente del Tribunale delle assicurazioni del Cantone Ticino ha dichiarato irricevibile il gravame per incompetenza "ratione loci" e nel contempo disposto la trasmissione degli atti al Tribunale delle assicurazioni del Cantone Zurigo. A mente del primo giudice l'assicurata non era domiciliata nel Cantone Ticino e pertanto era da riconoscere la competenza del Tribunale del cantone in cui la Cassa aveva sede. La circostanza che la nuova LAINF avesse modificato le disposizioni sulla competenza territoriale e gli inconvenienti che derivavano a un frontaliere per il fatto di dover ricorrere fuori del cantone in cui lavorava non permettevano in ogni modo di derogare alle disposizioni della LAMI. C.- Luisa C. interpone ricorso di diritto amministrativo a questa Corte, riproponendo le allegazioni e le conclusioni di prima istanza. La Cassa e l'Ufficio federale delle assicurazioni sociali propongono la disattenzione del gravame. BGE 114 V 44 S. 46 Erwägungen Diritto: 1. La SSMSE, che ha sede a Zurigo, ha, tramite l'amministrazione di Bellinzona, reso nei confronti dell'assicurata, che lavora in Svizzera quale frontaliera, una decisione formale con cui indicava quale autorità competente ai fini della presentazione di un gravame il Tribunale delle assicurazioni del Cantone Zurigo. Il tema sottoposto all'esame di questa Corte è quello di esaminare se a ragione il giudice ticinese ha declinato la sua competenza territoriale, affermando quella del giudice di Zurigo. 2. Giusta l' art. 30bis LAMI i cantoni designano, quale unica istanza cantonale, un tribunale delle assicurazioni, con giurisdizione su tutto il cantone, per la decisione delle contestazioni delle casse fra loro o con i loro membri o con terzi e concernenti diritti invocati dalle parti in virtù della presente legge, delle disposizioni esecutive federali o cantonali o delle disposizioni delle casse (cpv. 1). È competente il tribunale delle assicurazioni del cantone dove l'assicurato o il terzo ha domicilio nel momento in cui presenta il ricorso oppure quello del cantone dove la cassa convenuta ha sede (cpv. 2). Questa Corte ha avuto modo di pronunciarsi circa l' art. 30bis cpv. 2 LAMI una prima volta con riferimento ad uno stagionale. Essa ha ritenuto che lo stagionale straniero può non mantenere il proposito di risiedere in modo permanente nel nostro Paese e quindi non eleggere il suo domicilio in Svizzera; ne consegue allora che egli perde la facoltà prevista dall'art. 30bis cpv. 2 di scegliere fra i due tribunali competenti e che, in tal caso, solo competente è il tribunale delle assicurazioni del cantone ove la cassa convenuta ha sede (RJAM 1967 no 12 pag. 13). Successivamente il Tribunale federale delle assicurazioni ha confermato questo parere nel caso di un frontaliere, pur - eccezionalmente e per economia di giudizio - entrando nel merito del ricorso di diritto amministrativo proposto contro un giudizio reso da un tribunale incompetente (Ticino), in luogo di quello competente (Zurigo), in cui aveva sede la cassa (STFA 1968 pag. 5, inedita su questo punto). 3. Nell'evenienza concreta il Tribunale delle assicurazioni del Cantone Ticino, contrariamente a quanto fatto nella suddetta causa STFA 1968 pag. 5, si è limitato a declinare la sua competenza, il che significa che sulla stessa si deve decidere in via pregiudiziale. BGE 114 V 44 S. 47 Dalla ricordata giurisprudenza, la quale del resto corrisponde ad un'analisi meramente letterale della legge, risulta che l'assicurato il quale intenda contrastare una decisione della cassa malati possa optare se domiciliato in Svizzera tra il tribunale del suo cantone di domicilio oppure quello della sede della cassa, mentre se domiciliato all'estero, in qualità di stagionale o, a maggior ragione, di frontaliere, si potrà rivolgere solo al tribunale del cantone in cui la cassa ha sede. È incontroverso che la ricorrente, come frontaliera, abbia il suo domicilio in Italia. Resta quindi solo da accertare se una modifica giurisprudenziale possa essere adottata che permetta di riconoscere per gli assicurati che non hanno un domicilio in Svizzera la competenza a statuire di un'altra autorità giudiziaria di primo grado, accanto a quella competente nel luogo della sede della cassa. Ci si può peraltro anche chiedere se, quando una cassa malati abbia una sede centrale e altre filiali e sedi secondarie locali o cantonali, il ricorso sia proponibile presso il giudice del cantone dove queste ultime sono situate. a) La ricorrente auspica il riconoscimento in via giurisprudenziale della competenza, unitamente a quella del tribunale cantonale in cui la cassa ha sede, dell'autorità giudiziaria del cantone dell'ultimo luogo di lavoro dell'assicurato in Svizzera. A sostegno della sua tesi l'assicurata asserisce dover trovare applicazione per analogia nella LAMI l' art. 107 cpv. 2 LAINF . Orbene, è vero che la nuova LAINF, a questo articolo, riconosce la competenza del tribunale cantonale dell'ultimo domicilio in Svizzera o dell'ultimo datore di lavoro svizzero quando l'interessato sia domiciliato all'estero, e ciò a modifica del principio in precedenza sancito dall' art. 120 cpv. 2 LAMI di tono analogo a quello dell' art. 30bis cpv. 2 LAMI . Ma da questo fatto non può, come vorrebbe la ricorrente, essere dedotto che la disposizione valida per la nuova assicurazione infortuni debba valere dal profilo procedurale anche per l'assicurazione contro le malattie, legge questa rimasta immutata. Non è in effetti lecito al giudice - quando non ricorrano particolari motivi - di sostituire con altra una norma chiara non suscettibile di interpretazione ( DTF 112 V 171 consid. 3a, 109 V 62 consid. 4, 107 V 215 consid. 2b, 105 V 47, 101 V 190 consid. 5). Inoltre, la competenza è un presupposto processuale, regolato dalla legge e di natura imperativa, che il giudice deve verificare d'ufficio e che non può - di regola - essere modificata per accordo delle parti (cfr. DTF 110 V 355 consid. 1d, BGE 114 V 44 S. 48 99 Ia 322 consid. 4a; SPIRA, Le contentieux des assurances sociales fédérales et la procédure cantonale, in Recueil de jurisprudence neuchâteloise 1984, pag. 17; GYGI, Bundesverwaltungsrechtspflege, Berna 1983, pag. 80 segg.). non spetta quindi a questa Corte di interpretare in forma diversa dal testo una disposizione di natura imperativa. È palese ora che la disposizione in esame possa dare luogo a inconvenienti e che sarebbe più logico consentire all'assicurato domiciliato all'estero di adire il giudice del cantone in cui ha domicilio o sede il suo datore di lavoro, in particolare per motivi di lingua. Non può certo essere negato che un ricorrente non domiciliato in Svizzera sarebbe facilitato nel potersi rivolgere a un giudice che parli la propria lingua o comunque quella del luogo dove egli risiedeva o lavorava. Ma una modifica che tenga conto di queste considerazioni potrebbe avvenire solo in via legislativa. Una diversa regolamentazione può peraltro essere predisposta da una convenzione internazionale (cfr. MAURER, Schweizerisches Sozialversicherungsrecht, Berna 1981, vol. II, pag. 415 nota 973). Ma nel caso di specie il diritto convenzionale italo-svizzero non prevede un disposto che si scosti dalla soluzione ritenuta dal diritto interno svizzero. Aperto il tema, cui accenna l'Ufficio federale delle assicurazioni sociali, dell'applicabilità anche nel settore dell'assicurazione contro le malattie dell'art. 20bis della Convenzione italo-svizzera relativa alla sicurezza sociale, introdotto con l' art. 5 del secondo Accordo aggiuntivo del 2 aprile 1980, per quanto riferito ai frontalieri. Va rilevato infine che privo di rilievo è il fatto che in un determinato caso sia stata data ad un assicurato la possibilità di interporre ricorso avverso una decisione di una cassa innanzi ad un tribunale diverso da quello del luogo dove essa ha sede, quando si osservi che per costante giurisprudenza un assicurato non può prevalersi dell'errata applicazione della legge fatta da un'autorità in un'altra fattispecie isolata ( DTF 108 Ia 213 consid. 4a, 104 Ib 372 consid. 5, DTF 103 Ia 244 consid. 3a, DTF 99 Ib 383 consid. 5b, DTF 90 I 167 consid. 3; RAMI 1986 no K 666 pag. 94 consid. 3, RJAM 1983 no 523 pag. 60 consid. 3b). b) Si deve ancora esaminare il tema di sapere se nell'ambito d'applicazione dell' art. 30bis cpv. 2 LAMI sia ai fini di determinare il foro competente ritenibile soltanto la sede centrale di una cassa malati oppure anche altre filiali o sedi secondarie locali o cantonali. BGE 114 V 44 S. 49 Sul punto la giurisprudenza non si è finora espressa in modo esplicito. Nella sentenza predetta STFA 1968 pag. 5 il Tribunale federale delle assicurazioni, ammettendo la competenza dell'autorità giudiziaria di Zurigo quando la cassa aveva un'agenzia a Locarno, ha comunque implicitamente ritenuto che competente è solo il tribunale delle assicurazioni del cantone in cui l'assicurazione ha la sua sede centrale e che irrilevante da questo profilo è l'esistenza di eventuali agenzie o rappresentanze in altri cantoni. L'art. 30bis è stato introdotto nella LAMI con la modifica legislativa del 13 marzo 1964. Nel suo messaggio 5 giugno 1961 concernente questa modifica della legge il Consiglio federale nelle osservazioni generali rilevava, con riferimento al diritto allora vigente il quale abilitava molteplici istanze a dirimere le vertenze in materia di assicurazione contro le malattie, che "questa diversità degli enti incaricati di amministrare la giustizia ha causato, specialmente per gli assicurati, una certa insicurezza giuridica" e precisava che "a questa dev'essere portato rimedio unificando la competenza giudiziaria nel corso della presente revisione" (cfr. FF 1961 893). Esprimendosi circa l' art. 30bis cpv. 2 LAMI in particolare, l'autorità esecutiva federale, dichiarando che esso disposto "regola la competenza territoriale del tribunale cantonale delle assicurazioni", affermava che "per riguardo agli assicurati che si trovano all'estero (ad es. frontalieri, salariati inviati all'estero) dev'essere dichiarato competente, oltre al tribunale del cantone dove l'assicurato è domiciliato nel momento in cui promuove l'azione, anche il tribunale del cantone dove la cassa ha sede" (op.cit. 930). Da queste considerazioni emerge che la novella legislativa rispondeva all'esigenza di semplificare la procedura unificando le istanze competenti a statuire e definendole in modo inequivocabile. Se accanto all'autorità in primo luogo designata, ossia il tribunale delle assicurazioni del cantone di domicilio, è stata predisposta la possibilità di adire l'autorità giudiziaria del cantone in cui la cassa ha sede, ciò è dovuto alla necessità di tener conto della particolare situazione degli assicurati senza domicilio in Svizzera. È escluso che il legislatore, visto il suo intento di razionalizzare la procedura, volesse istituire una diversificazione delle vie di ricorso ammettendo la competenza del tribunale delle assicurazioni dei diversi cantoni in cui una cassa possieda filiali o sedi regionali. Se, come è stato detto, sarebbe forse auspicabile l'istituzione di un BGE 114 V 44 S. 50 secondo, eventualmente di un terzo, foro accanto a quello della sede centrale di una cassa, viceversa l'istituzione di un sistema che consenta di riconoscere competenti molteplici autorità ricorsuali per lo stesso rapporto giuridico sarebbe manifestamente in contrasto con lo spirito della modifica legislativa del 1964. In questo senso si è pronunciato DOBER (Verfahrensrecht in der sozialen Krankenversicherung des Bundes, tesi Berna 1986, pag. 85), il quale afferma che se l'assicurato, per esempio quale stagionale o frontaliere, non ha un domicilio in Svizzera, competente è solo il tribunale delle assicurazioni del cantone in cui la cassa ha la propria sede, precisando che per sede non possono essere intese le singole amministrazioni locali della cassa, ma solo il luogo in cui si trova l'amministrazione centrale. Giova infine rilevare, prescindendo dalle diversità delle strutture dell'INSAI, che, vigente l' art. 120 LAMI in materia di assicurazione contro gli infortuni, il foro competente per l'Istituto era quello della sede centrale di Lucerna e non già la sede di agenzie locali. Aderire alla tesi secondo cui competenti a statuire sarebbero i tribunali cantonali di tutti i cantoni in cui la cassa ha una sede regionale potrebbe peraltro ingiustificatamente favorire gli assicurati affiliati a casse malati con rappresentanze in più cantoni nei confronti di altri, assicurati presso casse che non hanno una struttura organica decentralizzata o che hanno un ambito d'attività limitato ad un solo cantone. non vi è quindi motivo di non attenersi alla prassi ritenuta in STFA 1968 pag. 5 nella misura in cui non riconosceva la competenza a statuire del giudice del cantone in cui la cassa aveva un'agenzia regionale. 4. Dato quanto precede dev'essere ammesso che il querelato giudizio rispetta il diritto nella misura in cui denega la competenza del giudice ticinese e che esso lo ossequia pure per il fatto che in applicazione di un principio generale del diritto amministrativo trasmette gli atti per pronunzia al giudice competente ( DTF 102 V 74 consid. 1, DTF 101 Ib 99 , DTF 100 III 10 ; RJAM 1978 no 316 pag. 52). Dispositiv Per questi motivi, il Tribunale federale delle assicurazioni pronuncia: Il ricorso di diritto amministrativo è respinto.
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Urteilskopf 104 II 68 13. Urteil der II. Zivilabteilung vom 15. Juni 1978 i. S. Geiges gegen Erbengemeinschaft Ullmann
Regeste Art. 506 Abs. 2 ZGB (Nottestament). Der letzte Wille muss bei der mündlichen letztwilligen Verfügung beiden Zeugen gleichzeitig erklärt werden.
Sachverhalt ab Seite 68 BGE 104 II 68 S. 68 A.- Pauline Ullmann wurde am 10. März 1976 ins Kantonsspital Frauenfeld eingewiesen, wo sie am 19. März 1976 eine öffentliche Letztwillige Verfügung errichtete, in der sie vier Vermächtnisse in der Höhe von insgesamt Fr. 23'000.- aussetzte, das übrige Vermögen den gesetzlichen Erben zuwies und die Thurgauische Kantonalbank Frauenfeld zur Willensvollstreckerin ernannte. Am Nachmittag des 25. März 1976 verschlechterte sich ihr gesundheitlicher Zustand. Sie bat die Krankenschwestern Berta Kofler und Yvonne Ulmann, einen Notar zu rufen, und teilte ihnen mit, es sollten Frau Thekla ihr Haus und das Altersheim Tobel Fr. 30'000.- sowie ihre Kleider erhalten. Die beiden Krankenschwestern versuchten erfolglos, einen Notar beizuziehen. Um 17.00 Uhr erstellten sie eine Urkunde, die sie als "Nottestament" bezeichneten und die folgenden Inhalt hatte: "Fräulein Paulina Ullmann, geb. 24.7.1891, hat im Beisein von den Krankenschwestern Berty Kofler und Yvonne Ulmann erklärt, dass sie folgende testamentarische Verfügung machen will: BGE 104 II 68 S. 69 an Frau Dekla ganzes Haus an Altersheim Tobel Fr. 30'000.- und alle Kleider. Wir bestätigen, dass Frl. Ullmann noch voll verfügungsfähig gewesen ist. Es war zu dieser Zeit keine zuständige Amtsperson zu erreichen. Frauenfeld, 25. März 1976, 17.00 Uhr. Sr. Berty Kofler Sr. Yvonne Ulmann" Um 19.35 Uhr starb Pauline Ullmann. Am folgenden Tag sprachen die beiden Krankenschwestern getrennt beim Bezirksgerichtspräsidenten in Frauenfeld vor, dem sie das Nottestament übergaben und ergänzende Ausführungen machten. Die öffentliche letztwillige Verfügung vom 19. März 1976 und das Nottestament vom 25. März 1976 wurden den gesetzlichen Erben eröffnet. Diese anerkannten die erste Verfügung, bestritten dagegen die Gültigkeit des Nottestaments. B.- Mit Weisung vom 16. August und Klageschrift vom 22. September 1976 erhoben die gesetzlichen Erben der Pauline Ullmann, nämlich Albert Ullmann, Lydia Meili-Ullmann und Agnes Keller-Ullmann, beim Bezirksgericht Frauenfeld Klage gegen Thekla Geiges und die Katholische Kirchgemeinde Tobel, mit den Anträgen, das Nottestament der Pauline Ullmann sei nichtig, eventuell ungültig zu erklären; eventuell sei gerichtlich zu erkennen, dass die Erblasserin durch die Zuweisung des Hauses an die Beklagte Geiges ihre Verfügungsbefugnisse überschritten habe, und die letztwillige Verfügung sei dahin zu berichtigen, dass die Beklagte Geiges am fraglichen Haus nur jene Eigentumsquote erhalte, welche der Erblasserin bei ihrem Tod zugestanden habe. Die Beklagten beantragten die Abweisung der Klage und verlangten widerklageweise, es sei eventuell zu erkennen, dass das Nottestament eine Ergänzung der letztwilligen Verfügung vom 19. März 1976 bilde und dass demzufolge die Kläger der Beklagten Geiges den vermachten Grundstückanteil und der Katholischen Kirchgemeinde Tobel Fr. 30'000.- sowie die Kleider der Erblasserin herauszugeben hätten. Das Bezirksgericht Frauenfeld hiess mit Urteil vom 2. September 1977 die Klage gut und wies die Widerklage ab, soweit sie aufrecht erhalten wurde. Es stellte sich im wesentlichen auf den Standpunkt, aufgrund der Zeugenaussagen stehe fest, dass die Erblasserin ihren letzten Willen nicht gleichzeitig beiden Zeuginnen gegenüber erklärt habe; das Nottestament leide BGE 104 II 68 S. 70 damit an einem Formmangel, was zur Gutheissung der Klage führe. Gegen dieses Urteil erhoben beide Beklagten Berufung. Die Katholische Kirchgemeinde Tobel verzichtete in der Folge jedoch auf die Weiterführung des Berufungsverfahrens. Mit Urteil vom 24. Januar 1978 schrieb das Obergericht des Kantons Thurgau die Berufung der Katholischen Kirchgemeinde infolge Rückzugs als erledigt ab und bestätigte im übrigen den bezirksgerichtlichen Entscheid. C.- Gegen diesen Entscheid erhob die Beklagte Geiges Berufung und staatsrechtliche Beschwerde an das Bundesgericht. Die staatsrechtliche Beschwerde wurde mit Entscheid vom 31. Mai 1978 abgewiesen. Mit der Berufung beantragt die Beklagte, die Klage sei abzuweisen und das Nottestament der Erblasserin vom 25. März 1976 als gültig zu erklären. Die Kläger beantragen die Abweisung der Berufung und die Bestätigung des angefochtenen Entscheids. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Nach Art. 506 Abs. 1 ZGB kann ein Erblasser eine mündliche letztwillige Verfügung errichten, wenn er infolge ausserordentlicher Umstände, wie nahe Todesgefahr, verhindert ist, sich einer andern Errichtungsform zu bedienen. Im vorliegenden Fall ist unbestritten, dass die Erblasserin sich am Nachmittag des 25. März 1976 in akuter Lebensgefahr befand, dass sie infolge einer Lungenembolie nicht mehr in der Lage war, ein eigenhändiges Testament zu errichten, und dass es trotz aller Bemühungen nicht möglich war, einen Notar für die Errichtung einer öffentlichen letztwilligen Verfügung beizuziehen. Insoweit waren die Voraussetzungen für die Errichtung eines mündlichen Nottestaments gegeben. 2. Wer mündlich eine letztwillige Verfügung errichten will, hat zu diesem Zweck seinen letzten Willen "vor zwei Zeugen zu erklären" (à deux témoins, a due testimoni; Art. 506 Abs. 2 ZGB ). Die Vorinstanz nahm an, die Erklärung des letzten Willens müsse in Gegenwart beider Zeugen zugleich erfolgen, während die Beklagte der Meinung ist, die beiden Zeugen müssten bei der Abgabe der Willenserklärung nicht gleichzeitig anwesend sein, sondern es genüge, wenn der Erblasser BGE 104 II 68 S. 71 seinen letzten Willen zunächst dem einen und nachher dem andern Zeugen mitteile. a) Wenn das Gesetz vorschreibt, eine Erklärung sei "vor zwei Zeugen" abzugeben, wird nach dem gewöhnlichen Sprachgebrauch angenommen, die Mitteilung sei in gleichzeitiger Gegenwart beider Zeugen zu machen. Die Erklärung im Sinne von Art. 501 Abs. 1 ZGB ist "den zwei Zeugen in Gegenwart des Beamten" und diejenige im Sinne von Art. 502 ZGB "in Gegenwart der beiden Zeugen" abzugeben, und ein Erbvertrag ist gemäss Art. 512 Abs. 2 ZGB "vor ihm (dem Beamten) und den zwei Zeugen" zu unterschreiben. In allen diesen Fällen wird nach der Praxis unbestrittenermassen die gleichzeitige Anwesenheit der beiden Zeugen verlangt. Warum es bei der Erklärung im Sinne von Art. 506 Abs. 2 ZGB anders sein soll, ist nicht ersichtlich. b) Das mündliche Nottestament wurde aus den frühern kantonalen Gesetzen ins Zivilgesetzbuch übernommen. Einzelne Kantone schrieben wie das heutige Zivilgesetzbuch vor, der Erblasser habe seine Erklärung "vor" einer bestimmten Anzahl Zeugen abzugeben. Andere Kantone verlangten in ihrer Gesetzgebung aber ausdrücklich die gleichzeitige Anwesenheit beider Zeugen; so zum Beispiel Glarus: "In Gegenwart des Gemeindepräsidenten oder eines Mitglieds des Landrats sowie einer andern Person"; Zürich: "In gleichzeitiger Gegenwart von drei erbetenen Zeugen"; Graubünden: "Vor drei gleichzeitig anwesenden vollgültigen Zeugen"; Wallis: "En présence de deux témoins"; Basel-Landschaft: "In Gegenwart der erforderlichen Zeugen". Der Kanton Freiburg schrieb vor: "Les témoins doivent connaître le testateur et le voir pendant qu'il teste" (vgl. dazu die Aufstellung der kantonalen Regelungen bei EUGEN HUBER, System und Geschichte des schweizerischen Privatrechts, Bd. II S. 193 ff.). Nur für ganz besondere Fälle, zum Beispiel Epidemien, in denen die gleichzeitige Anwesenheit mehrerer Personen nicht zulässig war, sahen einzelne Kantone vor, dass der Erblasser seinen letzten Willen zunächst dem einen und dann nacheinander weiteren Zeugen mitteilen dürfe (HUBER, a.a.O. S. 198). Anlässlich der Vorberatung des Zivilgesetzbuchs sah der vorläufige Entwurf für die Engere Kommission (1894) in Art. 484 Abs. 1 vor, der Erblasser müsse beim Nottestament seinen letzten Willen "vor zwei Zeugen gleichzeitig mündlich" erklären. BGE 104 II 68 S. 72 Die folgenden Entwürfe und Vorschläge verwendeten dann die heute gebräuchliche Wendung "vor zwei Zeugen", ohne dass in den Beratungen je gesagt worden wäre, dass mit dieser redaktionellen Änderung vom Erfordernis der Gleichzeitigkeit abgewichen werden wolle (vgl. dazu Entwurf für die Expertenkommission 1895 Art. 460 Abs. 2, Vorlage für die Kleine Departementalkommission 1900 Art. 548 Abs. 2, Vorentwurf des Eidg. Justiz- und Polizeidepartements Art. 525, Entwurf des Bundesrats an die Bundesversammlung Art. 511). In den Beratungen der Expertenkommission und der eidg. Räte wurde die Frage der gleichzeitigen Anwesenheit der Zeugen nicht eigens erörtert (Protokoll der Expertenkommission II S. 154 ff.; dazu auch Sten. Bull. 1905 II, S. 1390); offenbar wurde die Gleichzeitigkeit als selbstverständlich vorausgesetzt. Die Entstehungsgeschichte des Gesetzes spricht also ebenfalls dafür, dass die beiden Zeugen bei der Abgabe des Nottestaments gleichzeitig anwesend sein müssen. c) Soweit sich die Literatur mit der streitigen Frage befasst, vertritt sie einhellig die Meinung, dass bei der Errichtung eines Nottestaments beide Zeugen gleichzeitig zugegen sein müssen (TUOR, N. 19, und ESCHER, N. 9 zu Art. 506 ZGB ; PIOTET, Traité de droit privé suisse, Bd. IV S. 222). Die gleiche Regelung gilt in Deutschland, wo das Nottestament gemäss § 2250 Abs. 1 BGB durch mündliche Erklärung "vor drei Zeugen" errichtet werden kann. Lehre und Rechtsprechung schliessen aus dem Wortlaut dieser Bestimmung, dass die Zeugen während des ganzen Vorgangs der Testamentserrichtung gleichzeitig zugegen sein müssen (BGHZ 54, 89; STAUDINGER/FIRSCHING, N. 12, und SOERGEL/MÜLLER, N. 10 zu. 2250 BGB). d) Das Bundesgericht hat sich zur streitigen Frage bisher nicht geäussert. In BGE 45 II 529 sprach es indessen, allerdings im Hinblick auf die Ablieferung des Testaments, vom "principe de l'unité du testament oral". Dieses Prinzip gilt auch bezüglich der Errichtung des Testaments und verlangt, dass dabei beide Zeugen gleichzeitig anwesend seien. Zum gleichen Ergebnis führt der Sinn der Bestimmung. Der Erblasser soll seinen letzten Willen in Gegenwart zweier Zeugen äussern, damit Gewähr dafür besteht, dass derselbe richtig festgehalten wird. Wie wichtig dies ist, zeigt gerade der vorliegende Fall. Nach den Zeugenaussagen erklärte die Erblasserin BGE 104 II 68 S. 73 zunächst gegenüber Schwester Yvonne Ulmann in Gegenwart der Hilfsschwester Suhner, dass sie der Beklagten das Haus und dem Altersheim Tobel Fr. 30'000.- und ihre Kleider vermachen wolle. Zur Schwester Berta Kofler sagte sie dann aber einmal, "Fr. 30'000.- Tobel und der Thekla das ganze Haus" und ein anderes Mal: "Fr. 30'000.- Tobel und das übrige". Ob sie dabei auch ihre Kleider erwähnt habe, wusste Schwester Berta nicht mehr. Die Erklärungen der Erblasserin gegenüber den beiden Krankenschwestern stimmten in ihrem Wortlaut also nicht genau überein. Derartige Unstimmigkeiten können zu Meinungsverschiedenheiten darüber führen, was die Erblasserin nun eigentlich gewollt habe. Differenzen dieser Art lassen sich nur dadurch vermeiden, dass beide Zeugen bei der Abgabe des letzten Willens gleichzeitig anwesend sind, so dass sie gemeinsam nur eine Willensäusserung zu bestätigen haben. e) Zusammenfassend ist demnach Art. 506 Abs. 2 ZGB mit der Vorinstanz dahin auszulegen, dass die beiden Zeugen bei der Errichtung des Nottestaments gleichzeitig anwesend sein müssen. Entgegen der Meinung der Beklagten handelt es sich hiebei um eine Formvorschrift, deren Verletzung das Testament in der Regel ungültig macht ( BGE 45 II 529 ). Die Formvorschriften beim Nottestament setzen nicht erst nach dem Wegfall der Notsituation ein, sondern sie erstrecken sich schon auf die Abgabe der Willenserklärung gegenüber zwei Zeugen. Wenn die Beklagte geltend macht, ein Nottestament sollte nicht wegen unnötigem Formalismus zu Fall gebracht werden können, ist ihr entgegenzuhalten, dass das schweizerische Recht im Gegensatz zum deutschen keine Bestimmung kennt, wonach Verstösse gegen Formvorschriften der Gültigkeit des Testaments dann nicht entgegenstehen, wenn mit Sicherheit anzunehmen ist, dass das Testament trotz des Formverstosses eine zuverlässige Wiedergabe der Erklärung des Erblassers enthält (§ 2249 Abs. 6 BGB). Nach schweizerischem Recht setzt die Gültigkeit des Nottestaments wie diejenige aller andern letztwilligen Verfügungen die genaue Beobachtung der vom Gesetzgeber aufgestellten Formvorschriften voraus. Deren Verletzung hat, wie erwähnt, in der Regel die Ungültigkeit des Testaments zur Folge. Wo so strenge Formvorschriften gelten, spielt die Überzeugung des Richters von dem, was der Erblasser wollte, keine Rolle, solange die Formvorschriften nicht erfüllt sind ( BGE 45 II 529 ; dazu auch BGE 48 II 37 E. 3 und BGE 104 II 68 S. 74 RASCHEIN, Die Ungültigkeit der Verfügungen von Todes wegen, Diss. Bern 1954 S. 35 und 47). Das gilt für jede Art von Testamenten. Wenn beim Nottestament wie bei jeder andern Verfügungsform die Einhaltung der gesetzlichen Formvorschriften verlangt wird, kann deshalb nicht gesagt werden, das Nottestament werde faktisch beseitigt oder unmöglich gemacht. 3. a) Die Vorinstanz würdigte ausführlich die Aussagen der Krankenschwestern Yvonne Ulmann und Berta Kofler sowie der Hilfsschwester Suhner und gelangte zum Ergebnis, die grössere Wahrscheinlichkeit spreche dafür, dass Schwester Yvonne nicht gehört habe, was die Erblasserin zu Schwester Berta sagte; der Beweis der fehlenden Gleichzeitigkeit müsse daher als erbracht betrachtet werden. Es handelt sich hiebei um Feststellungen tatsächlicher Art, die das Bundesgericht seinem Entscheid zugrunde zu legen hat, sofern sie nicht Offensichtlich auf Versehen beruhen oder unter Verletzung bundesrechtlicher Beweisvorschriften zustande gekommen sind ( Art. 63 Abs. 2 OG ). b) Die Beklagte macht gegenüber der vorinstanzlichen Annahme geltend, es ergebe sich "aus den Akten eindeutig das Gegenteil". Damit will sie offenbar behaupten, die Vorinstanz habe aktenwidrig geurteilt bzw. es sei ihr ein Offensichtliches Versehen unterlaufen. Zur Begründung führt sie in der Berufungsschrift dasselbe aus, was sie in der staatsrechtlichen Beschwerde vorgebracht hat, um darzutun, dass die vorinstanzliche Annahme willkürlich sei. Ein offensichtliches Versehen, das vom Bundesgericht gestützt auf Abs. 63 Abs. 2 OG berichtigt werden könnte, liegt indessen nach der Rechtsprechung nur vor, wenn die Vorinstanz eine bestimmte Aktenstelle übersehen Oder unrichtig (d.h. nicht in ihrer wahren Gestalt, insbesondere nicht mit ihrem wirklichen Wortlaut) wahrgenommen hat ( BGE 99 II 325 /326 mit Hinweisen). Dass dies hier der Fall sei, behauptet die Beklagte zu Recht nicht. Was sie vorbringt, ist unzulässige Kritik an der vorinstanzlichen Beweiswürdigung ( Art. 55 Abs. 1 lit. c OG ). Weiter rügt die Beklagte, die Vorinstanz habe Art. 8 ZGB verletzt, indem sie ihr die Beweislast überbunden habe dafür, dass die beiden Krankenschwestern bei der Erklärung des letzten Willens gleichzeitig anwesend gewesen seien. Diese Rüge ist unbegründet, hat doch die Vorinstanz für das Vorhandensein BGE 104 II 68 S. 75 des fraglichen Formmangels ausdrücklich die Kläger als beweispflichtig bezeichnet. Im übrigen hat die Vorinstanz den massgebenden Sachverhalt auf dem Wege der Beweiswürdigung ermittelt, so dass die Rüge der unrichtigen Beweislastverteilung gegenstandslos ist ( BGE 98 II 86 mit Hinweisen). Wenn der Richter in Fällen, in denen ein direkter Beweis nicht oder nicht mehr erbracht werden kann, seine Überzeugung auf Indizien Oder, wie im vorliegenden Fall, auf einen höheren Grad der Wahrscheinlichkeit stützt, verstösst er nicht gegen Art. 8 ZGB ( BGE 78 II 318 , BGE 75 II 103 , BGE 74 II 205 ), sondern er bleibt im Rahmen seiner freien Beweiswürdigung, die im Berufungsverfahren vor Bundesgericht nicht angefochten werden darf. c) Es ist demnach davon auszugehen, dass die beiden Krankenschwestern nicht gleichzeitig anwesend waren, als die Erblasserin ihren letzten Willen kundgab. Das Nottestament leidet deshalb insofern an einem Formmangel, als der letzte Wille nicht im Sinne von Art. 506 Abs. 2 ZGB "vor zwei Zeugen" erklärt wurde. Wenn die Vorinstanz das Testament aus diesem Grunde für ungültig erklärte, verletzte sie das Bundesrecht nicht. Die Berufung ist deshalb abzuweisen, ohne dass geprüft werden müsste, ob es überdies an dem gemäss Art. 506 Abs. 2 ZGB erforderlichen Auftrag fehle, der letztwilligen Verfügung die nötige Beurkundung zu verschaffen. Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Berufung wird abgewiesen, soweit darauf einzutreten ist, und das Urteil des Obergerichts des Kantons Thurgau vom 24. Januar 1978 bestätigt.
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Urteilskopf 141 V 625 68. Auszug aus dem Urteil der I. sozialrechtlichen Abteilung i.S. A. gegen Öffentliche Arbeitslosenkasse des Kantons Aargau (Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten) 8C_838/2014 vom 29. September 2015
Regeste Art. 14 Abs. 1 lit. b AVIG ; Befreiung von der Erfüllung der Beitragszeit. Obwohl die Arbeitslosenversicherung grundsätzlich weder einen absoluten noch einen relativen Berufsschutz kennt, hatte der Versicherte in der vorliegenden Fallkonstellation keine Veranlassung anzunehmen, die Verwertung der bestehenden Restarbeitsfähigkeit werde von ihm bei weiterer Leistung von Taggeldern der Unfallversicherung ( Art. 16 UVG ) verlangt, weshalb ein Befreiungstatbestand gestützt auf Art. 14 Abs. 1 lit. b AVIG bejaht wurde (E. 4).
Sachverhalt ab Seite 626 BGE 141 V 625 S. 626 A. Der 1973 geborene A. war bis Ende Februar 2010 als Kranführer tätig gewesen. Am 21. März 2010 erlitt er bei einem Treppensturz eine Distorsion am oberen linken Sprunggelenk. Die Schweizerische Unfallversicherungsanstalt (SUVA) gewährte Heilbehandlung und richtete - mit grösseren Unterbrüchen (Juni 2010 bis Oktober 2011) - Taggelder bis 31. Juli 2013 auf der Basis einer vollständigen Arbeitsunfähigkeit aus. Am 2. Dezember 2011 wurde er aufgrund der zurückgebliebenen posttraumatischen Rotatoreninstabilität operativ versorgt (Operationsbericht des Spitals C. vom 13. Dezember 2011). Eine weitere Operation fand am 26. Oktober 2012 zur Entfernung des störenden Osteosynthesematerials statt. Im Anschluss daran erfolgte in Zusammenarbeit mit der Invalidenversicherung eine stationäre Rehabilitation vom 23. Januar bis 5. März 2013 zur beruflichen Abklärung hinsichtlich Arbeitsvermittlung. Die SUVA sprach A. zudem eine Rente der Unfallversicherung ab 1. August 2013 bei einem Invaliditätsgrad von 17 % zu. Am 19. August 2013 beantragte A. Leistungen der Arbeitslosenversicherung, wobei er sich im Ausmass von 80 % einer Vollzeitbeschäftigung dem Arbeitsmarkt zur Verfügung stellte. Mangels Erfüllung der Beitragszeit und fehlender Befreiung von der Erfüllung der Beitragszeit wies die Arbeitslosenkasse des Kantons Aargau mit Verfügung vom 13. November 2013 den Anspruch auf Arbeitslosenentschädigung ab, woran sie auf Einsprache hin festhielt (Einspracheentscheid vom 17. Dezember 2013). BGE 141 V 625 S. 627 B. Die dagegen geführte Beschwerde wies das Versicherungsgericht des Kantons Aargau mit Entscheid vom 14. Oktober 2014 ab. C. A. lässt Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten führen und beantragen, in Aufhebung des vorinstanzlichen Entscheids seien ihm ab 19. August 2013 die gesetzlichen Leistungen zuzusprechen. Die Öffentliche Arbeitslosenkasse beantragt Abweisung der Beschwerde. Das Staatssekretariat für Wirtschaft (SECO) hat sich auf entsprechende Aufforderung des Bundesgerichts hin zur Frage des Vorliegens eines Befreiungstatbestands nach Art. 14 Abs. 1 lit. b AVIG (SR 837.0) geäussert. Das Bundesgericht heisst die Beschwerde gut. Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. Von der Erfüllung der Beitragszeit befreit sind Personen, die innerhalb der Rahmenfrist während insgesamt mehr als zwölf Monaten nicht in einem Arbeitsverhältnis standen und die Beitragszeit nicht erfüllen konnten wegen Krankheit, Unfall oder Mutterschaft, sofern sie in dieser Zeit Wohnsitz in der Schweiz hatten ( Art. 14 Abs. 1 lit. b AVIG ). Nach der Rechtsprechung muss beim gesetzlichen Befreiungstatbestand nach Art. 14 Abs. 1 AVIG ein Kausalzusammenhang zwischen der Nichterfüllung der Beitragszeit und dem Befreiungsgrund vorliegen, wobei das Hindernis mehr als zwölf Monate bestanden haben muss ( BGE 131 V 279 E. 1.2 S. 280 und E. 2.4 S. 283; BGE 130 V 229 E. 1.2.3 S. 231). Da eine Teilzeitbeschäftigung hinsichtlich der Erfüllung der Beitragszeit einer Vollbeschäftigung gleichgestellt ist ( Art. 11 Abs. 4 Satz 1 AVIV [SR 837.02]), liegt die erforderliche Kausalität nur vor, wenn es der versicherten Person aus einem der in Art. 14 Abs. 1 lit. a-c AVIG genannten Gründe auch nicht möglich und zumutbar ist, ein Teilzeitarbeitsverhältnis einzugehen ( BGE 126 V 384 E. 2b S. 387). Art. 14 Abs. 1 lit. b AVIG erfordert damit eine durch Krankheit, Unfall oder Mutterschaft bedingte Arbeitsunfähigkeitsperiode von mehr als einem Jahr, wobei Arbeitsunfähigkeit die durch eine Beeinträchtigung der körperlichen, geistigen oder psychischen Gesundheit bedingte, volle oder teilweise Unfähigkeit ist, im bisherigen Beruf oder Aufgabenbereich zumutbare Arbeit zu leisten; bei langer Dauer wird auch die zumutbare Tätigkeit in einem anderen Beruf oder Aufgabenbereich berücksichtigt ( Art. 6 ATSG [SR 830.1]). BGE 141 V 625 S. 628 3. Streitig ist der Anspruch auf Arbeitslosenentschädigung. Es stellt sich dabei die Frage, ob sich der Beschwerdeführer auf den Befreiungstatbestand von Art. 14 Abs. 1 lit. b AVIG berufen kann, da feststeht, dass er innerhalb der vom 19. August 2011 bis 18. August 2013 dauernden Rahmenfrist für die Beitragszeit ( Art. 9 Abs. 3 AVIG ) nicht während mindestens zwölf Monaten eine beitragspflichtige Beschäftigung ausgeübt hat ( Art. 13 Abs. 1 AVIG ). 3.1 Die Vorinstanz stellte fest, sämtliche involvierten Ärzte gingen übereinstimmend davon aus, dass der Versicherte zwar in seiner zuletzt ausgeübten Tätigkeit als Kranführer vollständig arbeitsunfähig sei, in einer leidensangepassten Tätigkeit (mittelschwere Tätigkeit ohne Gehen auf unebenem Boden) bestehe aber eine uneingeschränkte Arbeitsfähigkeit (Austrittsbericht der Klinik D. vom 14. Mai 2013; SUVA-kreisärztlicher Bericht vom 26. April 2012). Da diese jedoch keine rückwirkende Beurteilung der Arbeitsfähigkeit vorgenommen hätten, sei es, entgegen der Aussage des Hausarztes vom 11. September 2013, möglich, dass der Beschwerdeführer während der Dauer seines Spitalaufenthaltes Ende 2011 nicht in einer Verweisungstätigkeit hätte arbeiten können. Spätestens seit der durch den Kreisarzt im Bericht vom 26. April 2012 festgehaltenen, vollen Arbeitsfähigkeit in einer leidensadaptierten Tätigkeit habe sich der Gesundheitszustand nicht mehr verschlechtert. Selbst wenn der Beschwerdeführer somit in der Zeit vom 24. November 2011 (Datum der in der Rahmenfrist erstmaligen Attestierung einer Arbeitsunfähigkeit) bis 26. April 2012 auch nicht in einer leidensangepassten Tätigkeit arbeitsfähig gewesen wäre, sei dieser Zeitraum von fünf Monaten zu kurz, um sich auf Art. 14 Abs. 1 lit. b AVIG berufen zu können. Es wäre ihm möglich gewesen, während 19 Monaten einer Erwerbstätigkeit nachzugehen, weshalb zwischen dem Unfall vom 21. März 2010 und der nicht erfüllten Beitragszeit keine Kausalität bestehe. 3.2 Der Beschwerdeführer wendet ein, die Vorinstanz verletze Bundesrecht, indem sie davon ausgehe, die blosse Arbeitsunfähigkeit im angestammten Beruf genüge nicht für die Befreiung von der Erfüllung der Beitragspflicht gemäss Art. 14 Abs. 1 lit. b AVIG . Die Unfallversicherung habe ihm einen relativen Berufsschutz gewährt, weshalb ein Berufswechsel nur unter bestimmten, im Urteil des Eidg. Versicherungsgerichts U 301/02 vom 1. Oktober 2003 genannten Voraussetzungen verlangt werden könne. Dieser Schutz gelte BGE 141 V 625 S. 629 auch für arbeitslose, unfallversicherte Personen, die nach Einstellung der Unfallversicherungstaggelder Leistungen der Arbeitslosenversicherung in Anspruch nehmen müssten. Solange der Unfallversicherer in Anwendung von Art. 16 UVG in Verbindung mit Art. 6 ATSG den Taggeldanspruch bejahe, müsse auch die Arbeitslosenversicherung gestützt auf Art. 14 AVIG von der Befreiung der Erfüllung der Beitragszeit ausgehen. Die Bejahung der Arbeitsunfähigkeit des Unfallversicherers begründe somit die erforderliche Kausalität im Sinne von Art. 14 Abs. 1 lit. b AVIG . Hiervon sei das Bundesgericht auch im Urteil 8C_404/2013 vom 14. November 2013 in E. 4 ausgegangen. Der Entscheid der Vorinstanz verletze somit auch das in Art. 41 Abs. 2 BV geregelte Prinzip der Sozialstaatlichkeit und den Vertrauensschutz des Versicherten. Er müsse für den Fortgang des sozialversicherungsrechtlichen Verfahrens, da er unter dem Berufsschutz der Unfallversicherung stehe, auf die Arbeitsunfähigkeitsbeurteilung des Unfallversicherers vertrauen können. Ausserdem sei er zwar ab Mai 2012 medizinisch-theoretisch erwerbsfähig gewesen, eine Neueingliederung sei jedoch weder nach Unfallversicherungsrecht noch aus arbeitslosenversicherungsrechtlicher Sicht zumutbar gewesen, da die Metallentfernung am Fuss mit anschliessender stationärer Rehabilitation dannzumal geplant gewesen sei. Dass sich die Metallentfernung bis Oktober 2012 verzögert habe, sei nicht ihm anzulasten. In der Zeit von Mai 2012 bis zum Ende der Rehabilitation im März 2013 seien die gesundheitlichen Verhältnisse nicht stabil gewesen. 4. 4.1 Ist der Versicherte infolge des Unfalles voll oder teilweise arbeitsunfähig, so hat er nach Art. 16 UVG Anspruch auf ein Taggeld. Bei langer Dauer wird auch die zumutbare Tätigkeit in einem anderen Beruf oder Aufgabenbereich berücksichtigt. Steht fest, dass die versicherte Person unter dem Blickwinkel der Schadenminderungspflicht einen Berufswechsel vorzunehmen hat, so hat der Versicherungsträger sie dazu aufzufordern und ihr zur Anpassung an die veränderten Verhältnisse sowie zur Stellensuche eine angemessene Übergangsfrist einzuräumen, während welcher das bisherige Taggeld geschuldet bleibt. Diese Übergangsfrist ist in der Regel auf drei bis fünf Monate zu bemessen. Die durch die Pflicht zur Schadenminderung gebotene Verwertung der Restarbeitsfähigkeit in einem anderen als dem angestammten Tätigkeitsbereich bildet aber die Ausnahme vom Grundsatz, wonach für die Bemessung der BGE 141 V 625 S. 630 Arbeitsunfähigkeit auf die tatsächliche Einschränkung im zuletzt ausgeübten Beruf abzustellen ist ( BGE 114 V 281 E. 1d S. 283; RKUV 1987 S. 393, U 106/86 E. 2b; Urteil 8C_173/2008 vom 20. August 2008 E. 2.3 mit weiteren Hinweisen). 4.2 Demgegenüber kennt die Arbeitslosenversicherung grundsätzlich weder einen absoluten noch einen relativen Berufsschutz: Die in Art. 15 AVIG für einen Leistungsanspruch verlangte Vermittlungsfähigkeit setzt volle Arbeitsfähigkeit voraus, d.h. die Fähigkeit, im beantragten Umfang zumutbare Arbeit verrichten zu können. Eine Arbeit ist u.a. dann unzumutbar, wenn sie nicht angemessen auf die Fähigkeiten oder die bisherige Tätigkeit der versicherten Person Rücksicht nimmt, oder die Wiederbeschäftigung des Versicherten in seinem Beruf wesentlich erschwert, falls darauf in absehbarer Zeit überhaupt Aussicht besteht ( Art. 16 Abs. 2 lit. b und d AVIG ). Einzig in diesem Ausmass berücksichtigt die Arbeitslosenversicherung die angestammte berufliche Tätigkeit eines Leistungsbezügers, was sich nicht mit dem Begriff des relativen Berufsschutzes in der Unfallversicherung deckt. Verlangt ist die auf dem allgemeinen Arbeitsmarkt verwertbare Arbeitsfähigkeit, wozu es keiner besonderen beruflichen Fähigkeiten bedarf, weshalb der Begriff der Arbeitsfähigkeit in der Arbeitslosenversicherung nicht berufsbezogen ist. Je nach Situation auf dem Arbeitsmarkt kann die versicherte Person daher verpflichtet sein, bereits ab Beginn der Arbeitslosigkeit nicht nur Tätigkeiten im angestammten Bereich, sondern auch anderweitige Arbeit zu suchen (THOMAS NUSSBAUMER, Arbeitslosenversicherung, in: Soziale Sicherheit, SBVR Bd. XIV, 2. Aufl. 2007, S. 2267 ff. Rz. 290 ff.), zumal die Arbeitslosenversicherung eine wesentlich strengere Regelung der Schadenminderungspflicht kennt als die obligatorische Unfallversicherung (RKUV 2004 S. 179, U 301/02 E. 2.2). 4.3 Mit Blick auf die vorliegende Fallkonstellation ergibt sich Folgendes (zur Zulässigkeit sachverhaltlicher Ergänzungen, soweit sie sich ohne weiteres aus den Akten ergeben, vgl. BGE 136 V 362 E. 4.1 S. 366; MEYER/DORMANN, in: Basler Kommentar, Bundesgerichtsgesetz, 2. Aufl. 2011, N. 25 zu Art. 105 BGG ): Mit der erstmaligen Einstellung der Taggeldleistungen Ende Mai 2010 wies die SUVA den Versicherten auf seine Arbeitsfähigkeit auf dem allgemeinen Arbeitsmarkt hin (Schreiben der SUVA vom 19. Mai 2010), worauf er sich bei der Arbeitslosenversicherung zum Leistungsbezug anmeldete und von September 2010 bis Januar 2011 BGE 141 V 625 S. 631 einen Zwischenverdienst als Mitarbeiter in der Produktion erzielte. Mit Schreiben vom 2. März 2011 hielt die SUVA nach einem Gespräch nochmals die weiterhin bestehende volle Arbeitsfähigkeit auf dem allgemeinen Arbeitsmarkt schriftlich fest. Von August bis anfangs November 2011 arbeitete der Beschwerdeführer daraufhin als Kranführer, wobei er angab, auf unebenem Boden immer wieder einzuknicken. Dies führte zur Rückfallmeldung bei der SUVA (Notiz der SUVA vom 24. November 2011). Das weitere Vorgehen machte diese vom Heilungsverlauf nach der geplanten Operation zur Stabilisierung des linken oberen Sprungelenks abhängig. Ab Oktober 2011 bis 31. Juli 2013 leistete die SUVA dementsprechend erneut ein Taggeld auf der Basis einer 100%igen Arbeitsunfähigkeit und orientierte die Arbeitslosenversicherung dahingehend. Die im Monat Mai 2012 in Aussicht gestellte Entfernung des störenden Osteosynthesematerials erfolgte schliesslich erst am 26. Oktober 2012 (Austrittsbericht des Spitals C. vom 26. Oktober 2012). Eine kreisärztliche Untersuchung sollte nach dieser Operation stattfinden (Aktennotiz der SUVA vom 2. April 2012), wurde dann aber bereits am 26. April 2012 durchgeführt, wobei die vom Kreisarzt Dr. med. B. festgestellte vollständige Arbeitsfähigkeit in leidensadaptierten Tätigkeiten dem Versicherten im Beisein der zuständigen Case-Managerin mitgeteilt wurde. Eine Aufforderung, die restliche Arbeitsfähigkeit in einer dem Zumutbarkeitsprofil entsprechenden Verweisungstätigkeit zu verwerten (E. 4.1), unterblieb jedoch. Die SUVA richtete vielmehr weiterhin bis Ende Juli 2013 ein volles Taggeld aus und meldete den Beschwerdeführer zur beruflichen Abklärung in der Klinik D. an. Erst nachdem gestützt hierauf keine weiteren Massnahmen in beruflicher Hinsicht angezeigt waren, schloss sie den Fall ab. 4.4 Auch wenn es dem Versicherten damit gemäss grundsätzlich zutreffender vorinstanzlicher Feststellung, objektiv betrachtet, möglich gewesen wäre, während über eines Jahres innert der Rahmenfrist für die Beitragszeit vom 19. August 2011 bis 18. August 2013 einer beitragspflichtigen Erwerbstätigkeit nachzugehen, bestand für ihn durch die auch nach April 2012 auf der Basis einer vollständigen Arbeitsunfähigkeit ausgerichteten Unfalltaggelder - ohne Aufforderung, sich gemäss kreisärztlicher Feststellung um eine zumutbare Tätigkeit zu bemühen - sowie der nach der Entfernung des Osteosynthesematerials noch geplanten beruflichen Abklärung in der Klinik D., keine Veranlassung anzunehmen, die Verwertung der BGE 141 V 625 S. 632 bestehenden Restarbeitsfähigkeit werde von ihm trotz weiterer Leistung von Taggeldern der Unfallversicherung verlangt. Deshalb besteht gestützt auf Art. 14 Abs. 1 lit. b AVIG ein Befreiungstatbestand. Die Arbeitslosenkasse wird daher über den Anspruch auf Arbeitslosenentschädigung ab Anspruchserhebung nach Prüfung der übrigen Anspruchsvoraussetzungen zu befinden haben.
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Urteilskopf 100 IV 142 36. Urteil des Kassationshofes vom 15. Juli 1974 i.S. Bretscher gegen Staatsanwaltschaft des Kantons Zürich.
Regeste Art. 44 Ziff. 3 Abs. 2 StGB . Wo als "andere sichernde Massnahme" die Einweisung in eine Anstalt im Sinne des Art. 43 StGB in Frage steht, hat der Richter so zu verfahren, wie es Art. 43 Ziff. 1 Abs. 3 vorschreibt, d.h. ein Gutachten einzuholen.
Sachverhalt ab Seite 142 BGE 100 IV 142 S. 142 A.- Max Bretscher wurde vom Obergericht des Kantons Zürich am 5. Oktober 1973 der wiederholten und fortgesetzten Entwendung eines Motorfahrzeugs zum Gebrauch, des wiederholten und fortgesetzten Fahrens in angetrunkenem Zustand, der Gewalt und Drohung gegen Beamte sowie weiterer BGE 100 IV 142 S. 143 Straftaten schuldig erklärt und zu 18 Monaten Gefängnis verurteilt. Das Gericht schob den Vollzug der Strafe auf und wies Bretscher gemäss Art. 44 StGB in eine Trinkerheilanstalt ein. Am 3. April 1974 stellte die Justizdirektion des Kantons Zürich den Vollzug der Massnahme ein, weil Bretscher wiederholt aus den Trinkerheilanstalten entwichen sei und eine Entziehungskur nicht durchzustehen vermöge. Sie ersuchte deshalb das Obergericht des Kantons Zürich, im Sinne von Art. 44 Ziff. 3 Abs. 1 und 2 StGB zu entscheiden. Bretscher beantragte, den Entscheid über einen allfälligen Vollzug der Strafe auszusetzen und ein psychiatrisches Gutachten über ihn einzuholen. B.- Am 6. Mai 1974 ordnete das Obergericht des Kantons Zürich den Vollzug der von ihm am 5. Oktober 1973 ausgesprochenen Freiheitsstrafe an, abzüglich Untersuchungshaft und Dauer des Massnahmevollzugs. C.- Bretscher führt Nichtigkeitsbeschwerde mit dem Antrag, den Beschluss des Obergerichts aufzuheben und dieses anzuweisen, vor Ausfällung eines neuen Entscheids über einen allfälligen Vollzug der Strafe eine psychiatrische Begutachtung anzuordnen. Er ersucht um Gewährung der unentgeltlichen Rechtspflege. Die Staatsanwaltschaft des Kantons Zürich hat sich nicht vernehmen lassen. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Gemäss Art. 44 Ziff. 3 StGB entscheidet der Richter nach Einholung eines Berichtes der Anstaltsleitung, ob und wieweit aufgeschobene Strafen noch vollstreckt werden sollen, wenn sich zeigt, dass der Eingewiesene nicht geheilt werden kann (Abs. 1). An Stelle des Strafvollzuges kann der Richter eine andere sichernde Massnahme anordnen, wenn deren Voraussetzungen erfüllt sind (Abs. 2). Mit der anlässlich der letzten Gesetzesrevision in Absatz 2 eingeführten Neuerung wollte der Gesetzgeber den sichernden Massnahmen vor den Strafen den Vorzug geben, namentlich solchen heilenden oder erzieherischen Charakters. Diese Massnahmen sind nämlich auf besondere Fälle zugeschnitten, in denen von den Tätern nach ihrer Eigenart oder ihren persönlichen Verhältnissen weitere Delikte zu befürchten sind. BGE 100 IV 142 S. 144 Wird solchen Massnahmen vor den Strafen der Vorrang eingeräumt, so besteht am ehesten Aussicht, diese Gefahr auszuschalten, während der Strafvollzug hier kaum einen besonderen spezialpräventiven Erfolg verspricht (GERMANN, Grundzüge der Partialrevision des schweizerischen StGB durch das Gesetz vom 18. März 1971, in ZStR 1971, S. 356/357 und 378/379). Dem muss der Richter Rechnung tragen beim Entscheid, ob gemäss Art. 44 Ziff. 3 StGB die Strafe zu vollziehen oder eine andere sichernde Massnahme anzuordnen sei. Sind die Voraussetzungen für eine solche erfüllt, wird der Richter sie pflichtgemäss anordnen. Die Strafe ist nur zu vollziehen, wo die Möglichkeit der Einwirkung auf den Täter durch eine Massnahme entfällt. 2. Es ist unbestritten, dass sich die von der Vorinstanz am 5. Oktober 1973 angeordnete Einweisung des Beschwerdeführers in eine Trinkerheilanstalt ( Art. 44 Ziff. 1 StGB ) als nutzlos erwiesen hat und dass deshalb die Vorinstanz nach Art. 44 Ziff. 3 StGB verfahren musste. Sie hat sich dabei zutreffend die Frage gestellt, ob nicht statt des Strafvollzugs eine sichernde Massnahme in Betracht falle. Dass die Voraussetzungen für eine Verwahrung nach Art. 42 StGB nicht erfüllt sind, hatte sie schon in ihrem sachrichterlichen Urteil vom 5. Oktober 1973 festgestellt. Sie beschränkte sich deshalb in ihrem neuen Entscheid auf die Prüfung der Frage, ob Bretscher als geistig Abnormer einer Behandlung im Sinne von Art. 43 bedürfe. Sie hat dies verneint unter Hinweis auf die Feststellung des "beigezogenen Psychiaters Dr. Vossen", wonach Bretscher keiner Behandlung in einer psychiatrischen Klinik bedürfe. Von einer psychiatrischen Begutachtung sah sie ab. Hiegegen wendet sich die Beschwerde. 3. Dem Beschwerdeführer ist darin beizupflichten, dass der Richter, der gemäss Art. 44 Ziff. 3 Abs. 2 StGB prüft, ob eine andere sichernde Massnahme anzuordnen sei, die Frage nur beantworten kann, wenn ihm die Grundlagen zur Verfügung stehen, deren er bedürfte, wenn er als Sachrichter bei der ersten Urteilsfällung abklären müsste, ob die Voraussetzungen jener anderen Massnahme ( Art. 42 und 43 StGB ) erfüllt seien. Wo die Einweisung in eine Anstalt im Sinne des Art. 43 StGB in Frage steht, hat er demnach so zu verfahren, wie es Art. 43 Ziff. 1 Abs. 3 StGB vorschreibt. Nach dieser Bestimmung "trifft" der Richter seinen Entscheid aufgrund von Gutachten BGE 100 IV 142 S. 145 über den körperlichen und geistigen Zustand des Täters sowie über die Verwahrungs-, Behandlungs- oder Pflegebedürftigkeit. Wie sich schon aus dem Wortlaut ergibt, ist es nicht ins Ermessen des Richters gestellt, ob er ein solches Gutachten einholen will oder nicht. Er ist vielmehr dazu verpflichtet, sofern erhebliche Gründe die Prüfung der Anwendung von Art. 43 Ziff. 1 StGB nahelegen. Das entspricht auch dem Sinn der Vorschrift. Eine Einweisung in eine Anstalt für geistig Abnorme soll wegen der Tragweite eines solchen Eingriffs nicht leichthin, sondern erst angeordnet werden können, wenn der Richter aufgrund eines sachverständigen Gutachtens in der Lage ist zu entscheiden, welche Massnahme und in welcher Form sie am besten Erfolg verspricht. Aus diesem Grunde verlangt denn auch das Gesetz, dass der Experte sich über den körperlichen und geistigen Zustand des Täters sowie über die Art der Massnahme auszusprechen habe. Das Obergericht hat die Anwendung von Art. 43 Ziff. 1 StGB abgelehnt, ohne ein Gutachten einzuholen. Wohl hat es sich auf einen Bericht von Dr. Vossen berufen, wonach Bretscher keiner Behandlung in einer psychiatrischen Klinik bedürfe. Dr. Vossen ist jedoch vom Obergericht nicht zum Gutachter bestellt worden, und es spricht auch nichts dafür, dass es der Meinung gewesen wäre, Dr. Vossen habe seinen Bericht als Gutachten aufgefasst wissen wollen. Im Gegenteil hat dieser nach seinen eigenen Angaben den Beschwerdeführer "in der Sprechstunde nur kurz untersucht", seinen zweiseitigen Bericht auf diese Untersuchung und eine "kurze Einsichtnahme" in die frühere Krankengeschichte gestützt und ihn "vorbehaltlich einer allfälligen gutachtlichen Stellungnahme" erstattet. Überdies spricht sich der Bericht über den körperlichen Zustand des Beschwerdeführers überhaupt nicht aus und beschränkt sich, was den psychischen Zustand betrifft, auf die Feststellung, Bretscher bedürfe keiner Behandlung in einer psychiatrischen Klinik. Ein solcher Bericht genügt den Anforderungen des Art. 43 Ziff. 1 Abs. 3 StGB nicht. Nachdem das Obergericht sich veranlasst gesehen hatte, die Frage einer Behandlung nach Art. 43 Ziff. 1 StGB zu prüfen, hätte es dem Antrag auf Einholung eines Gutachtens stattgeben müssen. Dafür bestand umso mehr Grund, als schon das Bezirksgericht Zürich in seinem Urteil vom 21. Juni 1973 zum Schluss gelangt war, der Angeklagte benötige eine spezifisch auf seine BGE 100 IV 142 S. 146 Trunksucht ausgerichtete psychiatrische Betreuung, und die Justizidirektion des Kantons Zürich in ihrem Schreiben vom 28. Juni 1973 an die Staatsanwaltschaft auf die Notwendigkeit einer psychiatrischen Begutachtung des Beschwerdeführers hingewiesen hatte, worauf die Staatsanwaltschaft gegen das bezirksgerichtliche Urteil Berufung einlegte mit dem Antrag, es sei vor der Berufungsverhandlung ein psychiatrisches Gut achten einzuholen. 4. Die Beschwerde ist daher gutzuheissen und die Sache an die Vorinstanz zurückzuweisen, damit sie den körperlichen und geistigen Zustand des Beschwerdeführers durch einen Sachverständigen begtachten lasse, wobei sich dieser auch darüber wird aussprechen müssen, ob und in welcher Form eine andere Massnahme als diejenige des Art. 44 zweckmässig sei. Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Nichtigkeitsbeschwerde wird gutgeheissen und die Sache zu neuer Entscheidung im Sinne der Erwägungen an die Vorinstanz zurückgewiesen.
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de
1,974
CH_BGE
CH_BGE_006
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Federation
27c06bd1-cd31-4234-bce6-79f040aa41f4
Urteilskopf 115 IV 104 24. Auszug aus dem Urteil des Kassationshofes vom 26. Mai 1989 i.S. S. gegen Staatsanwaltschaft des Kantons Zürich (Nichtigkeitsbeschwerde)
Regeste Art. 137 StGB ; Diebstahl. Altpapier, welches am Strassenrand bereitgestellt wird, damit es durch eine bestimmte Person oder Organisation abgeholt und verwertet werde, stellt für den Unberechtigten eine fremde Sache dar (E. 1b). Er bricht fremden Gewahrsam, wenn er das Altpapier behändigt (E. 1c).
Erwägungen ab Seite 105 BGE 115 IV 104 S. 105 Aus den Erwägungen: 1. Als Diebstahl wird dem Beschwerdeführer u.a. angelastet, er habe Ende Juli 1985 an verschiedenen Orten in Zürich gezielt ca. drei Tonnen am Strassenrand deponiertes Altpapier (Deliktsbetrag ca. Fr. 350.--) behändigt, welches für die "Gemeinnützige Zürcher Papierabfuhr" bestimmt gewesen sei. Die Daten habe er der im Tagblatt publizierten Sammelliste entnommen. Die Vorinstanz stellte auf die Behauptung des Beschwerdeführers ab, er habe lediglich solche Zeitungsbündel mitgenommen, welche nicht mit einem "P" bezeichnet gewesen seien. Zwar habe die geschädigte Genossenschaft X. in den publizierten Sammellisten darum gebeten, das zu einem Paket gebündelte und verschnürte Altpapier mit einem "P" zu versehen; aber auch bezüglich desjenigen Altpapiers, welches in den fraglichen Stadtkreisen ohne die genannte Bezeichnung am Strassenrand deponiert worden sei, müsse davon ausgegangen werden, dass die Eigentümer es mit der konkludenten Widmung, es einer bestimmten gemeinnützigen Organisation zukommen zu lassen, bereitgestellt hätten. Die Altpapierbündel seien daher keine derelinquierten Sachen gewesen. Der Einwand des Beschwerdeführers, er habe geglaubt, Zeitungsbündel, die nicht mit der Angabe eines bestimmten Empfängers versehen worden seien, dürfe er ohne weiteres an sich nehmen, erweise sich als blosse Schutzbehauptung. Er sei gemäss seiner eigenen Vorstellung davon ausgegangen, das fragliche Altpapier sei von den Eigentümern gerade im Hinblick auf die publizierte Sammelaktion der erwähnten gemeinnützigen Organisation bereitgestellt worden, weshalb der Tatbestand auch in subjektiver Hinsicht erfüllt sei. BGE 115 IV 104 S. 106 a) Gemäss Art. 137 Ziff. 1 StGB begeht einen Diebstahl, wer jemandem eine fremde, bewegliche Sache wegnimmt, um sich oder einen anderen damit unrechtmässig zu bereichern. Es steht ausser Zweifel, dass es sich bei den Altpapierbündeln um bewegliche Sachen handelt und dass der Beschwerdeführer in Bereicherungsabsicht gehandelt hat. Fraglich können nur die Tatbestandsmerkmale der Fremdheit der Sache und der Wegnahme sein. b) Der Beschwerdeführer macht denn auch sinngemäss geltend, davon ausgegangen zu sein, die Papierbündel seien keine "fremden Sachen" im Sinne des Gesetzes, da die ursprünglichen Inhaber ihr Eigentum daran aufgegeben hätten. Eine Sache ist dann "fremd", wenn sie im Eigentum eines anderen als des Täters steht. Kein Eigentum und folglich auch kein fremdes Eigentum besteht an herrenlosen Sachen. Dazu zählen derelinquierte Sachen, d. h. solche, an denen der frühere Eigentümer den Besitz aufgegeben hat in der Absicht, auf das Eigentum zu verzichten. Beispiele dafür sind die liegengelassene Zeitung sowie weggeworfene oder für die Müllabfuhr bereitgestellte Gegenstände (LIVER, Das Eigentum, Schweizerisches Privatrecht V/I, Basel, 1977, S. 344, 399). Wer demgegenüber zugunsten einer bestimmten Person oder Organisation auf das Eigentum an einer Sache verzichtet, derelinquiert nicht; in der Literatur wird diesbezüglich gerade auch die Bereitstellung von Altstoffen zur gutscheinenden Verwertung durch die abholende Person oder Organisation genannt (ZOBL, Zürcher Kommentar, 2. Aufl. Zürich 1977, N. 13a zu Art. 718/719 ZGB und N. 10 zu Art. 729 ZGB ). Folglich handelte es sich bei dem vom Beschwerdeführer behändigten Altpapier um eine fremde Sache. c) In der Nichtigkeitsbeschwerde wird weiter eingewendet, die Argumentation der Vorinstanz sei eine weltfremde, gesuchte juristische Konstruktion, welche der wirklichen Sachlage nicht gerecht werde. Der angefochtene Entscheid verletze Art. 137 Ziff. 1 StGB , soweit er von einer konkludenten Widmung des Altpapiers und damit vom Weiterbestehen des Gewahrsams bzw. der Herrschaftsmöglichkeit und des Herrschaftswillens der Eigentümer ausgehe. aa) Wegnehmen im Sinne von Art. 137 StGB bedeutet den Bruch fremden und die Begründung neuen Gewahrsams. Der Gewahrsam besteht nach der bundesgerichtlichen Rechtsprechung in der tatsächlichen Sachherrschaft, verbunden mit dem Willen, sie auszuüben ( BGE 112 IV 11 mit Hinweisen). Ob Gewahrsam gegeben ist, bestimmt sich nach allgemeinen Anschauungen und den BGE 115 IV 104 S. 107 Regeln des sozialen Lebens (STRATENWERTH, Schweizerisches Strafrecht BT I, 3. Aufl., S. 195, N. 79; NOLL, Schweizerisches Strafrecht BT I S. 133; REHBERG, Strafrecht III, 3. Aufl., S. 32; SCHÖNKE/SCHRÖDER, Strafgesetzbuch, 23. Aufl., N. 23 zu § 242 dtStGB). Die tatsächliche Sachherrschaft kann als unmittelbare, ungehinderte Einwirkungsmöglichkeit auf die Sache umschrieben werden (NOLL, a.a.O., S. 133). Ohne Zweifel behält derjenige, der eine Sache vor seinem Haus am Strassenrand deponiert, die Herrschaft darüber, denn er hat die physisch-reale Möglichkeit, jederzeit darauf einzuwirken (REHBERG, a.a.O., S. 32); der unmittelbaren Verwirklichung seines Einwirkungswillens auf die Sache steht kein Hindernis entgegen (SCHÖNKE/SCHRÖDER, a.a.O., N. 25 zu § 242 dtStGB). Daran ändert nichts, dass die Strasse eine der Allgemeinheit zugängliche Örtlichkeit darstellt; es verhält sich beim zum Abholen bereitgestellten Altpapier des vorliegenden Falles prinzipiell gleich wie bei einem vor dem Haus abgestellten Fahrzeug. Es stellt sich weiter die Frage, ob der Eigentümer noch den Willen hat, die Herrschaft über die Sache auszuüben. Dies ist klarerweise dann zu verneinen, wenn es ihm gleichgültig ist, ob die Müllabfuhr oder irgendwelche Dritte das Altpapier mitnehmen. Für den vorliegenden Fall hat die Vorinstanz jedoch für den Kassationshof verbindlich festgestellt, die Eigentümer hätten beabsichtigt, das bereitgestellte Altpapier "einer bestimmten gemeinnützigen Organisation zukommen zu lassen". Wer aber irgendeine Sache vor das Haus stellt, damit sie von einer bestimmten Person oder Organisation abgeholt werde, ist mit der Aufhebung seines Gewahrsams dann nicht einverstanden, wenn die Sache von einer unbefugten Drittperson behändigt wird (ebenso JENNY, ZBJV 124/1988 S. 420/421). Folglich hat er den Willen, die Herrschaft über die Sache auszuüben, nicht aufgegeben. Das Korrektiv gegenüber einer zu weitgehenden Ausdehnung des Gewahrsams (z.B. im Falle von losen Altpapierhaufen oder von Fahrzeugwracks) gibt der subjektive Tatbestand (NOLL, a.a.O., S. 133). Diesen aber hat die Vorinstanz für den Kassationshof verbindlich als gegeben erachtet. bb) Zu derselben Lösung käme man im übrigen, wenn man darauf abstellen wollte, es müsse zwischen dem Ort, an welchem sich die Sache befindet, und der Art der Sache ein funktioneller Zusammenhang bestehen (vgl. SCHÜRMANN, in recht, 1988, S. 33 FN 19 und S. 34 FN 24, je mit Hinweis auf NOLL). Gebündeltes BGE 115 IV 104 S. 108 und verschnürtes Altpapier, welches einer gemeinnützigen Organisation zukommen soll, wird im Falle organisierter Sammelaktionen regelmässig zur Abholung auf dem Trottoir vor dem Haus bereitgestellt. Der Strassenrand ist m.a.W. der eindeutig bestimmungsgemässe Ort zur Deponierung des abholbereiten Altpapiers, ähnlich wie es sich z.B. bei einem Holzstoss im Wald verhält (vgl. SCHÜRMANN, a.a.O., S. 33). Insoweit besteht im vorliegenden Fall ein funktioneller Zusammenhang; anders wäre es demgegenüber etwa bei dem in der Literatur erwähnten, auf der Strasse liegenden Taschentuch (NOLL, a.a.O., S. 133). d) Gesamthaft gesehen verletzte die Vorinstanz kein Bundesrecht, wenn sie die Altpapierbündel als fremde Sachen betrachtete und in deren Behändigung durch den dazu nicht berechtigten Beschwerdeführer einen Gewahrsamsbruch erblickte. Die Beschwerde ist abzuweisen.
null
nan
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1,989
CH_BGE
CH_BGE_006
CH
Federation
27cbaaf7-9ae0-42e7-a015-1b4b8642cb06
Urteilskopf 110 V 7 2. Auszug aus dem Urteil vom 20. Januar 1984 i.S. R. gegen Ausgleichskasse des Kantons St. Gallen und Versicherungsgericht des Kantons St. Gallen
Regeste Art. 25 Abs. 1 AHVV . Fallen der Eintritt einer Veränderung der Einkommensgrundlage und der Eintritt einer wesentlichen Veränderung der Einkommenshöhe zeitlich auseinander, so ist das ausserordentliche Bemessungsverfahren anzuwenden, wenn zwischen den beiden Veränderungen ein adäquater Kausalzusammenhang besteht. Unerheblich ist, ob die beiden Veränderungen im gleichen Beitragsjahr (Kalenderjahr) eintreten.
Sachverhalt ab Seite 7 BGE 110 V 7 S. 7 A.- Ruth R. führt seit dem 1. April 1969 einen Hundesalon; sie wird seither AHV-rechtlich als Selbständigerwerbende erfasst. Die Ausgleichskasse des Kantons St. Gallen setzte ihre Beiträge für die Jahre 1976/77 auf einem beitragspflichtigen Jahreseinkommen von Fr. 13'800.-- und für die folgenden Jahre bis und mit 1981 auf einem Einkommen von je Fr. 15'000.-- fest. In der Folge ergab sich aus einer Meldung der kantonalen Steuerverwaltung, dass die Versicherte vom Mai 1977 bis Dezember 1980 auch ein Geschäft mit Magnetschildern führte. Daraufhin erliess die Ausgleichskasse für die Jahre 1978 bis und mit 1981 mehrere Nachtragsverfügungen, während sie für 1977 wegen geringfügiger Einkommensdifferenz auf eine Korrektur verzichtete. Unter anderem verfügte sie am 19. März 1981 eine Neufestsetzung der Beiträge für die Jahre 1978/79 aufgrund eines Jahreseinkommens von Fr. 27'700.-- bzw. Fr. 22'100.--. Zur Begründung der Beitragsneufestsetzung wurde ausgeführt, nach Art. 25 AHVV müsse die Verwaltung bei einer Änderung der Einkommensgrundlagen eine Neueinschätzung ab Eintritt der Änderung (1. Mai 1977) vornehmen; BGE 110 V 7 S. 8 eine Einkommensgrundlagenänderung liege vor, wenn sich das Erwerbseinkommen z.B. infolge des Hinzutritts einer Einkommensquelle dauernd verändert habe und dadurch die Höhe des Einkommens wesentlich beeinflusst werde. B.- Beschwerdeweise machte die Versicherte geltend, die Nachforderung für die Jahre 1978/79 gemäss Verfügung vom 19. März 1981 sei zu hoch. Das Versicherungsgericht des Kantons St. Gallen hiess die Beschwerde mit Entscheid vom 18. Februar 1982 unter Aufhebung der angefochtenen Nachforderungsverfügung im Sinne der Erwägungen teilweise gut und wies die Sache zur Neuberechnung der Beiträge an die Verwaltung zurück. C.- Mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde stellt die Versicherte sinngemäss den Antrag, vorinstanzlicher Entscheid und Nachforderungsverfügung vom 19. März 1981 seien aufzuheben. Während die Ausgleichskasse auf Abweisung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde, Aufhebung des vorinstanzlichen Entscheides und Wiederherstellung ihrer Verfügung vom 19. März 1981 schliesst, beantragt das Bundesamt für Sozialversicherung (BSV), die Verwaltungsgerichtsbeschwerde sei gutzuheissen und die Akten seien an die Verwaltung zurückzuweisen, damit diese die von der Versicherten für die Jahre 1978/79 geschuldeten persönlichen Beiträge im ordentlichen Verfahren neu festsetze. Erwägungen Aus den Erwägungen: 3. a) In materieller Hinsicht stellt sich die Frage, ob die Ausgleichskasse in der angefochtenen Nachforderungsverfügung vom 19. März 1981 zu Recht das ausserordentliche Bemessungsverfahren angewandt hat. Während die Vorinstanz in ihrem Entscheid, in welchem sie die Bestimmungen über das ausserordentliche Bemessungsverfahren zutreffend darlegt, das Vorliegen der vier Voraussetzungen für eine Zwischentaxation ( BGE 106 V 76 Erw. 3a) bejaht, macht das BSV geltend, es fehle zur Vornahme einer Neueinschätzung auf den 1. Mai 1977 die wesentliche Veränderung der Einkommenshöhe; aber auch auf den 1. Januar 1978 sei eine Neueinschätzung nicht zulässig, weil zu diesem Zeitpunkt keine Veränderung der Einkommensgrundlagen stattgefunden habe. b) Wenn der Eintritt einer Veränderung der Einkommensgrundlage und der Eintritt einer wesentlichen Veränderung der Einkommenshöhe zeitlich auseinanderfallen, ist für die Frage, ob das ausserordentliche Bemessungsverfahren nach Art. 25 Abs. 1 AHVV BGE 110 V 7 S. 9 überhaupt anwendbar sei, das Vorliegen eines adäquaten Kausalzusammenhanges zwischen den erwähnten Veränderungen entscheidend. Im Rahmen der Beurteilung des adäquaten Kausalzusammenhanges kann der Zeitraum zwischen einer Änderung der Einkommensgrundlage und einer wesentlichen Änderung der Einkommenshöhe eine gewisse Rolle spielen, indem die Adäquanz mit zunehmendem Zeitabstand allenfalls geringer wird. Unerheblich ist, ob die Änderung der Einkommensgrundlage und die wesentliche Änderung der Einkommenshöhe im gleichen Beitragsjahr (Kalenderjahr) stattfinden. c) Mit der Ausgleichskasse ist davon auszugehen, dass die am 1. Mai 1977 eingetretene Änderung der Einkommensgrundlage (Übernahme des Magnetschilder-Geschäftes) in den acht Monaten des Jahres 1977 nur eine unbedeutende Einkommensänderung bewirkte, weshalb das ausserordentliche Bemessungsverfahren für jene Zeit nicht anwendbar ist. Streitig sind denn auch nur die nachgeforderten persönlichen Beiträge für die Jahre 1978 und 1979. Das Jahr 1979 gilt als Vorjahr der nächsten ordentlichen Beitragsperiode 1980/81, für welches die Beiträge aufgrund des reinen Erwerbseinkommens festgesetzt werden, das der Beitragsbemessung für diese Periode zugrunde zu legen ist ( Art. 25 Abs. 3 AHVV ). Daher ist einzig zu prüfen, ob im Jahr 1978 eine wesentliche Änderung der Einkommenshöhe, d.h. von mindestens 25% ( BGE 105 V 118 ) stattgefunden hat, für welche die Änderung der Einkommensgrundlage vom 1. Mai 1977 adäquat kausal ist. Angesichts der gemäss Steuermeldungen vom 20. August 1979 bzw. 10. November 1980 ausgewiesenen Einkommen von Fr. 15'000.-- im Jahr 1976 bzw. Fr. 17'000.-- im Jahr 1977 und Fr. 27'000.-- im Jahr 1978 trifft dies zu. Verwaltung und Vorinstanz wandten somit das ausserordentliche Bemessungsverfahren für 1978 zu Recht an ...
null
nan
de
1,984
CH_BGE
CH_BGE_007
CH
Federation
27cee693-d421-4bdc-bfec-423a51522e43
Urteilskopf 86 III 134 32. Urteil der II. Zivilabteilung vom 30. September 1960 i.S. Frau E. gegen D.
Regeste Widerspruchsverfahren. Art. 106-109 SchKG . 1. Vom kantonalen Recht bestimmter Gerichtsstand. Beilegung interkantonaler Gerichtsstandskonflikte durch das Bundesgericht ( Art. 5 und 113 Abs. 1 Ziff. 2 BV ). Mit welchem Rechtsmittel ist ein solcher Konflikt in Zivilsachen vor das Bundesgericht zu bringen? Ist hiefür die Berufung (nach Art. 48 und 49 OG ) bzw. die Nichtigkeitsbeschwerde (nach Art. 68 Abs. 1 lit. b OG ) oder aber die staatsrechtliche Klage (nach Art. 83 lit. b OG ) oder Beschwerde (nach Art. 84 Abs. 1 lit. d OG ) gegeben? Frage offen gelassen. Kein negativer Konflikt liegt vor, wenn das vom Kläger angerufene Gericht die kantonale Norm, die seine Zuständigkeit an und für sich nur für einen Teil der Streitsache begründen würde, mit Rücksicht auf den Sachzusammenhang und zur Vermeidung eines solchen Konfliktes ausdehnend auslegt und sich für die ganze Streitsache als zuständig erklärt. (Erw. 1.) 2. Hat der Gläubiger die Klage nach Art. 109 SchKG versäumt oder nicht ordnungsgemäss angehoben, und ist es daher nicht zu einem Sachurteil gekommen, so steht ihm zu, in einer neuen Betreibung eine übereinstimmende Klage nunmehr ordnungsgemäss anzuheben. Abweisung der. Einrede der abgeurteilten Sache. (Erw. 2.)
Sachverhalt ab Seite 135 BGE 86 III 134 S. 135 A.- D. führt gegen E. für Fr. 10'000.-- eine ordentliche Betreibung (Nr. 44'751) durch das Betreibungsamt Frauenfeld. Der Schuldner wohnt im Bezirk dieses Amtes, nämlich im thurgauischen Kefikon an der Zürcher Grenze. Jenseits dieser Grenze, im zürcherischen Kefikon, betreibt er zusammen mit seiner güterrechtlich getrennten Ehefrau Landwirtschaft auf Grundstücken, welche die Ehefrau gepachtet hat. Gepfändet wurden durch das Betreibungsamt Frauenfeld im thurgauischen Dorfteil drei Sachen im Schätzungswert von Fr. 410.-- und requisitionsweise durch das Betreibungsamt Bertschikon im zürcherischen Dorfteil Vieh und Gebrauchsgegenstände im Gesamtwert von rund Fr. 26'000.--. Des Schuldners Ehefrau sprach sowohl die am Wohnort wie auch die auf dem Pachtgut gepfändeten Gegenstände als ihr Eigentum an. Mit Rücksicht hierauf setzte das Betreibungsamt Frauenfeld dem Gläubiger gemäss Art. 109 SchKG zehn Tage Frist, "innert welcher er die Ansprüche durch Einleitung gerichtlicher Klage anfechten kann". B.- D. erhob gegen die Ansprecherin beim Friedensrichteramt Frauenfeld und dann beim dortigen Bezirksgericht BGE 86 III 134 S. 136 Klage auf "Aberkennung" des von ihr erhohenen Eigentumsanspruchs an den Pfändungsgegenständen Nr. 1 bis 3 (in Kefikon TG) und Nr. 5 - 24 (in Kefikon ZH). Das Bezirksgericht Frauenfeld hiess die Klage in bezug auf alle streitigen Gegenstände ausser den Nummern 21 und 24 gut. Das Obergericht des Kantons Thurgau, an das die Beklagte die Sache weiterzog, bestätigte dieses Urteil durch Entscheid vom 12. Juli 1960. Es verwarf sowohl die Einrede der Unzuständigkeit der thurgauischen Gerichte, die die Beklagte mit Hinweis auf den zürcherischen Standort des überwiegenden Teils der Pfändungsgegenstände erhoben hatte, wie auch die Einrede der abgeurteilten Sache, die sich auf eine wenigstens teilweise dieselben Gegenstände betreffende frühere Streitigkeit gleicher Art zwischen denselben Parteien bezog. D. hatte nämlich die gleiche Forderung schon 1956/57 in Betreibung gesetzt, als der Schuldner noch in Niederbüren, Bezirk Wil, Kanton St. Gallen, wohnte. Nachdem ihm dort bereits die Pfändung angekündigt worden war, verzog der Schuldner nach Diepoldsau im st. gallischen Rheintal, wo es zur requisitionsweisen Pfändung kam. Gegenüber der Eigentumsansprache der Ehefrau des Schuldners hatte der Gläubiger beim Bezirksgericht Unterrheintal Klage nach Art. 109 SchKG erhoben. Indessen hatte das Kantonsgericht St. Gallen am 29. Januar 1959 erkannt, auf die Klage werde mangels örtlicher Zuständigkeit nicht eingetreten. C.- Mit vorliegender Berufung an das Bundesgericht stellt die Beklagte die Anträge: "1. Es sei die Klage abzuweisen, das Urteil der Vorinstanz aufzuheben und die Einrede der Unzuständigkeit der thurgauischen Gerichte gutzuheissen. 2. Eventuell habe durch die nicht rechtzeitige Einreichung der Widerspruchsklage gemäss Pfändungsurkunde vom 20. Juli 1957 die Eigentumsansprache der Beklagten und Berufungsklägerin Frau E. als anerkannt zu gelten, und es sei die Einrede der abgeurteilten Sache gutzuheissen." Zur Begründung des Hauptantrages wird einzig die Gerichtsstandseinrede wieder aufgenommen. Dieser Antrag BGE 86 III 134 S. 137 ist also bloss dahin zu verstehen, auf die Klage sei wegen Unzuständigkeit der thurgauischen Gerichte nicht einzutreten. Der Eventualantrag stützt sich auf den Ausgang des frühern, in der Betreibung von Niederbüren eingeleiteten und vor den st. gallischen Gerichten angehobenen Widerspruchsverfahrens. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Fragen der örtlichen (oder sachlichen) Zuständigkeit der Behörden können dem Bundesgericht durch das Rechtsmittel der Berufung (oder der Nichtigkeitsbeschwerde nach Art. 68 Abs. 1 lit. b OG ) nur unterbreitet werden, wenn eine Zivilrechtsstreitigkeit bzw. Zivilsache vorliegt und eine Verletzung bundesrechtlicher Zuständigkeitsnormen gerügt wird. Mit einer Zivilrechtsstreitigkeit hat man es beim Widerspruchsverfahren nach Art. 106 bis 109 SchKG zweifellos zu tun, wenn, wie hier, ein zivilrechtlicher Anspruch im Streit liegt und daher nicht etwa eine Verwaltungs- oder Verwaltungsjustizbehörde ausschliesslich zuständig ist (vgl. BGE 68 III 21 ). Die örtliche Zuständigkeit der zur Beurteilung solcher zivilrechtlicher Klagen berufenen Gerichte ist aber vom SchKG nicht geregelt worden. Als bundesrechtliche Gerichtsstandsnorm wäre freilich auch eine nicht ausdrücklich im Gesetz enthaltene, aber doch aus der Rechtsnatur der Klage abzuleitende und allenfalls durch Heranziehung anderer Gerichtsstandsnormen auf dem Weg der Analogie näher zu bestimmende Regel anzuerkennen. Das nehmen denn auch für die Klagen nach Art. 107 und 109 SchKG einige Autoren an (namentlich JAEGER, auch JAEGER/DAENIKER, N. 5 E zu Art. 107 und N. 9 zu Art. 109 SchKG , und BLUMENSTEIN, Handbuch, S. 393). Sie wollen wegen der betreibungsrechtlichen Wirkungen dieser Klagen den Betreibungsort als bundesrechtlichen Gerichtsstand anerkannt wissen (womit die Ablehnung der Gerichtsstandseinrede durch die Vorinstanzen im vorliegenden Falle voll gerechtfertigt BGE 86 III 134 S. 138 wäre), während die Berufungsklägerin den nach Anzahl und Wert der streitigen Gegenstände überwiegenden Sachort als massgebenden Gerichtsstand betrachtet. Allein die ständige Rechtsprechung verneint das Bestehen eines bundesrechtlichen Gerichtsstandes für solche Klagen. Sie zieht in Betracht, dass diese Klagen neben betreibungsrechtlichen auch dingliche Elemente aufweisen, beim Streit um Forderungen ausserdem obligatorische, weshalb es für den Bundesgesetzgeber durchaus nicht ausgemacht war, dass als Gerichtsstand nur der Betreibungsort und nicht der (mit dem Sachort zur betreffenden Zeit zusammenfallende) Ort des Pfändungsvollzugs als solchen oder auch der (damit nicht notwendig zusammenfallende) Sachort zur Zeit der Klage oder endlich der Wohnort des Beklagten anzuerkennen sei. Wenn das SchKG dennoch keine ausdrückliche Regelung getroffen hat, so ist anzunehmen, es habe die Bestimmung des Gerichtsstandes für solche Klagen dem kantonalen Prozessrecht anheim geben wollen (vgl. BGE 25 I 37 , BGE 51 I 197 , BGE 81 III 9 /10). Auf Art. 59 BV könnte sich die Beklagte nur mit staatsrechtlicher Beschwerde berufen (laut dem in Art. 49 und ebenso in Art. 68 Abs. 1 lit. b OG ausgesprochenen Vorbehalt). Sie hatte dazu natürlich keine Veranlassung, da die thurgauischen Gerichte ja diejenigen ihres Wohnsitzkantons sind und sie mit ihrer Einrede gerade einen von ihrem Wohnsitz verschiedenen Gerichtsstand in Anspruch nehmen will. Übrigens unterstehen Widerspruchsklagen nur dann dem Art. 59 BV , wenn, anders als im vorliegenden Falle, Forderungen im Streit liegen ( BGE 36 I 44 , BGE 51 I 198 , BGE 75 I 34 Erw. 1), und zwar nur Klagen nach Art. 109 gegen den Drittansprecher, nicht auch solche nach Art. 107 SchKG , wobei der Drittansprecher als Kläger auftritt ( BGE 58 I 232 ). Beim Fehlen einer bundesrechtlichen Gerichtsstandsnorm im eigentlichen Sinn (handle es sich um die Bestimmung des Gerichtsstandes überhaupt oder doch des Kantons, dem die Gerichtsbarkeit für Klagen der vorliegenden Art BGE 86 III 134 S. 139 zukomme) kann aber das Bundesgericht nur zur Beilegung allfälliger interkantonaler Gerichtsstandskonflikte angerufen werden (abgesehen von der staatsrechtlichen Beschwerde wegen willkürlicher Anwendung kantonaler Gerichtsstandsregeln). Die Berufungsklägerin behauptet denn auch, es bestehe ein negativer Konflikt zwischen der thurgauischen und der zürcherischen Gerichtsbarkeit. Sie weist darauf hin, dass Klagen im Sinne der Art. 107 und 109 SchKG nach § 16 der thurgauischen ZPO "beim Gerichte des die Pfändung oder den Arrest vollziehenden Betreibungsamtes", dagegen nach § 7 Ziff. 2 und 3 der zürcherischen ZPO "beim Gerichte des Ortes der Betreibung" anzubringen sind. Es ist zuzugeben, dass sich unter Umständen aus solcher Verschiedenheit der kantonalen Gerichtsstandsregeln ein interkantonaler Konflikt ergeben kann. Indessen erhebt sich vorweg die Frage, ob solche Konflikte als Verletzung eidgenössischer Zuständigkeitsnormen zu bezeichnen seien und daher mit Berufung gemäss Art. 48/49 OG bzw. Nichtigkeitsbeschwerde gemäss Art. 68 OG dem Bundesgericht unterbreitet werden können, oder ob dafür nur die staatsrechtliche Beschwerde nach der weiter gefassten Vorschrift des Art. 84 Abs. 1 lit. d OG "wegen Verletzung bundesrechtlicher Vorschriften über die Abgrenzung der sachlichen oder örtlichen Zuständigkeit der Behörden" (neben staatsrechtlicher Klage von Behörden nach Art. 83 lit. b OG ) zur Verfügung stehe. Der ersten Ansicht ist GULDENER (Das internationale und interkantonale Zivilprozessrecht der Schweiz, S. 79 N. 254), der davon ausgeht, dem Bundesgericht liege - was die erwähnte Rechtsprechung nicht annimmt - beim Fehlen bundesgesetzlicher Gerichtsstandsnormen wenigstens die Aufstellung bestimmter Regeln für die Abgrenzung der kantonalen Gerichtsbarkeiten, nicht nur die Beilegung interkantonaler Konflikte, ob (vgl. auch GULDENER, Schweizerisches Zivilprozessrecht, 2. Auflage, S. 61 ff.). Andere Autoren zählen die in Frage stehenden Konfliktsfälle zu den staatsrechtlichen Streitigkeiten, zu deren Erledigung das Bundesgericht BGE 86 III 134 S. 140 infolge der bundesstaatlichen Gliederung der Schweiz nach Art. 5 und 113 Abs. 1 Ziff. 2 BV berufen ist gemäss der Ausführungsnorm des Art. 83 lit. b OG (und den spezielleren Vorschriften der lit. d und e, teilweise auch c daselbst) sowie der bereits erwähnten, die Befugnis des betroffenen Bürgers zur staatsrechtlichen Beschwerde festlegenden Vorschrift des Art. 84 Abs. 1 lit. d OG (so FRITZSCHE, Schuldbetreibung, Konkurs und Sanierung I 201, mit Hinweis auf die letztere Bestimmung, und die dort in N. 325 angeführten Autoren; GIACOMETTI, Verfassungsgerichtsbarkeit, S. 192 mit N. 24 und S. 245 mit N. 43; vgl. auch die in erster Linie an Art. 5 BV anknüpfende Begründung der bundesgerichtlichen Zuständigkeit zur Lösung interkantonaler Gerichtsstandskonflikte in BGE 33 I 363 Erw. 6 = = Sep.-Ausg. 10 S. 170, wobei ebenfalls eine Klage nach Art. 109 SchKG vorlag; vgl. ferner BGE 72 I 11 ). Die Frage nach dem zutreffenden Rechtsmittel mag indessen offen bleiben, weil der angefochtene Entscheid des thurgauischen Obergerichts gar keinen interkantonalen Konflikt schafft, sondern ihn gerade vermeidet. Das angefochtene Urteil bejaht nämlich die Zuständigkeit der thurgauischen Gerichte aus folgenden Gründen: "Nach § 16 der thurgauischen ZPO sind Widerspruchsklagen beim Gericht des die Pfändung vollziehenden Betreibungsamtes anzubringen. Da die Positionen 1-3 auf dem thurgauischen Gebiet der Gemeinde Kefikon vom Betreibungsamt Frauenfeld gepfändet worden sind, ergibt sich für diese Gegenstände auf jeden Fall die Zuständigkeit des angerufenen Bezirksgerichts Frauenfeld. Für die übrigen auf Zürcher Boden gepfändeten Gegenstände lässt sich aber nicht einfach der zürcherische Gerichtsstand anrufen. Die Zivilprozessordnung des Kantons Zürich stellt nämlich nicht auf den Ort des Pfändungsvollzuges ab, sondern auf den Ort der Betreibung. Die Behörden des Kantons Zürich müssten deshalb gestützt auf ihr kantonales Recht die Behandlung einer Widerspruchsklage ablehnen. Nach der bundesgerichtlichen Rechtsprechung ( BGE 34 I 729 , BGE 58 I 233 , BGE 81 III 10 ) geht im Konfliktfall der kantonale Gerichtsstand des sogenannten Sachortes demjenigen des Betreibungsortes vor. Die zitierten Entscheide betreffen jedoch Tatbestände, wo Betreibungsort und Sachort gänzlich auseinanderfallen. In der hier zu beurteilenden Streitsache ist wenigstens für einen Teil der gepfändeten Gegenstände der Sachort mit dem Betreibungsort identisch und der thurgauische Gerichtsstand gegeben. In bezug auf die im thurgauischen Dorfteil von Kefikon gelegenen Gegenstände BGE 86 III 134 S. 141 sind die zürcherischen Gerichte von der Beurteilung ausgeschlossen. Den Kläger aber zu zwingen, zwei Prozesse in verschiedenen Kantonen zu führen, erscheint schlechterdings unzumutbar. Mit Recht hat die Vorinstanz die Einheit der Widerspruchsklage dadurch betont, dass sie das für einen Teil der Gegenstände unzweifelhaft feststehende Forum Frauenfeld zur Behandlung der ganzen Streitsache auch in bezug auf die im zürcherischen Kefikon gelegenen Sachen zuständig erklärt hat. Diese Lösung ist im zürcherisch-thurgauischen Verhältnis umso angebrachter, als das zürcherische Recht selbst den Betreibungsort als Klageort bezeichnet und hier somit gleichfalls auf Kefikon TG als Gerichtsstand für die auf Zürchergebiet gelegenen Sachen hinweisen würde." Vom Standpunkt des Bundesrechts aus ist dagegen nichts einzuwenden. Gewiss gibt die Rechtsprechung bei interkantonalen Konflikten betreffend den Gerichtsstand einer Klage nach Art. 107 und 109 SchKG grundsätzlich (jedenfalls bei positivem Konflikt, wie er hier nicht in Frage kommt) der Gerichtsbarkeit des Kantons des Sachortes den Vorrang vor der Gerichtsbarkeit des Kantons des Betreibungsortes. Immerhin blieb vorbehalten, "ob daneben nicht auch der Gerichtsstand des Wohnortes des Beklagten anzuerkennen sei" ( BGE 34 I 729 = Sep.-Ausg. 11 S. 260), welcher Wohnort sich im vorliegenden Falle, vereint mit dem Betreibungsort und dem Ort eines Teils, wenn auch des kleineren und weniger wertvollen, der streitigen Sachen, im Kanton Thurgau befindet. Indessen ist hier eben kein interkantonaler Gerichtsstandskonflikt entstanden, weil die Vorinstanzen sich dazu bereit gefunden haben, den für einen Teil der streitigen Gegenstände unzweifelhaft gegebenen thurgauischen Gerichtsstand auch für die rechtshilfeweise auf Zürcher Boden gepfändeten Sachen von höherem Gesamtwert anzuerkennen und damit dem auf eigenem Gebiet liegenden Betreibungsort Rechnung zu tragen, an den die zürcherische ZPO ihrerseits solche Klagen weist. Diese Entscheidung beruht auf der Anwendung einer kantonalen Gerichtsstandsnorm, der auf dem Wege der Auslegung und Lückenausfüllung eine über ihren Wortlaut hinausgehende Tragweite gegeben wird. Das Obergericht berücksichtigt das Postulat eines einheitlichen Gerichtsstandes des Sachzusammenhanges und glaubt hiebei das Schwergewicht, das nach Zahl und Wert der streitigen BGE 86 III 134 S. 142 Gegenstände im Kanton Zürich läge, in entgegenkommender Berücksichtigung der zürcherischen Gerichtsstandsordnung an den thurgauischen Betreibungsort - und zugleich Wohnort der Beklagten - verlegen zu sollen. Diese auf kantonalem Recht beruhende, zur Vermeidung eines negativen Gerichtsstandskonfliktes mit dem Nachbarkanton führende Entscheidung gibt nach dem Gesagten keine Veranlassung zur Anrufung des Bundesgerichts (abgesehen von der Möglichkeit einer Rüge willkürlicher Ausdehnung eines kantonalen Gerichtsstandes durch staatsrechtliche Beschwerde, die aber nicht erhoben worden ist und wozu die als Einwohnerin des Kantons Thurgau in keinen ernstlichen Interessen betroffene Beklagte auch wohl nicht befugt wäre). 2. Auch die Einrede der abgeurteilten Sache lässt sich nicht halten. Sie fällt von vornherein nur in Betracht, soweit die in der jetzt hängigen Betreibung Nr. 44'751 von Frauenfeld gepfändeten Gegenstände mit den seinerzeit in der Betreibung Nr. 1034 von Niederbüren gepfändeten übereinstimmen. Aber auch soweit dies zutrifft, ist die Einrede gänzlich unbegründet. Im Einklang mit der herrschenden Lehre schreibt die ständige Rechtsprechung dem Urteil im Widerspruchsprozess Rechtskraftwirkung (materielle Rechtskraft) nur für die Betreibung zu, in deren Verlauf es ergangen ist ( BGE 44 III 209 : "feststehender Grundsatz"; so auch neulich BGE 85 III 62 Mitte). Vorbehalten blieb der (hier nicht gegebene) Fall des Urteils über die Klage eines Drittansprechers nach Art. 107 SchKG gegen den Schuldner selbst, dem nach einer Lehrmeinung "objektive" Rechtskraft über die konkrete Betreibung hinaus zukommen soll (vgl. JAEGER/DAENIKER, N. 5 C zu Art. 107 SchKG ). Ferner ist die Reflexwirkung des Urteils auf materiellrechtliche Verhältnisse zu beachten, die sich bei Ablehnung des Dritteigentums darin äussert, dass der streitig gewesene Gegenstand nun als Vermögensstück des Schuldners verwertet, also gültig auf einen Ersteigerer oder Freihandkäufer übertragen werden kann, und bei Ablehnung BGE 86 III 134 S. 143 eines beschränkten dinglichen Rechtes darin, dass Verwertung und Verteilung ohne Berücksichtigung eines solchen Vorzugsrechts erfolgen können (vgl. BLUMENSTEIN, Handbuch, S. 391). Konnte aber der Drittanspruch mit Erfolg geltend gemacht werden, so kommt es, wenn es um das Alleineigentum ging, gar nicht zur Verwertung der betreffenden Sache. Daher steht, wenn rechtskräftige Erledigung der Ansprache nur für die Betreibung, in der das Verfahren nach Art. 106 bis 109 SchKG stattfand, angenommen wird, nichts entgegen, die nämliche Sache in einer gegen denselben Schuldner gerichteten neuen Betreibung wiederum zu pfänden und über den Drittanspruch nochmals ein Widerspruchsverfahren durchzuführen. Das ist allerdings nicht unbestritten. Im Gegensatz zur erwähnten Rechtsprechung tritt GULDENER (ZSR NF 74 I 43 ff. und Schweizerisches Zivilprozessrecht, 2. Auflage, S. 303 N. 19 b) dafür ein, dass dem Urteil im Widerspruchsprozess eine weitergehende Rechtskraft zuerkannt werde. Nach seiner Ansicht ist Ziel der Klage (um das Eigentum) "die richterliche Zulässigerklärung bzw. Unzulässigerklärung einer Pfändung des streitigen Objektes zum Zwecke der Durchsetzung der in Betreibung stehenden Forderung schlechthin", nicht nur in der konkreten Betreibung, die zum Widerspruchsverfahren führte. Dem Urteil komme daher materielle Rechtskraft auch in spätern Betreibungen zu, "sofern sich in der spätern Betreibung die gleichen Parteien oder ihre Rechtsnachfolger gegenüberstehen und keine Änderung der Rechtslage behauptet wird" (S. 48 - 50 der ersterwähnten Abhandlung). Es ist fraglich, ob sich eine solche Lösung mit der gesetzlichen Ordnung vereinen lässt, wonach das Widerspruchsverfahren als Zwischenverfahren einer bestimmten Betreibung erscheint und nur im Hinblick auf deren weitern Verlauf eingeleitet wird (vgl. FRITZSCHE I S. 202/3). Die betreibungsamtlichen Fristansetzungen erfolgen zu keinem andern Zweck, und das Interesse des betreibenden Gläubigers an der mehr oder weniger hartnäckigen Abwehr eines Drittanspruchs wird jeweilen BGE 86 III 134 S. 144 dadurch mitbestimmt, welchen Erfolg die Pfändung im übrigen hat und was für andere Gläubiger noch daran teilnehmen - Umstände, die sich bei einer spätern Betreibung inzwischen stark verändert haben können, auch wenn in bezug auf den Drittanspruch als solchen keine Änderung der Rechtslage eingetreten ist. Ob gleichwohl aus den vom genannten Autor dargelegten Gründen dann, wenn im Widerspruchsverfahren ein rechtskräftiges Gerichtsurteil zu Gunsten des dritten Eigentumsansprechers ergeht, dieser sich in einer neuen Betreibung desselben Gläubigers gegen denselben Schuldner für dieselbe Forderung eine neue Klagefristansetzung gemäss Art. 107 SchKG zur Wahrung seines Eigentums nicht gefallen zu lassen brauche und ihm demgemäss gegenüber einer neuen Klage des Gläubigers nach Art. 109 SchKG die Einrede der abgeurteilten Sache zustehe, mag indessen hier auf sich beruhen bleiben. Auf keinen Fall darf der Begriff der abgeurteilten Sache auf die bloss betreibungsverfahrensrechtliche Verwirkung (Präklusion) ausgedehnt werden, wie sie den Gläubiger trifft, der die ihm nach Art. 109 SchKG eingeräumte Klagefrist versäumt oder doch davon keinen ordungsmässigen, zur Herbeiführung einer Sachentscheidung geeigneten Gebrauch macht. Wenn Art. 109 SchKG bestimmt: "Wird diese Frist nicht benützt, so gilt der Anspruch des Dritten als anerkannt", so ist damit eine für die laufende Betreibung geltende Fiktion ohne materiellrechtliche Bedeutung aufgestellt. Die Fristansetzung durch das Betreibungsamt soll nur dazu beitragen, das Widerspruchsverfahren als Teil der laufenden Betreibung rasch abzuwickeln. Es liegt dem SchKG fern, eine über die laufende Betreibung hinaus wirkende materiellrechtliche Verwirrkung an die Versäumung oder an die nicht ordnungsmässige Benützung der Frist des Art. 109 SchKG zu knüpfen, und es wäre denn auch für eine derartige selbst für künftige Betreibungen geltende Abstandswirkung kein zureichender Grund ersichtlich. Das Betreibungsamt ist vielmehr verpflichtet, in einer spätern Betreibung unter denselben Voraussetzungen nochmals BGE 86 III 134 S. 145 ein Widerspruchsverfahren einzuleiten, auch wenn bereits in der früheren Betreibung eine Klagefrist nach Art. 109 SchKG angesetzt, jedoch nicht oder nicht in gehöriger Weise benützt worden war. Und der diesmal ordnungsmäss belangte Beklagte kann aus der untauglichen Art der frühern Klageführung keine materiellrechtlichen Wirkung ableiten. Die von der Berufungsklägerin angerufenen Entscheidungen enthalten nichts, was diesen Ausführungen entgegenstünde, zumal nichtBGE 37 I 466(= Sep.-Ausg. 14 S. 245, je Beginn des zweiten Absatzes), wo die Berufungsbegründung gerade den die Verwirkung einschränkenden Passus "dans la poursuite en cours" weglässt; aber auch nicht BGE 27 I 390 (= Sep.-Ausg. 4 S. 150, je Erw. 2), wo ausgesprochen wurde, der in einem Widerspruchsverfahren erzielte Prozessgewinn dürfe einem Drittansprecher in einer nachfolgenden Pfändungsgruppe ebenso wenig streitig gemacht werden wie bei umgekehrtem Ergebnis dem an der vorgehenden Gruppe beteiligten Gläubiger. Die andern Hinweise betreffen entweder die Befugnis des Betreibungsamtes zur Ansetzung von Klagefristen mit Androhung von Rechtsverlusten im allgemeinen (woraus sich für die Frist des Art. 109 SchKG kein weitergehender Rechtsverlust als wie oben dargelegt herleiten lässt) oder andere Verwirkungsfristen des SchKG als die hier in Frage stehende, woraus vollends nichts für die von der Berufungsklägerin postulierte materielle Rechtskraftwirkung des Unterbleibens einer gehörigen Widerspruchsbeseitigungsklage in der frühern Betreibung folgt. Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Berufung wird abgewiesen und das Urteil des Obergerichts des Kantons Thurgau vom 12. Juli 1960, soweit es angefochten worden ist, bestätigt.
null
nan
de
1,960
CH_BGE
CH_BGE_005
CH
Federation
27cf53d7-bcfc-4cbf-874d-18c24c7f242f
Urteilskopf 103 Ib 144 25. Auszug aus dem Urteil vom 18. März 1977 i.S. Korn gegen Fischer und Regierungsrat des Kantons Schwyz
Regeste Verfahren; Art. 97 ff. OG . 1. Zulässigkeit der Verwaltungsgerichtsbeschwerde gegen einen auf kantonales Verfahrensrecht sich stützenden Nichteintretensentscheid (E. 2a). 2. Nichteintreten mangels Legitimation nach kantonalem Verfahrensrecht. Sieht ein Kanton für eine Streitigkeit des Bundesverwaltungsrechts, welche mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde ans Bundesgericht weitergezogen werden kann, eine Beschwerdeinstanz vor, so darf er hinsichtlich der Beschwerdebefugnis nicht strengere Anforderungen stellen als sie Art. 103 lit. a OG für die Legitimation zur Verwaltungsgerichtsbeschwerde vorsieht (E. 3). 3. Art. 103 lit. a OG . Anfechtung einer Baubewilligung durch die Eigentümerin einer benachbarten Liegenschaft. Schutzwürdiges Interesse an der Aufhebung oder Abänderung der Baubewilligung im konkreten Fall bejaht (E. 4).
Sachverhalt ab Seite 145 BGE 103 Ib 144 S. 145 Josef Fischer ist Eigentümer eines Landwirtschaftsbetriebes in der Gemeinde Greppen (LU). Das zum Betrieb gehörende Land liegt zum Teil in der Gemeinde Küssnacht (SZ). Auf diesem im Kanton Schwyz gelegenen Teil seiner Liegenschaft möchte Josef Fischer ein Einfamilienhaus erstellen. Gegen sein Baugesuch vom 6. Februar 1976 erhob Margot Korn, die Eigentümerin der Nachbarliegenschaft, Einsprache beim Bezirksrat Küssnacht. Dieser bewilligte das Bauvorhaben am 21. April 1976 und wies die Einsprache am 11. Mai 1976 ab. Hiegegen rekurrierte Margot Korn an den Regierungsrat des Kantons Schwyz. Dieser trat mit Beschluss vom 26. Juli 1976 auf die Beschwerde nicht ein, weil der Beschwerdeführerin nach kantonalem Recht die Rechtsmittelbefugnis fehle. Sie vermöge im Sinne von § 37 lit. a der schwyzerischen Verordnung über die Verwaltungsrechtspflege vom 6. Juni 1974 (VRP) kein eigenes, unmittelbares und schützenswertes Interesse an der Aufhebung oder Änderung des angefochtenen Entscheids darzutun. Margot Korn erhebt gegen den Beschluss des Regierungsrates vom 26. Juli 1976 Verwaltungsgerichtsbeschwerde. Sie macht eine Verletzung von Art. 4 BV , Art. 20 GSchG , Art. 26 und 27 AGSchV , Art. 1 und 6 der V über Abwasserleitungen, Art. 4 BMR sowie Art. 3 VV zum BMR geltend. Sie beantragt, der angefochtene Entscheid sei aufzuheben und Josef Fischer sei die Baubewilligung für das geplante Einfamilienhaus zu verweigern, eventuell sei die Sache zur materiellen Beurteilung an die Vorinstanz zurückzuweisen. BGE 103 Ib 144 S. 146 Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Im vorliegenden Verfahren hat das Bundesgericht nur zu prüfen, ob der Regierungsrat im angefochtenen Entscheid zu Recht oder zu Unrecht auf die Beschwerde von Margot Korn nicht eingetreten ist. Bei einer allfälligen Gutheissung der Beschwerde ist die Sache zur materiellen Entscheidung an den Regierungsrat zurückzuweisen, dessen Entscheid wiederum mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde angefochten werden kann. Das Bundesgericht hat somit nicht bereits in diesem Verfahren zu prüfen, ob die materiellen Vorbringen der Beschwerdeführerin gegen die Erteilung der Baubewilligung begründet sind. Soweit die Beschwerdeführerin auch die Erteilung der Baubewilligung anficht, kann deshalb auf die Beschwerde nicht eingetreten werden. 2. Der Regierungsrat ist auf die von Margot Korn eingereichte Beschwerde mangels Legitimation der Beschwerdeführerin nach kantonalem Verfahrensrecht ( § 37 lit. a VRP ) nicht eingetreten. a) Schliesst ein auf kantonales Verfahrensrecht gestützter Nichteintretensentscheid die Anwendung von Bundesverwaltungsrecht aus, so behandelt das Bundesgericht eine Beschwerde gegen einen solchen Entscheid als Verwaltungsgerichtsbeschwerde ( BGE 100 Ib 370 ; BGE 99 Ib 394 ; BGE 98 Ib 336 ). Dabei kann es aber die Anwendung des kantonalen Verfahrensrechts nur auf eine Verletzung von Bundesrecht überprüfen ( Art. 104 lit. a OG ) und nicht auch auf eine solche von kantonalem Recht, weil mit einer Verwaltungsgerichtsbeschwerde die Verletzung von kantonalem Recht nicht geltend gemacht werden kann. Dabei fällt praktisch vor allem - wie bei einer staatsrechtlichen Beschwerde - eine Prüfung der Verletzung verfassungsmässiger Rechte und Grundsätze in Betracht, wobei häufig nur die Anrufung von Art. 4 BV in Frage kommt (vgl. BGE a.a.O.; BGE 99 V 185 ; 56). Auch im vorliegenden Fall ist in dieser Beziehung nur zu prüfen, ob der Regierungsrat allenfalls bei der Anwendung und Auslegung von § 37 lit. a VRP in Willkür verfallen ist. b) Nach § 37 lit. a VRP sind "Parteien und beiladungsberechtigte Dritte des vorinstanzlichen Verfahrens, die an der Aufhebung oder Änderung einer Verfügung oder eines Entscheides ein eigenes, unmittelbares und schützenswertes Interesse dartun", BGE 103 Ib 144 S. 147 zur Einreichung eines Rechtsmittels befugt. Diese Bestimmung lässt der Auslegung durch die rechtsanwendende Verwaltungsbehörde einen erheblichen Spielraum, so dass jedenfalls im Rahmen des Willkürverbotes im vorliegenden Fall die vom Regierungsrat vorgenommene Auslegung nicht beanstandet werden kann, obschon sich wohl auch die Bejahung der Beschwerdebefugnis hätte vertreten lassen. Da keine andere Bestimmung des Bundesrechts in Frage steht, müsste dies somit zur Abweisung der Beschwerde führen. 3. a) Ebenso wäre in allen jenen Fällen zu entscheiden, in denen das kantonale Verfahrensrecht hinsichtlich der Anforderungen an die Beschwerdebefugnis klarerweise nicht soweit geht wie Art. 103 lit. a OG für die Legitimation zur Verwaltungsgerichtsbeschwerde beim Bundesgericht. Dies hat aber zur Folge, dass in diesen Fällen ein grösserer Personenkreis zur Verwaltungsgerichtsbeschwerde befugt ist als zur Beschwerde bei der kantonalen Rekursinstanz. Je nach dem, wer von einer Verfügung gleichen Inhalts betroffen ist, ergibt sich mithin für dieselbe Streitigkeit des Bundesverwaltungsrechts ein unterschiedlicher Instanzenzug. Angesichts dieser unbefriedigenden prozessualen Rechtslage hat sich das Eidg. Versicherungsgericht auf den Standpunkt gestellt, wer aus eigenem Recht Verwaltungsgerichtsbeschwerde führen könne, müsse auch im kantonalen Beschwerdeverfahren aus eigenem Recht legitimiert sein; es hat deshalb angenommen, Art. 103 lit. a OG sei insofern auch auf das kantonale Verfahren anzuwenden und es sei in dieser Beziehung von einem bundesrechtlichen Begriff der Beschwerdelegitimation auszugehen ( BGE 101 V 123 E. 1a; BGE 98 V 54 f. E. 1). Mit Rücksicht auf die Einheit des Prozesses und im Hinblick auf den Rechtsschutz der Betroffenen rechtfertigt es sich, diese Rechtsprechung allgemein aufzunehmen. Zwar kann der Bund nach geltendem Recht in der Regel von den Kantonen nicht verlangen, dass sie für ein bestimmtes Rechtsgebiet eine kantonale Rechtsmittelinstanz bereitstellen. Es steht demnach den Kantonen auch frei, ob sie insbesondere eine Beschwerdeinstanz vorsehen wollen für Streitigkeiten, die mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde vor Bundesgericht gebracht werden können. Hat aber ein Kanton eine Rechtsmittelinstanz für solche Streitigkeiten eingerichtet, so ist er in der Ausgestaltung des Instanzenzuges auch von Bundesrechts wegen an BGE 103 Ib 144 S. 148 bestimmte Grundsätze gebunden. Er hat dabei in erster Linie zu berücksichtigen, dass der Rechtsmittelweg der Verwirklichung des materiellen Bundesrechts dienen soll; er hat aber auch zu beachten, dass die einzelnen Rechtssuchenden grundsätzlich Anspruch auf gleichen Rechtsschutz haben. Sieht ein Kanton für eine Streitigkeit des Bundesverwaltungsrechts, welche mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde ans Bundesgericht weitergezogen werden kann, eine Beschwerdeinstanz vor, so darf er deshalb hinsichtlich der Beschwerdebefugnis nicht strengere Anforderungen stellen als sie Art. 103 lit. a OG für die Legitimation zur Verwaltungsgerichtsbeschwerde vorsieht. Nebst der erwähnten unerwünschten Uneinheitlichkeit des Verfahrens hätte dies für diejenigen, die zwar zur Verwaltungsgerichtsbeschwerde befugt sind, nicht aber im kantonalen Rekursverfahren legitimiert sind, eine ungerechtfertigte Verkürzung des Rechtsschutzes zur Folge. Sie könnten im Vergleich zu jenen, die auch im kantonalen Verfahren legitimiert sind, den kantonalen Instanzenzug nicht voll ausschöpfen (vgl. BGE 99 Ia 322 E. 4). Demnach hat das Bundesgericht bei einer Beschwerde gegen einen Nichteintretensentscheid mangels Legitimation nach kantonalem Recht diesen Nichteintretensentscheid auch auf eine Verletzung von Art. 103 lit. a OG zu überprüfen. Art. 103 lit. a OG gilt mithin als Minimalvorschrift für das kantonale Rechtsmittelverfahren in Streitigkeiten des Bundesverwaltungsrechts, die der Verwaltungsgerichtsbeschwerde ans Bundesgericht unterliegen. b) Dem steht auch die Regelung des Art. 1 Abs. 3 VwVG nicht entgegen, wonach auf das Verfahren letzter kantonaler Instanzen, die gestützt auf öffentliches Recht des Bundes nicht endgültig verfügen, nur einige wenige Bestimmungen des VwVG ausdrücklich als anwendbar erklärt werden. Das Eidg. Versicherungsgericht hat bereits in anderem Zusammenhang auf die Lückenhaftigkeit dieser Regelung hingewiesen ( BGE 96 V 142 E. 1). Allerdings hat das Bundesgericht diese in einem bestimmten Fall verneint und aus der in Art. 1 Abs. 3 VwVG enthaltenen Aufzählung abgeleitet, dass über die dort genannten Fälle hinaus die Kantone von Bundesrechts wegen nicht verpflichtet seien, einer Beschwerde aufschiebende Wirkung zu erteilen ( BGE 102 Ib 225 f.). Damit lässt sich indessen der vorliegende Fall nicht vergleichen. Aus BGE 103 Ib 144 S. 149 der in Art. 1 Abs. 3 VwVG enthaltenen abschliessenden Aufzählung lässt sich inbezug auf die Frage der Beschwerdebefugnis nichts Schlüssiges ableiten. c) Schliesslich ist festzuhalten, dass sich die Frage einer erweiterten Anwendung bundesrechtlicher Verfahrensvorschriften auf das kantonale Rechtsmittelverfahren im Rahmen dieser Beschwerde nur inbezug auf Art. 103 lit. a OG stellt. Ob sich allenfalls eine entsprechende Folgerung auch für andere verfahrensrechtliche Bestimmungen oder Begriffe - wie beispielsweise die Kognition - aufdrängt, ist hier nicht zu prüfen und kann daher offenbleiben. 4. Es ist demnach zu prüfen, ob der Regierungsrat die Beschwerdebefugnis von Margot Korn ohne Verletzung von Art. 103 lit. a OG verneinen konnte. a) Gemäss Art. 103 lit. a OG ist zur Verwaltungsgerichtsbeschwerde berechtigt, "wer durch die angefochtene Verfügung berührt ist und ein schutzwürdiges Interesse an deren Aufhebung oder Änderung hat". Danach steht die Beschwerdebefugnis ausser Zweifel, wenn der Beschwerdeführer sich gegen eine Verfügung wendet, die ihm selber eine Verpflichtung auferlegt oder ein Recht abspricht. Das Rechtsschutzinteresse des im vorausgegangenen Verfahren benachteiligten Beschwerdeführers liegt dort auf der Hand. Er ist durch derartige Verfügungen berührt und hat ein schutzwürdiges, anerkanntes Interesse an ihrer Anfechtung, weil sie einen praktischen, wirtschaftlichen oder anders gearteten Nachteil für ihn bedeutet. Der Rechtsschutz steht ihm offen, damit er versuchen kann, die Aufhebung oder Änderung der für ihn unvorteilhaften Verfügung zu erreichen ( BGE 99 Ib 106 E. 1a mit weiteren Hinweisen). Schwierigkeiten bereitet die Anwendung von Art. 103 lit. a OG aber namentlich dann, wenn jemand - wie hier - eine Verfügung anficht, durch die ein anderer begünstigt wird (vgl. BGE a.a.O.). b) Die in Art. 103 lit. a OG gestellten Anforderungen sollen die Popularbeschwerde ausschliessen. Deshalb kann sich auf diese Bestimmung nicht berufen, wer durch die angefochtene Verfügung nicht mehr als irgend jemand oder die Allgemeinheit betroffen wird. Der Beschwerdeführer muss durch die Verfügung in höherem Mass als jedermann besonders oder unmittelbar berührt sein, und sein Interesse an der Aufhebung oder Abänderung der Verfügung muss sich aus einer nahen BGE 103 Ib 144 S. 150 Beziehung zum Gegenstand des Streites ergeben ( BGE 100 Ib 337 E. 2c mit weiteren Hinweisen). c) Nach diesen Grundsätzen würde es im vorliegenden Fall für die Legitimation der Beschwerdeführerin nicht genügen, lediglich auf die Tatsache abzustellen, dass Margot Korn Nachbarin von Josef Fischer ist. Es muss ein zusätzlicher, konkreter Anhaltspunkt vorliegen für einen praktischen Nachteil, der ihr aus der angefochtenen Verfügung erwächst, damit ihr inbezug auf die Anfechtung der in Frage stehenden Verfügung die Beschwerdelegitimation zuerkannt werden kann. Ein solcher Anhaltspunkt ist hier gegeben, indem die Beschwerdeführerin Unterliegerin am Scheidbach ist, in den die Abwässer der geplanten Baute eingeleitet werden sollen. Der Scheidbach führt unmittelbar neben dem Haus "Juch" der Beschwerdeführerin vorbei, und es sind Immissionen - nicht zuletzt durch den Gestank des Baches - nicht auszuschliessen. Der Regierungsrat wendet demgegenüber allerdings ein, die Beschwerdeführerin habe sich im kantonalen Verfahren ausschliesslich auf ihre Eigenschaft als Nachbarin berufen und eine besondere Legitimation nicht dargetan. Dieser Einwand vermag indessen nicht durchzudringen. Zwar ist eine solche Darlegung gemäss § 37 lit. a VRP erforderlich. Inbezug auf Art. 103 lit. a OG ist indessen die Legitimation als Prozessvoraussetzung von Amtes wegen abzuklären. Im übrigen hat der Rechtsvertreter der Beschwerdeführerin anlässlich des vom Regierungsrat durchgeführten Augenscheins ausdrücklich auf die zu befürchtende Überlastung des Scheidbaches hingewiesen, wie dem den kantonalen Akten beigelegten Protokoll zu entnehmen ist. Angesichts der praktischen Auswirkung, die die angefochtene Verfügung des Bezirksrates Küssnacht auf die Beschwerdeführerin hat, muss ihr ein schutzwürdiges Interesse an der Aufhebung oder Abänderung der Baubewilligung an Josef Fischer zugebilligt werden. Der Regierungsrat ist somit zu Unrecht auf die Beschwerde von Margot Korn nicht eingetreten. d) Die Verwaltungsgerichtsbeschwerde ist demnach gutzuheissen, und die Sache ist zur materiellen Entscheidung an den Regierungsrat zurückzuweisen. Es ist für die Beschwerdebefugnis gemäss Art. 103 lit. a OG und für den Erfolg der Beschwerde unerheblich, ob der Beschwerdeführerin inbezug BGE 103 Ib 144 S. 151 auf das anzuwendende Bundesrecht subjektiv ein Recht zusteht. Ist ein hinreichendes prozessuales Rechtsschutzinteresse nachgewiesen, aufgrund dessen die Beschwerdebefugnis zu bejahen ist, so ist anschliessend ohne Rücksicht auf die Stellung der Beschwerdeführerin zum materiellen Recht zu untersuchen, ob die angefochtene Verfügung auf richtiger Anwendung des objektiven Rechts beruht. Die Verfügung ist mithin auf ihre Rechtmässigkeit zu überprüfen unabhängig davon, ob die Beschwerdeführerin in ihren Rechten verletzt worden ist bzw. ob ein Verstoss gegen bundesrechtliche Normen vorliegt, denen in gewisser Hinsicht eine Schutzwirkung zugunsten der Beschwerdeführerin zukommt ( BGE 99 Ib 108 E. 1c; BGE 101 Ib 109 ff.; GYGI, Eidgenössische und kantonale Verwaltungsgerichtsbarkeit, ZBJV 112/1976, S. 289 f.; GYGI, Verwaltungsrechtspflege und Verwaltungsverfahren im Bund, 2. A., S. 101)... Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Beschwerde wird gutgeheissen, soweit darauf einzutreten ist, und der Entscheid des Regierungsrates des Kantons Schwyz vom 26. Juli 1976 wird aufgehoben. Die Sache wird zu neuem Entscheid im Sinne der Erwägungen an den Regierungsrat zurückgewiesen.
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Urteilskopf 101 Ib 217 41. Entscheid vom 4. Juni 1975 i.S. Erben Viotti und Mitbeteiligte gegen Schweiz. Bundesbahnen, Kreis I
Regeste Anschlussbeschwerde an das Bundesgericht in eidgenössischen Enteignungssachen. Die Partei, die selbst Beschwerde eingereicht hat, kann nicht zusätzlich noch den Anschluss an die Beschwerde der Gegenpartei erklären (E. 1 und 2). Ausnahmefall (E. 3).
Sachverhalt ab Seite 217 BGE 101 Ib 217 S. 217 In den in Frage stehenden Enteignungsfällen fochten sowohl die Enteigneten als auch der Enteigner den Entscheid der Eidg. Schätzungskommission (ESchK), Kreis 4, mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde nach Art. 77 des Bundesgesetzes über die Enteignung (EntG) an. Nachdem der Vertreter der Enteigneten, Rechtsanwalt W. Bittel, Visp, die Beschwerde der SBB zur Vernehmlassung erhalten hatte, reichte er innerhalb der in Art. 78 Abs. 1 EntG vorgesehenen zehntägigen Frist weitere Rechtsschriften ein, die er als Anschluss-, bzw. Ergänzungsbeschwerden bezeichnete. Diese Anschlussbeschwerden BGE 101 Ib 217 S. 218 richten sich gegen Punkte des ESchK-Entscheides, die in der zunächst eingereichten Verwaltungsgerichtsbeschwerde der Enteigneten unangefochten geblieben sind. Aus prozessökonomischen Gründen ist über die Zulässigkeit dieser Anschlussbeschwerden durch einen Zwischenentscheid zu befinden. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. a) Aus dem ursprünglichen Wortlaut des Enteignungsgesetzes vom 20. Juni 1930 ging klar hervor, dass es der Partei, die selbst den Weiterzug erklärt hatte, verwehrt war, zusätzlich noch den Anschluss an die Weiterziehung des Gegners zu erklären. Dies ergab sich aus Art. 78 Abs. 2 aEntG, wonach die Gegenpartei "nach Empfang der Mitteilung von der Weiterziehungserklärung den Anschluss erklären und dabei Anträge stellen kann, wie wenn sie selbständig die Weiterziehung erklärt hätte" ("... se joindre à celui-ci et prendre des conclusions comme si elle avait formé un recours indépendant"; "... aderire a quest'ultimo e presentare dal canto suo delle conclusioni come se avesse presentato un ricorso a sé"). b) Die mit dem Gesetz vom 20. Juni 1930 neu eingeführte Möglichkeit der Anschluss-Weiterziehung war in Anlehnung an die Zivilrechtspflege, nämlich an die Anschlussberufung gemäss Art. 70 aOG geschaffen worden (BBl 1926 II 80; HESS, Das Enteignungsrecht des Bundes, N. 4 zu Art. 78). Nach der Rechtsprechung zu Art. 70 aOG stand der Partei, die ihrerseits vom Recht der Berufung Gebrauch gemacht hatte, nicht auch noch die Anschlussberufung an die gegnerische Hauptberufung offen. Ebensowenig war der Anschluss an eine Anschlussberufung zugelassen ( BGE 41 II 331 , BGE 62 II 47 ). Auch nachdem im Jahre 1943 Art. 70 aOG durch den neu formulierten Art. 59 OG ersetzt worden war, wurde diese Rechtsprechung beibehalten (BIRCHMEIER, Bundesrechtspflege, N. 2 zu Art. 59, S. 223 f.; nicht veröffentlichtes Urteil des Bundesgerichtes i.S. Bäriswyl & Kons. vom 15.2.1961). Dies offensichtlich aus dem Grunde, weil die neu hinzugefügte Bestimmung, der Berufungsbeklagte könne die Anschlussberufung erklären, "selbst wenn er auf die Berufung verzichtet hatte", in dem Sinne zu verstehen ist, dass auch demjenigen die Möglichkeit des Anschlusses offen bleibt, der - etwa im BGE 101 Ib 217 S. 219 kantonalen Verfahren - ausdrücklich auf die Berufung verzichtet hat. Dieser Zusatz ist dagegen nicht so auszulegen, dass die Anschlussberufung "a fortiori" demjenigen offenstehen muss, der schon selbst Berufung eingelegt hat. 2. Bei der Revision des Enteignungsgesetzes ist die in Art. 78 aEntG enthaltene Wendung "wie wenn sie selbständig die Weiterziehung erklärt hätte" (vgl. Erw. 1a) nicht mehr übernommen worden. Das bedeutet aber nicht, dass der Gesetzgeber die Möglichkeit des Anschlusses habe erweitern und diejenige Partei, welche bereits selbst eine Verwaltungsgerichtsbeschwerde eingereicht hat, zum Anschluss an die Beschwerde des Gegners habe zulassen wollen. Aus den Gesetzesmaterialien ergibt sich vielmehr, dass die Meinung bestand, die alte Regelung solle beibehalten werden; die Neuformulierung von Art. 78 EntG bezweckte nur die Anpassung an die Bestimmungen des neuen OG (BBl 1970 I/2 S. 1015). Mit Recht ist demzufolge nach der Gesetzesrevision das Formular des Bundesgerichtes nicht abgeändert worden, mit welchem die Verwaltungsgerichtsbeschwerde der Gegenpartei zugestellt wird und das den Adressaten auf die Möglichkeit hinweist, innert zehn Tagen den Anschluss zu erklären, "falls er nicht bereits selbst eine Verwaltungsgerichtsbeschwerde eingereicht hat". 3. Eine Ausnahme muss jedoch gemacht werden für den Fall, dass der Entscheid der Schätzungskommission mehrere Grundstücke des gleichen Enteigneten betrifft, die keine wirtschaftliche Einheit bilden. Bezieht sich hier die Hauptbeschwerde nur auf die für ein bestimmtes Grundstück zugesprochene Entschädigung, so kann der Beschwerdegegner mit der Anschlussbeschwerde nicht auch noch die Überprüfung der für die anderen Grundstücke zugesprochenen Entschädigung verlangen ( BGE 97 I 766 ). Demnach muss folgerichtig auch derjenige zur Anschlussbeschwerde zugelassen werden, der zwar bereits Hauptbeschwerde eingereicht, mit dieser aber nicht die Entschädigung für diejenigen Grundstücke angefochten hat, auf welche sich die Hauptbeschwerde des Gegners bezieht. Die Voraussetzungen für diesen Ausnahmefall sind vorliegend nicht gegeben, da die Entschädigungen für alle in Frage stehenden Grundstücke mit der Hauptbeschwerde der Enteigneten angefochten worden sind. BGE 101 Ib 217 S. 220 4. Auf die Anschlussbeschwerden ist daher nicht einzutreten. Dass sie ebensowenig als "Ergänzungen" der schon eingereichten Beschwerden behandelt werden können, steht ausser Zweifel; dies würde eine unzulässige Erstreckung der gesetzlichen Beschwerdefrist bedeuten. Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Auf die Anschlussbeschwerden der Enteigneten wird nicht eingetreten.
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Urteilskopf 92 II 147 24. Sentenza 10 febbraio 1966 della II Corte civile nella causa Chiesa contro Robbiani.
Regeste Vorkaufsrecht. 1. Wurde ein solches Recht mehreren Personen eingeräumt, so ist der Verkäufer für die Benachrichtigung ( Art. 681 Abs. 2 ZGB ) jedes der Berechtigten verantwortlich (Erw. 2). 2. Wird die Ausübung des Rechts von einem oder mehreren Berechtigten versäumt, so wachsen die betreffenden Teilrechte den andern Berechtigten an (Erw. 3). 3. Sobald der Kauf im Grundbuch eingetragen ist, hat der Titular eines vorgemerkten Rechtes, welcher das Eigentum am Grundstück beansprucht, die Klage nur gegen den Käufer zu richten (Erw. 4). 4. Behält sich der Vorkaufsberechtigte vor, gewisse zwischen dem Verkäufer und dem dritten Käufer vereinbarte Bedingungen als ungültig anzufechten, so gefährdet er dadurch sein Vorkaufsrecht nicht (Erw. 5). 5. Der Vorkaufsberechtigte ist nicht befugt, die Löschung eines Wohnrechts zu verlangen, das auf Grund einer letztwilligen Verfügung nach der Vormerkung des Vorkaufsrechts auf dem belasteten Grundstück eingetragen wurde (Erw. 6).
Sachverhalt ab Seite 148 BGE 92 II 147 S. 148 A.- Con atto pubblico del 4 settembre 1962, Rosina Bortolotti concedeva ai fratelli Eros e Luigi Chiesa un diritto di compera su alcuni beni immobiliari nel comune di Agno. Tale diritto, qui non controverso, comprendeva anche parte, mq 8244, della particella N. 447 che assunse poi il nuovo N. 1268. Per la parte restante di detta particella, mq 827, casa, fabbricati e terreni annessi, Rosina Bortolotti concesse contemporaneamente ai fratelli Chiesa un diritto di prelazione per 10 anni, subordinato alla condizione che il suindicato diritto di compera fosse esercitato in tempo utile. L'annotazione a registro fondiario venne effettuata il 7 settembre 1962. Rosina Bortolotti morì il 20 ottobre 1962. Con testamento pubblico del 20 luglio 1961, essa aveva disposto che i suoi beni immobiliari passassero ai suoi nove figli e alla cugina Maddalena Bortolotti, in parti uguali. Aveva inoltre disposto che a quest'ultima e alla figlia Lucia fosse accordato un diritto di abitazione, valido fino alla morte della cugina Bortolotti, sulla casa alla particella N. 447 di Agno. Queste disposizioni vennero iscritte l'8 maggio 1964 nel registro fondiario. Il 23 febbraio 1963, e quindi tempestivamentc, i fratelli BGE 92 II 147 S. 149 Eros e Luigi Chiesa esercitarono il suddetto diritto di compera. Il 3 aprile 1964, la comunione ereditaria di Rosina Bortolotti stipulava la vendita a Walter Robbiani della parte residua della particella N. 447. Il 6 aprile 1964, il rappresentante degli eredi ne dava comunicazione ai titolari del diritto di prelazione, mediante lettera raccomandata indirizzata a Luigi ed Eros Chiesa, via Nassa 12, Massagno, precisando che potevano esercitare il loro diritto entro 30 giorni. Scaduto infruttuoso tale termine, il notaio rogante chiedeva ed otteneva, il 12 giugno 1964, l'iscrizione nel registro fondiario a Walter Robbiani della particella N. 447. Il 16 giugno 1964, l'Ufficio dei registri notificò l'avvenuta iscrizione singolarmente ai due titolari del diritto di prelazione, mediante lettere indirizzate a Eros Chiesa, Agno, e Luigi Chiesa, Massagno, avvertendoli del prezzo di compera stipulato con Robbiani, di fr. 17 500, e della loro possibilità di "eventualmente far valere i diritti spettanti dal diritto di prelazione". Anche in questa occasione, Luigi Chiesa non reagì. Invece, Eros Chiesa, con lettera 18 giugno 1964 indirizzata all'Ufficio dei registri di Lugano, all'avv. Piero Rusca, rappresentante degli eredi Bortolotti, e a Walter Robbiani, dichiarò "di esercitare il diritto di prelazione in questione alle condizioni previste nell'atto di compravendita di cui a Rogito No 310 del 3.4.1964 del Notaio Fernando Bernardoni Lugano, riservandosi esplicitamente di chiedere la cancellazione dal R.F. di quegli aggravi ed iscrizioni che in ordine di tempo furono fatte dopo l'annotazione del diritto di prelazione emarginato". Con la stessa lettera, Walter Robbiani venne invitato a dare il suo consenso alla trasmissione della proprietà sulla particella N. 447 a Eros Chiesa. Tale richiesta non ebbe esito. B.- Con petizione 6 luglio 1964, Eros Chiesa convenne davanti al Pretore di Lugano-Campagna Walter Robbiani, gli eredi fu Rosina Bortolotti e Lucia e Maddalena Bortolotti; queste ultime come titolari del diritto di abitazione sulla casa alla particella N. 447. Egli chiese che l'iscrizione della vendita di detto fondo a Walter Robbiani fosse dichiarata indebita, e quindi cancellata, e che la particella N. 447 di Agno fosse iscritta a nome dell'attore. Chiese inoltre che fosse ordinata la cancellazione del diritto di abitazione costituito sulla particella N. 447. BGE 92 II 147 S. 150 Il Pretore accolse parzialmente la petizione, ordinando la cancellazione dell'iscrizione della particella N. 447 a favore di Robbiani e disponendone l'iscrizione a nome dell'attore. Statuì per contro la validità dell'iscrizione del diritto di abitazione a favore di Lucia e Maddalena Bortolotti. C.- Entrambe le parti si appellarono al Tribunale di appello. L'attore chiese che fosse ordinata anche la cancellazione del diritto di abitazione. In via subordinata, chiese che gli fosse riconosciuto il diritto di proporre la relativa questione mediante petizione separata; e, in via più subordinata, propose che la questione fosse rimandata al giudice di prima istanza con l'invito ad ordinare una perizia sul valore di detto diritto e a pronunciare al riguardo un nuovo giudizio. I convenuti chiesero che la petizione fosse respinta, in ordine, per carenza di legittimazione attiva e tardività, e nel merito. La Camera civile del Tribunale di appello ha accolto l'appellazione dei convenuti e respinto la petizione. Le sue motivazioni possono essere riassunte come segue. L'eccezione di tardività proposta dai convenuti è infondata. Non si può presumere che la comunicazione fatta dal rappresentante degli eredi Bortolotti il 6 aprile 1964, indirizzata ai due fratelli ma inviata all'indirizzo di Luigi Chiesa a Massagno, sia stata resa nota, in tutti i particolari, anche a Eros Chiesa. In difetto di prova contraria, il termine previsto all'art. 681 cpv. 3 CC è perciò decorso solo dalla lettera del 16 giugno 1964, inviata personalmente all'attore dall'Ufficio dei registri di Lugano. Ciò stante, la dichiarazione di esercizio del diritto di prelazione, espressa dall'attore con lettera del 18 giugno 1964, è tempestiva. Il Pretore ha ritenuto che la costituzione del diritto di cui si tratta sarebbe nata da un rapporto di società semplice, onde, non potendosi presumere che Luigi Chiesa, lasciando trascorrere infruttuoso il termine per l'esercizio del diritto, abbia inteso agire anche a nome del fratello, l'attore sarebbe rimasto legittimato a far valere il suo diritto personale. Questa tesi non può essere condivisa, così come deve essere respinta quella della comproprietà proposta dai convenuti. Il diritto di prelazione acquisito collettivamente da due o più persone può essere esercitato soltanto nella sua totalità, indipendentemente dalla divisibilità del bene gravato. Fra i titolari di quel diritto si BGE 92 II 147 S. 151 viene pertanto a creare un rapporto di solidarietà attiva (art. 150 CO), nel senso che ognuno di essi può far valere il diritto di entrambi per chiedere l'attribuzione della proprietà sul fondo. Conformemente al principio dell'accrescimento del diritto parziale di un titolare a favore dell'altro, l'attore era legittimato ad esercitare quel diritto su tutta la particella, come se il diritto fosse stato costituito soltanto a suo favore. La petizione deve però essere respinta nel merito perchè il controverso diritto di prelazione, essendo illimitato, poteva essere esercitato solo alle condizioni stabilite dal venditore e senza discuterle, modificarle o comunque porre altre condizioni. Riservandosi di chiedere la cancellazione del diritto di abitazione iscritto a favore di Lucia e Maddalena Bortolotti, l'attore ha sostanzialmente contestato una delle condizioni dettate dai venditori. La comunione ereditaria Bortolotti non era pertanto tenuta ad aderire alla dichiarazione di esercizio del diritto di prelazione. D.- Eros Chiesa ha tempestivamente interposto al Tribunale federale un ricorso per riforma, con il quale ripropone le domande di petizione. Egli afferma che, riservandosi di chiedere la cancellazione delle inscrizioni fatte posteriormente al diritto di prelazione, ha inteso esprimere una riserva nei confronti di eventuali terzi e non una contestazione delle condizioni di vendita. Anche la richiesta di cancellazione del diritto di abitazione, proposta con la stessa petizione, non avrebbe nulla a che fare con la compravendita, nè con l'esercizio del diritto di prelazione; poteva essere proposta anche con azione separata e susseguente, e concerne esclusivamente Maddalena e Lucia Bortolotti, ad esclusione degli altri convenuti. È comunque chiaro - prosegue il ricorrente - che il titolare del diritto di prelazione può chiedere la cancellazione di un diritto di abitazione che sia stato iscritto posteriormente senza il suo consenso e che gli sia pregiudizievole. L'attore fa inoltre rilevare che Rosina Bortolotti, sottacendo in occasione della costituzione del diritto di prelazione che essa aveva già disposto il 20 luglio 1961 il diritto di abitazione a favore di Maddalena e Lucia, ha agito in malafede. Tanto più che l'attore è capomastro ed acquista terreni in vista di procedere a costruzione di case. E.- I convenuti propongono che, in quanto ricevibile, il ricorso sia respinto. BGE 92 II 147 S. 152 Erwägungen Considerando in diritto: 1. Questioni formali. 2. Secondo i convenuti, la lettera 6 aprile 1964, inviata dal rappresentante degli eredi Bortolotti all'indirizzo "Flli Chiesa arch. Luigi e Eros" a Massagno, è valida come notifica della vendita, a'sensi dell'art. 681 cpv. 2 CC, per entrambi i fratelli, anche se pervenuta solo a Luigi Chiesa. L'esercizio del diritto di compera, dichiarato da Eros Chiesa soltanto con lettera 18 giugno 1964, sarebbe pertanto tardivo. L'art. 681 cpv. 2 CC dispone che il venditore ha l'obbligo di notificare la vendita al titolare del diritto di prelazione. Il primo è quindi responsabile della comunicazione al secondo di tutti i dati determinanti per l'esercizio del diritto, segnatamente delle condizioni alle quali il fondo è stato venduto (RU 83 II 519; LEEMANN, Kommentar n. 55 all'art. 681; HAAB, Kommentar n. 37 e 39 agli art. 681/682 CC). Nel caso particolare, il diritto di prelazione era stato concesso a favore di entrambi i fratelli Luigi e Eros Chiesa; la vendita del fondo a un terzo poteva pertanto essere perfezionata solo nel caso che entrambi i suddetti titolari avessero rinunciato al loro diritto in modo espresso o tacitamente, lasciando decorrere infruttuoso il termine stabilito all'art. 681 cpv. 3 CC. Ciò stante, la notificazione di cui all'art. 681 cpv. 2 CC doveva essere fatta ad ambedue i beneficiari del diritto. I venditori hanno, è vero, indirizzato la comunicazione a Luigi ed Eros Chiesa, ma l'hanno trasmessa soltanto al primo. Essi sono quindi responsabili del fatto che il secondo, come risulta dagli accertamenti della Corte cantonale, non ha ricevuto la notificazione della vendita fatta dai venditori con lettera 6 aprile 1964. Ne consegue che tale lettera poteva costituire valida notificazione anche per Eros Chiesa, soltanto se il fratello fosse stato convenzionalmente o legalmente autorizzato a ricevere la comunicazione per entrambi. a) Il contratto del 4 settembre 1962, mediante il quale venne costituito il diritto di prelazione, venne firmato per i beneficiari da Eros Chiesa. Questi quindi, e non il fratello, era stato precedentemente il rappresentante dei beneficiari, sia pure limitatamente all'operazione di stipulazione dell'anzidetto contratto. Comunque non risulta, nè dal contratto stesso nè dagli BGE 92 II 147 S. 153 altri accertamenti della Corte cantonale, che uno dei due beneficiari abbia autorizzato l'altro a ricevere la notificazione per entrambi, nè che una siffatta autorizzazione sia stata espressa direttamente ai proprietari del fondo. b) D'altronde, il contratto del 4 settembre 1962 non regola, nè espressamente nè implicitamente, i rapporti fra i due beneficiari del diritto di prelazione sotto una qualsiasi particolare forma prevista dal diritto svizzero. Non risulta infatti che i fratelli Chiesa abbiano predisposto l'eventuale acquisto del fondo ad uno scopo comune, costituendo - come pretendono i convenuti -una società semplice (cfr. art. 544 CO). Ma anche se gli eredi Bortolotti fossero stati autorizzati a ritenere che i beneficiari del diritto avevano costituito allo scopo suindicato una siffatta società, si sarebbero liberati dall'obbligo di cui all'art. 681 cpv. 2 CC, soltanto mettendo ambedue i soci in condizione di far valere i propri diritti. Infatti, trattandosi di una disposizione che comportava la continuazione o lo scioglimento della presunta società, tale disposizione eccedeva in modo evidente la sfera ordinaria degli affari sociali, per i quali un socio poteva impegnare anche l'altro (art. 535 cpv. 3 CO). c) Infine, non si potrebbe ammettere che Luigi Chiesa fosse autorizzato a rappresentare il fratello neppure adducendo che, trattandosi di completare la comproprietà già acquistata con il contratto del 4 settembre 1962, valgono le disposizioni concernenti i comproprietari. Infatti, l'amministrazione in comune presunta dalla legge (art. 647 cpv. 1 CC) concerne soltanto gli atti di ordinaria amministrazione (art. 647 cpv. 2) e non può quindi estendersi a quelli la cui omissione comporta la decadenza del diritto. d) Luigi Chiesa non avendo alcuna facoltà convenzionale o legale di rappresentare il fratello, la comunicazione fatta il 6 aprile 1964 dagli eredi Bortolotti all'indirizzo di Luigi Chiesa, e da questi non fatta proseguire al fratello, non può costituire per quest'ultimo notificazione valida a'sensi dell'art. 681 cpv. 2 CC. Ciò stante, per Eros Chiesa il termine di 30 giorni di cui all'art. 681 cpv. 3 CC è incominciato a decorrere solo dalla notificazione dell'Ufficio dei registri, avvenuta il 16 giugno 1964. La dichiarazione di esercizio del diritto, espressa il 18 giugno 1964 dall'attore, era quindi tempestiva. 3. Il CC non dispone però, se e in quale misura un diritto di prelazione spettante a più persone possa essere fatto valere BGE 92 II 147 S. 154 da un solo interessato, quando - come in concreto - tale questione non è stata regolata convenzionalmente e non è desumibile dall'annotazione. La Corte cantonale ha preteso che il contratto 4 settembre 1962, mediante il quale Rosina Bortolotti ha concesso il diritto di prelazione ai fratelli Chiesa, senza indicare in quale misura gli stessi avrebbero potuto singolarmente esercitare tale diritto, ha creato un rapporto di solidarietà attiva che, in virtù dell'art. 150 cpv. 1 CO, conferirebbe ad ognuno dei beneficiari il diritto di esigere l'intera proprietà del fondo di cui si tratta. Tale tesi potrebbe essere ammessa soltanto, se Rosina Bortolotti avesse dichiarato di concedere il diritto in questione all'uno o all'altro dei due fratelli. Ma tale non è il caso, onde, la solidarietà di cui all'art. 150 CO non potendo essere presunta (cfr. BECKER, Kommentar, n. 6 all'art. 150 CO), la tesi della Corte cantonale non può, a questo riguardo, essere condivisa. In realtà, dal contratto 4 settembre 1962 non risulta che le parti contrattuali o gli acquirenti nei loro rapporti interni abbiano inteso predisporre l'eventuale assunzione della proprietà sul fondo in una forma o proporzione determinata. Si deve invece desumerne che tale questione sia stata considerata allora irrilevante o che, comunque, non si sia voluto pregiudicare la soluzione da scegliere al momento dell'esercizio del diritto. Non si vede peraltro quale interesse la cedente avrebbe potuto avere ad esigere che il diritto fosse esercitato da entrambi i cessionari in una determinata proporzione, piuttosto che da uno solo. Per contro non si può pretendere che, in difetto di patti speciali, uno dei titolari di un diritto di prelazione sia tenuto ad assumere il fondo in comproprietà o in comunione con il terzo compratore, nè che questi si adagi a condividere in tale senso la proprietà sul fondo acquistato. Il controverso diritto può quindi essere esercitato, non parzialmente ma solo nel suo complesso. La legge non regola esplicitamente la questione di cui si tratta. Tuttavia, non potendosi presumere che la rinuncia di un interessato comporti la decadenza del diritto degli altri e visto che l'esercizio di detto diritto è indivisibile, la lacuna che ne risulta nella legge può essere ragionevolmente colmata, adottando il principio già stabilito dalla dottrina sulla base BGE 92 II 147 S. 155 del diritto positivo straniero (BGB § 513; vedi anche nel CCI l'art. 732 per il diritto del coerede e l'art. 966 per il diritto dell'enfiteuta), secondo cui il mancato esercizio del diritto da parte di uno o più beneficiari comporta corrispondente accrescimento del diritto degli altri (LEEMANN, n. 61 all'art. 681, n. 19 all'art. 682; Haab, n. 38 e 55 agli art. 681/682). L'attore è quindi legittimato a far valere il diritto di prelazione per esigere l'intera proprietà sul fondo in questione. 4. Occorre inoltre stabilire se, il fondo oggetto del diritto di prelazione essendo già iscritto nel registro fondiario a nome del terzo compratore, la comunione ereditaria venditrice sia ancora legittimata a stare in causa. Nella dottrina è ora prevalsa la tendenza a ravvisare negli obblighi di fare o di agire, legali o - in quanto legalmente disciplinati - convenzionali, vincolati alla proprietà su un fondo, ad un diritto reale o al possesso, una cosiddetta obbligazione reale, conforme ad un istituto già sviluppato specie nella dottrina e nella giurisprudenza italiane sulla base dell'obligatio in rem scripta del diritto romano (LIVER, Kommentar, Einleitung n. 148 e segg., Schweizerische Zeitschrift für Beurkundung und Grundbuchrecht - ZBGR - 1962, p. 257 e segg.; PIOTET, RDS 1960, p. 401 e segg., JdT 1963, p. 570 e segg., ZBGR 1965, p. 129; MEIER-HAYOZ, ZBJV, 1956, p. 297 e segg., specialmente p. 302/303. Per il diritto italiano vedi specialmente G. GROSSO in Rivista del diritto commerciale, 1939, p. 213; N. DISTASO in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 1953, p. 437; Il Foro italiano, 1964, p. 179, 721, 723). Ad esempio, nel diritto svizzero l'obbligazione assumerebbe tale carattere con l'annotazione di particolari diritti personali nel registro fondiario, a'sensi dell'art. 959 CC. L'annotazione avrebbe in tali casi per effetto di creare un rapporto diretto fra il titolare del diritto personale e l'attuale proprietario di un determinato fondo. Conseguentemente, nel caso del diritto di prelazione, i fautori dell'obbligazione reale, in consonanza con la quasi totalità dei commentatori, sostengono che, qualora tale diritto sia annotato e la proprietà sul fondo che ne è oggetto sia già stata iscritta al terzo compratore, il beneficiario può far valere il suo diritto, rivendicando la proprietà sullo stesso fondo, solo mediante azione diretta contro l'attuale proprietario e quindi contro il terzo compratore. In virtù del contratto BGE 92 II 147 S. 156 di compera, questi avrebbe acquisito il diritto di esigere dall'attore il rimborso del prezzo pagato e di far valere tutte le eccezioni spettanti al venditore (WIELAND, n. 7, e LEEMANN, n. 70 e 71 all'art. 681 CC; OSTERTAG, n. 10 e 13, e HOMBERGER, n. 38 all'art. 959 CC). La suesposta teoria e la relativa conclusione sono però controverse. Si sostiene infatti, sulla base dell'interpretazione sistematica dell'art. 959 CC, che l'annotazione a'sensi di questa norma può avere solo la funzione di garantire l'esecuzione del diritto personale e che non può, quindi, produrre effetti diversi da quelli risultanti dall'annotazione di una restrizione della facoltà di disporre secondo l'art. 960 CC; onde il beneficiario del diritto di prelazione, non avendo alcun titolo contrattuale da far valere contro il terzo compratore, dovrebbe procedere, a'sensi dell'art. 665 cpv. 1 CC, contro il venditore, sua controparte contrattuale, anche se la vendita è già stata iscritta nel registro fondiario. L'iscrizione a nome del beneficiario dovrebbe essere ottenuta con contemporanea azione di rettifica a'sensi dell'art. 975 cpv. 1 CC nei confronti del terzo compratore (DESCHENAUX, Festgabe für Max Gutzwiller, 1959, p. 711 e segg., spec. 732, ZBGR 1962, p. 282 e segg.; HAAB, n. 46 agli art. 681/682; dapprima anche GUHL, in Berner Festgabe für das Bundesgericht, p. 140 e segg.). In questo senso si è espresso, sia pure solo incidentalmente, anche il tribunale federale (RU 53 II 394 consid. 3, 82 II 582 consid. 1, 84 II 192 consid. 2). La più recente giurisprudenza ha però già accennato ad un riconoscimento dell'obbligazione reale (RU 89 II 144 consid. 3a, 90 II 399 consid. 3). Ad ogni modo, non si può ammettere che, per conseguire la proprietà sul fondo, il titolare del diritto di prelazione annotato debba procedere principalmente contro il concedente, anche quando detto fondo è già iscritto a nome del terzo compratore. Un siffatto procedimento è incompatibile con il testo dell'art. 681 cpv. 1 CC - norma speciale rispetto all'art. 959 CC - secondo cui il diritto di prelazione annotato vale "in confronto di qualsiasi proprietario". Infatti, tale non può più essere il concedente, dal momento che il fondo è stato iscritto al terzo compratore (art. 656 cpv. 1 CC). D'altronde, il fatto che, secondo l'art. 681. cpv. 1 CC, salvo patto speciale, le condizioni per far valere il diritto di prelazione BGE 92 II 147 S. 157 sono quelle alle quali "il fondo è stato comperato dall'ultimo compratore", presuppone che il beneficiario non decade dal suo diritto rinunciando a farlo valere in occasione della prima vendita e che può rivendicarlo, nel termine dell'annotazione, anche in relazione di successive compravendite. Ora non si vede come in questi casi il beneficiario possa ancora ritenere responsabile il concedente. L'opinione che il diritto di prelazione annotato resta valido anche se il beneficiario non l'ha fatto valere in occasione del primo contratto di compravendita è rimasta per lungo tempo pacifica ed è condivisa da tutti i commentatori dell'art. 681 CC (CURTI-FORRER n. 5, WIELAND n. 3 e LEEMANN n. 89 all'art. 681 CC; HAAB n. 19 agli art. 681/682 CC; LIVER, Einleitung n. 154; diversamente HOMBERGER n. 43 all'art. 959). Gli autori che ora la pongono in discussione (JÄGGI, ZBGR, 1958, p. 73; DESCHENAUX ZBGR 1962, p. 289) si riferiscono al § 1097 BGB, il cui testo è diverso da quello dell'art. 681 CC. Vero è che i testi tedesco e francese di questa norma differiscono dal testo italiano ("zu denen dem Beklagten das Grundstück verkauft worden ist", "celles de la vente au défendeur"), ma pure questi testi designano come convenuto il terzo compratore. Infine non si vede quale legittimo interesse sia meglio protetto, proponendo l'azione principale contro il concedente anzichè contro il terzo compratore. Il primo può avere un interesse a difendere il contratto di compravendita solo nel caso che con il terzo compratore abbia stipulato un prezzo superiore a quello prestabilito con il beneficiario del diritto di prelazione. Qualora, invece, tale prezzo non sia stato prestabilito, il concedente non può avere grande interesse a difendere detto contratto, sapendo che, comunque, egli riceverà da uno dei due acquirenti il prezzo stipulato. L'interesse principale a eventualmente impugnare il patto di prelazione e a far riconoscere la validità della compravendita risiede evidentemente nel terzo compratore il quale, se convenuto direttamente, può valersi di tutte le eccezioni che, mediante il contratto stipulato con il concedente, ha esplicitamente o implicitamente assunto dal medesimo. In concreto, al momento del promovimento della causa, gli eredi Bortolotti non erano più proprietari del fondo controverso. L'azione, in quanto proposta nei confronti dei medesimi, BGE 92 II 147 S. 158 non può essere accolta. Invece, l'azione è valida in quanto diretta contro Robbiani, al nome del quale il fondo era iscritto nel registro fondiario. 5. Con lettera 15 giugno 1964, Eros Chiesa ha dichiarato "di esercitare il diritto di prelazione in questione alle condizioni previste nell'atto di compravendita di cui a Rogito No 310 del 3.4.1964 del Notaio Fernando Bernardoni Lugano, riservandosi esplicitamente di chiedere la cancellazione dal R.F. di quegli aggravi ed iscrizioni che in ordine di tempo furono fatte dopo l'annotazione del diritto di prelazione emarginato". La Corte cantonale ne ha dedotto che, riservandosi di contestare la validità del diritto di abitazione concesso per testamento a Maddalena e Lucia Bortolotti, il cui riconoscimento aveva costituito una delle condizioni poste dai venditori ed accettate dal compratore, Chiesa non avrebbe validamente esercitato il suo diritto. Detta conclusione non può essere condivisa. Vero è che, non essendo state prestabilite, le condizioni di esercizio del diritto di prelazione erano quelle stipulate nel contratto di vendita con il terzo compratore, ritenuto tuttavia che fossero valide. Chiesa non ha condizionato l'esercizio del suo diritto alla rinuncia da parte di Maddalena e Lucia Bortolotti al loro diritto di abitazione iscritto nel registro fondiario, ma si è riservato di chiederne la cancellazione. È evidente che l'art. 681 CC non è inteso a privare il beneficiario del suo diritto di dimostrare davanti all'autorità competente che taluna delle condizioni stabilite con il terzo compratore è invalida perchè, ad esempio, è stata inclusa nel contratto, in malafede, allo scopo di inasprire l'esercizio della prelazione. Una rinuncia ad agire in tal senso non sarebbe valida, neppure se fosse stata stabilita convenzionalmente (art. 27 CC; cfr. EGGER, Kommentar, n. 25). La riserva esposta da Chiesa costituiva una semplice affermazione di un diritto personale. Chiesa ha pertanto validamente esercitato il suo diritto di prelazione. La validità di quest'ultimo non essendo impugnata, l'azione nei confronti di Robbiani deve essere accolta. 6. La domanda dell'attore intesa ad ottenere la cancellazione del diritto di abitazione è però infondata. Nel contratto del 4 settembre 1962, le parti non hanno stabilito il prezzo nè le altre condizioni alle quali il diritto di prelazione doveva essere esercitato. Rosina Bortolotti si era BGE 92 II 147 S. 159 quindi obbligata soltanto a dare, in caso di vendita, la preferenza ai fratelli Chiesa. La sua facoltà a disporre del fondo risultava pertanto limitata solo dall'art. 2 CC e nel senso che ulteriori disposizioni in contrasto con il diritto di prelazione, come la costituzione di diritti di compera o di ricompera, non potevano prevalere sul diritto di prelazione precedentemente annotato (RU 90 II 399 consid. 3). Contrariamente a quanto afferma l'attore, non si può presumere che, sottacendo di aver già predisposto per la costituzione sul fondo in questione di un diritto di abitazione, Rosina Bortolotti abbia agito in malafede. Essa poteva avere legittimi motivi a non rivelare le sue disposizioni testamentarie e poteva ragionevolmente supporre che i fratelli Chiesa, ai quali vendeva gran parte del fondo, avrebbero acquisito il diritto di prelazione sulla parte residua della particella N. 447, anche se avessero conosciuto la suesposta disposizione testamentaria. Detto diritto poteva infatti essere normalmente inteso a impedire che gli stabili e il giardino della venditrice venissero senz'altro venduti a terzi a scopi contrari a quelli perseguiti dai compratori della parte principale del fondo. È più probabile invece che Rosina Bortolotti non avrebbe concesso il diritto di prelazione, se avesse dovuto rendersi conto di una restrizione della sua facoltà a disporre per testamento. La domanda di cancellazione del diritto di abitazione non può essere accolta neppure nella forma delle proposte subordinate fatte dall'attore, e cioè neppure previo risarcimento degli interessati. La sostituzione in denaro di talune condizioni stipulate con il compratore può essere ammessa solo nel caso che si tratti di prestazioni personali del medesimo o, comunque, di prestazioni che il beneficiario è impossibilitato ad adempiere (cfr. LEEMANN n. 73, HAAB n. 41 all'art. 681 CC). Ma tale non è il caso in concreto, perchè nel riconoscere il diritto di abitazione a Maddalena e Lucia Bortolotti il beneficiario del diritto di prelazione si trova nelle stesse condizioni del terzo compratore. Il diritto di prelazione concesso ai fratelli Chiesa non poteva comunque limitare le facoltà testamentarie della concedente. Questa poteva legare alla figlia e alla cugina anche la proprietà o l'usufrutto della particella N. 447, con la sola conseguenza che il diritto di prelazione sarebbe rimasto valido nel BGE 92 II 147 S. 160 caso di successive vendite dei suesposti diritti a terzi. Avendo disposto solo il diritto di abitazione, che è inalienabile, il diritto di prelazione dell'attore non può aver effetti sulla consistenza del diritto delle due convenute suindicate. Dispositiv Il Tribunale federale pronuncia: 1. Le conclusioni del ricorrente sono parzialmente accolte e la sentenza impugnata riformata nel senso che l'azione è accolta in quanto proposta contro Walter Robbiani. Per il resto, il ricorso è respinto e l'impugnata sentenza confermata. 2. All'Ufficio del registro fondiario per il comune di Agno è fatto ordine di iscrivere Eros Chiesa quale proprietario della particella N. 447 RFD di Agno, previa cancellazione dell'iscrizione a nome di Walter Robbiani e dimostrazione dell'avvenuto pagamento a quest'ultimo del prezzo di fr. 17 500.
public_law
nan
it
1,966
CH_BGE
CH_BGE_004
CH
Federation
27e2c5e8-945f-4c27-93bc-666fbe6c8bbf
Urteilskopf 118 II 1 1. Extrait de l'arrêt de la IIe Cour civile du 23 janvier 1992 dans la cause M.P. et G.G. M. Bigot de Morogues contre P. et B. Bigot de Morogues (recours en réforme)
Regeste Anfechtung einer Namensänderung; Beiname; Verjährung; Verwirkung; wichtige Gründe; richterliche Prüfungsbefugnis. 1. Die im Zivilstandsregister eingetragenen Beinamen unterliegen den Bestimmungen über die Namensänderung (E. 3). 2. Verjährung. Die Klage auf Beseitigung der Verletzung nach Art. 30 Abs. 3 ZGB ist Ausfluss des Persönlichkeitsrechts. Aus diesem Grund kann sie solange angehoben werden, als der umstrittene Name getragen wird. Sie ist insbesondere nicht einer zehnjährigen Verjährungsfrist in Anwendung von Art. 7 ZGB und 127 OR unterworfen (E. 4 und 5). 3. Verwirkung. Dem Kennen der Namensänderung muss der Fall gleichgestellt werden, in dem der Kläger in Anbetracht der Umstände von dieser hätte Kenntnis haben müssen (E. 6b). 4. Wichtige Gründe im Sinne von Art. 30 Abs. 1 ZGB (E. 7a-c). 5. Prüfungsbefugnis des Richters, bei dem die Klage nach Art. 30 Abs. 3 ZGB anhängig gemacht worden ist, hinsichtlich des Verwaltungsentscheids, der in Anwendung von Art. 30 Abs. 1 ZGB ergangen ist (E. 8).
Sachverhalt ab Seite 2 BGE 118 II 1 S. 2 A.- Les frères M. et G. M., originaires d'O./ZH et domiciliés en Suisse, obtinrent en 1964 du Conseil d'Etat du canton de Zurich, en application de l' art. 30 al. 1er CC , l'autorisation de modifier leur nom de famille "M." en y accolant le patronyme "Bigot de Morogues". Cette décision fut publiée dans la feuille officielle du canton de Zurich. Les ressortissants français P. et B. Bigot de Morogues, également frères et tous deux domiciliés en France, sont descendants en ligne BGE 118 II 1 S. 3 directe de la dernière branche masculine de la famille Bigot de Morogues. B.- P. et B. Bigot de Morogues ont ouvert, le 2 février 1978, action en contestation du changement de nom contre M. et G. M. Bigot de Morogues devant le Tribunal de district d'A./ZH. Devant cette instance, les défendeurs M. et G. M. Bigot de Morogues ont fait valoir en substance que l'action introduite contre eux était prescrite; que les demandeurs avaient eu connaissance du changement de nom bien plus d'un an avant l'ouverture d'action, que ces derniers étaient dès lors forclos en vertu de l' art. 30 al. 3 CC ; que, sur le fond, les demandeurs n'étaient pas lésés dans leurs intérêts juridiquement protégés; enfin que l'intérêt des défendeurs à la conservation de leur nouveau patronyme prévalait sur celui des demandeurs à en obtenir l'annulation. Le 20 décembre 1979, le Tribunal de district d'A. a prohibé l'usage par les défendeurs de l'adjonction "Bigot de Morogues" à leur patronyme "M."; il a ordonné aux autorités d'état civil compétentes de radier le changement de nom et astreint les défendeurs à faire rectifier leurs documents officiels en conséquence. C.- Le 1er mars 1983, le Tribunal supérieur du canton de Zurich a confirmé sur recours le jugement de première instance. E.- Ensuite d'un recours au Tribunal de cassation de Zurich, l'affaire a été renvoyée au Tribunal de district qui, par jugement du 2 mars 1988, a derechef admis l'action en contestation du changement de nom. Ce jugement a été confirmé sur recours par le Tribunal supérieur le 22 mars 1989. Ensuite d'un nouveau recours au Tribunal de cassation, une partie des motifs du jugement attaqué a été retranchée. Par arrêt de ce jour, la Cour de céans a déclaré irrecevable le recours de droit public interjeté par les défendeurs contre le second jugement du Tribunal de cassation. F.- Contre le jugement du Tribunal supérieur du 22 mars 1989, M. M. et G. M. Bigot de Morogues ont interjeté un recours en réforme au Tribunal fédéral. Ils concluent à l'annulation du jugement attaqué et au rejet de l'action en contestation du changement de nom, avec suite de frais et dépens. Le Tribunal supérieur a renoncé à produire des observations sur le recours. Les intimés P. et B. Bigot de Morogues proposent le rejet du recours et la confirmation du jugement attaqué. BGE 118 II 1 S. 4 Erwägungen Considérant en droit: 3. En vertu de l' art. 30 al. 3 CC , toute personne lésée par un changement de nom peut l'attaquer en justice dans l'année à compter du jour où elle en a eu connaissance. Il s'agit d'un droit formateur résolutoire ("aufhebendes Gestaltungsrecht"; cf. KOLLBRUNNER, Die Namensänderung nach Art. 30 ZGB, thèse Berne 1933, p. 97; WYSS, La péremption dans le code civil suisse, thèse Lausanne 1957, p. 53; SPIRO, Die Begrenzung privater Rechte durch Verjährungs-, Verwirkungs- und Fatalfristen, vol. I, Berne 1975, p. 1541). En l'espèce, le patronyme de noblesse française "Bigot de Morogues" a été juxtaposé au nom de famille initial des recourants. Les adjonctions destinées à désigner plus précisément la personne, sans être employées comme un nom dans la vie courante, ne modifient pas ce dernier. En revanche, lorsqu'une adjonction au nom initial, inscrite dans les registres de l'état civil (Beiname), est utilisée dans la vie courante comme partie intégrante du patronyme, elle est soumise aux dispositions relatives au nom et, en particulier, à celles concernant le changement de nom (cf. KOLLBRUNNER, op.cit., p. 22 let. c; GROSSEN, Les personnes physiques, in: Traité de droit civil suisse, Tome II/1, p. 60 ch. IV). 4. Devant les instances cantonales, les recourants ont soulevé - en vain - l'exception de prescription. Ils maintiennent cette exception devant le Tribunal fédéral. Selon les recourants, les dispositions relatives à la contestation d'un changement de nom autorisé par voie administrative présentent une lacune en ce sens qu'elles ne règlent pas le point de savoir dans quel laps de temps absolu un changement de nom peut être attaqué. Le principe de la prescription de toute action, applicable, en vertu du renvoi de l' art. 7 CC , à tous les rapports de droit civil, commande, aux yeux des recourants, l'application par analogie des articles 127 et suivants CO à la présente espèce; l'action de l' art 30 al. 3 CC serait de ce fait soumise à un délai de prescription absolu de dix ans. En méconnaissant le principe énoncé ci-dessus, estiment les recourants, le Tribunal supérieur aurait violé le droit fédéral: le sens et l'esprit de la loi ne sauraient permettre la contestation d'un changement de nom sans aucune limite de temps, le cas échéant plusieurs siècles ou générations après sa survenance. Une telle interprétation de la loi entraînerait pour le porteur du nouveau patronyme une insécurité inadmissible, car il ne pourrait jamais s'assurer de porter son nom définitivement et à bon droit. BGE 118 II 1 S. 5 5. a) Contrairement à ce que soutiennent les recourants, l' art. 7 CC , aux termes duquel "les dispositions générales du droit des obligations relatives à la conclusion, aux effets et à l'extinction des contrats sont aussi applicables aux autres matières du droit civil", ne conduit pas ipso facto et sans restrictions à admettre que l'action de l' art. 30 al. 3 CC serait soumise à un délai de prescription absolu. Il faut bien plutôt examiner, de cas en cas, dans quelle mesure et à quelle conditions le rapport de droit considéré est accessible à la notion de prescription absolue, cela au regard de sa nature et de sa mise en oeuvre dans la loi (cf. ATF 107 II 399 consid. 4a; ATF 101 II 208 ; ATF 86 II 343 consid. 3; DESCHENAUX, Traité de droit civil suisse, Fribourg 1969, vol. II/1, Le titre préliminaire du code civil, pp. 54-62; TUOR/SCHNYDER, Das schweizerische Zivilgesetzbuch, 10e éd. Zurich 1986, p. 19 haut de la page). Comme le Tribunal de district l'avait déjà relevé dans son premier arrêt, le droit civil ne connaît pas, à la différence du droit pénal, une notion générale de prescription absolue. Une prétention de droit civil peut être imprescriptible en vertu de la loi (cf. art. 134 CO , 149 al. 5 LP; cf. en outre les prétentions relevant du droit de la famille, des successions et des droits réels énoncés par FRIEDRICH, Berner Kommentar I/1, sous n. 79-83 ad art. 7 CC ); elle peut aussi être rendue quasiment imprescriptible par l'interruption renouvelée de la prescription selon l' art. 135 CO . On ne saurait dès lors considérer que la prétention déduite de l' art. 30 al. 3 CO se prescrit par dix ans en application directe des art. 127 ss CO . b) La nature même du droit au nom - qui constitue un attribut de la personnalité - s'oppose également à l'argumentation des recourants. En effet, les droits de la personnalité, auxquels on ne peut valablement renoncer, sont intransmissibles et imprescriptibles (cf. ATF 83 II 256 consid. 3; EGGER, n. 13 ad art. 29 CC ; GROSSEN, op.cit., p. 58; TERCIER, Le nouveau droit de la personnalité, Zurich 1984, pp. 64-65). S'agissant d'une émanation du droit de la personnalité, les actions en cessation du trouble prévue par le législateur en matière de changement, respectivement d'usurpation du nom, sont ouvertes aussi longtemps que le trouble subsiste, c'est-à-dire aussi longtemps que le nom contesté est porté (cf. GROSSEN, op.cit., p. 81; JÄGGI, Fragen des privatrechtlichen Schutzes der Persönlichkeit, in RDS 1960 II, pp. 177a/178a/183a). En fixant à l' art. 30 al. 3 CC , à la différence de l' art. 29 al. 2 CC , un délai de péremption d'une année dès la connaissance du changement de nom, le législateur a entendu tenir compte du fait que, dans le premier cas, le port du nom n'est pas le BGE 118 II 1 S. 6 fruit d'une usurpation, mais repose sur une autorisation administrative. Il n'y a toutefois pas place pour une prescription absolue de dix ans. c) L'inconvénient, évoqué par les recourants, de se voir le cas échéant exposé à une action en contestation du changement de nom de nombreuses années après l'octroi de l'autorisation administrative, doit être pris en compte lors de l'examen au fond des intérêts réciproques des parties: d'un côté, celui du demandeur à obtenir l'interdiction pour le défendeur de porter le nom visé; de l'autre, l'intérêt du défendeur à la conservation de son nouveau nom. Dans le cadre de cette appréciation, l'écoulement du temps peut, dans certaines circonstances, constituer un facteur non négligeable. d) On ne saurait tirer de l' ATF 101 II 204 l'infirmation de ce qui précède. Dans l'affaire citée, le Tribunal fédéral a considéré que les articles 23-31 CO étaient applicables à l'invalidation d'un contrat d'adoption pour vice du consentement; estimant que l'action était soumise à un délai relatif de péremption d'une année dès la connaissance du vice, la Cour de céans a cependant laissé ouverte la question de savoir si l'action était soumise à un délai de prescription absolu de dix ans dès la conclusion du contrat. Du reste, les principes de l'invalidation pour vices de consentement des contrats relevant du droit de la famille ne sont pas sans autre applicables par analogie à la contestation d'une lésion persistante d'un droit absolu de la personnalité. Enfin, la notion de droit imprescriptible n'est pas inconnue de la plus récente jurisprudence. Ainsi, le Tribunal fédéral a confirmé que la dissolution judiciaire d'une personne morale en raison de son but illicite ou contraire aux moeurs relève du droit de la personnalité, et ne se prescrit pas tant que dure la lésion ( ATF 115 II 414 , consid. 3b bas de la page, et les renvois). e) Quelques auteurs (ROSSEL/MENTHA, Manuel du droit civil suisse, vol. 1, p. 105 et HAFTER, Personenrecht, 2e édition Berne 1919, n. 16-17 ad art. 30 CC ) considèrent à tort le délai de l' art. 30 al. 3 CC comme un délai de prescription. Pourtant, ces auteurs renvoient aux articles 130 ss CO - et non à l' art. 127 CO - quant à la naissance, la suspension et l'interruption du délai. S'agissant des droits de la personnalité, SPIRO (op.cit., vol. II, pp. 1540-1543 § 535) se montre partisan d'un système combinant une péremption rapide et un délai, plus long, de prescription absolue. S'il déplore que le législateur n'ait pas prévu ce second délai à l' art. 30 al. 3 CC , il observe toutefois (p. 1540 n. 1) qu'on ne saurait simplement y suppléer par une application analogique de l' art. 60 BGE 118 II 1 S. 7 CO . L'auteur relève qu'une lésion ignorée pendant un temps très long par l'intéressé ne pourrait que difficilement être qualifiée de grave: dans une telle hypothèse, l'intérêt du défendeur à la conservation du nom contesté l'emporterait alors sur celui du demandeur, au vu de l'écoulement du temps. Quant à KOLLBRUNNER (op.cit., p. 105), il préconise l'application de la disposition générale de l' art. 127 CO à la prescription de l'action de l' art. 30 al. 3 CC . L'argument avancé par l'auteur, selon lequel la ratio legis du délai de péremption d'une année dès la connaissance pourrait être aisément éludée si ce délai n'était complété d'une prescription absolue, n'est toutefois pas convaincant car il omet de tenir compte de la nature particulière des droits de la personnalité. 6. Les instances cantonales ont mis à la charge des intimés la preuve du moment exact auquel ces derniers ont eu connaissance du changement de nom; elles ont écarté - à bon droit - l'argument des recourants selon lequel il y aurait lieu de présumer que le délai commence à courir dès la publication du changement de nom dans la feuille officielle cantonale; en effet, une telle présomption n'est pas consacrée par la loi (arrêt non publié du 4 novembre 1927 en la cause B. c. B.). a) Conformément à la jurisprudence ( ATF 84 II 598 bas de la page) et à la doctrine (cf. KUMMER, n. 151 et 316 ad art. 8 CC ), la preuve que la connaissance d'un fait a été acquise dans un délai déterminé appartient à celui qui entend en déduire un droit. Exiger la preuve que cette connaissance ne remonte pas à un moment antérieur reviendrait à imposer la preuve d'un fait négatif, dans la plupart des cas impossible à rapporter. C'est au défendeur d'alléguer et de prouver, ou du moins de rendre vraisemblable, que le demandeur a eu connaissance du fait déterminant plus d'une année avant l'ouverture d'action. S'il existe des doutes légitimes quant aux faits avancés par le demandeur sur ce point (une preuve stricte du contraire serait de nature à soulever les mêmes problèmes que ceux qu'entraînerait la preuve de l'absence de connaissance antérieure par le demandeur), il est loisible au demandeur de rapporter la preuve qu'une telle connaissance antérieure n'a précisément pas eu lieu. b) En l'espèce, les recourants font toutefois valoir qu'à la connaissance effective (Kenntnis) du changement de nom, il y aurait lieu d'assimiler le cas où le demandeur aurait dû en avoir connaissance (Kennenmüssen). Il est vrai que cet argument est d'autant plus pertinent, à la lumière du principe de la bonne foi, que l'imprescriptibilité de l'action en contestation du changement de nom est acquise, BGE 118 II 1 S. 8 on l'a vu, en son principe. Afin d'éviter de vider le délai de péremption de son sens, on peut attendre des intéressés entendant agir contre l'utilisation prétendument abusive de leur nom qu'ils effectuent un certain nombre de démarches visant à les renseigner. Ce qui précède n'est pourtant d'aucun secours pour les recourants. Car même s'il était constant que dame Bigot de Morogues, la mère des intimés, a rendu visite au prêtre qui a officié lors du mariage du recourant 1 - ce qui n'est pas établi - et qu'il faille imputer aux intimés - dont seul l'un était alors encore mineur - ce qu'elle a pu apprendre à l'occasion de cette visite, cette connaissance ne pouvait porter, sur la foi des actes d'état civil dont avait disposé le prêtre, que sur le fait que le mariage civil du couple M. Bigot de Morogues - P. de C. avait été célébré à L. (Suisse), sans qu'il y fût fait référence au changement de nom intervenu. Les recourants eux-mêmes n'évoquent point de recherches qu'à leurs yeux, les intimés auraient raisonnablement dû entreprendre et qui auraient pu les amener à prendre connaissance du changement de nom. C'est à tort que les recourants croient pouvoir affirmer que le nom "Bigot de Morogues" accolé à leur nom de famille initial ne pouvait être interprété qu'en tant que fruit d'un changement de nom. En conséquence, on doit en rester aux constatations de fait de l'autorité cantonale de dernière instance, selon lesquelles les intimés n'ont eu connaissance du changement de nom que par la lettre datée du 24 février 1977 et émanant du recourant 1, M. M. Bigot de Morogues, lettre à laquelle était jointe la décision du Conseil d'Etat du canton de Zurich du 23 janvier 1964, après que les recherches entreprises par le conseil parisien des intimés furent restées vaines. L'action ouverte par requête de conciliation auprès de la justice de paix, suivie du dépôt, en date du 2 février 1978, d'une demande devant le Tribunal de district d'A., n'est dès lors pas périmée au sens de l' art. 30 al. 3 CC . 7. a) Par décision du 23 janvier 1964, le Conseil d'Etat du canton de Zurich a autorisé les recourants à modifier leur patronyme "M." en "M. Bigot de Morogues". Comme justes motifs au sens de l' art. 30 al. 1er CC (texte allemand: wichtige Gründe) avancés par les recourants à l'appui de la requête, le Conseil d'Etat a retenu le respect envers les ancêtres (Pietätsrücksichten): il est parfaitement compréhensible, a-t-il estimé, que les descendants d'une famille illustre soient hautement intéressés à relever, par la procédure de l' art. 30 al. 1 CC , un nom porté pendant des générations par leurs ancêtres et menacé d'extinction. BGE 118 II 1 S. 9 Or en réalité, le nom Bigot de Morogues n'était en rien menacé de disparition, comme la simple existence des demandeurs, issus du même A. Bigot de Morogues, le prouve. b) Le Tribunal de district a reconnu au nom "Bigot de Morogues" une renommée particulière autant qu'un caractère de rareté. Selon l'autorité cantonale de première instance, le nom de famille "Bigot de Morogues" est un prestigieux patronyme de la noblesse française, jouissant d'un grand renom, et dont sont issus nombre de scientifiques et d'officiers de haut rang. Le Tribunal de district a estimé qu'en tant que descendants de cette famille et porteurs du nom de Bigot de Morogues, les intimés avaient un intérêt digne de protection à empêcher des tiers de s'approprier l'usage de leur nom. L'intérêt des recourants, issus de la même famille par une branche féminine n'était pas, aux yeux du Tribunal, suffisant pour contrebalancer le droit des intimés à l'exclusivité de leur nom. La rareté relative du nom contesté, liée à une représentation erronée d'un lien entre le nouveau porteur et l'ancien suffisent à fonder l'action en contestation. A cela, ajoute le Tribunal de district, on ne saurait objecter que les porteurs du nom modifié ont entre-temps fondé une famille, que le nom contesté ne constitue qu'une adjonction au patronyme initial et, enfin, que les parties sont en l'espèce domiciliées dans des Etats différents. c) Le Tribunal supérieur s'est rallié, quant au résultat, à la pesée des intérêts effectuée par le tribunal de première instance. Il a relevé, de plus, que la seconde circonstance avancée en son temps par les recourants devant le Conseil d'Etat au titre de juste motif, soit la perspective d'un substantiel héritage français provenant d'une grand-tante restée sans enfants - promesse que l'aïeule aurait soumise à la condition que les recourants relèvent le nom de jeune fille de leur grand-mère - n'avait pas été reprise dans le procès en contestation et n'aurait du reste pas constitué un intérêt suffisant à la conservation du nom litigieux. Le Tribunal supérieur a considéré que l'absence de risque de confusion, lié au fait que les recourants avaient conservé leur patronyme initial, n'était pas déterminant au regard de l'intérêt - supérieur - des intimés, pas plus que ne l'était le fait d'avoir porté le patronyme modifié pendant 19 ans. d) Les recourants soutiennent que les intimés n'ont pas rapporté à satisfaction de droit la preuve d'une lésion consistant en un préjudice particulier dû au changement de nom des recourants. Etant donné que les recourants ont conservé leur patronyme initial de M., le risque de confusion est exclu et on ne saurait soutenir, BGE 118 II 1 S. 10 estiment-ils, que le nom modifié suscite dans l'esprit des tiers des associations erronées quant à des liens entre intimés et recourants. Le fait qu'entre le changement de nom et l'action en justice des intimés se soient écoulées plus d'une dizaine d'années contribue, selon les recourants, à ce qu'on nie l'existence d'une lésion des intérêts des intimés. La façon dont l'instance cantonale a apprécié la circonstance du domicile respectif des parties n'est, aux yeux des recourants, pas compatible avec la jurisprudence. Il n'y aurait pas, selon eux, d'intérêt public à l'annulation d'un changement de nom autorisé voici vingt-cinq ans. La balance des intérêts commanderait dès lors de donner tort aux intimés notamment en raison du fait que les enfants des recourants portent le nom modifié de par leur naissance et ne seraient pas concernés par l'issue de la procédure, fût-elle négative. 8. En vertu de l' art. 30 al. 3 CC , toute personne lésée par un changement de nom peut l'attaquer en justice. Pour déterminer si les conditions subjectives de l'action sont remplies, le juge examine si le demandeur a un intérêt suffisant et digne de protection à contester le changement de nom. Si tel est le cas, le juge procède à une pesée des intérêts en présence; il s'agit de savoir si l'intérêt du défendeur au changement de nom (et non pas à l'abandon de l'ancien nom, ce qui est du ressort de l'autorité administrative) l'emporte ou non sur l'atteinte subie dans ses intérêts par le demandeur ( ATF 95 II 505 consid. 2; ATF 81 II 401 ; ATF 72 II 150 consid. 3; ATF 67 II 191 ; ATF 60 II 390 consid. 2; ATF 52 II 103 ; EGGER, n. 15 ad art. 30 CC ; GROSSEN, op.cit., p. 62). La requête en changement de nom étant soustraite à toute publication, les tiers intéressés sont privés de la possibilité de se déterminer sur celle-ci dans le cadre de la procédure administrative; le juge saisi de l'action en contestation est toutefois habilité à tenir compte des motifs ayant abouti à l'abandon du nom initial. La fonction du patronyme ne se limite pas à l'individualisation de son porteur, ni à permettre à ce dernier, en cas de lésion, d'intenter une action en cessation du trouble ( ATF 102 II 308 et les références citées); le nom de famille exprime également l'appartenance à une famille donnée, permettant à son porteur de jouir de la position sociale afférant à celle-ci. (...) Selon les constatations de fait des autorités cantonales, le nom Bigot de Morogues n'est pas commun et jouit en France d'une renommée particulière. En tant que descendants directs d'ancêtres illustres, les demandeurs ont dès lors une prétention légitime à empêcher des tiers de porter leur nom sans raison valable ( ATF 67 II 191 ; ATF 52 II 107 ). L'existence d'un risque de confusion (en l'espèce de peu d'actualité, les intimés vivant en France et BGE 118 II 1 S. 11 les recourants en Suisse) n'est pas une condition nécessaire à l'action. Ce qui est déterminant, c'est que le changement de nom évoque un lien entre les nouveaux porteurs et les anciens ( ATF 72 II 150 ). A cela, le fait que les recourants ne portent le nom de Bigot de Morogues qu'en appendice à leur patronyme initial ne saurait rien changer. Les motifs invoqués par les recourants à l'appui de leur changement de nom ne sont pas concluants. La déférence envers les ancêtres et en particulier le risque de voir le nom disparaître, invoqués devant le Conseil d'Etat du canton de Zurich, se sont révélés des motifs non conformes à la réalité. Du reste, ils ne constituent pas des justes motifs au regard de la jurisprudence du Tribunal fédéral ( ATF 108 II 250 consid. 5 s'agissant du patronyme VON STOCKALPER; solution approuvée en doctrine par LIVER in RJB 120 (1984), pp. 104-105). En instance fédérale, les recourants se sont abstenus de revenir sur les considérations d'ordre financier évoquées plus haut, d'ailleurs passées sous silence par le Conseil d'Etat. Pour autant qu'on puisse lui accorder la moindre pertinence, ce motif ne pourrait être pris en considération vu qu'il relève entièrement de la volonté à cause de mort d'un tiers, soit d'un acte unilatéralement révocable. Le jugement attaqué ne contient d'ailleurs aucune constatation de fait quant au transfert effectif des biens immobiliers promis, une fois obtenu le changement de nom. Que les défendeurs aient porté leur patronyme modifié pendant 28 ans ne leur est ici d'aucun secours. On ne saurait considérer, par ailleurs, que les intimés auraient abusivement tardé à ouvrir action; ils ne peuvent, pas plus, être tenus responsables de la durée de la procédure. Les recourants ne peuvent prétendre au patronyme contesté par l'effet d'une "prescription acquisitive". Certes, les recourants sont effectivement descendants, par leur grand-mère maternelle, de la famille dont les intimés portent le nom. Cela ne rend cependant pas plus digne de protection leur prétention à porter ce même nom en tant qu'adjonction à leur nom initial que ne l'est le droit des intimés - qui apparaissent, en vertu des règles sur la transmission du nom de famille, comme seuls porteurs légitimes de celui-ci - à agir en cessation du trouble (cf. l'arrêt Eynard, ATF 52 II 103 , où même la mère du défendeur provenait de ladite famille). Ce qui précède n'est nullement en contradiction avec les conceptions juridiques actuelles. Ainsi, le code civil suisse prévoit que le nom du mari est le nom de famille des époux ( art. 160 al. 1er CC ). Il est aussi le nom des enfants de conjoints ( art. 270 al. 1er CC ). BGE 118 II 1 S. 12 En l'absence de motifs importants de nature à prévaloir sur l'atteinte subie par les intimés dans leur droit au nom, c'est à bon droit que les instances cantonales ont admis l'action de ces derniers. Vu ce qui précède, le recours apparaît mal fondé et doit être rejeté. 9. Les recourants font allusion au sort de leurs enfants, qui portent le patronyme M. Bigot de Morogues de par leur naissance. Cette question relève en premier lieu des autorités d'état civil. Elle n'a aucune influence sur l'issue du présent litige.
public_law
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1,992
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Federation
27e58dc5-6db0-452a-850a-e9392ffa397f
Urteilskopf 95 IV 19 6. Arrêt de la Cour de cassation pénale du 24 janvier 1969 dans la cause Cherpillod contre Ministère public du canton de Vaud
Regeste Falsche Anschuldigung, Art. 303 Ziff. 1 Abs. 1 und 2 StGB . 1. Anwendungsbereich dieser Bestimmungen. Die Anschuldigung bedarf keiner besondern Form; sie kann auch in einem Verhör erhoben werden (Erw. 1). 2. Die Anschuldigung muss den Vorwurf einer strafbaren Handlung enthalten; es genügt nicht, dass der Täter von einer Verfehlung spricht, die bloss disziplinarisch strafbar ist (Erw. 2).
Sachverhalt ab Seite 19 BGE 95 IV 19 S. 19 A.- Charles Cherpillod, expert au Service des automobiles du canton de Vaud, a favorisé de nombreux candidats au permis de conduire. Sachant que l'un d'eux, José Orden, avait échoué précédemment, il prépara pour lui une formule de questions écrites où le candidat doit marquer d'une croix les réponses exactes. Le 5 novembre 1965, il se rendit dans la salle d'examen et donna à Orden, qui subissait l'épreuve écrite avec d'autres candidats, la feuille préparée à son intention. Orden la signa et la remit à l'inspecteur Gavillet, qui surveillait les travaux, mais ne remarqua rien. BGE 95 IV 19 S. 20 Entendu le 31 août 1967 par le juge informateur, qui s'étonnait que Gavillet n'ait pas décelé la tricherie, Cherpillod déclara qu'en lui remettant le dossier, il l'avait mis au courant de la facilité faite à Orden et que c'était probablement Gavillet qui avait opéré la substitution des feuilles d'examen. Vu cette accusation, le juge informateur incarcéra l'inspecteur Gavillet. Entendu à nouveau le même jour, Cherpillod reconnut que la tricherie s'était faite à l'insu de Gavillet, que le juge relaxa. B.- Par jugement du 5 juin 1968, le Tribunal correctionnel du district de Lausanne a condamné Cherpillod, pour corruption passive (art. 315 CP) et dénonciation calomnieuse (art. 303 CP), à la peine de vingt mois d'emprisonnement, sous déduction de trente jours de détention préventive, l'a déclaré inéligible à toute fonction publique (art. 51 CP) pour une durée de sept ans et a prononcé que la somme de 1500 fr. saisie à son domicile et provenant de ses infractions était acquise à l'Etat (art. 59 CP). C.- Statuant le 7 octobre 1968 sur le recours de Cherpillod, la Cour de cassation pénale du Tribunal cantonal vaudois l'a rejeté et a confirmé le jugement de première instance. D.- Cherpillod se pourvoit en nullité au Tribunal fédéral. Il conclut à l'annulation de l'arrêt du 7 octobre 1968 et au renvoi de la cause à la juridiction cantonale pour qu'elle le libère du chef d'accusation de dénonciation calomnieuse. Il relève que l'acte dénoncé par lui n'était pas un crime ni un délit, mais une simple faute administrative. Erwägungen Considérant en droit: 1. L'art. 303 ch. 1 CP réprime le comportement de celui qui aura dénoncé à l'autorité, comme auteur d'une infraction, une personne qu'il savait innocente, en vue de faire ouvrir contre elle une poursuite pénale (al. 1) ou qui, de toute autre manière, aura ourdi des machinations astucieuses en vue de provoquer l'ouverture d'une poursuite pénale contre une personne qu'il savait innocente (al. 2). Les deux comportements punissables se distinguent en ceci que, dans le premier cas, la personne visée est dénoncée directement, c'est-à-dire nommée par le dénonciateur, tandis que dans le second cas celui-ci recourt à des procédés indirects, qui doivent être astucieux, sans désigner par son nom la personne qu'il veut entraîner dans une poursuite pénale (RO 85 IV 81 s., consid. 1, et GERMANN, BGE 95 IV 19 S. 21 Schweizerisches Strafgesetzbuch, note ad art. 303 CP, 8e éd., p. 445). La dénonciation n'est soumise à aucune forme particulière. Elle peut résulter d'une simple déclaration faite au cours d'une audition, que le dénonciateur soit entendu à sa demande ou par une autorité agissant de son propre chef (RO 85 IV 82, consid. 2). Ainsi, la dénonciation calomnieuse émane parfois d'un prévenu qui, pour se disculper, reporte sur une personne innocente l'accusation formulée contre lui (RO 80 IV 120 in fine; SCHWANDER, Das schweizerische Strafgesetzbuch, 2e éd., no 769 a, p. 502). En l'espèce, Cherpillod a déclaré faussement au juge informateur, lors de son interrogatoire, que Gavillet était informé de l'irrégularité commise à propos de l'examen subi par Orden. En agissant de la sorte, il l'a dénoncé nommément comme participant à un manquement dont il était en réalité le seul auteur. C'est donc l'application de l'art. 303 ch. 1 al. 1 CP qui doit être envisagée. 2. La dénonciation calomnieuse doit porter sur la commission d'une infraction réprimée par la loi pénale, que ce soit un crime ou un délit (art. 303 ch. 1 CP), ou une contravention (art. 303 ch. 2 CP). Il faut dès lors qu'en principe l'acte dénoncé - qui peut d'ailleurs être imaginaire - constitue objectivement, au cas où il aurait été commis, une infraction punissable (HERMANN MENZEL, Die falsche Anschuldigung nach deutschem und schweizerischem Strafrecht, thèse Fribourg, 1963, p. 53 in initio). Il ne suffit pas d'un manquement passible d'une simple peine disciplinaire (HAFTER, Schweizerisches Strafrecht, Besonderer Teil, p. 794; LOGOZ, Commentaire du Code pénal suisse, Partie spéciale, tome II, n. 6 infine ad art. 303 CP, p. 712; GERMANN, op.cit., p. 446 in fine). Mais le plus souvent, on ne saurait qualifier l'acte incriminé au moment où la dénonciation est portée. Seule l'instruction permettra de dire s'il s'agit d'une infraction réprimée par la loi pénale ou d'un manquement passible de sanctions disciplinaires. Or l'art. 303 CP vise à prévenir non seulement la condamnation d'une personne innocente, mais aussi la poursuite pénale dirigée contre elle. Dès lors, s'il apparaît d'emblée que le fait dénoncé n'est évidemment pas une infraction passible de sanctions pénales, de telle sorte qu'aucune poursuite n'est engagée contre la personne visée, le dénonciateur se rend coupable d'un délit impossible BGE 95 IV 19 S. 22 quant à l'objet. Le juge doit appliquer en pareil cas l'art. 23 al. 1 CP et décider s'il entend atténuer librement la peine, comme cette disposition lui en donne la faculté. En revanche, le délit n'est pas impossible s'il apparaît seulement au cours de l'instruction dirigée contre la personne innocente que le fait dénoncé n'est pas réprimé par la loi pénale. A la suite de la dénonciation mensongère du recourant, le juge informateur a incarcéré l'inspecteur Gavillet. Il a donc exercé une poursuite pénale contre lui. A la vérité, l'arrêt attaqué ne constate pas sous quel chef d'inculpation Gavillet a été mis en détention. Selon le procès-verbal des auditions et le mandat d'arrêt, il a été inculpé d'abus d'autorité et de corruption. Peu importe que le jugement n'ait pas retenu ces infractions à sa charge. Le juge informateur ayant donné suite à la dénonciation portée contre une personne innocente, on ne saurait admettre en l'espèce un délit impossible. 3. (Renvoi de la cause à l'autorité cantonale, en vertu de l'art. 277 PPF, pour qu'elle précise les constatations de fait). Dispositiv Par ces motifs, la Cour de cassation pénale: Admet le pourvoi dans le sens des motifs, annule l'arrêt attaqué et renvoie la cause à l'autorité cantonale pour nouvelle décision.
null
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1,969
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27e8546a-3049-44d8-bf7c-c51eaf407db7
Urteilskopf 111 Ia 150 27. Extrait de l'arrêt de la IIe Cour civile du 1er février 1985 dans les causes X contre Président du Tribunal de première instance du canton de Genève et X contre Président de la Cour de justice (recours de droit public)
Regeste Frist zur Einreichung einer staatsrechtlichen Beschwerde ( Art. 89 OG ): kantonalrechtliche Mitteilung des Entscheides betreffend Entschädigung eines unentgeltlichen Rechtsbeistandes. Die Postalische Überweisung des dem Anwalt im Moderationsentscheid zugesprochenen Geldbetrages stellt keine Mitteilung im Sinne von Art. 89 Abs. 1 OG dar. Die Frist zur Einreichung einer staatsrechtlichen Beschwerde gegen den Moderationsentscheid beginnt somit nicht an dem Tag zu laufen, da der Anwalt die Entschädigung überwiesen erhält.
Sachverhalt ab Seite 151 BGE 111 Ia 150 S. 151 X, avocat à Genève, a été désigné comme avocat d'office de dame Y dans un procès en modification de jugement de divorce ouvert devant le Tribunal de première instance. Il a assisté sa cliente durant toute la procédure, qui s'est déroulée également en appel, devant la Cour de justice. X a remis au Président du Tribunal de première instance, d'une part, et au Président de la Cour de justice, d'autre part, deux états de frais distincts, pour que ces magistrats fixent la somme due par l'Etat au titre de l'assistance juridique. Il a affirmé avoir consacré 37 heures en première instance et 16 heures en appel. Le 23 mai 1984, X a reçu un virement postal de 1901 francs 10 en règlement de son état de frais pour la première instance. Le 20 juin 1984, lui est parvenu, par la même voie, un versement de 840 francs pour la procédure d'appel. Par un même acte, mis à la poste le 21 août 1984, X a formé deux recours de droit public, l'un contre la décision de modération du Président du Tribunal de première instance et l'autre contre celle du Président de la Cour de justice. Erwägungen Extrait des considérants: 5. Le recourant a eu connaissance des deux décisions de modération par des versements de sommes d'argent qui lui sont parvenus respectivement le 23 mai 1984 et le 20 juin 1984. La question se pose de savoir s'il y a eu là communication selon le droit cantonal, faisant partir le délai de recours de l' art. 89 OJ . Dans l'affirmative, le recours formé contre la modération du Président du Tribunal de première instance serait tardif, puisque l'acte de recours a été mis à la poste le 21 août 1984; en revanche, compte tenu de la suspension des délais du 15 juillet au 15 août inclusivement ( art. 34 al. 1 lettre b OJ ), le recours dirigé contre la BGE 111 Ia 150 S. 152 décision du Président de la Cour de justice serait formé le dernier jour du délai, soit en temps utile. Le grief pris par le recourant de l'absence de motivation est inopérant du point de vue de la recevabilité du recours: la communication peut comporter une décision non motivée (BIRCHMEIER, Organisation der Bundesrechtspflege, p. 383 ch. 2a, MARTI, Die staatsrechtliche Beschwerde, 4e éd., p. 125 § 220, KÄLIN, Das Verfahren der staatsrechtlichen Beschwerde, p. 299). a) La législation genevoise sur l'assistance juridique ne contient pas de texte sur la communication de la décision du Juge fixant la rémunération de l'avocat d'office. L' art. 143 A al. 4 OJ gen. prévoit que le Conseil d'Etat édicte le règlement d'application qui fixe les conditions selon lesquelles l'assistance juridique est accordée, refusée ou retirée, ainsi que les droits du défenseur à une indemnisation et au remboursement des frais. Ce règlement, du 11 octobre 1978, dispose que l'Etat paie à l'avocat, en cas d'assistance totale, ses dépens taxés, ses frais, ainsi qu'une indemnité fixée par la dernière autorité judiciaire saisie ne dépassant pas, en règle générale, 3'000 francs. Il n'est rien dit sur la communication de cette décision de taxation. b) Selon l'art. 115 de la loi genevoise de procédure civile (LPC gen.), le jugement est communiqué aux parties par lettre recommandée. Il doit contenir la décision sur les dépens ( art. 122 LPC gen.), qui comprend l'indemnité de procédure ( art. 127 al. 4 LPC gen.), fixée sur le vu d'un état de frais déposé avant le jugement ( art. 128 LPC gen.); il est donné copie sommaire de l'état des dépens dans la communication du jugement ( art. 129 al. 2 LPC gen.). Dans la procédure de taxation des honoraires sur contestation du client, la décision de la Commission de taxation est notifiée aux parties par lettre recommandée (art. 36 al. 1 du règlement sur l'exercice de la profession d'avocat). La loi genevoise instituant un code de procédure administrative prévoit que la décision de la juridiction saisie est notifiée par écrit aux parties ainsi qu'à tout tiers directement atteint par elle dans ses intérêts (art. 36 al. 1). Aucun de ces textes n'a été déclaré directement applicable à la décision du Juge fixant l'indemnité de l'avocat d'office. c) Le recourant affirme que, selon la pratique courante à Genève en matière civile, les états de frais adressés au Tribunal sont renvoyés taxés à l'avocat. Les autorités cantonales ne contestent pas cette affirmation. Or, en l'espèce, l'état de frais taxé BGE 111 Ia 150 S. 153 n'a été renvoyé au recourant ni par le Tribunal de première instance, ni par la Cour de justice: l'avocat X n'a eu connaissance des décisions de ces autorités que par les virements postaux qui lui ont été faits en exécution desdites décisions. Tel avait été également le cas dans l'affaire dame S. contre Président du Tribunal de police de Genève, du 10 août 1983 ( ATF 109 Ia 107 ss): le Tribunal fédéral s'est alors dispensé d'examiner si une telle pratique est conforme aux principes de procédure qui découlent de l' art. 4 Cst. , car la recourante n'émettait aucune critique à ce sujet (consid. 1c, non publié). Lors de la désignation d'un avocat d'office dont le client est au bénéfice de l'assistance juridique, il s'établit, entre l'avocat et l'Etat, un rapport juridique spécial en raison duquel l'avocat a contre l'Etat une prétention de droit public à être rétribué dans le cadre des dispositions cantonales applicables (arrêt dame S. précité, consid. 1b non publié, et les références: ATF 60 I 17 ; GUGGENHEIM, Die unentgeltliche Verbeiständung in den kantonalen Zivilprozessrechten, thèse Zurich 1944, p. 86 et 93 ss). Relevant ainsi de la juridiction de droit public, la décision sur l'indemnisation doit être communiquée dans des formes minimales. Or, on l'a vu, les dispositions de la législation genevoise qui ont trait à la communication d'une décision judiciaire ou administrative prévoient la notification par écrit, le plus souvent même sous pli recommandé. Dans cette optique, l'envoi de l'état de frais modéré apparaît comme le minimum de ce que l'on peut exiger de l'autorité qui fixe la rémunération de l'avocat d'office. Seul cet envoi permet à l'avocat de savoir sur quels points sa prétention a été admise et sur quels points elle ne l'a pas été, le cas échéant dans quelle mesure il a obtenu ce qu'il réclamait. On ne saurait donc admettre que la décision du Juge modérateur ne soit pas du tout communiquée à l'avocat d'office et que ce dernier n'apprenne que le résultat global de la taxation, par une voie indirecte et privée, au moment où il reçoit le versement d'une somme d'argent (cf. BIRCHMEIER, op.cit., p. 384 lettre b). Il suit de là que le recourant n'avait pas reçu communication des décisions qu'il attaque lorsqu'il a déposé son recours. Le délai de l' art. 89 OJ est dès lors respecté aussi bien en ce qui concerne la décision du Président du Tribunal de première instance que celle du Président de la Cour de justice; les recours sont même prématurés, ce qui ne nuit toutefois pas à leur recevabilité ( ATF 103 Ia 194 consid. 1 in fine).
public_law
nan
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1,985
CH_BGE
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Federation
27ea3888-08b4-4b46-9e5b-efbba6646992
Urteilskopf 137 V 105 15. Extrait de l'arrêt de la IIe Cour de droit social dans la cause D. et S. contre Institution de prévoyance X. (recours en matière de droit public) 9C_298/2010 du 28 février 2011
Regeste Art. 73 Abs. 1 BVG : Feststellungsklage; Art. 20a BVG : Rente des überlebenden Lebenspartners; Art. 8 Abs. 2 BV : Gleichbehandlung. Einführung einer Rente für den überlebenden Lebenspartner durch eine Vorsorgeeinrichtung seit 2008 (Reglement 2008). Nachfolgende Änderung des Reglements, die das Recht auf diese Leistung ausschliesst, wenn der Verstorbene sich vor 2008 pensionieren liess (Reglement 2009). Feststellungsklage von zwei Konkubinatspartnern, von denen der eine seit 2006 bei der beschwerdegegnerischen Vorsorgeeinrichtung pensioniert ist, auf Anerkennung des Rechts des Überlebenden auf eine Rente beim Tod des Lebenspartners. Auf eine Feststellungsverfügung anwendbare Fassung des Vorsorgereglements (E. 5). Voraussetzungen, unter denen eine Vorsorgeeinrichtung das Reglement einseitig abändern kann (E. 6); Prüfung im konkreten Fall (E. 7). Wesen und Bedeutung der Verpflichtung der Konkubinatspartner, ihre Partnerschaft zu Lebzeiten zu melden (E. 8); unterschiedliche Behandlung gegenüber verheirateten Personen und eingetragenen Partnern (E. 9).
Sachverhalt ab Seite 106 BGE 137 V 105 S. 106 A. D., né en 1949, et S., née en 1962, font ménage commun depuis de nombreuses années et ont eu ensemble un enfant, A., né en 1998. D., employé de Y., a pris une retraite anticipée au 1 er janvier 2006, date à partir de laquelle il perçoit une rente de vieillesse de la part de l'Institution de prévoyance X. (ci-après: institution de prévoyance). Par décision de son Conseil de fondation du 19 novembre 2007, l'institution de prévoyance a modifié son règlement en introduisant un nouvel art. 3.10a, qui prévoit une rente de partenaire et qui fixe les conditions d'octroi de cette prestation. BGE 137 V 105 S. 107 Utilisant la formule ad hoc établie par l'institution de prévoyance, D. a annoncé, le 19 décembre 2007, qu'il faisait ménage commun avec S.; il entendait ainsi permettre à celle-ci de toucher une rente de partenaire à son décès. Par courriel du lendemain, l'institution de prévoyance a informé D. que la rente de partenaire ne pouvait être demandée qu'avant la mise à la retraite, ce qui n'était plus possible en l'espèce dès lors que l'événement était survenu en 2006. B. L'institution de prévoyance ayant refusé de reconnaître le droit de S. à une rente de partenaire, D. et S. ont ouvert action devant le Tribunal des assurances du canton de Vaud (aujourd'hui: Cour des assurances sociales du Tribunal cantonal), le 12 novembre 2008, en demandant qu'il soit constaté que S. a droit à une rente de partenaire au sens de l'art. 3.10a du Règlement de l'institution de prévoyance dans sa teneur au 1 er janvier 2008 (ci-après: le règlement 2008), au décès de D. Par jugement du 29 janvier 2010, la Cour des assurances sociales du Tribunal cantonal vaudois a rejeté les conclusions de la demande. C. D. et S. interjettent un recours en matière de droit public et un recours constitutionnel subsidiaire contre ce jugement. Avec suite de frais et dépens, ils en requièrent principalement la réforme en ce sens que le droit de S. à une rente de partenaire soit constaté; subsidiairement, ils concluent à l'annulation du jugement et au renvoi de la cause au tribunal cantonal. L'intimée conclut à l'irrecevabilité du recours et au rejet de la demande, avec suite de dépens. L'Office fédéral des assurances sociales a renoncé à se déterminer. Les recourants ont répliqué. Le Tribunal fédéral a rejeté le recours. Erwägungen Extrait des considérants: 4. Le litige porte sur la question de savoir si S. pourrait prétendre une rente de partenaire survivant au décès de D., à charge de l'intimée. 5. 5.1 Les recourants fondent leur droit sur l'art. 3.10a al. 1 du règlement 2008, qui a introduit, avec effet au 1 er janvier 2008, une rente de partenaire aux conditions suivantes: BGE 137 V 105 S. 108 Une communauté de vie comparable à celle du mariage, également entre personnes de même sexe, est assimilée au mariage, pour ce qui est du droit aux prestations mentionnées au chiffre 3.10, dans la mesure où: a) les deux partenaires ne sont pas mariés et n'ont pas de lien de parenté; b) il est possible d'apporter la preuve d'une communauté de vie avec ménage commun pendant au moins cinq années ininterrompues au moment du décès ou qu'il existe un ou plusieurs enfants à charge en commun et que la communauté de vie subsistait encore au moment du décès; c) il existe un formulaire d'annonce écrit de l'institution de prévoyance que la personne assurée a soumis de son vivant à l'institution de prévoyance; d) le droit est revendiqué auprès de l'institution de prévoyance trois mois au plus tard après le décès de la personne assurée; e) les conditions des lettres a) à c) étaient remplies avant la retraite. 5.2 Les recourants contestent en particulier qu'il puisse être fait application de l'al. 1 bis de l'art. 3.10a du règlement, entré en vigueur le 1 er janvier 2009, dont la teneur est la suivante: Le droit à ces prestations n'existe que si la personne assurée remplit les conditions définies à l'alinéa 1. En cas de décès d'une personne retraitée, les conditions définies à l'alinéa 1 doivent cependant déjà être remplies au moment du départ à la retraite. En cas de départ à la retraite avant le 1 er janvier 2008, il n'existe aucun droit à ces prestations. Pour les juges cantonaux, rien ne s'oppose à l'application du règlement dans sa teneur dès le 1 er janvier 2009 (règlement 2009). 5.3 5.3.1 Selon les principes généraux, auxquels se sont référés les premiers juges, on applique, en cas de changement de règles de droit, les dispositions en vigueur lors de la réalisation de l'état de fait qui doit être apprécié juridiquement ou qui a des conséquences juridiques. Ces principes valent également en cas de changement de dispositions réglementaires ou statutaires des institutions de prévoyance. Leur application ne soulève pas de difficultés en présence d'un événement unique, qui peut être facilement isolé dans le temps. S'agissant par exemple des prestations de survivants, on applique les règles en vigueur au moment du décès de l'assuré, c'est-à-dire la date à laquelle naît le droit aux prestations du bénéficiaire ( ATF 126 V 163 consid. 4b p. 166 et la référence). 5.3.2 En l'espèce, l'état de fait dont découle le droit à une rente de partenaire est le décès de l'assuré. Le fait qu'on soit en présence d'une procédure en constatation de droit ne change pas la solution du problème, mais il appartient à l'autorité de statuer sur la base du BGE 137 V 105 S. 109 droit applicable au moment où elle rend sa décision de constat à défaut de réalisation de l'état de fait assuré. Il y a donc lieu d'admettre que c'est sur la base du règlement 2009 que l'affaire doit être tranchée. Il reste donc à examiner les arguments invoqués par les recourants, qui s'opposent à l'application du règlement 2009 à leur cas. 6. 6.1 Selon la jurisprudence, le règlement d'une institution de prévoyance, dont l'activité s'exerce dans le domaine de la prévoyance plus étendue, ne peut être modifié unilatéralement par l'institution que s'il réserve expressément cette possibilité dans une disposition acceptée par l'assuré - explicitement ou par actes concluants - lors de la conclusion du contrat de prévoyance ( ATF 130 V 18 consid. 3.3 p. 29; ATF 127 V 252 consid. 3b p. 255; ATF 117 V 221 consid. 4 p. 225; UELI KIESER, Besitzstand, Anwartschaften und wohlerworbene Rechte in der beruflichen Vorsorge, RSAS 1999 p. 305 ss). Une modification des statuts ou du règlement d'une institution de prévoyance est en principe admissible pour autant que la nouvelle réglementation soit conforme à la loi, ne s'avère pas arbitraire, ne conduise pas à une inégalité de traitement entre les assurés ou ne porte pas atteinte à leurs droits acquis ( ATF 121 V 97 consid. 1b p. 101; arrêt 9C_140/2009 du 2 novembre 2009 consid. 4.2, in SVR 2010 BVG n° 16 p. 64). 6.2 En l'espèce, l'art 9.1 du règlement, qui est resté inchangé, prévoit que le conseil de fondation est en tout temps habilité à modifier le présent règlement ainsi que ses annexes tout en préservant le but de la fondation et les droits des destinataires. Cette disposition réglementaire permet donc une modification du règlement pour autant que les exigences de la jurisprudence ( ATF 121 V 97 consid. 1b) soient respectées. 7. 7.1 Les recourants estiment que la modification du règlement 2008 n'était pas possible car elle constituait une violation des droits des destinataires garantis par l'art. 9.1 du règlement, ces derniers étant plus larges que les droits acquis. 7.2 La législation en matière d'assurances sociales ne reconnaît qu'exceptionnellement l'existence de droits acquis. Selon la jurisprudence en effet, les prétentions pécuniaires ne deviennent des droits acquis que si la loi ou le règlement fixe une fois pour toutes les situations particulières et les soustrait aux effets des modifications légales ou réglementaires ou lorsqu'ont été données des BGE 137 V 105 S. 110 assurances précises à l'occasion d'un engagement individuel. A cet égard, les prestations courantes sont plus facilement considérées comme droits acquis que les simples expectatives, qui ne sont que rarement protégées, précisément parce qu'il n'existe pas de titre juridique qui permette de s'opposer à leur modification en cas de changement des règles légales ( ATF 117 V 229 consid. 5b p. 235). 7.3 En l'espèce, une rente de partenaire constitue pour S. une simple expectative, dont le principe et le contenu peuvent être modifiés unilatéralement par l'intimée. 7.4 7.4.1 Les recourants considèrent que l'art. 9.1 du règlement, qui réserve les "droits des destinataires" en cas de modification du règlement, concerne des droits plus étendus que les droits acquis. Les recourants estiment pouvoir bénéficier de tels droits, qui sont nés lorsque l'annonce a été adressée à l'institution de prévoyance le 19 décembre 2007. En s'annonçant, ils ont accepté l'offre qui leur était faite par celle-ci et qui concernait l'obtention d'une rente de partenaire. Ainsi, le rapport d'obligation était parfait et l'intimée ne pouvait plus s'en départir unilatéralement. 7.4.2 La manière de voir des recourants ne saurait être protégée. En effet, il y a tout d'abord lieu de constater qu'ils se limitent à alléguer, sans le rendre aucunement vraisemblable, que les "droits des destinataires" au sens de l'art. 9.1 du règlement sont plus étendus que les droits reconnus par la jurisprudence en cas de modification des dispositions règlementaires. De plus, il ressort du dossier que D. a appris, en consultant le site intranet de Y. (la page du site a été imprimée le 26 novembre 2007) qu'une rente de partenaire serait introduite et que les détails du droit à la nouvelle rente seraient communiqués par la suite. Le 19 décembre 2007, il a annoncé l'existence de son concubinage en déclarant (chiffre 2 du formulaire) qu'il a pris connaissance du règlement actuel "(...) ainsi que (de) l'aperçu correspondant 'rente pour le partenaire' et accepte les conditions qui y sont fixées". Ce document, qui a été produit par les recourants, précise à propos des personnes légitimées à demander une rente pour le partenaire que "Les collaboratrices et collaborateurs retraités n'ont pas cette possibilité sauf si les conditions d'obtention d'une rente pour le partenaire étaient déjà remplies pendant leur vie active et que leur partenariat avait été déclaré". Dans ces circonstances, il n'est pas possible d'admettre que l'introduction d'une rente de partenaire était une "offre" qui était destinée à D. dans la mesure où il BGE 137 V 105 S. 111 connaissait les documents mentionnant les conditions auxquelles les retraités pouvaient y avoir droit et qu'il savait qu'il ne les remplissait pas complètement. Les recourants ne peuvent dès lors pas s'opposer à la modification du règlement 2008 en invoquant les droits réservés par l'art. 9.1 du règlement. 7.4.3 Il n'y a pas lieu de se prononcer sur la violation de l'interdiction de la rétroactivité, alléguée par les recourants, car le droit de S. à une rente de partenaire doit être examiné, en l'absence de droits garantis, au regard de la règlementation en vigueur lors de la décision de constat, le fait assuré n'étant pas encore survenu. 8. 8.1 Pour les recourants, l'obligation faite à la personne assurée d'annoncer de son vivant l'existence d'un partenariat, est une incombance formelle contraire à l' art. 20a LPP (RS 831.40). 8.2 Dans un arrêt récent ( ATF 136 V 127 ), le Tribunal fédéral a précisé que, dans la mesure où le droit des personnes visées à l' art. 20a LPP ne résulte pas de la loi elle-même mais seulement du fait que celui-ci soit institué par le règlement d'une institution de prévoyance ( art. 49 al. 1 et art. 50 LPP ), il apparaissait logique que ce dernier puisse faire dépendre ce droit d'une déclaration correspondante de l'assuré. Cette manière de voir résulte aussi du fait que, dans le domaine de la prévoyance plus étendue, il existe une large autonomie des institutions de prévoyance uniquement limitée par les dispositions constitutionnelles et légales ( art. 49 al. 1 LPP ; ATF 136 V 49 consid. 4.6 p. 55 ss). Il ne résulte ni du texte de l' art. 20a LPP ni des travaux législatifs que la possibilité de faire dépendre le droit à une rente de partenaire d'une déclaration de l'assuré ait été exclue. Une telle exigence ne constitue pas une condition matérielle supplémentaire mais uniquement une condition formelle. Il correspond ainsi à la nature de la communauté de vie des personnes non mariées, à l'inverse de la réglementation du mariage, que les relations entre les partenaires soient laissées à l'entière autonomie de ceux-ci, chaque assuré étant libre de faire ou non profiter son concubin de la rente. 8.3 En l'espèce, l'incombance prévue par l'art. 3.10a let. c du règlement est dès lors conforme à l' art. 20a LPP . 9. 9.1 Les recourants voient une inégalité de traitement, prohibée par l' art. 8 al. 2 Cst. , entre les couples mariés ou les partenaires BGE 137 V 105 S. 112 enregistrés et les concubins, par le fait que l'obligation d'annonce ne soit imposée qu'aux derniers. 9.2 La LPP prévoit les prestations légalement dues au conjoint survivant (art. 19) et au partenaire enregistré survivant (art. 19a). En revanche, elle ne contient aucune obligation de verser des prestations au concubin survivant. Elle se limite à réserver la possibilité pour les institutions de prévoyance d'introduire une telle rente à certaines conditions. Ainsi, la législation fédérale, dont le Tribunal fédéral ne saurait revoir la constitutionnalité ( art. 190 Cst. ), fait une différence entre les conjoints et les partenaires enregistrés d'une part et les concubins de l'autre. Ce traitement différent réservé à ces derniers par la législateur fédéral, est basé sur l'idée que les concubins hétérosexuels ont la possibilité de se marier et sur le désir de conserver le mariage comme institution uniforme pour les couples hétérosexuels (Message du 29 novembre 2002 relatif à la loi fédérale sur le partenariat enregistré entre personnes du même sexe, FF 2003 1213 ch. 1.6.3). 9.3 Il s'agit ensuite de déterminer si l'application du règlement conduit à une inégalité de traitement ( art. 8 al. 2 Cst. ), en particulier si les recourants peuvent se prévaloir d'une inégalité avec les couples mariés et les partenaires enregistrés dans la mesure où ces deux dernières catégories ont droit à une rente pour le conjoint, respectivement le partenaire survivant, même si le mariage ou l'enregistrement du partenariat ont eu lieu après la mise à la retraite, alors que les concubins seraient privés de faire inscrire leur statut après la mise à la retraite. A l'examen des rapports patrimoniaux existant entre ces trois catégories de personnes, on constate qu'il y a une obligation légale d'entretien des époux et des partenaires enregistrés, alors que le principe et l'étendue de l'entretien chez les concubins ont un caractère contractuel ou moral (SPYCHER/HAUSHEER, Handbuch des Unterhaltsrechts, 2 e éd. 2010, p. 673 ss; FRANZ WERRO, Concubinage, mariage et démariage, 5 e éd. 2000, p. 47 n° 129). Cette différence, qui résulte du système légal, montre que le conjoint et le partenaire enregistré survivants peuvent compter sur la poursuite d'un soutien financier après le décès. En revanche, les personnes choisissant de vivre en concubinage ne bénéficient pas d'un tel droit, ce qui permet de justifier un traitement différent des concubins lors de l'octroi des rentes de survivant. Au demeurant, si l' art. 8 al. 2 Cst. prohibe les discriminations fondées notamment sur l'origine, la race, le sexe, l'âge, BGE 137 V 105 S. 113 la langue, la situation sociale, le mode de vie, les convictions religieuses, philosophiques et politiques, ainsi que sur une déficience corporelle, mentale et psychique, il ne vise pas expressément les concubins. 9.4 Par ailleurs, le fait pour une institution de prévoyance de prévoir une obligation d'annonce pour l'obtention d'une rente de partenaire, dont la jurisprudence ( ATF 136 V 127 ; consid. 8.2 ci-dessus) a reconnu qu'il s'agissait d'une incombance admissible, ne constitue pas une inégalité de traitement face aux conjoints survivants et aux partenaires enregistrés survivants. En effet, l'assimilation complète des différentes catégories n'est pas prévue par le législateur et, si l'on admet qu'il est légitime pour une institution de prévoyance de connaître les risques qu'elle assure, en particulier les différentes rentes de survivants, il est normal qu'elle connaisse les assurés qui vivent en concubinage et pour lesquels elle pourrait être appelée à verser une rente au concubin survivant. Pour les personnes mariées ou celles qui vivent en partenariat enregistré, les modifications de ces données font l'objet d'une communication obligatoire aux institutions de prévoyance par les assurés. 9.5 Enfin, on rappellera que le rapport de prévoyance est fondamentalement modifié lorsque l'assuré est mis au bénéfice d'une rente de vieillesse. En effet, avant son départ à la retraite, l'assuré ne dispose que d'expectatives quant à sa future rente, lesquelles peuvent en principe être revues en tout temps, tandis qu'à sa mise à la retraite l'assuré acquiert le droit à une rente financée par le capital de prévoyance, dont le montant ne peut plus être modifié sous réserve des éventualités envisagées aux art. 36 al. 2 et 65d al. 3 let. b LPP ( ATF 135 V 382 consid. 6 p. 390 ss; ATF 134 I 23 consid. 7 p. 35 ss). Il est ainsi conforme au système que de nouvelles rentes ne puissent naître postérieurement au départ de l'assuré à la retraite, contrairement à ce que les recourants voudraient obtenir.
null
nan
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2,011
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CH
Federation
27ebb2d0-a3b0-45d9-9d7e-48527c87fefb
Urteilskopf 125 V 171 25. Auszug aus dem Urteil vom 21. April 1999 i.S. X gegen Personalvorsorgekasse der Stadt Bern und Verwaltungsgericht des Kantons Bern
Regeste Art. 331a Abs. 2 OR . Die Vorsorgeeinrichtungen dürfen den während des Vorsorgeverhältnisses gewährten überobligatorischen Vorsorgeschutz gegen Tod und Invalidität für die Dauer der einmonatigen Nachdeckung nicht auf die Mindestleistungen gemäss BVG herabsetzen.
Sachverhalt ab Seite 171 BGE 125 V 171 S. 171 A.- Y war vom 1. November 1995 an bei der Personalvorsorgekasse der Stadt Bern (nachfolgend: Kasse) berufsvorsorgeversichert. Ihr Arbeitsverhältnis wurde auf den 30. Juni 1996 aufgelöst, ohne dass Y in der Folge ein neues Arbeits- bzw. Vorsorgeverhältnis einging. Die Kasse überwies den Freizügigkeitsanspruch im Betrag von Fr. 36'159.60 zuzüglich Verzugszins auf ein Freizügigkeitssparkonto. Y verstarb am 20. Juli 1996 und hinterliess ihren Ehemann X sowie zwei Söhne. X beantragte bei der Kasse die Ausrichtung der gesetzlichen und reglementarischen Leistungen, insbesondere einer Witwerrente sowie der Waisenrenten. Mit der Begründung, dass nach der Auflösung des Arbeitsverhältnisses lediglich noch die Minimalleistungen gemäss BVG versichert seien, verweigerte die Kasse die Ausrichtung einer Witwerrente und BGE 125 V 171 S. 172 der das gesetzliche Minimum übersteigenden Waisenrenten. Da nicht gleichzeitig Anspruch auf die Freizügigkeitsleistung und Hinterlassenenleistungen bestehe und die gesetzlichen Waisenrenten sich jährlich lediglich auf je Fr. 643.85 belaufen und den Betrag der Austrittsleistung auch bei Ausrichtung bis zum 25. Altersjahr beider Söhne nicht erreichen würden, erklärte sich die Kasse bereit, von der Zusprechung der (gesamthaft niedrigeren) Waisenrenten abzusehen und den Hinterbliebenen die (höhere) Freizügigkeitsleistung zu belassen. B.- Klageweise beantragte X beim Verwaltungsgericht des Kantons Bern, die Kasse sei zur Ausrichtung der reglementarischen Witwerrente im Betrag von Fr. 8'051.40 jährlich zu verpflichten. Die Kasse anerkannte den Witwerrentenanspruch im Betrag der gesetzlichen Witwenrente (jährlich Fr. 1'925.55), beantragte aber die Rückerstattung der ausgerichteten Freizügigkeitsleistung. In teilweiser Gutheissung der Klage verpflichtete das Gericht die Kasse zur Ausrichtung einer jährlichen Ehegattenrente von Fr. 1'925.55, da X die reglementarischen Anspruchsvoraussetzungen erfülle, und verpflichtete ihn anderseits zur Rückerstattung der Freizügigkeitsleistung (Entscheid vom 10. September 1997). Hinsichtlich der Höhe der Witwerrente ging das Gericht davon aus, dass es einer Vorsorgeeinrichtung, die überobligatorische Leistungen erbringe, unbenommen sei, für den Fall des Risikoeintritts nach Auflösung des Arbeitsverhältnisses, d.h. während der Nachdeckungszeit, eine Reduktion des Vorsorgeschutzes auf das gesetzliche Minimum vorzusehen. Die gesetzlichen Bestimmungen betreffend die Nachdeckung im obligatorischen und überobligatorischen Bereich beschränkten sich auf die zeitliche Festsetzung der Weiterdauer des Vorsorgeschutzes, gewährleisteten aber nicht eine bestimmte Leistungshöhe. C.- Mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde erneuert X den beim kantonalen Gericht gestellten Antrag. Die Kasse und das Bundesamt für Sozialversicherung schliessen je auf Abweisung der Beschwerde. Erwägungen Aus den Erwägungen: 3. a) Die Vorsorgeeinrichtungen sind im Rahmen des BVG ( Art. 6 ff., Art. 49 Abs. 1 BVG ), der Vorschriften des Obligationenrechts über die Personalvorsorge (Art. 331-331e in Verbindung mit Art. 361/62 OR) und der allgemeinen Rechtsgrundsätze in der Gestaltung ihrer Leistungen frei. BGE 125 V 171 S. 173 Anzumerken gilt, dass die Bestimmungen der Art. 331a-e OR auch bei öffentlich-rechtlichen Dienstverhältnissen anwendbar sind ( Art. 342 Abs. 1 lit. a OR ). b) Beim Tod von Mitgliedern oder Rentenberechtigten der Personalvorsorgekasse der Stadt Bern haben die überlebenden Ehegatten Anspruch auf eine Ehegattenrente, wenn sie für den Unterhalt eines oder mehrerer Kinder aufkommen müssen (Art. 39 Abs. 1 lit. a Reglement). Diese [nach Art. 40 des Reglements berechnete] Rente beläuft sich auf einen höheren Betrag als die Witwenrente gemäss den Bestimmungen des BVG. Die Mitgliedschaft endet, wenn das Dienst- oder Arbeitsverhältnis aufgelöst wird (Art. 8 Abs. 2 Reglement). Gemäss Art. 8 Abs. 3 des Reglements bleiben Arbeitnehmerinnen und Arbeitnehmer für die Risiken Tod oder Invalidität während 30 Tagen nach der Auflösung ihres Dienst- und Arbeitsverhältnisses bei der Pensionskasse für die Minimalleistungen gemäss BVG versichert, sofern sie nicht vorher ein neues Dienst- oder Arbeitsverhältnis begonnen haben, für das sie der obligatorischen Versicherung gemäss BVG unterstehen. Im Hinblick auf die Inkraftsetzung des Freizügigkeitsgesetzes auf den 1. Januar 1995 beschloss die Verwaltungskommission der Kasse am 2. Dezember 1994 - vorerst ohne das Reglement formell anzupassen (vgl. Art. 27 Abs. 2 FZG ) -, dass die Bestimmungen des neuen Gesetzes für die von seinem Inkrafttreten an erfolgenden Austritte gültig und anders lautende Bestimmungen des Personalvorsorgereglements von diesem Datum an nicht mehr gültig seien. 4. Vorliegend steht fest, dass die Ehefrau des Beschwerdeführers laut den reglementarischen Bestimmungen im Zeitpunkt ihres Todes nicht mehr Mitglied der Kasse war, da ihr Arbeitsverhältnis - wenn auch weniger als 30 Tage - vorher aufgelöst worden war, sodass gemäss Reglement lediglich noch für die Minimalleistungen in der Höhe der Hinterlassenenleistungen nach BVG Deckung bestand. Mit der Zusprechung einer Ehegattenrente im Betrag der gesetzlichen Mindestrente für Witwen hat die Vorinstanz nicht nur den Mindestanspruch gemäss BVG, sondern auch den dem Beschwerdeführer nach Art. 8 Abs. 3 Reglement zustehenden Anspruch auf Ehegattenrente bejaht. Der Beschwerdeführer beansprucht aber darüber hinaus eine Ehegattenrente im Betrag, der ausgerichtet worden wäre, wenn seine Ehefrau während der Dauer ihrer Mitgliedschaft gestorben wäre. Es ist deshalb zu prüfen, ob die Einschränkung der Versicherungsdeckung für die Dauer der Nachfrist auf den BGE 125 V 171 S. 174 Betrag der gesetzlichen Mindestleistungen gemäss Art. 8 Abs. 3 Reglement rechtmässig ist. 5. a) Art. 331a OR bestimmt, dass der Vorsorgeschutz an dem Tag endet, an welchem der Arbeitnehmer die Vorsorgeeinrichtung verlässt (Abs. 1). Der Arbeitnehmer geniesst jedoch einen Vorsorgeschutz gegen Tod und Invalidität, bis er in ein neues Vorsorgeverhältnis eingetreten ist, längstens aber während eines Monats (Abs. 2). Für den nach Beendigung des Vorsorgeverhältnisses gewährten Vorsorgeschutz kann die Vorsorgeeinrichtung vom Arbeitnehmer Risikobeiträge verlangen (Abs. 3). Von diesen Vorschriften darf zu Ungunsten des Arbeitnehmers nicht abgewichen werden ( Art. 362 Abs. 1 OR ). Sie stimmen inhaltlich mit dem für den Obligatoriumsbereich geltenden Art. 10 Abs. 3 BVG überein. b) Art. 331a OR wurde - wie Art. 10 Abs. 3 BVG - mit dem Inkrafttreten des Freizügigkeitsgesetzes (FZG) am 1. Januar 1995 abgeändert. Bis dahin hatten in der überobligatorischen Vorsorge gesetzliche Bestimmungen über das Ende des Vorsorgeschutzes gefehlt. Durch die neue Vorschrift sollte der Übergang des Vorsorgeschutzes für Tod und Invalidität bis zum Eintritt in ein neues Vorsorgeverhältnis möglichst lückenlos gewährleistet werden. Indem sie dem für das Obligatorium geltenden Art. 10 Abs. 3 BVG entspricht, bedeutet diese Regelung nach Auffassung des Bundesrates eine Vereinfachung für Vorsorgeeinrichtungen, deren Leistungen diejenigen der BVG-Minimalvorschriften übersteigen (Botschaft zum Freizügigkeitsgesetz vom 26. Februar 1992, BBl 1992 III 603). Die Änderung wurde in den Räten diskussionslos angenommen (Amtl.Bull. 1992 N 2460, 1993 S 571 f.). c) Ob die Vorsorgeeinrichtungen befugt sind, den Vorsorgeschutz während der Dauer der Nachdeckung gegenüber demjenigen während des bestehenden Vorsorgeverhältnisses zu reduzieren, wurde vom Eidg. Versicherungsgericht bisher nicht entschieden. In der Literatur findet sich, soweit ersichtlich, lediglich im Handbuch der Personalvorsorge-Aufsicht des Amtes für berufliche Vorsorge des Kantons Zürich (Separatum Freizügigkeit/Wohneigentumsförderung, Zürich 1994, S. 42) der Hinweis, dass infolge der Neufassung von Art. 331a Abs. 2 OR eine Beschränkung der Nachdeckung auf die obligatorischen Mindestleistungen nicht mehr zulässig sei. d) aa) Vorinstanz, Kasse und Bundesamt machen geltend, gemäss Art. 49 Abs. 1 BVG müssten die Vorsorgeeinrichtungen nur die gesetzlichen Mindestleistungen erbringen, sodass eine Reduktion auf das gesetzliche BGE 125 V 171 S. 175 Minimum zulässig sei. Dem ist entgegenzuhalten, dass die Vorsorgeeinrichtungen zwar nicht verpflichtet sind, reglementarisch überobligatorische Leistungen zu gewähren, dass dadurch aber nicht entschieden ist, unter welchen Voraussetzungen eine Rücknahme der einmal zugesagten Deckung zulässig ist. Vorliegend fällt entscheidend ins Gewicht, dass der für den überobligatorischen Bereich geltende Art. 331a Abs. 2 OR die Weiterdauer des Vorsorgeschutzes für die Risiken Tod und Invalidität während eines Monats über das Ende des Vorsorgeverhältnisses hinaus vorschreibt. Hätte die Gesetzgebung eine Fortdauer des Vorsorgeschutzes auf dem Niveau der gesetzlichen Mindestleistungen genügen lassen wollen, hätte sie es bei der Revision von Art. 10 Abs. 3 BVG bewenden lassen können. Die zur Neuformulierung von Art. 331a Abs. 2 OR angegebenen Gründe können nur dahin gehend verstanden werden, dass der während der Dauer des Vorsorgeverhältnisses bestehende Schutz für die Risiken Tod und Invalitität während der Nachdeckung auch betraglich im bisherigen Rahmen weiter bestehen soll. Ein Absinken auf das gesetzliche Minimum würde zwar nicht eine vollständige, aber doch eine teilweise Lücke im Vorsorgeschutz bedeuten. Indem die neue Bestimmung für die Vorsorgeeinrichtungen eine Vereinfachung bringen sollte, ging die Gesetzgebung offensichtlich davon aus, dass für die Dauer der Nachdeckung keine Sonderregelungen getroffen werden können, sondern der Vorsorgeschutz - wie im Obligatoriumsbereich - für die genannten beiden Risiken unverändert fortgeführt wird. Entgegen der Auffassung der Vorinstanz hat Art. 331a OR nicht nur eine zeitliche, sondern auch eine massliche Bedeutung. bb) Es kann der Kasse auch keineswegs darin beigepflichtet werden, dass der Vorsorgeschutz nach Art. 331a Abs. 2 OR nur dann ungeschmälert zu bejahen ist, wenn die Vorsorgeeinrichtung nichts Abweichendes statuiert hat. Wie bereits erwähnt, darf diese Bestimmung gemäss Art. 362 Abs. 1 OR nicht zu Ungunsten der Arbeitnehmerinnen und Arbeitnehmer abgeändert werden. Es kann deshalb offen bleiben, ob die abweichende Regelung der Kasse in Art. 8 Abs. 3 Reglement nicht auch im Hinblick auf den erwähnten (Erw. 3b hievor) Beschluss der Verwaltungskommission vom 2. Dezember 1994 nach Inkrafttreten von Art. 331a OR nicht mehr anwendbar war. Schliesslich ist dem deutschen (sowie dem diesbezüglich übereinstimmenden französischen) Wortlaut von Art. 331a Abs. 2 OR , wonach der Arbeitnehmer BGE 125 V 171 S. 176 "einen Vorsorgeschutz" geniesst ("bénéficie toutefois d'une protection de prévoyance"), - entgegen der Auffassung der Kasse - nicht schlüssig zu entnehmen, dass es im Belieben der Vorsorgeeinrichtung stehe, in welchem Umfang sie Vorsorgeschutz gewähren will, ja, dass sie den bisherigen überobligatorischen Schutz gänzlich aufheben dürfe (vgl. immerhin die italienische Fassung dieser Bestimmung: "beneficia della protezione di previdenza"). Als für die Auslegung aufschlussreicher erweist sich Abs. 3 von Art. 331a OR , namentlich in der französischen und italienischen Version: "... la prévoyance maintenue ..." und "... la previdenza mantenuta ...", was klar auf den bisherigen Versicherungsumfang für die Risiken Tod und Invalidität hinweist. e) Zusammenfassend ist der Anspruch des Beschwerdeführers auf eine nach Art. 40 des Reglements berechnete Ehegattenrente zu bejahen.
null
nan
de
1,999
CH_BGE
CH_BGE_007
CH
Federation
27ec4c1b-3959-44b7-8b70-177154b18f9a
Urteilskopf 89 I 281 43. Urteil vom 28. Juni 1963 i.S. Stucki gegen Rekurskommission des Kantons Solothurn.
Regeste Verwaltungsgerichtsbeschwerde: Erfordernis der Darstellung der wesentlichen Tatsachen. Wehrsteuer für Einkommen: Besteuerung des Kapitalgewinns, den der Inhaber eines Garagebetriebes beim Verkauf der Geschäftsliegenschaft erzielt hat. War der Verkäufer zur Führung kaufmännischer Bücher verpflichtet?
Sachverhalt ab Seite 281 BGE 89 I 281 S. 281 A.- Albert Stucki betrieb in Solothurn eine Autogarage mit einer Servicestation. Im Jahre 1959 verkaufte er die Geschäftsliegenschaft mit Wohnhaus, Werkstatt, Tankstellenüberdachung und Garage. Er erzielte dabei einen Kapitalgewinn, der gemäss Art. 43 WStB zur Sondersteuer herangezogen wurde. Albert Stucki bestritt, diese Steuer zu schulden, mit der Begründung, er sei nicht zur BGE 89 I 281 S. 282 Führung kaufmännischer Bücher verpflichtet gewesen. Die Veranlagung wurde jedoch bestätigt, zuletzt durch Entscheid der kantonalen Rekurskommission vom 6. November 1962. B.- Gegen diesen Entscheid erhebt Albert Stucki Verwaltungsgerichtsbeschwerde, in welcher er an seinem Standpunkt festhält. Die kantonalen Behörden beantragen, auf die Beschwerde nicht einzutreten, eventuell sie abzuweisen. Die eidgenössische Steuerverwaltung schliesst auf Abweisung der Beschwerde. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Die kantonalen Behörden beantragen Nichteintreten, weil in der Beschwerdeschrift die nach Art. 90 Abs. 1 lit. b/ Art. 107 OG erforderliche Darstellung der wesentlichen Tatsachen fehle. Indes kann der Beschwerdeschrift unschwer entnommen werden, auf welche Tatsachen der Beschwerdeführer sich berufen will. Sie verweist auf die Einspracheschrift, welche den Sachverhalt kurz darlegt, und enthält weitere Ausführungen über den Tatbestand. Das genügt. Auf die Beschwerde ist einzutreten. 2. Der in Frage stehende Kapitalgewinn unterliegt nach Art. 43 WStG der Sondersteuer, wenn der Beschwerdeführer verpflichtet war, für seinen Garagebetrieb kaufmännische Bücher zu führen (Art. 21 Abs. 1 lit. d WStB). Das war der Fall, wenn Albert Stucki gehalten war, sich in das Handelsregister eintragen zu lassen (Art. 957 in Verbindung mit Art. 934 Abs. 1 OR und Art. 52 ff. HRegV ). Dass er tatsächlich nicht eingetragen war, ist unerheblich. Es kommt darauf an, ob er nach der gesetzlichen Ordnung zur Eintragung verpflichtet gewesen wäre. Die verwaltungsrechtliche Kammer kann diese Frage frei prüfen. Ein Entscheid der zuständigen Registerbehörde darüber liegt nicht vor, so dass nicht zu untersuchen ist, ob der Gerichtshof an einen solchen gebunden wäre. Das Schreiben des Handelsregisteramtes Solothurn vom 23. Januar BGE 89 I 281 S. 283 1963, auf das der Beschwerdeführer sich beruft, stellt keinen Entscheid dar, sondern enthält bloss eine Meinungsäusserung. Nach Art. 934 Abs. 1 OR ist zur Eintragung im Handelsregister verpflichtet, wer ein Handels-, ein Fabrikations- oder ein anderes nach kaufmännischer Art geführtes Gewerbe betreibt. Unter den Begriff des Handelsgewerbes fällt insbesondere der Erwerb und die Wiederveräusserung (in unveränderter oder veränderter Form) von unbeweglichen oder beweglichen Sachen irgendwelcher Art ( Art. 53 lit. A Ziff. 1 HRegV ). Fabrikationsgewerbe sind Gewerbe, die durch Bearbeitung von Rohstoffen und anderen Waren mit Hilfe von Maschinen oder anderen technischen Hilfsmitteln neue oder veredelte Erzeugnisse herstellen (lit. B daselbst). Andere nach kaufmännischer Art geführte Gewerbe sind solche, die nicht Handels- oder Fabrikationsgewerbe sind, jedoch nach Art und Umfang des Unternehmens einen kaufmännischen Betrieb und eine geordnete Buchführung erfordern (lit. C ebenda). Die in diesen Verordnungsbestimmungen bezeichneten Gewerbe sind von der Eintragspflicht befreit, wenn ihre jährliche Roheinnahme eine bestimmte Summe (Fr. 25'000.-- nach der alten und Fr. 50'000.-- nach der neuen, seit 1. Januar 1955 geltenden Ordnung) nicht erreicht ( Art. 54 HRegV ). 3. Der Beschwerdeführer hat in seinem Garagebetrieb einerseits Waren (Benzin, Rohöl, Schmierstoffe, Frostschutzmittel usw.) im Detail verkauft und anderseits Reparaturen vorgenommen. Ob die Tätigkeit, die er in der Reparaturwerkstatt ausgeübt hat, nach Art und Umfang die Eintragungspflicht begründet hätte, kann offen gelassen werden. Auf jeden Fall war er deshalb zur Eintragung verpflichtet, weil er ausserdem ein Handelsgewerbe im Sinne der Bestimmungen über das Handelsregister betrieben und dabei die genannten Mindestumsätze erreicht hat. Nach seinen eigenen Angaben hat er in den Jahren 1950-1959 allein schon beim Verkauf von Benzin und Rohöl Umsätze erzielt, die das Minimum BGE 89 I 281 S. 284 übersteigen. Der Vertrieb dieser Treibstoffe und auch anderer Waren, z.B. von Schmierstoffen - jedenfalls soweit sie nicht bei Arbeiten in der Werkstatt gebraucht wurden - und von Frostschutzmitteln, ist offensichtlich Handel im Sinne von Art. 934 Abs. 1 OR und Art. 53 lit. A Ziff. 1 HRegV . Dass damit vielfach kleine Dienstleistungen gegenüber dem Kunden (Einfüllen in Behälter usw.) verbunden waren, ändert daran nichts. Ob auch der Vertrieb von Batterien, Reifen und dgl. zur Handelstätigkeit zu zählen sei, kann dahingestellt bleiben. Der Beschwerdeführer wendet ein, den grössten Teil (durchschnittlich rund 70%) des Bruttogewinns habe ihm die Werkstatt eingetragen, welche daher die Servicestation an wirtschaftlicher Bedeutung weit übertroffen habe; mithin handle es sich in der Hauptsache um einen handwerklichen Kleinbetrieb, so dass die Eintragspflicht nach der Rechtsprechung ( BGE 75 I 76 ff.) zu verneinen sei. Dieser Betrachtungsweise kann nicht zugestimmt werden. Wäre entscheidend, welcher Betriebsteil wirtschaftlich wichtiger war, so wäre zum mindesten zweifelhaft, ob allein auf den Bruttogewinn abgestellt werden könnte und nicht auch andere Faktoren zu berücksichtigen wären, so der Nettogewinn und vor allem der Umsatz - von dem nach der eigenen Darstellung des Beschwerdeführers durchschnittlich bloss rund 40% auf die Werkstatt entfallen wären. Indes kann es nach der gesetzlichen Ordnung überhaupt nicht darauf ankommen, ob der eine Geschäftszweig als Hauptgewerbe und der andere als blosses Nebengewerbe anzusprechen sei. Das Unternehmen des Beschwerdeführers war wirtschaftlich und organisatorisch eine Einheit, was insbesondere darin zum Ausdruck kam, dass eine einzige Buchführung bestand, in der alle Geschäftsvorfälle zusammengefasst wurden. Da auf jeden Fall die eine Tätigkeit des Beschwerdeführers, der Warenvertrieb, nach Art und Umfang die Eintragspflicht begründete, war das ganze Unternehmen eintragspflichtig (vgl. BGE 70 I 207 Erw. 3). Selbst wenn der andere Betriebsteil, die Werkstatt, BGE 89 I 281 S. 285 als Hauptbetrieb anzusehen wäre und an sich die Voraussetzungen der Eintragspflicht nicht erfüllte, fiele die Entscheidung nicht anders aus. Auf die Ausführungen in BGE 75 I 76 ff. lässt sich der abweichende Standpunkt, den der Beschwerdeführer vertritt, nicht stützen. Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Beschwerde wird abgewiesen.
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CH
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Urteilskopf 101 Ib 78 14. Auszug aus dem Urteil vom 28. Februar 1975 i.S. Bucheli gegen Regierungsrat des Kantons Luzern
Regeste Massnahmen zur Förderung des Wohnungsbaues. Eine Pflicht des Subventionsempfängers, das Subventionsverhältnis während der festgelegten Dauer ununterbrochen fortzuführen, besteht weder nach dem Wortlaut noch nach dem Sinn des BG vom 19. März 1965 über Massnahmen zur Förderung des Wohnungsbaues (WFG).
Sachverhalt ab Seite 78 BGE 101 Ib 78 S. 78 Dem Beschwerdeführer wurden auf Subventionsgesuch hin mit Beitragsverfügung vom 14. Januar 1967 auf die Dauer von 20 Jahren von Bund, Kanton und Gemeinde je zu einem Drittel aufzubringende jährliche Kapitalzinsbeiträge zugesichert; zugleich wurden die für das subventionierte Mehrfamilienhaus zulässigen Mietzinse festgesetzt. Nachdem ihm seit dem Oktober BGE 101 Ib 78 S. 79 1967 die Beiträge ausgerichtet worden waren, empfand der Beschwerdeführer in der Folge die durch die Subventionsbedingungen vorgeschriebene Begrenzung der Mietzinse als hinderlich und die Umtriebe als lästig. Er verlangte daher die Entlassung aus dem sozialen Wohnungsbau. Der Regierungsrat des Kantons Luzern lehnte dies ab. Gegen diesen Entscheid erhebt der Betroffene Verwaltungsgerichtsbeschwerde, die vom Bundesgericht gutgeheissen wird, soweit sie die Anwendung von Bundesrecht beschlägt. Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. Das WFG führt die schon früher angewandte Bundeshilfe für den sozialen Wohnungsbau, d.h. für die Beschaffung preisgünstiger Wohnungen, weiter. Als unmittelbare Bundeshilfe sieht es drei Massnahmen vor, nämlich die Verbilligung der Mietzinse (Art. 5 bis 12), die Verbürgung von Hypotheken (Art. 13) und die Kapitalbeschaffung in Form von Darlehen (Art. 14). Die Bundeshilfe durch Verbilligung der Mietzinse besteht in der Ausrichtung jährlicher Beiträge an die Kapitalverzinsung bis zu 2/3% der Gesamtinvestitionen. Die Bundeshilfe darf höchstens für die Dauer von 20 Jahren zugesichert werden (Art. 7). Sie setzt eine mindestens doppelt so hohe Leistung des Kantons bzw. der Gemeinde voraus (Art. 9 und 10). Die Verordnung (2) vom 22. Februar 1966 über Bundeshilfe zur Förderung des Wohnungsbaues (V 2) enthält nähere Bestimmungen über die Beiträge an die Kapitalverzinsung zur Verbilligung der Mietzinse (Art. 13 bis 27). Der Bundeshilfe-Beitrag wird durch den Kanton dem jeweiligen Eigentümer der Liegenschaft ausbezahlt (Art. 20). Die Mietzinse sind behördlich zu genehmigen. Sie dürfen das Ausmass nicht übersteigen, das notwendig ist, um die Kosten der landesüblichen Verzinsung für das Fremdkapitel und der Verzinsung der investierten eigenen Mittel zum Ansatz der II. Hypothek und gegebenenfalls der I. Hypothek zu decken (Art. 21). Die Art. 23-26 sodann handeln von der Zweckentfremdung. Art. 24 insbesondere regelt die Folgen einer Zweckentfremdung. Bei Feststellung einer Zweckentfremdung ist die Verbilligung der Mietzinse grundsätzlich herabzusetzen oder einzustellen (Abs. 1). Bei Zweckentfremdung durch Überschreitung BGE 101 Ib 78 S. 80 der genehmigten Mietzinse hat der Vermieter die zuviel bezogenen Beträge an die Mieter zurückzubezahlen. Tut er dies auf behördliche Aufforderung innert Frist nicht, so wird die Verbilligung eingestellt (Abs. 3). 3. In der Sache ist zu entscheiden, ob dem Subventionsnehmer während der 20jährigen Dauer der durch unmittelbare Bundeshilfe ermöglichten Mietzinsverbilligung ein vorzeitiger Verzicht auf die Subvention und damit eine einseitige Auflösung des der Subventionierung zugrunde liegenden Rechtsverhältnisses möglich ist. Der Beschwerdeführer will von der Pflicht frei werden, in seinem Mehrfamilienhaus die Wohnungen in dem Masse verbilligt zu vermieten, wie dies in der "Beitragsverfügung" (bzw. späteren Erhöhungsverfügungen) umschrieben ist. a) Die Frage vorzeitiger Beendigungsmöglichkeit berührt die Rechtsnatur des Subventionsverhältnisses. Die Subvention ist kein Geldgeschenk des Staates an den Privaten. Die Geldleistung hängt zusammen mit der Erfüllung von Aufgaben im öffentlichen Interesse. Das Subventionsverhältnis ist - unabhängig von seiner formellen Ausgestaltung - seinem Gehalte nach ein verwaltungsrechtliches Schuldverhältnis eigener Art auf Grund der bestehenden gesetzlichen Regelung. Als Schuldverhältnis begründet es Rechte und Pflichten bezüglich der Leistungen des Subventionsgebers wie derjenigen des Subventionsempfängers. Es kann auf verschiedene Weise geschaffen werden - ex lege, durch behördliche Verfügung, durch Vertrag - und dementsprechend in verschiedenen Typen in Erscheinung treten (vgl. RHINOW, Wesen und Begriff der Subvention in der schweizerischen Rechtsordnung, 1971, Nr. 193, S. 152 f.). Vorliegend scheinen alle Beteiligten - auf Grund eines Rechtsgutachtens des EJPD - darin übereinzustimmen, dass das Subventionsverhältnis auf einem öffentlich-rechtlichen Vertrag beruht. Diese Annahme kann jedoch nicht unbesehen übernommen werden. Da das Gericht das richtige Recht von Amtes wegen anzuwenden hat, ist die Rechtsgrundlage zu überprüfen. Die bisherige Doktrin und Praxis sieht mit Fleiner an der Basis des Subventionsverhältnisses eine einseitige Verfügung der Behörde, einen annahmebedürftigen Verwaltungsakt ( BGE 93 I 674 E. 4; Urteil Hofer vom 13. September 1974; BGE 101 Ib 78 S. 81 RHINOW, a.a.O., Nr. 194, S. 153). Nach BGE 93 I 674 liegt in der Zusicherung der Subvention der massgebliche Verwaltungsakt, durch den auf Seiten des Subventionsempfängers ein Rechtsanspruch und auf Seiten des die Subvention versprechenden Gemeinwesens eine Verpflichtung begründet wird. Die Rückerstattung einer so ausgerichteten Subvention wegen Zweckentfremdung kann nur gefordert werden, wenn der Widerruf der Zusicherung sich auf eine klare Rechtsgrundlage stützen lässt. Diese mit einem Gutachten des EJPD aus dem Jahre 1937 (VEB 1937 Nr. 29) übereinstimmende Sicht ist in der Folge kritisiert worden. Sie trage der Sicherung des im öffentlichen Interesse zu verfolgenden Zwecks der Subvention zu wenig Rechnung. Der Subventionsempfänger werde an die mit der Subvention erstrebte, von ihm erwartete Leistung nur ungenügend gebunden. Die "Bedingungen und Auflagen", die der Subventionszusicherung beigefügt werden, genügten nicht. Die vom Subventionsempfänger erwarteten Leistungen seien aus der Sicht des öffentlichen Interesses keine Nebenbestimmungen, sondern sie gehörten zum eigentlichen Inhalt, zum Kern des Schuldverhältnisses und seien einem essentiale negotii gleichzusetzen. Wer staatliche Mittel beanspruche und erhalte, um damit eine Aufgabe im öffentlichen Interesse zu erfüllen, der solle zu dieser Verpflichtung auch stehen müssen und im Falle der Zweckentfremdung dafür haften, auch ohne ausdrückliche Gesetzesbestimmung, schon aus dem Wesen der Subvention heraus (RHINOW, a.a.O., Nrn. 197, 198, 199, 202). Wo die Bindung des Subventionsempfängers an den mit der Subvention verfolgten Zweck erforderlich sei und erstrebt werde, sei für das Subventionsverhältnis nicht der einseitige Verwaltungsakt, sondern der öffentlich-rechtliche Vertrag die angemessene Rechtsgestalt, insbesondere dann, wenn die Rechtsbeziehungen auf Dauerwirkung angelegt seien. Dies gelte im speziellen für die Subventionen im sozialen Wohnungsbau (RHINOW, a.a.O., Nrn. 200, 223, 230, 231, 233). Die Justizabteilung des EJPD scheint sich dieser rechtlichen Betrachtungsweise angeschlossen zu haben und nimmt vorliegend das Bestehen eines öffentlich-rechtlichen Vertrages an. Im vorliegenden Falle würde die Betrachtung der streitigen "Beitrags-Verfügung" als einseitiger Akt der Verwaltung von vornherein dazu führen, dass auf die Subvention jederzeit verzichtet BGE 101 Ib 78 S. 82 werden könnte. Durch das Subventionsgesuch hat der Subventionsempfänger das mit den Beiträgen prämiierte Verhalten freiwillig übernommen. Die Voraussetzungen zur Finanzhilfe waren somit erfüllt. Danach stand es dem Subventionsempfänger frei, später entweder das prämiierte Verhalten weiterhin zu erbringen oder aber auf die Zuwendungen zu verzichten. Ein nachträglicher Verzicht wäre ein zulässiger Widerruf seiner ursprünglichen Erklärung (RHINOW, a.a.O., Nrn. 221 und 228). Aus der schriftlichen "Bestätigung", mit welcher der Beschwerdeführer die "Beitrags-Verfügung" angenommen hat, schliessen alle Beteiligten jedoch auf das Zustandekommen eines öffentlich-rechtlichen Vertrages. Diese Sicht mag mit Bezug auf die Bemessung der höchstzulässigen Mietzinse und damit des Subventionsbetrages selber zutreffen. Aber gerade hinsichtlich der hier interessierenden Dauer des Subventionsverhältnisses kann es sich auch einfach um eine Annahme des in der Subvention liegenden Vorteils handeln, die keine vertragliche Bindung hervorgebracht hätte. Eine Verbindung beider Gestaltungsformen ist möglich (RHINOW, a.a.O., Nr. 230; BGE 80 I 246 ; IMBODEN, Der verwaltungsrechtliche Vertrag, ZSR 77/1958 II S. 114a Nr. 114). Wie es sich damit im vorliegenden Fall verhält, muss nicht näher untersucht werden. Selbst wenn man nämlich im streitigen Punkt das Vorliegen eines öffentlich-rechtlichen Vertrages bejahen würde, bliebe die Frage hinsichtlich der vereinbarten Vertragsdauer. Dabei wäre zu beachten, dass auch bei der Auslegung eines verwaltungsrechtlichen Vertrages nicht stets der dem öffentlichen Interesse besser dienenden Auslegung der Vorzug gegeben werden darf. Die Wahrung der öffentlichen Interessen findet primär ihre Schranke im Vertrauensprinzip, d.h. sie darf nicht dazu führen, dass bei der Vertragsauslegung dem gewaltunterworfenen Vertragspartner Auflagen überbunden werden, die er bei Vertragsschluss vernünftigerweise nicht voraussehen konnte ( BGE 93 I 511 E. 3). Die hier umstrittene "Beitrags-Verfügung" nimmt hinsichtlich der Bundessubvention ausdrücklich auf das WFG und die V 2 Bezug. Das bedeutet, dass die bundesrechtliche Subventionsregelung zum Ausgangspunkt der Auslegung des Rechtsverhältnisses zwischen Subventionsgeber und Subventionsnehmer genommen werden muss. BGE 101 Ib 78 S. 83 b) Der während des Krieges unter dem Vollmachtenregime erlassene Bundesratsbeschluss vom 29. Juli 1942 über die Regelung der Arbeitsbeschaffung in der Kriegskrisenzeit diente bereits mit Baubeiträgen der Förderung des Wohnungsbaus und sah für den Fall der Zweckentfremdung der subventionierten Häuser oder Wohnungen die Rückerstattung der geleisteten Beiträge vor (Art. 20), desgleichen der später gestützt auf Art. 34quinquies BV erlassene Bundesbeschluss vom 8. Oktober 1947 über Massnahmen zur Förderung der Wohnbautätigkeit in Art. 8 und 11. Der Bundesbeschluss vom 31. Januar 1958 über Massnahmen zur Förderung des sozialen Wohnungsbaus führte ein anderes Instrumentarium ein. Wurden früher Baubeiträge à Fonds Peru ausgerichtet, so sah der neue Bundesbeschluss als Form der direkten Hilfe in erster Linie laufende Beiträge an die Kapitalzinsen zwecks Verbilligung der Mietzinse auf die Höchstdauer von 20 Jahren vor (Art. 5). Für den Fall der Zweckentfremdung der Häuser oder Wohnungen wurde bestimmt, dass die weitere Ausrichtung der Bundeshilfe ganz oder teilweise einzustellen ist; zu Unrecht bezogene Bundesbeiträge sollen zurückerstattet werden (Art. 12). Die Botschaft des Bundesrates vom 28. Juni 1957 (BBl 1957 II S. 117 ff.) bemerkt dazu... "Im Rahmen einer solchen Sofortaktion soll der Bund sich durch die Übernahme von Kapitalzinsen finanziell beteiligen, d.h. er soll sich verpflichten, für neuerstellte soziale Wohnbauten dem Eigentümer während 20 Jahren einen wiederkehrenden Beitrag an die Verzinsung der Kapitalien zu leisten, die zur Finanzierung des Baues notwendig waren, unter der Bedingung, dass der Eigentümer die Wohnungen während der Dauer dieser Hilfe zu entsprechend niedrigeren Mietzinsen an Familien mit bescheidenem Einkommen abgibt. Diesem System sind die Vorzüge der individuellen Mietzinszuschüsse eigen, d.h. die ohne grosse Umtriebe mögliche Anpassung an veränderte Einkommensverhältnisse der Bewohner, ohne dass es damit dessen Nachteile verbindet. Wenn die Voraussetzungen für die Mietzinsverbilligung nicht mehr erfüllt sind und der Hauseigentümer einen Mieter weiterhin behalten will, so muss er nicht etwa Kapitalbeträge zurückbezahlen, sondern es wird einfach die Mietzinsverbilligung eingestellt. Für die mit der Durchführung, betrauten Amtsstellen erwachsen nicht die Umtriebe, die sehr oft mit der Rückforderung grösserer Beträge verbunden sind." In den eidg. Räten wurden keine Änderungen an dieser Regelung vorgenommen. Das im heutigen Beschwerdefall massgebende WFG führt BGE 101 Ib 78 S. 84 die im Bundesbeschluss 1958 enthaltene Regelung im Wesentlichen weiter (Art. 7 und 16). Die Botschaft des Bundesrates vom 21. September 1964 zu dem Gesetzesentwurf (BBl 1964 II S. 629 ff.) bemerkt auf S. 644 im besonderen zur Verbilligung der Mietzinse folgendes: "Das System der Bundeshilfe bleibt das gleiche wie bei den zurzeit laufenden Massnahmen zur Förderung des sozialen Wohnungsbaues gemäss Bundesbeschluss vom 31. Januar 1958. Dieses System hat gegenüber anderen den Vorzug der Elastizität bei Zweckentfremdung, z.B. durch Veränderung der persönlichen oder finanziellen Verhältnisse der Bewohner. Tritt eine solche Zweckentfremdung ein, so kann die periodische Beitragsleistung eingestellt und bei erneuter bestimmungsgemässer Besetzung im Rahmen der ursprünglichen Zusicherung wieder aufgenommen werden; bei diesem System wird das Risiko von Kündigungen wesentlich vermindert. Entgegen den Feststellungen eines Kantons in seiner Vernehmlassung ergibt sich auf diese Weise ein wesentlich geringerer administrativer Aufwand als besonders bei jenen Systemen, bei denen die Verbilligung durch Leistung einmaliger Beiträge à fonds perdu oder durch Gewährung niedrig oder nicht verzinslicher Darlehen erreicht wird. In diesen Fällen können bei Zweckentfremdung nicht einfach die periodischen Zahlungen eingestellt, sondern es müssen Kapitel und Zinsen ganz oder teilweise zurückgefordert werden. Wird bei vorübergehender Zweckentfremdung die Rückzahlung des Kapitals nicht gefordert, so müssen - wenn über die Zweckentfremdung nicht einfach hinweggesehen werden soll - Kapitalzinsen oder "Zuschläge" verlangt werden, was aus naheliegenden Gründen mehr Komplikationen ergibt, als wenn die zuständigen Instanzen unter bestimmten Voraussetzungen einfach Zahlungen einstellen können. Die Leistung einmaliger Beiträge à fonds perdu verschafft den Begünstigten zudem dauernde Vorteile, auch wenn sie ihrer nicht mehr bedürfen." Auch diese Regelung war in den eidg. Räten unbestritten und wurde diskussionslos übernommen. Sie wird seither auch so gehandhabt (vgl. die Botschaft des Bundesrates vom 17. September 1973 zum Bundesgesetz zur Förderung des Wohnungsbaus und des Erwerbs von Wohnungs- und Hauseigentum, in BBl 1973 II S. 679 ff., insbesondere S. 716). Aus dieser Regelung ergibt sich, dass der Bundesgesetzgeber, obschon eine Bindung des Subventionsempfängers während der gesamten Dauer der Beitragszusicherung (max. 20 Jahre) dem Zwecke des Gesetzes zweifellos förderlich gewesen wäre, dies nicht wollte. Dies erhellen nicht nur die Überlegungen des Bundesrates in der Botschaft; das derart "elastisch" geschaffene System der Mietzinsverbilligung selbst spricht dafür: Ein straffes Zweckentfremdungsverbot ähnlich dem des BGE 101 Ib 78 S. 85 Art. 85 Abs. 1 Landwirtschaftsgesetz fehlt. Die Bundesbeiträge an die Kapitalverzinsung werden periodisch (halbjährlich, Art. 47 Abs. 4 V2) ausgerichtet, bei Zweckentfremdung jedoch - je nach deren Grad - ganz oder teilweise eingestellt, bei Wiederherstellung der gesetzlichen Voraussetzungen indes wieder voll ausgerichtet. Nur die zu Unrecht, also nach Eintritt der Zweckentfremdung bezogenen Beiträge sind zurückzuerstatten, nicht die früheren. Die früheren können nur bei Irreführung der Behörden zurückgefordert werden ( Art. 18 Abs. 1 WFG ). Vom Bund für Fremdkapital geleistete Bürgschaften ( Art. 13 WFG ) fallen bei Zweckentfremdung dahin ( Art. 16 Abs. 3 WFG ). Eine Pflicht des Subventionsempfängers, das Subventionsverhältnis seinerseits während der festgelegten Dauer (bis zu 20 Jahre) ununterbrochen fortzuführen, besteht weder dem Wortlaut noch dem Sinn des Gesetzes nach, noch auch sind Zwang oder Sanktionen in dieser Richtung vorgesehen. Der Subventionsnehmer ist nicht auf eine bestimmte Dauer hin verpflichtet. Dass eine längere Bindung des Subventionsempfängers dem mit den Bundesbeiträgen verfolgten Zweck an sich besser gedient hätte, ist offensichtlich und wird von RHINOW (Nrn. 200, 223, 231, 233) mit Recht dargelegt (vgl. auch Urteil Claire Fontaine vom 20. Dezember 1974). Ob eine solche Ausgestaltung indes den gleich starken Impuls zur Förderung des sozialen Wohnungsbaus ausgelöst hätte und für die Behörden zugleich praktikabel gewesen wäre, ist eine andere Frage. Es könnte auch sein, dass die Aussicht auf eine langjährige Bindung diesen oder jenen Bauinteressenten abgeschreckt hätte. Es ist also nicht einmal sicher, ob eine längere Bindung des Subventionsempfängers in gesamthafter Betrachtung aller Aspekte dem gesetzgeberischen Zweck der Wohnbauförderung besser entsprochen hätte. Das Problem ist indes ein gesetzgeberisches und hier nicht zu erörtern; es genügt festzustellen, dass de lege lata eine solche Bindung des Subventionsempfängers nicht gewollt war und auch nicht geschaffen wurde. c) Diese gesetzliche Regelung liegt der "Beitrags-Verfügung" der Luzerner Zentralstelle für Wohnungsbau und der Annahmeerklärung des Beschwerdeführers zugrunde. Die Beitragszusicherung enthält keine Klausel, die an dieser Regelung etwas ändern würde. Aufgrund dieser Regelung wurden die BGE 101 Ib 78 S. 86 Beiträge "auf die Dauer von 20 Jahren zugesichert", und der Beschwerdeführer hat diese Zusicherung angenommen. Hätte abweichend von der gesetzlichen Regelung eine Bindung des Beschwerdeführers stipuliert werden wollen, während 20 Jahren ununterbrochen die Subventionsvoraussetzungen zu erfüllen, so hätte dies nach dem Grundsatz des Vertrauensschutzes ausdrücklich verabredet werden müssen. Dies ist nicht geschehen. Der Beschwerdeführer, der "aus dem sozialen Wohnungsbau entlassen werden" möchte, kann nicht festgehalten werden. Es ist daher in Gutheissung der Beschwerde festzustellen, dass eine Rechtspflicht des Beschwerdeführers zur Fortführung des Subventionsverhältnisses kraft Bundesrecht nicht besteht. Verlangt er höhere als die zugelassenen Mietzinse und kommt es deswegen gar zu Kündigungen, so ist die Ausrichtung der Bundesbeiträge ganz oder teilweise einzustellen; ob der Beschwerdeführer damit gegen den Bundesbeschluss vom 30. Juni 1972 über Massnahmen gegen Missbräuche im Mietwesen bzw. gegen Art. 267a ff. OR verstösst, ist hier nicht zu entscheiden. Besinnt sich der Beschwerdeführer - innert der 20jährigen Zusicherungsdauer - eines anderen und erfüllt er die Voraussetzungen der Bundeshilfe wieder, so sind die Beiträge erneut auszurichten. Ob die kantonalen Subventionsbehörden allenfalls berechtigt wären, anlässlich der Subventionszusicherung in der "Beitrags-Verfügung" oder im Rahmen eines verwaltungsrechtlichen Vertrages dem Subventionsempfänger und künftigen Vermieter als ausdrückliche Subventionsbedingung ein 20jähriges Zweckentfremdungsverbot aufzuerlegen, ist damit keineswegs entschieden. Die Frage kann offen bleiben, da sie sich bei Gutheissung der Beschwerde nicht stellt.
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Urteilskopf 101 II 375 64. Auszug aus dem Urteil der I. Zivilabteilung vom 24. September 1975 i.S. A. gegen X.
Regeste Einrede der beurteilten Sache. 1. Wiederholte Klage auf Zahlung einer Forderung, die auf einem Auftragsverhältnis beruht; Bundesrecht und kantonales Recht. 2. Der bundesrechtliche Anspruch auf ein Sachurteil ist verletzt, wenn der Richter die Beurteilung der Forderung im zweiten Verfahren ablehnt, obschon darüber im ersten nicht entschieden worden ist.
Sachverhalt ab Seite 376 BGE 101 II 375 S. 376 A.- M. beauftragte Fürsprecher X. mit der Führung von Prozessen und leistete ihm Fr. 20'000.-- Kostenvorschuss. Am 28. Februar 1972 pfändete das Betreibungsamt Arlesheim vom Guthaben des M. gegenüber X. zugunsten des A. Fr. 10'000.--. Auf die Aufforderung des Betreibungsamtes an X., zur Deckung der Forderung des A. nebst Zins und Kosten Fr. 8'749.95 zu zahlen oder sich über die Anerkennung oder Bestreitung der gepfändeten Forderung auszusprechen, schwieg X. Ein weiteres Schreiben des Betreibungsamtes beantwortete er am 18. August 1972 dahin, er habe inzwischen für M. derart umfangreiche Arbeit geleistet, dass er sich für seine Honorarforderung schadlos halten müsse; vorbehältlich der endgültigen Abrechnung lehne er daher die Forderung ab. Das Betreibungsamt ermächtigte deshalb A. im Sinne des Art. 131 Abs. 2 SchKG , sie auf eigene Rechnung und Gefahr geltend zu machen. A. reichte hierauf gegen X. Strafanzeige wegen Verfügung über gepfändete Sachen ein und klagte im Strafverfahren auf Zahlung von Fr. 7'690.85 und Fr. 1'200.--, beide Beträge nebst Zins. Der Gerichtspräsident IX von Bern erklärte X. der Verfügung über gepfändete Sachen schuldig und hiess die Adhäsionsklage dem Grundsatze nach gut, wies jedoch die Parteien zur Festsetzung der Höhe des Anspruches an den Zivilrichter. Auf Appellation des X. sprach ihn die II. Strafkammer des Obergerichtes des Kantons Bern am 19. April 1974 des untauglichen Versuchs der Verfügung über gepfändete Sachen schuldig und erkannte: "Die Zivilklage des Privatklägers wird abgewiesen. Sie begründete den Entscheid im Zivilpunkt damit, nach Art. 3 des Gesetzes über das Strafverfahren des Kantons Bern (StrV) seien vor dem Strafrichter nur Zivilklagen aus einer strafbaren Handlung zulässig; der Zivilanspruch müsse aus dem gleichen Geschehen, das Gegenstand des Strafverfahrens sei, hergeleitet werden. Das treffe hier nicht zu, da die an A. abgetretene Forderung aus einem Hinterlegungsvertrag BGE 101 II 375 S. 377 zwischen M. und dem Angeschuldigten entstanden sei. Aus diesem Grunde müsse die Zivilklage abgewiesen werden. Das Bundesgericht hiess eine von X. im Strafpunkt geführte Nichtigkeitsbeschwerde am 11. Oktober 1974 gut und wies die Sache zur Freisprechung an die Vorinstanz zurück ( BGE 100 IV 227 ). B.- Am 4. September 1974 klagte A. gegen X. beim Appellationshof des Kantons Bern auf Zahlung von Fr. 10'000.-- nebst Zins. Der Appellationshof wies die Klage am 28. Mai 1975 "ohne Prüfung ihrer Begründetheit zurück". Er führte aus, die Formulierung im Dispositiv des Strafurteils vom 19. April 1974 könne nur bedeuten, dass der geltend gemachte Anspruch nicht bestehe. Es handle sich somit um ein Sachurteil. Hätte die Strafkammer auf die Zivilklage nicht eintreten wollen, so hätte sie diese ohne Prüfung der Begründetheit zurückweisen müssen ( Art. 194 ZPO ). In Rechtskraft erwachse nur die Urteilsformel. Die Erwägungen könnten nur bei Unklarheiten der Formel herangezogen werden. Dies sei aber beim Dispositiv der Strafkammer nicht nötig und deshalb auch nicht zulässig, denn es lasse nur eine Auslegung zu. Ein Dispositiv erlange auch Rechtskraft, wenn es falsch sei, aber nicht angefochten werde. C.- Der Kläger hat die Berufung erklärt. Er beantragt, den Entscheid des Appellationshofes aufzuheben und die Sache zur materiellen Beurteilung an die Vorinstanz zurückzuweisen. Der Beklagte beantragt, auf die Berufung nicht einzutreten, eventuell sie abzuweisen und das angefochtene Urteil zu bestätigen. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Der Beklagte macht geltend, die Einrede der beurteilten Sache sei prozessrechtlicher Natur, der Entscheid über sie ausschliesslich eine Frage des kantonalen Rechts und deshalb auf die Berufung nicht einzutreten. Diese Auffassung hält nicht stand. Die Forderung, die dem Kläger gemäss Art. 131 Abs. 2 SchKG zur Eintreibung überwiesen wurde, beruht auf dem Auftragsverhältnis zwischen M. und dem Beklagten, untersteht also dem Bundesrecht. Der BGE 101 II 375 S. 378 Kläger hat daher einen bundesrechtlichen Anspruch darauf, dass der Richter sie materiell beurteile. Nur das Verfahren, in dem sie geltend zu machen ist, wird vom kantonalen Recht beherrscht ( Art. 64 BV ). Das Bundesgericht ist denn auch schon wiederholt auf Berufung hin auf die Einrede der beurteilten Sache eingetreten ( BGE 95 II 640 , BGE 97 II 396 ). Diese Entscheide betrafen allerdings Fälle, in denen streitig war, ob die eingeklagte Forderung mit einer schon rechtskräftig beurteilten identisch sei. Der bundesrechtliche Anspruch auf ein materielles Urteil ist jedoch auch dann verletzt, wenn der Richter die Beurteilung einer unbestrittenermassen zweimal eingeklagten Forderung mit der unzutreffenden Begründung ablehnt, es sei über sie schon im ersten Verfahren ein materielles Urteil ergangen. Ob diese Begründung standhält, hat das Bundesgericht auf Berufung hin zu prüfen. Dass die Verletzung des Anspruchs vom Sinn des auf die erste Klage hin ergangenen Entscheides abhängt, ändert nichts. Welches dessen Sinn sei, ist eine bundesrechtliche Frage. Das kantonale Prozessrecht kann zwar bestimmen, wie der Richter den Urteilsspruch abzufassen habe, wenn er die Forderung auf Grund materieller Beurteilung verneint. Dagegen kann es nicht vorschreiben, das für materielle Beurteilung sprechende Urteilsdispositiv sei auch dann allein massgebend, wenn sich aus den Urteilserwägungen ergibt, dass der Richter die Beurteilung in Wirklichkeit abgelehnt hat. Das Bundesgericht als Berufungsinstanz pflegt denn auch die Urteilsbegründung mit herbeizuziehen, um den Sinn der kantonalen Urteilssprüche zu ermitteln ( BGE 93 II 47 ). Da auch die anderen Voraussetzungen der Berufung erfüllt sind - Anfechtung eines Endentscheides und Streitwert von wenigstens Fr. 8'000.-- - ist auf die Berufung einzutreten. 2. Aus den Erwägungen des Urteils vom 19. April 1974 ergibt sich, dass die II. Strafkammer des Obergerichtes des Kantons Bern die adhäsionsweise eingeklagte Forderung nicht materiell beurteilt hat, und zwar deshalb nicht, weil sie aus einem anderen tatsächlichen Geschehen abgeleitet werde als der Gegenstand des Strafverfahrens bildende Strafanspruch. Daran vermag weder der Schlusssatz der Erwägungen, dass die Zivilklage aus diesem Grunde abgewiesen werden müsse, noch die entsprechende Formulierung des Urteilsspruches etwas zu ändern. Ob nach bernischem Prozessrecht nur materiell beurteilte BGE 101 II 375 S. 379 Zivilansprüche "abgewiesen" werden dürfen, ist unerheblich. Wenn dies zutrifft, ergibt sich daraus bloss, dass der II. Strafkammer bei der Abfassung des Urteilsspruches ein Versehen unterlaufen ist, nicht aber, dass sie über den Bestand der Forderung des Klägers, zu deren Begründetheit oder Unbegründetheit sie nicht Stellung nehmen wollte und nicht Stellung genommen hat, im Ergebnis doch geurteilt habe. Anders entscheiden, hiesse dem Kläger das Recht auf ein materielles Urteil verweigern. Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Berufung wird gutgeheissen, das Urteil des Appellationshofes (III. Zivilkammer) des Kantons Bern vom 28. Mai 1975 aufgehoben und die Sache zur materiellen Beurteilung der Klage an die Vorinstanz zurückgewiesen.
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Urteilskopf 121 I 60 8. Auszug aus dem Urteil der II. Zivilabteilung vom 3. April 1995 i.S. M. gegen V. und Obergericht des Kantons Thurgau (staatsrechtliche Beschwerde)
Regeste Art. 4 BV , Art. 68 Abs. 1 SchKG und Art. 54 Abs. 2 GebVSchKG; Anspruch auf unentgeltliche Rechtspflege im Rechtsöffnungsverfahren. Der aus Art. 4 BV abgeleitete Anspruch auf unentgeltliche Rechtspflege ist grundsätzlich auch für das Rechtsöffnungsverfahren gewährleistet (Änderung der Rechtsprechung). Unter den allgemeinen Voraussetzungen ist der Gläubiger bzw. der Schuldner von der Pflicht befreit, einen Kostenvorschuss gemäss Art. 68 Abs. 1 SchKG und Art. 54 Abs. 2 GebVSchKG zu leisten.
Sachverhalt ab Seite 61 BGE 121 I 60 S. 61 A.- Mit Verfügung vom 26. September 1994 erteilte der Präsident des Bezirksgerichts Bischofszell V. in der Betreibung Nr. 4356 des Betreibungsamtes Zihlschlacht gegen M. definitive Rechtsöffnung für eine Forderung von Fr. 31'766.-- nebst Zins von 5% seit dem 8. Juli 1994. Diese Verfügung focht M. mit Rekurs vom 17. Oktober 1994 bei der Rekurskommission des Obergerichts des Kantons Thurgau mit dem Antrag an, die definitive Rechtsöffnung zu verweigern. B.- Am 18. Oktober 1994 wurde M. von der Rekurskommission des Obergerichts des Kantons Thurgau aufgefordert, einen Kostenvorschuss von Fr. 450.-- zu leisten, worauf dieser um unentgeltliche Prozessführung ersuchte. Mit Beschluss der Rekurskommission des Obergerichts des Kantons Thurgau vom 28. November 1994 wurde sowohl der Rekurs gegen den Rechtsöffnungsentscheid als auch das Begehren um Gewährung der unentgeltlichen Rechtspflege abgewiesen. C.- Mit staatsrechtlicher Beschwerde vom 6. Februar 1995 beantragt M. dem Bundesgericht, es seien der Entscheid der Rekurskommission des Obergerichts des Kantons Thurgau vom 28. November 1994 sowie die Verfügung des Präsidenten des Bezirksgerichts Bischofszell vom 26. September 1994 aufzuheben. Zudem ersucht er um Gewährung der unentgeltlichen Prozessführung im Verfahren vor Bundesgericht. V. beantragt, die staatsrechtliche Beschwerde abzuweisen. Die Rekurskommission des Obergerichts des Kantons Thurgau schliesst auf Abweisung der Beschwerde, soweit darauf einzutreten sei. Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. Der Beschwerdeführer wirft der Rekurskommission des Obergerichts des Kantons Thurgau eine Verletzung von Art. 4 BV vor, weil ihm die Gewährung der unentgeltlichen Prozessführung für das Rechtsöffnungsverfahren verweigert worden sei. a) Der Anspruch auf unentgeltliche Rechtspflege (unentgeltliche Prozessführung, unentgeltlicher Rechtsbeistand) wird durch das kantonale Prozessrecht geregelt. Unabhängig davon wird ein Mindestanspruch der bedürftigen Partei auf unentgeltliche Rechtspflege in einem nicht aussichtslosen Prozess direkt aus Art. 4 BV abgeleitet BGE 121 I 60 S. 62 ( BGE 120 Ia 179 E. 3, BGE 120 Ia 14 E. 3a, BGE 119 Ia 251 E. 3, je mit Hinweisen). aa) Das Verfahren der Rechtsöffnung ist bundesrechtlich geregelt. Gemäss Art. 68 Abs. 1 SchKG trägt grundsätzlich der Schuldner die Betreibungskosten. Nach Art. 54 Abs. 2 GebVSchKG (SR 281.35) hat diejenige Partei einen Kostenvorschuss zu leisten, die den Richter angerufen oder den Entscheid weitergezogen hat. Vor dem Hintergrund dieser bundesrechtlichen Kostenregelung für das Betreibungsverfahren ist das Bundesgericht in seiner früheren Rechtsprechung davon ausgegangen, dass ein Anspruch auf unentgeltliche Rechtspflege weder im Betreibungsverfahren im allgemeinen ( BGE 55 I 363 ) noch im Rechtsöffnungsverfahren im speziellen ( BGE 85 I 137 mit Hinweisen) bestehe. bb) In seiner neueren Rechtsprechung hat das Bundesgericht den Anspruch auf unentgeltliche Rechtspflege indessen in verschiedenen Rechtsgebieten kontinuierlich ausgebaut. Ein solcher Anspruch wird nicht nur für das Zivil- und Strafprozessrecht ( BGE 112 Ia 14 E. 3a mit Hinweisen), sondern auch für das Verwaltungsbeschwerde- und das Verwaltungsgerichtsverfahren unmittelbar aus Art. 4 BV abgeleitet (Art. BGE 112 Ia 14 E. 3c). Im Bereich des nichtstreitigen Verwaltungsverfahrens wird ein Anspruch auf unentgeltliche Rechtspflege für das sozialversicherungsrechtliche Abklärungs- ( BGE 114 V 228 E. 5) und Einspracheverfahren ( BGE 117 V 408 ) sowie für das Verfahren betreffend Rückversetzung in den Massnahmenvollzug bzw. Vollzug der aufgeschobenen Strafe bejaht ( BGE 117 Ia 277 E. 5a). Hinsichtlich des Betreibungsverfahrens beschränkte sich das Bundesgericht in BGE 114 III 67 auf die Feststellung, dass Art. 68 SchKG und Art. 54 Abs. 2 GebVSchKG die unentgeltliche Rechtspflege nicht ausschliessen würden, während in mehreren neueren Entscheiden der Anspruch auf unentgeltliche Rechtspflege für das Konkursverfahren zufolge Insolvenzerklärung vom Bundesgericht bejaht wurde ( BGE 118 III 27 , BGE 118 III 33 , BGE 119 III 113 ). Aufgrund dieser Rechtsprechung kommt das Bundesgericht insgesamt zum Schluss, dass nach einem zeitgemässen Verfassungsverständnis der Anspruch auf unentgeltliche Rechtspflege unabhängig von der Rechtsnatur der Entscheidungsgrundlagen bzw. des in Frage stehenden Verfahrens für jedes staatliche Verfahren bestehe, in welches der Gesuchsteller einbezogen werde, oder dessen er zur Wahrung seiner Rechte bedürfe ( BGE 119 Ia 264 E. 3a). cc) In der Literatur wird der Anspruch auf unentgeltliche Rechtspflege für BGE 121 I 60 S. 63 das Betreibungsverfahren seit längerem bejaht. Die Annahme in BGE 55 I 363 und BGE 85 I 137 , die bundesrechtlich geregelte Kostenregelung schliesse die unentgeltliche Rechtspflege im Schuldbetreibungs- und Konkursverfahren generell aus, wurde als "reichlich gewagt" bezeichnet (GULDENER, Zwangsvollstreckung und Zivilprozess, in: ZSR 74, 1955 I. HB, S. 32). In der neueren Literatur wird mit Hinweis auf die Entwicklung der Rechtsprechung die Gewährung der unentgeltlichen Rechtspflege auch für das Betreibungsverfahren befürwortet (STÄHELIN, Die betreibungsrechtlichen Streitigkeiten, in FS 100 Jahre SchKG, Zürich 1989, S. 81 f.; ZEN-RUFFINEN, Assistance judiciaire et administrative: Les règles minima imposées par l'article 4 de la Constitution fédérale, in: JdT 137, 1989, S. 58 f.). Die Gewährung der unentgeltlichen Prozessführung für das Konkursverfahren zufolge Insolvenzerklärung ( BGE 118 III 27 ; BGE 118 III 32 ) ist denn auch überwiegend begrüsst worden (AMONN, Die Rechtsprechung des Bundesgerichts im Jahre 1992 zum Schuldbetreibungs- und Konkursrecht, ZBJV 129, 1993, S. 746; KLEY-STRULLER, Der Anspruch auf unentgeltliche Rechtspflege, AJP 1995, S. 188; LORANDI, AJP 1994, S. 105 ff.), während ein kritischer Kommentar (WALDER, BlSchK 56, 1992, S. 148 f.) konkursrechtliche Besonderheiten betrifft, die hier nicht von Bedeutung sind. b) Im vorliegenden Fall rechtfertigt es sich nach dem Gesagten nicht mehr, einen direkt aus Art. 4 BV abgeleiteten Anspruch auf unentgeltliche Prozessführung im Rechtsöffnungsverfahren zu verneinen. Ein zeitgemässes Verfassungsverständnis ( BGE 119 Ia 264 E. 3a) verlangt, dass jeder Betroffene grundsätzlich ohne Rücksicht auf seine finanzielle Situation in nicht aussichtslosen Prozessen Zugang zum Gericht haben soll ( BGE 119 Ia 134 E. 4). Dem bedürftigen Gläubiger soll die Durchsetzung seiner Ansprüche und dem mittellosen Schuldner die Anfechtung eines gegen ihn gerichteten Entscheides im Rechtsöffnungsverfahren ermöglicht werden. Die Gründe, die im angefochtenen Entscheid gegen die Gewährung der unentgeltlichen Rechtspflege im Rechtsöffnungsverfahren vorgebracht werden, sind nicht stichhaltig. Zunächst ist festzuhalten, dass Art. 68 SchKG und Art. 54 Abs. 2 GebVSchKG die Kostenregelung für das Betreibungsverfahren nicht abschliessend regeln. Mit einlässlicher Begründung hat das Bundesgericht erläutert, dass diese Bestimmungen durchaus Raum für eine direkt aus Art. 4 BV abgeleitete Gewährung der unentgeltlichen Rechtspflege lassen und daher verfassungskonform auszulegen sind ( BGE 118 III 27 , BGE 118 III 32 ). Sodann kann es auch nicht darauf ankommen, dass es sich beim BGE 121 I 60 S. 64 Rechtsöffnungsverfahren um ein reines Zwangsvollstreckungsverfahren handelt, denn der Anspruch auf unentgeltliche Rechtspflege hängt nicht von der Rechtsnatur des in Frage stehenden Verfahrens ab, sondern einzig davon, ob der Bürger des Armenrechts zur Wahrung seiner Rechte bedarf ( BGE 119 Ia 265 ; KLEY-STRULLER, a.a.O., S. 180 und 188). Schliesslich geht auch der Hinweis der Rekurskommission des Obergerichts des Kantons Thurgau in doppelter Weise fehl, dass eine Gewährung der unentgeltlichen Rechtspflege im Rechtsöffnungsverfahren rechtswidrig sei, weil damit der ergebnislose Ausgang des Vollstreckungsverfahrens unzulässig vorweggenommen werde. Einerseits verkennt dieses Argument, dass sich nicht nur der Schuldner, sondern auch der mittellose Gläubiger im Rechtsöffnungsverfahren auf das Armenrecht berufen kann. Anderseits ist der möglicherweise ergebnislose Ausgang des Vollstreckungsverfahrens keineswegs die Folge der Gewährung des Armenrechts, sondern der Mittellosigkeit des Schuldners. c) Die Rekurskommission des Obergerichts des Kantons Thurgau verstösst daher mit dem Hinweis auf ihre ständige Praxis, im Rechtsöffnungsverfahren kein Armenrecht zu gewähren, gegen den verfassungsrechtlichen Anspruch des Beschwerdeführers auf unentgeltliche Prozessführung. Die staatsrechtliche Beschwerde ist deshalb insofern gutzuheissen, als der Beschwerdeführer die Aufhebung von Ziff. 3 des angefochtenen Urteils verlangt. Das Verfahren ist an die Vorinstanz zur Prüfung der materiellen Voraussetzungen für die Gewährung der vom Beschwerdeführer beantragten unentgeltlichen Prozessführung zurückzuweisen.
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Urteilskopf 107 Ia 198 40. Auszug aus dem Urteil der I. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 20. Mai 1981 i.S. Kano Trading Limited gegen The Sanko Steamship Company Limited und Kassationsgericht des Kantons Zürich (staatsrechtliche Beschwerde)
Regeste Art. 4 BV , Willkür. Vollstreckung eines ausländischen Urteils. Das englische "Verfahren nach Order 14" verstösst nicht gegen den ordre public gemäss § 302 der Zürcher Zivilprozessordnung.
Sachverhalt ab Seite 198 BGE 107 Ia 198 S. 198 Der Einzelrichter im summarischen Verfahren am Bezirksgericht Zürich erklärte am 4. April 1979 ein in einem Schadenersatzprozess im sogenannten Verfahren nach Order 14 ergangenes Urteil des High Court of Justice Queen's Bench Division, London, als vollstreckbar. Die Kano Trading Limited, Beklagte in jenem Schadenersatzprozess, in dem es um einen anlässlich der Erfüllung eines Vertrags auf Schiffsmiete entstandenen Forderungsstreit ging, focht diese Vollstreckbarerklärung erfolglos beim Obergericht und beim Kassationsgericht des Kantons Zürich an. Gestützt auf Art. 4 BV erhebt sie gegen das Urteil des Kassationsgerichts staatsrechtliche Beschwerde. Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab. Vorab hält es fest, mangels eines entsprechenden Staatsvertrags zwischen der Schweiz und Grossbritannien entscheide sich die Frage, ob ein englisches Urteil in der Schweiz zu vollziehen sei, nach den Regeln des kantonalen Zivilprozessrechts; das Bundesgericht habe deshalb nur zu prüfen, ob das Kassationsgericht bei der Auslegung der massgebenden Bestimmungen in Willkür verfallen sei. BGE 107 Ia 198 S. 199 Erwägungen Aus den Erwägungen: 3. Gemäss § 302 der Zürcher Zivilprozessordnung (ZPO) wird ein ausländischer Entscheid nicht vollstreckt, "wenn er gegen wesentliche Grundsätze der schweizerischen Rechtsordnung (ordre public) verstösst oder unter Verletzung solcher Grundsätze zustande gekommen ist". Dieser Vorbehalt des schweizerischen ordre public bedeutet, dass die Vollstreckung eines Urteils nicht schon mit dem Einwand abgewendet werden kann, das Urteil sei in tatsächlicher oder rechtlicher Hinsicht unrichtig oder sogar gesetzwidrig; die Vollstreckung darf vielmehr nur dann verweigert werden, wenn der Entscheid wesentliche Grundsätze der schweizerischen Rechtsordnung verletzt. Das Gesetz bezieht sich hier auf den von der bundesgerichtlichen Rechtsprechung mit Bezug auf die Vollstreckung eines ausländischen Urteils im Staatsvertragsrecht entwickelten Begriff des ordre public (Kommentar STRÄULI/MESSMER N. 17 zu § 302 ZPO ). Eine Verletzung des ordre public setzt deshalb voraus, dass der konkrete Entscheid in unerträglicher Weise gegen schweizerisches Rechtsempfinden verstösst, mit schweizerischer Rechtsauffassung gänzlich unvereinbar ist ( BGE 102 Ia 314 mit Hinweisen). Im Einklang mit der bundesgerichtlichen Rechtsprechung verdeutlicht die Vorschrift, dass der ordre public nicht nur durch den Inhalt des zu vollziehenden Entscheids verletzt werden kann, sondern auch durch das Verfahren, in dem dieser ergangen ist (Kommentar STRÄULI/MESSMER a.a.O. N. 18; vgl. BGE 105 Ib 47 E. 2b mit Hinweisen). Wie dargelegt, ist im folgenden nur zu prüfen, ob das Kassationsgericht diese Grundsätze willkürlich angewendet hat. 4. Das Urteil, das vollstreckt werden soll, ist im sogenannten Verfahren nach Order 14 ergangen. Die Beschwerdeführerin hält dafür, dieses Verfahren widerspreche an sich dem ordre public, weshalb die Vollstreckbarerklärung eines solchen Urteils bereits aus diesem Grund unhaltbar sei. Das Verfahren nach Order 14 ist ein summarisches Verfahren, das eingeführt wurde, um das kostspielige Verfahren der mündlichen Hauptverhandlung (trial) nicht in allen Fällen durchführen zu müssen (COHN in einer Anmerkung zu einem Urteil des deutschen Bundesgerichtshofs, NJW 1970 S. 1507). Das Verfahren erlaubt eine beschleunigte endgültige Entscheidung. Es setzt voraus, dass der Kläger neben der Einreichung der Klage einen besonderen Antrag stellt und ein Affidavit vorlegt, um die in der Klageschrift behaupteten Tatsachen sowie den Umstand glaubhaft zu BGE 107 Ia 198 S. 200 machen, dass der Beklagte keine stichhaltigen Gründe ("no defence") gegen den Klageanspruch vorbringen könne. Anschliessend erhält der Beklagte Gelegenheit, auf dieselbe Weise Einreden oder Einwände glaubhaft zu machen und damit die Durchführung des ordentlichen Verfahrens mit der mündlichen Hauptverhandlung zu erwirken. Dabei darf ihm die Möglichkeit, sich in öffentlicher mündlicher Hauptverhandlung zu verteidigen, nur dann genommen werden, wenn seine Verteidigung offensichtlich nichts taugt oder wenn sich aus anderen Gründen aus seinen eigenen Vorbringen, einschliesslich der von ihm vorgelegten Affidavits, ergibt, dass ihm keine ernsthaften Verteidigungsargumente zur Verfügung stehen (COHN a.a.O. S. 1507). Ferner steht dem Beklagten auch im Verfahren nach Order 14 der Instanzenzug offen. Die Beschwerdeführerin wendet vor allem ein, der ordre public werde dadurch verletzt, dass das Verfahren bloss eine Glaubhaftmachung der Parteistandpunkte verlange, dann aber gleichwohl zu einem rechtskräftigen materiellen Urteil führen könne. Bei dem ausgewogenen Verfahren, in dem beiden Parteien eine gleichwertige Stellung zukommt, und der gründlichen Überprüfungsmöglichkeit durch mehrere Instanzen schlägt indessen dieser Einwand nicht durch. Ebensowenig ist angesichts dieser Garantien der weitere Einwand stichhaltig, wonach die Beschwerdeführerin in einem ordentlichen Verfahren weitergehende Unterlagen und Zeugeneinvernahmen verlangen könnte. Es ist daher ausgeschlossen, das Verfahren an sich als gegen den ordre public verstossend anzusehen; noch viel weniger könnte darin eine willkürliche Anwendung des § 302 ZPO erblickt werden. 5. Die Beschwerdeführerin hält ferner die konkrete Durchführung des Verfahrens nach Order 14 in ihrem Fall für willkürlich. Sie meint, die Voraussetzungen für die Anwendung des Verfahrens seien nicht erfüllt gewesen. Namentlich habe die dem Schadenersatzanspruch zugrunde liegende Streitfrage nicht so eindeutig für das klägerische Begehren gesprochen. Im Gegensatz zur klägerischen Darstellung sei von Anfang an vereinbart worden, dass das umstrittene Schiff auf der Werft von Osaka hätte gebaut werden müssen, was sich vor allem aus der Entstehungsgeschichte des Vertrags ergebe. Die Beschwerdeführerin hält somit das der Vollstreckung zugrunde liegende Urteil in bezug auf die strittige Vertragsauslegung für unrichtig. Unter dem Gesichtspunkt des ordre public ist indessen, wie ausgeführt, die Vollstreckung selbst eines materiell unrichtigen BGE 107 Ia 198 S. 201 Urteils nur dann ausgeschlossen, wenn es mit der schweizerischen Rechtsauffassung gänzlich unvereinbar ist. Die englischen Richter - sowohl der Einzelrichter als auch der Court of Appeal - haben die strittige vertragliche Abmachung zwischen den Parteien so ausgelegt, dass ihr nach dem Wortlaut und der Systematik nicht die Bedeutung zukommen könne, das fragliche Schiff hätte auf der Werft von Osaka gebaut werden müssen. Sie nahmen an, in bezug auf die entscheidenden Punkte liege der Fall gleich wie der letztinstanzlich vom House of Lords beurteilte Fall "Diana Prosperity". Die Beschwerdeführerin bestreitet zwar, dass dieser Fall gleich liege wie der ihrige; sie vermag indessen nicht im einzelnen darzutun, inwiefern die Überlegungen des Court of Appeal, der sich mit diesem Einwand einlässlich auseinandergesetzt und ihn verworfen hat, nicht stichhaltig sein sollten. Im übrigen ist angesichts des Wortlauts und der Systematik der Vertragstexte, die den englischen Richtern vorlagen, die Bejahung der Schadenersatzpflicht der Beschwerdeführerin unter dem Gesichtspunkt des ordre public auf jeden Fall nicht zu beanstanden. Daran ändert auch nichts, dass der Entscheid für die Beschwerdeführerin schwerwiegende Auswirkungen hat, wie sie hervorhebt. Diese Auswirkungen sind nicht durch die Anwendung des Verfahrens nach Order 14 bedingt; sie bilden vielmehr eine Folge der hohen Schadenersatzforderung, die den Rechtsstreit auslöste. Eine willkürliche Anwendung des § 302 ZPO liegt daher keineswegs vor. Bei dieser Sachlage brauchte das Kassationsgericht nicht noch weiter auf die Ausführungen der Beschwerdeführerin zur Frage der Vertragsauslegung einzugehen. Soweit die Beschwerdeführerin darin eine Verletzung des rechtlichen Gehörs erblickt, geht ihre Rüge fehl. Ferner bestehen keine Anhaltspunkte dafür, dass das Verfahren nach Order 14 nicht korrekt durchgeführt worden wäre. Soweit die Beschwerdeführerin in diesem Zusammenhang eine Verletzung des rechtlichen Gehörs behauptet, fällt ein Verstoss gegen den ordre public oder gar eine willkürliche Anwendung des § 302 ZPO offensichtlich nicht in Betracht. Die Beschwerdeführerin konnte ihren Standpunkt in verschiedenen Affidavits vortragen und den Instanzenzug ausschöpfen. Soweit sie beanstandet, sie hätte im ordentlichen Verfahren verlangen können, dass die Klägerin alle relevanten Dokumente vorlege und dass Zeugen einvernommen würden, richtet sich ihr Einwand gegen das Verfahren an sich und ist bereits dort widerlegt worden.
public_law
nan
de
1,981
CH_BGE
CH_BGE_002
CH
Federation
27faa4a8-0f5f-45e1-9765-ee81ad80944b
Urteilskopf 111 V 36 9. Auszug aus dem Urteil vom 16. Januar 1985 i.S. Mohenski gegen Schweizerische Unfallversicherungsanstalt und Verwaltungsgericht des Kantons Luzern
Regeste Art. 118 UVG , Art. 76-82 KUVG . Unter der Herrschaft des alten Rechts entstandene Ansprüche auf abgestufte, befristete oder dauernde Invalidenrenten sind in revisionsrechtlicher Hinsicht weiterhin nach Massgabe des KUVG zu beurteilen.
Erwägungen ab Seite 36 BGE 111 V 36 S. 36 Aus den Erwägungen: 1. a) Die vorinstanzlich bestätigte Verfügung der Schweizerischen Unfallversicherungsanstalt (SUVA) datiert vom 18. März 1982. Damit wurde dem Beschwerdeführer eine 15%ige Invalidenrente vom 31. Mai 1981 bis 31. Mai 1984 und für die Zeit vom 1. Juni 1984 bis 31. Mai 1990 eine Rente auf der Basis einer Erwerbsunfähigkeit von 10% zugesprochen. Dieser Abstufung und Befristung liegen somit Annahmen über Sachverhalte zugrunde, die sich erst nach Inkrafttreten des neuen Unfallversicherungsgesetzes (UVG) am 1. Januar 1984 verwirklichen. Es stellt sich deshalb die Frage, nach welchen Vorschriften die angefochtene Verfügung zu beurteilen ist. b) Gemäss Art. 118 Abs. 1 UVG werden die Versicherungsleistungen für Unfälle, die sich vor dem Inkrafttreten dieses Gesetzes ereignet haben, und für Berufskrankheiten, die vor diesem Zeitpunkt ausgebrochen sind, nach bisherigem Recht (KUVG) gewährt. Davon abweichend sieht Art. 118 Abs. 2 UVG u.a. in bezug BGE 111 V 36 S. 37 auf Invalidenrenten vor, dass für Versicherte der SUVA vom Inkrafttreten dieses Gesetzes an dessen Bestimmungen gelten, sofern der Anspruch erst nach dem Inkrafttreten des UVG entsteht (lit. c). Im vorliegenden Fall ist der Anspruch des Beschwerdeführers auf die Invalidenrente unbestrittenerweise vor dem 1. Januar 1984 entstanden. Deswegen ist der streitige Rentenanspruch nach altem Recht (Art. 76 bis 82 KUVG) zu beurteilen, was sich aus dem Wortlaut von Art. 118 Abs. 2 lit. c UVG e contrario ergibt. Für eine hievon abweichende Betrachtungsweise bieten weder der klare Wortlaut von Art. 118 UVG - von welchem bei der Auslegung in erster Linie auszugehen ist ( BGE 110 V 39 , BGE 109 IV 124 Erw. 2a, je mit Hinweisen) - noch die Materialien (BBl 1976 III 184 und 232 f.) genügende Anhaltspunkte. Bei dieser Rechtslage ist es nicht zu beanstanden, wenn die SUVA in der "Wegleitung durch die Unfallversicherung" (1. Aufl., Ausgabe März 1984, S. 41 und 245) vorschreibt, dass unter dem alten Recht entstandene Rentenansprüche - seien dies abgestufte, befristete oder Dauerrenten - in revisionsrechtlicher Hinsicht weiterhin nach Massgabe des KUVG (Art. 80 Abs. 2) zu beurteilen sind.
null
nan
de
1,985
CH_BGE
CH_BGE_007
CH
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280d16b1-ff20-4e7d-aad7-5f60d6620739
Urteilskopf 117 III 70 21. Auszug aus dem Entscheid der Schuldbetreibungs- und Konkurskammer vom 6. November 1991 i.S. Gautschi Holding AG (Rekurs)
Regeste Nachkonkurs ( Art. 269 SchKG ). Art. 269 SchKG stellt den Entscheid, ob ein Vermögenswert als neu entdecktes Vermögen in den Nachkonkurs einbezogen werden soll, nicht völlig dem Ermessen des Konkursamtes anheim. Dieses kann sich nur ausnahmsweise - bei eindeutiger Sach- und Rechtslage - weigern, für behauptete Rechtsansprüche einen Nachkonkurs zu eröffnen.
Sachverhalt ab Seite 70 BGE 117 III 70 S. 70 A.- Zwischen der Gautschi Holding AG und dem Konkursamt Glarus ist streitig, ob der am 19. August 1986 als geschlossen erklärte Konkurs über die Suter-Leemann AG in Glarus gemäss Art. 269 SchKG wiederaufzunehmen bzw. auf verschiedene Forderungen - Pfanderlös, ungerechtfertigte Bereicherung, Verrechnung mit der Masse - auszudehnen sei. Diese Forderungen BGE 117 III 70 S. 71 sollen sich nach der Behauptung der Rekurrentin erst im Gefolge eines Kollokationsprozesses gegen die Spar- und Hypothekenbank Luzern (erledigt durch Urteil des Obergerichts des Kantons Luzern vom 24. August/14. Dezember 1987 bzw. durch Urteil des Bundesgerichts vom 25. Mai 1989) herauskristallisiert haben. Das Konkursamt lehnte die Wiederaufnahme des Konkurses mit der Begründung ab, dass es sich bei den fraglichen sechs Forderungen im Gesamtbetrag von Fr. 4'741'576.35 nicht um neu entdecktes Vermögen der Konkursitin handle, habe doch die Gautschi Holding AG in ihrem Schreiben vom 3. Mai 1990 selber erklärt, dass sich die Beträge aus den Konkursakten ergäben. B.- Die Verfügung des Konkursamtes wurde vom Präsidenten des Kantonsgerichts Glarus als unterer Aufsichtsbehörde über Schuldbetreibung und Konkurs geschützt, indem die hiegegen gerichtete Beschwerde der Gautschi Holding AG am 17. Dezember 1990 abgewiesen wurde, soweit darauf einzutreten war. Denselben Entscheid fällte in seiner Sitzung vom 26. August 1991 das Kantonsgericht Glarus als obere Aufsichtsbehörde über Schuldbetreibung und Konkurs. Demgegenüber hiess die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer des Bundesgerichts den Rekurs gut und hob den Entscheid der oberen kantonalen Aufsichtsbehörde auf. Sie wies das Konkursamt an, über die Ausdehnung des Nachkonkurses über die Suter-Leemann AG neu zu entscheiden. Erwägungen Aus den Erwägungen: 1. Das Kantonsgericht Glarus hat im angefochtenen Entscheid ausgeführt, aus dem von der Beschwerdeführerin zu den Akten gegebenen Schreiben vom 3. Mai 1990 gehe hervor, dass die als neu entdecktes Vermögen geltend gemachten Forderungen der Konkursmasse Suter-Leemann AG gegen die Spar- und Hypothekenbank Luzern seit 1983 bekannt gewesen seien. Es sei unbekannt, weshalb sie von der Konkursverwaltung im Konkurs nicht berücksichtigt worden seien. Dagegen hätte Beschwerde geführt werden können; doch sei dies nicht geschehen, obwohl noch ein Kollokationsprozess mit der Gautschi Holding AG als Klägerin pendent gewesen sei, der von ihr ungefähr zum gleichen Zeitpunkt an das Obergericht Glarus weitergezogen worden sei, wo der Konkurs über die Suter-Leemann AG als geschlossen erklärt wurde. Auf die Rüge wegen der nach der Meinung der Beschwerdeführerin BGE 117 III 70 S. 72 vorzeitigen Schliessung des Konkurses könne heute nicht mehr eingetreten werden. Dass im Nachkonkurs nun bloss die im ordentlichen Zivilprozess geprüfte Forderung behandelt werde, sei nicht zu beanstanden. Bei diesem Vermögenswert könne man mit Fug von neu entdecktem Vermögen sprechen. Das könne aber nicht gelten für (strittige oder unstrittige) Forderungen, die im Konkursverfahren bereits summenmässig bekannt gewesen seien und aus heute nicht mehr zu ermittelnden Gründen nicht berücksichtigt worden seien. Andernfalls würde ein Nachkonkurs praktisch zur Revision eines ganzen Konkursverfahrens führen, was nicht Sinn und Zweck von Art. 269 SchKG sei. Da die Konkursämter eher bereit seien, die Voraussetzungen von Art. 269 SchKG als gegeben zu betrachten - führt die kantonale Aufsichtsbehörde weiter aus -, damit ein Streit über den materiellen Bestand einer Forderung und den Zeitpunkt ihres Entstehens in einem gerichtlichen Verfahren entschieden werden könne, "müsste die Beschwerdeführerin im vorliegenden Aufsichtsbeschwerdeverfahren deutlichere, konkretere und überzeugendere Hinweise auf das Vorhandensein von Gründen für praxisfremde Entscheide des Konkursamtes beziehungsweise des damals zuständig gewesenen Konkursverwalters geben können". Aus den Akten seien solche Gründe nicht als hinreichend überzeugend erkennbar. Daher müsse angenommen werden, dass das Konkursamt Glarus zu Recht die fraglichen Forderungen von insgesamt 4,7 Millionen Franken als nicht unter Art. 269 SchKG subsumierbares (neu entdecktes) Vermögen betrachtet habe. 2. a) Diese Argumentation vermag nicht zu überzeugen. In ihren Beschwerden an die untere und hernach die obere kantonale Aufsichtsbehörde hat die Gautschi Holding AG klar dargelegt, dass und weshalb sie die weiteren Forderungen als neu entdeckte Vermögensstücke im Sinne von Art. 269 SchKG betrachtet, und dabei auf die nicht leicht zu überblickenden Zusammenhänge hingewiesen. Damit haben sich die beiden kantonalen Aufsichtsbehörden mit keinem Wort auseinandergesetzt. Vielmehr haben sie sich mit dem Hinweis auf das Schreiben der Gautschi Holding AG vom 3. Mai 1990 an deren damaligen Rechtsvertreter begnügt, worin erklärt wird: "Die Beträge ergeben sich aus den Konkursakten und sind von Dr. Honegger leider jeweils in der falschen Kolonne in seinem Statut oder überhaupt nicht aufgeführt worden." Entgegen der im angefochtenen Entscheid vertretenen Auffassung lässt sich diesem Schreiben nur entnehmen, BGE 117 III 70 S. 73 dass Belege für die Forderungen offenbar in den Konkursakten zu finden sind. Es lässt sich daraus aber nicht der Schluss ziehen, dass die Konkursorgane oder die (Mehrzahl der) Gläubiger über Anhaltspunkte verfügten, wonach diese Forderungen tatsächlich als Aktiven zur Konkursmasse zu ziehen gewesen wären, was aber wissentlich oder versehentlich nicht geschehen ist. b) Art. 269 SchKG stellt den Entscheid, ob ein Vermögenswert als neu entdecktes Vermögen in den Nachkonkurs einbezogen werden soll, nicht völlig dem Ermessen des Konkursamtes anheim. Im Hinblick auf die Folgen einer Ablehnung kann sich das Konkursamt nur ausnahmsweise - bei eindeutiger Sach- und Rechtslage - weigern, für behauptete Rechtsansprüche einen Nachkonkurs zu eröffnen ( BGE 90 III 45 ff. E. 2 und 3). Sieht es selber keine Möglichkeit, solche Rechtsansprüche für die Konkursmasse durchzusetzen, so kann es entsprechend der Bestimmung von Art. 269 Abs. 3 SchKG vorgehen. Es ist denn auch nach der Rechtsprechung in erster Linie Sache des Richters, und nicht des Konkursamtes bzw. der Aufsichtsbehörden in Schuldbetreibungs- und Konkurssachen, darüber zu entscheiden, ob die Voraussetzungen für einen Nachkonkurs gegeben sind oder nicht (vgl. die jüngste Rechtsprechung in BGE 116 III 98 ff.). c) Da es im vorliegenden Fall sehr unklar ist, wie es sich rechtlich mit den geltend gemachten Forderungen verhält, kann die Zulässigkeit des Nachkonkurses auch nicht entscheidend davon abhängen, ob die Gautschi Holding AG selber Kenntnis vom Bestand weiterer Forderungen gegen die Konkursitin hatte oder hätte haben müssen. Zwar obliegt es der Rekurrentin, näher darzulegen, weshalb sie glaubt, dass neue Vermögensstücke im Sinne von Art. 269 SchKG vorhanden seien; und dafür hat sie denn auch zumindest Indizien geliefert. Aber es kann ihr im Hinblick darauf, dass der Ausschluss des Nachkonkurses den endgültigen Verlust eines allenfalls eben doch zur Konkursmasse gehörenden Rechtsanspruchs bewirken würde, der Nachkonkurs nicht mit dem blossen Hinweis darauf verweigert werden, dass sie selber im Schreiben vom 3. Mai 1990 auf die Konkursakten verwiesen hat ( BGE 116 III 104 E. 6b, 105 E. 6d). Vielmehr muss das Konkursamt - gerade aufgrund der Konkursakten - zuerst einmal selber abklären, ob die Existenz der umstrittenen Forderungen vor Durchführung des Kollokationsprozesses wirklich nicht bekannt sein konnte oder aus welchen Gründen sonst diese Forderungen seinerzeit im Konkurs der Suter-Leemann AG nicht in die Konkursmasse BGE 117 III 70 S. 74 einbezogen worden sind. Je nachdem muss sich das Konkursamt über den einzuschlagenden Weg klar werden und sich dabei vor allem die für streitige Forderungen anwendbare Vorschrift von Art. 269 Abs. 3 SchKG vor Augen halten (siehe auch AMONN, Grundriss des Schuldbetreibungs- und Konkursrechts, 4. Auflage Bern 1988, S. 397 f., insbesondere Rz. 6 und 8; WALDER, Der Nachkonkurs, BlSchK 45/1981, S. 1 ff., S. 33 ff.).
null
nan
de
1,991
CH_BGE
CH_BGE_005
CH
Federation
280e568d-b445-4ee9-a8df-8104f01db7b5
Urteilskopf 125 III 269 47. Extrait de l'arrêt de la Cour de cassation pénale du 30 avril 1999 dans la cause X. contre Y. (pourvoi en nullité)
Regeste Art. 49 OR ; Höhe der Genugtuung für Opfer von sexuellen Handlungen. Zusammenfassung der Kriterien, die bei der Festsetzung der Höhe einer Genugtuung zu berücksichtigen sind; Prüfungsbefugnis des Bundesgerichts (E. 2a). Fall eines Mädchens, welches durch seinen Vater während zehn Jahren unzählige besonders schwere Angriffe gegen die sexuelle Integrität erleiden musste, die bei dem Mädchen eine schwerwiegende und sehr wahrscheinlich irreversible Schädigung bewirkten (E. 2b und c).
Sachverhalt ab Seite 270 BGE 125 III 269 S. 270 A.- Par jugement du 16 juin 1998, le Tribunal correctionnel du district de Nyon a condamné Y., pour actes d'ordre sexuel avec des enfants, contrainte sexuelle qualifiée et actes d'ordre sexuel commis sur une personne incapable de résistance, à la peine de 6 ans de réclusion, sous déduction de la détention préventive subie, et à l'expulsion du territoire suisse pour une durée de 15 ans; il a par ailleurs déclaré l'accusé débiteur d'une somme de 50'000 francs, à titre de réparation du tort moral, envers la victime, X., à laquelle il a pour le surplus donné acte de ses conclusions civiles. Par arrêt du 12 octobre 1998, la Cour de cassation pénale du Tribunal cantonal vaudois a partiellement admis les recours formés par l'accusé et par la victime contre ce jugement. Estimant que les premiers juges n'avaient pas suffisamment tenu compte de la diminution moyenne de responsabilité de l'accusé dans la fixation de la peine, elle a réduit cette dernière à 5 1/2 ans de réclusion. Elle a par ailleurs modifié le dispositif de la décision qui lui était déférée en ce sens qu'elle a reconnu l'accusé responsable, à raison des faits pour lesquels il était condamné, du dommage subi par la victime. B.- Cet arrêt retient, en résumé, ce qui suit: a) Ressortissant portugais né en 1949, l'accusé est marié et père de deux enfants, un fils né en 1977 et une fille, X., née en janvier 1979. Il est d'abord venu travailler en Suisse comme saisonnier, rentrant ainsi pendant trois mois en hiver dans son pays, avant de s'installer en Suisse avec sa famille en avril 1990. Entre 1987 et janvier 1997, l'accusé a commis à d'innombrables reprises et de manière régulière des atteintes graves à l'intégrité sexuelle de sa fille X. Au Portugal, dès 1987, alors que sa fille était âgée de 8 ans, et quasiment tous les jours pendant les mois où il séjournait dans ce pays, l'accusé a touché le sexe de celle-ci et s'est fait sucer le sexe par elle. En Suisse, de 1990, lorsque la famille est venue s'y installer, jusqu'au mois de janvier 1997, époque de son arrestation, l'accusé a poursuivi systématiquement ses agissements, d'abord lorsque sa fille BGE 125 III 269 S. 271 vivait auprès de lui, puis, dès 1994, lorsqu'elle rentrait pour le week-end et les vacances après avoir été placée dans des foyers en raison d'importants retards dans son développement. Les actes commis par l'accusé se sont aggravés au fur et à mesure que sa fille grandissait, de même que les efforts de l'accusé pour vaincre la résistance croissante de celle-ci. Au début, il caressait l'enfant sur tout le corps, par-dessus ou par-dessous les habits. Après la puberté de sa fille, dès 1994 environ, l'accusé l'a de plus en plus régulièrement caressée sur le sexe; à des dizaines de reprises, il l'a contrainte à passer la main dans sa braguette et à lui caresser la verge; ces actes se passaient le soir mais aussi régulièrement lors de la pause de midi ou lorsque l'enfant rentrait de l'école dans l'après-midi. Par la suite, l'accusé est venu de plus en plus souvent durant la nuit dans la chambre de sa fille; il la déshabillait, se dévêtait, se couchait sur elle et frottait sa verge en érection sur le bas-ventre de l'adolescente, avant d'éjaculer dans une serviette qu'il prenait le soin d'avoir à disposition; tout aussi régulièrement il a tenté d'introduire sa verge dans l'anus de sa fille. Lorsque cette dernière résistait, l'accusé lui ligotait les mains; alors qu'elle était attachée, il la caressait sur tout le corps, en particulier sur le sexe, les seins et les fesses. Il est également arrivé à l'accusé de masturber sa fille avec ses doigts, voire avec sa langue, et même de se munir d'une carotte pour la lui introduire plus ou moins profondément dans le vagin et l'anus. Il a aussi tenté d'obtenir des fellations en apposant sa verge sur la bouche de l'enfant, qui résistait en serrant les dents. A réitérées reprises, après avoir commis les actes évoqués, l'accusé a menacé sa fille de la battre si elle parlait. Seule l'arrestation de l'accusé a mis un terme à ces agissements, après que la victime en a parlé à deux éducateurs du foyer où elle était placée, le lendemain de son 18ème anniversaire, soit à la fin janvier 1997. b) Il a été constaté que la victime avait été épouvantablement marquée par les actes horribles qu'elle avait subis. Elle est apparue comme une jeune fille abattue et prostrée, dont il était très difficile d'obtenir des déclarations. Il avait fallu énormément de temps à l'inspectrice qui l'avait entendue pour mettre la jeune fille en confiance et l'amener à évoquer ce qu'elle avait subi, au demeurant en recourant à une méthode utilisée pour les mineurs. Il n'était possible de l'entendre qu'hors la présence de son père, moyennant des questions posées avec tact par son conseil ou par un éducateur qu'elle connaissait bien et de manière à ce qu'elle puisse répondre par oui ou par BGE 125 III 269 S. 272 non. Selon ses éducateurs, il s'agit d'un cas lourd et la jeune fille, qui converse sinon normalement, se bloque complètement dès que sont évoqués les faits de la présente affaire. La victime a été soumise à une expertise psychiatrique. L'expert a posé le diagnostic d'épisode dépressif sévère sans symptôme psychotique, de retard mental léger et de troubles de la personnalité et du comportement. Selon lui, la jeune fille présente un retard de croissance probablement multifactoriel, soit intra-utérin, génétique et probablement psychogène; la dépression doit être attribuée aux sévices subis depuis l'enfance; le retard mental et les troubles de la personnalité relèvent à la fois des séquelles d'un développement perturbé durant l'enfance (psychose infantile probable) et de l'état dépressif sévère qui a péjoré notablement les troubles préexistants. Toujours selon l'expert, il existe un risque de dommages permanents sur les plans affectif, intellectuel et professionnel ainsi qu'un risque qu'une relation hétérosexuelle harmonieuse ne puisse pas se réaliser ou présente d'importantes difficultés; aux débats, il a précisé qu'il est prématuré de se prononcer sur le caractère irréversible des dommages concernant l'évolution affective et professionnelle. La victime est actuellement placée dans une institution pour jeunes filles présentant d'importants problèmes, où elle demeurera. Elle est sous tutelle et est suivie par un médecin, qui a confirmé qu'il s'agit d'un cas extrêmement lourd et difficile, expliquant que sa patiente voyait encore, dans ses moments d'angoisse, son père couché sur elle. L'un de ses éducateurs a indiqué que la jeune fille avait tenté de se suicider à une reprise au moins, retournant sa violence contre elle et s'infligeant des automutilations. c) Alors que la victime concluait au versement d'une somme de 150'000 francs à titre de réparation du tort moral, les juges cantonaux ont estimé que l'allocation d'une somme de 50'000 francs était adéquate, compte tenu du genre, de la durée et de la répétition des actes subis par la victime ainsi que de l'intensité des souffrances qui en découlaient. C.- X. se pourvoit en nullité au Tribunal fédéral. Invoquant une violation de l' art. 49 CO , elle fait valoir que le montant qui lui a été alloué à titre de réparation du tort moral est manifestement insuffisant. Elle conclut à ce que l'arrêt attaqué soit réformé en ce sens que l'accusé soit astreint à lui verser, à titre de réparation du tort moral, une somme de 150'000 francs avec intérêts à 5% l'an dès le 1er janvier 1987 ou à ce que l'arrêt attaqué soit annulé et la cause renvoyée BGE 125 III 269 S. 273 à l'autorité cantonale pour nouvelle décision. Elle sollicite par ailleurs l'assistance judiciaire. Le Tribunal fédéral a partiellement admis le pourvoi et réformé l'arrêt attaqué. Erwägungen Extrait des considérants: 2. La recourante invoque une violation de l' art. 49 CO ; elle fait valoir que le montant de 50'000 francs qui lui a été alloué à titre de réparation du tort moral est manifestement insuffisant eu égard aux sévices sexuels graves qui lui ont été infligés régulièrement pendant dix ans et aux atteintes à sa santé physique et psychique qui en ont résulté. a) L'ampleur de la réparation morale dépend avant tout de la gravité des souffrances physiques ou psychiques consécutives à l'atteinte subie par la victime et de la possibilité d'adoucir sensiblement, par le versement d'une somme d'argent, la douleur morale qui en résulte. Sa détermination relève du pouvoir d'appréciation du juge; en raison de sa nature, l'indemnité pour tort moral, qui est destinée à réparer un dommage qui ne peut que difficilement être réduit à une simple somme d'argent, échappe à toute fixation selon des critères mathématiques, de sorte que son évaluation en chiffres ne saurait excéder certaines limites; l'indemnité allouée doit toutefois être équitable. Le juge en proportionnera donc le montant à la gravité de l'atteinte subie et il évitera que la somme accordée n'apparaisse dérisoire à la victime; s'il s'inspire de certains précédents, il veillera à les adapter aux circonstances actuelles pour tenir compte de la dépréciation de la monnaie (cf. ATF 118 II 410 consid. 2a p. 413 et les arrêts cités). La fixation de l'indemnité pour tort moral est une question d'application du droit fédéral, que le Tribunal fédéral examine donc librement. Dans la mesure où cette question relève pour une part importante de l'appréciation des circonstances, le Tribunal fédéral intervient avec retenue, notamment si l'autorité cantonale a mésusé de son pouvoir d'appréciation en se fondant sur des considérations étrangères à la disposition applicable, en omettant de tenir compte d'éléments pertinents ou encore en fixant une indemnité inéquitable parce que manifestement trop faible ou trop élevée; comme il s'agit cependant d'une question d'équité - et non pas d'une question d'appréciation au sens strict, qui limiterait son pouvoir d'examen à l'abus ou à l'excès du pouvoir d'appréciation -, le Tribunal fédéral examine BGE 125 III 269 S. 274 toutefois librement si la somme allouée tient suffisamment compte de la gravité de l'atteinte ou si elle est disproportionnée par rapport à l'intensité des souffrances morales causées à la victime (cf. ATF 123 III 10 consid. 4c/aa p. 12 s; ATF 118 II 410 consid. 2a p. 413 et les arrêts cités). Dans le cas d'une enfant, âgée de 10 ans au moment des faits, sur laquelle son beau-père avait, durant une période de six mois au moins, commis des attouchements, en la caressant et l'embrassant sur les seins et le pubis, et qui avait été marquée fortement pendant plusieurs mois par ces agissements mais n'avait pas été gravement perturbée, sans que l'on puisse toutefois exclure que les atteintes subies entraînent des conséquences à l'âge adulte, le Tribunal fédéral a jugé qu'une indemnité pour tort moral de 6'000 francs allouée en instance cantonale était inéquitable parce que trop faible et l'a portée à 10'000 francs (cf. ATF 118 II 410 consid. 2b p. 414 s.). En cas de viol, les montants qui ont été alloués depuis 1990 se situent généralement entre 10'000 et 15'000 francs et s'élèvent exceptionnellement à 20'000 francs (cf. Hütte/Drucksch, Die Genugtuung, 3ème éd., 1996, X/2 no 5, X/3 no 7, X/5 no 12, X/6 no 15 et 16, X/7 no 8, X/8 no 21 et 22, X/9 no 23, X/10 no 25, X/11 no 27; depuis 1995: X/4 no 8, X/5 no 11, X/6 no 13). D'une manière générale, la jurisprudence tend, depuis quelques années, à allouer des montants plus importants en matière d'atteintes graves à l'intégrité d'une personne. b) En l'espèce, la recourante, qui était âgée de 8 ans lorsque l'intimé a commencé ses agissements, a subi pendant dix ans, à d'innombrables reprises, des atteintes particulièrement graves à son intégrité sexuelle. Comme l'ont relevé les premiers juges, à l'exception du viol, l'intimé a commis en quelque sorte tous les actes sexuels possibles et imaginables sur sa fille. Lorsque cette dernière vivait auprès de lui, il s'en prenait à elle presque quotidiennement, que ce soit le soir, durant la pause de midi ou dans l'après-midi lorsqu'elle revenait de l'école ou encore en allant la rejoindre dans sa chambre durant la nuit. Il ne fait pas de doute que, durant toutes ces années, la victime a vécu un véritable enfer, dans l'angoisse indescriptible des assauts sans cesse renouvelés de son père, auquel, dans son isolement, elle était impuissante à échapper et qui n'a pas hésité, lorsqu'elle résistait, à la ligoter pour assouvir ses pulsions. Les conséquences physiques et psychiques de ces atteintes sont extrêmement lourdes. L'arrêt attaqué constate que la recourante a été épouvantablement marquée par les actes horribles que son père lui a fait subir. Elle est apparue abattue et prostrée, incapable de répondre BGE 125 III 269 S. 275 autrement que par oui ou par non aux questions qui lui étaient posées et se bloquant complètement dès que les faits de la présente cause étaient évoqués. Selon l'expert-psychiatre, elle souffre d'une dépression sévère, qui doit être attribuée aux sévices qu'elle a subis depuis l'enfance; elle présente également un retard mental léger ainsi que des troubles de la personnalité et du comportement, qui s'expliquent en partie par un développement perturbé durant l'enfance et par la dépression sévère dont elle souffre, qui les a aggravés; il existe un risque de dommages permanents sur les plans affectif, intellectuel et professionnel; une relation hétérosexuelle normale risque de ne pas se développer ou de présenter d'importantes difficultés. Actuellement, la recourante est placée dans une institution spécialisée pour des jeunes filles présentant d'importants problèmes; elle est suivie par un médecin, qui a qualifié son cas d'extrêmement lourd et difficile et qui a exposé que sa patiente voyait encore, dans ses moments d'angoisse, son père sur elle; l'un des éducateurs qui s'occupe d'elle a fait état d'une tentative de suicide à une reprise au moins. c) Au vu de ce qui précède, l'indemnité pour tort moral de 50'000 francs allouée à la recourante en instance cantonale est manifestement trop faible. Les juges cantonaux se sont certes fondés sur des éléments pertinents; ils n'ont toutefois pas suffisamment tenu compte de l'intensité des souffrances que la recourante a éprouvées pendant de longues années, de celles qu'elle éprouve encore et éprouvera longtemps si ce n'est définitivement; ils n'ont de même pas suffisamment tenu compte de l'importance du grave dommage psychique, affectif, intellectuel et professionnel subi par la recourante, ni du fait que ce dommage, à dire d'expert, risque fort d'être permanent. Les sévices infligées à la recourante, par leur nature, leur régularité, leur durée et leurs conséquences, sont incontestablement beaucoup plus graves que ceux qui, dans l' ATF 118 II 410 ss précité, avaient conduit le Tribunal fédéral, en 1992, à allouer à la victime d'attentats à la pudeur une indemnité pour tort moral de 10'000 francs. Ils excèdent aussi largement, notamment par leur durée, leur fréquence et par la circonstance qu'ils ont été le fait du père de la victime, les cas de viol où des montants pouvant aller jusqu'à 20'000 francs ont été alloués. A cela s'ajoute que, dans le cas d'espèce, il y a lieu de prendre en considération le risque très élevé de dommages permanents graves et de leurs conséquences pour la recourante. Compte tenu de l'ensemble des circonstances, en particulier de la gravité de l'atteinte subie, de l'intensité des souffrances morales qu'elle a entraînées ainsi que du risque de dommages permanents et BGE 125 III 269 S. 276 de leurs conséquences, une indemnité de 100'000 francs apparaît équitable en l'espèce. Il est vrai que ce montant est exceptionnellement élevé et il convient de souligner qu'il représente sans doute le maximum qui puisse être alloué pour ce genre de cas. Il se justifie toutefois en l'espèce eu égard à l'extrême gravité du cas particulier, compte tenu notamment des éléments suivants: le genre des atteintes subies (multiples attouchements graves, masturbations, sodomisations et fellations) ainsi que leur fréquence (quasi quotidienne) et leur durée (une dizaine d'années); la circonstance que ces atteintes ont été le fait du père de la victime, lequel a considéré et traité sa fille, qui se trouvait dans une situation d'isolement et d'impuissance totale par rapport à lui, comme un simple objet de plaisir qu'il s'appropriait; les actes de contrainte exercés sur la victime, qui a été menacée et même ligotée, et les humiliations qui lui ont été infligées; l'importance et l'irréversibilité hautement probable du préjudice subi par la victime, en particulier sur le plan psychique. Dans ces circonstances, la Cour de céans estime équitable d'allouer un montant de 100'000 francs à titre de réparation morale. Il y a lieu de préciser ici, étant relevé que cela n'est pas contesté, que l'indemnité allouée est destinée à réparer le tort moral consécutif à l'ensemble des actes commis par l'intimé, donc celui résultant non seulement des actes commis - entre 1990 et janvier 1997 - qui sont punissables en Suisse mais également des actes commis - de 1987 à 1990 - au Portugal. d) La recourante conclut à ce que l'indemnité en cause lui soit allouée avec intérêts à 5% l'an à partir du 1er janvier 1987, soit depuis le début de l'activité dommageable. Ces conclusions correspondent à celles qu'elle avait prises dans son recours cantonal, qui a été écarté en ce qui concerne le montant de l'indemnité pour tort moral sans que la cour cantonale ne se prononce sur la question de l'allocation d'intérêts. Devant le tribunal de première instance, qui ne s'est pas non plus prononcé sur cette question, la recourante avait toutefois conclu, dans son mémoire de demande du 10 juin 1998, à l'allocation d'intérêts à 5% l'an dès cette date, donc sans effet rétroactif. Il n'y a pas lieu de s'écarter de ces premières conclusions, déterminantes, qui ne sont au reste pas contestées par l'intimé. La somme de 100'000 francs allouée à la recourante le sera donc avec intérêts à 5% l'an dès le 10 juin 1998.
null
nan
fr
1,999
CH_BGE
CH_BGE_005
CH
Federation
280f0ef8-ff24-4c13-af1c-18d4ca9c2c7b
Urteilskopf 139 V 12 3. Auszug aus dem Urteil der II. sozialrechtlichen Abteilung i.S. Bundesamt für Sozialversicherungen gegen B. (Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten) 9C_356/2012 vom 24. Januar 2013
Regeste Art. 10 Abs. 3 AHVG ; Art. 28 bis AHVV ; Art. 34 BPV ; Beitragspflicht im Vorruhestandsurlaub. Ob ein Versicherter erwerbstätig ist, beurteilt sich nicht in Funktion der Beitragshöhe, sondern nach den tatsächlichen wirtschaftlichen Gegebenheiten. Eine versicherte Person untersteht dann dem Beitragsstatut eines Erwerbstätigen, wenn sie im Zeitraum, auf den sich die Beitragserfassung bezieht, eine Erwerbstätigkeit mit gewissen Beiträgen auf dem Arbeitserwerb ( Art. 10 Abs. 1 Satz 2 AHVG ) und von bestimmten Umfang ( Art. 10 Abs. 1 Satz 3 AHVG in Verbindung mit Art. 28 bis AHVV ) ausübte (E. 5.2). Der Vorruhestand gemäss Art. 34 BPV kann nicht mit einer arbeitsvertraglichen Freistellung gleichgesetzt werden (E. 6.1). Eine arbeits- oder personalrechtliche abweichende Regelung vermag die zwingende AHV-rechtliche Definition der Nichterwerbstätigkeit nicht zu derogieren (E. 6.3). Entschädigen die Leistungen im Vorruhestand mindestens teilweise für die früheren schwierigen Arbeitsbedingungen und besteht in diesem Sinne eine sachliche Korrelation, sind sie - in Nachachtung von BGE 111 V 161 - nach dem Erwerbsjahrprinzip unter dem Jahr der letzten effektiven Arbeitstätigkeit im individuellen Konto einzutragen (E. 6.4).
Sachverhalt ab Seite 13 BGE 139 V 12 S. 13 A. B., geboren 1950, war bis Ende Oktober 2008 als Angehöriger des Grenzwachtkorps bei der Eidgenössischen Zollverwaltung tätig. Am 1. November 2008 trat er einen dreijährigen Vorruhestandsurlaub an. Vereinbarungsgemäss sollte nach Ablauf dieses Urlaubs, das heisst auf den 1. November 2011, das Arbeitsverhältnis aufgelöst werden und ein vorzeitiger Altersrücktritt erfolgen. Während des dreijährigen Vorruhestandsurlaubs erhielt B. den vollen Lohn, wobei die Sozialversicherungsbeiträge in Abzug gebracht und monatlich der Ausgleichskasse als Lohnbeiträge überwiesen wurden. Mit Verfügung vom 4. Februar 2011 teilte die Eidgenössische Ausgleichskasse (EAK) B. mit, es komme ihm während des Vorruhestandsurlaubes das Beitragsstatut eines Nichterwerbstätigen zu. Sämtliche AHV/IV/EO-Abzüge auf den Lohnzahlungen würden auf seinem individuellen Konto in das Jahr gebucht, in dem er in den Vorruhestandsurlaub getreten sei. Am 9. Februar 2011 setzte die EAK verfügungsweise die persönlichen Beiträge für das Jahr 2009 BGE 139 V 12 S. 14 auf Fr. 350.- fest. B. erhob gegen die Verfügungen vom 4. und 9. Februar 2011 Einsprache und beantragte deren Aufhebung sowie die Rückerstattung der bereits bezahlten Beiträge (nebst Zins) für die Zeit des Vorruhestandes (1. November 2008 bis 31. Oktober 2011). Die EAK wies die Einsprache mit Entscheid vom 1. Juni 2011 ab. B. Hiegegen liess B. Beschwerde erheben und unter Aufhebung des Einspracheentscheides vom 1. Juni 2011 sowie der angefochtenen Verfügungen beantragen, die EAK sei anzuweisen, ihm die bereits bezahlten AHV-Beiträge als Nichterwerbstätiger (samt Zins) für die Jahre 2009, 2010 und 2011 zurückzuerstatten und ihm die für das Einspracheverfahren beantragte Parteientschädigung von Fr. 1'350.- auszurichten. Das Kantonsgericht Basel-Landschaft hiess die Beschwerde mit Entscheid vom 2. März 2012 in dem Sinne teilweise gut, als es den Einspracheentscheid aufhob und die EAK anwies, B. die entrichteten persönlichen Beiträge als Nichterwerbstätiger für das Jahr 2009 inklusive gesetzlichen Vergütungszinses zurückzuerstatten. Hinsichtlich der Beiträge für die Jahre 2010 und 2011 trat es auf die Beschwerde nicht ein. Das Begehren um Zusprache einer Parteientschädigung für das Einspracheverfahren wies es ab. C. Das Bundesamt für Sozialversicherungen (BSV) erhebt Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten gegen den kantonalen Entscheid und beantragt dessen Aufhebung. Die EAK schliesst auf Gutheissung der Beschwerde, B. auf deren Abweisung. Zudem beantragt er die Zusprechung einer Parteientschädigung. Die Vorinstanz verzichtet auf eine Vernehmlassung. Erwägungen Aus den Erwägungen: 4. 4.2 Der Bundesrat erliess gestützt auf Art. 10 Abs. 3 AHVG nähere Vorschriften über den Kreis der Personen, die als Nichterwerbstätige gelten. So bestimmt Art. 28 bis AHVV (SR 831.101), dass auch jene Personen als Nichterwerbstätige gelten, deren Erwerbstätigkeit in zeitlicher und masslicher Hinsicht nur unbedeutend ist (sogenannte Schwergewichtsmethode, vgl. auch HANSPETER KÄSER, Unterstellung und Beitragswesen in der obligatorischen AHV, 2. Aufl. 1996, S. 216 Rz. 10.1). Massgebliches Abgrenzungskriterium von Art. 10 AHVG ist die tatsächliche Erwerbstätigkeit. Fehlt diese, liegt Nichterwerbstätigkeit vor und es besteht eine Beitragspflicht aus Nichterwerbstätigkeit ( BGE 115 V 65 E. 7 S. 74; UELI KIESER, Die Abgrenzung BGE 139 V 12 S. 15 zwischen Erwerbs- und Nichterwerbstätigen, in: Aktuelle Fragen aus dem Beitragsrecht der AHV, 1998, S. 73). 4.3 Der Begriff der Erwerbstätigkeit im Sinne von Art. 4 Abs. 1 AHVG setzt nach konstanter Rechtsprechung die Ausübung einer auf die Erzielung von Einkommen gerichteten bestimmten (persönlichen) Tätigkeit voraus, mit welcher die wirtschaftliche Leistungsfähigkeit erhöht werden soll. Für die Beantwortung der Frage, ob Erwerbstätigkeit vorliegt, kommt es nicht darauf an, wie ein Beitragspflichtiger sich selber - subjektiv - qualifiziert. Entscheidend sind vielmehr die tatsächlichen wirtschaftlichen Verhältnisse und Gegebenheiten, die durch eine Tätigkeit begründet werden oder in deren Rahmen eine solche ausgeübt wird. Mit anderen Worten muss die behauptete Erwerbsabsicht aufgrund der konkreten wirtschaftlichen Tatsachen nachgewiesen sein. Wesentliches Merkmal einer Erwerbstätigkeit ist sodann eine planmässige Verwirklichung der Erwerbsabsicht in der Form von Arbeitsleistung , welches Element ebenfalls rechtsgenüglich erstellt sein muss (vgl. E. 4.2 hievor; BGE 128 V 20 E. 3b S. 25; BGE 125 V 383 E. 2a S. 384 mit Hinweisen und BGE 111 V 161 E. 2 S. 165; Urteile des Eidg. Versicherungsgerichts H 12/03 vom 5. April 2004 E. 3.1; H 2/02 vom 16. Juli 2003 E. 3.2.1; H 238/90 vom 15. Mai 1991 E. 5a, in: ZAK 1991 S. 312 und H 215/85 vom 8. Mai 1987 E. 4a, in: ZAK 1987 S. 418; Wegleitung des BSV über die Beiträge der Selbständigerwerbenden und Nichterwerbstätigen [WSN] in der AHV, IV und EO, gültig ab 1. Januar 2001, Stand 1. Januar 2006, Rz. 2001, 2003 http://www.bsv.admin.ch/vollzug/documents/index/category:22/lang:deu ). Entsprechend dieser Legaldefinition besteht ein direkter Zusammenhang zwischen der Erwerbstätigkeit des Versicherten und dem daraus resultierenden Zufluss von geldwerten Leistungen (KÄSER, a.a.O., S. 67 Rz. 3.6). 5. 5.1 Soweit die Vorinstanz aus Art. 28 bis AHVV ableitet, der Beschwerdegegner falle nicht in die Kategorie der Nichterwerbstätigen, weil er pro Jahr mehr als den minimalen Betrag entrichte, kann ihrer Argumentation nicht gefolgt werden. Das kantonale Gericht verkennt damit den Gehalt des Art. 28 bis AHVV als Ausführungsbestimmung von Art. 10 Abs. 3 AHVG , die den Kreis der Nichterwerbstätigen näher umschreibt und regelt, wie beim Entscheid über den Beitragsstatus vorzugehen ist, wenn die versicherte Person nicht dauernd eine volle Erwerbstätigkeit ausübt. Dabei handelt es sich aber nur um eine Konkretisierung der in Art. 10 Abs. 1 AHVG BGE 139 V 12 S. 16 vorgezeichneten Schwergewichtsmethode zur Abgrenzung von Erwerbs- und Nichterwerbstätigen (KÄSER, a.a.O., S. 216 Rz. 10.2). 5.2 Gemäss Art. 10 Abs. 1 Satz 2 AHVG schulden grundsätzlich jene Erwerbstätigen Beiträge als Nichterwerbstätige, die während eines Kalenderjahres keine, oder zusammen mit allfälligen Arbeitgebern, Beiträge von weniger als 387 Franken vom Erwerbseinkommen zu bezahlen haben. Es entspricht dem entstehungsgeschichtlich eindeutig dokumentierten Willen des Gesetzgebers, dass die beitragsrechtliche Erfassung als Erwerbstätiger oder Nichterwerbstätiger danach zu entscheiden sei, ob der Versicherte auf dem Arbeitserwerb Beiträge in der Höhe des Minimalbeitrages erbringt ( BGE 115 V 161 E. 5a S. 165 mit Hinweisen). Ob ein Versicherter aber überhaupt erwerbstätig ist, beurteilt sich nicht in Funktion der Beitragshöhe gemäss Art. 10 Abs. 1 AHVG , sondern nach den tatsächlichen wirtschaftlichen Gegebenheiten ( BGE 115 V 161 E. 6a S. 168 f.). Mit anderen Worten ist - wie dargelegt (E. 4.3 hievor) - das entscheidende Kriterium, nach welchem sich die beitragsrechtliche Qualifikation als erwerbstätige oder nichterwerbstätige Person bestimmt, ob auf einem Arbeitserwerb Beiträge zu leisten sind, die mindestens den Betrag des Minimalbeitrages erreichen. Entgegen den vorinstanzlichen Erwägungen kann somit daraus, dass eine versicherte Person mehr als den minimalen Betrag entrichtet, nicht ohne Weiteres geschlossen werden, sie sei nicht als Nichterwerbstätige zu erfassen. Ob ein Versicherter dem Beitragsstatut eines Erwerbstätigen oder eines Nichterwerbstätigen untersteht, hängt vielmehr davon ab, ob er im Zeitraum, auf den sich die Beitragserfassung bezieht, eine Erwerbstätigkeit mit gewissen Beiträgen auf dem Arbeitserwerb ( Art. 10 Abs. 1 Satz 2 AHVG ) und von bestimmten Umfang ( Art. 10 Abs. 1 Satz 3 AHVG in Verbindung mit Art. 28 bis AHVV ) ausübte oder nicht. 5.3 Art. 10 Abs. 3 AHVG und Art. 28 bis AHVV behandeln ausschliesslich die primäre Frage des Beitragsstatus, geben aber keine Antwort auf die sich erst nach dessen Bestimmung stellende Frage, in welchem Beitragsjahr die Beiträge zu verbuchen seien. Es ist demnach zu unterscheiden zwischen der Beitragspflicht - als Erwerbstätiger oder Nichterwerbstätiger - einerseits und dem logisch erst im Anschluss daran zu beantwortenden Beitragsbezug anderseits, d.h. der Bestimmung des Zeitpunkts, in welchem die Beiträge vom massgebenden Erwerbseinkommen zu entrichten sind (Erwerbsjahr [Jahr, BGE 139 V 12 S. 17 in dem die Arbeit ausgeführt wurde] oder Realisierungsjahr [Jahr, in dem der "Verdienst" ausbezahlt wird]). Zwischen Realisierungsprinzip und Beitragspflicht besteht keine notwendige Verknüpfung ( BGE 115 V 161 E. 4b S. 164 mit Hinweisen). Art. 139 AHVV , der die Eintragungsperiode regelt, bestimmt lediglich, dass die Eintragung in das Konto eines Versicherten in der Regel einmal jährlich erfolge. Weitere Konkretisierungen, namentlich zur Frage, in welchem Jahr bestimmte (Nach-)Zahlungen eingetragen werden sollen, enthält die Verordnung nicht. Hingegen hat die Rechtsprechung diesbezüglich konkretisiert, aus dem Gesetz folge der Grundsatz, wonach das beitragspflichtige Einkommen von Unselbständigerwerbenden im individuellen Konto demjenigen Jahr gutzuschreiben ist, in welchem der Versicherte die entsprechende Erwerbstätigkeit ausgeübt hat (Erwerbsjahrprinzip). Der Eintrag von Lohnnachzahlungen im Realisierungsjahr lässt sich nur dann nicht beanstanden, wenn er sich bei der späteren Rentenberechnung nicht nachteilig auswirken kann oder wenn er nicht zu einer Umgehung der Beitragspflicht für Nichterwerbstätige führt ( BGE 111 V 161 E. 4d in fine S. 169). 5.4 In Nachachtung des soeben zitierten BGE 111 V 161 , gemäss dessen E. 3a (S. 165) sich die Frage, für welches Beitragsjahr der Eintrag ins individuelle Konto erfolgen soll, am Erfordernis der effektiv geleisteten Arbeit ( Art. 5 Abs. 2 AHVG ) entscheidet, strebte der Bundesrat im Rahmen der 11. AHV-Revision eine Verdeutlichung von Art. 30 ter AHVG an und schlug eine Formulierung vor, die - infolge der vom Parlament abgelehnten 11. AHV-Revision - erst am 1. Januar 2012 in Kraft treten konnte (Botschaft vom 21. Dezember 2005 zur 11. AHV-Revision [Neufassung], BBl 2006 1957, 2001 f. Ziff. 3.2.4 und 2049; Botschaft vom 3. Dezember 2010 zur Änderung des Bundesgesetzes über die Alters- und Hinterlassenenversicherung [AHVG], Verbesserung der Durchführung, BBl 2011 543 f., insbesondere 559). Gemäss dem neuen Art. 30 ter Abs. 3 AHVG werden die beitragspflichtigen Einkommen von Arbeitnehmern im individuellen Konto unter dem Jahr eingetragen, in dem sie ausbezahlt wurden. Die Einkommen werden jedoch im Erwerbsjahr eingetragen, wenn der Arbeitnehmer: a. zum Zeitpunkt der Lohnauszahlung nicht mehr für den Arbeitgeber tätig ist; b. den Beweis erbringt, dass das beitragspflichtige Einkommen von einer Erwerbstätigkeit stammt, die in einem früheren Jahr ausgeübt wurde und für die weniger als der Mindestbeitrag entrichtet wurde. BGE 139 V 12 S. 18 Wie das Beschwerde führende Bundesamt zutreffend darlegt, ist die Neuformulierung von Art. 30 ter Abs. 3 AHVG hier aus intertemporalrechtlichem Grund nicht anwendbar. Weil damit aber keine neue materiellrechtliche Regelung erfolgte, sondern die Rechtsprechung gemäss BGE 111 V 161 gesetzlich verankert wurde, kann sie gleichwohl nicht ausser Acht gelassen werden. 6. 6.1 Es trifft zu, dass der Vorruhestand gewisse Ähnlichkeiten mit einer privatrechtlichen Freistellung im Arbeitsvertrag aufweist. Namentlich wird für die Dauer der Freistellung regelmässig der Lohn weiter bezahlt, während der Arbeitgeber auf eine weitere Arbeitsleistung verzichtet (vgl. Urteil 4C.222/2005 vom 27. Oktober 2005 E. 6.1). Weil sich der Vorruhestand aber in wesentlichen, nachfolgend dargelegten Punkten deutlich von der Freistellung im privatrechtlichen Arbeitsvertrag unterscheidet, überzeugt die vorinstanzliche Gleichsetzung mit der arbeitsrechtlichen Freistellung im Ergebnis nicht. 6.2 Der Beschwerdegegner gab selbst an, im hier strittigen Jahr 2009 während seines Vorruhestandsurlaubs keine Erwerbstätigkeit ausgeübt zu haben, weil die Arbeitgeberin ihm eine solche ausdrücklich untersagt habe (nicht publizierte E. 3.3). Einem freigestellten Arbeitnehmer ist demgegenüber eine anderweitige Tätigkeit nicht grundsätzlich verwehrt (er muss sich aber den dabei erzielten Lohn anrechnen lassen; vgl. Art. 324 Abs. 2 OR ; BGE 128 III 271 E. 4a/bb S. 281). Eine privatrechtliche Freistellung steht sodann oft im Zusammenhang mit einer Kündigung des Arbeitsvertrags, wobei der Arbeitgeber die weitere Zusammenarbeit mit dem Arbeitnehmer als unzumutbar erachtet und diesen daher für die Dauer der Kündigungsfrist freistellt ( BGE 128 III 271 E. 4a/bb S. 281). Der Arbeitgeber verzichtet bis zum Ablauf der Kündigungsfrist namentlich deshalb auf weitere Arbeitsleistungen des Arbeitnehmers, weil er befürchtet, der Arbeitnehmer könnte sich illoyal verhalten (vgl. ALFRED BLESI, Die Freistellung des Arbeitnehmers, 2. Aufl. 2010, S. 16 f. Rz. 58 f.). Die hier in Frage stehende Vorruhestandsregelung (Lohnfortzahlung ohne Arbeitsleistung während dreier Jahre) hat einen gänzlich unterschiedlichen Ursprung und findet ihr Motiv zu einem wesentlichen Teil darin, "dass die Angehörigen des Grenzwachtkorps unter besonderen Bedingungen (hohe physische und psychische Belastung, unregelmässiger Dienst im 24-Stunden-Betrieb inklusive BGE 139 V 12 S. 19 Sonn- und Feiertage usw.) im Einsatz stehen" (Information des EFD vom 11. Juni 2010 zur Änderung der Bundespersonalverordnung vom 3. Juli 2001 [BPV; SR 172.220.111.3]; http://www.efd.admin.ch/dokumentation/medieninformationen/00467/index.html?lang=de& msg-id=33628 ). Damit sind die Leistungen im Vorruhestand mindestens teilweise eine Entschädigung für die vormaligen schwierigen Arbeitsbedingungen. Mit Blick auf diese sachliche Korrelation zwischen den Leistungen im Vorruhestand und der geleisteten Arbeit - die im Rahmen einer Freistellung gerade fehlt - ist nicht einsichtig, weshalb es sich im vorliegenden Fall grundsätzlich anders verhalten soll als in BGE 111 V 161 (vgl. E. 6.3 hienach). 6.3 Eine Qualifikation des Beschwerdegegners als Erwerbstätiger während des dreijährigen Vorruhestandsurlaubs scheidet mangels einer tatsächlichen Erwerbstätigkeit aus (überdies sind auch die mit der Erwerbstätigkeit verbundenen Vergünstigungen, Vergütungen, Zulagen, Prämien und Spesen mit Antritt des Vorruhestandsurlaubs dahingefallen; nicht publizierte E. 3.2). Daran ändert nichts, dass der Beschwerdegegner, wie er darlegt, während des Vorruhestandsurlaubs weiterhin obligatorisch Versicherter der beruflichen Vorsorge und der Unfallversicherung war. Ob die einschlägigen Voraussetzungen für diese anderweitigen (obligatorischen) Weiterversicherungen wirklich erfüllt sind, braucht hier nicht näher geprüft zu werden. Jedenfalls ist weder eine Unterstellung unter das Obligatorium der beruflichen Vorsorge noch die Unterstellung unter die obligatorische Unfallversicherung präjudizierend für die AHV-rechtliche Bestimmung des Beitragsstatus. Ebenso wenig vermag eine arbeits- bzw. personalrechtliche abweichende Regelung die zwingende AHV-rechtliche Definition der Nichterwerbstätigkeit zu derogieren. Dass mit der Vorruhestandsregelung just die Beitragspflicht als nichterwerbstätige Person "verhindert" werden sollte, geht aus den Erläuterungen zur Bundespersonalverordnung klar hervor, wie das Beschwerde führende Amt zutreffend ausführt. Es entsprach der erklärten Absicht des Eidgenössisches Personalamtes (EPA), mit der Revision von Art. 34 BPV eine Qualifikation der freigestellten Mitarbeitenden als Nichterwerbstätige im Sinne von Art. 28 AHVV zu verhindern. Die Neuformulierung von Art. 34 BPV (bisher: "Vorruhestand"; ab 1. Januar 2010: "Vorruhestandsurlaub") ändert indes nichts an der grundsätzlichen Tatsache der fehlenden Erwerbstätigkeit während dieses Urlaubs. In einem Schreiben an den Beschwerdegegner vom 6. Dezember 2010 erläuterte das EPA denn auch ausführlich, BGE 139 V 12 S. 20 seine Bemühungen, "mit einer Anfang 2010 vorgenommenen Revision der Bundespersonalverordnung dieses Problem lösen" zu können, seien nicht erfolgreich gewesen, weshalb er als nichterwerbstätige Person einer zusätzlichen Beitragspflicht unterliege. 6.4 Die Anwendung des Realisierungsprinzips, das heisst das Verbuchen einer Lohnzahlung in einem Jahr ohne tatsächliche Arbeitsleistung (hier: 2009) käme, zumal keine der in E. 5.3 in fine dargelegten Ausnahmen gegeben ist, nach dem Gesagten einer Umgehung der vom Gesetz für Nichterwerbstätige aufgestellten Beitragspflicht gleich und liefe dem Grundsatz zuwider, wonach Unselbständigerwerbende in dieser Eigenschaft solange beitragspflichtig sind, als sie gegen Entgelt Arbeit leisten. Nach Aufgabe der Erwerbstätigkeit kommt hingegen grundsätzlich die Beitragspflicht für Nichterwerbstätige zum Tragen ( BGE 111 V 161 E. 4d in fine S. 169). Gemäss BGE 111 V 161 , von dem abzuweichen kein Anlass besteht, sind die sachlich mit der vormalig geleisteten Arbeit zusammenhängenden Zahlungen (E. 6.2 hievor) somit nach dem Erwerbsjahrprinzip unter dem Jahr 2008 im individuellen Konto einzutragen. 6.5 Zusammenfassend erfasste die EAK den Beschwerdegegner für das hier streitige Jahr 2009 zu Recht als Nichterwerbstätigen. Es liegt keine Konstellation vor, die ein Abweichen vom Grundsatz des Erwerbsjahres rechtfertigen würde. Insbesondere drohte dem Versicherten keine Beitragslücke, denn für die Jahre seines Vorruhestandsurlaubes wird er als Nichterwerbstätiger erfasst. Hingegen führte die Abkehr vom Erwerbsjahrprinzip zu einer verpönten Umgehung der Beitragspflicht als Nichterwerbstätiger (E. 5.3 hievor).
null
nan
de
2,013
CH_BGE
CH_BGE_007
CH
Federation
28175d3a-2389-4241-9db4-ce53ed63658d
Urteilskopf 105 IV 300 77. Urteil des Kassationshofes vom 14. Dezember 1979 i.S. Staatsanwaltschaft des Kantons Basel-Landschaft gegen F. (Nichtigkeitsbeschwerde)
Regeste Art. 139 Ziff. 2 StGB . Schwerer Raub durch Bedrohung mit dem Tode. Die Todesdrohung muss objektiv unmittelbar ausführbar sein und das Opfer in eine erhebliche Todesgefahr versetzt werden. Auf die Bereitschaft oder Absicht des Täters, die Todesdrohung notfalls zu verwirklichen, kommt es nicht an (Bestätigung der Rechtsprechung).
Sachverhalt ab Seite 300 BGE 105 IV 300 S. 300 A.- Am Nachmittag des 29. Dezember 1978 betrat F. zusammen mit seinem Komplizen, der unbekannt blieb, das "Usego"-Lebensmittelgeschäft in Birsfelden. Der maskierte Unbekannte ging auf die Kassierin zu und verlangte von ihr die Herausgabe des Geldes mit den Worten "Da'sch en Überfall, BGE 105 IV 300 S. 301 mache sie Kasse uff". Der gleichfalls maskierte F. seinerseits blieb abmachungsgemäss an der Ladentüre stehen, um das Geschehen zu überwachen und dafür zu sorgen, dass der Ausgang frei bleibe; dabei richtete er die Mündung seines geladenen Revolvers auf die Kassierin. Nachdem diese die Kasse geöffnet hatte, rief sie den Ladenbesitzer M. zu Hilfe. Der herbeieilende M. warf ein Paket in Richtung des Unbekannten, woraufhin dieser und F. die Flucht ergriffen. Auf der Flucht gab der von einem gewissen C. verfolgte F. einen Schreckschuss in die Luft ab. B.- Das Strafgericht des Kantons Basel-Landschaft verurteilte F. am 17. Mai 1979 wegen Raubes im Sinne von Art. 139 Ziff. 1 StGB zu 2 3/4 Jahren Gefängnis als Zusatzstrafe zum Urteil des Divisionsgerichts 3 vom 13. Februar 1979, unter Anrechnung der Untersuchungshaft von 139 Tagen. Dieser Entscheid wurde vom Obergericht des Kantons Basel-Landschaft am 16. Oktober 1979 in Abweisung der Appellationen F. und der Staatsanwaltschaft bestätigt. C.- Die Staatsanwaltschaft des Kantons Basel-Landschaft führt Nichtigkeitsbeschwerde mit dem Antrag, das Urteil des Obergerichts sei aufzuheben und die Sache sei an die Vorinstanz zurückzuweisen zur Verurteilung von F. wegen qualifizierten Raubes gemäss Art. 139 Ziff. 2 StGB (Bedrohung mit dem Tode). In seiner Vernehmlassung beantragt F. die Abweisung der Beschwerde. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Wer in der Absicht, einen Diebstahl zu begehen, oder wer, auf einem Diebstahl betreten, an einer Person Gewalt verübt, sie mit einer gegenwärtigen Gefahr für Leib und Leben bedroht oder sie in anderer Weise zum Widerstand unfähig macht, wird mit Zuchthaus oder mit Gefängnis nicht unter sechs Monaten bestraft ( Art. 139 Ziff. 1 StGB ; sog. einfacher Raub). Nach Art. 139 Ziff. 2 StGB wird der Räuber aber unter anderem dann mit Zuchthaus nicht unter fünf Jahren bestraft, wenn er jemanden mit dem Tode bedroht (sog. schwerer Raub). In Praxis und Doktrin ist kontrovers, nach welchen Kriterien die Bedrohung mit einer gegenwärtigen Gefahr für Leib und Leben von der Bedrohung mit dem Tode abzugrenzen BGE 105 IV 300 S. 302 sei. Strafgericht und Obergericht des Kantons Basel-Landschaft vertreten unter Berufung auf verschiedene Autoren (STRATENWERTH, Schweizerisches Strafrecht, Besonderer Teil, Bd. I, S. 205 f., SCHWANDER, Das schweizerische Strafgesetzbuch, Nr. 541, GERMANN, Verbrechen, S. 265 N. 6 i.V.m. S. 261 N. 13) die Ansicht, eine Todesdrohung im Sinne von Art. 139 Ziff. 2 StGB könne nur dann angenommen werden, wenn der Täter den Vorsatz habe, sie notfalls zu verwirklichen. Demgegenüber ist nach der Rechtsprechung des Bundesgerichts Art. 139 Ziff. 2 StGB anwendbar, wenn der Täter die - ernst genommene - Todesdrohung objektiv unmittelbar verwirklichen kann und das Opfer nach den Umständen, insbesondere nach der Art der Drohung, tatsächlich einer grossen Todesgefahr ausgesetzt ist ( BGE 102 IV 19 ; vgl. auch BGE 72 IV 57 f.); in diesem Fall ist die Voraussetzung der besonderen Gefährlichkeit des Täters als erfüllt zu betrachten. Andere Rechtsordnungen lassen bereits das Mitführen von Schusswaffen als Qualifikationsgrund genügen (§ 250 Abs. 1 Ziff. 1 des Deutschen Strafgesetzbuches, vgl. auch Art. 381 al. 1 des Code pénal français). 2. Der vorliegende Fall gibt keinen Anlass zur Änderung dieser Rechtsprechung. Es ist vielmehr daran festzuhalten, dass es auf die Bereitschaft oder Absicht des Täters, die Todesdrohung zu verwirklichen, nicht ankommt; dies gestützt auf die Entstehungsgeschichte von Art. 139 StGB und die Tatsache, dass in keiner andern Bestimmung des StGB die Strafbarkeit der Drohung vom Verwirklichungswillen des Täters abhängig gemacht wird, ferner auch aus der praktischen Überlegung heraus, dass die Verwirklichungsbereitschaft im Falle der Bestreitung schwer nachzuweisen wäre. Wer bei einem Raub eine scharf geladene, schussbereite Waffe auf kurze Distanz auf einen Menschen richtet, ist in der Regel ungeachtet seiner Absichten besonders gefährlich im Sinne von Art. 139 Ziff. 2 StGB . Aufregung, unvorhergesehene Reaktion des Opfers, Eingreifen eines Dritten, etc. können, gerade auch beim Gelegenheitsdelinquenten, zu einer plötzlichen Fehlreaktion führen. Dass im übrigen der Beschwerdegegner eine Schussabgabe nicht schlechtweg ausschloss, verrät sein Schreckschuss bei seiner Flucht. 3. Entgegen der Auffassung der kantonalen Instanzen und des Beschwerdegegners befand sich die Kassierin in einer BGE 105 IV 300 S. 303 erheblichen unmittelbaren Todesgefahr. Daran ändert nichts, dass F. seinen Finger nicht auf dem Drücker des Revolvers, sondern auf der Aussenseite des Bügels hielt und dass der dicke Handschuh, den er trug, den raschen und präzisen Griff zum Drücker erschwerte; die Schussabgabe konnte gleichwohl innert kürzester Zeit erfolgen. Sie gelang F. auch ohne weiteres, sogar während er davonlief. Es kann keine Rede davon sein, dass der Beschwerdegegner irgendwelche Hindernisse hätte beseitigen müssen, um seine Todesdrohung wahr zu machen. 4. Schliesslich ist unerheblich, ob die Kassierin durch das Verhalten von F. oder dasjenige seines Komplizen zum Widerstand unfähig gemacht wurde. Der Kausalzusammenhang zwischen der Drohung und der Widerstandsunfähigkeit ist ein objektives Tatbestandsmerkmal; es genügt, wenn einer der Mittäter dieses durch seine Handlungsweise verwirklichte. 5. Der Anwalt des Beschwerdegegners hat auf Aufforderung des Bundesgerichts hin eine Vernehmlassung eingereicht; er ist für seine Bemühungen mit Fr. 400.- aus der Bundesgerichtskasse zu entschädigen. Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Nichtigkeitsbeschwerde wird gutgeheissen, das Urteil des Obergerichts des Kantons Basel-Landschaft vom 16. Oktober 1979 wird aufgehoben und die Sache zur Verurteilung von F. wegen qualifizierten Raubes ( Art. 139 Ziff. 2 StGB ) an die Vorinstanz zurückgewiesen.
null
nan
de
1,979
CH_BGE
CH_BGE_006
CH
Federation
281dba65-a624-4d54-897c-e7379e2d338d
Urteilskopf 96 II 273 40. Urteil der II. Zivilabteilung vom 9. Juli 1970 i.S. Heider und Mitbeteiligte gegen Katharina und Rosalie Schweizer-Stiftung.
Regeste Klage auf Nichtigerklärung einer durch Erbvertrag errichteten Stiftung aus dem Grunde, dass Art. 81 ZGB die Errichtung einer Stiftung durch Erbvertrag nicht zulasse. 1. Für eine solche Klage gilt keine Frist. Aktivlegitimation der gesetzlichen Erben der Stifter. Passivlegitimation der Stiftung (Erw. 1). 2. Die Eintragung der Stiftung ins Handelsregister (Art. 52 Abs. 1, 81 Abs. 2 ZGB) hat im Falle der Nichtigkeit des Stiftungsgeschäfts keine heilende Wirkung (Erw. 2). 3. Eine Stiftung kann durch eine in einem Erbvertrag enthaltene letztwillige Verfügung errichtet werden. Vertragliche Natur der Stiftungsklausel des streitigen Erbvertrags (Erw. 3). 4. Das schweizerische Recht lässt die Errichtung einer Stiftung durch eine vertragliche (die Stifter bindende) Bestimmung eines Erbvertrags nicht zu (Erw. 4-8). 5. Umdeutung der als vertragliche Bestimmung nichtigen Stiftungsklausel des streitigen Erbvertrags in eine letztwillige Verfügung oder in eine vertragliche Bestimmung mit zulässigem Inhalt? (Erw. 3 Abs. 2 am Ende, Erw. 9). 6. Folgen der Nichtigerklärung der Stiftung (Erw. 10).
Sachverhalt ab Seite 274 BGE 96 II 273 S. 274 A.- Die ledigen Schwestern Katharina und Rosalie Schweizer (geb. 1876 bzw. 1878) in Reinach BL schlossen miteinander am 7. Januar 1961 vor dem Bezirksschreiber zu Arlesheim einen Erbvertrag ab, durch den sie sich gegenseitig zu Universalerbinnen einsetzten, 14 nach dem Tode der Überlebenden auszurichtende Vermächtnisse von je Fr. 1'000.-- vorsahen und bestimmten, der nach Abzug dieser Vermächtnisse verbleibende Nachlass der Überlebenden werde einer Stiftung mit dem Namen "Katharina und Rosalie Schweizer-Stiftung" gewidmet. Den Zweck dieser Stiftung umschreibt der Erbvertrag wie folgt: "Die Stiftung soll die Not bedürftiger, alteingesessener, in der Gemeinde wohnhafter Reinacherbürger und die Not von Waisenkindern bedürftiger Reinacherbürger lindern helfen. Im weitern soll die Stiftung bedürftigen Reinacherbürgern zugute kommen, deren Mittel zur Ausbildung ihrer Kinder nicht ausreicht [gemeint: ausreichen]". Der Erbvertrag regelt auch die Organisation und die Verwaltung der Stiftung und bestimmt, sie solle der Aufsichtsbehörde des Kantons Basel-Landschaft unterstellt sein. B.- Am 2. Oktober 1961 starb Rosalie Schweizer. Mit öffentlichen letztwilligen Verfügungen vom 27. Oktober und 27. Dezember 1961 vermachte Katharina Schweizer der römisch-katholischen Kirchgemeinde Reinach zwei in Reinach BGE 96 II 273 S. 275 gelegene Grundstücke sowie einem Verein und einer Privatperson je Fr. 1'000.--. Am 13. Januar 1962 starb auch Katharina Schweizer. Ihre gesetzlichen Erben sind 23 Angehörige des grosselterlichen Stammes. Der Erbvertrag und die letztwilligen Verfügungen wurden am 6. Februar 1962 eröffnet. Am 6. Februar 1963 klagten neun gesetzliche Erben auf Ungültigerklärung der Verfügung zugunsten der römischkatholischen Kirchgemeinde. Dieser Prozess endete mit einem Vergleich. Die Stiftung wurde am 31. August 1963 ins Handelsregister des Kantons Basel-Landschaft eingetragen. C.- Am 26. Mai 1964 klagten zehn gesetzliche Erben beim Friedensrichter von Reinach gegen die Stiftung auf Ungültigerklärung des Erbvertrages nach Art. 519 ZGB und anteilsmässige Herausgabe des Nachlasses an sie gemäss Art. 598 ZGB . Zur Begründung machten sie geltend, eine Stiftung könne nicht durch einen Erbvertrag errichtet werden. Vor Bezirksgericht Arlesheim fügten sie dem Antrag auf Ungültigerklärung des Erbvertrages das Begehren bei, "entsprechend" sei "die durch den Erbvertrag errichtete Stiftung nach Art. 493 Abs. 2 im Zusammenhang mit Art. 81 Abs. 1 ZGB als ungültig zu erklären" (welche Ergänzung das Obergericht als prozessual zulässig erachtete). Für den Fall, dass der Erbvertrag "formell nicht als ungültig erklärt würde", machten sie überdies geltend, die Klage sei nach Art. 467 ZGB zu schützen, weildie Schwestern Schweizer bei Unterzeichnung des Erbvertrages nicht mehr urteilsfähig und daher nicht verfügungsfähig gewesen seien. Das Bezirksgericht wies die Klage am 21. Mai 1968 ab. Es nahm an, die Klagefrist des Art. 521 ZGB sei versäumt worden; diese Frist gelte auch für die Klage auf Nichtigerklärung der Stiftung aus Gründen des Personenrechts; die Klage sei im übrigen auch materiell unbegründet, weil es sich bei den Bestimmungen des Erbvertrages über die Errichtung der Stiftung nicht um eine Anordnung vertraglicher Art, sondern um eine im Erbvertrag enthaltene letztwillige Verfügung handle und weil das Beweisverfahren keine Anhaltspunkte für die behauptete Verfügungsunfähigkeit der Schwestern Schweizer ergeben habe. Das Obergericht des Kantons Basel-Landschaft, vor dem die BGE 96 II 273 S. 276 Kläger die Verfügungsfähigkeit der Schwestern Schweizer nicht mehr bestritten, bestätigte am 18. November 1969 den Sachentscheid des Bezirksgerichts mit der Begründung, die Bestimmung des Erbvertrages über die Errichtung der Stiftung sei vertraglicher Natur; das schweizerische Recht lasse die Errichtung einer Stiftung durch Erbvertrag zu; die angefochtene Bestimmung des Erbvertrages vom 7. Januar 1961 sei also gültig; die Kläger seien deshalb nicht erbberechtigt. D.- Gegen das Urteil des Obergerichts haben die Kläger die Berufung an das Bundesgericht erklärt mit den Begehren, dieses Urteil sei aufzuheben; der Erbvertrag und die Stiftung seien als ungültig zu erklären; der von der Beklagten beanspruchte und bereits in ihrem Besitz befindliche Nachlass der Schwestern Schweizer sei den Klägern als gesetzlichen Erben anteilsmässig herauszugeben. Die Beklagte beantragt die Abweisung der Berufung. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Obwohl mit dem Klagebegehren u.a. ganz allgemein die Ungültigerklärung des Erbvertrages vom 7. Januar 1961 verlangt worden war, richtete sich die Klage der Sache nach von Anfang an nur gegen die in diesem Vertrag enthaltene Bestimmung, der nach Abzug der Vermächtnisse verbleibende Nachlass der zuletzt sterbenden Vertragspartnerin solle der nach dem Willen der beiden Schwestern zu errichtenden Stiftung gewidmet sein. Die Ungültigerklärung dieser Vertragsbestimmung und der darin vorgesehenen Stiftung verlangten die Kläger schon vor Obergericht nur noch mit der Begründung, das ZGB, insbesondere der dem Personenrecht angehörende Art. 81 Abs. 1, lasse die Errichtung einer Stiftung durch Erbvertrag nicht zu. Die vor Bezirksgericht aufgestellte Behauptung, die Schwestern Schweizer seien bei Abschluss des Erbvertrages nicht verfügungsfähig gewesen ( Art. 519 Abs. 1 Ziff. 1 ZGB ), wurde vor Obergericht nicht aufrechterhalten. Einen andern Ungültigkeitsgrund im Sinne des Art. 519 ZGB (mangelhaften Willen der Erblasserinnen; Rechtswidrigkeit oder Unsittlichkeit des Inhalts der angefochtenen Verfügung oder einer ihr angefügten Bedingung) riefen die Kläger im kantonalen Verfahren weder ausdrücklich noch dem Sinne nach an. Ebensowenig machten sie geltend, der Erbvertrag als solcher (und damit die angefochtene Bestimmung über die Stiftung) leide im Sinne des Art. 520 ZGB an einem BGE 96 II 273 S. 277 Formmangel, d.h. bei seinem Abschluss seien die Formvorschriften von Art. 512 in Verbindung mit Art. 499 ff. ZGB nicht befolgt worden. Die Vertragsurkunde lässt denn auch einen solchen Mangel nicht erkennen. Das Obergericht hatte also nicht eine Ungültigkeitsklage im Sinne von Art. 519 ff. ZGB zu beurteilen. Es hat daher die Anwendbarkeit des Art. 521 ZGB , der für solche - und nur für solche - Klagen eine "Verjährungs"-Frist von einem Jahr vorsieht, mit Recht verneint. Für Klagen, mit denen eine durch Verfügung von Todes wegen errichtete Stiftung aus andern als den in Art. 519/520 ZGB genannten Gründen oder eine zu Lebzeiten des Stifters errichtete Stiftung aus irgendwelchen Gründen angefochten wird, besteht unter Vorbehalt der Bestimmungen über die Herabsetzungsklage ( Art. 522 ff. ZGB ) und die paulianische Anfechtung ( Art. 285 ff. SchKG ), die für Stiftungen teils unmittelbar, teils kraft Art. 82 ZGB gelten (EGGER N. 1 und 2 zu Art. 82 ZGB ), im vorliegenden Falle aber nicht zur Anwendung kommen, keine Frist (zur unbefristeten Klage auf Feststellung der Unwirksamkeit einer Verfügung von Todes wegen aus andern als den in Art. 519/520 ZGB genannten Gründen vgl. BGE 90 II 480 E. 2 mit Hinweisen, BGE 91 II 268 /69). Insbesondere ist die Klage nicht befristet, mit der geltend gemacht wird, das Rechtsgeschäft, durch das eine Stiftung errichtet wurde, sei seiner Art nach hiezu nicht tauglich und die Stiftung sei aus diesem Grunde nichtig. Hinsichtlich des Klagerechts ist auf solche Klagen wie auf Klagen, mit denen eine Stiftung wegen eines von Anfang an unzulässigen Zwecks, insbesondere wegen Verletzung von Art. 335 ZGB angefochten wird (vgl. BGE 73 II 83 E. 2, 3, BGE 75 II 23 /24 und 86 E. 1, 2), der für Klagen auf Aufhebung einer Stiftung wegen widerrechtlich oder unsittlich gewordenen Zwecks aufgestellte Art. 89 Abs. 1 ZGB entsprechend anzuwenden, d.h. zu einer solchen Klage ist jedermann berechtigt, der ein Interesse hat. Dass die Kläger als gesetzliche Erben der Schwestern Schweizer an der Ungültigerklärung der von diesen errichteten Stiftung interessiert sind, steht ausser Zweifel. Passivlegitimiert ist nach der Rechtsprechung des Bundesgerichtes die der Form nach bestehende und gehörig organisierte Stiftung, auch wenn mit der Klage geltend gemacht wird, sie sei von Anfang an nichtig ( BGE 73 II 84 E. 3, BGE 75 II 87 /88; ebenso R. KAUFMANN, Begriff und Zweck der Familienstiftung BGE 96 II 273 S. 278 und ihre Abgrenzung von ähnlichen Instituten, Berner Diss. 1954, S. 93; im Ergebnis übereinstimmend auch J. ACKERMANN, Der besondere Zweck der Stiftung, Freiburger Diss. 1950, S. 46; anderer Meinung K. BLOCH, Die Ungültigkeit von Familienstiftungen und ihre rechtlichen Folgen, SJZ 1957 S. 1 ff.). Diese Lösung entspricht der Regelung, die nach dem Sinn des Gesetzes für die Klage auf Aufhebung einer Stiftung wegen widerrechtlich oder unsittlich gewordenen Zweckes gilt. Sie gewährleistet zudem am besten, dass die Interessen am Fortbestand der Stiftung im Prozess gehörig gewahrt werden, und ermöglicht den Erlass eines auf den Namen der Stiftung lautenden Urteils, das eine für jedermann klare Lage schafft und im Falle der Nichtigerklärung eine zuverlässige Grundlage für die Vorkehren bietet, die in diesem Falle hinsichtlich der bisher der Stiftung zugeschriebenen Aktiven und Passiven zu treffen sind. 2. Die körperschaftlich organisierten Personenverbindungen und die einem besondern Zwecke gewidmeten und selbständigen Anstalten erlangen das Recht der Persönlichkeit nach Art. 52 Abs. 1 ZGB durch Eintragung in das Handelsregister. Keiner Eintragung bedürfen nach Art. 52 Abs. 2 ZGB die öffentlich-rechtlichen Körperschaften und Anstalten, die Vereine zu nicht wirtschaftlichen Zwecken, die kirchlichen Stiftungen und die Familienstiftungen. Die im Erbvertrag vom 7. Januar 1961 vorgesehene Stiftung konnte nach Art. 52 ZGB - wenn überhaupt - nur durch Eintragung ins Handelsregister entstehen, da sie nicht unter Abs. 2 dieser Bestimmung fällt, sondern als gewöhnliche Stiftung im Sinne von Art. 80 ff. ZGB ausgestaltet ist. Die Eintragung ins Handelsregister erfolgt nach Art. 81 Abs. 2 ZGB auf Grund der Stiftungsurkunde und nötigenfalls nach Anordnung der Aufsichtsbehörde. Sie ist im vorliegenden Falle auf Grund des Erbvertrages vom 7. Januar 1961 und einer Verfügung der als Oberaufsichtsbehörde amtenden Justizdirektion des Kantons Basel-Landschaft vom 8. April 1963 am 31. August 1963 vollzogen worden. Unter der Herrschaft des OR von 1881, das in Art. 623 Abs. 1 Satz 1 für die Aktiengesellschaft bestimmte, was heute gemäss Art. 52 ZGB grundsätzlich für die juristischen Personen des Privatrechts allgemein gilt (Erwerb der Rechtspersönlichkeit erst durch die Eintragung ins Handelsregister), hat das Bundesgericht seit dem Jahre 1889 in ständiger Rechtsprechung angenommen, BGE 96 II 273 S. 279 die Gesellschaft erlange durch die Eintragung Rechtspersönlichkeit, selbst wenn bei der Gründung zwingende Vorschriften verletzt wurden; der Eintragung komme also heilende Wirkung zu ( BGE 64 II 281 oben mit Hinweisen). Dabei waren namentlich Gründe der Verkehrssicherheit massgebend ( BGE 64 II 281 ). Im Sinne dieser Rechtsprechung wurde bei der Gesetzesrevision von 1936 dem bisherigen Art. 623 Abs. 1 Satz 1 (nun Art. 643 Abs. 1) die Bestimmung beigefügt, das Recht der Persönlichkeit werde durch die Eintragung auch dann erworben, wenn die Voraussetzungen der Eintragung tatsächlich nicht vorhanden waren ( Art. 643 Abs. 2 OR in der Fassung vom 18. Dezember 1936). Diese Bestimmung gilt nach Art. 764 Abs. 2 OR auch für die Kommanditaktiengesellschaft. Ausserdem befürwortet die herrschende Lehre ihre Anwendung auf die Gesellschaft mit beschränkter Haftung (W. v. STEIGER, N. 4 zu Art. 783 OR mit Hinweisen). Für die Genossenschaft vertritt GERWIG unter Hinweis auf die Gebote der Rechtssicherheit sowie auf die Praxis zu Art. 623 aoR und auf Art. 643 Abs. 1 des geltenden OR die Auffassung, die volle Nichtigkeit einer eingetragenen Genossenschaft müsse eine seltene Ausnahme bleiben (Schweiz. Genossenschaftsrecht, S. 190). Die heilende Wirkung, die den Eintragungen im Handelsregister nach dem Gesetz nur in wenigen Fällen zukommt (HIS N. 37 zu Art. 933 OR ), deckt jedoch selbst dort, wo das Gesetz sie ausdrücklich vorsieht, nicht schlechthin alle Mängel. Sie darf nach HIS (N. 15 zu Art. 933 OR ) vielmehr nur in bezug auf "nichtwesentliche Rechtsmängel" angenommen werden. Auch SIEGWART (N. 6 ff. zu Art. 643 OR ) und v. STEIGER (N. 7 ff. zu Art. 783 OR ) unterscheiden zwischen dem Fehlen absolut unentbehrlicher Voraussetzungen, die den Eintrag nichtig machen, und dem Fehlen anderer, weniger wichtiger Voraussetzungen, die höchstens zu einer ex nunc wirkenden Auflösungsklage Anlass geben können, bzw. zwischen absoluten (nicht heilbaren) und behebbaren Mängeln. Für die Stiftung lehnt EGGER (2. Aufl. 1930, N. 9 zu Art. 81 ZGB ) die heilende Wirkung der Eintragung ins Handelsregister ab, wogegen HAFTER (2. Aufl. 1919, N. 27 zu Art. 81 in Verbindung mit N. 13 zu Art. 52 ZGB ) sie unter Vorbehalt des Art. 52 Abs. 3 ZGB , wonach Personenverbindungen zu unsittlichen oder widerrechtlichen Zwecken das Recht der Persönlichkeit nicht erlangen können, bejaht hatte. GUTZWILLER BGE 96 II 273 S. 280 (Schweiz. Privatrecht II, 1967, S. 598) hält dafür, die Frage, wie es sich verhalte, wenn eine Stiftung zu Unrecht eingetragen wurde, lasse sich nur von Fall zu Fall beantworten; während etwa ein nichtiges Stiftungsgeschäft oder eine formungültige Stiftungsurkunde nicht konvaleszieren könnten, seien gewisse Mängel im Wege einer Weisung der Aufsichtsbehörde zu beheben. Bei den Handelsgesellschaften und bei der Genossenschaft kommt der Verkehrssicherheit, d.h. den Interessen Dritter, die mit diesen Gebilden in geschäftlichen Verkehr treten, wesentlich grössere Bedeutung zu als bei den Stiftungen, deren Tätigkeit sich normalerweise auf die Verwaltung des Stiftungsvermögens und die Verwendung dieses Vermögens oder seiner Erträgnisse zugunsten der Destinatäre beschränkt, wenn man von den namentlich in Deutschland vereinzelt vorkommenden und in der neuern Lehre erörterten Unternehmensstiftungen absieht (vgl. hiezu BGE 91 II 119 ff.; E. KERSTEN, Stiftung und Handelsgesellschaft, in Festschrift für den 45. deutschen Juristentag, 1964, S. 123 ff.; H.-L. STEUCK, Die Stiftung als Rechtsform für wirtschaftliche Unternehmungen, 1967, bes. S. 63 ff.). Die Interessen der Geschäftspartner am Rechtsbestand einer eingetragenen Stiftung werden also mindestens in der Regel hinlänglich gewahrt, wenn bei Ungültigerklärung einer solchen Stiftung die Rechte Dritter nach Massgabe der Grundsätze, welche die Rechtsprechung für den Fall der Ungültigerklärung einer nicht eingetragenen Familienstiftung wegen Verletzung von Art. 335 ZGB entwickelt hat ( BGE 73 II 89 f. E. 10, BGE 75 II 25 E. 5), vorbehalten werden, d.h. wenn die Dritten nach den Regeln des Sachenrechts im gutgläubigen Erwerb dinglicher Rechte von der Stiftung geschützt werden und wenn ihnen das (nötigenfalls als Sondervermögen zu liquidierende) Stiftungsvermögen für die Verbindlichkeiten haftet, welche die Organe der Stiftung in deren Namen eingegangen sind. Der Eintragung einer Stiftung ins Handelsregister ist daher die heilende Wirkung nicht bloss dann zu versagen, wenn "gar nichts Materielles da ist, was auch nur vorübergehend und nach gewissen Richtungen" als juristische Person "behandelt werden könnte", wenn es an einer personellen oder wirtschaftlichen Grundlage oder an einer Zweckbestimmung völlig fehlt oder wenn der Zweck widerrechtlich oder unsittlich ist (so SIEGWART N. 7 zu Art. 643 OR , V. STEIGER N. 7 zu Art. 783 OR , BGE 96 II 273 S. 281 und GERWIG S. 193 f. für die AG, die GmbH bzw. die Genossenschaft), sondern in Übereinstimmung mit GUTZWILLER (a.a.O.) auch dann, wenn das Stiftungsgeschäft als solches nichtig oder die Stiftungsurkunde formungültig ist. Im vorliegenden Falle ist das Stiftungsgeschäft nichtig, wenn das ZGB die Errichtung einer Stiftung durch einen Erbvertrag, wie ihn die Schwestern Schweizer am 7. Januar 1961 miteinander abschlossen, nicht zulässt. Beim Zutreffen dieser Voraussetzung ist die beklagte Stiftung also ungeachtet ihrer Eintragung ins Handelsregister unter Vorbehalt der Rechte Dritter als nichtig zu erklären. 3. Es ist allgemein anerkannt, dass Verfügungen von Todes wegen, die in der Form des Erbvertrages errichtet werden, neben Bestimmungen vertraglicher Art auch letztwillige Verfügungen enthalten können, die gemäss Art. 509 ZGB frei widerruflich sind ( BGE 70 II 11 ; nicht veröffentlichte Erwägung 8 des in BGE 94 II 139 auszugsweise veröffentlichten Entscheides vom 14. Juni 1968 i.S. Greter gegen Küchler; KNAPP, Les clauses conventionnelles et les clauses unilatérales des pactes successoraux, in Festschrift zum 70. Geburtstag von Prof. Tuor, 1946, S. 201 ff.; TUOR, 2. Aufl. 1952, N. 9 der Vorbem. zum 3. Abschnitt des Erbrechts, S. 199, N. 3 zu Art. 493 ZGB , N. 10 der Vorbem. zum Erbvertrag, S. 275, und N. 3 zu Art. 494 ZGB ; J. GAUTHIER, Le pacte successoral, Diss. Lausanne 1955, S. 12/13; PICENONI, Die Auslegung von Testament und Erbvertrag, 1955, S. 91; ESCHER, 3. Aufl. 1959, N. 5 zu Art. 481, N. 3 zu Art. 493 ZGB , N. 1 der Vorbem. zu Art. 494 ff., S. 334). Art. 81 Abs. 1 ZGB lässt die Errichtung einer Stiftung durch letztwillige Verfügung ausdrücklich zu. Hätten die Bestimmungen des Erbvertrages vom 7. Januar 1961 über die beklagte Stiftung den Charakter einer letztwilligen Verfügung, so liesse sich diese Stiftung also nicht mit der Begründung anfechten, sie sei durch ein hiezu nicht taugliches Rechtsgeschäft errichtet worden. Gegen die Auffassung des Bezirksgerichts, die Stiftungsklausel des Erbvertrages sei als letztwillige Verfügung, und zwar als eine erst nach dem Tode der zuletzt sterbenden Schwester wirksam werdende Verfügung der zuerst sterbenden zu betrachten, sprechen jedoch eindeutig schon die diese Klausel einleitenden Worte: "Die Vertragschliessenden kommen überein, dass der Nachlass der zuletzt Verstorbenen... einer Stiftung... BGE 96 II 273 S. 282 gewidmet werden soll". Dieser Wortlaut bringt klar zum Ausdruck, dass sich die beiden Schwestern hinsichtlich der Verwendung des Nachlasses der zuletzt sterbenden, der infolge der gegenseitigen Erbeinsetzung das Vermögen beider umfasste, gegenseitig binden wollten. Nach den tatsächlichen Feststellungen der Vorinstanz, die für das Bundesgericht verbindlich sind ( Art. 63 Abs. 2 OG ), wird dieser Wille überdies durch die Zeugenaussage des bei der Abfassung des Erbvertrages mitwirkenden Anwalts bestätigt. Eine solche Bindung liess sich - wenn überhaupt - nicht durch letztwillige Verfügungen, sondern nur durch einen Erbvertrag erreichen. Eine selbständige letztwillige Verfügung der zuerst sterbenden Schwester, wie das Bezirksgericht sie annimmt, m.a.W. eine Verfügung, die jede der beiden Schwestern unabhängig von der andern für den Fall ihres Vorversterbens getroffen hätte, könnte sich von vornherein nicht auf den ganzen Nachlass der zuletzt sterbenden, sondern nur auf das eigene Vermögen der zuerst sterbenden beziehen und vermöchte diese nicht an einem Widerruf und die zuletzt sterbende nicht an einer abweichenden Verfügung über ihr eigenes Vermögen zu hindern, selbst wenn die Zuwendung an die Stiftung als Nacherbeneinsetzung aufgefasst würde. Die Stiftungsklausel vermöchte eine gegenseitige Bindung der beiden Schwestern aber auch dann nicht zu schaffen, wenn man sie als korrespektives Testament (Verbindung von voneinander abhängigen letztwilligen Verfügungen der beiden Schwestern) betrachten wollte; denn das geltende schweizerische Recht lässt das korrespektive Testament nicht zu ( BGE 89 II 285 mit Hinweisen), und hievon abgesehen ist das korrespektive Testament dort, wo es zugelassen wird, jedenfalls solange, als die beiden Verfügenden noch leben, einseitig widerruflich (vgl. TUOR, N. 13 der Vorbem. zum Erbvertrag, S. 276, wo § 2271 statt § 2770 des deutschen BGB zitiert sein sollte). Auch als letztwillige Verfügung der zuletzt sterbenden Schwester, d.h. als von jeder der beiden selbständig für den Fall des Nachversterbens getroffene letztwillige Verfügung, hätte die Stiftungsklausel die gewollte gegenseitige Bindung der beiden Schwestern nicht erzeugt. Sie ist daher mit der Vorinstanz als Bestimmung vertraglicher Natur aufzufassen und kann, wenn sich ergibt, dass sie als solche zur Errichtung einer Stiftung nicht taugt, nicht in eine letztwillige Verfügung umgedeutet werden, weil nicht angenommen werden kann, die Erblasserinnen hätten bei BGE 96 II 273 S. 283 Kenntnis der Nichtigkeit ihres Geschäfts unter Verzicht auf eine gegenseitige Bindung solche Verfügungen getroffen (vgl. BGE 89 II 285 f.; über die Konversion im allgemeinen vgl. BGE 93 II 452 E. 5 mit Hinweisen). Hieran ändert nichts, dass Katharina Schweizer, die überlebende Schwester, kurz vor ihrem Tode noch zwei letztwillige Verfügungen errichtete, durch die sie über ihren Nachlass, der gemäss dem Erbvertrag nach Abzug der dort vorgesehenen Vermächtnisse von zusammen Fr. 14'000.-- ganz der Stiftung zufallen sollte, teilweise zugunsten anderer Personen verfügte. Dieses nachträgliche Verhalten der einen Vertragspartnerin (das übrigens nach der im angefochtenen Urteil erwähnten Zeugenaussage des Urkundsbeamten hinsichtlich des Vermächtnisses zweier Grundstücke an die römisch-katholische Kirchgemeinde einer von beiden Schwestern vor Abschluss des Erbvertrages geäusserten Absicht entsprach) vermag die entscheidende Tatsache nicht zu beseitigen, das die beiden Schwestern im Erbvertrag klar den Willen zum Ausdruck brachten, über die Verwendung des Nachlasses der Überlebenden zugunsten einer Stiftung eine sie gegenseitig bindende Abmachung zu treffen. Ist die Stiftungsklausel vertraglicher Natur, so stellt sich die Frage nicht, ob sie, wenn darin eine letztwillige Verfügung läge, gemäss Art. 511 ZGB durch die spätern Verfügungen der Katharina Schweizer aufgehoben worden wäre, wie das die Kläger eventuell geltend machten. Für das Verhältnis zwischen einem Erbvertrag und einer nachfolgenden letztwilligen Verfügung gilt Art. 511 ZGB nicht (vgl. ESCHER N. 1 zu Art. 511, TUOR N. 21 zu Art. 509-511 ZGB ). Hier greift vielmehr Art. 494 Abs. 3 ZGB ein, wonach Verfügungen von Todes wegen oder Schenkungen, die mit den Verpflichtungen des Erblassers aus dem Erbvertrag nicht vereinbar sind, der Anfechtung unterliegen (vgl. hiezuBGE 73 II 6). Der Umstand, dass die beklagte Stiftung die das Stiftungsgut schmälernden Verfügungen der Katharina Schweizer nicht angefochten hat, bewirkt nur, dass sie diese Verfügungen gegen sich gelten lassen muss. Er hindert dagegen nicht, dass die Stiftungsklausel - sofern überhaupt gültig zustandegekommen - mit Bezug auf den von diesen Verfügungen nicht betroffenen Teil des Nachlasses aufrecht bleibt. 4. Das ZGB bestimmt in Art. 81 Abs. 1, welcher in dem BGE 96 II 273 S. 284 den Stiftungen gewidmeten Abschnitt des die juristischen Personen behandelnden 2. Titels des Gesetzes steht und den Randtitel "Form der Errichtung" trägt, die Errichtung erfolge in der Form einer öffentlichen Urkunde oder durch letztwillige Verfügung. Im Art. 493, der dem Abschnitt "Die Verfügungsarten" des die Verfügungen von Todes wegen regelnden 14. Titels angehört und mit dem Randtitel "Stiftungen" versehen ist, wird bestimmt, der Erblasser sei befugt, den verfügbaren Teil seines Vermögens ganz oder teilweise für irgend einen Zweck als Stiftung zu widmen (Abs. 1); die Stiftung sei jedoch nur dann gültig, wenn sie den gesetzlichen Vorschriften entspreche (Abs. 2). a) Aus dem Wortlaut dieser beiden Vorschriften und aus dem Zusammenhang, in dem sie stehen, ergibt sich klar, dass das ZGB die Frage, durch welche Mittel eine Stiftung errichtet werden kann, ausschliesslich in Art. 81 Abs. 1 regelt. Art. 493 gehört zu den Bestimmungen darüber, welchen Inhalt eine Verfügung von Todes wegen haben kann. Er besagt nach seinem Wortlaut und seiner Stellung im Gesetz nur, dass der Erblasser, der sein Vermögen auf seinen Tod hin ganz oder teilweise für eine Stiftung verwenden will, durch eine und dieselbe Verfügung von Todes wegen die Stiftung errichten und mit dem verfügbaren Teil seines Vermögens bedenken kann (TUOR N. 1, ESCHER N. 1 zu Art. 493 ZGB ) und dass eine von Todes wegen errichtete Stiftung, um gültig zu sein, wie eine zu Lebzeiten des Stifters errichtete den Vorschriften über die Stiftungen im allgemeinen entsprechen muss. Mit der Frage, ob eine Stiftung auf den Tod des Stifters hin nur durch eine einseitige oder auch durch eine vertragliche Verfügung von Todes wegen errichtet werden kann, befasst er sich nicht. b) Wenn Art. 81 Abs. 1 ZGB für die Errichtung einer Stiftung zwei Mittel vorsieht, von denen das zweite, die letztwillige Verfügung, offensichtlich der Errichtung von Todes wegen dient, so drängt sich von vornherein die Annahme auf, dass das erste, die öffentliche Urkunde, für die Errichtung zu Lebzeiten des Stifters bestimmt ist. Unter dem Ausdruck "öffentliche Urkunde" ist dabei das gleiche zu verstehen wie überall dort, wo das Bundesrecht für die Gültigkeit eines Geschäfts kurzweg die öffentliche Beurkundung verlangt, nämlich eine gewöhnliche öffentliche Urkunde, die in dem gemäss Art. 55 Abs. 1 SchlT von den Kantonen zu ordnenden Verfahren zu erstellen ist. BGE 96 II 273 S. 285 Den erwähnten Ausdruck im Rahmen von Art. 81 Abs. 1 ZGB mit der Vorinstanz so weit auszulegen, dass er die nach Bundesrecht ( Art. 499 ff. ZGB ) einer besondern Art der öffentlichen Beurkundung bedürfende öffentliche letztwillige Verfügung und den nach Art. 512 ZGB in der Form einer solchen Verfügung zu errichtenden Erbvertrag mitumfasst, geht um so weniger an, als die öffentliche letztwillige Verfügung klarerweise unter den Ausdruck "letztwillige Verfügung" fällt und anzunehmen ist, Art. 81 Abs. 1 ZGB wolle mit den beiden darin verwendeten, durch das Wort "oder" verbundenen Ausdrücken zwei getrennte, sich nicht überschneidende Begriffe bezeichnen. Von Todes wegen eine Stiftung zu errichten, ist also nach dem Wortlaut von Art. 81 Abs. 1 ZGB nur durch letztwillige Verfügung möglich. Art. 97 Abs. 2 des Vorentwurfs von 1900 und die Erläuterungen dazu (1. Ausgabe, 1. Heft, S. 87; 2. Ausgabe, 1. Band, S. 92) hatten denn auch ausdrücklich gesagt, die Errichtung unter Lebenden erfolge durch öffentliche Beurkundung und die Errichtung von Todes wegen in der Form der öffentlichen letztwilligen Verfügung. Die Diskussion in der Expertenkommission über Art. 97 Abs. 2 des Vorentwurfs (Protokoll der Expertenkommission, Ausgabe Kümmerly & Frey, 1. Band, S. 76) beschränkte sich im wesentlichen auf die Frage, ob die Errichtung von Todes wegen auch durch eine "private" letztwillige Verfügung solle erfolgen können. Um das zu ermöglichen, ersetzte die Expertenkommission den Ausdruck "öffentliche letztwillige Verfügung" durch "letztwillige Verfügung". Die gleichzeitige (in der Kommission nicht diskutierte) Streichung der Angaben über den Anwendungsbereich der beiden vorgesehenen Mittel erfolgte zweifellos in der Meinung, es verstehe sich von selbst, dass das erste Mittel (die öffentliche Beurkundung) der Errichtung zu Lebzeiten des Stifters und das zweite (die letztwillige Verfügung) der Errichtung von Todes wegen diene. Die Fassung gemäss Beschluss der Expertenkommission ("Die Errichtung erfolgt durch öffentliche Beurkundung oder in der Form einer letztwilligen Verfügung") erfuhr in der Folge nur noch geringfügige Änderungen. Im Einklang mit dem Wortlaut von Art. 90 Abs. 2 des bundesrätlichen Entwurfs ("Die Errichtung erfolgt mit öffentlicher Urkunde oder letztwilliger Verfügung"; BBl 1904 IV 120) führten die Berichterstatter in den eidgenössischen Räten aus, der Wille des Stifters BGE 96 II 273 S. 286 müsse "in einer öffentlichen Urkunde" oder "in einer letztwilligen Verfügung" ausgesprochen sein, die Stiftung werde "au moyen d'un acte authentique ou d'un testament" errichtet, die Errichtung erfolge mittelst einer öffentlichen Urkunde oder kraft letztwilliger Verfügung (Sten. Bull. 1905 S. 487, 488, 1239, Voten Huber, Gobat, Hoffmann). Auf Grund der Voten der Berichterstatter nahmen die Räte die Art. 90-98 des bundesrätlichen Entwurfs mit den von ihren Kommissionen vorgeschlagenen, den Art. 90 Abs. 2 nicht berührenden Änderungen diskussionslos an (a.a.O. S. 489, 1241). Die geltende Fassung ("in der Form einer öffentlichen Urkunde oder durch letztwillige Verfügung") stammt von der Redaktionskommission, deren Aufgabe und deren Arbeitsweise in BBl 1907 VI 367 ff. dargestellt sind und deren Anträge von den Räten in den Schlussabstimmungen vom 10. Dezember 1907 angenommen wurden (Sten. Bull. 1907 NR S. 755, StR S. 542). Die Entstehungsgeschichte des Art. 81 Abs. 1 ZGB erlaubt also mit Bezug auf den Anwendungsbereich der beiden für die Errichtung einer Stiftung vorgesehenen Mittel keinen andern als den schon aus dem Wortlaut und Aufbau der Bestimmung zu ziehenden Schluss, dass die öffentliche Urkunde für die Errichtung zu Lebzeiten des Stifters bestimmt ist und dass die Errichtung von Todes wegen durch letztwillige Verfügung zu erfolgen hat. c) Unter einer letztwilligen Verfügung versteht das ZGB (wie überhaupt die heutige schweizerische Rechtssprache) eine vom Erblasser durch einseitige Handlung getroffene Verfügung von Todes wegen, die der Erblasser jederzeit frei widerrufen kann ( Art. 509 ZGB ). Durch die einseitige Anordnung und die freie Widerruflichkeit unterscheidet sich die letztwillige Verfügung klar von dem mit einer andern Person abgeschlossenen und nur unter den besondern Voraussetzungen von Art. 513 Abs. 2 oder 514 ZGB einseitig aufhebbaren Erbeinsetzungs- und Vermächtnisvertrag im Sinne von Art. 494 ZGB , der einzigen Art des Erbvertrags, die ihrem Wesen nach allenfalls für die Errichtung einer Stiftung verwendet werden könnte. Das ZGB lässt also damit, dass es in Art. 81 Abs. 1 die Errichtung einer Stiftung durch letztwillige Verfügung vorsieht, die Errichtung einer solchen durch Erbvertrag nicht zu. Genauer gesagt: nach dem Sinne, der ihm gemäss der gesetzlichen Terminologie zukommt, erlaubt Art. 81 Abs. 1 ZGB nicht, dass eine Stiftung durch vertragliche Bestimmungen einer in der Form des BGE 96 II 273 S. 287 Erbvertrages errichteten Verfügung von Todes wegen gegründet wird, wogegen der Gründung durch eine in einem Erbvertrag enthaltene letztwillige Verfügung, wie sie vorkommen kann, im vorliegenden Falle aber nicht gegeben ist (Erwägung 3 hievor), nichts entgegensteht. Aus dem Umstande, dass Art. 81 ZGB mit dem Randtitel "Form der Errichtung" versehen ist, folgt nicht etwa, dass das ZGB für die Begründung einer Stiftung von Todes wegen jede in der Form einer letztwilligen Verfügung errichtete Verfügung von Todes wegen und damit auch den gemäss Art. 512 ZGB der Form der öffentlichen letztwilligen Verfügung bedürftigen Erbvertrag genügen lasse. Unter "Form der Errichtung" ist hier nicht bloss die Form des Errichtungsgeschäftes zu verstehen, sondern mit diesem Ausdruck ist die Gesamtheit der für die Errichtung einer Stiftung nötigen Förmlichkeiten gemeint. Das ergibt sich schon aus dem zweiten Absatz von Art. 81, wo die Modalitäten der Eintragung ins Handelsregister geregelt werden. Indem das Gesetz in Art. 81 Abs. 1 die Errichtung einer Stiftung von Todes wegen "durch" letztwillige Verfügung ("par" testament, "per" disposizione di ultima volontà) vorsieht, bringt es klar zum Ausdruck, dass das Stiftungsgeschäft nicht bloss die Form einer letztwilligen Verfügung aufweisen, sondern auch der Sache nach eine solche sein muss. Die schweizerische Lehre ist denn auch nahezu einhellig der Auffassung, der Wortlaut von Art. 81 Abs. 1 ZGB lasse die Errichtung einer Stiftung von Todes wegen klarerweise nur durch eine letztwillige Verfügung im materiellen Sinne, d.h. durch eine einseitig getroffene und frei widerruflliche Verfügung von Todes wegen zu und schliesse die Errichtung durch einen Erbvertrag im materiellen Sinne, d.h. durch eine den Stifter vertraglich bindende Verfügung von Todes wegen aus (M. HÜRLIMANN, Die Stiftungen..., Diss. Leipzig 1907, S. 42; HAFTER, 1. Aufl. 1910, und 2. Aufl. 1919, je N. 12 zu Art. 81 ZGB , welcher Autor anscheinend nicht einmal die Errichtung durch letztwillige Verfügung in einem Erbvertrag zulassen will; EGGER, 1. Aufl. 191 l'N. 3 b, und 2. Aufl. 1930, N. 3 zu Art. 81, wo eine - widerrufliche - letztwillige Verfügung verlangt und die Errichtung "in" einem Erbvertrag bzw. "formell in einem Erbvertrag", wie N. 3 d der 1. Auflage und der in N. 2 der 2. Auflage enthaltene Hinweis auf TUOR, 1. Aufl., N. 3 zu Art. 493 ZGB zeigen, nur in dem Sinne zugelassen wird, dass ein Erbvertrag BGE 96 II 273 S. 288 eine die Errichtung einer Stiftung vorsehende letztwillige Verfügung enthalten kann; ESCHER, 1. Aufl. 1912, N. 2 zu Art. 493 ZGB und 3. Aufl. 1959, N. 2 und 3 zu Art. 493, N. 4 der Vorbem. zu Art. 494 ff. ZGB ; U. LAMPERT, Die kirchlichen Stiftungen, Anstalten und Körperschaften nach schweiz. Recht, 1912, S. 148/49, und A. MARTIN, Des fondations en droit civil suisse, Sem. jud. 1915 S. 513 ff., S. 518, die übereinstimmend die Errichtung einer Stiftung "durch" Erbvertrag, "au moyen d'un pacte successoral" für ausgeschlossen halten, aber zulassen wollen, dass mit einer vertraglichen Erbeinsetzung oder mit einem vertraglichen Vermächtnis die Auflage, eine Stiftung zu errichten, verbunden wird; ROSSEL ET MENTHA, Manuel du droit civil suisse, 2. Aufl., 1. Band 1922, S. 172 mit Fussnote 2; TUOR, 1. Aufl. 1929, und 2. Aufl. 1952, je N. 3 zu Art. 493; R. EBERLE, Die Behandlung der Stiftungen im schweiz. Recht, Berner Diss. 1929, S. 51/52; F. GUISAN, Travaux de droit successoral dédiés à Peter Tuor, Etude critique, ZSR 1947 S. 225 ff., 239/40; J. GAUTHIER, a.a.O. S. 12 unten). - Zur dargestellten Auffassung neigt anscheinend auch GUTZWILLER, der (a.a.O. S. 586 Fussnote 29) zwar bemerkt, EGGER lasse wohl mit Recht (neben den verschiedenen Formen der letztwilligen Verfügung) "auch den Erbvertrag zu", und (a.a.O. S. 596) von einer "durch Testament oder Erbvertrag" errichteten Stiftung spricht, aber (ebenda) sagt, eine solche entstehe mit dem Wirksamwerden "der letztwilligen Anordnung", und (S. 586 FN 29) mit EGGER auf TUOR verweist, der an der angeführten Stelle deutlich erklärt, die Errichtung könne nur in Form einer letztwilligen, daher frei widerruflichen Verfügung, nicht auch mit erbvertraglicher Gebundenheit geschehen, was aber nicht ausschliesse, "dass die Errichtung eine letztwillige Klausel eines Erbvertrags bilde" (1. und 2. Aufl., N. 3 zu Art. 493 ZGB ). Die Ansicht, eine Stiftung könne auch durch eine vertragliche Bestimmung eines Erbvertrages errichtet werden, vertritt in bestimmter Form allein KNAPP in dem bereits in Erwägung 3 hievor zitierten Aufsatze (S. 205 ff., 208). Nicht ganz eindeutig äussert sich PICENONI (a.a.O. S. 91 Fussnote 9). 5. Die Vorinstanz tritt der herrschenden Meinung nicht nur mit der bereits widerlegten Behauptung entgegen, der Wortlaut von Art. 81 Abs. 1 ZGB lasse die Errichtung einer Stiftung durch Erbvertrag zu, sondern sie macht überdies geltend, "auch die Entstehungsgeschichte" dieser Bestimmung BGE 96 II 273 S. 289 spreche "nicht eindeutig für das Verbot der erbvertraglichen Stiftungserrichtung"; das Problem sei in keinem Stadium der Gesetzesberatung diskutiert worden; da Art. 97 Abs. 2 des Vorentwurfs von 1900 bestimmt habe, die Errichtung einer Stiftung von Todes wegen erfolge "in der Form der öffentlichen letztwilligen Verfügung", und da Art. 535 Abs. 1 des Vorentwurfs auch den Erbvertrag den Formvorschriften für die öffentliche letztwillige Verfügung unterstelle, genüge der Erbvertrag den Anforderungen von Art. 97 Abs. 2 des Vorentwurfs. Richtig ist, dass die Frage der Verwendbarkeit des Erbvertrages für die Errichtung einer Stiftung bei der Ausarbeitung des ZGB nicht ausdrücklich erörtert wurde. Dagegen kann nicht anerkannt werden, dass Art. 97 Abs. 2 des Vorentwurfs mit der eben wiedergegebenen Wendung die Errichtung einer Stiftung durch Erbvertrag zugelassen habe. Diese Wendung bedeutet so wenig wie der später dem Art. 81 Abs. 1 ZGB beigesetzte Randtitel "Form der Errichtung" (vgl. hiezu Erw. 4 c Abs. 2 hievor), dass für die Errichtung einer Stiftung von Todes wegen eine Verfügung in der Form des öffentlichen Testaments genüge, gleichgültig, ob es sich dabei der Sache nach um eine letztwillige Verfügung oder um einen Erbvertrag handle. Der Verfasser des Vorentwurfs, Prof. Eugen Huber, bemerkte nämlich in seinen Erläuterungen zu diesem, Art. 97 Abs. 2 schlage für das Errichtungsgeschäft unter Lebenden die öffentliche Beurkundung vor; für die Errichtung von Todes wegen werde "eine letztwillige Verfügung in möglichst entsprechender Form. also in öffentlichem Akte, gemäss Art. 521 ff. verlangt" (Erl. 1. Ausg. 1. Heft S. 87, 2. Ausg. 1. Band S. 92). Art. 97 Abs. 2 des Vorentwurfs bedeutete also nach der klaren Meinung des Verfassers, dass für die Errichtung von Todes wegen eine letztwillige Verfügung (und zwar eine solche in notarieller Form) erforderlich sei. Das Erfordernis einer letztwilligen Verfügung ist unzweifelhaft den kantonalen Rechten entnommen, soweit sie einschlägige Bestimmungen aufstellten (vgl. den in den Erläuterungen a.a.O. enthaltenen Hinweis auf die Darstellung des damals geltenden - kantonalen - Rechts in "Schweiz. P.R.I., S. 172 ff." = EUGEN HUBER, System und Geschichte des Schweizerischen Privatrechtes, 1886 ff., im folgenden abgekürzt: SPR, Band I S. 172 ff.). Neben dem solothurnischen Civilgesetzbuch von 1841/47, das in § 1320 die Errichtung einer BGE 96 II 273 S. 290 Stiftung von Todes wegen "durch Testament" zuliess (SPR I S. 174), diente in diesem Punkte vor allem das zürcherische Privatrechtliche Gesetzbuch als Vorbild; denn nur dieses und ein Teil seiner Nachahmungen regelten die Entstehung der Stiftungen eingehend (SPR I S. 172). Obwohl dieses Gesetzbuch den Erbvertrag ausführlich behandelte (§§ 2113 ff. der Fassung von 1855, §§ 1052 ff. der Fassung von 1887) und daher die Errichtung einer Stiftung durch Erbvertrag hätte zulassen können, bestimmte es in § 52 der ersten und § 42 der zweiten Fassung ausdrücklich, eine Stiftung, die erst nach dem Tode des Stifters ins Leben treten solle, könne "nur durch ein öffentliches Testament des Stifters" (und Anweisung eines Stiftungsfonds) begründet werden. Auch hinsichtlich des Erfordernisses der öffentlichen Beurkundung für die Errichtung unter Lebenden folgte der Vorentwurf genau dem zürcherischen Recht (§ 51 lit. a der ersten, § 41 lit. a der zweiten Fassung). Die klar erkennbare Herkunft der in Art. 97 Abs. 2 des Vorentwurfs enthaltenen Regelung bestätigt also, was sich schon aus den wiedergegebenen Bemerkungen in den Erläuterungen zum Vorentwurf ergibt: dass Art. 97 Abs. 2 VE, indem er die Errichtung "in der Form der öffentlichen letztwilligen Verfügung" vorsah, dem Sinne nach die Erstellung einer Verfügung von Todes wegen verlangte, die nicht bloss die Form einer öffentlichen letztwilligen Verfügung aufweist, sondern auch der Sache nach eine letztwillige Verfügung ist. Dass in der Folge an die Stelle der Wendung "in der Form der" das Wort "mit" (Art. 90 Abs. 2 des bundesrätlichen Entwurfs) bzw. "durch" (endgültiger Text) gesetzt wurde (vgl. Erw. 4 b Abs. 2 hievor), bedeutete nicht eine materielle Änderung, sondern nur eine redaktionelle Verbesserung. 6. So wenig wie auf die Verwendung des Ausdrucks "in der Form der öffentlichen letztwilligen Verfügung" lässt sich die Auffassung der Vorinstanz, der Vorentwurf habe die Errichtung einer Stiftung durch eine vertragliche, die Beteiligten bindende Verfügung von Todes wegen zugelassen, auf die Tatsache stützen, dass der Vorentwurf in Art. 513 ff. gemeinsame letztwillige Verfügungen vorsah. Art. 515 Abs. 1 VE bestimmte nämlich ausdrücklich, die gemeinsame Verfügung sei, wenn die Verfügung des einen Erblassers nach der deutlichen Meinung der Verfügenden nicht ohne Zustimmung des andern solle aufgehoben werden können, als Erbvertrag aufzufassen. Eine BGE 96 II 273 S. 291 gemeinsame Verfügung galt also nach dem Vorentwurf, wenn sie die Beteiligten binden sollte, nicht als letztwillige Verfügung und erfüllte folglich in diesem Falle das dem Art. 97 Abs. 2 VE zu entnehmende Erfordernis einer solchen nicht. Daher lässt sich nicht sagen, der Gesetzgeber habe mit der Streichung der Bestimmungen über die gemeinsamen letztwilligen Verfügungen eine bisher vorgesehene Möglichkeit zur Errichtung einer Stiftung durch eine vertragliche, die Beteiligten bindende Verfügung von Todes wegen beseitigt; das sei übersehen worden; nur so sei es zu erklären, dass das Erfordernis einer letztwilligen Verfügung für die Errichtung einer Stiftung von Todes wegen beibehalten wurde; es beruhe auf einem Versehen des Gesetzgebers, dass der Ausdruck "letztwillige Verfügung" nach der Streichung der Bestimmungen über das gemeinsame Testament nicht durch den allgemeinen Ausdruck "Verfügung von Todes wegen" ersetzt wurde. 7. Die Annahme, der Ausdruck "letztwillige Verfügung" sei in Art. 81 Abs. 1 ZGB ohne Bedacht verwendet worden, verbietet sich auch im Hinblick auf das Recht der Nachbarländer der Schweiz. EUGEN HUBER, der die Rechtsvergleichung als unentbehrliches Element der Arbeit des Gesetzgebers betrachtete (Erl. 1. Ausg., 1. Heft, und 2. Ausg., 1. Band, je S. 6 unten ff.), kannte zweifellos die Bestimmung von § 83 des deutschen Bürgerlichen Gesetzbuchs vom 18. August 1896, welche die Begründung einer Stiftung von Todes wegen durch Verfügung von Todes wegen und damit auch durch Erbvertrag im Sinne der §§ 2274 ff. BGB zulässt. Diese Bestimmung dürfte auch weitern bei der Ausarbeitung des ZGB mitwirkenden Personen bekannt gewesen sein. Wenn in den Entwürfen und im ZGB selbst gleichwohl nach dem Vorbild der die Frage behandelnden kantonalen Rechte eine letztwillige Verfügung verlangt wird, lässt sich das also nicht auf ein Versehen, sondern nur auf eine bewusste Wahl zurückführen. Dass Art. 81 Abs. 1 ZGB nur versehentlich von einer letztwilligen Verfügung statt allgemein von einer Verfügung von Todes wegen spreche, kann um so weniger angenommen werden, als das deutsche Recht zur Zeit des Erlasses des ZGB mit der angeführten Bestimmung im Kreise der Rechtsordnungen der Nachbarstaaten der Schweiz allein dastand. a) Der französische Code civil von 1803 gestattet Verträge BGE 96 II 273 S. 292 über künftige Erbschaften nur in sehr engem Rahmen, insbesondere in Gestalt der sog. institution contractuelle, die Zuwendungen Dritter an zukünftige Ehegatten oder die aus der einzugehenden Ehe hervorgehenden Kinder aus Anlass der Eingehung der Ehe oder aber Zuwendungen unter Ehegatten durch Ehevertrag oder während der Ehe zum Gegenstand haben kann (Art. 1081 ff., 1091 ff. des Code civil; SPR I S. 385 ff., II S. 318; FERID/FIRSCHING, Internationales Erbrecht, 2. Band 1969, Frankreich, Grundzüge, Randziffern 149 ff.). Bestimmungen über die Stiftungen enthält der französische Code civil nicht. Lehre und Rechtsprechung lassen die Errichtung einer Stiftung von Todes wegen in dem Sinne zu, dass der Erblasser durch Testament einem Dritten ein Vermächtnis zuwenden und damit die Auflage verbinden kann, die von ihm gewünschte Stiftung zu errichten und mit den vermachten Vermögenswerten auszustatten (DALLOZ, Encyclopédie juridique, Répertoire de droit civil, 2. Band 1952, Art. Fondation, S. 828 ff., bes. No. 19 ff.; DALLOZ, Nouveau répertoire de droit, 2. Aufl., 2. Band 1963, Art. Fondation, S. 657 f., bes. N. 5 ff.; ähnlich schon A. GEOUFFRE DE LAPRADELLE, Théorie et pratique des fondations perpétuelles, Paris 1895, S. 151 ff., der indes annahm, als Empfänger eines solchen Vermächtnisses komme nur eine bestehende juristische, nicht eine natürliche Person in Betracht). b) Nach dem österreichischen Allgemeinen Bürgerlichen Gesetzbuch von 1811 ist ein Erbvertrag nur zwischen Ehegatten sowie (für den Fall der Heirat) zwischen Brautleuten zulässig; in einem solchen Vertrag enthaltene Verfügungen zugunsten Dritter gelten als frei widerruflich (§§ 602 und 1249 ABGB; FERID/FIRSCHING, 1. Band 1969, Österreich, Grundzüge, Randziffern 102, 103). Die Errichtung einer Stiftung von Todes wegen ist im ABGB nicht ausdrücklich geregelt, doch lässt die Praxis eine dahingehende testamentarische Anordnung zu und behandelt sie wie die Berufung einer Leibesfrucht (FERID/FIRSCHING, eben angeführtes Kapitel, Randziffer 45; EHRENZWEIG, System des österreichischen allgemeinen Privatrechts, 2. Aufl., 2. Band 2. Hälfte 1937, S. 369; KLANG, Kommentar zum ABGB, 2. Aufl., 3. Band 1952, Bem. III/4 zu § 538, S. 86/87). c) Das italienische Recht verpönt den Erbvertrag gänzlich (Art. 1118 Abs. 2 des Codice civile von 1865, Art. 458 des Codice civile von 1942). Eine Stiftung kann nach dem heutigen italienischen Recht von Todes wegen nur durch Testament BGE 96 II 273 S. 293 begründet werden (Art. 14 Abs. 2 des Codice civile von 1942). Das gleiche galt für das frühere italienische Recht, unter dessen Herrschaft die Errichtung einer Stiftung von Todes wegen im übrigen (wie im gemeinen Recht; vgl. WINDSCHEID/KIPP, Lehrbuch des Pandektenrechts, 3. Band, 8. Aufl. 1901, § 549, S. 243) eine Zeitlang Gegenstand zahlreicher Meinungsverschiedenheiten war (GEOUFFRE DE LAPRADELLE a.a.O. S. 460 ff.), bis ein Gesetz vom Jahre 1890 die Frage klärte (N. STOLFI, Diritto civile, 6. Band 1934, S. 499 f.). d) Erst lange nach Erlass des ZGB hat das liechtensteinische "Personen- und Gesellschaftsrecht" vom 20. Jänner 1926, das die einschlägigen Bestimmungen des seinerzeit in Liechtenstein eingeführten ABGB ersetzte, in Art. 555 Abs. 1 die Bestimmung aufgestellt, die Errichtung der Stiftung erfolge in der Form einer Urkunde, auf der die Unterschriften der Stifter beglaubigt sind, durch letztwillige Verfügung oder durch Erbvertrag. Das ZGB stimmt also darin, dass es als Mittel für die Errichtung einer Stiftung von Todes wegen nur die letztwillige Verfügung vorsieht, mit dem zur Zeit seines Erlasses geltenden Recht der meisten Nachbarländer überein. 8. Von der Auslegung des Art. 81 Abs. 1 ZGB , welche durch den Wortlaut und den Aufbau dieser Bestimmung sowie durch die Terminologie und die Entstehungsgeschichte des Gesetzes und durch den Vergleich mit den bei Erlass des ZGB in den Nachbarländern der Schweiz geltenden Regelungen nahegelegt wird und zu welcher sich die Lehre fast einhellig bekennt, wäre nur abzuweichen, wenn triftige sachliche Gründe eine andere Deutung dieser Bestimmung forderten, d.h. wenn solche Gründe zu einer ausdehnenden Auslegung des Ausdrucks "letztwillige Verfügung" oder zur Annahme zwängen, das ZGB wolle in Art. 81 Abs. 1 die Mittel für die Errichtung einer Stiftung von Todes wegen nicht abschliessend bezeichnen, so dass eine Gesetzeslücke vorläge (vgl. BGE 88 II 481 ff. E. 2, bes. 482/83, mit Hinweisen, und BGE 92 II 182 ). Gründe dieser Art bestehen nicht. a) Die Vorinstanz ist der Meinung, der Sinn des Art. 81 Abs. 1 ZGB bestehe "wie derjenige der meisten Formvorschriften darin, den Stifter bei seinem Entschluss vor Übereilung zu bewahren und ihn dazu zu zwingen, seinen Willen einigermassen klar auszudrücken"; die Form des Erbvertrages, die eine der strengsten sei, vermöge diesem Zweck sicher gerecht zu werden. BGE 96 II 273 S. 294 Daraus folgert die Vorinstanz, die ratio des Art. 81 Abs. 1 schliesse die Errichtung einer Stiftung durch Erbvertrag nicht aus. Zur Diskussion steht jedoch allein die Frage, ob eine Stiftung auf den Todesfall nur durch eine einseitige, widerrufliche Verfügung des Stifters oder auch durch eine ihn bindende vertragliche Abmachung errichtet werden könne. Diese Frage hat mit der Frage, welchen Zwecken die für das Stiftungsgeschäft aufgestellten Formvorschriften dienen und ob die Form des Erbvertrages diesen Zwecken genüge, grundsätzlich nichts zu tun. b) KNAPP begründet seine Auffassung, eine Stiftung könne durch eine vertragliche Klausel eines Erbvertrages begründet werden, indem er auf die Unzukömmlichkeiten hinweist, die sich in gewissen Fällen ergeben können, wenn angenommen wird, die Errichtung einer Stiftung von Todes wegen könne nur durch eine - frei widerrufliche - testamentarische Bestimmung erfolgen, wogegen die Zuweisung von Vermögenswerten an die vorgesehene Stiftung Gegenstand einer vertraglichen Klausel eines Erbvertrages sein könne. Er räumt jedoch (a.a.O. S. 208, zweitletzter Absatz) selber ein, auch die Auffassung, eine Stiftung könne nur durch eine testamentarische Klausel errichtet werden, sei vertretbar (défendable), wenn angenommen werde, ein allfälliger Widerruf beziehe sich stets sowohl auf die Errichtung der Stiftung als auch auf die damit verbundene Zuweisung von Vermögenswerten an sie. Wesentlich ist ihm, wie seine Ausführungen zeigen, im Grunde genommen nur, dass die Errichtung der Stiftung und die Zuweisung von Vermögenswerten an sie als rechtliche Einheit behandelt werden. Dass die Verfügung, mit der ein Erblasser eine Stiftung errichtet und mit einem Vermögen ausstattet, einen einheitlichen Akt bildet und daher nicht teils widerruflich, teils unwiderruflich sein kann, ist (jedenfalls heute) auch die Auffassung der Kommentatoren des Erbrechts (TUOR, 1. und 2. Aufl., je N. 2 und 3 zu Art. 493 ZGB ; ESCHER, 3. Aufl., N. 3 zu Art. 493 ZGB , im Gegensatz zur entsprechenden Stelle der 2. Auflage) und lässt sich kaum bezweifeln. Die Voraussetzung, unter welcher KNAPP (a.a.O. 208) die herrschende Auffassung für vertretbar hält, darf somit als erfüllt gelten. Schon deshalb lässt sich seinen Ausführungen kein triftiger Grund für die Zulassung der Errichtung einer Stiftung durch vertragliche Klausel eines Erbvertrages entnehmen. BGE 96 II 273 S. 295 c) Einen solchen Grund bildet auch nicht das von der Vorinstanz angeführte Argument, die schweizerische Rechtsordnung kenne die vertragliche Verpflichtung zu einer Liberalität und lasse Erbverträge zugunsten Dritter zu, und es sei nicht am Platze, die Errichtung einer Stiftung anders zu behandeln als eine sonstige Liberalität. Obwohl Art. 494 Abs. 1 ZGB sagt, der Erblasser könne sich durch Erbvertrag einem andern gegenüber "verpflichten", ihm oder einem Dritten seine Erbschaft oder ein Vermächtnis zu hinterlassen, begründet der Erbvertrag anders als ein Schenkungsversprechen unter Lebenden keine Verpflichtung desjenigen, der die Zuwendung vornimmt. Vielmehr hat der Erblasser die von ihm beabsichtigte Zuwendung mit dem Abschluss des Erbvertrages bereits vorgenommen. Diese wird mit seinem Tode ohne weiteres wirksam, d.h. die Erbeinsetzung oder das Vermächtnis treten mit seinem Tode ohne weiteres in Kraft. Der Vertragscharakter der Zuwendung durch Erbvertrag zeigt sich nur in der mit dem Vertragsabschluss eintretenden Bindung des Erblassers gegenüber dem Vertragspartner, d.h. darin, dass er die Zuwendung grundsätzlich nur noch mit dessen Zustimmung ( Art. 513 Abs. 1 ZGB ) rückgängig machen kann (vgl. zu alledem TUOR, 2. Aufl., N. 1, und ESCHER, 3. Aufl., N. 2 zu Art. 494 ZGB ). Ob die Errichtung einer Stiftung, die im Gegensatz zur Schenkung nicht eine erzwingbare Vermögensleistung, sondern eine nicht erzwingbare Handlung darstellt ("nemo invitus agere cogitur"), Gegenstand einer vertraglichen Verpflichtung sein könnte, ist im übrigen zweifelhaft. Unter diesen Umständen lässt sich daraus, dass das schweizerische Recht die vertragliche Verpflichtung zu einer Schenkung an den Vertragspartner oder einen Dritten (vgl. BGE 96 II 94 lit. b a.E. und lit. c) zulässt, nicht ableiten, nach schweizerischem Recht müsse auch die Errichtung einer Stiftung durch Erbvertrag zugelassen werden. Dass diese Art der Errichtung einer Stiftung zugelassen werden müsse, folgt aber auch nicht notwendigerweise daraus, dass das Gesetz ( Art. 494 Abs. 1 ZGB ) Erbeinsetzungs- und Vermächtnisverträge zugunsten Dritter zulässt. Die Errichtung einer Stiftung von Todes wegen geht nämlich in ihrer Tragweite über eine Erbeinsetzung oder ein Vermächtnis weit hinaus, da sie nicht bloss die Personen bezeichnet, die den Nachlass oder einen Teil davon erhalten sollen, sondern die Widmung des von der Verfügung betroffenen Vermögens zu einem bestimmten, BGE 96 II 273 S. 296 nicht bloss vorübergehenden Zweck und die Schaffung einer neuen juristischen Person, die dieses Vermögen erhalten und zum festgesetzten Zwecke verwenden soll, in sich schliesst. Diese Besonderheiten des Stiftungsgeschäfts hätten es dem schweizerischen Gesetzgeber allerdings kaum schlechthin verboten, nach dem Vorbild des deutschen BGB die Errichtung einer Stiftung durch Erbvertrag zu erlauben. Sie lassen es aber doch als sehr wohl begreiflich und sachlich vertretbar erscheinen, dass Art. 81 Abs. 1 ZGB als Mittel für die Errichtung einer Stiftung von Todes wegen nur die letztwillige Verfügung erwähnt. Es hat viel für sich, wenn GUISAN (a.a.O. S. 239/40) gegen die Möglichkeit einer vertraglichen Verpflichtung zur spätern Errichtung einer Stiftung einwendet: "...choisir un but idéal et y affecter des biens est un acte qui doit rester libre jusqu'à son accomplissement", und hieraus ableitet, es lasse sich verstehen (on comprendra), dass Ehegatten sich einigen können, um miteinander sofort und unter Lebenden eine juristische Person zu begründen; ein hierauf zwischen ihnen abgeschlossener Erbvertrag könne dieser juristischen Person ein Vermächtnis zusichern; "mais la volonté, même exprimée dans un pacte, de ne fonder qu'au décès, doit toujours pouvoir se révoquer". Schon KNAPP hatte übrigens (a.a.O. S. 208) im Anschluss an seine Bemerkung, die herrschende Lehre lasse sich halten, falls ein allfälliger Widerruf stets sowohl die Errichtung der Stiftung als auch die damit verbundene Vermögenszuwendung treffe (vgl. lit. b hievor), zu dieser Widerrufsmöglichkeit ähnlich wie später GUISAN ausgeführt, sie sei "moralement justifiable, puisque nul ne peut être tenu de continuer à vouloir une fondation dont le but devient odieux ou indifférent". d) Der Beklagten kann nicht zugegeben werden, dass ein anderswie nicht zu befriedigendes Bedürfnis der Praxis die Zulassung der Errichtung einer Stiftung durch Erbvertrag verlange. Wenn zwei Personen (Ehegatten, Geschwister) ihr Vermögen nach dem Ableben beider einer von ihnen errichteten Stiftung zukommen lassen wollen, so können sie dieses Ziel - sofern ihnen getrennte letztwillige Verfügungen wegen der Möglichkeit des Widerrufs nicht genügen - dadurch erreichen, dass sie die Stiftung schon zu ihren Lebzeiten gründen und zunächst nur mit einem bescheidenen Vermögen ausstatten und in einem Erbvertrag mit gegenseitiger Erbeinsetzung bestimmen, dass die Stiftung Nacherbe des zuerst sterbenden und Haupterbe des BGE 96 II 273 S. 297 zuletzt sterbenden Vertragspartners sein soll (vgl. BGE 95 II 521 ff.; ähnlich GUISAN a.a.O.). e) Dass es geboten sei, über den Wortlaut des Art. 81 Abs. 1 ZGB hinaus die Errichtung einer Stiftung durch vertragliche Bestimmungen eines Erbvertrages zuzulassen, kann um so weniger angenommen werden, als sogar in Deutschland, wo das Gesetz die Errichtung einer Stiftung durch Verfügung von Todes wegen vorsieht (§ 83 BGB), einzelne Autoren die Auffassung vertreten, die in einem Erbvertrag enthaltene Stiftungserklärung müsse frei widerruflich sein (VON TUHR, Der Allg. Teil des Deutschen Bürgerlichen Rechts, 1. Band 1910, S. 598; ÖRTMANN, Kommentar, Allg. Teil, 3. Aufl. 1927, Bem. 1a zu § 83, S. 231; gegenteiliger Ansicht z.B. STAUDINGER/BRÄNDL u. COING, Allg. Teil, 11. Aufl. 1957, N. 11 zu § 83 BGB; RGR-Kommentar, 1. Band 1. Teil, 11. Aufl. 1959, N. 4 zu § 81, S. 173/174; ENNECCERUS/NIPPERDEY, Allg. Teil, 15. Aufl., 1. Halbband 1959, S. 721 FN 21; SOERGEL/SCHULTZE-v. LASAULX, 1967, N. 2 und 6 zu § 83 BGB). Bestehen keine stichhaltigen Gründe dafür, vom Sinne abzuweichen, der dem Art. 81 Abs. 1 ZGB nach seiner Fassung und nach den Umständen, unter denen diese Bestimmung entstanden ist, beigelegt werden muss, sondern lässt sich die diesem Sinn entsprechende Lösung sachlich rechtfertigen, so muss dieser Sinn massgebend sein. Es ist also nach schweizerischem Recht nicht zulässig, eine Stiftung durch eine vertragliche Klausel eines Erbvertrages zu errichten. 9. Wie schon ausgeführt (Erw. 3 Abs. 2 hievor), ist die Stiftungsklausel des Erbvertrages vom 7. Januar 1961 eindeutig vertraglicher Natur. Als Bestimmung dieser Art ist sie nichtig, da sich ergeben hat, dass das schweizerische Recht die Errichtung einer Stiftung durch solche Bestimmungen nicht zulässt. In letztwillige Verfügungen der Schwestern Schweizer, wie sie zur Errichtung der Stiftung hätten dienen können, lässt sie sich, wie bereits gesagt (Erw. 3 Abs. 2 a.E.), nicht umdeuten, weil die Schwestern Schweizer auf die gegenseitige Bindung Gewicht legten. Es kann sich daher nur noch fragen, ob sich die streitige Klausel in eine vertragliche Bestimmung mit zulässigem Inhalt umdeuten lasse, in eine Bestimmung also, die eine Anordnung trifft, welche durch vertragliche Klausel eines Erbvertrages getroffen werden kann. a) Die Beklagte macht unter Hinweis auf die Bestimmung BGE 96 II 273 S. 298 des Erbvertrages über den Zweck der Stiftung geltend, die Erblasserinnen hätten damit ihr Vermögen einer Mehrheit von Personen zugewendet, die nicht etwa mit den Verwandten und gesetzlichen Erben identisch seien; sollte durch den Erbvertrag keine Stiftung entstanden sein, so könnten sich die Bedachten trotzdem auf den Erbvertrag berufen und ihre Rechte geltend machen; dann wäre Art. 539 Abs. 2 ZGB anwendbar, der bestimmt: "Zuwendungen mit Zweckbestimmung an eine Mehrheit von Personen insgesamt werden, wenn dieser das Recht der Persönlichkeit nicht zukommt, von allen Zugehörigen unter der vom Erblasser aufgestellten Zweckbestimmung erworben oder gelten, wo dieses nicht angeht, als Stiftung"; mangels Inkrafttreten einer Stiftung gemäss Erbvertrag würde der Nachlass eben einer Ersatzstiftung gemäss Art. 539 ZGB zufallen. Was die Beklagte mit diesen Ausführungen anstrebt, ist eine doppelte Umdeutung der im Erbvertrag vom 7. Januar 1961 enthaltenen Stiftungsklausel: die Errichtung einer Stiftung, die nicht Gegenstand einer vertraglichen Bestimmung eines Erbvertrages sein kann, soll in eine Zuwendung zu einem bestimmten Zweck an eine Personenmehrheit ohne Rechtspersönlichkeit, wie sie durch eine solche Bestimmung angeordnet werden kann, umgedeutet werden, und diese Zuwendung soll hierauf nach der Auslegungsregel von Art. 539 Abs. 2 ZGB , die eine gesetzliche Konversion vorsieht (ESCHER, 3. Aufl., N. 7 zu Art. 539 ZGB ), als Anordnung einer Stiftung aufgefasst werden. Im EntscheideBGE 76 II 205E. 2 wurde als fraglich bezeichnet, aber schliesslich offen gelassen, ob ein mit einer Auflage verbundenes Vermächtnis an eine juristische Person, das mangels genügender Bezeichnung derselben durch den Erblasser ungültig war ( BGE 68 II 165 f.), in ein Vermächtnis an die "Auflagedestinatäre" umgedeutet und diese Zuwendung dann gemäss Art. 539 Abs. 2 ZGB als Anordnung einer Stiftung aufgefasst werden könnte. Auch im vorliegenden Falle braucht nicht grundsätzlich entschieden zu werden, ob eine doppelte Umdeutung einer ungültigen Verfügung von Todes wegen von vornherein ausgeschlossen oder unter gewissen Umständen zulässig sei. Eine solche doppelte Umdeutung kommt nämlich auf jeden Fall dann nicht in Frage, wenn sie nicht dazu führt, dass anstelle des nichtigen Geschäfts ein anderes Geschäft gilt, das einen ähnlichen Zweck und Erfolg hat wie das eigentlich gewollte (vgl. BGE 93 II 452 E. 5), sondern wenn sie darauf BGE 96 II 273 S. 299 hinausläuft, dass ein Geschäft trotz seiner Ungültigkeit genau so zur Geltung kommt, wie es gewollt war. Wenn ein Erbvertrag die Errichtung einer Stiftung vorsieht und die betreffende Klausel vertraglicher Natur ist und daher nach Art. 81 Abs. 1 ZGB zur Errichtung einer Stiftung nicht taugt, geht es also nicht an, die gewollte Stiftung auf dem Umweg, dass die Stiftungsklausel in eine Vermächtnisklausel und diese gemäss Art. 539 Abs. 2 ZGB wieder in eine Stiftungsklausel umgedeutet wird, gleichwohl entstehen zu lassen. Wäre das erlaubt, so wäre das aus Art. 81 Abs. 1 ZGB abzuleitende Verbot der Errichtung von Stiftungen durch vertragliche Bestimmungen eines Erbvertrags illusorisch. b) Es wird durch Art. 81 Abs. 1 ZGB nicht verboten, sondern ist nach Art. 494 in Verbindung mit Art. 482 ZGB zulässig, ein Vermögen durch eine vertragliche Klausel eines Erbvertrages einer bereits bestehenden Körperschaft oder Anstalt zuzuwenden mit der Auflage, es zu einem bestimmten Zwecke zu verwenden. In eine solche Anordnung lässt sich aber die Stiftungsklausel des Erbvertrages vom 7. Januar 1961 nicht umdeuten. Die Schwestern Schweizer waren nicht bloss bestrebt, ihr Vermögen bedürftigen Mitbürgern zuzuwenden, sondern es lag ihnen, wie schon der von ihnen gewählte Name der Stiftung zeigt und auch aus Zeugenaussagen hervorgeht, ebensosehr daran, mit der Stiftung sich selbst und ihrer Familie ein Denkmal zu setzen. Deshalb darf nicht unterstellt werden, sie hätten bei Kenntnis der Nichtigkeit des von ihnen abgeschlossenen Stiftungsgeschäfts den Willen gehabt, den in der Stiftungsklausel umschriebenen Zweck durch eine mit einer entsprechenden Auflage verbundene Zuwendung an eine bestehende Körperschaft oder Anstalt, m.a.W. durch die Errichtung einer "unselbständigen Stiftung" oder eines "Fonds" (vgl. hiezu EGGER, 2. Aufl., N. 2, 3 und 4 zu Art. 80 ZGB ; GUTZWILLER a.a.O. S. 612 Ziff. 2) zu erreichen. Dass die Selbständigkeit der von ihnen vorgesehenen Stiftung für sie wesentlich war, wird dadurch bestätigt, dass sie für den Fall der Auflösung der Zunft zu Rebmessern in Reinach, der nach Ziff. 3 lit. b des Erbvertrages die Mitglieder der Stiftungsverwaltung angehören sollten, nicht etwa den Heimfall des Stiftungsgutes an die Gemeinde oder eine Fürsorgeinstitution anordneten, sondern bestimmten, in diesem Falle habe der Gemeinderat von Reinach die Stiftungsverwaltung aus seiner Mitte zu bestellen. Im übrigen ist BGE 96 II 273 S. 300 völlig ungewiss, welche Körperschaft oder Anstalt (die Gemeinde Reinach, die Zunft zu Rebmessern oder eine der geplanten Stiftung ähnliche Institution) die Erblasserinnen mit ihrem Vermögen bedacht und mit der Verfolgung des ihnen vorschwebenden Zwecks betraut hätten, wenn sie eine solche Lösung überhaupt in Betracht gezogen hätten. Schon diese Ungewissheit schliesst die Konversion der auf Errichtung einer selbständigen Stiftung gehenden Klausel des Erbvertrages in die Anordnung einer unselbständigen Stiftung aus. c) Man könnte schliesslich noch daran denken, die Stiftungsklausel des Erbvertrages in dem Sinne umzudeuten, dass damit das Vermögen der überlebenden Schwester auf deren Tod hin einer vorhandenen natürlichen oder juristischen Person mit der Auflage zugewendet werde, die von den beiden Schwestern gewünschte Stiftung durch Rechtsgeschäft unter Lebenden zu errichten. Wem diese Aufgabe zufallen sollte, ist aber vollends ungewiss. Man weiss im vorliegenden Falle ähnlich wie im Falle BGE 89 II 437 ff. (S. 443 lit. b a.E.) überhaupt nicht, wie bei Kenntnis der Nichtigkeit der Stiftungsklausel verfügt worden wäre. Im übrigen weckt eine vertragliche Bestimmung eines Erbvertrages, welche die Errichtung einer Stiftung mittels einer Zuwendung von Todes wegen unter Auflage herbeiführen soll, die gleichen Bedenken wie eine solche Klausel, welche die Errichtung einer Stiftung nach dem Tode der Vertragschliessenden unmittelbar vorsieht, wenn man den gesetzgeberischen Grund des Art. 81 Abs. 1 ZGB darin erblickt, dass jeder Erblasser bis zu seinem Tode frei bleiben soll, den Stiftungsakt und die damit zusammenhängende Vermögenszuwendung zu widerrufen, falls ihm diese Anordnungen aus irgendeinem Grunde nicht mehr passen (vgl. Erw. 8 lit. c hievor). Die beklagte Stiftung lässt sich daher auf dem Wege der Konversion nicht retten, sondern muss wegen der festgestellten Ungültigkeit des Stiftungsaktes als nichtig erklärt werden. 10. Da die vorliegende Klage nicht eine erbrechtliche Ungültigkeitsklage ist, können die Kläger den Prozessgewinn nicht etwa für sich allein beanspruchen. Infolge der auf Art. 81 Abs. 1 ZGB gestützten Nichtigerklärung der beklagten Stiftung fällt deren Vermögen vielmehr unter Vorbehalt der Rechte Dritter (Erw. 2 hievor) der Erbengemeinschaft der Katharina Schweizer zu, der nicht bloss die zehn Kläger, sondern noch weitere Personen angehören. Nach Lehre und Rechtsprechung BGE 96 II 273 S. 301 können Erbschaftsansprüche gegen Dritte vor der Erbteilung grundsätzlich nicht von einzelnen Erben, sondern nur von allen Erben zusammen geltend gemacht werden ( BGE 93 II 14 E. 2b mit Hinweisen). Das Klagebegehren auf anteilsmässige Herausgabe des Nachlasses an die zehn Kläger ist daher abzuweisen. Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Berufung wird gutgeheissen und das Urteil des Obergerichts des Kantons Basel-Landschaft vom 18. November 1969 aufgehoben; die Klage wird dahin gutgeheissen, dass die im Erbvertrag der Schwestern Katharina und Rosalie Schweizer vom 7. Januar 1961 vorgesehene Stiftung mit dem Namen "Katharina und Rosalie Schweizer-Stiftung" nichtig erklärt wird; im übrigen wird die Klage abgewiesen.
public_law
nan
de
1,970
CH_BGE
CH_BGE_004
CH
Federation
281e32e0-98e6-4103-86cd-c5cda71a7666
Urteilskopf 105 V 294 63. Urteil vom 21. November 1979 i.S. Betriebskrankenkasse der Firma Jenny, Spoerry & Cie gegen Rückversicherungsverband des Konkordates der schweizerischen Krankenkassen und Verwaltungsgericht des Kantons Luzern
Regeste Art. 128 OG . Mit der Verwaltungsgerichtsbeschwerde kann auch geltend gemacht werden, der vorinstanzliche Entscheid hätte sich nicht auf Sozialversicherungsrecht des Bundes stützen dürfen (Erw. 1b). Art. 27 Abs. 1 KUVG . Der Anschluss einer liechtensteinischen Kasse an einen schweizerischen Rückversicherungsverband ist aus der Sicht der sozialen Krankenversicherung unzulässig. Ein solches Rückversicherungsverhältnis ist rein privatrechtlicher Natur, und Streitigkeiten daraus unterliegen nicht der Sozialversicherungsgerichtsbarkeit (Erw. 2).
Sachverhalt ab Seite 295 BGE 105 V 294 S. 295 A.- Die Betriebskrankenkasse der Firma Jenny, Spoerry & Cie, Vaduz, schloss sich mit Wirkung ab 1. Mai 1973 dem Rückversicherungsverband des Konkordates der schweizerischen Krankenkassen (RVK) an. Am 1. Juni 1973 unterzeichnete sie die Grundberechnungen für die Ausgleichs-Rückversicherung der Krankenpflege (ARV). Darin wurden die Bestimmungen des RVK über die ARV ausdrücklich als massgebend erklärt. Gestützt auf die ARV bezog die Betriebskrankenkasse im Jahre 1973 Fr. 6'331.80 und im Jahre 1974 Fr. 13'763.40, insgesamt also Fr. 20'095.20 an Versicherungsleistungen vom RVK. Am 19. Dezember 1975 teilte die Firma Jenny, Spoerry & Cie dem RVK mit, dass ihre Betriebskrankenkasse wegen anhaltender Betriebsrückschläge per 1. Januar 1976 mit der Schweizerischen Krankenkasse Grütli fusionieren werde, und ersuchte gleichzeitig darum, vom Rückversicherungsverhältnis entbunden zu werden. Mit Verfügung vom 12. Februar 1976 verlangte der RVK in Anwendung von Art. 13 des Reglements für die ARV die Rückerstattung der in den Jahren 1973 und 1974 ausgerichteten Versicherungsleistungen von Fr. 20'095.20 nebst Verzugszins von 5% seit 1. Februar 1976. B.- Gegen diese Verfügung liess die Betriebskrankenkasse beim Verwaltungsgericht des Kantons Luzern als Rekursinstanz im Sinne von Art. 52 der RVK-Statuten Beschwerde führen, gleichzeitig jedoch die Zuständigkeit jenes Gerichts bestreiten, weil das KUVG gegenüber einer Kasse mit Sitz in Liechtenstein nicht anwendbar sei und das Rückversicherungsverhältnis liechtensteinischem Recht und liechtensteinischer Gerichtsbarkeit unterstehe; überdies wurde die Forderung in materieller Hinsicht bestritten. Nach Durchführung des Schriftenwechsels BGE 105 V 294 S. 296 und Einholung einer Vernehmlassung des Bundesamtes für Sozialversicherung wies das Verwaltungsgericht des Kantons Luzern die Beschwerde am 28. Dezember 1977 ab. Zur Zuständigkeitsfrage wurde festgehalten, dass eine gültige Gerichtsstandvereinbarung vorliege und sich die Kasse mit ihrem Beitritt zum RVK sowohl in materiellrechtlicher als auch in verfahrensrechtlicher Hinsicht der schweizerischen Rechtsordnung unterstellt habe. Die Forderung als solche bzw. der ihr zugrundeliegende Art. 13 des Reglements für die ARV wurde sowohl unter privatrechtlichen als auch unter öffentlichrechtlichen Gesichtspunkten des KUVG geschützt. C.- Mit der vorliegenden Verwaltungsgerichtsbeschwerde lässt die Kasse erneut die Zuständigkeit der schweizerischen Sozialversicherungsgerichtsbarkeit bestreiten. Eventuell sei der Fall nach liechtensteinischem Recht und nach Art. 1288 ABGB zu entscheiden. Der RVK schliesst auf Abweisung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde... Erwägungen Das Eidg. Versicherungsgericht zieht in Erwägung: 1. a) ... b) Gemäss Art. 128 OG in Verbindung mit Art. 97 Abs. 1 OG beurteilt das Eidg. Versicherungsgericht letztinstanzlich Verwaltungsgerichtsbeschwerden gegen Verfügungen im Sinne von Art. 5 VwVG auf dem Gebiet der Sozialversicherung. Nach Art. 5 Abs. 1 VwVG gelten als Verfügungen Anordnungen der Behörden im Einzelfall, die sich auf öffentliches Recht des Bundes stützen (und im übrigen weitere, hinsichtlich ihres Gegenstandes näher umschriebene Voraussetzungen erfüllen). Als Verfügung gelten auch Beschwerdeentscheide ( Art. 5 Abs. 2 VwVG ). Im Anwendungsbereich des KUVG muss der Begriff der anfechtbaren Verfügungen naturgemäss dahin erweitert werden, dass auch Anordnungen, die sich auf kasseneigene Bestimmungen stützen, der Beschwerde unterliegen. Dies wird in Art. 30bis Abs. 1 KUVG für das kantonale Verfahren ausdrücklich bestimmt, muss aber sinngemäss auch für das Verfahren vor dem Eidg. Versicherungsgericht ( Art. 30ter KUVG ) gelten. Anordnungen, die sich auf kasseneigene Bestimmungen stützen, können nur insoweit in Verfügungsform ergehen, als BGE 105 V 294 S. 297 das ihnen zugrundeliegende Rechtsverhältnis dem KUVG als öffentlichem Recht des Bundes untersteht. Dies ist jedoch nicht unter dem Gesichtswinkel der Eintretensfrage zu prüfen. Im vorliegenden Fall hat der vorinstanzliche Richter tatsächlich Sozialversicherungsrecht des Bundes angewendet. Die Rüge, dass fälschlicherweise Sozialversicherungsrecht des Bundes angewendet worden sei, ist zulässig. c) Die streitige Rückforderung betrifft eine Kasse mit Sitz in Liechtenstein. Es fragt sich daher, inwieweit die internationale Tragweite des vorliegenden Tatbestandes die Zuständigkeit des schweizerischen Sozialversicherungsrichters berührt. Soweit es sich um Verfügungen von Krankenkassen gegenüber ihren Versicherten mit Wohnsitz im Ausland handelte, hat das Eidg. Versicherungsgericht die Zuständigkeit schweizerischer Gerichte regelmässig stillschweigend vorausgesetzt. Was das vorliegend zu beurteilende Rückversicherungsverhältnis betrifft, hängt die Beurteilung dieser Frage von der Beantwortung der Vorfrage ab, ob überhaupt öffentliches Sozialversicherungsrecht des Bundes zur Anwendung kommt. Nur in diesem Fall wäre des weiteren zu prüfen, ob die statutarische Gerichtsstandsklausel aus sozialversicherungsrechtlicher Sicht zulässig war und die Zuständigkeit der Vorinstanz zu begründen vermochte. Auf die Verwaltungsgerichtsbeschwerde ist daher jedenfalls insoweit einzutreten, als die Anwendbarkeit von Bundessozialversicherungsrecht auf das streitige Rückversicherungsverhältnis in Frage steht. 2. Die gesetzliche Grundlage der Rückversicherungsverbände findet sich in Art. 27 Abs. 1 KUVG , wobei die Bestimmungen des ersten Titels des Gesetzes als sinngemäss anwendbar erklärt werden. Verbände von Kassen werden als Rückversicherungsverbände im Sinne der sozialen Krankenversicherung anerkannt, wenn sie ausschliesslich die Rückversicherung von Leistungen der ihnen angeschlossenen Kassen betreiben. Unter dem Begriff der "Kassen" sind nach der Legaldefinition von Art. 1 Abs. 4 KUVG die anerkannten Krankenkassen zu verstehen. Die Anerkennung einer Kasse setzt u.a. voraus, dass diese ihren Sitz in der Schweiz hat ( Art. 3 Abs. 1 KUVG ). Die gesetzliche Ordnung des KUVG schliesst somit den Anschluss ausländischer Kassen an anerkannte Rückversicherungsverbände aus. Eine staatsvertragliche Regelung mit dem Fürstentum Liechtenstein, welche die Kassen dieses Landes den BGE 105 V 294 S. 298 anerkannten schweizerischen Kassen gleichstellen würde, besteht nicht. Wenn Art. 5 und 6 Abs. 2 der RVK-Statuten eine Erweiterung des Tätigkeitsbereiches des Verbandes auf das Fürstentum Liechtenstein vorsehen, so kann der Anschluss einer solchen Kasse nicht mit den Rechtswirkungen des KUVG als öffentliches Bundesrecht erfolgen. Daran ändert nichts, dass die Statuten des RVK vom Bundesamt für Sozialversicherung genehmigt worden sind, da die Genehmigung statutarischer Bestimmungen, die im Widerspruch zum Gesetze stehen, diesen keine Rechtswirkungen zu verleihen vermag ( BGE 98 V 67 , EVGE 1968, S. 171). Der Rückversicherungsvertrag zwischen der Beschwerdeführerin und dem RVK ist denn auch dem Bundesamt für Sozialversicherung nicht zur Genehmigung unterbreitet worden und müsste insofern schon unter dem Gesichtswinkel von Art. 15 Abs. 2 der Vo V über die Krankenversicherung als unzulässig betrachtet werden. Dass der Anschluss ausländischer Kassen aus der Sicht der sozialen Krankenversicherung unzulässig ist, will nicht heissen, dass es den Rückversicherungsverbänden verwehrt werden müsste, ihr Tätigkeitsgebiet über die Landesgrenze hinaus auszudehnen. Ein solches Rückversicherungsverhältnis wäre jedoch privatrechtlicher Natur und das KUVG wäre darauf nicht als öffentliches Recht des Bundes, sondern höchstens als gewillkürtes Privatrecht anwendbar. Dementsprechend ergibt sich die Anwendung von öffentlichem Bundesrecht im vorliegenden Fall auch nicht aus der Tatsache, dass sich die Beschwerdeführerin mit ihrer Beitrittserklärung zum RVK dessen Verbandsstatuten unterworfen hat und diese wiederum auf die Ordnung des KUVG verweisen (Art. 3). Angesichts dieser Rechtslage können auch die vom Bundesamt für Sozialversicherung angeführten Überlegungen praktischer und sozialpolitischer Natur zu keiner anderen Beurteilung Anlass geben. Sofern ein Bedürfnis für den Anschluss liechtensteinischer Kassen an schweizerische Rückversicherungsverbände mit den Wirkungen des KUVG besteht, ist der Weg dazu durch eine Gesetzesänderung bzw. eine staatsvertragliche Regelung zu ebnen. Zusammenfassend ergibt sich, dass das Rückversicherungsverhältnis zwischen der Beschwerdeführerin und dem RVK und somit auch die streitige, auf dem Reglement für die ARV beruhende Forderung nicht dem KUVG als öffentlichem BGE 105 V 294 S. 299 Bundesrecht unterstehen. Der RVK hätte demnach nicht in Form einer Verfügung gemäss Art. 30 Abs. 1 KUVG über den Anspruch befinden dürfen, und ebensowenig war die Vorinstanz als Rekursbehörde im Rahmen von Art. 30bis KUVG zum Entscheid in der Sache berufen. Sowohl die Verfügung des RVK als auch der vorinstanzliche Entscheid sind daher aufzuheben. Die privatrechtliche Beurteilung der streitigen Forderung wird dadurch nicht präjudiziert, sondern ist Sache des Zivilrichters. Dispositiv Demnach erkennt das Eidg. Versicherungsgericht: In Gutheissung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde werden der Entscheid des Verwaltungsgerichts des Kantons Luzern vom 28. Dezember 1977 und die Verfügung des Rückversicherungsverbandes des Konkordates der schweizerischen Krankenkassen vom 12. Februar 1976 aufgehoben.
null
nan
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1,979
CH_BGE
CH_BGE_007
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Federation
281f400a-be2c-4220-ad5d-21b607c5c120
Urteilskopf 96 II 52 11. Auszug aus dem Urteil der I. Zivilabteilung vom 15. April 1970 i.S. Meco Mechanical Corporation gegen Leitenmaier.
Regeste 1. Art. 347 Abs. 3 OR . Voraussetzungen, unter denen ein bedingtes Kündigungsrecht und eine bedingte automatische Beendigung des Dienstverhältnisses vereinbart werden dürfen (Erw. 2 a). 2. Art. 101 Abs. 3 OR . Haftung des Dienstherrn für die sofortige Entlassung eines Dienstpflichtigen durch eine Hilfsperson (Erw.2b). 3. Art. 8 ZGB und Art. 332 OR . Der Beweis dafür, dass die Voraussetzungen für die Herabsetzung des Lohnanspruches vorliegen, obliegt grundsätzlich dem Dienstherrn (Erw. 3).
Sachverhalt ab Seite 53 BGE 96 II 52 S. 53 A.- Durch Vertrag M 2300 verpflichtete sich die in Zürich niedergelassene Meco Mechanical Corporation (MMC) gegenüber dem Kriegsministerium der Vereinigten Arabischen Republik (VAR), in Aegypten ein Flugzeug herzustellen. Das europäische Fachpersonal wurde von der MMC angestellt und in Aegypten eingesetzt. Die MMC schloss mit dem Kriegsministerium über jeden "Experten" einen "individual contract", der vom Angestellten mitzuunterzeichnen war und in Art. VIII (aus dem Englischen übersetzt) unter anderem bestimmt: "Dieser Vertrag wird am Tage ablaufen, an dem die Arbeitszeit des Experten gemäss den im gleichen Vertrag festgesetzten Bedingungen abgelaufen ist. Es ist jedoch vereinbart, dass die Gültigkeit dieses Vertrages - irgendwann während seiner Ausführung - automatisch am Tage aufhören wird, an dem die durch die MMC dem Ministerium gewährte technische Hilfe gemäss den in Art. 1 Abs. 1V des Vertrages M 2300 beendet sein wird." Die MMC schloss zudem mit jedem Angestellten einen Dienstvertrag, der unter Ziff. V über die Beendigung des Vertragsverhältnisses insbesondere folgende Bestimmung enthält: "Für den Fall, dass die Tätigkeit des Angestellten in Ägypten aus einem nicht von ihm selbst zu vertretenden Grund vor dem ... beendet werden sollte, erklärt sich der Angestellte einverstanden, aus dem Vertragsverhältnis zur Firma vorzeitig - und zwar zu dem Zeitpunkt, zu welchem seitens der VAR-Regierung sein "individual contract" gelöst oder nicht mehr erfüllt wurde - auszuscheiden, und dies unter Verzicht auf weitere Ansprüche aus welchem Rechtsgrunde auch immer gegenüber der Firma und/oder Dritten aus dem vorliegenden Dienstvertrag einschliesslich Anhang über Einsatz in VAR (individual contract)." B.- Durch Dienstvertrag vom 16. September 1960 stellte die MMC Karl Leitenmaier an, um ihn gegen ein monatliches Grundgehalt von Fr. 1080.-- als Vorarbeiter in Aegypten einzusetzen. Leitenmaier hatte zudem monatlich einen Bonus für Auslandeinsatz von Fr. 162.-- sowie in ägyptischer Währung einen Unterhaltsbeitrag von LE 90.- und eine Familienzulage von LE 20.- zugute. Der dazu gehörende individuelle Vertrag sollte für die Zeit vom 1. April 1961 bis 30. Juni 1963 gelten, sofern er nicht vorzeitig, insbesondere gemäss den Bestimmungen von Art. VIII des Vertrages, gekündigt würde. Am 28. November 1961 erklärte die MMC das Dienstverhältnis BGE 96 II 52 S. 54 mit Leitenmaier auf den 31. Dezember 1961 als beendet. Sie bezahlte ihm das gesamte Gehalt für Dezember sowie das Grundgehalt für Januar und Februar 1962. Leitenmaier musste daraufhin Aegypten verlassen und sich in Europa eine neue Arbeitsstelle suchen. C.- Mit Klage vom 28. Februar 1968 verlangte Leitenmaier unter Berücksichtigung seines Ersatzeinkommens von der MMC Bezahlung des vertraglichen Gehalts für die Zeit vom 1. März 1962 bis 30. Juni 1963 im Betrage von Fr. 15 613.40 nebst Zins und Betreibungskosten. Das Bezirksgericht Zürich und auf Appellation hin am 11. Juli 1969 auch das Obergericht des Kantons Zürich verurteilten die MMC zur Bezahlung des eingeklagten Betrages nebst 5% Zins seit 28. Oktober 1966 und Fr. 19.20 Betreibungsspesen. D.- Die Beklagte hat gegen das Urteil des Obergerichts die Berufung erklärt mit dem Antrag, es aufzuheben und die Klage abzuweisen. Der Kläger beantragt, die Berufung abzuweisen. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Nach Art. 1X des Dienstvertrages untersteht das Rechtsverhältnis der Parteien schweizerischem Recht, soweit durch den Vertrag nichts anderes bestimmt worden ist. 2. Das Obergericht führt aus, der Dienstvertrag sei auf eine bestimmte Zeit abgeschlossen worden, da der individuelle Vertrag, der einen Bestandteil des Anstellungsvertrages bilde, die Dauer des Dienstverhältnisses genau angebe. Mit der Möglichkeit einer vorzeitigen Auflösung des individuellen Vertrages durch die Regierung der VAR habe die Beklagte gerechnet und sich für diesen Fall das Einverständnis des Klägers mit der vorzeitigen Entlassung ausbedungen. Die Vereinbarung einer solchen Beendigung des Dienstverhältnisses erscheine nach Art. 347 Abs. 3 OR aber jedenfalls dann als unzulässig, wenn die Herbeiführung der Bedingung ins Belieben eines Dritten gestellt werde. Die Beklagte hält dem entgegen, der in Ziff. V des Anstellungsvertrages vorgesehene Fall der sofortigen und entschädigungslosen Entlassung des Angestellten auf Verlangen der ägyptischen Regierung sei im November 1961 eingetreten, was dem Kläger BGE 96 II 52 S. 55 mitgeteilt worden sei. Eine solche Beendigung des Dienstverhältnisses stütze sich nicht auf eine ordentliche Kündigung, sondern sei einer Auflösung aus wichtigem Grunde gleichzustellen. Es stehe den Parteien frei, einzelne Tatsachen, die nicht wichtige Gründe im Sinne von Art. 352 OR seien, in einem Vertrag als solche zu bezeichnen und für den Fall, dass sie vorlägen, eine vorzeitige und entschädigungslose Auflösung des Vertrages vorzusehen. Darin sei entgegen der Annahme der Vorinstanz nicht eine Vereinbarung zu erblicken, die den Beschränkungen des Art. 347 Abs. 3 OR unterliege. a) Wie das Bundesgericht am 8. März 1967 in einem ähnlichen Fall i.S. Eglauf ausgeführt hat, dürfen das Kündigungsrecht und der automatische Hinfall des Dienstvertrages nur innerhalb der zwingenden Schranken des Gesetzes geregelt werden. Eine solche Schranke bildet insbesondere Art. 347 Abs. 3 OR , der die Vereinbarung verschiedener Kündigungsfristen für den Dienstherrn und den Dienstpflichtigen verbietet. Dieses Verbot kann nicht dadurch umgangen werden, dass das Kündigungsrecht oder die automatische Beendigung des Dienstverhältnisses von einer Bedingung abhängig gemacht wird, deren Eintritt einseitig vom Willen des Dienstherrn abhinge. Eine solche Bedingung würde es dem Dienstherrn erlauben, den Vertrag schon auf einen Zeitpunkt zu beenden, auf den der Dienstpflichtige das nicht tun könnte. Ein bedingtes Kündigungsrecht und eine bedingte automatische Beendigung des Dienstverhältnisses dürfen nur vereinbart werden, wenn und soweit der Eintritt der Bedingung vom Willen der Parteien nicht abhängt oder beide Parteien ihn in gleicher Weise herbeiführen können. Keine dieser Voraussetzungen ist hier erfüllt. Der Kläger konnte eine vorzeitige Auflösung des Dienstverhältnisses nicht verlangen, und was die Beklagte anbetrifft, so steht nach unwiderlegt gebliebenen Zeugenaussagen fest, dass sie andere Facharbeiter aus Europa zur Ablösung bereithielt, als der Kläger zusammen mit weiteren vierzehn Angestellten entlassen wurde. Das war aber nur durch eine Absprache mit den ägyptischen Stellen möglich und setzte das Einverständnis der MMC voraus. Diese wendet freilich ein, die ägyptische Regierung habe die sofortige Entlassung des Klägers und seiner Mitarbeiter verlangt und dagegen habe sie, die Beklagte, nichts unternehmen können. Die Vorinstanz hielt diese Behauptung jedoch nicht BGE 96 II 52 S. 56 für erwiesen, weil die Beklagte es unterliess, hiefür Beweise anzugeben und insbesondere nicht sagte, welches ägyptische Organ die Entlassung verlangt habe, wann und wie das Begehren gestellt worden sei. Der Einwand geht übrigens fehl. Nach Art. 1V des individuellen Vertrages konnte die ägyptische Fabrikleitung die sofortige Entlassung eines Dienstpflichtigen nur verlangen, wenn erwiesen war, dass sich dieser schlecht aufgeführt, unerlaubt politisch betätigt oder seine Pflichten ernsthaft vernachlässigt hatte. Die Beklagte behauptet nicht, der Kläger sei wegen solchen Verhaltens entlassen worden. Sie beruft sich vielmehr auf die in Ziff. V des Anstellungsvertrages enthaltene Auflösungsklausel, in der aber nur von einem sofortigen Ausscheiden des Angestellten "aus einem nicht von ihm selbst zu vertretenden Grund" die Rede ist. Aus dem ebenfalls angerufenen Art. VIII des individuellen Vertrages kann die Beklagte nichts zu ihren Gunsten ableiten. Diese Bestimmung sah einen automatischen Hinfall des Vertrages nur für den Fall vor, dass die MMC die der VAR versprochene technische Hilfe vor Ablauf der im Vertrag angegebenen Dauer des Dienstverhältnisses beendete. Das traf 1961 jedenfalls noch nicht zu. b) Die Vereinbarung der Parteien, das Dienstverhältnis auf Veranlassung der ägyptischen Regierung vorzeitig und ohne Entschädigung zu beenden, verstösst nicht nur gegen Art. 347 Abs. 3, sondern hält auch vor Art. 101 Abs. 3 OR nicht stand. Dienstherr war nicht die VAR, das sie vertretende Kriegsministerium oder eine andere ägyptische Stelle, sondern die MMC, die den Kläger durch die ägyptische Fabrikleitung vorzeitig entlassen hat. Die Fabrikleitung war somit ihre Hilfsperson, für deren absichtliche Weigerung, die Dienste des Klägers weiterhin anzunehmen, die Beklagte nach Art. 101 OR einstehen muss. Dass es sich um die Organe eines staatlich kontrollierten Unternehmens handelte, ändert nichts; es genügt, dass die Beklagte sich ihrer zur Entlassung des Klägers bediente, die Fabrikleitung und die sie beherrschenden staatlichen Organe zumindest mit Wissen gewähren liess (vgl. OSER/SCHÖNENBERGER N. 5 zu Art. 101 OR ). Art. 101 Abs. 3 OR lässt die Wegbedingung der Haftung für solches Verhalten der Hilfsperson nicht zu, wenn der Verzichtende im Dienste der andern Vertragspartei steht. Der Beklagten wäre daher selbst dann nicht geholfen, wenn BGE 96 II 52 S. 57 die ägyptischen Behörden den individuellen Vertrag nicht nur jederzeit, sondern entgegen dessen Wortlaut auch aus irgendeinem Grunde lösen durften oder, wie in der Berufung ausgeführt wird, nicht mehr weiter erfüllten. Der Einwand sodann, der Kläger habe jeweils einen Sechstel seines monatlichen Grundgehalts als Ausgleich für das Risiko einer vorzeitigen Auflösung des Dienstverhältnisses zurücklegen müssen, hilft über die Unzulässigkeit der Vereinbarung nicht hinweg, ganz abgesehen davon, dass nicht zu ersehen ist, wieso eine solche Rücklage ein (echter) Ausgleich für eine sofortige und entschädigungslose Entlassung sein soll. 3. Die Beklagte macht ferner geltend, das Obergericht habe jedenfalls Art. 8 ZGB verletzt, weil es über die Verdienstmöglichkeiten, die der Kläger nach seiner Rückkehr von Aegypten gehabt habe, kein Beweisverfahren durchführen liess; der Kläger hätte in Europa bedeutend mehr verdienen können, als er im Verfahren angegeben habe. Entgegen der Annahme der Vorinstanz sei zudem nicht die Beklagte, sondern der Kläger dafür beweispflichtig, dass er angeblich keine besser bezahlte Stelle habe finden können. Nach Art. 332 OR hat der zu Unrecht entlassene Dienstpflichtige einen Lohnanspruch; er muss sich jedoch anrechnen lassen, was er an Auslagen erspart, durch anderweitige Arbeit erworben oder zu erwerben absichtlich unterlassen hat. Wie das Bundesgericht in BGE 78 II 444 ausgeführt hat, ist es grundsätzlich Sache des Dienstherrn, die Voraussetzungen für eine solche Herabsetzung des Lohnanspruches nachzuweisen. Er genügt in der Regel aber dieser Pflicht, wenn er dartut, dass im betreffenden Beruf allgemein Nachfrage nach Arbeitskräften bestand, der Entlassene folglich bei gutem Willen sehr wahrscheinlich eine andere, ungefähr gleichwertige Stelle hätte finden können. Einen solchen Nachweis hat die Beklagte nicht erbracht. Nach dem angefochtenen Urteil hat sie sich vielmehr - unter Hinweis auf die von der Gegenpartei vorgelegten Lohnausweise - mit der Behauptung begnügt, dass der Kläger eine besser bezahlte Stelle hätte finden können. Sie will freilich für ihre Behauptung vorsorglich auch Beweisanträge, insbesondere auf Einholung einer Expertise, gestellt haben. Die Vorinstanz hielt ein Gutachten aber offensichtlich für überflüssig, da der Kläger sich nicht darauf habe verlassen können, den Minderverdienst BGE 96 II 52 S. 58 von der Beklagten ersetzt zu erhalten, folglich auch nicht das geringste Interesse daran gehabt habe, sich mit einer schlechter entlöhnten Stelle zufrieden zu geben. Eine so begründete Ablehnung von Beweisanträgen beruht auf vorweggenommener Beweiswürdigung, die durch Art. 8 ZGB nicht ausgeschlossen wird ( BGE 84 II 537 , BGE 90 II 309 lit. c). Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Berufung wird abgewiesen und das Urteil des Obergerichts (II. Zivilkammer) des Kantons Zürich vom 11. Juli 1969 bestätigt.
public_law
nan
de
1,970
CH_BGE
CH_BGE_004
CH
Federation
281f7092-ca51-448d-94cf-7868806c88d6
Urteilskopf 119 V 65 10. Urteil vom 11. Februar 1993 i.S. A. AG u. G. gegen Ausgleichskasse des Kantons Zug und Verwaltungsgericht des Kantons Zug
Regeste Art. 1 Abs. 1 lit. b AHVG ; Art. 5 des Sozialversicherungsabkommens mit der Bundesrepublik Deutschland vom 25. Februar 1964. - Versicherungs- und Beitragspflicht von im Ausland wohnenden Personen, die als Verwaltungsrat, Direktor oder in anderer leitender Funktion einer juristischen Person mit Sitz in der Schweiz tätig sind (Zusammenfassung und Bestätigung der Rechtsprechung; E. 3). - Für die Versicherungs- und Beitragspflicht genügt es, dass das im Ausland wohnende Verwaltungsratsmitglied aufgrund seiner formellen Organstellung in der Gesellschaft deren Geschäftstätigkeit massgebend beeinflussen kann (E. 4). Art. 1 Abs. 2 lit. c AHVG ; Art. 2 AHVV . - Im Ausland wohnhafte Verwaltungsratsmitglieder von Aktiengesellschaften mit Sitz in der Schweiz gelten nicht als Personen, welche die Voraussetzungen der Versicherungs- und Beitragspflicht nur für eine verhältnismässig kurze Zeit erfüllen. - Rz. 3049 des KS über die Versicherungspflicht (KS), gültig ab 1.1.90, ist bundesrechtswidrig (E. 5).
Sachverhalt ab Seite 66 BGE 119 V 65 S. 66 A.- Die Firma A. AG mit Sitz in der Schweiz bezweckt laut Handelsregister-Eintrag die Verwertung von Urheberrechten durch Vergabe von Lizenzen sowie die Entwicklung, die Herstellung und den Verkauf von Produkten im Rahmen eigener und vertretener Urheberrechte und Lizenzen. Präsident des Verwaltungsrates ist Jacques N., wohnhaft in der Schweiz, Vizepräsident der in Deutschland wohnhafte deutsche Staatsangehörige Wilhelm G. Einzige Aktionäre der A. AG sind die G. A. GmbH, mit Sitz in Deutschland (handelnd durch Wilhelm G. und Dieter S.), und Jacques N. Mit Aktionärbindungsvertrag vom 26. Mai 1986 vereinbarten die beiden Parteien, dass die Vertretung im Verwaltungsrat jederzeit gleichwertig zu sein hat und das Präsidium des Verwaltungsrates der A. AG und deren Geschäftsführung Jacques N. oder seinen direkten Rechtsnachfolgern zusteht. Laut Statuten der A. AG fasst der Verwaltungsrat die Beschlüsse mit der Mehrheit der anwesenden Mitglieder, wobei der Präsident mitstimmt und den Stichentscheid hat (Art. 21). Anlässlich einer im September 1990 durchgeführten Arbeitgeberkontrolle stellte die Revisionsstelle u.a. fest, dass die Firma A. AG in den Jahren 1986 bis 1989 an Wilhelm G. nebst einer pauschalen BGE 119 V 65 S. 67 Spesenentschädigung von Fr. 10'000.-- ein Verwaltungsratshonorar von Fr. 40'000.-- im Jahr ausgerichtet hatte, ohne hierauf die gesetzlichen Sozialversicherungsbeiträge abgerechnet zu haben. Mit Verfügung vom 22. November 1990 verpflichtete die Ausgleichskasse des Kantons Zug die A. AG zur Nachzahlung von AHV/IV/EO/AlV-Beiträgen sowie Beiträgen an die kantonale Familienausgleichskasse auf einem massgebenden Bruttolohn von Fr. 42'240.-- für 1986 und 1987 sowie Fr. 42'260.-- für 1988 und 1989. Unter Berücksichtigung einer beitragspflichtigen Lohndifferenz von Fr. 5'100.-- für 1987 setzte sie die Nachzahlung, einschliesslich Verwaltungskostenbeiträge und Verzugszinsen für die Zeit vom 1. Januar 1987 bis 31. Oktober 1990, auf insgesamt Fr. 24'130.65 fest. B.- Die von der A. AG gegen diese Verfügung erhobene Beschwerde wurde vom Verwaltungsgericht des Kantons Zug mit Entscheid vom 31. Januar 1991 abgewiesen. C.- Fürsprech K. erhebt "im Namen und Auftrag der A. AG und von Herrn Wilhelm G." Verwaltungsgerichtsbeschwerde mit dem Rechtsbegehren, der kantonale Entscheid sei aufzuheben und es sei festzustellen, dass nach Art. 1 Abs. 2 lit. c AHVG und den Verwaltungsweisungen das Organ einer juristischen Person mit Wohnsitz im Ausland, welches keinen Einfluss auf die Geschäftsführung habe, der Beitragspflicht nicht unterliege. Während die Ausgleichskasse auf eine Stellungnahme verzichtet, lässt sich das Bundesamt für Sozialversicherung (BSV) mit dem Antrag auf Abweisung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde vernehmen. Erwägungen Das Eidg. Versicherungsgericht zieht in Erwägung: 1. Die Verwaltungsgerichtsbeschwerde ist im Namen und Auftrag einerseits der A. AG, Zug, und anderseits des Wilhelm G. erhoben worden. Der Aufforderung zur Einreichung entsprechender Vollmachten ist der Rechtsvertreter nur für die A. AG nachgekommen, weshalb auf die Verwaltungsgerichtsbeschwerde von Wilhelm G. androhungsgemäss nicht eingetreten werden kann. Dies schadet Wilhelm G. insofern nicht, als die von der A. AG angefochtene Nachzahlungsverfügung ihm gegenüber nicht in Rechtskraft erwachsen ist (EVGE 1965 S. 240). BGE 119 V 65 S. 68 2. a) Auf die Verwaltungsgerichtsbeschwerde kann nur soweit eingetreten werden, als Sozialversicherungsbeiträge kraft Bundesrechts streitig sind. Im vorliegenden Verfahren ist daher nicht zu prüfen, wie es sich bezüglich der Beitragsschuld an die Ausgleichskasse für kantonale Familienzulagen verhält ( BGE 118 V 69 E. 1b, BGE 101 V 3 ). b) Da keine Versicherungsleistungen streitig sind, hat das Eidg. Versicherungsgericht nur zu prüfen, ob der vorinstanzliche Entscheid Bundesrecht verletzt, einschliesslich Überschreitung oder Missbrauch des Ermessens, oder ob der rechtserhebliche Sachverhalt offensichtlich unrichtig, unvollständig oder unter Verletzung wesentlicher Verfahrensbestimmungen festgestellt worden ist (Art. 132 in Verbindung mit Art. 104 lit. a und b sowie Art. 105 Abs. 2 OG ). Ferner ist Art. 114 Abs. 1 OG zu beachten, wonach das Eidg. Versicherungsgericht in Abgabestreitigkeiten an die Parteibegehren nicht gebunden ist, wenn es im Prozess um die Verletzung von Bundesrecht oder um die unrichtige oder unvollständige Feststellung des Sachverhalts geht. 3. a) Nach Art. 5 des Sozialversicherungsabkommens mit der Bundesrepublik Deutschland vom 25. Februar 1964 sind bei der Ausübung einer Beschäftigung oder Tätigkeit im Gebiet einer Vertragspartei die Rechtsvorschriften dieser Vertragspartei anwendbar, soweit die Artikel 6 bis 9 des Abkommens nichts anderes bestimmen (Abs. 1 Satz 1). Für die Versicherungspflicht und die Bemessung der Beiträge von Personen, auf die nach Abs. 1 die Rechtsvorschriften beider Vertragsparteien anzuwenden sind, berücksichtigt jede Vertragspartei nur das in ihrem Gebiet erzielte Einkommen (Abs. 2). Das Abkommen statuiert demnach mit Bezug auf die Versicherungs- und die damit verbundene Beitragspflicht das Erwerbsortsprinzip. Ob eine Beschäftigung oder Tätigkeit in der Schweiz im Sinne von Art. 5 des Abkommens ausgeübt wird, beurteilt sich mithin aufgrund der Vorschriften des AHV-Rechts ( BGE 117 V 270 ; ZAK 1990 S. 338 E. 2a mit Hinweisen). b) Gemäss Art. 1 Abs. 1 lit. b AHVG sind nach Massgabe dieses Gesetzes die natürlichen Personen obligatorisch versichert, die in der Schweiz eine Erwerbstätigkeit ausüben. Nach dem im Sozialversicherungsabkommen statuierten Erwerbsortsprinzip ist für die Annahme einer Erwerbstätigkeit in der Schweiz im Sinne von Art. 1 Abs. 1 lit. b AHVG nicht erforderlich, dass die natürliche Person, welcher der wirtschaftliche Ertrag dieser Tätigkeit zufliesst, sich in BGE 119 V 65 S. 69 der Schweiz aufhält. Es genügt, dass sich die massgebende Erwerbstätigkeit in der Schweiz vollzieht, d.h. es ist entscheidend, wo sich der Mittelpunkt des wirtschaftlichen Sachverhaltes befindet, der dieser Tätigkeit erwerblichen Charakter verleiht. Die Leitung eines in der Schweiz domizilierten Unternehmens gilt - unabhängig davon, ob sie in der Schweiz oder massgeblich vom Ausland aus erfolgt - als in der Schweiz ausgeübte Erwerbstätigkeit. In welcher Rechtsform dies geschieht, ist grundsätzlich unerheblich (ZAK 1991 S. 494 E. 2b mit Hinweisen). Nach ständiger Rechtsprechung üben Personen mit Wohnsitz im Ausland, welche die Geschäftsleitung eines Unternehmens mit wirtschaftlichem Zweck und mit Sitz in der Schweiz haben, regelmässig eine Erwerbstätigkeit in der Schweiz aus. Die geschäftsleitende Funktion einer Person ergibt sich insbesondere aus ihrer Organstellung und der damit verbundenen Dispositionsbefugnis, je nach den Umständen auch aus dem Umfang der Kapitalbeteiligung. Wer seinen Wohnsitz im Ausland hat, aber als Verwaltungsrat, als Direktor oder in einer andern leitenden Funktion einer juristischen Person mit Sitz in der Schweiz im Handelsregister eingetragen ist und demzufolge einen bestimmenden Einfluss auf die Geschäftstätigkeit des schweizerischen Unternehmens auszuüben vermag, ist in der Schweiz erwerbstätig und daher für das ihm aus der Gesellschaft zufliessende Erwerbseinkommen beitragspflichtig, selbst wenn er die ihm zustehenden Befugnisse nicht ausübt und die eigentliche Geschäftsleitung andern Personen übertragen ist (ZAK 1983 S. 194, 1975 S. 246 und 369). Die Annahme einer Erwerbstätigkeit in der Schweiz im Sinne von Art. 1 Abs. 1 lit. b AHVG setzt anderseits nicht voraus, dass die im Ausland wohnende Person in der schweizerischen Gesellschaft formell die Stellung eines leitenden Organs hat und als solches im Handelsregister eingetragen ist. Nach der massgebenden wirtschaftlichen Betrachtungsweise genügt es, dass sie tatsächlich geschäftsleitende Befugnisse ausübt und ihr damit faktische Organstellung zukommt (ZAK 1991 S. 495; vgl. auch Käser, Unterstellung und Beitragswesen in der obligatorischen AHV, S. 22 f.). 4. a) Die Vorinstanz hat die streitige Nachzahlungsverfügung vom 22. November 1990 im wesentlichen mit der Begründung geschützt, dass Wilhelm G. seit 19. März/2. April 1986 als Mitglied und Vizepräsident des Verwaltungsrates der A. AG im Handelsregister eingetragen sei und im massgebenden Zeitraum aufgrund seiner Organstellung und der damit verbundenen Befugnisse zur BGE 119 V 65 S. 70 Überwachung der Geschäftstätigkeit entscheidenden Einfluss auf die Gesellschaft habe ausüben können, auch wenn ihm die eigentliche Geschäftsleitung nicht übertragen sei. Dass Wilhelm G. in seiner Organeigenschaft auf die Geschäftstätigkeit der A. AG im weitesten Sinn einen entscheidenden Einfluss ausüben könne, ergebe sich auch daraus, dass die von ihm beherrschte G. A. GmbH 50% der Aktien der A. AG halte und dass er für seine Verwaltungsratstätigkeit ein erhebliches Honorar und zusätzlich eine hohe Spesenentschädigung ausbezahlt erhalte. Wilhelm G. übe damit im Sinne von Art. 1 Abs. 1 lit. b AHVG in der Schweiz eine Erwerbstätigkeit aus, weshalb er dem Versicherungsobligatorium unterstehe. Da er in seiner Eigenschaft als Verwaltungsratsmitglied Einkommen aus unselbständiger Erwerbstätigkeit erziele ( Art. 5 AHVG in Verbindung mit Art. 7 lit. h AHVV ), sei die A. AG als Arbeitgeberin im Sinne von Art. 12 Abs. 1 AHVG für die ausbezahlte Entschädigung beitrags- und abrechnungspflichtig ( Art. 14 Abs. 1 AHVG ). Die Beschwerdeführerin hält dem entgegen, dass Wilhelm G. die A. AG nach aussen in keiner Weise vertrete und keine Einflussmöglichkeit auf deren Geschäftstätigkeit habe. Seitens der G. A. GmbH handle es sich um eine reine Finanzbeteiligung ohne Absicht auf Einflussnahme. Entsprechend der finanziellen Beteiligung der G.-Gruppe und von Jacques N. seien auch Honorar und Spesen paritätisch ausgestaltet. Nach der Rechtsprechung sei die Beitragspflicht jeweils bejaht worden, wenn ein direkter Einfluss auf die Geschäftsleitung festgestellt worden sei und aufgrund qualitativer Merkmale eine Erwerbstätigkeit habe angenommen werden können. Wenn die Vorinstanz als Indiz für einen Einfluss auf die Geschäftsleitung die paritätisch ausgestaltete Beteiligung und Entschädigung erwähne, bejahe sie die Beitragspflicht in unzulässiger Weise allein aufgrund eines quantitativen Merkmals. Des weitern sei darauf hinzuweisen, dass lediglich zwei Verwaltungsratssitzungen im Jahr stattfänden, so dass auch aufgrund dieses Umstandes kein Einfluss von Wilhelm G. auf die Geschäftsführung festgestellt werden könne. b) Wilhelm G. ist als Mitglied und Vizepräsident des Verwaltungsrates der A. AG im Handelsregister eingetragen und hat damit formelle Organstellung. Auch wenn die Geschäftsführung laut Aktionärbindungsvertrag vom 26. Mai 1986 beim Verwaltungsratspräsidenten Jacques N. liegt und Wilhelm G. im Rahmen der A. AG über keine Zeichnungsberechtigung verfügt, vermag er aufgrund seiner Aufsichts- und Kontrollrechte ( Art. 713 OR ), welche er schon im Hinblick auf die aktienrechtliche Verantwortlichkeit ( Art. 752 ff. OR ) BGE 119 V 65 S. 71 und die sozialversicherungsrechtliche Schadenersatzpflicht ( Art. 52 AHVG ) wahrzunehmen hat (vgl. BGE 114 V 213 ff. und 219 ff.), auf die Geschäftsleitung massgebend Einfluss zu nehmen. Nach der Rechtsprechung, an welcher festzuhalten ist, genügt es für die Versicherungs- und Beitragspflicht, dass das im Ausland wohnende Verwaltungsratsmitglied aufgrund seiner formellen Organstellung in der Gesellschaft deren Geschäftstätigkeit massgebend beeinflussen kann; ob es von seinen Befugnissen tatsächlich Gebrauch macht, ist grundsätzlich unerheblich (ZAK 1991 S. 495 E. 3b, 1975 S. 246). Im vorliegenden Fall kommt dazu, dass Wilhelm G. über die unbestrittenermassen von ihm beherrschte G. A. GmbH mit 50% am Aktienkapital der A. AG beteiligt ist. Er vermag daher auch aufgrund der Kapitalbeteiligung erheblichen Einfluss auf die Geschäftsleitung der A. AG zu nehmen, woran der Umstand nichts ändert, dass der paritätisch zusammengesetzte Verwaltungsrat seine Beschlüsse mit Mehrheit der anwesenden Mitglieder fasst und der Stichentscheid beim Präsidenten des Verwaltungsrates liegt (Art. 21 des Aktionärbindungsvertrages). Eine wesentliche Einflussmöglichkeit ergibt sich ferner daraus, dass die G. A. GmbH über 50% des Aktienkapitals verfügt und damit Beschlüsse der Generalversammlung von ihrer Zustimmung abhängig machen kann ( Art. 703 OR ), soweit die Statuten nichts anderes bestimmen. Wenn die Vorinstanz unter diesen Umständen zum Schluss gelangt ist, dass Wilhelm G. in der fraglichen Zeit eine im Sinne von Art. 1 Abs. 1 lit. b AHVG beitragspflichtige Erwerbstätigkeit in der Schweiz ausgeübt hat, hat sie weder in unzulässiger Weise allein aufgrund quantitativer Merkmale entschieden noch sonstwie Bundesrecht verletzt. 5. Die Beschwerdeführerin macht des weitern geltend, Wilhelm G. sei gemäss Art. 1 Abs. 2 lit. c AHVG und der Verwaltungspraxis von der Versicherungspflicht ausgenommen. a) Nach Art. 1 Abs. 2 lit. c AHVG sind Personen, welche die in Art. 1 Abs. 1 AHVG genannten Voraussetzungen nur für eine verhältnismässig kurze Zeit erfüllen, nicht versichert. Mit Art. 2 AHVV hat der Bundesrat ergänzende Bestimmungen erlassen und den Begriff der verhältnismässig kurzen Zeit für einzelne Personenkategorien und Tätigkeiten näher umschrieben. Danach gelten als Personen, welche die Voraussetzungen für die obligatorische Versicherung nur für eine verhältnismässig kurze Zeit erfüllen, solche, die sich ausschliesslich zu Besuchs-, Kur-, Ferien-, Studien- oder sonstigen Ausbildungszwecken in der Schweiz aufhalten, sofern sie in der Schweiz BGE 119 V 65 S. 72 keine Erwerbstätigkeit ausüben und keinen Wohnsitz begründen (lit. a); die in der Schweiz während längstens drei aufeinanderfolgenden Monaten eine Erwerbstätigkeit ausüben, sofern sie von einem Arbeitgeber im Ausland entlöhnt werden, wie Reisende und Techniker ausländischer Firmen, oder wenn sie lediglich bestimmte Aufträge auszuführen bzw. Verpflichtungen zu erfüllen haben, wie Künstler, Artisten und Experten (lit. b); die in der Schweiz während insgesamt höchstens sechs Monaten im Kalenderjahr selbständig erwerbstätig sind als Marktfahrer, Scherenschleifer, Korbflicker, Hausierer, Schaubudenbesitzer und in ähnlichen Berufen, sowie deren Arbeitnehmer (lit. c); die zur Verrichtung bestimmter, saisonbedingter Arbeiten in die Schweiz einreisen und sich hier höchstens acht Wochen im Jahr aufhalten (lit. d); die nur vorübergehend der Asylgewährung teilhaftig werden und keine Erwerbstätigkeit in der Schweiz ausüben (lit. e). Die Verordnungsbestimmung enthält keine Vorschriften hinsichtlich der Versicherungs- und Beitragspflicht von im Ausland wohnhaften Verwaltungsratsmitgliedern schweizerischer Aktiengesellschaften. Dagegen wird in Rz. 3049 des vom BSV herausgegebenen Kreisschreibens über die Versicherungspflicht (KSV), gültig ab 1. Januar 1990, festgestellt, dass im Ausland wohnhafte Personen, die als Verwaltungsrat einer Aktiengesellschaft mit Sitz in der Schweiz nur an Verwaltungsratssitzungen teilnehmen und weder geschäftsleitende Funktionen ausüben noch über eine Zeichnungsberechtigung verfügen, als in der Schweiz nur für eine verhältnismässig kurze Zeit erwerbstätig gelten. Es fragt sich, ob diese Verwaltungsweisung mit den anwendbaren gesetzlichen Bestimmungen vereinbar ist (vgl. BGE 117 V 284 E. 4c, BGE 116 V 19 E. 3c mit Hinweisen). b) Mit Art. 1 Abs. 2 lit. c AHVG sollen jene Personen nicht in das Obligatorium einbezogen werden, welche die Voraussetzungen dafür nur für verhältnismässig kurze Zeit erfüllen, d.h. nur für eine verhältnismässig kurze Zeit in der Schweiz Wohnsitz nehmen, in der Schweiz eine Erwerbstätigkeit ausüben oder im Ausland für einen Arbeitgeber in der Schweiz tätig sind (Botschaft des Bundesrates zum Bundesgesetz über die AHV vom 20. Dezember 1946, BBl 1946 II 520). Dementsprechend betreffen die in Art. 2 AHVV genannten Ausnahmen von der Versicherungspflicht Personen, die sich nur vorübergehend in der Schweiz aufhalten, ohne hier eine Erwerbstätigkeit auszuüben (lit. a und e) oder nur während einer bestimmten (einmaligen oder jährlich begrenzten) Dauer in der Schweiz BGE 119 V 65 S. 73 erwerbstätig sind (lit. b bis d). Keine ausdrückliche Regelung hat der Sachverhalt des nur für eine verhältnismässig kurze Zeit im Ausland für einen Arbeitgeber in der Schweiz tätigen Arbeitnehmers ( Art. 1 Abs. 1 lit. c AHVG ) erfahren. Der Ausnahmetatbestand gemäss Rz. 3049 KSV lässt sich unter keine der in Art. 2 AHVV genannten Kategorien subsumieren; entgegen der von Binswanger (Kommentar zum Bundesgesetz über die Alters- und Hinterlassenenversicherung, S. 17) geäusserten Auffassung auch nicht unter lit. b der Bestimmung, welche Personen betrifft, die in der Schweiz nur bestimmte Aufträge ausführen oder Verpflichtungen zu erfüllen haben (vgl. hiezu ZAK 1990 S. 338). Nicht um eine solche, zum vornherein begrenzte Tätigkeit handelt es sich bei den im Ausland wohnhaften Verwaltungsratsmitgliedern schweizerischer Gesellschaften, welche ihre Funktion grundsätzlich während des ganzen Jahres (und nicht nur während der Verwaltungsratssitzungen) ausüben. Es kann bezüglich dieser Personen daher nicht von einer Erwerbstätigkeit während verhältnismässig kurzer Zeit im Sinne von Gesetz und Verordnung gesprochen werden. Sodann bilden weder der Umstand, dass ein Verwaltungsratsmitglied seine Tätigkeit auf die Teilnahme an den Verwaltungsratssitzungen beschränkt, noch die von der Beschwerdeführerin ins Feld geführte Anzahl der jährlichen Verwaltungsratssitzungen ein taugliches Abgrenzungskriterium. Abgesehen davon, dass der massgebende Sachverhalt in der Regel kaum festzustellen wäre (so auch Käser, Unterstellung und Beitragswesen in der obligatorischen AHV, S. 40 N. 1.83), ändert nach dem Gesagten am Tatbestand der Erwerbstätigkeit nichts, ob ein Verwaltungsratsmitglied über die blosse Teilnahme an Verwaltungsratssitzungen hinaus in der Gesellschaft mitwirkt und damit geschäftsleitende Funktionen ausübt oder nicht. Die Versicherungs- und Beitragspflicht folgt unmittelbar aus der formellen Organstellung und den damit verbundenen Einflussmöglichkeiten auf die Geschäftsleitung, so dass auch dem Kriterium der Zeichnungsberechtigung nicht entscheidende Bedeutung zukommt. Das BSV räumt in der Vernehmlassung zur Verwaltungsgerichtsbeschwerde denn auch selber ein, dass sich die getroffene Regelung sachlich als problematisch erweise und das Eidg. Versicherungsgericht bei der Beurteilung der Versicherungspflicht von im Ausland wohnenden Verwaltungsratsmitgliedern schweizerischer Aktiengesellschaften bisher nie zwischen geschäftsführenden und nichtgeschäftsführenden Verwaltungsräten unterschieden habe. Das BGE 119 V 65 S. 74 Bundesamt weist des weitern zu Recht darauf hin, dass auch Teilhaber von Kollektiv- und Kommanditgesellschaften dem Versicherungsobligatorium unterliegen, selbst wenn sie keine persönliche Arbeitsleistung erbringen (ZAK 1986 S. 461 E. 4c mit Hinweisen). Zwar sind die zivilrechtlichen Unterschiede zwischen Personen- und Kapitalgesellschaften auch bei der Versicherungs- und Beitragspflicht von Bedeutung ( BGE 105 V 8 E. 2b, ZAK 1986 S. 461 E. 4c). Nach der massgebenden wirtschaftlichen Betrachtungsweise (ZAK 1991 S. 495 E. 3b) wäre es indessen nicht verständlich, weshalb der im Ausland wohnhafte Teilhaber einer Kollektiv- oder Kommanditgesellschaft auch dann dem Versicherungsobligatorium untersteht, wenn er keine persönliche Arbeitsleistung erbringt, wogegen dies für den Verwaltungsrat einer Aktiengesellschaft nicht gelten sollte. Schliesslich ist darauf hinzuweisen, dass das Eidg. Versicherungsgericht auch im Rahmen der Arbeitgeberhaftung gemäss Art. 52 AHVG die formelle Organeigenschaft des im Handelsregister eingetragenen Verwaltungsratsmitgliedes grundsätzlich als genügend erachtet ( BGE 114 V 213 , 219). Zusammenfassend ist somit festzustellen, dass sich Rz. 3049 KSV als bundesrechtswidrig erweist, weshalb die Beschwerdeführerin hieraus nichts für sich ableiten kann. 6. Nach dem Gesagten hat die Ausgleichskasse die Bezüge von Wilhelm G. zu Recht der Beitragspflicht unterstellt und die A. AG hiefür als abrechnungs- und beitragspflichtig erklärt ( Art. 14 Abs. 1 AHVG ). Nicht bestritten ist, dass es sich bei den von der Ausgleichskasse erfassten Bezügen um massgebenden Lohn im Sinne von Art. 5 Abs. 2 AHVG und Art. 7 lit. h AHVV handelt. Unbestritten geblieben ist die Nachzahlungsforderung zudem in masslicher Hinsicht. Dispositiv Demnach erkennt das Eidg. Versicherungsgericht: I. Auf die Verwaltungsgerichtsbeschwerde von Wilhelm G. wird nichteingetreten. II. Die Verwaltungsgerichtsbeschwerde der A. AG wird abgewiesen, soweit darauf einzutreten ist.
null
nan
de
1,993
CH_BGE
CH_BGE_007
CH
Federation
282810b2-294c-4d5f-8d50-95c3409eff82
Urteilskopf 100 II 1 1. Auszug aus dem Urteil der II. Zivilabteilung vom 1. Februar 1974 i.S. W. gegen C.
Regeste Passive Vererblichkeit einer "unter allen Titeln" geschuldeten scheidungsrechtlichen Rente?
Sachverhalt ab Seite 1 BGE 100 II 1 S. 1 Aus dem Tatbestand: Mit Urteil vom 12. Mai 1964 schied das Bezirksgericht Zürich die Ehe der Eheleute B. und genehmigte eine Vereinbarung über die Nebenfolgen der Scheidung, die unter anderem folgende Bestimmungen enthält: "2. Der Kläger bezahlt der Beklagten eine monatliche Rente von Fr. 600.-- unter allen Titeln zahlbar jeweils monatlich zum voraus. Bei wesentlicher Veränderung der Einkommensverhältnisse des Klägers kann diese Rente durch das Gericht entsprechend angepasst werden. 4. Der Kläger verpflichtet sich, bei Einstellung seiner beruflichen Tätigkeit bei der jetzigen Arbeitgeberin der Beklagten einen Betrag von Fr. 1000.-- zu bezahlen. In diesem Betrag zediert der Kläger seine Ansprüche bei der Firma Schafir & Mugglin an die Beklagte." Nach seiner Pensionierung stellte B. beim Kantonsgericht Wallis das Begehren, die Rente sei aufzuheben. Am 4. November 1969 starb B., und die von ihm als Alleinerbin eingesetzte C. trat an seiner Stelle in den Prozess ein. Mit Urteil vom 2./13. November 1973 setzte das Kantonsgericht die Rente in teilweiser Gutheissung der Klage auf Fr. 300.-- herab und verpflichtete C., die bis zum Tode des B. aufgelaufenen Rentenleistungen zu bezahlen. Gegen dieses Urteil erklärte die Beklagte die Berufung ans Bundesgericht. BGE 100 II 1 S. 2 Erwägungen Aus den Erwägungen: 4. Das Kantonsgericht ist der Ansicht, die Rente sei mit dem Tod des B. untergegangen und die Klägerin habe daher nur die bis zu diesem Zeitpunkt aufgelaufenen Rentenleistungen zu bezahlen. Demgegenüber vertritt die Beklagte die Auffassung, die Pflicht zur Bezahlung der Rente sei auf die Klägerin als Alleinerbin des B. übergegangen. Im allgemeinen wird angenommen, die Bedürftigkeitsrente im Sinne von Art. 152 ZGB - eine aus Billigkeitsgründen anerkannte Nachwirkung der Ehe - sei passiv unvererblich (HINDERLING, Das schweizerische Ehescheidungsrecht, 3. Aufl., S. 145; EGGER, N. 4 zu Art. 153 ZGB ; WÄSCH, Die Abänderung von Ehescheidungsurteilen nach Art. 153 ZGB , Diss. Bern 1950, S. 47; Zürcher Obergericht in ZR 1953 Nr. 136; zweifelnd der in ZR 1936 Nr. 84 veröffentlichte Entscheid des Bundesgerichts). Anders verhält es sich, wenn die Rente auf Grund von Art. 151 ZGB geschuldet ist. Eine solche Rentenverpflichtung geht nach der Lehre beim Tod des Rentenschuldners in der Regel auf dessen Erben über (EGGER, a.a.O.; WÄSCH, a.a.O.; V. SCHWANDER, Die Entschädigung wegen Eheauflösung nach Art. 151 Abs. 1 ZGB , Diss. Freiburg 1937, S. 95). Das kann jedoch nur insoweit gelten, als die Rente nicht den Ersatz des entgangenen ehelichen Unterhaltsanspruchs bezweckt. Eine Unterhaltsersatzrente ist naturgemäss unvererblich, denn mit dem Tod des pflichtigen Ehegatten würde der Anspruch, für dessen Verlust die Rente Ersatz bieten soll, auch bei fortbestehender Ehe dahinfallen ( BGE 85 II 76 Erw. 2a; Zürcher Obergericht in ZR 1953 Nr. 136; HINDERLING, a.a.O. S. 143). Entscheidend für die Frage der passiven Vererblichkeit einer scheidungsrechtlichen Rente ist daher deren Rechtsgrund. Besteht darüber Unklarheit, so hat derjenige darzutun, die Rente sei unter einem bestimmten Titel geschuldet, der daraus Rechte ableitet (entsprechend für die Frage der Herabsetzbarkeit BGE 71 II 13 , Zürcher Obergericht in SJZ 1953 S. 326 f.). Wer die passive Vererblichkeit behauptet, hat demzufolge den Nachweis zu erbringen, dass die Rente nicht Unterhaltscharakter hat, sondern auf einem andern Rechtsgrund beruht. Dies gilt auch dann, wenn sie auf Grund einer Scheidungskonvention geschuldet ist. Entgegen der vom Bundesgericht in ZR 1936 Nr. 84 geäusserten Ansicht lässt sich demnach nicht sagen, eine in einer BGE 100 II 1 S. 3 Scheidungskonvention vereinbarte Rente sei im Zweifel als passiv vererblich anzusehen. Die Vermutung von Art. 516 Abs. 2 OR , wonach in Ermangelung einer bestimmten Verabredung angenommen wird, eine Rente sei auf die Lebenszeit des Rentengläubigers versprochen, ist auf solche Renten nicht ohne weiteres anwendbar. Denn diese haben ihren Rechtsgrund, auch wenn sie von den Parteien frei vereinbart worden sind, letzten Endes eben doch im Scheidungsrecht bzw. in den Art. 151 und 152 ZGB und unterscheiden sich daher in wesentlicher Hinsicht von den Leibrenten im Sinne von Art. 516 ff. OR . Im vorliegenden Fall wurde die Rente gemäss der richterlich genehmigten Scheidungskonvention "unter allen Titeln" zugesprochen. Welcher Rechtsgrund sich hinter dieser Formel versteckt, ist zunächst eine Frage der Auslegung der Konvention (vgl. V. SCHWANDER, a.a.O. S. 98 ff.). Nach den Behauptungen der Beklagten im Scheidungsprozess, zu denen das Gericht nicht Stellung nahm, die aber vom Ehemann offenbar nicht bestritten worden waren, hatte dieser ein ehewidriges Verhältnis mit einer Frau X. unterhalten, war also an der Scheidung nicht schuldlos. Es ist deshalb unwahrscheinlich, dass die Rente bloss Ansprüche aus Art. 152 ZGB abgelten sollte. Sie scheint aber doch Unterhaltscharakter zu haben. Die bescheidenen wirtschaftlichen Verhältnisse des Ehemannes lassen die Annahme einer Entschädigung für entgangene Erbanwartschaften völlig in den Hintergrund treten. Allfällige Ansprüche der Beklagten an der Pension des Ehemannes sollten sodann wohl durch die Summe von Fr. 1000.--, die dieser bei Einstellung seiner beruflichen Tätigkeit zu bezahlen hatte, abgegolten werden. Dazu kommt, dass in der Vereinbarung ausdrücklich vorgesehen ist, die Rente könne bei wesentlicher Veränderung der Einkommensverhältnisse des Ehemannes entsprechend angepasst werden. In der Regel sind aber nur Unterhaltsrenten herabsetzbar ( BGE 80 II 187 , BGE 71 II 12 ). Anhaltspunkte, die sich gegen den Unterhaltscharakter der Rente anführen liessen, hat die Beklagte nicht vorgebracht. Es war aber deren Sache, den Nachweis dafür zu erbringen, dass die Rente unter einem andern Titel geschuldet war. Ist dieser Nachweis nicht erbracht, so ist nach dem Gesagten anzunehmen, die Rente sei passiv unvererblich. Für dieses Ergebnis spricht übrigens auch der Umstand, dass der Ehemann nur über ein bescheidenes Vermögen verfügte und der Nachlass daher zur Bezahlung der Rente nicht ausreicht. Die Klägerin wäre demzufolge BGE 100 II 1 S. 4 bei Annahme der passiven Vererblichkeit gezwungen, die Rente aus ihren eigenen Mitteln zu bezahlen. Es ist aber unwahrscheinlich, dass die Ehegatten eine derartige unbillige Belastung der Erben des Ehemannes, die nur mit der Ausschlagung der Erbschaft hätte abgewendet werden können, gewollt haben. Die Berufung erweist sich daher auch in diesem Punkt als unbegründet.
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Urteilskopf 102 Ia 379 55. Auszug aus dem Urteil vom 3. November 1976 i.S. Burger gegen Staatsanwaltschaft und Überweisungsbehörde des Kantons Basel-Stadt
Regeste Verlängerung der Untersuchungshaft; persönliche Freiheit; Art. 5 Ziff. 3 und Art. 6 Ziff. 2 EMRK . 1. Verhältnis zwischen den Individualrechten des schweizerischen Verfassungsrechts und den von der EMRK geschützten Rechten. Auslegung der Verfassungsrechte in Verbindung mit den entsprechenden Konventionsbestimmungen (hier: der persönlichen Freiheit in Verbindung mit Art. 5 Ziff. 3 bzw. 6 Ziff. 2 EMRK) (E. 2). 2. Unverzügliche Vorführung eines festgenommenen oder inhaftierten Angeschuldigten vor einen Richter oder einen Beamten mit richterlichen Funktionen gemäss Art. 5 Ziff. 3 EMRK . Bedeutung dieser Garantie; Anforderungen an einen "gesetzlich zur Ausübung richterlicher Funktionen ermächtigten Beamten" (E. 4).
Sachverhalt ab Seite 380 BGE 102 Ia 379 S. 380 Ernst A. Burger befindet sich seit dem 20. Juni 1975 im Lohnhof in Basel in Untersuchungshaft. Gegen eine Haftverlängerung vom 18. März 1976 erhob er Einsprache, die der Erste Staatsanwalt des Kantons Basel-Stadt abwies. Hiegegen rekurrierte Burger an die Überweisungsbehörde des Kantons Basel-Stadt, welche den Rekurs mit Beschluss vom 12. Mai 1976 abwies. Gegen diesen Beschluss führt Burger staatsrechtliche Beschwerde; er rügt eine Verletzung der persönlichen Freiheit sowie der Art. 5 Ziff. 3 und 6 Ziff. 2 EMRK . Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab. BGE 102 Ia 379 S. 381 Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. Es ist unbestritten, dass Ernst A. Burger vor seiner Überführung in den provisorischen Strafvollzug nur noch wegen Fluchtgefahr in Untersuchungshaft gehalten wurde und ein anderer Haftgrund nicht mehr in Frage stand. Gemäss § 53 Ziff. 2 StPO kann der einer strafbaren Handlung Verdächtige in Untersuchungshaft gesetzt werden, "wenn seine Flucht zu befürchten ist". Die Verfassungsmässigkeit dieser Bestimmung wird vom Beschwerdeführer nicht bestritten. Indes ist er der Ansicht, die Voraussetzungen für diesen Haftgrund seien im vorliegenden Fall nicht gegeben; ferner hält er die Inhaftierung wegen unangemessener Dauer der Untersuchungshaft für unzulässig. Er macht eine Verletzung der persönlichen Freiheit sowie der Art. 5 Ziff. 3 und 6 Ziff. 2 EMRK geltend. Wie das Bundesgericht in BGE 101 Ia 69 (E. 2c) ausgeführt hat, übernimmt und entwickelt die EMRK Bestimmungen weiter, die zahlreiche Staatsverfassungen im Rahmen der Freiheitsrechte gewährleisten oder die die Vertragsstaaten als ungeschriebene Verfassungsrechte anerkennen. Das bedeute, dass die von der Konvention geschützten Rechte in Verbindung mit den entsprechenden Individualrechten unseres geschriebenen und ungeschriebenen Verfassungsrechts zu bestimmen seien. Die Frage, ob die Weiterführung der Untersuchungshaft gegenüber dem Beschwerdeführer gerechtfertigt ist, ist daher im folgenden grundsätzlich nach der im ungeschriebenen Verfassungsrecht des Bundes garantierten persönlichen Freiheit zu beurteilen, für deren Konkretisierung die angerufenen Garantien der EMRK einzubeziehen sind, wobei im besonderen auch die Rechtsprechung der Konventionsorgane zu berücksichtigen ist (vgl. auch BGE 102 Ia 283 E. 2b). a) In BGE 95 I 242 hat das Bundesgericht unter dem Gesichtspunkt der persönlichen Freiheit festgehalten, für die Annahme von Fluchtgefahr genüge es nicht, wenn die Flucht objektiv möglich sei. Die Möglichkeit, dass ein verhafteter Angeschuldigter sich durch Flucht der Strafverfolgung entziehe, bestehe an sich in jedem Strafverfahren. Es brauche daher eine gewisse Wahrscheinlichkeit, dass der Betroffene sich durch Flucht dem Vollzug der Strafe entziehen werde. Dabei müsse die Schwere der Fluchtgefahr in jedem einzelnen BGE 102 Ia 379 S. 382 Fall von der zuständigen Behörde gewürdigt werden (vgl. auch BGE 95 I 205 E. 2). Nach der Auslegung, die der Europäische Gerichtshof dem in Art. 5 Ziff. 3 EMRK festgehaltenen "Anspruch auf Aburteilung innerhalb einer angemessenen Frist oder auf Haftentlassung während des Verfahrens" ("... and shall be entitled to trial within a reasonable time or to release pending trial"/"... et a le droit d'être jugée dans un délai raisonnable ou libérée pendant la procédure") gegeben hat, gebietet diese Bestimmung der Konvention nicht nur, dass ein Inhaftierter innerhalb einer angemessenen Frist vor Gericht gestellt werden muss; sondern sie bedeutet auch, dass ein Untersuchungsgefangener das Recht hat, freigelassen zu werden, sobald kein hinreichender Grund mehr für seine Inhaftierung besteht (vgl. JACOBS, The European Convention on Human Rights, Oxford 1975, S. 64 ff. mit Hinweisen auf die einschlägigen Entscheide des Gerichtshofes; ferner die Entscheide der Kommission No. 4465/70 vom 31. März 1971, Rec. 38, S. 67; No. 4225/69 vom 17. März 1970, Jb. 13/1970, S. 885 sowie die bei TRECHSEL, Die Europäische Menschenrechtskonvention, ihr Schutz der persönlichen Freiheit und die schweizerischen Strafprozessrechte, Bern 1974, S. 260 f. angeführten Beispiele zur Rechtsprechung der Kommission, die sich der Auslegung des Gerichtshofs angeschlossen hat, nachdem ihr eigenes Vorgehen zu dieser Frage vom Gerichtshof ausdrücklich abgelehnt worden war (vgl. das Urteil im Fall Wemhoff, §§ 11 und 12 der Erwägungen, Jb. 11/1968, S. 805 und TRECHSEL a.a.O. mit weiteren Hinweisen)). Die Abklärung, ob in einem konkreten Fall ein hinreichender Grund für eine Inhaftierung besteht, erfordert danach eine volle Überprüfung der angerufenen Haftgründe sowie der für eine Freilassung sprechenden Gesichtspunkte (Fall Wemhoff § 12 der Erwägungen, Jb. a.a.O.; Fall Neumeister § 5 der Erwägungen, Jb. 11/1968 S. 815/817, etc.). Nach den Anforderungen, die der Europäische Gerichtshof im Fall Wemhoff an den Haftgrund der Fluchtgefahr gestellt hat, darf zwar die Schwere der vom Angeschuldigten zu erwartenden Strafe als ein Indiz für Fluchtgefahr gewertet werden; die Möglichkeit einer Verurteilung zu einer schweren Strafe genügt indessen für sich allein nicht, dass in einem konkreten Fall die Fluchtgefahr bejaht werden kann; vielmehr müssen dafür die konkreten Umstände des Falles, insbesondere die materielle Lage und das gesamte BGE 102 Ia 379 S. 383 Verhalten des Inhaftierten in Betracht gezogen werden (Jb. 11/1968 S. 806 f., § 14 der Erwägungen). b) ... c) ... 4. Schliesslich macht der Beschwerdeführer geltend, der angefochtene Beschluss verstosse gegen Art. 5 Ziff. 3 EMRK , weil nach seiner Inhaftierung eine unverzügliche Einvernahme durch einen Richter oder einen anderen gesetzlich zur Ausübung richterlicher Funktionen ermächtigten Beamten unterblieben sei und er nur durch die Staatsanwaltschaft einvernommen worden sei. a) Entgegen der Ansicht des Beschwerdeführers könnte eine allfällige Gutheissung der Beschwerde in diesem Punkt auf keinen Fall dazu führen, dass der Beschwerdeführer aus der Untersuchungshaft entlassen werden müsste, da - wie ausgeführt - ein Haftgrund nach wie vor besteht. Eine allfällige Gutheissung könnte höchstens zur Folge haben, dass die Anhörung durch ein den Anforderungen des Art. 5 Ziff. 3 EMRK genügendes Organ nachgeholt werden müsste. b) Gemäss Art. 5 Ziff. 3 EMRK muss jede nach Ziff. 1 lit. c dieser Vorschrift festgenommene oder in Haft gehaltene Person "unverzüglich einem Richter oder einem andern, gesetzlich zur Ausübung richterlicher Funktionen ermächtigten Beamten vorgeführt werden" ("doit être aussitôt traduite devant un juge ou un autre magistrat habilité par la loi à exercer des fonctions judiciaires ..."/"shall be brought promptly before a judge or other officer authorised by law to exercise judicial power"). Im Kanton Basel-Stadt amtet die Staatsanwaltschaft von Gesetzes wegen als Untersuchungsbehörde in der strafrechtlichen Voruntersuchung (vgl. § 55 Abs. 1 des baselstädtischen Gerichtsorganisationsgesetzes - GOG - und § 22 ff. StPO ). In BGE 102 Ia 183 E. 3b (i. S. Schiesser) ist das Bundesgericht zum Ergebnis gekommen, dass die Bezirksanwaltschaft des Kantons Zürich als Untersuchungsbehörde eine richterliche Funktion im Sinne von Art. 5 Ziff. 3 EMRK ausübe. Das Bundesgericht stützte sich dabei vor allem darauf, dass die Untersuchung nicht einseitig auf das Ziel der Anklageerhebung ausgerichtet sei, sondern die Möglichkeit der Entlastung des Angeschuldigten gleichwertig in sich schliesse, womit sich die Tätigkeit der Bezirksanwaltschaft im Verfahrensstadium der BGE 102 Ia 379 S. 384 Voruntersuchung als untersuchungsrichterliche im eigentlichen Sinn des Wortes charakterisiere. Dabei legte es ein gewisses Gewicht auf die Tatsache, dass die Funktionen der Untersuchungs- und Anklagebehörde im dort zu beurteilenden Fall personell getrennt waren und eine allfällige Anklage nicht durch die Bezirksanwaltschaft, sondern durch die Staatsanwaltschaft vor Geschworenengericht vertreten würde. Wie die Zürcher Bezirksanwaltschaft hat auch die Staatsanwaltschaft des Kantons Basel-Stadt nicht nur die Funktion des öffentlichen Anklägers inne, sondern es kommen ihr ebenfalls untersuchungsrichterliche Funktionen zu. Gemäss § 55 Abs. 1 GOG umfasst das Amt der Staatsanwälte die Untersuchung im gesetzlichen Ermittlungsverfahren sowie die Vertretung der öffentlichen Anklage vor Gericht. Ferner bleibt beim Verfahren auf öffentliche Klage gemäss § 22 ff. StPO die Staatsanwaltschaft nach Massgabe von § 125 StPO bis zur Einreichung der Anklage und mit Ausnahme des gerichtlichen Überweisungsverfahrens zur Verfügung über den Angeschuldigten zuständig ( § 22 lit. a StPO ). Die Basler Staatsanwälte sind somit insofern im Sinne von Art. 5 Ziff. 3 EMRK "gesetzlich" zur Ausübung (untersuchungs)richterlicher Funktionen ermächtigt ("habilité par la loi"/"authorised by law"). Im Unterschied zum erwähnten Urteil i.S. Schiesser besteht indessen im vorliegenden Fall keine durchgängige personelle Trennung zwischen dem Staatsanwalt, der die Untersuchung leitet und demjenigen, der zum gegebenen Zeitpunkt allenfalls die Anklage erhebt. Die Frage, ob die Basler Staatsanwaltschaft im Sinne von Art. 5 Ziff. 3 EMRK als ein "gesetzlich zur Ausübung richterlicher Funktionen ermächtigter Beamter" angesehen werden kann, lässt sich demnach nicht bloss mit der Verweisung auf das Urteil i.S. Schiesser beantworten, sondern bedarf einer zusätzlichen Überprüfung. Es drängt sich auf, hierfür die Tragweite der angerufenen Bestimmung erneut zu untersuchen. Art. 5 Ziff. 3 EMRK stellt gewisse Mindestanforderungen an die zur Anhörung zuständige Behörde, wobei - wie das Bundesgericht bereits im Urteil i.S. Schiesser ausgeführt hat (E. 3a) - vor allem verhindert werden soll, dass die Anhörung in die Hände untergeordneter, weisungsabhängiger Beamter im besonderen der gerichtlichen Polizei fällt. Bei der in Art. 5 Ziff. 3 EMRK geforderten unverzüglichen Vorführung BGE 102 Ia 379 S. 385 vor einen Richter oder einen Beamten mit richterlichen Funktionen geht es nur um die erste Einvernahme eines Angeschuldigten nach dessen Festnahme oder Inhaftierung und nicht um das Verfahren der strafrechtlichen Voruntersuchung an sich (vgl. TRECHSEL a.a.O. S. 245 unten mit Hinweisen). Die Vorführung vor eine im Sinne von Art. 5 Ziff. 3 EMRK zuständige Behörde ist auch deutlich von dem in Art. 5 Ziff. 4 EMRK vorgeschriebenen richterlichen Haftprüfungsverfahren zu unterscheiden, das im übrigen im Kanton Basel-Stadt mit dem Rekurs an die Überweisungsbehörde, die sich aus Mitgliedern des urteilenden Strafgerichts zusammensetzt (§ 11 GOG), klarerweise konventionskonform ausgestaltet ist. Es geht bei dieser ersten Einvernahme darum, dass der Häftling so schnell als möglich Gelegenheit erhält, sich zu entlasten; er soll sich zu den Gründen der vorläufigen Freiheitsentziehung vor einer kompetenten Behörde äussern können, und die Einvernahme soll den Entscheid, ob die Haft aufrechtzuerhalten ist, ermöglichen (vgl. MEYER, Der Schutz der persönlichen Freiheit im rechtsstaatlichen Strafprozess, Diss. Zürich 1962, S. 133; TRECHSEL a.a.O. S. 245 f.). Wichtig ist daher - wie sich das bereits aus dem Wortlaut der Vorschrift aufdrängt -, dass der Angeschuldigte der Behörde vorgeführt wird und sich diese nicht mit einem schriftlichen Verfahren begnügt. Aus dem Zweck dieser Vorführung sowie dem grundsätzlichen Anliegen nach Schutz der Person vor willkürlicher oder irrtümlicher Festnahme und Haft, welches dem Art. 5 EMRK insgesamt zugrunde liegt, ergeben sich einige weitere zwingende Forderungen. Es ist danach unerlässlich, dass die Anhörung nicht durch die Polizei erfolgt; ebenso zwingend ist, dass die für die Anhörung zuständige Behörde rechtlich und faktisch von der Regierung weisungsunabhängig ist und dass sie in bezug auf das durchzuführende Strafverfahren die nötige Fachkunde und Sachkompetenz besitzt. Sind diese Voraussetzungen erfüllt, so dürfte das in der Regel genügen dafür, dass die mit Art. 5 Ziff. 3 EMRK erstrebte Garantie für eine rechtsstaatlich unbedenkliche Durchführung dieser ersten Anhörung vorhanden ist und die betreffende Behörde als Organ mit "richterlichen Funktionen" (genauer = "judicial power"/"fonctions judiciaires") im Sinne von Art. 5 Ziff. 3 EMRK angesehen werden kann. BGE 102 Ia 379 S. 386 In bezug auf die zur Anhörung zuständigen Basler Staatsanwälte lässt sich das jedenfalls ohne Bedenken annehmen. Die Basler Staatsanwälte unterstehen für die Durchführung des Strafverfahrens und der ersten Anhörung im besonderen nicht der Weisung des Regierungsrates. Dass der Regierungsrat der Staatsanwaltschaft allenfalls die Weisung erteilen kann, eine Strafverfolgung nach Vorschrift des Gesetzes an die Hand zu nehmen (§ 50 Abs. 2 GOG) und die Staatsanwaltschaft dem Regierungsrat jährlich und wenn erforderlich in einzelnen Fällen Bericht über ihre Tätigkeit zu erstatten hat (§ 50 Abs. 1 GOG) widerspricht dem nicht. Auf den Ablauf des Verfahrens der Strafverfolgung hat der Regierungsrat keinen Einfluss; vielmehr steht die gesamte Voruntersuchung in dieser Hinsicht unter Kontrolle der Überweisungsbehörde, an die rekurriert werden kann und die - wie ausgeführt - eine gerichtliche Behörde ist. Die Unabhängigkeit der Staatsanwälte von der Regierung kommt auch darin zum Ausdruck, dass der Gesetzgeber diesem Organ auch in der Form der Bestellung im Verhältnis zur Exekutive und zur Verwaltung eine gewisse Unabhängigkeit zuerkannt hat, indem die Staatsanwälte vom kantonalen Parlament (dem Grossen Rat, § 78 GOG) gewählt werden. Wählbar als Staatsanwalt ist sodann nur, wer die Erfordernisse der Wählbarkeit als Gerichtspräsident besitzt (§ 78 GOG); danach muss ein Staatsanwalt insbesondere über eine abgeschlossene juristische Ausbildung verfügen (§ 7 Abs. 2 GOG). Das verbürgt hinreichend die im Sinne von Art. 5 Ziff. 3 EMRK geforderte Fachkompetenz der zuständigen Behörde. Soweit der Beschwerdeführer beanstandet, er sei nur von einem Staatsanwalt einvernommen worden, haben deshalb die Basler Behörden zu Recht eine Verletzung des Art. 5 Ziff. 3 EMRK verneint. Die Beschwerde ist daher auch in diesem Punkt abzuweisen.
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Urteilskopf 109 Ia 177 33. Extrait de l'arrêt de la Cour de cassation pénale du 24 mai 1983 dans la cause D. contre Procureur général du canton de Genève (recours de droit public)
Regeste Strafverfahren, rechtliches Gehör. 1. Gemäss Art. 4 BV und 6 EMRK steht dem Angeklagten das Recht zu, sich zu allen wesentlichen Punkten zu äussern. Diesem Grundsatz wird genügend Rechnung getragen, wenn dem Betroffenen dieses Recht spätestens an der Gerichtsverhandlung eingeräumt wird (E. 3). 2. Ein Urteil muss nicht wegen Verletzung des rechtlichen Gehörs aufgehoben werden, wenn sich die behauptete Verletzung nicht auf einen wesentlichen Punkt (z.B. nicht auf den Beweis der Schuld des Angeklagten) bezieht (E. 4)
Erwägungen ab Seite 177 BGE 109 Ia 177 S. 177 Extrait des considérants: 3. L' art. 4 Cst et l' art. 6 CEDH donnent au justiciable notamment le droit de s'expliquer sur tous les points essentiels avant qu'une décision soit prise à son détriment, de participer à BGE 109 Ia 177 S. 178 l'administration des preuves, d'en prendre connaissance et de se déterminer à leur propos, et de fournir lui-même des preuves ( ATF 105 Ia 290 consid. b; voir ATF 105 Ia 195 ). Le recourant a eu la possibilité de se déterminer sur les pièces dont il s'agit ici, et cela avant que la Cour correctionnelle ne prononce le jugement principal. L'accès aux dossiers où ces pièces se trouvaient ne lui a pas non plus été refusé; il aurait pu les consulter avant l'audience de jugement déjà. Il ne conteste pas que le greffier l'a informé de l'existence de classeurs saisis distincts de ceux contenant les pièces inventoriées. Le recourant se plaint seulement, dans le cadre du recours de droit public, de ce qu'il ait été donné lecture publique de pièces auxquelles on n'avait pas attaché d'importance particulière au cours de l'instruction et qu'on avait ainsi renoncé à numéroter et à inventorier. On ne saurait cependant déduire des art. 4 Cst. et 6 CEDH que seules peuvent entrer en ligne de compte, dans une procédure pénale, les pièces qui ont déjà été désignées comme essentielles dès avant l'audience de jugement. Le droit cantonal de procédure peut certes soumettre la preuve par pièces à certaines exigences en vue de sauvegarder les droits de la défense; mais, de façon générale, faire appel en audience à des moyens de preuve inconnus auparavant, ou dont l'importance avait été sous-estimée, n'est certainement pas contraire à l' art. 4 Cst. ni abusif. La garantie minimale du droit d'être entendu fondée sur la constitution fédérale est respectée si l'accusé et son défenseur prennent connaissance des preuves qui le chargent au plus tard lors de l'administration des preuves effectuées en audience de jugement et qu'il leur est donné la possibilité de se déterminer à leur propos de façon suffisante. l' art. 6 CEDH ne confère pas de droits allant au-delà de la garantie minimale fondée sur la constitution fédérale; on ne saurait en particulier déduire du ch. 3 lettre b que le principe de la préparation suffisante de la défense exige la prise en considération des seules pièces dont la pertinence a été formellement reconnue avant l'audience de jugement déjà. D'ailleurs, des preuves nouvelles peuvent être apportées en audience de jugement par les déclarations des témoins et des experts sans que la défense ou l'accusation puisse exiger de ce fait la suspension de la procédure aux fins de préparer sa détermination. Dès lors, la lecture litigieuse des pièces non numérotées, dont se plaint le recourant, ne constitue pas un acte contraire à l' art. 4 Cst. ou à l' art. 6 CEDH . BGE 109 Ia 177 S. 179 4. Il est manifeste qu'en interrogeant le greffier, hors audience, sur l'accès qu'a eu la défense aux pièces non inventoriées, le président de la Cour correctionnelle voulait savoir si les défenseurs auraient pu - avant l'audience de jugement - prendre connaissance des pièces en question ou si quelque chose ou quelqu'un les aurait empêchés de le faire. Il n'est pas contesté qu'en fait rien ne s'y était opposé, si bien que le grief formulé à ce propos apparaît comme de pure forme. L'audition du greffier n'a pas porté sur l'administration d'une preuve touchant à la culpabilité de l'auteur, preuves fondamentales dont l'administration est pleinement soumise aux garanties qu'offrent les règles de procédure, mais bien d'un point annexe concernant le déroulement antérieur de la procédure. En général, le tribunal élucide ce genre de questions de façon informelle en les posant oralement ou par écrit aux collaborateurs qui ont participé directement à l'événement en cause. En l'espèce, la question de savoir dans quels cas les personnes concernées auraient dû être éventuellement entendues de façon formelle en audience peut être laissée ouverte. Comme on l'a vu dans le considérant qui précède, la règle selon laquelle est obligatoire la lecture en audience des pièces à charge ne présuppose pas que la défense doit avoir eu connaissance de ces pièces auparavant. Il s'ensuit que l'audition du greffier au sujet du droit de prendre connaissance du dossier ne se rapporte pas à des faits ayant une importance déterminante pour la solution de l'incident soulevé. Or on ne saurait soutenir qu'il y ait une violation du droit d'être entendu entachant le jugement principal lorsque ce grief est dirigé contre la manière dont le tribunal a élucidé un point, sans importance sur le fond, et qui s'inscrivait dans le cadre d'un incident de procédure. Le droit d'être entendu ne s'étend pas à tous les points mineurs qu'examine incidemment une autorité en vue de fixer la suite de la procédure. Le droit inconditionnel, découlant de la nature formelle du droit d'être entendu, d'obtenir l'annulation d'un jugement dès qu'il y a violation d'une règle de procédure touchant ce droit, n'existe que lorsque la violation alléguée se rapporte à un point essentiel pour le jugement. On ne saurait déduire de l' art. 4 Cst. que l'on doive annuler un arrêt, dont tous les motifs principaux reposent sur des constatations incontestées, sous prétexte que la défense n'aurait pas été associée directement à l'éclaircissement d'une question sans importance pour le fond. Au demeurant, le recourant ne dit pas en quoi la même audition BGE 109 Ia 177 S. 180 du greffier en audience contradictoire aurait dû conduire à une solution différente de la lecture publique des pièces à l'origine du litige de procédure. Ce grief est dès lors infondé. Dispositiv Par ces motifs, le Tribunal fédéral: Rejette le recours.
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Urteilskopf 105 Ia 8 3. Auszug aus dem Urteil der I. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 10. April 1979 i.S. X. gegen Direktion der Strafanstalt Regensdorf und Direktion der Justiz des Kantons Zürich (staatsrechtliche Beschwerde)
Regeste Art. 4 BV ; Disziplinarstrafverfahren: Voraussetzungen für den Entzug der aufschiebenden Wirkung des Rekurses.
Sachverhalt ab Seite 8 BGE 105 Ia 8 S. 8 X. ist Strafgefangener in der Strafanstalt Regensdorf. Mit Verfügung vom 7. Dezember 1978 bestrafte ihn der Direktor mit fünf Tagen Arrest und mit dem Ausschluss aus der Theatergruppe. In der Strafverfügung wurde die gesetzliche Rekursfrist genannt und beigefügt: "Einem Rekurs wird die aufschiebende Wirkung entzogen aus Gründen der Sicherheit." X. rekurrierte hiegegen erfolgslos an die Justizdirektion des Kantons Zürich. Das Bundesgericht weist die gegen den Rekursentscheid erhobene staatsrechtliche Beschwerde im Sinne der Erwägungen ab. Erwägungen Aus den Erwägungen: 5. ... Gemäss § 25 Abs. 1 des zürcherischen Verwaltungsrechtspflegegesetzes kommen dem Lauf der Rekursfrist und der Einreichung des Rekurses aufschiebende Wirkung zu, wenn mit BGE 105 Ia 8 S. 9 der angefochtenen Verfügung nicht aus besonderen Gründen etwas anderes bestimmt wurde. Dieser Text zeigt klar, dass die aufschiebende Wirkung des Rechtsmittels die Regel, der Entzug dieser Wirkung dagegen die Ausnahme darstellt. Im Disziplinarstrafverfahren kommt dieser Betrachtungsweise besonderes Gewicht zu, da dem Rekurs durch einen vorweggenommenen Vollzug die praktische Bedeutung weitgehend genommen wird, was sich mit dem Zweck eines ordentlichen, zu freier Prüfung der Tat- und Rechtsfragen durch die obere Instanz führenden Rechtsmittels schlecht vereinbaren lässt. "Besondere Gründe", welche zum Entzug der aufschiebenden Wirkung bereits durch die untere Instanz Anlass bieten können, dürfen demgemäss nicht leichthin angenommen werden. Im vorliegenden Falle hat die Direktion der Strafanstalt Regensdorf in ihrer Verfügung den Entzug der aufschiebenden Wirkung auf Gründe der Sicherheit gestützt. Die Justizdirektion hat in ihrem Rekursentscheid dazu ausgeführt, zwei frühere Verstösse des Beschwerdeführers gegen die Vollzugsvorschriften (Besitz von Nachschlüsseln) hätten den Direktor der Strafanstalt zur Auffassung berechtigt, ein Aufschub der Disziplinarstrafe, insbesondere des Ausschlusses aus der Theatergruppe, lasse sich aus Sicherheitsgründen rechtfertigen. Zu der Frage, wie es sich diesbezüglich mit der Arreststrafe verhalte, hat die Justizdirektion nicht ausdrücklich Stellung genommen. Indessen ergibt sich aus ihrer Vernehmlassung, dass diese Strafe während der Hängigkeit des Rekursverfahrens und bis heute nicht vollzogen wurde, so dass diesbezüglich dem Gesuch um aufschiebende Wirkung praktisch entsprochen worden ist. Soweit die Mitwirkung bei der Theatergruppe in Frage steht, ist der Entzug der aufschiebenden Wirkung jedenfalls unter dem Gesichtswinkel der Willkür nicht zu beanstanden. Es leuchtet ein, dass die Mitglieder dieser Gruppe erweiterte Möglichkeiten zum unbeaufsichtigten Kontakt mit andern Gefangenen haben, und dass ein solcher Kontakt bei Strafgefangenen, die in besonderem Masse fluchtverdächtig sind, mit sofortiger Wirkung eingeschränkt werden kann. Anders verhält es sich mit der Arreststrafe, deren sofortiger Vollzug trotz Einreichung eines Rekurses sich mit Sicherheitsrücksichten nicht rechtfertigen lässt. In diesem Punkt hätte somit der kantonalrechtliche Rekurs gutgeheissen werden sollen, soweit er sich auf den Entzug der aufschiebenden Wirkung bezog. Indessen hat die BGE 105 Ia 8 S. 10 Justizdirektion, wie dargelegt, die Anordnung der Strafanstaltsdirektion betreffend den Entzug dieser Wirkung wenn auch nicht ausdrücklich, so doch durch ihr konkretes Vorgehen widerrufen, weshalb der Beschwerdeführer diesbezüglich nicht als beschwert erscheint. Es rechtfertigt sich daher, die Beschwerde im Sinne der Erwägungen abzuweisen, soweit auf sie einzutreten ist.
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Urteilskopf 105 IV 248 64. Urteil des Kassationshofes vom 28. September 1979 i.S. L. gegen Staatsanwaltschaft Graubünden (Nichtigkeitsbeschwerde)
Regeste Art. 292 StGB . Ungehorsam gegen amtliche Verfügungen. Die Androhung, dass Ungehorsam mit Haft oder Busse gemäss Art. 292 StGB bestraft werde, ist in einer neuen Verfügung auch dann nötig, wenn der Betroffene bereits früher in einem anderen Verfahren über die Straffolgen des Art. 292 StGB belehrt worden ist.
Sachverhalt ab Seite 248 BGE 105 IV 248 S. 248 A.- In einem von X. gegen L. und weitere Redaktoren der "Bündner Zeitung" wegen Verletzung der persönlichen Verhältnisse geführten Zivilprozess erliess der Präsident des Bezirksgerichts Plessur am 9. September 1977 eine vorsorgliche Verfügung, in der die Beklagten angewiesen wurden, die Publikation von Vorwürfen, die gegen X. erhoben wurden, während der Prozessdauer zu unterlassen. Am 16. September 1977 richtete der Bezirksgerichtspräsident an die Anwälte der Prozessparteien ein Schreiben, worin er erklärte, dass in der Verfügung BGE 105 IV 248 S. 249 vom 9. September 1977 der Hinweis auf Art. 292 StGB irrtümlich nicht angebracht worden sei und dass dieser hiemit nachgeholt werde. Am 16. und 21. November 1977 liess L. zwei Zeitungsartikel erscheinen, in denen er sich erneut zur Angelegenheit X. äusserte. B.- Der Kreisgerichtsausschuss Chur sprach L. am 8. Juni 1978 des wiederholten Ungehorsams gegen amtliche Verfügungen schuldig und verfällte ihn gemäss Art. 292 StGB in eine Busse von Fr. 2'000.-. Die vom Angeklagten gegen dieses Urteil eingereichte Berufung wurde vom Kantonsgerichtsausschuss von Graubünden am 30. Januar 1979 abgewiesen. C.- L. verlangt mit Nichtigkeitsbeschwerde die Aufhebung des Urteils des Kantonsgerichtsausschusses und die Rückweisung der Sache zur Freisprechung. D.- Der Kantonsgerichtsausschuss beantragt Abweisung der Beschwerde. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Ungehorsam gegen eine amtliche Verfügung kann gemäss Art. 292 StGB nur bestraft werden, wenn die Verfügung "unter Hinweis auf die Strafdrohung dieses Artikels" erlassen worden ist. Art. 292 StGB ist eine Blankettnorm, die lediglich subsidiär anwendbar ist, nämlich dann, wenn das Gesetz, auf das sich die amtliche Verfügung stützt, keine besonderen Strafbestimmungen zur Ahndung der Nichtbefolgung vorsieht. Deswegen muss eine der Strafdrohung des Art. 292 StGB unterstellte Verfügung eine besondere Belehrung über die strafrechtlichen Folgen enthalten, welche die betroffene Person im Falle des Ungehorsams zu gewärtigen hat. Dem damit bezweckten Schutz des Betroffenen vor unerwarteter Strafe wird nach ständiger Rechtsprechung nicht schon dadurch genügt, dass in der Verfügung bloss die Strafbarkeit des Ungehorsams erwähnt oder nur unbestimmt auf die in Art. 292 StGB vorgesehenen Strafen verwiesen wird. Vielmehr muss, wie der französische und italienische Gesetzestext vorschreiben, ausdrücklich angedroht werden, dass eine Widerhandlung gegen die Verfügung gemäss Art. 292 StGB "mit Haft oder Busse" bestraft wird BGE 105 IV 248 S. 250 ( BGE 68 IV 46 /47; SCHWANDER, Nr. 750, S. 492 Ziff. 4, STRATENWERTH, BT II, 2. Aufl., S. 296 f.). 2. Die Verfügung des Bezirksgerichtspräsidenten vom 9. September 1977 enthielt überhaupt keine Strafdrohung, und in dem die Verfügung ergänzenden Schreiben vom 16. September 1977 war einzig vom "Hinweis auf Art. 292 StGB " die Rede. Diese Belehrung entsprach nicht den gesetzlichen Anforderungen. Der Kassationshof hat allerdings in BGE 86 IV 28 erklärt, dass auf eine Belehrung über die in Art. 292 StGB vorgesehenen Strafen verzichtet werden könne, wenn der Adressat der Verfügung die Strafandrohung ohnehin, z.B. durch eine nicht lange vorher ergangene Verfügung, bereits kenne. In jenem Fall wurde ein Schuldner in mehreren Betreibungen vom gleichen Betreibungsamt wiederholt aufgefordert, an bestimmten Tagen bei der Wegnahme gepfändeter Gegenstände anwesend zu sein, wozu teils ein Formular mit der Androhung der Straffolgen des Art. 292 StGB , teils ein solches mit der vollständigen Wiedergabe dieser Strafbestimmung verwendet wurde. Aufgrund der im gleichen Betreibungsverfahren erfolgten Strafdrohungen, die zum Teil mit einer vollständigen Belehrung versehen waren, durfte angenommen werden, dem Adressaten seien die mehrfach vorgehaltenen Strafen genau bekannt. Der vorliegende Fall lässt sich nicht mit dem vorerwähnten vergleichen. Wohl waren dem Beschwerdeführer in dem vom Kreispräsidenten Chur am 1. Juni 1977 erlassenen provisorischen Amtsbefehl die Strafen des Art. 292 StGB korrekt angedroht worden. Dieses Befehlsverfahren endete jedoch einen Monat später mit der Abweisung des entsprechenden Gesuches und mit der Aufhebung der provisorischen Verfügung. Die nachher ergangene vorsorgliche Verfügung vom 9./16. September 1977 ist in einem andern Verfahren und von einer andern Instanz, nämlich im ordentlichen Verfahren vom Bezirksgerichtspräsidenten als Zivilrichter angeordnet worden. Der Erlass einer neuen, in die Zuständigkeit eines andern Richters fallenden Verfügung gab dem Beschwerdeführer gemäss Art. 292 StGB Anspruch darauf, über die ihm von der neuen Instanz angedrohten Strafen mit ausreichender Deutlichkeit aufgeklärt zu werden, unabhängig davon, ob ihm die Bestrafung nach Art. 292 StGB bereits früher in einem andern Verfahren angedroht worden sei. Da die Belehrung ungenügend BGE 105 IV 248 S. 251 war, fehlt eine der Voraussetzungen für die Strafbarkeit des Beschwerdeführers. Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Nichtigkeitsbeschwerde wird gutgeheissen, das Urteil des Kantonsgerichtsausschusses von Graubünden vom 30. Januar 1979 aufgehoben und die Sache zur Freisprechung des Beschwerdeführers an die Vorinstanz zurückgewiesen.
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Urteilskopf 109 III 42 11. Entscheid der Schuldbetreibungs- und Konkurskammer vom 12. Januar 1983 i.S. Z. AG (Rekurs)
Regeste Rückschaffung eines Retentionsgegenstandes ( Art. 284 SchKG und 272 OR). Das Retentionsrecht des Vermieters einer Hotelliegenschaft erstreckt sich auch auf das im Tank der Liegenschaft gelagerte Heizöl.
Sachverhalt ab Seite 42 BGE 109 III 42 S. 42 A. hat die ihm gehörende Hotelliegenschaft in X. an B. bzw. an die Aktiengesellschaft C. vermietet. Da die Mieterschaft mit der Bezahlung der Mietzinse in Rückstand geriet, wurde gegen sie ein Ausweisungsbefehl erwirkt. Am 25./27. August 1982 wurde zudem eine Retentionsurkunde aufgenommen. BGE 109 III 42 S. 43 Nachdem Angestellte der Z. AG Heizöl aus dem Lagertank der Hotelliegenschaft gepumpt hatten, stellte A. unter Berufung auf Art. 284 SchKG beim zuständigen Betreibungsamt das Begehren, die Z. AG sei zu verpflichten, ca. 13'000 Liter Heizöl (d.h. die abgepumpte Menge) zurückzuschaffen, allenfalls den amtlich festzustellenden Gegenwert auf dem Betreibungsamt zu deponieren. Mit Verfügung vom 25. Oktober 1982 wies das Betreibungsamt das Begehren ab. Eine von A. hiegegen erhobene Beschwerde wurde durch das Bezirksgerichtspräsidium Y. als untere Aufsichtsbehörde in Schuldbetreibungs- und Konkurssachen mit Entscheid vom 17. November 1982 abgewiesen, durch die obere kantonale Aufsichtsbehörde mit Entscheid vom 23. Dezember 1982 dagegen gutgeheissen. Die Z. AG hat gegen den Entscheid der oberen kantonalen Aufsichtsbehörde an die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer des Bundesgerichts rekurriert mit dem Antrag, sie sei nicht zur Rückschaffung des von ihr am 24. September 1982 abgepumpten Heizöls zu verpflichten. Erwägungen Die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer zieht in Erwägung: 1. Gemäss Art. 284 SchKG können heimlich oder gewaltsam fortgeschaffte Retentionsgegenstände in den ersten zehn Tagen nach der Fortschaffung in die vermieteten oder verpachteten Räumlichkeiten zurückgeholt werden. Die Anwendbarkeit dieser Bestimmung wird von der Rekurrentin dem Grundsatze nach nicht in Zweifel gezogen. Hingegen ist die Rekurrentin der Ansicht, das strittige Heizöl sei gar nicht retinierbar. Die Tragweite des Retentionsrechtes des Vermieters ergibt sich aus Art. 272 OR , und es ist darüber vom Betreibungsamt und von den vollstreckungsrechtlichen Aufsichtsbehörden vorfrageweise zu befinden (vgl. BGE 82 III 80 E. 2). 2. Der Vermieter einer unbeweglichen Sache hat gemäss Art. 272 Abs. 1 OR für einen verfallenen Jahreszins und den laufenden Halbjahreszins ein Retentionsrecht an den beweglichen Sachen, die sich in den vermieteten Räumen befinden und zu deren Einrichtung oder Benutzung gehören. Der räumliche Zusammenhang, der zwischen der fraglichen Sache und dem Mietobjekt bestehen muss, darf nicht bloss zufälliger Natur sein; er muss eine gewisse Dauerhaftigkeit aufweisen, wobei er allerdings nicht notwendigerweise während der ganzen Mietdauer vorhanden zu sein BGE 109 III 42 S. 44 braucht. Ob der Gegenstand zur Einrichtung oder Benutzung der Mieträume gehört, beurteilt sich nach der Art der Räume und nach dem Gebrauch, den der Mieter davon macht (vgl. BGE 106 II 43 f. E. 1a und b). Die Rekurrentin bestreitet sinngemäss, dass es sich beim fraglichen Heizöl um eine Sache handelt, die zur Einrichtung oder Benutzung der Hotelliegenschaft gehört. Wie die Vorinstanz mit Recht festhält, ist beim strittigen Heizöl der vom Gesetz verlangte räumliche und bestimmungsmässige Zusammenhang mit dem Mietobjekt indessen ohne weiteres gegeben. Das Heizöl war in dem zur Hotelliegenschaft gehörenden Tank gelagert worden. Sodann ist es zur vertragsgemässen Benutzung der Hotelliegenschaft während der kalten Jahreszeit und auch für die Warmwasseraufbereitung unbedingt notwendig. Das Heizöl steht in einer unmittelbaren Beziehung zu den gemieteten Räumlichkeiten, und nicht etwa nur zu den darin lebenden Personen, wie dies beispielsweise bei Kleidungsstücken, Sportgeräten, Reisekoffern oder Musikinstrumenten des Mieters der Fall wäre (vgl. BGE 79 III 78 oben; BGE 59 III 69 ). 3. Die Unzulässigkeit einer Retention des Heizöls leitet die Rekurrentin andererseits offenbar auch daraus ab, dass gemäss Art. 92 Ziff. 5 SchKG die einem Schuldner und seiner Familie für zwei Monate notwendigen Feuerungsmittel unpfändbar sind und dass gemäss Art. 272 Abs. 3 OR das Retentionsrecht ausgeschlossen ist an Sachen, die durch die Gläubiger des Mieters nicht gepfändet werden könnten. Die Vorinstanz hat indessen das strittige Heizöl mit zutreffender Begründung als pfändbaren Vermögenswert bezeichnet. Die aus den gemieteten Hotelräumlichkeiten ausgewiesene Mieterschaft bedarf des in Art. 92 Ziff. 5 SchKG vorgesehenen Schutzes in der Tat nicht mehr. 4. Aus dem Gesagten erhellt, dass die Voraussetzungen des Art. 272 Abs. 1 OR im vorliegenden Fall erfüllt waren und dass die vorinstanzliche Gutheissung des Gesuchs von A. um Rückschaffung des Heizöls auch sonst nicht gegen Bundesrecht verstösst. Dass das Heizöl nicht in die Retentionsurkunde aufgenommen worden war, ist hier ohne Bedeutung. Der dem Vermieter durch Art. 284 SchKG gewährte Schutz kommt übrigens vor allem in solchen Fällen zum Tragen ( BGE 97 III 80 E. 1a am Ende). Die Rekurrentin versucht denn auch gar nicht, aus der fehlenden Aufnahme des Heizöls in die Retentionsurkunde etwas zu ihren Gunsten abzuleiten.
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283d703a-4d16-47cb-bd9f-850a76eec4d3
Urteilskopf 108 IV 10 3. Extrait de l'arrêt de la Cour de cassation pénale du 19 janvier 1982 dans la cause C. contre Ministère public du canton de Vaud (pourvoi en nullité)
Regeste Art. 122 Ziff. 2 StGB ; schwere Körperverletzung mit Todesfolge. a) Dieses Delikt besteht aus einer vorsätzlichen Haupttat (der Körperverletzung), die durch eine zusätzliche Fahrlässigkeit (das Nichterkennen der voraussehbaren Todesfolge) qualifiziert wird; der Tatbestand ist also nicht nur dann erfüllt, wenn der Täter die Möglichkeit des Todeseintritts ausschliesst, sondern auch wenn er diese überhaupt nicht in Betracht zieht. b) Nach dem gewöhnlichen Lauf der Dinge ist es voraussehbar, dass für einen Menschen, der von einem mit 85 km/h fahrenden Auto hinuntergeschleudert wird, eine grosse Todesgefahr besteht.
Sachverhalt ab Seite 11 BGE 108 IV 10 S. 11 A.- Le 23 décembre 1979, dans le cadre de l'activité délictueuse qu'il déployait en compagnie du nommé S., C. s'est arrêté à Founex près d'une villa. S. a pénétré dans l'immeuble mais dut prendre la fuite. C., qui l'attendait dans sa voiture, inquiet de ne pas le voir revenir, s'est approché de la maison où il a entendu une voix qu'il n'a pu identifier. Il est alors retourné à sa voiture stationnée sur la place de parc, il a mis le moteur en marche et il a démarré. Alors qu'il n'avait parcouru que quelques mètres sans quitter la place de parc, il fut rejoint par une voiture occupée par deux gendarmes alertés par la propriétaire de la villa. Le gendarme F. gara sa voiture de façon à empêcher C. de s'engager sur la route, tandis que l'appointé qui l'accompagnait sortait son pistolet et interpellait C. en l'invitant à le suivre au poste. C. ayant refusé d'obtempérer, l'appointé le saisit par le col de sa veste pour l'extraire du véhicule. C. savait qu'il n'avait pas le droit de résider en Suisse et voulait absolument éviter de se faire arrêter. Il prit la décision de s'échapper. Tout en faisant mine de céder, il enclencha le sélecteur de vitesse sur la marche avant et démarra. L'appointé de gendarmerie s'accrocha à la portière ou au porte-skis de la voiture; de toute manière il est établi qu'après une dizaine de mètres, la portière était rabattue et que l'appointé s'accrochait au porte-skis. Après avoir parcouru une cinquantaine de mètres en accélérant à plein gaz, C. jeta un coup d'oeil en arrière et vit que l'appointé était toujours là. Il continua à rouler à plein gaz, puis donna un violent coup de volant à droite alors qu'il roulait à environ 85 km/h. La partie avant du porte-skis se rompit. L'appointé fut projeté sur la chaussée, où, après avoir glissé sur environ 6 m, il buta de la tête contre l'angle d'un mur. Il décéda peu après son arrivée à l'hôpital. C., qui n'avait pas perdu la maîtrise de son véhicule, se retourna pour constater qu'il s'était BGE 108 IV 10 S. 12 débarrassé du gendarme. Les autorités cantonales ont admis que C. n'avait pas eu l'intention délibérée de tuer l'appointé de gendarmerie et elles ont considéré qu'il n'était pas établi que, sachant l'appointé accroché à son véhicule et risquant la mort en tombant, il se soit accommodé de cette issue prévisible, ni qu'il ait voulu créer un risque mortel qui s'est réalisé. Elles ont en revanche retenu que l'intention de C. était de fuir, quelles qu'en soient les conséquences. C'est pourquoi il a été reconnu coupable de lésions corporelles graves par dol éventuel. B.- Pour ces faits, le Tribunal criminel du district de Nyon a notamment condamné C., le 1er mai 1981, pour lésions corporelles graves ayant entraîné la mort, vols en bande et par métier, tentative de vols en bande et par métier, rupture de ban, crimes manqués de vol en bande et par métier, à la peine de 12 ans de réclusion sous déduction de 523 jours de détention préventive. Il a en outre ordonné son expulsion du territoire suisse pour une durée de 15 ans. C. ayant recouru, la Cour de cassation pénale du Tribunal cantonal vaudois l'a débouté et a confirmé le jugement attaqué. C.- C. se pourvoit en nullité à la Cour de cassation pénale du Tribunal fédéral. Il se plaint de la fausse application de l' art. 122 CP , en ce sens que, selon lui, seules les lésions corporelles graves de l' art. 122 ch. 1 CP doivent être retenues à l'exclusion des lésions corporelles graves ayant entraîné la mort au sens de l' art. 122 ch. 2 CP . Il demande également à être mis au bénéfice de l'assistance judiciaire. Erwägungen Considérant en droit: 1. Dans un arrêt de principe qui revient partiellement sur la jurisprudence plus ancienne ( ATF 97 IV 84 , plus particulièrement 89/90 consid. 4), le Tribunal fédéral a précisé les éléments constitutifs de l'infraction réprimée à l' art. 122 ch. 2 CP . Celle-ci, de même que celles réprimées aux art. 119 ch. 3 al. 3, 123 ch. 3, 134 ch. 1 al. 3, 139 ch. 2 al. 5, apparaît comme un acte intentionnel principal compliqué d'une négligence: l'auteur voulait l'acte principal et, contrairement à son devoir, n'a pas envisagé, alors qu'il aurait pu le faire, que son comportement pouvait avoir pour conséquence le décès de la victime. Peu importe que l'auteur ait prévu effectivement ou non la possibilité de la mort. Il suffit qu'il eût pu la prévoir en usant de l'attention commandée par les circonstances ainsi que BGE 108 IV 10 S. 13 par sa situation personnelle. La négligence inconsciente suffit (cf. jurisprudence citée). In casu, il a été retenu en fait - et il n'y a pas à y revenir - ( art. 277bis al. 1 PPF ) que le recourant "s'est accommodé des lésions corporelles graves que le gendarme devait normalement subir dans une chute sur le goudron à 85 km/h". C'est donc à juste titre que le recourant a été reconnu coupable de lésions corporelles graves par dol éventuel. Il ne le conteste d'ailleurs pas. L'application de l' art. 122 ch. 2 CP dépend dès lors uniquement du point de savoir si, la victime étant décédée, le recourant pouvait le prévoir. Il s'agit bien là d'une question juridique relevant de l'expérience de la vie, donc de droit, qui peut être soumise au Tribunal fédéral au regard de l' art. 269 al. 1 PPF ( ATF 74 IV 85 consid. 3). Le recourant relève que, dans de telles circonstances, la victime aurait pu ne pas être blessée du tout, ou n'être atteinte que de lésions corporelles simples, voire graves, qu'il n'est nullement établi qu'il existait objectivement un danger concret présentant une probabilité suffisante de risque mortel et que, partant, la situation serait toute différente de celle de l'arrêt cité aux ATF 97 IV 84 . Une telle argumentation ne résiste pas à l'examen au vu des faits de la cause et du fait qu'une négligence inconsciente suffit. Chacun sait en effet ou sent confusément qu'un corps humain non protégé lancé à plus de 20 m/s sans que sa direction puisse être contrôlée sur une route risque de se briser s'il rencontre un obstacle immobile ou un véhicule. Une issue mortelle est alors probable, surtout si c'est la tête qui est touchée. On ne saurait assimiler la situation de la victime in casu à celle des cyclistes ou des skieurs. Certes ceux-ci atteignent-ils couramment des vitesses de 85 km/h, mais ils le font volontairement en contrôlant leur direction et en adaptant leur vitesse aux conditions du lieu. Ils sont au surplus casqués lorsqu'ils se déplacent à cette vitesse, le plus souvent lors de compétitions sur des routes ou pistes préparées pour cela (absence de circulation parasite, bottes de paille aux endroits dangereux, etc.). Il s'ensuit que, selon le cours ordinaire des choses, la probabilité de léser le bien juridique protégé, à savoir non seulement l'intégrité corporelle, mais bien la vie du gendarme, existait d'une manière évidente, selon un degré de probabilité qui dépassait en tout cas le 50%. Dans de telles circonstances, une telle mise en danger devenait quasi imminente. C'est donc à bon droit que le recourant a été reconnu coupable de l'infraction réprimée à l' art. 122 ch. 2 CP .
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Urteilskopf 97 V 166 40. Extrait de l'arrêt du 11 novembre 1971 dans la cause Decollogny contre Caisse cantonale vaudoise de compensation et Tribunal des assurances du canton de Vaud
Regeste Art. 12 ff. und 19 Abs. 2 lit. c IVG , Art. 2 Abs. 1 IVV . Massnahmen pädagogisch-therapeutischer Art, die nur Versuche bilden und nicht zur allgemein anerkannten medizinischen Praxis gehören, hat die Invalidenversicherung nicht zu übernehmen.
Erwägungen ab Seite 166 BGE 97 V 166 S. 166 Extrait des considérants: Le rapport du Dr R. et les explications du Dr B. lui-même montrent que les méthodes issues des postulats du Dr T. ne sont pas reconnues par la médecine classique comme indiquées pour traiter la dyslexie. Or, selon l'art. 2 ch. 1er in fine RAI, l'assurance-invalidité n'accorde que les mesures considérées comme indiquées dans l'état actuel des connaissances médicales et permettant de réadapter l'assuré d'une manière simple et adéquate. Au vrai, formellement, cette prescription concerne les mesures médicales de réadaptation et non les mesures de formation scolaire spéciale, dont font partie les mesures pédagothérapeutiques. Mais, la distinction établie par le droit entre mesures médicales et mesures pédago-thérapeutiques ne doit pas faire oublier que, dans la réalité scientifique, ces mesures ont les unes et les autres une commune nature. Il appartient donc au juge d'appliquer aux mesures pédago-thérapeutiques une règle semblable à celle que l'autorité réglementaire a émise pour les mesures médicales. L'assurance-invalidité n'a pas à prendre en charge des mesures qui, quelque mérite qu'elles puissent acquérir un jour, apparaissent pour l'instant comme des tentatives discutables, fondées sur des hypothèses de travail et tenues en suspicion par la grande majorité des spécialistes. C'est pourquoi, alors même qu'il n'est pas pratiqué en Suisse, le BGE 97 V 166 S. 167 traitement qu'a suivi l'assuré à Annecy en juillet 1969 ne peut être assumé par l'assurance-invalidité (cf. RO 97 V 155). Il n'y a aucun motif, en l'espèce, de faire exception à la règle selon laquelle les mesures de réadaptation sont appliquées en Suisse (art. 9 al. 1er LAI). L'assuré aurait pu faire soigner sa dyslexie en Suisse, selon des méthodes thérapeutiques qui ont fait leur preuve; ce qui, naturellement, n'empêche pas qu'on enregistre dans les cas rebelles une certaine proportion d'échecs (cf. ATFA 1966 p. 99).
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Urteilskopf 80 II 160 24. Auszug aus dem Urteil der I. Zivilabteilung vom 12. Juli 1954 i.S. Bösiger gegen Sollberger.
Regeste Landwirtschaftliches Bodenrecht; Art. 42 BMB. Grundsätzliches über die Widerruflichkeit der behördlichen Genehmigung und Nichtgenehmigung eines Grundstückkaufes. Unzuständigkeit des Zivilrichters zur selbständigen Überprüfung der ergangenen Entscheidung. Wirkung der Genehmigungsverweigerung auf den zivilrechtlichen Bestand des Grundgeschäftes.
Sachverhalt ab Seite 160 BGE 80 II 160 S. 160 Mit öffentlich beurkundetem Vertrag vom 9. Mai 1951 kaufte Edwin Sollberger von Rudolf Bösiger dessen landwirtschaftliches Heimwesen und verschiedenes Inventar zum Preise von Fr. 90'000.--. Unter sich hatten die Parteien einen Mehrpreis von Fr. 25'000.-- vereinbart, welche Summe Sollberger unmittelbar vor der Beurkundung des BGE 80 II 160 S. 161 Kaufes bei einem Dritten hinterlegte. Bösiger behob sie einige Tage später und ersuchte um die gemäss BRB vom 9. Januar 1940/7. November 1941 über Massnahmen gegen die Bodenspekulation und die Überschuldung sowie zum Schutze der Pächter (BMB) erforderliche behördliche Genehmigung. Diese wurde vom Regierungsrat des Kantons Luzern am 28. Juni 1951 verweigert, nachdem Bösiger selber die Nebenabrede mitgeteilt hatte. Hiegegen reichte Sollberger im September 1951 ein Wiedererwägungsgesuch ein. Der Regierungsrat kam - in Ansehung verschiedener neuer Tatsachen, als welche er u.a. die revidierte Katasterschatzung und die Rückforderung der Nebenleistung wertete - auf seinen früheren Beschluss zurück und erteilte durch Entscheid vom 21. März 1952 die Zustimmung zum Kaufvertrag. Da Bösiger, auf dessen staatsrechtliche Beschwerde das Bundesgericht nicht eingetreten war, zur Vollziehung des Vertrages nicht Hand bot, belangte ihn Sollberger mit dem Begehren um Zuspruch des Eigentums an der Liegenschaft und Anordnung des Eintrages im Grundbuch. Die Gerichte des Kantons Luzern, das Obergericht mit Urteil vom 10. März 1954, hiessen die Klage gut. Auf Berufung des Beklagten hin bestätigt das Bundesgericht. Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. Für den gegebenen Fall der Anwendbarkeit des BMB hält die Berufung daran fest, dass der die Genehmigung hinterher gewährende Wiedererwägungsbeschluss des Regierungsrates vom 21. März 1952 keine Wirkung entfaltet habe, weil durch die anfängliche Verweigerung der Genehmigung "der Vertrag definitiv dahingefallen sei". a) Zugegeben und übrigens unbestreitbar ist, dass die Genehmigung oder Nichtgenehmigung eines Grundstückkaufes nach BMB rechtlich eine Verwaltungsverfügung darstellt. Hiefür kann in einzelnen auf den nicht veröffentlichten BGE vom 16. Juli 1948 i.S. Otth c. Michel und Bern verwiesen werden. Die sich ergebenden Folgerungen hat BGE 80 II 160 S. 162 die Vorinstanz richtig gezogen. Verwaltungsverfügungen geniessen keine materielle Rechtskraft. Sie können abgeändert oder aufgehoben werden, sofern das öffentliche Interesse es erheischt und keine ausdrückliche Gesetzesvorschrift oder Rücksichten auf die Rechtssicherheit es verbieten. Weder der BMB noch, laut vorinstanzlicher Angabe, das luzernische Kantonsrecht enthalten eine Bestimmung, die den Regierungsrat daran gehindert hätte, auf die am 28. Juni 1951 ausgesprochene Nichtgenehmigung des Kaufvertrages zurückzukommen. Die Berufungsbehauptung, Art. 5 Abs. 4 BMB lasse die Wiedererwägung nicht zu, ist schon im genannten BGE vom 16. Juli 1948 widerlegt. Ob die frühere Verfügung abzuändern war oder nicht, hing daher - um weiterhin jenem Präjudiz zu folgen - von der Abwägung zweier sich gegenüberstehenden Gesichtspunkte ab, nämlich "dem Postulat der richtigen Durchführung des objektiven Rechts auf der einen und den Anforderungen der Rechtssicherheit auf der anderen Seite". Diese Würdigung oblag ausschliesslich der nach BMB zuständigen Verwaltungsbehörde. Sie hat am 21. März 1952 in der bekannten Weise entschieden. Der Zivilrichter muss sich daran halten. Eine selbständige Prüfung, sei es in formeller oder in materieller Hinsicht, ist ihm verwehrt (vgl. BGE 75 II 367 /8). Somit kann er auch nicht untersuchen, ob die seinerzeitige Genehmigungsverweigerung subjektive Rechte zugunsten des Beklagten begründet habe und deswegen unabänderlich gewesen sei, wie die Berufung anhand der Lehrmeinung FLEINERS (Institutionen des Deutschen Verwaltungsrechts, 8. Aufl., S. 201) geltend macht. b) Dagegen ist die andere Frage, ob nach vorangegangener Nichtgenehmigung des Kaufvertrages dieser anlässlich des regierungsrätlichen Wiedererwägungsbeschlusses überhaupt noch bestanden habe, zivilrechtlicher Natur und darum vom Zivilrichter zu beantworten. Die Berufung befürwortet Verneinung. Sie hält sich dabei an KAUFMANN, Das neue ländliche Bodenrecht der Schweiz S. 170, der die behördliche Vertragsgenehmigung als rechtsgestaltende BGE 80 II 160 S. 163 Verwaltungsverfügung kennzeichnet und anschliessend ausführt: "Mit der Genehmigung wird ein privates, subjektives Recht auf Übertragung des Eigentums begründet; deshalb ist die Genehmigung grundsätzlich unwiderruflich. Mit der Verweigerung der Genehmigung fällt der Vertrag definitiv dahin. Auf eine Wiedererwägung ist deshalb nur einzutreten, wenn beide Parteien an dem erstmals nicht genehmigten Vertrag festhalten." Seine Anschauung stützt KAUFMANN auf die oben zitierte Stelle bei FLEINER, auf zwei Entscheidungen des Berner Regierungsrates aus dem Jahre 1943 und auf reichsgerichtliche Urteile. Indessen ist die schweizerische Praxis andere Wege gegangen. So schützte der Regierungsrat des Kantons Bern am 13. Februar 1948 ein Wiedererwägungsgesuch, mit dem die Aufhebung einer fünf Jahre zuvor erteilten Handänderungs-Genehmigung begehrt wurde, und das Bundesgericht wies die hiegegen gerichtete Willkürbeschwerde durch das mehrfach erwähnte Urteil vom 16. Juli 1948 ab. Anderseits hat schon RGZ S. 142 ff. die Widerruflichkeit wenigstens der Genehmigung zu einer noch nicht vollzogenen Auflassung bejaht. Was derart für die Genehmigung zugestanden ist, die doch einen Anspruch auf Eigentumsübertragung verleiht und damit auf Umgestaltung der Rechtsverhältnisse zielt, muss an sich umso mehr für die Nichtgenehmigung Geltung haben, welche lediglich die bisherige Lage bestätigt. Abweichend verhielte es sich allerdings, wenn wirklich die einmal erklärte Verweigerung zugleich das Grundgeschäft beseitigen würde. Dann aber könnte, angesichts seiner Formbedürftigkeit, ein gemeinsames sowenig wie ein einseitiges Gesuch zur Wiedererwägung verhelfen, sondern es wäre dafür eine nochmalige öffentlich beurkundete Übereinkunft notwendig. Indem KAUFMANN den blossen Festhaltewillen der Parteien als zulängliche Bedingung einer Wiedererwägung erachtet, widerspricht er seiner Auffassung, dass mit der Verweigerung der Genehmigung der Vertrag definitiv dahinfalle. Letztere hält in der Tat nicht stand. Wenn Art. 42 Abs. 1 BMB anordnet, dass ein der Genehmigung unterliegendes BGE 80 II 160 S. 164 Rechtsgeschäft ohne sie nichtig sei, so heisst das nicht, jegliche Genehmigungsverweigerung zeitige zwangsläufig und sofort solche Wirkung. Als Verwaltungsverfügung ergeht die Nichtgenehmigung, ihrem Wesen gemäss und in den erörterten Grenzen, zunächst unter dem Vorbehalt einer künftigen Änderung oder Aufhebung. Er endet, wo nicht zeitliche Befristung eingreift, sobald sich die Beteiligten mit der getroffenen Entscheidung abfinden oder Umstände hinzutreten, welche nach verwaltungsrechtlichen Grundsätzen ein Zurückkommen darauf verunmöglichen. Entsprechend verlängert sich der die Parteien zivilrechtlich bedingt bindende Schwebezustand, dem der BMB den genehmigungspflichtigen Vertrag in der Periode vom Abschluss bis zur behördlichen Verfügung ohnehin unterwirft. Daraus erwächst für den Verkehr keine unerträgliche Ungewissheit. Sofern die Verweigerung nicht erkennbar hingenommen oder abgelehnt wird, hat jede Partei es in der Hand, die andere durch geeignete Mittel zur Stellungnahme zu drängen. Ehe also die Nichtgenehmigung im dargelegten Sinne endgültig geworden ist, fällt der Kaufvertrag nicht endgültig weg. Vorliegend hat nun der Kläger auf den ersten Entscheid des Regierungsrates hin staatsrechtliche Beschwerde erhoben und ein Wiedererwägungsgesuch unterbreitet. In Anbetracht dessen blieb der Vertrag bedingt wirksam und war einem neuen Verwaltungsakte zugänglich. Daher lässt sich nicht sagen, der Beklagte habe "die volle Verfügungsfreiheit über sein Grundstück" zurückerlangt. Ob er Einblick in die rechtlichen Zusammenhänge hatte oder nicht, ist unerheblich. Zumindest wusste er um die vom Kläger eingeleiteten Schritte und durfte in guten Treuen nicht annehmen, die Sache sei durch Verweigerung erledigt. Vergleiche mit der vormundschaftlichen Genehmigung gemäss Art. 410 ZGB sind schon deswegen untauglich, weil es sich dort um eine privatrechtliche Ordnung handelt, während das Genehmigungsverfahren nach BMB in den Bereich des öffentlichen Rechts gehört.
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284c1d6d-eaf2-418e-8505-785e5f33e183
Urteilskopf 137 III 344 51. Extrait de l'arrêt de la IIe Cour de droit civil dans la cause A. contre B., C. et D. (recours en matière civile) 5A_816/2010 du 28 avril 2011
Regeste a Art. 94 Abs. 3 BGBB ; Recht, das auf Gewinnansprüche anwendbar ist, die im Zeitpunkt des Inkrafttretens des BGBB bestehen. Art. 29 BGBB ist auf die vor dem 1. Januar 1994 entstandenen Gewinnansprüche anwendbar, soweit vertraglich nichts Abweichendes vereinbart worden ist. Die altrechtlichen Art. 619 ff. ZGB und 218 quinquies OR bleiben nur dann anwendbar, wenn die Veräusserung im Sinne des BGBB vor diesem Datum erfolgt ist (E. 4). Regeste b Art. 29 Abs. 1 lit. c und Abs. 2 lit. c BGBB; Einleitung des Verfahrens für die Zuweisung eines landwirtschaftlichen Grundstücks zu einer Bauzone als Zeitpunkt, der für eine Veräusserung im Sinne von Art. 28 BGBB massgebend ist. Nur ein Nutzungsplan im Sinne von Art. 14 ff. RPG , der namentlich die Bauzone gemäss Art. 15 RPG festlegt, gilt als Verfahren für die Zuweisung im Sinne des BGBB (E. 5.2-5.4). Die öffentliche Auflage eines Nutzungsplans ist der Zeitpunkt, der für die Einleitung des Verfahrens für die Zuweisung eines landwirtschaftlichen Grundstücks zu einer Bauzone im Sinne von Art. 29 Abs. 2 lit. c BGBB massgebend ist (E. 5.5).
Sachverhalt ab Seite 345 BGE 137 III 344 S. 345 A. Par acte notarié du 5 mars 1981, X. a vendu à son fils A. les immeubles formant son exploitation agricole, notamment la parcelle n° 4371 du cadastre de E. L'acte de vente contient en outre une clause prévoyant une quote-part au gain au sens de l'ancien art. 218 quinquies CO. Ce droit au gain a été annoté au registre foncier, conformément au droit alors en vigueur, avec indication du terme du délai, à savoir le 15 mars 2006. Il a été radié à l'échéance. BGE 137 III 344 S. 346 X. est décédé le 14 août 1998, laissant pour héritiers, son épouse dame X. et leurs quatre enfants, à savoir A., B., C. et D. Dame X. est elle-même décédée le 17 août 2006 laissant pour héritiers ses quatre enfants susmentionnés. Un schéma directeur sectoriel d'aménagement concernant le plateau de E.-F.-G. a été approuvé le 2 mai 2005 par le Département de la gestion du territoire de la république et canton de Neuchâtel et le 3 mai 2005 par les communes concernées. La parcelle n° 4371 (nouvellement n° 6209) du cadastre de E. est incluse dans ce schéma s'agissant de la réalisation des étapes 2 et 3. Le plan d'affectation cantonal du pôle de développement économique du littoral ouest, première étape (commune de E.), qui a été établi sur la base du schéma directeur sectoriel précité, mis à l'enquête publique puis approuvé par le Conseil d'État le 10 août 2005, ne concerne pas la parcelle n° 4371 (nouvellement n° 6209). B. En date du 2 mars 2006, sur réquisition de l'hoirie de feu X., l'office du Registre foncier de l'arrondissement du Littoral et du Val-de-Travers a procédé, sur le feuillet du bien-fonds n° 4371 (nouvellement n° 6209) de la commune de E., à l'annotation d'une inscription provisoire d'un droit de gage, sans indication de montant, en garantie du droit au gain. Par acte du 11 septembre 2006, A. a ouvert contre ses cohéritiers une action en rectification du Registre foncier tendant à la radiation de l'inscription provisoire. La I re Cour civile du Tribunal cantonal de la république et canton de Neuchâtel a déclaré irrecevable l'action en tant qu'elle était dirigée contre dame X., décédée, et l'a rejetée pour le surplus par jugement du 20 octobre 2010. C. Par arrêt du 28 avril 2011, le Tribunal fédéral a admis le recours en matière civile formé par A. contre ce jugement et a ordonné la radiation de l'annotation en cause. (résumé) Erwägungen Extrait des considérants: 4. La clause conventionnelle de quote-part au gain comprise dans l'acte du 5 mai 1981 étant fondée sur l'ancien art. 218 quinquies CO, disposition abrogée par la loi fédérale du 4 octobre 1991 sur le droit foncier rural (LDFR; RS 211.412.11) avec effet au 1 er janvier 1994, il y a lieu d'examiner tout d'abord si le droit au gain reste soumis à l'ancien droit ou si le nouveau droit s'applique. BGE 137 III 344 S. 347 Aux termes de l' art. 94 al. 3 LDFR , un droit légal ou conventionnel au gain qui existait déjà au moment de l'entrée en vigueur de la loi conserve sa validité sous l'empire du nouveau droit; sauf convention contraire, l'exigibilité et le calcul sont cependant régis par le droit applicable au moment de l'aliénation; le classement d'un immeuble agricole dans une zone à bâtir ( art. 29 al. 1 let . c LDFR) n'est réputé aliénation que si la décision concernant l'incorporation survient après l'entrée en vigueur de la loi. Le droit au gain est donc en principe régi par le nouveau droit: les droits légaux ou conventionnels qui existaient déjà sous l'ancien droit restent valables; leurs effets sont toutefois réglés, sauf convention contraire, par les nouvelles dispositions, principalement en ce qui concerne le montant du gain et son exigibilité. La notion d'aliénation est soumise à la loi nouvelle, ce que le législateur a d'ailleurs précisé pour le principal nouveau cas d'aliénation, à savoir le classement d'un immeuble en zone à bâtir - avec un complément puisque, pour viser tous les classements survenus dès l'entrée en vigueur de la loi, il a admis qu'il y a aliénation au sens du nouveau droit non seulement si une procédure de classement est introduite après le 1 er janvier 1994, mais également si, débutée avant, elle se termine par l'incorporation dans la zone à bâtir après le 31 décembre 1993. Ainsi, il ne reste à la loi en vigueur lors de la naissance du droit que la détermination de l'existence du droit au gain. L' art. 29 LDFR est par conséquent applicable aux droits au gain nés avant le 1 er janvier 1994; ce n'est que si l'aliénation, au sens de la LDFR, intervient avant cette date que les anciens art. 619 ss CC et 218 quinquies CO restent applicables (cf. PIOTET, Le droit transitoire des lois fédérales sur le droit foncier rural et sur la révision partielle du code civil et du code des obligations du 4 octobre 1991, in RDS 113/1994 p. 125 ss, spéc. p. 135; HENNY/HOTZ/STUDER, in Le droit foncier rural, Commentaire sur le droit foncier rural du 4 octobre 1991 [ci-après: CommentaireLDFR], 1998, n os 19 s. ad art. 94 LDFR ; MEYER, Der Gewinnanspruch der Miterben im bäuerlichen Bodenrecht, 2004, p. 545 s.; DONZALLAZ, Commentaire de la loi fédérale du 4 octobre 1991 sur le nouveau droit foncier rural, 1993, n° 791 ad art. 92, 93 et 94 LDFR ). En l'espèce, le nouveau droit s'applique donc à la question de l'aliénation, précisément à la question de savoir si elle est intervenue dans le délai de 25 ans, soit avant le 15 mars 2006. 5. Le classement d'un immeuble agricole dans une zone à bâtir (sous réserve d'une exception non pertinente en l'espèce) constitue une BGE 137 III 344 S. 348 aliénation ( art. 28 al. 1 LDFR ) donnant droit à une quote-part au gain ( art. 29 al. 1 let . c LDFR). Aux termes de l' art. 29 al. 2 let . c LDFR, le moment de l'aliénation est déterminé par l'introduction de la procédure de classement d'un immeuble agricole dans une zone à bâtir. Il y a donc lieu de déterminer ce qu'il faut entendre par l'introduction de la procédure de classement dans une zone à bâtir. 5.1 Selon la jurisprudence, la loi s'interprète en premier lieu selon sa lettre (interprétation littérale). Si le texte n'est pas absolument clair, si plusieurs interprétations de celui-ci sont possibles, le juge recherchera la véritable portée de la norme, en la dégageant de sa relation avec d'autres dispositions légales et de son contexte (interprétation systématique), du but poursuivi, singulièrement de l'intérêt protégé (interprétation téléologique), ainsi que de la volonté du législateur telle qu'elle ressort notamment des travaux préparatoires (interprétation historique; ATF 135 II 416 consid. 2.2; ATF 134 I 184 consid. 5.1 et les références citées). Lorsqu'il est appelé à interpréter une loi, le Tribunal fédéral adopte une position pragmatique en suivant ces différentes méthodes, sans les soumettre à un ordre de priorité ( ATF 133 III 257 consid. 2.4; ATF 131 III 623 consid. 2.4.4 et les références citées). 5.2 La zone à bâtir visée correspond à celle de l'art. 15 de la loi fédérale du 22 juin 1979 sur l'aménagement du territoire (LAT; RS 700; cf. Message du 19 octobre 1988 à l'appui des projets de loi fédérale sur le droit foncier rural et de loi fédérale sur la révision partielle du code civil et du code des obligations [ci-après: Message], FF 1988 III 889 ss, spéc. p. 946). Il s'agit d'une notion de droit fédéral que les cantons ou les communes doivent mettre en oeuvre dans des plans d'affectation. Seules sont à bâtir les zones immédiatement constructibles et non les "zones à affecter ultérieurement" ou les "zones d'attente" et autres "zones intermédiaires" (HENNY, in Commentaire LDFR, n° 13 ad art. 29 LDFR ; BEELER, Bäuerliches Erbrecht gemäss BGBB, 1998, p. 367; MEYER, op. cit., p. 211 ss; cf. également ATF 118 Ia 165 consid. 3c). 5.3 Pour pouvoir interpréter la notion d'"introduction de la procédure de classement", il faut d'abord examiner les divers instruments de la planification qui conduisent à l'affectation d'un terrain agricole à la zone à bâtir. 5.3.1 La LAT distingue les plans directeurs, d'une part, et les plans d'affectation, d'autre part. BGE 137 III 344 S. 349 5.3.1.1 Le plan directeur cantonal au sens des art. 6 à 12 LAT détermine entre autres l'orientation future de la planification et de la collaboration entre autorités en précisant notamment les exigences à respecter lors de l'affectation du sol et en ce qui concerne la coordination des différents domaines sectoriels (cf. art. 5 al. 1 OAT [RS 700.1]; HALLER/KARLEN, Raumplanungs-, Bau- und Umweltrecht, vol. I, 1999, n. 190; ZEN-RUFFINEN/ECABERT, Aménagement du territoire, construction, expropriation, 2001, n. 225 s.). Il est précédé d'études de base ( art. 6 LAT ). 5.3.1.2 Les plans d'affectation au sens des art. 14 ss LAT règlent l'utilisation du sol ( art. 14 al. 1 LAT ), déterminant pour chaque parcelle, le mode, le lieu et la mesure de l'utilisation admissible du sol ( ATF 135 II 328 consid. 2.2; ATF 123 II 91 consid. 1a/aa; WALDMANN/HÄNNI, Raumplanungsgesetz, 2006, n° 3 ad art. 14 LAT ; MOOR, Commentaire de la loi fédérale sur l'aménagement du territoire, 2010, n° 1 ad art. 14 LAT et les références citées); ils délimitent les zones à bâtir, les zones agricoles et les zones à protéger ( art. 14 al. 2 LAT ). 5.3.2 La plupart des cantons confient l'établissement des plans d'affectation aux communes. Toutefois, ils se réservent certaines compétences lorsque des intérêts supra-régionaux sont en jeu (ZEN-RUFFINEN/ECABERT, op. cit., n. 421; WALDMANN/HÄNNI, op. cit., n os 13 s. ad art. 25 LAT ). Ainsi le canton de Neuchâtel dispose de plans d'affectation cantonaux ( art. 13 let . c et 16 de la loi sur l'aménagement du territoire du 2 octobre 1991 du canton de Neuchâtel [LCAT; RSN 701.0]) et de plans d'affectation communaux (art. 43 ss LCAT). 5.4 Il y a donc lieu de déterminer désormais lequel de ces instruments de la planification correspond à la notion de procédure de classement. Le cas d'aliénation de l' art. 29 al. 1 let . c LDFR a été introduit pour tenir compte non seulement du principe de l'égalité entre les cohéritiers, mais également de motifs d'aménagement du territoire. D'une part, le classement d'un terrain dans la zone à bâtir entraîne une augmentation importante de sa valeur dont chacun des cohéritiers doit pouvoir profiter. D'autre part, les zones à bâtir doivent être utilisées à des fins de construction; le droit au gain instauré a pour but d'inciter le propriétaire exploitant, qui doit s'en acquitter, soit à vendre soit à bâtir des constructions et donc vise à favoriser un aménagement rationnel du territoire et à éviter la thésaurisation des terrains BGE 137 III 344 S. 350 constructibles. Même si le propriétaire continue d'exploiter son terrain à des fins agricoles et ne réalise aucun gain effectif, ses cohéritiers peuvent faire valoir leur droit au gain (cf. BO 1990 CE 229 ss, BO 1991 CN 122 ss; Message, FF 1988 III 946; MEYER, op. cit., p. 206 ss; STEINAUER, Le droit des successions, 2006, n. 1336; HENNY, op. cit., n° 12 ad art. 29 LDFR ; DONZALLAZ, op. cit., n° 321 ad art. 29 et 30 LDFR ; STEINAUER, Le droit au gain selon le nouveau droit foncier rural, in RDS 113/1994 I p. 18 s.; HENNY, Le droit des cohéritiers au gain des art. 28 et ss de la loi sur le droit foncier rural [LDFR], RNRF 76/1995 p. 139 s.). Pour que ces deux objectifs puissent se réaliser, il faut admettre que seul le plan d'affectation peut valoir procédure de classement. En effet, seuls les plans d'affectation permettent d'établir si un terrain est classé dans la zone à bâtir puisqu'ils délimitent les différentes zones, notamment la zone à bâtir au sens de l' art. 15 LAT . En outre, ce n'est que la possibilité de construire dans un avenir proche qui entraîne une augmentation importante de la valeur du terrain, laquelle doit profiter aux cohéritiers. Les études de base au sens de l' art. 6 LAT ou un plan directeur cantonal englobant un terrain agricole ne permettent pas d'atteindre ces objectifs; il s'agit là tout au plus d'une affectation envisagée dont on ne peut déduire avec suffisamment de certitude qu'elle se réalisera dans un avenir proche. 5.5 Il reste enfin à déterminer le moment auquel la procédure de classement, c'est-à-dire le plan d'affectation, est introduite. Par l'adoption de l' art. 29 al. 2 let . c LDFR, le législateur a voulu prévenir toute tentative du propriétaire d'utiliser de manière dilatoire les voies de droit pour faire échec au droit au gain des cohéritiers (cf. Message, FF 1988 III 947). Pour la majorité de la commission parlementaire du Conseil national, le moment déterminant devait être la mise à l'enquête publique des plans, laquelle exprime la volonté politique de construire dans un avenir proche (Intervention Nussbaumer, BO 1991 N 124; du même avis: MEYER, op. cit., p. 265; STALDER, Der Kauf landwirtschaftlicher Gewerbe und Grundstücke, in Der Grundstückkauf, Koller [éd.], 2001, p. 332). L' art. 33 al. 1 LAT impose en effet aux cantons de mettre à l'enquête publique les plans d'affectation (cf. ATF 135 II 286 consid. 5). Cette solution garantit contre les manoeuvres dilatoires du propriétaire du terrain, puisque celui-ci n'est pas en mesure d'influer formellement sur le cours de la procédure antérieure à la mise à l'enquête publique BGE 137 III 344 S. 351 des plans d'affectation, dont l'avancement ne dépend que des autorités compétentes; ce n'est en effet qu'à partir de la mise à l'enquête qu'il a la possibilité de faire opposition ou recours (en droit neuchâtelois, cf. art. 25 et 26 al. 1 LCAT). Elle a également le mérite d'assurer une certaine uniformité dans l'application de l' art. 29 al. 2 let . c LDFR dès lors qu'elle se réfère à une notion de droit fédéral dans une procédure d'aménagement du territoire relevant essentiellement du droit cantonal. Enfin, cette solution permet de ne pas prolonger indéfiniment l'exigibilité du gain qui peut déjà intervenir plus de quarante ans après l'attribution d'une parcelle à la valeur de rendement dans l'hypothèse où le terrain n'est ni vendu ni utilisé comme terrain à bâtir - vu la durée maximale du droit de 25 ans et le report de l'exigibilité en cas de classement de 15 ans au plus ( art. 30 let. b LDFR ) - (cf. HENNY, op. cit., n° 9 ad art. 30 LDFR ). Il convient en conséquence de retenir que la mise à l'enquête publique du plan d'affectation est le moment déterminant pour l'introduction de la procédure de classement au sens de l' art. 29 al. 2 let . c LDFR. 5.6 En l'espèce, l'adoption du schéma directeur sectoriel - qualifié d'études de base au sens de l' art. 6 LAT et englobant la parcelle n° 6209 (anciennement n° 4371) -, qu'invoquent les intimés, ne constitue pas un plan d'affectation et ne suffit donc pas pour introduire la procédure de classement. En outre, quand bien même le recourant aurait l'intention d'attendre l'échéance du délai du droit au gain pour vendre, comme invoqué par les intimés, il n'en demeure pas moins qu'il n'a eu aucune influence sur le déroulement de la procédure puisque le choix des terrains compris dans le plan d'affectation du 10 août 2005 appartenait aux seules autorités étatiques et qu'il ne disposait d'aucun moyen de droit pour intervenir formellement sur ce point. Comme aucun plan d'affectation comprenant la parcelle en cause n'a été mis à l'enquête publique avant le 15 mars 2006, aucune procédure de classement dans la zone à bâtir au sens de l' art. 29 al. 1 let . c LDFR n'a été introduite dans le délai de 25 ans. Par conséquent, le droit au gain des cohéritiers est périmé. L'inscription provisoire du droit de gage, sans indication de montant, en garantie du droit au gain opérée le 2 mars 2006 au Registre foncier est donc dépourvue de cause légitime. L'action en rectification doit en conséquence être admise et la radiation de cette inscription ordonnée.
null
nan
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2,011
CH_BGE
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284d6827-0c69-4b75-aa26-00b151b7ad2e
Urteilskopf 96 V 49 11. Urteil vom 6. August 1970 i.S. Wagner gegen Krankenkasse des städtischen Personals von Biel und Verwaltungsgericht des Kantons Bern
Regeste Art. 5 Abs. 1 KUVG . Bedeutung des Gewohnheitsrechts in öffentlichrechtlichen Belangen, insbesondere für die Ausfüllung von Lücken in Kassenstatuten betreffend die versicherungsfähigen Personen.
Sachverhalt ab Seite 49 BGE 96 V 49 S. 49 A.- Walter Wagner-Kocher ist seit über 15 Jahren Sekundarlehrer in Biel. Im Januar 1969 stellte er für sich, seine Ehefrau und seine vier Kinder das Begehren um Aufnahme in die Krankenkasse des städtischen Personals von Biel (BKK). Am 6. Februar 1969 verfügte die Krankenkasse die Abweisung dieses Gesuches mit der Begründung, die Lehrerschaft gehöre nicht zum Personal der Einwohnergemeinde, für welches die Kassenstatuten allein Geltung hätten. B.- Beschwerdeweise verlangte Walter Wagner, die Kasse sei zu verhalten, den Beschwerdeführer und dessen Familienangehörige als Mitglieder aufzunehmen. Die Lehrer gälten eindeutig als Gemeindebedienstete. Die Besoldungsordnung der Einwohnergemeinde Biel umschreibe den Anwendungsbereich ausdrücklich mit: "für die Behörden, das Verwaltungspersonal und die Lehrerschaft". Verschiedene Bestimmungen des Personalstatuts seien gemäss Besoldungsordnung ausdrücklich auch auf die Lehrer anwendbar. Nach Art. 5bis der Kassenstatuten könnten Arbeitnehmer anderer Verwaltungen, Betriebe und Institutionen ebenfalls bei der Kasse versichert werden. So würden die Gewerbelehrer ohne weiteres aufgenommen. Eine BGE 96 V 49 S. 50 unterschiedliche Behandlung der Sekundarlehrer rechtfertige sich nicht. Das Verwaltungsgericht des Kantons Bern hat die Beschwerde mit Entscheid vom 7. Mai 1969 abgewiesen. C.- Walter Wagner lässt Beschwerde einreichen und sein vorinstanzlich gestelltes Rechtsbegehren wiederholen. Es sei nicht einzusehen, weshalb die Sekundarlehrer von der Kassenmitgliedschaft ausgenommen sein sollten. Die Auffassung der Kasse habe eine rechtsungleiche Behandlung der als Sekundarlehrer tätigen Gemeindeangestellten zur Folge. Die Kasse trägt auf Abweisung der Beschwerde an, sofern wegen formeller Mängel der Beschwerdeschrift überhaupt auf sie eingetreten werde. Das Bundesamt für Sozialversicherung schliesst sich diesem Begehren an. Erwägungen Das Eidg. Versicherungsgericht zieht in Erwägung: 1. Mit der Beschwerde an das Eidg. Versicherungsgericht kann - nach dem hier anwendbaren, zur Zeit der kantonalen Entscheidung gültigen Recht - nur geltend gemacht werden, das angefochtene Erkenntnis beruhe auf einer Verletzung von Bundesrecht oder auf Willkür bei der Feststellung oder Würdigung des Sachverhalts ( Art. 30ter Abs. 2 KUVG ). 2. Nach Art. 5 Abs. 1 KUVG ist jeder Schweizerbürger berechtigt, in eine Kasse einzutreten, wenn er deren statutarische Aufnahmebedingungen erfüllt. Die Kasse meint, gerade der Beschwerdeführer erfülle ihre statutarischen Aufnahmebedingungen nicht und könne daher nicht als Mitglied aufgenommen werden. Die Lehrer gehörten weder zu dem personalrechtlich obligatorisch zu versichernden Personal der Einwohnergemeinde Biel im Sinn des Art. 5 ihrer Statuten noch zu jenen Arbeitnehmern, die gemäss Art. 5bis Abs. 1 sich freiwillig bei ihr versichern lassen könnten. 3. Art. 5, Ingress, der Kassenstatuten lautet wie folgt: "Soweit das Personal der Einwohnergemeinde Biel gemäss Personalrecht verpflichtet ist, der BKK als Mitglied beizutreten, gelten für die Aufnahme folgende Voraussetzungen..." Das Versicherungsobligatorium dieses Personals ist in Art. 9 des Personalstatuts der Einwohnergemeinde folgendermassen normiert: BGE 96 V 49 S. 51 "Die Anstellung setzt die Aufnahme in die städtische Versicherungskasse und in die Krankenkasse des städtischen Personals gemäss den Statuten dieser Institution voraus. Ausnahmen hiervon kann nur der Gemeinderat bewilligen." Der Wortlaut des zitierten Art. 5 besagt aber nicht, dass nur jene Beamten und Angestellten in die Kasse aufgenommen werden dürfen, die gemäss Personalstatut zum Beitritt verpflichtet sind. Ebensowenig lässt sich dem Art. 9 des Personalstatuts entnehmen, dass dasjenige Personal, welches der Gemeinderat von der Auflage des Versicherungsobligatoriums befreit hat, nicht in die Kasse aufgenommen werden darf. Diese Vorschriften verlangen also - grammatikalisch und logisch - eine Norm, welche das Verhältnis der Krankenkasse zu jenem Personal regeln würde, das gemäss Personalstatut nicht verpflichtet ist, ihr beizutreten. Eine solche Bestimmung ist um so notwendiger, als nach Art. 5bis Abs. 1 der Kassenstatuten auch andere Personen als Arbeitnehmer der Einwohnergemeinde Biel Kassenmitglieder werden können. 4. Nun hat aber die Kasse unwidersprochen erklärt, in den 72 Jahren ihres Bestehens habe sich kein einziger Lehrer - abgesehen von den obligatorisch versicherten Gewerbelehrern - bei ihr versichern lassen; ihr heutiger Verwalter, der seit 1947 in ihrem Vorstand tätig sei, vermöge sich nicht daran zu erinnern, dass sich je ein Lehrer nach der Aufnahme auch nur erkundigt hätte. Es stellt sich in diesem Zusammenhang die Frage nach der Bildung von Gewohnheitsrecht als öffentliches Recht. Obschon der privatrechtliche Einschlag unverkennbar ist, liegt hier doch eine Streitigkeit vor, die überwiegend öffentlichrechtlichen Charakter hat. Bei der Anwendung von Gewohnheitsrecht in öffentlichrechtlichen Belangen war das Bundesgericht stets zurückhaltend. Es hat aber anerkannt, dass es zur Ausfüllung von Gesetzeslücken herangezogen werden kann. Die Entstehung von Gewohnheitsrecht setzt nach der Rechtsprechung ( BGE 84 I 95 , bestätigt durch BGE 89 I 457 ) voraus: Regelmässigkeit und lange, ununterbrochene Dauer der Übung; die ihr zugrunde liegende Rechtsüberzeugung sowohl der rechtsanwendenden Behörden als auch der vom angewendeten Grundsatz Betroffenen; das Bestehen einer echten Lücke im Gesetz und das unabweisliche Bedürfnis, sie zu füllen (vgl. dazu Berner Kommentar zum ZGB, Art. 1 N 233 -250, und Egger, Kommentar BGE 96 V 49 S. 52 zum Personenrecht, Art. 1 N 22 -35; ferner Archiv für Schweizerisches Abgaberecht, Bd. 37, S. 465). Diese Voraussetzungen sind im vorliegenden Fall erfüllt. Es steht unbestritten fest, dass seit 72 Jahren kein einziger Lehrer - abgesehen von den Gewerbelehrern - in die Krankenkasse des städtischen Personals von Biel aufgenommen worden ist und sich jedenfalls mindestens seit 1947 kein Lehrer bei ihr um die Mitgliedschaft beworben hat. Darin liegt eine ununterbrochene, hinreichend lang dauernde Übung, welche den Schluss zulässt, es habe sowohl bei der Krankenkasse wie bei der Lehrerschaft bisher die Überzeugung bestanden, dass die Angehörigen dieser Berufsgruppe, weil vom Versicherungsobligatorium ausgenommen, nicht versicherbar seien. Dieser Auffassung entspricht beispielsweise, dass in den Statuten der Krankenkasse für das Personal der Einwohnergemeinde Bern vom 17. Dezember 1965 unterschieden wird zwischen der Lehrerschaft und den übrigen Gemeindefunktionären. Während diese der Personalkrankenkasse der Einwohnergemeinde angehören, sind die Lehrer - auch hier mit Ausnahme der Gewerbelehrer - von der Mitgliedschaft ausdrücklich ausgenommen (Art. 4 Abs. 1 lit. a). - Die erwähnten Verhältnisse rechtfertigen es, die in den Statuten der heutigen Beschwerdegegnerin bestehende Lücke über die Stellung der Krankenkasse zu den gemäss Personalstatut nicht dem Versicherungsobligatorium unterstehenden Arbeitnehmern der Einwohnergemeinde Biel auszufüllen. Somit gehören die Lehrer - mit Ausnahme der Gewerbelehrer - der Einwohnergemeinde Biel gewohnheitsrechtlich zu jenen Personen, die sich nach den geltenden Kassenstatuten nicht bei der Beschwerdegegnerin versichern lassen können. Diese Ordnung widerspricht dem Art. 5 Abs. 1 KUVG nicht. Demzufolge war es nicht bundesrechtswidrig, wenn das kantonale Verwaltungsgericht die Verfügung, womit dem Beschwerdeführer die Aufnahme in die Kasse verweigert worden war, geschützt hat. Dispositiv Demnach erkennt das Eidg. Versicherungsgericht: Die Beschwerde wird abgewiesen.
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1,970
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284f4197-2fdb-4d5d-833f-7a874f902ae3
Urteilskopf 138 V 426 51. Extrait de l'arrêt de la IIe Cour de droit social dans la cause SUPRA Caisse-maladie contre INTRAS Assurance-maladie SA et E. (recours en matière de droit public) 9C_371/2012 du 26 octobre 2012
Regeste Art. 25 Abs. 1 ATSG ; Art. 62 und 63 OR ; Art. 1 Abs. 2 lit. d KVG ; Rückerstattung von Leistungen im Verhältnis unter zwei Krankenkassen. Aufgrund von Art. 1 Abs. 2 lit. d KVG ist Art. 25 Abs. 1 ATSG auf Streitigkeiten unter Krankenversicherern nicht anwendbar; eine Rückforderung von Leistungen zwischen zwei Krankenkassen kann daher nicht unter diesem Rechtstitel erfolgen. Indessen kann ein Krankenversicherer Leistungen, die er (infolge einer Doppelversicherung) zu Unrecht ausgerichtet hat, gestützt auf Art. 62 ff. OR von der zuständigen Krankenkasse zurückfordern (E. 5).
Sachverhalt ab Seite 427 BGE 138 V 426 S. 427 A. A.a E. a été assurée pour l'assurance obligatoire des soins auprès de SUPRA Caisse-maladie (ci-après: SUPRA) dès le 1 er décembre 1984. Le 13 décembre 2001, Auxilia Assurance-maladie (ci-après: Auxilia) a attesté que la prénommée était affiliée auprès d'elle dès le 1 er janvier 2002. Cette attestation a été communiquée à SUPRA. Requise par E. de lui expliquer les raisons pour lesquelles elle recevait toujours des factures, SUPRA lui a répondu, le 5 septembre 2002, ne pas avoir trouvé dans son dossier de lettre de résiliation de son contrat et l'invitait à lui en transmettre une copie, ainsi que le récépissé postal y relatif. A.b Par courrier du 29 novembre 2004, E. a résilié son contrat d'assurance auprès d'Auxilia avec effet au 31 décembre 2004. Celle-ci a accepté sa démission pour cette date, après avoir reçu de Mutuel Assurances une attestation d'assurance pour la période courant à partir du 1 er janvier 2005. Au cours d'un échange de correspondance avec E., SUPRA lui a indiqué, par lettre du 9 mars 2005, que comme la démission d'assurance ne lui avait jamais été notifiée - l'attestation d'assurance de Auxilia ne valant pas notification de démission -, l'affiliation auprès d'elle s'était poursuivie. Elle enregistrait cependant la résiliation avec effet au 31 décembre 2005 et validerait la démission à réception d'une attestation de son nouvel assureur-maladie faisant état de son affiliation au 1 er janvier 2006. Après avoir transmis à BGE 138 V 426 S. 428 SUPRA une copie de l'attestation d'assurance de Mutuel Assurances, Auxilia lui a remis, le 10 août 2005, un décompte des prestations concernant l'assurée, pour un montant total de 29'157 fr. 95, dont elle lui demandait le remboursement. Par la suite, Auxilia a réduit le montant de sa prétention à 25'945 fr. 70 et indiqué à SUPRA qu'elle comptait lui verser un montant de 9'800 fr. 40 correspondant aux subventions reçues pour l'assurée de l'Etat du Jura pour les années 2002 à 2004 (courrier du 18 octobre 2006). Le 8 novembre 2006, SUPRA a répondu à Auxilia que l'Etat du Jura lui avait également versé des subventions au titre des primes LAMal de E. pour les années 2002 à 2005, de sorte que la somme de 9'800 fr. 40 devait à son avis être restituée directement au canton du Jura. Elle indiquait par ailleurs que la prise en charge des prestations qu'Auxilia avait versées durant la période d'affiliation de l'assurée n'interviendrait que lorsque l'intégralité de la créance qui lui était due serait acquittée. Interpellée à nouveau par Auxilia, SUPRA l'a informée, le 20 novembre 2007, qu'elle ne lui verserait pas la somme réclamée, parce que le droit aux prestations de E. avait été suspendu au cours de la période du 1 er janvier 2002 au 31 décembre 2004, faute pour celle-ci de s'être acquittée des montants dus à la caisse-maladie. B. Auxilia a saisi le Tribunal cantonal des assurances du canton de Vaud (aujourd'hui, Tribunal cantonal du canton de Vaud, Cour des assurances sociales) d'une demande en paiement à l'encontre de SUPRA, en concluant à ce que celle-ci soit condamnée à lui verser la somme de 25'945 fr. 70. En cours de procédure, elle a indiqué réclamer en outre des intérêts à 5 % l'an à partir du 1 er juillet 2003. Après avoir rejeté l'exception de prescription soulevée par SUPRA (jugement préjudiciel du 21 novembre 2011), la Cour des assurances sociales du Tribunal cantonal vaudois a, par jugement du 2 mars 2012, condamné SUPRA à payer à Auxilia la somme de 25'945 fr. 70 avec intérêts à 5 % à compter du 15 septembre 2008. C. Agissant par la voie du recours en matière de droit public, SUPRA demande au Tribunal fédéral, sous suite de frais, principalement de réformer le jugement cantonal en ce sens que la demande en paiement d'Auxilia est rejetée. A titre subsidiaire, elle conclut au renvoi de la cause à la juridiction cantonale pour qu'elle rende un nouveau jugement. Elle requiert en outre l'octroi de l'effet suspensif à son recours, ce qui lui a été accordé par ordonnance du 10 juillet 2012. BGE 138 V 426 S. 429 Auxilia, à laquelle s'est entre-temps substituée INTRAS Assurance-maladie SA en qualité de successeur par reprise d'actifs et de passifs, conclut au rejet du recours. E. et l'Office fédéral de la santé publique ont renoncé à se déterminer. Le recours a été partiellement admis. Erwägungen Extrait des considérants: 3. 3.1 Constatant que les parties n'étaient liées par aucun contrat, la juridiction cantonale a examiné le cas d'espèce sous l'angle de l'enrichissement illégitime au sens des art. 62 ss CO . Elle a retenu que E. avait été assurée simultanément auprès de la recourante et d'Auxilia durant les années 2002 à 2004 et que la seconde caisse-maladie avait de bonne foi versé des prestations en faveur de l'assurée pour un total de 25'945 fr. 70, alors que la première aurait dû prester pendant cette période à hauteur de ce montant. Aussi, Auxilia se trouvait-elle dans la situation visée par l' art. 63 al. 2 CO , selon lequel "celui qui a payé volontairement ce qu'il ne devait pas ne peut le répéter s'il ne prouve qu'il a payé en croyant, par erreur, qu'il devait ce qu'il a payé". En conséquence, elle avait droit de la part de la recourante au versement du montant litigieux, dont la quotité avait été établie à satisfaction de droit par l'intimée au moyen des pièces versées à la procédure. 3.2 Invoquant une violation du droit fédéral, la recourante soutient que la restitution des prestations dans le domaine de l'assurance-maladie obligatoire est réglée de manière claire et exhaustive à l' art. 25 LPGA (RS 830.1), selon lequel l'assureur concerné devrait s'adresser à l'assuré ayant bénéficié de prestations de manière indue. D'après la recourante, comme les dispositions des art. 62 ss CO sur l'enrichissement illégitime ne s'appliquent que de manière subsidiaire en droit public et que l' art. 25 LPGA instaure une procédure applicable à la restitution de prestations indues, les premiers juges ont violé le droit fédéral en appliquant les dispositions du CO pour en déduire une obligation de remboursement direct entre deux caisses-maladie. Pour l'intimée, au contraire, l' art. 25 LPGA n'est pas applicable dès lors que l'assurée a bénéficié de prestations auxquelles elle avait droit, les frais de traitement à la charge de l'assurance obligatoire des soins devant être remboursés. Par ailleurs, cette disposition ne s'appliquerait pas à la situation d'une double affiliation, que le législateur n'avait BGE 138 V 426 S. 430 pas envisagée. Faute de règles spécifiques, l'obligation de restituer l'indu est fondée, selon l'intimée, sur les normes générales de l'enrichissement illégitime prévues aux art. 62 ss CO , dont les conditions sont réalisées en l'occurrence. 4. 4.1 Il résulte des constatations de fait de la juridiction cantonale que E. a été doublement assurée pour l'assurance-maladie obligatoire, d'une part, par la recourante (qui connaissait, depuis fin 2001, l'existence de la double affiliation) et, d'autre part, par Auxilia pendant les années 2002 à 2004. Durant cette période, selon la juridiction cantonale, Auxilia avait de bonne foi pris en charge les prestations en faveur de l'assurée, ignorant jusqu'en mars 2005 qu'elle assurait l'intéressée en plus de la recourante, ce que les parties ne contestent pas. On ajoutera (cf. art. 105 al. 2 LTF ) qu'après s'être aperçue de la double affiliation de E., Auxilia a annulé l'affiliation de celle-ci avec effet rétroactif au 1 er janvier 2002. 4.2 Le litige porte sur le point de savoir si l'intimée peut réclamer le remboursement par la recourante du montant versé en faveur de E. à titre de prestations de l'assurance obligatoire des soins pour la période courant de 2002 à 2004. La restitution litigieuse s'inscrit dans le contexte de la remise en l'état ("Rückabwicklung") de la situation juridique sous l'angle de l'affiliation de E. à l'assurance-maladie obligatoire: comme le changement d'assureur-maladie ne s'est pas déroulé conformément au droit, la situation doit après coup être rétablie comme si l'affiliation successive avait eu lieu correctement. C'est le lieu de rappeler qu'en cas de changement d'assureur dans l'assurance obligatoire de soins, une double assurance est exclue; le rapport d'assurance auprès du nouvel assureur peut seulement débuter lorsque l'ancien prend fin ( ATF 130 V 448 consid. 4 p. 451). En l'espèce, il est constant que le rapport d'assurance entre E. et Auxilia n'a pas pu débuter parce que l'ancien rapport qui liait la prénommée à la recourante n'avait pas pris fin pendant la période considérée. Les prestations qu'Auxilia a versées à la prénommée ne reposaient dès lors pas sur une cause valable et n'étaient, partant, pas dues par cet assureur. 5. 5.1 Le principe général, selon lequel les versements qui ont été faits en exécution d'une obligation privée de cause valable, ou fondés sur une cause qui ne s'est pas réalisée ou qui a cessé d'exister, doivent être restitués si la loi ne le prévoit pas autrement, est codifié à l' art. 62 BGE 138 V 426 S. 431 al. 2 CO pour le droit privé. Cette règle vaut aussi dans le cadre du droit public ( ATF 135 II 274 consid. 3.1 p. 276; MOOR/POLTIER, Droit administratif, vol. II, 3 e éd. 2011, p. 168 ch. 1.5.3; HÄFELIN/MÜLLER/UHLMANN, Allgemeines Verwaltungsrecht, 6 e éd. 2010, p. 176 n. 760 ss). Selon la jurisprudence, l'obligation de restituer l'indu se fonde en premier lieu sur les dispositions des lois spéciales qui la prévoient et, à défaut, sur les règles générales de l'enrichissement illégitime au sens des art. 62 à 67 CO ( ATF 128 V 50 consid. 2 p. 51 et l'arrêt cité). Dès lors que l'on soumet l'obligation de restituer aux art. 62 ss CO , il convient en principe d'appliquer ces dispositions avec leurs avantages et inconvénients respectifs pour l'enrichi et le lésé, sans en dénaturer le sens ou la portée, quand bien même elles s'incorporent dans un système régi en partie par le droit public ( ATF 130 V 414 consid. 3.2 p. 418). 5.2 Le droit des assurances sociales comprend une norme sur la restitution de prestations indûment touchées, l' art. 25 al. 1 LPGA , selon lequel "les prestations indûment touchées doivent être restituées. La restitution ne peut être exigée lorsque l'intéressé était de bonne foi et qu'elle le mettrait dans une situation difficile". 5.2.1 L'obligation de restituer au sens de l' art. 25 al. 1 LPGA , qui suppose que soient réalisées les conditions d'une révision procédurale (cf. art. 53 al. 1 LPGA ) ou d'une reconsidération (cf. art. 53 al. 2 LPGA ) de la décision, formelle ou non, par laquelle les prestations en cause ont été allouées ( ATF 130 V 318 consid. 5.2 p. 319 et les références), a été considérée comme applicable au remboursement de prestations entre une caisse-maladie et un hôpital ( ATF 133 V 579 ) de même qu'au remboursement de prestations entre deux assureurs-accidents, le premier ne pouvant obtenir du second le remboursement de prestations allouées sans réserve qu'à la condition qu'il puisse se prévaloir d'un motif de révocation de la décision d'octroi de prestations en cause (arrêt 8C_284/2009 du 20 janvier 2010, in SVR 2010 UV n° 24 p. 97). 5.2.2 En ce qui concerne cependant les rapports entre deux assureurs-maladie obligatoire, l' art. 1 al. 2 let . d LAMal prévoit que les dispositions de la LPGA ne s'appliquent pas aux "litiges entre assureurs (art. 87)". Dès lors que la LPGA couvre d'abord les rapports entre les assurés et les assureurs (Rapport de la Commission du Conseil national de la sécurité sociale et de la santé, du 26 mars 1999, relatif au projet de loi fédérale sur la partie générale du droit des assurances BGE 138 V 426 S. 432 sociales [LPGA], FF 1999 4168, 4325 ch. 6.2 ad art. 1 LAMal ), le législateur entendait exclure du champ d'application de la LPGA les litiges dans lesquels une caisse-maladie ne peut user de la puissance publique à l'égard d'un autre assureur-maladie pour exiger de lui, par voie de décision, qu'il exécute son obligation, les deux parties se trouvant sur un pied d'égalité (GEBHARD EUGSTER, ATSG und Krankenversicherung: Streifzug durch Art. 1-55 ATSG, RSAS 2003 p. 213 ss, 215). En conséquence, l' art. 1 al. 2 let . d LAMal exclut les litiges entre assureurs du champ d'application de la LPGA ( ATF 132 V 166 consid. 4 p. 172). Cette exclusion porte sur la LPGA dans son ensemble et pas seulement en relation avec l' art. 87 LAMal comme le laisse entendre l' ATF 130 V 215 consid. 5.3 p. 222. L' art. 87 LAMal ne règle en effet pas une exception à la LPGA, mais porte sur un point qui n'est pas traité par la LPGA (EUGSTER, Die Krankenversicherung, in Soziale Sicherheit, SBVR vol. XIV, 2 e éd. 2007, p. 821 n. 1217). En vertu de l' art. 1 al. 2 let . d LAMal, l'intimée ne peut dès lors pas fonder son droit à la restitution, par la recourante, de prestations versées à tort sur l' art. 25 al. 1 LPGA , qui n'est pas applicable dans le litige qui les oppose. 5.2.3 L' art. 25 al. 1 LPGA permet en revanche à l'intimée, comme le soutient la recourante, de réclamer à l'assurée la restitution des prestations qu'elle lui a versées à tort, le caractère indu de celles-ci reposant sur le fait qu'elle n'était pas la débitrice de E. (même si celle-ci avait droit, sur le principe, aux prestations de l'assurance obligatoire des soins). La possibilité de recourir à la restitution des prestations au sens de l' art. 25 al. 1 LPGA à l'égard de l'assurée exclut l'application, dans les relations entre celle-ci et la caisse-maladie, des art. 62 ss CO , en particulier de l' art. 63 CO (dans ce sens, arrêt K 70/06 du 30 juillet 2007 consid. 7.3, non publié in ATF 133 V 579 ). Au contraire, comme la disposition spéciale de la LPGA prévoyant l'obligation de restituer l'indu ne s'applique pas aux rapports litigieux entre deux caisses-maladie, et qu'il n'existe pas d'autre règle particulière à ce sujet, on ne voit pas ce qui s'oppose à l'application des règles générales sur l'enrichissement illégitime au sens des art. 62 à 67 CO aux relations entre l'assureur-maladie ayant presté à tort et celui qui est effectivement débiteur des prestations d'assurance. Lorsqu'il s'agit de remettre en état la situation sous l'angle de l'affiliation de l'assuré en raison du déroulement incorrect du changement BGE 138 V 426 S. 433 d'assureur, ce qui implique la résiliation rétroactive de la couverture d'assurance ayant conduit à une double assurance, la caisse-maladie créancière peut se voir confrontée à des difficultés d'ordre pratique liées à l'impossibilité de récupérer sa créance auprès de l'assuré, voire selon le système de prise en charge des prestations auprès des fournisseurs de celles-ci. Aussi, pour faciliter la remise en état de la situation ("Rückabwicklung"), une restitution des prestations versées à tort directement entre les assureurs-maladie concernés se justifie, en application des règles sur l'enrichissement illégitime prévues par le CO. 6. 6.1 En ce qui concerne en tant que telle la réalisation des conditions de l' art. 63 al. 1 CO , la recourante ne critique pas les considérations de la juridiction cantonale y relatives, de sorte que ce point n'a pas à être examiné plus avant. La recourante conteste en revanche que les pièces produites par l'intimée à l'appui du remboursement de la somme de 25'945 fr. 70 soient suffisantes pour qu'elle "puisse assumer les tâches qui lui sont dévolues en vertu de la LAMal". Selon elle, le décompte et les relevés informatiques de l'intimée ne permettent pas de vérifier que les prestations prises en charge par l'assurance obligatoire de soins sont efficaces, appropriées et économiques (au sens de l' art. 32 LAMal ); l'accès aux factures détaillées des fournisseurs serait indispensable à la bonne exécution des tâches de l'assureur social. A défaut de pièces suffisantes, le remboursement des prestations conformément à la LAMal ne serait pas possible, de sorte que la demande en paiement de l'intimée devrait être rejetée. 6.2 Pour fixer à 25'945 fr. 70 l'étendue de la créance en répétition, la juridiction cantonale s'est fondée sur le décompte établi par l'intimée (indiquant pour chaque prestation la date de traitement, la date de paiement, le prestataire de soins, le montant, la franchise, la participation et le montant payé), ainsi que les relevés informatiques établis par l'intimée relatifs à la "saisie des prestations". Elle a constaté que ces pièces établissaient à satisfaction les montants versés par l'intimée en faveur de l'assurée. Comme le fait valoir à juste titre la recourante, les documents produits par l'intimée en instance cantonale ne permettent toutefois pas de vérifier si l'étendue de la créance en répétition alléguée par l'intimée correspond effectivement à des prestations versées en faveur de son assurée à la charge de l'assurance obligatoire des soins. Les indications du décompte de prestations ne comportent ainsi pas les données BGE 138 V 426 S. 434 nécessaires pour vérifier le calcul de la rémunération et le caractère économique de la prestation (cf. art. 42 al. 3 LAMal ). En particulier, les relevés informatiques comprennent des prestations sous le titre "Pharmacies-Méd. LS, méd. non oblig., analyses" (par exemple, relevé relatif au traitement du 12 octobre 2004 au 29 novembre 2004, pour un total de 246 fr. 20). De telles indications, qui mentionnent apparemment des médicaments "non obligatoires" font douter que l'ensemble des prestations alléguées par l'intimée relève exclusivement de l'assurance obligatoire des soins. Il appartient dès lors à l'autorité judiciaire de première instance, en vertu du principe inquisitoire applicable dans le domaine de l'assurance-maladie obligatoire, de compléter l'instruction afin de lever les doutes quant à l'étendue de la créance en restitution. Il convient de lui renvoyer la cause à cette fin.
null
nan
fr
2,012
CH_BGE
CH_BGE_007
CH
Federation
28508a93-abbe-4fda-ad49-d4c1876dfe6d
Urteilskopf 88 I 1 1. Auszug aus dem Urteil vom 31. Januar 1962 i.S. Bau- & Verwaltungs-AG und Höchli gegen Regierungsrat des Kantons Aargau.
Regeste Sperrfrist für die Veräusserung landwirtschaftlicher Grundstücke ( Art. 218 OR ). Begriff des von der Sperrfrist ausgenommenen "Baulandes" im Sinne von Art. 218 Abs. 2 OR .
Sachverhalt ab Seite 1 BGE 88 I 1 S. 1 A.- Am 6. Mai 1960 verkaufte Walter Vogelsang drei zusammen 195,57 a haltende, bisher landwirtschaftlich genutzte Parzellen in Gebenstorf zum Preis von Fr. 400'000.-- an Traugott Suter und Siegfried Küng als Miteigentümer zu je 1/2. Am 24. Oktober 1960 bewilligte die Landwirtschaftsdirektion des Kantons Aargau eine über den Schätzungswert hinausgehende hypothekarische Belastung der Grundstücke mit der Begründung, diese lägen im generellen Kanalisationsprojekt und seien mit Weg, Wasser und Elektrizität erschlossen, und die Eigentümer Suter und Küng hätten sie zur unmittelbaren Überbauung BGE 88 I 1 S. 2 erworben und sich verpflichtet, die Kanalisation auf eigene Kosten zu erstellen. Am 8. Februar 1961 verkauften Suter und Küng die drei Grundstücke zum Preis von Fr. 520'000.-- an die Bau- & Verwaltungs-AG und an Josef Höchli als Miteigentumer zu je 1/2, wobei die Genehmigung des Kaufes durch die Landwirtschaftsdirektion vorbehalten wurde. Diese verweigerte indessen die Genehmigung durch Verfügung vom 1. Mai 1961. Die Käufer führten hiegegen Beschwerde, wurden aber vom Regierungsrat durch Entscheid vom 15. September 1961 abgewiesen, im wesentlichen aus folgenden Gründen: Als Bauland im Sinne von Art. 218 Abs. 2 OR seien Grundstücke zu betrachten, die zur unmittelbaren Überbauung erworben werden und im Zeitpunkt der Handänderung entweder im Perimeter eines rechtskräftigen Überbauungs- oder Zonenplanes liegen oder für eine Überbauung mit Wegen, Wasser, Kanalisation und Elektrizität voll erschlossen seien. Die fraglichen Grundstücke seien aber eindeutig nicht erschlossen; vor allem fehle die Kanalisation. Dass die Grundstücke im Gebiete des generellen Kanalisationsprojektes liegen, vermöge die fehlende Kanalisation nicht zu ersetzen und genüge für die Qualifikation als Bauland nicht. Ein wichtiger Grund im Sinne von Art. 218 bis OR für die Erteilung einer Ausnahmebewilligung liege nicht vor. Es handle sich um ein Spekulationsgeschäft, bei dem die jetzigen Verkäufer einen Zwischengewinn von Fr. 120'000.-- erzielt und ihre im Verfahren betreffend Belastung der Grundstücke der Landwirtschaftsdirektion abgegebenen Zusicherungen nicht eingehalten hätten. B.- Gegen diesen Entscheid des Regierungsrates führen die Bau- & Verwaltungs-AG und Josef Höchli staatsrechtliche Beschwerde wegen Verletzung von Art. 4 BV durch formelle Rechtsverweigerung, Willkür und rechtsungleiche Behandlung. Die einzelnen Rügen und ihre Begründung sind, soweit wesentlich, aus den nachstehenden Erwägungen ersichtlich. BGE 88 I 1 S. 3 C.- Der Regierungsrat des Kantons Aargau beantragt die Abweisung der Beschwerde, soweit darauf einzutreten sei. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1./2. - (Prozessuales.) 3. (Formelle Rechtsverweigerung.) 4. In der Sache selbst werfen die Beschwerdeführer dem Regierungsrat deshalb Willkür und rechtsungleiche Behandlung vor, weil er den in Frage stehenden Grundstücken nicht die Eigenschaft von Bauland im Sinne von Art. 218 Abs. 2 OR zuerkenne und ihre Veräusserung daher der Sperrfrist von Art. 218 Abs. 1 OR unterstelle. a) Die Beschwerdeführer machen geltend, der Landwirtschaftsdirektion sei bekannt gewesen, dass schon Suter und Küng das Land zur Überbauung erworben haben; sie habe denn auch am 24. Oktober 1960 einer den Schätzungswert übersteigenden hypothekarischen Belastung zugestimmt, was sie nicht hätte tun dürfen, wenn es sich nicht um Bauland gehandelt hätte. Darin, dass sie nun das Land beim Weiterverkauf an die Beschwerdeführer nicht als Bauland anerkenne, liege ein unmotiviertes, widersprüchliches Verhalten, ein Verstoss gegen Treu und Glauben und eine rechtsungleiche Behandlung der Beschwerdeführer. Diese Rüge richtet sich gegen den Entscheid der Landwirtschaftsdirektion vom 1. Mai 1961, mit dem die Genehmigung des Kaufvertrags vom 8. Februar 1961 verweigert worden ist. Gegenstand der staatsrechtlichen Beschwerde ist aber ausschliesslich der Beschwerdeentscheid des Regierungsrates vom 15. September 1961, da der Regierungsrat die Sache frei überprüft hat und sein Entscheid daher an die Stelle desjenigen der Landwirtschaftsdirektion getreten ist (vgl. BGE 80 I 308 Erw. 1, BGE 85 I 2 Erw. 1). Auf diese Rüge ist daher nicht einzutreten. Soweit sie sich auch gegen den Entscheid des Regierungsrates richten sollte, wäre sie als unbegründet abzuweisen, BGE 88 I 1 S. 4 da der Regierungsrat sich mit der Bewilligung der Mehrbelastung der Grundstücke nicht befasst hat, ihm also kein widersprüchliches Verhalten vorgeworfen werden kann (vgl. BGE 80 I 322 Erw. 2 mit Verweisungen). Davon abgesehen lässt sich aus der Bewilligung der Mehrbelastung auch deshalb kein Anspruch auf Anerkennung des Landes als Bauland im Sinne von Art. 218 Abs. 2 OR ableiten, weil diese Bewilligung nur erteilt wurde im Hinblick auf die Zusicherung der Käufer Suter und Küng, die Grundstücke sofort zu überbauen und die fehlende Kanalisation auf eigene Kosten zu erstellen. Diese Zusicherungen wurden nicht eingehalten, ja es zeigte sich, dass Suter und Küng das Land schon vor Abgabe derselben, durch Vertrag vom 27. Mai 1960 (der in der Folge durch denjenigen vom 8. Februar 1961 ersetzt wurde) an die Beschwerdeführer weiter verkauft hatten. Angesichts dieser veränderten Sachlage, die nicht widerlegt ist, besteht kein Widerspruch zwischen den Verfügungen der Landwirtschaftsdirektion vom 24. Oktober 1960 und 1. Mai 1961 und kann noch weniger von einem Verstoss gegen Treu und Glauben und den Grundsatz der Rechtsgleichheit die Rede sein. b) Der Begriff "Bauland" wird weder im EGG, durch das die Art. 218-218ter OR ihre heutige Fassung erhielten, noch in der übrigen Landwirtschaftsgesetzgebung des Bundes definiert, sodass es Sache der mit der Anwendung des Gesetzes betrauten Behörden ist, diesen Begriff zu bestimmen und auf Grund der konkreten Verhältnisse zu entscheiden, ob ein Grundstück als Bauland zu gelten habe ( BGE 84 I 3 Erw. 4). aa) Der aargauische Regierungsrat hat den Begriff "Bauland" in § 10 der VV zum EGG vom 8. Dezember 1952 umschrieben, diese Bestimmung aber mit Wirkung ab 1. Januar 1959 wieder aufgehoben, sodass sie entgegen der Auffassung der Beschwerdeführer für die Beurteilung des vorliegenden Falles nicht mehr in Betracht kommt. bb) Die aargauischen Behörden haben bei der Bestimmung des Begriffs "Bauland" zunächst auf die objektive BGE 88 I 1 S. 5 Voraussetzung der baulichen Erschliessung abgestellt, und das Bundesgericht hat in mehreren nicht veröffentlichten Urteilen (vgl. die Zitate in BGE 84 I 4 ) entschieden, dass und weshalb diese Praxis mit Wortlaut und Sinn von Art. 218 OR vereinbar und nicht willkürlich sei. In der Folge haben die aargauischen Behörden ihre Praxis verschärft und den Begriff des Baulandes enger gefasst, indem sie die bauliche Erschliessung nicht genügen liessen, sondern ausserdem forderten, dass das Land zur unmittelbaren Überbauung erworben werde, seine Überbauung in nächster Zeit zu erwarten sei. Dass auch diese weitere subjektive Voraussetzung aus dem Gesichtswinkel der Willkür nicht zu beanstanden sei, ist in den nicht veröffentlichten Urteilen vom 28. Januar 1959 i.S. Keller und Trüeb (abgedruckt in ZBGR 1959 S. 251 ff.) und vom 18. Mai 1960 i.S. Bon entschieden worden. Soweit die weitschweifigen Ausführungen der Beschwerde, die sich trotz der gelegentlichen Verwendung des Ausdrucks "willkürlich" im wesentlichen in einer appellatorischen Kritik des angefochtenen Entscheids erschöpfen, sich überhaupt mit der genannten Rechtsprechung des Bundesgerichtes befassen, sind sie nicht geeignet, diese zu erschüttern und eine Änderung derselben zu veranlassen. Dass die Verkäufer das Land von einem Bauern erhalten haben, es aber nicht landwirtschaftlich nutzen, ist noch kein zwingender Grund, es als Bauland zu betrachten. Das Bundesgerischt hat bereits im Urteil vom 30. Mai 1956 i.S. Lüscher (S. 8/9) ausgeführt, zur landwirtschaftlichen Nutzung sich eignendes Land könne auch dann noch ohne Willkür als landwirtschaftlich betrachtet werden, wenn es zur Zeit nicht landwirtschaftlich genutzt werde, denn diese Auffassung entspreche dem Zweck des Gesetzes, den bäuerlichen Grundbesitz der Landwirtschaft zu erhalten und die Spekulation damit zu bekämpfen, und sei geeignet, die Umgehung des Gesetzes durch einstweilige Brachlegung landwirtschaftlicher Grundstücke zu vereiteln. Kein ausschlaggebendes Kriterium für die Qualifizierung BGE 88 I 1 S. 6 als Bauland ist ferner der vom Käufer bezahlte Preis. Sonst hätten es die Vertragspartner in der Hand, durch Vereinbarung eines entsprechend hohen Kaufpreises bäuerliches Land der Bodenspekulation zuzuführen, was das Gesetz aber gerade verhindern will. cc) Es ist unbestritten, dass auf den fraglichen Grundstücken keine Kanalisation besteht. Sie sind also noch nicht voll erschlossen, was nach der dargelegten Rechtsprechung für sich allein schon genügt, um ihnen ohne Willkür den Charakter von Bauland abzusprechen. Die Beschwerdeführer wenden zwar ein, dass sie als Erwerber bereit und auch in der Lage seien, die fehlende Erschliessung vorzunehmen. Wie jedoch schon in BGE 84 I 4 ausgeführt wurde, vermag die blosse Absicht, ein Grundstück zu überbauen, ihm, wie ohne Willkür angenommen werden kann, den Charakter von Bauland noch nicht zu verleihen, da es der Eigentümer sonst in der Hand hätte, die Sperrfrist dadurch zu umgehen, dass er behauptet, er beabsichtige zu bauen; diese Absicht könnte höchstens genügen, wenn ein konkretes Bauprojekt vorliege, dessen Ausführung unmittelbar bevorsteht und als gesichert erscheint (ähnlich nicht veröffentl. Urteil vom 15. Juni 1960 i.S. Elliker c. Thurgau S. 8/9). Das Gleiche muss auch für die Erstellung der Kanalisation gelten. Dass aber bereits ein konkretes Kanalisationsprojekt für die fraglichen Grundstücke vorliege, haben die Beschwerdeführer nicht behauptet und noch weniger dargetan. dd) Davon abgesehen durfte diesen Grundstücken der Baulandcharakter auch deshalb abgesprochen werden, weil sie weder im Zeitpunkt der Beurkundung des Kaufvertrags (8. Februar 1961) noch im Zeitpunkt des regierungsrätlichen Entscheids (15. September 1961) im Perimeter eines rechtskräftigen Überbauungs- oder Zonenplanes lagen (wobei dahingestellt bleiben mag, welcher Zeitpunkt als massgebend zu betrachten ist). Der Zonenplan der Gemeinde Gebenstorf, der die Grundstücke in die Mehrfamilienhauszone einbezieht, wurde erst im Verlaufe des BGE 88 I 1 S. 7 staatsrechtlichen Beschwerdeverfahrens, in der Einwohnergemeindeversammlung vom 17. November 1961, angenommen. Vorher bestand lediglich ein Projekt. Es ist aber jedenfalls nicht willkürlich, wenn eine Behörde bei ihrem Entscheid nicht auf den Entwurf eines Zonenplans abstellt, von dem noch nicht feststeht, ob er angenommen wird und einmal in Kraft tritt. Die Beschwerdeführer bezeichnen es freilich als willkürlich, dass der Regierungsrat ihrem Gesuch um Sistierung des Verfahrens bis zum Eintritt der Rechtskraft des Zonenplans nicht entsprochen habe, tun aber nicht dar, gegen welche gesetzliche Vorschrift oder allgemeinen Rechtsgrundsatz er dadurch verstossen habe. Unter dem beschränkten Gesichtswinkel der Willkür ist es nicht zu beanstanden, wenn eine Behörde ihren Entscheid nicht aussetzt, bis die zur Zeit der Einreichung eines Gesuches noch fehlenden gesetzlichen Voraussetzungen für dessen Gutheissung vorliegen. Mit dem Antrag, das staatsrechtliche Beschwerdeverfahren bis zum Inkrafttreten des Zonenplans zu sistieren, weil dann die Beschwerde "glattweg" gutgeheissen werden müsse, verkennen die Beschwerdeführer die Natur der Willkürbeschwerde. Da diese auf Grund der kantonalen Akten zu beurteilen ist ( BGE 73 I 181 Erw. 2, BGE 75 I 238 a, BGE 84 I 164 Erw. 1), ist die Berücksichtigung von Tatsachen, die erst nach dem angefochtenen Entscheid eingetreten sind, ausgeschlossen. Der inzwischen angenommene Zonenplan kann daher auch vom Bundesgericht nicht berücksichtigt werden. ee) Mit dem zwischen den gleichen Parteien abgeschlossenen Kaufvertrag vom 27. Mai 1960, der dann durch denjenigen vom 8. Februar 1961 ersetzt worden ist, hat sich das Bundesgericht nicht zu befassen, da Gegenstand des angefochtenen Entscheids nur der Vertrag vom 8. Februar 1961 ist. c) Unbehelflich ist der Einwand, die Verkäufer Suter und Küng hätten ihre vertraglichen Verpflichtungen gegenüber den Beschwerdeführern nicht erfüllt, Treu und Glauben verletzt, ja sich geradezu "deliktisch" verhalten und BGE 88 I 1 S. 8 verdienten daher keinen Rechtsschutz. Es fragt sich einzig, ob die Annahme des Regierungsrates, dass die fraglichen Grundstücke kein Bauland im Sinne von Art. 218 Abs. 2 OR seien und daher unter die Sperrfrist von Abs. 1 dieser Bestimmung fallen, dem Vorwurfe der Willkür standhalte. Dagegen war weder vom Regierungsrat noch ist vom Bundesgericht zu prüfen, ob das Fehlen der Baulandeigenschaft auf ein vertragswidriges oder sonst gegen Treu und Glauben verstossendes Verhalten der Verkäufer zurückzuführen sei. Die Frage, welche Kaufvertragspartei an der Verweigerung der Genehmigung "schuld" sei, steht hier nicht zur Entscheidung. Zu Unrecht wenden die Beschwerdeführer auch ein, durch die Nichtgenehmigung des Kaufvertrages werde die vom Gesetz bekämpfte Bodenspekulation erst recht gefördert, weil nun Suter und Küng die Grundstücke zu einem noch höheren Preise an Dritte verkaufen könnten. Unter den Verhältnissen, wie sie bis zum angefochtenen Entscheid bestanden, wäre auch ein Verkauf an Dritte nicht genehmigt worden. Sollte aber auf Grund des seither in Kraft getretenen Zonenplanes oder wegen allfälliger Erstellung der bisher fehlenden Kanalisation das Land in der Folge als Bauland betrachtet und ein späterer Weiterverkauf als nicht genehmigungsbedürftig bezeichnet werden, so läge hierin, angesichts der veränderten Verhältnisse, keine rechtsungleiche Behandlung der Beschwerdeführer. 5. (Frage der Ausnahmebewilligung; Art. 218bis OR .) Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Beschwerde wird abgewiesen, soweit darauf einzutreten ist.
public_law
nan
de
1,962
CH_BGE
CH_BGE_001
CH
Federation
2853f34e-46a9-45de-9b19-cb757fcb27a8
Urteilskopf 110 II 466 88. Extrait de l'arrêt de la IIe Cour civile du 13 septembre 1984 dans la cause Compagnie pour le dessalement de l'eau de mer S.A. contre Commission cantonale de recours en matière foncière du canton de Vaud (recours de droit administratif)
Regeste Art. 218 OR . Überbaubar gewordene Grundstücke, die - aufgrund eines vom Staatsrat genehmigten und sofort anwendbaren Quartierplanes - der Industriezone zugewiesen wurden, habe ihre Eigenschaft als landwirtschaftliche Grundstücke verloren, selbst wenn der Quartierplan noch nicht in formelle Rechtskraft erwachsen ist.
Sachverhalt ab Seite 466 BGE 110 II 466 S. 466 A.- Par acte authentique du 12 juillet 1976, la société L. M. Campiche S.A., à Pully, a vendu à la Compagnie pour le dessalement de l'eau de mer S.A., à Lausanne (ci-après: la Compagnie), les parcelles Nos 273 et 276 de la commune de Savigny, sises à La Claie-aux-Moines, d'une surface totale de 9111 m2, qu'elle avait acquises le 6 mai 1964. La parcelle No 273, d'une superficie de 8430 m2, comporte divers bâtiments, savoir une habitation de 199 m2, un dépôt de meubles de 82 m2 (antérieurement à 1982, rural), un poulailler de 12 m2 et un atelier de 101 m2, une place-jardin de 1611 m2 et un pré-champ de 6425 m2. La parcelle No 276 est un pré-champ de 681 m2. La Compagnie avait acheté ces immeubles en vue de projets qui ne se sont pas réalisés. Elle a souhaité les revendre, car elle n'en avait pas l'utilité. Le conservateur du registre foncier du district de Lavaux a refusé d'inscrire la vente des deux parcelles précitées, conclue par acte authentique du 7 juillet 1982 entre la Compagnie et Gilbert Moulin, architecte, domicilié à Savigny, pour le prix de 500'000 francs, estimant qu'elles étaient des immeubles agricoles qui, en vertu de l' art. 218 al. 1 CO , ne pouvaient être aliénés pendant 10 ans à compter de leur acquisition. BGE 110 II 466 S. 467 Par requête du 29 novembre 1982, la Compagnie a sollicité l'autorisation de vendre à Moulin, avant l'écoulement du délai légal de 10 ans, les parcelles précitées pour le prix convenu. Par décision du 10 décembre 1982, la Commission foncière du canton de Vaud, Section I, a refusé l'autorisation demandée, au motif que les parcelles visées sont des immeubles agricoles au sens des art. 218 ss CO , et que les conditions des exceptions à l'interdiction, prévues aux art. 218 al. 2 et 218bis CO , ne sont pas réalisées. B.- La Compagnie a attaqué le refus du conservateur du registre foncier auprès de la Direction cantonale du cadastre, laquelle a sursis à son prononcé jusqu'à droit connu sur le recours interjeté à la Commission cantonale vaudoise de recours en matière foncière contre la décision précitée de la Commission foncière. C.- La Commission cantonale de recours en matière foncière (ci-après: la Commission de recours), par décision du 28 octobre 1983, a rejeté le recours formé par la Compagnie et a maintenu le prononcé attaqué. D.- La Compagnie a formé un recours de droit administratif au Tribunal fédéral. Elle demande que le prononcé attaqué soit annulé et que l'autorisation d'aliéner les parcelles Nos 273 et 276 de la commune de Savigny lui soit accordée. Le Département fédéral de justice et police, Office fédéral de la justice, propose le rejet du recours, de même que la Commission de recours. Erwägungen Extrait des considérants: 2. La Commission de recours considère, d'une part, que les deux parcelles litigieuses sont des immeubles agricoles au sens de l' art. 218 CO et que, partant, elles ne peuvent être vendues avant l'écoulement du délai d'interdiction d'aliénation de 10 ans. Elle estime, d'autre part, qu'il n'y a pas de justes motifs, au sens de l' art. 218bis CO , permettant leur vente avant l'expiration du délai précité. Sur ce dernier point, la recourante n'attaque pas la décision cantonale. Le recours ne porte que sur le caractère d'immeuble agricole des parcelles en cause. La recourante persiste à le nier et prétend que la Commission de recours a violé l' art. 218 CO en l'admettant. BGE 110 II 466 S. 468 a) La notion d'immeuble agricole ( art. 218 al. 1 CO ) n'est pas définie par le législateur. La jurisprudence ( ATF 95 II 429 /430 consid. 2b) et la doctrine (CAVIN, La vente, l'échange et la donation, Traité de droit privé suisse, tome VII, 1, p. 137; PIDOUX, Droit foncier rural, RDS 1979 II, p. 398/399; KAUFMANN, Fonds agricoles, FJS 961, p. 2/3) recourent à cet égard à la définition de l'ordonnance du Conseil fédéral visant à prévenir le surendettement des biens-fonds agricoles, du 16 novembre 1945 (RS 211.412.121). L'art. 1er al. 2 à 4 de cette ordonnance a la teneur suivante: "Est réputée bien-fonds agricole toute surface de terrain qui tire sa valeur propre des soins donnés au sol et de l'utilisation des propriétés naturelles du sol, ou qui fait partie d'une entreprise servant principalement à faire produire par le sol des matières organiques et à les utiliser. Sont considérés notamment comme biens-fonds agricoles les immeubles qui servent à la culture des champs, des prairies, de la vigne, du maïs, du tabac, des fruits, des légumes en plein champ et des semences, ou à l'économie alpestre. La présente ordonnance s'applique également aux biens-fonds faisant partie d'une exploitation d'horticulture qui sert exclusivement ou principalement à la culture des légumes ou des fruits en pleine terre." Selon la jurisprudence, la grandeur, le prix ou la valeur de rendement de l'immeuble n'importent pas pour lui reconnaître ou lui dénier le caractère agricole; c'est le mode d'utilisation du fonds qui est déterminant. L'affectation du fonds à l'agriculture peut ne pas être un critère suffisant; il faut encore que la valeur réelle et durable du sol dépende d'une telle affectation et non de la possibilité de bâtir ( ATF 97 II 285 ). L'interdiction d'aliénation pendant 10 ans à compter de leur acquisition ne s'applique pas aux immeubles agricoles ( art. 218 al. 1 CO ) qui sont en même temps des terrains à bâtir ( art. 218 al. 2 CO ). La notion de terrain à bâtir n'est pas non plus définie par le législateur. C'est la jurisprudence qui a dégagé cette notion. Une parcelle constitue du terrain à bâtir lorsque, selon des critères objectifs, elle est immédiatement constructible ( ATF 92 I 338 /339 consid. 4). Les intentions du propriétaire ou de l'acquéreur ne sont pas déterminantes pour juger si l'on est en présence d'un terrain à bâtir; le point décisif est de savoir si les conditions objectives permettent d'élever sans délai une construction sur la parcelle; cette hypothèse est réalisée quand l'autorité compétente pour délivrer le permis de construire constate que rien ne s'oppose à ce BGE 110 II 466 S. 469 que le fonds soit immédiatement bâti ( ATF 95 II 430 /431 bb, ATF 92 I 338 /339). Même un immeuble non raccordé à une canalisation peut être considéré comme terrain à bâtir ( ATF 95 II 431 bb), réserve étant faite des prescriptions de police sur l'évacuation des eaux usées ( ATF 93 I 604 ; PIDOUX, op.cit., p. 409). Saisi d'un recours de droit administratif, le Tribunal fédéral revoit librement avec plein pouvoir d'examen ( art. 104 lettre a OJ , 218 quater CO), et non pas seulement sous l'angle restreint de l'arbitraire, si l'autorité cantonale a admis avec raison qu'un immeuble est agricole ou du terrain à bâtir. b) Au sujet des immeubles litigieux et de leur utilisation, la Commission de recours fait les constatations suivantes: - les deux parcelles sont bordées au nord par la route Lausanne-Savigny, au sud par un champ cultivé, à l'est par une scierie et ses dépôts et à l'ouest par un terrain sur lequel se trouvent une habitation et un chemin carrossable; - il y a, sur la partie pré-champ, plusieurs arbres fruitiers; - une ligne électrique portée par des poteaux plantés dans la parcelle No 273 la traverse du nord-ouest au sud-ouest; - les bâtiments situés sur la parcelle No 273 ont une surface totale de 394 m2; - la précédente propriétaire, L. M. Campiche S.A., utilisait les bâtiments comme bureaux et atelier de réparations; - l'herbe était fauchée pour servir de fourrage; - l'administrateur unique de la Compagnie travaillait à l'époque en collaboration avec l'Ecole polytechnique fédérale de Lausanne à la mise au point d'un procédé pour le dessalement de l'eau de mer; - il espérait obtenir un brevet dans ce domaine et pensait installer ses bureaux dans les locaux sis sur la parcelle No 273; - son projet n'a pas abouti; - actuellement, les bâtiments sont occupés par Gilbert Moulin, architecte à Lausanne, qui en est locataire et qui désire les acheter; il se trouve obligé de vendre la maison familiale dont il est propriétaire à Savigny également et affirme qu'il pourra habiter les immeubles achetés et y transférer ses bureaux; - il est possible de faire paître plusieurs têtes de bétail dans les prés et d'utiliser l'herbe qui y pousse comme fourrage. L'autorité cantonale estime que la valeur réelle des parcelles dépend ainsi maintenant essentiellement de l'affectation du sol à l'agriculture. Elle retient que, selon le nouveau plan de quartier, BGE 110 II 466 S. 470 les parcelles litigieuses sont "en zone de constructions artisanale ou industrielle", que ce plan, qui a été approuvé par le Conseil d'Etat, n'est présentement pas encore entré en vigueur, ce dernier ayant décidé, conformément à l'art. 50 al. 3 de la loi vaudoise sur les constructions et l'aménagement du territoire, de faire coïncider cette "entrée en vigueur avec la date du transfert de propriété et des autres droits résultant du remaniement parcellaire". Il n'est pas établi, dit-elle, que les opérations de remaniement parcellaire seront achevées dans de brefs délais; au surplus on ne sait pas si ce remaniement aura des effets sur les parcelles en cause. La Commission de recours considère qu'en l'absence de tels éléments les biens-fonds litigieux ne sont pas immédiatement constructibles, et que, "d'une manière que l'on peut qualifier de durable", leur "caractère reste essentiellement agricole". Elle souligne qu'il n'est pas arbitraire de refuser la qualité de terrain à bâtir à des parcelles qui se prêtent à l'agriculture, même si momentanément elles n'y sont pas affectées, ou qui se trouvent dans le périmètre d'un plan de zones ou de constructions entré en vigueur ( ATF 88 I 5 ss). c) Dans l'appréciation juridique des faits qu'elle constate, la Commission de recours se trompe en qualifiant d'agricoles les immeubles de la recourante. Ils ont certes eu ce caractère jusqu'à une époque que le dossier ne permet pas de déterminer avec exactitude, mais ne l'ont plus actuellement quand bien même ils sont, dans la majeure partie de leur superficie, en nature de pré-champ, et que le propriétaire ou locataire doit, dans cette mesure, les faire faucher. On ignore si le fourrage récolté est vendu ou utilisé par le propriétaire ou le locataire, et si du bétail vient réellement y paître. On ne sait pas non plus dans quel état se trouvent les arbres fruitiers, ni ce qu'ils produisent. L'autorité cantonale ne constate pas que ces prés-champs soient affermés à un agriculteur qui les cultive, ni qu'ils feraient partie de la sorte d'une exploitation agricole. Dans ces conditions, la nature de pré-champ des surfaces non bâties des parcelles litigieuses et leur utilisation n'ont guère de poids, comme indices, pour déterminer si les immeubles litigieux sont agricoles ou non. En revanche, d'autres éléments d'appréciation conduisent à donner à cette question une réponse négative. Les immeubles ont été acquis tant par la précédente propriétaire, L. M. Campiche S.A., que par la recourante, pour être utilisés à des fins non agricoles. La première se servait des locaux situés dans BGE 110 II 466 S. 471 les bâtiments pour ses bureaux et son atelier de réparations; l'administrateur unique de la seconde travaillait, pour sa part, à la mise au point d'un procédé de dessalement de l'eau de mer et voulait installer ses bureaux dans lesdits locaux, mais son projet n'a pas abouti. Les parcelles de la Compagnie se sont trouvées placées, comme le constate la Commission de recours, en zone intermédiaire dans le plan d'extension (plan de zones) de la commune de Savigny, qui avait été adopté par le Conseil communal le 19 décembre 1980 et que le Conseil d'Etat du canton de Vaud a approuvé le 27 février 1981. Le règlement de ce plan prévoit à l'art. 4 que le territoire de la commune est divisé en 12 zones et en plans spéciaux (plans de quartier, plans d'extension partiels), dont les périmètres respectifs figurent sur le plan des zones déposé au Greffe municipal, savoir: zone de restructuration (1.), zones de villas A B C D (2.3.4.5.), zone intermédiaire (6.), zones d'équipements collectifs A B (7.8.), zone agricole (9.), zone de verdure (10.), forêts (11.), zone de boisement (12.). Les immeubles de la recourante ne sont pas en zone agricole, mais, comme on l'a vu, en zone intermédiaire. Selon l'art. 37 du règlement, cette dernière "doit être considérée comme une zone d'attente ..., destinée à être développée ultérieurement sur la base de plans spéciaux (plans de quartier, plans d'extension partiels, etc.), conformément au plan directeur d'extension" (al. 1); elle "est inconstructible", à l'exception "de constructions d'utilité publique, et pour autant qu'elles ne compromettent pas l'organisation et l'affectation du secteur concerné" (al. 2). Aux termes de l'art. 38, les bâtiments existants peuvent être restaurés, transformés ou reconstruits, voire agrandis. Six mois déjà après l'approbation par le Gouvernement vaudois du plan d'extension précité, savoir le 31 août 1981, le Conseil communal de Savigny a adopté un "plan de quartier industriel La Claie-aux-Moines", qui, comme le relève l'autorité cantonale, "s'applique intégralement aux parcelles Nos 273 et 276, les situant pour partie en zone A (affectée à l'industrie et à l'artisanat) et pour partie en zone B (affectée à l'artisanat, l'administration et l'habitation s'y rapportant)". Ce plan de quartier a été approuvé le 13 avril 1983 par le Conseil d'Etat vaudois, qui a décidé, comme on l'a vu, "de faire coïncider la date d'entrée en vigueur du plan et de son règlement avec la date du transfert de propriété et des autres droits résultant du remaniement parcellaire en cours". Les BGE 110 II 466 S. 472 opérations du remaniement parcellaire n'étant pas achevées, le plan n'est pas encore entré en vigueur. Le chapitre II du règlement, comprenant les art. 3 à 11, régit la zone de construction A du plan de quartier industriel précité. Selon l'art. 3, la zone de construction A "est réservée aux établissements de type industriel ou artisanal compatibles avec l'environnement immédiat et qui ne constituent pas un danger pour la nappe d'eau souterraine". Des habitations peuvent être incorporées aux bâtiments industriels si elles sont nécessaires en raison d'une "obligation de gardiennage" (art. 4). Les constructions doivent se faire dans "l'ordre non continu" (art. 5). C'est le chapitre III, art. 12 à 21, qui règle les constructions dans la zone B, laquelle "est affectée à l'artisanat, à l'administration et à l'habitation s'y rapportant" (art. 12 al. 1); elle est composée de bâtiments existants ou nouveaux et de prolongements extérieurs de ces bâtiments (art. 12 al. 3a et b). Le règlement comprend en outre des dispositions sur la zone de verdure (chapitre IV art. 22 et 23), l'arborisation (chapitre V art. 24), la circulation (chapitre VI art. 25 à 29), les canalisations (chapitre VII art. 30 et 31), et des dispositions générales et finales (chapitre VIII art. 32 à 38). Le plan de quartier industriel "La Claie-aux-Moines" est ainsi complètement achevé et règle dans le détail les modalités des constructions pouvant être élevées dans ces différentes zones à bâtir, comme aussi des aménagements des autres zones. Il est susceptible d'être appliqué immédiatement si c'est nécessaire, quand bien même il n'est pas encore formellement entré en vigueur. Dès lors qu'elles sont comprises dans ce plan, les deux parcelles litigieuses sont des terrains industriels et non plus agricoles, comme les autres immeubles qui y sont classés. La circonstance que de l'herbe est fauchée sur leurs surfaces en nature de pré-champ ne change rien à leur caractère de terrain industriel, ni non plus la présence de quelques arbres fruitiers. C'est un fait notoire que l'herbe qui pousse sur des terrains à bâtir est en général régulièrement fauchée aussi longtemps qu'aucune construction n'y est édifiée. La valeur réelle des parcelles de la recourante ne dépend en aucune manière essentiellement de l'affectation du sol à l'agriculture, comme l'affirme à tort la Commission de recours, mais, au contraire, du fait que, de par leur destination selon le plan de quartier "La Claie-aux-Moines", des bâtiments industriels pourront y être construits dans un avenir proche. Dans le même BGE 110 II 466 S. 473 sens, selon la jurisprudence de l'arrêt ATF 97 II 285 /286, le droit de préemption de l' art. 6 al. 2 LPR ne peut pas être exercé sur des terrains industriels ayant fait partie d'une exploitation agricole avant d'être classés en zone industrielle, pas plus que ne s'y appliquerait le droit successoral paysan avec attribution à la valeur de rendement ( ATF 83 II 113 /114). L' art. 218 al. 1 CO , dont le but est de prévenir de rapides changements de mains des terrains agricoles afin de lutter contre la spéculation et les hausses de prix qui en résultent (CAVIN, op.cit., p. 137), ne saurait s'appliquer aux parcelles litigieuses, lesquelles sont des terrains industriels. Leur soumission à cette prohibition d'aliénation avant l'expiration de 10 ans à compter de leur acquisition viole manifestement la disposition précitée. La décision du Conseil d'Etat, fixant à la date du transfert de propriété et autres droits résultant du remaniement parcellaire l'entrée en vigueur du plan de quartier industriel "La Claie-aux-Moines", qu'il a approuvé le 13 avril 1983, est sans incidence sur la qualification de terrains à bâtir des immeubles compris dans ce plan. Ces derniers ne sauraient, contrairement à leur classement en zone industrielle, demeurer de manière seulement formelle des immeubles agricoles au sens de l' art. 218 CO . L'autorité cantonale se trompe également lorsqu'elle dit que les parcelles litigieuses conservent leur caractère agricole parce qu'elles ne sont pas immédiatement constructibles, le plan n'étant pas encore en vigueur ( ATF 88 I 6 /7). Ces parcelles ne sont plus affectées à l'agriculture et sont comprises dans un plan de quartier industriel. Elles ont perdu, partant, leur caractère agricole et sont, en vertu de ce plan, du terrain à bâtir, même si momentanément le plan n'est pas entré en force de manière formelle. Il est sans importance que le remaniement parcellaire puisse éventuellement avoir des effets sur lesdits immeubles. Contrairement à ce que pense la Commission de recours, la procédure de remaniement parcellaire n'a pas d'incidence sur le droit des propriétaires de disposer des parcelles comprises dans le périmètre ( ATF 95 II 28 consid. 4). d) Il suit de là que le recours est fondé, que la décision attaquée doit être annulée et l'interdiction d'aliénation de l' art. 218 al. 1 CO déclarée inapplicable aux parcelles litigieuses.
public_law
nan
fr
1,984
CH_BGE
CH_BGE_004
CH
Federation
285422f6-3c79-4f64-b80c-13324d1a3396
Urteilskopf 124 II 71 10. Arrêt de la IIe Cour de droit public du 6 février 1998 dans la cause Département de la justice, de la police et des affaires militaires du canton de Vaud contre Tribunal administratif du canton de Vaud et E. (recours de droit administratif)
Regeste Art. 17 Abs. 1bis und 3 SVG ; eine Reduktion der mit dem Sicherungsentzug des Führerausweises verbundenen Probezeit ist ausgeschlossen. Die mit dem Sicherungsentzug des Führerausweises verbundene Probezeit ist nicht reduzierbar, und zwar selbst dann nicht, wenn deren in der Entzugsverfügung festgesetzte Dauer die in Art. 17 Abs. 1bis SVG vorgesehene Mindestdauer von einem Jahr übersteigt (E. 2).
Sachverhalt ab Seite 71 BGE 124 II 71 S. 71 A.- E., né en 1965, a obtenu en 1983 et 1984 un permis de conduire pour véhicules automobiles des catégories A1, A2, B, D2, E, F et G. En 1991, l'intéressé a refait son permis et, en 1993, il a reçu le droit de conduire les véhicules de la catégorie A (motocycle de grosse cylindrée). BGE 124 II 71 S. 72 Selon le fichier des mesures administratives du Service des automobiles, cycles et bateaux du canton de Vaud (ci-après: le Service des automobiles), E. a fait l'objet de nombreuses mesures. En particulier, le permis lui a été retiré le 29 août 1994 pour une durée indéterminée, en raison d'une inaptitude caractérielle. La levée de la mesure a été subordonnée à un délai d'épreuve de quatre ans dès le 21 avril 1994, à la réussite d'un examen théorique et pratique de conduite, ainsi qu'à une expertise psychiatrique favorable. Le 10 février 1997, E. a requis le Service des automobiles de lui restituer son permis de conduire. Par décision du 25 février 1997, l'autorité a refusé d'entrer en matière sur cette demande, car celle-ci intervenait avant l'échéance du délai d'épreuve. Par arrêt du 16 juin 1997, le Tribunal administratif a admis le recours déposé par E. à l'encontre de cette décision, ordonnant au Service des automobiles d'entrer en matière sur la demande de l'intéressé et de requérir la mise en oeuvre de l'expertise psychiatrique. En substance, le Tribunal administratif a retenu que le délai d'épreuve lié à un retrait de sécurité et fixé pour une durée supérieure à une année n'était pas incompressible. En conséquence, l'autorité devait entrer en matière sur une demande de restitution de droit de conduire déposée après une année, même si le délai d'épreuve fixé initialement prévoyait une durée plus longue. B.- Agissant le 13 août 1997 par la voie du recours de droit administratif, le Chef du Département vaudois de la justice, de la police et des affaires militaires (ci-après: le Département cantonal), requiert le Tribunal fédéral d'annuler l'arrêt du 16 juin 1997 du Tribunal administratif et de refuser de remettre E. au bénéfice du droit de conduire avant avril 1998. Le Tribunal administratif conclut au rejet du recours. L'Office fédéral de la police propose l'admission du recours. E. n'a pas déposé de déterminations. Erwägungen Extraits des considérants: 2. a) Selon l'art. 16 al. 1 de la loi fédérale du 19 décembre 1958 sur la circulation routière (LCR; RS 741.01), le permis de conduire doit être retiré lorsque l'autorité constate que les conditions légales de sa délivrance ne sont pas ou ne sont plus remplies. Ce retrait doit être ordonné pour une durée indéterminée s'il intervient parce que le conducteur n'est pas apte à conduire un véhicule automobile, soit pour cause d'alcoolisme ou d'autres formes de toxicomanie, soit BGE 124 II 71 S. 73 pour des raisons d'ordre caractériel, soit pour d'autres motifs; de plus, sauf s'il est ordonné pour des raisons médicales, le retrait sera assorti d'un délai d'épreuve d'une année au moins (art. 17 al. 1bis LCR et 33 al. 1 de l'ordonnance du Conseil fédéral du 27 octobre 1976 réglant l'admission des personnes et des véhicules à la circulation routière [OAC; RS 741.51]). La durée maximum de ce délai d'épreuve est de cinq ans car, après ce laps de temps, l'autorité doit, sur requête, prendre une nouvelle décision si l'intéressé rend vraisemblable que la mesure n'est plus justifiée (art. 23 al. 3 LCR). Enfin, aux termes de l'art. 17 al. 3 LCR, "lorsqu'un permis a été retiré pour une période assez longue, il peut être restitué conditionnellement à l'échéance d'au moins six mois, si l'on peut admettre que la mesure a atteint son but. La durée légale minimale du retrait (al. 1 lettre d) et la durée du délai d'épreuve lié au retrait de sécurité (al. 1bis) ne peuvent être réduites". De même, l'art. 33 al. 1 OAC confirme que, si le retrait n'est pas ordonné pour des raisons médicales, "un délai d'épreuve d'au moins un an sera imposé dans la décision de retrait; le permis de conduire ne pourra être délivré, même conditionnellement, avant l'échéance de ce délai (art. 17 al. 3 LCR)". Selon le recourant, l'autorité intimée a retenu à tort que l'interdiction posée par les art. 17 al. 3 LCR et 33 al. 1 OAC de réduire la durée du délai d'épreuve lié au retrait de sécurité, concernerait seulement les délais d'épreuve fixés pour la durée minimale de l'art. 17 al. 1bis LCR, à savoir pour une année, et qu'elle ne se rapporterait pas aux délais d'épreuve plus longs. b) Dans son message concernant la modification de la loi sur la circulation routière, adoptée le 6 octobre 1989, le Conseil fédéral a expliqué, quant au nouvel art. 17 al. 3 LCR précisant les modalités de la restitution conditionnelle du permis de conduire: "L'expiration de la durée minimale fixée dans la loi, ou du délai d'épreuve prévu au premier alinéa, lettre d et à l'alinéa 1bis devrait être une condition fondamentale pour la restitution conditionnelle du permis; cette restitution devient impossible avant l'expiration du délai d'une année pour le délinquant qui a de nouveau conduit en étant pris de boisson et avant l'échéance du délai d'épreuve d'un à cinq ans fixé dans la décision de retrait pour la personne frappée d'un retrait de sécurité" (FF 1986 III p. 197 ss, spéc. p. 212). Il ressort dès lors de ce texte que la durée de l'épreuve fixée dans le cadre d'un retrait de sécurité correspond à une période minimale et absolue de retrait, durant laquelle la délivrance anticipée d'un nouveau permis ne peut intervenir, même à titre conditionnel (RENÉ SCHAFFHAUSER, Grundriss des BGE 124 II 71 S. 74 schweizerischen Strassenverkehrsrechts, Berne 1995, vol. III, n. 2180 ss, spéc. n. 2182, 2185). Le délai d'épreuve lié au retrait de sécurité est donc incompressible et a l'effet d'un délai d'interdiction. Ainsi, l'autorité ne peut entrer en matière sur une requête de restitution du permis déposée avant l'écoulement de ce délai (SCHAFFHAUSER, Zur Entwicklung von Recht und Praxis des Sicherungsentzugs von Führerausweisen, in: PJA 1992 p. 17 ss, spéc. n. 85 p. 41). Cette réglementation est stricte et peut rendre le retrait de sécurité particulièrement rigoureux, surtout lorsque le délai d'épreuve est long, mais il n'y a pas lieu de revenir sur la volonté du législateur qui, entendant supprimer les risques représentés par les conducteurs dangereux au moins pendant un certain délai incompressible, a opté pour la sévérité. En corollaire toutefois, l'autorité doit peser très soigneusement la durée du délai d'épreuve, qui doit être suffisamment long - mais pas plus que nécessaire - pour permettre à l'intéressé de surmonter son incapacité. L'autorité doit ainsi examiner consciencieusement l'ensemble des critères favorables et défavorables déterminant l'aptitude à conduire et la date de la réadmission à la circulation, de façon à établir un pronostic aussi sûr que possible à cet égard. c) En l'espèce, l'autorité de première instance a prononcé un retrait de sécurité du permis de l'intéressé et a subordonné la levée de la mesure à, notamment, un délai d'épreuve de quatre ans échéant le 21 avril 1998. Ce délai n'étant pas écoulé, l'autorité de première instance a refusé à juste titre d'entrer en matière sur la demande de restitution déposée le 10 février 1997.
public_law
nan
fr
1,998
CH_BGE
CH_BGE_004
CH
Federation
28554be1-dfad-4713-9b61-18801b8abc0e
Urteilskopf 112 III 9 4. Urteil der II. Zivilabteilung vom 17. Januar 1986 i.S. M. gegen Kanton Basel-Stadt und Appellationsgericht (Ausschuss) des Kantons Basel-Stadt (staatsrechtliche Beschwerde)
Regeste Gerichtsstand für die Rechtsöffnung. Örtlich zuständig für die Rechtsöffnung ist grundsätzlich der Richter des Ortes, wo die Betreibung angehoben wurde. Hat der Betriebene inzwischen den Wohnsitz verlegt, so ist das Rechtsöffnungsgesuch beim Richter des neuen Wohnsitzes zu stellen, sofern der Betriebene dem Gläubiger die Wohnsitzverlegung angezeigt oder dieser sonstwie davon erfahren hat. Auch in diesem Fall bleibt jedoch der Richter des ursprünglichen Betreibungsortes zuständig, wenn sich der Betriebene nicht darauf beruft, er habe seinen Wohnsitz seit Anhebung der Betreibung verlegt (Präzisierung der Rechtsprechung).
Sachverhalt ab Seite 10 BGE 112 III 9 S. 10 Mit Zahlungsbefehl vom 3. Juli 1984 betrieb der Kanton Basel-Stadt, vertreten durch die Finanzverwaltung, M. für eine Forderung von Fr. 437.-- nebst Kosten. Am 11. Juni 1985 erteilte der Zivilgerichtspräsident Basel-Stadt dem Gläubiger für den genannten Betrag die provisorische Rechtsöffnung. Dagegen beschwerte sich der Schuldner beim Appellationsgerichtsausschuss des Kantons Basel-Stadt. Er machte geltend, der Basler Richter sei für die Rechtsöffnung nicht zuständig gewesen, da er seinen Wohnsitz nach Münchenstein verlegt habe; der Gläubiger habe von seinem Wohnsitzwechsel Kenntnis gehabt, da er sich vor seinem Wegzug beim Finanzamt habe abmelden müssen. Mit Entscheid vom 12. August 1985 wies der Appellationsgerichtsausschuss die Beschwerde ab. Gegen diesen Entscheid hat M. staatsrechtliche Beschwerde wegen Verletzung von Art. 4, 58 und 59 BV erhoben. Das Appellationsgericht beantragt die Abweisung der Beschwerde, während sich der Kanton Basel-Stadt nicht vernehmen liess. BGE 112 III 9 S. 11 Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Obwohl das SchKG diesbezüglich keine ausdrückliche Vorschrift enthält, hat die Rechtsprechung seit jeher angenommen, der Gerichtsstand für das Rechtsöffnungsverfahren sei bundesrechtlich geregelt, und zwar in dem Sinne, dass Rechtsöffnungsgesuche grundsätzlich beim Richter des Betreibungsortes anzubringen sind ( BGE 76 I 47 /48 E. 2). Die Verletzung bundesrechtlicher Zuständigkeitsvorschriften kann mit staatsrechtlicher Beschwerde im Sinne von Art. 84 Abs. 1 lit. d OG gerügt werden, wobei dem Bundesgericht freie Kognition zukommt. Dass sich der Beschwerdeführer in erster Linie auf Art. 4 BV beruft, schadet ihm nicht, da die Rüge der Willkür diejenige der einfachen Rechtsverletzung mitumfasst. Art. 59 BV , auf den sich der Beschwerdeführer ebenfalls beruft, kann gegenüber einer eidgenössischen Gerichtsstandsbestimmung nicht angerufen werden ( BGE 109 Ia 54 ), und Art. 58 BV hat in diesem Zusammenhang ohnehin keine selbständige Bedeutung. 2. Nach der bereits erwähnten Rechtsprechung ist die Rechtsöffnung grundsätzlich dort nachzusuchen, wo die Betreibung angehoben wurde, und zwar selbst dann, wenn dies nicht am richtigen Ort geschah, der Schuldner aber dagegen nicht rechtzeitig Beschwerde erhoben hat. Die gegenüber dem Zahlungsbefehl versäumte Unzuständigkeitseinrede ist auch für das am gleichen Ort angehobene Rechtsöffnungsverfahren verwirkt. Verlegt der am richtigen Ort betriebene Schuldner seinen Wohnsitz vor dem Rechtsöffnungsverfahren, so ist das Rechtsöffnungsbegehren grundsätzlich beim Richter des neuen Wohnsitzes zu stellen, denn der allgemeine Betreibungsort ist, wie sich aus Art. 53 SchKG ergibt, während des Einleitungsverfahrens mit Einschluss des Rechtsöffnungsverfahrens veränderlich und folgt dem jeweiligen Wohnsitz des Schuldners. Das Bundesgericht hat jedoch präzisiert, dem Schuldner könne füglich zugemutet werden, sich trotz Wohnsitzverlegung noch am alten Betreibungsort auf Rechtsöffnung belangen zu lassen, falls er dem Gläubiger die Wohnsitzverlegung nicht angezeigt und dieser auch nicht sonstwie nachweislich davon erfahren habe. Der Schuldner müsse darauf gefasst sein, dass der Gläubiger gegenüber dem durch Rechtsvorschlag bestrittenen Zahlungsbefehl Rechtsöffnung verlangen werde. Lasse er es darauf ankommen, dass der Gläubiger die Rechtsöffnung am alten Betreibungsort verlange, so sei Verwirkung der Unzuständigkeitseinrede BGE 112 III 9 S. 12 für dieses Inzidentalverfahren der Betreibung anzunehmen, es wäre denn, der Gläubiger habe nicht in guten Treuen gehandelt, sich also über den ihm irgendwie bekannt gewordenen neuen Betreibungsort geflissentlich hinweggesetzt ( BGE 76 I 49 /50). Das Appellationsgericht hält diese Voraussetzung nicht für erfüllt. Es führt aus, zwar sei richtig, dass Kantonseinwohner beim Wegzug auf der Steuerverwaltung einen Abmeldeschein beziehen müssten, was der Verwaltung Gelegenheit gebe, vom neuen Wohnsitz des Betreffenden Kenntnis zu nehmen. Im vorliegenden Fall sei jedoch zu beachten, dass es sich bei der in Betreibung gesetzten Forderung nicht um eine Steuerforderung handle, die mit der Abmeldung des Beschwerdeführers von Basel fällig geworden sei. Vielmehr gehe es um Steuern des Bezugsjahres 1973, für die im Jahre 1975 ein Verlustschein ausgestellt worden sei. Für das Inkasso derartiger Verlustscheinsforderungen sei jedoch nicht die Steuerverwaltung, sondern die Finanzverwaltung zuständig. Diese habe aber nicht unmittelbar Kenntnis vom neuen Wohnort des Schuldners gehabt. Es bestünden somit keine Anhaltspunkte dafür, dass sich der Gläubiger geflissentlich und in Verletzung von Treu und Glauben über den neuen Wohnsitz des Beschwerdeführers hinweggesetzt habe, auch wenn einzelne der kantonalen Abteilungen und Departement vom Wegzug des Schuldners Kenntnis gehabt hätten. In der Einreichung des Rechtsöffnungsbegehrens in Basel sei somit keine Schikane seitens des Beschwerdegegners zu erblicken. Diese Begründung vermag nicht voll zu überzeugen. Gläubiger der in Betreibung gesetzten Forderung ist ja nicht die Finanzverwaltung des Kantons Basel-Stadt, sondern der Kanton Basel-Stadt selber. Nach allgemeiner Regel wäre aber anzunehmen, dass dieser sich das Wissen seiner einzelnen Verwaltungsabteilungen um den Wohnsitz des Beschwerdeführers anzurechnen hat. Das gilt um so mehr, als es sich bei der Steuerverwaltung und der als Vertreterin des Kantons auftretenden Finanzverwaltung nicht um zwei grundverschiedene Verwaltungszweige handelt; die beiden Verwaltungsabteilungen haben denn auch die gleiche Adresse, wie sich aus der im kantonalen Verfahren eingereichten Vernehmlassung ergibt. Dazu kommt, dass sich der Beschwerdeführer nach der unbestrittenen Behauptung in der Beschwerdeschrift auch bei der Einwohnerkontrolle abgemeldet hatte, also bei der zur Entgegennahme von Adressänderungsmeldungen zuständigen Amtsstelle. Man kann sich daher fragen, ob der Beschwerdegegner im Sinne der BGE 112 III 9 S. 13 erwähnten Rechtsprechung nicht doch Kenntnis vom neuen Wohnsitz des Beschwerdeführers hatte. Wie es sich damit verhält, kann jedoch dahingestellt bleiben, da die Zuständigkeit des Basler Rechtsöffnungsrichters aus einem andern Grund zu bejahen ist. Hat sich nämlich der Schuldner nach dem Gesagten am alten Betreibungsort auf Rechtsöffnung belangen zu lassen, falls er dem Gläubiger die Wohnsitzverlegung nicht anzeigt und dieser auch sonstwie nicht davon erfahren hat, so folgt daraus, dass der Gerichtsstand am neuen Wohnsitz nicht zwingend ist. Es bleibt vielmehr dem Schuldner überlassen, ob er sich darauf berufen will, er habe den Wohnsitz seit Anhebung der Betreibung verlegt und dies dem Gläubiger angezeigt. Solange er dies nicht tut, darf sich der Rechtsöffnungsrichter am alten Betreibungsort weiterhin als zuständig erachten. Von Amtes wegen braucht er sich nicht um die Wohnsitzverlegung zu kümmern, denn so gut wie der Schuldner darauf verzichten kann, einen am unrichtigen Ort ergangenen Zahlungsbefehl anzufechten, was die Zuständigkeit des Rechtsöffnungsrichters dieses Ortes zur Folge hat, so kann er auch darauf verzichten, sich auf die Wohnsitzverlegung nach Einleitung der Betreibung zu berufen. Mit andern Worten hat der Rechtsöffnungsrichter des alten Betreibungsortes die Wohnsitzverlegung nur auf Einrede des Schuldners hin zu berücksichtigen. Im vorliegenden Fall hat der Beschwerdeführer jedoch keine Unzuständigkeitseinrede erhoben. Er hat sich im Gegenteil zum Rechtsöffnungsgesuch überhaupt nicht vernehmen lassen. Unter diesen Umständen hatte der Rechtsöffnungsrichter keinen Anlass, seine Zuständigkeit in Zweifel zu ziehen, zumal er gar nicht wissen konnte, ob der Beschwerdeführer an seiner neuen Adresse in Münchenstein Wohnsitz genommen und ob er die Wohnsitzverlegung dem Gläubiger mitgeteilt habe. Im Beschwerdeverfahren konnte die Zuständigkeit des Rechtsöffnungsrichters nicht mehr in Frage gestellt werden. Der angefochtene Entscheid erweist sich daher, jedenfalls im Ergebnis, nicht als bundesrechtswidrig, weshalb die Beschwerde abzuweisen ist.
null
nan
de
1,986
CH_BGE
CH_BGE_005
CH
Federation
2858b02b-29f4-4bd6-92ff-19223019b18a
Urteilskopf 124 III 83 17. Auszug aus dem Urteil der I. Zivilabteilung vom 19. Dezember 1997 i.S. Compañìa Minera Condesa SA und Compañía de Minas Buenaventura SA gegen BRGM-Pérou S.A.S. und Tribunal Arbitral CIA (staatsrechtliche Beschwerde)
Regeste Internationale Schiedsgerichtsbarkeit: Positiver Kompetenzkonflikt zwischen einem ausländischen staatlichen Gericht und einem Schiedsgericht mit Sitz in der Schweiz ( Art. 25 lit. a IPRG ; Art. II NYÜ). Das Urteil eines ausländischen staatlichen Gerichts, das die Streitsache trotz Vorliegens einer Schiedsklausel, die den Anforderungen von Art. II NYÜ genügt, an die Hand genommen hat, ist in der Schweiz mangels indirekter Zuständigkeit gemäss Art. 25 lit. a IPRG nicht anerkennungsfähig (E. 5).
Sachverhalt ab Seite 83 BGE 124 III 83 S. 83 Im Jahre 1984 führten die Compañía de Minas Buenaventura SA (nachfolgend Beschwerdeführerin 2), eine im Bergbau tätige Gesellschaft BGE 124 III 83 S. 84 mit Sitz in Lima (Peru), und das französische Staatsunternehmen Bureau de Recherches Géologiques et Minières (nachfolgend BRGM) Gespräche über eine Beteiligung der Buenaventura-Gruppe an der Cedimin SA, einer Gesellschaft peruanischen Rechts, deren Kapital zu jenem Zeitpunkt zu 99,98% von der Société d'Etudes de Recherches et d'Exploitations Minières (heute BRGM-Pérou S.A.S., nachfolgend Beschwerdegegnerin) gehalten wurde, die ihrerseits eine Tochtergesellschaft der BRGM war. Die Modalitäten der Beteiligung wurden in einem von der Beschwerdeführerin 2, der Beschwerdegegnerin und der Cedimin SA gemeinsam unterzeichneten Protokoll vom 2. Februar 1985 geregelt. Ferner vereinbarten die Vertragsparteien, die Statuten der Cedimin SA unter anderem mit Bestimmungen zu ergänzen, wonach die Aktionäre ein Vorkaufsrecht für den Fall haben sollten, dass Anteile der Gesellschaft an einen Erwerber veräussert werden sollten, der nicht zur jeweiligen Unternehmensgruppe der Beschwerdeführerin 2 bzw. der Beschwerdegegnerin gehört. Sowohl das Protokoll vom 2. Februar 1985 als auch die ergänzte Fassung der Statuten der Cedimin SA enthalten eine Schiedsklausel. Als die BRGM im Jahre 1996 massgebliche Teile ihres Aktienpaketes an der Beschwerdegegnerin an die australische Gesellschaft Normandy Mining Ltd. (nachfolgend Normandy) veräusserte, erblickten die Beschwerdeführerinnen darin eine Verletzung ihres Vorkaufsrechtes und erhoben am 6. Februar 1995 Klage gegen die Beschwerdegegnerin und die BRGM vor einem staatlichen Gericht in Lima (Peru). Die Beschwerdegegnerin erhob die Schiedseinrede. Nach den Angaben der Beschwerdeführerinnen erklärte sich das letztinstanzlich mit der Sache befasste Obergericht von Lima mit Entscheid vom 16. Dezember 1996 zur Beurteilung der Streitsache zuständig. Inzwischen hatte die Beschwerdegegnerin am 30. Mai 1995 ein schiedsgerichtliches Verfahren gegen die Beschwerdeführerinnen eingeleitet und insbesondere beantragt, es sei festzustellen, dass das Schiedsgericht in Zürich zur Beurteilung der Streitsache zuständig und das im Protokoll vom 2. Februar 1985 und den Statuten der Cedimin SA vorgesehene Vorkaufsrecht nicht verletzt worden sei. Die Beschwerdeführerinnen erhoben die Einrede der Rechtshängigkeit. Mit Zwischenentscheid vom 19. November 1996, der vom internationalen Schiedsgerichtshof der Internationalen Handelskammer am 26. Februar 1997 genehmigt wurde, stellte das Schiedsgericht in einem Mehrheitsentscheid seine Zuständigkeit fest. BGE 124 III 83 S. 85 Die von den Beschwerdeführerinnen gegen diesen Entscheid erhobene staatsrechtliche Beschwerde gemäss Art. 191 Abs. 1 des Bundesgesetzes über das Internationale Privatrecht (IPRG; SR 291) und Art. 85 lit. c OG weist das Bundesgericht ab. Erwägungen Auszug aus den Erwägungen: 5. Nach Auffassung der Beschwerdeführerinnen hätte das Schiedsgericht, da die Klage vor den peruanischen Gerichten im Moment der Anhebung des Schiedsverfahrens schon anhängig gemacht worden sei, das Schiedsverfahren gemäss Art. 9 Abs. 1 IPRG aussetzen und, sobald der Entscheid aus Peru rechtskräftig geworden war, die Klage gemäss Art. 9 Abs. 3 IPRG zurückweisen müssen. Das Schiedsgericht hat dazu seinerseits festgehalten, die Rechtshängigkeit vermöge einzig das Verhältnis zwischen zwei gleichermassen zuständigen staatlichen Gerichten zu regeln. Liege hingegen eine Schiedsvereinbarung vor, werde die Zuständigkeit der staatlichen Gerichte ausgeschlossen. a) Gemäss Art. 9 Abs. 1 IPRG setzt das schweizerische Gericht, wenn eine Klage über denselben Gegenstand zwischen denselben Parteien zuerst im Ausland hängig gemacht worden ist, das Verfahren aus, wenn zu erwarten ist, dass das ausländische Gericht in angemessener Frist eine Entscheidung fällt, die in der Schweiz anerkennbar ist. Ob das Institut der Litispendenz auch im Verhältnis zwischen einem staatlichen und einem Schiedsgericht anwendbar ist, ist umstritten. Teils wird das Interesse an einer Vermeidung divergierender Entscheidungen betont und deshalb gefordert, das Schiedsgericht müsse das Verfahren aussetzen, bis der Entscheid des staatlichen Gerichts über die Zuständigkeitsfrage vorliegt (RÜEDE/HADENFELDT, Schweizerisches Schiedsgerichtsrecht, 2. Aufl., Zürich 1993, S. 231), teils soll das Schiedsgericht ungeachtet bestehender Rechtshängigkeit jedenfalls dann das Verfahren fortsetzen können, wenn das staatliche Gericht über seine Zuständigkeit noch nicht befunden hat (MARTIN L. MÜLLER, Die Zuständigkeit des Schiedsgerichts, Diss. Zürich 1997, S. 112). Die Frage, ob das Schiedsgericht das Verfahren aufgrund bestehender Rechtshängigkeit hätte aussetzen müssen, kann indessen offenbleiben, wenn sich der Entscheid des Obergerichts von Lima, mit dem die Zuständigkeit der staatlichen peruanischen Gerichte bejaht wird, in der Schweiz als nicht anerkennungsfähig erweist. Denn selbst wenn das Verhältnis zwischen staatlichen und Schiedsgerichten BGE 124 III 83 S. 86 vom Normbereich von Art. 9 Abs. 1 IPRG erfasst würde, vermag - wie schon aus dem Wortlaut der Bestimmung hervorgeht - die Rechtshängigkeit der Klage vor einem ausländischen staatlichen Gericht von vornherein nur dann Ausschlusswirkung für ein schiedsgerichtliches Verfahren in der Schweiz zu entfalten, wenn der ausländische Entscheid hierzulande anerkennungsfähig ist (LALIVE/POUDRET/REYMOND, Le droit de l'arbitrage interne et international en Suisse, Lausanne 1989, S. 288; WERNER WENGER, in: Kommentar zum Schweizerischen Privatrecht, Basel 1996, N. 9 zu Art. 186 IPRG ; MARTINA WITTIBSCHLAGER, Rechtshängigkeit in internationalen Verhältnissen, Diss. Basel 1992, S. 123 ff.). Die Berücksichtigung früherer ausländischer Litispendenz ist eine "unabweisbare Folgerung aus der Urteilsanerkennung" (GEORG LEUCH, Die Zivilprozessordnung für den Kanton Bern, Bern 1956, N. 4 zu Art. 160 ZPO /BE; vgl. auch BGE 105 II 229 E. 1a S. 232; PIERRE A. KARRER, in: Kommentar zum Schweizerischen Privatrecht, N. 28 zu Art. 187 IPRG ; OSCAR VOGEL, SJZ 86/1990 S. 80 f.). Entsprechend steht auch die Rechtskraft eines bereits gefällten Urteils eines ausländischen staatlichen Gerichtes der Entscheidung in derselben Sache durch ein inländisches Schiedsgericht nur dann entgegen, wenn das ausländische Urteil in der Schweiz gemäss Art. 25 IPRG anzuerkennen ist (LALIVE/POUDRET/REYMOND, a.a.O., S. 386; RÜEDE/HADENFELDT, a.a.O., S. 232; WERNER WENGER, a.a.O., N. 8 zu Art. 186 IPRG ; ders., in: ANDREAS KELLERHALS [Hrsg.], Schiedsgerichtsbarkeit, Zürich 1997, S. 242 f.). Etwas anderes ergibt sich auch nicht aus BGE 121 III 495 , den die Beschwerdeführerinnen in diesem Zusammenhang nennen, hält das Bundesgericht in diesem Urteil doch in einem obiter dictum fest, allfällige Kompetenzkonflikte zwischen staatlichen und Schiedsgerichten seien in Anwendung der Regeln der Litispendenz, der abgeurteilten Sache und insbesondere der Anerkennung und Vollstreckung ausländischer Entscheide nach Art. 25 ff. IPRG zu beurteilen ( BGE 121 III 495 E. 6c S. 502). Es ist im folgenden deshalb zu prüfen, ob der Entscheid des Obergerichts von Lima in der Schweiz anerkennungsfähig wäre. b) Die Voraussetzungen für die Anerkennung eines ausländischen Urteils in der Schweiz richten sich, sofern keine staatsvertraglichen Regelungen vorgehen ( Art. 1 Abs. 2 IPRG ), nach Art. 25 IPRG . Gemäss Art. 25 lit. a IPRG ist für die Anerkennung einer ausländischen Entscheidung unter anderem erforderlich, dass die Zuständigkeit der Gerichte oder Behörden des betreffenden Staates begründet war. Die Zuständigkeit ergibt sich aus Art. 26 IPRG oder aus den BGE 124 III 83 S. 87 einschlägigen Bestimmungen von Staatsverträgen (BERTI/SCHNYDER, in: Kommentar zum Schweizerischen Privatrecht, Basel 1996, N. 14 zu Art. 26 IPRG ; WITTIBSCHLAGER, a.a.O., S. 125). Im Bereich der internationalen Schiedsgerichtsbarkeit ist insbesondere das New Yorker Übereinkommen über die Anerkennung und Vollstrekkung ausländischer Schiedssprüche vom 10. Juni 1958 (NYÜ; SR 0.277.12) zu berücksichtigen. Diesem Übereinkommen sind sowohl die Schweiz (in Kraft seit 30. August 1965) als auch Peru (in Kraft seit 5. Oktober 1988) beigetreten. Gemäss Art. II Abs. 3 NYÜ, der sich inhaltlich mit Art. 7 lit. b IPRG deckt (BBl 1983 I 303; LALIVE/POUDRET/REYMOND, a.a.O., S. 287), hat ein Gericht eines Vertragsstaates, das wegen eines Streitgegenstandes angerufen wird, hinsichtlich dessen die Parteien eine Schiedsvereinbarung getroffen haben, auf Antrag einer der Parteien sie auf das schiedsrichterliche Verfahren zu verweisen, sofern es nicht feststellt, dass die Vereinbarung hinfällig, unwirksam oder nicht erfüllbar ist. Im Geltungsbereich des New Yorker Übereinkommens führt demnach der Umstand, dass eine Partei vor einem ordentlichen Gericht die Schiedseinrede erhebt, unter den Voraussetzungen von Art. II Abs. 3 NYÜ dazu, dass die Zuständigkeit des staatlichen Gerichts zur Beurteilung der Streitsache derogiert wird, und zwar unabhängig davon, ob das schiedsgerichtliche Verfahren bereits eingeleitet wurde oder nicht (ALBERT J. VAN DEN BERG, The New York Arbitration Convention of 1958, Deventer 1981, S. 131 f.; PETER SCHLOSSER, Das Recht der internationalen privaten Schiedsgerichtsbarkeit, 2. Aufl., Tübingen 1989, Rz. 400, S. 302 f.). Einem ausländischen staatlichen Gericht, das trotz Vorliegens der Voraussetzungen von Art. II NYÜ die Parteien nicht auf das schiedsgerichtliche Verfahren verweist, sondern die Streitsache an die Hand nimmt, fehlt mithin die indirekte Zuständigkeit im Sinne von Art. 25 lit. a IPRG , und dessen Entscheid kann in der Schweiz nicht anerkannt werden, es sei denn, die Unzuständigkeit des Schiedsgerichts wird von diesem selbst oder im Rahmen der Überprüfung durch eine staatliche Rechtsmittelinstanz festgestellt. Das Obergericht von Lima hat im Entscheid vom 16. Dezember 1996 die Schiedseinrede im wesentlichen deshalb verworfen, weil sich am Verfahren auf Seiten der Klägerinnen mit der Beschwerdegegnerin 2 und auf Seiten der Beklagten mit der BRGM, der Normandy und der Cedimin auch Parteien beteiligt hätten, denen die Schiedsklausel nicht entgegengehalten werden könne. Eine Entscheidung in dem Rechtsstreit wirke sich aber auf sämtliche BGE 124 III 83 S. 88 Parteien aus, diese müssten deshalb auch die Möglichkeit haben, sich an dem Verfahren zu beteiligen. Dabei wird allerdings übersehen, dass diejenigen Parteien, welche der Schiedsvereinbarung nicht unterliegen, durchaus auf das Verfahren vor den ordentlichen staatlichen Gerichten verwiesen werden können. Allein die Gefahr, dass in verschiedenen Verfahren allenfalls widersprüchliche Entscheidungen ergehen könnten, führt im Anwendungsbereich des New Yorker Übereinkommens jedenfalls noch nicht dazu, die Schiedsklausel unwirksam oder nicht erfüllbar zu machen und die Zuständigkeit des Schiedsgerichts auszuschliessen (VAN DEN BERG, a.a.O., S. 167, mit Hinweisen auf die Rechtsprechung). Andere Gründe, weshalb die Schiedsklausel die Voraussetzungen von Art. II Abs. 3 NYÜ nicht erfüllen soll, stellt das Obergericht von Lima nicht fest, noch werden solche von den Beschwerdeführerinnen substantiiert behauptet. Unter diesen Umständen hätten die Parteien auf das schiedsgerichtliche Verfahren verwiesen werden müssen. Mangels indirekter Zuständigkeit ist der Entscheid des peruanischen Gerichtes in der Schweiz daher nicht anerkennungsfähig, sofern im folgenden die Überprüfung des angefochtenen Entscheides nicht ergibt, dass sich das Schiedsgericht zu Unrecht für zuständig erklärt hat.
null
nan
de
1,997
CH_BGE
CH_BGE_005
CH
Federation
2859b481-41a6-4576-9791-cc1dd873c65e
Urteilskopf 116 V 156 27. Auszug aus dem Urteil vom 11. Juni 1990 i.S. M. gegen Ersatzkasse UVG und Versicherungsgericht des Kantons Zürich
Regeste Art. 25 Abs. 1 und Art. 36 Abs. 2 UVG , Art. 36 UVV , Anhang 3 UVV: Bemessung des Integritätsschadens. - Tatbestände. - Bemessung des Schadens, der sich aus teils unfallbedingten, teils vorbestandenen Beeinträchtigungen zusammensetzt.
Erwägungen ab Seite 156 BGE 116 V 156 S. 156 Aus den Erwägungen: 3. Bei der Bemessung des Integritätsschadens und der Kürzung der Integritätsentschädigung lassen sich folgende Tatbestände unterscheiden: BGE 116 V 156 S. 157 a) Ein versichertes Ereignis (Unfall, unfallähnliche Körperschädigung oder Berufskrankheit) führt zu einem Integritätsschaden. Dessen Schwere bemisst sich nach der Skala im Anhang 3 zur UVV. Fällt ein solcher Schaden nicht unter eine der in der Skala aufgeführten Positionen, so wird die Entschädigung nach dem Grad der Schwere vom Skalenwert abgeleitet. In diesem Zusammenhang hat die Schweizerische Unfallversicherungsanstalt (SUVA) in Weiterentwicklung der bundesrätlichen Skala weitere Bemessungsgrundlagen in tabellarischer Form (sog. Feinraster) erarbeitet. Diese in den Mitteilungen der Medizinischen Abteilung der SUVA, Nr. 57 bis 59, herausgegebenen Tabellen (teilweise geändert und ergänzt in den Mitteilungen Nr. 60 und 62) stellen zwar keine Rechtssätze dar und sind für den Richter nicht verbindlich, umso weniger als Ziff. 1 von Anhang 3 zur UVV bestimmt, dass der in der Skala angegebene Prozentsatz des Integritätsschadens für den Regelfall gilt, welcher im Einzelfall Abweichungen nach unten wie nach oben ermöglicht. Soweit sie jedoch lediglich Richtwerte enthalten, mit denen die Gleichbehandlung aller Versicherten gewährleistet werden soll, sind sie mit dem Anhang 3 zur UVV vereinbar ( BGE 113 V 219 Erw. 2b mit Hinweisen). b) Ein oder mehrere versicherte Ereignisse führen zu verschiedenen Integritätsschäden. In diesen Fällen wird die Integritätsentschädigung gemäss Art. 36 Abs. 3 UVV nach der gesamten Beeinträchtigung festgesetzt, wobei die Gesamtentschädigung den Höchstbetrag des versicherten Jahresverdienstes nicht übersteigen darf. Die den einzelnen Schädigungen entsprechenden Prozentzahlen werden selbst dann zusammengezählt, wenn eine, mehrere oder alle davon für sich die Schwelle von 5% nicht erreichen; die Entschädigung ist geschuldet, sobald die Summe der Prozentzahlen die Erheblichkeitsgrenze von 5% übersteigt (RKUV 1988 Nr. U 48 S. 236 Erw. 2b). c) Mehrere, teils versicherte, teils nichtversicherte Ereignisse (Vorzustand, nicht versicherter Unfall) verursachen einen Integritätsschaden, d.h. es besteht ein Beschwerdebild, das medizinisch-diagnostisch nicht in einzelne, voneinander unterscheidbare Beeinträchtigungen aufgeteilt werden kann. Hier ist der Integritätsschaden gesamthaft nach Anhang 3 zur UVV oder nötigenfalls nach den genannten Richtlinien gemäss den Tabellen der Medizinischen Abteilung der SUVA einzuschätzen. In einem zweiten Schritt ist die Entschädigung nach Massgabe von Art. 36 Abs. 2 UVG BGE 116 V 156 S. 158 entsprechend dem Kausalanteil der nichtversicherten Ereignisse am gesamten Integritätsschaden zu kürzen. d) Mehrere, teils versicherte, teils nichtversicherte Ereignisse verursachen je verschiedene Integritätsschäden. Hier bemisst sich die vom Unfallversicherer geschuldete Integritätsentschädigung allein nach der Schwere der Folgen des oder der versicherten Ereignisse. Die durch das oder die nichtversicherten Ereignisse verursachte Beeinträchtigung der Integrität bleibt bei der Festsetzung der Entschädigung ausser Betracht. e) Schliesslich fragt sich, wie vorzugehen ist, wenn der Versicherte mehrere voneinander unterscheidbare Beeinträchtigungen der Integrität aufweist, wobei versicherte und nichtversicherte Ereignisse an allen oder einzelnen dieser Teilbeeinträchtigungen ihren Kausalanteil haben. Würde in solchen Fällen die Schwere der Beeinträchtigungen nach Anhang 3 zur UVV oder den tabellarischen Richtlinien eingeschätzt und das Gesamtergebnis nach Massgabe des Kausalanteils des oder der nichtversicherten Ereignisse gekürzt, so bestünde keine Gewähr dafür, dass der Unfallversicherer effektiv nur den unfallbedingten oder durch ein anderes versichertes Ereignis bewirkten Integritätsschaden zu entschädigen hätte. Bei diesem Tatbestand darf nicht unberücksichtigt bleiben, dass der Kausalanteil des nichtversicherten Ereignisses (z.B. des Vorzustandes) an einer schweren Einzelbeeinträchtigung sehr hoch oder umgekehrt sehr niedrig sein kann. Diesen Gegebenheiten kann nur in der Weise Rechnung getragen werden, dass die verschiedenen Beeinträchtigungen je für sich eingeschätzt werden und für die einzelnen Teilbeeinträchtigungen die Kürzung entsprechend dem Kausalanteil des nichtversicherten Ereignisses an der Teilbeeinträchtigung vorgenommen wird. Anschliessend sind die so gekürzten einzelnen unfallbedingten Schädigungen zum gesamten versicherten Integritätsschaden zusammenzurechnen.
null
nan
de
1,990
CH_BGE
CH_BGE_007
CH
Federation
285e2b44-0eaf-4832-aaa0-aa719dfbcc99
Urteilskopf 108 Ib 71 13. Auszug aus dem Urteil der II. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 19. März 1982 i.S. Jost Barmettler-Frei und Mitbeteiligte gegen Einwohnergemeinde Alpnach und Verwaltungsgericht des Kantons Obwalden (Verwaltungsgerichtsbeschwerde)
Regeste Überwälzung von Kosten für den Bau von Erschliessungsanlagen auf die Grundeigentümer. 1. Haben sich die Grundeigentümer gegen die Auferlegung von Kosten an Erschliessungsanlagen mit staatsrechtlicher Beschwerde oder mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde zur Wehr zu setzen (E. 1)? 2. Das Wohnbau- und Eigentumsförderungsgesetz vom 4. Oktober 1974 (WEG; SR 843) sowie dessen Verordnung vom 20. August 1975 (VWEG; SR 843.1) legen den Rahmen fest, innert welchem den Grundeigentümern die Kosten der sogenannten Grob- und Feinerschliessung ihrer Grundstücke zu überbinden sind; dem kantonalen bzw. dem kommunalen Recht kann in diesem Bereich nur noch die Aufgabe der Feinregulierung der effektiv zu erhebenden Kosten zukommen (E. 2). 3. Das sog. Erschliessungskostenreglement der Gemeinde Alpnach vom 14. Dezember 1973 (ER) hält sich jedenfalls insofern an den vom Bundesrecht gegebenen Rahmen, als es die Kosten der Erschliessungs- und Sammelleitungen vollumfänglich auf die Grundeigentümer abwälzt (E. 3a).
Sachverhalt ab Seite 72 BGE 108 Ib 71 S. 72 Während die Dorfbezirke Dorf, Stad und Grund über Kanalisationsanlagen verfügen, war dies beim Alpnacher Aussenbezirk Schoried bisher noch nicht der Fall. Die Einwohnergemeinde Alpnach liess daher eine Hauptleitung nach Schoried erstellen. Sie übernahm es auch, in Schoried ein System von Erschliessungs- und Sammelleitungen zu errichten, welche die Abwässer von den Grundstücken in den Hauptkanal führen. Die Kosten für das Zuleitungssystem zum Hauptkanal beabsichtigte die Einwohnergemeinde aufgrund des Perimeterprinzips vollständig auf die Grundeigentümer abzuwälzen. Gegen den von der Gemeinde erstellten Perimeterplan mit Kostenverteiler erhoben alle in den Perimeter einbezogenen Grundeigentümer Einsprache. Nachdem die Einwohnergemeinde alle Einsprachen abgewiesen hatte, erhoben die betroffenen Grundeigentümer Beschwerde an den Regierungsrat, der diese ebenfalls abwies. Auch das Verwaltungsgericht des Kantons Obwalden, das von 24 Grundeigentümern in der Folge angerufen wurde, wies die Beschwerden ab, soweit es auf sie eintreten konnte. Es führte dazu aus, die Gemeinde hätte ihr Engagement auf die Erstellung der im Alpnacher Erschliessungskostenreglement vom 14.12.1973 aufgezählten Hauptleitungen beschränken können, was zur Folge gehabt hätte, dass die anschlusspflichtigen Grundeigentümer die Kanalisationsanlagen von den Grundstücken bis zu den Hauptleitungen selber hätten erstellen und finanzieren müssen. Die Gemeinde habe nun BGE 108 Ib 71 S. 73 aber in Schoried die Erstellung der Erschliessungs- und Sammelleitungen bis zur Hauptleitung selber an die Hand genommen. Die Überwälzung sämtlicher Kosten der Erschliessungs- und Sammelleitungen im Perimeterprinzip auf die Anstösser, wie es das Erschliessungskostenreglement vorsehe, sei deshalb so wenig zu beanstanden, als die Grundeigentümer noch nicht erschlossener und ausserhalb des Perimeters gelegener, aber eingezonter Grundstücke den Anschluss privat und vollständig auf eigene Kosten herstellen müssten. Hiegegen erhoben 22 Schorieder Grundeigentümer gestützt auf Art. 4 BV staatsrechtliche Beschwerde mit folgenden Anträgen: "1. Die Beschwerde sei gutzuheissen; 2. Das Urteil des Verwaltungsgerichtes Obwalden vom 14.12.1979 sei (...) aufzuheben; 3. Der aufgelegte Perimeterplan Kanalisation Schoried samt Kostenverteiler sei zu kassieren; 4. Art. 25 des Reglementes über Erschliessungskostenbeiträge der Einwohnergemeinde Alpnach sei aufzuheben, soweit 100% Erschliessungskostenbeiträge statuiert werden; 5. Der Beschwerde sei aufschiebende Wirkung zu erteilen; 6. Unter Kosten- und Entschädigungsfolgen zu Lasten des Beschwerdegegners." Dem Antrag Ziff. 5 auf Erteilung der aufschiebenden Wirkung hat das Bundesgericht mit Verfügung vom 11. April 1980 entsprochen. Auf die einzelnen Vorbringen der Beschwerdeführer wird, soweit erforderlich, in den Erwägungen eingegangen. Die Einwohnergemeinde Alpnach sowie das Verwaltungsgericht des Kantons Obwalden haben in ihren Vernehmlassungen Abweisung der Beschwerden beantragt. Erwägungen Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab aus folgenden Erwägungen: 1. a) Gemäss Art. 84 Abs. 2 OG ist eine staatsrechtliche Beschwerde nur zulässig, wenn die behauptete Rechtsverletzung nicht sonstwie durch Klage oder Rechtsmittel beim Bundesgericht gerügt werden kann. Kann ein letztinstanzlicher kantonaler Entscheid mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde angefochten werden, so ist die als staatsrechtliche Beschwerde bezeichnete Eingabe als Verwaltungsgerichtsbeschwerde zu behandeln, mit entsprechend erweiterter Kognition des Bundesgerichtes ( Art. 104 OG ; BGE 102 Ib 68 E. 2b mit Hinweisen). BGE 108 Ib 71 S. 74 Das Bundesgericht beurteilt nach Art. 97 Abs. 1 OG letztinstanzlich Verwaltungsgerichtsbeschwerden gegen Verfügungen im Sinne von Art. 5 VwVG , die von einer in Art. 98 OG aufgezählten Vorinstanz ausgehen und die unter keine der Ausnahmebestimmungen der Art. 99-102 OG fallen. Nach der Begriffsbestimmung des Art. 5 VwVG gelten als Verfügungen "Anordnungen der Behörden im Einzelfall, die sich auf öffentliches Recht des Bundes stützen" oder die - wie das Bundesgericht wiederholt entschieden hat - sich richtigerweise auf öffentliches Recht des Bundes hätten stützen müssen ( BGE 105 Ib 107 E. 1a mit zahlreichen Hinweisen). Verfügungen, die richtigerweise sowohl auf kantonales bzw. kommunales Recht als auch auf Bundesrecht hätten abgestützt werden sollen, können dementsprechend, soweit eine Verletzung von Bundesrecht in Frage steht, mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde angefochten werden ( BGE 103 Ib 213 E. 1a, 100 Ib 448 E. 2b mit Hinweisen). Dabei kann mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde jede "Verletzung von Bundesrecht" gerügt werden, einschliesslich der Rüge der Verletzung von Bundesverfassungsrecht, soweit diese eine Angelegenheit betrifft, die in die Sachzuständigkeit der eidgenössischen Verwaltungsrechtspflegeinstanz fällt ( BGE 104 Ib 120 E. 1 mit zahlreichen Hinweisen). b) Die Beschwerdeführer haben den Entscheid des Verwaltungsgerichtes mit staatsrechtlicher Beschwerde angefochten und dementsprechend ausschliesslich Verfassungsrügen erhoben. Das Bundesgericht prüft jedoch von Amtes wegen, ob das im einzelnen Fall ergriffene Rechtsmittel zulässig ist. Im übrigen schadet eine unrichtige Rechtsmittelbezeichnung dem Beschwerdeführer nicht, sofern die Eingabe die formellen Anforderungen des zutreffenden Rechtsmittels erfüllt. Die Kostenverteilung beim Bau von Erschliessungsanlagen wird sowohl durch Bundesrecht als auch durch kantonales bzw. kommunales Recht geregelt. Da die Beschwerdeführer nicht eine unrichtige Anwendung des kantonalen oder kommunalen Rechts rügen, was mit staatsrechtlicher Beschwerde geltend zu machen wäre, kann es sich nur noch fragen, ob das Verwaltungsgericht durch seinen Entscheid das Bundesverwaltungsrecht verletzte: Dies ist aber mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde geltend zu machen. Inwieweit den von den Beschwerdeführern erhobenen Verfassungsrügen eine selbständige Bedeutung zukommt, ist im Rahmen der materiellen Beurteilung des Falles zu entscheiden. Die Eingabe der Beschwerdeführer erfüllt im übrigen die formellen BGE 108 Ib 71 S. 75 Anforderungen einer Verwaltungsgerichtsbeschwerde. Das Verwaltungsgericht ist eine Vorinstanz im Sinne von Art. 98 lit. g OG ; schliesslich greift vorliegend auch keine Ausnahmevorschrift der Art. 99-102 OG Platz, weshalb die Eingabe des Beschwerdeführers als Verwaltungsgerichtsbeschwerde zu behandeln ist. 2. a) Das Bundesrecht enthält verschiedene Bestimmungen, die sich mit der Erschliessung von Bauland und der Regelung der Finanzierung befassen. Im vorliegenden Fall interessieren nur diejenigen Rechtsnormen, die die Überwälzung von Kosten für den Bau von Erschliessungsanlagen auf die Grundeigentümer zum Gegenstand haben. Solche Normen enthält zunächst das Gewässerschutzgesetz (SR 814.20). Bei der Behandlung der "Grundsätze der Abwassersanierung" ermächtigt es zwar in Art. 17 Abs. 4 die "Inhaber von Anlagen und Einrichtungen zur Erfüllung öffentlichrechtlicher Aufgaben auf dem Gebiet des Gewässerschutzes" zur Erhebung von "Beiträgen und Gebühren"; es lässt aber die Frage offen, in welchem Masse die privaten Grundeigentümer mit den durch den Bau der Anlagen entstandenen Kosten zu belasten sind. Das Bundesgesetz über die Raumplanung vom 22. Juni 1979 bestimmt in Art. 19 Abs. 2, dass das kantonale Recht "die Beiträge der Grundeigentümer" an den in Art. 19 Abs. 1 umschriebenen Erschliessungsanlagen, zu denen auch die Abwasserleitungen gehören, zu regeln habe. Bundesrechtlich wird dagegen in Art. 6 Abs. 1 und 2 des Wohnbau- und Eigentumsförderungsgesetzes vom 4. Oktober 1974 (WEG; SR 843) sowie in Art. 5 Abs. 1 und 2 der Verordnung zum Wohnbau- und Eigentumsförderungsgesetz vom 20. August 1975 (VWEG; SR 843.1) festgelegt, in welchem Rahmen den Grundeigentümern die Kosten der sogenannten Grob- und Feinerschliessung zu überbinden sind. b) Art. 6 WEG bestimmt: "Erschliessungsbeiträge 1 Die nach kantonalem Recht zuständigen öffentlichtrechtlichen Körperschaften erheben von den Grundeigentümern angemessene Beiträge an die Kosten der Groberschliessung; die Beiträge werden kurz nach Fertigstellung der Anlagen fällig. 2 Die Kosten der Feinerschliessung sind ganz oder zum überwiegenden Teil den Grundeigentümern zu überbinden. 3 Der Bundesrat erlässt Rahmenbestimmungen insbesondere über Höhe und Fälligkeit der Beitragsleistungen." BGE 108 Ib 71 S. 76 Art. 5 VWEG präzisiert: "Grundeigentümerbeiträge 1 Der Grundeigentümer hat für jede Erschliessungsanlage der Groberschliessung mindestens 50% der Kosten zu übernehmen. 2 Die Kosten der Feinerschliessung gehen in der Regel vollständig zu Lasten der Grundeigentümer. 3 (...)" Es fragt sich, welche Bedeutung der bundesrechtlichen Ordnung der Kostenverteilung bei Erschliessungsanlagen zukommt und in welchem Masse die Regelungskompetenz in diesem Bereich den Kantonen bzw. den Gemeinden zufällt. Die Regelung der Kostenverteilung im WEG bezieht sich zunächst nur auf die für "den Wohnungsbau bestimmten Bauzonen" ( Art. 5 Abs. 1 WEG ; Erläuterungen zum BG über die Raumplanung des Eidgenössischen Justiz- und Polizeidepartementes, 1981, S. 250, N. 453). In diesem Bereich ist die Regelung der Kostenverteilung im WEG aber unmittelbar anwendbares Bundesrecht, die damit unvereinbares kantonales Recht verdrängt (R. STÜDELI, Kantonal-, Regional- und Gemeindeplanung in das BG über die Raumplanung, Bern 1980, S. 117; LEO SCHÜRMANN, Bau- und Planungsrecht, Bern 1981, S. 89). Die Bestimmungen legen den Rahmen fest, innert welchem die Kosten der Erschliessungsanlagen auf die Grundeigentümer abzuwälzen sind; dem kantonalen bzw. dem kommunalen Recht kann in diesem Bereich nur noch die Aufgabe der Feinregulierung der effektiv zu erhebenden Kosten zukommen. Die Tatsache, dass der Bundesrat die in Art. 6 Abs. 3 WEG vorgesehenen präzisierenden Rahmenbestimmungen über Höhe und Fälligkeit der Beitragsleistungen des Grundeigentümers bis heute noch nicht erlassen hat, ändert daran nichts; es ist sogar davon auszugehen, dass die diesbezügliche kantonale bzw. kommunale Legiferierungsbefugnis durch den Erlass der bundesrätlichen Rahmenbestimmungen noch weiter eingeschränkt würde. Ebensowenig ändert daran Art. 19 Abs. 2 RPG , der die Regelung der Grundeigentümerbeiträge an Erschliessungsanlagen dem kantonalen Recht überlässt. Der selbstverständliche Vorbehalt, wonach der kantonale bzw. der kommunale Gesetzgeber nur innerhalb der Schranken des massgeblichen Bundesrechts zu legiferieren vermag, brauchte nicht in das Raumplanungsgesetz aufgenommen zu werden. In der bundesrätlichen Botschaft zum Raumplanungsgesetz vom 27. Februar 1978 wird bei der Erläuterung von Art. 19 (damals Art. 20 RPG ) BGE 108 Ib 71 S. 77 auf das WEG verwiesen (BBl 1978 I 1027): "Vorbehalten bleiben die Regeln des Wohnbau- und Eigentumsförderungsgesetzes über die Erschliessungspflicht und die Beitragsleistungen der Grundeigentümer im Bereich der Wohnzonen." 3. a) In der Gemeinde Alpnach besteht schon seit dem 14. Dezember 1973 (vom Regierungsrat des Kantons Obwalden am 3. Dezember 1974 genehmigt) ein sog. Erschliessungskostenreglement (ER). Unter dem Randtitel "C. Erschliessungskostenbeiträge" bestimmt das ER: " Art. 25 1. Allgemein Die Erschliessungskostenbeiträge belaufen sich auf: 1. 100% an Erschliessungsleitungen 2. 100% an Sammelleitungen 3. 0% an Hauptleitungen" Das Verwaltungsgericht hat die Beitragspflicht der Beschwerdeführer ausschliesslich auf Art. 25 ER gestützt. Es ist zu prüfen, ob sich die angewandte Norm des kommunalen Erschliessungskostenreglementes an den vom Bundesrecht vorgegebenen Rahmen hält. Dies ist zu bejahen. Nach Art. 6 Abs. 1 und 2 WEG in Verbindung mit Art. 5 Abs. 1 und 2 VWEG ist die zuständige öffentlichrechtliche Körperschaft sowohl bei Anlagen der Grob- wie auch der Feinerschliessung berechtigt, die gesamten entstandenen Kosten auf die Grundeigentümer abzuwälzen. Die angewandte Norm verstösst somit nicht gegen das Bundesrecht.
public_law
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Urteilskopf 107 II 504 79. Auszug aus dem Urteil der II. Zivilabteilung vom 1. Oktober 1981 i.S. W. gegen Regierungsrat des Kantons Bern (Nichtigkeitsbeschwerde)
Regeste Art. 44 und 68 OG ; Art. 381 ZGB . Die Ernennung des Vormundes unterliegt nicht der Berufung an das Bundesgericht. Es handelt sich nicht um eine Zivilrechtsstreitigkeit im Sinne von Art. 44 OG , sondern um eine Zivilsache nach Art. 68 OG , in der gegebenenfalls die Nichtigkeitsbeschwerde zulässig ist (E. 2). Die Eltern des Mündels haben lediglich ein tatsächliches oder mittelbares Interesse an der Person des Vormundes. Wird die von ihnen vorgeschlagene Person nicht zum Vormund gewählt, werden sie dadurch in ihren rechtlich geschützten Interessen nicht beeinträchtigt. Es fehlt ihnen daher die Legitimation zur Nichtigkeitsbeschwerde (E. 3).
Sachverhalt ab Seite 504 BGE 107 II 504 S. 504 E. W., geb. 1954, wurde am 10. Juni 1977 in Anwendung von Art. 369 ZGB unter Vormundschaft gestellt. Zum Vormund wurde Amtsvormund Z. ernannt. Im Jahre 1979 vernahm die Mutter des Mündels, M. W., dass Amtsvormund Z. in den Ruhestand trete. Sie schlug der Vormundschaftsbehörde X. daraufhin einen ihrer Bekannten als Vormund ihrer Tochter vor. Die Vormundschaftsbehörde wählte jedoch am 8. Januar 1980 als Vormund von E. W. den Nachfolger von Z., Amtsvormund G. Gegen diesen Beschluss legte M. W. beim Regierungsstatthalter BGE 107 II 504 S. 505 Rekurs ein, der am 30. Juni 1980 abgewiesen wurde. Eine Beschwerde gegen diesen Entscheid wies der Regierungsrat des Kantons Bern am 10. Februar 1981 ab. M. W. erhebt beim Bundesgericht Nichtigkeitsbeschwerde gestützt auf Art. 68 OG mit dem Antrag, der Entscheid des Regierungsrates sei aufzuheben. Die Beschwerdeführerin hat den Entscheid des Regierungsrates auch mit einer staatsrechtlichen Beschwerde beim Bundesgericht angefochten (s. BGE 107 Ia 343 ff.). Das Bundesgericht tritt auf die Nichtigkeitsbeschwerde nicht ein. Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. In erster Linie stellt sich die Frage, ob die Nichtigkeitsbeschwerde gegen die Bestellung des Vormundes überhaupt zulässig ist. Nach EGGER, N. 6 zu Art. 388 ZGB , sind sowohl die Berufung als auch die Nichtigkeitsbeschwerde ausgeschlossen; nach seiner Meinung kann die Ernennung eines Vormundes lediglich mit der staatsrechtlichen Beschwerde beim Bundesgericht angefochten werden. Gemäss Art. 68 Abs. 1 OG ist die Nichtigkeitsbeschwerde in Zivilsachen, die nicht der Berufung unterliegen, zulässig. Nach ständiger Rechtsprechung liegt eine Zivilsache schon dann vor, wenn das dem Streit zugrundeliegende Rechtsverhältnis dem Zivilrecht angehört ( BGE 95 II 301 , BGE 85 II 288 E. 1b, BGE 72 II 309 E. 2 und 334 E. 1). Auch wenn das Vormundschaftsrecht vom öffentlichen Recht in erheblichem Masse mitgeprägt wird, so stellen die vormundschaftlichen Massnahmen und insbesondere die Ernennung eines Vormundes doch eine Zivilsache im Sinne von Art. 68 Abs. 1 OG dar. Dass sich das kantonale Verfahren vor den Verwaltungsbehörden und nicht vor den Gerichten abgespielt hat, ist in diesem Zusammenhang ohne Bedeutung ( BGE 79 II 248 /9). Hingegen handelt es sich nicht um eine Zivilrechtsstreitigkeit gemäss Art. 44 OG . Einer solchen liegt stets ein kontradiktorisches Verfahren, an dem zwei gleichgestellte Parteien beteiligt sind, zugrunde ( BGE 104 II 164 E. 3b mit Hinweisen). Hier tritt die Vormundschaftsbehörde jedoch kraft ihres Amtes auf, und das Mündel ist ihr untergeordnet. Umstrittene vormundschaftliche Massnahmen sind denn auch der nichtstreitigen Gerichtsbarkeit zuzurechnen. Auch in solchen Fällen ist die Berufung ans BGE 107 II 504 S. 506 Bundesgericht möglich, sofern einer der in Art. 44 lit. a-f OG abschliessend aufgezählten Berufungsgründe vorliegt. Dazu gehört die Ernennung des Vormundes nicht ( BGE 91 II 176 oben). Insbesondere kann sie nicht unter Art. 44 lit. e OG subsumiert und der Entmündigung oder Anordnung einer Beistandschaft zugezählt werden. Ist die Berufung demnach im vorliegenden Fall ausgeschlossen, so sind die Voraussetzungen für die Zulässigkeit der Nichtigkeitsbeschwerde grundsätzlich zu bejahen. 3. Es ist indessen weiter zu prüfen, ob die allgemeine, für jedes Rechtsmittel geltende Voraussetzung des Eintretens, nämlich das Vorliegen eines rechtsschutzwürdigen Interesses der Beschwerdeführerin an der verlangten gerichtlichen Entscheidung gegeben sei ( BGE 85 II 289 ; BIRCHMEIER, Handbuch des OG, N. 7 zu Art. 68 OG , S. 260). Nach Art. 381 ZGB haben das Mündel oder dessen Vater oder Mutter das Recht, der Vormundschaftsbehörde eine Person ihres Vertrauens als Vormund vorzuschlagen. Sprechen nicht wichtige Gründe dagegen, so soll diesem Vorschlag Folge geleistet werden. Daraus darf aber nicht ein Anspruch auf die Wahl der vorgeschlagenen Person abgeleitet werden. Der Vorschlag ist für die Vormundschaftsbehörde keinesfalls bindend (KAUFMANN, N. 6a zu Art. 381 ZGB ; EGGER, N. 4 zu Art. 380/81 ZGB). Man kann sich allerdings fragen, ob nicht dem Mündel selber ein rechtlich geschütztes Interesse an der Wahl der von ihm vorgeschlagenen Person zuzuerkennen wäre, sofern keine wichtigen Gründe gegen diese Person sprechen. So kommt insbesondere den Wünschen des zu Bevormundenden bei Entmündigten stärkeres Gewicht zu als bei Unmündigen (EGGER, N. 11 zu Art. 380/81 ZGB). Indessen kann diese Frage hier offen gelassen werden. Es ist zum vorneherein klar, dass dasselbe nicht für Vater oder Mutter des Mündels gelten kann, die lediglich ein tatsächliches Interesse an der Person des Vormundes haben können. Denn bei Art. 381 ZGB handelt es sich um eine Vorschrift, die ausschliesslich im öffentlichen Interesse und nicht im privaten der Eltern des Mündels aufgestellt worden ist. Die Vormundschaft ist eine öffentliche Angelegenheit, und ihre Ausgestaltung lässt die persönliche Rechtsstellung der Eltern des Mündels unberührt (nicht veröffentlichtes Urteil des Bundesgerichts i.S. St. gegen Regierungsrat Solothurn vom 30. Oktober 1944). Kommt den Eltern des Mündels aber lediglich ein tatsächliches oder mittelbares Interesse an der Person des BGE 107 II 504 S. 507 Vormundes zu, so werden sie durch die Nichtwahl der vorgeschlagenen Person nicht in ihren rechtlich geschützten Interessen beeinträchtigt. Der Beschwerdeführerin als Mutter des Mündels ist daher die Legitimation zur Nichtigkeitsbeschwerde abzusprechen, weshalb auf ihre Beschwerde nicht eingetreten werden kann. EGGER, N. 6 zu Art. 388 ZGB , hat demnach mit Recht sowohl die Berufung als auch die Nichtigkeitsbeschwerde im Zusammenhang mit Art. 381 ZGB ausgeschlossen. Die gleiche Ansicht vertritt auch FALB, Zum Vorrecht des nahen Verwandten bei der Bestellung des Vormundes ( Art. 380 ZGB ), ZVW 3/1948 S. 13.
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Urteilskopf 98 Ia 56 10. Urteil vom 2. Februar 1972 i.S. X. gegen Aufsichtskommission über die Rechtsanwälte im Kanton Zürich
Regeste Disziplinarrecht des Anwaltes; Art. 31 BV . 1. Auch der Anwalt steht unter dem Schutz der in Art. 31 BV gewährleisteten Handels- und Gewerbefreiheit. Die ihm vom Staat auferlegten Standespflichten dürfen daher nicht weiter gehen, als gewerbepolizeiliche Zwecke dies verlangen. Kognition des Bundesgerichts (Erw. 3). 2. Auslegung von § 7 Abs. 1 des Zürcher Anwaltsgesetzes. Wieweit kann einem Anwalt die Abgabe von öffentlichen Erklärungen untersagt werden? (Erw. 4-6). 3. Ist eine die Freiheit des Einzelnen beschränkende Massnahme aus gewerbepolizeilichen Gründen notwendig und mit Art. 31 BV vereinbar, so kann sich der Betroffene ihr gegenüber nicht auf die Presse- oder Meinungsäusserungsfreiheit berufen (Erw. 7).
Sachverhalt ab Seite 56 BGE 98 Ia 56 S. 56 A.- Die in Zürich niedergelassenen Anwälte Dr. X. und Dr. Y. übernahmen im Auftrag des panarabischen Anwaltsverbandes BGE 98 Ia 56 S. 57 die Verteidigung der drei Palästinenser, welche am 18. Februar 1969 auf dem Flughafen Zürich-Kloten ein Kursflugzeug der israelischen Gesellschaft EL-AL angegriffen hatten. Die Strafuntersuchung wurde durch die Bezirksanwaltschaft Bülach geführt und lag in den Händen der Bezirksanwälte Dr. R. und A. Nachdem es zu einer heftigen, zum Teil in Presse und Radio ausgetragenen Auseinandersetzung zwischen den zürcherischen Justizbehörden und den beiden Verteidigern gekommen war, legten diese ihr Mandat im September 1969 nieder. Die Auseinandersetzungen betrafen namentlich die Art und Weise der Untersuchung, das Akteneinsichtsrecht der Verteidiger, die Benennung des amtlichen Dolmetschers mit einem Pseudonym und die Haftentlassung des israelischen Mitangeklagten Rachamim. B.- Am 13. Oktober 1969 reichte Bezirksanwalt A. bei der kantonalen Aufsichtskommission über die Rechtsanwälte (AK) eine Anzeige ein, mit der er Dr. X. und Dr. Y. vorwarf, gegen § 7 Abs. 1 des zürcherischen Anwaltsgesetzes verstossen zu haben. Er beanstandete, dass die beiden Anwälte bei ihren öffentlichen Stellungnahmen es an der nötigen Objektivität und Zurückhaltung hätten fehlen lassen. Er bezog sich dabei auf Presseberichte im Tagesanzeiger vom 11., 14. und 16. Juli 1969, die auch im Feuille d'Avis de Lausanne erschienen waren, auf ein Radiointerview des Dr. X. vom 12. September 1969 sowie auf ein von den beiden Verteidigern verfasstes, 19 Schreibmaschinenseiten umfassendes "Memorandum", welches Ende September 1969 an Kantonsräte und zwei Pressevertreter verteilt und in der Tagespresse auszugsweise wiedergegeben und kommentiert worden war. Mit Eingabe vom 15. Oktober 1969 schloss sich der ehemalige Bezirksanwalt Dr. R., der inzwischen an der Universität Zürich eine Lehrtätigkeit begonnen hat, dieser Anzeige an. Am 29. Oktober 1969 reichte auch Staatsanwalt Dr. B. eine Anzeige ein, welche sich jedoch nur gegen Dr. X. richtete. C.- Mit Entscheid vom 2. Juni 1971 stellte die Aufsichtskommission das Verfahren gegen Dr. Y. ein. Hingegen auferlegte sie Dr. X. wegen Verstosses gegen § 7 Abs. 1 des Anwaltsgesetzes eine Ordnungsbusse von Fr. 200.-- sowie eine (reduzierte) Staatsgebühr von Fr. 100.-- und die Hälfte der übrigen Verfahrenskosten. Als standeswidrig betrachtete die Aufsichtskommission einzig die Veröffentlichung des erwähnten BGE 98 Ia 56 S. 58 Memorandums, welche jedoch ohne Wissen von Dr. Y. erfolgt sei, und für die daher nur Dr. X. einzustehen habe. D.- Gegen den Entscheid der Aufsichtskommission vom 2. Juni 1971 führt Dr. X. staatsrechtliche Beschwerde wegen Verletzung von Art. 4, 31 und 55 BV ; sein Antrag lautet dahin, es seien die gegen ihn ausgefällte Ordnungsbusse und der damit verbundene Kostenspruch aufzuheben. Die Begründung des angefochtenen Entscheides und der gegen ihn erhobenen Rügen geht, soweit erforderlich, aus den folgenden Erwägungen hervor. E.- Die Aufsichtskommission hat auf Vernehmlassung verzichtet. Die Bezirksanwaltschaft Bülach und die Staatsanwaltschaft des Kantons Zürich beantragen Abweisung der Beschwerde. Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab aus folgenden Erwägungen Erwägungen: 1. § 7 Abs. 1 des zürcherischen Anwaltsgesetzes (AG) lautet: "Der Rechtsanwalt ist verpflichtet, seine Berufstätigkeit gewissenhaft auszuüben und sich durch sein Verhalten in der Ausübung des Berufes und sein sonstiges Geschäftsgebaren der Achtung würdig zu zeigen, die sein Beruf erfordert. " 2. Der Beschwerdeführer behauptet nicht, dass diese Vorschrift, welche der kantonalen Behörde einen weiten Ermessensspielraum belässt, schon an sich verfassungswidrig sei. Der Vorwurf der Verletzung von Art. 4, 31 und 55 BV bezieht sich vielmehr auf die Anwendung dieser Vorschrift durch den angefochtenen Entscheid. Das Bundesgericht hat demnach zu prüfen, ob § 7 Abs. 1 AG von der Aufsichtskommission in einer mit den genannten Verfassungsbestimmungen vereinbaren Weise ausgelegt und gehandhabt worden ist. 3. Nach ständiger Praxis des Bundesgerichts steht auch der Anwalt unter dem Schutz der in Art. 31 BV gewährleisteten Handels- und Gewerbefreiheit. Er ist aber an die Schranken gebunden, die sich aus seiner Stellung als Diener des Rechts und als Mitarbeiter der Rechtspflege ergeben; insbesondere kann er zur Wahrung der Standeswürde, zu einer korrekten Haltung im Verkehr mit seinen Klienten und dem Publikum im allgemeinen sowie zur Unterlassung aufdringlicher Reklame verpflichtet BGE 98 Ia 56 S. 59 werden ( BGE 87 I 265 ; nicht veröffentlichte Urteile vom 14. Mai 1969 i.S. R. gegen AK des Kt. Zürich, S. 11 f, vom 26. November 1969 i.S. M. gegen AK des Kt. Zürich, S. 6 f, sowie vom 13. Mai 1970 i.S. W. gegen AK des Kt. Zürich, S. 7). Derartige Vorschriften dürfen jedoch nicht weiter gehen, als zur Erfüllung des ihnen zugrunde liegenden gewerbepolizeilichen Zweckes notwendig ist; andernfalls verstossen sie gegen den Grundsatz der Verhältnismässigkeit und damit gegen Art. 31 BV . Die Auslegung kantonalen Gesetzesrechts prüft das Bundesgericht nur unter dem beschränkten Gesichtswinkel der Willkür; frei hingegen prüft es, ob eine - vertretbare - Auslegung mit Art. 31 BV zu vereinbaren sei ( BGE 87 I 119 sowie die erwähnten Urteile vom 26. November 1969 i.S. M. S. 7, und vom 13. Mai 1970 i.S. W., S. 8). 4. Die Aufsichtskommission konnte ohne Willkür und ohne Verletzung von Art. 31 BV aus § 7 Abs. 1 AG ableiten, dass ein Anwalt bei der Abgabe von Erklärungen an Massenmedien Zurückhaltung zu üben habe. Dies liegt sowohl im Interesse der an einem Rechtsstreit beteiligten Personen als auch im Interesse der Allgemeinheit an einer gesetzmässigen Erledigung hängiger Verfahren (Urteile vom 26. November 1969 i.S. M., S. 9, sowie vom 13. Mai 1970 i.S. W., S. 9). In früheren Verfahren hatte die Aufsichtskommission angenommen, dass ein Anwalt eine Erklärung in der Presse nur dann erscheinen lassen dürfe, wenn dies "unbedingt nötig" sei. Das Bundesgericht hat indessen in den beiden letzterwähnten Urteilen eine derartige Auslegung von § 7 Abs. 1 AG als mit Art. 31 BV unvereinbar bezeichnet, da sie die Handels- und Gewerbefreiheit des Anwaltes unverhältnismässig beschränke. Im vorliegend angefochtenen Entscheid ging die Aufsichtskommission nunmehr davon aus, dass einem Anwalt die Abgabe von Presseerklärungen gestattet sei, sofern dies den "bestehenden Verhältnissen" entspreche oder der wirksamen Wahrung der Interessen des Klienten diene oder zur Abwehr von gegen den Anwalt persönlich erhobenen Angriffen erfolge. Doch sei der Anwalt zur Zurückhaltung verpflichtet und er müsse, wenn er schon Erklärungen abgebe, objektiv in der Darstellung und sachlich im Ton bleiben. Diese Auslegung von § 7 Abs. 1 AG ist nicht willkürlich und sie verstösst, sofern inbezug auf die Objektivität und Sachlichkeit der Erklärung keine allzustrengen Anforderungen gestellt werden, auch nicht gegen Art. 31 BV . BGE 98 Ia 56 S. 60 5. Gestützt auf diese Auslegung gelangte die Aufsichtskommission im angefochtenen Entscheid aufgrund einer eingehenden Würdigung der Umstände zum Schluss, dass den beiden beschuldigten Anwälten hinsichtlich der am 11., 14. und 16. Juli 1969 im Tagesanzeiger (und in der Folge auch im Feuille d'Avis de Lausanne) erschienenen Presseberichte kein Verstoss gegen § 7 Abs. 1 AG vorgeworfen werden könne; dasselbe gelte für das Radiointerview des Dr. X. vom 12. September 1969. Die Aufsichtskommission berücksichtigte insbesondere, dass die beiden Anwälte von den zürcherischen Justizbehörden öffentlich angegriffen worden waren, weshalb ihnen das Recht zu einer öffentlichen Erklärung nicht verwehrt werden dürfe; angesichts der Schwere der gegen sie erhobenen Vorwürfe sei auch im scharfen Ton ihrer Entgegnungen kein Verstoss gegen die Standeswürde zu erblicken, da diese weder in ehrverletzender Form noch wider besseres Wissen erfolgt seien. Anders hingegen beurteilte die Aufsichtskommission die Ende September 1969 durch Dr. X. veranlasste Veröffentlichung eines "Memorandums". Am 15. September 1969 reichte Kantonsrat Trachsler eine Kleine Anfrage ein, mit der er Auskunft über die Auseinandersetzung zwischen den Verteidigern der EL-AL-Attentäter und den Justizorganen forderte. Da die beiden Anwälte, welche inzwischen ihr Mandat niedergelegt hatten, befürchteten, dass die Angelegenheit vom Regierungsrat einseitig dargestellt werde, beschlossen sie, zuhanden von Kantonsrat Dr. B., dem früheren Präsidenten des Vereins zürcherischer Rechtsanwälte, ihren Standpunkt schriftlich aufzuzeichnen, damit er diesen bei einer allfälligen Diskussion im Kantonsrat darlegen könne. Zu diesem Zweck verfassten sie gemeinsam ein 19 Schreibmaschinenseiten umfassendes "Memorandum zur Mandatsniederlegung der Verteidiger". Da - wenigstens laut Darstellung in der Beschwerdeschrift - Dr. B. nicht erreichbar war, liess Dr. X., in Abweichung von der ursprünglichen Absicht und ohne Wissen des im Militärdienst abwesenden Dr. Y., noch vor der Kantonsratssitzung das Memorandum an ungefähr 50 Kantonsräte und ausserdem an zwei Journalisten vom Tagesanzeiger und der Neuen Zürcher Zeitung verteilen, ohne diesen letzteren gegenüber zu erklären, dass das Memorandum nicht zur Veröffentlichung in der Presse bestimmt sei. Dieses erschien daraufhin auszugsweise und mit Kommentaren versehen in der Tagespresse. Die in der betreffenden BGE 98 Ia 56 S. 61 Kantonsratssitzung erwartete Behandlung der Anfrage Trachsler blieb aus. Die Aufsichtskommission nahm an, dass ein Verlesenlassen des Memorandums im Kantonsrat, wie es für den Fall einer regierungsrätlichen Stellungnahme ursprünglich vorgesehen war, nicht gegen die Standespflichten verstossen hätte. Als mit § 7 Abs. 1 AG unvereinbar erachtete sie jedoch, dass Dr. X. noch vor der Kantonsratssitzung das Memorandum an weitere Kantonsräte und an zwei Pressevertreter verteilt hatte; damit habe er in Kauf genommen und gebilligt, dass das Memorandum der Öffentlichkeit bekannt werde. Es sei nicht Sache der Aufsichtskommission, alle im Memorandum gegen die Justizbehörden erhobenen Vorwürfe zu prüfen. Jedenfalls habe das Memorandum als Ganzes in der Öffentlichkeit den Eindruck schwerster Misstände im Untersuchungsverfahren, unverzeihlicher Voreingenommenheit sowie unentschuldbarer Behinderung und Verletzung der Verteidigungsrechte erwecken müssen. Da diese Publikation kurz vor der Durchführung des Schwurgerichtsverfahrens erfolgt sei, habe sie eine unerlaubte Einwirkung auf die den Prozess verfolgende Öffentlichkeit, auf die im Hauptverfahren aufgebotenen Zeugen sowie auf die urteilenden Geschworenen dargestellt. Es sei in diesem Zeitpunkt, nachdem Dr. X. sein Mandat niedergelegt habe, nicht mehr dessen Sache gewesen, das Untersuchungsverfahren als in weiten Teilen gegen rechtsstaatliche Verteidigungsrechte verstossend zu bezeichnen. Die Rüge allfälliger Verfahrensmängel hätte er vielmehr seinem Nachfolger in der Verteidigung überlassen sollen, dem dazu vor Gericht die gesetzlichen Mittel zur Verfügung gestanden seien. 6. Der Beschwerdeführer erblickt hierin eine auf einer willkürlichen Begründung beruhende und mit Art. 31 BV unvereinbare Beschränkung seiner Handels- und Gewerbefreiheit. Er macht im wesentlichen geltend, dass alle im Memorandum angeführten Tatsachen wahr seien und seine darauf gestützte Kritik daher materiell begründet gewesen sei. Die Kritik sei zwar scharf gewesen, aber nicht wider besseres Wissen erfolgt, und sie habe auch keine ehrverletzenden Formen angenommen. Diesen Einwänden käme Gewicht zu, wenn es um die Zulässigkeit einer vom Anwalt in den verfahrensmässigen Formen - sei es in den Rechtsschriften, sei es anlässlich mündlicher BGE 98 Ia 56 S. 62 Verhandlungen - erhobenen Kritik ginge; auf diesen Fall beziehen sich die Ausführungen in BGE 96 I 526 ff, auf die sich der Beschwerdeführer beruft. Ob und wieweit hingegen ein Anwalt zu einem hängigen Verfahren öffentlich Stellung nehmen darf, beurteilt sich nach anderen, strengeren Grundsätzen. Es ist, wie erwähnt, sachlich gerechtfertigt und mit Art. 31 BV vereinbar, vom Anwalt hiebei grosse Zurückhaltung zu verlangen und ihm die Abgabe von öffentlichen Erklärungen nur dann und nur soweit zu gestatten, als besondere Umstände dies als angebracht erscheinen lassen. Die Aufsichtskommission konnte mit Grund annehmen, dass der Beschwerdeführer mit der Publikation des Memorandums die Grenzen des Zulässigen überschritten hatte. Da er im fraglichen Zeitpunkt sein Mandat als Verteidiger der palästinensischen Attentäter bereits niedergelegt hatte, kann er sich nicht darauf berufen, im Interesse seiner Klienten gehandelt zu haben. Es war grundsätzlich nicht mehr seine Sache, am hängigen Verfahren Kritik zu üben; dies oblag, wie im angefochtenen Entscheid mit Recht festgestellt wird, nunmehr seinem Nachfolger in der Verteidigung, dem dafür die gesetzlichen Mittel zur Verfügung standen. Die Abgabe einer öffentlichen Erklärung hätte dem Beschwerdeführer im Hinblick auf Art. 31 BV nur dann nicht verwehrt werden dürfen, wenn sie lediglich als angemessene Beantwortung öffentlicher Beschuldigungen durch die Justizbehörden anzusehen wäre. In diesem Rahmen muss es einem Anwalt, der sein Mandat niedergelegt hat, gestattet sein, seine Mandatsführung öffentlich zu rechtfertigen, andernfalls seine Handels- und Gewerbefreiheit unverhältnismässig beschränkt wäre. Diese Voraussetzung war hier nicht erfüllt. Als der Beschwerdeführer zur Veröffentlichung des Memorandums schritt, war die öffentliche Auseinandersetzung - zur letzten öffentlichen Erklärung des zürcherischen Justizdirektors vom 30. August 1969 hatte Dr. X. in einem Radiointerview vom 12. September 1969 Stellung genommen - zumindest einstweilen abgeschlossen. Zwar war eine diesbezügliche Kleine Anfrage noch nicht behandelt worden, doch stand nicht fest, ob und gegebenenfalls in welchem Sinne sie vom Regierungsrat an der fraglichen Kantonsratssitzung beantwortet werden würde. Dem Beschwerdeführer konnte jedenfalls zugemutet werden, vorerst die Stellungnahme des Regierungsrates abzuwarten, bevor er selber erneut eine öffentliche Erklärung abgab. Der Einwand, die früher gegen ihn erhobenen Vorwürfe seien ungerechtfertigt gewesen und BGE 98 Ia 56 S. 63 hätten, über das von ihm im Radiointerview vom 12. September 1969 Gesagte hinaus, noch einer ausführlicheren Entgegnung bedurft, ist unbehelflich. Das öffentliche Interesse an einer möglichst ungestörten Abwicklung des hängigen Verfahrens verlangte ein Ende der öffentlichen Auseinandersetzung, und das Bedürfnis des Beschwerdeführers nach einer vollumfänglichen persönlichen Rechtfertigung hatte demgegenüber unter den geschilderten Umständen zurückzutreten. Nicht nur im Hinblick auf die äusseren Gegebenheiten, sondern auch nach Form und Inhalt konnte das Memorandum von der Aufsichtskommission mit Grund als "eigentliche neue Kampfschrift" gewertet werden, mit der der bisherige Streit erneut aufgerollt werden sollte. Dass das Memorandum wider besseres Wissen erhobene oder ehrverletzende Vorwürfe enthalte, wurde im angefochtenen Entscheid nicht behauptet; es wurde lediglich festgestellt, dass "schwerste Vorwürfe, teilweise in verletzender Art" gemacht worden seien, was sich in der Tat nicht in Abrede stellen lässt und auch vom Beschwerdeführer nicht bestritten wird. Doch braucht die Frage, ob und wieweit es dem Memorandum an der notwendigen Sachlichkeit und Objektivität fehlte, hier nicht weiter geprüft zu werden, da, wie die Aufsichtskommission ohne Willkür und ohne Verletzung von Art. 31 BV annehmen konnte, aufgrund der Umstände eine öffentliche Erklärung der fraglichen Art dem Beschwerdeführer überhaupt nicht gestattet war. 7. Der Beschwerdeführer beruft sich ausserdem auf die in Art. 55 BV gewährleistete Pressefreiheit; er macht geltend, dass das Memorandum, welches er vervielfältigt und an mindestens 50 Personen versandt habe, ein Presseerzeugnis darstelle, das den Schutz der Pressefreiheit geniesse. Ausserdem rügt er eine Verletzung der Meinungsäusserungsfreiheit. Es kann dahingestellt bleiben, wieweit das Vorgehen das Beschwerdeführers in den Schutzbereich der beiden genannten Grundrechte fällt. Diese gelten jedenfalls nicht unbeschränkt, sondern nur soweit, als keine polizeilichen Güter verletzt werden ( BGE 96 I 589 E. 4a, 592 E. 6, mit Hinweisen). Ist eine die Freiheit des Einzelnen beschränkende Massnahme aus gewerbepolizeilichen Gründen notwendig und mit Art. 31 BV vereinbar, so kann sich der Betroffene daher ihr gegenüber nicht auf die Presse- oder die Meinungsäusserungsfreiheit berufen ( BGE 87 I 117 ; vgl. auch ZBl 1963 S. 365). Die Beschwerde erweist sich somit als unbegründet.
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Urteilskopf 114 Ia 281 45. Extrait de l'arrêt de la Ire Cour de droit public du 6 octobre 1988 dans la cause G. contre Vaud, Ministère public et Tribunal d'accusation (recours de droit public)
Regeste Persönliche Freiheit; Verlängerung der Untersuchungshaft. - Überprüfungsbefugnis des Bundesgerichts (E. 3). - Die Bewilligung zur Verlängerung der Untersuchungshaft, die gestützt auf Art. 61 StPO VD erteilt wird, stellt keine blosse Willenserklärung oder Empfehlung der Aufsichtsbehörde dar, sondern einen eigentlichen Entscheid. Dies hat zur Folge, dass die aus Art. 4 BV abgeleiteten Anforderungen an das Verfahren (rechtliches Gehör, Begründung und Mitteilung des Entscheids) gegenüber dem von der Verlängerung betroffenen Häftling eingehalten werden müssen (Präzisierung der Rechtsprechung; E. 4a, b). Praktische Folgen (E. 4c).
Sachverhalt ab Seite 281 BGE 114 Ia 281 S. 281 G. a été arrêté le 11 février 1988 près d'Annemasse (Haute-Savoie), en vertu d'un mandat d'arrêt international décerné par le Juge informateur de l'arrondissement de La Côte pour attentat à la BGE 114 Ia 281 S. 282 pudeur des enfants et outrage public à la pudeur au sens des art. 191 et 203 CP . La Chambre d'accusation de la Cour d'appel de Chambéry (Savoie) ayant autorisé son extradition pour certains des faits qui lui étaient reprochés, G. a été livré aux autorités suisses le 22 juin 1988 pour être aussitôt placé en détention préventive à la prison du Bois-Mermet à Lausanne. Le 1er juillet, puis le 15 juillet 1988, le Tribunal d'accusation du canton de Vaud a, en conformité de l' art. 61 CPP vaud., autorisé, à la requête du Juge informateur, la prolongation de la détention de G. respectivement jusqu'au 15 juillet et au 15 août 1988. Ces deux décisions n'ont pas été notifiées au prévenu, qui n'a pas été appelé à s'exprimer à leur propos. Saisi d'un recours de droit public de G. contre la seconde décision, le Tribunal fédéral l'a admis, par arrêt du 8 août 1988. Il a notamment considéré que la décision attaquée, qui n'était pas une simple mesure de contrôle, devait respecter les exigences de forme minimales déduites de l' art. 4 Cst. , c'est-à-dire être motivée et notifiée à l'intéressé, celui-ci devant avoir la possibilité de s'exprimer. Statuant le 7 septembre 1988 à la fois sur la validité de sa décision du 15 juillet 1988, objet de l'arrêt du Tribunal fédéral du 8 août 1988, et sur un recours de G. contre un refus de mise en liberté ordonné le 12 août 1988 par le Juge informateur, le Tribunal d'accusation a rejeté les recours dont il était saisi. Il a envisagé sommairement les conséquences de l'arrêt du Tribunal fédéral, en exposant simplement que l'inculpé n'avait pas répondu à l'invitation qu'il lui avait faite, le 12 août 1988, de solliciter son audition conformément à l' art. 305 al. 2 CPP vaud. Il s'est en revanche exprimé de manière circonstanciée sur les raisons qui avaient conduit le Juge informateur à refuser de mettre le prévenu en liberté. Par la voie d'un nouveau recours de droit public, G. a demandé au Tribunal fédéral d'annuler l'arrêt du Tribunal d'accusation du 7 septembre 1988. Le Tribunal fédéral a rejeté ce recours dans le sens des considérants. Il a également invité l'autorité intimée à se prononcer en bonne et due forme, sans délai, sur la prolongation de la détention du recourant en tenant compte de la proportionnalité et de la spécialité ( art. 14 CEExtr .). Erwägungen Extrait des considérants: 3. C'est essentiellement au contenu du droit constitutionnel non écrit à la liberté personnelle que le Tribunal fédéral mesure la constitutionnalité du maintien en détention d'un prévenu, qui BGE 114 Ia 281 S. 283 représente toujours une atteinte grave à ce droit fondamental. Les principes que la Convention européenne des droits de l'homme consacre, notamment à son art. 5, ne sont pris en considération pour l'interprétation et l'application de cette garantie qu'en tant qu'ils la concrétisent ( ATF 108 Ia 66 consid. 2c, 105 Ia 29 consid. 2b). La garantie de la liberté personnelle n'empêche pas l'autorité de procéder à l'incarcération d'un individu ou de le maintenir en détention, à la condition toutefois que cette mesure particulièrement grave repose sur une base légale claire, qu'elle soit ordonnée dans l'intérêt public et qu'elle respecte le principe de la proportionnalité ( ATF 107 Ia 149 consid. 2, ATF 106 Ia 281 consid. 3a et les arrêts cités). La légalité d'une telle mesure privative de liberté doit être appréciée en fonction du droit cantonal; quand celui-ci accorde à l'individu une protection plus large ou plus précise que celle qui est offerte par le droit fédéral, il s'applique en concurrence avec ce dernier ( ATF 104 Ia 300 consid. 2, ATF 101 Ia 49 ). Tel semble être le cas de l'art. 61 du code de procédure pénale vaudois du 12 septembre 1967 (CPP vaud.). Les griefs invoqués dans l'acte de recours doivent donc être examinés au regard du contenu de cette disposition particulière et du droit constitutionnel non écrit de la liberté personnelle. Contrairement à ce que soutient la juridiction intimée, le Tribunal fédéral dispose en l'espèce d'un libre pouvoir pour contrôler si l'interprétation et l'application du droit cantonal sont conformes au droit fondamental en cause; il n'a aucune raison de faire exception ici à ce principe. Il reconnaît toutefois à l'autorité cantonale une grande liberté d'appréciation des faits qu'elle a constatés, n'intervenant à ce propos que si elle a manifestement excédé cette liberté d'appréciation ou en a abusé ( ATF 108 Ia 66 consid. 2a, ATF 107 Ia 140 consid. 4a, ATF 105 Ia 29 consid. 2a, ATF 104 Ia 302 /303 consid. 3c). 4. L' art. 61 CPP vaud. a la teneur suivante: "La détention préventive ne peut durer plus de quatorze jours. Toutefois, sur demande motivée du juge, le tribunal d'accusation pourra autoriser une ou plusieurs prolongations, d'un mois chacune au maximum." a) Cet article n'a pas été introduit pour la première fois dans le code du 12 septembre 1967, mais reprend simplement une disposition du code du 3 septembre 1940. L'autorité intimée expose que ce texte a toujours été appliqué de la même manière: le Juge informateur qui conduit l'enquête établit une demande BGE 114 Ia 281 S. 284 d'autorisation de prolonger la détention préventive, qu'il motive brièvement et transmet au Tribunal d'accusation par l'intermédiaire du Juge d'instruction cantonal. Ce magistrat donne son préavis et le Tribunal d'accusation se prononce sur la demande d'autorisation. Ni la demande du Juge informateur, ni le préavis du Juge d'instruction, ni l'autorisation de prolongation ne sont notifiés au prévenu. Le préavis du Juge d'instruction et la décision du Tribunal d'accusation ne paraissent en outre pas être motivés en règle générale, tout au moins lorsqu'ils sont favorables à la demande. Dans le cadre de la procédure qui a abouti à l'arrêt du Tribunal fédéral du 8 août 1988, l'autorité intimée avait soutenu que l'autorisation de prolonger la détention préventive n'était pas une décision pouvant faire l'objet d'un recours de droit public, mais une simple mesure prise dans le cadre de l'exercice du pouvoir de haute surveillance de l'enquête pénale que lui confère l' art. 14 al. 3 CPP vaud. Elle reprend cette argumentation dans son écriture du 30 septembre 1988. b) Aux termes de l'arrêt du Tribunal fédéral du 8 août 1988, l'autorisation de prolonger la détention préventive n'est pas une simple déclaration de volonté, voire une recommandation d'une autorité de surveillance, mais bien un acte de souveraineté qui émane du détenteur de la puissance publique et porte une atteinte indéniable à la situation juridique du prévenu. Il s'agit donc d'une décision. Celle-ci est susceptible d'être attaquée par un recours de droit public au sens de l' art. 84 lettre a OJ puisque, à défaut de son prononcé, la privation de liberté doit prendre fin à l'échéance des délais légaux prévus à l' art. 61 CPP vaud. (cf. ATF 108 Ia 268 consid. 5, ATF 102 Ia 186 consid. 2, ATF 89 I 258 consid. 4, ATF 60 I 369 ). En outre, à moins d'une décision du Tribunal d'accusation autorisant la prolongation de la détention avant l'échéance des délais légaux, cette mesure privative de liberté devient ipso facto illégale et toute autorité constatant l'illégalité de la détention a l'obligation d'élargir aussitôt le prévenu (cf. ATF 109 Ia 322 consid. 3). L'arrêt du 8 août 1988 a enfin souligné que la nature décisionnelle de l'acte par lequel l'autorité compétente prolonge la détention préventive avant son échéance n'est nullement affectée par le droit du prévenu de requérir en tout temps sa mise en liberté. Il en résulte que les exigences procédurales déduites de l' art. 4 Cst. doivent être respectées à l'égard du prévenu dont la détention fait l'objet d'une demande de prolongation. c) Ces considérations - qui se bornent à rappeler les droits élémentaires des parties à une procédure étatique quelconque -ne BGE 114 Ia 281 S. 285 peuvent qu'être reprises dans le présent arrêt, quelle que soit l'opinion qu'en ait l'autorité intimée. Les conséquences pratiques en sont les suivantes: - une prolongation de la détention préventive ne saurait intervenir sans être étayée par une motivation suffisante et expresse. Cette motivation peut être contenue dans la demande de l'autorité inférieure, car l'autorité supérieure qui fait droit à cette demande peut être présumée y avoir adhéré implicitement (cf. ARTHUR HAEFLIGER, Alle Schweizer sind vor dem Gesetze gleich, p. 149); - l'autorisation de prolonger la détention préventive doit être dans tous les cas communiquée au prévenu; - le prévenu doit avoir la possibilité de s'exprimer avant que sa détention ne soit prolongée définitivement. Ce droit à l'audition (rechtliches Gehör) ne commande pas, en principe, la comparution personnelle de l'intéressé. La nature de la décision de prolonger la détention préventive est en effet fondamentalement différente de celle d'arrêter et d'incarcérer initialement le prévenu, pour laquelle la CEDH exige la garantie spéciale de la comparution sans délai devant un juge ou un autre magistrat habilité par la loi a exercer des fonctions judiciaires (art. 5 ch. 3). En général, dans la mesure où le prévenu a en tout temps la possibilité de demander sa mise en liberté, il suffit à la régularité de la procédure de prolongation périodique de la détention que la possibilité soit offerte au prévenu de s'exprimer à ce sujet par écrit, soit dans le cadre d'une procédure de recours auprès d'une autorité ayant une cognition illimitée, soit devant l'autorité de décision elle-même, soit devant l'autorité inférieure qui demande l'autorisation de prolonger la détention (précision de la jurisprudence publiée aux ATF 105 Ia 205 ss). Dans le système vaudois, il devrait ainsi suffire que le Juge informateur communique au prévenu sa demande tendant à obtenir l'autorisation de prolonger la détention préventive en l'invitant à se déterminer à très bref délai sur cette démarche, avec une indication qu'il peut d'emblée renoncer à s'y opposer...
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Urteilskopf 103 II 225 39. Extrait de l'arrêt de la IIe Cour civile du 28 octobre 1977 dans la cause Kaech contre Badertscher
Regeste Art. 484 Abs. 2 ZGB . Verpflichtet der Erblasser seinen Erben, einer Person eine Wohnung gegen einen Mietzins zur Benützung zu überlassen, so liegt ein Vermächtnis, nicht eine Auflage, vor.
Sachverhalt ab Seite 225 BGE 103 II 225 S. 225 Rosa Badertscher travaillait comme décoratrice chez Marcel Noverraz, maître potier à Lancy, près Genève. Dans un codicille du 8 septembre 1970 à son testament du 10 août 1970, Noverraz a disposé ce qui suit: "J'impose à mon héritière l'obligation de donner à bail pour une durée de dix ans à compter de mon décès... à Mme Badertscher l'appartement qu'elle occupe actuellement,... chemin de Grange Collomb 4, moyennant un loyer de 175 fr. par mois..." Noverraz est décédé à Genève le 24 juillet 1972, laissant pour héritière sa soeur, Marguerite Kaech. Dame Badertscher n'a pas obtenu de dame Kaech la conclusion d'un bail conforme aux dispositions du codicille. Alléguant qu'elle avait été obligée, de ce fait, de prendre un autre logement, plus onéreux, elle a actionné dame Kaech en paiement d'une indemnité de 15'000 fr., portée en cours d'instance à 23'055 fr. Le Tribunal de première instance du canton de Genève a admis l'action à concurrence de 14'125 fr. en capital, le 13 mai BGE 103 II 225 S. 226 1976. Sur appel de dame Kaech, la Cour de justice a, le 24 juin 1977, réduit l'indemnité à 8'000 fr. en capital. Marguerite Kaech a recouru en réforme au Tribunal fédéral, concluant principalement au rejet de la demande. Le Tribunal fédéral a rejeté le recours. Erwägungen Extrait des considérants: I 1. En première instance, les parties ont considéré que le litige se rapportait à un problème de délivrance de legs. Le Tribunal les a suivies, appliquant les art. 485 et 562 CC . En appel, en revanche, dame Kaech a soutenu que, dans son codicille, Noverraz avait imposé une charge à son héritière, avec cet effet que la bénéficiaire ne pouvait prétendre qu'à l'exécution, à l'exclusion de toute prétention à des dommages-intérêts. La Cour de justice s'est rangée à cette argumentation en ce qui concerne la qualification de la disposition pour cause de mort, mais, adoptant l'opinion du professeur PIOTET (Droit successoral, Traité de droit privé suisse IV, p. 134 n. 1; cf. MERZ, RJB 1970, p. 50/51), elle a assimilé le refus d'exécuter la charge à un acte illicite et a alloué à dame Badertscher une indemnité en application des art. 41 ss CO . La recourante critique ce raisonnement. Comme en seconde instance, elle soutient, se référant à la jurisprudence ( ATF 94 II 91 /92, consid. 6), que, du moment que la charge ne donne pas naissance à une créance, son inexécution fautive n'entraîne aucun droit à des dommages-intérêts. 2. La recourante part de l'idée qu'il y a charge. Encore faut-il savoir si c'est à juste titre que la Cour de justice a dénié la qualification de legs à la disposition en cause. Le legs se distingue avant tout de la charge en ce qu'il ne se borne pas à conférer aux intéressés un droit à l'exécution, mais crée une véritable créance en faveur des bénéficiaires. Si, fondé sur une disposition pour cause de mort, quelqu'un peut exiger une prestation dans son propre intérêt, on est, en règle générale, en présence, non pas d'une charge, mais bien d'un legs ( ATF 101 II 27 /28 consid. 1 et les références). BGE 103 II 225 S. 227 Selon la Cour de justice, dame Badertscher ne se voit attribuer aucun droit de créance contre dame Kaech, à l'égard de laquelle elle devient au contraire débitrice du montant du loyer. Certes, disent les juges d'appel, vu la modicité de ce loyer, l'intimée devait tirer un avantage patrimonial indirect, mais l'appartement en cause n'entrait pas dans son patrimoine et il n'y avait pas constitution d'un droit réel restreint, tel un droit d'habitation. C'est partir d'une conception trop étroite du legs. L' art. 484 al. 2 CC est très large: il prévoit que le disposant pourra "astreindre ses héritiers... à faire, sur la valeur des biens, des prestations en faveur d'une personne". Ainsi, n'importe quelle prestation susceptible d'être l'objet d'une obligation et destinée à procurer un avantage patrimonial peut être due par le débiteur du legs (ESCHER, n. 8 ad art. 484 CC ; TUOR, 2e éd., n. 13 ad art. 484 CC ; PIOTET, op.cit., pp. 114 et 118). Or la cession de l'usage d'une chose moyennant un loyer est une prestation de cette nature: c'est l'objet normal du bail à loyer ( art. 253 CO ; cf. REYMOND, Gebrauchsüberlassungsverträge, Schweizerisches Privatrecht VII/1, p. 213 ss). Contrairement à l'opinion de la Cour de justice, on est donc dans le cadre de l' art. 484 al. 2 CC : il y a eu legs, avec cette conséquence que l'intimée peut demander des dommages-intérêts aux conditions de l' art. 97 CO , manifestement réalisées en l'espèce. La demande doit dès lors être accueillie en son principe.
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Urteilskopf 92 IV 49 13. Arrêt de la Cour de cassation penale du 28 février 1966 dans la cause Meylan contre Ministère public du canton de Neuchâtel.
Regeste Art. 41 des Tierseuchengesetzes vom 13. Juni 1917; Art. 269 ff. der Vollziehungsverordnung vom 30. August 1920; Art. 10 BRB über die Bekämpfung des Rinderabortus Bang vom 9. November 1956; Art. 7 der Verfügung des Eidg. Volkswirtschaftsdepartementes über die Bekämpfung des Rinderabortus Bang vom 16. August 1961. 1. Vom Kantonstierarzt gestützt auf Art. 7 Abs. 2 der vorerwähnten Verfügung verhängte Sperrmassnahmen (Erw. 1 und 5). 2. Der Beschuldigte, der gegen seine Verurteilung beim Bundesgericht Nichtigkeitsbeschwerde führt, kann in diesem Verfahren nicht mehr auf den rechtskräftigen Entscheid der Verwaltungsbehörde zurückkommen (Erw. 2). 3. Die Sperrmassnahmen enden nicht schon infolge Zeitablaufs, sondern können nur durch einen förmlichen Entscheid, gemäss den in der Verfügung vorgesehenen Voraussetzungen aufgehoben werden (Erw. 3).
Sachverhalt ab Seite 50 BGE 92 IV 49 S. 50 A.- En application de l'art. 7 al. 2 de l'ordonnance du Département fédéral de l'économie publique sur la lutte contre l'avortement épizootique des bovidés à bacilles de Bang du 16 août 1961 (ROLF 1961 p. 693 ss.), le vétérinaire cantonal neuchâtelois a ordonné le 28 février 1962 des mesures spéciales de protection dans l'exploitation agricole de Jules Meylan, aux Ponts-de-Martel, ensuite de la constatation de brucellose bovine grave. Ces mesures étaient notamment les suivantes: "1. ... 2. Aucun animal ne peut être introduit dans le troupeau. 3. Le troupeau peut pacager seul, à condition d'être rigoureusement isolé et de ne pas emprunter pour se rendre dans les prés un chemin utilisé par d'autres troupeaux. 4. Tout contact direct ou indirect avec des animaux d'autres exploitations est interdit, notamment l'abreuvage aux fontaines publiques." En décembre 1962, Meylan a néanmoins introduit une pièce de bétail dans son troupeau. De plus, en automne 1962, il a utilisé la voie publique pour mener ses bêtes pâturer journellement, alors que d'autres troupeaux suivaient à cette époque le même chemin. B.- Par jugement du 15 septembre 1965, le Tribunal de police du district de La Chaux-de-Fonds, auquel la cause avait été renvoyée après la cassation d'un premier jugement rendu par le Tribunal du Locle, a condamné Jules Meylan à une amende de 300 fr., en vertu des art. 7 et 24 de l'ordonnance précitée, 40 ss. de la loi fédérale sur les mesures à prendre pour combattre les épizooties du 13 juin 1917 et 269 ss. de l'ordonnance d'exécution de ladite loi, du 30 août 1920, en prononçant que l'amende serait radiée au casier judiciaire après un délai d'épreuve d'un an. Le 22 décembre 1965, la Cour de cassation pénale du canton de Neuchâtel a rejeté le pourvoi du condamné. C.- Contre cet arrêt, Meylan se pourvoit en nullité au Tribunal fédéral et conclut à son acquittement. Erwägungen Considérant en droit: 1. L'art. 1er al. 2 de la loi fédérale sur les mesures à prendre pour combattre les épizooties du 13 juin 1917 donne au Conseil BGE 92 IV 49 S. 51 fédéral le pouvoir d'édicter les dispositions nécessaires pour combattre des maladies dangereuses non désignées au premier alinéa du même article (RS 9 p. 257 s.). Fondé sur cette disposition légale, le Conseil fédéral a pris le 9 novembre 1956 un arrêté sur la lutte contre l'avortement épizootique des bovidés (ROLF 1956 p. 1357 ss.), en chargeant le Département de l'économie publique d'édicter les prescriptions d'exécution nécessaires (art. 10). Selon l'art. 7 al. 2 de l'ordonnance du département prénommé sur la lutte contre l'avortement épizootique des bovidés à bacilles de Bang, du 16 août 1961 (ROLF 1961, p. 693 ss.), le vétérinaire cantonal ordonne notamment, lorsque des animaux excrétant des bacilles de Bang par les voies génitales ont été décelés dans une étable, les mesures d'interdiction suivantes: "a) Aucun animal ne peut être transféré dans un autre troupeau ou introduit dans le troupeau. Le vétérinaire cantonal peut accorder des dérogations; b) ... c) Tout contact direct ou indirect avec des animaux d'autres exploitations est interdit. Sont notamment interdits: le pacage en commun, l'abreuvage à des fontaines publiques ou communes, la conduite à un taureau étranger au troupeau." Il est incontestable que les mesures prises par le vétérinaire cantonal à l'égard de Meylan ont été ordonnées en application de ces prescriptions. 2. Le recourant conteste la validité de la décision qui lui a été signifiée le 28 février 1962. Il allègue que les autorités cantonales ont omis, contrairement à l'art. 9 de l'ordonnance du 16 août 1961 déjà citée, de désigner un vétérinaire chargé des contrôles dans son exploitation. D'autre part, l'office vétérinaire cantonal lui aurait déclaré au printemps 1962 qu'il pouvait acheter toutes les bêtes qu'il voulait. En outre cet office a autorisé, par lettre du 22 novembre 1962, "le stationnement du taureau qui venait d'être acheté". De plus, la preuve de l'existence du bacille de Bang dans son troupeau n'aurait pas été rapportée; seules des craintes étaient peut-être justifiées à cet égard. Les arguments ainsi avancés tendent à remettre en cause la validité d'une décision administrative contre laquelle Meylan n'a pas recouru en temps utile et qui est entrée en force. Ils sont dépourvus de pertinence. Au surplus, ils sont mal fondés. En effet, la désignation d'un vétérinaire chargé des contrôles, BGE 92 IV 49 S. 52 prévue à l'art. 9 de l'ordonnance du 16 août 1961, n'est pas une condition de validité des mesures à prendre à l'égard des animaux excréteurs de bacilles de Bang au sens des art. 3 ss., notamment 7 al. 2 de ladite ordonnance. La permission d'achat prétendument obtenue au printemps 1962, dont il n'est pas question dans l'arrêt attaqué, est une allégation de fait nouvelle, et partant irrecevable (art. 273 al. 1 litt. b OJ). Du reste, elle serait en contradiction flagrante avec la défense d'introduire des animaux nouveaux dans le troupeau, signifiée le 28 février 1962, que la juridiction cantonale retient dans ses constatations. Quant à l'autorisation de stationnement donnée le 22 novembre 1962, elle vise un taureau acheté le 3 novembre 1962. Elle ne justifiait pas l'introduction d'un animal dans le troupeau en décembre 1962. Enfin, tout en rappelant que le juge pénal ne saurait revenir sur la décision administrative, la Cour cantonale observe que, vu les résultats des examens du sang et du lait figurant au dossier, il y avait bien dans le troupeau des animaux porteurs de bacilles de Bang. Cette constatation de fait ne peut être discutée dans un pourvoi en nullité (art. 277 bis al. 1 et 273 al. 1 litt. b PPF). 3. Il est vrai que, selon les art. 7 al. 3 et 14 al. 1 de l'ordonnance du 16 août 1961, les mesures d'interdiction peuvent être levées, à certaines conditions, à l'expiration d'un délai de six mois. Toutefois, le recourant ne pouvait admettre, comme il le prétend, qu'il bénéficiait de cette libération ou, du moins, que les défenses qui lui avaient été faites le 28 février n'étaient plus appliquées en automne 1962. Les mesures d'interdiction ne sont pas levées par le seul écoulement du temps. Leur suppression requiert une décision expresse, fondée sur un examen donnant des résultats négatifs, six mois au moins après que le dernier animal excréteur de bacilles de Bang a été décelé (art. 7 al. 3), voire deux examens sérologiques du lait et du sang à un intervalle de six mois au moins (art. 14 de l'ordonnance du 16 août 1961). Meylan n'a pas établi que de pareils examens aient eu lieu. Il n'avait donc ni des raisons suffisantes (cf. art. 20 CP ), ni même aucun motif de se croire en droit d'agir. 4. En introduisant une pièce de bétail dans son troupeau en décembre 1962, le recourant a contrevenu à la défense qui lui avait été signifiée le 28 février 1962 et qui était toujours en vigueur. Pareil comportement tombe sous le coup de l'art. 41 de la loi fédérale sur les mesures à prendre pour combattre les épizooties. Peu importe que l'animal ait été inscrit au nom de BGE 92 IV 49 S. 53 sa fille majeure Denise et que celle-ci n'ait pas été renvoyée en tribunal. Le Tribunal cantonal, après le premier juge, constate en fait que l'exploitation était dirigée collectivement par le recourant et par sa fille. Sur la base de cette constatation qui la lie ( art. 277 bis al. 1 PPF ), la Cour de cassation ne peut que confirmer la responsabilité pénale du recourant pour l'inobservation des mesures ordonnées par le vétérinaire cantonal. 5. L'arrêt attaqué constate que Meylan a utilisé journellement la voie publique pour mener paître son troupeau alors que d'autres troupeaux suivaient à cette époque le même chemin. Or cela lui était interdit par la décision du 28 février 1962 (ch. 3). La juridiction cantonale estime que ce comportement est saisi par l'art. 7 al. 2 litt. c de l'ordonnance du 16 août 1961, qui interdit tout contact direct ou indirect du troupeau visé par les mesures d'interdiction avec des animaux d'autres exploitations. Assurément, la prescription officielle ne prévoit pas expressément une défense semblable à celle qui avait été signifiée au recourant. Mais il faut admettre, avec l'autorité cantonale, que l'énumération de l'art. 7 al. 2 litt. c de l'ordonnance n'est pas exhaustive. Le fait qu'un troupeau comprenant des bêtes infectées et un troupeau sain empruntent le même chemin pour se rendre au pâturage est de nature à favoriser la propagation de l'infection. Il constitue donc bien un contact indirect que les prescriptions citées interdisent. Contrairement à l'opinion du recourant, une pareille défense ne place pas l'agriculteur dans l'impossibilité de mener paître son bétail. Il pourra soit utiliser des chemins qui ne sont pas empruntés par d'autres troupeaux, soit affourager ses bêtes à l'étable en fauchant l'herbe nécessaire ou même en achetant du fourrage. Supposé que l'interdiction entraîne réellement des conséquences trop rigoureuses, le recourant devait chercher à s'entendre avec le vétérinaire cantonal en vue d'un assouplissement éventuel des mesures prises. Il n'était pas en droit d'enfreindre délibérément, comme il l'a fait, la défense qui lui avait été signifiée. Sur ce point également, l'infraction réprimée par l'art. 41 de la loi fédérale sur les mesures à prendre pour combattre les épizooties a été retenue à bon droit à la charge de Meylan. Dispositiv Par ces motifs, la Cour de cassation pénale: Rejette le pourvoi.
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CH_BGE_006
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286ee098-92e9-441f-b368-4c2dc96e5bf0
Urteilskopf 109 II 20 6. Extrait de l'arrêt de la Ire Cour civile du 1er mars 1983 dans la cause Kobzos contre Borgeaud (recours en réforme)
Regeste Art. 156 OR . Diese Bestimmung setzt nicht voraus, dass die Partei, die wider Treu und Glauben den Eintritt einer aufschiebenden Bedingung verhindert oder die Erfüllung einer auflösenden Bedingung herbeiführt, in dieser Absicht handelt.
Sachverhalt ab Seite 20 BGE 109 II 20 S. 20 Sylvain Borgeaud a exploité un "Institut de beauté Juvena" dans des locaux situés à Lausanne, loués à la propriétaire La Genevoise Assurances, moyennant un loyer mensuel qui s'élevait depuis le 1er novembre 1974 à 1'141 francs plus 133 francs de charges. Par contrat du 7 mars 1980, Borgeaud a vendu son fonds de commerce à Gabor Kobzos pour un prix de 22'500 francs payé le jour même. L'art. 10 du contrat prévoit: "La présente convention est subordonnée à l'obtention de la cession de bail actuel ou à l'établissement d'un nouveau bail en faveur de M. Gabor Kobzos par la Société gérante La Genevoise. M. Borgeaud effectuera toutes démarches utiles pour favoriser cette question administrative. Au cas où la Genevoise n'accepterait pas la candidature de M. Kobzos, la présente convention sera purement annulée, sans indemnité de part et d'autre. M. Sylvain Borgeaud reprendrait la propriété de l'Institut, M. Kobzos couvrirait les charges durant l'exploitation transitoire et le dépôt versé à la signature sera remboursé. D'ores et déjà, la Genevoise a confirmé son accord à l'établissement d'un bail en faveur de M. Gabor Kobzos." Le 20 février 1980, le bureau fiduciaire s'occupant des affaires de Borgeaud avait adressé à Kobzos un bulletin d'inscription pour demande de location de la Genevoise; à la question "Quel montant seriez-vous prêt à consacrer à votre loyer annuel", Kobzos avait BGE 109 II 20 S. 21 répondu: "Selon contrat de bail à établir sur la base du contrat existant." Le 5 mars 1980, ledit bureau fiduciaire avait informé Kobzos qu'il avait reçu de la Genevoise une réponse positive au sujet de sa candidature en qualité de locataire. Le 17 mars 1980, la Genevoise a fait parvenir à Kobzos un projet de bail, prévoyant un loyer mensuel net de 1'384 francs, plus 225 francs de charges. Kobzos s'est rendu dans les locaux de la Genevoise le 20 mars 1980. A cette occasion, il a injurié le personnel de la compagnie d'assurance et a traité les gens présents de voleurs, en faisant valoir comme grief contre ladite compagnie qu'elle lui avait soumis un bail indexé. De surcroît, il a déclaré refuser les conditions proposées, arguant du fait que les autres locataires n'avaient pas encore subi d'augmentation. L'attitude de Kobzos fut telle que la Genevoise ne fut plus disposée à l'accepter comme locataire. Le 17 avril 1980, Kobzos a déclaré résilier le contrat de vente. Puis il a ouvert action contre Borgeaud en paiement de 21'650 francs avec intérêt à 5% l'an dès le 23 avril 1980, dont à déduire 12'000 francs versés par Borgeaud le 3 novembre 1980. Le Tribunal du district de Lausanne a rejeté la demande. Sur recours, la Chambre des recours du Tribunal cantonal vaudois a condamné Borgeaud à payer à Kobzos 303 francs avec intérêt à 5% dès le 7 novembre 1980. Kobzos recourt en réforme contre l'arrêt de la Chambre des recours, concluant à l'admission de sa demande. Le défendeur et intimé conclut au rejet du recours. Erwägungen Extrait des motifs: 2. a) Tout d'abord, le recourant admet, avec la jurisprudence et l'arrêt attaqué, qu'en application analogique de l'art. 156 CO, la condition est réputée non avenue lorsque son avènement est provoqué contrairement aux règles de la bonne foi. Mais il soutient, d'une part que la règle ne s'appliquerait que lorsque l'auteur a volontairement provoqué le résultat consistant, dans l'hypothèse ici concernée, en l'avènement de la condition résolutoire, d'autre part qu'en l'occurrence, vu les circonstances, il n'aurait pas agi d'une manière contraire aux règles de la bonne foi. b) L'opinion a été parfois exprimée en doctrine que la règle de l'art. 156 CO ne déploierait ses effets que si l'intéressé a agi intentionnellement dans le but d'empêcher l'avènement de la BGE 109 II 20 S. 22 condition suspensive ou de provoquer l'avènement de la condition résolutoire (BECKER, n. 4 ad art. 156; OSER-SCHÖNENBERGER, n. 5 ad art. 156; R. SECRÉTAN, L'article 156 du Code des obligations et la condition potestative, dans Festgabe für A. Simonius, Bâle 1955, p. 359; contra, expressément: A.R. SECKIN, La réalisation de la condition suspensive et ses effets juridiques, thèse Genève 1939, p. 49; d'autres auteurs - sans évoquer expressément le problème - ne mentionnent pas l'intention comme élément constitutif de la règle: VON TUHR/ESCHER § 86 II; GUHL/MERZ/KUMMER, p. 49, 54; ENGEL, Traité des obligations en droit suisse, p. 574). Cet avis ne peut être suivi. En effet, le texte légal ne comporte pas une telle exigence. S'il prévoit que la partie doit avoir "empêché l'avènement (de la condition) au mépris des règles de la bonne foi", le participe passé "empêché" ("verhindert") se rapporte à la causalité, non à l'intention; quant au comportement "au mépris des règles de la bonne foi", il ne suppose pas davantage une intention. Le recourant invoque, à l'appui de sa thèse, la note marginale du texte français "empêchement frauduleux". A lui seul, cet élément n'est pas décisif, car le terme non technique de "fraude" est utilisé aussi bien pour désigner une tromperie intentionnelle (voir P. ROBERT, Dictionnaire alphabétique et analogique de la langue française, vo "fraude", p. 160) que, parfois, pour désigner des infractions pouvant aussi être commises par négligence (cf. par ex. art. 74, en particulier ch. 6, 8, 13 LD en relation avec l'art. 75 al. 3 LD). Les textes allemand ("Verhinderung wider Treu und Glauben") et italien ("Impedimento contro la buona fede") de la note marginale, plus proches du texte de la loi, en reflètent plus fidèlement le contenu. La fiction de l'art. 156 CO repose sur le principe du respect des règles de la bonne foi, consacré à l'art. 2 CC. Or cette dernière disposition exige d'une manière générale des sujets de droit un comportement conforme à la bonne foi, sans limiter cette exigence à des actes intentionnels. Il ne serait pas satisfaisant qu'il en soit autrement à l'art. 156 CO. La thèse du recourant aboutirait sans nécessité à limiter la portée du principe "nemo audiatur suam propriam turpitudinem allegans". Au vu du comportement objectif d'une partie qui empêche l'avènement d'une condition suspensive ou provoque celui d'une condition résolutoire, rien ne justifie que la protection de l'autre partie dépende du phénomène psychique interne qu'est l'intention; la preuve d'une intention d'empêcher (ou de provoquer) l'avènement de BGE 109 II 20 S. 23 la condition donnerait du reste lieu à des difficultés inutiles. On relèvera à cet égard qu'en droit allemand également, la jurisprudence a abandonné l'exigence d'une intention dolosive (RGZ 122 p. 247; cf. ad art. 162 BGB BGB-RGRK, 12e éd., n. 3; STAUDINGER, 12e éd., n. 8; SOERGEL, 11e éd., n. 6), et qu'on ne la trouve pas davantage dans le droit civil d'autres pays (cf. art. 1178 Cciv. fr., 1359 Cciv. it.). c) On peut se dispenser, en l'espèce, de rechercher si les démarches que nécessitait la reprise de bail ou la conclusion d'un nouveau bail incombaient en premier lieu au vendeur ou à l'acheteur, aux termes du contrat passé entre eux. En effet, de toute manière, l'acheteur avait l'obligation de s'abstenir d'entreprendre des démarches pouvant empêcher le transfert des locaux aux conditions envisagées, soit, en d'autres termes, entraver l'exécution régulière du contrat. Or il ressort des constatations de fait de l'arrêt attaqué que les parties ont pris en considération - sans en faire dépendre la validité du transfert - l'éventualité où la bailleresse exigerait du nouveau locataire un loyer majoré par rapport à celui demandé au précédent locataire, pour autant que cette majoration demeure dans une limite raisonnable. En effet, le bureau fiduciaire s'occupant des affaires de l'intimé a déclaré au recourant, avant la conclusion du bail, qu'il demanderait à la bailleresse quel serait le montant du loyer pour le nouveau locataire. C'est après cela que le recourant a signé la demande de location adressée à la bailleresse puis le contrat de vente, sans faire de réserve quant au montant du loyer. L'autorité cantonale constate en fait que, lors de la vente, "il savait donc qu'il y avait un risque d'augmentation du loyer" et qu'il ne s'est pas renseigné sur le montant qui serait demandé avant de conclure. L'autorité cantonale en a déduit, à juste titre, que le recourant ne pouvait pas se soustraire à l'exécution de la vente si le nouveau loyer comportait une majoration raisonnable, ce qui, relève-t-elle, était le cas en l'espèce. Dans ces conditions, on doit considérer, avec l'autorité cantonale, que le recourant a gravement failli à ses devoirs en invectivant et en insultant comme il l'a fait les employés de la bailleresse, à cause d'une clause d'indexation proposée par cette dernière. Il résulte des constatations de fait déterminantes de l'autorité cantonale quant à la causalité naturelle que c'est ce comportement répréhensible du recourant qui a empêché la conclusion d'un bail avec la propriétaire. BGE 109 II 20 S. 24 Au demeurant, point n'est besoin de déterminer avec exactitude ce qu'il fallait considérer comme loyer raisonnable, selon ce que les parties au contrat de vente pouvaient de bonne foi envisager. En effet, le recourant ne prétend ni n'établit que, pour le cas où le nouveau loyer demandé eût été excessif par rapport à ces prévisions, la société propriétaire aurait refusé d'abaisser ses prétentions et, partant, que la condition résolutoire serait de toute façon avenue sans que le comportement incorrect auquel il a été fait allusion ci-dessus joue un rôle prépondérant dans la non-reprise des locaux. Or c'était au recourant qu'il aurait appartenu de l'établir, ce qu'il n'a pas fait (art. 8 CC). L'autorité cantonale a dès lors admis avec raison que la condition résolutoire était réputée non avenue, du moment que son accomplissement a été provoqué contrairement aux règles de la bonne foi par le comportement fautif de l'acheteur, peu important à cet égard que la faute de ce dernier fût ou non intentionnelle.
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Urteilskopf 104 IV 121 31. Urteil des Kassationshofes vom 13. Juli 1978 i. S. K. gegen Justiz- und Polizeidepartement des Kantons Wallis
Regeste Art. 52 Abs. 1, 85 Abs. 1 BAV. Ein mit einem Sitz von nur 40 cm Länge ausgestattetes Motorrad, das zwar für 2 Personen zum Verkehr zugelassen ist, aber nur von einer Person gefahren wird, befindet sich nicht in vorschriftswidrigem Zustand (E. 2). Art. 74 Abs. 5 VZV . Die Montage eines nur für den Transport einer einzigen Person genügenden Sitzes auf ein für zwei Personen zugelassenes Motorrad ist eine gemäss Art. 74 Abs. 5 VZV der Behörde innert 14 Tagen zu meldende Tatsache (E. 4).
Sachverhalt ab Seite 122 BGE 104 IV 121 S. 122 A.- Anlässlich einer polizeilichen Verkehrskontrolle ergab sich, dass K., der allein auf seinem für zwei Personen zugelassenen Motorrad fuhr, die ursprünglich an diesem angebrachte Sitzbank gegen eine solche von nur 40 cm Länge ausgewechselt hatte. B.- Der Vorsteher des Justiz- und Polizeidepartementes des Kantons Wallis büsste K. deswegen am 8. November 1977 in Anwendung von Art. 52 Abs. 1 BAV sowie Art. 29 und 93 Ziff. 2 SVG mit Fr. 40.-. Der Staatsrat des Kantons Wallis wies die von K. gegen die Bussenverfügung geführte Beschwerde am 22. März 1978 ab. In seinen Erwägungen führt er aus, bei einem für zwei Personen zugelassenen Motorrad entspreche eine Sitzbank von nur 40 cm Länge nicht Art. 52 Abs. 1 BAV . Zudem sei entgegen Art. 83 Abs. 4 BAV die "Umbaute" vor der Weiterverwendung des Fahrzeugs nicht der zuständigen Behörde gemeldet worden, welche den Austausch der Sitzbank ohnehin nicht hätte genehmigen können ( Art. 52 Abs. 1 BAV ). C.- Mit eidgenössischer Nichtigkeitsbeschwerde beantragt K. Aufhebung der vom Staatsrat des Kantons Wallis bestätigten Bussenverfügung des Vorstehers des Justiz- und Polizeidepartementes. BGE 104 IV 121 S. 123 Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Der Beschwerdeführer rügt, weder befinde sich sein Motorrad in einem nicht vorschriftsgemässen Zustand, noch liege ein meldepflichtiger Umbau im Sinne von Art. 83 Abs. 4 BAV vor. Der von ihm an Stelle der ursprünglichen Zweiersitzbank montierte Einersitz genüge den Anforderungen von Art. 52 Abs. 1 BAV und habe die Fahrzeugeinteilung nicht verändert. 2. Gemäss Art. 29 SVG dürfen Fahrzeuge nur in betriebssicherem und vorschriftsgemässem Zustand verkehren. Auf Grund von Art. 93 Ziff. 2 SVG wird mit Haft oder Busse bestraft, wer ein Fahrzeug führt, von dem er weiss oder bei pflichtgemässer Aufmerksamkeit wissen kann, dass es den Vorschriften nicht entspricht. Als nicht vorschriftsgemäss gilt ein Fahrzeug, und die Strafbestimmung von Art. 93 Ziff. 2 SVG ist anwendbar, wenn vorgeschriebene Teile fehlen oder den Vorschriften nicht entsprechen und untersagte Teile vorhanden sind oder bewilligungspflichtige ohne Bewilligung angebracht wurden ( Art. 85 Abs. 1 BAV ). Art. 52 Abs. 1 BAV schreibt für Motorräder eine Sitzlänge von höchstens 45 cm für eine Person und von mindestens 65 cm für zwei Personen vor. Wenn nach den Erwägungen des angefochtenen Entscheides sich nur eine Person auf dem Motorrad befand und dessen Sitz 40 cm lang war, so genügte er demzufolge den Anforderungen dieser Bestimmung. Eine Vorschrift, wonach ein Motorrad nicht mit einem Sitz für bloss eine Person ausgerüstet sein oder ein für den Transport von zwei Personen genügend langer Sitz nicht nachträglich gegen einen solchen für bloss eine Person ausgewechselt werden dürfe, besteht nicht. Die Angabe im Fahrzeugausweis, das Fahrzeug sei für eine bestimmte Zahl von Personen zugelassen, ist, wie sich aus Art. 85 Abs. 1 BAV ergibt, keine Vorschrift in diesem Sinne; sie bezeichnet lediglich die Höchstzahl von Personen, die mit diesem transportiert werden dürfen. Das Motorrad des Beschwerdeführers befand sich, wenn auf dem selben eine Sitzbank von 40 cm Länge montiert war, demnach in vorschriftsgemässem Zustand. 3. Gemäss Art. 83 Abs. 4 BAV hat der Halter eines Fahrzeuges der Behörde vor dessen Weiterverwendung Umbauten zu melden, welche die Fahrzeugeinteilung verändern. Als Fahrzeugeinteilung BGE 104 IV 121 S. 124 im Sinne dieser Bestimmung ist die Einteilung der Fahrzeuge in die einzelnen Kategorien, wie sie der mit "Einteilung der Fahrzeuge" überschriebene zweite Abschnitt der BAV (Art. 2 ff.) vornimmt, zu verstehen. Durch den Austausch der Zweiersitzbank gegen einen Einersitz ist an der Einteilung des Fahrzeuges des Beschwerdeführers in die Kategorie der Motorräder nichts geändert worden. Der Beschwerdeführer hat demzufolge Art. 83 Abs. 4 BAV nicht zuwidergehandelt, wenn er die erfolgte Auswechslung der Sitzbank an seinem Motorrad der zuständigen Behörde anzuzeigen unterliess. 4. Art. 83 Abs. 4 BAV behält indessen die Pflicht zur Meldung weiterer im Fahrzeugausweis einzutragender neuer Tatsachen ausdrücklich vor. Gemäss Art. 74 Abs. 5 VZV hat der Inhaber unter Vorlage des Fahrzeugausweises der Behörde innert 14 Tagen jede Tatsache zu melden, die eine Änderung oder Ersetzung des Ausweises erfordert. Die Montage eines nur für den Transport einer einzigen Person genügenden Sitzes auf ein für zwei Plätze zugelassenes Motorrad stellt eine solche Tatsache dar, da der Fahrzeugausweis die Anzahl der Plätze eines Fahrzeuges nennt. Der Beschwerdeführer hätte sich demzufolge, wenn er die vorgenommene Änderung nicht fristgemäss anzeigte, gemäss Art. 143 Ziff. 3 VZV strafbar gemacht. Eine Verletzung dieser Bestimmung wäre indessen erheblich milder zu bestrafen als die Benützung eines nicht betriebssicheren oder vorschriftswidrigen Fahrzeuges. 5. Die Vorinstanz wird, sofern nach kantonalem Strafverfahrensrecht eine Verurteilung des Beschwerdeführers auf Grund von Art. 74 Abs. 5 und 143 Ziff. 3 VZV statt der von ihr angewendeten Bestimmungen der BAV und des SVG zulässig ist, zu prüfen haben, ob der Beschwerdeführer den Straftatbestand des Art. 143 Ziff. 3 VZV erfüllt hat. Gebricht es an einer dieser beiden Voraussetzungen, so wird sie den Beschwerdeführer freizusprechen haben. Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Nichtigkeitsbeschwerde wird gutgeheissen, das angefochtene Urteil aufgehoben und die Sache zu neuer Entscheidung an die Vorinstanz zurückgewiesen.
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287467d8-f0ff-469a-9cee-17a5287fef89
Urteilskopf 89 III 43 10. Entscheid vom 29. Juni 1963 i.S. Tutzer.
Regeste Pfandausfallschein ( Art. 158 Abs. 2 SchKG ): Wem ist ein solcher auszustellen nach Verwertung eines Grundstücks? Art. 120 VZG . (Erw. 1). Eigentümer-Schuldbrief als Faustpfand z.B. für ein Darlehen: Ersteigert der Gläubiger selbst den Schuldbrief bei der Faustpfandverwertung, so wird er Schuldbriefgläubiger und kann nun die Grundpfandforderung unabhängig von der allfälligen Restforderung aus dem andern Rechtsverhältnis, z.B. Darlehen, geltend machen. (Erw. 2).
Sachverhalt ab Seite 43 BGE 89 III 43 S. 43 A.- Fräulein Gachnang besass für eine Darlehensforderung von Fr. 10'000.-- gegen Tutzer einen auf dessen Liegenschaft lastenden, ihm selbst gehörenden Inhaberschuldbrief von Fr. 10'000.-- im 3. Range zu Faustpfand. In der von ihr angehobenen Betreibung auf Verwertung des Faustpfandes ersteigerte sie den Schuldbrief am 25. Oktober 1961 zum Preise von Fr. 1400.--, wovon Fr. 1209.90 als Nettoerlös auf ihre Darlehensforderung entfielen, die sich in der folgenden Zeit durch Abzahlungen bis zum 4. Dezember 1962 auf Fr. 7002.40 verringerte. B.- Das Pfandgrundstück gelangte seinerseits in einer von anderer Seite angehobenen Betreibung am 8. Dezember BGE 89 III 43 S. 44 1962 zur Versteigerung. Auch hier erhielt Fräulein Gachnang den Zuschlag, und zwar zum Höchstangebot von Fr. 51'000.-- . Auf ihren Schuldbrief im 3. Range, dessen Betrag in der Zwischenzeit auf Fr. 8000.-- herabgesetzt worden war, entfiel nach Abzug der vorgehenden Pfandforderungen ein Betrag von Fr. 7839.30, wovon Fr. 488.-- auf die Zinsen und Fr. 7351.30 auf das Schuldbriefkapital verlegt wurden. Für den Ausfall von Fr. 648.70 stellte das Betreibungsamt ihr am 28. Februar 1963 einen Pfandausfallschein aus. C.- Gestützt hierauf verlangte sie binnen Monatsfrist "Fortsetzung der Betreibung". Das Betreibungsamt entsprach diesem Begehren durch Zustellung einer Konkursandrohung. D.- Hierüber beschwerte sich der Schuldner in den kantonalen Instanzen ohne Erfolg. Den Entscheid der obern kantonalen Aufsichtsbehörde vom 20. Mai 1963 zieht er an das Bundesgericht weiter mit dem erneuten Antrag, die Konkursandrohung sei aufzuheben. Erwägungen Die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer zieht in Erwägung: 1. Nach Art. 158 Abs. 2 SchKG gibt der Pfandausfallschein dem Gläubiger das Recht, binnen Monatsfrist die Betreibung je nach der Person des Schuldners auf Pfändung oder Konkurs zu führen. Der vorliegende Pfandausfallschein beruht auf dem Ergebnis einer Grundstücksverwertung, die nicht auf Begehren der Rekursgegnerin durchgeführt wurde. Gleichwohl war ihr nach Art. 120 VZG für den ungedeckt gebliebenen Betrag ihrer Schuldbriefforderung ein Pfandausfallschein mit voller gesetzlicher Wirkung auszustellen, da diese Forderung im rechtskräftigen Lastenverzeichnis anerkannt worden war, und zwar als fällig infolge einer auf den 31 . Mai 1962 erfolgten Kündigung (vgl. BGE 85 III 141 Erw. 2). 2. Der Schuldner hat den Pfandausfallschein als solchen nicht angefochten. Er will aber die Rechtswirkungen BGE 89 III 43 S. 45 des Art. 158 Abs. 2 SchKG deshalb nicht gelten lassen, weil unter den vorliegenden Umständen eine persönliche Schuldpflicht für den Ausfall nicht bestehe oder wenigstens ernsthafte Einwendungen gegen die Annahme einer solchen Schuldpflicht gegeben seien. Die Gläubigerin habe sich nämlich für ihr Darlehen volle Deckung verschafft, indem sie mittels des ersteigerten Schuldbriefes dann bei der Grundstücksverwertung einen die restliche Darlehensforderung übersteigenden Betrag erzielt habe. Dieser Betrachtungsweise ist nicht beizustimmen. Wie die Vorinstanz in richtiger Weise ausführt, bestand die von der Darlehensgläubigerin ersteigerte Schuldbriefforderung selbständig neben dem restlichen Darlehensbetrag, so dass nun auch der auf diesem Schuldbrief bei der Grundstücksverwertung entstandene Ausfall geltend gemacht werden kann, gleichgültig auf wieviel sich die restliche Darlehensschuld noch beläuft. Die Rekursgegnerin hatte den Schuldbrief zunächst bloss als Faustpfand erhalten; Eigentümer des Schuldbriefes war der Rekurrent geblieben. Eine Betreibung auf Grundpfandverwertung stand daher der Rekursgegnerin nicht zu; sie war darauf angewiesen, den Schuldbrief als Faustpfand verwerten zu lassen ( BGE 52 III 158 ). Ebenso wie ein Dritter konnte hiebei sie selbst den Schuldbrief ersteigern, mit der Folge, dass der Zuschlagspreis in seinem Reinbetrag als Erlös für die Darlehensforderung zu verwenden war. Durch diese Verwertung war anderseits das Faustpfandrecht abgelöst, so dass der Ersteigerer den Schuldbrief als nicht mehr verpfändeten Grundpfandtitel erwarb. Infolgedessen stand der Rekursgegnerin neben der restlichen Darlehensforderung die damit in keiner Weise mehr zusammenhängende Schuldbriefforderung zu, die, als es zur Grundstücksverwertung kam, im Lastenverzeichnis als fällige Forderung mit Grundpfandrecht im 3. Rang anerkannt wurde. Gegen die Geltendmachung des durch den Pfandausfallschein ausgewiesenen Grundpfandausfalles gemäss Art. 158 Abs. 2 SchKG lässt sich somit nichts BGE 89 III 43 S. 46 daraus herleiten, dass der auf diesen Schuldbrief entfallene Grundstückserlös die noch ausstehende Darlehensforderung übersteige. Es ist nicht ersichtlich, weshalb die dem Schuldbrief eigene persönliche Schuldpflicht ( Art. 842 ZGB ) im vorliegenden Fall untergegangen sein sollte. Insbesondere ist nicht die Rede von der Einleitung eines Nachlassverfahrens, das zur Abfindung der Rekursgegnerin mit einer Nachlassdividende geführt hätte. AusBGE 64 III 172ff. kann der Rekurrent unter diesen Umständen nichts gegen die Konkursandrohung herleiten. Dem Rekurrenten ist freilich zuzugeben, dass die Verwertung eines Eigentümerpfandtitels als Faustpfand oder auch infolge Pfändung mitunter zu einem unbefriedigenden Ergebnis führt, sei es, dass bei der gesonderten Verwertung des Pfandtitels und dann nochmals bei einer spätern Grundstücksverwertung Ausfälle entstehen, sei es, dass der Ersteigerer des Pfandtitels dann bei der Grundstücksverwertung einen unangemessenen Gewinn erzielt (was namentlich dann, wenn der Pfandtitel ins Eigentum des Gläubigers, der ihn als Faustpfand besass, gelangt ist, als stossend erscheinen kann; vgl. OFTINGER, N. 141 und 141 a zu Art. 901 ZGB mit Hinweisen). Allein dies ist (was auch der soeben angeführte Autor anerkennt) eine unvermeidliche Folge der gesonderten Verwertung von Eigentümerpfandtiteln, die zu vollem Eigentums- und Gläubigerrecht auf den Ersteigerer, und sei es auch der betreibende Faustpfandgläubiger, übergehen. Eine solche gesonderte Verwertung ist grundsätzlich zulässig; insbesondere entspricht sie den mit dem Faustpfandrecht an Wertpapieren verbundenen Verwertungsbefugnissen, und im übrigen lässt sich in manchen Fällen eine nachfolgende Grundstückverwertung vermeiden, was namentlich im Interesse des Schuldners liegen kann (vgl. BGE 65 III 33 ff.). Immerhin tragen verschiedene Vorschriften des Betreibungs- und Konkursrechts Sorge dafür, dass Eigentümerpfandtitel nicht gesondert verwertet werden, wenn BGE 89 III 43 S. 47 es ohnehin zur Verwertung des Grundstücks kommen muss (vgl. Art. 76 KV, Art. 35 und 126 VZG ). Eine solche Sachlage war aber nicht gegeben, als der hier in Frage stehende Schuldbrief als Faustpfand verwertet wurde, wie denn auch der Steigerungserwerb der Rekursgegnerin unangefochten blieb. Dispositiv Demnach erkennt die Schuldbetr.- u. Konkurskammer: Der Rekurs wird abgewiesen.
null
nan
de
1,963
CH_BGE
CH_BGE_005
CH
Federation
2875fbe8-1088-40eb-b8df-81817d2ce555
Urteilskopf 126 V 314 53. Auszug aus dem Urteil vom 6. November 2000 i. S. Personalvorsorgestiftung X gegen V. und Versicherungsgericht des Kantons Aargau
Regeste Art. 39 Abs. 2, Art. 49 BVG ; Art. 5 Abs. 1 lit. b, Art. 18 FZG ; Art. 125 Ziff. 2 OR : Barauszahlung und Verrechnungsverbot. - Soweit die bar ausbezahlte Freizügigkeitsleistung das BVG-Altersguthaben im obligatorischen Bereich zu gewährleisten hat, steht einer Verrechnung dieses Leistungsanspruches mit Forderungen, die der Arbeitgeber der Vorsorgeeinrichtung abgetreten hat, die Verrechnungsschranke von Art. 39 Abs. 2 BVG entgegen. - Bezüglich der weitergehenden Vorsorge ist eine entsprechende Verrechnung namentlich mit dem gesetzlichen Begriff der Barauszahlung nach Art. 5 Abs. 1 FZG , dessen besondere Natur die tatsächliche Erfüllung an den Gläubiger verlangt, nicht vereinbar.
Erwägungen ab Seite 314 BGE 126 V 314 S. 314 Aus den Erwägungen: 3. a) Auf den durch die fristlose Entlassung vom 26. Juli 1996 bewirkten Freizügigkeitsfall (Auflösung des Vorsorgeverhältnisses/Verlassen der Vorsorgeeinrichtung vor Eintritt eines Vorsorgefalles) ist das auf den 1. Januar 1995 in Kraft getretene Bundesgesetz über die Freizügigkeit in der beruflichen Alters-, Hinterlassenen- und BGE 126 V 314 S. 315 Invalidenvorsorge (FZG) anwendbar. Nach Art. 5 Abs. 1 lit. b FZG können Versicherte die Barauszahlung der Austrittsleistung verlangen, wenn sie eine selbstständige Erwerbstätigkeit aufnehmen und der obligatorischen beruflichen Vorsorge nicht mehr unterstehen. Zur Frage, ob eine solche bar ausbezahlte Freizügigkeitsleistung ganz oder teilweise mit einer - originären oder an die Vorsorgeeinrichtung zedierten - Gegenforderung verrechnet werden kann, schweigt sich das FZG aus. Mit der Vorinstanz ist jedoch, soweit die nach den Art. 15 ff. FZG berechnete Austrittsleistung das BVG-Altersguthaben zu gewährleisten hat ( Art. 18 FZG ), ohne weiteres von der Anwendung des Art. 39 Abs. 2 BVG auszugehen. Danach darf der Leistungsanspruch mit Forderungen, die der Arbeitgeber der Vorsorgeeinrichtung abgetreten hat, nur verrechnet werden, wenn sie sich auf Beiträge beziehen, die nicht vom Lohn abgezogen worden sind (welche Voraussetzung hier unbestrittenerweise nicht gegeben ist). In der Tat ist die Freizügigkeitsleistung auf Grund der Systematik des Gesetzes als Leistung zu verstehen, bezüglich deren die Art. 34-41 BVG (6. Kapitel) gemeinsame Bestimmungen vorsehen. Daran ändert nichts, wenn die Freizügigkeitsleistung bar ausbezahlt wird: Sie bleibt auch in diesem Fall eine Leistung des Gesetzes. Nur die Modalität ihrer Erbringung ändert, was die Verrechnungsschranke des Art. 39 Abs. 2 BVG nicht dahinfallen lässt. b) Bezüglich der weitergehenden Vorsorge enthält das Berufsvorsorge- und insbesondere das Freizügigkeitsrecht keine Bestimmungen über die Verrechnung ( Art. 49 Abs. 2 BVG , e contrario). In der vorobligatorischen Zeit vor Inkrafttreten des BVG am 1. Januar 1985 hat das Bundesgericht die Verrechenbarkeit von Verantwortlichkeitsansprüchen der Stiftung gegen ein Mitglied des Stiftungsrats mit dessen Ansprüchen auf Barauszahlung als Destinatär bejaht ( BGE 106 II 155 ). In die gleiche Richtung weist das nicht veröffentlichte Urteil M. vom 1. September 1998, in welchem das Eidg. Versicherungsgericht von der grundsätzlichen Verrechenbarkeit der bar auszubezahlenden Freizügigkeitsleistung mit der Forderung der Berufsvorsorgestiftung aus aktienrechtlicher Verantwortlichkeit des Organs der Arbeitgeberin ausgeht und deswegen die Sache an das kantonale Gericht zur vorfrageweisen Beurteilung zurückgewiesen hat. aa) Diese Urteile betreffen indessen nicht die hier anstehende Thematik der Verrechenbarkeit zedierter Arbeitgeberforderungen und beschlagen somit wesentlich anders gelagerte Sachverhalte, BGE 126 V 314 S. 316 weshalb sie für die Beurteilung nicht präjudiziell sind. Auszugehen ist davon, dass der Anspruch auf Freizügigkeitsleistung - im obligatorischen und weitergehenden Berufsvorsorgebereich - selbst bei absichtlicher Schadenszufügung nicht mit der von der Arbeitgeberin an die Stiftung abgetretenen Schadenersatzforderung verrechnet werden darf ( BGE 114 V 33 , BGE 111 II 164 ; SZS 1991 S. 32). Die finanziellen Interessen der Arbeitgeberin aus dem Betrieb dürfen nicht mit der Berufsvorsorge vermischt werden, ansonsten die gesetzliche Pflicht zur Verselbstständigung ( Art. 11 Abs. 1 BVG ; Art. 331 Abs. 1 OR ) unterlaufen wird. Dabei ist die gesetzlich geregelte Barauszahlung durchaus der beruflichen Vorsorge zuzuzählen. Die Normierung der Barauszahlungsgründe ist Ergebnis einer Abwägung des Gesetzgebers zwischen Aufrechterhaltung und Beendigung des Vorsorgeschutzes. Wenn der Gesetzgeber die Aufnahme einer selbstständigen Erwerbstätigkeit so stark gewichtet, dass die Zweckbindung der Vorsorgemittel preisgegeben wird, dann bedeutet dies gleichzeitig, dass dem Versicherten, welcher die selbstständige Erwerbstätigkeit aufnimmt, diese Mittel auch tatsächlich zufliessen sollen. Das wird mit dem gesetzlichen Begriff der Barauszahlung (Art. 5 Abs. 1 am Anfang FZG) ausgedrückt. Mit dem Begriff der Bar(aus)zahlung ist eine Verrechnung nicht vereinbar (GUHL/KOLLER/SCHNYDER/DRUEY, Das Schweizerische Obligationenrecht, 9. Aufl., S. 302 f. N 26; a.A.: WOLFGANG PETER, Basler Kommentar, 2. Aufl., N 10 zu Art. 125 OR ). Bei der bar auszubezahlenden Freizügigkeitsleistung handelt es sich um eine Verpflichtung, deren besondere Natur die tatsächliche Erfüllung an den Gläubiger verlangt ( Art. 125 Ziff. 2 OR , dessen Aufzählung nicht abschliessend ist, vgl. VON THUR/ESCHER, Allgemeiner Teil des Schweizerischen Obligationenrechts, Bd. II, 3. Aufl., S. 200 Ziff. 3). Ein solches besonderes Effektivleistungsinteresse (EUGEN BUCHER, Schweizerisches Obligationenrecht, Allgemeiner Teil, 2. Aufl., S. 441; VICTOR AEPLI, Zürcher Kommentar, N 56 zu Art. 125 OR ) liegt im Lichte der gesetzgeberischen Intention, die Aufnahme einer selbstständigen Erwerbstätigkeit als Barauszahlungsgrund anzuerkennen und durch die Barauszahlung die Aufnahme der selbstständigen Erwerbstätigkeit zu stärken, vor. bb) Davon abgesehen würde die von der Beschwerde führenden Vorsorgeeinrichtung befürwortete Verrechnung zu weiteren nicht hinzunehmenden Schwierigkeiten führen. So steht die von Fall zu Fall vorgenommene, in Gutdünken und Belieben des Arbeitgebers stehende Zession bestrittener Forderungen gegenüber einzelnen BGE 126 V 314 S. 317 Arbeitnehmern an die Vorsorgeeinrichtung eindeutig im Widerspruch zu den Prinzipien der Kollektivität, Planmässigkeit und Angemessenheit, welche Wesensmerkmale der beruflichen Vorsorge sind ( BGE 120 Ib 202 ff. Erw. 3c). Sodann wird die berufliche Vorsorge mit der Zulassung der Verrechnung zedierter Forderungen für Ansprüche des Arbeitgebers gegen den Arbeitnehmer aus Verletzung des Arbeitsvertrages instrumentalisiert, für welche Streitigkeiten der Rechtsweg nach Art. 73 BVG klarerweise nicht geschaffen wurde. Die Zuständigkeit des Berufsvorsorgerichters nach Art. 73 BVG beschränkt sich nach ständiger Rechtsprechung auf spezifisch vorsorgerechtliche Streitigkeiten, im Wesentlichen Streitigkeiten betreffend Versicherungs-, Freizügigkeitsleistungen (nunmehr Eintritts- und Austrittsleistungen) und Beiträge. Der Rechtsweg nach Art. 73 BVG steht dagegen nicht offen, wenn die Streitigkeit ihre rechtliche Grundlage nicht in der beruflichen Vorsorge hat, selbst wenn sie sich vorsorgerechtlich auswirkt ( BGE 125 V 168 Erw. 2 mit Hinweisen; nicht veröffentlichtes Urteil A. vom 20. März 2000). Im vorliegenden Fall ist nicht einmal diese letzte Voraussetzung der vorsorgerechtlichen Auswirkung gegeben: Die richterliche Anerkennung arbeitsvertraglicher Schadenersatzansprüche hat als solche überhaupt keine vorsorgerechtliche Auswirkung; der Zusammenhang wird einzig und allein durch die Verrechnung als solche hergestellt. Dies allein vermag für die Begründung der Zuständigkeit des Vorsorgerichters nicht zu genügen, womit dessen grundsätzliche Befugnis zur vorfrageweisen Prüfung fremdrechtlicher Fragen keineswegs in Abrede gestellt werden soll. Allein, die Befugnis zur vorfrageweisen Prüfung besteht nur, wenn und insoweit die Beantwortung der fremdrechtlichen Vorfrage die unerlässliche Grundlage dafür bildet, die berufsvorsorgerechtliche Hauptfrage beurteilen zu können (z.B. verlangt die berufsvorsorgerechtliche Hauptfrage, wann das Vorsorgeverhältnis nach Art. 10 Abs. 2 BVG beendet worden ist, die Beantwortung der arbeitsvertragsrechtlichen Vorfrage, wann das Arbeitsverhältnis rechtlich aufgelöst worden ist, vgl. BGE 120 V 20 Erw. 2a mit Hinweisen). Ein solches Verhältnis zwischen berufsvorsorgerechtlicher Haupt- und fremdrechtlicher Vorfrage besteht im Falle der Verrechnung nicht. Ferner erscheint es im Hinblick auf den in Art. 1.1 des Reglements der Beschwerdeführerin umschriebenen Stiftungszweck zumindest fraglich, ob nicht bereits - so die Vorinstanz unter Hinweis auf CHRISTOPH MEIER, Die staatliche Beaufsichtigung der Personalvorsorgestiftungen im geltenden und BGE 126 V 314 S. 318 werdenden Recht, Diss. Basel 1978, S. 136 f. sowie HANS MICHAEL RIEMER, Die Verrechnungseinrede der Personalvorsorgestiftung gegenüber Forderungen ihrer Destinatäre, in: SJZ 1979 S. 344 f. - die Abtretung der Arbeitgeberforderung als solche durch die Vertretungsmacht der Stiftungsorgane nicht gedeckt und daher rechtsungültig ist.
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2,000
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CH_BGE_007
CH
Federation