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Urteilskopf 136 IV 139 21. Estratto della sentenza della I Corte di diritto pubblico nella causa Tribunale penale federale contro Tribunale d'appello del Cantone Ticino (azione) 1E_1/2010 del 10 agosto 2010
Regeste Art. 120 BGG , Art. 12 und 16 IRSG ; im Rahmen eines Verfahrens um internationale Rechtshilfe in Strafsachen gestelltes Gesuch, im Büro eines Rechtsanwalts sichergestellte Dokumente zu entsiegeln; negativer Kompetenzkonflikt zwischen den kantonalen Behörden und dem Bundesstrafgericht. Zulässigkeit der Klage nach Art. 120 Abs. 1 lit. a BGG (E. 1). Zufolge Aufhebung der einschlägigen kantonalen Norm stellte das kantonale Gericht seine Unzuständigkeit zur Behandlung des Entsiegelungsgesuchs fest. Auch das Bundesstrafgericht (BStGer), an welches die Tessiner Staatsanwaltschaft gelangte, erklärte sich für die Behandlung des Entsiegelungsgesuchs unzuständig. Das BStGer hätte diesfalls einen anfechtbaren Nichteintretensentscheid fällen müssen und nicht beim Bundesgericht Klage erheben sollen (E. 1 und 2).
Sachverhalt ab Seite 140 BGE 136 IV 139 S. 140 A. Nell'ambito di una domanda di assistenza giudiziaria internazionale in materia penale, il 29 marzo 2010 il Ministero pubblico ticinese (MP) ha inoltrato alla Camera dei ricorsi penali del Tribunale d'appello del Cantone Ticino (CRP) una richiesta di dissuggellamento relativa a documenti sequestrati presso uno studio legale, coperti, secondo l'avvocato interessato dalla misura, dal segreto professionale. Con scritto del 31 marzo 2010 la CRP ha rilevato che a seguito dell'abolizione dell'art. 4 della legge cantonale del 16 maggio 1988 di applicazione della legge federale sull'assistenza internazionale in materia penale, essa non ha più competenze residue in questa materia. Il 1° aprile 2010 il MP ha quindi inoltrato la richiesta di dissuggellamento al Tribunale penale federale (TPF), che l'8 aprile 2010 ha trasmesso per competenza l'incarto alla CRP. Il 12 aprile seguente la CRP ha ribadito la propria incompetenza. BGE 136 IV 139 S. 141 B. Il 29 aprile 2010 il TPF presenta al Tribunale federale un'azione ai sensi dell' art. 120 cpv. 1 lett. a LTF : chiede di accertare la competenza della CRP a statuire sulla richiesta di dissuggellamento. La CRP ribadisce l'assenza di base legale per un suo intervento, il MP si rimette al giudizio del Tribunale federale. L'Ufficio federale di giustizia (UFG), adducendo una lacuna nella legislazione ticinese, sostiene che il Cantone Ticino dovrà determinare per il futuro l'autorità competente in tale ambito, chiedendo tuttavia, ritenuta impropria la competenza della CRP e richiamato l'obbligo di celerità, di designare il Giudice dell'istruzione e dell'arresto (GIAR) quale autorità competente. Il Tribunale federale ha dichiarato inammissibile l'azione, il conflitto di competenza dovendo essere risolto emanando una decisione d'irricevibilità impugnabile ai sensi dell' art. 120 cpv. 2 LTF . (riassunto) Erwägungen Dai considerandi: 1. 1.1 Il Tribunale federale esamina d'ufficio e con pieno potere cognitivo la sua competenza ( art. 29 cpv. 1 LTF ; DTF 135 III 483 consid. 1; DTF 130 I 156 consid. 1). 1.2 Secondo l' art. 120 cpv. 1 lett. a LTF , il Tribunale federale giudica su azione come giurisdizione unica i conflitti di competenza tra autorità federali, da una parte, e autorità cantonali, dall'altra ( art. 189 cpv. 2 Cost. ). Ai sensi dell' art. 120 cpv. 2 LTF , l'azione è tuttavia inammissibile se un'altra legge federale abilita un'altra autorità a pronunciare su tali controversie; la decisione di questa autorità è impugnabile in ultima istanza con ricorso al Tribunale federale. 1.3 La competenza del Tribunale federale, quale giurisdizione unica, è strettamente circoscritta: si tratta essenzialmente dei casi che potevano essere oggetto dell'azione di diritto pubblico secondo l' art. 83 lett. a e b OG (Messaggio del 28 febbraio 2001 concernente la revisione totale dell'organizzazione giudiziaria federale, FF 2001 3906 seg. n. 4.1.5). Parti alla procedura sono la Confederazione e i Cantoni, rappresentati di regola dal Consiglio federale, rispettivamente dal Governo cantonale (per il Cantone Ticino art. 70 lett. h Cost./TI [RS 131.229]; WURZBURGER, in Commentaire de la LTF, 2009, n. 6 e 8 ad art. 120 LTF ). 1.4 Il conflitto di competenza può essere positivo o negativo e può riguardare la competenza di applicare il diritto per il tramite di una BGE 136 IV 139 S. 142 decisione. Nel caso in esame il conflitto riveste natura concreta e attuale (cfr. DTF 125 II 152 consid. 1; sulla cognizione del Tribunale federale cfr. DTF 130 I 156 consid. 1.3; DTF 129 I 419 consid. 1). 1.5 Nella fattispecie, la risposta alla questione di sapere se è data l'azione ai sensi dell' art. 120 LTF non è manifesta. Da una parte la legittimazione del TPF quale parte non è evidente (cfr. WURZBURGER, op. cit., n. 8, 10 e 11 ad art. 120 LTF ; WALDMANN, in Basler Kommentar, Bundesgerichtsgesetz, 2008, n. 22 ad art. 120 LTF ), dall'altra, come si vedrà, si è in presenza dell'eccezione prevista dall' art. 120 cpv. 2 LTF . 2. 2.1 Nell'azione, il TPF, ricordato che la II Corte dei reclami penali è divenuta autorità di ricorso in materia di assistenza giudiziaria internazionale (art. 28 cpv. 1 lett. e della legge del 4 ottobre 2002 sul Tribunale penale federale [LTPF; RS 173.71]), precisa che non spetta a detta Corte emanare decisioni di prima istanza, nemmeno relativamente all'esecuzione di rogatorie. Poiché la procedura di dissuggellamento sfocia in una siffatta decisione, essa non può essere considerata una procedura di ricorso, per cui essa deve rimanere retta dal diritto cantonale. Ricorda poi che un'eventuale violazione del segreto professionale potrebbe semmai essere addotta dinanzi alla II Corte dei reclami penali con un ricorso contro la decisione di chiusura. Mantenendo la competenza cantonale si eviterebbe anche ch'essa debba esprimersi su una sua pregressa decisione. Precisato che il modo di procedere proposto è quello applicato dalle autorità di tutti gli altri Cantoni e dalla sua prassi, il TPF, richiamata la nuova soluzione adottata dal Codice di diritto processuale penale svizzero del 5 ottobre 2007 [Codice di procedura penale, CPP; FF 2007 6327], ritiene ingiustificato un improvviso cambiamento di giurisprudenza prima della relativa entrata in vigore. 2.2 Nelle sue osservazioni, l'UFG rileva che, nell'ambito dell'adozione della LTF, le funzioni giurisdizionali attribuite precedentemente alle autorità cantonali sono state interamente devolute al TPF, mentre il legislatore ha lasciato l'esecuzione del diritto materiale ai Cantoni (ZIMMERMANN, La coopération judiciaire internationale en matière pénale, 3 a ed. 2009, n. 188 pag. 180). Esso ricorda poi che quest'ultimi determinano la competenza, l'organizzazione e la gestione delle autorità esecutive ( art. 16 cpv. 2 AIMP [RS 351.1]), le autorità cantonali applicando le prescrizioni vigenti per esse ( art. 12 cpv. 1 AIMP ). BGE 136 IV 139 S. 143 All'Ufficio federale compete in tale ambito la sorveglianza ( art. 3 OAIMP [RS 351.11]). L'UFG vede l'esistenza di una lacuna nella legislazione ticinese, intervenuta in seguito all'abrogazione della già citata norma cantonale e al trasferimento delle competenze decisionali in materia di ricorso al TPF. Esso condivide la tesi del TPF, secondo cui la procedura di levata dei sigilli costituisce un atto di esecuzione materiale della domanda di assistenza ai sensi dell'art. 12 cpv. 1 secondo periodo AIMP e non un atto ricorsuale. Conformemente all' art. 16 cpv. 2 AIMP , spetta quindi al Cantone Ticino determinare l'autorità esecutiva competente per decidere il dissuggellamento. Tale compito potrebbe essere delegato sia alla CRP, che lo svolgeva prima dell'abolizione della norma cantonale, o al GIAR, competente per effettuare il dissuggellamento nel quadro delle procedure penali ticinesi ( art. 164 del Codice di procedura penale ticinese del 19 dicembre 1994 [CPP/TI; RL 3.3.3.1]), soluzione più consona, secondo l'UFG, al tenore dell' art. 12 AIMP . Richiamato tuttavia l'obbligo di celerità ( art. 17a AIMP ), esso propone per il caso di specie di designare direttamente il GIAR quale autorità competente per statuire sulla domanda di dissuggellamento litigiosa. Sempre secondo l'UFG, la questione della competenza cantonale rimane attuale anche dopo l'entrata in vigore del CPP poiché la nuova procedura implica una modifica dell'art. 9 secondo periodo AIMP, che attualmente rinvia per il suggellamento di carte all' art. 69 PP (RS 312.0): in futuro la domanda di dissuggellamento sarà decisa dal giudice dei provvedimenti coercitivi nell'ambito della procedura preliminare o, negli altri casi, dal giudice presso il quale il caso è pendente ( art. 248 cpv. 3 CPP ; cfr. l'art. 71 cpv. 1 della legge del 20 aprile 2010 sull'adeguamento della legislazione cantonale all'introduzione del CPP). 2.3 La CRP non contesta la tesi del TPF, limitandosi a rilevare l'assenza di una base legale fondante la sua competenza. 2.4 Come si è visto, l'azione ai sensi dell' art. 120 LTF dev'essere ammessa in maniera restrittiva (cfr. sentenza 1P.736/1999 del 13 dicembre 1999 consid. 2a). Inoltre, di massima, le questioni inerenti alla competenza devono essere risolte, per lo meno nell'ambito delle procedure di prima istanza, sulla base di un ricorso secondo l' art. 120 cpv. 2 LTF e non di un'azione ai sensi dell' art. 120 cpv. 1 LTF ( DTF 136 IV 44 consid. 1.3; per i conflitti di competenza in materia di BGE 136 IV 139 S. 144 perseguimento penale tra Confederazione e Cantoni, sottratti alla cognizione del Tribunale federale, vedi sentenza 1B_66/2010 del 30 marzo 2010 consid. 3). Nel caso di specie, accertata la sua incompetenza, il TPF, invece di far capo all'azione, avrebbe dovuto emanare una decisione di inammissibilità, giudizio che il MP o l'UFG potevano impugnare dinanzi al Tribunale federale. Certo, la risposta alla questione di sapere se queste autorità potrebbero impugnare una siffatta decisione dinanzi al Tribunale federale sulla base dell' art. 84 LTF e se il conflitto di competenza costituisca un caso particolarmente importante, condizione che dev'essere ammessa in maniera restrittiva ( DTF 134 IV 156 consid. 1.3.1 e 1.3.4), non è del tutto chiara. I motivi elencati all' art. 84 cpv. 2 LTF , che consentono di esaminare nel merito un ricorso in materia di assistenza giudiziaria internazionale in materia penale, non sono tuttavia esaustivi, come si deduce dall'utilizzazione nel testo legale dell'avverbio "segnatamente". Il Tribunale federale, in effetti, può anche intervenire qualora si tratti di decidere una questione giuridica di principio ( DTF 136 IV 20 consid. 1.2; DTF 133 IV 215 consid. 1.2), sulla quale non si è ancora pronunciato in maniera approfondita.
null
nan
it
2,010
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CH_BGE_006
CH
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208f29a7-1e08-43e5-9188-88cecd625292
Urteilskopf 84 IV 115 34. Auszug aus dem Urteil des Kassationshofes vom 11. September 1958 i.S. Riederer gegen Polizeirichteramt der Stadt Zürich.
Regeste Art. 47 MFV . Pflicht des Führers, vor dem Abbiegen nach links einem gleichzeitig entgegenkommenden Fahrzeug den Vortritt zu lassen.
Sachverhalt ab Seite 115 BGE 84 IV 115 S. 115 Am 27. März 1957, gegen 20.00 Uhr, führte Riederer seinen Personenwagen in Zürich die Beckenhofstrasse hinunter. Auf der Höhe des Steinhausweges bog er nach links ab und steuerte sein Fahrzeug gegen die dortige private Hofeinfahrt. Dadurch wurde ein die Beckenhofstrasse heraufkommender Rollerfahrer gezwungen, brüsk zu bremsen und auszuweichen, um eine Kollision zu vermeiden. Der Einzelrichter in Strafsachen des Bezirksgerichtes Zürich büsste Riederer am 7. November 1957 wegen Übertretung von Art. 47 MFV mit Fr. 25.-. Erwägungen Aus den Erwägungen: Das Gebot des Art. 47 MFV verpflichtet den nach links abbiegenden Führer, das Vortrittsrecht des gleichzeitig entgegenkommenden Fahrzeuges strikte zu beachten. Der nach links Abbiegende hat demnach nicht bloss wie der Überholende gemäss Art. 46 Abs. 3 MFV besonders vorsichtig zu fahren und auf die übrigen Strassenbenützer Rücksicht zu nehmen, sondern alles vorzukehren, um das Vortrittsrecht des andern nicht zu verletzen. Insbesondere ist es seine Pflicht, vor dem Abbiegen mit erhöhter Aufmerksamkeit die vor ihm liegende Strassenstrecke zu beobachten und sich zu überzeugen, dass aus der Gegenrichtung BGE 84 IV 115 S. 116 kein Fahrzeug nahe, dessen Vortritt durch das Manöver in Frage gestellt würde. Im vorliegenden Fall konnte der Beschwerdeführer die Beckenhofstrasse auf eine Strecke von 40 m überblicken. Daraus schliesst die Vorinstanz, dass er den Rollerfahrer rechtzeitig hätte erkennen und ihm den Vortritt lassen können. Der Grund, warum Riederer dem Rollerfahrer den Weg abschnitt, liegt somit in der Tatsache, dass er es an einer aufmerksamen Beobachtung der vor ihm liegenden Strassenstrecke fehlen liess. Dabei vermag ihn nicht zu entlasten, dass er vor Beginn des Manövers sein Augenmerk ausser auf den Gegenverkehr auch nach links richten musste, um festzustellen, ob er durch sein Einschwenken nicht allfällige Benützer der an die Hofeinfahrt angrenzenden öffentlichen Treppe gefährde. Es ist nichts Aussergewöhnliches, sondern gehört zu den alltäglichen Erscheinungen des Strassenverkehrs, dass ein Fahrzeugführer in einer bestimmten Verkehrslage nach verschiedenen Seiten beobachten und auf andere, aus unterschiedlichen Richtungen herankommende Strassenbenützer Rücksicht nehmen muss (vgl. BGE 83 IV 164 ). Sollte jedoch der Beschwerdeführer dadurch, dass er seine Aufmerksamkeit auf die Hofeinfahrt richtete, an der Beobachtung der Beckenhofstrasse gehindert worden sein, so hätte er, was ihm zuzumuten gewesen wäre, einen Sicherheitshalt einschalten müssen. Das Ergebnis wäre übrigens kein anderes, wenn mit dem Beschwerdeführer anzunehmen wäre, er habe trotz der gebotenen Aufmerksamkeit den entgegenkommenden Rollerfahrer nicht rechtzeitig erkennen können. Denn nach Art. 47 MFV genügt nicht, dass der Führer im Moment, da er sich zum Abbiegen entschliesst, kein Fahrzeug entgegenkommen sieht. Er darf nur abbiegen, wenn das vor ihm liegende Strassenstück soweit überblickbar ist, als die Verkehrslage Gefahren für den störungsfreien Ablauf des Manövers in sich bergen kann. Ist das nicht der Fall und besteht daher keine Gewissheit, dass ohne Beeinträchtigung BGE 84 IV 115 S. 117 des vortrittsberechtigten Gegenverkehrs die Fahrbahn überquert werden kann, so darf das Manöver nicht ausgeführt werden. Vielmehr hat der Motorfahrzeugführer unter solchen Umständen seine Fahrt in gerader Richtung soweit fortzusetzen, bis die Strassen- und Verkehrsverhältnisse es ihm gestatten, gemäss Art. 48 Abs. 3 MFV seinen Wagen zu wenden, um auf der andern Seite der Strasse zurückzufahren und dann rechts in die Einfahrt einzubiegen.
null
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de
1,958
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Urteilskopf 95 I 123 18. Estratto della sentenza 14 maggio 1969 nella causa Frediana SA contro Ticino.
Regeste Art. 4 BV . Baubewilligungsverfahren. 1. Es ist im allgemeinen nicht willkürlich, wenn die Behörde ein Baubewilligungsgesuch nach dem zur Zeit der Entscheidung und nicht nach dem bei der Einreichung des Gesuchs geltenden Baurecht beurteilt. Doch darf sie die Behandlung des Gesuchs nicht ungebührlich verzögern, um die Ausarbeitung und das Inkrafttreten der neuen Bestimmungen abzuwarten (Erw. 4 a). 2. Auch im Verwaltungsrecht gilt der Grundsatz von Treu und Glauben. Die Behörden können daher dem Baugesuchsteller den Rückzug eines gesetzmässigen Baugesuchs nicht entgegenhalten, wenn sie selber ihn zum Rückzug veranlasst haben, damit ihren Anregungen entsprochen werde (Erw. 4 b und c). 3. Das Bundesgericht kann die kantonalen Behörden einladen, eine zu Unrecht verweigerte Polizeierlaubnis zu erteilen. Ausnahme vom Grundsatz der kassatorischen Natur der staatsrechtlichen Beschwerde (Erw. 5).
Sachverhalt ab Seite 124 BGE 95 I 123 S. 124 Riassunto della fattispecie: A.- Il 14 dicembre 1965 la Frediana SA chiese al Consiglio di Stato del Cantone Ticino di essere autorizzata a costruire una doppia stazione di servizio per la distribuzione di carburanti sulle particelle n. 1318 e 1319 di sua proprietà, site lungo la strada cantonale che conduce al valico doganale di Pignora (Brusata) nel comune di Novazzano. Resa attenta dal Dipartimento cantonale delle pubbliche costruzioni della necessità di chiedere l'autorizzazione per il dissodamento del mappale n. 1318, di carattere boschivo, la Frediana SA la domandava il 19 ottobre 1966, ottenendola il 26 ottobre successivo dallo stesso dipartimento. L'istante sollecitò poi ripetutamente, ma invano, la concessione della licenza. Il 29 settembre 1967, a seguito di contatti avuti con l'autorità, essa presentò una variante del progetto al fine di tener conto, in particolare, della possibilità d'un allargamento del campo stradale, ventilata dagli organi tecnici cantonali. Con lettera del 17 ottobre 1967 al Dipartimento delle pubbliche costruzioni la Frediana SA sollecitò nuovamente la concessione del permesso, osservando ch'erano oramai trascorsi due anni dal momento in cui l'istanza era stata presentata. B.- Il Consiglio di Stato evase la domanda mediante decisione del 10 aprile 1968, intimata alla Frediana SA, tramite il Municipio di Novazzano, il 24 giugno 1968: con tale giudizio esso rifiutò il permesso richiesto, fondandosi su prescrizioni del regolamento d'applicazione 22 dicembre 1967 (RA) della legge cantonale sulla costruzione, sulla manutenzione e sull'uso delle strade cantonali del 17 gennaio 1951 (LSC), entrato in vigore il 2 gennaio 1968. Più precisamente, l'autorità cantonale ha invocato l'art. 6 cpv. 3 lett. b del regolamento, il quale prescrive BGE 95 I 123 S. 125 che le stazioni di servizio per la distribuzione di carburanti distino almeno 250 m dall'area doganale. Secondo il Consiglio di Stato, la Frediana SA non avrebbe affatto rispettato questa disposizione, i progettati impianti essendo previsti a soli 80 m circa dal sedime doganale. C.- La Frediana SA impugna questa decisione con un tempestivo ricorso di diritto pubblico fondato sulla violazione degli art. 4 e 31 CF e della garanzia della proprietà. Essa chiede al Tribunale federale di annullare la decisione e di far obbligo al Consiglio di Stato di approvare il progetto litigioso. Il Consiglio di Stato propone la reiezione del ricorso. Erwägungen Estratto dei considerandi: 4. La Frediana SA fa valere, in particolare, l'arbitrio e la disparità di trattamento. Essa li ravvisa nel forte ritardo frapposto dal Consiglio di Stato nell'evadere la sua istanza, rispettivamente nella concessione della licenza al vicino Piffaretti che si trovava in analoghe condizioni. a) Come la ricorrente riconosce, non commette, di massima, arbitrio l'autorità che applica ad una domanda di costruzione il diritto vigente al momento della decisione anzicchè quello in vigore all'atto della presentazione dell'istanza (RU 87 I 510 e segg. ; 89 I 26 , 435 ; 91 I 45 ). È necessario tuttavia che l'autorità non abbia procrastinato in modo intollerabile l'evasione della domanda al fine di consentire l'elaborazione e la messa in vigore del nuovo diritto (RU 87 I 512/513, IMBODEN, Schweiz. Verwaltungsrechtsprechung, 3a ed., I, N. 312 n. c). Codesta condizione è direttamente deducibile dallo stesso art. 4 CF, che fa obbligo all'autorità competente di tempestivamente occuparsi delle domande che le sono correttamente sottoposte dai cittadini, e cautela questi ultimi contro il rischio, che ognuno deve assumere, di un mutamento della legislazione. b) Secondo il Consiglio di Stato quale data della domanda deve valere quella dell'inoltro del progetto di variante (27 settembre 1967), permodochè soltanto tre mesi sarebbero trascorsi da codesto momento all'adozione (22 dicembre 1967) ed alla messa in vigore (2 gennaio 1968) del nuovo RA. Questo modo di vedere è infondato. È vero che, come il Tribunale federale ha già statuito (RU 87 I 513, 88 I 147), chi spontaneamente modifica e sostituisce una domanda di costruzione rinuncia a richiedere una decisione sull'istanza precedente, e di regola non BGE 95 I 123 S. 126 può quindi prevalersi della data di deposito di questa. Ma codesto principio non ha valore assoluto. Esso soffre eccezione, allorquando la sua attuazione urterebbe il principio della buona fede, cui sottostanno anche i rapporti del diritto amministrativo (RU 76 I 190; 83 II 350 ). Così il ritiro di un'istanza fondata e la sua sostituzione non possono essere opposti a un richiedente che vi sia stato indotto da assicurazioni dategli dall'autorità circa le modalità di decisione della nuova domanda (RU 88 I 147). Uguali considerazioni debbono valere allorquando la modificazione di un progetto, conforme alle norme di legge, sia dovuta non già all'interesse o all'iniziativa dello stesso richiedente, ma appaia come la conseguenza della di lui volontaria adesione a suggestioni o desideri espressi dall'autorità competente. Ciò specie allorchè, per ciò fare, il richiedente si sia assunto volontariamente prestazioni o sobbarcato ritardi economicamente rilevanti. c) La ricorrente adduce d'aver sostituito il primo progetto, del dicembre 1965, conforme alle prescrizioni del decreto esecutivo allora in vigore, con la variante del settembre 1967 unicamente per tener conto delle suggestioni dell'autorità competente. Questa tesi è contestata dal Consiglio di Stato, che indica nella preoccupazione della ricorrente di porsi in regola con le norme legali il motivo unico della sostituzione. La tesi della ricorrente trova conforto negli atti. aa) La ricorrente l'ha sostenuta ancor prima che il Consiglio di Stato prendesse l'impugnata decisione. Tanto dalla lettera del 27 settembre 1967, quanto ed ancor più da quella del 17 ottobre 1967, si deduce che la Frediana SA faceva valere non soltanto che il primo progetto era, a mente sua, ineccepibile, ma soprattutto che le modifiche apportate allo stesso con la variante erano intervenute unicamente al fine di facilitare le cose e di venire incontro ai desideri espressi dai tecnici dello Stato. Se queste asserzioni della ricorrente fossero state infondate, esse avrebbero, secondo i principi della buona fede, imposto una immediata e precisa messa a punto da parte dell'autorità. In particolare, il Dipartimento avrebbe dovuto reagire, e precisare in modo inequivoco il proprio punto di vista tanto riguardo ai pretesi difetti del primo progetto, quanto riguardo alla motivazione del deposito della variante. In ogni caso, in simili circostanze, il Consiglio di Stato non poteva, come si asserisce nella risposta al ricorso, ritenere che BGE 95 I 123 S. 127 la ricorrente rinunciasse puramente e semplicemente al primitivo progetto e ad una decisione formale dello stesso. bb) La mancanza di una presa di posizione chiara dell'autorità non gioverebbe, è vero, alla ricorrente, qualora, come asserisce il Consiglio di Stato nella risposta, fosse palese che il primo progetto non ossequiava le norme del decreto esecutivo 16 giugno 1959 concernente l'istallazione di stazioni di servizio per la distribuzione dei carburanti, in vigore al momento in cui l'istanza è stata presentata. Secondo il Consiglio di Stato ciò appunto si verificava, perchè la stazione sarebbe dovuta sorgere in piena curva, in luogo con scarsa visuale e pericoloso per la circolazione. Sennonchè le risultanze degli atti e del sopralluogo non confortano affatto tale affermazione. Intanto risulta, nè il Consiglio di Stato pretende il contrario, che il progetto ossequiava, per le dimensioni e la sistemazione, lo schema annesso al decreto esecutivo del 1959. Quanto alla curva ed alla visuale, è palese che l'ubicazione della stazione della ricorrente offriva garanzie, se non addirittura migliori, per lo meno equivalenti a quelle della stazione Piffaretti, che il Consiglio di Stato ha autorizzato, e che, nella risposta al ricorso, esso dichiara ossequiare pienamente le norme del citato decreto. Infatti, come rileva la ricorrente, la stazione Piffaretti è situata subito dopo la curva; per di più, il fondo sopraelevato della Frediana SA, escavato solo in prosieguo, costituiva un certo ostacolo alla visuale in direzione dell'Italia. In simili circostanze, valutare con un metro diverso, in punto alla sicurezza ed alla fluidità del traffico, con riferimento alle norme allora applicabili, i due progetti, costituisce una disparità evidente di trattamento, basata su una diversità di apprezzamento insostenibile, contraria al precetto dell'art. 4 CF. Si impone pertanto la conclusione che la variante, come sostiene la ricorrente, avesse per iscopo preponderante quello di consentire il futuro allargamento del campo stradale, rispettivamente quello di perseguire un risultato tecnicamente superiore a quello dettato dalle norme del decreto esecutivo del 1959. Ne discende quindi che, per giudicare se l'istruzione e decisione della domanda sia stata procrastinata in modo intollerabile dal Consiglio di Stato, la ricorrente può avvalersi della data di presentazione del primo progetto. d) Il primo progetto è del 14 dicembre 1965 ed è pervenuto, BGE 95 I 123 S. 128 con l'approvazione comunale, all'autorità cantonale competente il 12 gennaio 1966. Secondo l'art. 11 del Regolamento cantonale sulle autorizzazioni a costruire del 5 novembre 1963, quest'ultima deve pronunciarsi sui progetti sottopostile nel termine di un mese o trasmettere gli atti, con le osservazioni del caso, al Consiglio di Stato, quando la decisione rientri nella di lui competenza. Anche se codesta norma ha il valore di una semplice disposizione d'ordine, è evidente che il lasso di tempo trascorso tra la domanda e la sua evasione è manifestamente eccessivo. È vero che l'autorità cantonale fa valere che la domanda non era accompagnata dal permesso di disboscamento, richiesto dalla ricorrente soltanto il 19 ottobre 1966 e ottenuto il 26 di quello stesso mese. Ma a parte il fatto che il permesso avrebbe potuto essere concesso sotto la condizione che fosse ottenuto il consenso dell'autorità forestale, va considerato che la richiedente avrebbe potuto e dovuto esser avvertita subito da parte del Dipartimento di codesta omissione, tanto più che, come emerge dagli atti, la concessione di questo permesso rientrava nelle competenze dello stesso Dipartimento delle pubbliche costruzioni, che istruiva l'istanza. Se, come ne aveva il dovere, l'autorità cantonale si fosse occupata tempestivamente dell'istanza, questa avrebbe potuto essere decisa sin dalla primavera 1966. In considerazione delle norme allora vigenti, essa avrebbe dovuto essere accolta. e) Il Consiglio di Stato pretende invero che, al momento in cui fu accolta (pure con grave ritardo) la coeva istanza di Piffaretti (maggio 1967) il problema della distanza dall'area doganale già preoccupava l'autorità cantonale, la quale a quel momento sarebbe stata dell'opinione che un intervallo di circa 150 m fosse, tenuto conto della ridotta importanza del valico, adeguato e sufficiente. Ma questo argomento non è determinante. Innanzitutto, l'autorità cantonale non sostiene che già all'inizio del 1966, epoca in cui essa si sarebbe dovuta pronunciare sull'istanza della ricorrente, essa fosse giunta, in base a studi compiuti, ad una conclusione in punto alla necessità di un intervallo ed alla misura di questo. Se, come si desume dalla risposta, nel maggio 1967 gli studi intrapresi erano ancora ad uno stadio "embrionale", e sembrava giustificata l'adozione di distanze differenziate BGE 95 I 123 S. 129 a seconda dell'importanza del valico e dell'intensità della circolazione, il principio della parità di trattamento avrebbe semmai richiesto che entrambe le coeve istanze, relative a fondi contigui, fossero tenute in sospeso in attesa della rapida conclusione degli studi e di un'altrettanto sollecita adozione di norme chiare e precise. Procedendo diversamente nei confronti dei due istanti, l'autorità cantonale ha violato il precetto dell'uguaglianza di trattamento. D'altronde è palese che, ancora all'epoca dell'accoglimento dell'istanza Piffaretti l'autorità cantonale non riteneva troppo prossima alla frontiera la stazione progettata dalla ricorrente: se ciò fosse stato il caso, essa avrebbe avuto il dovere di precisare in modo chiaro questo punto di vista alla ricorrente, invece di indurla a studiare, con evidente dispendio di tempo e di denaro, l'arretramento della stazione per consentire l'allargamento del campo stradale. Ne viene quindi che le censure della ricorrente, dedotte dall'inammissibilità della remora e dalla disparità di trattamento nei confronti del vicino Piffaretti, sono fondate. L'impugnata decisione, lesiva dell'art. 4 CF, deve quindi essere annullata, senza che sia necessario esaminare le altre censure della ricorrente. 5. In principio, il ricorso di diritto pubblico è rimedio di cassazione. Tuttavia, per i casi di rifiuto di un permesso di polizia, la giurisprudenza ha istituito eccezioni a codesta regola, dovendo necessariamente riconoscere all'interessato anche la possibilità di chiedere che l'autorità cantonale sia obbligata a rilasciargli il permesso incostituzionalmente rifiutatogli (RU 82 I 111 consid. 6 ; 84 I 113 consid. 3 ; 90 I 349 ; 91 I 411 ). Il Tribunale federale può tuttavia giungere ad una siffatta decisione solo se è in grado di accertare che la domanda presentata dalla ricorrente in sede cantonale adempie tutti i presupposti legali per il rilascio del permesso. Nell'impugnata decisione il Consiglio di Stato fonda il suo rifiuto unicamente sul difetto della distanza dalla frontiera, e non appare aver esaminato il progetto sotto altri punti di vista. Tuttavia risulta che il progetto in discussione costituisce una semplice variante del primitivo progetto, che consiste essenzialmente nell'arretramento degli impianti. Le obiezioni, che il Consiglio di Stato ha opposto al primo progetto si sono rivelate infondate: altre obiezioni il Consiglio di Stato non ha sollevato. BGE 95 I 123 S. 130 In simili condizioni, il Tribunale federale deve considerare adempiute le condizioni richieste dalla giurisprudenza per far obbligo al Consiglio di Stato di accordare il richiesto permesso. Dispositiv Il Tribunale federale pronuncia: Il ricorso è accolto e l'impugnata risoluzione è annullata. Il Consiglio di Stato è invitato a rilasciare alla ricorrente il permesso di costruzione.
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209dda74-b4a6-47c9-bc92-bd647f020fc3
Urteilskopf 118 Ib 436 2. Arrêt de la Ire Cour de droit public du 12 août 1992 dans la cause B. et C. Corp. contre Chambre d'accusation du canton de Genève (recours de droit administratif)
Regeste Rechtshilfe mit den Vereinigten Staaten von Amerika; Bedeutung des rechtlichen Gehörs; Art. 9 Abs. 2 und Art. 16 Abs. 2 BG-RVUS ; Art. 21 Abs. 2 IRSG und Art. 18 Ziff. 5 RVUS . 1. Art. 9 Abs. 2 BG-RVUS beschränkt das Akteneinsichtsrecht des Beschuldigten. Diese Bestimmung kann dem durch die strittige Massnahme unmittelbar betroffenen Beschuldigten nicht entgegengehalten werden (E. 3). 2. Der Beschuldigte hat auf jeden Fall das Recht, an der Durchführung der Rechtshilfehandlungen teilzunehmen, soweit sie sich auf die Beglaubigung der im Gesuch genannten Urkunden beziehen ( Art. 18 Ziff. 5 RVUS ; E. 4c/aa). 3. Wenn der Beschuldigte durch die strittige Massnahme unmittelbar betroffen ist, hat er das Recht, an der Durchführung der erforderlichen Handlungen, Zeugeneinvernahmen einbegriffen, teilzunehmen, wenn es die Wahrung seiner Interessen erfordert und soweit der Untersuchungszweck nicht beeinträchtigt wird ( Art. 21 Abs. 2 IRSG ; E. 4c/bb).
Sachverhalt ab Seite 437 BGE 118 Ib 436 S. 437 Le 10 juillet 1990, le Département de la justice des Etats-Unis d'Amérique (office central américain) a adressé à l'Office fédéral de la police (office central suisse) une demande d'entraide judiciaire pénale fondée sur le traité conclu le 25 mai 1973 entre la Confédération suisse et les Etats-Unis d'Amérique (RS 0.351.933.6; TEJUS). Cette demande était présentée pour les besoins d'une instruction ouverte par le Procureur général des Etats-Unis pour le district de l'Etat du Maryland contre B., C. et K., au sujet d'un détournement de fonds qu'ils auraient commis au détriment d'une caisse d'épargne liquidée en septembre 1985 faute d'une garantie de dépôt suffisante. La demande américaine visait notamment à l'audition des responsables d'établissements bancaires et à la production de copies de documents authentifiés selon l' art. 18 TEJUS . Le 25 juin 1991, l'office central américain a adressé à l'Office fédéral de la police une demande complémentaire visant à ce que l'autorité suisse procède à de nouvelles investigations portant sur les comptes ouverts par B. et C. Corp. auprès de divers établissements bancaires de Genève. L'autorité américaine a requis en outre l'audition de deux témoins. Par décision du 12 août 1991, l'Office fédéral de la police a admis la demande complémentaire. Le 7 février 1992, il a déclaré irrecevable, faute de motivation, l'opposition formée par B. et C. Corp. contre cette décision. Le juge d'instruction genevois a procédé aux mesures d'exécution visées dans la demande américaine, entre le mois d'août 1991 et le mois d'avril 1992. BGE 118 Ib 436 S. 438 Le 9 septembre 1991, le conseil de B. a demandé au juge d'instruction chargé de l'exécution de la demande complémentaire la consultation du dossier et des pièces d'exécution; il a aussi requis le droit d'être informé de la date et du lieu des audiences d'audition des témoins auxquelles il entendait participer afin de représenter son client. Le juge d'instruction a rejeté cette requête, le 13 décembre 1991, au motif que "les dispositions en vigueur ne prévoient pas la possibilité pour votre client d'assister aux audiences, ni la notification des décisions relatives à la procédure". B. et C. Corp. ont recouru contre cette décision auprès de la Chambre d'accusation, qui les a déboutés par ordonnance du 20 mars 1992, au motif que les autorités de l'Etat requérant n'avaient pas demandé la participation des recourants à l'audition des témoins ( art. 12 ch. 2 TEJUS ). Agissant par la voie du recours de droit administratif, B. et C. Corp. demandent au Tribunal fédéral d'annuler l'ordonnance du 20 mars 1992, d'autoriser leur conseil à assister aux auditions de témoins et à les interroger, de dire que leur conseil sera informé de la date et du lieu de ces auditions, ainsi que de l'identité des témoins interrogés, de constater la nullité des actes de procédure effectués en leur absence et celle de leur conseil. Ils invoquent une violation des art. 7 et 9 al. 2 LTEJUS , 12 ch. 2 et 18 ch. 5 TEJUS, des art. 4 Cst. et 6 par. 3 let. d CEDH, ainsi que du Sixième Amendement à la Constitution des Etats-Unis d'Amérique. Le Tribunal fédéral a admis partiellement le recours au sens des considérants. Erwägungen Extrait des considérants: 3. Les recourants reprochent aux autorités cantonales de leur avoir refusé l'accès au dossier en violation de l' art. 9 LTEJUS . a) Le droit de consulter le dossier découle du droit d'être entendu et de l'interdiction du déni de justice formel consacrés à l' art. 4 Cst. Cette garantie procédurale est mise en oeuvre, dans le domaine de l'entraide pénale internationale, par les art. 9 LTEJUS et 79 al. 3 EIMP, qui renvoient aux art. 26 et 27 PA . L' art. 9 al. 1 LTEJUS permet à la personne concernée par l'exécution de la demande d'entraide, sous réserve de l' art. 8 al. 1 TEJUS et dans la mesure où la sauvegarde de ses droits l'exige, de consulter la demande d'entraide et les pièces à l'appui. En vertu de l' art. 9 al. 2 LTEJUS , ce droit n'appartient qu'à l'inculpé domicilié ou résidant habituellement en Suisse, à condition qu'il BGE 118 Ib 436 S. 439 lui soit nécessaire pour sa défense dans la procédure étrangère et que cette procédure ne soit pas entravée. La restriction apportée sur ce point au droit d'être entendu se justifie par les droits que la procédure pénale américaine garantit à l'inculpé (arrêts non publiés du 25 novembre 1985, S., du 13 juin 1986, S., et du 1er décembre 1989, E.; en ce qui concerne l' art. 79 al. 3 EIMP , ATF 113 Ib 268 ss. consid. 4c, ATF 110 Ib 387 ss). b) Le juge d'instruction puis la Chambre d'accusation ont refusé aux recourants le droit de consulter le dossier cantonal d'exécution au motif que B. étant en fuite et n'ayant pas sa résidence habituelle en Suisse, il ne pouvait se prévaloir du droit de consulter le dossier. On peut se demander si cette solution, en soi conforme à l' art. 9 al. 2 LTEJUS , peut être maintenue compte tenu de l'évolution de la jurisprudence relative à la protection juridique garantie dans le cadre de l'entraide judiciaire avec les Etats-Unis. L' art. 16 al. 2 2 e phrase LTEJUS limite les droits d'opposition et de recours de la personne qui fait l'objet de la procédure à l'origine de la demande d'entraide. Cette restriction n'est toutefois pas applicable lorsque cette personne est elle-même concernée directement par la mesure d'entraide contestée. Dans cette dernière hypothèse, il n'existe en effet aucune raison objective de traiter différemment la personne poursuivie selon que la demande émane des Etats-Unis d'Amérique ou d'un autre Etat, l' art. 21 al. 3 EIMP reconnaissant au prévenu ou à l'accusé le droit d'attaquer les décisions qui le touchent personnellement. Sont notamment de telles décisions, celles qui enjoignent à un établissement bancaire l'ordre de fournir des informations sur des comptes dont la personne poursuivie serait le titulaire ( ATF 113 Ib 84 -86 consid. 3). Le droit de faire opposition et de recourir serait illusoire si l'intéressé n'avait pas la possibilité de consulter la demande et les pièces à l'appui. Or, l' art. 9 al. 2 LTEJUS ne reconnaît cette possibilité à l'inculpé que dans une mesure limitée, cette restriction étant comparable à celle instituée à l' art. 16 al. 2 LTEJUS . Si l'on admet que cette dernière disposition n'est pas applicable - comme on l'a vu - à la personne poursuivie qui est concernée directement par la mesure litigieuse, il va de soi que la restriction au droit "de consulter les pièces" au sens de l' art. 9 LTEJUS ne lui est pas non plus opposable lorsqu'elle entend faire usage de son droit d'opposition et de recours. Cette solution se justifie au demeurant tant sur la base de l' art. 4 Cst. qu'à partir du rapport existant entre les art. 9 et 16 LTEJUS . BGE 118 Ib 436 S. 440 Les recourants ont reçu, dans le cadre de la procédure d'opposition, une copie de la demande complémentaire et des pièces à l'appui. Sur ce point, leur droit d'être entendus a été respecté. En revanche, ils n'ont pas eu accès au dossier cantonal d'exécution. Cette restriction ne se justifie pas, compte tenu des principes qui viennent d'être rappelés plus haut, dès lors que les art. 9 LTEJUS et 79 al. 3 EIMP s'appliquent aussi dans le cadre de la procédure cantonale de recours (LIONEL FREI, FJS 67a, p. 88). Le recours doit être admis sur ce point. 4. Les recourants se plaignent de n'avoir pas été autorisés à participer à l'audition des témoins entendus dans le cadre de l'exécution de la demande complémentaire. Ils invoquent à cet égard une violation des art. 12 ch. 2 et 18 ch. 5 TEJUS , ainsi que des art. 4 Cst. , 6 par. 3 let. d CEDH et du Sixième Amendement à la Constitution des Etats-Unis d'Amérique. a) Ces deux derniers griefs n'ont pas à être examinés en l'espèce. En effet, l' art. 6 par. 3 let . d CEDH concerne uniquement la procédure pénale; cette règle ne s'applique pas à la procédure d'entraide, qui relève du droit administratif ( ATF 116 Ib 192 , ATF 111 Ib 134 consid. 3b). Au surplus, il appartiendra au juge du fond de décider si l'audition des témoins a été faite ou non en violation des droits garantis à l'accusé par le droit constitutionnel américain. b) Selon l' art. 12 ch. 2 TEJUS , l'inculpé ou l'accusé, ou son conseil, ou les deux, sont autorisés à assister à l'exécution de la demande, lorsque l'Etat requérant en fait la demande. En l'occurrence, les autorités américaines n'ont pas requis la présence des recourants lors de l'exécution des actes visés dans la demande d'entraide; les recourants ne peuvent par conséquent se prévaloir de cette norme du traité. c) L' art. 18 TEJUS concerne la production et l'authentification de papiers d'affaires à l'Etat requérant. Le ch. 5 de cette disposition a la teneur suivante: "Lorsqu'une demande au sens du présent article concerne une procédure judiciaire pendante, l'accusé, s'il l'exige, peut être présent ou se faire représenter par un conseil; il peut questionner la personne qui produit le document sur l'authenticité et l'admissibilité de celui-ci comme moyen de preuve. Si l'accusé demande d'être présent ou de se faire représenter, un représentant de l'Etat requérant ou de l'un de ses Etats membres peut aussi être présent et poser de telles questions au témoin." aa) La demande américaine porte sur la production et l'authentification de documents au sens de l'art. 18 du traité, visé expressément dans les conclusions de la demande principale du 10 juillet 1990, complétée le 25 juin 1991, ainsi que sur l'audition de témoins appelés à BGE 118 Ib 436 S. 441 produire ces documents. Le juge d'instruction a procédé aux différents actes d'entraide requis. Le 27 août 1991, il a obtenu de l'Union de Banques Suisses à Genève la production de la documentation concernant C. Corp. Le 5 novembre, le juge a entendu F., qui lui a remis des documents et des informations relatives aux mouvements de fonds opérés sur les comptes de B. Le juge a établi, à l'attention des autorités américaines, un certificat d'authenticité de la documentation en question, signé par le témoin. Le 22 janvier 1992, le juge a entendu l'avocat J. qui a répondu, dans les limites du secret professionnel, aux questions portant sur les liens existant entre son étude et B.; ce témoin a aussi remis des documents et des informations au sujet de divers virements de fonds effectués sur le compte de l'étude. Le juge a établi un certificat attestant l'authenticité du procès-verbal de cette audition. A la demande de l'Office fédéral, il a procédé ultérieurement à des enquêtes complémentaires auprès de la Banque scandinave et de l'étude d'avocats B. et D. Ces mesures d'enquête vont au-delà de la procédure d'authentification de papiers d'affaires au sens de l' art. 18 TEJUS , dans la mesure où la demande vise aussi à obtenir des renseignements complémentaires sur des transferts de fonds réalisés par B. et C. Corp., ou des intermédiaires; tel est le cas notamment des questions posées aux témoins F. et J. (cf. ATF 111 Ib 133 /134 consid. 3a). Eu égard au texte clair de l' art. 18 ch. 5 TEJUS , les recourants disposaient en principe du droit de participer à l'exécution des actes d'entraide, dans la mesure où ils portaient sur l'authentification des documents visés par la demande. Cette faculté leur a été refusée, à tort. bb) Les recourants estiment qu'ils auraient un droit illimité de participer à l'audition des témoins. Ils invoquent à ce propos l' ATF 111 Ib 132 ss. Dans cette affaire, le Tribunal fédéral a reconnu au tiers le droit de participer aux actes d'entraide, y compris l'audition des témoins, qui touchent directement à ses intérêts juridiques et matériels. Cette solution se justifie par le fait que le tiers, dont la collaboration est ordonnée dans l'Etat requis, et qui n'est pas partie à la procédure ouverte dans l'Etat requérant, doit se voir reconnaître un large droit de participation à la procédure d'exécution des actes d'entraide, sur la base du droit d'être entendu et des principes généraux de la procédure administrative, car la procédure touche à ses intérêts dignes de protection ( ATF 111 Ib 135 ). Hormis le cas où il est touché directement par la mesure de contrainte requise par l'Etat étranger, il est douteux que l'inculpé dans la procédure étrangère puisse aussi BGE 118 Ib 436 S. 442 invoquer un tel droit, car il dispose de la faculté de faire valoir ses moyens ultérieurement devant le juge pénal étranger. Cette question peut toutefois être résolue sur la base de l' art. 21 al. 2 EIMP , qui accorde aux personnes concernées par la demande le droit de participer à l'exécution des mesures d'entraide, si la sauvegarde de leurs intérêts l'exige, et dans la mesure où l'objet de l'enquête n'est pas compromis. Aucune disposition du traité ou de la loi y relative ne s'oppose à l'application de cette règle dans le cas d'espèce (cf. l' art. 9 al. 1 TEJUS ).
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Urteilskopf 106 V 16 4. Auszug aus dem Urteil vom 23. April 1980 i.S. Ausgleichskasse des Schweizerischen Baumeisterverbandes gegen Catalano sowie Catalano gegen Ausgleichskasse des Schweizerischen Baumeisterverbandes und Verwaltungsgericht des Kantons Luzern
Regeste Art. 88bis Abs. 2 lit. a IVV . Die Revisionsbestimmung über den Zeitpunkt der Wirkung der Rentenherabsetzung ist nicht anwendbar, wenn die Verwaltung bei der erstmaligen Rentenzusprechung nach Massgabe der Veränderung des Invaliditätsgrades rückwirkend vorerst eine ganze, dann eine halbe Rente gewährt.
Erwägungen ab Seite 16 BGE 106 V 16 S. 16 Aus den Erwägungen: 3. a) Im Falle einer rückwirkenden Rentenfestsetzung ist es unter Umständen notwendig, den Invaliditätsgrad für verschiedene zurückliegende Zeitabschnitte nach Massgabe der jeweiligen Erwerbsfähigkeit unterschiedlich hoch zu bemessen. In diesem Sinne kann es vorkommen, dass die Invalidenversicherungs-Kommission den Invaliditätsgrad für eine erste Zeitspanne auf 50% und mit Wirkung ab einem späteren, noch vor der Beschlussfassung liegenden Zeitpunkt auf unter 50% festlegt BGE 106 V 16 S. 17 oder dass sie den zuerst auf über zwei Drittel veranschlagten Invaliditätsgrad auf einen bestimmten Zeitpunkt hin auf 50% reduziert. Dies hat zur Folge, dass die anfängliche halbe oder ganze Rente im Hinblick auf die Änderung des Invaliditätsgrades rückwirkend - bezogen auf den Zeitpunkt der Beschlussfassung durch die Invalidenversicherungs-Kommission - aufgehoben oder herabgesetzt wird. Art. 88bis Abs. 2 IVV ist in einem solchen Falle nicht anwendbar und das Datum der auf dem Beschluss der Invalidenversicherungs-Kommission beruhenden Kassenverfügung hat auf den Zeitpunkt der Aufhebung oder Herabsetzung der Rente keinen Einfluss. b) Im hier zu beurteilenden Fall liegen die Verhältnisse indessen anders. In ihrem ersten Beschluss vom 28. Juni 1978 nahm die Invalidenversicherungs-Kommission einen Invaliditätsgrad von 100% an. Knapp zwei Monate später erliess sie am 22. August 1978 einen weiteren Beschluss, in welchem sie den Invaliditätsgrad auf 50% herabsetzte; dabei handelte es sich klarerweise um eine Revision, die im übrigen bereits im Beschluss vom 28. Juni 1978 vorgesehen war. Wegen der umfangreichen Abklärungen, welche die Ausgleichskasse im Hinblick auf die Rentenberechnung vornehmen musste, lag jedoch im Zeitpunkt des zweiten Beschlusses noch keine Kassenverfügung über den ersten Beschluss vor. Deshalb erliess die Ausgleichskasse am 13. September 1978 gleichzeitig mehrere Verfügungen, die beide Beschlüsse der Invalidenversicherungs-Kommission betrafen. Hätten sich keine zeitaufwendigen Erhebungen durch die Ausgleichskasse als notwendig erwiesen, so wäre die Verfügung über den ersten Beschluss bereits erlassen gewesen, als die Invalidenversicherungs-Kommission ihren zweiten Beschluss fasste. Die Ausgleichskasse hätte in diesem Falle - nach Eingang dieses zweiten Beschlusses (30. August 1978) - im Laufe des Monats September ihre zweite Verfügung erlassen, welche sich dann gegenüber der ersten Verfügung auch datummässig deutlich als Revisionsverfügung ausgewiesen hätte; dabei wäre - entsprechend Art. 88bis Abs. 2 lit. a IVV - eine Rentenherabsetzung erst mit Wirkung ab 1. Oktober 1978 zulässig gewesen. Weil einerseits die Ausgleichskasse ihre Verfügungen im Vorliegenden Fall nur wegen der besonderen Umstände im Verfahrensablauf am gleichen Tag erliess, anderseits aber die Invalidenversicherungs-Kommission offensichtlich eine Revision ihres früheren Beschlusses BGE 106 V 16 S. 18 vornahm, kann Art. 88bis Abs. 2 lit. a IVV nicht ausser acht gelassen werden.
null
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Urteilskopf 80 II 311 51. Urteil der II. Zivilabteilung vom 2. Dezember 1954 i. S. Federer gegen Landwirtschaftlicher Verein Mörsehwil.
Regeste 1. Streitwert bei der Klage auf Einräumung eines Notweges ( Art. 36 OG ). Für die Bestimmung des Streitwertes ist im allgemeinen der Mehrwert massgebend, den das Notwegrecht dem Grundstück des Klägers verleihen würde. Der Betrag der Entschädigung, die der Kläger voraussichtlich für das Notwegrecht zu zahlen hätte, ist von jenem Mehrwert nicht abzuziehen. 2. Zur blossen Verbesserung nicht ganz vollkommener Wegverbindungen mit der öffentlichen Strasse kann ein Grundeigentümer einen Notweg nicht beanspruchen ( Art. 694 Abs. 1 ZGB ). Bei der Frage, ob ein Grundeigentümer grundsätzlich einen Notweg beanspruchen könne, kommt es nicht darauf an, ob sein Interesse an der Gewährung des Notweges grösser ist als dasjenige, das die Nachbarn an der Verweigerung haben.
Sachverhalt ab Seite 312 BGE 80 II 311 S. 312 A.- An der südwestlichen Seite der Bahnhofstrasse in Mörschwil liegen zwischen ihr und der Eisenbahnlinie St. Gallen-Mörschwil neben einander in der Richtung von Nordwesten nach Südosten der Reihe nach die Grundstücke Nr. 140 der Firma Jean Osterwalder & Co., Nr. 741 des Landwirtschaftlichen Vereins Mörschwil, des heutigen Klägers, und Nr. 646 des Eduard Federer, des heutigen Beklagten. Der Kläger hat am 8. März 1954 sein Grundstück, das auf eine Länge von 25 m an die Bahnhofstrasse anstösst und vom Eisenbahngeleise zur Strasse von Westen nach Osten eine Steigung von 10% hat, von der Firma Jean Osterwalder & Co. gekauft. Er beabsichtigt, das auf seinem Grundstück liegende Oekonomiegebäude als Lagerschuppen für den Umschlag landwirtschaftlicher Produkte zu benützen und im übrigen von der Liegenschaft das Most- und Tafelobst auf die Eisenbahnwagen und Lastautomobile zu verladen. Zu diesem Zweck sollen die Landwirte mit ihren Obstfuhren von der Bahnhofstrasse aus auf das Grundstück fahren; dort hätten sie zuerst auf einer neu zu erstellenden Brückenwage ihre Fuhren zu wägen, nachher westlich zu den Verladungsrampen zu fahren und sodann rund um den Lagerschuppen herum gegen Norden auf die Bahnhofstrasse zurückzukehren, so dass der ganze Verladungsbetrieb sich als flüssiger Einbahnverkehr abwickeln würde. Für die Rückfahrt von der Verladungsrampe beim Eisenbahngeleise südwestlich des Lagerschuppens zur Bahnhofstrasse, allenfalls wieder BGE 80 II 311 S. 313 über die Brückenwage zum Wägen des Taragewichtes, soll ein Weg angelegt werden, dessen letztes Stück, bei der Einmündung in die Bahnhofstrasse, auf das Grundstück des Beklagten zu liegen käme, wo bereits das Waldhofsträsschen, eine private Güterstrasse mit öffentlichem Fusswegrecht, durchgeht. B.- Für diesen neu geplanten Weg erhob der Landwirtschaftliche Verein Mörschwil gegen Federer Klage auf Einräumung eines Notwegrechtes, das ihm gestatten würde, den Weg unbeschränkt zu begehen und mit beliebigen Fahrzeugen zu jeder Zeit zu befahren. Er machte in der Klageschrift geltend, ohne das Notwegrecht könnte er sein Grundstück mit Lagergebäude überhaupt nicht richtig bewirtschaften. Vor der kantonalen Rekursinstanz führte er noch weiter aus: Infolge der bestehenden Böschung könnte die Ein- und Ausfahrt ohne das Notwegrecht nur mit enormen Schwierigkeiten und unverhältnismässigen Kosten errichtet werden und zudem nicht in befriedigender Weise. Für die beladenen Fuhrwerke würde ein zu grosses Gefälle entstehen. Der Gemeinderat Mörschwil wies das Klagebegehren ab. Der Regierungsrat des Kantons St. Gallen als Rekursinstanz hob durch Entscheid vom 2. August 1954 den Beschluss des Gemeinderates auf und erkannte: Eduard Federer hat auf seinem Grundstück Parzelle Nr. 646 einen Notweg zum unbeschränkten Befahren und Begehen zugunsten der Nachbar-Parzelle Nr. 741 des landwirtschaftlichen Vereins Mörschwil in folgender Begrenzung zu dulden..." Nach der Annahme des Regierungsrates fällt der geforderte Notweg für den Beklagten als Last nicht ins Gewicht gegenüber den Nachteilen, die aus der Verweigerung des Notweges für den Kläger entstehen würden. C.- Gegen den Entscheid des Regierungsrates hat der Beklagte rechtzeitig die Berufung an das Bundesgericht erklärt mit dem Antrag, der Entscheid sei aufzuheben und ein Notweg nicht zu bewilligen, eventuell die Sache zu neuem Entscheid an die Vorinstanz zurückzuweisen. BGE 80 II 311 S. 314 In Bezug auf den Berufungsstreitwert hat er auf seine Eingabe an den Gemeinderat Mörschwil vom 18. Mai 1954 hingewiesen, worin er gesagt hat: Die vom Kläger geplante Brückenwage hätte zur Folge, dass diejenige, die der Beklagte bisher beim Bahnhof betrieben habe, stillgelegt würde, weil die Bauern nicht mehr, wie bisher, die Brückenwage des Beklagten, sondern diejenige des Klägers benutzen würden. Dieser müsste daher bei Einräumung des geforderten Notweges den Beklagten dafür entschädigen, dass dieser sein jährliches Einkommen von Fr. 1100.-- aus der Brückenwage, sowie das in dieser angelegte Geld verlieren und das Grundstück Nr. 646 eine Werteinbusse erleiden würde. Die Entschädigung müsste über Fr. 20'000.-- betragen. Der Kläger beantragt, auf die Berufung sei wegen mangelnden Streitwertes nicht einzutreten, eventuell sei sie abzuweisen. Er führt aus, der Wert von 32 m2 Boden, der für den Notweg beansprucht werde, betrage nur rund Fr. 112.-- oder, wenn es sich um Bauland handeln sollte, rund Fr. 320.--. Das sei der Streitwert. Die Einbusse, die der Beklagte im Brückenwagenbetrieb erleide, sei nicht Streitgegenstand. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Im vorliegenden Falle dreht sich der Streit nicht um die Frage, welche Entschädigung der Kläger dem Beklagten für den geforderten Notweg bezahlen müsse. Streitig ist einzig, ob dem Kläger ein Anspruch auf Einräumung eines Notweges gegen den Beklagten zustehe. Durch das hierauf gerichtete Begehren wird nach Art. 36 OG der Wert des Streitgegenstandes bestimmt. Entgegen der vom Beklagten geäusserten Auffassung, der die Vorinstanz in ihren Gegenbemerkungen zur Berufung beigestimmt hat, bemisst sich aber dieser Wert in einem Falle wie dem vorliegenden nicht ausschliesslich nach der Belastung, die das Notwegrecht für das Grundstück des Beklagten oder diesen selbst bedeutet. Nach dem Urteil BGE 80 II 311 S. 315 des Bundesgerichtes in Sachen Signer gegen Manser vom 23. Februar 1953 ist für die Bestimmung des Streitwertes im allgemeinen das Interesse des Klägers an der Gutheissung des von ihm geltend gemachten Anspruchs massgebend und entspricht dieses Interesse beim Anspruch auf ein Notwegrecht dem Mehrwert, den dieses Recht dem Grundstück des Klägers verleihen würde. Nach den Angaben des Klägers im vorliegenden Fall ist eine befriedigende Lösung der Zu- und Wegfahrt von und nach der Bahnhofstrasse mit zweckmässigem Umschlags- und Lagerhausbetrieb nicht möglich, wenn er für die Weganlage nur sein eigenes Grundstück verwenden kann, und zwar deshalb, weil dann für die beladenen Fuhrwerke der Weg ein zu grosses Gefälle hätte. Das wird vom Kantonsingenieur in seinem Bericht vom 19. Juli 1954 an das kantonale Justiz- und Sanitätsdepartement bestätigt. Die Vorinstanz stellt denn auch fest, dass ohne das Notwegrecht der Güterumschlag wesentlich erschwert und gefahrvoller würde, weil die Anfahrtswege für schwere Fuhren zu steil würden. Unter diesen Umständen beträgt der für die Berufung massgebende Streitwert offensichtlich mehr als Fr. 4000. Der Betrag der Entschädigung, die der Kläger voraussichtlich für das Notwegrecht zu zahlen hätte, ist bei der Bestimmung des Streitwerts nicht vom Mehrwert, den das Notwegrecht dem Grundstück des Klägers verleihen würde, abzuziehen, da nach der ständigen Praxis des Bundesgerichts bei Erfüllungsklagen aus gegenseitigen Verträgen der Wert der dem Kläger obliegenden Gegenleistung zum Zwecke der Festsetzung des Streitwertes nicht abgerechnet wird ( BGE 46 II 272 ). Es kann daher offen bleiben, ob die Belastung, die das Notwegrecht für das Grundstück des Beklagten bedeuten würde, den nötigen Streitwert nicht erreicht. Die Berufung ist somit zulässig. 2. Nach Art. 694 Abs. 1 ZGB kann die Einräumung eines Notweges der Grundeigentümer beanspruchen, der BGE 80 II 311 S. 316 "keinen genügenden Weg von seinem Grundstück auf eine öffentliche Strasse" hat. Demgemäss dreht sich der Streit im vorliegenden Fall um die Frage, ob der Kläger von seinem Grundstück Nr. 741 bereits einen genügenden Weg auf die Bahnhofstrasse in Mörschwil, eine öffentliche Gemeindestrasse, habe. Die Vorinstanz hat für das Bundesgericht nach Art. 63 Abs. 2 OG in tatsächlicher Beziehung verbindlich festgestellt, dass für eine uneingeschränkte Durchführung des vom Kläger geplanten Lagerhausbetriebes mit Brückenwage ein Fahrweg über die nördliche Ecke des Liegenschaft Nr. 646 des Beklagten zur Bahnhofstrasse nötig sei, weil sonst die Anfahrtswege für schwere Fuhren zu steil würden. Danach hat der Kläger für den Gewerbebetrieb, den er auf seinem Grundstück durchführen will, keinen vollständig genügenden Weg auf die Bahnhofstrasse. Er hätte also nach dem Wortlaut des Art. 694 Abs. 1 ZGB an und für sich einen Anspruch darauf, dass ihm ein solcher Weg eingeräumt würde. Allein für die Auslegung einer Gesetzesbestimmung ist nicht ausschliesslich ihr Wortlaut massgebend. Ihre Entstehungsgeschichte, ihr Grund und Zweck, der Zusammenhang mit andern Gesetzesbestimmungen ist ebenfalls zu berücksichtigen und kann eine einschränkende oder ausdehnende Auslegung rechtfertigen. Art. 694 ZGB ist aus den bisherigen Bestimmungen der kantonalen Rechte über das Notwegrecht entstanden. Diese knüpften (wie in HUBER, System und Geschichte des schweizerischen Privatrechts III S. 315 ff. ausgeführt wird) das Recht an die Voraussetzung, dass ein Gebäude oder ein landwirtschaftliches Grundstück von der Verbindung mit den öffentlichen Strassen und Wegen abgeschnitten sei oder an keinem Wege liege (so Zürich PGB § 139, Schaffhausen PGB § 515, Basel-Stadt, Gesetz betr. die Nachbarrechte § 10, ähnlich auch Graubünden PR § 230, Zug PGB § 168) oder dass es nicht die zu seiner Benutzung oder Bewerbung unumgänglich notwendigen BGE 80 II 311 S. 317 Fuss-, Fahr- und Tränkwegrechte besitze (so Glarus BGB § 28) oder dass es keine oder eine beschränkte Zu- und Ausfahrt auf einen gemeinen Weg oder keine freie Zu- und Abfahrt habe (so Solothurn CGB § 375, Aargau BGB § 493, Flurgesetz § 53, ähnlich Thurgau, Flurgesetz § 33). Die welschen Kantone sprachen das Recht nur zu dem "propriétaire dont les fonds sont enclavés et qui n'a aucune issue sur la voie publique" (entsprechend dem bis zum Gesetz vom 20. August 1881 geltenden Art. 682 des franz. CC), der Kanton Tessin ebenso nur dem "possessore di un fondo che manca di ogni accesso" (CC Art. 296). Diese Bestimmungen zeigen, dass sie da, wo der unumgänglich notwendige Fuss- oder Fahrweg, der freie Zugang oder die freie Zufahrt zu einem Grundstück und damit die nötige Verbindung mit dem öffentlichen Strassennetz, der Aussenwelt mehr oder weniger vorhanden ist, keinen Notweganspruch einräumen wollten. Das gilt grundsätzlich auch nach Art. 694 ZGB . Die Vorinstanz hat dem Kläger den Notweg deshalb eingeräumt, weil sie auf Grund eines Augenscheins und eines Berichtes des Kantonsingenieurs davon ausging, dass sonst die Weganlage teilweise für schwere Fuhren zu steil würde und deshalb keine befriedigende Lösung bilden würde. Dieser Umstand genügt aber nicht für die Gewährung des Notweges. Einen solchen kann ein Grundeigentümer vom Gesichtspunkt des Art. 694 ZGB aus nur fordern, wenn er sich in der Not befindet, wenn die nach den wirtschaftlichen Bedürfnissen seines Grundstücks erforderliche Verbindung mit der öffentlichen Strasse überhaupt fehlt oder doch schwer beeinträchtigt ist. Für die blosse Verbesserung von nicht ganz vollkommenen Wegverhältnissen kann ein Notweg nicht eingeräumt werden (Urteil des Bundesgerichtes i.S. Schmidig vom 20. September 1935 im Zentralblatt f. Staats- und Gemeindeverwaltung 37 S. 140 ff.; vgl. STAUDINGER, Komm. z. BGB, 10. Aufl. § 917 Anm. II 2 a, 3, N. 28, 31; PLANIOL-RIPERT-PICARD, Droit civil français 2e éd. III S. 902 N. 926). Die Vorinstanz führt BGE 80 II 311 S. 318 denn auch selbst, ähnlich wie die staatsrechtliche Abteilung des Bundesgerichtes im Urteil i.S. Schmidig vom 20. September 1935 und der Regierungsrat des Kantons Luzern in einem Entscheid vom Jahre 1933 (Zentralblatt f. Staats- und Gemeindeverwaltung 35 S. 211 f.) aus, dass man es mit den Voraussetzungen für den Notweg streng nehmen müsse, sie nicht ausdehnend auslegen, sondern den Notweg nur in einem wirklichen Notfall einräumen dürfe, da sonst die Gewährung solcher Wege ins Uferlose führen würde. Wenn auch im vorliegenden Fall die Weganlage, sofern sie sich innerhalb der Grenzen des Grundstückes des Klägers halten muss, teilweise für schwere Fuhren zu steil würde, so ist doch nicht anzunehmen, dass dadurch der Betrieb des Unternehmens der Klägers schwer beeinträchtigt würde. Sein Grundstück grenzt auf eine Länge von 25 m unmittelbar an eine gewöhnliche öffentliche Strasse und zwar ohne Niveauunterschied und ohne ein Gefälle, das 10% übersteigt. Anderseits hat der Kläger im kantonalen Verfahren überhaupt nicht angegeben, wo und in welchem Masse ein zu grosses Gefälle entstehen würde und welche Kosten die Weganlage ohne den Notweg verursachen würde. Dem Kläger darf daher zugemutet werden, für den Verkehr mit Lastwagen die erforderliche Gewichtsgrenze vorzuschreiben oder zur Verminderung des Gefälles gewisse Arbeiten auszuführen. Für einen unbeschränkten Verkehr oder eine billige Weganlage könnte er fremdes Grundeigentum nur beanspruchen, wenn ihm das Expropriationsrecht im öffentlichen Interesse zustände, nicht aber auch auf Grund des Art. 694 ZGB lediglich im eigenen Interesse. 3. Bei der Frage, ob der Kläger grundsätzlich einen Notweg beanspruchen könne, kommt es entgegen der Auffassung der Vorinstanz nicht darauf an, ob der Notweg als Last für den Beklagten nicht ins Gewicht falle gegenüber den Nachteilen, die dem Kläger aus einer Verweigerung erwachsen würden. Auf die gegenseitigen Interessen ist nach Art. 694 Abs. 2 und 3 ZGB erst bei der Festsetzung BGE 80 II 311 S. 319 des Notweges Rücksicht zu nehmen, also dann, wenn zu bestimmen ist, wo und wie der einzuräumende Notweg durchgehen soll. 4. Das angefochtene Urteil ist somit wegen Verletzung des Art. 694 ZGB aufzuheben und die Klage auf Einräumung eines Notweges abzuweisen. Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Berufung wird gutgeheissen, der Entscheid des Regierungsrates des Kantons St. Gallen vom 2. August 1954 aufgehoben und die Klage auf Einräumung eines Notwegrechtes abgewiesen.
public_law
nan
de
1,954
CH_BGE
CH_BGE_004
CH
Federation
20a58142-5d62-497e-aa69-484cf13c12e2
Urteilskopf 94 III 101 17. Auszug aus dem Entscheid vom 23. Dezember 1968 i.S. Messen.
Regeste Bei öffentlicher Versteigerung einer Liegenschaft im Konkurs hat der Gemeinschuldner im Unterschied zu den Pfandgläubigern nicht Anspruch auf Zustellung eines Exemplars der Steigerungspublikation ( Art. 257 Abs. 3 SchKG , 71 KV, 129 VZG).
Sachverhalt ab Seite 101 BGE 94 III 101 S. 101 Im Konkurs einer Aktiengesellschaft wurde die Versteigerung einer ihr gehörenden Liegenschaft öffentlich angekündigt. Mit einer vier Wochen nach dem Erscheinen dieser Bekanntmachung eingereichten Beschwerde beanstandete der Verwaltungsratspräsident der Gemeinschuldnerin u.a. die Schätzung der Liegenschaft. Das Bundesgericht erklärt die Beschwerde in diesem Punkte mit der kantonalen Aufsichtsbehörde als verspätet, ohne darauf Rücksicht zu nehmen, ob der Beschwerdeführer ein Exemplar der Steigerungspublikation (mit Angabe der Schätzungssumme) erhalten habe oder nicht. BGE 94 III 101 S. 102 Erwägungen Aus den Erwägungen: Ob der Rekurrent ein Exemplar der Steigerungspublikation erhalten habe, was aus den Akten nicht ersichtlich ist, kann dahingestellt bleiben. In BGE 88 III 82 b, wo es sich um einen Freihandverkauf handelte, wurde freilich bloss erklärt, aus der Tatsache, dass die Art. 257 Abs. 3 SchKG , 71 KV und 129 VZG nur von Spezialanzeigen an die Pfandgläubiger sprechen, sei "möglicherweise" zu schliessen, Art. 125 Abs. 3 und Art. 139 SchKG sowie Art. 30 Abs. 2 VZG , wonach die Steigerung dem Pfändungsschuldner besonders anzuzeigen ist, seien bei der Verwertung durch öffentliche Versteigerung im Konkurs nicht entsprechend anwendbar, sondern der Gemeinschuldner müsse sich die Annahme gefallen lassen, er habe von der Steigerung durch die öffentliche Bekanntmachung Kenntnis erhalten. In Wirklichkeit zwingen jedoch das Gesetz und die Verordnungen zu diesem Schluss. Art. 257 Abs. 3 SchKG schreibt nur vor, den Grundpfandgläubigern seien Exemplare der Bekanntmachung mit Angabe der Schätzungssumme zuzustellen. Art. 71 KV erwähnt ausser den Grundpfandgläubigern nur die Gläubiger, denen Pfandtitel verpfändet sind. Art. 129 VZG spricht dementsprechend nur von Spezialanzeigen an die Pfandgläubiger. In Übereinstimmung damit ist das obligatorische Konkursformular Nr. 8 a ("Anzeige über die einzige konkursrechtliche Liegenschaftssteigerung") eindeutig auf die Pfandgläubiger zugeschnitten. Dem Rekurrenten brauchte also ein Exemplar der Steigerungspublikation nicht zugestellt zu werden. Das Gesetz mutet dem Gemeinschuldner zu, die seinen Konkurs betreffenden Bekanntmachungen zu verfolgen. FRITZSCHE (Schuldbetreibung und Konkurs, Band II, 1968, S. 165) empfiehlt den Konkursverwaltungen die Zustellung einer Spezialanzeige an den Gemeinschuldner im Hinblick auf BGE 88 III 82 lediglich als Vorsichtsmassnahme.
null
nan
de
1,968
CH_BGE
CH_BGE_005
CH
Federation
20a97df0-eb26-4f80-bcfc-7ba70847ce95
Urteilskopf 139 I 121 10. Auszug aus dem Urteil der I. sozialrechtlichen Abteilung i.S. R. gegen Basler Versicherung AG (Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten) 8C_602/2012 vom 12. April 2013
Regeste Art. 30 Abs. 1 BV ; Art. 6 Ziff. 1 EMRK ; Ausstandsbegehren gegen sämtliche Mitglieder eines Gerichts. Der Umstand, dass ein Parteivertreter in Drittverfahren am Gericht ein Ersatzrichteramt bekleidet, stellt die Unbefangenheit der Gerichtsmitglieder nicht generell in Frage. Fehlt ein Verbot für das Auftreten von Ersatzrichtern als Parteivertreter, müssen über die äusseren Gegebenheiten funktioneller und organisatorischer Natur hinaus Umstände vorliegen, die den Anschein der Befangenheit und die Gefahr der Voreingenommenheit der einzelnen Gerichtsmitglieder zu begründen vermögen (E. 5.2-5.4). Bestätigung der Rechtsprechung in BGE 133 I 1 , gemäss welcher die blosse Kollegialität unter Gerichtsmitgliedern keine Ausstandspflicht gebietet.
Sachverhalt ab Seite 122 BGE 139 I 121 S. 122 A. A.a Die Basler Versicherungen AG (nachfolgend: Basler) erbrachte dem 1949 geborenen R. nach einem Zeckenbiss Versicherungsleistungen. Mit Verfügung vom 11. Juni 2010 stellte sie die Heilkosten- und Taggeldleistungen mit sofortiger Wirkung ein und verneinte einen Anspruch auf weitere Leistungen gemäss UVG, da die noch geklagten Beschwerden nicht überwiegend wahrscheinlich kausal zum Zeckenbiss seien. An ihrem Standpunkt hielt sie mit Einspracheentscheid vom 11. Januar 2011 fest. Dagegen liess R. beim Verwaltungsgericht des Kantons Thurgau Beschwerde erheben und die Ausrichtung der gesetzlichen Leistungen der obligatorischen Unfallversicherung beantragen. A.b Mit Eingabe vom 4. April 2011 wies der Rechtsvertreter von R. darauf hin, dass der Rechtsvertreter der Basler, Rechtsanwalt Simon Krauter, als nebenamtlicher Richter am Verwaltungsgericht des Kantons Thurgau tätig sei, und verlangte die Überweisung der Sache an das Versicherungsgericht eines andern Kantons. Nach Durchführung einer Plenarsitzung wies das Verwaltungsgericht das Ausstandsbegehren mit Entscheid vom 1. Juni 2011 ab. (...) A.d Mit Urteil vom 1. Februar 2012 hiess das Bundesgericht die dagegen erhobene Beschwerde in dem Sinne gut, dass der Entscheid des Verwaltungsgerichts des Kantons Thurgau vom 1. Juni 2011 aufgehoben und die Sache an die Vorinstanz zurückgewiesen wurde, damit ein nach dem Recht des Kantons Thurgau zuständiger Spruchkörper über das Ausstandsbegehren entscheide. BGE 139 I 121 S. 123 B. Nachdem das Verwaltungsgericht des Kantons Thurgau mit Entscheid vom 15. Februar 2012 beschlossen hatte, dass das Verwaltungsgericht zur Prüfung der Frage der Befangenheit mit den Präsidenten der Rekurskommissionen besetzt werde und gegen die vorgeschlagene Besetzung keine Einwände erhoben worden waren, wies das Verwaltungsgericht in ausserordentlicher Besetzung das Ausstandsbegehren mit Entscheid vom 13. Juni 2012 ab. C. Mit Verfassungsbeschwerde lässt R. beantragen, der Entscheid des ersatzweise besetzten Verwaltungsgerichts des Kantons Thurgau vom 13. Juni 2012 sei aufzuheben, alle haupt- oder nebenamtlichen Richter des Verwaltungsgerichts des Kantons Thurgau seien zu verpflichten, bei der Behandlung dieser Sache den Ausstand zu beachten und es sei an ihrer Stelle das ersatzweise besetzte Verwaltungsgericht des Kantons Thurgau, eventualiter das Versicherungsgericht eines andern Kantons, zu verpflichten, die Beschwerde gegen den Einspracheentscheid der Basler vom 11. Januar 2011 verfahrensleitend zu behandeln und darüber zu entscheiden. Die Basler schliesst auf Abweisung der Beschwerde, soweit darauf einzutreten sei. Das Bundesamt für Gesundheit verzichtet auf eine Vernehmlassung. Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab. (Zusammenfassung) Erwägungen Aus den Erwägungen: 3. Zur Begründung des Ausstandsbegehrens macht der Beschwerdeführer im Wesentlichen geltend, durch den Anwaltsauftritt eines nebenamtlichen Richters vor dem eigenen Gericht werde der Anschein der Unbefangenheit der andern Richterkollegen getrübt, was den Anspruch auf ein unvoreingenommenes und unabhängiges Gericht nach Art. 30 Abs. 1 BV verletze. Nebstdem führe der Auftritt des Anwalts der Beschwerdegegnerin vor seinen Versicherungsrichterkollegen zu einer fehlenden Waffengleichheit und damit zu einer Verletzung des Anspruchs auf ein faires Verfahren nach Art. 29 BV und auf Rechtsgleichheit nach Art. 8 Abs. 1 BV . 4. Streitig ist, ob der Umstand, dass der gegnerische Anwalt Ersatzrichter - entgegen den Ausführungen des Beschwerdeführers nicht nebenamtlicher Richter - am Verwaltungsgericht des Kantons Thurgau ist, einen Ausstandsgrund für die Richter dieses Gerichts darstellt. 4.1 Nach Art. 30 Abs. 1 BV und Art. 6 Ziff. 1 EMRK , die in dieser Hinsicht dieselbe Tragweite besitzen, hat der Einzelne Anspruch BGE 139 I 121 S. 124 darauf, dass seine Sache von einem durch Gesetz geschaffenen, zuständigen, unabhängigen und unparteiischen Gericht ohne Einwirken sachfremder Umstände entschieden wird. Ob diese Garantie verletzt ist, prüft das Bundesgericht frei ( BGE 137 I 227 E. 2.1 S. 229 mit Hinweisen). Unter dem Gesichtswinkel von Art. 30 Abs. 1 BV bzw. Art. 6 Ziff. 1 EMRK wird meist die Frage aufgeworfen, ob besondere Umstände betreffend das Verhältnis zwischen einem Richter und einer Partei bei objektiver Betrachtung geeignet seien, den Anschein der Befangenheit des Richters zu erwecken. Indessen ist es denkbar und von der Rechtsprechung ebenso anerkannt, dass - wie hier - besondere Gegebenheiten hinsichtlich des Verhältnisses zwischen einem Richter und einem Parteivertreter die Voreingenommenheit des Ersteren begründen können ( BGE 133 I 1 E. 5.2 S. 3 mit Hinweisen). 4.2 Vorliegend steht die Konstellation zur Diskussion, dass ein Parteivertreter gleichzeitig - in Drittverfahren - ein Ersatzrichteramt bekleidet. Es stellt sich die Frage, ob in einem solchen Fall darüber hinaus - wie der Beschwerdeführer geltend macht - der Anspruch auf Waffengleichheit tangiert wird. 4.2.1 Die Rechtsprechung leitet aus Art. 29 Abs. 1 BV und aus Art. 6 Ziff. 1 EMRK das Gebot eines fairen Verfahrens ab ( BGE 133 I 1 E. 5.3.1 S. 4 mit Hinweisen). Das Gebot der Waffengleichheit bildet daraus einen Teilgehalt. Er betrifft den Anspruch der versicherten Person, nicht in eine prozessuale Lage versetzt zu werden, aus der sie keine vernünftige Chance hat, ihre Sache dem Gericht zu unterbreiten, ohne gegenüber der anderen Partei klar benachteiligt zu sein ( BGE 137 V 210 E. 2.1.2.1 S. 229; BGE 135 V 465 E. 4.3.1 S. 469; je mit Hinweis auf die Urteile des EGMR Steel und Morris gegen Vereinigtes Königreich vom 15. Mai 2005, Recueil CourEDH 2005-II S. 45 § 62 und Yvon gegen Frankreich vom 24. April 2003, Recueil CourEDH 2003-V S. 29 § 31; RENÉ WIEDERKEHR, Fairness als Verfassungsgrundsatz, 2006, S. 25 ff.). Dieses formale Prinzip ist schon dann verletzt, wenn eine Partei bevorteilt wird; nicht notwendig ist, dass die Gegenpartei dadurch tatsächlich einen Nachteil erleidet ( BGE 137 V 210 E. 2.1.2.1 S. 229 mit Hinweisen). 4.2.2 Das Bundesgericht hat in BGE 133 I 1 bei der Frage der Unbefangenheit eines Richters in einem Prozess, in dem das Mitglied einer Rechtsmittelinstanz als Parteivertreter auftritt, die Problematik des allfälligen Übergewichts einer Partei wegen der besondern Stellung ihres Rechtsvertreters unter dem Aspekt der Waffengleichheit BGE 139 I 121 S. 125 geprüft. Es hat darauf hingewiesen, dass es jeder Partei freisteht, unter den zugelassenen Rechtsanwältinnen und Rechtsanwälten diejenigen zu mandatieren, die ihnen am besten geeignet erscheinen, ihre Interessen wirksam zu verfolgen, und ist zum Schluss gekommen, dass infolge Fehlens von Anhaltspunkten für die Gefahr einer Einschüchterung bzw. in Anbetracht des selbstbewussten Vortragens des Ausstandsbegehrens kein Anlass bestehe, die Ausstandsfrage verfassungsrechtlich zusätzlich unter dem Gesichtswinkel der Waffengleichheit zu überprüfen ( BGE 133 I 1 E. 5.3 S. 4). Dasselbe hat mangels konkreter Anhaltspunkte für ein Übergewicht einer Partei für die vorliegende Konstellation zu gelten. 4.3 Zusammenfassend ist somit das Ausstandsbegehren lediglich im Licht von Art. 30 Abs. 1 BV bzw. Art. 6 Ziff. 1 EMRK zu beurteilen. Festzuhalten ist diesbezüglich vorab, dass sich Ausstandsbegehren rechtsprechungsgemäss nur gegen (sämtliche) Mitglieder einer Behörde, nicht aber gegen eine Behörde als solche richten können (Urteil 8C_712/2011 vom 18. Oktober 2011 E. 3.3 mit Hinweis). Es ist daher zu prüfen, ob konkrete Befangenheitsgründe gegen einzelne Mitglieder geltend gemacht wurden, welche über eine pauschale Ablehnung hinausgehen. 5. 5.1 Die Verfahrensgarantie gemäss Art. 30 Abs. 1 BV und Art. 6 Ziff. 1 EMRK wird verletzt, soweit bei objektiver Betrachtung Gegebenheiten vorliegen, die den Anschein der Befangenheit oder die Gefahr der Voreingenommenheit des Gerichtsmitglieds begründen. Solche Umstände können in einem bestimmten Verhalten des betreffenden Gerichtsmitglieds oder gewissen äusseren Gegebenheiten funktioneller und organisatorischer Natur begründet sein. Nicht entscheidend ist das subjektive Empfinden einer Partei; ihr Misstrauen in die Unvoreingenommenheit muss in objektiver Weise begründet sein. Dabei reicht es praxisgemäss aus, dass Umstände vorliegen, die bei objektiver Betrachtung den blossen Anschein der Befangenheit und Voreingenommenheit erwecken. Nicht verlangt wird, dass das Gerichtsmitglied tatsächlich befangen ist ( BGE 138 I 1 E. 2.2 S. 3 f.; BGE 137 I 227 E. 2.1 S. 229; je mit Hinweisen). Mit andern Worten muss gewährleistet sein, dass der Prozess aus Sicht aller Betroffenen als offen erscheint. Besondere Gegebenheiten namentlich hinsichtlich des Verhältnisses zwischen einem Richter und einem Parteivertreter, welche den objektiven Anschein der Befangenheit des Ersteren zu begründen und daher dessen Ausstand zu gebieten vermöchten, können BGE 139 I 121 S. 126 sich gleichermassen auf ein besonders freundschaftliches als auch auf ein besonders feindschaftliches Verhältnis zwischen Richter und Rechtsvertreter beziehen. In solchen Situationen kann Voreingenommenheit des Richters indessen nur bei Vorliegen spezieller Umstände und mit Zurückhaltung angenommen werden. Erforderlich wäre, dass die Intensität und Qualität der beanstandeten Beziehung vom Mass des sozial Üblichen abweicht und bei objektiver Betrachtung geeignet ist, sich auf die Partei selbst und deren Prozess auszuwirken, und derart den Anschein der Befangenheit hervorzurufen vermag (vgl. Urteil 5A_253/2010 vom 10. Mai 2010 E.2.2 mit Hinweis auf REGINA KIENER, Richterliche Unabhängigkeit, 2001, S. 133 und Urteile 1B_303/2008 vom 25. März 2009 E. 2.2 sowie 1P.180/2004 vom 7. Mai 2004 E. 2.5). So hat das Bundesgericht im kürzlich ergangenen BGE 138 I 406 die in BGE 135 I 14 begründete Rechtsprechung bestätigt, wonach ein als Richter amtierender Anwalt nicht nur dann als befangen erscheint, wenn er in einem anderen Verfahren eine der Prozessparteien vertritt oder kurz vorher vertreten hat, sondern auch dann, wenn im anderen Verfahren ein solches Vertretungsverhältnis zur Gegenpartei einer der Prozessparteien besteht bzw. bestand, dies jedoch ohne die Doppelfunktion Anwalt/nebenamtlicher Richter grundsätzlich in Frage zu stellen. 5.2 Vorliegend steht primär zur Diskussion, ob die abgelehnten Richterinnen und Richter wegen äusserer Gegebenheiten funktioneller und organisatorischer Natur den Anschein der Parteilichkeit erwecken. Es geht um die Befürchtung, die Mitglieder des Gerichts seien nicht mehr unparteiisch und unabhängig, weil der Rechtsvertreter der Beschwerdegegnerin infolge seiner Ersatzrichtertätigkeit an diesem Gericht über ein Beziehungsnetz, ein Solidaritätsnetz und ein Insiderwissen verfüge. 5.3 Im bereits erwähnten BGE 133 I 1 hat das Bundesgericht unter Berücksichtigung der Rechtsprechung des Europäischen Gerichtshofs für Menschenrechte sowie der Literatur zur Frage der Unparteilichkeit von Gerichtsmitgliedern an der bisherigen Rechtsprechung festgehalten, gemäss welcher die blosse Kollegialität unter Gerichtsmitgliedern keine Ausstandspflicht gebiete. Es hat der Kritik verschiedener Autoren, wonach die berufliche Beziehung zwischen dem als Anwalt auftretenden Richter und seinen mit der Sache befassten Richterkollegen über die üblichen sozialen Bindungen hinausgehe, zwar nicht jede Berechtigung abgesprochen. Indessen hat es dargelegt, die bisherige, eine Ausstandspflicht in derartigen BGE 139 I 121 S. 127 Fällen verneinende Rechtsprechung gründe auf der Überlegung, dass die Mitglieder eines Kollegialgerichts in ihrer Stellung voneinander unabhängig seien, und vermöge durch den pauschalen Vorwurf, ein als Anwalt auftretendes Gerichtsmitglied besitze bei seinen Kollegen regelmässig erhöhte Autorität bzw. einen Insidervorteil nicht umgestossen zu werden. Es wies darauf hin, die Gerichtsmitglieder seien persönlich - und nicht etwa als Team - dem Recht verpflichtet, wobei die öffentliche Urteilsberatung und eine grosszügige Veröffentlichung der Rechtsprechungsgrundsätze Transparenz gewährten. Das Bundesgericht bezog sich in BGE 133 I 1 E. 6.4.4 schliesslich auf das Urteil 1P.76/1998 vom 17. März 1998 E. 2, in: ZBl 100/1999 S. 136, in welchem es die Rüge der Voreingenommenheit eines Verwaltungsrichters zu beurteilen hatte, weil die Rechtsvertreterin der einen Partei teilamtliche Verwaltungsrichterin sei und in dieser Funktion mit dem betreffenden Verwaltungsrichter zusammenarbeite. In dieser - mit der vorliegenden vergleichbaren - Konstellation ist das Bundesgericht damals zum Schluss gekommen, die allgemeine und vom konkreten Fall losgelöste Zusammenarbeit zwischen vollamtlichen Richtern einerseits und teil- oder nebenamtlichen Richtern andererseits sei nicht geeignet, die Unbefangenheit der Richter generell in Frage zu stellen, wenn in einem konkreten Fall ein teil- oder nebenamtlicher Richter in seiner privaten Tätigkeit eine Partei vertritt. Es habe es daher zugelassen, dass Ersatzrichter eines Gerichts in ihrer anwaltlichen Tätigkeit ihre Parteien vor diesem Gericht vertreten würden. Mangels Nennung oder Ersichtlichkeit konkreter Umstände, welche den Verwaltungsrichter als befangen erscheinen liessen, hielt es die Rüge für unbegründet. 5.4 Von dieser Rechtsprechung abzuweichen besteht vorliegend kein Anlass. 5.4.1 Wohl trifft es zu, dass bei einer Konstellation, in welcher ein Parteivertreter vor dem Gericht auftritt, an dem er auch als nebenamtlicher Richter oder Ersatzrichter tätig ist, für Aussenstehende nicht ersichtlich ist, in welchem Verhältnis der Anwalt zu seinen zeitweiligen Richterkollegen steht (vgl. KIENER/MEDICI, Anwälte und andere Richter - Zur Befangenheit von Richtern aufgrund anderer Erwerbstätigkeiten, SJZ 107/2011 S. 381). Solche Konstellationen sind indessen in der Schweiz relativ häufig. Gerade auch im Urteil 2P.301/2005 vom 23. Juni 2006, auf welches sich der Beschwerdeführer beruft, wird darauf hingewiesen, dass das aargauische Recht zwar nicht die gleichzeitige Tätigkeit voll- und nebenamtlicher Richter als Anwalt, aber eine solche Tätigkeit doch bei Ersatzrichtern zulasse. Auch BGE 139 I 121 S. 128 wenn die Ersatzrichter - so das Bundesgericht - nur wenige Fälle pro Jahr referieren dürften, sei damit ein latentes Risiko von Interessenkollision verbunden, zumal es ihnen nicht untersagt sei, vor dem gleichen Gericht auch als Anwalt aufzutreten. Es wies dann jedoch darauf hin, dass bei Ersatzrichtern erwünscht sei, dass sie Erfahrung aus der Praxis mitbringen, was insbesondere bei Anwälten der Fall sei (Urteil 2P.301/2005 vom 23. Juni 2006 E. 5.3). 5.4.2 Es wäre zwar grundsätzlich zu begrüssen, wenn ein Richter vor dem Gericht, dem er ersatzweise angehört, nicht als Parteivertreter auftritt. Weder aus Art. 30 Abs. 1 BV noch aus Art. 6 Ziff. 1 EMRK kann indessen ein entsprechendes generelles Verbot abgeleitet werden. Es ist dem zuständigen Gesetzgeber anheimgestellt, ob er über die verfassungs- und konventionsrechtlichen Erfordernisse hinausgehen und einem Ersatzrichter das (berufsmässige) Vertreten Dritter vor dem Gericht, dem er angehört, untersagen will. Entsprechende Regelungen finden sich in verschiedenen Kantonen wie auch auf Bundesebene (vgl. Art. 6 Abs. 2 BGG betreffend die nebenamtlichen Bundesrichterinnen und Bundesrichter; Art. 44 Abs. 4 des Bundesgesetzes vom 19. März 2010 über die Organisation der Strafbehörden des Bundes [Strafbehördenorganisationsgesetz, StBOG; SR 173.71] für die nebenamtlichen Richterinnen und Richter des Bundesstrafgerichts; den nebenamtlichen Richterinnen und Richtern des Bundespatentgerichts ist die Vertretung Dritter vor dem Gericht gestattet, vgl. Art. 10 Abs. 4 des Bundesgesetzes vom 20. März 2009 über das Bundespatentgericht [Patentgerichtsgesetz, PatGG; SR 173.41] e contrario). Fehlt - wie vorliegend im Kanton Thurgau - eine solche Bestimmung, ist es Sache des Gerichts, darüber zu entscheiden, ob im konkreten Fall über die äusseren Gegebenheiten funktioneller und organisatorischer Natur hinaus Umstände vorliegen, die den Anschein der Befangenheit und die Gefahr der Voreingenommenheit der einzelnen Gerichtsmitglieder zu begründen vermögen. Ausser dem pauschalen Vorwurf der fehlenden Unparteilichkeit und Unabhängigkeit der Richterinnen und Richter zufolge Kollegialität und Insiderwissen bringt der Beschwerdeführer jedoch nichts vor, was auf Befangenheit der einzelnen Mitglieder des Gerichts schliessen liesse. Diesbezüglich ist festzuhalten, dass die Stellung der Ersatzrichter im Kanton Thurgau sowohl in quantitativer Hinsicht bei der Fallzuteilung wie auch in qualitativer Hinsicht von derjenigen der nebenamtlichen Richter abweicht. So hatten die Ersatzrichter bis Ende 2012 an den Plenarsitzungen, sofern sie überhaupt anwesend waren, lediglich BGE 139 I 121 S. 129 beratende Stimme, seit 1. Januar 2013 auch das nicht mehr (§ 1 Abs. 3 der thurgauischen Verordnung des Verwaltungsgerichtes vom 8. August 1984 über die Organisation und den Geschäftsgang in der bis 31. Dezember 2012 geltenden Fassung [RB 173.21]; § 1 der thurgauischen Verordnung des Verwaltungsgerichts vom 14. November 2012 über die Organisation und den Geschäftsgang [RB 173.21] in der ab 1. Januar 2013 in Kraft stehenden Fassung in Verbindung mit § 31 Abs. 1 des Gesetzes des Kantons Thurgau vom 23. Februar 1981 über die Verwaltungsrechtspflege [RB 170.1]) und verfügen sie über keine Infrastruktur am Gericht. In keiner Weise macht der Beschwerdeführer sodann geltend, das bisherige Verhalten der Richterinnen oder Richter lasse an ihrer Neutralität zweifeln. Es fehlen denn auch entsprechende Anhaltspunkte. 5.5 Zusammenfassend ist festzuhalten, dass die Vorinstanz mit der Abweisung des Ausstandsbegehrens gegen die einzelnen Mitglieder des Verwaltungsgerichts des Kantons Thurgau kein Bundesrecht verletzt hat, weshalb die Beschwerde abzuweisen ist.
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2,013
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20a9f501-d564-4659-af62-7f04d45b6477
Urteilskopf 89 IV 71 14. Arrêt de la Cour de cassation pénale du 29 avril 1963 dans la cause Equey contre Rochat
Regeste 1. Art. 270 Abs. 1 und 268 Abs. 2 BStP. Legitimation des Antragstellers zur Nichtigkeitsbeschwerde gegen das Urteil eines waadtländischen Bezirksgerichts (Erw. 1). 2. Art. 126 StGB . Eine leichte Züchtigung (Ohrfeige), die ein Hausverwalter in Ausübung seiner Pflichten einem Kinde zufügt und die innerhalb vernünftiger Grenzen bleibt, stellt keine Täthchkeit dar (Erw. 2).
Sachverhalt ab Seite 72 BGE 89 IV 71 S. 72 Edouard Rochat est concierge des immeubles nos 3, 5, 7 et 9 de l'avenue d'Epenex, à Chavannes-Renens. Imelda Equey et son fils Pascal, âgé de trois ans et demi, habitent l'immeuble no 5. En septembre 1962, une fouille a été faite dans un pré à proximité immédiate du bâtiment no 9. Des enfants de la maison se sont amusés à y prendre de la terre et des cailloux pour les lancer. Rochat est intervenu à plusieurs reprises à ce sujet. Un jour que Pascal Equey se trouvait à proximité de la fouille, l'ouvrier qui y travaillait, craignant un accident, lui a dit de s'en aller. Arrivé sur ces entrefaites, Rochat a empoigné le garçon, l'a déposé sur un chemin et lui a donné une gifle. La mère du jeune Equey ayant déposé plainte, Rochat fut renvoyé devant le Tribunal de simple police du district de Morges sous l'inculpation de voies de fait (art. 126 CP). Par jugement du 25 février 1963, le tribunal l'a libéré de toute peine, estimant que les circonstances dans lesquelles la gifle avait été donnée expliquaient l'acte dans une large mesure. Dame Equey se pourvoit en nullité et conclut au renvoi de la cause à la juridiction cantonale afin que Rochat soit condamné pour voies de fait. Erwägungen Considérant en droit: 1. En droit vaudois, hormis certaines exceptions non réalisées ici, le plaignant n'a pas qualité pour recourir en réforme à la cour de cassation cantonale (art. 426 CPP; cf. les arrêts cités au JdT 1958 IV 127). Lors donc qu'il s'agit, comme en l'espèce, d'une infraction poursuivie sur BGE 89 IV 71 S. 73 plainte seulement, il doit se pourvoir en nullité déjà contre le jugement du tribunal de district. Le présent recours, qui satisfait d'ailleurs aux exigences de forme de la loi, est dès lors recevable. 2. Selon la jurisprudence, constitue des voies de fait l'acte qui, sans causer de lésion corporelle ou d'atteinte à la santé, fait cependant quelque mal (RO 69 IV 4, no 1). Des actes de ce genre doivent être réprimés parce qu'ils reposent sur un mobile blâmable tel qu'un tempérament querelleur ou un désir de vengeance (cf. exposé des motifs de l'avant-projet de 1908, p. 446). On ne saurait y assimiler les légères corrections qu'une personne adulte chargée d'une certaine tâche peut, selon l'usage, infliger à des enfants dans le cadre de la mission qui lui est donnée. En l'espèce, l'intimé, concierge de plusieurs immeubles, doit en cette qualité assurer l'ordre et la propreté à l'intérieur et aux abords immédiats des bâtiments qui lui sont confiés. A cet égard et pourvu qu'il ne dépasse pas des limites raisonnables, il faut lui reconnaître le droit d'intervenir auprès des nombreux enfants qui habitent ces maisons et qui, par leurs jeux, troublent l'ordre qu'il doit faire régner. Or il n'a pas dépassé ces attributions. Avant l'incident qui s'est produit avec le jeune Equey, les enfants demeurant dans les bâtiments s'étaient amusés à prendre de la terre et des cailloux au bord de la fouille et à les lancer. L'intimé pouvait craindre que ces projectiles ne fussent jetés contre l'immeuble dont il a la charge et qui se trouve à proximité immédiate de la fouille (le fait s'est même produit selon les déclarations d'un témoin). Il était dès lors fondé à intervenir auprès du jeune Equey, d'autant plus que ce dernier courait un danger en demeurant près de la fouille. La légère correction qu'il lui a infligée n'excédait pas des limites raisonnables. C'est dès lors à bon droit que la Cour cantonale l'a libéré. Dispositiv Par ces motifs, la Cour de cassation pénale Rejette le pourvoi.
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Urteilskopf 87 IV 101 23. Arrêt du 31 mai 1961 dans la cause X. contre Ministère public du canton de Fribourg.
Regeste Art. 268, 277 bis Abs. 2 BStP . Hat sich der Kassationshof des Bundesgerichtes, wenn das vorinstanzliche Gericht einzig die mit dem kantonalen Rechtsmittel erhobenen Einwendungen beurteilen kann, mit Fragen des eidgenössischen Rechts zu befassen, über die sich das kantonale Urteil ausschweigt, weil sie im kantonalen Rechtsmittelverfahren nicht aufgew orfen wurden?
Sachverhalt ab Seite 101 BGE 87 IV 101 S. 101 A.- Le 10 juin 1960, le Tribunal criminel de la Gruyère condamna dame X. à un mois d'emprisonnement avec sursis pendant deux ans pour fausse déclaration d'une partie en justice. Il lui reprocha d'avoir affirmé mensongèrement, dans son procès en divorce, qu'elle n'avait pas commis adultère avec un nommé Y. B.- Dame X. déféra ce jugement au Tribunal cantonal fribourgeois. Elle se borna à faire valoir qu'elle n'avait pas menti en contestant l'adultère et que, par conséquent, elle ne pouvait pas être punie en vertu de l'art. 306 CP. Le 18 octobre 1960, le Tribunal cantonal rejeta le pourvoi en tant qu'il était recevable. Son arrêt est motivé en substance comme suit: BGE 87 IV 101 S. 102 En admettant que dame X. a menti au tribunal civil, le tribunal criminel n'est pas tombé dans l'arbitraire; son jugement est même si bien motivé qu'on ne voit pas comment une autre opinion eût pu se justifier. En revanche, il aurait été loisible à dame X. de soutenir qu'elle n'avait pas été rendue attentive, comme l'exige l'art. 306 CP, aux suites pénales d'une fausse déclaration. Toutefois, elle n'a pas soulevé ce moyen et le Tribunal cantonal ne peut y suppléer, car il ne connaît "que des faits invoqués expressément dans le pourvoi". La recourante ne se demande pas non plus si, dans un procès en divorce, les déclarations des parties au sujet des causes de divorce constituent réellement des moyens de preuve au sens de l'art. 306 CP. Le Tribunal cantonal ne peut examiner d'office cette question. C.- Dame X. se pourvoit en nullité contre cet arrêt. Ellc se plaint d'une violation de l'art. 306 CP. Erwägungen Considérant en droit: 1. Le pouvoir d'examen des autorités cantonales de recours est régi par le droit cantonal. Il est parfois limité à la discussion des moyens présentés par le recourant. Il s'agit alors de savoir si la Cour de cassation du Tribunal fédéral est tenue de s'occuper des questions de droit sur lesquelles l'arrêt attaqué est muet parce qu'elles n'ont pas été soulevées devant l'autorité cantonale. En ce qui concerne l'action pénale, la Cour de céans revoit en principe toutes les questions de droit fédéral qui se posent dans le cadre des conclusions et ne découlent pas de preuves, de dénégations ou de faits nouveaux (art. 277bis al. 2 PPF; RO 85 IV 119/120; 77 IV 61 ). Cette règle est cependant restreinte par l'art. 268 PPF, dont il résulte que seuls des jugements rendus en dernière instance cantonale sont susceptibles de pourvoi. Si l'arrêt entrepris émane d'une autorité qui, conformément à la procédure cantonale, se contente d'examiner les moyens BGE 87 IV 101 S. 103 invoqués, il n'est pas rendu en dernière instance à l'égard des questions qu'il n'aborde pas parce que le recourant ne les a pas soulevées. Ces questions échappent alors au contrôle du Tribunal fédéral. Les règles qui viennent d'être exposées ont une portée générale. Elles s'appliquent tout d'abord lorsqu'il s'agit de points qui font l'objet d'une décision dans le dispositif même du jugement: principe d'une condamnation et quotité de la peine, sursis, peines accessoires, mesures. Ainsi, lorsque, devant une juridiction cantonale de recours qui se borne à examiner les moyens soulevés, un condamné ne s'est plaint que du refns du sursis ou d'une peine excessive, il ne saurait plaider l'acquittement dans son pourvoi en nullité (RO 85 IV 120). Ces règles s'appliquent aussi quand il s'agit de problèmes qui doivent être tranchés pour formuler tel ou tel point du dispositif, mais qui sont simplement résolus dans les motifs du jugement, comme ceux qui se posent à propos du principe même de la condamnation, et qui concernent, par exemple, les diverses conditions de l'infraction, la responsabilité de l'auteur, la légitime défense, l'état de nécessité ou la prescription. Il s'ensuit que, devant le Tribunal fédéral, le condamné n'est pas recevable à fonder des conclusions libératoires sur l'absence d'un des éléments de l'infraction si, dans la procédure cantonale, il ne s'est prévalu que de la presscription de l'action pénale. Cette solution est imposée par le but assigné au pourvoi en nullité. Ce dernier tend en effet à corriger les décisions cantonales qui violent le droit fédéral (art. 269 al. 1 PPF). Or un jugement n'encourt pas une critique de ce genre lorsque, faute d'avoir été régulièrement saisie, l'autorité qui l'a rendu n'a pas été mise en mesure de se prononcer sur la violation alléguée devant le Tribunal fédéral. Quant à savoir si cette autorité a correctement interprété les règles du droit cantonal relatives à son pouvoir d'examen, la question échappe à la censure de la Cour de céans, qui ne connaìt que de la violation du droit fédéral (art. 269 BGE 87 IV 101 S. 104 al. 1 et 273 al. 1 litt b PPF). Elle pourrait tout au plus faire l'objet d'un recours de droit public. 2. En l'espèce, la Cour de cassation fribourgeoise admet que dame X. a commis adultère avec Y et qu'elle l'a contesté devant le tribunal chargé de statuer sur son divorce, faisant ainsi une fausse déclaration. Il s'agit là de constatations de fait qui lient le Tribunal fédéral et ne sauraient être attaquées par un pourvoi en nullité (art. 277bis a.l. 1 et 273 al. 1 litt. b PPF). Il resterait à décider - ce qui relève du droit - si les propos ainsi tenus par la prévenue tombent sous le coup de l'art. 306 CP. A cet égard, la recourante se borne à soutenir que l'art 306 a été violé parce qu'elle n'a pas été rendue attentive aux suites pénales de ses actes et que ses déclarations ne pouvaient pas constituer un moyen de preuve. Toutefois, la Cour fribourgeoise a refusé d'examiner ces questions parce que, d'après son interprétation souveraine du droit cantonal, son pouvoir d'examen est limité aux griefs soulevés et que, sur ces points, la recourante n'a présenté aucun moyen. En ce qui concerne les deux arguments que le pourvoi fait valoir, il n'y a donc pas de jugement de dernière instance. La Cour de céans ne saurait par conséquent entrer en matière. Dispositiv Par ces motifs, la Cour de cassation pénale Déclare le pourvoi irrecevable.
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Urteilskopf 85 III 143 32. Entscheid vom 28. November 1959 i.S. Anderegg und Konsorten.
Regeste Konkursverfahren. Die Konkursverwaltung kann einem Dritten, der ins Konkursinventar aufgenommene Gegenstände zu Eigentum beansprucht, die Verfügung über diese Gegenstände nicht verbieten, wenn sie sich nicht in ihrem Gewahrsam befinden. Parteirollen im Eigentumsstreit.
Sachverhalt ab Seite 143 BGE 85 III 143 S. 143 Federico Streuli, der von Hans Zollikofer in St. Gallen das Gut Klingenmühle in Märstetten zum Betrieb einer Schweinezüchterei gepachtet hatte, verkaufte Zollikofer mit Vertrag vom 31. August 1957 seinen gesamten BGE 85 III 143 S. 144 Schweine- und Rindviehbestand und Futtermittelvorrat zum Preise von Fr. 82'500.--, der durch Verrechnung mit Darlehen getilgt wurde. Nach Ziff. 3 dieses Vertrags war Streuli ermächtigt, "auch in Zukunft in eigenem Namen, jedoch auf Rechnung des Herrn Zollikofer den Schweinehandel zu betreiben und Futtermittel einzukaufen". Alles was er auf diese Weise einkaufte, sollte nach dem Vertrag Eigentum Zollikofers sein, der Streuli den ausgelegten Kaufpreis zu ersetzen hatte. Nachdem Streuli am 27. Dezember 1958 gestorben war, schlugen seine Erben die Erbschaft aus, worauf am 26. März 1959 die konkursamtliche Liquidation seines Nachlasses angeordnet wurde. Am 30. April 1959 verpachtete Zollikofer sein Gut an Josef Hochreutener, und am 5. Mai 1959 verkaufte er ihm die Viehhabe, das Mobiliar und die Futtervorräte, welche Gegenstände am 1. April 1959 ohne sein Wissen ins Konkursinventar aufgenommen worden waren. Seine Eigentumsansprache an diesen Gegenständen wurde vom Konkursamt anerkannt, von Konkursgläubigern dagegen unter Stellung von Abtretungsbegehren im Sinne des Art. 260 SchKG bestritten. Am 10. September 1959 untersagte das Konkursamt dem Drittansprecher Zollikofer mit sofortiger Wirkung jede Verfügung über die im Inventar aufgeführten Gegenstände. Auf Beschwerde Zollikofers und Hochreuteners hin hat die kantonale Aufsichtsbehörde diese Verfügung mit Entscheid vom 7. November 1959 aufgehoben. Diesen Entscheid haben E. Anderegg und acht weitere Konkursgläubiger an das Bundesgericht weitergezogen. Ihr Rekurs wird abgewiesen. Erwägungen Erwägungen: Die angefochtene Verfügung könnte höchstens dann Bestand haben, wenn der Gewahrsam an den streitigen Gegenständen durch die Konkurseröffnung an die Konkursverwaltung übergegangen wäre. Dies träfe zu, wenn bìs zur Konkurseröffnung die Erbengemeinschaft Federico BGE 85 III 143 S. 145 Streuli den Gewahrsam ausgeübt hätte. Das war jedoch nicht der Fall. Nach den tatsächlichen Feststellungen der Vorinstanz, die gemäss Art. 81 in Verbindung mit Art. 63 Abs. 2 OG für das Bundesgericht verbindlich sind, wurde der Schweinezuchtbetrieb nach dem Tode Streulis nicht von dessen Erben, sondern vom nachmaligen Pächter Hochreutener weitergeführt, und zwar geschah dies im Auftrag Zollikofers, dem die Liegenschaft gehört, auf der die Schweinezüchterei betrieben wird. Nach dem Tode Streulis wurde also der Gewahrsam an den zu diesem Betrieb gehörenden Gegenständen, den früher Streuli innegehabt haben mag, von Zollikofer oder von seinem Beauftragten Hochreutener ausgeübt. Hieran ändert nichts, dass die Erben Streuli in der Klingenmühle wohnen blieben; denn die streitigen Gegenstände befanden sich zweifellos nicht in ihren Wohnräumen, sondern in Stall- und Vorratsräumen, über die derjenige verfügte, der den Sc.hweinezuchtbetrieb führte. Durch die Konkurseröffnung wurde der bis dahin bestehende Gewahrsam Zollikofers oder seines Beauftragten nicht berührt. Die Verfügung vom 10. September 1959 ist daher zu Recht aufgehoben worden. Wenn die Vorinstanz am Schluss ihrer Erwägungen bemerkt, die Konkursverwaltung habe nun das Verfahren nach Art. 242 SchKG über die geltend gemachten Aussonderungsansprüche in die Wege zu leiten, so ist dies dahin richtigzustellen, dass Art. 242 SchKG mit Bezug auf die von Zollikofer bzw. nun von Hochreutener zu Eigentum beanspruchten Gegenstände nicht angewendet werden kann, weil diese Gegenstände sich nicht im Gewahrsam der Masse befinden, sondern dass die Klägerrolle im Eigentumsstreit über diese Gegenstände der Masse bzw. den Abtretungsgläubigern zufällt ( BGE 85 III 50 /51 und dortige Hinweise).
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Urteilskopf 119 IV 216 40. Urteil des Kassationshofes vom 3. September 1993 i.S. Generalprokurator des Kantons Bern gegen M. H. (Nichtigkeitsbeschwerde)
Regeste Art. 183 Ziff. 2 und Art. 184 Abs. 4 StGB ; qualifizierte Entführung. Eine Entführung, die mehr als zehn Tage gedauert hat, erfüllt den qualifizierten Tatbestand (E. 2d und e). Eine Entführung ist beendet, wenn das Opfer seine Freiheit wieder erlangt hat, d.h. frühestens wenn das Herrschaftsverhältnis Täter-Opfer beendet ist (E. 2f).
Sachverhalt ab Seite 216 BGE 119 IV 216 S. 216 A.- a) Nach mehrjähriger Ehedauer reichte die Gattin S. H. am 20. September 1990 eine Ehescheidungsklage ein. Eine Vereinbarung im Eheschutzverfahren regelte die finanziellen Folgen, nicht aber die Obhut über den im Mai 1984 geborenen gemeinsamen Sohn. Die Eheleute hatten sich lediglich einigen können, die Obhut gemeinsam und nach Absprache auszuüben. In der Folge kam eine Regelung zustande, wonach ein Ehegatte die Obhut für jeweils fünfzehn Tage ausüben sollte. So befand sich das Kind bis zum 5. Dezember 1990 bei seinem Vater M. H., der es anschliessend der Mutter zurückbrachte. Kurz BGE 119 IV 216 S. 217 darauf soll er sich aber bei einer Auseinandersetzung derart erregt haben, dass sich S. H. entschloss, ihm das Kind schon am 10. Dezember zurückzugeben, vor Ablauf der ihr zustehenden Frist. Es sollte bei seinem Vater bleiben, bis sich dieser wieder beruhigt haben würde. Am 13. Dezember 1990 reiste M. H. jedoch mit dem Kinde nach Paris zu einer Tante und am 9. Januar 1991 nach Algerien. Seit diesem 13. Dezember 1990 hat S. H. keinen Kontakt mehr mit ihrem Sohn. b) S. H. erhob am 8. Februar 1991 Strafanzeige, worauf M. H. am 13. Februar 1991 in Bern verhaftet wurde. Am 19. Februar 1991 verfügte der die Ehescheidung instruierende Richter, das Kind werde während der Dauer des Scheidungsverfahrens unter die Obhut der Mutter gestellt. Dem Vater werde unter Androhung der Straffolgen gemäss kantonaler ZPO (Busse bis zu Fr. 5'000.--, womit Haft oder in schweren Fällen Gefängnis bis zu einem Jahr verbunden werden könne) eine Frist von zehn Tagen angesetzt, der Ehefrau das Kind zu übergeben bzw. dessen Aufenthaltsort bekanntzugeben. Diese Verfügung erwuchs in Rechtskraft. S. H. verlangte am 12. März 1991 die Verurteilung von M. H. wegen böswilliger Nichtvornahme der ihm mit der Verfügung vom 19. Februar 1991 auferlegten Pflichten. Das Zivilamtsgericht Bern übertrug am 19. Dezember 1991 S. H. die elterliche Gewalt. Gegen das Urteil wurde die Appellation erhoben. B.- Am 24. Dezember 1991 erklärte das Strafamtsgericht Bern M. H. schuldig der qualifizierten Entführung und des Entziehens von Unmündigen, jeweils im Zeitraum vom 13. Dezember 1990 bis zum 24. Dezember 1991 in Bern und anderswo, sowie der Widerhandlung gegen die Verfügung vom 19. Februar 1991, begangen vom 1. März bis 24. Dezember 1991 in Bern und anderswo. Es bestrafte ihn mit drei Jahren Zuchthaus. Auf Appellation des Verurteilten erkannte das Obergericht auf einfache Entführung und bestätigte im übrigen den Schuldspruch des Strafamtsgerichtes. Es sprach eine Strafe von sechsundzwanzig Monaten Gefängnis aus. C.- Der Generalprokurator des Kantons Bern führt Nichtigkeitsbeschwerde und beantragt, das angefochtene Urteil sei aufzuheben und die Sache zur Neubeurteilung (Schuldigerklärung wegen qualifizierter Entführung und entsprechende Strafzumessung) an das Obergericht zurückzuweisen. BGE 119 IV 216 S. 218 Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. a) Die Vorinstanz führt aus, eine Entführung sei nur dann nach Art. 184 Abs. 4 StGB qualifiziert, wenn sie gleichzeitig eine Freiheitsberaubung darstelle. Bei der Entführung werde im Gegensatz zur Freiheitsberaubung die körperliche Bewegungsfreiheit nur beschränkt, nicht aufgehoben. Die Veränderung des Aufenthaltsortes einer Person zu erzwingen, sei noch nicht Freiheitsberaubung. Zudem ergebe sich e contrario aus Ziff. 2 von Art. 183 StGB , dass die Tat gemäss Ziff. 1 gegen den Willen des Opfers gerichtet sein müsse. Diese Voraussetzungen seien vorliegend nicht erfüllt. Der Beschwerdegegner habe nämlich zu seinem Sohn ein gutes Verhältnis gehabt und ihn zu Bekannten gebracht. Daher sei nicht anzunehmen, dass er dessen Freiheit umfassend aufgehoben habe. Obwohl die Entführung mehr als ein Jahr gedauert habe, könne er deshalb nur gemäss Art. 183 StGB bestraft werden. Ausserdem sei bei der Annahme von Qualifikationsgründen Zurückhaltung zu üben und bei der Auslegung von Straftatbeständen der angedrohten Strafe Rechnung zu tragen. b) Der Beschwerdeführer bringt vor, die Vorinstanz verkenne den Zusammenhang der Art. 183 und 184 StGB . Die Verbindung von Feiheitsberaubung und Entführung im Tatbestand des Art. 183 StGB lasse diese zu verschiedenen Begehungsweisen einer Straftat werden. Freiheitsberaubung und Entführung erschienen prinzipiell gleichwertig. Daher sei die Lehre einhellig der Meinung, die Entführung falle unter den Strafrahmen des Art. 184 StGB , sofern sie mehr als zehn Tage gedauert habe. Es finde sich kein Hinweis, dass die Entführung nur dann wegen der Dauer qualifiziert sein könne, wenn sie gleichzeitig eine Freiheitsberaubung darstelle. Eine Entführung wie die vorliegende könne eine Beziehung zwischen Mutter und Sohn während Jahren verunmöglichen. Ob der Sohn die abgebrochene Beziehung je wieder anknüpfen könne, sei fraglich. Das sei eine massive Beeinträchtigung der Freiheitsrechte anderer. Die Vorinstanz habe Art. 184 StGB zu Unrecht nicht angewandt und sei bei der Strafzumessung von falschen Voraussetzungen ausgegangen. c) Der Beschwerdegegner wendet ein, Entführung sei kein Dauerdelikt. Denn die Entführung selbst könne nicht andauern, sondern bloss die damit verbundene Freiheitsberaubung. Daher wirke allenfalls die Dauer der Freiheitsberaubung qualifizierend, nicht aber die Dauer des Entführungsvorganges. BGE 119 IV 216 S. 219 2. a) Nach Art. 183 Ziff. 1 StGB wird wegen Freiheitsberaubung und Entführung mit Zuchthaus bis zu fünf Jahren oder mit Gefängnis bestraft, wer jemanden unrechtmässig festnimmt oder gefangenhält oder jemandem in anderer Weise unrechtmässig die Freiheit entzieht (Abs. 1) und wer jemanden durch Gewalt, List oder Drohung entführt (Abs. 2). Ebenso wird bestraft, wer jemanden entführt, der urteilsunfähig, widerstandsunfähig oder noch nicht 16 Jahre alt ist (Ziff. 2). Gemäss Art. 184 Abs. 4 StGB werden Freiheitsberaubung und Entführung mit Zuchthaus von 1-20 Jahren bestraft, wenn der Entzug der Freiheit mehr als zehn Tage gedauert hat. b) Das Bundesgericht liess in BGE 118 IV 61 E. 2c offen, ob Art. 184 Abs. 4 StGB auch für die Entführung gilt. Es bezeichnete dies aber als fraglich. Denn bei einer Entführung brauche weder eine Nötigung noch eine Freiheitsberaubung vorzuliegen. Nach dem Wortlaut des Gesetzes ("Entzug der Freiheit") sei wohl nur die eigentliche Freiheitsberaubung ( Art. 183 Ziff. 1 Abs. 1 StGB ) qualifiziert, wenn sie länger als zehn Tage gedauert habe. Es könne offenbleiben, ob ein Dauerdelikt vorliege, wenn eigentliche Tathandlung der Entführung das Verbringen an einen anderen Ort sei (vgl. auch BGE 106 IV 363 E. 5). c) Die Lehre vertritt die Ansicht, für die Entführung gelte der Strafrahmen von Art. 184 StGB , wenn sie mehr als zehn Tage gedauert habe (HANS-PETER EGLI, Freiheitsberaubung, Entführung und Geiselnahme nach der StGB-Revision vom 9. Oktober 1981, Diss. Zürich 1986, S. 143; NOLL, Schweizerisches Strafrecht, Besonderer Teil I, S. 78, 80; REHBERG, Strafrecht III, 5. Auflage, S. 233 f.; SCHUBARTH, Kommentar zum schweizerischen Strafrecht, Art. 184 N 1 , 12 ff.; SCHULTZ, Gewaltdelikte, Geiselnahmen und Revision des Strafgesetzbuches, ZBJV 115/1979 S. 445; JEAN-MARC SCHWENTER, De quelques problèmes, réels ou imaginaires, posés par les nouvelles dispositions réprimant les actes de violence, ZStR 100/1983 S. 289; STRATENWERTH, Schweizerisches Strafrecht, Besonderer Teil I, 4. Auflage, S. 119 N 46; TRECHSEL, Schweizerisches Strafgesetzbuch, Art. 184 N 3 ). d) Anlass zur Revision der Art. 182-185 StGB bildeten die schweren Mängel dieser Bestimmungen (SCHULTZ, a.a.O., ZBJV 115/1979 S. 444 f.; SCHULTZ, Zur Revision des Strafgesetzbuches vom 9. Oktober 1981: Gewaltverbrechen, ZStR 101/1984 S. 122; EGLI, a.a.O., S. 5 f.). Die Expertenkommission schlug vor, die Strafandrohung für Freiheitsberaubung und Entführung zu erhöhen sowie für beide BGE 119 IV 216 S. 220 Delikte erschwerende Umstände vorzusehen (Botschaft über die Änderung des schweizerischen Strafgesetzbuches und des Militärstrafgesetzes [Gewaltverbrechen] vom 10. Dezember 1979, BBl 1980 I 1247). Der Bundesrat nahm diesen Vorschlag auf und sah in Art. 184 StGB für Entführung und Freiheitsberaubung dieselben erschwerenden Umstände bzw. vier bestimmte Qualifikationsgründe vor. Für beide Delikte dieselben Qualifikationsgründe vorzusehen, sei auch angezeigt, weil diese Taten oft so ausgeführt würden, dass beide Straftatbestände verwirklicht seien (a.a.O., S. 1258, 1259). Zum Qualifikationsgrund des Art. 184 Abs. 4 StGB (in der Formulierung des Entwurfs: "wenn die Beschränkung der Freiheit mehr als 10 Tage dauert") führt die Botschaft aus, dieser gelte, wenn die Freiheitsberaubung mehr als zehn Tage gedauert habe (a.a.O., S. 1260). Die Entführung erwähnt sie an dieser Stelle nicht ausdrücklich. Der Nationalrat stimmte dem Entwurf des Bundesrates auf Antrag seiner Kommission und ohne Diskussion zu (Amtl.Bull. 1980 N 1647). Im Ständerat erhielt der Gesetzestext den heutigen Wortlaut; er fasste die Art. 182 und 183 StGB zusammen, um Abgrenzungsschwierigkeiten und Konkurrenzfragen zu vermeiden. Der Berichterstatter fügte an, mit der Zusammenfassung der beiden Tatbestände Freiheitsberaubung und Entführung in einen einzigen Tatbestand werde materiell keine Änderung gegenüber den Vorschlägen des Bundesrates und des Nationalrates vorgenommen (BINDER, Amtl.Bull. 1981 S 280; vgl. SCHUBARTH, a.a.O., Art. 183 N 3 ; EGLI, a.a.O., S. 13). Auf Antrag seiner Kommission beschloss der Ständerat, Art. 184 StGB so zu formulieren, wie er Gesetz geworden ist (statt: "wenn die Beschränkung der Freiheit ...", "wenn der Entzug der Freiheit ..."). Der Nationalrat stimmte dem diskussionslos zu. e) Zusammenfassend stützen die Materialien die Ansicht, die Qualifizierung gemäss Art. 184 Abs. 4 StGB gelte auch für die Entführung. Diese Lösung überzeugt. Die Zusammenfassung von Freiheitsberaubung und Entführung in einen Tatbestand soll die oft schwierige Abgrenzung sowie Konkurrenzfragen vermeiden. Art. 183 StGB bedroht das unrechtmässige Verbringen einer Person an einen anderen Ort und das unrechtmässige Festhalten des Opfers an einem Ort mit derselben Strafe. Die beiden Delikte erscheinen als verschiedene Begehungsweisen einer Straftat (SCHULTZ, a.a.O., ZStR 101/1984 S. 123; REHBERG, a.a.O., S. 232). Freiheitsberaubung und Entführung sind prinzipiell gleichwertige Eingriffe in die Freiheit (STRATENWERTH, S. 119 N 43). Daher sind Abgrenzungsfragen BGE 119 IV 216 S. 221 nach neuem Recht nicht mehr bedeutsam (SCHUBARTH, a.a.O., Art. 183 N 48 ). Die Auffassung, Art. 184 Abs. 4 StGB gelte nur für die Freiheitsberaubung, ist deshalb abzulehnen. Auch der Gesichtspunkt der angedrohten Strafe ( BGE 116 IV 319 E. 3b; vgl. SCHUBARTH, Qualifizierter Tatbestand und Strafzumessung in der neueren Rechtsprechung des Bundesgerichts, BJM 1992 S. 57 ff.) spricht für die Anwendung der Qualifikation, wenn die Entführung über zehn Tage gedauert hat. f) Zu prüfen bleibt der Einwand, die Entführung sei kein Dauerdelikt. Wie dargestellt, geht das Gesetz davon aus, dass die Dauer des Freiheitsentzuges bei der Entführung wie bei der Freiheitsberaubung wesentlich sein kann (Art. 183 i.V.m. Art. 184 Abs. 4 StGB ). Dauerdelikte sind dadurch gekennzeichnet, dass die zeitliche Fortdauer eines rechtswidrigen Zustandes oder Verhaltens noch tatbeständliches Unrecht bildet. Die Vollendung tritt mit der erstmaligen Verwirklichung aller Tatbestandsmerkmale ein, die Beendigung aber erst mit der Beseitigung des rechtswidrigen Zustandes oder dem Abbruch des verbotenen Verhaltens (STRATENWERTH, Schweizerisches Strafrecht, Allgemeiner Teil I, S. 275 N 10; REHBERG, Strafrecht I, 5. Auflage, S. 61). Die Entführung ist vollendet, wenn der bisherige Aufenthaltsort verlassen und das Opfer in die Herrschaft des Täters gelangt ist. Dieser rechtswidrige Zustand dauert in der Regel an. Beendet ist das Delikt dann, wenn das Opfer seine Freiheit wieder erlangt hat, d.h. frühestens wenn das Herrschaftsverhältnis Täter-Opfer beendet ist. Die Entführung ist demnach in solchen Fällen ein Dauerdelikt (EGLI, a.a.O., S. 124 ff.; REHBERG, a.a.O., S. 232; SCHUBARTH, a.a.O., Art. 183 N 50 ; vgl. LACKNER, StGB, 20. Auflage, N 11 vor § 52 und § 239 N 8 ; a.A. - allerdings zum alten Recht - HAFTER, Schweizerisches Strafrecht, Besonderer Teil I, S. 104). g) Nach den tatsächlichen Feststellungen der Vorinstanz ist die Entführung des Kindes nicht beendet. Sie hat mehr als zehn Tage gedauert. Damit ist sie im Sinne des Art. 184 Abs. 4 StGB qualifiziert. 3. Die Nichtigkeitsbeschwerde ist demnach gutzuheissen und der angefochtene Entscheid aufzuheben. Die Vorinstanz wird auf der Grundlage von Art. 184 Abs. 4 StGB die Strafzumessung neu vorzunehmen haben.
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Urteilskopf 98 IV 205 39. Arrêt de la Chambre d'accusation du 27 octobre 1972, dans la cause Ministère public du canton de Neuchâtel contre Procureur général du canton de Berne.
Regeste Art. 217 StGB , Art. 156 ZGB . Die Vernachlässigung von Unterstützungspflichten ist am Erfüllungsort zu verfolgen. Dieser Ort befindet sich für die vom Richter nach Art. 156 Abs. 2 ZGB bestimmten Unterhaltsbeiträge am Wohnsitz des Kindes (Erw. 1). Art. 25 ZGB . Die Vorschrift, dass bevormundete Personen ihren Wohnsitz am Sitz der Vormundschaftsbehörde haben, gilt auch im Strafrecht (Erw. 1). Nachträgliche Änderung des Gerichtsstandes. Das Vorliegen eines Revisionsgrundes im Sinne von Art. 136 lit. d OG stellt einen triftigen Grund zur nachträglichen Änderung des von den Kantonen vereinbarten Gerichtsstandes dar (Erw. 2).
Sachverhalt ab Seite 206 BGE 98 IV 205 S. 206 A.- Le 10 décembre 1970, le Tribunal de district de La Chaux-de-Fonds a prononcé le divorce des époux Morechta-Pagesy. Il leur a retiré la puissance paternelle sur leurs quatre enfants; il a institué sur ceux-ci une tutelle et fixé la contribution de chacun des parents à leur entretien. Nelly Cattin-Pagesy (mère remariée des enfants) vit à Renan (Berne). Comme elle n'avait pas payé les pensions mises à sa charge depuis la mi-février 1971, Ruedi Burkhard, tuteur désigné, dont le domicile est à La Chaux-de-Fonds, a déposé contre elle, le 17 mai 1972, une plainte pour violation d'une obligation d'entretien auprès du Juge d'instruction de Courtelary (Berne). Celui-ci a ouvert l'action publique par le renvoi de l'affaire au Président du Tribunal le 23 mai. Après avoir fait produire au dossier un rapport de renseignements généraux ainsi que l'extrait du casier judiciaire de la prévenue, le Président du Tribunal de Courtelary a transmis la cause au Procureur général du canton de Neuchâtel le 26 mai, en lui écrivant qu'à s'en tenir à l'arrêt publié au RO 81 IV 267, le for de la poursuite pénale se trouvait à La Chaux-de-Fonds. Le Procureur général a répondu le 29 mai, admettant la compétence des autorités neuchâteloises. Le même jour, il a saisi le Juge d'instruction des Montagnes, à La Chaux-de-Fonds. Celui-ci a entendu la prévenue et le plaignant, de la déposition duquel il résulte qu'il a été nommé par l'Autorité tutélaire de la commune municipale de Renan. Le 14 juin, le magistrat instructeur, estimant que le but de l'instruction était atteint, a BGE 98 IV 205 S. 207 imparti à dame Cattin-Pagesy un délai pour produire toute pièce utile et pour requérir un complément d'instruction. Le 21 juin, hors délai, elle a contesté la compétence des autorités neuchâteloises. Le 23 juin, la clôture de l'enquête a été prononcée; l'audience de jugement a été fixée au 16 août. Ce jour-là, le Président du Tribunal de police du district de La Chaux-de-Fonds s'est déclaré d'office incompétent pour le motif que les enfants habitent dans le canton de Berne. Il a donc renvoyé le dossier au Ministère public, qui l'a transmis au Procureur général du canton de Berne le 19 suivant en précisant que, du moment que les enfants créanciers de l'obligation habitaient le district de Courtelary, les autorités de ce lieu étaient compétentes pour juger l'affaire. Maintenant sa position initiale, le Procureur général a retourné le dossier aux autorités neuchâteloises le 29 septembre. Le 9 octobre, le Président du Tribunal de La Chaux-de-Fonds a derechef déclaré son incompétence. Les Procureurs généraux des deux cantons en cause n'ont pu se mettre d'accord, malgré un dernier échange de correspondance, les 11 et 13 octobre. B.- Le 19 octobre 1972, le Ministère public neuchâtelois a saisi la Chambre d'accusation du Tribunal fédéral en lui demandant de déclarer les autorités bernoises compétentes pour exercer la poursuite pénale contre dame Cattin-Pagesy. Le Procureur général du canton de Berne conclut à la désignation des autorités neuchâteloises. Erwägungen Considérant en droit: 1. Tant la Cour de cassation que la Chambre d'accusation du Tribunal fédéral ont précisé que la violation d'une obligation d'entretien doit être poursuivie au lieu d'exécution (RO 69 IV 129, 81 IV 268; cf. RO 82 IV 70). Si la contribution d'entretien est due sous forme d'argent, ce lieu se trouve au domicile du créancier à l'époque du paiement (art. 74 al. 2 ch. 1 CO; art. 7 CC) et non là où il séjourne ou réside. La contribution fixée par le juge conformément à l'art. 156 al. 2 CC, en cas de divorce, appartient aux enfants dont l'entretien doit être assuré. Ce sont eux les créanciers (RO 69 II 68, 90 II 355), même si leur prétention est exercée par le détenteur de la puissance paternelle ou par le tuteur. La personne qui agit le fait alors pour leur compte, en qualité de représentant (RO 84 II 245, 90 II 355). En cas de poursuite pénale, le for ne BGE 98 IV 205 S. 208 se trouve dès lors pas au domicile de celle-ci, mais à celui de l'enfant. Le domicile légal de la personne sous tutelle est au siège de l'autorité tutélaire (art. 25 CC). On ne voit pas pourquoi il serait en matière pénale dérogé à cette notion générale. Si la jurisprudence a situé le for au domicile de l'enfant, c'est pour le rattacher à un point déterminé, indépendant de la situation, du comportement et de la personne du débiteur de l'obligation d'entretien et non pour accorder à celui qui a l'exercice des droits de l'enfant la faculté d'agir à son propre domicile ou pour une quelconque autre raison. L'arrêt cité par les autorités bernoises (RO 81 IV 268) n'apporte nullement une brèche à ce principe. Etaient en effet en cause non pas les droits de l'enfant, mais ceux de la collectivité publique elle-même qui, ayant placé des enfants dans un établissement, en application de l'art. 284 CC, agissait en vertu d'une subrogation. En l'espèce, le for de la poursuite pénale se trouve donc dans le canton de Berne, au siège de l'autorité tutélaire. 2. Le transfert du for de la poursuite pénale après que les cantons se sont mis d'accord à son sujet n'est toutefois admissible que pour des motifs déterminants (RO 71 IV 61, 72 IV 41, 78 IV 206, 85 IV 210 consid. 3, 96 IV 93, 97 IV 150 consid. 2). Lorsque le Président du Tribunal de Courtelary et le Procureur général du canton de Neuchâtel sont convenus que le for de la poursuite pénale se trouvait dans le canton de Neuchâtel, ni l'un ni l'autre n'a mentionné le fait que la tutelle des enfants Morechta-Pagesy avait été instituée par l'Autorité tutélaire de Renan. Bien que ne ressortant pas expressément du dossier, ce point pouvait néanmoins en être déduit. Dans une lettre du 5 avril 1972 qui y figure, le conseil de la prévenue écrivait en effet au tuteur qu'il avait porté plainte contre "la décision de l'autorité tutélaire de Renan". Cette inadvertance des magistrats cantonaux constitue un motif déterminant au regard de la jurisprudence précitée; elle constituerait, si elle était imputable à la Chambre d'accusation du Tribunal fédéral, un motif de revision au sens de l'art. 136 litt. d OJ (RO 95 IV 43). A fortiori, elle est en l'espèce un motif d'admettre le transfert du for de la poursuite pénale. Le retard avec lequel les autorités neuchâteloises ont retourné le dossier aux autorités bernoises, le 19 septembre, ne change rien à cela. En effet, aucune mesure d'instruction n'a plus été BGE 98 IV 205 S. 209 ordonnée depuis le 14 juin; il appartenait au Président du Tribunal de La Chaux-de-Fonds de se déterminer sur le déclinatoire soulevé par l'accusée, ce qu'il a fait le 16 août en déclarant son incompétence. On ne saurait voir là un retard inadmissible. Le for désigné se justifie enfin d'autant plus que l'accusée est domiciliée dans le canton de Berne. Dispositiv Par ces motifs, la Chambre d'accusation: Déclare les autorités bernoises compétentes aux fins de poursuivre et de juger les infractions imputées à dame Cattin-Pagesy.
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Urteilskopf 99 II 303 41. Extrait de l'arrêt de la Ire Cour civile du 18 septembre 1973 dans la cause K. contre H.
Regeste Partiarisches Darlehen. Partiarisches Darlehen oder einfache Gesellschaft? Die Beteiligung am Verlust ist kein massgebendes Unterscheidungskriterium. Berücksichtigung sämtlicher Umstände, insbesondere der Art wie die Parteien den Vertrag erfüllen.
Erwägungen ab Seite 303 BGE 99 II 303 S. 303 2. a) Les prétentions du demandeur reposent sur l'existence d'une société simple. Il lui appartient dès lors selon l'art. 8 CC d'établir la conclusion d'un tel contrat par les parties (RO 57 II 173; arrêt non publié Sparapano c. Schneider, du 31 octobre 1972, consid. 1a). b) ... BGE 99 II 303 S. 304 3. Aux termes de l'exposé préliminaire de la convention du 3 septembre 1960, la défenderesse se propose de construire un immeuble dont elle sera propriétaire; les fonds propres investis dans cette entreprise seront de l'ordre de 250 000 fr., la défenderesse apportant elle-même 100 000 fr. et le solde de 150 000 fr. lui étant prêté par le demandeur; ce dernier entend participer aux risques et profits de l'immeuble. Les parties ne pouvaient raisonnablement donner à ce préambule que le sens suivant: le demandeur prêtait à sa belle-soeur 150 000 fr. environ, soit les 3/5 des fonds propres nécessaires au financement de la construction projetée, moyennant participation aux profits et aux risques. Quant à la convention elle-même, elle ne comporte que deux clauses, l'une relative à la répartition en cas de réalisation de l'immeuble de "la perte subie ou (du) bénéfice réalisé sur le prix de vente par rapport au coût de construction", l'autre prévoyant un "taux de l'intérêt annuel versé à Wolf Hagelberg" variable, mais limité à 8% au maximum. Contrairement à ce que pense le Tribunal cantonal, cette dernière clause constitue un indice de poids en faveur de la thèse du prêt. Les expressions "solde ... prêté" et "taux de l'intérêt" sont parfaitement claires; elles ne sont partant pas susceptibles d'une interprétation au détriment du rédacteur. S'agissant d'une convention rédigée par un juriste, dans un cadre familial où régnaient l'entente et la confiance, on doit présumer que ces expressions ont été utilisées à bon escient et comprises dans leur sens propre par le cocontractant, qui n'apparaît nullement comme un néophyte en affaires (RO 48 II 229). L'autorité cantonale ne constate pas, après avoir apprécié des preuves administrées, que les parties se seraient entendues lors de la conclusion du contrat pour lui attribuer un sens différent de sa signification usuelle, ce qui relèverait du fait et lierait le Tribunal fédéral (RO 95 II 553 consid. 4 a et les arrêts cités, 96 II 148 s.). Elle se borne à considérer l'engagement du demandeur de participer aux pertes en cas de réalisation de l'immeuble comme suffisant pour que soit réalisé l'animus societatis et que l'on doive dès lors admettre l'existence d'une société simple tacite, nonobstant les termes utilisés par ailleurs dans la convention. 4. Se référant à l'opinion de GRAF (Das Darlehen mit Gewinnbeteiligung oder das partiarische Darlehen, besonders seine Abgrenzung von der Gesellschaft, thèse Zurich 1951, p. 49 BGE 99 II 303 S. 305 et 71), le Tribunal cantonal considère qu'il n'y a pas prêt partiaire lorsque le bailleur de fonds s'engage à participer aux pertes de l'entreprise. En pareil cas, la convention n'est pas un prêt de consommation, mais autre chose; si elle n'a pas les caractéristiques d'un autre contrat, elle ne peut être qu'une société simple. L'animus societatis existe du seul fait que le bailleur de fonds participe non seulement aux bénéfices, mais aussi aux pertes de l'entreprise. a) Le prêt partiaire diverge du prêt de consommation classique en ce qu'il comporte un élément aléatoire: la rémunération du prêteur dépend du succès d'une entreprise ou d'une opération déterminée de l'emprunteur. Le prêteur, pour être à même de vérifier l'exactitude du calcul de sa rémunération, jouit d'un certain droit de surveillance sur l'activité de l'emprunteur. Mais il n'en devient pas pour autant l'associé. Il n'entend pas participer à la gestion ni aux responsabilités de l'entreprise. Il ne répond pas envers les créanciers de l'emprunteur. Il lui manque ainsi l'animus societatis, soit la volonté de mettre en commun des biens, ressources ou activités en vue d'atteindre un objectif déterminé, d'exercer une influence sur les décisions et de partager non seulement les risques et les profits, mais surtout la substance même de l'entreprise. Cette volonté résulte de l'ensemble des circonstances et non pas de la présence ou de l'absence de l'un ou l'autre élément (cf. CROME, Die partiarischen Rechtsgeschäfte, Fribourg-en-Brisgau 1897, p. 377; EGGER, Die rechtliche Natur der stillen Beteiligung an einem Unternehmen, dans Ausgewählte Schriften und Abhandlungen, Zurich 1957, II p. 207 s.; SOERGEL/SIEBERT, Kommentar zum Bürgerlichen Gesetzbuch, n. 14 ad vor § 705). En déduisant l'animus societatis du seul engagement du demandeur de participer aux pertes de l'entreprise, l'autorité cantonale a méconnu l'importance des conditions de l'existence d'une société, notamment de la volonté commune des partenaires d'assumer les obligations sociales que leur imposent les art. 530 ss. CO. b) En l'espèce, si la participation du demandeur lui conférait la qualité d'associé, il serait non seulement copropriétaire pour 3/5 de l'immeuble constituant la fortune sociale, mais aussi codébiteur pour la même part des dettes hypothécaires. Or il n'a jamais prétendu rien de tel. La défenderesse, seule propriétaire de l'immeuble, inscrite à ce titre au registre foncier, a dû assumer toute la charge et les risques de la construction, toute la responsabilité BGE 99 II 303 S. 306 envers les tiers des dettes de l'entreprise. Cette situation est incompatible avec l'existence d'un contrat de société. Le demandeur n'a jamais allégué non plus que la défenderesse aurait été propriétaire à titre fiduciaire seulement des 3/5 de l'immeuble, ce qui paraîtrait d'ailleurs invraisemblable au regard de l'ensemble des circonstances. c) La participation aux profits et aux risques n'est pas propre aux seules sociétés; c'est une caractéristique commune à tous les contrats partiaires, d'ailleurs consacrée en dehors du droit des sociétés, dans certains cas par le législateur (art. 275 al. 2 et 3 CO pour le colonage partiaire; art. 322 a CO pour le contrat de travail avec participation de l'employé au résultat de l'exploitation; art. 389 al. 2 CO pour le contrat d'édition avec participation de l'auteur au résultat de la vente), dans d'autres par la jurisprudence (RO 23 II 1063 consid. 3 pour le contrat de courtage; RO 83 II 38 pour le contrat d'agence). Il est vrai que le Tribunal fédéral a considéré dans l'arrêt non publié Scherk c. Thorens et Filipinetti, du 7 juillet 1953, que "le critère qui permet de distinguer entre le contrat de prêt, même partiaire, et le contrat de société est la question de la participation aux pertes". Mais il est revenu sur cette affirmation trop absolue dans l'arrêt Herren c. Poncet, du 7 mai 1968; la demanderesse, dame Herren, s'était engagée à diffuser un ouvrage édité par la défenderesse moyennant une commission d'un tiers du produit des ventes, une fois les frais d'édition couverts; le Tribunal fédéral considère que "la rémunération de dame Herren est aléatoire et lui fait partager dans une large mesure les risques et les profits de l'entreprise. Cet élément, caractéristique de tous les contrats partiaires, ne suffit cependant pas pour qu'il y ait société" (RO 94 II 126). La participation aux risques et pertes ne saurait constituer le critère décisif pour déterminer la nature du contrat, puisqu'elle est commune à la société et aux contrats partiaires (BECKER, n. 9 ad art. 530 CO; BROSSET, Le prêt partiaire, FJS 754 p. 1 A; EGGER, op.cit., p. 207 et 202, avec référence à EUGEN HUBER, Bericht zum ersten Vorentwurf zum rev. OR, p. 30 s.; SOERGEL/SIEBERT, loc.cit.). GUHL/MERZ/KUMMER (Obligationenrecht, 6e éd.), que le Tribunal cantonal cite à l'appui de sa thèse, n'expriment pas une opinion contraire; ils se bornent à mentionner la participation aux pertes comme un élément parmi d'autres de la société (p. 525 s., 552). BGE 99 II 303 S. 307 5. Les parties liées par un contrat générateur d'obligations de longue durée révèlent en assumant celles-ci de manière déterminée le contenu qu'elles leur attribuent. La façon dont elles exécutent leur contrat d'un commun accord constitue ainsi un facteur propre à en fixer la portée, quand elle n'implique pas une modification de la convention originaire (arrêt non publié Mozer c. Dufour, du 6 février 1968, consid. 5; MERZ, n. 155 et 156 ad art. 2 CC; cf. aussi RO 57 II 452, 83 II 280). En l'espèce, il est constant que les parties ont exécuté en tous points la convention initiale, à cette différence près que les sommes investies n'ont atteint que 138 000 fr. pour le demandeur et 92 000 fr. pour la défenderesse, la proportion de 3/5 et 2/5 prévue étant maintenue et le surplus n'étant apparemment pas nécessaire au financement. Le demandeur admet implicitement avoir reçu l'intérêt annuel convenu jusqu'au 12 juin 1967, date du remboursement de 142 000 fr., puisqu'il ne réclame un intérêt qu'à partir de ce jour, dans ses conclusions. Aux termes de l'arrêt déféré, la défenderesse a acquis le 25 novembre 1960 le terrain sur lequel a été construit l'immeuble. Elle a procédé seule et à son nom à toutes les opérations en relation avec l'achat du bien-fonds, la construction et la gérance de l'immeuble. Le demandeur a eu connaissance des comptes de l'exploitation. Les difficultés n'ont surgi que lorsqu'il a réclamé, après la mort de Georges Klunge, un intérêt supérieur au taux de 8% prévu à l'art. II de la convention. Le demandeur manifestait ainsi le désir d'obtenir une rémunération équivalant approximativement à une part d'associé, c'est-à-dire lui assurant proportionnellement le même revenu que la défenderesse. Cette dernière s'est opposée à cette modification du contrat et a prétendu pouvoir se libérer en remboursant le prêt consenti. C'est l'avocat du demandeur qui, en acceptant le versement annoncé "dans le cadre des rapports sociaux", s'est placé pour la première fois sur le terrain de la société simple, plus de six ans après la conclusion du contrat. Le comportement des parties révèle qu'elles n'ont nullement compris la convention du 3 septembre 1960 en ce sens qu'elle leur conférait la qualité d'associés. Le demandeur lui-même ne s'est pas prévalu de cette qualité avant l'intervention de son conseil.
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Urteilskopf 118 II 319 63. Auszug aus dem Urteil der I. Zivilabteilung vom 6. Oktober 1992 i.S. MacCooperative, Genossenschaft der Macintosh-Anwender (in Gründung) gegen Direktion der Justiz des Kantons Zürich (Verwaltungsgerichtsbeschwerde)
Regeste Art. 944 Abs. 1 OR . Verbot figurativer Firmen. Unzulässigkeit des Firmenbestandteils "MacCooperative", da der regelwidrig gebildete Grossbuchstabe C inmitten einer Phantasiebezeichnung als figuratives Zeichen erscheint (E. 4).
Sachverhalt ab Seite 319 BGE 118 II 319 S. 319 Am 19. August 1991 verweigerte das Handelsregisteramt des Kantons Zürich den Eintrag der Firma "MacCooperative, Genossenschaft der Macintosh-Anwender" in das Handelsregister, weil der mitten im Wort "MacCooperative" erscheinende Grossbuchstabe den Regeln der deutschen Sprache widerspreche und die Firma daher figurativ und reklamehaft im Sinne von Art. 44 Abs. 1 HRegV sei. Eine gegen die Verfügung vom 19. August 1991 erhobene Beschwerde der in Gründung befindlichen Genossenschaft wies die Direktion der Justiz des Kantons Zürich am 22. April 1992 ab. Gegen den Beschwerdeentscheid führt die Genossenschaft erfolglos Verwaltungsgerichtsbeschwerde. BGE 118 II 319 S. 320 Erwägungen Aus den Erwägungen: 4. a) Gleich wie Aktiengesellschaften können auch Genossenschaften ihre Firma unter Wahrung der allgemeinen Grundsätze der Firmenbildung frei wählen ( Art. 950 Abs. 1 OR ). Neben dem gesetzlich vorgeschriebenen wesentlichen Inhalt darf jede Firma Angaben enthalten, welche die darin erwähnten Personen näher umschreiben, auf die Natur des Unternehmens hinweisen oder eine Phantasiebezeichnung darstellen, sofern der Inhalt der Firma der Wahrheit entspricht, keine Täuschungen verursachen kann und nicht öffentliche Interessen verletzt ( Art. 944 Abs. 1 OR ). Diese Grundsätze sind in der HRegV und vom Eidgenössischen Handelsregisteramt in konstanter Praxis konkretisiert worden. Nach Art. 44 Abs. 1 HRegV unzulässig sind Firmen, die ausschliesslich oder doch vorwiegend Reklamecharakter haben und daher nicht ihrem primären Zweck dienen, ein Unternehmen zu individualisieren und von anderen Unternehmen zu unterscheiden (HIS, N 97 zu Art. 944 OR ; ROLAND BÜHLER, Firmenfunktionen und Eintragungsfähigkeit von Firmen, in: Der bernische Notar 1987/48, S. 30). Damit Firmen ihre im öffentlichen Interesse liegende kennzeichnende Funktion erfüllen (ROLAND BÜHLER, Grundlagen des materiellen Firmenrechts, Diss. Zürich 1991, S. 106), dem Grundsatz der Firmenwahrheit entsprechen und nicht Anlass zu Täuschungen geben, hat das EHRA sodann zahlreiche Regeln aufgestellt, die bei der Firmenbildung zu beachten sind. So müssen Firmen in lateinischen Buchstaben geschrieben werden (dazu BGE 106 II 62 E. 3), dürfen deshalb weder bildliche Darstellungen noch fremdländische Schriftzeichen enthalten und haben die Regeln der deutschen Sprache zu beachten (Kreisschreiben des EHRA vom 21. April 1978, wiedergegeben bei FORSTMOSER, Schweizerisches Aktienrecht, Bd. I/1, S. 82 ff., Rz. 32 ff.), wenn die Eintragung in dieser Sprache erfolgen soll ( BGE 111 II 88 ). Dieses letztgenannte Erfordernis wird namentlich dadurch gerechtfertigt, dass die Verwendung von Buchstaben und Interpunktionszeichen in einer von der üblichen abweichenden Schreibweise die Gefahr birgt, auf den normal aufmerksamen Durchschnittsleser, auf den es bei der Beurteilung der Zulässigkeit von Firmen ankommt ( BGE 117 II 193 E. 3a), effekthaschend und damit reklamehaft und täuschend zu wirken. Selbst wenn eine solche Gefahr zu verneinen ist, kann beim Leser doch stets Unsicherheit über die Bedeutung einer Firma entstehen ( BGE 111 II 88 ). In BGE 118 II 319 S. 321 Übereinstimmung mit dem EHRA weist daher auch das Bundesgericht Firmen mit regelwidrig gebildeten Folgen von Buchstaben und Interpunktionszeichen als figurativ zurück ( BGE 111 II 86 Nr. 20, BGE 64 I 55 Nr. 7). Die Rechtssicherheit erheischt, dass an dieser Praxis auch im vorliegenden Fall strikte festgehalten wird, und zwar unbekümmert darum, ob die Bezeichnung "MacCooperative" die erwähnten firmenrechtlichen Grundsätze nun besonders gefährde oder nicht. b) Die Beschwerdeführerin anerkennt zu Recht, dass der Firmenbestandteil "MacCooperative" zwar an eine ursprünglich schottische, im englischen Sprachraum gebräuchliche Namensbildung anlehnt, jedoch trotzdem keinen Personennamen, sondern eine Phantasiebezeichnung darstellt. Die Bezeichnung weist nämlich auf die beabsichtigte Tätigkeit der Genossenschaft in der Informatikbranche hin, in der "Mac" vielfach als Kürzel für die Computermarke "Macintosh" verwendet wird. Als Phantasiebezeichnung untersteht der streitige Firmenbestandteil nach dem Gesagten den Regeln der deutschen Sprache. Diese verbieten den Grossbuchstaben C inmitten des Wortes "MacCooperative", der auch nach dem deutschen Sprachempfinden als Fremdkörper und daher zwangsläufig als figuratives Zeichen erscheint, das nur bei Marken, nicht aber bei Firmen zugelassen wird ( BGE 64 I 57 E. 3; FORSTMOSER, a.a.O. S. 82 Rz. 34; BÜHLER, Grundlagen a.a.O. und Beispiele in Fn. 102). Dass das Bundesgericht bei Abkürzungen Grossbuchstaben mit eingeschobenen kleinen Buchstaben nicht beanstandet hat (unveröffentlichtes Urteil vom 18. Januar 1989 i.S. B. AG gegen EHRA), ist unerheblich, da für Abkürzungen andere Schreibregeln gelten (FORSTMOSER, a.a.O. S. 82 Fn. 74a). Eine von den deutschen Regeln abweichende Schreibweise müsste freilich zugelassen werden, wenn nicht eine an schottische Familiennamen anklingende Phantasiebezeichnung, sondern eine Personenfirma zum Eintrag angemeldet wäre, die dem fremdsprachigen Namen einer tatsächlich mit der Genossenschaft verbundenen Person entspräche (dazu BGE 112 II 62 E. 1b mit Hinweisen; HIS, N 10 f. zu Art. 950 OR ; MARTIN KARL ECKERT, Bewilligungspflichtige und verbotene Firmenbestandteile, Diss. Zürich 1991, S. 41). Daraus ergäbe sich indessen eine weitere Gefahr, wollte man als Firmenbestandteile auch Phantasiebezeichnungen zulassen, die auf Personen deuten. Leicht könnten solche Phantasiebezeichnungen dazu führen, dass Aussenstehende hinter ihnen nicht vorhandene Zusammenhänge zwischen dem Unternehmen und gewissen Personen vermuten oder sie gar als Personenbezeichnungen auffassen. Zwar BGE 118 II 319 S. 322 dürfte die Bezeichnung "MacCooperative" kaum als Name aufgefasst werden, weil der durchschnittlich aufmerksame Leser sie als Hinweis auf die Gesellschaftsform der Genossenschaft versteht. Andere Kombinationen dieser Art könnten aber durchaus zu falschen Vorstellungen über Beziehungen zu bestimmten Personen verleiten oder zumindest Zweifel darüber aufkommen lassen, ob es sich um Phantasie- oder Personenbezeichnungen handle. Diese Gefahr bestätigt die Richtigkeit der Auffassung der Direktion, dass bereits der Firmenbestandteil "MacCooperative" zu verbieten sei.
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Urteilskopf 101 Ib 371 64. Sentenza del 31 gennaio 1975 nella causa Divisione federale della Giustizia contro Czerski e Commissione di ricorso del Cantone Ticino.
Regeste Erwerb von Grundstücken durch Personen im Ausland; BB vom 23. März 1961/21. März 1973 (BewB), Verordnung des Bundesrates vom 21. Dezember 1973 (BewV). 1. Eine als Flüchtling anerkannte Person ist hinsichtlich des Erwerbs inländischer Grundstücke nicht günstiger als andere Ausländer zu behandeln. Sie hat nicht das Recht zur Niederlassung in der Schweiz im Sinne von Art. 5 lit. a BB (Erw. 1). 2. Ein Ausländer, der zwar in der Schweiz lebt und arbeitet, sich hier aber nicht ununterbrochen seit mehr als fünf Jahren gemäss Art. 4 Abs. 2 BewB aufhält, kann sich auf ein berechtigtes Interesse im Sinne von Art. 6 Abs. 2 lit. a Ziff. 3 BewB auch dann, wenn die übrigen Voraussetzungen erfüllt wären, nicht berufen, falls er das Grundstück nicht nur als sekundäre, sondern als hauptsächliche Wohnstätte erwerben will (Erw. 2). 3. Art. 12 BewV : Begriff des Orts des Grundstücks im Sinne von Art. 6 Abs. 2 lit. a Ziff. 1 und 2 BewB; Anwendung im vorliegenden Fall (Erw. 3). 4. Art. 6 Abs. 2 lit. a Ziff. 1 BewB: Im vorliegenden Fall fehlen aussergewöhnlich enge geschäftliche oder andere schutzwürdige Beziehungen des Erwerbers zum Ort des Grundstücks (Erw. 4).
Sachverhalt ab Seite 372 BGE 101 Ib 371 S. 372 Stefan Czerski è un rifugiato polacco che, autorizzato dalla polizia degli stranieri, dimora in Svizzera dal 1972. Risiede a Lugano, dove è impiegato quale architetto dallo studio Prada e Notari. Czerski intende acquistare una serie di mappali a Morbio Superiore, d'una superficie complessiva di mq 1000, e costruirvi una casa d'abitazione per sé e la sua famiglia. Il 15 marzo 1974 l'Autorità di prima istanza del distretto di Mendrisio, a cui Czerski s'era rivolto per ottenere l'autorizzazione necessaria ai sensi del decreto federale 23 marzo 1961/21 marzo 1973, gli accordava tale permesso. Chiamata a statuire su ricorso presentato dalla Divisione federale della giustizia, la Commissione cantonale di ricorso respingeva il 22 maggio 1974 il gravame e confermava la decisione di prima istanza. Essa rilevava che Czerski acquistava il terreno a proprio nome e che né egli né la sua famiglia disponevano già in Svizzera di un fondo in proprietà. Osservava altresì che esistevano relazioni degne di protezione tra l'acquirente e Morbio Superiore, dato che Czerski svolgeva frequentemente la propria attività nel Mendrisiotto, dov'era progettista BGE 101 Ib 371 S. 373 di 20 villette in costruzione. Distando il Mendrisiotto soltanto poco più di un quarto d'ora d'autostrada da Lugano, doveva ammettersi che la relazione tra il luogo d'abitazione e il luogo di situazione dei fondi fosse sufficientemente stretta ai sensi dell'art. 6 cpv. 2 lett. a n. 1. I terreni si trovavano inoltre in zona edificabile ed erano inclusi nel perimetro del progetto generale di canalizzazione. Con ricorso di diritto amministrativo del 16 ottobre 1974 la Divisione federale della giustizia ha chiesto l'annullamento dell'autorizzazione accordata. Erwägungen Considerando in diritto: 1. a) L'acquisto di fondi in Svizzera da parte di persone con domicilio o sede all'estero è subordinato all'autorizzazione dell'Autorità cantonale competente (art. 1 del decreto federale sull'acquisto di fondi da parte di persone all'estero, del 23 marzo 1961/21 marzo 1973, chiamato in seguito: decreto federale). Il domicilio si determina, di regola, conformemente alle disposizioni del codice civile (art. 4 cpv. 1 del decreto federale). Nondimeno, una residenza in Svizzera autorizzata dalla polizia degli stranieri, o altrimenti legittima, non è considerata domicilio in Svizzera se non è durata ininterrottamente per più di cinque anni (art. 4 cpv. 2 del decreto federale; cfr. Boll.Sten. CSt. 1973, 16). Stefan Czerski risiede in Svizzera soltanto dal 1972. Egli non può pertanto essere considerato come persona con domicilio in Svizzera. Ne segue che, in quanto intenda acquistare un fondo in Svizzera, egli abbisogna di un'autorizzazione. L'art. 5 del decreto federale prevede eccezioni all'assoggettamento al regime autorizzativo. Il caso del richiedente non corrisponde tuttavia ad alcuna delle ipotesi colà esaurientemente elencate. In particolare, dallo statuto di rifugiato di cui Czerski sembra godere non sgorga un diritto di stabilirsi in Svizzera. b) Né la Convenzione sullo statuto dei rifugiati, conclusa a Ginevra il 28 luglio 1951, approvata dall'Assemblea federale il 14 dicembre 1954 ed entrata in vigore per la Svizzera il 21 aprile 1955 (RU 1954, 469 segg.), né la Convenzione sullo statuto degli apolidi, conclusa a Nuova York il 28 settembre 1954, approvata dall'Assemblea federale il 27 aprile 1972 ed entrata in vigore per la Svizzera il 1o ottobre 1972 (RU 1972 II BGE 101 Ib 371 S. 374 2150 segg.), prevedono un siffatto diritto (non risulta d'altronde dagli atti se una di tali Convenzioni, od ambedue, siano applicabili a Czerski, ossia se siano adempiute le condizioni poste dall'art. 1 della Convenzione sullo statuto dei rifugiati, o dall'art. 1 della Convenzione sullo statuto degli apolidi). Per quanto concerne la proprietà immobiliare, né l'art. 13 della Convenzione sullo statuto dei rifugiati, né il parallelo art. 13 della Convenzione sullo statuto degli apolidi conferiscono al rifugiato od apolide un trattamento più favorevole di quello concesso in tale materia agli stranieri in generale; tali norme si limitano a garantire un trattamento almeno pari a quello riservato agli stranieri in generale, e rinviano con ciò alla legislazione dello Stato di residenza per un eventuale trattamento preferenziale rispetto a quello applicabile agli stranieri in generale. Un tale trattamento preferenziale non è stato disposto dal diritto federale in materia di proprietà immobiliare. c) Le norme emanate in modo immediato dal legislatore svizzero sono silenti circa un eventuale diritto di stabilirsi in Svizzera sgorgante dallo statuto di rifugiato. L'esistenza di un siffatto diritto risulta tuttavia esclusa, allo stato attuale della legislazione, ove si esamini la normativa applicabile nell'ambito della polizia degli stranieri, in cui è da collocare la disciplina relativa ai rifugiati. L'art. 21 della legge federale concernente la dimora e il domicilio degli stranieri, del 26 marzo 1931 (LDDS; RS 142.20) consente al Consiglio federale di concedere asilo allo straniero al quale sia stato rifiutato un permesso e che dimostri in modo attendibile di cercare rifugio da una persecuzione politica. L'asilo è concesso obbligando un Cantone ad accoglierlo. Secondo l'art. 21 cpv. 2 dell'ordinanza d'esecuzione del 1o marzo 1949 della citata legge federale (ODDS, RS 142.201), le condizioni di residenza dei rifugiati sono disciplinate dalle autorità di polizia degli stranieri conformemente alle disposizioni di legge. Anche ove la Divisione federale di polizia o l'autorità di ricorso abbia accordato l'asilo, le autorità della polizia degli stranieri restano quindi formalmente libere per quanto concerne il rilascio del permesso di dimora o di domicilio. Le condizioni a cui tale rilascio è subordinato corrispondono, in linea di principio, a quelle applicabili per gli stranieri in generale. Ai sensi dell'art. 4 LDDS, l'autorità BGE 101 Ib 371 S. 375 decide pertanto liberamente, nei limiti delle disposizioni della legge e dei trattati con l'estero, circa la concessione del permesso di dimora o di domicilio. Questa libertà di decisione è attualmente soltanto limitata dall'obbligo che il Consiglio federale può imporre, come s'è visto, ad un Cantone di accogliere il rifugiato a cui abbia accordato l'asilo, senza di che l'attuazione di tale provvedimento rischierebbe di rimanere illusoria (v. VIKTOR LIEBER, Die neuere Entwicklung des Asylrechts im Völkerrecht und Staatsrecht, tesi Zurigo 1973, pagg. 305/306; tale autore preconizza "de legge federenda" che al rifugiato il cui statuto sia riconosciuto venga attribuito un diritto d'ottenere il domicilio, cfr. op.cit. pagg. 312/313). Può inoltre rilevarsi che il rifugiato non soggiace a certe limitazioni specifiche in materia di polizia degli stranieri: in particolare, egli non è soggetto alla disciplina posta dall'ordinanza del Consiglio federale che limita l'effettivo degli stranieri esercitanti un'attività lucrativa, del 6 luglio 1973 (RS 823.21, v. art. 2 cpv. 3 lett. b). d) In base a quanto sopra va quindi tenuto fermo che Czerski, non totalizzando cinque anni di residenza ininterrotta in Svizzera, è soggetto, come qualsiasi altro straniero non appartenente alle categorie previste dall'art. 5 del decreto federale, all'obbligo di conseguire l'autorizzazione per l'acquisto di fondi in Svizzera. 2. Ai sensi dell'art. 6 cpv. 1 del decreto federale, l'autorizzazione dev'essere concessa se l'acquirente dimostra un interesse legittimo all'acquisto del fondo. Per le persone fisiche, questo interesse legittimo è dato se il fondo è destinato anzitutto alla dimora dell'acquirente o della sua famiglia, se egli lo acquista in nome proprio e se egli, il suo coniuge o i suoi figli minorenni non hanno acquistato a tal fine altri fondi in Svizzera. Oltre tali presupposti cumulativi, occorre che sia adempiuta una delle seguenti condizioni: 1. Esistenza di strettissimi rapporti d'affari o di altre relazioni degne di protezione tra acquirente e luogo di situazione del fondo; 2. Residenza duratura dell'acquirente nel luogo di situazione del fondo (cfr. Boll.Sten. CSt. 1973, 8), autorizzata dalla polizia degli stranieri o altrimenti legittima; 3. Stretta dipendenza economica del luogo di situazione del fondo dal movimento turistico, cosicché si richieda, per il promovimento BGE 101 Ib 371 S. 376 di quest'ultimo, l'allestimento di residenze secondarie, segnatamente nelle regioni montane. L'ultima delle condizioni testé menzionate presuppone che l'acquirente intenda acquistare un fondo per adibirlo a sua residenza secondaria, e che egli non risieda in modo duraturo in Svizzera. Ciò risulta dall'espressione "allestimento di residenze secondarie" (in francese: "établissement de résidences secondaires"; in tedesco: "Ansiedlung von Gästen"), che si contrappone chiaramente alla nozione di residenza a titolo permanente (cfr. Boll.Sten. CSt. 1973, 8, come pure Boll. Sten. CN 1972 II 2228 segg.; per la rilevanza del turismo in alloggio proprio, Boll.Sten. CN 1972 II 2244). Tale punto è di particolare importanza nella fattispecie, dato che Morbio Superiore figura, secondo l'Appendice I al decreto del Consiglio federale del 21 dicembre 1973 sull'acquisto di fondi in luoghi turistici da parte di persone all'estero, tra i luoghi turistici di stretta dipendenza economica dal movimento turistico, in cui l'acquisto di case da adibirsi a residenza secondaria, o di terreni destinati alla costruzione di tali case, è considerato come interesse legittimo. Ciò significa che se Czerski intendesse costruire a Morbio Superiore una residenza secondaria l'autorizzazione per l'acquisto del relativo terreno non potrebbe essergli negata. Egli non ha tuttavia questo proposito, bensì vuole risiedere a Morbio Superiore in modo duraturo. Ne segue che non può fondare la sua domanda di autorizzazione sull'art. 6 lett. a n. 3 del decreto federale. Non incombe al Tribunale federale, vincolato in virtù degli art. 113 e 114 bis cpv. 3 Cost. alle leggi federali e alle risoluzioni di carattere generale emanate dall'Assemblea federale, esaminare se tale disciplina, creata con il decreto federale, sia giudiziosa o conforme alla Costituzione. Essa potrebbe, d'altronde, giustificarsi, almeno in certa misura, considerando che non appare desiderabile favorire la residenza duratura di stranieri che non abbiano ancora stretti rapporti con il luogo di situazione del fondo, autorizzando loro l'acquisto di fondi prima che siano risieduti per cinque anni in Svizzera; l'art. 6 cpv. 2 lett. a n. 3 del decreto federale mira esclusivamente ad agevolare il turismo in alloggio proprio. 3. Czerski intende acquistare il terreno a suo nome e destinarlo a dimora sua e della sua famiglia. Nessun altro membro della sua famiglia, ai sensi dell'art. 6 cpv. 2 lett. a del BGE 101 Ib 371 S. 377 decreto federale, ha acquistato a tal fine un fondo in Svizzera. Come già si è visto, l'ipotesi menzionata nell'art. 6 cpv. 1 lett. a n. 3 non entra in considerazione nella fattispecie. Neppure ricorre l'ipotesi espressa nell'art. 6 cpv. 1 lett. a n. 2, ossia la residenza duratura dell'acquirente nel luogo di situazione del fondo, autorizzata dalla polizia degli stranieri o altrimenti legittima. Czerski non è infatti mai risieduto a Morbio Superiore. Nella sua ordinanza d'esecuzione del 21 dicembre 1973 sull'acquisto di fondi da parte di persone all'estero, il Consiglio federale ha definito in modo ampio la nozione di luogo di situazione del fondo (art. 12). Essa comprende infatti anche i comuni limitrofi o, per le città, i comuni dell'agglomerato a tenore della statistica federale (in senso critico; THOMAS BÄR, in Kritische Bemerkungen zur VO über den Erwerb von Grundstücken durch Personen im Ausland vom 21. Dezember 1973, Schweizerische Juristen-Zeitung 1974, pag. 237). Morbio Superiore non è tuttavia un comune limitrofo di Lugano né appartiene all'agglomerato di tale città (v. Annuario statistico federale 1974, pag. 17). Anche ammettendo che il luogo di lavoro di Czerski sia principalmente Mendrisio, dato che lo studio d'architettura in cui egli svolge la sua attività vi ha un secondo ufficio, le condizioni stabilite dall'art. 12 dell'ordinanza non sarebbero adempiute; è infatti pacifico che Morbio Superiore non è comune limitrofo di Mendrisio, che Mendrisio non è città ai sensi della statistica federale (v. Annuario statistico federale 1974, pag. 62) e che, persino se fosse città, Morbio Superiore non farebbe parte del suo agglomerato. È superfluo esaminare se la nozione di luogo di situazione del fondo, quale delimitata dall'art. 12 dell'ordinanza, sia conforme all'art. 6 cpv. 2 lett. a del decreto federale. Ove tale conformità non esistesse, sarebbe esclusivamente nel senso di una delimitazione eccessivamente ampia, contenuta nell'art. 12 dell'ordinanza, del che Czerski non potrebbe dolersi, dandogli per l'appunto questa disposizione la possibilità di comprare un fondo non solamente nel suo luogo di dimora o di lavoro in senso stretto, ma anche in un comune limitrofo o facente parte dell'agglomerato. 4. Resta così da determinare se Czerski mantenga con il luogo di situazione del fondo strettissimi rapporti di affari od altre relazioni degne di protezione, ai sensi dell'art. 6 cpv. 2 BGE 101 Ib 371 S. 378 lett. a n. 1 del decreto federale. Da quanto appare dagli atti, possono escludersi rapporti d'affari strettissimi tra Czerski e Morbio Superiore. Né emerge l'esistenza di altre relazioni degne di protezione. L'art. 10 dell'ordinanza enumera le categorie di relazioni che possono essere riconosciute come degne di protezione. Czerski non versa manifestamente in alcuna delle ipotesi ivi enunciate. In particolare, egli non intende esercitare la propria professione a Morbo Superiore o in un comune limitrofo. Né sono addotte, ai sensi dell'art. 10 cpv. 1 lett. e dell'ordinanza, altre circostanze la cui considerazione sia giustificata da un pubblico interesse. Non sussiste un siffatto interesse a che Czerski possa abitare a Morbio Superiore. Né risulta che il richiedente intenda costruire o riprendere abitazioni economiche su un fondo situato in un luogo dove vi sia penuria di abitazioni, ai sensi dell'art. 6 cpv. 2 lett. d del decreto federale. Pur essendo comprensibile che egli desideri edificare in vicinanza del luogo in cui egli svolgerà presumibilmente il proprio lavoro nel prossimo futuro, tale circostanza non è sufficiente per dar luogo ad un interesse degno di protezione. Ci si potrebbe chiedere se l'art. 10 dell'ordinanza contenga un'enumerazione esauriente, oppure solamente esemplificativa, delle relazioni dell'acquirente degne di protezione. Tale questione può nondimeno rimanere indecisa nella fattispecie. I motivi che Czerski può invocare a sostegno della sua domanda di autorizzazione non giustificano infatti in alcun modo una tutela maggiore di quella garantita dall'art. 10 dell'ordinanza. Al richiedente resta la possibilità di acquistare un fondo a Lugano o in un comune del suo agglomerato, od eventualmente a Mendrisio o in un comune limitrofo. Inoltre, alla stregua della legislazione in vigore, in quanto continui a risiedere in Svizzera, egli non soggiacerà più al regime autorizzativo a partire dal quinto anno della sua residenza ininterrotta in Svizzera, ossia dal 1977. Dispositiv Il Tribunale federale pronuncia: Il ricorso è accolto.
public_law
nan
it
1,975
CH_BGE
CH_BGE_003
CH
Federation
20c2a65e-ac07-4653-848f-9492b4e53594
Urteilskopf 116 V 281 42. Auszug aus dem Urteil vom 17. September 1990 i.S. Bundesamt für Industrie, Gewerbe und Arbeit gegen B. und Kantonale Rekurskommission für die Arbeitslosenversicherung, Zürich
Regeste Art. 23 Abs. 1 AVIG : Versicherter Verdienst. Überzeitentschädigung bildet nicht Bestandteil des versicherten Verdienstes.
Erwägungen ab Seite 281 BGE 116 V 281 S. 281 Aus den Erwägungen: 1. Gemäss Art. 23 Abs. 1 Satz 1 AVIG gilt als versicherter Verdienst der für die Beitragsbemessung massgebende Lohn (Art. 3), der während eines Bemessungszeitraums normalerweise erzielt wurde, einschliesslich der vertraglich vereinbarten regelmässigen Zulagen, soweit sie nicht Entschädigung für arbeitsbedingte Inkonvenienzen sind. 2. Im vorliegenden Fall ist streitig, ob die dem Beschwerdegegner ausgerichtete Überstundenentschädigung Bestandteil des versicherten Verdienstes bildet. Bei der Prüfung dieser Rechtsfrage, zu der das Eidg. Versicherungsgericht bislang nicht Stellung zu nehmen hatte, ist nicht der Begriff der Überstundenarbeit im engeren, technischen Sinne massgebend, worunter jede die normale Arbeitszeit überschreitende Arbeit zu verstehen ist. Auszugehen ist vielmehr vom weiter gefassten Begriff der Überzeit. Als solche gilt die Arbeit, welche die gesetzlich festgelegte Höchstarbeitszeit nach Arbeitsgesetz überschreitet und bei Nichtausgleichung durch Freizeit mit einem Zuschlag von mindestens 25% wettzumachen ist ( Art. 13 ArG ; REHBINDER, Schweizerisches Arbeitsrecht, 9. Aufl., S. 42 f.). Um festzustellen, ob Überzeitentschädigung als versicherter Verdienst gilt, muss Art. 23 Abs. 1 Satz 1 AVIG ausgelegt werden. BGE 116 V 281 S. 282 a) (Auslegung des Gesetzes) b) Aufgrund des Wortlautes von Art. 23 Abs. 1 Satz 1 AVIG lässt sich die vorliegend interessierende Frage nicht beantworten. Unklar ist das Verhältnis des für die Beitragsbemessung massgebenden Lohnes im Sinne der AHV-Gesetzgebung ( Art. 3 AVIG ) zu dem während des Bemessungszeitraums "normalerweise" erzielten Verdienst. Der Auslegung bedarf insbesondere der unbestimmte Rechtsbegriff "normalerweise". Dass Entschädigungen für Überzeitarbeit AHV-rechtlich Bestandteile des für die Beitragspflicht massgebenden Lohnes darstellen ( Art. 7 lit. a AHVV ), bedeutet nicht, dass sie zwangsläufig zum AlV-relevanten versicherten Verdienst gehören. Denn nur jener beitragsrechtlich massgebende Lohn, welcher während des Bemessungszeitraumes normalerweise erzielt wird, gehört zum versicherten Verdienst. Nebst dieser allgemein formulierten Einschränkung behält das Gesetz konkret bestimmte Ausnahmen wie Entschädigungen für arbeitsbedingte Inkonvenienzen (Art. 23 Abs. 1 Satz 1) und Nebenverdienste (Art. 23 Abs. 3) vor, die bei der Festsetzung des versicherten Verdienstes ausser Betracht fallen ( BGE 112 V 59 Erw. 2a; vgl. auch BGE 115 V 326 ). c) Der während der Übergangsordnung (AlVB vom 8. Oktober 1976) bis zum 31. Dezember 1983 gültig gewesene Art. 33 Abs. 1 AlVV vom 14. März 1977 hat den versicherten Verdienst wie folgt umschrieben: "Als versicherter Verdienst gilt, bis zu dem in Art. 2 des Beschlusses genannten Höchstbetrag, der für die Berechnung der Beiträge an die Alters- und Hinterlassenenversicherung massgebende Lohn, mit Ausnahme der Entschädigungen für Überzeitarbeit, für vorübergehende Nacht- und Sonntagsarbeit sowie von Gratifikationen, auf die kein Rechtsanspruch besteht. Ausgenommen sind ferner Entschädigungen zur Deckung des Lohnausfalles während der Ferien bzw. Feiertage." Diese Umschreibung stimmte materiell mit dem altrechtlichen, bis Ende März 1977 in Kraft gewesenen Art. 4bis Abs. 1 AlVV überein. Altrechtlich waren somit Überzeitentschädigungen vom versicherten Verdienst ausgeschlossen. In der Botschaft zum geltenden AVIG hielt der Bundesrat zum Begriff des versicherten Verdienstes fest (BBl 1980 III 577): "Es ist ... auf den für die Beitragsbemessung massgebenden Lohn abzustellen, der die Kinderzulagen nicht umfasst, jedoch die Haushaltszulagen sowie die vertraglich vereinbarten dauernden Zulagen. Unter diesen sind z.B. regelmässig ausgerichtete Inkonvenienzentschädigungen zu verstehen, BGE 116 V 281 S. 283 nicht jedoch Entschädigungen für vorübergehende Nacht- und Sonntagsarbeit oder Überzeitarbeit." Aus diesen Ausführungen wird klar, dass der altrechtlich in der Verordnung ausdrücklich normierte Ausschluss von Überzeitentschädigung aus dem versicherten Verdienst ins neue Recht übernommen werden sollte. Neu war, dass diese Regelung nicht mehr bloss auf Verordnungs-, sondern auf Gesetzesstufe vorgesehen war, wenn auch nur noch indirekt, mit der Wendung "normalerweise erzielter Lohn". Die vom Bundesrat in der Botschaft geäusserte Absicht, Überzeitentschädigungen vom versicherten Verdienst auszuschliessen, blieb in der vorberatenden nationalrätlichen Kommission unbestritten (Kommission des Nationalrates, Sitzung vom 24./25. November 1980, Protokoll S. 17 f.), während dieser Punkt in der Kommission des Ständerates zu keinen Diskussionen Anlass gab (Kommission des Ständerates, Sitzung vom 17./18. August 1981, Protokoll S. 39). Bei der Behandlung des AVIG in den eidgenössischen Räten wurde der heute geltende Art. 23 Abs. 1 in der von der Kommission des Nationalrates unterbreiteten Fassung, die im vorliegend interessierenden Punkt dem Entwurf des Bundesrates entsprach, diskussionslos angenommen (Amtl.Bull. 1981 N 672; Amtl.Bull. 1982 S 135). Nach dem Willen des Gesetzgebers muss daher Überzeitentschädigung bei der Ermittlung des versicherten Verdienstes ausser acht bleiben. d) Zum gleichen Ergebnis wie die Auslegung aufgrund der Gesetzesmaterialien führt auch die Auslegung nach Sinn und Zweck von Art. 23 Abs. 1 AVIG . Wie das Bundesamt für Industrie, Gewerbe und Arbeit (BIGA) zutreffend geltend macht, will das AVIG den versicherten Personen einen angemessenen Ersatz für Erwerbsausfälle u.a. wegen Arbeitslosigkeit garantieren ( Art. 34novies BV ; Art. 1 AVIG ). Eine Entschädigung für ausgefallene Überzeitarbeit widerspräche dem auch in anderen Bereichen des Gesetzes zum Ausdruck kommenden Grundgedanken der Arbeitslosenversicherung: Diese soll nur für eine normale übliche Arbeitnehmertätigkeit Versicherungsschutz bieten, dagegen keine Entschädigung für Erwerbseinbussen ausrichten, die aus dem Ausfall einer Überbeschäftigung stammen ( BGE 115 V 328 Erw. 3a mit Hinweisen). Sodann bemerkt das BIGA zu Recht, dass eine solche Lösung auch kaum mit anderen Bestimmungen des AVIG, insbesondere mit Art. 16 Abs. 1 lit. e vereinbar wäre. Danach gilt eine Arbeit hinsichtlich des Verdienstes als zumutbar, BGE 116 V 281 S. 284 wenn sie dem Arbeitslosen einen Lohn einbringt, der nicht geringer ist als die ihm zustehende Arbeitslosenentschädigung. Würden Überzeitentschädigungen beim versicherten Verdienst angerechnet, ergäbe sich bei Versicherten, die vor Eintritt der Arbeitslosigkeit regelmässig in erheblichem Umfang Überstunden geleistet haben, eine entsprechend hohe Arbeitslosenentschädigung mit der Folge, dass für sie bei normaler Arbeitszeit kaum mehr eine arbeitslosenversicherungsrechtlich zumutbare Arbeit gefunden werden könnte.
null
nan
de
1,990
CH_BGE
CH_BGE_007
CH
Federation
20c8fd05-a211-4edb-9d80-f4c957a5faeb
Urteilskopf 118 II 322 64. Urteil der I. Zivilabteilung vom 27. April 1992 i.S. Ferosped AG gegen Fertrans AG (Berufung)
Regeste Art. 951 Abs. 2 OR . Unterscheidbarkeit der Firmen von Aktiengesellschaften. Anforderungen bei Firmen, die aus Sach- und Gattungsbegriffen mit assoziativem Charakter zusammengesetzt sind. Erhöhte Verwechslungsgefahr als Folge der besonderen Nähe von Konkurrenzunternehmen (E. 1). Ungenügende Unterscheidbarkeit zweier Firmen (Fertrans AG und Ferosped AG), deren Nebenbestandteile sich zwar klanglich und vom Schriftbild her klar unterscheiden, jedoch in Verbindung mit dem identischen Hauptbestandteil auf die gleiche unternehmerische Tätigkeit hinweisen (E. 2). Verwechslungen ausserhalb konkreter Geschäftsbeziehungen als Indiz für die fehlende Unterscheidungskraft (E. 3).
Sachverhalt ab Seite 323 BGE 118 II 322 S. 323 A.- Die im Jahr 1972 gegründete Fertrans AG mit Rechtsdomizil und tatsächlichem Geschäftssitz an der Fabrikstrasse 19 in Buchs bezweckt die "Annahme und Durchführung von internationalen Speditionsaufträgen)... sowie die Durchführung von Warentransporten im In- und Ausland" Die tatsächlich zwar in Grabs, rechtlich jedoch ebenfalls an der Fabrikstrasse 19 in Buchs domizilierte Ferosped AG ist im Jahr 1990 gegründet worden und bezweckt die "Durchführung und Vermittlung von internationaler Spedition und Transporten, insbesondere auf dem Gebiet der Bahnfracht". B.- Aus Firmen- und Wettbewerbsrecht erhob die Fertrans AG gegen die Ferosped AG Klage beim Handelsgericht des Kantons St. Gallen, das die Beklagte am 15. November 1991 verpflichtete, den Bestandteil "Ferosped" aus ihrer Firma zu entfernen, weil sich die jüngere Firma nicht genügend von der älteren unterscheide und auch eine angebotene Sitzverlegung innerhalb der Gemeinde Buchs die Verwechslungsgefahr nicht beseitige. C.- Mit eidgenössischer Berufung beantragt die Beklagte die Aufhebung des handelsgerichtlichen Urteils und die Abweisung der Klage, eventuell sei bloss eine Sitzverlegung innerhalb der Gemeinde Buchs anzuordnen. Das Bundesgericht weist die Berufung ab und bestätigt das angefochtene Urteil Erwägungen aus den folgenden Erwägungen: 1. Die Firma einer Aktiengesellschaft muss sich von jeder in der Schweiz bereits eingetragenen Firma deutlich unterscheiden ( Art. 951 Abs. 2 OR ), ansonst der Inhaber der älteren Firma wegen Verwechslungsgefahr auf Unterlassung des Gebrauchs der jüngeren Firma klagen kann ( Art. 956 Abs. 2 OR ). Weil Aktiengesellschaften in der Wahl ihrer Firma unter Vorbehalt der allgemeinen Grundsätze der Firmenbildung frei sind ( Art. 950 Abs. 1 OR ), werden strenge Anforderungen an die Unterscheidbarkeit gestellt ( BGE 92 II 97 E. 2). Ob zwei Firmen genügend unterscheidbar sind oder ob Verwechslungsgefahr besteht, hängt in erster Linie von der Aufmerksamkeit ab, die in den Kreisen üblich ist, mit denen die betreffenden Unternehmen geschäftlich verkehren. Die firmenrechtlich gebotene BGE 118 II 322 S. 324 Unterscheidbarkeit dient jedoch nicht allein der Ordnung des Wettbewerbs; sie schützt den Träger der älteren Firma vielmehr umfassend um seiner Persönlichkeit und seiner gesamten Geschäftsinteressen willen. Ganz allgemein soll dieses Erfordernis schliesslich verhindern, dass das Publikum, zu dem neben den Kunden insbesondere auch Stellensuchende, Behörden und öffentliche Dienste gehören, getäuscht wird ( BGE 100 II 226 E. 2 mit Hinweisen). Entsprechend den strengen Anforderungen an die Unterscheidbarkeit ist nicht erst dann Verwechslungsgefahr anzunehmen, wenn die Firma eines Unternehmens für die eines anderen Unternehmens gehalten werden kann; es genügt die Gefahr, dass bei Aussenstehenden der unzutreffende Eindruck entsteht, das mit der Firma gekennzeichnete Unternehmen sei mit einem anderen Unternehmen rechtlich oder wirtschaftlich verbunden ( BGE 109 II 489 E. 5 mit Hinweisen, BGE 90 II 202 E. 5a; vgl. auch BGE 116 II 368 E. 3a; MEIER-HAYOZ/FORSTMOSER, Grundriss des schweizerischen Gesellschaftsrechts, 6. A., S. 128 Rz. 162; PATRICK TROLLER, Kollisionen zwischen Firmen, Handelsnamen und Marken, Diss. Bern 1979, S. 78; ROLAND BÜHLER, Grundlagen des materiellen Firmenrechts, Diss. Zürich 1991, S. 129). Haben sodann zwei Unternehmen ihren Sitz am gleichen Ort, stehen sie miteinander im Wettbewerb oder wenden sie sich aus andern Gründen an die gleichen Kreise, erheischt die Firmenwahl besondere Zurückhaltung, weil solche Umstände die Gefahr von Verwechslungen erhöhen ( BGE 97 II 235 E. 1). Über das Vorliegen dieser Gefahr im konkreten Fall befindet der Richter aufgrund der gesamten Umstände nach seinem Ermessen ( Art. 4 ZGB ; MEIER-HAYOZ/FORSTMOSER, a.a.O. S. 128 f. Rz. 163). Abzustellen hat er auf den Gesamteindruck einer Firma nach ihrem Schriftbild und Wortklang. Dabei genügt nicht, dass zwei gleichzeitig und aufmerksam miteinander verglichene Firmen unterscheidbar sind; sie müssen auch in der Erinnerung deutlich auseinandergehalten werden können. Deshalb kommt Bestandteilen, die durch ihren Klang oder Sinn hervorstechen, erhöhte Bedeutung zu, weil sie in der Erinnerung besser haftenbleiben und im mündlichen wie schriftlichen Verkehr oft allein verwendet werden ( BGE 114 II 433 E. 2c). Je nachdem, ob es sich bei diesen Bestandteilen um Personen-, Sach- oder Phantasiebezeichnungen handelt, hat der Richter auch die Unterscheidbarkeit differenziert zu beurteilen (MEIER-HAYOZ/FORSTMOSER, a.a.O. S. 130 Rz. 168). So sind bei reinen Phantasiebezeichnungen besonders strenge Massstäbe anzulegen, weil hier im Vergleich zu Personen- und Sachbezeichnungen die grössere Auswahl BGE 118 II 322 S. 325 an unterscheidungskräftigen Zeichen zur Verfügung steht ( BGE 97 II 235 E. 1). Indessen gilt auch für Firmenbestandteile, die als Sachbezeichnungen Art und Tätigkeit eines Unternehmens beschreiben oder wenigstens darauf hinweisen, indem sie Gedankenassoziationen wecken, dass sie zu keinen Täuschungen Anlass geben dürfen ( Art. 944 Abs. 1 OR ) und den Ausschliesslichkeitsanspruch der älteren Firma ( Art. 951 Abs. 2 und 956 OR ) zu beachten haben ( BGE 100 II 228 E. 4). Erforderlich ist daher auch bei Firmen, die gleich der streitigen Bezeichnung "Ferosped AG" aus Sach- und Gattungsbegriffen mit assoziativem Charakter zusammengesetzt sind, dass der Nachbenützer für eine deutliche Abhebung von älteren Firmen sorgt, indem er seine Firma eigenständig ausgestaltet oder im Falle reiner und damit gemeinfreier Sachbezeichnungen der Verwechslungsgefahr mit individualisierenden Zusätzen begegnet ( BGE 114 II 433 E. 2a mit Hinweis). 2. a) Beide Parteien haben ihr rechtliches Domizil an derselben Adresse in Buchs, an der sich auch der tatsächliche Geschäftssitz der Klägerin befindet. Derjenige der Beklagten in Grabs ist nur einige Kilometer davon entfernt. Beide Gesellschaften sind sodann im Speditionsgeschäft tätig, wenden sich an denselben Kundenkreis und stehen daher miteinander im Wettbewerb. Dass die Klägerin nach den vorinstanzlichen Feststellungen als Direktanbieterin auftritt, die Beklagte dagegen eher als blosse Vermittlerin, ändert am Wettbewerbsverhältnis nichts, kann dieses doch auch zwischen Marktteilnehmern verschiedener Wirtschaftsstufen oder zwischen unmittelbaren und mittelbaren Anbietern bestehen ( BGE 114 II 109 ). Damit sich die als Folge dieser Umstände erhöhte Verwechslungsgefahr nicht verwirklicht, sind nach dem Gesagten strenge Anforderungen an die Unterscheidbarkeit der Firma "Ferosped AG" von der älteren Firma "Fertrans AG" zu stellen. b) Beide Firmen beginnen mit der Buchstabenfolge "FER" und enden wiederum identisch mit dem Hinweis auf die Gesellschaftsform (AG). Der Bestandteil "FER" weckt im schweizerischen, namentlich im französischen und italienischen Sprachgebrauch Assoziationen mit dem Transportmittel der Eisenbahn (chemin de fer, ferrovia). Auch die nachfolgenden Bestandteile "TRANS" bzw. "O-SPED" rufen Assoziationen hervor. Während "TRANS" auf "Transport" deutet, wird "O-SPED" als Hinweis auf "Spedition" verstanden, und zwar unbekümmert um das vorangestellte "O", das offenkundig nur der Geläufigkeit in der Aussprache dient. Die Begriffe des Transports und der Spedition stehen in engem Zusammenhang. BGE 118 II 322 S. 326 Sie werden als sinnverwandt oder inhaltlich gar als identisch aufgefasst, weil dem Begriff der Spedition nach allgemeinem Sprachgebrauch die Bedeutung des gewerbsmässigen Warentransports beigelegt wird (DUDEN, Bd. 5, Fremdwörterbuch, 5. A., S. 733, Bd. 8, Sinn- und sachverwandte Wörter, 2. A., S. 616 und 667). Hauptbestandteil beider Firmen ist die am Anfang stehende, identische Buchstabenfolge "FER". Als sogenannt starker Bestandteil (KRAMER, "Starke" und "schwache" Firmenbestandteile, in Festschrift Pedrazzini, S. 603 ff., S. 611 mit Hinweisen auf die Praxis) prägt sie die Erinnerung. Gegen die dadurch geschaffene Verwechslungsgefahr vermag der Nebenbestandteil "SPED" nicht aufzukommen. Er unterscheidet sich zwar klanglich wie vom Schriftbild her eindeutig vom Nebenbestandteil "TRANS" der älteren Firma. Gleich wie dieser deutet die Buchstabenfolge "SPED" jedoch vom Inhalt her auf ein im Bereich des Transportwesens tätiges Unternehmen. Tritt zu dieser gedanklichen Verbindung die Assoziation aus dem identischen, auf das Transportmittel der Eisenbahn hinweisenden Hauptbestandteil "FER" hinzu, so entsteht unweigerlich die Gefahr, dass in der Erinnerung der massgeblichen Personenkreise die irrige Vorstellung haftenbleibt, die Firmen der Parteien würden wirtschaftlich oder rechtlich verbundene Unternehmen für Eisenbahntransporte bezeichnen. Das reicht nach dem vorstehend Ausgeführten aus, um die durch die besondere Nähe der beiden Konkurrenten erhöhte Verwechslungsgefahr zu bejahen. Sie läge auch dann vor, wenn die Auffassung der Beklagten zuträfe und die Bestandteile ihrer Firma als gemeinfreie Sachbezeichnungen zu qualifizieren wären. Denn selbst bei Firmen, die aus reinen, als alleinige Firmeninhalte nicht mehr eintragungsfähigen Sachbezeichnungen ( BGE 101 Ib 361 sowie BGE 114 II 286 E. 2b) zusammengesetzt sind, hat das Bundesgericht stets verlangt, dass sich die jüngere Firma wenigstens durch einprägsame Zusätze deutlich von der älteren Firma unterscheide ( BGE 94 II 130 mit Hinweis). 3. Unbehelflich sind auch die übrigen Berufungsvorbringen: Fehl geht namentlich der Einwand, Verwechslungen seien deshalb ausgeschlossen, weil die Parteien ausschliesslich mit branchenkundigen Geschäftskreisen verkehren würden. Dass es nämlich zu den vom Firmenrecht ebenfalls verpönten Verwechslungen ausserhalb konkreter Geschäftsbeziehungen (E. 1 hievor) gekommen ist, hat das Handelsgericht verbindlich festgestellt ( Art. 63 Abs. 2 OG ) und zu Recht als Indiz für die fehlende Unterscheidbarkeit gewertet. Ausserdem könnte als Folge der beiden nur unzureichend unterscheidbaren BGE 118 II 322 S. 327 Firmen selbst in branchenkundigen Kreisen die irrige Meinung aufkommen, die Parteien seien konzernmässig verbunden. Entgegen der Auffassung der Beklagten vermag sodann auch das unterschiedliche Schriftbild die Verwechslungsgefahr nicht zu bannen, da dieses registermässig nicht in Erscheinung tritt, vom Firmeninhaber nicht beibehalten werden muss und im Verkehr oft unbeachtet bleibt ( BGE 92 II 98 E. 3). Dass schliesslich die im Eventualbegehren beantragte Anordnung einer Sitzverlegung innerhalb der Gemeinde Buchs die Verwechslungsgefahr nicht beseitigen würde, bedarf keiner Ausführungen.
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Urteilskopf 114 II 353 66. Extrait de l'arrêt de la Ire Cour civile du 28 octobre 1988 dans la cause F. contre R. et R. AG (recours en réforme)
Regeste Gerichtsstand für arbeitsrechtliche Streitigkeiten. Begriff des "Ortes des Betriebs" im Sinne von Art. 343 Abs. 1 OR .
Sachverhalt ab Seite 353 BGE 114 II 353 S. 353 A.- F. a travaillé depuis le 1er juin 1966, en qualité de visiteur médical, pour le compte d'une entreprise de la branche pharmaceutique; son rayon d'activité couvrait la Suisse romande. Il habitait Genève et avait fait installer, à ses frais, un répondeur automatique à son domicile, où il établissait les rapports journaliers qu'il envoyait chaque semaine au siège de la société à Zurich. Les commandes que le voyageur de commerce ne prenait pas sur place étaient passées directement à la société ou transmises à celle-ci par son intermédiaire lorsqu'elles étaient faites par téléphone. F. ne s'occupait ni de la facturation ni de l'encaissement. Par lettre du 26 février 1987, l'employeur a résilié le contrat de travail pour le 31 mai 1987. B.- Le 5 mai 1987, F. a assigné R., personnellement, et R. AG devant la juridiction des prud'hommes, à Genève, en faisant valoir diverses prétentions découlant des rapports de travail. BGE 114 II 353 S. 354 Les défendeurs ont soulevé l'exception d'incompétence ratione loci des tribunaux genevois. Par jugement incident du 28 septembre 1987, le Tribunal des prud'hommes s'est déclaré compétent à raison du lieu. Statuant le 23 mars 1988, sur appel des défendeurs, la Chambre d'appel des prud'hommes a annulé le jugement de première instance et décliné la compétence locale des tribunaux genevois pour connaître de la présente affaire. C.- Agissant par la voie du recours en réforme, F. demande au Tribunal fédéral d'annuler l'arrêt cantonal et de constater la compétence à raison du lieu de la juridiction genevoise des prud'hommes. Le Tribunal fédéral rejette le recours et confirme l'arrêt attaqué. Erwägungen Extrait des considérants: 1. Aux termes de l' art. 343 al. 1 CO , les litiges relevant du contrat de travail seront portés, à choix, devant le for du domicile du défendeur ou du lieu de l'exploitation ou du ménage pour lequel le travailleur accomplit son travail. La loi ne précise pas ce qu'il faut entendre par "lieu de l'exploitation" (Ort des Betriebes, luogo dell'azienda), au sens de cette disposition. Aussi convient-il de rechercher la véritable portée de cette norme en la dégageant de tous les éléments à considérer, soit du texte légal, des travaux préparatoires, du but de la règle, ainsi que des valeurs sur lesquelles elle repose ( ATF 113 II 410 consid. 3a et les références). a) L'art. 343 du projet de loi revisant les titres dixième et dixième bis du code des obligations ne réglait pas la question de la compétence de jugement ratione loci en matière de litiges relevant du contrat de travail (FF 1967 II 460). La disposition topique a été introduite dans le code des obligations ensuite d'une proposition de la commission du Conseil des Etats adoptée sans opposition par les Chambres fédérales. En instituant un for alternatif, le législateur visait à faciliter l'accès aux tribunaux aux travailleurs occupés par des entreprises ayant des sièges secondaires ou des établissements dans des cantons éloignés du siège social (BO CE 1970 p. 316 [Bodenmann] et 364 [Borel]; BO CN 1970 p. 827 [Hofstetter]). Cela supposait, d'une part, que l'on transposât au niveau fédéral la règle du for du domicile commercial que connaissaient déjà plusieurs procédures cantonales et, d'autre part, que l'on appliquât une telle règle à des BGE 114 II 353 S. 355 établissements ne jouissant pas d'une autonomie suffisante pour être considérés comme des succursales (BO CE, ibid., [Bodenmann]). b) L' art. 343 al. 1 CO a pour but de faciliter l'action en justice des parties au contrat de travail. Il tend à écarter les difficultés, souvent insurmontables, que celles-ci pourraient rencontrer lorsque les rapports de travail revêtent un caractère intercantonal, si elles étaient tenues d'agir au for ordinaire de l' art. 59 Cst. C'est la raison pour laquelle le point de rattachement que constitue le lieu de l'exploitation ne doit pas faire l'objet d'une interprétation restrictive. Telle est du reste l'opinion dominante qui ressort de la lecture des arrêts cantonaux et des ouvrages de doctrine (cf. BJM 1975, p. 226/227, et 1976, p. 321; Jahrbuch des Schweizerischen Arbeitsrechts [JAR] 1983, p. 282 ss, 1986, p. 241/242, 1987, p. 347, 349 et 351 ss; AUBERT, Quatre cents arrêts sur le contrat de travail, n. 319 à 321; VISCHER, Le contrat de travail, in Traité de droit privé suisse, vol. VII/1 (traduction française), p. 236; SCHWEINGRUBER, Kommentar zum Arbeitsvertrag, 2e éd., n. 2 ad art. 343 CO ; BRÜHWILER, Handkommentar zum Einzelarbeitsvertrag, n. 1 ad art. 343 CO ; STREIFF, Leitfaden zum Arbeitsvertragsrecht, 4e éd., n. 2 ad art. 343 CO ; KUHN, Aktuelles Arbeitsrecht für die betriebliche Praxis, vol. 4, 18/5, p. 3; COTTER, Das Luzerner Arbeitsgericht und die Bestimmung des Art. 343 OR , thèse Fribourg 1979, p. 56 ss). Cela étant, il ne faut pas perdre de vue que l'employeur peut, lui aussi, agir au lieu de l'exploitation et qu'il est en droit de le faire, à l'instar du travailleur, même après l'extinction des rapports de travail ( ATF 109 II 33 /34 et les références). Cette constatation implique la nécessité de fixer le point de rattachement au moyen de critères un tant soit peu sûrs, afin qu'il ne dépende pas du pur hasard ou de simples coïncidences. Doit dès lors être rejetée, pour ce motif et parce qu'elle est inconciliable avec le texte légal, l'assimilation du lieu de l'exploitation au lieu de l'exécution du travail, que d'aucuns préconisent (cf., par exemple, SCHWEINGRUBER, op.cit., p. 330; JAR 1987, p. 351, ch. 5). Le lieu de l'exécution du travail ne fonde la compétence locale pour les litiges relevant du contrat de travail que s'il est également celui d'une exploitation et, précision utile, d'une exploitation de l'employeur (sur ce dernier point, cf. l'arrêt du Tribunal fédéral du 29 juillet 1981 publié in JAR 1983, p. 278 ss et critiqué à tort par l'Obergericht du canton de Zurich in JAR 1987, p. 349). BGE 114 II 353 S. 356 En définitive, c'est bien la notion d'exploitation qui constitue le critère décisif. Pour être plus large que celle de succursale, au sens de l' art. 935 CO et de la jurisprudence y relative ( ATF 108 II 124 consid. 1 et les références), elle n'en suppose pas moins l'existence d'installations fixes établies durablement par l'employeur dans un lieu déterminé (JAR 1983, p. 283; STREIFF, ibid.; COTTER, op.cit., p. 57; MEYER, Das Anstellungsverhältnis des Handelsreisenden, thèse Zurich 1978, p. 148 ss). Ce pourrait être le cas d'un bureau avec permanence téléphonique (ZR 1983 n. 101; BJM 1976, p. 321). En revanche, cette condition ne serait pas réalisée si l'on avait affaire, par exemple, à un monteur travaillant pour une entreprise ne possédant aucun établissement dans le canton où il réside, ou encore à une personne accomplissant un travail de démarchage par téléphone depuis son propre domicile pour le compte d'une société étrangère au canton (cf. AUBERT, op.cit., n. 319 et 321; STREIFF, ibid.; MEYER, ibid.). c) Sans doute ne saurait-on méconnaître que la notion du lieu de l'exploitation, ainsi définie, ne conduit pas toujours à un résultat satisfaisant, en particulier pour les collaborateurs en service extérieur qui seront bien souvent privés de la possibilité de choisir le for devant lequel ils assigneront leur employeur (cf. KUHN, ibid.). Cet état de choses ne suffit pourtant pas à justifier le remplacement de la notion du lieu de l'exploitation par celle du lieu d'exécution du travail, car une telle interprétation extensive serait inconciliable avec la lettre, l'esprit et le but de la disposition considérée. Il est donc exclu de conclure à l'existence d'une lacune praeter legem, contrairement à ce qui a été soutenu dans un arrêt cantonal isolé (JAR 1987, p. 353, ch. 13). Du reste, on ne peut en général tirer pareille conclusion lorsque le législateur a eu l'occasion d'édicter de nouvelles dispositions sur le point en cause et qu'il ne l'a pas fait ( ATF 82 II 229 consid. 3e). Or, l'Assemblée fédérale a modifié la teneur de l' art. 343 CO , le 18 mars 1988, tout en maintenant tel quel le premier alinéa de cette disposition (RO 1988 1476). Quant à une lacune improprement dite, le juge n'est pas autorisé à la combler, en dehors des conditions d'application de l' art. 2 al. 2 CC (cf. DESCHENAUX, Le Titre préliminaire du code civil, in Traité de droit civil suisse, t. II/1, p. 94; MEIER-HAYOZ, n. 295 ss ad art. 1 CC ). 2. En l'occurrence, la cour cantonale a constaté souverainement l'absence de tout établissement fixe de l'employeur à Genève, où le voyageur de commerce ne faisait d'ailleurs BGE 114 II 353 S. 357 qu'établir ses rapports journaliers. Le seul instrument utilisé par le demandeur était un répondeur automatique qu'il avait fait installer à ses frais et qui servait également à ses besoins personnels. Aussi est-ce à juste titre que les juges précédents ont refusé de considérer Genève comme lieu de l'exploitation, au sens de l' art. 343 al. 1 CO . Au demeurant, l'application de cette disposition ne saurait constituer un abus de droit dans le cas particulier. En effet, le demandeur connaissait, depuis le début des rapports contractuels, l'organisation de l'entreprise de son employeur et il savait que ce dernier n'avait aucun lien matériel avec Genève. Dans ces conditions, le recours en réforme ne peut qu'être rejeté.
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Urteilskopf 127 I 31 3. Auszug aus dem Urteil der I. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 30. August 2000 i.S. W. und Mitb. gegen K. und Mitb., Gemeinderat Untersiggenthal, Baudepartement und Verwaltungsgericht des Kantons Aargau (staatsrechtliche Beschwerde)
Regeste Art. 9 und 29 Abs. 1 BV ; überspitzter Formalismus, Recht auf Vertrauensschutz; Berechnung von Rechtsmittelfristen; Zustellfiktion sieben Tage nach erfolglosem Zustellungsversuch durch die Post. Die Rechtsmittelfrist beginnt sieben Tage nach dem erfolglosen Zustellungsversuch. Es ist nicht überspitzt formalistisch, diesen Grundsatz auch dann anzuwenden, wenn die Post von sich aus eine längere Abholfrist gewährt und die Sendung erst am letzten Tag dieser Frist abgeholt wird (E. 2b). Keine Verletzung des Anspruchs auf Vertrauensschutz im vorliegenden Fall (E. 3b).
Sachverhalt ab Seite 32 BGE 127 I 31 S. 32 Vom 13. Juni bis zum 3. Juli 1997 legte der Gemeinderat Untersiggenthal ein Baugesuch von K. und der Firma I. öffentlich auf. Gegen das Vorhaben erhoben unter anderem R.W. und B.W. sowie H.Y. und U.Y. Einsprache. Diese wies der Gemeinderat am 9. Februar 1998 ab, soweit die darin erhobenen Forderungen nicht durch eine angeordnete Projektüberarbeitung erfüllt waren. Dieser am 12. Februar 1998 der Post übergebene Beschluss konnte dem seinerzeitigen Rechtsanwalt der genannten Einsprecher vorerst nicht zugestellt werden. Deshalb legte der Postbote eine Abholeinladung in den Briefkasten des Anwalts, mit welcher dieser aufgefordert wurde, den eingeschriebenen Brief vom 14. bis zum 23. Februar 1998 bei der Hauptpost von Baden abzuholen. Dieser Aufforderung kam der Anwalt am 23. Februar 1998 nach und führte gegen den Beschluss des Gemeinderats am 16. März 1998 (einem Montag) Verwaltungsbeschwerde an das Baudepartement des Kantons Aargau. Am 19. März 1999 entschied das Baudepartement, auf diese Beschwerde einzutreten. Es erwog, dass die Beschwerde zwar zu spät eingereicht worden sei, weil der am 13. Februar 1998 avisierte und ab 14. Februar 1998 auf der Post abholbereite Brief der Gemeinde am letzten Tag der siebentägigen in den Allgemeinen Geschäftsbedingungen der Post vorgesehenen Frist, also am 20. Februar 1998 als zugestellt gegolten habe. Die Beschwerdefrist von 20 Tagen habe somit am 21. Februar 1998 begonnen und am 12. März 1998 geendet, womit die Beschwerde vom 16. März 1998 verspätet gewesen sei. Es erscheine jedoch auf Grund des verfassungsmässigen Anspruchs auf Vertrauensschutz gerechtfertigt, die verpasste Frist wiederherzustellen. Der Anwalt habe auf die längere, vom Postboten festgelegte Abholfrist vertrauen dürfen, und diese sei angesichts einer Abweichung von nur zwei bis drei Tagen nicht offensichtlich falsch gewesen. Nachdem es aus diesen Gründen auf die Beschwerde eintrat, wies das Baudepartement diese ab, stellte jedoch fest, dass die Ausnützungsziffer mit dem Bauprojekt überschritten werde. BGE 127 I 31 S. 33 Gegen den Entscheid des Baudepartements vom 19. März 1999 führten sowohl K. und die Firma I. als auch R.W. und B.W. sowie H.Y. und U.Y. kantonale Verwaltungsgerichtsbeschwerde. Im Rahmen der Instruktion dieser Beschwerden nahm die Post zur Frage der Frist zum Abholen der Baubewilligung Stellung. Dem Postboten seien keinerlei Gründe für eine Verlängerung der Abholfrist auf 10 Tage bekannt. Es müsse sich um ein Versehen bei deren Berechnung handeln. Dem Postboten sei auch nicht bekannt, dass der Anwalt damals um eine Fristverlängerung gebeten hätte. Mit Urteil vom 2. März 2000 beschränkte sich das Verwaltungsgericht auf einen Teilentscheid, in erster Linie zur Frage der Rechtzeitigkeit der Beschwerde an das Baudepartement vom 16. März 1998. Es erwog, dass diese Beschwerde nicht rechtzeitig gewesen sei. Ein Wiederherstellungsgesuch sei nicht rechtzeitig gestellt worden und wäre abzulehnen gewesen, weil den damaligen Vertreter ein Verschulden am Verpassen der Frist getroffen habe. Daher hiess das Verwaltungsgericht die Beschwerde von K. und der Firma I. gut, hob den Entscheid des Baudepartements auf und ersetzte ihn durch den Entscheid, auf die Beschwerde von R.W. und B.W. sowie H.Y. und U.Y. gegen die Baubewilligung nicht einzutreten. R.W. und B.W. sowie H.Y. und U.Y. führen gegen den Teilentscheid des Verwaltungsgerichts staatsrechtliche Beschwerde mit dem Antrag, diesen aufzuheben. Sie rügen, es sei überspitzt formalistisch, die Rechtsmittelfrist nicht vom letzten auf der Abholeinladung angezeigten Tag der Abholfrist an laufen zu lassen und vom Anwalt zu verlangen, dass er die Berechnung der Abholfrist durch die Post auf ihre Übereinstimmung mit den Allgemeinen Geschäftsbedingungen der Post überprüfe. Jedenfalls ergebe sich aus dem verfassungsmässigen Anspruch auf Vertrauensschutz, dass sich der Anwalt auf die auf der Abholeinladung angegebene Frist verlassen dürfe. Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab. Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. Die Beschwerdeführer kritisieren zunächst die Annahme des Verwaltungsgerichts, wonach die Rechtsmittelfrist gegen den gemeinderätlichen Entscheid am siebten Tag der ihrem damaligen Anwalt gesetzten Abholfrist zu laufen begonnen habe und nicht erst am Ende der von der Post gesetzten Abholfrist. Sie rügen, dies sei überspitzt formalistisch. BGE 127 I 31 S. 34 a) aa) Die Grundsätze, nach denen eine eingeschriebene Sendung als zugestellt gilt, wenn das kantonale Recht diese Frage - wie im Kanton Aargau - nicht regelt, werden von den Beschwerdeführern grundsätzlich anerkannt und richtig wiedergegeben. Wird der Adressat anlässlich einer versuchten Zustellung nicht angetroffen und daher eine Abholeinladung in seinen Briefkasten oder sein Postfach gelegt, so gilt nach der bundesgerichtlichen Rechtsprechung die Sendung in jenem Zeitpunkt als zugestellt, in welchem sie auf der Post abgeholt wird; geschieht das nicht innert der Abholfrist, die sieben Tage beträgt, so gilt die Sendung als am letzten Tag dieser Frist zugestellt, sofern der Adressat mit der Zustellung hatte rechnen müssen ( BGE 123 III 492 E. 1 S. 493; BGE 119 V 89 E. 4b S. 94 mit Hinweisen). Die siebentägige Frist war früher in Art. 169 Abs. 1 lit. d und e der Verordnung 1 vom 1. September 1967 zum Postverkehrsgesetz (AS 1967 S. 1462) vorgesehen. Diese Verordnung ist mit Art. 13 lit. a der Postverordnung vom 29. Oktober 1997 (VPG; SR 783.01) aufgehoben worden. Die siebentägige Frist ist jetzt als Grundsatz, von dem abweichende Abmachungen zulässig sind, in den Allgemeinen Geschäftsbedingungen der Post vorgesehen und damit allgemein bekannt. Sie bleibt nach der Rechtsprechung auf die Frage, wann eine Sendung als zugestellt gilt, anwendbar (vgl. unveröffentlichter Entscheid des Bundesgerichts vom 5. Mai 1998 i.S. F. E. 1a). Die für den vorliegenden Fall entscheidende Frage, wann die Zustellung als erfolgt gilt, wenn der Postbote eine andere als die siebentägige Frist auf die Abholeinladung schreibt, wurde bisher soweit ersichtlich noch nicht entschieden. bb) Das aus Art. 29 Abs. 1 BV (früher aus Art. 4 aBV ) fliessende Verbot des überspitzten Formalismus wendet sich gegen prozessuale Formenstrenge, die als exzessiv erscheint, durch kein schutzwürdiges Interesse gerechtfertigt ist, zum blossen Selbstzweck wird und die Verwirklichung des materiellen Rechts in unhaltbarer Weise erschwert oder gar verhindert. Das Bundesgericht prüft frei, ob eine solche Rechtsverweigerung vorliegt ( BGE 125 I 166 E. 3a S. 170 mit Hinweisen). b) Die von der Praxis festgelegte Zustellfiktion betrifft Fälle, in denen eine Sendung innerhalb der siebentägigen Abholfrist nicht abgeholt wurde. Die Zustellfiktion betrifft nicht die von der Post eigentlich durch die genannte Frist geregelte Frage, wie lange eine Sendung abgeholt werden kann, sondern orientiert sich an dieser Regel, um eine andere Frage zu beantworten. Die Frist bis zum Eintreten der Zustellfiktion wird nicht verlängert, wenn ein Abholen BGE 127 I 31 S. 35 nach den anwendbaren Bestimmungen der Post auch noch länger möglich ist, etwa in Folge eines Zurückbehaltungsauftrags ( BGE 123 III 492 E. 1 S. 493 mit Hinweis). Auch andere Abmachungen mit der Post können den Eintritt der Zustellfiktion nicht hinausschieben. Bisher wurden zwar nur Fälle entschieden, in denen der Postkunde für die Verlängerung der Abholfrist verantwortlich war, während im vorliegenden Fall die Post spontan die Abholfrist verlängerte. Es ist jedoch nicht überspitzt formalistisch, auch im letzteren Fall die Zustellfiktion unabhängig von der postalischen Abholfrist eintreten zu lassen. Die beiden Fristen dienen, obwohl die eine historisch auf die andere zurückgeht und regelmässig mit ihr übereinstimmt, wie eingangs erwähnt verschiedenen Zwecken. Für die Festlegung des Zeitpunkts der Zustellfiktion ist eine klare, einfache und vor allem einheitliche Regelung notwendig ( BGE 123 III 492 E. 1 S. 493 f. mit Hinweis). Dies ist auch für die verfügenden Behörden, allfällige Gegenparteien und die Rechtsmittelbehörden wichtig. Gerade weil die Post heute unternehmerische Freiheit geniesst und ihre Mitarbeiter nicht mehr wie Beamte direkt an die Grundsätze staatlichen Handelns gebunden sind, darf sich der Eintritt der Zustellfiktion nicht an kundenfreundlichen oder irrtümlichen Anpassungen der Abholfrist im Einzelfall orientieren. In diesem Umfeld ist es nicht überspitzt formalistisch, die Zustellfiktion - unabhängig von der konkreten durch die Post gewährten Abholfrist - immer sieben Tage nach dem erfolglosen Zustellversuch eintreten zu lassen. Dies muss auch dann gelten, wenn der letzte Tag der siebentägigen Frist auf einen Samstag oder einen anerkannten Feiertag fällt. Am siebten Tag endet normalerweise die Abholfrist; auf Grund der Zustellfiktion markiert dieser Tag zugleich den Beginn der Rechtsmittelfrist; für deren Berechnung spielt es keine Rolle, ob sie an einem Werktag oder an einem Samstag bzw. einem anerkannten Feiertag beginnt (vgl. im Übrigen zur Berechnung und Einhaltung von Fristen ganz allgemein Art. 32 OG ). Der Zeitpunkt der Zustellfiktion ist auch immer erkennbar, da die sieben Tage mit dem erfolglosen Zustellversuch beginnen, dessen Datum auf der Abholeinladung erscheint (vgl. dazu im vorliegenden Fall immerhin hinten E. 3b/cc). 3. Die Beschwerdeführer rügen weiter, es verstosse gegen das verfassungsmässige Gebot des Vertrauensschutzes, die Zustellfiktion nach sieben Tagen eintreten zu lassen, wenn die Post von sich aus eine längere Abholfrist gewähre. Dies insbesondere, wenn diese Abholfrist nicht offensichtlich zu lange sei. BGE 127 I 31 S. 36 a) Das in Art. 9 BV verankerte Recht auf Vertrauensschutz bewirkt unter anderem, dass eine (selbst unrichtige) Zusicherung einer Behörde unter bestimmten Umständen eine vom materiellen Recht abweichende Behandlung des Rechtsuchenden gebietet. Zu den Voraussetzungen dafür gehört unter anderem: (1) dass die Amtsstelle für die Erteilung der Zusicherung zuständig war oder der Bürger sie aus zureichenden Gründen als zuständig betrachten durfte und (2) dass die anfragende Person die Unrichtigkeit bei pflichtgemässer Aufmerksamkeit nicht ohne weiteres erkennen konnte (vgl. BGE 121 II 473 E. 2c S. 479; BGE 118 Ia 245 E. 4b S. 254, je mit Hinweisen). b) aa) Wenn die Behörden die Post für die Zustellung von Entscheiden benutzen, müssen sie sich Zusicherungen eines Abholeinladungen ausfüllenden Mitarbeiters der Post zurechnen lassen, soweit dieser Zusicherungen zur Abholfrist gibt. Ob es im vorliegenden Fall für einen Anwalt ohne weiteres erkennbar war, dass die Abholfrist gegenüber der in den Allgemeinen Geschäftsbedingungen der Post vorgesehenen verlängert worden war, braucht in diesem Zusammenhang nicht entschieden zu werden, weil die Zusicherung, die Sendung bis zum 23. Februar 1998 abholen zu können, eingehalten wurde. Da jedoch (wie vorne in E. 2b erwogen) die Frage, wann die Zustellfiktion eintritt, unabhängig von derjenigen zu beantworten ist, bis wann die Sendung abgeholt werden kann, fehlt es in der hier entscheidenden Frage schon an einer Zusicherung der Post. Im Übrigen ist der Mitarbeiter der Post auch nicht zur Zusicherung von Rechtsmittelfristen zuständig. bb) Es fragt sich noch, ob im vorliegenden Fall das Auseinanderklaffen des Datums der Zustellfiktion einerseits und des letzten Tages der Abholfrist andererseits für den Empfänger tatsächlich erkennbar war. Wenn nicht, müssten die Behörden auch das durch eine von der Post festgelegte Abholfrist hervorgerufene Vertrauen in ein späteres Datum der Zustellfiktion schützen. Das Auseinanderklaffen war hier jedoch erkennbar. Zumindest der Beginn der Abholmöglichkeit war auf der Abholeinladung klar angegeben. Von einem Anwalt kann angesichts der Jahrzehnte alten diesbezüglichen Praxis (vgl. schon BGE 97 III 7 E. 1 S. 10) erwartet werden, dass er weiss, dass die Zustellfiktion nach einer siebentägigen Frist eintritt. Es ist auch ohne weiteres erkennbar und zu berechnen, wie lange eine siebentägige Frist dauert. cc) Gegen Letzteres könnte im vorliegenden Fall immerhin eingewandt werden, das Datum des erfolglosen, die Frist auslösenden Zustellversuchs sei nicht klar aus der Abholeinladung BGE 127 I 31 S. 37 hervorgegangen. Die auf dieser vom Postboten unter der Rubrik "Datum der Vorweisung" gemachte Eintragung kann als "18.2.98" gelesen werden. In der Beschwerde wird dies beiläufig erwähnt. Es ist jedoch fraglich, ob die Beschwerdeführer damit behaupten, sie hätten auf den 18. Februar 1998 als Datum des die siebentägige Frist auslösenden Zustellversuchs vertraut. Selbst wenn diese Rüge vorgebracht und in der von Art. 90 Abs. 1 lit. b OG geforderten Weise substanziiert worden wäre, könnte sie jedenfalls nicht zu einer Gutheissung der Beschwerde gestützt auf den Vertrauensschutz führen. Für die Bestimmung des Datums des Zustellversuchs muss auf die Angaben auf der Abholeinladung abgestellt werden. Die Beschwerdeführer haben jedoch im kantonalen Verfahren anerkannt, dass der Zustellversuch am 13. Februar 1998 erfolgte. Sie führen auch in ihrer staatsrechtlichen Beschwerde aus, der Postbote hätte die siebentägige Frist "mit dem Tag der erfolglosen Zustellung, also dem 13. Februar" beginnen lassen müssen. Ausserdem bezeichnet die Abholeinladung eindeutig den 14. Februar 1998 als Beginn der Abholmöglichkeit. Diese kann bestimmungsgemäss nicht vor dem erfolglosen Zustellversuch beginnen. Die kantonale Beschwerde wäre daher verspätet gewesen, auch wenn man wegen der unklaren Angaben über das Datum des Zustellversuchs zu Gunsten der Beschwerdeführer davon ausgehen würde, der die Frist auslösende Zustellversuch sei erst am 14. Februar 1998 erfolgt. Die siebentägige Frist hätte diesfalls am 21. Februar 1998 und die 20-tägige Rechtsmittelfrist am 13. März 1998 geendet (vgl. Art. 32 Abs. 1 OG ). Die Beschwerdeführer haben ihre Verwaltungsbeschwerde an das Baudepartement jedoch erst am 16. März 1998 der Post übergeben, also in jedem Fall zu spät eingereicht. dd) Aus dem verfassungsrechtlichen Vertrauensschutz ergibt sich somit nicht, dass die Beschwerde gegen die gemeinderätliche Baubewilligung als rechtzeitig erhoben angesehen werden musste.
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Urteilskopf 115 III 97 22. Auszug aus dem Urteil der II. Zivilabteilung vom 23. Mai 1989 i.S. P. gegen P. sowie Schuldbetreibungs- und Konkurskommission des Obergerichts des Kantons Luzern (staatsrechtliche Beschwerde)
Regeste Art. 81 Abs. 1 SchKG ; Einwendung der Tilgung gegenüber einem Rechtsöffnungsgesuch, das sich auf eine richterliche Verpflichtung zur Leistung von Unterhaltsbeiträgen gemäss Art. 145 ZGB stützt. Es ist nicht willkürlich, wenn der Rechtsöffnungsrichter gestützt auf ein vollstreckbares gerichtliches Urteil betreffend Leistung von Unterhaltsbeiträgen nach Art. 145 ZGB die definitive Rechtsöffnung gewährt, obwohl der Schuldner durch Urkunden nachweisen kann, dass er in früheren Monaten mehr geleistet hat als das, wozu er im betreffenden Urteil verpflichtet worden ist. Damit ist nur die Zahlung urkundlich nachgewiesen, nicht aber, dass der Schuldner im entsprechenden Umfang eine verrechenbare Gegenforderung erworben hat (E. 4a-c). Die Tilgung familienrechtlicher Unterhaltsansprüche durch Verrechnung setzt eine Berechnung der konkreten unverrechenbaren Quote dieser Ansprüche voraus. Werden mehreren Personen Unterhaltsbeiträge geschuldet, so muss überdies urkundlich feststehen, für wen die zur Verrechnung gestellten früheren Mehrbeträge bestimmt waren (Verrechnungsverbot nach Art. 125 Ziff. 2 OR ; E. 4d).
Sachverhalt ab Seite 98 BGE 115 III 97 S. 98 A.- Am 1. Mai 1987 wurde P. vom Amtsgerichtspräsidenten II von Luzern-Land im Verfahren nach Art. 145 ZGB verpflichtet, ab 1. April 1987 an seine Ehefrau und die beiden Kinder Unterhaltsbeiträge von insgesamt Fr. 3'700.-- monatlich zu leisten, zuzüglich des Mietzinses. Am 14. April 1988 hiess das Obergericht des Kantons Luzern einen Rekurs von P. teilweise gut und setzte dessen Unterhaltsbeiträge rückwirkend ab 1. April 1987 auf Total Fr. 4'300.-- monatlich fest. Da P. die Unterhaltsbeiträge jedoch bis zum Entscheid des Obergerichts gemäss dem Urteil des Amtsgerichtspräsidenten bezahlt hatte, entstand eine Differenz von Fr. 7'226.-- an zuviel bezahlten Beiträgen. Um diese Differenz abzutragen, begann P., den zuviel bezahlten Betrag mit den Unterhaltsbeiträgen zu verrechnen, die nunmehr BGE 115 III 97 S. 99 nach dem obergerichtlichen Urteil geschuldet waren. Für den Monat Juni 1988 überwies er seiner Ehefrau zunächst lediglich den Betrag von Fr. 900.--. B.- Die Ehefrau betrieb ihren Ehemann P. für die ausstehende Summe. Dieser erhob Rechtsvorschlag. Mit Entscheid vom 16. August 1988 erteilte der Amtsgerichtspräsident III von Luzern-Land der Ehefrau die definitive Rechtsöffnung für Fr. 2'400.-- nebst Zins. P. erhob hiegegen Rekurs, der vom Obergericht des Kantons Luzern am 5. Januar 1989 abgewiesen wurde. C.- P. hat beim Bundesgericht staatsrechtliche Beschwerde erhoben. Er beantragt u.a., der Entscheid des Obergerichts vom 5. Januar 1989 sei aufzuheben. Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab. Erwägungen Aus den Erwägungen: 3. Beruht die Forderung auf einem vollstreckbaren Urteil einer Behörde des Bundes oder desjenigen Kantons, in welchem die Betreibung angehoben worden ist, so wird die Rechtsöffnung gewährt, wenn nicht der Betriebene durch Urkunden beweist, dass die Schuld seit Erlass des Urteils getilgt oder gestundet worden ist, oder er die Verjährung anruft ( Art. 81 Abs. 1 SchKG ). a) Die Beschwerdegegnerin hat im Rechtsöffnungsverfahren einen rechtskräftigen Entscheid des Obergerichts des Kantons Luzern vorgelegt, in welchem der Beschwerdeführer für die Dauer des Scheidungsverfahrens zu monatlichen Unterhaltsbeiträgen von insgesamt Fr. 4'300.-- verpflichtet worden ist. Die in Betreibung gesetzte Beitragsforderung für den Monat Juni 1988 im Betrage von Fr. 2'400.-- beruht daher unbestrittenermassen auf einem vollstreckbaren gerichtlichen Urteil im Sinne von Art. 81 Abs. 1 SchKG . Unbestritten ist auch, dass der Beschwerdeführer Zahlungsbelege vorgelegt hat, wonach er bis Ende April 1988 insgesamt Fr. 7'226.-- mehr an die Beschwerdegegnerin bezahlt hat als das, wozu er durch das obergerichtliche Urteil verpflichtet worden ist. Strittig ist hingegen, ob der Beschwerdeführer mit den entsprechenden Zahlungsbelegen den Urkundenbeweis gemäss Art. 81 Abs. 1 SchKG für die Tilgung der in Betreibung gesetzten Forderung erbracht hat. BGE 115 III 97 S. 100 b) Das Obergericht hat diesen Urkundenbeweis als nicht erbracht erachtet. Es ist davon ausgegangen, ein Schuldner, der behaupte, die in Betreibung gesetzte Forderung sei durch Verrechnung untergangen, müsse durch Urkunden den Bestand einer Gegenforderung beweisen. Hiefür genüge nur eine Urkunde, die ihrerseits zur definitiven oder provisorischen Rechtsöffnung berechtige. Zudem müsse aus der Urkunde die Höhe der Forderung hervorgehen. Aus den vom Beschwerdeführer vorgelegten Urkunden ergebe sich indes lediglich, dass er gewisse Mehrleistungen erbracht habe. Ob ihm deswegen aber auch eine Gegenforderung zustehe, sei urkundlich nicht belegt. 4. Diese Urteilsbegründung hält jedenfalls vor dem Willkürvorwurf stand. Nach ausdrücklicher Gesetzesvorschrift darf der Richter im Rechtsöffnungsverfahren die Einrede der Tilgung nur anerkennen, wenn dafür der Urkundenbeweis erbracht wird. Sofern die Tilgung auf die Verrechnung mit einer Gegenforderung gestützt wird, muss nach Lehre und Rechtsprechung die Gegenforderung des Schuldners ihrerseits durch ein gerichtliches Urteil im Sinne von Art. 81 Abs. 1 SchKG oder durch eine vorbehaltlose Anerkennung der Gegenpartei belegt sein (FRITZSCHE/WALDER, Schuldbetreibung und Konkurs nach schweizerischem Recht, N 20 zu § 19; GESSLER, Scheidungsurteile als definitive Rechtsöffnungstitel, SJZ 83/1987, S. 257; PANCHAUD/CAPREZ, Die Rechtsöffnung, § 144 Ziff. 3). Es entspricht dem Willen des Gesetzgebers, dass die Möglichkeiten des Schuldners zur Abwehr im Verfahren der definitiven Rechtsöffnung eng beschränkt sind; um jede Verschleppung der Vollstreckung zu verhindern, kann der definitive Rechtsöffnungstitel daher nur durch einen strikten Gegenbeweis, d.h. mit völlig eindeutigen Urkunden, entkräftet werden ( BGE 104 Ia 15 ; BGE 102 Ia 367 ). Dies gilt gerade auch für familienrechtliche Unterhaltsforderungen, die im materiellen Recht und im Vollstreckungsrecht in verschiedener Hinsicht privilegiert sind ( BGE 104 Ia 16 ). a) Der Beschwerdeführer vertritt den Standpunkt, bei den Unterhaltsleistungen habe es sich um Akontozahlungen gehandelt, die unter dem Vorbehalt einer definitiven Abrechnung erfolgt seien, in der selbstverständlichen Meinung, dass je nach Ausgang des Rechtsmittelverfahrens eine Rückzahlung bzw. Verrechnung zu erfolgen habe. Es sei willkürlich und überspitzt, wenn das Obergericht einen ausdrücklichen Vorbehalt bei den jeweiligen Zahlungen verlange. BGE 115 III 97 S. 101 b) Es mag zutreffen, dass der Beschwerdeführer mit der Anfechtung des amtsgerichtlichen Entscheides vom 1. Mai 1987 gegenüber der Beschwerdegegnerin klar zu verstehen gegeben hat, in welchem Umfang er die Beiträge vorbehaltlos zu bezahlen bereit sei. Dies hilft dem Beschwerdeführer jedoch nicht weiter. Er übersieht, dass damit der erforderliche Urkundenbeweis für den Bestand seiner Gegenforderung nicht geleistet ist. Wie das Obergericht zutreffend ausgeführt hat, beschränkt sich sein Urkundenbeweis auf den Nachweis, dass er gegenüber der im rechtskräftigen Obergerichtsentscheid festgelegten Alimentenverpflichtung gewisse Mehrleistungen erbracht hat. Ob er dadurch auch eine Gegenforderung erworben hat, ist durch die Urkunden hingegen nicht abgedeckt. Die Auffassung des Beschwerdeführers, wonach es sich bei seinen Beitragsleistungen um Akontozahlungen unter dem Vorbehalt der Abrechnung bzw. Rückzahlung gehandelt habe, setzt vielmehr eine freie richterliche Würdigung der gesamten Sachlage voraus. Welche Bedeutung den vom Beschwerdeführer erbrachten Leistungen materiellrechtlich zukommt, ist denn auch umstritten. Während der Beschwerdeführer sinngemäss behauptet, durch seine Mehrleistungen sei eine Forderung aus ungerechtfertigter Bereicherung entstanden, die nun zur Verrechnung gestellt werde, beruft sich die Beschwerdegegnerin darauf, der Beschwerdeführer habe freiwillig eine Nichtschuld bezahlt, die gemäss Art. 63 OR nicht zurückgefordert werden könne. Zudem sei die Zahlung in Erfüllung einer sittlichen Pflicht erfolgt. Diesem Standpunkt hält der Beschwerdeführer wiederum entgegen, er habe sich in einem entschuldbaren Irrtum befunden. Über solch heikle materiellrechtliche Fragen hat der Rechtsöffnungsrichter indessen nicht zu befinden. Die Entscheidung dieser Fragen ist vielmehr dem Sachrichter vorbehalten ( BGE 113 III 9 unten sowie 86). Dasselbe gilt für die Behauptung des Beschwerdeführers, das Verhalten der Beschwerdegegnerin sei rechtsmissbräuchlich und verstosse gegen Treu und Glauben. Denn auch die Beantwortung dieser Frage setzt eine Beurteilung der materiellen Rechtslage voraus. c) Nichts anderes ergibt sich aus BGE 113 III 86 . Das Bundesgericht hat dort zunächst das Erfordernis erwähnt, dass im Verfahren der definitiven Rechtsöffnung bei der Einrede der Tilgung der Forderung durch Verrechnung die Gegenforderung des Schuldners durch Urkunden nachgewiesen werden müsse. Unmittelbar BGE 115 III 97 S. 102 daran anschliessend hat es allerdings festgehalten, jedenfalls unter dem beschränkten Gesichtswinkel der Willkür sei es haltbar, wenn der Schuldner durch Urkunden lediglich die Zahlung durch einen Dritten nachweise, im übrigen aber sonstwie dartue, dass dadurch ein ihm zustehender Anspruch ins Vermögen des Anspruchsberechtigten übergegangen sei. Hieraus ergibt sich jedoch nichts für den vorliegenden Fall. Entscheidend war in BGE 113 III 86 nämlich, dass sich der Schuldner auf eine Gesetzesvorschrift berufen konnte, nach deren klarem Wortlaut durch die urkundlich nachgewiesene Zahlung ein Anspruch des Unterhaltsschuldners in das Vermögen der Unterhaltsgläubigerin übergegangen war. Das Bundesgericht erachtete es daher nicht als willkürlich, dass der kantonale Rechtsöffnungsrichter die Anrechnung der betreffenden Zahlung auf die Unterhaltsverpflichtung anerkannt hatte. Im Unterschied dazu kann der Beschwerdeführer im vorliegenden Fall keine Gesetzesbestimmung anführen, welche die Anrechenbarkeit seiner Mehrleistungen auf die nunmehr geschuldeten Unterhaltsbeiträge bestätigen würde. d) Überdies beruft sich die Beschwerdegegnerin auf das Verrechnungsverbot in Art. 125 Ziff. 2 OR . Nach dieser Gesetzesbestimmung können Verpflichtungen gegen den Willen des Gläubigers nicht durch Verrechnung getilgt werden, wenn deren besondere Natur die tatsächliche Erfüllung an den Gläubiger verlangt, wie Unterhaltsansprüche und Lohnguthaben, die Zum Unterhalte des Gläubigers und seiner Familie unbedingt erforderlich sind. Erst nach einer Berechnung der konkreten unverrechenbaren Quote stünde somit fest, ob es dem Beschwerdeführer freistand, von den für den Monat Juni 1988 geschuldeten Unterhaltsbeiträgen von Fr. 4'300.-- den beachtlichen Betrag von Fr. 2'400.-- durch Verrechnung zu tilgen. Hinzu kommt, dass der Wortlaut der betreffenden Gesetzesbestimmung zumindest nicht ganz eindeutig ist (vgl. BGE 88 II 311 f.; VON TUHR/ESCHER, Allgemeiner Teil des Schweizerischen Obligationenrechts, Anm. 76 zu § 78). Ferner müsste feststehen, mit welchen Unterhaltsforderungen verrechnet werden soll. Bekanntlich schuldet der Beschwerdeführer nicht nur der Beschwerdegegnerin, sondern auch den beiden Kindern bestimmte Unterhaltsbeiträge. Da der Beschwerdeführer jeweils nur einen Gesamtbetrag überwiesen hat, müssen seine Mehrleistungen somit vorerst auf die Forderungen der Kinder und der Beschwerdegegnerin aufgeteilt werden, um die jeweiligen BGE 115 III 97 S. 103 Mehrbeträge anschliessend mit den entsprechenden Unterhaltsforderungen zu verrechnen. Dies geht indessen ebenso wie die Berechnung der unverrechenbaren Quote entschieden über die Prüfungsbefugnis des Rechtsöffnungsrichters hinaus (vgl. hierzu BGE 111 II 108 ).
null
nan
de
1,989
CH_BGE
CH_BGE_005
CH
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20d36437-fa8a-4bc8-b1dd-08d29cfd7118
Urteilskopf 110 II 51 11. Auszug aus dem Urteil der I. Zivilabteilung vom 16. März 1984 i.S. X. und Mitbeteiligte gegen Z. (Berufung)
Regeste Erstreckung des Mietverhältnisses. Abstellplätze und separat vermietete Garagen sind keine Geschäftsräume im Sinne von Art. 267a ff. OR .
Erwägungen ab Seite 51 BGE 110 II 51 S. 51 Aus den Erwägungen: 2. Ein einzeln vermieteter Abstellplatz in einer Tiefgarage kann im Ernst nicht als Geschäftsraum im Sinne von Art. 267a OR betrachtet werden, gleichviel ob die Kläger, wie sie behaupten, für ihre berufliche oder geschäftliche Tätigkeit auf ein Auto angewiesen sind. Im Schrifttum wird von den Autoren, die sich dazu äussern, denn auch einhellig die Meinung vertreten, dass solche Abstellplätze oder separat vermietete Garagen nicht unter das Erstreckungsrecht gemäss Art. 267a ff. OR fallen (BEAT L. MEYER, Mietrecht im Alltag, 3. Aufl. S. 84; GMÜR/CAVIEZEL, Mietrecht - Mieterschutz, 2. Aufl. S. 7; Guide du locataire/Mietrecht für die Praxis, herausgegeben vom Schweizerischen Mieterverband, S. 175). Ob R. JEANPRÊTRE (Die Kündigungsbeschränkungen im Mietrecht, S. 12) anderer Auffassung ist, wenn er erklärt, als Geschäftsräume hätten sämtliche vermieteten Sachen zu gelten, die nicht als Wohnungen dienen, ist nicht ohne weiteres klar; jedenfalls spricht er sich nirgends eindeutig dafür aus, ein einzelner Autoabstellplatz sei als Geschäftsraum zu betrachten. Aus dem in SJZ 71/1975 S. 368 (N. 161) veröffentlichten Urteil des Kantonsgerichts Waadt ergibt sich nicht zugunsten der Kläger, weil dort die vermieteten Objekte, die zusammen gemietet und benötigt wurden, dem Betrieb einer Reitschule dienten. Für solche oder ähnliche Zusammenhänge, die eine Ausdehnung des Erstreckungsrechts für Wohnungen oder Geschäftslokale auf separat gemietete Abstellplätze rechtfertigen würden, ist den vorliegenden Mietverhältnissen nichts zu entnehmen.
public_law
nan
de
1,984
CH_BGE
CH_BGE_004
CH
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20d57232-dae2-40f3-8f49-e165df6eff8b
Urteilskopf 102 III 145 27. Auszug aus dem Entscheid vom 28. Oktober 1976 i.S. A. S.A.
Regeste Retentionsrecht des Vermieters ( Art. 283 SchKG ). Für die Prosequierung der Retentionsbetreibung sind die für die Arrestprosequierung geltenden Regeln ( Art. 278 SchKG ) analog anwendbar. Wird die Rechtsöffnung nur für die Forderung erteilt, nicht dagegen für das Retentionsrecht, oder ergibt sich aus dem Rechtsöffnungsentscheid klar, dass zur Beurteilung des Retentionsrechts eine ordentliche Klage notwendig ist, so fällt der Retentionsbeschlag dahin, wenn der Vermieter nicht innert einer Frist von 10 Tagen seit Mitteilung des Rechtsöffnungsentscheids Klage erhebt.
Sachverhalt ab Seite 146 BGE 102 III 145 S. 146 A.- Auf Begehren von H. nahm das Betreibungsamt Dagmersellen am 2. März 1976 für eine Forderung von Fr. 30'640.-- gegenüber der Mietzinsschuldnerin A. S.A. die Retentionsurkunde auf (Retention Nr. 1/76). Die retinierten Gegenstände wurden am 27. April 1976 durch eine Barhinterlage ersetzt. Inzwischen hatte der Vermieter die Betreibung eingeleitet. Die Mieterin erhob sowohl gegen die Forderung als auch gegen das Retentionsrecht Rechtsvorschlag, worauf der Vermieter das Begehren um Erteilung der provisorischen Rechtsöffnung für Fr. 12'081.05 sowie für die Retention stellte. Mit Entscheid vom 5. Juli 1976 bewilligte der Amtsgerichtspräsident von Willisau die provisorische Rechtsöffnung für Fr. 11'490.--, wies die weitergehenden Begehren des Vermieters indessen ab, soweit er darauf eintrat. In den Erwägungen führte er aus, die Feststellung des gesetzlichen Retentionsrechts habe auf dem Klageweg zu erfolgen. B.- Gegen die Retention hatte die A. S.A. zudem beim Amtsgerichtspräsidenten von Willisau als unterer kantonaler Aufsichtsbehörde über Schuldbetreibung und Konkurs Beschwerde BGE 102 III 145 S. 147 geführt. Diese wurde jedoch mit Entscheid vom 5. Juli 1976 abgewiesen. Darauf gelangte die A. S.A. an die Schuldbetreibungs- und Konkurskommission des Obergerichts des Kantons Luzern als obere kantonale Aufsichtsbehörde, welche den Beschwerde-Weiterzug mit Entscheid vom 31. August 1976 abwies. In Ziffer 2 des Urteilsdispositivs wies die Kommission das Betreibungsamt Dagmersellen an, dem Vermieter nach Eintritt der Rechtskraft ihres Entscheides eine Frist von 10 Tagen zur gerichtlichen Geltendmachung seines Retentionsrechtes anzusetzen. C.- Mit dem vorliegenden Rekurs an die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer des Bundesgerichts beantragt die A. S.A., Ziffer 2 des Dispositivs des Entscheids der luzernischen Aufsichtsbehörde sei aufzuheben; eventuell sei festzustellen, dass das Retentionsrecht des Vermieters in Bezug auf den Betrag von Fr. 11'490.-- dahingefallen sei. Der Vermieter beantragt in seiner Vernehmlassung die Abweisung des Rekurses. Die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer heisst den Rekurs gut und hebt Ziffer 2 des Dispositivs des angefochtenen Entscheids auf. Erwägungen Aus den Erwägungen: 3. Gegenstand des Rekurses bildet in materieller Hinsicht die Frage, ob die obere kantonale Aufsichtsbehörde berechtigt war, die Ansetzung einer Frist zur gerichtlichen Geltendmachung des Retentionsrechts anzuordnen, oder ob der Rekursgegner nicht innert 10 Tagen nach Mitteilung des Rechtsöffnungsentscheides ohne weiteres eine Klage auf Anerkennung seines Retentionsrechts hätte einreichen müssen, mit der Folge des Untergangs des Retentionsbeschlags im Unterlassungsfall. a) Die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer des Bundesgerichts hat mit Kreisschreiben Nr. 24 vom 12. Juli 1909 (JAEGER/DAENIKER, Taschenausgabe, 9. Aufl., S. 615 ff.) die gemäss Art. 278 SchKG für die Prosequierung des Arrestes geltende Regelung auch für das Retentionsverfahren als analog anwendbar erklärt. Das für die Aufrechterhaltung des Retentionsbeschlages erforderliche Verfahren wird dem Miet- oder Pachtzinsgläubiger im Formular Nr. 40, der sogenannten BGE 102 III 145 S. 148 Retentions-Urkunde, bekanntgegeben. Das verhielt sich auch im vorliegenden Falle so, wie sich aus der Urkunde vom 2. März 1976 ergibt. Wird in der Prosequierungsbetreibung vom Schuldner Rechtsvorschlag erhoben und darin nicht nur die Forderung, sondern ausdrücklich auch das Retentionsrecht bestritten, wie das hier nach den Feststellungen im angefochtenen Entscheid der Fall war, so kann demnach der Gläubiger innert 10 Tagen entweder Klage auf Anerkennung der Forderung und des Retentionsrechts erheben oder innert der gleichen Frist Rechtsöffnung verlangen. Beschreitet er den zweiten Weg, muss er in Analogie zu Art. 278 Abs. 2 SchKG innert 10 Tagen nach Mitteilung des Rechtsöffnungsentscheides Klage erheben, falls sein Rechtsöffnungsgesuch abgewiesen wird. Beim Retentionsrecht ergibt sich die Besonderheit, dass von Bundesrechts wegen keine einheitliche Ordnung darüber besteht, ob im Rechtsöffnungsverfahren auch die Frage des Retentionsrechts geprüft werden kann oder ob dies nur im Rahmen eines ordentlichen Prozesses möglich ist. Das Bundesgericht hat in Berücksichtigung der sich hieraus ergebenden Unsicherheit entschieden, dass der Gläubiger in jedem Fall ohne Gefahr des Rechtsverlustes zuerst den Weg des Rechtsöffnungsverfahrens beschreiten kann. Ergibt sich dann auf Grund des Rechtsöffnungsentscheides deutlich, dass das Retentionsrecht entweder verneint wird oder dass zu seiner Beurteilung eine ordentliche Klage notwendig ist, so muss entsprechend Art. 278 Abs. 2 SchKG innert 10 Tagen nach Mitteilung des Entscheids Klage erhoben werden, ansonst der Retentionsbeschlag dahinfällt ( BGE 76 III 23 , BGE 71 III 19 f., BGE 62 III 10 ff.; FRITZSCHE, Schuldbetreibung und Konkurs, 2. Aufl., Bd. II, S. 260 f.). b) Im vorliegenden Fall ergibt sich sowohl aus dem von der Rekurrentin eingereichten Rechtsöffnungsentscheid des Amtsgerichtspräsidenten von Willisau vom 5. Juli 1976 wie auch aus dem angefochtenen Entscheid selber, dass die provisorische Rechtsöffnung nur für die Forderung (mit Ausnahme eines Teilbetrages) erteilt, der Gläubiger für die Feststellung des Retentionsrechts aber auf den Klageweg verwiesen wurde. Der Rechtsöffnungsentscheid ist diesbezüglich klar und deutlich. Nach den vorstehend dargelegten Grundsätzen hätte der Gläubiger und Rekursgegner unter diesen Umständen innert 10 Tagen nach Mitteilung des (von keiner Seite angefochtenen) BGE 102 III 145 S. 149 Rechtsöffnungsentscheides ohne weiteres Klage auf Anerkennung des Retentionsrechtes erheben müssen. Eine Fristansetzung durch das Betreibungsamt ist weder erforderlich noch zulässig. Die Anordnung in Ziff. 2 des Dispositivs des angefochtenen Entscheids verstösst deshalb gegen Bundesrecht und muss aufgehoben werden. Bliebe sie bestehen, so würde dem Rekursgegner damit ein Weg zur Aufrechterhaltung des Retentionsbeschlages im hier streitigen Umfang eröffnet, nachdem dieser Beschlag durch Nichteinhaltung der mit der Mitteilung des Rechtsöffnungsentscheids in Gang gesetzten Klagefrist bereits dahingefallen ist. c) Was der Rekursgegner hiegegen vorbringt, schlägt nicht durch. Entgegen seiner Ansicht trifft es nicht zu, dass das Bundesrecht nicht regelt, wie der Vermieter vorzugehen hat, wenn im Rechtsöffnungsverfahren nicht über das Retentionsrecht entschieden wird. Vielmehr ergibt sich aus dem zitierten Kreisschreiben und den angeführten Entscheiden des Bundesgerichts, dass der Vermieter in diesem Falle innert 10 Tagen von sich aus und ohne weitere Fristansetzung Klage auf Anerkennung des Retentionsrechts einzuleiten hat. Erforderlich ist einzig, dass aus dem Rechtsöffnungsentscheid unzweifelhaft hervorgeht, dass über das Retentionsrecht nicht geurteilt worden ist, was hier auch nach der Auffassung des Rekursgegners zutrifft. Wenn dieser ausführt, es sei unlogisch, dass der Vermieter nach erteilter Rechtsöffnung für die Forderung überhaupt noch auf Anerkennung des Retentionsrechts klagen müsse, richtet er sich damit nicht nur gegen das Kreisschreiben und die feststehende bundesgerichtliche Praxis, sondern er verkennt auch, dass das Retentionsrecht noch von anderen Voraussetzungen als nur dem Bestand der Forderung abhängig ist. Wollte man in einem Fall wie dem vorliegenden eine Fristansetzung zur Klage auf Anerkennung des Retentionsrechts verlangen, wie es der Rekursgegner in Übereinstimmung mit dem angefochtenen Entscheid tut, so widerspräche dies der bisherigen Rechtsprechung des Bundesgerichts, an der im Interesse des Mieters festzuhalten ist. Die Fristansetzung ist ja bereits in Form des - allerdings allgemein formulierten - Aufdrucks auf der Retentionsurkunde erfolgt. Sie nachträglich nochmals vornehmen zu lassen, würde zwar der Aufklärung des Vermieters dienen, praktisch aber zu einer Verlängerung der 10tätigen Klagefrist führen, die in Analogie zu BGE 102 III 145 S. 150 Art. 278 Abs. 2 SchKG von der Mitteilung des Rechtsöffnungsentscheides an läuft. Dem auf die Wahrung des Retentionsbeschlages bedachten Vermieter muss eine entsprechende Sorgfalt zugemutet werden. Das gilt auch hinsichtlich des sich nach kantonalem Recht bestimmenden Gerichtsstandes.
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1,976
CH_BGE
CH_BGE_005
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20dce180-4e29-42c2-9e9d-cd1d98a0bc8e
Urteilskopf 126 II 217 23. Auszug aus dem Urteil der I. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 17. Mai 2000 i.S. B. gegen III. Zivilkammer des Kantonsgerichts St. Gallen (Verwaltungsgerichtsbeschwerde)
Regeste Lohngleichheitsgebot ( Art. 4 Abs. 2 Satz 3 aBV bzw. Art. 8 Abs. 3 BV sowie Art. 3 Abs. 1 GlG ): Frage der Gleichstellung von Lehrerinnen für psychiatrische Krankenpflege mit Berufsschullehrern mit Meisterausbildung. Überprüfung des obergerichtlichen Vergleichs der beiden Berufsgruppen (E. 6 - 9): - Bedeutung des fehlenden Erfordernisses einer der Meisterprüfung entsprechenden Prüfung bei den Lehrerinnen für psychiatrische Krankenpflege; Bewertung des theoretischen Unterrichts im Vergleich zum klinischen Unterricht (E. 6). - Einbezug der vom Kanton getragenen Ausbildungskosten bei den Lehrerinnen für psychiatrische Krankenpflege (E. 8). - Ausrichtung von Gehältern an Berufsschullehrer, welche diese in der Privatwirtschaft erzielen können (E. 9).
Sachverhalt ab Seite 218 BGE 126 II 217 S. 218 A.- B. arbeitete seit dem 1. August 1987 als Lehrerin für Krankenpflege an der Schule für Psychiatrische Krankenpflege Wil und Pfäfers der Kantonalen Psychiatrischen Klinik Wil. Gemäss Dienst- und Besoldungsordnung für das Staatspersonal des Kantons St. Gallen (DBO; GS 143.2; Anhang B) war sie zunächst in der Lohnklasse 16, ab 1. Januar 1989 in der Lohnklasse 17 und im Zusammenhang mit der Übernahme der Zusatzfunktion als Programmleiterin ab 1990 in der Lohnklasse 18 eingereiht. Ende 1992 schied sie aus dem Staatsdienst des Kantons St. Gallen aus. B.- Am 16. November 1989 stellte sie erfolglos beim Regierungsrat des Kantons St. Gallen Antrag auf besoldungsmässige Gleichstellung mit den in der Lohnklasse 24 eingestuften Berufsschullehrern. In der Folge, nach Einholung eines Gutachtens bei Prof. Baitsch (nachfolgend: Gutachten I), hiess das Bezirksgericht St. Gallen ihre Klage auf lohnmässige Gleichstellung gut. Der Kanton St. Gallen erhob dagegen Berufung beim Kantonsgericht (III. Zivilkammer), das sich auf ein Gutachten von Dr. Schaeren (nachfolgend: Gutachten II) stützte und das Rechtsmittel am 27. September 1999 guthiess. Dagegen führt B. mit Bezug auf die Verfahrensfragen Verwaltungsgerichtsbeschwerde beim Bundesgericht wegen Verletzung des Bundesgesetzes vom 24. März 1995 über die Gleichstellung von Frau und Mann (Gleichstellungsgesetz [GlG]; SR 151) und mit Bezug auf den Lohnanspruch für den Zeitraum vom 1. Januar 1990 bis zum 30. Juni 1992 staatsrechtliche Beschwerde wegen Verletzung von Art. 4 Abs. 2 Satz 3 der alten Bundesverfassung vom 29. Mai 1874 (aBV) und des rechtlichen Gehörs sowie wegen willkürlicher Feststellung des Sachverhalts. BGE 126 II 217 S. 219 Das Bundesgericht ist auf die staatsrechtliche Beschwerde nicht eingetreten und hat die Verwaltungsgerichtsbeschwerde im Wesentlichen abgewiesen. Erwägungen Aus den Erwägungen: 4. a) Das Gleichstellungsgesetz, das während der Hängigkeit des Berufungsverfahrens in Kraft getreten ist, konkretisiert das aufgrund von Art. 4 Abs. 2 aBV geltende und unmittelbar anwendbare verfassungsrechtliche Diskriminierungsverbot, insbesondere das Lohngleichheitsgebot gemäss Satz 3 dieser Bestimmung. In seinen Aussagen zur Lohngleichheit ist das Gleichstellungsgesetz inhaltlich allerdings nicht konkreter als die Verfassung. Es enthält materiell-rechtlich nichts, was nicht bereits in Art. 4 Abs. 2 Satz 3 aBV enthalten wäre ( BGE 124 II 436 , nicht publizierte Erwägung 4). Es können somit Literatur und Praxis zu beiden Vorschriften herangezogen werden. Die totalrevidierte Verfassung vom 18. April 1999 (BV), die am 1. Januar 2000 in Kraft getreten ist, hat am Diskriminierungsverbot gemäss Art. 4 Abs. 2 aBV nichts geändert (siehe Art. 8 Abs. 3 BV ). b) Art. 4 Abs. 2 Satz 3 aBV und Art. 3 Abs. 1 GlG verbieten jede direkte und indirekte Benachteiligung von Arbeitnehmerinnen und Arbeitnehmern aufgrund ihres Geschlechts. Die Beschwerdeführerin macht eine indirekte Diskriminierung geltend. Sie behauptet nicht etwa, die Besoldungsordnung knüpfe zu Unrecht an das Geschlecht an; vielmehr beanstandet sie, dass das Lehrpersonal im Gesundheitswesen als frauenspezifische Berufsgruppe gegenüber den Berufsschullehrern im gewerblich-industriellen Bereich benachteiligt werde. Der im vorliegenden Verfahren unumstrittenen Annahme des Kantonsgerichts, wonach es sich bei den Lehrkräften für Krankenpflege um eine weiblich identifizierte Berufsgruppe handle, ist nichts entgegenzusetzen. 6. Das dem kantonsgerichtlichen Urteil zugrunde liegende Gutachten II zieht die Kriterien "Ausbildung", "geistige Anforderungen", "psychische Beanspruchung", "physische Anforderungen und Belastungen" sowie "Beanspruchung Sinnesorgane und spezielle Arbeitsbedingungen" heran. Die Kritik der Beschwerdeführerin am kantonsgerichtlichen Vergleich der Berufsschullehrer mit den Lehrerinnen für psychiatrische Krankenpflege bezieht sich auf die Bewertungskriterien "Ausbildung" sowie "geistige Anforderungen". BGE 126 II 217 S. 220 a) Beim ersten Kriterium erzielt die Funktion der Lehrerin für Krankenpflege gemäss dem Gutachten II die Stufe 3,0, die Funktion der Berufsschullehrer die Stufe 3,25. Dabei wird die Meisterprüfung mit einer halben Stufe bewertet. Diese halbe Stufe können die Lehrerinnen für psychiatrische Krankenpflege nicht erreichen, da es für sie keine Meisterprüfung gibt. Entgegen der Meinung der Beschwerdeführerin verstösst dieser Umstand jedoch nicht gegen das Diskriminierungsverbot. Die Ausgestaltung der Ausbildung ist zum einen objektiv begründet. Die Meisterprüfung dient dazu, eine bestimmte Stufe des Könnens und des Wissens nachzuweisen, die gemäss den dafür zuständigen Organen zur Ausbildung von Lehrlingen erforderlich ist. Sie zielt nicht auf eine lohnmässige Besserstellung ab. Dies stellt höchstens eine Reflexwirkung dieser Prüfung dar. Sollte ein öffentliches Interesse an einer vergleichbaren Prüfung für Lehrerinnen für psychiatrische Krankenpflege bestehen, müsste diese mit anderen Mitteln eingeführt werden als mit einer Lohndiskriminierungsklage. Zudem kann mit dem Kantonsgericht nicht gesagt werden, dass die Lehrerinnen für psychiatrische Krankenpflege eine der Meisterprüfung entsprechende Ausbildung vorweisen würden. Im Zusammenhang mit der Ausbildung kann somit nicht, wie die Beschwerdeführerin es tut, argumentiert werden, die Lehrerinnen für psychiatrische Krankenpflege würden faktisch die gleiche Funktion ausüben wie Lehrmeister, weshalb die Meisterprüfung (fiktiv) angerechnet werden müsste. Sollten sie eine vergleichbare Funktion ausüben, dürfte das nicht unter dem Titel "Ausbildung" angerechnet werden. b) Entgegen der Behauptung der Beschwerdeführerin hat das Kantonsgericht den Umstand, dass Krankenschwestern ihre Ausbildung erst ab dem 18. Lebensjahr beginnen können, nicht unberücksichtigt gelassen. Vielmehr übernahm es die dafür im Gutachten II vorgesehene Viertelsstufe. Im Rahmen der Frage, inwiefern die Ausbildung der Lehrerinnen für psychiatrische Krankenpflege derjenigen der Lehrmeister entspreche, durfte sich das Kantonsgericht ferner auf die für die Zulassung zur Meisterprüfung erforderliche Ausbildungsdauer und Ausbildungsart stützen, zumal die Breite der Ausbildung im Rahmen des Kriteriums "geistige Anforderungen" mittelbar einbezogen wird. Es kann dabei nicht gesagt werden, das Kantonsgericht habe lediglich die Dauer der Ausbildung in Betracht gezogen. Vielmehr hat es auch deren Art berücksichtigt: So führt das Kantonsgericht z.B. aus, die Ausbildung von Lehrerinnen für psychiatrische Krankenpflege umfasse eine zweisemestrige theoretische BGE 126 II 217 S. 221 Ausbildung (mit Praktika) sowie ein 3. Semester mit Schwerpunkt Praxis; zusätzlich fänden 6 Wochen Blockunterricht statt, und es würden zwei praktische Prüfungen durchgeführt und das Verfassen einer schriftlichen Arbeit verlangt. Demgegenüber müssten die Berufsschullehrer mit Meisterausbildung ein dreisemestriges vollumfänglich theoretisches Studium ablegen. Anschliessend folge ein berufsbegleitendes Praxisjahr mit vier Wochen berufsbegleitenden Blockkursen. Insgesamt würden auf der Seite der Lehrerinnen für psychiatrische Krankenpflege 1500 Lektionen gegenüber 1720 Lektionen auf der Seite der Berufsschullehrer mit Meisterausbildung stehen. Unter dem Gesichtspunkt des Kriteriums "Ausbildung" genügt diese Vergleichsart, welcher die Praxis des Bundesgerichts im Übrigen nicht entgegensteht (siehe insbes. BGE 124 II 409 E. 10e S. 430 f.). Das Kantonsgericht hat aufgrund des unterschiedlichen Ausbildungsaufwands zu Recht der Funktion Berufsschullehrer mit Meisterausbildung eine zusätzliche Viertelsstufe angerechnet, womit diese Funktion beim Kriterium "Ausbildung" um insgesamt eine halbe Stufe höherwertig ist als die Funktion Lehrerinnen für psychiatrische Krankenpflege (3,5 gegen 3,0). c) Beim Kriterium "geistige Anforderungen" übernahm das Kantonsgericht die Bewertung des Gutachtens II, wonach die Funktionen Lehrerinnen für psychiatrische Krankenpflege und Berufsschullehrer mit Meisterausbildung gleichwertig seien (Stufe 3,0). Die Beschwerdeführerin wirft dem Kantonsgericht dabei eine unzulässige allgemeine Rückstufung des klinischen Unterrichts gegenüber dem theoretischen Unterricht vor. Diese Rüge ist unbegründet. Das Bundesgericht verlangt als Rechtfertigung für Lohnunterschiede keinen wissenschaftlichen Nachweis, sondern nur sachlich haltbare Motive (eingehend zum Ermessensspielraum der kantonalen Behörden und zur entsprechenden Zurückhaltung des Bundesgerichts: BGE 125 II 530 E. 5b S. 537; BGE 125 I 71 E. 2c/aa S. 79, mit Hinweisen). Hier liegen solche Motive vor: Der klinische Unterricht erfordert zwar eine grosse Flexibilität und ein besonderes Feingefühl bei der Vermittlung der Pflege psychisch kranker Menschen, da diese regelmässig mit weitgehenden Eingriffen in die psychische Integrität der Patienten verbunden ist. Die Vermittlung dieses Wissens findet jedoch im Einzelunterricht statt, währenddem der theoretische Unterricht vor ganzen Klassenverbänden durchgeführt wird. Der theoretische Unterricht erfordert wesensgemäss einen höheren Abstraktionsgrad. Dieser Umstand wird durch das unterschiedliche Vorbildungs- und Verständnisniveau der Lehrlinge BGE 126 II 217 S. 222 in der Berufsschule erschwert. Hinzu kommt, dass die Lehrlinge der Berufsschule gemäss der unumstrittenen Feststellung des Kantonsgerichts (vgl. Art. 105 Abs. 2 OG ) allgemein deutlich weniger motiviert sind als die Auszubildenden in der Krankenpflege. Gesamthaft betrachtet durfte das Kantonsgericht ohne Verstoss gegen das Diskriminierungsverbot den theoretischen Unterricht höher bewerten als den klinischen Unterricht (vgl. den Entscheid des Bundesgerichts vom 6. Oktober 1999 E. 3, Pra 90/2000 Nr. 1 S. 4 ff., wo das Bundesgericht die Zulässigkeit der höheren Einstufung der humanistischgymnasialen gegenüber der rein kaufmännischen Ausbildung bejahte). Aufgrund der genannten objektiven Faktoren kann insbesondere (entgegen der Behauptung der Beschwerdeführerin) nicht gesagt werden, die höhere Einstufung des theoretischen Unterrichts durch das Kantonsgericht entspringe einer diskriminierenden Ansicht, wonach pflegerische und fürsorgerische Aufgaben mit einer besonderen Nähe zum Menschen traditionell weiblich und demnach als minderwertig zu betrachten seien. Unbeachtlich ist schliesslich in diesem Zusammenhang der Hinweis der Beschwerdeführerin auf die Aussage einer der befragten Lehrerinnen für psychiatrische Krankenpflege, wonach der klinische Unterricht schwieriger sei als der theoretische: Das Kantonsgericht hat anhand der Befragungen der betroffenen Personen festgestellt, dass subjektiv grundsätzlich beide Ansichten vertreten würden. Die Meinung einer einzelnen befragten Person kann somit nicht ausschlaggebend sein. 7. Die Funktionen Lehrerinnen für psychiatrische Krankenpflege und Berufsschullehrer mit Meisterausbildung sind somit bereits nach Massgabe der im wissenschaftlichen Bewertungsverfahren herangezogenen Kriterien nicht gleichwertig. Bei den Kriterien "geistige Anforderungen", "physische Anforderungen und Belastungen", "Beanspruchung Sinnesorgane und spezielle Arbeitsbedingungen" erzielen beide Funktionen die gleiche Stufe. Ausserdem nimmt das Kantonsgericht entgegen dem Gutachten II zu Recht Gleichwertigkeit beim Kriterium "Verantwortung" an. Beide Funktionen unterscheiden sich somit wie gesehen beim Kriterium "Ausbildung" relativ deutlich (3,0 für die Lehrerinnen für psychiatrische Krankenpflege gegen 3,5 für Berufsschullehrer). Ein weiterer Unterschied liegt beim Kriterium "psychische Beanspruchung" (3,0 gegen 2,5) vor. Das lässt sich durch die Konfrontation der Lehrerinnen für psychiatrische Krankenpflege mit Leid, Krankheit, Tod erklären. Beide Funktionen sind dennoch nicht gleichwertig, weil die Kriterien BGE 126 II 217 S. 223 "Ausbildung" und "psychische Beanspruchung" nicht gleich schwer zu gewichten sind: Für das erste Kriterium gilt die Gewichtung 300 und für das zweite die Gewichtung 60. Damit erhält die Funktion Berufsschullehrer einen deutlichen Vorsprung gegenüber der Funktion Lehrerinnen für psychiatrische Krankenpflege. Eine lohnmässige Besserstellung ist somit nach Massgabe der vereinfachten Funktionsanalyse (VFA) ohne weiteres zulässig. Um die Höhe der besseren Entlöhnung zu rechtfertigen, verweist das Kantonsgericht über das wissenschaftliche Arbeitsbewertungsverfahren hinaus auf zwei weitere Gesichtspunkte: die Finanzierung der Ausbildung sowie die allgemeine Marktsituation. 8. Die Beschwerdeführerin wendet mit Bezug auf die Ausbildungskosten im Wesentlichen ein, die Ausbildung stelle keinen Lohn dar. Die Ausbildungskosten würden den Betroffenen nie ausbezahlt und sie würden für die besoldungsmässige Einstufung keine Rolle spielen, da die Besoldung nicht davon abhängig sei, wer bzw. welcher Kanton für die Ausbildung habe aufkommen müssen. Mit Bezug auf den Lohn, der während der Ausbildung ausbezahlt würde, verweist die Beschwerdeführerin darauf, dass er mit Pflichtzeitvereinbarungen von zwei bis fünf Jahren gekoppelt sei - was mit Blick auf die durchschnittliche kurze Verweildauer der Frau am Arbeitsplatz sehr lange sei. Diskriminierend sei schliesslich die Berücksichtigung der Ausbildung deshalb, weil die BIGA-Berufe, die im Zuständigkeitsbereich des Bundes stünden, dem Kanton wesensgemäss weniger kosten würden. Unter Hinweis auf ein Rechtsgutachten von J.F. Aubert aus dem Jahre 1995 macht die Beschwerdeführerin geltend, die Tatsache, dass die Gesetzgebungskompetenz im Bereich der Krankenpflege nicht auf den Bund übertragen worden sei, sei nicht neutral, sondern geschlechtsspezifisch geprägt und somit diskriminierend. Diese Einwände sind unbegründet. Das Kantonsgericht durfte ohne Verstoss gegen das Diskriminierungsverbot die Kosten einbeziehen, welche die Ausbildung der Lehrerinnen für psychiatrische Krankenpflege dem Kanton verursachen, und gestützt darauf eine höhere Einstufung der Berufsschullehrer schützen. Dies aus folgenden Gründen: a) Unter Lohn im Sinne von Art. 4 Abs. 2 Satz 3 aBV bzw. Art. 8 Abs. 3 Satz 3 BV ist nach der Rechtsprechung nicht nur der Geldlohn im engeren Sinne zu verstehen, sondern jedes Entgelt, das für geleistete Arbeit entrichtet wird ( BGE 109 Ib 81 E. 4c S. 87). Dazu gehören nach der Lehre auch soziale Lohnkomponenten wie ein BGE 126 II 217 S. 224 Anspruch auf Besoldung während des Mutterschaftsurlaubs, Familien-, Kinder- und Alterszulagen (JÖRG PAUL MÜLLER Grundrechte in der Schweiz, Bern 1999, S. 465; GEORG MÜLLER, Kommentar aBV, Zürich 1995, Rz. 142 zu Art. 4). Die Leistung muss allerdings einen engen Zusammenhang mit der Arbeit aufweisen. Aus diesem Grund gilt z.B. eine Witwerrente nicht als Lohn im Sinne von Art. 4 Abs. 2 Satz 3 aBV bzw. Art. 8 Abs. 3 Satz 3 BV ( BGE 116 V 198 E. 2a/aa S. 207; BGE 109 Ib 81 E. 4c S. 87). b) Der erforderliche Zusammenhang zwischen der Ausbildung und der Entlöhnung der Lehrerinnen für psychiatrische Krankenpflege ist hier zu bejahen, obwohl die Ausbildung im Gegensatz zu den sonstigen aufgeführten Beispielen vor der Entlöhnung geleistet und nicht bar ausbezahlt wird. Die genügend enge Verbindung zur Arbeit kommt durch die mit der Ausbildung gekoppelten Pflichtzeitvereinbarungen der vom Kanton ausgebildeten Lehrerinnen klar zum Ausdruck: Der Kanton gewährt den zukünftigen Lehrerinnen einen Urlaub, bietet die Ausbildung an und richtet ihnen während dieser Zeit - insgesamt 59 Wochen - einen Lohn aus. In der Folge sind die ausgebildeten Lehrerinnen verpflichtet, während einer gewissen Zeit für den Kanton tätig zu sein. Die Pflichtzeitvereinbarungen sind also entgegen der Meinung des Kantonsgerichts nicht unbeachtlich. Anders als die Beschwerdeführerin meint, kann jedoch nicht gesagt werden, dass die Lehrerinnen für psychiatrische Krankenpflege nur schon durch die Einhaltung der Pflichtzeitvereinbarungen die Kosten ihrer Ausbildung wieder ausgleichen würden. Die Beteiligung des Kantons an der Ausbildung der Lehrerinnen für psychiatrische Krankenpflege rechtfertigt eine gewisse Lohneinbusse für sie im Vergleich zu den Berufsschullehrern, deren Ausbildung höchst beschränkt, in Form von Stipendien, d.h. ohne direkten Zusammenhang zwischen der Leistung des Gemeinwesens und der Berufsausübung, vom Kanton getragen wird. c) Dass nicht alle Lehrerinnen für psychiatrische Krankenpflege vom Kanton St. Gallen ausgebildet werden, steht einer Berücksichtigung der Ausbildungskosten nicht entgegen, da gemäss der unumstrittenen Feststellung der Vorinstanz die interkantonale Fluktuation wenig bedeutend ist. Dabei ist darauf hinzuweisen, dass die Beschwerdeführerin selber vom Kanton St. Gallen ausgebildet wurde. Im Übrigen durfte das Kantonsgericht ohne Verstoss gegen das Diskriminierungsverbot auf eine genaue Abrechnung des sich aus der kantonalen Finanzierung der Ausbildungskosten ergebenden geldwerten Vorteils für die Lehrerinnen für psychiatrische BGE 126 II 217 S. 225 Krankenpflege und auf die Ermittlung der durchschnittlichen Anstellungsdauer verzichten. Denn es geht nicht um einen ziffernmässig genau ermittelbaren Vergleich, sondern um die generelle Einstufung. Ausserdem lässt sich der praktische Vorteil, der das Kantonsgericht unter dem Stichwort "Marktvorteil" behandelt und der darin besteht, dass die an einer Weiterbildung interessierten Krankenschwestern keine Lohneinbusse in Kauf nehmen und auch sonst kein finanzielles Risiko eingehen müssen, nicht zahlenmässig ausdrücken. Dabei ist darauf hinzuweisen, dass die Pflichtzeitvereinbarungen implizit bedeuten, dass nach Abschluss der Ausbildung eine Beschäftigung als Lehrerin zugesichert ist. Das genügt, um eine unterschiedliche Einstufung der Lehrerinnen für psychiatrische Krankenpflege im Verhältnis zu den Berufsschullehrern zu rechtfertigen. d) Die Tatsache, dass die Ausbildungskosten für BIGA-Berufe nicht vom Kanton, sondern vom Bund getragen werden, schliesst nicht aus, dass man sie berücksichtigt. Denn es kann keineswegs gesagt werden, dass die verfassungsmässige Kompetenzverteilung zwischen Bund und Kanton im Bereich der Krankenpflege-Berufe auf einer unzulässigen diskriminierenden Weltanschauung beruhe. Auch im von der Beschwerdeführerin angerufenen Gutachten wird das nicht behauptet: In diesem Gutachten (Ziff. 15) wird die im Parlament im Jahre 1946 erfolgte Ablehnung einer Übertragung der kantonalen Kompetenz im Bereich des Pflegepersonals auf den Bund zwar auf das katholisch-konservative Bild der Ordensschwestern zurückgeführt. Zum einen ist damit jedoch nicht gesagt, dass es um eine (verpönte) diskriminierende Kompetenzzuteilung geht. Die Kompetenzverteilung zwischen Bund und Kanton kann ohnehin wesensgemäss nicht als diskriminierende Tatsache betrachtet werden, sondern liegt in der unbeschränkten Autonomie des Verfassungsgebers. Zum anderen wird im Gutachten noch ausgeführt, dass die geltende Zuständigkeitsregelung auch darauf beruht, dass man im Jahre 1946 bestimmte Berufsgruppen, insbesondere die "sozialen" Berufe, unabhängig davon, ob sie unentgeltlich oder zu Erwerbszwecken ausgeübt würden, nicht der Kompetenz des Bundes unterstellen wollte. In diesem Beweggrund ist kein diskriminierendes Element ersichtlich. 9. a) Mit Bezug auf das vom Kantonsgericht angeführte Argument der Marktsituation macht die Beschwerdeführerin geltend, es herrsche bei den Pflegeberufen ein weitgehendes Staatsmonopol, weshalb der Markt kaum einen Einfluss habe. Auf diese BGE 126 II 217 S. 226 Weise könne der Staat ohne weiteres ein diskriminierendes Entlöhnungssystem errichten. Zudem würde der Markt diskriminierende Zustände gerade fördern, so dass man zum Vornherein nicht darauf abstellen dürfe. Widersprüchlich sei das angefochtene Urteil insbesondere deshalb, weil es den Berufsschullehrern marktbedingt höhere Löhne zubillige, währenddem es gleichzeitig anerkenne, dass sie im Vergleich zur Privatwirtschaft einen privilegierten Status hätten. Die Beschwerdeführerin verweist ferner auf Meinungen in der Lehre, die allgemein ablehnen, Lohnunterschiede mit den Verhältnissen auf dem Arbeitsmarkt zu rechtfertigen (OLIVIER STEINER, Das Verbot der indirekten Diskriminierung aufgrund des Geschlechts im Erwerbsleben, Basel 1999, S. 296, mit Hinweisen; siehe auch MONIQUE COSSALI SAUVAIN, La loi fédérale sur l'égalité entre femmes et hommes du 24 mars 1995, in Journée 1995 du droit du travail et de la sécurité sociale, Zürich 1999, S. 57 ff.). Ferner müsse eine Lohngleichheitsklage auch gutgeheissen werden, wenn sie sich auf das Lohnsystem eines ganzen Kollektivs auswirken und Änderungen nach sich ziehen könne. b) Diese Kritik ist unbegründet. Die Berücksichtigung von Marktmechanismen bei der Ausgestaltung eines Entlöhnungssystems ist nicht grundsätzlich ausgeschlossen ( BGE 125 I 71 E. 3d/aa S. 85). Es besteht kein Anlass, im Sinne eines Teils der Lehre von diesem Grundsatz abzuweichen, zumal hier nicht ersichtlich ist, dass dadurch diskriminierende Umstände aus der Privatwirtschaft in das öffentlichrechtliche Arbeitsverhältnis eingeführt würden. Insoweit durfte das Kantonsgericht gestützt auf das Gutachten II sowie auf zwei Kurzgutachten den Umstand in Betracht ziehen, dass der Kanton den Berufsschullehrern Bedingungen anbieten muss, die attraktiv genug sind, damit diese auf Karrierechancen mit der entsprechenden Entlöhnung in der Privatwirtschaft verzichten. Diese teilweise Ausrichtung auf den Markt ist jedoch als (notwendige) Ausnahme im Entlöhnungsraster zu betrachten und begründet grundsätzlich keine Pflicht für den Kanton, mit der Entlöhnung von Berufsgruppen, die nicht in Konkurrenz mit der Privatwirtschaft stehen, nachzuziehen. Wie oben dargelegt, bestehen für die unterschiedliche lohnmässige Einreihung objektive und sachliche Gründe. Es kann somit nicht gesagt werden, monopolähnliche Zustände im staatlichen Gesundheitswesen ermöglichten die Aufrechterhaltung eines diskriminierenden Entlöhnungssystems. Nicht ersichtlich ist schliesslich, inwieweit hier der Markt als solcher diskriminierend sein sollte. Das Kantonsgericht hat an der von BGE 126 II 217 S. 227 der Beschwerdeführerin angerufenen Stelle nur ausgeführt, bei gewissen gewerblichen Berufen, wie beispielsweise Bäckern, Coiffeuren, Automechanikern würden die Gehälter der Berufsschullehrer jenen von Betriebsinhabern in sehr guter Situation entsprechen. Das gilt aber bei weitem nicht für alle gewerblichen Berufe. So stellt das Kantonsgericht eine deutliche Konkurrenzierung zur Privatwirtschaft bei qualifizierten Berufen wie Elektrotechnik, Elektronik, Informatik sowie bei anderen Ingenieurberufen fest. Den Kantonen ist dabei eine gewisse Pauschalierung im Sinne einer Gleichbehandlung aller Fachkundelehrer nicht verwehrt. Die Marktsituation darf daher gegenüber den Lehrerinnen für psychiatrische Krankenpflege zu einer Besserstellung der Berufsschullehrer mit Meisterausbildung führen. 10. Gesamthaft betrachtet durfte das Kantonsgericht eine bessere Entlöhnung der Berufsschullehrer mit Meisterausbildung gegenüber den Lehrerinnen für psychiatrische Krankenpflege im erwähnten Ausmass (vgl. dazu den Entscheid des Bundesgerichts vom 6. Oktober 1999, E. 2e S. 4, Pra 90/2000 Nr. 1 S. 4) ohne Verstoss gegen das Diskriminierungsverbot schützen.
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20df799a-69dd-46ac-977b-60a1dcd66445
Urteilskopf 87 IV 13 4. Auszug aus dem Urteil des Kassationshofes vom 3. Februar 1961 i.S. Oertly gegen Staatsanwaltschaft des Kantons Zürich.
Regeste Art. 181 StGB . Die durch Androhung einer Strafanzeige begangene Nötigung kann nach den Umständen auch dann rechtswidrig sein, wenn der Gegenstand des gestellten Begehrens mit dem Straftatbestand, der angezeigt werden soll, sachlich zusammenhängt.
Sachverhalt ab Seite 13 BGE 87 IV 13 S. 13 Aus dem Tatbestand: A.- Oertly verband sich im Frühjahr 1958 zur Durchführung von Geschäften mit Oststaaten mit dem in der Schweiz wohnhaften Ausländer König, der Alleinaktionär der Intercomet Handels AG war. Sie lieferten der chinesischen Volksrepublik in drei Teillieferungen 30 Tonnen Nickel, das sie aus Westdeutschland bezogen. Um das damals geltende Ausfuhrverbot der Westmächte zu umgehen, hatte König inhaltlich unwahre Endverbraucher-Zertifikate besorgt, die auf die spanische Firma Astra in Guernica lauteten. Ein zweites Geschäft, das Oertly anbahnte, um von der belgischen Firma Finkelstein erhältliche 30 Tonnen Nickel nach dem Osten zu verschieben, scheiterte daran, dass die wiederum auf die spanische Firma Astra ausgestellten Endverbraucher-Zertifikate von einem nicht zur Unterschrift bevollmächtigten Vertreter unterzeichnet worden waren. Oertly erklärte darauf König, der auch in diesem Falle die Dokumente beschafft hatte, für den Schaden verantwortlich und verlangte, dass er auf seine Forderung von Fr. 49'190.90, die ihm noch aus dem ersten Geschäft zustand, verzichte und sich ausserdem zur Zahlung von Fr. 20'000.-- verpflichte. Gleichzeitig spielte er wiederholt auf die Möglichkeit einer Strafanzeige wegen Gebrauchs gefälschter Urkunden an. Da König BGE 87 IV 13 S. 14 wegen seiner unerlaubten Geschäftstätigkeit fremdenpolizeiliche Massnahmen, insbesondere seine Ausweisung aus der Schweiz befürchtete, gab er schliesslich nach und erfüllte die gestellten Begehren. B.- Am 21. Juni 1960 verurteilte das Obergericht des Kantons Zürich Oertly wegen Nötigung im Sinne von Art. 181 StGB zu fünf Monaten Gefängnis und zu einer Busse von Fr. 5000.--. C.- Oertly führt Nichtigkeitsbeschwerde mit dem Antrag, er sei freizusprechen. Erwägungen Der Kassationshof zieht in Erwägung: 1. Wie in BGE 69 IV 172 ausgeführt wurde, ist derjenige, der im Sinne von Art. 181 StGB einen andern zu einem Verhalten nötigt, nur strafbar, wenn die Nötigung rechtswidrig ist. Diese Voraussetzung ist von vorneherein erfüllt, wenn der erstrebte Zweck oder das angewendete Mittel gegen die Rechtsordnung oder gegen die guten Sitten verstösst. An sich unerlaubt ist aber z.B. nicht das Begehren um Anerkennung einer bestrittenen Forderung, wenn der Gläubiger in guten Treuen sich für berechtigt hält, aber Zweifel hat, ob er gerichtlich obsiegen würde. Ebensowenig ist die Drohung mit Strafanzeige ein an sich unzulässiges Mittel, wenn der Verdacht, der vertretbar war, sich nachträglich als unzutreffend erweist ( BGE 69 IV 172 Erw. 3). Anderseits wird die Rechtswidrigkeit der Nötigung nicht schon dann ausgeschlossen, wenn sowohl der verfolgte Zweck als auch das angewendete Zwangsmittel an sich rechtmässig sind. Es kommt auch noch darauf an, ob die Anwendung des Zwanges als angemessenes Druckmittel erscheint oder ob das Vorgehen nach den Umständen rechtsmissbräuchlich ist oder den guten Sitten widerspricht. Als Rechtsmissbrauch betrachtete der Kassationshof von jeher die Androhung einer Strafanzeige, wenn zwischen dem Straftatbestand, der angezeigt werden soll, und dem Gegenstand des gestellten Begehrens jeder sachliche Zusammenhang fehlt, und als sittenwidrig wurde BGE 87 IV 13 S. 15 beispielsweise die Drohung mit einer Strafanzeige wegen Zuhälterei angesehen, weil die Dirne, die den Zuhälter zur Rückerstattung des Geldes veranlassen wollte, selber zum Zustandekommen der strafbaren Tätigkeit des Genötigten wesentlich beigetragen hatte (Urteil des Kassationshofes vom 15. Mai 1953 i.S. Pfister). 2. Oertly hatte nach der verbindlichen Feststellung des Obergerichtes keine Kenntnis davon, dass die von der Intercomet Handels AG für Finkelstein beschafften Endverbraucher-Zertifikate von einer unbefugten Person ausgestellt worden und infolgedessen unecht waren. Er war daher berechtigt, König, den Alleinaktionär der Intercomet, wegen Gebrauchs gefälschter Urkunden anzuzeigen. Ferner steht verbindlich fest, dass der Misserfolg des mit Finkelstein angebahnten Nickelgeschäfts einzig auf die Unbrauchbarkeit der gefälschten Urkunden zurückzuführen war. Die Schadenersatzansprüche, die Oertly gegen König zu haben glaubte, standen demnach mit den Urkundenfälschungen, die er ihm vorwarf, in direktem Zusammenhang. An sich durfte er deshalb König mit Strafanzeige drohen, um seiner Schadenersatzforderung Nachachtung zu verschaffen. Ob er, was deren Höhe anbelangt, sich in guten Treuen zur Verrechnung mit den Gegenansprüchen der Intercomet im Betrage von Fr. 49, 190.90 und darüber hinaus zur Forderung von Fr. 20'000.-- für berechtigt halten konnte oder ob seine Schadenersatzforderung übersetzt und insoweit seine Drohung aus diesem Grunde missbräuchlich war, wie das Obergericht angenommen hat, kann offen bleiben, da das Vorgehen des Beschwerdeführers auf jeden Fall gegen die guten Sitten verstiess. Zur Ausfuhr von Nickel aus dem Gebiet der Westmächte bedurfte es einer Bewilligung des betreffenden Staates, die nur erhältlich war, wenn der Endverbraucher schriftlich bescheinigte, dass die auszuführende Ware für ihn und nicht für den Export nach einem kommunistischen Oststaate bestimmt sei. Die Lieferungen von Nickel aus Westdeutschland und Belgien nach Rotchina, die Oertly BGE 87 IV 13 S. 16 und König gemeinschaftlich vorgenommen hatten und weiter vorzunehmen sich anschickten, waren daher überhaupt nur mit Hilfe inhaltlich unwahrer Endverbraucher-Zertifikate möglich. Oertly wusste dies. Er hat somit durch seine Beteiligung an solchen Geschäften von Anfang an die Herstellung und den Gebrauch unwahrer Urkunden gebilligt und sich damit ebenso wie König nach Art. 251 StGB strafbar gemacht. Die Falschbeurkundung, die auch im Falle Finkelstein vorlag, zu billigen, wegen der zusätzlichen materiellen Fälschung aber König mit Strafanzeige zu drohen, widerspricht den guten Sitten. Dieses Vorgehen ist umso verwerflicher, als Oertly seinem Geschäftspartner in Wirklickheit nicht wegen der Urkundenfälschung als solcher Vorwürfe machte, sondern einzig deshalb, weil der beabsichtigte Täuschungserfolg nicht eintrat. Er hatte von König bloss verlangt, dass die Zertifikate im Falle einer Rückfrage standhielten, d.h. notfalls vom fingierten Endverbraucher gedeckt würden. Es war ihm also im Grunde genommen gleichgültig, ob die unwahren Urkunden echt oder unecht seien, sofern die verbotene Nickelausfuhr gelang. Oertly hat den Abschluss des Vergleiches durch Drohungen erwirkt, die unter den gegebenen Umständen unzulässig waren, und er hat dabei mit Wissen und Willen gehandelt. Der Tatbestand des Art. 181 StGB ist somit erfüllt. Dispositiv Demnach erkennt der Kassationshof: Die Nichtigkeitsbeschwerde wird abgewiesen.
null
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1,961
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20e1164a-615f-4141-818e-733aeb6bc5c1
Urteilskopf 83 II 209 31. Extrait de l'arrêt de la Ire Cour civile du 6 juin 1957 dans la cause Pennafort contre Pennafort.
Regeste Darlehen. Klage auf Rückzahlung. Beweislast. Art. 8 ZGB , 312 ff. OR. 1. Der Kläger hat nicht nur die Aushändigung des Geldes zu beweisen, sondern vor allem auch das Bestehen des Darlehensvertrages und die daraus fliessende Pflicht zur Rückzahlung. 2. Beweis des Vertrages durch blosse, in der Aushändigung des Geldes liegende Indizien?
Erwägungen ab Seite 209 BGE 83 II 209 S. 209 Adèle Pennafort a intenté à sa belle-fille Germaine Pennafort une action tendant au remboursement d'un prêt qu'elle disait avoir accordé à son fils Joseph décédé. Elle BGE 83 II 209 S. 210 a établi la remise des fonds mais a été déboutée par la Cour cantonale, qui a jugé cette preuve insuffisante. Elle a interjeté un recours en réforme au Tribunal fédéral en faisant valoir que, lorsque la preuve de la remise de fonds est rapportée, l'existence d'un prêt est présumée. Le Tribunal fédéral a rejeté ce recours pour les motifs suivants: 2. ... La recourante admet elle-même que son action se caractérise comme une action en restitution d'un prêt d'une somme d'argent. Or, en droit suisse, le prêt de consommation est un contrat consensuel. L'obligation de restitution de l'emprunteur est un élément essentiel du contrat. Elle résulte non pas du paiement fait par le prêteur, mais de la promesse de restitution qu'implique le contrat de prêt. La remise de l'argent par le prêteur n'est qu'une condition de l'obligation de restituer. Il s'ensuit que celui qui agit en restitution d'un prêt doit rapporter la preuve non seulement de la remise des fonds, mais encore, et au premier chef, du contrat de prêt de consommation et, par conséquent, de l'obligation de restitution qui en découle (OSER/SCHÖNENBERGER, Note préliminaire 2 ad art. 305 à 318 ; BARDE, SJ 1948 p. 183; RO 20 p. 496; 21 p. 1170; 23 p. 685; 29 II 552 ; voir également un arrêt de la Cour de Bâle, RSJ 1945 p. 375 No 182). Sans doute, le seul fait de recevoir une somme d'argent peut-il, selon les circonstances, constituer des indices suffisants pour admettre l'existence d'un contrat de prêt et partant l'obligation de restituer. Toutefois il s'agit alors non d'une présomption de droit ayant pour effet de renverser le fardeau de la preuve, mais de circonstances constituant des indices, dont le juge du fait, dans le cadre de l'appréciation des preuves, pourra selon les cas déduire l'existence d'un contrat de prêt. Cependant, même en pareil cas, du moment que le fardeau de la preuve incombe au demandeur, ces indices doivent constituer une preuve complète: il faut qu'aux yeux du juge la remise des fonds ne puisse s'expliquer raisonnablement que par l'hypothèse d'un prêt (RO 23 p. 686 cons. 3 i.f.). BGE 83 II 209 S. 211 De ce qui précède, il découle qu'en l'espèce la demanderesse devait rapporter la preuve non seulement de l'encaissement des fonds par Joseph Pennafort, mais aussi du titre de prêt. En l'admettant, l'arrêt attaqué a fait une saine application du droit fédéral. Partant de ces prémisses, la Cour de justice a apprécié les divers indices établis par l'instruction de la cause et est arrivée à la conclusion, amplement et soigneusement motivée, que la preuve de l'existence du prêt n'était pas rapportée. En considérant que la preuve d'une manifestation de volonté des parties n'avait pas été fournie, la Cour de justice a fait des constatations de fait et apprécié les preuves de manière à lier le Tribunal fédéral. Les griefs que la recourante formule à ce sujet sont irrecevables. 3. Certes l'art. 8 CC s'applique selon les règles de la bonne foi, conformément à l'art. 2 CC (RO 66 II 146). Mais l'attitude de la défenderesse, qui prétend tout ignorer du versement fait à son insu à son auteur et dont il est constant que jamais la demanderesse ne lui a parlé avant la mort de Joseph Pennafort, ne saurait manifestement pas être qualifiée de contraire aux règles de la bonne foi, ce que la recourante ne soutient d'ailleurs pas.
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Urteilskopf 85 I 264 42. Auszug aus dem Urteil vom 4. Dezember 1959 i.S. Ernst Marti AG gegen Eidg. Post- und Eisenbahndepartement.
Regeste Postregal; Konzession für Personenbeförderung. 1. Ein Entscheid, mit dem das Post- und Eisenbahndepartement bestimmte Fahrten für konzessionspflichtig erklärt und die Konzession hiefür verweigert, unterliegt der Verwaltungsgerichtsbeschwerde, soweit die Konzessionspflicht bestritten wird, und im übrigen der Verwaltungsbeschwerde an den Bundesrat. 2. Für gewerbsmässige und regelmässige internationale Rundfahrten mit Ausgangs- und Endpunkt in der Schweiz und mit Gelegenheit zum Unterbruch im Ausland ist eine schweizerische Konzession erforderlich.
Sachverhalt ab Seite 264 BGE 85 I 264 S. 264 A.- Die Firma Ernst Marti AG in Kallnach veranstaltet gewerbsmässig Gesellschaftsreisen mit Autocars im In- und Auslande. Unter anderm organisiert sie Rundreisen, die von der Schweiz aus an die französische und italienische Riviera und zurück in die Schweiz führen. Sie BGE 85 I 264 S. 265 möchte den Teilnehmern die Möglichkeit bieten, die Rundreise durch einen 7- oder 14-tägigen Ferienaufenthalt in einem Orte an der Riviera zu unterbrechen und mit einer fol genden Fahrt zu beenden. Am 27. Februar 1959 entschied das eidg. Post- und Eisenbahndepartement, dass die von der Firma geplanten unterbrochenen Rundfahrten der Konzessionspflicht unterständen und dass es die Erteilung einer Konzession hiefür ablehne. B.- Gegen diesen Entscheid hat die Firma Marti - gemäss der erhaltenen Rechtsmittelbelehrung - beim Bundesrat Beschwerde erhoben. Sie macht geltend, nach schweizerischem Recht seien die in Frage stehenden Rundfahrten nicht konzessionspflichtig. Die abweichende Auffassung des Departementes sei mit dem Postverkehrsgesetz (PVG), der zugehörigen Vollziehungsverordnung I, dem BRB vom 23. Dezember 1955 über regelmässige Rundfahrten mit Automobilen und dem dritten Genfer Abkommen betreffend die Aufhebung der Einschränkungen in der Freiheit des Strassenverkehrs nicht vereinbar. Ob die Rundfahrt im Auslande unterbrochen werden dürfe oder nicht, habe einzig die dortige Behörde zu entscheiden. Sollte eine schweizerische Konzession doch erforderlich sein, so wäre das Departement anzuweisen, eine solche zu erteilen. C.- Nach einem Meinungsaustausch mit dem Bundesrat hat das Bundesgericht die Beurteilung der Beschwerde insoweit übernommen, als damit die Konzessionspflicht bestritten wird. D.- Das Post- und Eisenbahndepartement schliesst auf Abweisung der Beschwerde. Erwägungen Aus den Erwägungen: 1. Nach Art. 99 Ziff. XI lit. a und b OG ist die Verwaltungsgerichtsbeschwerde zulässig gegen Entscheide des eidg. Post- und Eisenbahndepartementes über Ansprüche, die sich auf das Postverkehrsgesetz und die zugehörigen BGE 85 I 264 S. 266 Vollziehungsverordnungen stützen; die Ausnahme der Haftpflicht- und der Straffälle fällt hier ausser Betracht. Gemeint sind Entscheide über Rechtsansprüche. Entscheide, die in das Ermessen des Departementes gestellt sind, können nicht mit der Verwaltungsgerichtsbeschwerde angefochten werden. In dem hier angefochtenen Entscheide hat das Departement festgestellt, dass die von der Beschwerdeführerin geplanten Rundfahrten mit Unterbrechung im Auslande unter das Postregal fallen, also von ihr ohne Konzession nicht durchgeführt werden dürfen, und die Erteilung einer Konzession hiefür abgelehnt. Der Feststellungsentscheid betrifft den Anspruch der Postverwaltung auf das Monopol für solche Fahrten und den entgegenstehenden Anspruch der Beschwerdeführerin, die Fahrten ohne Konzession unternehmen zu dürfen. Das sind Rechtsansprüche, die sich auf das Postverkehrsgesetz vom 2. Oktober 1924 (BS 7 S. 754) und zugehörige Vollziehungsverordnungen stützen. Soweit sich die Beschwerde gegen den Feststellungsentscheid richtet, ist sie somit als Verwaltungsgerichtsbeschwerde zu behandeln und vom Bundesgericht zu beurteilen. Dagegen ist das Bundesgericht nicht zuständig, soweit sich die Beschwerde gegen die Verweigerung einer Konzession richtet. Das ist kein Entscheid über einen Anspruch im Sinne von Art. 99 Ziff. XI OG . Die gesetzliche Ordnung begründet keinen Rechtsanspruch auf eine Konzession für die Reisendenbeförderung, sondern stellt die Erteilung oder Verweigerung der Konzession dem Ermessen der Verwaltung anheim ( Art. 3 Abs. 1 PVG ; Art. 3 Abs. 1 der Vollziehungsverordnung I vom 23. Dezember 1955, AS 1956 S. 1). Gegen die Verweigerung ist daher nicht die Verwaltungsgerichtsbeschwerde, sondern die Verwaltungsbeschwerde an den Bundesrat gegeben (Verwaltungsentscheide der Bundesbehörden 1936 Nr. 36; Meinungsaustausch von 1954 i.S. Regierungsrat Nidwalden c. Pilatusbahngesellschaft). BGE 85 I 264 S. 267 2. ..... 3. Art. 1 PVG , der den Umfang des Postregals umschreibt, gibt in Abs. 1 lit. a der Postverwaltung, unter Vorbehalt des Art. 2, das ausschliessliche Recht, Reisende mit regelmässigen Fahrten zu befördern, soweit dieses Recht nicht durch andere Bundesgesetze eingeschränkt ist. Diese Einschränkungen spielen im vorliegenden Falle keine Rolle. Art. 2 Abs. 1 PVG nimmt die regelmässige Personenbeförderung unter bestimmten Voraussetzungen vom Postregal aus, so dann, wenn sie nicht gewerbsmässig betrieben wird (lit. a). Abs. 2 ebenda ermächtigt den Bundesrat, weitere Ausnahmen vom Regal zu gestatten. Soweit die gewerbsmässige Reisendenbeförderung mit regelmässigen Fahrten unter das Postregal fällt, ist sie gewerblichen Unternehmungen ohne Konzession verwehrt ( Art. 3 Abs. 1, Art. 62 PVG ). Es ist nicht bestritten und steht fest, dass die Beschwerdeführerin die von ihr geplanten internationalen Rundfahrten mit Gelegenheit zum Unterbruch an der Riviera regelmässig im Sinne des Postverkehrsgesetzes und des Art. 1 der Vollziehungsverordnung I durchführen will. Sie gedenkt diese Reisen während der Saison (Frühling, Sommer und Herbst) planmässig jede Woche an zum voraus bestimmten Tagen zu veranstalten. Ferner ist nicht bestritten und unterliegt keinem Zweifel, dass die Fahrten gewerbsmässig im Sinne des Postverkehrsgesetzes und des Art. 2 der Vollziehungsverordnung I unternommen werden sollen. Die Ausführung des Vorhabens der Beschwerdeführerin bringt notwendig mit sich, dass schweizerische Strecken gewerbsmässig und regelmässig befahren werden. Die geplanten Reisen sind daher nach der gesetzlichen Ordnung dem Postregal und der Konzessionspflicht unterstellt, sofern aufsie nicht eine besondere Vorschrift anwendbar ist, welche die gewerbsmässige Reisendenbeförderung mit regelmässigen Fahrten unter gewissen Voraussetzungen davon ausnimmt. 4. In Betracht kommen nur die Ausnahmen, die der BGE 85 I 264 S. 268 Bundesrat zugelassen hat durch den Beschluss, dem sog. dritten Genfer Abkommen betreffend die Aufhebung der Einschränkungen in der Freiheit des Strassenverkehrs beizutreten (AS 1951 S. 525; 1954 S. 1040), und durch den BRB vom 23. Dezember 1955 über regelmässige Rundfahrten mit Automobilen (AS 1956 S. 66). Andere Ausnahmevorschriften, welche anwendbar sein könnten, werden nicht genannt und bestehen auch nicht. Durch das dritte Genfer Abkommen "wird die Freiheit des internationalen touristischen Strassenverkehrs geschaffen". "Grundsatz ist dabei, dass die gleichen Personen mit dem gleichen Fahrzeug befördert werden", sei es "in Form einer Rundreise, wobei Ausgangs- und Endpunkt der Reise im gleichen Lande liegen", sei es in anderer Form (AS 1951 S. 526). Die Beschwerdeführerin will Rundreisen veranstalten, deren Ausgangs- und Endpunkt in der Schweiz liegt. Sie sieht aber vor, dass die Teilnehmer die Reise an der Riviera unterbrechen und mit einer folgenden Fahrt beenden können, will also, soweit von dieser Möglichkeit Gebrauch gemacht wird, nicht die gleichen Personen mit dem gleichen Fahrzeug befördern. Schon deshalb könnte aus dem Abkommen - auch wenn es Anwendung fände, wie die Beschwerdeführerin geltend macht - nicht abgeleitet werden, dass sie die Reisen ohne schweizerische Konzession durchführen darf. Das Abkommen untersagt der Schweiz offensichtlich nicht, unterbrochene Rundreisen, wie die Beschwerdeführerin sie veranstalten will, der Konzessionspflicht zu unterstellen. Ob sich schweizerische Transportunternehmer gegenüber der schweizerischen Behörde mit Bezug auf Fahrten über inländische Strecken überhaupt auf das Abkommen berufen können, braucht daher nicht geprüft zu werden. Ähnlich wie das Abkommen lautet Art. 2 Abs. 1 des BRB über regelmässige Rundfahrten mit Automobilen. Danach ist für die Befreiung solcher Fahrten von der Konzessionspflicht unter anderm erforderlich, dass "die nämlichen Personen mit dem gleichen Fahrzeug und der BGE 85 I 264 S. 269 gleichen Fahrt wieder an ihren Ausgangspunkt zurückgeführt" und dass "unterwegs oder am Reiseziel keine Reisenden abgesetzt oder aufgenommen werden" (lit. c und d). Diese Voraussetzungen sind hier nicht erfüllt. Die Beschwerdeführerin wendet vergeblich ein, jener BRB sei nur auf innerschweizerische Rundfahrten anwendbar. Ob er so auszulegen sei, kann offen gelassen werden. Wäre die Frage zu bejahen, so wäre für die Beschwerdeführerin nichts gewonnen. Es bliebe dabei, dass die Beschwerdeführerin für die schweizerischen Strecken, die sie auf den geplanten internationalen Rundreisen regelmässig befahren will, nach der gesetzlichen Ordnung einer Konzession bedarf, weil eine Vorschrift, nach der solche Fahrten vom Postregal ausgenommen wären, nicht besteht. Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Beschwerde wird abgewiesen, soweit damit die Konzessionspflicht für die von der Beschwerdeführerin geplanten unterbrochenen internationalen Rundfahrten bestritten wird.
public_law
nan
de
1,959
CH_BGE
CH_BGE_001
CH
Federation
20eb259f-59b1-467d-a043-91e2cce83d37
Urteilskopf 98 IV 168 34. Urteil des Kassationshofes vom 4. September 1972 i.S. Zinsli gegen Staatsanwaltschaft von Graubünden.
Regeste Art. 18 Abs. 3, 117 StGB . Fahrlässige Tötung. 1. Fahrlässigkeit eines Skilager- bzw. Skitourenleiters im Hochgebirge (Erw. 4). 2. Rechtserheblicher Kausalzusammenhang zwischen Tat und Erfolg (Erw. 3).
Sachverhalt ab Seite 168 BGE 98 IV 168 S. 168 A.- 1. - Walter Zinsli, geb. 1925, ist seit 1947 in der Sektion Bachtel des Schweizerischen Alpenclubs (SAC) Leiter der Jugendorganisation (JO), seit 1958 JO-Chef, der über den Leitern steht. 1952 erwarb er das Hochgebirgsabzeichen der Armee. 1954, 1968 und 1969 absolvierte er Leiterkurse mit Spezialausbildung an der Eidgenössischen Turn- und Sportschule Magglingen. Im SAC besuchte er 1964, 1966 und 1967 Rettungskurse, 1968 und 1969 Spezialkurse für Lawinen und Fels, 1967 einen internationalen Rettungskurs. 2.- Zinsli führte die JO während zwölf Jahren unfallfrei. Er organisierte zahlreiche Ski- und Klettertouren sowie Tourenlager mit Mitgliedern der JO, meist jungen Leuten von 16-20 Jahren. Wie es in der Sektion üblich war, wählte er sich jeweils selbst geeignete JO-Leiter als ihm unterstellte Hilfsleiter oder selbständige Tourenleiter aus, die er meist von gemeinsamen Touren und Kursen kannte. Teilweise wurden die Tourenlager als (subventionierte) Wahlfachkurse des militärischen Vorunterrichts (VU) für die im entsprechenden Alter stehenden Jünglinge unter den Teilnehmern durchgeführt. Zinsli reichte der zuständigen Militärdirektion Zürich eine entsprechende Anmeldung mit den vorgeschriebenen Unterlagen ein. Dadurch unterstellte er das Lager und dessen Leiter den Ausführungsvorschriften des Eidgenössischen Militärdepartements über den VU. BGE 98 IV 168 S. 169 3.- Am Karfreitag, den 27. März 1970 begann in Avers-Juf ein Osterskilager der JO Bachtel. VU-Teilnehmer waren zehn Burschen von 18-20 Jahren; dazu kamen als weitere Teilnehmer fünf Mädchen der JO, worunter die Tochter von Walter Zinsli. Die Gesamtleitung hatte Zinsli. Unter ihm wirkten mit die Leiter Markus Glückler, Hans-Rudolf Kägi, Hans Trafelet und Martin Welter. Markus Glückler, geb. 1940, absolvierte 1963 einen Tourenleiterkurs, 1967 bis 1969 Zentralkurse für Skilauf des SAC, 1965 bis 1969 Sommer- und Lawinenrettungskurse. Er war seit 1968 JO-Leiter und wirkte als solcher 1968 bis 1970 an zehn Touren mit, davon viermal unter Zinsli, mit dem er auch private Touren unternahm. Hans Trafelet, geb. 1942, wurde 1964 JO-Leiter. 1966 erwarb er das Hochgebirgsabzeichen der Armee, 1965 bis 1969 besuchte er einen Kurs als JO-Leiter und zwei Rettungskurse. Als JO-Leiter wirkte er 1964 bis 1970 an zehn Touren mit; sechsmal unter Walter Zinsli. Alle vier Leiter waren erfahrene Skiläufer und Berggänger, technisch Zinsli teilweise überlegen. Der Präsident der Sektion Bachtel beurteilte Zinsli und seine Unterleiter charakterlich und technisch sehr gut. 4.- Am 27. März 1970 unternahmen die Kursteilnehmer nach ihrer Ankunft am Standort eine kleine Angewöhnungstour. Am 28. März brachen alle 20 Teilnehmer um 8 Uhr bei scharfer Kälte und beissendem Wind zur Tour auf den Piz Piot auf. Zunächst marschierten alle gemeinsam von Juf gegen den Talhintergrund. Als die Steigung gegen den Piz Piot begann, übernahm JO-Leiter Hans-Rudolf Kägi die Führung und spurte abwechselnd mit zwei Teilnehmern. Zinslis Tochter Susanne hatte beim Aufstieg Mühe, weshalb Zinsli mit ihr bei Punkt 2770 zurückblieb, während alle anderen noch bis Punkt 2822 aufstiegen. Die schwächeren Teilnehmer, hauptsächlich die Mädchen, blieben auf dieser Höhe. JO-Leiter Trafelet stieg mit zwei Teilnehmern gegen die Scharte östlich von Punkt 2959 und erreichte den Gipfel. Einige andere Teilnehmer waren von Punkt 2822 zu Fuss noch ein Stück weit über den verschneiten Fels gegen den Gipfel des Piot aufgestiegen, kehrten dann aber um. Darauf wurden wieder die Skier angezogen und bis zu Punkt 2822 abgefahren, wo gleichzeitig auch die Gruppe Trafelet eintraf. Die bei Punkt 2822 zurückgebliebenen schwächeren BGE 98 IV 168 S. 170 Leute waren bereits abgefahren. Sie trafen bei Punkt 2770 auf Zinsli und dessen Tochter und fuhren gemeinsam mit diesen nach Juf ab. Zinsli traf mit der ersten Gruppe von insgesamt acht Personen etwa um 13.30 Uhr in Juf ein und begab sich in die Unterkunft. Die übrigen zwölf Teilnehmer folgten grüppchenweise und hatten keine Verbindung mehr zur ersten Gruppe. In der Gegend von Bleis entschlossen sich VU-Leiter Glückler und JO-Leiter Trafelet, einen Abstecher gegen das Wengenhorn zu machen. Die VU-Teilnehmer Sauter und Arbenz schlossen sich ihnen an; die übrigen setzten den Weg Richtung Juf fort. Es war zwischen 13 und 13.15 Uhr, als sich diese Leute trennten. Bei der Ankunft in Juf meldete Hans-Rudolf Kägi von sich aus dem Lagerleiter Zinsli, Glückler habe mit drei weiteren Teilnehmern noch einen Abstecher gemacht. Zinsli nahm die Meldung kommentarlos entgegen. Glückler, Trafelet, Arbenz und Sauter stiegen in einer bestehenden Aufstiegspur auf der linken Talseite in den kahlen, nach Nordost geneigten Hang ein, der zum Mugmol führt, einen dem Wengenhorn vorgelagerten, von diesem aber deutlich getrennten Bergkopf. Da die von der Gruppe benützte Spur auf der Höhe von etwa 2400 m nach links weiterführte, bogen die vier Skifahrer nach rechts ab und begannen den Hang zu durchqueren. Sie gingen in einem Abstand von zwei Metern hintereinander, als weiter oben im Hang hinter ihnen der Schnee abzurutschen begann. Schliesslich geriet der ganze Hang in Bewegung. Die vier Burschen wurden in die Tiefe gerissen und unter den Schneemassen begraben. Eine Unbekannte hatte den Schneerutsch, der etwa um 14.15 Uhr niedergegangen war, beobachtet und in Juf Meldung erstattet. Walter Zinsli erhielt ungefähr um 14.40 Uhr Nachricht vom Unglück. Nachdem die Rettungskolonne alarmiert war, begaben sich die Teilnehmer des JO-Lagers sofort auf die Unfallstelle und nahmen die Sucharbeiten unverzüglich auf. Jakob Sauter konnte nach kurzer Zeit lebend geborgen werden. Die später aufgefundenen Arbenz und Trafelet wurden per Helikopter ins Kantonsspital Chur geflogen; die Wiederbelebungsversuche blieben jedoch erfolglos. Glückler wurde als letzter am Abend tot aufgefunden. 5.- a) Zinsli hatte das Lawinenbulletin vom 26. für den 27. März abgehört, das wie folgt lautete: BGE 98 IV 168 S. 171 "26. März 1970: Bei zur Zeit noch verhältnismässig hohen Temperaturen macht die Durchnässung der Schneedecke grosse Fortschritte. Bis in Höhen von rund 2200 m, an Steilhängen mit starker Einstrahlung sogar bis gegen 2400 m werden weiterhin zahlreiche Nasschneelawinen abgleiten. Aus umfangreichen Einzugsgebieten mit bedeutenden Schneemengen können nun auch grössere und bis in die Talsohlen vordringende Grundlawinen auftreten. Auf Hochtouren besteht für den Skifahrer oberhalb rund 2200 m weiterhin eine mässige Schneebrettgefahr, vor allem an Hängen, die in östlicher oder nördlicher Richtung abfallen. Dagegen sind die Gletscher dieses Jahr im allgemeinen stark zugeschneit, so dass die Spaltengefahr als verhältnismässig gering beurteilt werden darf." Dagegen hat er das für den 28. März gültige Bulletin vom 27. März nicht abgehört. Es lautete: "27. März 1970: Die eingetretene Abkühlung mit Schneefällen bis gegen 1000 m hinunter hat eine wesentliche Umgestaltung der Lawinensituation zur Folge. Die Gefahr des Abgleitens von Nasschneerutschen und Grundlawinen ist stark zurückgegangen, und bei einem weiteren Absinken der Temperaturen sind solche Niedergänge nicht mehr zu erwarten. Dagegen ist die Lawinengefahr für den Skitouristen nicht zurückgegangen. Sie besteht in Form einer lokalen Schneebrettgefahr oberhalb rund 2000 m weiter und ist vor allem an nördlich und östlich abfallenden Hängen zu beachten. Sollten die heute Freitagmorgen noch andauernden Schneefälle bei starken Nordwestwinden grösseres Ausmass annehmen, würde sich diese Gefahr rasch erhöhen und auch in tiefer liegenden Zonen auftreten." Er hat sich auch nicht erkundigt, ob einer der ihm untergebenen Hilfsleiter dieses Lawinenbulletin kannte. Tatsächlich war das nicht der Fall. Zwischen dem 26. und 27. März hatten neue Schneefälle und starker Wind die Lawinengefahr in der Tat verschärft. b) Zinsli hat sich auch nicht in anderer Weise über die allgemeinen oder konkreten Lawinenverhältnisse in der Gegend erkundigt, abgesehen von einem beiläufigen Gespräch mit einem Gastwirt, wobei dieser erwähnt haben soll, an welchen Stellen in den letzten Jahren Lawinen niedergegangen seien. Zinsli verfügte über einen Skiroutenführer, der für vereinzelte Stellen die Lawinengefahr erwähnt. Die von den Lagerteilnehmern befahrene Route und der Unglückshang wurden in diesem Führer nicht näher erörtert. c) Vor der Tour wurde weder eine einlässliche Vorbesprechung unter Berücksichtigung der Lawinengefahr noch eine BGE 98 IV 168 S. 172 Gruppeneinteilung vorgenommen. Zinsli verliess sich auf die ihm als tüchtig bekannten Unterführer und die spontane Zusammenarbeit, die sich schon wiederholt bewährt hatte. Tatsächlich übernahmen seine Unterführer ohne besondere Weisung jeweils die sich bildenden Gruppen und Grüppchen von Teilnehmern. d) Auch für die Rückfahrtsroute traf Zinsli keine Anordnungen, obwohl er als erster mit der schwächsten Gruppe abfuhr, und zwar wegen aufziehenden Nebels früher als vorgesehen. Er verliess sich darauf, dass die Unterleiter die restlichen Teilnehmer wohlbehalten zurückführen würden. e) Ein vom Leiter des Eidgenössischen Instituts für Schnee- und Lawinenforschung eingeholtes Gutachten äussert sich u.a. wie folgt: "Die Gefahr am NE-Hang des Mugmol muss aufgrund des skizzierten Wetterablaufes und der damit begründeten Schneedeckenentwicklung als für den Skifahrer ausgeprägt beurteilt werden. Es herrschte dort eine heimtückische lokale Schneebrettgefahr. a) Für den Lagerleiter gab es keine Möglichkeit, die Lawinengefahr am Unfallhang zuverlässigzubeurteilen oder sogar zu erkennen. Insbesondere konnten auf der gleichentags ausgeführten Tour auf den Piz Piot keine Beobachtungen gewonnen werden, die auf eine solche Gefahr hingewiesen und damit eine ev. Warnung an die einzelnen Tourenleiter ermöglicht hätten. b) Auch für die Unfallgruppe war die Gefahr aus den obenerwähnten Gründen nicht zu erkennen." B.- Der Kantonsgerichtsausschuss Graubünden verurteilte am 18. Februar 1972 Walter Zinsli wegen fahrlässiger Tötung ( Art. 117 StGB ) zu einer Busse von Fr. 500.-- mit bedingter Löschung des Eintrags bei Wohlverhalten während eines Jahres. C.- Zinsli führt Nichtigkeitsbeschwerde mit dem Antrag auf Rückweisung der Sache an das Kantonsgericht zur Freisprechung. Die Staatsanwaltschaft beantragt Abweisung der Beschwerde. Erwägungen Der Kassationshof zieht in Erwägung: 1. Der fahrlässigen Tötung macht sich gemäss Art. 117 StGB schuldig, wer eine für den Tod eines Menschen kausale Handlung begeht, von der er bei pflichtgemässer Aufmerksamkeit hätte voraussehen können, dass sie geeignet war, diesen Erfolg herbeizuführen. In gleicher Weise macht sich strafbar, wer in Verletzung einer Rechtspflicht eine Handlung unterlässt und bei pflichtgemässer Aufmerksamkeit hätte voraussehen BGE 98 IV 168 S. 173 können, dass die unterlassene Handlung geeignet war, den Tod eines Menschen abzuwenden ( BGE 96 IV 174 a, BGE 86 IV 220 , BGE 83 IV 13 , BGE 79 IV 145 ; SCHWANDER, Strafgesetzbuch, 2. Aufl. Nr. 156 ff.). Der Beschwerdeführer bestreitet sowohl, dass die ihm vorgeworfenen Unterlassungen rechtserheblich kausal für den Tod der drei Skifahrer gewesen seien, wie auch, dass er sich fahrlässig verhalten habe. 2. Das angefochtene Urteil bejaht die natürliche Kausalität. Zinsli hätte am Unglückstag für eine geordnete Rückfahrt sorgen und Extratouren untersagen können. Indem er dies unterliess, setzte er eine unerlässliche Ursache des tödlichen Unfalles. Auch der Umstand, dass er nicht das Lawinenbulletin abhörte und mit den Unterführern gestützt darauf die Lawinenlage genau erörterte, war eine wesentliche natürliche Ursache des Unfalls. Hätte Zinsli diese Vorsichtsmassnahmen getroffen, dann würden die beiden verunfallten Führer auf den Abstecher verzichtet haben. Diese Feststellungen sind tatsächlicher Natur und können mit der Nichtigkeitsbeschwerde nicht gerügt werden ( Art. 273 Abs. 1 lit. b BStP ). Der Beschwerdeführer hat dies mit Recht auch nicht versucht. 3. Ob eine natürliche Ursache rechtserheblich sei, ist eine Rechtsfrage. Adäquate Kausalität ist gegeben, wenn eine Ursache nach dem gewöhnlichen Lauf der Dinge geeignet war, einen solchen Erfolg herbeizuführen oder zu begünstigen ( BGE 91 IV 120 , 187 mit Verweisungen). Rechtserhebliche Kausalität ist zu verneinen, wenn die natürliche Verursachung soweit ausserhalb der normalen Lebenserfahrung liegt, dass die Folge nicht zu erwarten war. a) Als völlige Verkennung des Begriffs des rechtlich erheblichen Kausalzusammenhangs rügt die Nichtigkeitsbeschwerde die Ausführungen des Urteils, wonach beim Vorliegen des natürlichen Kausalzusammenhangs die Adäquanz äusserst selten verneint werden könne, was auch im vorliegenden Fall zutreffe. Die Beschwerde erblickt darin eine ungeprüfte Vorwegnahme des vom Gericht anscheinend gewollten Ergebnisses. Der Einwand geht fehl. Ob das Ergebnis einer einlässlichen Prüfung im Urteilstext an die Spitze oder an das Ende der entsprechenden Erwägungen gesetzt wird, hat nur redaktionelle Bedeutung. Entscheidend ist einzig, ob die festgestellten BGE 98 IV 168 S. 174 Tatsachen den rechtlichen Schluss erlauben oder ob die hiefür vorgebrachten Erwägungen rechtsverletzend sind. Nichts bestätigt die Vermutung des Beschwerdeführers, die zitierte Erwägung nehme das Ergebnis einer noch gar nicht durchgeführten Prüfung vorweg, weil das Gericht gerade dieses Ergebnis anstrebe. Aus dem Zusammenhang ergibt sich im Gegenteil, dass damit lediglich die ausführliche Begründung eingeleitet werden sollte, indem vorweg deren Ergebnis bekanntgegeben wurde. Ob wirklich behauptet werden kann, einer festgestellten natürlichen Kausalität entspreche meist auch eine adäquate Verursachung, erscheint zweifelhaft, kann aber dahingestellt bleiben. Die Aussage ist ohne Wirkung auf die rechtliche Schlussfolgerung im vorliegenden Fall. b) Das angefochtene Urteil erblickt eine adäquate Ursache des tödlichen Unfalls in dem Umstand, dass Zinsli das Lawinenbulletin vom 27. März nicht abhörte und daher mit seinen Leitern auch nicht besprach. Die Nichtigkeitsbeschwerde macht geltend, das Bulletin vom 27. März habe entgegen der aktenwidrigen Darstellung des Urteils gegenüber dem Bulletin des Vortages, das von Zinsli abgehört worden war, keine Verschärfung der Lage gemeldet. Zinsli habe mit seinen Leitern im übrigen zweimal über die Schneebrettgefahr gesprochen, er habe Rettungsmaterial mitnehmen lassen und sich auf seine erfahrenen Leiter verlassen dürfen. Das Lawinenbulletin sei ein zwar gutes generelles Hilfsmittel, erlaube aber keine Schlüsse auf die Gefährlichkeit eines bestimmten Hanges. Aus dem Gutachten des Eidg. Schnee- und Lawinenforschungsinstituts ergebe sich, dass am Unglückshang weder Zinsli noch seine Unterführer eine Gefahr hätten entdecken können. Der Umstand, dass Zinsli das Bulletin nicht abhörte, sei daher nicht adäquat kausal für den Unfall gewesen. Das Argument des Beschwerdeführers, das Lawinenbulletin vom 27. März habe gegenüber demjenigen vom 26. März keine Verschärfung gebracht, trifft nicht zu. Aus dem zweiten Bulletin ergab sich, dass die Lawinengefahr an nördlichen und östlichen Hängen fortbestand und bei Schneefall und Nordwestwinden rasch zunehmen konnte. Nach den Feststellungen der Vorinstanz hat es zwischen der Ausgabe des Lawinenbulletins und der Unglückstour weiter geschneit und es waren starke Winde aufgetreten. Die Lawinengefahr konnte gemäss Bulletin also BGE 98 IV 168 S. 175 wesentlich angestiegen sein. Das angefochtene Urteil folgert daraus, Zinsli hätte bei Kenntnis des neuen Bulletins die Lawinenlage mit seinen Unterführern besprochen und diese hätten den in besonders gefährlicher Lage befindlichen Unfallhang meiden müssen. Diese Erwägung zur adäquaten Kausalität hält stand. Der Einwand, Zinsli habe mit seinen Leitern über die Schneebrettgefahr gesprochen, hilft nichts. Er widerspricht den Feststellungen der Vorinstanz, die mit staatsrechtlicher Beschwerde erfolglos angefochten wurden. Zudem hätten einige allgemein gehaltene Betrachtungen über die Möglichkeit einer Schneebrettgefahr nicht dieselbe Wirkung haben können wie eine Lagebesprechung, die sich auf das für den betreffenden Tag gültige Lawinenbulletin gestützt hätte. Der Umstand, dass Rettungsmaterial mitgenommen wurde (wie das für alle Vorunterrichtstouren vorgeschrieben ist) und dass der Beschwerdeführer sich auf seine Unterführer glaubte verlassen zu können, hebt den adäquaten Kausalzusammenhang nicht auf. Nachdem schon für den Vortag gewisse Gefahren gemeldet worden waren, hätte erst recht Anlass bestanden, den neuesten Bericht abzuhören und mit dem Kader zu besprechen. Daran änderte weder das Rettungsmaterial noch die Qualität der Unterführer das geringste. Tatsächlich wussten diese nicht ebensogut, sondern ebensoschlecht über die Lawinensituation Bescheid wie Zinsli. Der Beschwerdeführer kritisiert die Würdigung des Lawinenbulletins im Verhältnis zum Gutachten des Instituts für Schnee- und Lawinenforschung. Damit macht er nicht mehr eine Verletzung der Rechtsnormen über die adäquate Kausalität geltend, sondern er setzt sich mit der Beweiswürdigung der Vorinstanz auseinander. Nach seiner Auffassung bedeutet das Gutachten, dass auch ein in Kenntnis des Lawinenbulletins handelnder Tourenleiter den Unglückshang traversiert hätte, weil ihm die Gefahr entgangen wäre. Demgegenüber erklärt die Vorinstanz, das Gutachten basiere auf der Voraussetzung, dass der Tourenleiter das Lawinenbulletin nicht kannte; diesem Bulletin wird daher eine besondere rechtserhebliche Bedeutung zugemessen. Die Anfechtung dieser Beweiswürdigung mit der Nichtigkeitsbeschwerde ist unzulässig ( Art. 273 Abs. 1 lit. b BStP ). c) Die Beschwerdeschrift beschäftigt sich ausführlich mit dem Vorwurf an Zinsli, er habe keinen geordneten Rückmarsch anbefohlen. Tatsächlich sei auch ohne ausdrücklichen Befehl BGE 98 IV 168 S. 176 eine freiwillige Gruppendisziplin eingehalten worden. Der Abstecher auf den Mugmol sei von zwei erfahrenen Leitern beschlossen und geführt worden. Auch diese Rüge ist unbehelflich. Zunächst geht es hier nicht um die Prüfung eines Vorwurfs (d.h. um das Verschulden des Beschwerdeführers), sondern um die rechtserhebliche Verursachung. Hiezu stellt die Vorinstanz ausdrücklich fest, dass nicht die mangelnde Gruppeneinteilung als solche ins Gewicht fällt, sondern die allgemein mangelhafte Ordnung und lockere Disziplin. Mangelhaft war der Rückmarsch nicht in erster Linie deshalb, weil Zinsli keine Gruppeneinteilung vorgeschrieben hatte, haben sich doch die Unterführer spontan der einzelnen Gruppen angenommen. Rechtserheblich kausal für den Unfall war indessen der Umstand, dass Zinsli keine genauen Anweisungen für den Rückmarsch und insbesondere über die einzuschlagende Route erteilt hatte. Dass bei Unterlassung solcher Anweisungen und bei allgemein laxer Disziplin Abstecher einzelner Teilnehmer oder Teilnehmergruppen zu erwarten waren und dass solche Abstecher von der Hauptgruppe leicht in gefährliche Regionen führen konnten, über die man sich vorher gar nicht besprochen hatte, entspricht allgemeiner Lebenserfahrung. Die Wahrscheinlichkeit solcher unkontrollierter Abstecher war umso grösser, als Zinsli mit der Hauptgruppe bereits zu Tal gefahren war. d) Mit Recht hat sich die Vorinstanz nicht darauf beschränkt, jedes einzelne Element zu würdigen, dessen adäquate Kausalität von ihr bejaht und von der Verteidigung bestritten wird. Sie hat zutreffend den Gesamtverlauf der Dinge überblickt und ist zum Schluss gekommen, dass die kumulierten Unterlassungen Zinslis rechtserhebliche Ursachen des Unfalls waren. Die allgemein wenig straffe Kursführung, die Unterlassung einer genauen auf das neueste Lawinenbulletin gestützten Lagebesprechung, der Verzicht auf bestimmte Weisungen für die Rückfahrt, insbesondere auf ein Verbot nicht vorbesprochener Abstecher, und schliesslich die Rückfahrt Zinslis mit der ersten Gruppe, unbekümmert um die andern Teilnehmer, waren durchaus geeignet, zu Einzel- oder Gruppenfahrten abseits der Hauptroute Anlass zu geben und die Teilnehmer in eine schwere Gefahrensituation zu führen. Mit Recht stellt die Vorinstanz fest, dass auch das Fehlverhalten der Hilfsleiter im Unglückshang nicht ausserhalb normaler Lebenserfahrung liegt. BGE 98 IV 168 S. 177 Die adäquate Kausalität der Unterlassungen für den Tod der drei Skifahrer ist ohne Verletzung von Bundesrecht durch die Vorinstanz bejaht worden. 4. Die Nichtigkeitsbeschwerde macht geltend, das angefochtene Urteil verletze Art. 18 Abs. 3 StGB . Es stellt sich somit die Rechtsfrage, ob Zinsli der Vorwurf gemacht werden kann, sich pflichtwidrig unvorsichtig verhalten zu haben, indem er die Massnahmen unterliess, die an sich geeignet gewesen wären, den Unfall zu verhindern. Sein Verhalten war pflichtwidrig, wenn er die Vorsicht nicht beachtete, zu der er nach den Umständen und nach seinen persönlichen Verhältnissen verpflichtet war. Die Voraussehbarkeit der Folgen eigenen Verhaltens hängt ausser von den Umständen des Einzelfalles auch von den persönlichen Verhältnissen des Täters ab. Die geistigen Anlagen, die besonderen Kenntnisse und Erfahrungen auf dem fraglichen Sachgebiet können einen Täter befähigen, die Möglichkeit einer Gefahr und deren Verwirklichung auch unter Umständen zu erkennen, die nach gewöhnlicher Lebenserfahrung noch nicht als gefährlich erscheinen würden. Dementsprechend übersteigt die Vorsichtspflicht eines solchen Täters diejenige eines andern, dem ähnliche Fähigkeiten und Fachkenntnisse abgehen ( BGE 97 IV 172 mit zahlreichen Verweisungen). a) Zinsli verfügt über aussergewöhnliche, in vielen Kursen und Lagern erworbene und erprobte Berg- und Skierfahrung. Er hat auch einen besonderen Lawinenrettungskurs absolviert. Dieser besondern Qualifikation entspricht eine gegenüber einem gewöhnlichen Skitouristen wesentlich gesteigerte Sorgfaltspflicht. Anklage und Vorinstanz heben mit Recht die besondere Vertrauensstellung des Beschwerdeführers im allgemeinen und beim konkreten Skitourenlager hervor. Zinsli war langjähriger Chef der JO seiner SAC-Sektion. Er war die oberste Autorität für alle Fragen der Durchführung von Berg- und Skitourenlagen. Dank seiner langjährigen umfassenden Kenntnisse, dank der auch in der Armee bewährten bergsteigerischen Fähigkeiten, vertrauten ihm Eltern und Klubkameraden die minderjährigen Kinder an, die Mitglieder der JO waren. Er war auch der verantwortliche Chef der ihm unterstellten JO-Leiter, und zwar auch derjenigen, die ihm an technischem und skifahrerischem Können nicht nachstanden. Diese Umstände, unter denen er BGE 98 IV 168 S. 178 die Tour organisierte und führte, verpflichteten ihn zu allen denkbaren Vorsichtsmassnahmen. Seine Sorgfaltspflicht überstieg bei weitem das, was von einem Skifahrer gefordert werden kann, der lediglich einen Klubkameraden oder Familienangehörige führt. Er musste alles tun, um allfällige Gefahren zu erkennen oder nicht erkennbare Gefahren möglichst zu vermeiden. Da das fragliche Lager wie schon in früheren Fällen zugleich als Wahlfach des militärischen VU durchgeführt wurde, hatte Zinsli auch die folgenden, für solche Kurse geltenden Sicherheitsvorschriften (Ausführungsvorschriften des EMD über den turnerisch-sportlichen Vorunterricht vom 18.9.1959, Anhang 3) einzuhalten: "Es sind leichte Routen zu wählen, die möglichst frei von objektiven Gefahren sind...". "Jede Teilstrecke einer Tour ist vor der Begehung auf Schwierigkeit, Zeitaufwand, subjektive und objektive Gefahren zu beurteilen...". "Bei Lawinengefahr dürfen keine Touren abseits gesicherter Routen durchgeführt werden, Lawinenhänge sind wenn irgend möglich zu umgehen.". "Sämtliche Sicherheits- und Rettungsmassnahmen müssen mit dem Ausbildungskader gründlich vorbesprochen und vorbereitet werden." Schon hieraus ergibt sich zwingend, dass Zinsli individuelle Abstecher hätte untersagen müssen, auch wenn sie von gut ausgewiesenen Hilfsleitern geführt wurden, denn er war dafür verantworlich, dass sämtliche Teilstrecken einer Tour auf subjektive und objektive Gefahren beurteilt worden waren. Dazu war er naturgemäss nicht in der Lage, wenn vorher nicht besprochene Sonderfahrten unternommen wurden. b) Selbst wenn man von dieser besondern Verantwortlichkeit des Beschwerdeführers als JO-Chef und VU-Führer absieht, traf ihn jedenfalls die einem jeden Tourenführer obliegende Sorgfaltspflicht, stand doch die ganze Tour unter seiner Oberaufsicht. Rechtsprechung und Literatur betonen übereinstimmend die hohen Ansprüche, welche an die Sorgfaltspflicht von Kurs- und Tourenleitern, Ski- und Bergführern, Reitlehrern und andern Autoritätspersonen gestellt werden, denen weniger erfahrene, insbesondere jugendliche Personen anvertraut sind ( BGE 83 IV 15 , BGE 91 IV 127 , 183, auch BGE 97 IV 171 , BGE 98 IV 7 ; KLEPPE, Die Haftung bei Skiunfällen in den Alpenländern, BGE 98 IV 168 S. 179 S. 121, 129; PICHLER, Pisten, Paragraphen, Skiunfälle, S. 148, 153, 162 f.). Zinsli hat auch nicht etwa auf dem Rückweg einen Teil der Leitung und Verantwortung ausdrücklich an einen qualifizierten Hilfsleiter delegiert. Das hätte beispielsweise geschehen können, wenn er im aufziehenden Nebel eine Gefahr für die schwächeren Fahrer gesehen und deshalb mit ihnen sofort die Rückfahrt angetreten hätte, ohne eine Verzögerung bis zur Ankunft der übrigen Teilnehmer in Kauf zu nehmen. Hätte er in einer solchen Notlage gleichzeitig einem oder mehreren seiner Hilfsleiter genaue Anweisungen für die Rückführung der übrigen Teilnehmer gegeben, so wäre sein Verschulden möglicherweise anders zu beurteilen. Obwohl der Beschwerdeführer die Möglichkeit zu solchen Weisungen gehabt hätte, liess er einen Hilfsführer zurück, ohne ihn zu instruieren. Unter diesen Umständen trifft ihn die volle Verantwortung auch für die Rückfahrt derjenigen Teilnehmer, die erst nach seiner Abfahrt eintrafen und über die er daher keine persönliche Kontrolle mehr ausüben konnte. c) Der Beschwerdeführer hat nichts vorgebracht, was die Annahme entkräften könnte, es habe ihn nach seinen persönlichen Verhältnissen und den Umständen des Tourenlagers eine erhöhte Sorgfaltspflicht getroffen. Hingegen macht er geltend, er habe alles ihm Zumutbare vorgekehrt und seine Sorgfaltspflicht damit erfüllt. Richtig ist, dass Zinsli das Tourenlager organisatorisch umsichtig geplant hat. Es wird ihm denn auch nicht etwa vorgeworfen, allgemein leichtfertig gehandelt zu haben. Dass er, wie die Beschwerde betont, gut ausgewiesene Leiter als Hilfsführer beigezogen hat, dass er am 26. März das Lawinenbulletin abhörte, dass er in richtigem Entschluss auf die Besteigung der Forcellina verzichtete und die Tour auf den Piz Piot führte, ist unbestritten. Es war auch richtig, den ihm unterstellten Leitern eine gewisse eigene Initiative einzuräumen. Dagegen fragt sich, ob der Beschwerdeführer damit wirklich alle Vorsichtsmassnahmen ergriffen hat, die ihm zuzumuten waren. Insbesondere ist zu prüfen, ob die als adäquate Ursachen des Unfalls erkannten Unterlassungen (oben Ziff. 3) auf pflichtwidrige Unvorsichtigkeit des Beschwerdeführers zurückzuführen sind. d) Zinsli war verpflichtet, vor Antritt der Tour die Lawinensituation mit aller Sorgfalt zu überprüfen. Wie er selbst wiederholt BGE 98 IV 168 S. 180 geltend macht und aus vertiefter Kenntnis der Verumständungen weiss, fällt es auch dem erfahrenen Tourenleiter schwer, die Lawinengefahr an Ort und Stelle zu erkennen. Wer von einer Lawine mitgerissen wird, ist auch dann sehr stark gefährdet, wenn er gut trainiert und ausgebildet ist und rasch Hilfe von aussen erhält. Die Gefahr tödlicher Unfälle ist erheblich grösser als diejenige schwerer Folgen von Knochenbrüchen und Zerrungen, wie sie bei Skifahrten immer wieder vorkommen können. Nach dem Gutachten war die Lawinengefahr im konkreten Gebiet örtlich kaum erkennbar, jedenfalls weder für den Beschwerdeführer noch für seine Leiter. Zinsli selbst beruft sich immer wieder auf diese Schlussfolgerungen. Gerade weil aber eine sichere Beurteilung der Lawinengefahr im Gelände oft äusserst schwierig ist, kommt dem Lawinenbulletin eine entscheidende Bedeutung zu. Die Verteidigung betont in der Beschwerdeschrift selbst, dass das Eidg. Schnee- und Lawinenforschungsinstitut Weissfluhjoch-Davos zur internationalen Spitze der Fachleute auf diesem Gebiet gehört. Die vom Institut ausgehenden Lawinenbulletins geniessen den Ruf grosser Zuverlässigkeit. Dementsprechend verlangen Literatur und Praxis schon vom privaten Ski- und Tourenleiter, dass er vor Beginn einer Tour sich Kenntnis vom neuesten Lawinenbulletin verschaffe ( BGE 91 IV 123 ; PICHLER, Pisten, Paragraphen, Skiunfälle, S. 149; WASTL MARINER, Schach dem Lawinentod, in "Sicherung vor Berggefahren", S. 136; KLEPPE, Die Rechtspflicht der Skilehrer, der Skiführer und der Skischulen, SJZ 1968 S. 329 ff.; MEN ZINSLER, Die polizeilichen Erhebungen bei alpinen Unfällen, Kriminalistik 1970 S. 99). Zinsli hat die Tour angetreten, ohne das für den Tag geltende Bulletin abzuhören und mit seinen Leitern zu besprechen. Diese Unterlassung ist um so unverständlicher, als das von ihm beigezogene Bulletin des Vortages bereits Schneebrettgefahr für Ost- und Nordhänge gemeldet und sich die Lage seither durch neue Schneefälle und starken Wind jedenfalls nicht gebessert hatte. Zinsli hätte also allen Anlass gehabt, das neue Bulletin abzuhören, was ihm ohne jeden Aufwand telefonisch möglich gewesen wäre. Die Unterlassung war sogar unter dem Gesichtspunkt der von Zinsli selbst mit seinen Unterführern und den Jugendlichen unternommenen Tour ein schwerer Fehler, der sich dann aber insbesondere im Zusammenwirken BGE 98 IV 168 S. 181 mit den weiteren Unterlassungen des Beschwerdeführers verhängnisvoll ausgewirkt hat. e) Den Beschwerdeführer trifft der Vorwurf, bei der Vorbereitung des Tourenlagers und insbesondere der Tour vom 28. März ungenügend auf mögliche Lawinengefahren Rücksicht genommen zu haben. Ob schon die Vorbereitung des Lagers ungenügend war wie die Staatsanwaltschaft in der Beschwerdeantwort geltend macht, kann dahingestellt bleiben. Man kann sich auf den Standpunkt stellen, eine zuverlässige Abklärung der allgemeinen Lawinenlage für das fragliche Gebiet sei ohnehin erst im Ausgangslager möglich, so dass vorher keine besonderen Anstrengungen in dieser Richtung unternommen werden müssten. Spätestens nach der Ankunft in Juf, und zwar vor Antritt der "Aufwärmtour" zum Stallenberg, wohin Zinsli die Kursteilnehmer nicht begleitete, hätte er aber die Lage sorgfältig überprüfen müssen. Dazu genügte es nicht, sich auf die offensichtlich ganz summarischen Angaben im Skitourenführer und die beschränkten persönlichen Erfahrungen des JO-Leiters Welter zu verlassen. Auch ein allgemeines Gespräch mit dem Gastwirt Luzzi über Lawinenniedergänge der letzten Jahre konnte keine einwandfreie Information bringen. Am 28. März hat Zinsli nicht nur auf das Abhören des Lawinenbulletins verzichtet, sondern auch sonst keine weiteren Abklärungen über die Lawinengefahr herbeigeführt. Auf die Besteigung der Forcellina verzichtete er vor allem wegen des strengen Aufstiegs. Dass sein Unterführer Welter zufälligerweise den Forcellinahang als schneebrettgefährlich kannte und darauf aufmerksam machte, ist nicht auf die Erfüllung einer Sorgfaltspflicht durch Zinsli zurückzuführen. Diese Mitteilung musste Zinsli immerhin klar machen, dass gewisse Hänge in der betreffenden Gegend lawinengefährlich waren, selbst dort, wo normalerweise Skitouren unternommen wurden. Das hätte ihn veranlassen müssen, alles vorzukehren, damit keine Abstecher abseits der als sicher erachteten Piot-Tour unternommen würden. In dieser Hinsicht hat er seine Vorsichtspflicht offensichtlich verletzt. In erster Linie ist zu beanstanden, dass Zinsli seinen Leitern und den übrigen Teilnehmern keine Anweisungen über die einzuschlagende Route und die Gruppenbildung erteilte. Gewiss war es richtig, den Unterführern die Möglichkeit zu eigenen BGE 98 IV 168 S. 182 Entschlüssen und zur Bewährung ihrer Führungsqualitäten zu geben. Der Beschwerdeführer durfte sich auch auf die ihm bekannten guten Kenntnisse seines Kaders verlassen. Beides fand aber seine Grenzen dort, wo Unfallgefahren auftauchen konnten, und wo Zinsli selbst die Oberaufsicht nicht mehr auszuüben vermochte. Da er nicht genau über die konkrete Lawinengefahr Bescheid wusste, aber schon aufgrund der Angaben Welters mit solchen Gefahren abseits der Hauptroute rechnete, musste er verhindern, dass diese Route verlassen würde. Er konnte dies wie beim Aufstieg in der Weise tun, dass er in Ruf- und Sichtweite der verschiedenen Gruppen blieb, um sofort einzugreifen, wenn jemand von der Route abwich. Wollte er den einzelnen Gruppen eine grössere Bewegungsfreiheit und örtliche Selbständigkeit einräumen, so musste er darüber hinaus die Teilnehmer, besonders aber sein Kader, genau instruieren. Schlechterdings unverständlich ist, dass Zinsli mit der schwächsten Gruppe bei Wetterverschlechterung vorzeitig zu Tal fuhr, ohne den übrigen Teilnehmern und Leitern Weisungen für die Rückfahrt zu hinterlassen oder sich auch nur über ihre Absichten zu unterrichten. Damit gab er die Führung und Kontrolle völlig aus der Hand, und zwar unter Verhältnissen, die ihm einerseits selbst nicht als harmlos erschienen (Änderung der ursprünglich vorgesehenen Tour, vorzeitige Talfahrt wegen Nebels) und über die anderseits weder er selbst noch seine Unterführer sich genügend Klarheit verschafft hatten. In dieser Lage wäre er ohne jeden Zweifel verpflichtet gewesen, darüber zu wachen, dass alle Teilnehmer und Unterführer innert nützlicher Frist auf der als ungefährlich erkundeten Route zurückfahren würden. Nachdem er schon beim Aufstieg hatte beobachten können, dass seine Unterführer mit einzelnen Gruppen nach Gutdünken auf verschiedenen Routen teils zu Fuss, teils zu Ski verschieden weit zum Gipfel aufstiegen, hätte er erst recht mit der Möglichkeit rechnen müssen, dass sich auch auf der Abfahrt Sonderzüglein bilden würden. Er hatte keine Möglichkeit mehr, diese Abstecher zu überwachen. Es bestand durchaus die Möglichkeit, dass sich nicht nur eine, sondern wie beim Aufstieg mehrere Gruppen von der Hauptroute entfernten, wobei aber nur ein Mann mit Lawinenrettungsmaterial ausgerüstet war und keine Gewähr bestand, dass die Gruppen unter sich in Sichtverbindung blieben. BGE 98 IV 168 S. 183 f) Die Beschwerde vermag diese Vorwürfe nicht zu entkräften. Der Einwand, die allgemeine Situation sei genügend abgeklärt worden bzw. die Gefahr habe ohnehin nicht erkannt werden können, wurde bereits widerlegt. Aber auch die Behauptung, Zinsli habe sich auf seine Unterführer verlassen dürfen und keinen Anlass zu weitergehenden Anordnungen gehabt, hält nicht stand. Gewiss verfügten die JO-Leiter über erhebliches bergsteigerisches und skifahrerisches Können und hatten sich auch bei früheren Touren bewährt. Trotz der zwischen Zinsli und seinem Kader bestehenden Kameradschaft konnte ihm nicht entgehen, dass er selber älter, reifer und bedächtiger war als sie und dass sie sich auf seine Führung verliessen, was sich zwangsläufig auch dort auswirken musste, wo er selbst ein schlechtes Beispiel gab ( BGE 91 IV 185 ). Indem er den Leitern beim Aufstieg weitgehende Freiheit liess und sich auf der Rückfahrt mit seiner Gruppe vorweg von den übrigen Teilnehmern entfernte, musste er bei den Unterführern den Eindruck erwecken, er sehe die Situation als so ungefährlich an, dass er ihnen freie Hand bei der Wahl der Abfahrtsroute lasse. Die Beschwerde beanstandet, dass die Vorinstanz die individuelle Ausgestaltung des Aufstiegs als zulässig erklärt, den Leitern für die Rückfahrt aber nicht dieselbe Entscheidungsbefugnis zubilligen will, obwohl der Mugmol und der Piot gleiche Verhältnisse aufgewiesen hätten. Wie bereits dargetan, bestand der entscheidende Unterschied darin, dass Zinsli beim Aufstieg die Gruppe stets vor Augen hatte und jederzeit eingreifen konnte, während er bei der Rückfahrt Führung und Kontrolle gänzlich aus der Hand gab, obwohl sich die Sichtverhältnisse verschlechterten. Er hat übrigens bei der Einvernahme durch den ortskundigen Untersuchungsrichter zugeben müssen, dass die Abrutschgefahr auf dem glatten Hang des Mugmol grösser war als beim Piot, wo zerklüfteter Fels die Schneedecke festhielt. Im übrigen kannte der Beschwerdeführer weder den einen noch den andern Hang. Selbst wenn er gewusst hätte, dass die Unterführer einen Abstecher zum Mugmol unternehmen würden, hätte er also nicht damit rechnen dürfen, dass dieser gefahrlos verlaufen werde. Schliesslich hilft es Zinsli auch nicht, dass in seinem Fall gewisse gravierende Umstände fehlen, die zur Verurteilung im BGE 98 IV 168 S. 184 Falle Bogner ( BGE 91 IV 118 ) geführt haben. Gewiss erscheint das Verschulden des Beschwerdeführers an sich geringer als dasjenige von Bogner, der drei eindeutige Warnungen missachtet hat. Anderseits führte Bogner eine aus erwachsenen Skifahrern der Weltklasse zusammengesetzte Gruppe, während Zinsli die Verantwortung für zehn minderjährige Burschen und fünf Mädchen zu tragen hatte, die ihm von Eltern und Behörden im Rahmen eines JO- und VU-Lagers anvertraut waren. Auch für die Unterführer trug er als Chef und Klubkamerad eine besondere Verantwortung. Seiner daraus erwachsenen besondern Sorgfaltspflicht hat der Beschwerdeführer nicht genügt. Dispositiv Demnach erkennt der Kassationshof: Die Nichtigkeitsbeschwerde wird abgewiesen.
null
nan
de
1,972
CH_BGE
CH_BGE_006
CH
Federation
20ee7ff7-3fb3-48aa-b153-f78688372128
Urteilskopf 113 Ib 123 21. Auszug aus dem Urteil der II. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 10. April 1987 i.S. Kantonales Steueramt Zürich gegen Baugenossenschaft X. (Verwaltungsgerichtsbeschwerde)
Regeste Reinertrag von Wohnbaugenossenschaften; freiwillige Zuwendungen an Dritte (Art. 49 Abs. 1 lit. b in Verbindung mit Art. 50 WStB). 1. Zuwendungen an Dritte erbringt eine Baugenossenschaft auch dann, wenn sie ihren Genossenschaftern freiwillig Liegenschaften unter dem Marktpreis verkauft (E. 2). 2. Die Zuwendungen einer Baugenossenschaft an ihre Genossenschafter in Form verbilligter Liegenschaften stellen nur dann keinen steuerbaren Reinertrag dar, wenn die Genossenschaft nicht durch ihre Statuten, sondern durch Subventionsbestimmungen verpflichtet war, die Liegenschaften unter dem Verkehrswert (Marktwert) zu veräussern (E. 3).
Sachverhalt ab Seite 124 BGE 113 Ib 123 S. 124 Unter dem Namen Baugenossenschaft X. besteht mit Sitz in R. im Sinne von Art. 828 ff. OR eine auf unbeschränkte Dauer im Handelsregister eingetragene Genossenschaft. Sie bezweckt nach den Statuten, "ihren Mitgliedern gesunde und preiswerte Wohnungen zu verschaffen durch Ankauf von Land, Erstellung oder Kauf von Einfamilien- und Mehrfamilienhäusern und Vermietung oder Verkauf an die Genossenschafter". In den Jahren 1948 und 1953 erstellte die Genossenschaft unter Inanspruchnahme von Beiträgen des Bundes, des Kantons und der Gemeinde eine grössere Anzahl von Einfamilienhäusern sowie zwei Mehrfamilienhäuser, die anfänglich an die Genossenschafter vermietet wurden. Am 8. Juli 1980 verkaufte sie 17 Einfamilienhäuser an Genossenschafter; bereits in den sechziger Jahren waren acht solcher Liegenschaften veräussert worden. Die öffentlich beurkundeten Kaufverträge sehen in Ziff. 7 eine im Grundbuch vorzumerkende Mitgliedschaft der erwerbenden Genossenschafter und ihrer Rechtsnachfolger in der Genossenschaft vor und legen in Ziff. 6 ein Vorkaufsrecht zum aktuellen Kaufpreis zugunsten derselben fest, das durch Nichtausübung im ersten und weiteren Vorkaufsfällen nicht untergeht, übertragbar ist, nach Ablauf von zehn Jahren erlischt und für diese Dauer im Grundbuch vorzumerken ist. Der Gesamtkaufspreis der 17 Liegenschaften setzt sich aus den Nettoanlagekosten zuzüglich der von Bund, Kanton und Gemeinde ausgerichteten Barbeiträge zusammen. Da 14 der 17 Käufer die Subventionsbedingungen nicht erfüllten und zwei weitere Käufer freiwillig auf eine Subventionierung verzichteten, löste der Verkauf mit einer einzigen Ausnahme (Liegenschaft Y.) die Rückzahlung der Barbeiträge von Bund, Kanton und Gemeinde aus. Mit der Rückzahlungen der Barbeiträge durch die Genossenschaft wurden die im Grundbuch angemerkten öffentlichrechtlichen Eigentumsbeschränkungen gelöscht. Bei der Veranlagung für die Wehrsteuer der 21. Periode (1981/82) rechnete die Veranlagungsbehörde gegenüber dem ausgewiesenen durchschnittlichen Reingewinn gemäss Selbstdeklaration die Differenz zwischen dem Gesamtkaufspreis der Liegenschaften und dem höheren Verkehrswert als geldwerte Leistung im Sinne von Art. 49 Abs. 1 BGE 113 Ib 123 S. 125 lit. b (i.V.m. Art. 50 Abs. 2) WStB auf. Dabei wurde der für die unbelasteten Liegenschaften geschätzte Verkehrswert mit Rücksicht auf das befristete, limitierte Vorkaufsrecht der Genossenschaft um 20% reduziert. Die von der Steuerpflichtigen gegen diese Veranlagung erhobene Beschwerde hiess die Bundessteuer-Rekurskommission des Kantons Zürich am 29. Januar 1986 gut und setzte den steuerbaren Reinertrag gemäss der Selbstdeklaration der Steuerpflichtigen fest. Das Kantonale Steueramt Zürich erhebt Verwaltungsgerichtsbeschwerde, die das Bundesgericht in dem Sinne teilweise gutheisst, dass bei 16 der 17 veräusserten Liegenschaften eine geldwerte Leistung aufgerechnet wird. Erwägungen Erwägungen: 2. Unter die Aufwendungen, die "nicht zur Deckung geschäftsmässig begründeter Unkosten" dienen und daher nach Art. 49 Abs. 1 lit. b (i.V.m. Art. 50 Abs. 2) WStB zum steuerbaren Reinertrag der Genossenschaft hinzuzurechnen sind, fallen nach dieser Bestimmung namentlich "freiwillige Zuwendungen an Dritte". Als "Dritte" behandeln Lehre und Rechtsprechung nicht nur genossenschaftsfremde Personen, sondern auch Inhaber genossenschaftlicher Beteiligungsrechte. Zwar ist die Genossenschaft frei, irgendwelche zivil- oder handelsrechtliche Verträge mit ihren Mitgliedern zu schliessen; Leistungen, die die Genossenschaft aufgrund solcher Verträge erbringt, sind nicht bereits deshalb zum steuerbaren Reinertrag hinzuzurechnen, weil am Markt für dieselbe Leistung gewöhnlich ein höherer Gegenwert erbracht wird. Keine geschäftsmässig begründeten Unkosten und daher zum steuerbaren Reinertrag hinzuzurechnen sind indessen Leistungen der Genossenschaft an ihre Genossenschafter oder diesen nahestehende Personen, die einem aussenstehenden Dritten unter im übrigen gleichen Umständen nicht erbracht worden wären und deren Grund ausschliesslich in den engen Beziehungen zwischen Genossenschaft und Leistungsempfänger erblickt werden muss ( BGE 107 Ib 329 /30 E. 3a, betreffend die Verrechnungssteuer; für die Wehrsteuer, vgl. ASA 53, 57/8 E. 2). Nach der Rechtsprechung erbringt eine Wohnbaugenossenschaft geldwerte Leistungen namentlich dann, wenn sie ihren Mitgliedern Mietwohnungen unter den marktüblichen Preisen anbietet. Die Differenz zwischen den kostendeckenden verbilligten und den marktüblichen höheren BGE 113 Ib 123 S. 126 Mietzinsen kann zwar nicht schon deshalb als freiwillige Zuwendung betrachtet werden, weil auf dem Wohnungsmarkt für gleichwertige Objekte im allgemeinen höhere Preise bezahlt werden. Von einer geldwerten Leistung ist jedoch dann zu sprechen, wenn nur die Genossenschaftsmitglieder und nicht beliebige Dritte in den Genuss der günstigen Mietzinse gelangen. In dieser Lage befinden sich die meisten Wohnbaugenossenschaften, weil sie aufgrund des beschränkten Wohnungsangebotes und der grossen Nachfrage nach günstigen Wohnungen ihren Wohnungsbestand nicht irgendwelchen Dritten anbieten können. Wie das Bundesgericht daher wiederholt erkannt hat, stellt die Differenz zwischen dem kostendeckenden verbilligten und dem marktüblichen höheren Mietzins eine geldwerte Leistung dar; wird sie freiwillig erbracht, so ist sie gemäss Art. 49 Abs. 1 lit. b in Verbindung mit Art. 50 Abs. 2 WStB aufzurechnen (Urteile vom 16. Januar 1986, in StR 41/1986, 339 ff. = NStP 40/1986, 65 ff., und vom 26. November 1981, in ASA 51, 540 ff.). Die gleichen Erwägungen müssen grundsätzlich auch dann gelten, wenn eine Genossenschaft ihren Mitgliedern Genossenschaftswohnungen oder -liegenschaften unter dem Verkehrswert verkauft. Es besteht kein Anlass, eine Wohnbaugenossenschaft, die ihren Mitgliedern Zuwendungen durch den Verkauf von Liegenschaften unter dem Verkehrswert macht, steuerlich anders zu behandeln, als eine solche, die ihren Genossenschaftern billige Mietwohnungen zur Verfügung stellt. Auch solche Zuwendungen stellen daher geldwerte Leistungen dar. Sie haben diesen Charakter in dem gleichen Mass wie etwa Zuwendungen, die eine Aktiengesellschaft ihrem Aktionär durch den Verkauf von Grundstücken unter dem Verkehrswert macht. Für diese ist nach der Rechtsprechung anerkannt, dass sie als Teil des steuerbaren Reinertrages aufzurechnen sind, sofern sie freiwillig erfolgen ( BGE 105 Ib 86 ). 3. Die Rekurskommission hat die Differenz zwischen dem Verkaufspreis und dem effektiven Verkehrswert der Liegenschaften nicht als geldwerte Leistung im Sinne von Art. 49 Abs. 1 lit. b WStB aufgerechnet; sie erwog, dass die Subventionsbedingungen im Zeitpunkt der Veräusserung (8. Juli 1980) noch in Kraft gestanden hätten und damit die Genossenschaft bei der Festsetzung der Preise nicht frei gewesen sei. Die Rekurskommission stellt somit für die Freiwilligkeit der Leistung auf das rein formelle Kriterium ab, dass die verkauften Liegenschaften bei ihrer Veräusserung den subventionsrechtlichen Bindungen noch unterlagen. Allein des BGE 113 Ib 123 S. 127 halb kann jedoch die Zuwendung der Genossenschaft an ihre Mitglieder nicht als unfreiwillige betrachtet werden. Voraussetzung für eine solche Annahme wäre vielmehr, dass die Veräusserung zu den Bruttoanlagekosten gerade eine Folge der Subventionierung war (vgl. auch ASA 51, 545). Von einer Preisbindung in diesem Sinne kann nicht gesprochen werden. Der Verkauf der 17 Häuser wurde an der Generalversammlung vom 23. Juni 1979 durch einen Freigabebeschluss ermöglicht. Die öffentliche Beurkundung der Kaufverträge und der Grundbucheintrag erfolgten am 8. Juli 1980. Bereits am 30. April 1980 teilte das für die Einhaltung der Subventionsvorschriften zuständige Amt für Wohnbauförderung des Kantons Zürich der Genossenschaft mit, dass für 16 der 17 zu verkaufenden Objekte sämtliche Barbeiträge von Bund, Kanton und Gemeinde zurückzuzahlen seien; damit könnten die öffentlichrechtlichen Eigentumsbeschränkungen im Grundbuch gelöscht werden. Mit der Rückzahlung der Subventionsbeiträge durch die Genossenschaft wurden die im Grundbuch angemerkten öffentlichrechtlichen Eigentumsbeschränkungen denn auch gelöscht. Damit steht fest, dass die Ablösung der Subventionsauflagen durch die Genossenschaft schon vor dem Verkauf in die Wege geleitet wurde. Wenn die Genossenschaft in der Folge die Liegenschaften an ihre Mitglieder zu den Bruttoanlagekosten veräusserte, so geschah dies nicht deshalb, weil die Liegenschaften ihrem ursprünglichen Zweck - dem sozialen (subventionierten) Wohnungsbau - erhalten bleiben sollten, sondern weil die Genossenschaft die erwerbenden Genossenschafter begünstigen wollte. Von Unfreiwilligkeit der Leistung kann somit hinsichtlich der aus der Subventionskontrolle entlassenen 16 Liegenschaften nicht die Rede sein. Den strittigen Aufrechnungen kann der Charakter freiwilliger Zuwendungen auch nicht deswegen abgesprochen werden, weil die erwerbenden Genossenschafter und ihre Rechtsnachfolger Mitglieder der Genossenschaft sein müssen und zugunsten der Genossenschaft ein auf zehn Jahre befristetes Vorkaufsrecht an den Liegenschaften vereinbart wurde. Es handelt sich um vertraglich vereinbarte Eigentumsbeschränkungen, die jedoch statutarisch vorgesehen sind, der Genossenschaft also nicht von dritter Seite vorgeschrieben wurden, und die daher die Preisgestaltung nicht als unfreiwillige erscheinen lassen. Dem Begehren des Kantonalen Steueramtes Zürich, die Aufrechnung sei gutzuheissen, ist daher hinsichtlich der 16 aus der Subventionskontrolle entlassenen BGE 113 Ib 123 S. 128 Liegenschaften stattzugeben. Lediglich bei der Liegenschaft des Y., der die Subventionsbedingungen grundsätzlich erfüllte und auch Anspruch auf Subventionsbeiträge erhob, war die Genossenschaft nicht frei, den Preis beliebig festzusetzen; die Veräusserung zu den Anlagekosten war vielmehr Bedingung dafür, dass diese Liegenschaft weiterhin subventioniert wurde.
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20f23147-96a1-4421-b42c-c3f7fd61b992
Urteilskopf 99 III 89 17. Auszug aus dem Urteil der II. Zivilabteilung vom 20. Dezember 1973 i.S. Wirtschaftsbank Zürich AG gegen Bank AG Bank-Aktiengesellschaft für Vermögensverwaltung und Wertschriftenverkehr
Regeste Anfechtungsklage nach Art. 288 SchKG . Erkennbarkeit der Begünstigungsabsicht bei der Aushändigung eines Pfandes, wenn der Schuldner von Anfang an zur Pfandbestellung verpflichtet war.
Sachverhalt ab Seite 89 BGE 99 III 89 S. 89 Aus dem Tatbestand: A.- Anfangs April 1965 gewährte die BANK AG Bank-Aktiengesellschaft für Vermögensverwaltung und Wertschriftenverkehr (im folgenden BANK AG genannt) der IBZ Finanz AG (im folgenden als IBZ bezeichnet) ein Darlehen von Fr. 100 000.--. Als Sicherheit wurden ihr von der IBZ Inhaberzertifikate des B+Z Miteigentumsfonds im Nominalbetrag von Fr. 150 000.-- übergeben. Als weitere Sicherheiten erhielt sie anfangs Mai 1965 gleiche Zertifikate im Nominalbetrag von Fr. 50 000.-- und am 23. Juni 1965 einen Inhaberschuldbrief im BGE 99 III 89 S. 90 Betrage von Fr. 25 000.--, lastend im vierten Rang auf einer Liegenschaft in Birmensdorf. Am 25. Oktober 1965 wurde über die IBZ der Konkurs eröffnet. Die BANK AG machte in diesem Konkurs eine pfandgesicherte Forderung von Fr. 94 693.60 geltend und wurde hiefür mit einem Pfandrecht an den ihr übergebenen Inhaberzertifikaten des B+Z Miteigentumsfonds im Nominalbetrag von Fr. 200 000.-- sowie am Schuldbrief über Fr. 25 000.-- kolloziert. B.- Die Wirtschaftsbank Zürich AG, eine andere Konkursgläubigerin der IBZ, reichte beim Einzelrichter im beschleunigten Verfahren des Bezirksgerichtes Zürich Klage gegen die BANK AG ein, mit dem Antrag, es sei das dieser zuerkannte Pfandrecht an den Inhaberzertifikaten des B+Z Miteigentumsfonds, soweit es für mehr als nominell Fr. 150 000.-- solcher Zertifikate beansprucht werde, sowie das Pfandrecht am Schuldbrief über Fr. 25 000.-- im Kollokationsplan zu streichen. Zur Begründung wurde geltend gemacht, die erst nach der Kreditgewährung erfolgte Übergabe weiterer Sicherheiten an die BANK AG (Inhaberzertifikate des B+Z Miteigentumsfonds von nominell Fr. 50 000.-- und Inhaberschuldbrief über Fr. 25 000.--) sei auf Grund von Art. 287 Abs. 1 Ziff. 1 und 288 SchKG anfechtbar. Der Einzelrichter wies die Klage ab. Er nahm auf Grund eines von ihm durchgeführten Beweisverfahrens an, die erst nachträglich übergebenen Sicherheiten seien von Anfang an vereinbart gewesen, hätten jedoch von der IBZ erst später geliefert werden können. Auf Berufung der Klägerin hin wies das Obergericht des Kantons Zürich die Sache zur Abklärung der Frage, ob die Beklagte hätte erkennen können, dass sie durch die Entgegennahme der zusätzlichen Pfänder gegenüber den andern Gläubigern im Sinne von Art. 288 SchKG begünstigt werde, an die erste Instanz zurück. Der Einzelrichter wies jedoch die Klage wiederum ab, und das Obergericht bestätigte diesen Entscheid mit Urteil vom 5. Juni 1973. Gegenstand dieses zweiten Berufungsverfahrens bildete nur noch die Anfechtbarkeit der Hingabe des Schuldbriefes als Pfand an die Beklagte. C.- Gegen dieses Urteil erhob die Klägerin Berufung mit dem Antrag, es sei das von der Beklagten im Konkurs der IBZ BGE 99 III 89 S. 91 beanspruchte Pfandrecht am Schuldbrief als unbegründet festzustellen und im Kollokationsplan zu streichen. Das Bundesgericht weist die Berufung ab. Erwägungen Aus den Erwägungen: 4. Zu prüfen bleibt die Frage der Anfechtbarkeit der Schuldbriefübergabe gestützt auf Art. 288 SchKG . Nach feststehender Rechtsprechung ist eine nachträgliche Pfandbestellung, falls die Voraussetzungen dieser Bestimmung zutreffen, ungeachtet des Umstandes anfechtbar, dass der Schuldner schon früher zur Sicherheitsleistung verpflichtet war ( BGE 38 II 354 Erw. 3; BGE 40 III 208 ; BGE 43 III 346 ; BGE 62 III 65 ). Die Rechtsprechung geht davon aus, dass sich die Anfechtungsklage gemäss Art. 288 SchKG ganz allgemein auch gegen Rechtshandlungen richten kann, die sich als Erfüllung obligatorischer Verpflichtungen des Schuldners erweisen. Der dem finanziellen Zusammenbruch nahe Schuldner soll nicht einzelne Gläubiger in einer für diese erkennbaren Weise auf Kosten anderer besser stellen können. Dieser Grundgedanke des Anfechtungsrechtes gilt richtigerweise auch für Pfandbestellungen, zu denen sich der Schuldner schon früher verpflichtet hatte. a) Voraussetzung der Anfechtungsklage des Art. 288 SchKG ist vorab die Absicht des Schuldners, seine Gläubiger zu benachteiligen oder einzelne Gläubiger zum Nachteil anderer zu begünstigen. Die Vorinstanz nahm die Absicht der IBZ, die Beklagte mit der Verpfändung des Schuldbriefes zu begünstigen, mit Recht als gegeben an. Das Bundesgericht hatte in einem andern Fall Gelegenheit zu prüfen, ob die IBZ anfangs des Jahres 1965 Anlass gehabt habe, mit ihrem finanziellen Zusammenbruch zu rechnen (Urteil vom 25. Januar 1973 in Sachen Zürcher Kantonalbank gegen Konkursmasse der B+Z Miteigentums-AG und Mitbeteiligte, S. 11/12). Es gelangte zur Bejahung dieser Frage. Ebenso wie in jenem Fall ist auch hier davon auszugehen, dass der IBZ bewusst sein musste, mit der am 23. Juni 1965 erfolgten Übergabe des streitigen Schuldbriefes als zusätzliches Pfand die Beklagte gegenüber den andern Gläubigern zu begünstigen. b) Umstritten ist im vorliegenden Fall die weitere Voraussetzung des Art. 288 SchKG , nämlich das Erfordernis, dass die Begünstigungsabsicht für die Beklagte erkennbar sein musste. Erkennbarkeit ist nach der Rechtsprechung dann anzunehmen, BGE 99 III 89 S. 92 wenn der Begünstigte bei Anwendung der ihm nach den Umständen zumutbaren Aufmerksamkeit die Benachteiligung der übrigen Gläubiger als natürliche Folge der betreffenden Rechtshandlung hätte voraussehen können ( BGE 89 III 50 ff., BGE 83 III 86 Erw. 3b mit Hinweisen; JAEGER, N. 5 und 6 zu Art. 288 Sch.KG) Liegen Anzeichen für eine Benachteiligung vor, so hat der Begünstigte den Schuldner zu befragen und die notwendigen Erkundigungen einzuziehen (bereits erwähntes Urteil des Bundesgerichts vom 25. Januar 1973, Erw. 5; JAEGER, N. 5 zu Art. 288 SchKG ; FRITZSCHE, Schuldbetreibung und Konkurs, 2. Aufl., II, S. 285/286). Besteht jedoch die angefochtene Rechtshandlung in einer Pfandbestellung, die von Anfang an verabredet war, so ist die erforderliche Aufmerksamkeit nach einem milderen Massstab zu beurteilen als gewöhnlich ( BGE 62 III 65 am Ende). In einem solchen Fall hat ein Gläubiger in der Regel weniger Anlass, sich zu fragen, ob sich die Rechtshandlung zum Nachteil der übrigen Gläubiger auswirken könnte; er darf sich vielmehr zunächst an das ihm vom Schuldner bei Vertragsschluss gegebene Sicherstellungsversprechen halten und braucht sich nur dann Gedanken über eine allfällige Schädigung der andern Gläubiger zu machen, wenn die schlechte finanzielle Lage des Schuldners offensichtlich ist. Den Gläubiger trifft in solchen Fällen eine weniger weitgehende Pflicht, Erkundigungen über den Schuldner einzuholen, bevor er die Aushändigung des versprochenen Pfandes verlangen darf. aa) Die Klägerin leitet die Erkennbarkeit der schlechten Lage der IBZ für die Beklagte in erster Linie aus dem Umstand ab, dass der Kurs der Zertifikate des B+Z Miteigentumsfonds innert ungefähr zwei Monaten von Fr. 1100.-- auf Fr. 800.-- gesunken sei. Sie macht geltend, die Beklagte hätte als Bank aus diesem ungewöhnlichen Kursrückgang auf die Möglichkeit des Zusammenbruches der IBZ, die als Treuhänderin des betreffenden Fonds wirkte, schliessen und allermindestens nähere Erkundigungen über deren finanzielle Lage einziehen müssen. Im angefochtenen Urteil wird verneint, dass der Rückgang des Kurses der betreffenden Zertifikate einem Kursverfall gleichkomme, der den Schluss auf einen baldigen Zusammenbruch der IBZ nahegelegt habe; das Sinken des Kurses habe für die Beklagte wohl einen Grund für die Erhöhung ihrer Pfandsicherung, nicht aber ein eigentliches Alarmzeichen gebildet. Welche Rückschlüsse aus der in Frage stehenden Kursentwicklung BGE 99 III 89 S. 93 hätten gezogen werden können und müssen, lässt sich ohne entsprechende Fachkenntnisse kaum beurteilen. Man mag es deshalb bedauern, dass die Vorinstanz dem von ihr als Experten beigezogenen Bankfachmann diese Frage nicht zur Begutachtung vorlegte. Die Klägerin macht jedoch nicht geltend, dass die Vorinstanz Art. 8 ZGB verletzt habe, indem sie angebotene Beweise nicht abgenommen habe. Allein auf Grund der allgemeinen Lebenserfahrung lässt sich die Auffassung, der Klägerin sei der Nachweis eines auf einen Zusammenbruch der IBZ hindeutenden Kurszerfalls misslungen, nicht widerlegen. Die Beklagte weist in der Berufungsantwort wohl mit Recht darauf hin, dass der Kurs solcher Zertifikate durch viele Faktoren beeinflusst wird und nicht einfach vom Wert der zum Fonds gehörenden Liegenschaften abhängt. Mangels Beweises des Gegenteils konnte die Vorinstanz daher ohne Verletzung von Bundesrecht davon ausgehen, die Beklagte habe in dem von ihr beobachteten Absinken des Kurses der Zertifikate kein Zeichen für einen bevorstehenden Zusammenbruch der IBZ erblicken müssen, und sie habe auch keinen Anlass gehabt, Erkundigungen über die finanzielle Lage dieser Firma einzuholen. bb) Die Klägerin macht weiter geltend, die Beklagte hätte die finanziellen Schwierigkeiten der IBZ aus der Tatsache ersehen können und müssen, dass der ursprünglich für zwei Monate gewährte Kredit nicht rechtzeitig zurückbezahlt worden sei und deshalb habe verlängert werden müssen. Auf Grund der Feststellungen der Vorinstanz ist in der Tat davon auszugehen, dass die Beklagte den Kredit für zwei Monate gewährt hatte und ihn am 8. Juni 1965 verlängern musste, weil bis dahin keine Rückzahlung durch die IBZ erfolgt war. Die nicht termingerechte Rückzahlung eines kurzfristigen Kredites kann verschiedene Ursachen haben. Sie kann auf bloss vorübergehende Liquiditätsschwierigkeiten zurückzuführen sein oder allenfalls auch ein Zeichen für die Insolvenz des Darlehensschuldners bilden. Die Klägerin macht geltend, die Nichteinhaltung des Rückzahlungstermins durch die IBZ hätte für die Beklagte vor allem deshalb ein Alarmzeichen darstellen müssen, weil die Höhe des betreffenden Kredits für die Verhältnisse der IBZ relativ gering gewesen sei und dessen rechtzeitige Rückzahlung daher umso eher hätte möglich sein sollen. Diese Argumentation vermag nicht zu überzeugen. Wäre der Kredit höher gewesen, hätte sich die Frage nach der Ursache der Überschreitung BGE 99 III 89 S. 94 des Rückzahlungstermins für die Beklagte doch wohl viel ernsthafter stellen müssen. Die Klägerin geht zu weit, wenn sie annimmt, die Beklagte hätte den bevorstehenden Zusammenbruch der IBZ aus der Tatsache ableiten können, dass der Kredit verlängert werden musste. Fragen kann man sich indessen, ob dieser Umstand der Beklagten nicht hätte Anlass geben sollen, eingehendere Erkundigungen über die Finanzlage ihrer Schuldnerin einzuholen. Diese Frage wäre wohl zu bejahen, wenn sich die Beklagte in jenem Zeitpunkt eine zusätzliche Pfandsicherheit neu hätte versprechen lassen. Das war hier jedoch nicht der Fall, da von allem Anfang an ein Anspruch auf Übergabe des streitigen Schuldbriefs als Pfand bestand. Es lag somit nahe, dass sich die Beklagte in der damaligen Situation nicht allzu viele Gedanken über die Gründe der Kreditverlängerung machte, sondern ihre Aufmerksamkeit vielmehr der Aushändigung dieses Schuldbriefes zuwandte, mit welchem sie trotz des Kursrückgangs der Zertifikate eine genügende Sicherheit zu besitzen glaubte. Ein höheres Mass an Sorgfalt kann von ihr nicht verlangt werden. ..... Zusammenfassend ist festzuhalten, dass nach dem für das Bundesgericht massgeblichen Sachverhalt der bevorstehende finanzielle Zusammenbruch der IBZ für die Beklagte nicht erkennbar war und dass diese daher auch die Begünstigungsabsicht der IBZ nicht erkennen konnte. Dass es sich bei der Beklagten um eine Bank handelt, der besondere Erkundigungsmöglichkeiten zur Verfügung stehen, hätte sich nur dann auswirken können, wenn auf Grund der gegebenen Umstände eine Erkundigungspflicht bejaht werden müsste. Dies ist jedoch nicht der Fall. Da der streitige Schuldbriefvon Anfang an als Pfandsicherheit verabredet war, durfte sich die Beklagte mit einem geringeren Mass an Aufmerksamkeit begnügen. Die Pfandbestellung ist daher auch unter dem Gesichtspunkt von Art. 288 SchKG nicht anfechtbar.
null
nan
de
1,973
CH_BGE
CH_BGE_005
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20f30bd7-161e-4908-9c23-8f72c33df2a6
Urteilskopf 90 III 33 8. Auszug aus dem Entscheid vom 8. Juni 1964 i.S. Schumacher
Regeste Lohnpfändung. Berechnung der pfändbaren Quote. Art. 93 SchKG . Bei der Feststellung des pfändbaren Lohnbetrages ist auf den Lohn abzustellen, den der Schuldner wirklich ausbezahlt erhält. Von der Arbeitgeberin ohne Zutun des Schuldners abgezogene pauschale Einkommenssteuern sind nicht als Teil des für die Pfändung massgebenden Nettolohnes zu betrachten.
Sachverhalt ab Seite 33 BGE 90 III 33 S. 33 A.- Sachwalter Otto Schumacher betrieb Alfred Riedmann in Betreibung Nr. 4518 für eine Forderung aus Pfändungsverlustschein von Fr. 3'870.50. Das Betreibungsamt BGE 90 III 33 S. 34 der Stadt Luzern vollzog am 7. November 1963 die Pfändung und stellte am 29. Januar 1964 dem Gläubiger die Pfändungsurkunde zu. Mangels freier Aktiven wurde die Pfändungsurkunde als provisorischer Verlustschein im Sinne von Art. 115 Abs. 2 SchKG bezeichnet. Das Existenzminimum des Schuldners Riedmann, der ausländischer Aufenthalter ist und bei der Firma Josef Meier AG arbeitet, wurde bei einem Bruttolohn von Fr. 945.-- mit Fr. 972.70 angegeben, wobei im betreibungsrechtlichen Zwangsbedarf ein Steuerabzug der Arbeitgeberin von Fr. 44.- berücksichtigt wurde. B.- Schumacher erhob am 10. Februar 1964 Beschwerde beim Amtsgerichtspräsidenten Luzern-Stadt als unterer Aufsichtsbehörde und verlangte u.a., der beim Notbedarf in Abzug gebrachte Steuerbetrag von monatlich Fr. 44.- sei zu streichen. In einer Vernehmlassung zur Beschwerde brachte das Betreibungsamt der Stadt Luzern am 21. Februar 1964 vor: Die Pauschalsteuer-Quote sei bei der Bestimmung des Notbedarfs wegzulassen, dafür auf der Einkommensseite in dem Sinne zu berücksichtigen, dass der Bruttoverdienst von Fr. 945.-- um den Betrag der Steuer zu kürzen sei. Der Amtsgerichtspräsident Luzern-Stadt wies die Beschwerde mit Entscheid vom 31. März 1964 ab. Auch die Schuldbetreibungs- und Konkurskommission des Obergerichtes des Kantons Luzern (obere kantonale Aufsichtsbehörde) wies mit Urteil vom 27. April 1964 die von Schumacher weitergezogenen Beschwerdebegehren ab, soweit sie die Lohnpfändung betrafen. C.- Schumacher rekurriert hiegegen an das Bundesgericht. Erwägungen Die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer zieht in Erwägung: 1. 2. - Der Schuldner verdient bei der Josef Meier AG brutto Fr. 945.--. Davon sind nach der Meinung des BGE 90 III 33 S. 35 Rekurrenten bloss Fr. 55.70 Beiträge an verschiedene Sozialversicherungskassen abzuziehen, sodass der für die Pfändung massgebende Nettolohn Fr. 889.30 betragen würde und bei einem unbestrittenen Existenzminimum von Fr. 873.-- ein pfändbarer Lohnbetrag von Fr. 16.30 verbliebe. Diese Berechnung ist unrichtig. Wie die Vorinstanz zutreffend ausführt, ist als Lohn des Schuldners Riedmann der Betrag massgebend, den er wirklich ausbezahlt erhält (s. BGE 77 III 162 ). Dies sind aber bloss Fr. 845.30, d.h. die errechneten Fr. 889.30 abzüglich eine Pauschalsteuer von Fr. 44.- monatlich. Die Pauschalsteuer zahlt die Arbeitgeberin als Vertreterin des steuerpflichtigen Schuldners Riedmann - der ausländischer Aufenthalter in der Schweiz ist - direkt an die Steuerbehörde und entgeht damit einer allfälligen Haftbarkeit als Solidarschuldnerin. Für die Zulässigkeit des direkten Abzuges kann sich die Josef Meier AG auf die Verordnung des Regierungsrates des Kantons Luzern vom 29. Dezember 1956 über die pauschale Besteuerung des Erwerbseinkommens ausländischer Aufenthalter stützen. Sollte der Rekurrent das Recht der Arbeitgeberin bestreiten, einen Teil des Lohnes des Schuldners zurückzubehalten, so hätte das Betreibungsamt nach den Regeln über die Pfändung bestrittener Guthaben vorzugehen (s. BGE 77 III 162 ). Es handelt sich also nicht um die Zurechnung der Steuern zum Notbedarf, sondern um einen ohne Zutun des Schuldners von der Arbeitgeberin vorgenommenen Lohnabzug. Für die Steuerbehörde wird dadurch kein betreibungsrechtliches Privileg geschaffen; sie stützt sich auf den in der Verordnung des Regierungsrates enthaltenen besondern Rechtstitel. Eine Rechtsungleichheit zwischen Schuldnern, die ausländische Aufenthalter sind, und solchen, die als Schweizer oder Ausländer Wohnsitz in der Schweiz haben, wird durch die Berechnungsart ebenfalls nicht bewirkt. Im Gegenteil: Es wird der Grundsatz verwirklicht, dass jeder Schuldner das ihm zustehende Existenzminimum tatsächlich ausbezahlt erhalten soll und BGE 90 III 33 S. 36 ihm nicht Lohnforderungen angerechnet werden, über die er wegen Verrechnung oder Zession gar nicht verfügen kann. Dispositiv Demnach erkennt die Schuldbetr.- u. Konkurskammer: Der Rekurs wird abgewiesen.
null
nan
de
1,964
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20f7be0b-c05a-4c07-b639-b3856706fc9b
Urteilskopf 101 II 83 17. Urteil der I. Zivilabteilung vom 25. Februar 1975 i.S. Trutmann gegen Spiegelunion Flabeg GmbH.
Regeste Kauf, Gewährleistung, Mängelrüge. 1. Anwendung deutschen Rechtes, wenn der Verkäufer in Deutschland wohnt (Erw. 1). 2. Nach diesem Recht bestimmt sich auch, welche Gewähr der Verkäufer zu leisten hat und welchen materiellen Anforderungen die Mängelrüge genügen muss, gleichviel ob die Anwendung des schweizerischen Rechtes zum gleichen Ergebnis führen würde (Erw. 2 und 3).
Sachverhalt ab Seite 83 BGE 101 II 83 S. 83 A.- Die Spiegelunion Flabeg GmbH in Furth (BRD) klagte gegen Peter Trutmann in Zürich auf Zahlung von Fr. 17'703.90 als Preis für mehrere tausend Spiegel, die er in den Monaten November 1970 bis April 1971 bei ihr bestellt und mit Ausnahme eines Postens, den sie im Juli 1971 zurückbehielt, auch tatsächlich erhalten hatte. Der Beklagte beantragte, die Klage abzuweisen, und erhob Widerklage auf Zahlung von Fr. 6'024.45. Er machte geltend, die gelieferten Spiegel hätten Mängel aufgewiesen; er verrechne seine Schadenersatzforderung mit dem Kaufpreis und verlange Zahlung des Mehrbetrages. B.- Am 23. Oktober 1974 verpflichtete das Handelsgericht des Kantons Zürich den Beklagten, der Klägerin Fr. 12'846.90 nebst 5% Zins seit 1. September 1971 und Fr. 40.-- Betreibungskosten zu zahlen, hob den Rechtsvorschlag des Beklagten in diesem Umfange auf und wies die Widerklage ab. BGE 101 II 83 S. 84 C.- Der Beklagte hat die Berufung erklärt. Er beantragt, das Urteil des Handelsgerichtes aufzuheben, die Klage abzuweisen und die Klägerin zu verpflichten, ihm Fr. 6'024.25 nebst 5% Zins seit 7. März 1972 zu zahlen, eventuell die Sache zur Beweisergänzung und Neubeurteilung an die Vorinstanz zurückzuweisen. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Mangels einer von den Vertragsschliessenden getroffenen Rechtswahl ist auf Schuldverträge das Recht jenes Staates anzuwenden, mit dem das Rechtsverhältnis räumlich am engsten zusammenhängt. Den engsten Zusammenhang schafft die für das Verhältnis charakteristische Leistung. Das ist beim Kauf die Leistung des Verkäufers ( BGE 77 II 84 Erw. 2, 191, 278, BGE 78 II 80 , BGE 79 II 165 f., BGE 88 II 199 Erw. 1, BGE 89 II 267 Erw. 1, BGE 91 II 358 ). Da dieser im vorliegenden Falle seinen Sitz in der Bundesrepublik Deutschland hat, unterstehen deshalb die umstrittenen Kaufverträge dem deutschen Recht. Hievon geht auch das Handelsgericht aus. Der Beklagte wendet dagegen nichts ein. 2. Das auf den Kaufvertrag anwendbare Recht bestimmt auch, welche Gewähr der Verkäufer zu leisten hat und unter welchen materiellen Voraussetzungen er sie leisten muss ( BGE 49 II 75 , BGE 72 II 412 , BGE 77 II 85 ). Daher ist auch für die materiellen Erfordernisse der Mängelrüge, d.h. für die Frage, welchen Inhalt diese Äusserung des Käufers haben müsse, das Kaufstatut massgebend. Von diesem hängt nach der neueren Rechtsprechung des Bundesgerichtes und der Lehre auch ab, ob die Mängelrüge rechtzeitig erhoben worden sei ( BGE 77 II 85 ; SCHÖNENBERGER/JÄGGI, Allgem. Einleitung N. 267). Nur die Formalien des Prüfungs- und Rügeverfahrens werden nach dieser Rechtsprechung und Lehre vom Recht des Ortes beherrscht, wo sich die Ware zur Zeit der Prüfung befindet. Das ist auch die Auffassung des Handelsgerichtes, und der Beklagte versucht sie nicht zu widerlegen. 3. Von dieser Auffassung ausgehend führt das Handelsgericht aus, hinsichtlich der Frage, ob rechtzeitig und in gehöriger Form gerügt worden sei, bestehe zwischen der deutschen und der schweizerischen Rechtsordnung kein grundlegender Unterschied. Nach beiden Rechten bedürfe die Mängelrüge BGE 101 II 83 S. 85 keiner besonderen Form und es habe der Käufer die Ware, sobald es nach dem üblichen Geschäftsgang tunlich sei, zu prüfen und allfällige Mängel dem Verkäufer unverzüglich anzuzeigen, widrigenfalls die Ware als genehmigt gelte (§ 377 HGB; Art. 201 OR ). Sowohl nach deutscher wie nach schweizerischer Praxis sei sodann die Mängelrüge ausreichend zu begründen. Die Parteien hätten daher zu Recht nicht geltend gemacht, in den vorliegend entscheidenden Fragen weiche die deutsche Regelung von der schweizerischen ab. Im Ergebnis würde sich somit nichts ändern, wenn der Auffassung des Beklagten gefolgt und schweizerisches Recht angewendet würde. Das Handelsgericht hält also in den beiden prozessentscheidenden Fragen, ob der Beklagte seine (formlos gültigen) Mängelrügen ausreichend begründet und rechtzeitig erhoben habe, deutsches Recht für anwendbar, tröstet aber den Beklagten damit, dass die Anwendung des schweizerischen Rechts zu keinem anderen Ergebnis führen würde. An einer anderen Stelle des Urteils erklärt es denn auch, vorab sei zu prüfen, ob die Reklamationsschreiben des Beklagten als Mängelrügen im Sinne von § 377 HGB angesprochen werden können. Diese Auffassung hält nach der angeführten neueren Rechtsprechung und Lehre stand. Ob der Beklagte die Äusserungen, mit denen er der Klägerin seine Unzufriedenheit über die erhaltenen Spiegel bekanntgab, genügend begründet habe und ob sie rechtzeitig erfolgt seien, sind nicht Fragen der Form, sondern der materiellen Gültigkeit der angeblichen Mängelrügen. Sie sind vom deutschen Recht beherrscht. Ob das Handelsgericht dieses richtig angewendet hat, darf das Bundesgericht auf Berufung hin nicht überprüfen; mit diesem Rechtsmittel kann nur die Verletzung von Bundesrecht gerügt werden (Art. 43 Abs. 1, 55 Abs. 1 lit. c OG; BGE 72 II 410 ). Auf die Berufung kann daher nicht eingetreten werden. Dass das Handelsgericht der Meinung ist, die Anwendung schweizerischen Rechtes würde zu keinem anderen Ergebnis führen als die Anwendung des deutschen, und dass der Beklagte ihm Verletzung des Art. 201 OR vorwirft, vermag nichts zu ändern. Der Beklagte kann auch insoweit nicht gehört werden, als er sich gegen den vorinstanzlichen Vorwurf ungenügender Substantiierung der behaupteten telephonischen Mängelrügen BGE 101 II 83 S. 86 wendet. Es ist eine Frage des deutschen Rechts, ob der Richter, um den Wert oder Unwert dieser Rügen beurteilen zu können, wissen musste, welchen Inhalt sie hatten und wann sie erfolgten. Ob der Beklagte ihren Inhalt und die genauen Zeitpunkte, in denen sie erfolgten, behaupten musste oder sich mit nicht näher spezifizierten Vorbringen begnügen und die Abklärung der Einzelheiten dem Gericht überlassen durfte, ist sodann eine Frage des kantonalen Prozessrechtes, die dem Bundesgericht auf dem Wege der Berufung ohnehin nicht unterbreitet werden kann (Art. 43 Abs. 1, 55 Abs. 1 lit. c OG). Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Auf die Berufung wird nicht eingetreten.
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1,975
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20fade9c-be43-498e-9c0f-c4b808109d5c
Urteilskopf 106 Ia 58 13. Auszug aus dem Urteil der I. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 26. März 1980 i.S. Peduzzi und Mitbeteiligte gegen Gemeinde Vaz/Obervaz und Verwaltungsgericht des Kantons Graubünden (staatsrechtliche Beschwerde)
Regeste Art. 4 BV ; Baubewilligungsverfahren. Polizeiliche Generalklausel als Grundlage öffentlichrechtlichen Immissionsschutzes (Abwehr befürchteter übermässiger Lärmimmissionen eines Bauprojekts). Legitimation der Nachbarn, eine Verletzung der polizeilichen Generalklausel mit staatsrechtlicher Beschwerde zu rügen (E. 1). Kognition des Bundesgerichts (E. 2).
Sachverhalt ab Seite 59 BGE 106 Ia 58 S. 59 Gegen ein Baugesuch der Gemeinde Vaz/Obervaz für das regionale Sportzentrum Dieschen erhoben 108 Stockwerkeigentümer der Soleval-Überbauung Einsprache, weil sie von der im Projekt mitenthaltenen Kunsteisbahn unzumutbare Lärmimmissionen befürchteten. Der Gemeindevorstand wies die Einsprache ab, versah die Baubewilligung indessen mit Auflagen, die eine Beschränkung der Immissionen auf das "Kurortsübliche" bezweckten. Das Verwaltungsgericht des Kantons Graubünden wies den von den Einsprechern dagegen erhobenen Rekurs mit Entscheid vom 28. November 1978 ab. Hiegegen richtet sich die vorliegende, auf Art. 4 BV gestützte staatsrechtliche Beschwerde. Erwägungen Aus den Erwägungen: 1. Nach der Rechtsprechung des Bundesgerichts sind die Beschwerdeführer als Stockwerkeigentümer von Wohnungen in den Häusern Miez, Valatscha und Tavanera der Überbauung Soleval, welche an die von der Gemeinde beschlossenen Sportanlagen mit Kunsteisbahn angrenzen, befugt, die Baubewilligung mit staatsrechtlicher Beschwerde anzufechten, soweit sie die Verletzung von Bauvorschriften geltend machen, die ausser den Interessen der Allgemeinheit auch oder in erster Linie dem Schutze der Nachbarn dienen. Voraussetzung bildet ferner, dass sie sich im Schutzbereich der entsprechenden Vorschriften befinden und durch die behaupteten widerrechtlichen Auswirkungen der Baute betroffen werden. Nicht entscheidend ist, ob sie im kantonalen Verfahren zum Baurekurs zugelassen worden sind ( BGE 102 Ia 93 E. 1; BGE 99 Ia 254 E. 4, mit Verweisungen). Im vorliegenden Falle stellte das Verwaltungsgericht fest, dass die Bauordnung der Gemeinde Vaz/Obervaz keine Immissionsschutzbestimmungen enthalte, auf die sich die Beschwerdeführer berufen könnten. Auch gebe Art. 12 des kantonalen Raumplanungsgesetzes vom 20. Mai 1973 den Nachbarn keinen direkten Abwehranspruch. Diese Bestimmung halte die Gemeinden lediglich dazu an, die erforderlichen Vorschriften über den Schutz der Nachbarschaft vor übermässigen Einwirkungen von Bauten und Anlagen zu erlassen. Im Baubewilligungsverfahren könne sich der Nachbar nicht auf diese reine Kompetenznorm für die Gemeinden berufen. Der von den BGE 106 Ia 58 S. 60 Beschwerdeführern erhobene Einwand, der Betrieb der geplanten Sportanlage werde mit unzumutbaren Immissionen für die Nachbarschaft verbunden sein, lasse sich daher weder auf eine ausdrückliche und unmittelbar anwendbare Vorschrift des kantonalen noch des kommunalen Rechts abstützen. Doch anerkannte das Verwaltungsgericht, dass beim Fehlen ausdrücklicher Immissionsschutzvorschriften Massnahmen zur Abwehr übermässiger Einwirkungen auf die Nachbarschaft gestützt auf die polizeiliche Generalklausel angeordnet werden könnten. Die Beschwerdeführer machen nicht geltend, das Verwaltungsgericht habe zu Unrecht das Fehlen einer ausdrücklichen Immissionsschutzvorschrift verneint. Sie anerkennen vielmehr die Erwägungen des Verwaltungsgerichts, wonach sie sich auf die polizeiliche Generalklausel berufen könnten. Es stellt sich daher zunächst die Frage, ob die Beschwerdeführer legitimiert sind, die Verletzung der polizeilichen Generalklausel mit staatsrechtlicher Beschwerde zu rügen. In Lehre und Praxis ist anerkannt, dass öffentlichrechtlicher Immissionsschutz auch aufgrund der polizeilichen Generalklausel betrieben werden kann. Diese tritt beim Fehlen ausdrücklich anwendbarer Normen an die Stelle öffentlichrechtlicher Blankettbestimmungen über den Immissionsschutz, wie sie im kantonalen Recht oft anzutreffen sind, indem dieses etwa eine dem Art. 684 ZGB entsprechende Regel als polizeirechtliche Norm ausgestaltet (RICHARD BÄUMLIN, Privatrechtlicher und öffentlichrechtlicher Immissionsschutz, in: Rechtliche Probleme des Bauens, Bern 1968, S. 107 ff., S. 122 ff.; PETER LIVER, in: Schweiz. Privatrecht, V/1, Sachenrecht, Basel 1977, S. 239; IMBODEN/RHINOW, Nr. 136, S. 1004; ERICH ZIMMERLIN, Baugesetz des Kantons Aargau, Kommentar, § 160, S. 460 ff.). Das Bundesgericht anerkennt, dass sich der Nachbar im staatsrechtlichen Beschwerdeverfahren auf derartige Immissionsschutzbestimmungen berufen kann ( BGE 99 Ia 254 E. 4 und 148 E. 1 ; 91 I 416 ff. E. 3 c-e). Sie verschaffen dem Nachbarn eine Sphäre rechtlich geschützter Interessen, die in den Kreis der durch die Eigentumsgarantie erfassten Rechtsgüter fallen. Auch wenn der Anwohner, der sich auf sie beruft, zugleich das Interesse der Gesamtheit wahrnimmt, ändert dies nicht daran, dass er eigene rechtlich geschützte Belange vertritt ( BGE 91 I 418 E. 3d). Übernimmt nun wegen Fehlens einer anwendbaren öffentlichrechtlichen Immissionsschutzbestimmung die polizeiliche BGE 106 Ia 58 S. 61 Generalklausel die Abwehr einer unmittelbar drohenden übermässigen Einwirkung, so verhält es sich gleich: Der Nachbar, der sich auf sie beruft, nimmt nicht nur das Interesse der Gesamtheit wahr, an der er Anteil hat, sondern er macht auch eigene rechtlich geschützte Interessen geltend. Sein Anspruch auf Abwehr übermässiger, die polizeiliche Generalklausel verletzender Immissionen fällt in gleicher Weise in den Kreis der durch die Eigentumsgarantie erfassten Rechtsgüter, wie dies für Ansprüche zutrifft, die aus einer öffentlichrechtlichen Blankettbestimmung über den Immissionsschutz hergeleitet werden. Eine innere Rechtfertigung für eine unterschiedliche Behandlung fehlt. Auf die staatsrechtliche Beschwerde ist daher grundsätzlich einzutreten. Erfüllt ist auch die Voraussetzung, dass sich die Beschwerdeführer im Schutzbereich der Massnahmen befinden, die aufgrund der polizeilichen Generalklausel allenfalls anzuwenden sind. Der Augenschein hat bestätigt, dass die Beschwerdeführer durch die behaupteten widerrechtlichen Auswirkungen der Sportanlagen betroffen werden können, wenngleich das Ausmass der Betroffenheit je nach der Lage der einzelnen Wohnungen unterschiedlich ist. 2. Die Auslegung und Anwendung kantonalen Gesetzesrechtes prüft das Bundesgericht im allgemeinen nur unter dem Gesichtswinkel der Willkür ( BGE 101 Ia 449 E. 4b). Die Anwendung kantonalen Verfassungsrechts überprüft es hingegen grundsätzlich frei ( BGE 99 Ia 297 E. 2). Die polizeiliche Generalklausel zählt zu den ungeschriebenen Verfassungsgrundsätzen ( BGE 103 Ia 312 E. 3a; BGE 92 I 31 E. 5), ist aber subsidiärer Natur ( BGE 100 Ia 146 ). Zudem tritt sie im vorliegenden Falle an die Stelle einer gesetzlichen Blankettbestimmung des kantonalen öffentlichen Rechts über den Immissionsschutz. Eine freie Überprüfung ihrer Anwendung durch die kantonalen Instanzen wäre unter diesen Umständen um so weniger gerechtfertigt, als die im vorliegenden Fall in Frage stehenden Immissionsschutzmassnahmen jedenfalls ohne Willkür auch unmittelbar auf Art. 12 des kantonalen Raumplanungsgesetzes hätten gestützt werden können. Es entspricht dem Zweck dieser Vorschrift, wenn die Gemeinden bis zum Erlass der erforderlichen generellen Vorschriften über den Schutz der Nachbarschaft vor übermässigen Einwirkungen, die von Bauten und Anlagen ausgehen, im Einzelfall die nötigen Anordnungen BGE 106 Ia 58 S. 62 verfügen. Die Kognition des Bundesgerichts ist daher wie bei der Überprüfung der Anwendung öffentlichrechtlicher Immissionsschutzvorschriften des kantonalen Rechts auf Willkür zu beschränken. Die Beschwerdeführer werfen denn auch dem Verwaltungsgericht sowohl bei der Feststellung und Würdigung des Sachverhaltes als auch bei der Anwendung der polizeilichen Generalklausel Willkür vor. Das Bundesgericht hat somit nur zu prüfen, ob sich die Sachverhaltsfeststellung und -würdigung sowie die Rechtsanwendung des Verwaltungsgerichts mit sachlichen Gründen vertreten lässt. Willkür liegt nicht schon dann vor, wenn eine andere Lösung ebenfalls vertretbar oder sogar besser erschiene. Das Bundesgericht greift wegen Verletzung von Art. 4 BV vielmehr erst dann ein, wenn der angefochtene Entscheid offensichtlich unhaltbar ist ( BGE 99 Ia 346 E. 1 mit Verweisungen).
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20fc902e-887b-4926-812b-8a42bb244aa3
Urteilskopf 141 III 376 51. Auszug aus dem Urteil der II. zivilrechtlichen Abteilung i.S. A.A. gegen B.A. (Beschwerde in Zivilsachen) 5A_274/2015 vom 25. August 2015
Regeste Art. 276 Abs. 1 und 2 ZPO i.V.m. Art. 179 Abs. 1 ZGB , Abänderung vorsorglicher Massnahmen im Scheidungsverfahren, Rechtskraft von Entscheiden über vorsorgliche Massnahmen; Art. 65 und 241 Abs. 2 ZPO , Anwendbarkeit auf vorsorgliche Massnahmen. Rechtskraft von Entscheiden über vorsorgliche Massnahmen im Scheidungsverfahren. Rückzug und Neueinreichung eines Gesuchs um Abänderung vorsorglicher Massnahmen; Rechtsfolgen des Rückzugs im Lichte von Art. 65 und 241 Abs. 2 ZPO (E. 3.3 und 3.4).
Sachverhalt ab Seite 377 BGE 141 III 376 S. 377 A. A.A. (Beschwerdeführer) und B.A. (Beschwerdegegnerin) heirateten am 9. Januar 1981. Mit Eheschutzentscheid des Bezirksgerichts Schwyz vom 3. Februar 2009 wurde der Beschwerdeführer verpflichtet, der Beschwerdegegnerin rückwirkend per 4. Juli 2007 monatliche Unterhaltsbeiträge von Fr. 9'000.- (an die Ehefrau persönlich) und Fr. 4'000.- (für die damals noch nicht volljährige Tochter) zu bezahlen. B. Seit Ende 2009 ist zwischen den Parteien das Scheidungsverfahren hängig. Am 19. Januar 2010 ersuchte der Beschwerdeführer um Abänderung der im Scheidungsverfahren als vorsorgliche Massnahmen weitergeltenden Eheschutzmassnahmen. Das Bezirksgericht Schwyz wies das Begehren mit Entscheid vom 2. Juli 2010 ab. Am 10. November 2010 reichte der Beschwerdeführer ein zweites Abänderungsgesuch ein, zog dieses aber am 14. Juli 2011 zurück. Das Bezirksgericht Schwyz schrieb das eingeleitete Abänderungsverfahren mit Verfügung vom 18. Juli 2011 "infolge Rückzug des Begehrens als gegenstandslos" ab. C. Mit Eingabe vom 25. Juni 2013 ersuchte der Beschwerdeführer erneut um Abänderung der Massnahmen, die in der Verfügung des Bezirksgerichts Schwyz vom 3. Februar 2009 angeordnet worden waren. Er beantragte, seine Unterhaltspflicht sei rückwirkend auf den 10. November 2010 angemessen herabzusetzen. Eventualiter sei die Unterhaltspflicht rückwirkend ab Gesuchseinreichung, subeventualiter "umgehend" herabzusetzen. Mit Entscheid vom 3. Juli 2014 wies das Bezirksgericht das Änderungsgesuch ab. Die vom Beschwerdeführer dagegen erhobene Berufung wies das Kantonsgericht Schwyz mit Entscheid vom 3. März 2015 ebenfalls ab, soweit es darauf eintrat. Zur Begründung führte es an, dass einer Abänderung der Unterhaltsbeiträge eine res iudicata in Form des Abschreibungsentscheids vom 18. Juli 2011 entgegenstehe, denn der Beschwerdeführer mache im Wesentlichen die selben Veränderungen geltend wie im zurückgezogenen Gesuch vom 10. November 2010. BGE 141 III 376 S. 378 Weiter bestätigte das Kantonsgericht ausdrücklich den Entscheid des Bezirksgerichts vom 3. Juli 2014. D. Gegen das Urteil vom 3. März 2015 gelangt der Beschwerdeführer mit Beschwerde in Zivilsachen an das Bundesgericht. Er beantragt, die Sache sei zur Neubeurteilung an die Vorinstanz zurückzuweisen. Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab. (Zusammenfassung) Erwägungen Aus den Erwägungen: 3. 3.3 Im Scheidungsverfahren trifft das Gericht die nötigen vorsorglichen Massnahmen, wobei die Bestimmungen über die Massnahmen zum Schutz der ehelichen Gemeinschaft sinngemäss anwendbar sind ( Art. 276 Abs. 1 ZPO ). Massnahmen, die das Eheschutzgericht angeordnet hat, dauern weiter ( Art. 276 Abs. 2 Satz 1 ZPO ). 3.3.1 Eine Abänderung vorsorglicher Massnahmen im Scheidungsverfahren setzt eine Veränderung der Verhältnisse voraus ( Art. 276 Abs. 1 ZPO i.V.m. Art. 179 Abs. 1 ZGB ). Verlangt ist dabei eine wesentliche und dauernde Veränderung. Eine Abänderung ist ferner angebracht, wenn die tatsächlichen Umstände, die dem Massnahmeentscheid zu Grunde lagen, sich nachträglich als unrichtig erwiesen haben oder wenn sich der Entscheid nachträglich im Ergebnis als nicht gerechtfertigt herausstellt, weil dem Massnahmegericht die Tatsachen nicht zuverlässig bekannt waren. Andernfalls steht die formelle Rechtskraft des Eheschutz- bzw. des Präliminarentscheids einer Abänderung entgegen. Eine Abänderung ist ferner ausgeschlossen, wenn die Sachlage durch eigenmächtiges, widerrechtliches, mithin rechtsmissbräuchliches Verhalten herbeigeführt worden ist (Urteile 5A_117/2010 vom 5. März 2010 E. 3.3, in: FamPra.ch 2010 S. 705; 5P.473/2006 vom 19. Dezember 2006 E. 3 mit zahlreichen Hinweisen, in: FamPra.ch 2007 S. 373). Veränderungen, die bereits zum Zeitpunkt des zu Grunde liegenden Urteils voraussehbar waren und im Voraus bei der Festsetzung des abzuändernden Unterhaltsbeitrages berücksichtigt worden sind, können keinen Abänderungsgrund bilden (vgl. zum nachehelichen Unterhalt BGE 138 III 289 E. 11.1.1 S. 292; BGE 131 III 189 E. 2.7.4 S. 199; zur Abänderung von vorsorglichen Massnahmen im Scheidungsverfahren Urteil 5A_597/2013 vom 4. März 2014 E. 3.4, in: FamPra.ch 2014 S. 725). Vorliegend bestreitet der Beschwerdeführer nicht, dass er im jetzigen Verfahren dieselbe Veränderung gelten machen will wie bereits BGE 141 III 376 S. 379 im Gesuch vom 10. November 2010. Anders als die Vorinstanz ist er aber der Ansicht, dass der Rückzug des ersten Gesuchs einer Überprüfung heute nicht entgegenstehe. 3.3.2 Der ZPO lässt sich keine Regelung entnehmen, welche sich explizit zu den Rechtsfolgen des Rückzugs eines Gesuchs um vorsorgliche Massnahmen äussert. Wer eine Klage beim zum Entscheid zuständigen Gericht zurückzieht, kann gegen die gleiche Partei über den gleichen Streitgegenstand keinen zweiten Prozess mehr führen, sofern das Gericht die Klage der beklagten Partei bereits zugestellt hat und diese dem Rückzug nicht zustimmt ( Art. 65 ZPO ). Mit Zustellung der Klageschrift an den Beklagten tritt demnach die sog. Fortführungslast als prozessuale Obliegenheit ein, d.h. der Kläger ist an seinen Prozess gebunden. Zieht er die Klage nach diesem Zeitpunkt zurück, geht er seines materiell-rechtlichen Anspruches endgültig verlustig (Botschaft vom 28. Juni 2006 zur Schweizerischen Zivilprozessordnung, BBl 2006 7221 ff., 7278 zu Art. 63; SUTTER-SOMM/HEDINGER, in: Kommentar zur Schweizerischen Zivilprozessordnung [ZPO], Sutter-Somm/Hasenböhler/Leuenberger, 2. Aufl. 2013, N. 6 und 13 zu Art. 65 ZPO ; ISABELLE BERGER-STEINER, in: Berner Kommentar, Schweizerische Zivilprozessordnung, Bd. I, 2012, N. 3 f. zu Art. 65 ZPO ). Die Bestimmung zu den Folgen des Klagerückzugs steht in den Allgemeinen Bestimmungen der ZPO. Sie ist demnach gemäss Art. 1 lit. a und b ZPO grundsätzlich auf sämtliche streitigen Zivilsachen sowie auf die gerichtlichen Anordnungen der freiwilligen Gerichtsbarkeit anwendbar, mithin auch im Summarverfahren (ANDREAS GÜNGERICH, in: Berner Kommentar, Schweizerische Zivilprozessordnung, Bd. II, 2012, N. 16 der Vorbemerkungen zu Art. 248-270 ZPO ; STEPHAN MAZAN, in: Basler Kommentar, Schweizerische Zivilprozessordnung, 2. Aufl. 2013, N. 4 der Vorbemerkungen zu Art. 248-256 ZPO ). Allerdings spricht der Gesetzestext von "Klage", nicht von "Gesuch". In der Lehre besteht daher Uneinigkeit, ob Art. 65 ZPO auch auf Gesuchsverfahren, wie sie vorsorgliche Massnahmen darstellen, anwendbar ist. Eine Mehrheit der Autoren spricht sich für eine gewisse Ausweitung auf Nicht-Klageverfahren aus. ISABELLE BERGER-STEINER führt aus, die Fortsetzungslast beschlage auch das durch Gesuch eingeleitete Summarverfahren, soweit es zu einem materiell rechtskräftigen Entscheid führe (a.a.O., N. 3 zu Art. 65 ZPO ). BGE 141 III 376 S. 380 Ähnlich äussert sich STEPHEN V. BERTI, der festhält, einer Anwendung von Art. 65 ZPO auf das Gesuch im summarischen Verfahren stehe nichts entgegen, wo einem Sachendentscheid materielle Rechtskraft zukomme (in: ZPO, Oberhammer/Domej/Haas [Hrsg.], 2. Aufl. 2014, N. 2 zu Art. 65 ZPO ). ROGER MORF wendet Art. 65 ZGB auf Gesuche an, soweit sie eine Streitsache betreffen (im Gegensatz zur freiwilligen Gerichtsbarkeit), das Gericht auf die Sache eintreten kann und das Summarverfahren - ohne Rückzug - zu einem rechtskräftigen Sachentscheid führen würde (in: ZPO Kommentar, Gehri/Kramer [Hrsg.], 2010, N. 3 zu Art. 65 ZPO e contrario). PRISCA SCHLEIFFER MARAIS erkennt eine allgemeine Geltung für Gesuche i.S.v. Art. 252 Abs. 2 ZPO und verweist betreffend Fortführungslast im summarischen Verfahren auch auf Art. 256 ZPO (in: Schweizerische Zivilprozessordnung [ZPO], Baker & McKenzie [Hrsg.], 2010, N. 4 zu Art. 65 ZPO ). Ebenso äussert sich FRANÇOIS BOHNET dahingehend, dass nicht nur beim einseitigen Rückzug einer Klage ("demande"), sondern auch beim Gesuch ("requête en justice") ein Rücktritt stattfinde (in: CPC, Code de procédure civile commenté, 2011, N. 4 zu Art. 65 ZPO ). SUTTER-SOMM/HEDINGER vertreten demgegenüber die Meinung, im Zusammenhang mit Gesuchen an ein Gericht sei Art. 65 ZPO nicht einschlägig (a.a.O., N. 9 zu Art. 65 ZPO ). 3.3.3 Im selben Zusammenhang zu berücksichtigen ist Art. 241 Abs. 2 ZPO . Die zum ordentlichen Verfahren gehörige Bestimmung hält unter dem Titel "Beendigung des Verfahrens ohne Entscheid" fest, dass ein Klagerückzug die Wirkung eines rechtskräftigen Entscheids hat. Auch hier ist nur von "Klage" die Rede. Gemäss Art. 219 ZPO gelten die Bestimmungen des ordentlichen Verfahrens sinngemäss für sämtliche anderen Verfahren, soweit das Gesetz nichts anderes bestimmt. Damit stellt sich die Frage, ob Art. 241 Abs. 2 ZPO mangels anderer Vorschrift in den Bestimmungen zum summarischen Verfahren sinngemäss auch für dieses gilt. Soweit ersichtlich äussert sich nur LAURENT KILLIAS explizit hierzu. Er vertritt die Ansicht, die Bestimmungen des ordentlichen Verfahrens betreffend Beendigung des Verfahrens ohne Entscheid (Art. 241 f. ZPO) seien im summarischen Verfahren analog anwendbar (in: Berner Kommentar, Schweizerische Zivilprozessordnung, Bd. II, 2012, N. 37 zu Art. 219 ZPO ). Im Rahmen des Dispositionsgrundsatzes könnten die Parteien im vereinfachten und im summarischen Verfahren die Handlungen gemäss Art. 241 ZPO vornehmen (KILLIAS, a.a.O., N. 4 zu Art. 241 ZPO ). Diverse Autoren äussern sich - abgesehen vom BGE 141 III 376 S. 381 vorliegend nicht massgebenden Sonderfall des Schlichtungsgesuchs - nicht zur Möglichkeit und den Rechtsfolgen eines Rückzugs von Gesuchen des summarischen Verfahrens. Die Frage braucht vorliegend nicht abschliessend beantwortet zu werden. 3.3.4 Allgemein gilt im Zivilprozess der Grundsatz, wonach Summarentscheide grundsätzlich den ordentlichen Entscheiden hinsichtlich Rechtskraft gleichgestellt sind, d.h. dass sie mit Ablauf der Rechtsmittelfrist formell rechtskräftig und damit - unter Vorbehalt einer Revision nach Art. 328 ff. ZPO - unwiderrufbar werden ( BGE 141 III 43 E. 2.5.2 S. 46 mit Hinweisen). Für Summarentscheide betreffend freiwillige Gerichtsbarkeit ( Art. 256 Abs. 2 ZPO ) und vorsorgliche Massnahmen ( Art. 268 Abs. 1 ZPO ) sieht die ZPO allerdings die Möglichkeit einer nachträglichen Aufhebung oder Abänderung vor ( BGE 141 III 43 E. 2.5.2 S. 46). Dennoch kommt auch Entscheiden über vorsorgliche Massnahmen eine beschränkte Rechtskraft zu. Sie können zwar für die Zukunft abgeändert werden, eine rückwirkende Abänderung oder Aufhebung bedarf aber gemäss älterer bundesgerichtlicher Rechtsprechung - bei gegebenen Voraussetzungen - einer Aufhebung der (materiellen) Rechtskraft durch ein Revisionsverfahren. Davon abgesehen werden vorsorgliche Unterhaltsbeiträge zur Regelung der ehelichen Rechte und Pflichten während des Scheidungsverfahrens definitiv zugesprochen und können weder durch ein weiteres Massnahmeverfahren noch durch das Scheidungsurteil selbst rückwirkend aufgehoben werden ( BGE 127 III 496 E. 3b/bb S. 502; vgl. hierzu auch den Kommentar von CHRISTOPH LEUENBERGER, ZBJV 138/2002 S. 557 ff., 567). Die neuere Rechtsprechung spricht explizit nur noch von formeller, aber nicht materieller Rechtskraft ( BGE 138 III 382 E. 3.2.1 S. 385 betreffend Arrestentscheid als vorsorgliche Massnahme; BGE 133 II 393 E. 5.1 S. 396 betreffend Eheschutz). Auch hier wird indes festgehalten, dass einem neuen Gesuch der Einwand der res iudicata entgegensteht, wenn es auf dem völlig gleichen Sachverhalt beruht wie ein früheres Begehren ( BGE 138 III 382 E. 3.2.2 S. 385 mit Hinweisen; vgl. sodann auch BGE 139 III 126 E. 3.1 ff. S. 128 ff. zur negativen und positiven Wirkung der materiellen Rechtskraft und der Identität von Streitgegenständen). 3.4 Zusammengefasst und angewendet auf vorsorgliche Massnahmen im Scheidungsverfahren gilt, was folgt: Dem Entscheid betreffend vorsorgliche Massnahmen im Scheidungsverfahren kommt nicht dieselbe Rechtskraftwirkung zu wie einem im ordentlichen BGE 141 III 376 S. 382 (Klage-)Verfahren ergangenen Urteil. Dies findet namentlich darin Niederschlag, dass der Massnahmeentscheid erstens im Falle einer Veränderung der Verhältnisse einer Anpassung zugänglich ist und dass dieser zweitens das Scheidungsverfahren, in welchem die Massnahmen angeordnet wurden, resp. das Endurteil nicht präjudiziert. In diesen Schranken kommt einem Entscheid über vorsorgliche Massnahmen indes Bindungswirkung zu und muss ein Rückzug eines Abänderungsgesuchs einer Abweisung gleichgestellt werden. Ein neues Abänderungsgesuch ist bei dieser Ausgangslage nur unter der Voraussetzung veränderter Verhältnisse zulässig. Der Beschwerdeführer kann mithin nicht heute darauf zurückkommen, wenn er 2011 mittels vorbehaltlosem Rückzug und ohne Zustimmung der Gegenpartei auf eine Prüfung der veränderten Verhältnisse verzichtete. Der angefochtene Entscheid hält vor der Verfassung stand. (...)
null
nan
de
2,015
CH_BGE
CH_BGE_005
CH
Federation
20fd4ada-3f21-48dc-a714-2f4206b72b2e
Urteilskopf 96 I 341 55. Urteil vom 23. September 1970 i.S. Stiftung Krankenhaus Thusis gegen den Kleinen Rat des Kantons Graubünden
Regeste Subventionierung der Krankenanstalten im Kanton Graubünden. Willkür. Kantonale Ordnung, wonach der Kanton den anerkannten Krankenanstalten Baubeiträge ausrichtet sowie als Betriebsbeitrag 90% ihres Betriebsdefizits übernimmt. Darf der Kleine Rat, der die Beiträge jährlich festzusetzen hat, nicht nur das Vorliegen der gesetzlichen Voraussetzungen der Beitragspflicht des Kantons, sondern auch die Angemessenheit einzelner Ausgaben der Spitäler (z.B. der Arzthonorare) prüfen und den Betriebsbeitrag im Falle der Unangemessenheit kürzen? Umfang des dem Kleinen Rat eingeräumten Aufsichtsrechts über die subventionierten Krankenanstalten.
Sachverhalt ab Seite 342 BGE 96 I 341 S. 342 A.- Nach Art. 1 des bündnerischen Gesetzes vom 25. Oktober 1964 über die Förderung der Krankenpflege (FKG) richtet der Kanton an den Bau und den Betrieb der anerkannten Spitäler Beiträge aus, deren Höhe im Rahmen der vom Grossen Rat bereitgestellten Kredite jährlich vom Kleinen Rat festgesetzt wird. Über die Betriebsbeiträge bestimmt Art. 8 FKG : "Der Kanton übernimmt als Betriebsbeitrag das Defizit des engeren Betriebsergebnisses (Differenz zwischen Betriebsertrag und Betriebsaufwand) der anerkannten Regionalspitäler zu 90 Prozent und des Kantons- und Regionalspitals voll." Das FKG überträgt dem Kleinen Rat in Art. 15 die Aufsicht über die Spitäler und ermächtigt ihn in Art. 16, Vorschriften über die Betriebs- und Rechnungsführung, die Rechnungsablage und die Taxgestaltung der Spitäler zu erlassen. Ferner hat nach Art. 28 der Grosse Rat eine Vollziehungsverordnung (VV) zum FKG zu erlassen. Diese VV wurde am 29. Mai 1964 erlassen und enthält in den Art. 1-6 Bestimmungen über die Baubeiträge und in den Art. 7-14 solche über die Betriebsbeiträge. Nach Art. 9 Abs. 3 VV gehören zum engern Betriebsaufwand im Sinne des Art. 8 FKG u.a. auch die "Personalkosten", ferner die "Einrichtungskosten", BGE 96 I 341 S. 343 soweit diese nicht gemäss Art. 3 lit. d VV zu den Baukosten zu zählen sind. B.- Das Krankenhaus Thusis wird von einer Stiftung betrieben. Dieser wurde am 7. Januar 1970 eröffnet, dass der Kleine Rat am 15. Dezember 1969 den Betriebsbeitrag für das Jahr 1967 auf Fr. 530'523.-- (= 90% von Fr. 589'459.80) festgesetzt habe; dabei sei das durch die Buchhaltung ausgewiesene "engere Betriebsergebnis" pro 1967 durch Ausscheidung von drei Rechnungsposten um insgesamt Fr. 23'406.15 gekürzt worden aus folgenden Gründen: Nach ständiger Praxis werde die Einrichtung und Möblierung von Personalwohnungen auch dann als Einheit betrachtet, wenn sie etappenweise bezogen würden. Aus dem engeren Betriebsergebnis seien daher die Fr. 11'648.15 betragenden Ausgaben für die Möblierung von fünf Personalwohnungen "im Feld" auszuscheiden. Diese Wohnungen seien im Sommer und Herbst 1967 bezogen worden und bildeten eine Einheit. Aufgrund seiner Aufsichtsgewalt habe der Kleine Rat sodann die Rechnungsführung der Spitäler auf ihre Wirtschaftlichkeit zu überwachen und nicht gerechtfertigten Ausgaben, wozu auch unangemessene Arzthonorare gehörten, die Subventionsberechtigung abzusprechen. Aus diesem Gesichtspunkt sei auf den Privatzuschlägen des chirurgischen Chefarztes ein Abzug von 20% = Fr. 6'758.-- zu machen. Ferner könne die auf 1. Januar 1967 erfolgte Erhöhung des Fixums des nebenamtlichen Internisten um Fr. 12'000.-- nur zur Hälfte, d.h. bis zum Betrag von Fr. 6'000.-- anerkannt werden; die weitergehende Erhöhung sei im Hinblick auf die wirtschaftliche Führung des Spitals als unangemessen zu betrachten. C.- Mit der staatsrechtlichen Beschwerde stellt die Stiftung Krankenhaus Thusis den Antrag, der Beschluss des Kleinen Rates des Kantons Graubünden vom 15. Dezember 1969 sei insoweit aufzuheben, als aus dem engeren Betriebsergebnis für 1967 Ausscheidungen vorgenommen werden. Die Beschwerdeführerin wirft dem Kleinen Rat Verletzung des Art. 4 BV (Willkür) vor und macht insbesondere geltend, der Kleine Rat sei an die vom Spital vorgelegte Betriebsrechnung gebunden und dürfe nur eingreifen, wenn die Betriebsführung ganz offensichtlich jeder Wirtschaftlichkeit entbehre; es sei mit Sinn und Zweck des FKG nicht vereinbar, dass der Kleine Rat sein Ermessen an die Stelle des Ermessens der Betriebsleitung setze, BGE 96 I 341 S. 344 soweit und solange diese pflichtgemäss handle. Die weitere Begründung der Beschwerde ergibt sich, soweit wesentlich, aus den nachstehenden Erwägungen. D.- Der Kleine Rat des Kantons Graubünden beantragt Abweisung der Beschwerde. Er habe das Recht und die Pflicht, über die Zweckmässigkeit der einzelnen Ausgaben der Spitäler zu wachen, und es liege in seinem Ermessen, die Berechtigung und damit die Anerkennung einzelner Ausgaben oder deren Höhe zu verneinen. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Die Beschwerdeführerin hat, wie nicht bestritten ist, einen Rechtsanspruch auf Ausrichtung des in Art. 8 FKG vorgesehenen Betriebsbeitrages des Kantons. Sie ist daher legitimiert, gegen den Entscheid, mit dem der Kleine Rat diesen Beitrag für 1967 festgesetzt hat, wegen Verletzung verfassungsmässiger Rechte staatsrechtliche Beschwerde zu führen. Dass ihr gegenüber dem Entscheid des Kleinen Rates noch ein kantonales Rechtsmittel offen stünde, wird in der Beschwerdeantwort - offenbar zu Recht - nicht behauptet. 2. Nach Art. 1 Abs. 2 FKG hat der Kleine Rat die Höhe der Beiträge, die der Kanton nach dem FKG an den Bau und den Betrieb der Spitäler auszurichten hat, jährlich im Rahmen der vom Grossen Rat bereitgestellten Kredite festzusetzen. Hieraus ergibt sich zunächst, dass der Kleine Rat nicht mehr Geld verteilen darf, als der Grosse Rat zur Verfügung stellt. Sodann ist der Kleine Rat berechtigt und verpflichtet, das Vorliegen der Voraussetzungen zu prüfen, von denen das Gesetz und die vom Grossen Rat erlassene VV die Ausrichtung der Beiträge abhängig macht. Bei dieser Prüfung sowie bei der Festsetzung der Beiträge kann er auch sein Ermessen betätigen, jedoch nur, sofern und soweit ihm das Gesetz und die VV ein solches einräumen oder es doch nicht ausschliessen. Die Auslegung der massgebenden Bestimmungen des Gesetzes und der VV durch den Kleinen Rat kann das Bundesgericht nicht frei, sondern nur unter dem beschränkten Gesichtswinkel der Willkür überprüfen. Es kann nur einschreiten, wenn der angefochtene Entscheid auf einer Auslegung beruht, die mit dem klaren Wortlaut und Sinn der Bestimmungen unvereinbar, mit keinen sachlichen Überlegungen vertretbar ist. 3. Die Beschwerdeführerin hat im Jahre 1967 im Neubau BGE 96 I 341 S. 345 "im Feld" fünf Wohnungen für ihr Personal gemietet und für deren Möblierung insgesamt Fr. 11'648.15 ausgegeben. Der Kleine Rat hat diesen Betrag aus dem "engeren Betriebsergebnis" ausgeschieden in der Annahme, es handle sich dabei um Einrichtungskosten im Sinne von Art. 3 lit. d und nicht von Art. 9 Abs. 3 VV. Die Beschwerdeführerin bestreitet die Gesetzmässigkeit dieser Bestimmungen nicht, wonach Einrichtungskosten von über Fr. 6'000.-- nicht dem engeren Betriebsaufwand, sondern den Baukosten zugewiesen sind. Sie macht auch nicht geltend, die streitigen Ausgaben seien keine "Einrichtungskosten" im Sinne jener Bestimmungen. Dagegen fallen sie nach ihrer Auffassung deshalb nicht unter Art. 3 lit. d VV, weil die Wohnungen nicht gleichzeitig fertiggestellt und bezogen worden sind und dies die Zusammenrechnung der Einrichtungskosten, die für keine Wohnung mehr als Fr. 6'000.-- betrugen, ausschliesse. Was die Beschwerde in diesem Zusammenhang vorbringt, genügt jedoch nicht, um die Betrachtungsweise des Kleinen Rates als willkürlich erscheinen zu lassen. Weder das Gesetz noch die VV lassen erkennen, ob und unter welchen Voraussetzungen mehrere gleichartige Ausgaben gesamthaft oder aber getrennt zu behandeln sind. Es ist daher zum mindesten nicht willkürlich, wenn der Kleine Rat angenommen hat, dass die Einrichtung von Personalwohnungen, welche alle wegen Einbezugs bisheriger Personalzimmer in den Krankenhausbetrieb benötigt wurden, eine Einheit bilde und dass ihre Kosten daher als Ganzes unter Art. 3 lit. d VV fallen ohne Rücksicht darauf, dass die Wohnungen nicht gleichzeitig, sondern im Verlaufe eines Vierteljahres nacheinander eingerichtet und bezogen worden sind. 4. Bei den zwei weiteren Posten von Fr. 6'758.-- und 6'000.--, die der Kleine Rat aus dem "engeren Betriebsergebnis" ausgeschieden hat, handelt es sich um den von ihm als "unangemessen" betrachteten Teil der Honorare, welche die Beschwerdeführerin im Jahre 1967 an zwei Ärzte ausgerichtet hat. Der Kleine Rat beansprucht, wie er im angefochtenen Entscheid erklärt und in der Beschwerdeantwort näher dargelegt hat, aufgrund seiner Aufsichtsgewalt ( Art. 15-17 FKG ) das Recht, die Ausgaben der Spitäler und damit auch die von ihnen ausgerichteten Arzthonorare aufihre Angemessenheit zu prüfen. Die Beschwerdeführerin macht demgegenüber geltend, eine BGE 96 I 341 S. 346 solche Prüfung lasse sich mit dem Sinn und Zweck des Gesetzes nicht vereinbaren und sei willkürlich. a) Nach Art. 3 ff. FKG steht dem Kleinen Rat bei der Bewilligung und Bemessung der Baubeiträge in verschiedener Richtung ein Spielraum des Ermessens zu. Ein Beitrag wird danach nur für "spitaltechnisch und baulich einwandfreie Projekte" und nur unter der Bedingung, dass die Gemeinde oder Dritte "einen angemessenen Beitrag" leisten, gewährt; ferner ist der Beitrag "nach dem Bedürfnis und der wirtschaftlichen Lage des Spitals oder seiner Träger" zu bemessen, wobei der Kleine Rat ihn auf "30 bis 60%" festsetzen und ihn überdies für gewisse Ausgaben um "höchstens 20%" erhöhen "kann". Demgegenüber ist in den Bestimmungen über den Betriebsbeitrag von einem solchen Ermessensspielraum nirgends die Rede. Art. 8 FKG setzt diesen Beitrag auf 90% des "Defizits des engeren Betriebsergebnisses" fest und lässt damit nur die Frage nach diesem Begriff offen, der dann in Art. 9 VV näher umschrieben ist. Weder im Gesetz noch in der VV ist ein Anhaltspunkt dafür zu finden, dass der Kleine Rat Ausgaben, die wie die Personalkosten nach Art. 9 Abs. 3 VV zum engeren Betriebsaufwand gehören, auf ihre Angemessenheit prüfen und, soweit er sie als unangemessen erachtet, bei der Bemessung des Betriebsbeitrages unberücksichtigt lassen dürfte. Dabei konnte das Problem dem Grossen Rate nicht entgangen sein. Es ist allgemein bekannt, dass sich das Gemeinwesen mit der Übernahme der Pflicht, das Defizit eines Unternehmens zu decken, der Gefahr des Missbrauchs aussetzt, wird doch derjenige, der auf Kosten des Gemeinwesens wirtschaften kann, dies regelmässig weniger haushälterisch tun, als wenn er selbst für Deckung sorgen müsste (vgl. SCHINDLER, Die Bundessubventionen als Rechtsproblem, Diss. Zürich 1951, S. 212/13). Wenn der Grosse Rat trotz dieser in die Augen springenden Wünschbarkeit, ja Notwendigkeit einer Kontrolle der Angemessenheit der Einnahmen und Ausgaben der subventionierten Spitäler eine solche Kontrolle weder im Gesetz noch in der VV vorgesehen hat, so muss angenommen werden, dass er bewusst auf sie verzichtet hat und dem Kleinen Rate bei der Festsetzung der Betriebsbeiträge die Beurteilungsfreiheit nicht einräumen wollte, die er ihm bei der Bewilligung und Bemessung der Baubeiträge zugestanden hat. b) Der Kleine Rat glaubt, die Befugnis zur Prüfung der Ausgaben der Spitäler auf ihre Angemessenheit aus den in BGE 96 I 341 S. 347 Art. 15-17 FKG enthaltenen Bestimmungen über die Aufsicht über die Spitäler ableiten zu können. aa) Nach Art. 15 FKG stehen die vom Kanton unterstützten und im Kanton befindlichen Spitäler unter der Aufsicht des Kleinen Rates. Diese Aufsichtsgewalt ist allgemeiner Natur und ohne Zusammenhang mit der Beitragsordnung. Es fehlt jedes Anzeichen dafür, dass der Kleine Rat aufgrund seines Aufsichtsrechts befugt wäre, die Beiträge an Spitäler, deren Betrieb aus irgendwelchen Gründen zu beanstanden ist, zu kürzen. Dass der Kleine Rat der Beschwerdeführerin für 1967 Weisungen über die Bemessung der Arzthonorare erteilt hätte und diese Weisungen nicht beachtet worden wären, hat er nicht behauptet, so dass dahingestellt bleiben kann, ob er aufgrund des Art. 15 solche Weisungen hätte erlassen und welche Folgen er an ihre Nichtbeachtung hätte knüpfen können. Mangels einer solchen Weisung kann eine Aufsichtsbehörde Vergangenes lediglich zum Anlass einer Ermahnung oder eines Tadels machen, aber keine strafweise Kürzung von Betriebsbeiträgen damit verbinden, sofern diese Möglichkeit nicht ausdrücklich vorgesehen ist. bb) Nach Art. 16 FKG kann der Kleine Rat "Vorschriften über die Betriebs- und Rechnungsführung, die Rechnungsablage und die Taxgestaltung der Spitäler erlassen". Ob er aufgrund dieser Bestimmung nicht nur generell-abstrakte Vorschriften aufstellen, sondern auch Einzelverfügungen treffen kann, ist nicht zu prüfen, da er solche Verfügungen nicht erlassen hat. Von der Rechtsetzungsdelegation dagegen hat der Kleine Rat (entgegen der Behauptung der Beschwerdeführerin) Gebrauch gemacht, indem er am 30. Dezember 1964 Ausführungsbestimmungen zum FKG erliess (Gesetzessammlung 1965/67 S. 9 ff.). Diese enthalten vor allem technische Vorschriften über die Betriebs- und Rechnungsführung, aber auch Bestimmungen materieller Natur (z.B. Art. 5 und 6). Der hier in Betracht fallende Art. 4 Abs. 2, wonach "bei den Ausgaben die Grundsätze der Sparsamkeit und Wirtschaftlichkeit zu beachten" sind, ist indes viel zu allgemein gehalten und vermag die Überprüfung der Ausgaben auf ihre Angemessenheit und die Kürzung der Betriebsbeiträge auch deshalb nicht zu rechtfertigen, weil ihm nicht zu entnehmen ist, welche Folgen sich ergeben, wenn die Führung eines Betriebs dieses Gebot nach Auffassung der Aufsichtsbehörde nicht erfüllt. cc) Art. 17 FKG auferlegt den Spitälern in Abs. 1 neben BGE 96 I 341 S. 348 verschiedenen hier nicht in Betracht fallenden besondern Pflichten (lit. b-f) auch die allgemeine Pflicht, für "dauernden wirtschaftlichen Betrieb auf gemeinnütziger Grundlage im Dienste der allgemeinen Krankenpflege zu sorgen" (lit. a). Ferner bestimmt er in Abs. 3, dass bei Pflichtverletzung die Beiträge vom Kleinen Rat gesperrt werden können. Von einer "Pflichtverletzung" kann, was die in lit. a gebotene "Wirtschaftlichkeit" des Betriebs betrifft, indes nicht schon gesprochen werden, wenn eine Spitalleitung bestimmte Massnahmen trifft, z.B. Gehälter festsetzt, welche der Kleine Rat als nicht mehr angemessen erachtet. Eine Pflichtverletzung kann nur liegen in der Missachtung klarer gesetzlicher Vorschriften wie der in Art. 17 lit. b-f enthaltenen, einer rechtsgültigen Verfügung der Aufsichtsbehörde oder eines allgemein anerkannten Grundsatzes oder in einer eindeutigen Ermessensüberschreitung. Da im vorliegenden Falle eine Widerhandlung gegen eine klare gesetzliche Vorschrift ebensowenig gegeben ist wie gegen eine Verfügung der Aufsichtsbehörde, könnte nur eine Verletzung eines allgemein anerkannten Grundsatzes oder eine eindeutige Ermessensüberschreitung in Frage kommen. Davon könnte aber nur dann gesprochen werden, wenn die streitigen Arzthonorare völlig aus dem Rahmen fielen und sich schlechterdings nicht begründen liessen. Das trifft jedoch nicht zu. Die Verwaltungskommission der Beschwerdeführerin hat möglicherweise bei der Festsetzung dieser Honorare den besonderen Verhältnissen im Kanton Graubünden und in andern Regionalspitälern nicht genügend Rechnung getragen. Es kann ihr daher vielleicht Unangemessenheit vorgeworfen werden, wie es im angefochtenen Entscheid geschieht, jedoch keinesfalls eine Pflichtverletzung im Sinne des Art. 17 Abs. 3 FKG . Zudem sieht diese Bestimmung als Folge der Pflichtverletzung keine Kürzung der Beiträge vor, sondern ermächtigt den Kleinen Rat nur, sie zu sperren, d.h. bis zur Erfüllung der Pflicht zurückzubehalten. c) Aus dem Gesagten ergibt sich, dass weder das Gesetz noch die VV Anhaltspunkte dafür enthalten, dass der Kleine Rat einzelne Posten der Betriebsrechnung der Spitäler auf ihre Angemessenheit prüfen und sie im Falle der Unangemessenheit für die Bemessung des gesetzlichen Betriebsbeitrags kürzen darf. Im Gegenteil ergibt sich aus dem Zusammenhang, insbesondere aus der abweichenden Ordnung für die Bewilligung der Baubeiträge, BGE 96 I 341 S. 349 dass ihm eine entsprechende Entscheidungsfreiheit inbezug auf die Betriebsbeiträge nicht eingeräumt werden wollte. Über diese Regelung darf sich die Praxis umso weniger hinwegsetzen, als der Kleine Rat aufgrund seines Aufsichtsrechts die Möglichkeit hat, durch allgemeine Anordnungen (Ausführungsbestimmungen) wie durch konkrete Weisungen dem Missbrauch der Beitragspflicht des Staates zu steuern. Diese Möglichkeiten sind vom Kleinen Rat ganz offensichtlich bisher nicht ausgeschöpft worden. Sollten sie nicht ausreichen, so wäre es Sache des Gesetzgebers, dem Kleinen Rate wirksamere Mittel zur Verfügung zu stellen. Ob der Grosse Rat aufgrund des Art. 28 FKG befugt wäre, in der von ihm erlassenen VV dem Kleinen Rate die Prüfung der einzelnen Ausgabeposten auf ihre Angemessenheit und gegebenenfalls die Kürzung des für die Berechnung des Betriebsbeitrags massgebenden "Defizits des engeren Betriebsergebnisses" zu gestatten, ist hier nicht zu prüfen. Wesentlich ist, dass die VV, wie sie vorliegt, dem Kleinen Rat diese Befugnis ebenso wenig wie das Gesetz einräumt. Diese Entscheidung des Gesetzgebers hat der Kleine Rat hinzunehmen. Er darfnicht ein Ermessen in Anspruch nehmen, das ihm der Gesetzgeber zwar hätte einräumen können und nach der Sachlage wohl auch hätte einräumen sollen, das er ihm aber ganz offensichtlich nicht hat einräumen wollen. Wenn er gleichwohl für sich in Anspruch nahm, was er nach den Gesetzesmaterialien nicht einmal verlangt hat, so ist dies mit Sinn und Zweck des Gesetzes unvereinbar und stellt Willkür dar. Sein Standpunkt lässt sich auch nicht damit rechtfertigen, dass angesichts der ständig steigenden Spitalkosten ein dringendes Bedürfnis nach einer Beschränkung der Subventionierung auf notwendige und angemessene Ausgaben bestehe. Die Frage der Notwendigkeit und Dringlichkeit einer bestimmten Regelung stellt sich dem Gesetzgeber und nicht der das Gesetz anwendenden und vollziehenden Behörde. Es war zweifellos dem Verfasser der Entwürfe zum FKG und zur VV sowie dem Grossen Rate bekannt, dass staatliche Beiträge, deren Höhe letztlich vom Ermessen des Beitragsempfängers abhängt, nach einer Kontrolle dieses Ermessens rufen, ansonst der vernünftige Einsatz der öffentlichen Gelder wie auch die Gleichbehandlung der Empfänger in Frage gestellt sind (SCHINDLER a.a.O. S. 212/13). Das Gebot, entsprechende Vorschriften aufzustellen, BGE 96 I 341 S. 350 richtet sich aber an den Gesetzgeber und nicht an die gesetzesvollziehende Behörde. Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Beschwerde wird teilweise gutgeheissen und der Beschluss des Kleinen Rates des Kantons Graubünden vom 15. Dezember 1969 im Sinne der Erwägungen aufgehoben.
public_law
nan
de
1,970
CH_BGE
CH_BGE_001
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Federation
2100c6aa-9581-4aba-b4a8-159518e560ea
Urteilskopf 96 IV 99 25. Auszug aus dem Urteil des Kassationshofes vom 3. Juli 1970 i.S. Würsch gegen Staatsanwaltschaft des Kantons Nidwalden.
Regeste Art. 18 Abs. 2 StGB . Klarstellung des Begriffs des Eventualvorsatzes.
Erwägungen ab Seite 99 BGE 96 IV 99 S. 99 Aus den Erwägungen: Was den Tötungsvorsatz anbelangt, so stellt die Vorinstanz fest, dass der Beschwerdeführer auf die von ihm verletzten Personen gezielt habe. Das ist eine Feststellung tatsächlicher Art, die mit der Nichtigkeitsbeschwerde nicht angefochten werden kann ( Art. 273 Abs. 1 lit. b BStP ). Verbindlich für das Bundesgericht ist weiter die Annahme, Würsch habe als Militärdienstpflichtiger gewusst, dass das Sturmgewehr ein gefährliches Tötungsinstrument sei und dass er mit den gezielten Schüssen auch aus einer Entfernung von mehr als 300 m freistehende Personen tödlich treffen "könnte". Daraus folgert das Obergericht, dass der Beschwerdeführer mit einfachem Vorsatz gehandelt habe. Er habe gewollt, dass "etwas passiere", weil er aus seiner finanziellen und seelischen Bedrängnis keinen andern Ausweg mehr gewusst habe. Das sei der von ihm verfolgte Zweck gewesen. Um diesen zu erreichen, habe er auf Leute schiessen wollen, obwohl er gewusst habe, dass er auf diese Weise Menschen hätte töten können. Die Schiesserei sei somit ein Mittel zur Erreichung des verfolgten Zweckes gewesen. Damit kann jedoch der einfache Vorsatz nicht begründet werden. Dieser setzt das sichere Wissen um den Eintritt des deliktischen Erfolges voraus. Wie aber die Vorinstanz feststellt, wusste Würsch bloss, dass er mit den gezielten Schüssen den ungeschützten Personen tödliche Verletzungen beibringen könnte. Darin liegt indessen einzig das Bewusstsein um die Möglichkeit des Erfolgseintritts. Die Tötung war somit nach seiner Vorstellung nicht notwendige, sondern bloss BGE 96 IV 99 S. 100 mögliche Begleiterscheinung des von ihm erstrebten Zweckes (SCHWANDER, Das schweizerische Strafgesetzbuch, 2. Auflage, S. 93, Nr. 190). War aber sein Wissen nicht auf den bestimmten Eintritt der Tötungsfolge gerichtet, so entfällt die Annahme eines direkten Tötungsvorsatzes. Dagegen genügt ein solches Wissen für den Eventualvorsatz, der von der Vorinstanz subsidiär ebenfalls bejaht wurde. Zu diesem Wissen um die Möglichkeit des Erfolgseintritts muss indessen der Wille treten, die Tat zu begehen; denn die Unsicherheit berührt bei dieser Vorsatzform nur das Wissens-, nicht auch das Willenselement (SCHULTZ, Die strafrechtliche Rechtsprechung des Bundesgerichtes im Jahre 1966, ZBJV 1967, S. 419 f.; BGE 86 IV 11 ). Während die frühere Rechtsprechung dieses Erfordernis in unterschiedlicher Weise umschrieben und unter anderem ein Sich-Abfinden mit der Möglichkeit des Erfolgseintritts, ein Inkaufnehmen des Erfolgs hat genügen lassen ( BGE 73 IV 103 : "Einverstanden sein"; BGE 72 IV 125 , BGE 74 IV 47 und 83, BGE 92 IV 68 : "Billigen"; BGE 69 IV 80 , BGE 79 IV 34 , BGE 80 IV 191 , unveröffentlichtes Urteil vom 12. Oktober 1962 i.S. Kraft, S. 3/4: "Einverstanden sein" und "billigen"; unveröffentlichte Urteile vom 3. Februar 1967 i.S. Ulmann, S. 5, und vom 29. Mai 1964 i.S. Baumgartner, S. 7: "Billigen" und "sich abfinden"; BGE 81 IV 202 : "Sich innerlich abfinden" und "einverstanden sein" und "billigen"; unveröffentlichtes Urteil vom 14. Juni 1965 i.S. Basilicata, S. 3/4: "Inkaufnehmen" und "billigen" und "sich abfinden"; unveröffentlichtes Urteil vom 12. Oktober 1962 i.S. Kraft/Brodmann: "Inkaufnehmen" als "billigen" ausgelegt; BGE 75 IV 5 : "Gleichgültig gewesen"; BGE 85 IV 126 : "Accepter"; BGE 87 IV 72 : "Consentir"; BGE 86 IV 17 : "Consentir" und "s'en moquer"; BGE 84 IV 128 : "S'accommoder" und "accepter" und "admettre le résultat"), wurde in BGE 86 IV 17 und BGE 92 IV 67 entschieden, dass der Täter den Erfolg für den Fall seines Eintritts "billigen" müsse. Der Kassationshof hat sich dabei von der Überlegung leiten lassen, dass auch der bewusst fahrlässig handelnde Täter sich mit dem als möglich vorausgesehenen Erfolg abfinde, und dass deshalb einzig das Moment der "Billigung" eine zureichende Abgrenzung des Eventualvorsatzes von der bewussten Fahrlässigkeit gewährleiste. Demgegenüber wurde von der Lehre (GERMANN, Schweizerische Zeitschrift für Strafrecht, Band 77, 1961, S. 378 ff., und SCHULTZ, a.a.O.; SCHWANDER, a.a.O., S. 97, BGE 96 IV 99 S. 101 Nr. 199 a) geltend gemacht, die Formel des Inkaufnehmens oder Sich-Abfindens verdiene vor jener des Billigens den Vorzug, weil der mögliche Nebenerfolg dem Täter sehr unerwünscht oder zumindest nicht genehm sein könne, welche Möglichkeit in den beiden letztgenannten Entscheidungen übrigens ebenfalls bejaht wurde. Hat aber das Bundesgericht damit den Begriff des Billigens selber nicht notwendig im Sinne einer eigentlichen Zustimmung des Täters verstanden, so ist nicht ersichtlich, inwiefern er sich von demjenigen des Sich-Abfindens oder des Inkaufnehmens unterscheidet. Auch hat der deutsche Bundesgerichtshof, auf dessen Rechtsprechung in BGE 92 IV 69 verwiesen wurde, den Begriff der "Billigung" in keinem andern Sinne verstanden, hat er doch im gleichen Entscheid die Ausdrücke "billigen", "sich abfinden" und "inkaufnehmen" als gleichwertig verwendet. Abgesehen davon aber erfordert auch die Notwendigkeit einer klaren Unterscheidung zwischen Eventualvorsatz und bewusster Fahrlässigkeit keine gegenüber der frühern Rechtsprechung einschränkende Umschreibung des Willensmomentes. Beim Eventualvorsatz wie bei der bewussten Fahrlässigkeit weiss der Täter um die Möglichkeit des Erfolgseintritts. Beim Eventualvorsatz will er diesen Erfolg für den Fall seines Eintritts, indem er sich, namentlich auch dann, wenn er ihm nicht genehm ist, damit abfindet oder ihn in Kauf nimmt. Bei der bewussten Fahrlässigkeit dagegen vertraut der Täter aus pflichtwidriger Unvorsichtigkeit darauf, dass der als möglich vorausgesehene Erfolg nicht eintreten werde. Insofern lässt sich bewusste Fahrlässigkeit im Gegensatz zum Eventualvorsatz als bewusste Verneinung des Erfolgseintrittes bezeichnen (SCHWANDER, a.a.O., S. 95, Nr. 197). Diese Abgrenzung der beiden Schuldformen wurde bereits in BGE 69 IV 80 mit aller Deutlichkeit vollzogen. Eine erneute Prüfung der Frage ergibt demnach, dass an der einschränkenden Rechtsprechung, wie sie in BGE 86 IV 17 und BGE 92 IV 67 veröffentlicht wurde, nicht festgehalten werden kann. Zur Annahme des Eventualvorsatzes genügt, wenn der Täter sich mit dem als möglich vorausgesehenen Erfolg für den Fall seines Eintritts abfindet oder ihn in Kauf nimmt. Mit der tatsächlichen Feststellung, der Beschwerdeführer habe im vorliegenden Fall eine Tötung der ungeschützten Personen, auf welche er gezielte Schüsse abgab, in Kauf genommen, hat somit die Vorinstanz auch das Willenselement des Eventualvorsatzes für den Kassationshof verbindlich bejaht.
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1,970
CH_BGE
CH_BGE_006
CH
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2101173a-0282-4e17-bd08-cf30a79f44eb
Urteilskopf 99 III 1 1. Auszug aus dem Entscheid vom 11. Oktober 1973 i.S. Erich Schaad und Erich Schaad & Co.
Regeste Verbot der Zwangsvollstreckung unter Ehegatten; Art. 173 ZGB . Die Betreibung einer Ehefrau gegen eine Kommanditgesellschaft, der ihr Ehemann angehört, fällt nicht unter das Verbot der Zwangsvollstreckung unter Ehegatten, auch wenn der Ehemann der einzige Komplementär und die betreibende Ehefrau die einzige Kommanditärin dieser Gesellschaft ist.
Sachverhalt ab Seite 1 BGE 99 III 1 S. 1 A.- Die Firma Erich Schaad & Co. ist eine Kommanditgesellschaft, die aus Erich Schaad als Komplementär und aus dessen Ehefrau Gertrud Schaad als Kommanditärin besteht. Mit Zahlungsbefehl Nr. 60568 des Betreibungsamtes Zürich 11 vom 31. Januar 1973 betrieb Gertrud Schaad die Erich Schaad & Co. gestützt auf einen Darlehensvertrag vom 1. Januar 1971 BGE 99 III 1 S. 2 für einen Betrag von Fr. 45'000.-- nebst Zins. Die Betrlebene schlug Recht vor. B.- Am 24. Mai 1973 erhoben Erich Schaad und die Erich Schaad & Co. betreibungsrechtliche Beschwerde mit dem Antrag, die Betreibung Nr. 60568 und der Zahlungsbefehl vom 31. Januar 1973 seien nichtig zu erklären, da die Betreibung gegen das Verbot der Zwangsvollstreckung unter Ehegatten gemäss Art. 173 ZGB verstosse. Das Bezirksgericht Zürich als untere kantonale Aufsichtsbehörde wies die Beschwerde mit Beschluss vom 20. Juni 1973 von der Hand. Dieser Beschluss wurde vom Obergericht des Kantons Zürich als oberer kantonaler Aufsichtsbehörde am 25. Juli 1973 bestätigt, mit dem Unterschied, dass die Beschwerde nicht von der Hand gewiesen, sondern abgewiesen wurde. C.- Mit dem vorliegenden Rekurs an die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer des Bundesgerichts beantragen Erich Schaad und die Erich Schaad & Co., der Entscheid des Obergerichts sei aufzuheben und die Betreibung sei nichtig zu erklären. Die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer weist den Rekurs ab. Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. Die Kommanditgesellschaft hat keine eigene Rechtspersönlichkeit ( BGE 95 II 549 ; BGE 78 I 12 , 120; BGE 72 II 181 /182). Träger der Rechte und Pflichten der Gesellschaft sind einzig die Gesellschafter ( BGE 78 I 12 , 120; HARTMANN, N. 3 zu Art. 602 OR ). Diese sind zu gesamter Hand am Gesellschaftsvermögen berechtigt (HARTMANN, N. 4 zu Art. 602 OR ; SIEGWART, N. 1 zu Art. 602, N. 2 und 3 zu Art. 562 OR ) und haften persönlich für die Schulden der Gesellschaft, der Komplementär mit seinem ganzen Vermögen, der Kommanditär bis zur Höhe der Kommanditsumme (Art. 594 Abs. 1 und 608 Abs. 1 OR). Die Kommanditgesellschaft kann indessen nach Art. 602 OR unter ihrer Firma Rechte erwerben und Verbindlichkeiten eingehen, vor Gericht klagen und verklagt werden. Sie kann daher auf diese Weise selbständig im Rechtsverkehr auftreten. Insofern ist sie rechts- und parteifähig wie eine juristische Person (GUHL/MERZ/KUMMER, Das Schweizerische Obligationenrecht, 6. Aufl., S. 535; HARTMANN, N..2 zu Art. 602 OR ; SIEGWART, N. 1 zu Art. 602, N. 1-14 zu Art. 562 OR ). Insbesondere kann sie als Gläubigerin oder Schuldnerin BGE 99 III 1 S. 3 Partei einer Betreibung sein (vgl. Art. 39 Abs. 1 Ziff. 6 und Art. 46 Abs. 2 SchKG ; FRITZSCHE, Schuldbetreibung und Konkurs, 2. Aufl., Bd. I, S. 53); dabei kann sie ihre Rechte im Betreibungsverfahren selbst wahrnehmen (vgl. dazu FRITZSCHE, a.a.O. S. 54 ff.). Sodann hat die Kommanditgesellschaft ein eigenes Vermögen, das vom Privatvermögen der einzelnen Gesellschafter zu unterscheiden ist. Die Privatgläubiger eines Gesellschafters können nicht auf dieses Vermögen greifen, sondern lediglich auf das, was dem Schuldner an Zinsen, Honorar, Gewinn und Liquidationsanteil aus dem Gesellschaftsverhältnis zukommt ( Art. 613 OR ). Im Konkurs der Gesellschaft wird das Gesellschaftsvermögen ausschliesslich zur Befriedigung der Gesellschaftsgläubiger verwendet ( Art. 616 Abs. 1 OR ). Auf der andern Seite kann der unbeschränkt haftende Gesellschafter für eine Gesellschaftsschuld erst dann persönlich belangt werden, wenn die Gesellschaft aufgelöst oder erfolglos betrieben worden ist ( Art. 604 OR ), oder wenn er selbst in Konkurs gefallen ist (vgl. Art. 568 Abs. 3 OR ; HARTMANN, N. 6, und SIEGWART, N. 1 zu Art. 604 OR ). Seine Haftung ist somit bloss subsidiär (HARTMANN, N. 3 zu Art. 604 OR ). Der Kommanditär kann während der Dauer der Gesellschaft überhaupt nicht belangt werden; im Falle der Auflösung der Gesellschaft können die Gesellschaftsgläubiger nur verlangen, dass die Kommanditsumme in die Liquidations- bzw. Konkursmasse eingeworfen wird ( Art. 610 OR ). Dass die beiden Vermögensmassen auseinanderzuhalten sind, ergibt sich ferner auch aus der Regelung des Verrechnungsrechts (Art. 614 in Verbindung mit Art. 573 OR ) sowie daraus, dass sich Gesellschaftskonkurs und Gesellschafterkonkurs gegenseitig nicht bedingen ( Art. 615 OR ). Unter diesen Umständen lässt sich nicht sagen, eine Betreibung gegen eine Kommanditgesellschaft für eine Gesellschaftsschuld sei gegen den unbeschränkt haftenden Gesellschafter gerichtet, obwohl dieser mit seinem ganzen Vermögen für die Verbindlichkeiten der Gesellschaft haftet. Gegenstand der Zwangsvollstreckung ist nach dem Gesagten lediglich das Gesellschaftsvermögen, das nicht nur dem Betriebenen, sondern allen Gesellschaftern, auch den Kommanditären ( BGE 78 I 12 ; HARTMANN, N. 3 und 4, und SIEGWART, N. 1 zu Art. 602 OR ), zur gesamten Hand zusteht. Daher fällt die Betreibung einer Ehefrau gegen eine Kommanditgesellschaft, der ihr Ehemann angehört, nicht unter das Verbot der Zwangsvollstreckung BGE 99 III 1 S. 4 unter Ehegatten, und zwar auch dann nicht, wenn der Ehemann der einzige Komplementär und die betreibende Ehefrau die einzige Kommanditärin dieser Gesellschaft ist.
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1,973
CH_BGE
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2107bf34-f2f3-4ad8-b022-515e8bf6d9a1
Urteilskopf 122 III 34 6. Auszug aus dem Urteil der Schuldbetreibungs- und Konkurskammer vom 27. Februar 1996 i.S. Stadt Schlieren (Rekurs)
Regeste Art. 19 Abs. 1 SchKG ; Art. 15 SchKG ; Art. 2 Abs. 3 SchKG . Anfechtungsgegenstand im Rekursverfahren gemäss Art. 19 Abs. 1 SchKG ist immer ein gesetzwidriger Entscheid einer kantonalen Aufsichtsbehörde (E. 1). Im vorliegenden Fall besteht auch kein Anlass, gestützt auf Art. 15 SchKG zu den aufgeworfenen Fragen Stellung zu nehmen; denn es liegt in der alleinigen Kompetenz der Kantone, ob sie einem Betreibungsamt die Zusammenarbeit mit einem ausserkantonalen EDV-Anbieter erlauben wollen oder nicht (E. 2).
Sachverhalt ab Seite 34 BGE 122 III 34 S. 34 Das Betreibungsamt Schlieren hatte das Betreibungsinspektorat des Kantons Zürich ersucht, ihm die Einführung der EDV mit dem Softwareprogramm der Verwaltungsrechenzentrum AG St. Gallen, mit Anschluss am Rechenzentrum in St. Gallen, zu bewilligen. BGE 122 III 34 S. 35 Dieses Gesuch wies die Verwaltungskommission des Obergerichts des Kantons Zürich mit Beschluss vom 18. März 1994 ab. Ein diesbezügliches Wiedererwägungsgesuch, eingereicht von der Stadt Schlieren am 4. Dezember 1995, wurde von der Verwaltungskommission des Obergerichts des Kantons Zürich mit Beschluss vom 16. Januar 1996 abgewiesen. Mit einer Eingabe, die sie als "Rekurs/Aufsichtsbeschwerde" bezeichnete, zog die Stadt Schlieren die Sache innert der gesetzlichen Frist des Art. 19 Abs. 1 SchKG an die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer des Bundesgerichts weiter. Diese trat weder auf den Rekurs noch auf das Gesuch um Stellungnahme aufgrund von Art. 15 SchKG ein. Erwägungen Aus den Erwägungen: 1. Der Beschluss der Verwaltungskommission des Obergerichts des Kantons Zürich kann auf keinen Fall mit Rekurs gemäss Art. 19 Abs. 1 SchKG an die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer des Bundesgerichts weitergezogen werden; denn Anfechtungsgegenstand im Rekursverfahren ist nach der soeben zitierten Bestimmung immer ein gesetzwidriger Entscheid einer kantonalen Aufsichtsbehörde. Dem bleibt nur beizufügen, dass die Rüge der Verletzung verfassungsmässiger Rechte im Rahmen eines Rekurses gemäss Art. 19 Abs. 1 SchKG unzulässig gewesen wäre (Art. 43 Abs. 1 in Verbindung mit Art. 81 OG ; BGE 117 III 44 E. 2a; POUDRET/SANDOZ-MONOD, N. 1.2.2 zu Art. 79 OG ). 2. Es besteht auch kein Anlass, gestützt auf Art. 15 SchKG Stellung zu den von der Stadt Schlieren aufgeworfenen Fragen zu nehmen, wie dies etwa in BGE 103 III 76 und BGE 101 III 65 zwecks grundsätzlicher Klärung der Anwendung von Vorschriften des Bundesgesetzes über Schuldbetreibung und Konkurs geschehen ist. Klarerweise liegt es in der alleinigen Kompetenz der Kantone, darüber zu entscheiden, ob sie einem Betreibungsamt die Zusammenarbeit mit einem ausserkantonalen EDV-Anbieter - "Outsourcing", wie dies in der vorliegenden Rechtsschrift genannt wird - erlauben wollen oder nicht ( Art. 2 Abs. 3 SchKG ). Die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer des Bundesgerichts hat die Richtlinien für die Einführung der EDV bei den Betreibungsämtern des Kantons Zürich geprüft, soweit dies aus der Sicht des Bundesrechts erforderlich war, und mit Schreiben vom 21. November 1988 die Bewilligung für deren Inkraftsetzung erteilt.
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1,996
CH_BGE
CH_BGE_005
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2109728b-756c-45be-a248-b1d7b4e151b0
Urteilskopf 99 IV 180 39. Auszug aus dem Entscheid der Anklagekammer vom 13. September 1973 i.S. Staatsanwaltschaft des Kantons Schaffhausen gegen Generalprokurator des Kantons Bern.
Regeste Art. 346 StGB . Gerichtsstand zur Verfolgung des Täters, der seine Unterhaltspflichten gegenüber einem Berechtigten im Ausland vernachlässigt.
Sachverhalt ab Seite 180 BGE 99 IV 180 S. 180 A.- Das Kantonsgericht Schaffhausen verpflichtete am 11. Februar 1969 den italienischen Staatsangehörigen Armando Trapletti, seinem ausserehelichen Kinde Michaela Maria Lässer von dessen am 17. November 1967 erfolgten Geburt an bis zur Vollendung des achtzehnten Altersjahres monatliche Unterhaltsbeiträge von Fr. 120.-- zuzüglich allfällige gesetzliche oder vertragliche Kinderzulagen zu zahlen. Am 16./20. Mai 1973 erstattete die Bezirkshauptmannschaft BGE 99 IV 180 S. 181 Feldkirch, welche die Vormundschaft über Michaela Maria Lässer führt, beim Polizeikommando des Kantons Schaffhausen gegen Trapletti Strafanzeige wegen Vernachlässigung dieser Unterhaltspflicht. Sie machte geltend, Ende Mai 1973 erreichten die rückständigen Beiträge Fr. 7136.--. Der Beschuldigte habe in Schaffhausen zivilrechtlichen Wohnsitz, halte sich dort hin und wieder besuchsweise bei seinen Angehörigen auf, sei aber im übrigen an anderen Orten als Musiker tätig. Polizeiliche Erhebungen in den Kantonen Schaffhausen, Bern und Graubünden ergaben, dass der Beschuldigte vom 4. Dezember 1971 bis Ende Januar 1972 in Valbella (GR) gewesen war, sich im Juni 1973 in Biel aufhielt, den Monat Juli 1973 in Interlaken verbrachte und anschliessend je einen halben Monat in Basel und Luzern, nachher vierzehn Tage in Deutschland und schliesslich vom 15. September 1973 an in Feldrein am Wörtersee zu arbeiten beabsichtigte. Vom 6. Juni 1972 bis am 6. Juni 1973 soll er dem von der Bezirkshauptmannschaft Feldkirch mit dem Inkasso der Unterhaltsbeiträge beauftragten Amtsvormund von Tiefencastel insgesamt Fr. 600.-- geleistet haben. B.- Am 24. Juli 1973 ersuchte die Staatsanwaltschaft des Kantons Schaffhausen den Generalprokurator des Kantons Bern, die Verfolgung des Beschuldigten im Kanton Bern einzuleiten. Der Generalprokurator antwortete am 26. Juli 1973, die Behörden des Kantons Schaffhausen seien zuständig. Auf Veranlassung der Staatsanwaltschaft stellte hierauf das Polizeikommando des Kantons Schaffhausen am 10. August 1973 durch Befragung des Vaters des Beschuldigten fest, dass dieser im Laufe eines Jahres zwei Wochen in Schaffhausen in den Ferien war und sich auch an zwei freien Sonntagen dort aufhielt. C.- Mit Gesuch vom 28. August/7. September 1973 beantragt die Staatsanwaltschaft des Kantons Schaffhausen der Anklagekammer des Bundesgerichtes, die Behörden des Kantons Bern zur Verfolgung und Beurteilung des Beschuldigten zuständig zu erklären. Erwägungen Die Anklagekammer zieht in Erwägung: 1. Wer in der Zeit, da er sich in der Schweiz befindet, im Sinne des Art. 217 StGB Unterhaltspflichten vernachlässigt, hat sich selbst dann hier zu verantworten, wenn der Unterhaltsberechtigte BGE 99 IV 180 S. 182 den Wohnsitz im Auslande hat. Der Unterhaltspflichtige kann diesfalls überall dort verfolgt werden, wo er zur Zeit, da er hätte erfüllen sollen, sich aufhielt. An diesen Orten fasste er den massgebenden Entschluss und dauerte sein böser Wille, seine Arbeitsscheu oder seine Liederlichkeit an, und hier unterliess er die Vorkehren, die er hätte treffen müssen, um dem Berechtigten die geschuldeten Leistungen zukommen zu lassen. Das sind im Sinne des Art. 346 StGB die Ausführungsorte seines Unterlassungsdeliktes ( BGE 82 IV 68 f.). Bestehen mehrere Ausführungsorte im Sinne dieser Rechtsprechung, so befindet sich der Gerichtsstand an jenem, wo die Untersuchung zuerst angehoben wurde ( Art. 346 Abs. 2 StGB ). Es kommt nicht darauf an, an welchem der mehreren Orte der Beschuldigte sich länger aufgehalten hat oder im Zeitpunkt der Anhebung der Untersuchung sich befindet. Unerheblich ist auch, an welchem Orte er arbeitete und Verdienst hatte; denn die Erfüllungshandlungen sind nicht nur an diesem Orte, sondern überall dort vorzunehmen, wo der Unterhaltspflichtige weilt und dazu in der Lage ist, z.B. auch an seinen Ferienorten. Das ergibt sich schon daraus, dass auch der Müssige einen Gerichtsstand haben muss. 2. Die Untersuchung ist am 20. Mai 1973 durch den Eingang der Strafanzeige beim Polizeikommando des Kantons Schaffhausen angehoben worden ( BGE 68 IV 6 , 53, BGE 71 IV 59 , BGE 75 IV 140 ). Schaffhausen ist auch einer der mehreren Ausführungsorte. Hier hat sich der Beschuldigte in der Zeit, da er Unterhaltsbeiträge hätte leisten sollen, zeitweise aufgehalten. Der Gerichtsstand befindet sich daher in Schaffhausen. 3. Es besteht kein Grund, in sinngemässer Anwendung des Art. 263 BStP hievon abzuweichen. Die Einkommens- und Verdienstverhältnisse des Beschuldigten können von Schaffhausen aus nicht weniger gut festgestellt werden als von einem seiner stets wechselnden Arbeitsorte aus. Es ist namentlich nicht zu ersehen, inwiefern das vom Kanton Bern aus, den Trapletti schon wieder verlassen hat, besser geschehen könnte. Dazu kommt, dass der Beschuldigte in Schaffhausen seine Schriften hinterlegt hat, diesen Ort also als Mittelpunkt seines Lebens betrachtet, soweit ein herumreisender Musiker ein solches Zentrum überhaupt haben kann. Mit Schaffhausen bleibt er durch seine Angehörigen, die er von Zeit zu Zeit besucht, auch am engsten in Verbindung. Hier kann über ihn und seinen jeweiligen Aufenthaltsort Auskunft erhalten werden, BGE 99 IV 180 S. 183 und hier behalten ihn wegen seines polizeilichen Wohnsitzes vermutlich auch die Steuerbehörden im Auge. In Schaffhausen wurde auch der Prozess durchgeführt, in dem der Beschuldigte zur Leistung der Unterhaltsbeiträge verpflichtet wurde. Dispositiv Demnach erkennt die Anklagekammer: Das Gesuch wird abgewiesen, und die Behörden des Kantons Schaffhausen werden zuständig erklärt, Armando Trapletti wegen Vernachlässigung der Unterstützungspflicht zu verfolgen und zu beurteilen.
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Urteilskopf 113 Ib 148 26. Auszug aus dem Urteil der I. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 28. Juli 1987 i.S. Eidgenössisches Departement des Innern gegen Politische Gemeinde Surcuolm und Regierung des Kantons Graubünden (Verwaltungsgerichtsbeschwerde)
Regeste Art. 25bis Abs. 1 lit. a und Art. 25ter FPolV . Kompetenzdelegation des Bundes an die Kantone zur Bewilligung von Rodungen im Schutzwaldgebiet: Ist eine erste Bewilligung durch Zeitablauf untergegangen und wurden die entsprechenden Rodungen überhaupt nicht vorgenommen, so darf sie bei der Berechnung der anzurechnenden Rodungsfläche in einem späteren Verfahren nicht berücksichtigt werden (E. 2). Art. 26 FPolV . Koordination der für die Erstellung eines öffentlichen Werkes notwendigen Bewilligungen mit der Rodungsbewilligung nach Art. 26 FPolV (E. 3).
Sachverhalt ab Seite 148 BGE 113 Ib 148 S. 148 Die Gemeinde Surcuolm stellte am 30. Mai 1986 ein Rodungsgesuch für ca. 2500 m2 Schutzwald für die Errichtung einer Aushub- und BGE 113 Ib 148 S. 149 Bauschuttdeponie. Das Gesuch bezieht sich auf die im Gebiet "Val da Cavegn" in der Gemeinde Surcuolm gelegenen Parzellen Nrn. 143 und 149. Nach der Durchführung eines Augenscheins am 17. Juli 1986 änderte die Gemeinde Surcuolm ihr Projekt, was zur Folge hatte, dass sich die Rodungsfläche auf ca. 2000 m2 reduzierte. Mit Entscheid vom 16. März 1987 entsprach die Regierung des Kantons Graubünden diesem Gesuch unter verschiedenen Bedingungen und Auflagen. Am 12. Mai 1980 hatte sie der Gemeinde Surcuolm für den gleichen Zweck bereits eine Rodung von ca. 1330 m2 Schutzwald bewilligt. Die Gemeinde hatte aber von dieser Ende 1983 abgelaufenen Rodungsbewilligung für einen ca. 700 m östlich von "Val da Cavegn" liegenden Standort keinen Gebrauch gemacht. Sie bezeichnet die gemäss Rodungsgesuch vom 30. Mai 1986 geplante Deponie als kostengünstiger. Gegen den Rodungsentscheid der Regierung vom 16. März 1987 führt das Eidgenössische Departement des Innern (EDI) Verwaltungsgerichtsbeschwerde und beantragt, dieser sei wegen Verletzung von Bundesrecht ( Art. 104 lit. a OG ) aufzuheben und die Sache sei mangels Zuständigkeit der kantonalen Behörden an das Bundesamt für Forstwesen und Landschaftsschutz zur Neubeurteilung zurückzuweisen. Erwägungen Auszug aus den Erwägungen: 2. a) Gemäss Art. 25bis Abs. 1 lit. a FPolV liegt die Kompetenz für die Bewilligung von Rodungen im Schutzwaldgebiet bis und mit einer Fläche von 30 a bei der zuständigen kantonalen Behörde. Zur Ermittlung der für die Zuständigkeit zur Erteilung von Bewilligungen massgebenden Rodungsflächen sind, unabhängig von den territorialen und eigentumsrechtlichen Verhältnissen, alle Rodungen zusammenzuzählen, welche für das gleiche Werk anbegehrt werden ( Art. 25ter FPolV ). b) Die Regierung des Kantons Graubünden erteilte am 12. Mai 1980 für die Erstellung einer Aushub- und Bauschuttdeponie bereits einmal eine ca. 1330 m2 umfassende Rodungsbewilligung, und zwar für die Parzellen Kat. Nrn. 149 und 163 im Raume "Cavegn" in der Gemeinde Surcuolm. Zusammen mit der heute zu beurteilenden Rodungsfläche auf den Parzellen 143 und 149 im Gebiet "Val da Cavegn" ergibt sich eine Gesamtrodungsfläche von mehr als 3000 m2 Wald. Entspricht diese Zusammenzählung der beiden BGE 113 Ib 148 S. 150 Rodungsflächen den Grundsätzen von Art. 25ter FPolV , so ist für die Beurteilung des Rodungsgesuchs für ca. 2000 m2 Schutzwald im Gebiet "Val da Cavegn" nicht die Regierung des Kantons Graubünden, sondern das Bundesamt für Forstwesen und Landschaftsschutz zuständig ( Art. 25bis Abs. 1 lit. a FPolV i.V.m. Art. 10 Ziff. 4 des Bundesratsbeschlusses betreffend die Zuständigkeit der Departemente und der ihnen unterstellten Amtsstellen zur selbständigen Erledigung von Geschäften vom 17. November 1914). Regierung und Gemeinde vertreten nun aber die Auffassung, die im Jahre 1980 erteilte Rodungsbewilligung für ca. 1330 m2 Wald dürfe bei der Festlegung der Zuständigkeit für die Beurteilung des Rodungsgesuches von 1986 nicht berücksichtigt werden, da von dieser Erlaubnis kein Gebrauch gemacht worden sei. Das damalige Projekt habe die Gemeinde nicht ausgeführt, sondern in der Folge ein völlig neues Konzept erarbeitet. Für die Verwirklichung dieses Vorhabens sei mit dem angefochtenen Regierungsbeschluss vom 16. März 1987 eine Rodung von ca. 2000 m2 bewilligt worden. Beide Rodungen seien zwar für denselben Zweck gestattet worden, aber es gehe um verschiedene Projekte, weshalb fraglich sei, ob man vom gleichen Werk im Sinne des Gesetzes sprechen könne. Die Regierung habe jedenfalls die Auffassung vertreten, es gehe um zwei verschiedene Projekte oder Werke, weshalb die frühere Rodungsfläche bei der Ermittlung der Zuständigkeit nicht berücksichtigt werden müsse. Doch selbst wenn diese Auffassung nicht richtig sei, liege nur eine geringfügige Kompetenzüberschreitung vor, die unbeachtet bleiben dürfe, da die Voraussetzungen für die Erteilung der Rodungsbewilligung ohnehin erfüllt seien. Seitens der Gemeinde wird ausdrücklich betont, das erste Deponieprojekt in "Cavegn" sei fallengelassen worden. Die Gemeinde benötige nur einen Platz für die Ablagerung von Bauschutt, und dieser beanspruche weniger als 3000 m2 Schutzwald. Es bestehe auch nicht die Absicht, für denselben Zweck weitere Flächen zu roden. c) Für die Beurteilung der streitigen Zuständigkeitsfrage ist zunächst ein Blick auf das Bundesgesetz betreffend die eidgenössische Oberaufsicht über die Forstpolizei vom 11. Oktober 1902 (FPolG) zu werfen. Gemäss Art. 31 Abs. 2 FPolG bedürfen alle Rodungen in Schutzwaldungen der Bewilligung des Bundesrates. In Art. 50 Abs. 2 FPolG wird der Bundesrat jedoch ermächtigt, einzelne, ihm aufgrund des Gesetzes zustehende Befugnisse ganz oder teilweise auf die Kantone zu übertragen. Für die Bewilligung BGE 113 Ib 148 S. 151 von Rodungen im Schutzwaldgebiet können sie jedoch nur bis zu einer Fläche von 30 a im Einzelfall zuständig erklärt werden. Der Bundesrat hat in der Forstpolizeiverordnung von dieser Delegationsmöglichkeit Gebrauch gemacht und erklärt in Art. 25bis Abs. 1 lit. a FPolV im Schutzwaldgebiet für die Bewilligung von Rodungen bis und mit 30 a die zuständige kantonale Behörde als zuständig. In Art. 25ter FPolV hat er diese Kompetenzdelegation jedoch präzisiert, indem er vorschreibt, zur Ermittlung der für die Zuständigkeit massgebenden Rodungsflächen seien, unabhängig von den territorialen und eigentumsrechtlichen Verhältnissen, alle Rodungen zusammenzuzählen, welche für das gleiche Werk anbegehrt werden. Bei der Auslegung dieser Bestimmung stellt sich die Frage, ob es für die Anrechnung von Rodungsflächen früherer Bewilligungen darauf ankommt, ob und inwieweit von diesen Gebrauch gemacht worden ist. Der Wortlaut legt die Annahme nahe, dies sei unerheblich, ist doch nur von "anbegehrt" die Rede. Im Hinblick auf die Zielsetzung von Art. 25ter FPolV ( BGE 99 Ib 503 E. 3), zu verhindern, dass die Vorschrift von Art. 25bis Abs. 1 lit. a FPolV unterlaufen wird, muss es für die Anrechenbarkeit früher bewilligter Rodungsgesuche jedoch von Bedeutung sein, ob von diesem Gebrauch gemacht worden ist. Ist die Bewilligung, wie im vorliegenden Fall, durch Zeitablauf untergegangen und wurden die entsprechenden Rodungen überhaupt nicht vorgenommen, so darf sie bei der Berechnung der anzurechnenden Rodungsfläche in einem späteren Verfahren nicht berücksichtigt werden. In einem solchen Fall ist eine Umgehung von Art. 25bis Abs. 1 lit. a FPolV nicht zu befürchten. Anders liegen die Verhältnisse, falls von einer früheren Rodungsbewilligung, wenn auch nur zu einem kleinen Teil, Gebrauch gemacht worden oder wenn diese noch nicht abgelaufen ist. Dann erscheint es als sachlich begründet, die früher bewilligte Rodungsfläche in vollem Umfange im neuen Rodungsverfahren anzurechnen. Das befreit die Forstbehörden davon, abzuklären, ob von einer noch gültigen Rodungsbewilligung noch Gebrauch gemacht wird, und den Umfang festzustellen, in welchem eine früher erlaubte Rodung ausgeführt worden ist. Diese Auslegung von Art. 25ter FPolV drängt sich auch aus Gründen der Rechtssicherheit auf. Sie führt überdies zu einer erheblichen Vereinfachung des Verfahrens. Im Hinblick auf die in den Art. 31 Abs. 2 und 50 Abs. 2 FPolG enthaltene Regelung kann es dem Bundesrat nicht verwehrt sein, die Kompetenzdelegation an die Kantone restriktiv zu umschreiben. Auch unter diesem Gesichtspunkt BGE 113 Ib 148 S. 152 erscheint die eben erörterte Auslegung von Art. 25ter FPolV als zutreffend. Da die Gemeinde Surcuolm von der Rodungsbewilligung für ca. 1330 m2, welche ihr am 12. Mai 1980 erteilt worden ist, keinen Gebrauch gemacht hat und weil deren Gültigkeit Ende 1983 abgelaufen ist, muss diese frühere Rodungsbewilligung im vorliegenden Verfahren bei der Berechnung der für die Zuständigkeit massgeblichen Rodungsfläche ausser acht bleiben. Entgegen der Auffassung des EDI bleibt es deshalb gemäss Art. 25bis Abs. 1 lit. a FPolV bei der Zuständigkeit der kantonalen Behörden. 3. a) Das EDI wirft der Regierung des Kantons Graubünden im weiteren vor, sie habe Art. 26 FPolV verletzt; die Fragen der Standortgebundenheit und der Zonenkonformität der Deponie seien zuwenig eingehend geprüft worden. Ferner werde bei der projektierten Wiederherstellung und Aufforstung den Interessen des Landschaftsschutzes und des Naturschutzes vermehrt Rechnung zu tragen sein. b) Gemäss Art. 26 Abs. 1 FPolV dürfen Rodungen nur bewilligt werden, wenn sich hiefür ein gewichtiges, das Interesse an der Walderhaltung überwiegendes Bedürfnis nachweisen lässt. Das Werk, für welches die Rodung begehrt wird, muss auf den vorgesehenen Standort angewiesen sein. Finanzielle Interessen, wie möglichst einträgliche Nutzung des Bodens oder billige Beschaffung von Land, gelten nicht als gewichtiges Bedürfnis im Sinne von Abs. 1 ( Art. 26 Abs. 3 FPolV ). Dem Natur- und Heimatschutz ist gebührend Rechnung zu tragen ( Art. 26 Abs. 4 FPolV ). Diese Grundsätze gelten auch für Körperschaften des öffentlichen Rechts (Urteil des Bundesgerichts vom 17. Dezember 1985, E. 2, in ZBl 87/1986, S. 486 f., S. 487, sowie BGE 106 Ib 43 E. 2 mit Hinweisen). Nach der Praxis des Bundesgerichts ist ein öffentliches Interesse an einer Waldrodung für ein öffentliches Werk aber erst dann dargetan, wenn dieses wenigstens als generelles Projekt von der zuständigen Baubehörde durch deren Fachorgane geprüft und positiv beurteilt worden ist. Das gilt im Bahn- und Strassenbau wie auch bei der Schaffung anderer öffentlicher Werke im Waldareal (Urteil des Bundesgerichts vom 11. März 1981, E. 2, in ZBl 83/1982, S. 74 f., sowie unveröffentlichtes Urteil des Bundesgerichts vom 23. Mai 1985 in Sachen Ortsbürgergemeinde Rupperswil, E. 3; ROLF MATTER, Forstwesen und Raumplanung, ZBl 88/1987, S. 101 f.). Eine solche Prüfung fehlt hier. Das Forstinspektorat Graubünden erklärt denn auch in einer Stellungnahme vom 5. Mai 1987, es treffe zu, dass die BGE 113 Ib 148 S. 153 raumplanerischen Rahmenbedingungen bisher noch nicht geschaffen worden seien. Die angefochtene Rodungsbewilligung wird nicht unter dem Vorbehalt der Schaffung einer Deponie- und Abbauzone erteilt. In Ziff. 13 des Dispositivs des angefochtenen Entscheides wird vielmehr bloss angeordnet, die raumplanerischen Voraussetzungen für eine längerfristige Deponie - wie sie die Gemeinde Surcuolm plant - seien mit der Ausscheidung einer entsprechenden Zone erst noch zu schaffen. Ob sich eine solche Nutzungsplanung durchführen lässt oder ob dieses Vorhaben im Rahmen des Festsetzungs- oder des daran anschliessenden Rechtsschutzverfahrens scheitert, ist offen. Im angefochtenen Entscheid wird ausgeführt, nach Angaben des Amtes für Raumplanung befinde sich die geplante Deponie in unmittelbarer Nähe einer Wohnzone I (2. Etappe). In der Stellungnahme vom 23. Juli 1986 hält diese Behörde die Nachbarschaft von Deponie und Wohnzone aus Immissionsgründen für unerwünscht. Zudem regt sie an, die Lösung des Deponieproblems auf überkommunaler Ebene zu suchen, wenn in der Gemeinde Surcuolm tatsächlich kein besserer Standort zur Verfügung stehe. Trotz diesen ernstzunehmenden Einwendungen seitens der bau- und planungsrechtlichen Fachinstanz, durch welche unter anderem die Standortgebundenheit des Deponieprojekts in Frage gestellt wird, will die Gemeinde im Einvernehmen mit der Regierung die Deponie umgehend und offenbar vor der Festsetzung einer entsprechenden Zone in Betrieb nehmen, hat sie sich doch im vorliegenden Verfahren vor Bundesgericht dem Begehren des EDI, der Beschwerde sei aufschiebende Wirkung beizulegen, widersetzt und erklärt, wirtschaftliche und ökologische Gründe sprächen für eine rasche Realisierung des Vorhabens. Soll die Deponie aber vor der rechtskräftigen Ausscheidung einer Deponie- und Abbauzone realisiert werden, so bedarf es einer Ausnahmebewilligung für Bauten und Anlagen ausserhalb der Bauzonen im Sinne von Art. 24 Abs. 1 des Bundesgesetzes über die Raumplanung vom 22. Juni 1979 (RPG). Auch von der Einholung einer solchen Bewilligung ist im angefochtenen Entscheid nicht die Rede. Die Gemeinde erklärt, ihr Deponiekonzept sei von den verschiedensten Fachinstanzen eingehend überprüft worden. Die Durchsicht der entsprechenden Prüfungsberichte lässt indessen die Ansicht des EDI als richtig erscheinen, die Beurteilung sei zu wenig eingehend und vor allem unvollständig erfolgt: Eine Abklärung von Alternativstandorten ist offenbar unterblieben. Ebenso wurde BGE 113 Ib 148 S. 154 die Anregung des Amtes für Raumplanung, das Deponieproblem überkommunal zu regeln, nicht weiter verfolgt. Insbesondere aber wurde auch nicht abgeklärt, ob das Vorhaben neben der bau- und planungsrechtlichen Bewilligung im Sinne von Art. 22, bzw. von Art. 24 RPG , sowie der Deponiebewilligung nach Art. 30 des Bundesgesetzes über den Umweltschutz vom 7. Oktober 1983 (USG) noch weiterer bundesrechtlicher Bewilligungen bedarf. In Frage kommt vor allem die in Art. 22 Abs. 2 des Bundesgesetzes über den Natur- und Heimatschutz vom 1. Juli 1966 (NHG) enthaltene Ausnahmebewilligung zur Beseitigung der Ufervegetation ( BGE 112 Ib 431 f.; BGE 110 Ib 117 f.; BGE 107 Ib 151 f.) sowie die in Art. 24 des Bundesgesetzes über die Fischerei vom 14. Dezember 1973 (FG) vorgeschriebene Bewilligung ( BGE 112 Ib 431 f.; BGE 111 Ib 308 f.). Die rechtskräftige Erteilung auch dieser Bewilligungen hätte zusammen mit der bau- und planungsrechtlichen sowie der umweltschutzrechtlichen Bewilligung im Rodungsentscheid zumindest vorbehalten werden müssen. Das Deponiekonzept mit der Bachverlegung und Bachüberleitung legt schliesslich die Befürchtung einer Gewässerverschmutzung nahe. Auch über diesen Gesichtspunkt geben die Akten keine nähere Auskunft. c) Es zeigt sich somit, dass der angefochtene Entscheid auf einem unzureichend abgeklärten Sachverhalt beruht und die notwendige Koordination zwischen der Rodungsbewilligung und den anderen, für das Vorhaben notwendigen Bewilligungen ungenügend sicherstellt. Da nicht sämtliche erheblichen Interessenbereiche in die von Art. 26 Abs. 1 FPolV vorgeschriebene Interessenabwägung einbezogen worden sind, lässt sich nicht sagen, für die von der Gemeinde Surcuolm verlangte Rodung sei ein gewichtiges, das Interesse an der Walderhaltung überwiegendes Bedürfnis nachgewiesen. Das von der Gemeinde erwähnte finanzielle Interesse vermag die Rodung nach der ausdrücklichen Bestimmung von Art. 26 Abs. 3 FPolV ohnehin nicht zu rechtfertigen. Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Verwaltungsgerichtsbeschwerde wird gutgeheissen, und der Beschluss der Regierung des Kantons Graubünden vom 16. März 1987 wird aufgehoben. Die Sache wird zur Neubehandlung an die Regierung des Kantons Graubünden zurückgewiesen.
public_law
nan
de
1,987
CH_BGE
CH_BGE_003
CH
Federation
210d1523-d3db-4c42-b95c-d4a5eb8f7c18
Urteilskopf 123 IV 167 26. Auszug aus dem Urteil des Kassationshofes vom 29. September 1997 i.S. M. gegen Statthalteramt des Bezirkes Zürich (Nichtigkeitsbeschwerde)
Regeste Art. 1, 4, 26 Abs. 2 lit. a BewG und Art. 28 BewG ; Begriff des Vollzugs eines mangels Bewilligung nichtigen Rechtsgeschäfts. Ein Rechtsgeschäft über den Erwerb von Grundstücken durch Personen im Ausland wird durch diejenigen Akte vollzogen, durch welche der Erwerber die Rechtsstellung erlangt, für die er als Person im Ausland einer Bewilligung bedarf. Bei einem Kaufvertrag über Inhaberaktien einer schweizerischen Immobiliengesellschaft sind dies allein diejenigen Akte, durch welche das Eigentum an den Aktien auf den ausländischen Erwerber übergehen kann, also etwa die Übergabe bzw. Übernahme der Aktien. Jeder massgeblich daran Beteiligte ist Täter (E. 1-4).
Sachverhalt ab Seite 168 BGE 123 IV 167 S. 168 Die C., eine juristische Person liechtensteinischen Rechts mit Sitz in Vaduz, und der diese Anstalt wirtschaftlich beherrschende Schweizer K. kauften im Juli 1990 von A. und B. 4'980 respektive 1'598 Inhaberaktien der G. AG, deren Aktienkapital in 12'000 Aktien zerlegt war und deren Vermögen zur Hauptsache in Schweizer Immobilien bestand. Das Geschäft wurde über die X. als Vertreterin der Verkäufer und die Y. als Vertreterin der Käufer abgewickelt. Die Y. gewährte der C. zur Finanzierung des Aktienkaufs einen Kredit von 30 Millionen Franken. Als Sicherheit für diesen Kredit verpfändeten A. und B. der Y. Festgeld der G. AG in der Höhe von 30 Millionen Franken. An der Planung und Abwicklung des Aktienkaufs und der Darlehensgewährung war auf seiten der Y. unter anderen deren stellvertretender Direktor M. tätig. Der Einzelrichter in Strafsachen des Bezirkes Zürich bestrafte M. am 24. Oktober 1996 wegen fahrlässiger Umgehung der Bewilligungspflicht im Sinne von Art. 28 Abs. 1 und 3 des BG über den Erwerb von Grundstücken durch Personen im Ausland (BewG; SR 211.412.41) mit einer Busse von 10'000 Franken. Das Obergericht des Kantons Zürich wies die von M. dagegen erhobene kantonale Nichtigkeitsbeschwerde am 8. April 1997 ab. M. ficht den Beschluss des Obergerichts mit staatsrechtlicher Beschwerde und mit eidgenössischer Nichtigkeitsbeschwerde an. Mit der letzteren stellt er die Anträge, der Entscheid sei aufzuheben und er sei freizusprechen, eventuell sei die Sache zu seiner Freisprechung an die Vorinstanz zurückzuweisen. Das Statthalteramt des Bezirkes Zürich beantragt die Abweisung der Nichtigkeitsbeschwerde. Die Bundesanwaltschaft hat auf Gegenbemerkungen verzichtet. BGE 123 IV 167 S. 169 Das Bundesgericht hat die Nichtigkeitsbeschwerde abgewiesen Erwägungen aus folgenden Erwägungen: 1. Gemäss Art. 28 BewG ("Umgehung der Bewilligungspflicht") wird mit Gefängnis oder mit Busse bis zu 100'000 Franken unter anderen bestraft, wer vorsätzlich ein mangels Bewilligung nichtiges Rechtsgeschäft vollzieht (Abs. 1). Handelt der Täter fahrlässig, so ist die Strafe Busse bis zu 50'000 Franken (Abs. 3). Nach Art. 26 BewG ("Unwirksamkeit und Nichtigkeit") bleiben Rechtsgeschäfte über einen Erwerb, für den der Erwerber einer Bewilligung bedarf, ohne rechtskräftige Bewilligung unwirksam (Abs. 1). Sie werden unter anderem dann nichtig, wenn der Erwerber das Rechtsgeschäft vollzieht, ohne um die Bewilligung nachzusuchen oder bevor die Bewilligung in Rechtskraft tritt (Abs. 2 lit. a). a) Nach Auffassung der Vorinstanzen ist der Straftatbestand der Umgehung der Bewilligungspflicht gemäss Art. 28 BewG erfüllt. Aus dem weitgefassten Begriff des "Vollziehens", dem Randtitel "Umgehung der Bewilligungspflicht" und dem in Art. 1 BewG festgelegten Gesetzeszweck, die Überfremdung des einheimischen Bodens zu verhindern, ergebe sich, dass nicht etwa bloss kaufrechtliche Erfüllungshandlungen des formellen Erwerbers unter Art. 28 BewG fallen. Der Begriff des "Vollziehens" in Art. 28 Abs. 1 BewG sei in einem weiteren Sinne zu verstehen als der Begriff des "Vollziehens" in Art. 26 Abs. 2 lit. a BewG . Das ergebe sich unter anderem auch daraus, dass nach Art. 26 Abs. 2 lit. a BewG das Rechtsgeschäft nichtig wird, wenn der Erwerber es vollzieht, ohne um die Bewilligung nachzusuchen oder bevor die Bewilligung in Rechtskraft tritt, während gemäss Art. 28 Abs. 1 BewG strafbar ist, wer ein mangels Bewilligung nichtiges Rechtsgeschäft vollzieht. Jede Person, die an der Umgehung der Bewilligungspflicht beteiligt sei, könne sich nach Art. 28 BewG strafbar machen, wobei von der Bedeutung ihrer Tatbeiträge abhänge, ob sie Täterin oder Teilnehmerin (Anstifterin oder Gehilfin) sei. Der Beschwerdeführer habe als stellvertretender Direktor der für die C. handelnden Y. massgeblich an der Planung und Abwicklung des Aktienkaufs und an der Gewährung des Kredits an die Käuferin zur Zahlung des Kaufpreises mitgewirkt. Angesichts seiner wesentlichen Tatbeiträge sei er nicht bloss Gehilfe, sondern Täter. Subjektiv sei ihm Fahrlässigkeit vorzuwerfen. Da er nicht allein gehandelt habe, sei Nebentäterschaft anzunehmen. Der Beschwerdeführer habe BGE 123 IV 167 S. 170 demnach (in Form der fahrlässigen Nebentäterschaft) ein mangels Bewilligung nichtiges Rechtsgeschäft vollzogen und sich dadurch der Widerhandlung im Sinne von Art. 28 Abs. 1 und 3 BewG schuldig gemacht. b) Der Beschwerdeführer macht im wesentlichen geltend, die Y. habe durch die Gewährung eines Darlehens an die ausländische Käuferin das Rechtsgeschäft des Aktienkaufs nicht im Sinne von Art. 28 Abs. 1 BewG "vollzogen". Er könne daher nicht Täter einer Widerhandlung gemäss dieser Bestimmung sein. Objektiv liege höchstens allenfalls Gehilfenschaft im Sinne von Art. 25 StGB zum Vollziehen eines mangels Bewilligung nichtigen Rechtsgeschäfts vor; dafür könne er aber nicht bestraft werden, da ihm subjektiv lediglich Fahrlässigkeit zur Last gelegt werde und fahrlässige Gehilfenschaft nicht strafbar sei. 2. a) Rechtsgeschäft im Sinne von Art. 28 BewG ist ein Rechtsgeschäft "über einen Erwerb" ( Art. 26 Abs. 1 BewG ), d.h. ein Rechtsgeschäft über einen "Erwerb von Grundstücken" ( Art. 4 BewG und Art. 1 BewV [SR 211.412.411]); nur ein solches Rechtsgeschäft wird im Falle des Vollzugs ohne Vorliegen einer rechtskräftigen Bewilligung nichtig ( Art. 26 Abs. 2 lit. a BewG ), und nur der Vollzug eines mangels Bewilligung nichtigen Rechtsgeschäfts ist im Sinne von Art. 28 BewG tatbestandsmässig. b) Gemäss Art. 28 Abs. 1 BewG vollzogen wird ein Rechtsgeschäft durch diejenigen Akte, durch welche der Erwerber im Sinne von Art. 4 BewG und Art. 1 BewV ein Grundstück erwirbt, d.h. eine der in diesen Bestimmungen aufgeführten Rechtsstellungen erlangt, für die er als Person im Ausland einer Bewilligung bedarf. Welche Akte insoweit erheblich sind, hängt wesentlich von der im konkreten Einzelfall zur Diskussion stehenden Variante des "Erwerbs von Grundstücken" im Sinne von Art. 4 BewG und Art. 1 BewV ab. Beim Erwerb des Eigentums an einem Grundstück gemäss Art. 4 Abs. 1 lit. a BewG sind dies andere Akte als beispielsweise beim langfristigen Mietvertrag gemäss Art. 1 Abs. 2 lit. a BewV oder beim sogenannten Finanzierungstatbestand im Sinne von Art. 1 Abs. 2 lit. b BewV (siehe Pierre-Henri Winzap, Les dispositions pénales de la loi fédérale sur l'acquisition d'immeubles par des personnes à l'étranger [Lex Friedrich], thèse Lausanne 1992, p. 65 ss.). Beim Erwerb des Eigentums an Aktien einer Immobiliengesellschaft ( Art. 4 Abs. 1 lit. d oder lit. e BewG ) durch eine Person im Ausland wird das ihm zugrunde liegende Rechtsgeschäft, beispielsweise ein Kaufvertrag, durch den Übergang BGE 123 IV 167 S. 171 des Eigentums etwa durch Übergabe der Aktien vollzogen (Botschaft des Bundesrates zum Bewilligungsgesetz, BBl 1981 III 585 ff., 635; MÜHLEBACH/GEISSMANN, Kommentar zum Bundesgesetz über den Erwerb von Grundstücken durch Personen im Ausland, 1986, Art. 26 N. 8, Art. 28 N. 2). c) Entgegen der Auffassung der ersten Instanz, auf deren Urteil die Vorinstanz verweist, ist der Begriff des "Vollziehens" gemäss Art. 28 Abs. 1 BewG nicht in einem anderen bzw. weiteren Sinne zu verstehen als der Begriff des "Vollziehens" in Art. 26 Abs. 2 lit. a BewG . Dass nach der letztgenannten Bestimmung das Rechtsgeschäft nichtig wird, wenn der Erwerber es vollzieht, ohne um die Bewilligung nachzusuchen oder bevor die Bewilligung in Rechtskraft tritt, während gemäss Art. 28 Abs. 1 BewG strafbar ist, wer ein mangels Bewilligung nichtiges Rechtsgeschäft vollzieht, ist aus nachfolgenden Gründen insoweit unerheblich. aa) Bereits nach Art. 23 des Bundesbeschlusses über den Erwerb von Grundstücken durch Personen im Ausland in der Fassung vom 21. März 1973 (AS 1974 I 83 ff.) machte sich strafbar, wer ein Rechtsgeschäft auf bewilligungspflichtigen Erwerb vollzog, ohne die rechtskräftige Bewilligung für den Erwerb erhalten zu haben. Dieser Vollzug hatte nach dem damaligen Bewilligungsbeschluss nicht die Nichtigkeit des Rechtsgeschäfts zur Folge, was als Mangel empfunden wurde, der durch Art. 26 Abs. 2 lit. a BewG behoben wurde (RUDOLF SCHWAGER, Die privatrechtlichen Bestimmungen der Lex Friedrich - Grundzüge, Grundprobleme und Ungereimtheiten, ZBGR 68/1987 S. 137 ff., 145 f.). Der Vollzug eines mangels Vorliegens einer rechtskräftigen Bewilligung einstweilen unwirksamen Rechtsgeschäfts sollte nicht mehr bloss strafbar sein, sondern neu auch die zivilrechtliche Nichtigkeit des Rechtsgeschäfts zur Folge haben. Das Rechtsgeschäft wird bei Fehlen einer rechtskräftigen Bewilligung für den Erwerb in dem Augenblick nichtig, in dem es vollzogen wird, so dass der Täter im Sinne von Art. 28 Abs. 1 BewG ein mangels Bewilligung nichtiges Rechtsgeschäft vollzieht. bb) Unerheblich ist entgegen der Ansicht der Vorinstanzen insoweit, dass in Art. 26 Abs. 2 lit. a BewG im Unterschied zu Art. 28 Abs. 1 BewG vom Vollzug des Rechtsgeschäfts durch den Erwerber die Rede ist. Auch daraus kann nicht abgeleitet werden, dass der Begriff des "Vollziehens" gemäss Art. 28 Abs. 1 BewG in einem anderen bzw. weiteren Sinne zu verstehen sei als in Art. 26 Abs. 2 lit. a BewG . Der Erwerber wird in der letztgenannten Bestimmung deshalb ausdrücklich erwähnt, weil er allein gemäss Art. 17 Abs. 1 BGE 123 IV 167 S. 172 BewG verpflichtet ist, spätestens nach dem Abschluss des Rechtsgeschäftes um die Bewilligung nachzusuchen, und somit nur er im Sinne von Art. 26 Abs. 2 lit. a BewG das Rechtsgeschäft vollzieht, "ohne um die Bewilligung nachzusuchen...". d) Kein Vollzug des Rechtsgeschäfts im Sinne von Art. 26 Abs. 2 lit. a und Art. 28 Abs. 1 BewG ist die Zahlung des Kaufpreises durch den Käufer. Denn nicht durch diese Zahlung erwirbt der Käufer das Eigentum am Kaufobjekt, also die Rechtsstellung, für deren Erlangung das Gesetz die Bewilligungspflicht vorsieht. Das bei Fehlen einer rechtskräftigen Bewilligung für den Erwerb einstweilen unwirksame Rechtsgeschäft des Kaufvertrages wird nicht dadurch gemäss Art. 26 Abs. 2 lit. a BewG nichtig, dass der Käufer den Kaufpreis zahlt (RUDOLF SCHWAGER, op.cit., S. 146; MARC BERNHEIM, Die Finanzierung von Grundstückkäufen durch Personen im Ausland, Diss. Zürich 1993, S. 229). Durch die Zahlung des Kaufpreises erfüllt zwar der Erwerber das Rechtsgeschäft, doch vollzieht er es nicht im Sinne von Art. 26 Abs. 2 lit. a BewG . Vielmehr vollzieht der Erwerber das Rechtsgeschäft dadurch, dass er im Falle eines Kaufvertrages über Inhaberaktien einer Immobiliengesellschaft die Aktien übernimmt und damit das Eigentum an ihnen erlangt. e) Das Rechtsgeschäft des Kaufvertrags über Aktien einer Immobiliengesellschaft wird ferner auch nicht dadurch im Sinne von Art. 28 Abs. 1 BewG vollzogen, dass dem Käufer ein Darlehen zwecks Zahlung des Kaufpreises gewährt wird. Die Finanzierung des Kaufes etwa durch Gewährung eines Darlehens kann aber unter Umständen als solche ein Erwerb von Grundstücken im Sinne von Art. 4 Abs. 1 lit. g BewG i.V.m. Art. 1 Abs. 2 lit. b BewV sein. Dieser sogenannte Finanzierungstatbestand kann aber nach den insoweit zutreffenden Ausführungen im erstinstanzlichen Urteil nur erfüllt sein, wenn der Darlehensgeber eine Person im Ausland ist, was hier unstreitig nicht zutrifft. 3. Im hier zu beurteilenden Fall ist Rechtsgeschäft im Sinne von Art. 28 Abs. 1 BewG der Kaufvertrag über Inhaberaktien der G. AG, den A. und B., vertreten durch die X., als Verkäufer mit der liechtensteinischen C. und mit K., vertreten durch die Y., als Käufer abschlossen. Dieser Kaufvertrag wurde im Sinne von Art. 28 Abs. 1 BewG vollzogen durch diejenigen Akte, durch welche das Eigentum an den Aktien auf die Käufer übergehen konnte, also etwa durch Übergabe bzw. Übernahme der Aktien. Allein diese Akte sind tatbestandsmässig. BGE 123 IV 167 S. 173 Die Verurteilung des Beschwerdeführers wegen Widerhandlung im Sinne von Art. 28 Abs. 1 und 3 BewG kann daher entgegen der Auffassung der Vorinstanzen weder damit begründet werden, dass die Y., für die der Beschwerdeführer als ihr stellvertretender Direktor tätig war, der C. ein Darlehen zwecks Zahlung des Kaufpreises gewährte, noch damit, dass die Y. als Beauftragte der C. an der Planung, Vorbereitung und am Abschluss des Kaufvertrages mitwirkte und den Kaufpreis an die Verkäufer bzw. die von diesen beauftragte X. überwies. Durch keine dieser Dienstleistungen der Y. wurde der Kaufvertrag im Sinne von Art. 28 Abs. 1 BewG vollzogen. 4. a) Der Beschwerdeführer hat in seiner Eigenschaft als stellvertretender Direktor der für die Käufer handelnden Y. indessen auch an der Regelung der Modalitäten der Aktienübertragung bzw. an dieser selbst massgeblich mitgewirkt, wie sich aus den Ausführungen im erstinstanzlichen Urteil, auf welches die Vorinstanz verweist, hinreichend deutlich ergibt. Der Beschwerdeführer war danach massgeblich bei der Planung, Finanzierung und Abwicklung des ganzen Geschäfts beteiligt; er war nicht nur bei der Kreditvergabe, sondern auch bei der Durchführung der Aktientransaktion der auf seiten der Y. massgeblich handelnde, faktische Entscheidungsträger. Er war innerhalb der Y. der Ansprechpartner und Verbindungsmann und handelte persönlich in federführender Stellung, und zwar vor, während und nach dem eigentlichen Kauf der Aktien. Daraus ergibt sich aber, dass der Beschwerdeführer im Rahmen seiner Mitwirkung bei der Abwicklung des ganzen Geschäfts auch an der Planung, Entschliessung und Durchführung derjenigen Akte massgeblich beteiligt war, durch welche das Eigentum an den Aktien auf die ausländische Erwerberin überging, mithin im Sinne von Art. 28 Abs. 1 BewG das Rechtsgeschäft vollzogen wurde. b) Der Beschwerdeführer legt nicht dar, aus welchen Gründen seine im erstinstanzlichen Urteil beschriebene Mitwirkung an der Abwicklung des ganzen Geschäfts die Verurteilung wegen Widerhandlung im Sinne von Art. 28 Abs. 1 und 3 BewG (in der Form der fahrlässigen Nebentäterschaft) nicht zu rechtfertigen vermöge. Er macht im wesentlichen bloss geltend, dass die Gewährung eines Darlehens an die ausländische Käuferin kein Vollzug des Rechtsgeschäfts im Sinne dieser Bestimmung sei. Er lässt damit aber ausser acht, dass die erste Instanz und mit ihr die Vorinstanz seine Verurteilung keineswegs allein mit dieser Darlehensgewährung begründet haben. BGE 123 IV 167 S. 174 Der Beschwerdeführer macht mit Recht selbst nicht geltend, dass etwa nur die Parteien des Rechtsgeschäfts oder gar bloss der ausländische Erwerber den Tatbestand von Art. 28 BewG erfüllen können. Täter kann jeder sein, der massgeblich am Vollzug des Rechtsgeschäfts beteiligt ist (so auch PIERRE-HENRI WINZAP, op.cit., p. 60, 82). Der Gesetzeswortlaut - "Wer ein... Rechtsgeschäft vollzieht" - schränkt den Täterkreis in keiner Weise ein. Tatbestandsmässiges Verhalten ist nicht die Unterlassung, die Bewilligung für den Erwerb einzuholen, d.h. die Missachtung dieser in Art. 17 Abs. 1 BewG dem ausländischen Erwerber auferlegten Pflicht, sondern die Vornahme derjenigen Akte, durch welche der Erwerber die Rechtsstellung erlangt, derentwegen er als Person im Ausland einer Bewilligung bedarf. Gerade durch diese Akte, d.h. den Vollzug des Rechtsgeschäfts, wird im Sinne des Randtitels von Art. 28 BewG die Bewilligungspflicht umgangen und der in Art. 1 BewG festgelegte Gesetzeszweck unterlaufen. 5. (Strafzumessung) 6. (Kostenfolgen)
null
nan
de
1,997
CH_BGE
CH_BGE_006
CH
Federation
210e806c-4455-4293-915f-1af30a441c4b
Urteilskopf 112 IV 4 2. Arrêt de la Cour de cassation pénale du 29 janvier 1986 dans la cause S. contre Ministère public du canton de Neuchâtel (pourvoi en nullité)
Regeste Art. 125 Abs. 2 StGB . Fahrlässige schwere Körperverletzung. (Verantwortung für die Sicherheit auf einer Baustelle.) Der Strafrichter hat unabhängig von zivil- oder sozialversicherungsrechtlichen Überlegungen zu entscheiden, ob das Unterakkordantenverhältnis den Bauunternehmer von jeder Verantwortung für die Sicherheitsmassnahmen befreit (E. 3).
Sachverhalt ab Seite 4 BGE 112 IV 4 S. 4 A.- a) Le 21 novembre 1983, R. R., collaborateur du "groupe de montage indépendant" dirigé par son frère G. R., était occupé à la réfection du toit de la halle du Centre de tennis des Montagnes neuchâteloises, à La Chaux-de-Fonds. Alors qu'il se déplaçait à proximité du faîte sans s'être assuré, il a glissé sur les tôles mouillées, puis est tombé sur le sol. La chute d'une hauteur de plus de 10 m lui a occasionné des lésions corporelles graves. BGE 112 IV 4 S. 5 b) La réfection de la toiture en cause avait été confiée apparemment à la maison M. AG, à Zurich, qui en avait chargé une autre entreprise, soit E. AG. E. AG s'est à son tour adressée, pour l'exécution de ces travaux en sous-traitance, au "groupe de montage indépendant", dirigé par G. R. c) S. est président du conseil d'administration et directeur d'E. AG. Il lui a été reproché, en sa qualité de responsable de cette société, de ne pas s'être soucié de faire respecter les normes de sécurité nécessaires. Le 14 août 1985, le Tribunal de police du district de La Chaux-de-Fonds a condamné S., pour lésions corporelles graves par négligence au sens de l'art. 125 al. 2 CP, à une peine de 10 jours d'emprisonnement avec sursis pendant 2 ans. La Cour de cassation pénale du canton de Neuchâtel, statuant le 17 octobre 1985, a rejeté le recours du condamné. B.- S. a formé un recours de droit public et un pourvoi en nullité contre l'arrêt du 17 octobre 1985. Le recours de droit public a été déclaré irrecevable le 29 janvier 1986. Au terme du pourvoi, le recourant conclut à l'annulation de l'arrêt attaqué et au renvoi de la cause à l'autorité cantonale pour nouvelle décision dans le sens des considérants. Erwägungen Considérant en droit: 1. L'ordonnance du Conseil fédéral du 17 novembre 1967 concernant la prévention des accidents dans les travaux de toiture et les travaux exécutés sur les toits (RS 832.311.15) prévoit à l'art. 14 l'établissement de ponts d'échafaudages en contrebas du chéneau ou, d'après l'art. 15, la construction d'une paroi de protection d'au moins 60 cm, au-dessus du chéneau, mesures destinées à prévenir les risques de chute. Il n'est pas contesté ici qu'aucune de ces règles élémentaires n'a été observée. Si l'on avait exécuté ces mesures de protection, la chute aurait été évitée. 2. Le recourant ne conteste ni la nécessité des mesures prévues aux art. 14 et 15 de l'ordonnance précitée, ni la causalité entre leur omission et la survenance des lésions corporelles graves occasionnées au blessé. Il soutient cependant que sa responsabilité pénale ne saurait être engagée par cette fatale négligence. Son argumentation repose en premier lieu sur le fait que les travaux ont été confiés à un groupe de montage indépendant; ainsi, BGE 112 IV 4 S. 6 la responsabilité relative aux mesures de prévention des accidents aurait été également transmise au sous-traitant G. R., qui dirigeait ce groupe. Deuxièmement, au sein d'E. AG, ce n'était pas le condamné qui s'occupait de l'exécution de ce mandat, mais bien l'employé K., qui avait transmis à G. R. des indications en vue de la construction d'une paroi de protection. Que G. R. ait spontanément renoncé à exécuter les mesures prévues par E. AG ne saurait, selon le recourant, être retenu à sa charge. 3. Dans l'arrêt de la cour de céans cité par le condamné, la question de savoir si l'entreprise, qui confie à un groupe de montage indépendant des travaux en sous-traitance, est également responsable de l'inobservation des mesures de sécurité n'a nullement été abordée; il s'agissait d'un accident survenu à V., qui concernait aussi E. AG (arrêt du 7 octobre 1985 dans la cause N. et S. c. Grisons, Ministère public). Que, dans ce premier cas, l'enquête pénale n'ait pas été dirigée contre le recourant n'exclut pas d'emblée sa responsabilité pénale ici, même si les circonstances paraissent semblables. Deux accidents graves frappant, en mai puis en novembre 1983, des sous-traitants chargés par le même mandant de travaux sur des toitures démontrent clairement l'importance pratique du problème de la coresponsabilité éventuelle de l'entreprise qui donne des travaux de montage en sous-traitance. a) Savoir si l'obligation de prendre des mesures de sécurité peut être entièrement déléguée par le contrat de sous-traitance, ou s'il subsiste une coresponsabilité de l'entrepreneur principal déléguant, ne dépend ni de la qualification du droit civil (voir G. GAUTSCHI, Der Werkvertrag, in Berner Kommentar, Berne 1967, n. 15a relative à l'art. 363 CO), ni du point de vue du droit des assurances sociales sur les liens contractuels concernés (voir F. VISCHER, Le contrat de travail, in Traité de droit privé suisse, Fribourg 1982, vol. VII, t. I/2, par. 55 p. 32 I). Il appartient au juge pénal de dire de façon indépendante si les organes de l'entreprise principale conservent une sorte d'obligation de surveillance en matière de mesures de sécurité ou si elle peut entièrement laisser au sous-traitant le soin de s'organiser à cet égard. b) Dans les contrats de sous-traitance du genre de ceux que conclut E. AG, l'accord des volontés respectives de l'entrepreneur principal et du sous-traitant porte sur l'engagement de forces de travail, sous la forme d'un groupe réuni et conduit par le sous-traitant, en vue de l'exécution d'une tâche précise s'inscrivant dans le cadre du mandat, BGE 112 IV 4 S. 7 accepté par l'entrepreneur principal, concernant un ouvrage à exécuter (ici la réfection d'un toit). Le groupe de travail agit selon les instructions de l'entrepreneur principal. En général, la rétribution convenue n'est pas fonction du temps de travail, mais prend la forme d'un montant forfaitaire ou dépendant de la quantité produite. Le groupe de montage du sous-traitant se substitue aux travailleurs de l'entreprise principale; cette dernière n'a pas à se soucier du recrutement et du choix des collaborateurs du groupe indépendant; il appartient au sous-traitant de régler ces problèmes. Mais il en résulte que le groupe de montage indépendant travaille pratiquement pour l'entrepreneur principal de manière tout à fait semblable à ce que ferait un groupe composé de ses propres collaborateurs, c'est-à-dire comprenant des personnes qu'il aurait engagées individuellement. En l'espèce, l'assurance du groupe indépendant auprès de la CNA a été contractée par l'entrepreneur principal comme celle qui concerne ses propres travailleurs. Il existe un rapport de subordination liant le sous-traitant à l'entrepreneur principal. Le premier met les forces de travail de son groupe à la disposition de l'entreprise principale, dont les organes donnent les instructions nécessaires pour l'exécution du travail convenu. c) En résumé, du point de vue du droit civil, le sous-traitant et son groupe sont liés à l'entrepreneur principal par un contrat qui se situerait entre le contrat de travail (en raison du rapport de subordination et des instructions à observer) et le contrat d'entreprise (rémunération pour l'exécution d'un ouvrage). Cette similitude indéniable avec la position d'un ouvrier ou d'un employé et le pouvoir général de surveillance et de direction qui reste aux organes de l'entreprise principale, au service de laquelle le groupe se trouve, conduisent à la conclusion que les responsables de l'exécution de l'ouvrage dans sa totalité doivent également veiller au respect des normes de sécurité exigibles afférentes au travail en sous-traitance du groupe. Le fait qu'un employé d'E. AG ait ici discuté de l'installation d'une paroi de protection avec le chef du groupe de montage indépendant vient nettement à l'appui de cette conclusion. L'intervention de K. auprès de G. R. se comprend seulement dans la mesure où E. AG conservait au moins une obligation de surveillance en matière de prévention des accidents. Admettre un transfert total de cette responsabilité au sous-traitant ne correspondrait ni à la situation de fait, ni aux intérêts en présence; en effet, le chef du groupe de montage devrait BGE 112 IV 4 S. 8 assumer entièrement seul la charge de prendre des mesures de protection renchérissant ou ralentissant éventuellement les travaux, alors que les personnes responsables de l'exécution de l'ouvrage dans son ensemble seraient autorisées à s'en remettre aux directives insuffisantes et risquées, mais financièrement avantageuses pour elles, fixées par le sous-traitant. L'entrepreneur principal, qui remet en sous-traitance à un groupe indépendant des travaux de toitures difficiles et comportant des risques, ne peut ainsi se soustraire à l'obligation de veiller au respect des mesures de sécurité nécessaires. Le contrat de sous-traitance n'implique pas le transfert complet, au sous-traitant, de la responsabilité d'ordonner et de faire prendre les mesures de prévention des accidents commandées par la nature des travaux en cause; il subsiste au contraire une obligation pour les organes responsables de l'entreprise principale de veiller, selon les moyens à disposition, à l'observation des prescriptions destinées à prévenir les accidents. 4. Pour se conformer à cette obligation de faire respecter des mesures de sécurité déterminées, il ne suffit pas qu'un employé subalterne de l'entreprise principale se contente d'indiquer au chef du groupe de montage qu'il faudrait installer un échafaudage ou une paroi de protection. En tant que directeur responsable de l'entreprise principale, le recourant ne s'est pas suffisamment soucié de la question de la prévention des accidents; il ne soutient pas avoir entrepris quoi que ce soit, même après l'accident de V., en vue de s'assurer que les sous-traitants connaissaient et appliqueraient les prescriptions concernant la prévention des accidents dans les travaux de toitures, normes de sécurité qui ne sont manifestement pas inutiles. Il est vrai que le rôle de K., qui devait étudier la question, démontre que, du côté d'E. AG, l'on était conscient du risque et de la difficulté de faire respecter les mesures de sécurité. Mais on ne saurait voir là une tentative sérieuse d'y remédier. Il convient en conséquence de retenir à la charge du recourant qu'il n'a pas agi en vue de faire respecter, dans la mesure de ses moyens, les art. 14, 15 et 18 de l'ordonnance du 17 novembre 1967, en donnant par exemple des instructions claires et en contrôlant leur bonne exécution avant le début des travaux de toiture concernant un nouveau chantier. L'omission de telles mesures constitue une négligence, qui est une cause concomitante de l'accident du 21 novembre 1983. Dès lors, l'arrêt attaqué ne contient pas de violation du droit fédéral.
null
nan
fr
1,986
CH_BGE
CH_BGE_006
CH
Federation
2114797b-477d-4ae0-905b-231901812458
Urteilskopf 94 I 427 58. Auszug aus dem Urteil vom 18. September 1968 i.S. Döbeli gegen Einwohnergemeinde Brugg und Regierungsrat des Kantons Aargau.
Regeste Festsetzung des jährlichen Gemeindebudgets. Kantonale Regelung, nach welcher das Budget dann, wenn es die Stimmberechtigten in der Urnenabstimmung zweimal abgelehnt haben, vom Regierungsrat festzusetzen ist. Anwendung auf das Budget eines Gemeindeelektrizitätswerkes, wenn die Gestaltung und die Höhe des Elektrizitätstarifs Anlass zur Verwerfung des Budgets gegeben haben und die Kompetenz zur Festsetzung des Tarifs (Gemeinderat oder Gesamtheit der Stimmberechtigten) zweifelhaft ist. Verletzung der politischen Rechte der Bürger durch regierungsrätliche Festsetzung eines dem Willen der Mehrheit der Stimmberechtigten nicht entsprechenden Budgets?
Sachverhalt ab Seite 428 BGE 94 I 427 S. 428 Aus dem Tatbestand: A.- Das aargauische Gesetz vom 15. Mai 1962 über die ausserordentliche Gemeindeorganisation (AGOG) mit Vollziehungsverordnung (VV) vom 10. September 1964 ermächtigt die Gemeinden, in Abweichung vom Gemeindeorganisationsgesetz vom 26. November 1841 (GOG) die Einwohnergemeindeversammlung durch die Urnenabstimmung zu ersetzen und gewisse Geschäfte einem Gemeindeparlament, dem Einwohnerrat, zu übertragen. Dieser hat mindestens zweimal jährlich zur Behandlung von Voranschlag und Jahresrechnung zusammenzutreten (§ 19 lit. a AGOG). Der Voranschlag ist der Einwohnergemeinde zur Genehmigung vorzulegen (§ 9 lit. c AGOG). Lehnt sie ihn zweimal ab, so sind nach § 38 VV zum AGOG die §§ 125 und 140 GOG sinngemäss anwendbar, welche die Weiterleitung der nicht genehmigten Rechnungen an den Regierungsrat zum Entscheid vorsehen. B.- Die Gemeinde Brugg versorgt ihre Einwohner seit Jahrzehnten mit Wasser, Gas und Elektrizität. Diese Versorgungsbetriebe sind heute in den "Industriellen Betrieben Brugg" zusammengefasst und führen eigene Rechnung. Die Elektrizität wurde ursprünglich von einem gemeindeeigenen Werk erzeugt, das seinen Betrieb 1892 aufnahm. Im Jahre 1952, nach Fertigstellung des Werkes Wildegg-Brugg der NOK, wurde das Gemeindewerk stillgelegt. Seither bezieht es den grössten Teil des Stroms vom Aargauischen Elektrizitätswerk (AEW) zum Hochspannungstarif für Wiederverkäufer. Auf den 1. Oktober 1965 erhöhte das AEW den Strompreis erheblich. Dies und grosse bauliche Aufgaben der Industriellen Betriebe veranlassten den Gemeinderat von Brugg, durch Beschluss vom 25. September 1965 auch den eigenen Elektrizitätstarif ab 1. Januar 1966 zu erhöhen und gleichzeitig das Tarifsystem demjenigen des AEW anzupassen. Gegen diesen Beschluss beschwerte sich der Brugger Stimmbürger BGE 94 I 427 S. 429 Fritz Honegger beim Departement des Inneren. Zur Begründung machte er ausschliesslich geltend, der Gemeinderat sei nicht zuständig gewesen, den von der Gemeindeversammlung vom 14. Dezember 1956 beschlossenen Einheitstarif für Haushaltungen abzuändern. Die Direktion des Inneren wies die Beschwerde am 23. Mai 1966 ab. Honegger führte hiegegen beim Regierungsrat Beschwerde, wurde aber durch Beschluss vom 21. Juni 1966 abgewiesen. Am 17. Dezember 1965, also vor der Beurteilung der Beschwerde Honeggers, lehnte die Gemeindeversammlung das Budget für 1966 ab und beschloss, für dieses Jahr den Strom nicht zu dem vom Gemeinderat beschlossenen neuen, sondern zum bisherigen Tarif abzugeben. Auf den 1. Januar 1966 unterwarf sich die Gemeinde Brugg der ausserordentlichen Gemeindeorganisation und wählte einen Einwohnerrat. Dieser genehmigte am 11. November 1966 mit grossem Mehr den Voranschlag der Industriellen Betriebe für 1967, der im wesentlichen auf dem vom Gemeinderat schon im Vorjahr beschlossenen Tarif beruhte. Dieser Voranschlag wurde indes in der Urnenabstimmung vom 11. Dezember 1966 mit 907 gegen 480 Stimmen verworfen. Der Gemeinderat legte hierauf einen zweiten Voranschlag vor, der einen Rabatt von 5% auf den von ihm beschlossenen Strompreisen vorsah und vom Einwohnerrat mit 41 zu 1 Stimme bei 5 Enthaltungen genehmigt, in der Volksabstimmung aber mit 790 gegen 543 Stimmen wiederum abgelehnt wurde. Darauf unterbreitete der Gemeinderat die Angelegenheit dem Regierungsrat. Dieser erhob am 12. Juli 1967 den in der Volksabstimmung verworfenen zweiten Voranschlag unverändert zum Beschluss. Den Erwägungen dieses Entscheids ist zu entnehmen: Wenn der Voranschlag von den Stimmberechtigten einer Gemeinde zweimal verworfen werde, habe der Regierungsrat als Oberaufsichtsbehörde einzuschreiten und im Sinne einer Ersatzvornahme das Budget anstelle des hiezu zuständigen Gemeindeorgans festzusetzen. Dabei falle hier einerseits in Betracht, dass der Einwohnerrat den Voranschlag des Gemeinderates mit grossem Mehr genehmigt habe; anderseits seien die Gründe zu berücksichtigen, die das Stimmvolk zur Ablehnung der Voranschläge bewogen haben. Die Opposition habe sich hauptsächlich gegen die Erhöhung des Stromtarifs und die Übernahme des Berechnungssystems des AEW gerichtet. Nun BGE 94 I 427 S. 430 sei aber, wie der Regierungsrat bereits im Entscheid vom 21. Juli 1966 festgestellt habe, in Brugg der Gemeinderat zuständig zur Tarifgestaltung. An dessen Entscheid seien die für die Budgetfestsetzung zuständigen Organe (Einwohnerrat und Gesamtheit der Bürger an der Urne) gebunden. Auch der Regierungsrat, der anstelle dieser Gemeindeorgane das Budget festzusetzen habe, sei nicht berechtigt, einen bestimmten Stromtarif der Gemeinde und dem Gemeinderat vorzuschreiben. Da seine Aufsicht über die Gemeinde und ihre Behörden im Bereich der Selbstverwaltungsaufgaben auf die Rechtskontrolle beschränkt sei, könnte er nur einschreiten, wenn der Gemeinderat den neuen Stromtarif in gröblicher Verletzung des ihm zustehenden Ermessens erlassen hätte. Das sei jedoch nicht der Fall. Es bestehe daher für die Aufsichtsbehörde kein Grund, den Voranschlag für 1967 wegen des Stromtarifs nicht zu genehmigen. Die Stromtarifgestaltung sei eine Frage, die nicht im Rahmen des Budgets gelöst werden könne. C.- Mit der staatsrechtlichen Beschwerde stellt der in Brugg stimmberechtigte Ernst Döbeli den Antrag, der Beschluss des Regierungsrates vom 12. Juli 1967 sei aufzuheben. Er beruft sich auf Art. 85 lit. a OG und erhebt folgende Rügen: a) Der Gemeinderat sei entgegen der Annahme des Regierungsrates nicht zuständig gewesen, den Stromtarif zu ändern; dazu sei einzig das Volk zuständig. b) Indem der Regierungsrat den vom Volk eindeutig abgelehnten Voranschlag bestätigte, habe er den Volkswillen missachtet. - Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab. Erwägungen Aus den Erwägungen: Der Voranschlag für die Industriellen Betriebe Brugg wurde der Volksabstimmung unterbreitet, nach der Verwerfung vom Gemeinderat überarbeitet und darauf ein zweites Mal zur Abstimmung gebracht. Nachdem ihn die Stimmberechtigten wiederum abgelehnt hatten, setzte der Regierungsrat als Oberaufsichtsbehörde den Voranschlag anstelle der Gemeindeorgane fest. Dieses Vorgehen wird in formeller Hinsicht vom Beschwerdeführer mit Recht nicht beanstandet, sondern entspricht vielmehr den geltenden kantonalen Verfahrensvorschriften, die unter Lit. A des Sachverhalts angeführt sind. Streitig ist einzig, ob der BGE 94 I 427 S. 431 Regierungsrat den Voranschlag mit dem ihm im angefochtenen Entscheid gegebenen Inhalt festsetzen durfte. a) Der Voranschlag ist nach schweizerischer Rechtsauffassung ein blosser Haushaltsplan und enthält keine Rechtsnormen. Insbesondere schafft er keine Rechtsgrundlage für die Erhebung der darin als Einnahmen vorgesehenen Steuern und öffentlichen Abgaben. Diese müssen auf einem besonderen Rechtstitel beruhen (vgl. BGE 72 I 280 /Bl; NAWIAWSKY, Rechtliche Bedeutung und rechtliche Wirkung des Voranschlags, ZBl 46/1945 S. 167 ff. Ziff. 27 und 33; IMBODEN, Unmittelbare Demokratie und öffentliche Finanzen, in Festgabe für Eugen Grossmann S. 112/13). Es erhebt sich daher die Frage, ob die vorliegende Beschwerde nicht schon deshalb abzuweisen ist, weil der damit angefochtene Voranschlag an den die Zuständigkeit zur Festsetzung der Strompreise regelnden Vorschriften nichts zu ändern vermochte. Die Frage ist zu verneinen. Alle Beteiligten sind darüber einig, dass die Industriellen Betriebe, nachdem der Regierungsrat den Voranschlag des Gemeinderates zum Beschluss erhoben hat, den Strombezügern nach Massgabe des vom Gemeinderat erlassenen neuen Tarifs Rechnung stellen dürfen, wie auch, dass der Regierungsrat mit der Festsetzung eines den Wünschen des Beschwerdeführers und seiner Gesinnungsfreunde entsprechenden Voranschlags als Oberaufsichtsbehörde über die Gemeindeverwaltung auch jenen Tarif als unanwendbar erklärt und einen andern vorgeschrieben hätte. b) Der Regierungsrat geht im angefochtenen Beschluss von der schon in seinem Beschwerdeentscheid vom 21. Juni 1966 getroffenen Feststellung aus, dass die Zuständigkeit zur Tarifgestaltung beim Gemeinderat liege, und er schliesst hieraus, dass der vom Gemeinderat aufgestellte Tarif für die den Voranschlag festsetzenden Instanzen verbindlich sei, und zwar grundsätzlich auch für den Regierungsrat, der den Voranschlag im Falle zweimaliger Verwerfung durch die Stimmberechtigten festzusetzen hat. Auch der Beschwerdeführer stellt die Frage der Zuständigkeit zur Tarifgestaltung in den Vordergrund. Sie ist daher vorweg zu prüfen. Das kantonale Recht enthält keine Vorschriften über die Zuständigkeit zur Festsetzung der Tarife kommunaler Versorgungsbetriebe. Die Regelung ist den Gemeinden überlassen, die sie nicht einheitlich getroffen haben. Die Verordnungen über die Organisation und Verwaltung des Elektrizitätswerks Brugg von BGE 94 I 427 S. 432 1892 und 1894 erklärten ausdrücklich den Gemeinderat als zuständig zur Festsetzung von Tarifen und Reglementen für die Abgabe von Strom. Die am 1. Juni 1920 erlassene und bis Ende 1967 in Kraft gebliebene Verordnung über die Organisation und Verwaltung der Industriellen Betriebe weist wohl in § 3 Ziff. 2 die "Vorberatung" der Tarife der vom Gemeinderat zu bestellenden Betriebskommission zu, bestimmt aber nicht, wer die Tarife festzusetzen hat. Über die Entstehungsgeschichte dieser Verordnung sind von keiner Seite Angaben gemacht oder Akten beigebracht worden. Insbesondere fehlt jeder Anhaltspunkt dafür, dass mit dem Verzicht auf eine Zuständigkeitsbestimmung die bisherige Ordnung geändert und die Zuständigkeit vom Gemeinderat auf die Gemeindeversammlung übertragen werden sollte. Der Gemeinderat hat denn auch weiterhin, so am 9. Juni 1926 und auf 1. Januar 1933, Reglemente und Tarife erlassen und veröffentlicht, in denen er seine Zuständigkeit ausdrücklich festgehalten hat, ohne damit auf Widerstand zu stossen. Dagegen hat er auf Grund zweier Motionen der Jahre 1954 und 1955 einen Einheitstarif für Haushaltungen ausgearbeitet und der Gemeindeversammlung vom 14. Dezember 1956 unterbreitet, die ihn eingehend beriet, einige Positionen änderte und seine Annahme beschloss. Ferner unterzog sich der Gemeinderat dem Beschluss der Gemeindeversammlung vom 17. Dezember 1965, den Strom im Jahre 1966 zum bisherigen und nicht zu dem von ihm erlassenen neuen Tarif abzugeben. Die in der Beschwerde Honeggers und offenbar auch vom heutigen Beschwerdeführer vertretene Auffassung, der Gemeinderat habe dadurch, dass er im Jahre 1956 die Gemeindeversammlung über die Tarifgestaltung abstimmen liess, seine ursprünglich innegehabte Kompetenz an die Gemeindeversammlung delegiert, überzeugt nicht. Näher liegt die Annahme, dass der Gemeinderat 1956 wie auch 1965 aus politischen Überlegungen auf die Ausübung seiner Kompetenz verzichtet habe, ohne dass sich an der rechtlichen Ordnung etwas geändert habe. Keinesfalls kann es als feststehend gelten, dass zu Anfang des Jahres 1967 die Gesamtheit der Stimmberechtigten und nicht mehr der Gemeinderat zur Festsetzung der Strompreise zuständig war, sondern es bestehen zum mindesten ernsthafte Zweifel hierüber. Eine weitere Abklärung kann unterbleiben, da auch dann, wenn die Zuständigkeit beim Gemeinderat liegen sollte, sich die Frage stellt, inwieweit der Regierungsrat bei der ihm obliegenden BGE 94 I 427 S. 433 Festsetzung des Voranschlags an den in den beiden Abstimmungen über diesen zum Ausdruck gekommenen Volkswillen gebunden war. c) Aus § 38 der VV zum AGOG und den danach sinngemäss anwendbaren §§ 125 und 140 GOG ergibt sich, dass der Voranschlag einer Gemeinde nach zweimaliger Ablehnung durch die Stimmberechtigten unter Angabe der Verwerfungsgründe sofort dem Bezirksamt zuzustellen und von diesem ohne Verzug zum Entscheid an den Regierungsrat weiterzuleiten ist. Nach welchen Gesichtspunkten dieser zu entscheiden, den Voranschlag festzusetzen hat, ist wederjenen noch andern Vorschriften zu entnehmen. Da der Voranschlag vom Gemeinderat aufzustellen und vom Einwohnerrat zu behandeln ist und dem Regierungsrat die Verwerfungsgründe anzugeben sind, ist es selbstverständlich, dass er die in der Beratung jener Behörden wie auch die im Abstimmungskampf vertretenen Meinungen in Betracht zu ziehen hat. Dagegen ist er grundsätzlich weder an die Auffassung der Behörden noch an die im Abstimmungskampf mehr oder weniger deutlich zum Ausdruck gekommenen Verwerfungsgründe gebunden. Eine Ordnung, die im Falle des Versagens der Gemeindeorgane dem Regierungsrat den Entscheid, d.h. die Festsetzung des Voranschlags überträgt, kann wohl nur bedeuten, dass der Regierungsrat den Voranschlag nach eigenem pflichtgemässen Ermessen festzusetzen hat. Seine Auffassung, dass ihm nur die Rechtskontrolle zustehe, wird der Sach- und Rechtslage nicht gerecht; die Beschränkung auf die Rechtskontrolle ist nur sinnvoll, wo es, wie in dem vom Regierungsrat angerufenen Entscheid AGVE 1947 S. 176, um die Überprüfung eines von den Stimmberechtigten angenommenen Voranschlags geht, nicht aber, wo dieser verworfen wurde und daher vom Regierungsrat festzusetzen ist. Es fragt sich somit, ob der Regierungsrat damit, dass er den vom Gemeinderat und Einwohnerrat gebilligten Voranschlag zum Beschluss erhoben hat, den Rahmen seines pflichtgemässen Ermessens überschritten habe. Ist dies nicht der Fall, dann hat er auch die politischen Rechte der Stimmbürger nicht verletzt, da eine Ordnung, nach welcher der Regierungsrat anstelle der Gemeindeorgane das ihm richtig scheinende vorzukehren hat, notwendig zur Folge hat, dass der von ihm festgesetzte Voranschlag gegebenenfalls nicht dem Willen der Mehrheit der Stimmberechtigten entspricht. BGE 94 I 427 S. 434 d) Bei der ordentlichen Gemeindeorganisation kann in der Gemeindeversammlung über die einzelnen Posten des Voranschlags abgestimmt werden, kommt also den Stimmberechtigten ein eigentliches Mitspracherecht bei der Festsetzung des Voranschlags zu. Bei der ausserordentlichen Gemeindeorganisation dagegen haben die Stimmberechtigten nur die Wahl, den vom Einwohnerrat bereinigten Voranschlag gesamthaft anzunehmen oder abzulehnen, weshalb das Ergebnis des Budgetreferendums weitgehend nur die Bedeutung einer politischen Vertrauens- oder Misstrauenskundgebung hat (IMBODEN a.a.O. S. 113/14). Da der Voranschlag zahlreiche Einnahme- und Ausgabeposten umfasst, wird sich, wenn mehrere von ihnen umstritten sind, oft nicht feststellen lassen, welcher Voranschlag dem Willen der Mehrheit der Stimmberechtigten entspricht. Im vorliegenden Falle scheint es sich freilich nicht so zu verhalten. Der Voranschlag dürfte hauptsächlich wegen der vom Gemeinderat beschlossenen Einführung des AEW-Tarifs verworfen worden sein, wenn auch, nach dem vom Beschwerdeführer eingelegten Flugblatt zu schliessen, daneben der gegen die Behörden erhobene Vorwurf der Kreditüberschreitung im Jahre 1966 sowie die Kritik an der gesamten Ausgabenpolitik eine nicht zu unterschätzende Rolle gespielt zu haben scheinen. Selbst wenn jedoch anzunehmen ist, die Mehrheit der Abstimmungsteilnehmer habe die weitere Anwendung des bisherigen Tarifs befürwortet, war der Regierungsrat nicht verpflichtet, diesem Wunsche bei der Festsetzung des Voranschlags zu entsprechen. Der Regierungsrat hat angenommen, dass der Erlass der Tarife in die Zuständigkeit des Gemeinderates falle und der Regierungsrat daher sowenig wie die Gesamtheit der Stimmberechtigten befugt sei, den gemeinderätlichen Tarif bei der Festsetzung des Voranschlags zu ändern. Mag diese Auffassung auch nicht unanfechtbar sein, so bestehen nach dem Gesagten doch zumindest ernsthafte Zweifel an der Zuständigkeit der Stimmberechtigten zur Aufstellung und Abänderung von Tarifen. Ob schon diese Zweifel dem Regierungsrat das Recht gaben, sich an den vom Gemeinderat einstimmig und vom Einwohnerrat mit grosser Mehrheit gebilligten Voranschlag zu halten, kann dahingestellt bleiben, da dafür noch weitere Gründe vorlagen. So ergab sich aus dem vom Gemeinderat eingeholten Gutachten, dass der streitige Tarif im Verhältnis zum Finanzbedarf des Werkes keineswegs übersetzt war. Dazu kam, dass die Festsetzung BGE 94 I 427 S. 435 des Voranschlags zeitlich verhältnismässig dringend war und dass sich seine Wirkung auf ein Jahr beschränkte. Entscheidend ins Gewicht fällt schliesslich, dass die Stimmbürger die Möglichkeit haben, für die Zukunft auf einem andern und geeigneteren Weg als durch Verwerfung des Voranschlags sich ein Mitspracherecht bei der Tarifgestaltung zu verschaffen, nämlich durch die Änderung der Vorschriften über die Organisation und Verwaltung der Industriellen Betriebe. Dieser Weg war, als der Regierungsrat den Voranschlag für 1967 festsetzte, bereits beschritten worden durch die in der Sitzung des Einwohnerrates vom 26. Juni 1966 angenommene Motion Honegger und eine um diese Zeit lancierte Volksinitiative. Diese Vorstösse hatten Erfolg und führten noch im Jahre 1966 zum Entwurfeiner neuen Verordnung, die schon Ende 1967 in Kraft trat, die Tarifordnungen der Genehmigung der Gesamtheit der Stimmberechtigten unterstellt und zudem ein Finanzreferendum vorsieht und den Stimmberechtigten ein Initiativrecht einräumt. Bei dieser Sachlage hat der Regierungsrat sein Ermessen nicht überschritten und die politischen Rechte der Stimmbürger nicht verletzt, wenn er zum Schlusse kam, die Tarifgestaltung sei eine Frage, die nicht im Rahmen des Budgets gelöst werden könne, und einen Voranschlag festsetzte, der auf dem Tarif des Gemeinderates beruht.
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nan
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1,968
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CH_BGE_001
CH
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2116a32d-c89b-4012-bf54-daf509491700
Urteilskopf 119 Ib 429 45. Auszug aus dem Urteil der II. Zivilabteilung vom 27. Dezember 1993 i.S. H. gegen Kanton Zürich (staatsrechtliche Beschwerde)
Regeste Direkte Bundessteuer. Eröffnung einer Sicherstellungsverfügung bei Wohnsitz im Ausland ( Art. 118 BdBSt und Art. 36 VwVG ). Wenn der Steuerpflichtige seinen Wohnsitz im Ausland hat, kann ihm eine Sicherstellungsverfügung nach Art. 118 BdBSt durch Publikation in einem amtlichen Blatt gültig eröffnet werden, selbst wenn die Steuerverwaltung die ausländische Adresse kennt.
Sachverhalt ab Seite 429 BGE 119 Ib 429 S. 429 A.- Mit Verfügung vom 13. März 1992 verpflichtete der Kanton Zürich Christoph H., für die direkten Bundessteuern der Jahre 1985 bis 1988 den Betrag von Fr. ... sicherzustellen. Sodann erwirkte der Kanton Zürich beim Kreisamt Oberengadin die Verarrestierung des Christoph H. gehörenden Grundstücks in X. Der Kanton Zürich prosequierte den Arrest mit der Betreibung Nr. 3801 des Betreibungsamtes Oberengadin. Christoph H. erhob Rechtsvorschlag. B.- Das Kreisamt Oberengadin erteilte dem Kanton Zürich Rechtsöffnung. BGE 119 Ib 429 S. 430 Eine gegen diesen Entscheid von Christoph H. erhobene Beschwerde wurde mit Urteil vom 17. Juli 1993 vom Ausschuss des Kantonsgerichts Graubünden abgewiesen. C.- Christoph H. gelangt mit staatsrechtlicher Beschwerde an das Bundesgericht und verlangt die Aufhebung dieses Urteils. Der Kanton Zürich und das Kantonsgericht Graubünden beantragen die Abweisung der Beschwerde, soweit darauf einzutreten sei. Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. Es ist unbestritten, dass die Steuerbehörde die Adresse des Beschwerdeführers stets gekannt hat. Sie hat aber die Sicherstellungsverfügung durch Publikation zugestellt, weil der Beschwerdeführer im Ausland wohnte, ohne einen Vertreter in der Schweiz zu bestellen. Eine briefliche Zustellung einer Steuerverfügung ins Ausland ist aber völkerrechtswidrig, was auch vom Beschwerdeführer nicht bestritten wird. a) Wie der Beschwerdeführer richtig festhält, sieht Art. 118 Abs. 3 des Bundesbeschlusses über die Erhebung einer direkten Bundessteuer (BdBSt (SR 642.11)) nur eine Zustellung der Sicherstellungsverfügung durch eingeschriebenen Brief vor. Jedoch erlaubt Art. 74 Abs. 2 BdBSt die Zustellung durch Veröffentlichung im kantonalen Amtsblatt, wenn eine steuerpflichtige Person unbekannten Aufenthaltes ist. Ein anderer Grund für eine Publikation ist in dieser Bestimmung nicht vorgesehen. Daraus zu schliessen, das Steuerrecht verlange auch ins Ausland eine Zustellung mittels eingeschriebenem Brief, wäre indessen verfehlt. Der Bundesrat wäre nicht befugt, mit dem Bundesratsbeschluss über die Erhebung einer direkten Bundessteuer völkerrechtswidrige Normen zu erlassen. Der Fall, dass sich der Adressat der Verfügung im Ausland befindet, ist vielmehr im BdBSt gar nicht geregelt. Gemäss Art. 36 Bst. b des Bundesgesetzes über das Verwaltungsverfahren (VwVG (SR 172.021)) kann eine Verfügung "gegenüber einer Partei, die sich im Ausland aufhält und keinen erreichbaren Vertreter hat" durch Veröffentlichung in einem amtlichen Blatt eröffnet werden, "wenn die Zustellung an ihren Aufenthaltsort unmöglich ist". Diese Bestimmung ist gemäss Art. 1 Abs. 2 Bst. e und Abs. 3 sowie Art. 2 Abs. 1 VwVG auch für kantonale Verwaltungen massgebend, welche gestützt auf den BdBSt verfügen (KÄNZIG/BEHNISCH, Die direkte Bundessteuer, Basel 1992, N. 10 zu Art. 74 BdBSt ). BGE 119 Ib 429 S. 431 Warum bei einer Sicherstellungsverfügung nach Art. 118 BdBSt etwas anderes gelten soll, wie dies KÄNZIG/BEHNISCH (N. 8 zu Art. 118) annehmen, ist nicht ersichtlich. Wenn der BdBSt hier vorschreibt, dass die Eröffnung mit eingeschriebenem Brief zu erfolgen hat, soll damit nur zum Ausdruck gebracht werden, dass eine gewöhnliche Postzustellung nicht ausreicht. Damit werden aber nicht die Zustellungsmöglichkeiten ausgeschlossen, welche im VwVG für besondere Fälle vorgesehen sind. Etwas anderes lässt sich auch nicht dem von KÄNZIG/BEHNISCH zitierten Entscheid der Obergerichtskommission Obwalden entnehmen (SJZ 1985, S. 150 f.). Dort wird nur festgehalten, dass eine Zustellung gültig sei, wenn sie mit einem eingeschriebenen Brief ins Ausland erfolgt sei. Auf die Völkerrechtswidrigkeit einer Zustellung kann sich nicht die betroffene Partei, sondern nur der Staat berufen, der in seinem Hoheitsrecht verletzt worden ist. b) Wenn Art. 36 Bst. b VwVG die Publikation von der Unmöglichkeit einer postalischen Zustellung abhängig macht, so sind nicht nur tatsächliche, sondern auch rechtliche Unmöglichkeiten gemeint. Es kann von einer Behörde nicht verlangt werden, dass sie sich völkerrechtswidrig verhält. Die Zustellung hat deshalb auch als unmöglich zu gelten, wenn sie völkerrechtlich unzulässig ist.
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1,993
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Urteilskopf 89 I 316 48. Sentenza 14 febbraio 1963 della II Corte civile sul ricorso XY contro Autorità di vigilanza sullo stato civile del Cantone Ticino.
Regeste 1. Art. 107 OG und 20 ZStV. Die Frist zur Einreichung einer Verwaltungsgerichtsbeschwerde läuft von der schriftlichen Mitteilung des kantonalen Entscheides an. Unerheblich ist eine vorausgegangene mündliche Mitteilung über die künftige Entscheidung, wie sie die kantonale Behörde zu treffen beabsichtigte. (Erw. 1.) 2. Art. 8 NAG . Die freiwillige Kindesanerkennung untersteht der Gesetzgebung des Heimatortes des Vaters. Der Zivilstandsbeamte hat daher m Anwendung des Art. 304 ZGB die voneinem Schweizerbürger nachgesuchte Eintragung der Anerkennung eines Kindes abzulehnen, das während der Ehe seiner ausländischen Mutter erzeugt wurde. (Erw. 2.) 3. Art. 45 ZGB und 51 Abs. 2 ZStV. Voraussetzungen der Berichtigung einer den Zivilstand betreffenden Eintragung auf Anordnung der Aufsichtsbehörde. Im gegebenen Fall wird die erwähnte Behörde als unzuständig befunden, die Löschung der Anerkennung eines im Ehebruch erzeugten Kindes anzuordnen, deren Eintragung unangefochten geblieben war. (Erw. 3.)
Sachverhalt ab Seite 317 BGE 89 I 316 S. 317 A.- Il 25 luglio 1949 è nato a Viganello un infante al quale fu imposto il nome di A e che venne iscritto come figlio legittimo di C e Y, entrambi di cittadinanza italiana. Con sentenza 18 ottobre 1950, il Tribunale di Torino accolse l'azione di contestazione della paternità promossa da C e statuì l'illegittimità dell'infante, determinandone il nome in A. B. Il 5 settembre 1955, lo stesso bambino veniva riconosciuto con effetti di stato civile da X, attinente di Winterthur e domiciliato a Lugano. L'ufficiale di stato civile di Viganello procedeva alla stesura dell'atto di riconoscimento, alla relativa annotazione nel registro delle nascite e dava corso al procedimento di opposizione di cui all'art. 305 CC. Contro il riconoscimento non veniva interposta alcuna opposizione, nè promossa azione ai sensi dell'art. 306 CC. L'autorità cantonale di vigilanza poteva rendersi conto del riconoscimento solo più tardi. Con decisione 27 aprile BGE 89 I 316 S. 318 1962, essa fece rilevare all'ufficiale di stato civile che, trattandosi di un figlio illegittimo nato da rapporto adulterino, non poteva essere validamente riconosciuto; per cui dispose l'annullamento dell'atto di riconoscimento e della relativa annotazione nel registro delle nascite. B.- Il 26 ottobre 1962, X e Y, agendo in rappresentanza del suindicato minorenne, hanno interposto al Tribunale federale un ricorso di diritto amministrativo, mediante il quale domandano che la decisione suesposta sia annullata e ripristinata l'iscrizione dell'atto di riconoscimento nei registri di stato civile. Secondo i ricorrenti, l'annullamento dell'atto suesposto poteva essere ordinato soltanto dal giudice. Al riguardo - affermano in sostanza i ricorrenti - l'autorità di vigilanza non poteva fondare la sua competenza nè sull'art. 51 cpv. 2 OSC, nè sull'art. 45 cpv. 2 CC, perchè entrambe queste disposizioni concernono esclusivamente le iscrizioni che risultano manifestamente false. Tale non è la controversa iscrizione del riconoscimento, perchè stesa nel rispetto delle forme legali secondo verità. Un'eventuale contestazione poteva essere proposta soltanto ai sensi dell'art. 306 CC che è legge speciale rispetto agli art. 51 OSC e 45 CC. Da rilevare inoltre che la decisione impugnata è stata presa dopo sette anni dal riconoscimento e che, se confermata, muterebbe al bambino le generalità, l'attinenza e la nazionalità, a giusta ragione considerate acquisite. Peraltro, il Tribunale federale ha già dichiarato che la radiazione dell'iscrizione del riconoscimento pressuppone una azione intesa ad ottenere l'annullamento dell'atto in sè (RU 75 II 14) e non può quindi comunque essere effettuata dall'autorità amministrativa nel procedimento di rettificazione. C.- Il Dipartimento cantonale dell'interno, agendo nelle sue funzioni di autorità di vigilanza sullo stato civile, ha presentato le sue osservazioni, con le quali ha proposto di respingere il ricorso in ordine, subordinatamente nel merito. BGE 89 I 316 S. 319 Secondo il Dipartimento, il ricorso è intempestivo perchè già dal 12 aprile 1962 il ricorrente X era edotto della decisione che avrebbe preso l'autorità di vigilanza. Ne è prova il fatto - prosegue in sostanza l'autorità cantonale - che, a seguito di tale comunicazione, X, seguendo il consiglio dell'ispettore e dell'ufficiale dello stato civile, procedette immediatamente a promuovere il procedimento agevolato di naturalizzazione del bambino. Il fatto che la decisione cantonale è stata intimata al patrocinatore dei ricorrenti solo l'11 ottobre 1962 è pertanto irrilevante. Nel merito, il ricorso è infondato perchè l'autorità di vigilanza è competente a disporre, non solo rettificazioni (art. 50 OSC), ma anche cancellazioni di iscrizioni che risultino manifestamente del tutto erronee o invalide (art. 51 cpv. 2 OSC). Nel caso particolare la sentenza 18 ottobre 1950 del Tribunale di Torino ha dimostrato che si tratta di un figlio adulterino, il cui riconoscimento è vietato all'art. 304 CC. Il provvedimento amministrativo di cancellazione è pertanto giustificato. D.- Il Dipartimento federale di giustizia e polizia ha pure presentato le sue osservazioni, senza tuttavia formulare una precisa proposta. Esso ha fatto rilevare che, come stabilito nella circolare E 11 dello stato civile, non ancora pubblicata, l'ufficio di stato civile deve rifiutare l'iscrizione del riconoscimento di un figlio che risulti essere nato da rapporto adulterino. Tuttavia, l'iscrizione, essendo già stata effettuata, non può più essere radiata dall'autorità di vigilanza senza il consenso degli interessati. Se, come in concreto, manca questo consenso una siffatta misura può essere ordinata solo dal giudice. L'accoglimento del ricorso porterebbe tuttavia presumibilmente alla perpetuazione di una iscrizione contraria al diritto materiale. Erwägungen Considerando in diritto: 1. Secondo l' art. 107 OG , il ricorso di diritto amminis trativo deve essere depositato presso il Tribunale federale BGE 89 I 316 S. 320 entro il termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione scritta della decisione. Questa disposizione è ribadita, negli identici termini, all'art. 20 OSC. Contrariamente a quanto esposto nelle osservazioni dell'autorità cantonale di vigilanza, il fatto che l'Ispettore e lo stesso ufficiale dello stato civile abbiano, già il 12 aprile 1962, reso nota al ricorrente X l'intenzione dell'autorità cantonale di ordinare la cancellazione del riconoscimento, è irrilevante. Il ricorrente doveva attendere prima di ricorrere che gli fosse stata intimata la decisione per scritto. Peraltro, di massima, nulla impediva all'autorità di vigilanza di successivamente revocare la suesposta presa di posizione. Agli effetti della tempestività del ricorso è pure evidentemente irrilevante che, a seguito dell'anzidetta comunicazione verbale, il ricorrente abbia promosso, presumibilmente a titolo prudenziale, la procedura di naturalizzazione del figlio. È pacifico che la comunicazione scritta della decisione 27 aprile 1962 dell'autorità di vigilanza venne data ai ricorrenti solo l'11 ottobre 1962. Il ricorso, interposto il 27 dello stesso mese, è pertanto tempestivo. 2. Secondo l'art. 8 RL il riconoscimento volontario soggiace alla legislazione del luogo d'origine del padre. Questa disposizione è applicabile in virtù dell'art. 32 della stessa legge anche ai rapporti di diritto internazionale: poco importa quindi che il riconoscendo aveva la cittadinanza italiana. Stabilito che la controversa iscrizione del riconoscimento era stata richiesta da un cittadino svizzero, l'ufficiale dello stato civile doveva applicare il diritto federale e segnatamente l'art. 304 CC il quale prescrive che il riconoscimento del figlio adulterino non è ammesso. Ciò stante e visto che, secondo quanto risultava dagli atti, il riconoscendo doveva essere stato concepito vigendo il matrimonio della madre con un uomo diverso dal presunto padre naturale, l'ufficiale di stato civile di Viganello doveva respingere siccome inammissibile la domanda di iscrizione presentatagli da X (RU 72 I 346 consid. 2). BGE 89 I 316 S. 321 Contrariamente a quanto affermano i ricorrenti, l'ufficiale di stato civile non avrebbe comunque potuto tener conto che all'epoca suesposta la madre del riconoscendo era vissuta di fatto e di diritto separata dal marito. La questione di sapere se, agli effetti del riconoscimento, il matrimonio della madre dovesse, secondo il diritto del paese di origine del riconoscendo, considerarsi disciolto e se una siffatta regola si conciliasse con l'ordine pubblico svizzero - questione che in difetto di dimostrazione è stata lasciata indecisa dal Tribunale federale nel caso di un riconoscendo austriaco (RU 72 I 347 consid. 3) - non incombeva certamente all'ufficiale di stato civile. Ad ogni modo, se questi avesse immediatamente respinto la domanda d'iscrizione avrebbe dato ai ricorrenti la possibilità di agire tempestivamente, presentando le loro contestazioni nel procedimento del ricorso di diritto amministrativo. 3. In realtà, l'iscrizione del riconoscimento e la relativa annotazione nel registro delle nascite sono state effettuate senza alcuna contestazione e, secondo quanto risulta dagli atti, senza che agli interessati possa essere imputato un comportamento contrario alla buona fede; dette registrazioni hanno pertanto acquisito efficacia probatoria (art. 9 CC, art. 28 OSC). Secondo l'art. 45 cpv. 1 CC, siffatte iscrizioni possono, di massima, essere rettificate solo dal giudice. La rettificazione può essere ordinata dall'autorità di vigilanza solo nel caso che l'errore dipenda da sbaglio o disattenzione manifesti (art. 45 cpv. 2 CC). L'art. 51 cpv. 2 OSC, applicato dall'autorità di vigilanza, stabilisce è vero che questa autorità può ordinare anche la cancellazione dell'iscrizione, ma precisa, in consonanza con i suindicati presupposti legali, che deve trattarsi di iscrizione "manifestamente del tutto erronea, invalida o superflua" ("im vollem Umfange als unrichtig, ungültig oder überflüssig" "de façon manifeste complètement fausse, non valable en droit ou superflue". Tale non può essere considerata la controversa iscrizione. BGE 89 I 316 S. 322 Piuttosto che da uno sbaglio o da una disattenzione manifesti, la mancanza dell'ufficiale dello stato civile è presumibilmente dipesa da erronea valutazione della norma legale applicabile, dall'aver cioè reputato che il riconoscimento presupponesse soltanto trattarsi di figlio dichiarato illegittimo o che il figlio concepito in regime di separazione della madre ad opera di padre celibe non potesse essere considerato adulterino. Infatti, la norma applicabile non è intuitiva; secondo i commentatori, il testo dell'art. 304 CC è solo apparentemente chiaro ed è di non facile interpretazione (EGGER, Kommentar N. 2, SILBERNAGEL/WÄBER, Kommentar N. 1 e segg.). Non si può nemmeno affermare che la controversa iscrizione sia completamente invalida, perchè la questione di stabilire se una siffatta iscrizione sia nulla in senso assoluto o sia semplicemente impugnabile, è controversa (RU 75 II 10; EGGER, o.c. N. 6, all'art. 304; SILBERNAGEL/WÄBER o.c. N. 14 all'art. 304; ALBISSER nella SJZ vol. 35 pag. 44). La giurisprudenza si è anzi già espressa nel senso della semplice impugnabilità (RU 55 I 25). Inoltre, detta iscrizione non può evidentemente essere considerata superflua. Essa comprova non solo il diritto del figlio riconosciuto ad esigere gli alimenti dal padre naturale, ma anche la cittadinanza dell'iscritto; diritti che il medesimo ha avuto la possibilità di far valere, in modo incontestato, per diversi anni. Dottrina e giurisprudenza hanno infine precisato che la rettificazione non può essere ordinata dall'autorità di vigilanza, in quanto il difetto non può essere considerato manifesto, quando - come in concreto - l'iscrizione è rimasta pacifica per anni e la rettifica è oggetto di contestazione (RU 76 I 231 e citazioni; GAUTSCHI in SJZ vol. 18 p. 322; P. B. JAQUES, La rectification des actes de l'étatcivil, pag. 266 e citazioni). 4. Poichè nel caso particolare i presupposti della rettificazione ad opera dell'autorità di vigilanza non sono adempiuti, le domande dei ricorrenti devono essere accolte. BGE 89 I 316 S. 323 È pertanto superfluo stabilire se, in concreto, la cancellazione possa essere ordinata, come indica il Dipartimento federale di giustizia, dal giudice nel procedimento di rettificazione, oppure se - come sembra pretendano i ricorrenti - possa essere realizzata soltanto previa azione di impugnazione dello stato personale del figlio riconosciuto. Dispositiv Il Tribunale federale pronuncia: Il ricorso è accolto e la decisione del 27 aprile 1962 del Dipartimento dell'interno del Cantone Ticino, quale autorità di vigilanza sullo stato civile, è annullata. L'ufficiale dello stato civile di Viganello deve ristabilire l'iscrizione anteriore.
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211fd045-2051-47f0-bc15-44e9690fef63
Urteilskopf 134 V 199 24. Auszug aus dem Urteil der II. sozialrechtlichen Abteilung i.S. X. gegen Kanton Zürich (Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten) 9C_654/2007 vom 28. Januar 2008
Regeste Art. 95 BGG ; Art. 73 Abs. 4 BVG (in Kraft bis 31. Dezember 2006). Das kantonale und kommunale öffentliche Berufsvorsorgerecht wird vom Bundesgericht frei überprüft, jedenfalls soweit es um die Bewilligung oder Verweigerung von Versicherungsleistungen geht (E. 1).
Erwägungen ab Seite 199 BGE 134 V 199 S. 199 Aus den Erwägungen: 1. 1.1 Die Beschwerdeführerin gründet ihren Leistungsanspruch auf kantonales Recht, nämlich § 5 der Verordnung vom 5. Januar 1994 über die Leistungen der Versicherungskasse für das Staatspersonal an die Mitglieder des Regierungsrates (Leistungsverordnung; LS 177.24). Nach Auffassung des Beschwerdegegners kann das Bundesgericht die Anwendung dieser Verordnung nicht frei, sondern nur auf die Verletzung von Bundesrecht oder kantonalen verfassungsmässigen Rechten hin überprüfen. Dies ist in der Tat die ordentliche Kognition des Bundesgerichts im Rahmen der Anwendung kantonalen Rechts ( Art. 95 lit. a und c BGG ). BGE 134 V 199 S. 200 1.2 Unter der Herrschaft des Bundesgesetzes vom 16. Dezember 1943 über die Organisation der Bundesrechtspflege (OG) hat indessen das Eidg. Versicherungsgericht in Streitigkeiten um die Bewilligung oder Verweigerung von Versicherungsleistungen der beruflichen Vorsorge auch die Anwendung kantonalen oder kommunalen öffentlichen Vorsorgerechts frei geprüft. Dies wurde mit der Gleichstellung von öffentlich- und privatrechtlichen Vorsorgeeinrichtungen begründet sowie mit der speziellen Verfahrensordnung des Art. 73 Abs. 4 BVG ( BGE 116 V 333 E. 2b S. 334 f.). Mit dem Inkrafttreten der Justizreform auf den 1. Januar 2007 wurde allerdings Art. 73 Abs. 4 BVG aufgehoben (AS 2006 S. 2197, 2278) mit der Begründung, der Rechtsschutz folge den allgemeinen Bestimmungen über die Bundesrechtspflege und bedürfe keiner spezialgesetzlichen Regelung (Botschaft des Bundesrates zur Totalrevision der Bundesrechtspflege vom 28. Februar 2001, BBl 2001 S. 4202 ff., 4460). Indessen ist das Anliegen einer Gleichbehandlung von öffentlich- und privatrechtlich Versicherten unverändert gültig. Hinzu kommt, dass auch das kantonale und kommunale Berufsvorsorgerecht sich an die Vorgaben des BVG zu halten hat ( Art. 48 Abs. 2 und Art. 49 BVG ) und gewissermassen als konkretisierende Gesetzgebung im Rahmen der weitgehend bundesrechtlich geregelten beruflichen Vorsorge (vgl. Art. 113 Abs. 1 BV ) betrachtet werden kann. Es rechtfertigt sich daher, auch unter der Herrschaft des BGG das kantonale und kommunale öffentliche Berufsvorsorgerecht frei zu überprüfen, jedenfalls soweit es um die Bewilligung oder Verweigerung von Versicherungsleistungen geht (ebenso SEILER/VON WERDT/GÜNGERICH, Bundesgerichtsgesetz [BGG], Bern 2007, N. 16 zu Art. 95 BGG ; MARKUS SCHOTT, Basler Kommentar zum BGG, Basel 2008, N. 46 zu Art. 95 BGG ). Das ist hier der Fall.
null
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Urteilskopf 141 III 580 76. Auszug aus dem Urteil der II. zivilrechtlichen Abteilung i.S. Konkursamt Kriens gegen Konkursamt Aargau (Beschwerde in Zivilsachen) 5A_80/2015 vom 19. Oktober 2015
Regeste Art. 4, 17 und 229 Abs. 1 SchKG ; Art. 76 Abs. 1 lit. b BGG ; Rechtshilfe; Beschwerdelegitimation der Konkursverwaltung; Präsenzpflicht des Schuldners im Konkursverfahren. Legitimation der Konkursverwaltung, um die Verweigerung der Rechtshilfe eines anderen Konkursamtes anzufechten (E. 1.2). Grundsätze der Rechtshilfepflicht der Betreibungs- und Konkursbehörden (E. 3.1). Die Präsenzpflicht des Schuldners gilt im Verhältnis zwischen der Behörde und dem Schuldner; sie ersetzt die Rechtshilfepflicht nicht (E. 3.2). Das requirierte Amt hat die gesetzliche Zulässigkeit der verlangten Amtshandlung nicht zu untersuchen (E. 3.3).
Sachverhalt ab Seite 581 BGE 141 III 580 S. 581 A. A.a Über die A. AG mit Sitz in U./LU wurde mit Entscheid des Bezirksgerichts Kriens am 11. Dezember 2013 auf Antrag der B. GmbH der Konkurs eröffnet. Am 12. Dezember 2013 lud das Konkursamt Kriens C., einziges Mitglied des Verwaltungsrates der Schuldnerin und wohnhaft in V./AG, auf den 20. Dezember 2013 zur Einvernahme auf die Amtsstelle ein. Auf Ersuchen von C. wurde der Einvernahmetermin auf den 6. Januar 2014 verschoben, welchem sie unentschuldigt fernblieb, ebenso wie den weiteren Vorladungsterminen vom 10. Januar 2014 und 17. Januar 2014. A.b Mit Schreiben vom 17. Januar 2014 gelangte das Konkursamt Kriens an das Konkursamt Aargau, Amtsstelle Oberentfelden, und ersuchte, die Einvernahme von C. rechtshilfeweise durchzuführen, wenn nötig durch polizeiliche Zuführung. Das Konkursamt Aargau, Amtsstelle Oberentfelden, weigerte sich mit Antwort an das Konkursamt Kriens vom 20. Januar 2014, die Einvernahme von C. rechtshilfeweise durchzuführen. B. Gegen die Rückweisung des Rechtshilfeauftrages gelangte das Konkursamt Kriens an das Bezirksgericht (Gerichtspräsidium) Aarau als untere betreibungsrechtliche Aufsichtsbehörde und verlangte, das Konkursamt Aargau, Amtsstelle Oberentfelden, sei anzuweisen, die Einvernahme von C. gemäss Rechtshilfeauftrag vom 17. Januar 2014 durchzuführen. Mit Entscheid vom 27. März 2014 wurde die Beschwerde abgewiesen. Das Obergericht des Kantons Aargau, Schuldbetreibungs- und Konkurskommission als obere betreibungsrechtliche Aufsichtsbehörde, wies die vom Konkursamt Kriens erhobene Beschwerde mit Entscheid vom 14. Januar 2015 ebenfalls ab. C. Das Konkursamt Kriens hat am 2. Februar 2015 beim Bundesgericht Beschwerde erhoben. Es beantragt die Aufhebung des Entscheides des Obergerichts des Kantons Aargau als oberer kantonaler Aufsichtsbehörde. In der Sache beantragt das Konkursamt Kriens, es sei das Konkursamt Aargau anzuweisen, die Einvernahme von C. gemäss Rechtshilfeauftrag vom 17. Januar 2014 durchzuführen. (...) Das Bundesgericht heisst die Beschwerde gut. (Auszug) Erwägungen Aus den Erwägungen: 1. 1.2 Zur Beschwerde in Zivilsachen ist nur berechtigt, wer durch den angefochtenen Entscheid besonders berührt ist und ein BGE 141 III 580 S. 582 schutzwürdiges Interesse an dessen Aufhebung oder Abänderung hat ( Art. 76 Abs. 1 lit. b BGG ). Ein solches Interesse ist gegeben, wenn die Beschwerdelegitimation ("schutzwürdiges Interesse") nach Art. 17 f. SchKG vorhanden ist (u.a. JEANDIN, La plainte et le recours [art. 17-22 et 36 LP], in: Sviluppi e orientamenti del diritto esecutivo federale, 2012, S. 36 f., mit Hinweis), was vorliegend zu prüfen ist. 1.2.1 Im Rahmen der Rechtshilfe steht nach der Rechtsprechung dem ersuchenden Betreibungsorgan gegen die Verweigerung der Rechtshilfe durch das ersuchte Amt der Beschwerdeweg nicht offen, sondern es hat die an der verlangten Massnahme Interessierten von der Ablehnung durch das ersuchte Amt zu benachrichtigen, so dass diese selber Beschwerde nach Art. 17 SchKG führen können ( BGE 71 III 75 E. 3 S. 79; 31 I 716 E. 1 S. 720). Die Rechtsprechung wird in der Lehre bestätigt (LORANDI, Betreibungsrechtliche Beschwerde und Nichtigkeit, 2000, N. 194 zu Art. 17 SchKG ) und in der kantonalen Praxis befolgt (Die Praxis des Kantonsgerichts von Graubünden 2010 Nr. 10 S. 67, 83), aber auch kritisiert, soweit sie ausnahmslos angewendet wird (JAEGER, Bundesgesetz betreffend Schuldbetreibung und Konkurs, Bd. I, 1991, N. 2 zu Art. 17 SchKG , S. 30; gl.M. NÖTZLI, Die analoge Anwendung zivilprozessualer Normen auf das Beschwerdeverfahren nach SchKG [...], 1980, S. 76/77, mit Hinweis auf abweichende kantonale Praxis). 1.2.2 Die Tragweite dieser Rechtsprechung muss im konkreten Fall nicht abschliessend erörtert werden. Bereits in BGE 83 III 129 , wo gegen die Verweigerung der Rechtshilfe nicht nur einige Konkursgläubiger, sondern auch das ersuchende Amt "namens der Masse" Beschwerde geführt haben, gab es keinen Anlass, die Beschwerdelegitimation des Konkursamtes in Frage zu stellen. Allgemein gilt, dass das Konkursamt bzw. die Konkursverwaltung zur betreibungsrechtlichen Beschwerde legitimiert ist, soweit es um die Interessen der Masse und damit um solche der Gesamtheit der Gläubiger geht, z.B. um die Aufhebung einer Sicherungsmassnahme ( Art. 223 SchKG ) betreffend das Konkursvermögen ( BGE 116 III 32 E. 1 S. 34; BGE 103 III 79 E. 1 S. 81; vgl. Urteil 5A_688/2012 vom 29. April 2013 E. 2; GILLIÉRON, Poursuite pour dettes, faillite et concordat, 5. Aufl. 2012, Rz. 259). 1.2.3 Würde die Aufsichtsbehörde des Konkursamtes die Vorladung zur Einvernahme des Schuldners anlässlich der Inventur (gemäss Art. 37 KOV [SR 281.32] i.V.m. Art. 221 und 229 Abs. 1 SchKG ) BGE 141 III 580 S. 583 und zur entsprechenden Mitwirkung im Konkursverfahren aufheben, wäre das Konkursamt legitimiert, den Entscheid anzufechten, um die Interessen der Gläubigergesamtheit wahrzunehmen. Das Gleiche gilt, wenn sich - wie hier - die Behörde eines anderen Amtskreises weigert, Rechtshilfe zur Einvernahme des Schuldners zu leisten. Es ist nicht erforderlich, dass das ersuchende Konkursamt Kriens die Gläubigerin (B. GmbH) benachrichtigt, damit sie Beschwerde erhebe, denn es ist selber - soweit es um das Interesse der Gläubigergesamtheit geht - an der verlangten Massnahme genügend interessiert. So wie die Vorinstanz dem Konkursamt Kriens im Konkurs der A. AG ohne weiteres ein schutzwürdiges Interesse zur Beschwerdeführung gemäss Art. 17 SchKG zu Recht zuerkannt hat, ist dem Konkursamt das schutzwürdige Interesse an der Aufhebung oder Änderung des angefochtenen Entscheides bzw. das Beschwerderecht zuzuerkennen ( Art. 76 Abs. 1 lit. b BGG ). (...) 3. Anlass zur vorliegenden Beschwerde gibt das Gesuch des Konkursamtes am Konkursort, welches vom Konkursamt in einem anderen Amtskreis verlangt, die Einvernahme der Schuldnerin anlässlich der Inventaraufnahme durchzuführen. Streitpunkt ist, ob das ersuchende Konkursamt Kriens sich auf die Pflicht zur Rechtshilfe zwischen Konkursämtern berufen kann oder das ersuchte Konkursamt Aargau die verlangte Amtshandlung überprüfen und verweigern darf. 3.1 Gemäss Abs. 1 von Art. 4 SchKG ("Rechtshilfe") nehmen die Betreibungs- und Konkursämter auf Verlangen von Ämtern, ausseramtlichen Konkursverwaltungen, Sachwaltern und Liquidatoren eines anderen Kreises Amtshandlungen vor (vgl. BGE 83 III 129 S. 130; Botschaft vom 8. Mai 1991 über die Änderung des SchKG, BBl 1991 III 1, 24 Ziff. 201.12; GILLIÉRON, Commentaire de la loi fédérale sur la poursuite et la faillite, Bd. I, 1999, N. 9, 11 zu Art. 4 SchKG ). Gegenstand der Rechtshilfe ist die behördliche Tätigkeit, zu deren Vornahme Amtsgewalt notwendig ist, aber ausserhalb des Amtskreises der ersuchenden Behörde vorzunehmen ist (vgl. u.a. DALLÈVES, in: Commentaire romand, Poursuite et faillite, 2005, N. 4 zu Art. 4 SchKG ; BOVERI, Die Rechtshilfe im Schweizerischen Schuldbetreibungs- und Konkursrecht, 1948, S. 14). Art. 4 SchKG kommt immer dann und nur dann zur Anwendung, wenn ein Amt ausserhalb seiner örtlichen Zuständigkeit, d.h. ausserhalb seines Kreises ( Art. 1 SchKG ) tätig werden muss, wo es keine Amtsgewalt hat (ROTH/WALTHER, in: Basler Kommentar, Bundesgesetz über Schuldbetreibung und BGE 141 III 580 S. 584 Konkurs, 2. Aufl. 2010, N. 1 a.E. zu Art. 4 SchKG ; MÖCKLI, in: Kurzkommentar SchKG, 2. Aufl. 2014, N. 1 f. zu Art. 4 SchKG ). Umgekehrt kann das Amt für die Amtshandlung im eigenen Kreis nicht die Rechtshilfe eines anderen Amtes verlangen; auch die Zustellung von Betreibungsurkunden ausserhalb des Amtskreises durch die Post erfordert keine Rechtshilfe (Art. 4 Abs. 2 a.E. SchKG); anders als im internationalen Verhältnis können diese Amtshandlungen im ganzen Inland direkt vorgenommen werden (ROTH/WALTHER, a.a.O., N. 2 zu Art. 4 SchKG ). 3.2 Zur Inventaraufnahme ( Art. 221 SchKG ) ist das Konkursamt am Wohnsitz oder Sitz des Schuldners zuständig, und falls die Vermögenswerte ausserhalb des Zugriffsbereichs des Konkursamts liegen, ist die Rechtshilfe gemäss Art. 4 SchKG der am Lageort zuständigen Behörde in Anspruch zu nehmen (u.a. VOUILLOZ, in: Commentaire romand, Poursuite et faillite, 2005, N. 16 zu Art. 221 SchKG ; SCHOBER, in: Kurzkommentar SchKG, 2. Aufl. 2014, N. 6, 7 zu Art. 221 SchKG ). Zu Recht steht ausser Frage, dass der Schuldner während des Konkursverfahrens gemäss Art. 229 Abs. 1 SchKG der Konkursverwaltung zur Verfügung stehen muss; dies gilt auch im Rahmen der Inventaraufnahme ( Art. 37 KOV ). Im Falle der juristischen Person erfasst die Präsenzpflicht die betreffenden Organe (VOUILLOZ, a.a.O., N. 2 zu Art. 229 SchKG ). Zu prüfen ist zunächst, ob das Konkursamt am Konkursort die Einvernahme des Schuldners bzw. Organes anlässlich der Inventaraufnahme ausserhalb seines Kreises verlangen kann. 3.2.1 Die Einvernahme des Schuldners durch das Konkursamt ist zweifelsfrei eine Amtshandlung, welche ausserhalb seines Amtskreises nicht direkt möglich ist. Zur Einvernahme des Schuldners ausserhalb seines Amtskreises muss daher das Konkursamt die Rechtshilfe beanspruchen. Die vom Konkursamt Kriens ausserhalb seines Amtskreises verlangte Einvernahme der Schuldnerin durch das betreffende Konkursamt ist taugliches Objekt der Rechtshilfe. Liegt aber ein solcher Gegenstand vor, sieht Art. 4 Abs. 1 SchKG auf entsprechendes Verlangen die Pflicht zur Rechtshilfe vor ("Requisition"). Die Rechtshilfe erstreckt sich auf alles, was ein Betreibungs- oder Konkursamt kraft Gesetz zu tun in der Lage ist: Das, was es selbst tun kann, kann es grundsätzlich auch durch ein anderes Amt requisitionsweise vornehmen lassen (BOVERI, a.a.O., S. 23). Der Sinn der allgemeinen Rechtshilfepflicht der Betreibungs- und Konkursbehörden untereinander liegt gerade darin, dass die Schweiz ein einheitliches BGE 141 III 580 S. 585 Rechtsgebiet für die Schuldvollstreckung darstellt (vgl. bereits BGE 83 III 129 S. 130; 54 I 166 E. 4 S. 174). Das requirierte Amt ist daher zur verlangten Tätigkeit verpflichtet (u.a. BOVERI, a.a.O., S. 21; MÖCKLI, a.a.O., N. 6 zu Art. 4 SchKG ). Dies verkennt das Konkursamt Aargau, wenn es zur Einvernahme des Schuldners u.a. ausführt, das Konkursamt am Konkursort habe "dem Schuldner in die Augen zu schauen". Der Rechtshilfeauftrag macht das requirierte Konkursamt zum zuständigen Amt und führt dazu, dass seine "Augen" zu denjenigen des requirierenden Amtes werden. 3.2.2 Die Vorinstanz verneint die Pflicht zur Rechtshilfe mit der Begründung, dass die Präsenzpflicht des Schuldners gemäss Art. 229 SchKG durch polizeiliche Zuführung sichergestellt werden könne, so dass die Amtshilfe des Konkursamtes Aargau gar nicht nötig sei. Die Begründung stösst ins Leere. Die angeführte Bestimmung regelt die Mitwirkungspflicht des Schuldners gegenüber dem Konkursamt bzw. der Konkursverwaltung. Sie gilt im Verhältnis zwischen der Behörde und dem Schuldner und kann nicht herangezogen werden, um die Rechtshilfepflicht der Konkursämter zu ersetzen. Die Präsenzpflicht des Schuldners gemäss Art. 229 SchKG stellt keine Beschränkung des Vollstreckungsbereiches auf das Gebiet des Kantons dar, wie dies z.B. ganz früher für ausserkantonale öffentlichrechtliche Forderungen der Fall war ( BGE 67 III 105 S. 106). Im Gegenteil: Die Rechtshilfepflicht ergibt sich beispielhaft für die Konkursämter aus dem Grundsatz der Einheit und Attraktivkraft des Konkurses (so BGE 54 I 166 E. 4 S. 174). Für die Pflicht zur Rechtshilfe ist vorliegend einzig Art. 4 Abs. 1 SchKG massgebend, wie die kantonale Praxis bereits in einem gleich gelagerten Fall zu Recht erkannt hat (Entscheid der Aufsichtsbehörde Basel-Landschaft vom 5. Dezember 2011, BlSchK 2012 Nr. 48 S. 203, 205, mit zustimmender Anmerkung von VONDER MÜHLL). Das requirierte Konkursamt Aargau kann demnach die verlangte rechtshilfeweise Einvernahme des Organes der Schuldnerin nicht verweigern. 3.3 Die obere Aufsichtsbehörde hat demgegenüber ausgeführt, dass weder "sprachliche Schwierigkeiten" noch "gesundheitliche Probleme" der Verwaltungsrätin der Schuldnerin vorliegen, welche die Einvernahme ausserhalb des Amtskreises des Konkursamtes Kriens notwendig machen würden. Die Vorinstanz ist davon ausgegangen, dass das requirierte Konkursamt Aargau die verlangte Amtshandlung überprüfen darf. Diese und andere Erwägungen führen nicht weiter. BGE 141 III 580 S. 586 3.3.1 Die Vorinstanz hat selber (zu Recht) angenommen, dass die Einvernahme des Schuldners zur Inventaraufnahme Gegenstand der Rechtshilfe sein kann. Allerdings hat sie Voraussetzungen aufgestellt, unter welchen die Rechtshilfe betreffend Einvernahme zu leisten ist. Damit hat sie übergangen, dass das requirierte Amt - aus der dargelegten Pflicht zur Rechtshilfe heraus (E. 3.2) - die gesetzliche Zulässigkeit der verlangten Amtshandlung allgemein und seit jeher nicht zu untersuchen hat ( BGE 67 III 105 S. 106/107; vgl. 96 III 93 E. 1 S. 95; bereits Urteil B.233/1895 vom 25. Februar 1896, Archiv für Schuldbetreibung und Konkurs V/1896 Nr. 32 S. 84, 86; vgl. zuletzt Urteil 7B.251/2004 vom 24. Dezember 2004 E. 2.1), sondern die Berechtigten betreibungsrechtliche Beschwerde gegen die Anordnung der betreffenden Amtshandlung im Kanton der requirierenden Behörde erheben können (vgl. DALLÈVES, a.a.O., N. 8 zu Art. 4 SchKG , mit Hinweis; MÖCKLI, a.a.O., N. 11 zu Art. 4 SchKG ). 3.3.2 Die Überlegung der Vorinstanz läuft darauf hinaus, wie das requirierende Konkursamt sein Ermessen auszuüben habe, d.h. ob es eine weitere Vorladung verfügen oder zur polizeilichen Vorführung schreiten soll. Die erwähnten Kriterien sind wohl sachgerecht, aber nicht abschliessend; auch die Kosten für den Beizug der Polizei ( Art. 13 Abs. 1 GebV SchKG [SR 281.35]) könnten eine Rolle spielen. Wenn die Vorinstanz - als Aufsichtsbehörde des requirierten Konkursamtes - jedoch eigene Kriterien als Voraussetzungen aufgestellt hat und diese für nicht erfüllt hält, hat sie offensichtlich in den Entscheid über die Anordnung und damit in das Ermessen des requirierenden Konkursamtes Kriens bzw. der Aufsichtsbehörden des Kantons Luzern eingegriffen. Das ist nicht nur - wie dargelegt - mit der Pflicht zur Rechtshilfe gemäss Art. 4 Abs. 1 SchKG , sondern auch mit der Aufsichtsbefugnis ( Art. 13 SchKG ) der Behörde im Kanton des requirierenden Konkursamtes nicht vereinbar. 3.3.3 Aus der von der Vorinstanz zitierten Literaturstelle von LUSTENBERGER (a.a.O., N. 1 letzter Satz zu Art. 229 SchKG ) lässt sich nichts entnehmen, was dem requirierten Amt das Recht geben würde, den Rechtshilfeauftrag zurückzuweisen. Aus dem Kontext bzw. vorangehenden Satz, der sich auf Art. 229 Abs. 3 SchKG bzw. die Wohnung des Konkursschuldners bezieht, geht hervor, dass es der Konkursverwaltung am Konkursort obliegt zu bestimmen, unter welchen Voraussetzungen der Schuldner und seine Familie in ihrer der Konkursmasse zugehörigen bisherigen Wohnung verbleiben ("... jedoch nicht das zur Inventarisierung einer auswärtigen Liegenschaft BGE 141 III 580 S. 587 beigezogene Konkursamt"); über die rechtshilfeweise Einvernahme des Schuldners anlässlich der Inventaraufnahme und die Rechtshilfepflicht ist damit nichts gesagt. 3.3.4 Die übrigen Erwägungen der Vorinstanz zum polizeilichen Vollzug der Präsenzpflicht gemäss Art. 229 Abs. 1 SchKG sind nicht erheblich. Das Konkursamt Kriens verlangt vom Konkursamt Aargau nicht Rechtshilfe zum polizeilichen Vollzug der Präsenzpflicht des Schuldners, d.h. Zuführung nach Kriens. Streitgegenstand ist die rechtshilfeweise Durchführung der Einvernahme beim Konkursamt Aargau, wofür - wie dargelegt (E. 3.2) - Rechtshilfepflicht besteht. Ausser Frage steht sodann, dass das zur Einvernahme requirierte Konkursamt Aargau ausschliesslich zuständig ist ( Art. 4 Abs. 2 SchKG ), um die Vorführung durch die Polizei anzuordnen. 3.4 Nach dem Dargelegten ist mit Bundesrecht nicht vereinbar, wenn die Vorinstanz zum Ergebnis gelangt ist, das Konkursamt Aargau habe den Rechtshilfeauftrag des Konkursamtes Kriens zurückweisen dürfen.
null
nan
de
2,015
CH_BGE
CH_BGE_005
CH
Federation
2123ca54-6e48-4aa4-aa50-c17518288d61
Urteilskopf 96 I 733 111. Auszug aus dem Urteil vom 20. November 1970 i.S. X. gegen Eidg. Finanz- und Zolldepartement.
Regeste Auskunfterteilung nach dem Doppelbesteuerungsabkommen vom 16. Okt. 1948 zwischen der Schweiz und Schweden (DBAS). 1. Zulässigkeit der Beschwerde gegen den Beschwerdeentscheid des Eidg. Finanz- und Zolldepartementes, wonach auf Grund des Doppelbesteuerungsabkommens mit Schweden der zuständigen schwedischen Behörde eine Auskunft zu erteilen ist (Erw. 1). 2. Die Auskunftspflicht der Schweiz gegenüber Schweden nach Art. 10 Abs. 2 DBAS (Erw. 2 und 3).
Sachverhalt ab Seite 734 BGE 96 I 733 S. 734 A.- Das Königliche Finanzministerium, Stockholm, ersuchte die Eidg. Steuerverwaltung (EStV) am 11. Oktober 1966 gestützt auf das Doppelbesteuerungsabkommen vom 16. Oktober 1948 zwischen der Schweiz und Schweden (DBAS) um Auskunft über die Verwendung von Lizenzgebühren und Provisionen, welche die in der Schweiz domizilierte Firma X. in den Jahren 1959 bis 1964 von der schwedischen Firma Y. aus Schweden erhalten habe. Es bestünden Anzeichen dafür, dass die schwedische Firma unter der Bezeichnung Lizenzgebühren Gewinne steuerfrei von Schweden in die Schweiz überwiesen habe. Ohne das Doppelbesteuerungsabkommen mit der Schweiz hätten die Lizenzgebühren an X. in Schweden der Einkommenssteuer unterlegen. Möglicherweise liege ein Abkommensmissbrauch vor. B.-- Die EStV hat festgestellt, dass X. nach Vertrag 90% der von Y. eingehenden Zahlungen an eine Firma mit Sitz in einem Drittstaat weiterleiten musste, und dass X. dieser vertraglichen Verpflichtung in den Jahren 1959 bis 1962 nachgekommen ist, während im Jahre 1963 nichts mehr weitergeleitet wurde. Am 23. Juni 1967 eröffnete die EStV X., sie beabsichtige das Ergebnis ihrer Abklärungen, ergänzt um Erwägungen zur Anwendbarkeit des BRB vom 14. Dezember 1962 betreffend Massnahmen gegen die ungerechtfertigte Inanspruchnahme von Doppelbesteuerungsabkommen des Bundes, in drei Punkte zusammengefasst den schwedischen Behörden mitzuteilen. Nachdem sich X. gegen eine Auskunfterteilung ausgesprochen hatte, entschied die EStV am 1. April 1969 gestützt auf Art. 10 Abs. 2 DBAS und unter Berufung auf Ziff. 5 des Paraphierungsprotokolls vom 2. November 1964, die beabsichtigte Auskunft zu erteilen. Dies bestätigte sie auf Einsprache von X. am 15. Sept. 1969. Das Eidg. Finanz- und Zolldepartement hat die gegen den Einspracheentscheid der EStV gerichtete Beschwerde von X. am 28. Mai 1970 abgewiesen. C.- Mit der vorliegenden Verwaltungsgerichtsbeschwerde beantragt X., der angefochtene Entscheid sei aufzuheben und der EStV zu untersagen, die in Aussicht genommenen Auskünfte dem schwedischen Finanzministerium zu erteilen. Das Eidg. Finanz- und Zolldepartement beantragt, die Beschwerde abzuweisen. BGE 96 I 733 S. 735 Erwägungen Aus den Erwägungen: 1. Gegenstand der Anfechtung ist ein Beschwerdeentscheid des Eidg. Finanz- und Zolldepartements vom 28. Mai 1970. Die Zulässigkeit der Verwaltungsgerichtsbeschwerde beurteilt sich somit nach Art. 97 ff. OG in der auf den 1. Oktober 1969 in Kraft gesetzten Fassung vom 20. Dezember 1968. Verfügungen der Departemente des Bundesrates sind nach Art. 98 lit. b OG grundsätzlich mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde anfechtbar. Keine der in Art. 99 bis 102 OG aufgezählten Ausnahmen trifft auf den vorliegenden Fall zu. Der angefochtene Entscheid ist insbesondere keine Verfügung auf dem Gebiete der inneren oder äusseren Sicherheit des Landes, der Neutralität, des diplomatischen Schutzes und der übrigen auswärtigen Angelegenheiten im Sinne von Art. 100 lit. a OG . Zwar lässt sich dies nicht schon deshalb ausschliessen, weil hier Einzelinteressen im Spiele sind. Art. 100 lit. a OG stellt aber einen eigentlichen Vorbehalt zugunsten der politischen Gewalt dar. Regierungsakte wie andere wesentlich politische Entscheide der Verwaltung auf diesem Gebiete sollen der Prüfung durch das Verwaltungsgericht des Bundes entzogen bleiben (vgl. Botschaft des Bundesrates an die Bundesversammlung über den Ausbau der Verwaltungsgerichtsbarkeit im Bunde, BBl 1965 II 1306, Sten.Bull. NR 1967 S. 36). Die Verfügung des Eidg. Finanz- und Zolldepartements, welche in Anwendung des schweizerisch-schwedischen Doppelbesteuerungsabkommens ergangen ist, ist weder ein eigentlicher Regierungsakt noch sonst wesentlich politischer Natur. Die vorliegende Verwaltungsgerichtsbeschwerde ist demnach zulässig. 2. Nach Art. 10 Abs. 2 DBAS können sich die obersten Verwaltungsbehörden der beiden Vertragsstaaten in Fällen von Schwierigkeiten oder Zweifeln bei der Auslegung oder Anwendung des Abkommens verständigen. In dieser Vorschrift erblicken die Vorinstanzen die rechtliche Grundlage für die beabsichtigte Auskunfterteilung. Aus ihrem Wortlaut allein ergibt sich aber nicht ohne weiteres, dass die Schweiz im vorliegenden Falle zur Auskunft verpflichtet ist. Ob dies zutrifft, ist auf dem Wege der Auslegung zu ermitteln. Unbestrittenermassen enthält Art. 10 Abs. 2 DBAS keine allgemeine Amtshilfezusage der Schweiz an Schweden. Die Schweiz hat es immer abgelehnt, sich in Doppelbesteuerungsabkommen BGE 96 I 733 S. 736 allgemein zur Leistung von Amtshilfe in Fiskalsachen zu verpflichten. Sie konnte dabei auf den Zweck solcher Abkommen verweisen, der auf die Vermeidung internationaler Doppelbesteuerung beschränkt ist. Anderseits setzt die vertragsgemässe Anwendung des Abkommens gewisse Auskünfte voraus. Aus dem Vertragsschluss selbst erwächst den Vertragsstaaten die Pflicht zu loyaler Anwendung der Vertragsbestimmungen. Insbesondere sind sie einander verpflichtet, Missbräuche des Abkommens zu verhindern und dafür zu sorgen, dass die Abkommensvorteile nur jenen Personen zukommen, die nach dem Vertragswillen darauf Anspruch haben. Jeder Vertragsstaat muss sich aber überdies vergewissern können, dass das Abkommen nicht zu seinen Lasten missbraucht wird. Die Frage nach dem Missbrauch des Abkommens ist die Frage nach seiner vertragsgemässen, richtigen Anwendung. Stellt sie sich, so können Schwierigkeiten oder Zweifel tatsächlicher oder rechtlicher Natur den betroffenen Vertragsstaat daran hindern, zur richtigen Lösung zu gelangen. In dieser Lage muss er vom andern Vertragsstaat Auskünfte erhalten können. Der Sinn des Abkommens erweist, dass das in Art. 10 Abs. 2 DBAS vorgesehene Verständigungsverfahren auch diesem Zwecke dienen soll. Im Rahmen des Verständigungsverfahrens nach Art. 10 Abs. 2 DBAS können die obersten Verwaltungsbehörden der beiden Vertragsstaaten somit voneinander auch die zur Verhinderung von Missbräuchen und zur richtigen Anwendung des Abkommens notwendigen Auskünfte verlangen. Solche Auskünfte brauchen sich ihrem Zweck entsprechend entgegen der Ansicht der Beschwerdeführerin nicht auf die Darstellung von Rechtsauffassungen zu beschränken, sondern können auch einen konkreten Sachverhalt betreffen. Diese Auslegung von Art. 10 Abs. 2 DBAS entspricht der schweizerischen Auffassung zu allen Doppelbesteuerungsabkommen des Bundes (vgl. Botschaft des Bundesrates zum Doppelbesteuerungsabkommen zwischen der Schweiz und Schweden vom 13. Juli 1965, BBl 1965 II 703). Würde die Schweiz Auskünfte zur Vermeidung von Abkommensmissbräuchen verweigern, so würde sie praktisch Missbräuche schützen. Damit aber würde sie den sinnvollen Fortbestand der Abkommen gefährden. 3. Lizenzgebühren aus Schweden an im Ausland wohnhafte Personen unterliegen nach schwedischem Recht grundsätzlich der schwedischen Einkommensteuer. Nach Art. 2 Abs. 1 BGE 96 I 733 S. 737 des Schlussprotokolls zu Art. 2 DBAS werden aber Lizenzgebühren nur im Wohnsitzstaate des Empfängers besteuert. Lizenzgebühren, die von Schweden an einen Empfänger mit schweizerischem Wohnsitz fliessen, unterliegen deshalb der schwedischen Einkommenssteuer nicht. Nur diese staatsvertragliche Regelung verbietet somit den schwedischen Behörden, Lizenzgebühren, welche Y. der Beschwerdeführerin vergütet, in Schweden zu besteuern. Bevor sie die Beschwerdeführerin der schwedischen Einkommenssteuer unterwerfen konnten, mussten sie deshalb prüfen, ob nicht die im Abkommen vorgesehene Steuerentlastung zur Anwendung komme. Damit stellte sich ihnen aber die Frage der richtigen Anwendung des Abkommens, zu deren Lösung nach Art. 10 Abs. 2 DBAS die Schweiz durch Auskünfte beizutragen hat. Die EStV ist deshalb grundsätzlich verpflichtet, dem Auskunftsgesuch stattzugeben.
public_law
nan
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1,970
CH_BGE
CH_BGE_001
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Federation
212f41f8-a5dd-46eb-b0b2-ac42eac47fe5
Urteilskopf 135 III 229 33. Extrait de l'arrêt de la IIe Cour de droit civil dans la cause X. contre Confédération suisse et Office des poursuites de Genève (recours en matière civile) 5A_553/2008 du 24 novembre 2008
Regeste Art. 22 Abs. 1 SchKG ; Nichtigkeit einer Betreibung gegen einen Schuldner ohne Rechtspersönlichkeit. Eine Betreibung für ausserordentliche Invalidenrenten kann sich nicht gegen die Schweizerische Ausgleichskasse ( Art. 62 Abs. 2 AHVG und Art. 113 AHVV ) richten, der keine Rechtspersönlichkeit zukommt. Die Betreibung muss gegen die schweizerische Eidgenossenschaft in Bern eingeleitet werden (E. 3).
Sachverhalt ab Seite 230 BGE 135 III 229 S. 230 Le 31 mars 2008, X. a requis l'Office des poursuites de Genève (ci-après: l'office) de notifier à la Caisse suisse de compensation à Genève (ci-après: la Caisse) un commandement de payer le montant de 167'334 fr. avec intérêts, au titre de rentes extraordinaires d'invalidité du 1 er avril 1998 au 31 mars 2008 (acte interruptif de la prescription) et pour 1'000 fr. au titre de dommage supplémentaire fondé sur l' art. 106 CO . Le 18 avril 2008, suite à un entretien téléphonique avec l'office, la Caisse lui a retourné le commandement de payer, daté du 9 avril 2008, qui n'avait pas été notifié selon les formes, et a déclaré former opposition par précaution. Le créancier a requis la mainlevée définitive de l'opposition dans un recours adressé le 19 mai 2008 au Tribunal cantonal des assurances du canton de Vaud. Le 20 mai 2008, l'office a annulé la poursuite, après avoir constaté que la Caisse suisse de compensation ne pouvait être poursuivie en tant que telle, puisque la Confédération était le véritable débiteur; il a alors transmis la réquisition de poursuite à l'Office des poursuites de Bern-Mittelland. La plainte formée par le créancier contre cette décision a été rejetée par la Commission de surveillance des offices des poursuites et des faillites du canton de Genève. Le créancier a interjeté un recours en matière civile au Tribunal fédéral, indiquant comme partie adverse la Confédération suisse, Caisse suisse de compensation, à Genève, et concluant principalement à l'annulation des décisions de la Commission cantonale de surveillance et de l'office, le commandement de payer devant être considéré comme valablement notifié. Le Tribunal fédéral a rejeté le recours. Erwägungen Extrait des considérants: 3. En l'occurrence, le créancier, qui est domicilié en France, a requis la poursuite pour des rentes extraordinaires d'invalidité et a indiqué comme débiteur dans sa réquisition de poursuite la "Caisse suisse de compensation [... à] Genève". (...) 3.2 Les caisses de compensation ont notamment pour attribution de verser les rentes et les indemnités journalières ( art. 60 al. 1 let . c LAI et art. 63 LAVS ). Les caisses de compensation professionnelles ont la personnalité juridique ( art. 56 al. 3 LAVS ); les caisses de BGE 135 III 229 S. 231 compensation cantonales ont le caractère d'établissements autonomes de droit public ( art. 61 al. 1 LAVS ); en revanche, les caisses de compensation de la Confédération, soit la Caisse de compensation fédérale ( art. 62 al. 1 LAVS et art. 110 RAVS [RS 831.101]) et la Caisse suisse de compensation ( art. 62 al. 2 LAVS et art. 113 RAVS ) n'ont pas la personnalité juridique. En particulier, la Caisse suisse de compensation, qui verse les rentes d'invalidité aux ayants droit habitant à l'étranger ( art. 44 RAI [RS 831.201] en relation avec l' art. 123 al. 1 RAVS ; art. 62 al. 2 LAVS ), est créée auprès de la Centrale de compensation (ci-après: CdC; art. 113 RAVS ) et constitue avec celle-ci, ainsi que la Caisse de compensation fédérale et l'Office AI pour les assurés résidant à l'étranger, une division principale de l'Administration fédérale des finances (art. 1 de l'ordonnance du 3 décembre 2008 du DFF sur la centrale de compensation [ordonnance sur la CdC; RS 831.143.32]). Le recourant devait donc diriger sa poursuite contre la Confédération suisse. La poursuite pour des créances dirigées contre une branche de l'administration ne possédant pas la personnalité juridique doit en effet être dirigée contre l'Etat (PIERRE-ROBERT GILLIÉRON, Commentaire de la loi fédérale sur la poursuite pour dettes et la faillite, vol. I, 1999, n° 32 ad art. 65 LP ). La poursuite contre la Confédération suisse est soumise à la LP ( art. 30 LP a contrario) et les actes de poursuite doivent être notifiés au président de l'autorité exécutive ou au service désigné par cette autorité ( art. 65 al. 1 ch. 1 LP ; ATF 103 II 227 consid. 4 p. 236; DAVID JENNY, in Kommentar zum Bundesgesetz über Schuldbetreibung und Konkurs, vol. I, 1998, n° 21 ad art. 30 LP ), au siège à Berne (art. 58 de la loi du 21 mars 1997 sur l'organisation du gouvernement et de l'administration [LOGA; RS 172.010]). 3.3 Aux termes de l' art. 22 al. 1 LP , sont nulles les mesures contraires à des dispositions édictées dans l'intérêt public ou dans l'intérêt de personnes qui ne sont pas parties à la procédure. Dès lors que le commandement de payer indique comme débiteur une entité sans personnalité juridique, qu'il a été notifié à une telle entité, en un lieu où le débiteur contre lequel le créancier aurait dû diriger sa poursuite n'a pas son siège, il doit être considéré comme nul.
null
nan
fr
2,008
CH_BGE
CH_BGE_005
CH
Federation
2137c8fe-c992-4391-ae6a-34e8c4d0df68
Urteilskopf 134 III 438 72. Auszug aus dem Urteil der I. zivilrechtlichen Abteilung i.S. X. SA gegen Y. AG (Beschwerde in Zivilsachen) 4A_16/2008 vom 12. Juni 2008
Regeste a Art. 20 OR ; Rückabwicklung nichtiger Verträge. Betrifft der Mangel nicht das Synallagma, sind Dienstleistungen oder Unterlassungen, die in Erfüllung des nichtigen Vertrages erbracht worden sind, nach der subjektiven Bewertung der Parteien bereicherungsrechtlich zurückzuerstatten (E. 2.4). Regeste b Art. 66 OR ; einschränkende Auslegung auf die Fälle des eigentlichen Gaunerlohns (Änderung der Rechtsprechung). Die Rückforderung nach Art. 66 OR ist in Änderung der Rechtsprechung nur ausgeschlossen, wenn die Leistungen zur Anstiftung oder Belohnung eines rechts- oder sittenwidrigen Verhaltens erbracht worden sind (Gaunerlohn; E. 3.2).
Sachverhalt ab Seite 439 BGE 134 III 438 S. 439 A. Die X. SA (Beklagte, Beschwerdeführerin) und die Y. AG (Klägerin, Beschwerdegegnerin) sind beide im Bereich der industriellen Abfallentsorgung tätig. Sie vermitteln inländischen Abfallproduzenten oder Abfallabnehmern ausländische Entsorger und beschaffen die notwendigen Bewilligungen. A.a Am 19. Mai 2003 schlossen die Parteien einen Vertrag über die Entsorgung von Abfällen aus der Automobilindustrie, welche in dieser Branche als "Resh" bezeichnet werden. Sie vereinbarten, zwecks "Sicherstellung von langfristigen und konkurrenzfähigen Dienstleistungen" für die Entsorgung von Resh aus den Schweizer Schredderbetrieben in Form eines Konsortiums zusammenzuarbeiten. Danach wolle das Konsortium mit dem Vertrag die Marktführerschaft in der Entsorgung von Resh ausbauen. Zu diesem Zweck werde die Klägerin die Ausführung ihrer Geschäfte an die Beklagte übertragen. Unter Ziffer 5 des Vertrages bestimmten die Parteien, dass die Klägerin von der Beklagten für die den Kunden in Rechnung gestellten Resh-Abfälle Fr. 20.- pro Tonne exklusive Mehrwertsteuer erhalten werde. Die Auszahlung der Entschädigung sollte monatlich per Ende jedes Folgemonats erfolgen. A.b Am 1. September 2004 befasste die Klägerin das Zivilgericht des Kantons Basel-Stadt insbesondere mit dem Begehren, die Beklagte sei zur Rechnungslegung über die von ihr in der Zeit vom 1. Juni 2003 bis zum 31. Juli 2004 den Kunden in Rechnung gestellten Resh-Abfälle sowie zur Bezahlung von Fr. 20.- pro Tonne zu verpflichten. Die Beklagte verlangte die Abweisung der Begehren mit der Begründung, bei richtiger Auslegung des Konsortialvertrages habe sie die Klägerin nur für die Menge Resh-Abfälle zu entschädigen, welche die Klägerin neu in das Konsortium eingebracht habe. Ausserdem stellte sie sich auf den Standpunkt, der Konsortialvertrag sei als unzulässige Wettbewerbsabrede im Sinne des Kartellgesetzes (KG; SR 251) zu qualifizieren und aus diesem Grunde nichtig. A.c Nachdem das Zivilgericht dem Begehren auf Rechnungslegung stattgegeben und entsprechende Unterlagen und Auskünfte eingeholt BGE 134 III 438 S. 440 hatte, beantragte die Klägerin mit modifiziertem Rechtsbegehren, die Beklagte sei für die Zeit vom 1. Juni 2003 bis 31. Juli 2004 zur Zahlung von Fr. 310'562.25 Entschädigung zuzüglich 5 % Zins seit Klageeinreichung zu verurteilen. A.d Mit Urteil vom 15. September 2006 verpflichtete das Zivilgericht Basel-Stadt die Beklagte, der Klägerin Fr. 310'562.25 plus 5 % Zins seit 1. September 2004 zu bezahlen. Das Gericht kam in Auslegung des Konsortialvertrages vom 19. Mai 2003 zum Schluss, dass danach die umstrittene Entschädigung entgegen der Ansicht der Beklagten für sämtliche in Rechnung gestellten Resh-Abfälle geschuldet sei. Es verweigerte sodann der Beklagten die Berufung auf Willensmangel und erwog schliesslich, kartellrechtliche Aspekte seien für den Ausgang des Verfahrens unerheblich, weshalb kein Bericht der Wettbewerbskommission im Sinne von Art. 15 KG eingeholt werden müsse. B. Das Appellationsgericht des Kantons Basel-Stadt bestätigte mit Urteil vom 9. November 2007 das erstinstanzliche Urteil. Mit dem Zivilgericht legte das Appellationsgericht den Konsortialvertrag im Sinne der Klägerin aus und verneinte die einseitige Unverbindlichkeit wegen Willensmangels der Beklagten. Den Haupteinwand der Beklagten, dass die Klage aus kartellrechtlichen Gründen abgewiesen werden müsse, verwarf das Appellationsgericht ebenfalls. Es liess die Frage offen, ob der Konsortialvertrag eine verbotene wettbewerbsbehindernde Abrede darstelle, da die Beklagte das umstrittene Entgelt selbst dann leisten müsste, wenn die Wettbewerbskommission den Vertrag als kartellrechtswidrig erachten sollte. Das Gericht hielt zwar dafür, dass der Vertrag in diesem Fall von Anfang an nichtig wäre, schloss jedoch, der umstrittene Entgeltsanspruch sei für den erfüllten oder teilerfüllten Vertrag geschuldet. C. Mit Beschwerde in Zivilsachen stellt die Beschwerdeführerin die Anträge, das Urteil des Appellationsgerichts Basel-Stadt vom 9. November 2007 sei aufzuheben und die Klage sei abzuweisen, eventualiter sei die Sache zur erneuten Entscheidung an die Vorinstanz zurückzuweisen. Sie verlangt zunächst die Ergänzung des Sachverhalts mit der Begründung, die Höhe des von der Beschwerdegegnerin beanspruchten Entgelts betrage für 27'556 Tonnen Resh à Fr. 20.- insgesamt Fr. 593'026.-, wovon die Beschwerdegegnerin bereits Fr. 282'464.- direkt bei Kunden der Beschwerdeführerin eingezogen habe; ausserdem will sie den Sachverhalt durch eine BGE 134 III 438 S. 441 Feststellung ergänzt haben, wonach sie schon im Mai 2004 gegenüber der Beschwerdegegnerin auch die Kartellrechtswidrigkeit des Konsortialvertrags geltend gemacht habe. Sie hält sodann daran fest, der Vertrag verstosse gegen das Kartellgesetz und sei nichtig. D. Die Beschwerdegegnerin beantragt in der Antwort, auf die Beschwerde sei nicht einzutreten, eventuell sei sie abzuweisen, soweit darauf einzutreten sei. E. Mit Verfügung vom 6. Februar 2008 wurde das Gesuch der Beschwerdeführerin um Erteilung der aufschiebenden Wirkung abgewiesen. Ein Wiedererwägungsgesuch der Beschwerdeführerin vom 21. Februar 2008, zu dem sich die Beschwerdegegnerin am 10. März 2008 vernehmen liess, blieb unbehandelt. Es wird mit dem Entscheid über die Beschwerde gegenstandslos. Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab. Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. Die Vorinstanz hat im angefochtenen Entscheid offengelassen, ob der Konsortialvertrag vom 19. Mai 2003 gegen das Kartellgesetz verstösst; sie hat mit der ersten Instanz insbesondere darauf verzichtet, gemäss Art. 15 KG einen Bericht der Wettbewerbskommission einzuholen. Sie hat angenommen, die Forderung auf die Gegenleistung für den von der Beschwerdegegnerin während der Zeit vom 1. Juni 2003 bis zum 31. Juli 2004 erfüllten Vertrag sei auch für den Fall zuzusprechen, dass der Vertrag gegen das Kartellgesetz verstossen sollte. Die Beschwerdeführerin hält in ihrer Beschwerde daran fest, dass sie aus dem widerrechtlichen Vertrag nicht zur Zahlung verpflichtet werden könne. 2.1 Die zivilrechtlichen Folgen eines Verstosses gegen das Kartellgesetz sind zunächst in Art. 12 f. KG geregelt. Danach kann das Gericht insbesondere zur Durchsetzung des Beseitigungs- oder Unterlassungsanspruchs anordnen, dass Verträge ganz oder teilweise ungültig sind ( Art. 13 lit. a KG ). Aus dieser Bestimmung wird von einem Teil der Lehre abgeleitet, dass ein Verstoss gegen die Art. 5 ff. KG nicht ohne weiteres zur Nichtigkeit des Rechtsgeschäfts führt, sondern dass es der gerichtlichen Anordnung dieser Rechtsfolge bedarf (vgl. REGULA WALTER, in: Homburger et al. [Hrsg.], Kommentar zum schweizerischen Kartellgesetz, Zürich 1997, N. 12 zu Art. 13 KG ; FRANZ HOFFET, Kommentar zum schweizerischen Kartellgesetz, a.a.O., N. 144 zu Art. 5 KG ; BRECHBÜHL/DJALALI, Die zivilrechtliche Folge einer BGE 134 III 438 S. 442 unzulässigen Wettbewerbsabrede, in: SZW 1997 S. 107), wobei teilweise angenommen wird, die Gestaltungsklage beziehe sich allein auf das kartellwidrige Zustandekommen des Vertrages (HUBERT STÖCKLI, Ansprüche aus Wettbewerbsbehinderung, Diss. Freiburg 1999, Rz. 793). Für den Fall, dass ein Vertrag inhaltlich als unzulässige Wettbewerbsabrede im Sinne von Art. 5 KG zu qualifizieren ist, vertritt die herrschende Lehre dagegen die Ansicht, dass Art. 20 OR Anwendung findet (vgl. TERCIER, Les voies de droit, in: Schweizerisches Immaterialgüter- und Wettbewerbsrecht [SIWR], Bd. V/2, Basel/Genf/München 2000, S. 359 f.; STOFFEL, Wettbewerbsabreden, in: SIWR, Bd. V/2, S. 82 f.; JÜRG BORER, Kommentar zum Kartellgesetz, Zürich 2005, N. 2 zu Art. 13 KG sowie N. 4 ff. der Vorbemerkungen zum zivilrechtlichen Verfahren [ Art. 12-17 KG ]; STÖCKLI, a.a.O., Rz. 793; SVEN NAGEL, Schweizerisches Kartellprivatrecht im internationalen Vergleich, Diss. Zürich 2007, Rz. 401; ANNE-CATHERINE HAHN, in: Baker & McKenzie [Hrsg.], Handkommentar zum Kartellgesetz, Bern 2007, N. 24 f. zu Art. 12 KG ). 2.2 Widerrechtlich im Sinne von Art. 20 OR ist ein Vertrag nach der Rechtsprechung des Bundesgerichts, wenn sein Gegenstand, sein Abschluss mit dem vereinbarten Inhalt oder sein mittelbarer Zweck gegen objektives schweizerisches Recht verstösst. Voraussetzung der Nichtigkeit ist dabei stets, dass diese Rechtsfolge ausdrücklich im betreffenden Gesetz vorgesehen ist oder sich aus Sinn und Zweck der verletzten Norm ergibt ( BGE 134 III 52 E. 1.1 S. 54; BGE 129 III 209 E. 2.2 S. 213; BGE 123 III 60 E. 3b S. 62). Das Kartellrecht bezweckt, den Wettbewerb im Interesse einer freiheitlichen marktwirtschaftlichen Ordnung zu fördern ( Art. 1 KG ); Vertragsabreden, die den Wettbewerb unzulässig beschränken, sollen nicht durchgesetzt werden können (ZÄCH, Schweizerisches Kartellrecht, 2. Aufl., Bern 2005, Rz. 854 ff.). Es ergibt sich aus diesem Zweck, dass rechtswidrige vertragliche Abreden insoweit nichtig sind, als das vertragsgemässe Verhalten den wirksamen Wettbewerb unzulässig beschränkt (ZÄCH, a.a.O., Rz. 862 f.; REYMOND, Commentaire romand, N. 45 ff. der Vorbemerkungen zu Art. 12-17 KG sowie N. 24 zu Art. 13 KG ). Wenn die Verpflichtungen nach dem Konsortialvertrag vom 19. Mai 2003 als unzulässige Wettbewerbsabreden im Sinne von Art. 5 KG zu qualifizieren sein sollten, wären sie widerrechtlich und damit gemäss Art. 20 OR nichtig. 2.3 Der nichtige Vertrag entfaltet keine rechtsgeschäftlichen Wirkungen, d.h. er vermag keine vertragliche Rechtsgrundlage für die BGE 134 III 438 S. 443 eingeklagten Ansprüche abzugeben (KRAMER, Berner Kommentar, N. 309 zu Art. 19-20 OR ; HUGUENIN, Basler Kommentar, N. 53 f. zu Art. 19/20 OR; GUILLOD/STEFFEN, Commentaire romand, N. 90 ff. zu Art. 19 und 20 OR ). Diese Rechtsfolge setzt immerhin voraus, dass der Schutzzweck der Norm die Ungültigkeit des gesamten Rechtsgeschäfts verlangt. Denn nach dem allgemeinen Grundsatz der geltungserhaltenden Reduktion soll die Nichtigkeit nur so weit reichen, als es der Schutzzweck der verletzten Norm verlangt ( BGE 131 III 467 E. 1.3 S. 470; BGE 123 III 292 E. 2e/aa S. 298 f.). Die Nichtigkeit unzulässiger Wettbewerbsabreden hat vornehmlich die Nicht-Durchsetzbarkeit wettbewerbswidriger Abreden als solche zum Ziel und soll einen Ausstieg aus einem unzulässigen Kartellvertrag jederzeit ermöglichen (ZÄCH, a.a.O., Rz. 859 ff. und 865); die Rückabwicklung bereits erbrachter Leistungen wird damit nicht geregelt (STOFFEL, a.a.O., S. 83 f.). 2.4 Leidet ein Vertrag an einem Mangel der Entstehung, sind bereits erbrachte Leistungen grundsätzlich nach den Regeln der Vindikation und der ungerechtfertigten Bereicherung zurückzuerstatten ( BGE 129 III 320 E. 7.1.1 S. 327 mit Hinweisen; BGE 132 III 242 E. 4 S. 244 f.; vgl. auch STEPHAN HARTMANN, Die Rückabwicklung von Schuldverträgen, Habilitationsschrift Luzern 2005, Rz. 12 und 26). Die Rückabwicklung stösst jedoch an Grenzen, wenn in vollständiger oder teilweiser Erfüllung des Vertrages Dienste erbracht oder Unterlassungen beachtet worden sind, die in natura nicht zurückerstattet werden können ( BGE 129 III 320 E. 7.1.2 S. 328). Denkbar wäre hier zwar, den entsprechenden Wert der Bereicherung (objektiv) zu schätzen, die in einer Vermehrung der Aktiven, einer Abnahme der Passiven oder einer Ersparnis bestehen kann ( BGE 133 V 205 E. 4.7 S. 212 f.; vgl. HARTMANN, a.a.O., Rz. 86 sowie 243 ff., vgl. auch Rz. 342 ff.). Nach der Rechtsprechung werden ganz oder teilweise erfüllte Dauerschuldverhältnisse jedoch insbesondere bei Anfechtung wegen Willensmängeln jedenfalls dann nach der privatautonomen Vereinbarung abgewickelt, wenn der Mangel das Synallagma nicht betrifft (vgl. BGE 129 III 320 E. 7.1.2 ff. S. 328 ff.; vgl. auch HUBERT STÖCKLI, Das Synallagma im Vertragsrecht, Habilitationsschrift Freiburg 2008, Rz. 563 ff.). Unter dieser Voraussetzung rechtfertigt es sich auch im Fall der inhaltlichen Vertragsnichtigkeit gemäss Art. 20 OR , die Rückabwicklung nach der subjektiven Bewertung der Parteien vorzunehmen. Denn wenn der Mangel das wechselseitige Vergütungsinteresse der Parteien nicht berührt, erscheint es gerechtfertigt, die BGE 134 III 438 S. 444 privatautonome Bewertung auch für die Rückleistung von Dienstleistungen und Unterlassungen zu anerkennen, die regelmässig keinen oder jedenfalls keinen einfach zu bestimmenden Marktwert haben. Die Parteien haben vorliegend die von der Beschwerdegegnerin unbestritten tatsächlich erbrachten Leistungen vertraglich so bewertet, dass die Beschwerdeführerin diese bei Gültigkeit des Vertrages mit Fr. 310'562.25 zu entschädigen verpflichtet wäre. Diese privatautonom vorgenommene Bewertung der Leistungen der Beschwerdegegnerin zugunsten der Beschwerdeführerin hat die Vorinstanz ihrem Entscheid zugrunde gelegt, und es besteht kein Anlass, davon abzuweichen. 3. Die Beschwerdeführerin beruft sich freilich auf Art. 66 OR . Nach dieser Bestimmung kann nicht zurückgefordert werden, was in der Absicht gegeben worden ist, einen rechtswidrigen oder unsittlichen Erfolg herbeizuführen. 3.1 Nach der Rechtsprechung des Bundesgerichts schliesst Art. 66 OR die Rückforderung nicht bloss dessen aus, was zur Anstiftung oder Belohnung eines rechts- oder sittenwidrigen Handelns des Gegners gegeben wurde (Tatbestände des "Gaunerlohnes"), sondern die Rückforderung aller Leistungen, die auf Grund eines rechts- oder sittenwidrigen Vertrages erbracht wurden ( BGE 102 II 401 E. 4 S. 409). Dieser Rechtsprechung ist in der Literatur verbreitet Kritik erwachsen (Urteil 4C.163/2002 vom 9. Juli 2003, E. 2; vgl. schon BGE 117 IV 139 E. 3d/dd S. 149). Die herrschende Lehre befürwortet die Rückforderung nicht unter der Voraussetzung, dass der Bereicherte bei der Begründung oder Abwicklung des rechts- oder sittenwidrigen Geschäfts die Hauptverantwortung trug oder ein besonderes Eigeninteresse daran hatte, sondern beschränkt Art. 66 OR auf die Fälle eigentlichen Gaunerlohnes (vgl. PETITPIERRE, Commentaire romand, N. 4 zu Art. 66 OR ; SCHULIN, Basler Kommentar, N. 4 f. zu Art. 66 OR ; BUCHER, Schweizerisches Obligationenrecht, Allgemeiner Teil, 2. Aufl., Zürich 1988, S. 678 ff.; ders. , Hundert Jahre schweizerisches Obligationenrecht: Wo stehen wir heute im Vertragsrecht?, in: ZSR 102/1983 II S. 297 f.; GAUCH/SCHLUEP/SCHMID/REY, Schweizerisches Obligationenrecht, Allgemeiner Teil, Bd. I, 8. Aufl., Zürich 2003, Rz. 1548 ff.; SCHWENZER, Schweizerisches Obligationenrecht, Allgemeiner Teil, 4. Aufl., Bern 2006, S. 393 f.; GUHL/KOLLER/SCHNYDER/DRUEY, Das Schweizerische Obligationenrecht, 9. Aufl., Zürich 2000, S. 222; der Rechtsprechung eher zustimmend ENGEL, Traité des obligations en droit suisse, 2. Aufl., Bern 1997, S. 593 ff.). BGE 134 III 438 S. 445 3.2 Die Einwände der nahezu einhelligen Lehre gegen die bisherige Rechtsprechung überzeugen. Es ist in der Tat bei einem synallagmatischen Vertrag nicht einzusehen, weshalb gleichermassen an einem objektiv widerrechtlichen Rechtsgeschäft beteiligte Parteien ungleich behandelt werden sollen. Der Umstand, dass eine dieser Parteien ihre vertragliche Verpflichtung schon erfüllt hat, erscheint angesichts des Mangels in der Entstehung des Vertrages zufällig. Der eigentliche Zweck von Art. 66 OR , die Anstiftung oder Belohnung eines rechts- oder sittenwidrigen Handelns durch den Ausschluss der Rückforderung auch privatrechtlich zu sanktionieren, kommt im Wortlaut von Art. 66 OR insofern zum Ausdruck, als für die erfolgte Leistung die "Absicht" verlangt wird, damit einen rechtswidrigen oder unsittlichen Erfolg herbeizuführen ("... donné en vue d'atteindre un but illicite ou contraire aux moeurs", "... dato intenzionalmente per uno scopo contrario alla legge od ai buoni costumi"). Die in der Lehre vertretene einschränkende Auslegung auf die Fälle des eigentlichen Gaunerlohnes entspricht diesem Wortlaut und verhindert die unbefriedigende Wirkung der bisherigen ausdehnenden Interpretation, dass nämlich die unbilligen Rechtsfolgen verhältnismässig häufig aufgrund des allgemeinen Verbots offenbaren Rechtsmissbrauchs gemäss Art. 2 ZGB dennoch nicht durchgesetzt werden (vgl. BGE 76 II 346 E. 5 S. 370 f.; BGE 75 II 293 E. 2 S. 295). Mit der herrschenden Lehre ist daher die Rückforderung nach Art. 66 OR nur ausgeschlossen, wenn die Leistungen zur Anstiftung oder Belohnung eines rechts- oder sittenwidrigen Verhaltens erfolgten (Gaunerlohn). Sofern der Zweck der verletzten Norm nicht eindeutig den Ausschluss der Rückerstattung bereits erbrachter Leistungen erfordert (PETITPIERRE, a.a.O., N. 4 zu Art. 66 OR ), sind diese daher im Falle der Vertragsnichtigkeit zurückzuerstatten. Dass sich aus dem Schutzzweck kartellrechtlicher Verbote eindeutig der Ausschluss der Rückforderung von Leistungen ergibt, ist nicht anzunehmen. Zwar wird teilweise die Ansicht vertreten, die Wirksamkeit entsprechender Verbote liesse sich durch den Ausschluss der Rückerstattung verstärken (vgl. ZÄCH, Die Rückabwicklung verbotener Kartellleistungen, Bern 1977, S. 103 f. und 150). Diese Rechtsfolge ist jedoch weder ausdrücklich angeordnet noch ergibt sie sich mit der erforderlichen Eindeutigkeit aus dem Normzweck. Aufgrund der entsprechenden nichtigen Verträge erbrachte Leistungen sind vielmehr nach den allgemeinen Grundsätzen zurückzuerstatten; für die Rückleistung bleibt der privatautonom bestimmte Wert für die erbrachten Leistungen massgebend (vgl. TERCIER, BGE 134 III 438 S. 446 a.a.O., S. 362; vgl. auch STOFFEL, a.a.O., S. 84; HAHN, a.a.O., N. 25 zu Art. 12 KG ). 3.3 Die Vorinstanz hat keine Bundesrechtsnormen verletzt mit dem Schluss, dass die Beschwerdeführerin zur Bezahlung der von der Beschwerdegegnerin in der Zeit vom 1. Juni 2003 bis 31. Juli 2004 erbrachten Leistungen verpflichtet ist unbesehen darum, ob der Konsortialvertrag vom 19. Mai 2003 gegen Art. 5 KG verstösst. Sie hat daher zutreffend die Klage geschützt, ohne einen Bericht der Wettbewerbskommission im Sinne von Art. 15 KG einzuholen und abschliessend über die Gültigkeit des Vertrages zu entscheiden.
null
nan
de
2,008
CH_BGE
CH_BGE_005
CH
Federation
21387316-a0e5-4594-9b7e-9f94abe1e248
Urteilskopf 96 IV 5 2. Urteil des Kassationshofes vom 20. März 1970 i.S. Waser gegen Staatsanwaltschaft des Kantons Nidwalden.
Regeste 1. Art. 268 Ziff. 1 BStP . Zulässigkeit der Nichtigkeitsbeschwerde gegen ein Urteil des Kantonsgerichts Nidwalden in einer erstinstanzlich durch Strafurteil des Strafgerichts Nidwalden erledigten Strafsache (Erw. 1). 2. Art. 31 Abs. 1 StGB . Rückzug des Strafantrages. Unter Urteil erster Instanz ist ein Sachentscheid zu verstehen, der im ordentlichen Gerichtsverfahren ergangen ist. Dass der Urteilsfällung eine mündliche Parteiverhandlung vorausgegangen sei, ist nicht erforderlich (Erw. 2).
Sachverhalt ab Seite 5 BGE 96 IV 5 S. 5 A.- Waser, der überschuldet war und kein Vermögen besass, verliess Ende Dezember 1967 Frau und Kind unter dem Vorwand, er fahre mit einem Kollegen nach Amerika, um einen gemeinsamen Freund zu besuchen, und werde in zwei bis BGE 96 IV 5 S. 6 drei Wochen wieder zurück sein. In Wirklichkeit unternahm er eine abenteuerliche Reise durch Afrika. Dort borgte er von einem Schweizer einen kleineren Geldbetrag, den er entgegen seinem Versprechen nicht zurückbezahlte. Ende Mai 1968 kehrte Waser mittellos in die Schweiz zurück. Frau Waser, der wenige Wochen nach der Abfahrt ihres Mannes das Geld ausging, musste von der Heimatgemeinde Wolfenschiessen durch Beiträge von zusammen Fr. 750.-- unterstützt werden. Ferner war sie auf die finanzielle Hilfeleistung von Verwandten angewiesen. B.- Auf Strafklage der Armenverwaltung Wolfenschiessen und eine Anzeige des geschädigten Schweizers führte das Verhöramt Nidwalden gegen Waser eine Strafuntersuchung wegen Vernachlässigung der Unterstützungspflichten und wegen Betruges. Am 28. Februar 1969 verurteilte das Strafgericht Nidwalden Waser auf Grund der Untersuchungsakten wegen Vernachlässigung der Unterhaltspflicht und wegen Betruges zu einem Monat Gefängnis. Gegen dieses Urteil erhob Waser am 12. April 1969 Rekurs an das Kantonsgericht Nidwalden. Am 17. September 1969 schrieb der Armenrat Wolfenschiessen dem Anwalt des Angeschuldigten, dass er den gegen Waser gestellten Strafantrag, nachdem dieser die Unterstützungsbeiträge zurückbezahlt habe, zurückziehe und annehme, dass der Anwalt auf Grund dieser Mitteilung den Rückzug selber veranlasse. Am 4. Oktober 1969 leitete der Anwalt dieses Schreiben unter Berufung auf die Rückzugserklärung an das Kantonsgericht weiter. Das Kantonsgericht Nidwalden, das den Rekurs am 22. Oktober 1969 beurteilte, sprach Waser von der Anklage des Betruges frei, verurteilte ihn dagegen wegen Vernachlässigung der Unterstützungspflicht ( Art. 217 Ziff. 1 StGB ) zu drei Wochen Gefängnis. Es nahm an, dass das Urteil des Strafgerichts vom 28. Februar 1969 ein solches erster Instanz sei, weshalb der erst nachträglich erklärte Rückzug des Strafantrages gemäss Art. 31 Abs. 1 StGB nicht mehr berücksichtigt werden könne. C.- Waser führt gegen das Urteil des Kantonsgerichts Nichtigkeitsbeschwerde mit dem Antrag, es sei wegen Verletzung von Art. 31 StGB aufzuheben und die Sache zur Freisprechung oder Einstellung des Verfahrens an die Vorinstanz zurückzuweisen. Er macht geltend, das Verfahren vor dem BGE 96 IV 5 S. 7 Strafgericht Nidwalden sei kein ordentliches Gerichtsverfahren gewesen und das von ihm erlassene Erkenntnis kein Urteil erster Instanz, sondern ein Verwaltungsakt. Das Kantonsgericht, das nicht als zweite Instanz geurteilt habe, hätte daher infolge des rechtzeitigen Rückzuges des Strafantrages keine Strafe ausfällen dürfen. Erwägungen Der Kassationshof zieht in Erwägung: 1. Das angefochtene Urteil des Kantonsgerichts ist ein letztinstanzliches im Sinne des Art. 268 Ziff. 1 (Satz 1) BStP; nach dem kantonalen Prozessrecht konnte es an keine obere Instanz weitergezogen werden, welche die Anwendung eidgenössischen Rechts hätte frei überprüfen können (Art. 22 Ziff. 1 und Art. 23 des Gesetzes des Kantons Nidwalden über die Organisation und das Verfahren der Gerichte vom 28. April 1968; BGE 92 IV 199 und dort erwähnte Entscheidungen). Weitere Voraussetzung der Zulässigkeit der Nichtigkeitsbeschwerde ist nach Art. 268 Ziff. 1 (Satz 2), dass das Kantonsgericht, dem nach der kantonalen Gerichtsorganisation die Stellung eines unteren Gerichts zukommt, als zweite Instanz entschieden hat. Das trifft zu. Der erstinstanzliche Entscheid des Strafgerichts war ein Urteil im Sinne des Art. 268 Ziff. 1 (Satz 1) BStP, denn das Strafgericht hat, indem es den Beschwerdeführer der eingeklagten Delikte schuldig erklärte und mit Strafe belegte, einen Entscheid in der Sache selber gefällt, der unter Vorbehalt der Anfechtung durch Rekurs endgültig war ( BGE 72 IV 89 , BGE 74 IV 128 , BGE 83 IV 211 ). Es ist daher ungeachtet der Auffassung des Beschwerdeführers, dass das Kantonsgericht als erste Instanz geurteilt habe, auf die Beschwerde einzutreten. 2. Gemäss Art. 31 Abs. 1 StGB kann bei Antragsdelikten der Strafantrag vom Berechtigten solange zurückgezogen werden, als das Urteil erster Instanz noch nicht verkündet ist. a) In BGE 92 IV 161 wurde in Abweichung von der früheren Rechtsprechung entschieden, dass der Strafbefehl, der regelmässig auf Grund eines summarischen Verfahrens und von einer andern Behörde (Bezirksamt, Amtsstatthalter, Bezirksanwalt usw.) als der ordentlichen unteren Gerichtsinstanz erlassen wird, erst dann einem im ordentlichen Verfahren ergangenen Gerichtsurteil gleichgestellt werden kann, wenn er mangels Anfechtung rechtskräftig geworden ist. Dass der Strafbefehl, BGE 96 IV 5 S. 8 solange die Durchführung des ordentlichen Verfahrens verlangt werden kann, nicht Urteilscharakter hat, wurde hauptsächlich damit begründet, dass der Antragsteller im Strafbefehlsverfahren sehr oft keine Gelegenheit zur Mitwirkung oder Akteneinsicht habe und ohne ordentliches Gerichtsverfahren sich auch kein hinreichendes Bild über Tat und Täter machen könne, um zu entscheiden, ob er den Strafantrag aufrechterhalten oder zurückziehen wolle. Als weiterer Grund wurde angeführt, dass die Revision des Art. 268 Ziff. 1 BStP vom 25. Juni 1965 weitgehend entwertet würde, wenn der noch nicht rechtskräftige Strafbefehl als Urteil gälte, weil dann der Entscheid der unteren Gerichtsinstanz, die auf Einsprache hin zu urteilen hat, bereits ein der Nichtigkeitsbeschwerde an den Kassationshof unterliegendes zweitinstanzliches Urteil wäre, obschon ein ordentliches Gerichtsverfahren erst vor einer Instanz stattgefunden hat. b) Der Kanton Nidwalden kennt das Strafbefehlsverfahren nicht. Alle Strafsachen werden im ordentlichen Strafverfahren, d.h. auf Grund einer vom kantonalen Verhörrichter durchgeführten Strafuntersuchung beurteilt, und zwar erstinstanzlich durch das Strafgericht, wenn es sich um leichtere Delikte handelt, sonst durch das Kantonsgericht. Soweit das Strafgericht zuständig ist, erledigt es die Straffälle entweder durch Genehmigung des vom Verhörrichter ausgefertigten und vom Betroffenen angenommenen Strafantrages oder durch Strafurteil. Strafantrag wie Strafurteil können an das Kantonsgericht weitergezogen werden (Art. 19 ff. des eingangs erwähnten Gerichtsgesetzes des Kantons Nidwalden). Im vorliegenden Falle entschied das Strafgericht durch Strafurteil. Der Entscheid, durch den der Beschwerdeführer erstinstanzlich verurteilt wurde, ist also von einer Gerichtsinstanz nach freier und selbständiger Würdigung des Untersuchungsergebnisses gefällt worden, so dass von einem blossen Verwaltungsakt, wie der Beschwerdeführer einwendet, nicht die Rede sein kann. Auch der weitere Einwand, das Verfahren vor dem Strafgericht sei kein ordentliches gewesen, trifft nicht zu. Richtig ist zwar, dass Urteile erster Instanz im ordentlichen Verfahren in der Regel nicht auf Grund der Akten, sondern einer mündlichen Parteiverhandlung gefällt werden. Unter dem Gesichtspunkt des Art. 31 Abs. 1 StGB ist aber die Durchführung einer mündlichen Parteiverhandlung nicht entscheidend. BGE 96 IV 5 S. 9 Massgebend ist, dass der Antragsteller vor der Urteilsfällung Gelegenheit hatte, in Kenntnis aller wesentlichen Umstände sich über die Aufrechterhaltung oder den Rückzug des Strafantrages schlüssig zu werden, und dass auch der Angeschuldigte im Hinblick auf eine mögliche Verständigung mit dem Geschädigten sich über seine Aussichten im Prozess ein Bild machen konnte. Diese Voraussetzungen waren hier gegeben. Es wurde nicht nur ein vorläufiges Ermittlungsverfahren, sondern eine umfassende Strafuntersuchung durchgeführt, und sowohl dem Angeschuldigten als auch der Antragstellerin ist vom Abschluss der Untersuchung Kenntnis gegeben worden mit der Aufforderung, innert der gesetzten Frist in die Untersuchungsakten Einsicht zu nehmen und gegebenenfalls Vervollständigungsbegehren zu stellen. Beide konnten sich demnach anhand der vollständigen Akten über die Sachlage, wie sie dem Strafgericht zur Beurteilung unterbreitet wurde, Rechenschaft geben und vor der Urteilsfällung die für einen allfälligen Rückzug des Strafantrages erforderlichen Entschlüsse fassen. Dass die Antragstellerin nur berechtigt, aber nicht verpflichtet war, in die Akten Einsicht zu nehmen, ändert nichts; auch im Verfahren mit mündlicher Hauptverhandlung ist dem Geschädigten freigestellt, ob er in die Akten Einblick nehmen und vor Gericht erscheinen will. Der Entscheid des Strafgerichts war somit ein Urteil erster Instanz im Sinne des Art. 31 Abs. 1 StGB , so dass der erst nachträglich erfolgte Rückzug des Strafantrages vom Kantonsgericht zu Recht nicht berücksichtigt worden ist. Dispositiv Demnach erkennt der Kassationshof: Die Nichtigkeitsbeschwerde wird abgewiesen.
null
nan
de
1,970
CH_BGE
CH_BGE_006
CH
Federation
213b858c-1292-4706-ad16-e5b6bc583ca8
Urteilskopf 113 II 277 51. Auszug aus dem Urteil der I. Zivilabteilung vom 15. September 1987 i.S. L. gegen E. (Berufung)
Regeste Verantwortlichkeitsklage gegen die Mitglieder der Verwaltung einer Gesellschaft. Wirkung der Abtretung bestrittener Ansprüche durch die Konkursmasse. Der Abtretungsgläubiger kann gestützt auf die Abtretung gemäss Art. 260 SchKG den unmittelbaren Schaden der Gesellschaft und aufgrund von Art. 756 Abs. 2 OR den ihm mittelbar erwachsenen Schaden geltend machen. Die Klage scheitert nur dann an der Einwilligung des Geschädigten, wenn sowohl die Gesellschaft als auch der klagende Gläubiger in die schädigende Handlung eingewilligt haben (E. 3). Hat sich der Gläubiger die Ansprüche gemäss Art. 260 SchKG abtreten lassen, ist in der Regel davon auszugehen, dass diese Abtretung auch die Ansprüche aus Art. 756 Abs. 2 OR umfasst. Dabei ist das Bundesrecht von Amtes wegen anzuwenden (E. 4).
Erwägungen ab Seite 278 BGE 113 II 277 S. 278 Aus den Erwägungen: 3. Nach BGE 111 II 182 E. 3 handeln die Abtretungsgläubiger unter einem doppelten Titel, indem sie einerseits aufgrund der Abtretung gemäss Art. 260 SchKG den unmittelbaren Schaden der Gesellschaft und anderseits aufgrund der Abtretung gemäss Art. 756 Abs. 2 OR den ihnen selbst als Gläubiger mittelbar erwachsenen Schaden geltend machen. Diese Ansprüche sind auseinanderzuhalten, wobei namentlich eine Einwilligung der Gesellschaft in die schädigende Handlung zwar dem Anspruch aus dem Recht der Gesellschaft, nicht aber dem Anspruch des Gläubigers aus eigenem Recht entgegengehalten werden kann (ebenso BGE 111 II 374 ). Dagegen ist dem Gläubiger auch insoweit, als er seinen mittelbaren Schaden geltend macht, grundsätzlich der volle, vom Verantwortlichen verschuldete Gesellschaftsschaden zugesprochen worden, nicht nur Ersatz seines persönlich erlittenen Verlustes BGE 113 II 277 S. 279 ( BGE 111 II 184 E. c, ebenso BGE 111 II 375 E. 5; dazu kritisch FORSTMOSER in Schweizerische Aktiengesellschaft 1986 S. 69 ff. und BÄR in ZBJV 123/1987 S. 257). Diese Rechtsprechung hat zur Folge, dass die Klage des Abtretungsgläubigers, die auf Art. 260 Abs. 1 SchKG und auf Art. 756 Abs. 2 OR gestützt wird, nur dann an der Einwilligung des Geschädigten scheitert, wenn eine solche sowohl seitens der Gesellschaft als auch seitens des klagenden Gläubigers gegeben ist. 4. a) Für die Mehrheit des Obergerichts ist entscheidend, dass der Kläger seinen Anspruch ausschliesslich auf Art. 260 SchKG gestützt habe und sich deshalb die Einwilligung der Gesellschaft entgegenhalten lassen müsse. Er habe sich in der Klageschrift auf die Abtretungsverfügung des Konkursamtes berufen, welche mit "Abtretung von Rechtsansprüchen der Masse gemäss Art. 260 SchKG " überschrieben sei. In der Replik habe er sich als Vertreter der Masse bezeichnet und im Anschluss an die Duplik explizit anerkannt, dass er den Schaden der Gesellschaft, der Masse, geltend mache. Das ist nach Auffassung der Minderheit des Obergerichts eine formalistische Betrachtungsweise; die Abtretung nach Art. 260 SchKG stehe der Geltendmachung eigener Ansprüche aus Art. 756 Abs. 2 OR nicht entgegen; die Klage entspreche inhaltlich einem Vorgehen nach Art. 756 Abs. 2 OR . Der Kläger macht geltend, Art. 756 Abs. 2 OR sei zu Unrecht nicht angewandt worden. Er habe inhaltlich und sinngemäss auch seinen Anspruch aus mittelbarer Schädigung geltend gemacht. Die gegenteilige Annahme lasse sich nicht auf die Abtretungsurkunde stützen und gehe an den Realitäten vorbei. b) Der Beklagte hält diese Rüge für unzulässig, weil sie die Auslegung einer Prozesserklärung und damit kantonales Recht betreffe. Das gilt indes nur insoweit, als die Erklärung sich ausschliesslich oder vorwiegend auf dem Gebiet des Prozessrechts auswirkt ( BGE 95 II 295 E. 4 mit Hinweis). Der kantonale Richter verletzt Bundesrecht, wenn er sich im Prozess über einen bundesrechtlichen Anspruch mit ordnungsgemäss aufgestellten Rechtsbehauptungen nicht materiell auseinandersetzt ( BGE 95 II 266 E. 8, 405 E. b). Selbst wenn das Obergericht in guten Treuen einen Verzicht des Klägers auf Ansprüche aus Art. 756 Abs. 2 OR annehmen dürfte, bleibt es zur Rechtsanwendung von Amtes wegen verpflichtet ( BGE 107 II 418 E. 4, BGE 104 II 114 ). In diesem Sinn ist es durchaus eine Frage des Bundesrechtes, ob die Klage nur nach Art. 260 SchKG oder auch nach Art. 756 Abs. 2 OR zu BGE 113 II 277 S. 280 beurteilen ist. Dass sich die Abtretungsurkunde auf Art. 260 SchKG bezieht und der Kläger sich im Prozess darauf berufen hat, ist dabei nicht entscheidend; auch das Bundesgericht geht in einer gebräuchlichen Formulierung davon aus, dass der Anspruch des Gläubigers auf Ersatz seines mittelbaren Schadens eine Abtretung nach den Bestimmungen des SchKG voraussetze ( BGE 110 II 393 E. 1). Die Abtretungserklärung ist denn auch nicht nach ihrem Wortlaut, sondern nach ihrem wahren Sinn auszulegen ( BGE 107 III 92 E. 1 mit Hinweis); werden einfach "Verantwortlichkeitsansprüche" abgetreten, so umfasst das auch solche aus Art. 752 ff. OR . In der Regel ist deshalb davon auszugehen, dass die Abtretung Ansprüche aus Art. 260 SchKG sowie aus Art. 756 Abs. 2 OR umfasst (FORSTMOSER in SAG 1986 S. 75). Entsprechend ist anzunehmen, dass der Abtretungsgläubiger im Prozess ebenfalls beide Ansprüche geltend macht ( BGE 111 II 183 E. a). Das muss auch vorliegend gelten. Dabei kann offenbleiben, wie weit auch bei klarem Verzicht auf die Anrufung von Art. 756 Abs. 2 OR diese Bestimmung gleichwohl von Amtes wegen anzuwenden wäre; was das angefochtene Urteil dafür anführt, beinhaltet klarerweise keinen solchen Verzicht. Wenn der Kläger etwa erklärt hat, er mache den Schaden der Gesellschaft geltend, ist das auch Grundlage des mittelbaren Gläubigerschadens und schliesst einen solchen nicht aus. Die Mehrheitsentscheidung des angefochtenen Urteils verstösst deshalb gegen Bundesrecht, indem eine Überprüfung der Klage im Hinblick auf eine mittelbare Schädigung des Klägers ( Art. 756 Abs. 2 OR ) abgelehnt worden ist. Das muss in teilweiser Gutheissung der Berufung zur Aufhebung des angefochtenen Urteils und Rückweisung der Sache an die Vorinstanz führen; um die Klage gutzuheissen, fehlen die tatsächlichen Grundlagen, da die Feststellungen der Minderheit nicht berücksichtigt werden dürfen.
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Federation
213c41ef-65ae-41b5-8bf0-eb6aa56fab14
Urteilskopf 96 IV 118 31. Auszug aus dem Urteil des Kassationshofes vom 11. Dezember 1970 i.S. Staatsanwaltschaft des Kantons Solothurn gegen X. und Konsorten.
Regeste Begriff des Frauenhandels gemäss Art. 202 StGB .
Erwägungen ab Seite 118 BGE 96 IV 118 S. 118 Aus den Erwägungen: 1. Die Vorinstanz sah in der Anwerbung von Frauen durch Frau X. für das eigene Etablissement in Abidjan keinen Frauenhandel im Sinne des Art. 202 StGB . Sie hielt dafür, dass nicht Händler sein könne, wer für das eigene Geschäft Frauen anwerbe. Die Annahme von Frauenhandel setze voraus, dass ein Dritter hinzutrete, welchem die angeworbenen Frauen überliefert würden. Demgegenüber vertritt die Staatsanwaltschaft die Auffassung, dass der Begriff des Handeltreibens im Sinne von Art. 202 StGB weiter als der übliche Begriff des Handels gehe; denn Ziff. 1 der zitierten Bestimmung stemple bereits das Anwerben, Verschleppen oder Entführen zum Handel, d.h. das durch Art. 202 StGB geschützte Rechtsgut liege bereits im Schutz der Frauen und Kinder davor, dass sie angeworben, verschleppt oder entführt würden, um der Unzucht zugeführt zu werden. Das Schutzbedürfnis der potentiellen Opfer hange nicht davon ab, ob der Täter in Gewinnsucht Handel treibe. Art. 202 StGB setze denn auch keine Gewinnsucht oder Gewerbsmässigkeit voraus. 2. Nach dem Wortlaut von Art. 202 Ziff. 1 StGB lassen sich mit guten Gründen beide Auffassungen vertreten und es fragt sich, welcher Sinngehalt dieser Bestimmung zukommt. a) In den verschiedenen Vorentwürfen zum StGB wurde der Tatbestand des Frauen- oder Mädchenhandels verschieden, enger oder weiter als in der heutigen Fassung, umschrieben. Die schweizerische Gesetzgebung wurde indessen massgeblich von den internationalen Übereinkommen her beeinflusst, welche im Bestreben abgeschlossen worden waren, den international tätigen, bestens organisierten Mädchenhändlern das Handwerk zu legen, welche insbesondere die Bordelle in aller Welt mit immer neuer "Ware" versorgten oder aber auch Lebemännern BGE 96 IV 118 S. 119 Frauen überlieferten. Bereits im Jahre 1905 schloss sich die Schweiz dem internationalen Übereinkommen betreffend Unterdrückung des Mädchenhandels vom 18. Mai 1904 an, welches die Vertragsstaaten zur Unterdrückung dieses Handels verschiedene staatliche Einrichtungen zu schaffen verpflichtete. Dass die Kontrahenten Strafbestimmungen erlassen müssten, sah es nicht vor (AS n.F. Bd. 21 S. 37 ff.). Dies geschah dagegen im internationalen Übereinkommen zur Bekämpfung des Mädchenhandels vom 4. Mai 1910, welches die Schweiz erst im Jahre 1925 ratifizierte. Nach dessen Art. 1 und 2 verpflichteten sich die Vertragsstaaten, den mit Strafe zu bedrohen, der, um der Unzucht eines andern Vorschub zu leisten, eine minderjährige Frau oder ein minderjähriges Mädchen, selbst mit deren Einwilligung, zu unsittlichem Zwecke anwirbt, verschleppt oder entführt, oder der, um der Unzucht eines andern Vorschub zu leisten, eine volljährige Frau oder ein volljähriges Mädchen durch Täuschung oder mittels Gewalt, Drohung, Missbrauch des Ansehens oder durch irgendein anderes Zwangsmittel zu unsittlichem Zwecke anwirbt, verschleppt oder entführt, auch wenn die einzelnen Tatsachen, welche die Merkmale der strafbaren Handlung bilden, auf verschiedene Länder entfallen. Als Minderjährige wurden dabei im Schlussprotokoll gemäss lit. B die weniger als zwanzig Jahre alten Mädchen und Frauen bezeichnet (AS n.F. Bd. 42 S. 180, 185). In der späteren Übereinkunft vom 30. September 1921 wurde die Geltung der beiden genannten Übereinkommen von 1904 und 1910 auf den Handel mit Kindern beiderlei Geschlechts ausgedehnt und das Schutzalter für Minderjährige gleichzeitig auf 21 Jahre erhöht (AS n.F. Bd. 42 S. 187/8). Da im Bund vorerst die Grundlagen zur Ratifikation des Abkommens von 1910 geschaffen werden mussten, fanden die internationalen Abkommen ihren Niederschlag vorerst in den Entwürfen zum StGB. Dessen endgültige Verabschiedung liess indessen auf sich warten, so dass sich der Bundesrat entschloss, ein besonderes Gesetz über die Bekämpfung des Frauen- und Kinderhandels zu erlassen, damit er die Übereinkunft von 1910 ratifizieren lassen konnte. Am 25. November 1924 legte der Bundesrat den Entwurf eines solchen Bundesgesetzes vor und beantragte der Bundesversammlung gleichzeitig die Ratifikation der internationalen Übereinkommen von 1910 und 1921. BGE 96 IV 118 S. 120 Gemäss Art. 1 des Gesetzesentwurfes hätte bestraft werden sollen, - wer, um der Unzucht eines andern Vorschub zu leisten, eine Person, die das 21. Lebensjahr noch nicht vollendet hat, anwirbt, verschleppt oder entführt; - wer, um der Unzucht eines andern Vorschub zu leisten, eine weibliche Person, die das 21. Lebensjahr vollendet hat, gewerbsmässig oder durch Täuschung, Gewalt, Drohung, Missbrauch ihrer Notlage oder ihrer durch ein Amts- oder Dienstverhältnis oder auf ähnliche Weise begründeten Abhängigkeit oder durch irgendein anderes Zwangsmittel anwirbt, verschleppt oder entführt; - wer Anstalten zu gewerbsmässigem Frauen- oder Kinderhandel trifft. Die Botschaft führte aus, das Verhandeln selbst sei deshalb als Tatbestandsmerkmal nicht genannt worden, weil das Delikt des Frauenhandels schon mit dem Anwerben und Befördern zum Zwecke des Verhandelns vollendet sei. Werde das Verhandeln von einer am Anwerben und Verschleppen nicht beteiligten Person besorgt, so sei es regelmässig als Kuppelei, als Versuch hiezu oder als Gehilfenschaft oder Begünstigung bei Frauenhandel strafbar (Bundesblatt 1924, Band III, S. 1018 f.). Die Kommission des Ständerates beantragte für Art. 1 Ziff. 1 die Fassung: "Wer Frauen- oder Kinderhandel treibt, indem er eine Person, die das 21. Lebensjahr noch nicht vollendet hat, anwirbt, verschleppt oder entführt, um der Unzucht eines andern Vorschub zu leisten, wer Frauenhandel treibt, indem er eine weibliche Person, die das 21. Lebensjahr vollendet hat, gewerbsmässig oder durch Täuschung, Gewalt, Drohung, Missbrauch ihrer Notlage oder ihrer durch ein Amts- oder Dienstverhältnis oder auf ähnliche Weise begründeten Abhängigkeit oder durch irgendein anderes Zwangsmittel anwirbt, verschleppt oder entführt, um der Unzucht eines andern Vorschub zu leisten, wird mit Zuchthaus bestraft." (Sten. Bull. des Ständerates 1925, S. 17). Der Berichterstatter der ständerätlichen Kommission erklärte dazu, dass mit der vorgeschlagenen Formulierung klar gemacht worden sei, dass die einzeln aufgeführten Tatbestände nach dieser Bestimmung nur dann strafbar seien, wenn sie einen Akt des Handeltreibens mit Frauen oder Kindern darstellten BGE 96 IV 118 S. 121 (Sten. Bull. des Ständerates 1925, S. 18). Bundesrat Häberlin lehnte diese Fassung als zu weitgehend entschieden ab. Die nationalrätliche Kommission schlug in der Folge vor, es sei zu bestrafen, "wer, um der Unzucht eines andern Vorschub zu leisten, mit Frauen oder Minderjährigen Handel treibt, insbesondere indem er sie anwirbt, verschleppt oder entführt" (Sten. Bull. des Nationalrates 1925, S. 525). Wie den Ausführungen des Berichterstatters der nationalrätlichen Kommission zu entnehmen ist, deckte sich der Vorschlag der Kommission mit jenem der 2. Expertenkommission für das StGB (Sten. Bull. des Nationalrates 1925, S. 526). In den Beratungen im Nationalrat erklärte Bundesrat Häberlin, dieser Fassung könne er deshalb zustimmen, weil Art. 1 nun klar sage, dass nur ein eigentliches "Handeln" oder "Verhandeln" von Frauen als Frauenhandel bestraft werden solle, wogegen der bundesrätliche Entwurf einzelne Tatbestände enumeriere, nicht aber vom Handeltreiben gesprochen habe (Sten. Bull. des Nationalrates 1925, S. 527). Die von der nationalrätlichen Kommission vorgeschlagene Fassung fand m beiden Räten Zustimmung (AS n.F. Band 42, S. 9); später wurde Art. 1 Ziff. 1 des Bundesgesetzes über Frauen- und Kinderhandel unverändert ins StGB übernommen. Die historische Auslegung spricht demnach dafür, dass Art. 202 StGB nur Anwendung findet, wenn der Täter tatsächlich Handel treibt, nicht dagegen wenn er, ohne an einem Handeltreiben beteiligt zu sein, Frauen anwirbt, verschleppt oder entführt, wenngleich in beiden Fällen seine Tätigkeit objektiv genau die gleiche sein kann. Dies lässt sich insbesondere den Voten in den parlamentarischen Beratungen entnehmen. b) Den gleichen Schluss erlaubt die teleologische Auslegungsmethode. Die Bestimmungen über den Frauen- und Kinderhandel sollen dem international tätigen, organisierten Händlertum den Riegel schieben, welches insbesondere den Nachschub "lebender Ware" für die Bordelle in aller Welt besorgt. Zu diesem Zwecke wurden denn auch die verschiedenen internationalen Abkommen geschlossen, von welchen seinerseits Art. 202 StGB ausging. Diese Bestimmung will also die Lieferanten gewerbsmässiger Kuppler, die Vermittlung "lebender Ware" an diese treffen (THORMANN/VAN OVERBECK, Schweiz. BGE 96 IV 118 S. 122 Strafgesetzbuch, bes. Teil, N. 1 zu Art. 202 StGB ; HAFTER, Frauen- und Kinderhandel, Schweizerische Zeitschrift für Strafrecht, Band 46, 1932, S. 295; SCHWANDER, Das Schweizerische Strafgesetzbuch, S. 424, Nr. 650). c) Im Schrifttum behauptet einzig Stämpfli, jede der angeführten Handlungen (Anwerben, Verschleppen, Entführen) stehe selbständig unter Strafe; er setzt nicht voraus, dass diese Tätigkeiten mit einem Handeltreiben in Verbindung stehen müssen (STÄMPFLI, SJZ, Band 22, S. 296). Demgegenüber erklärt HAFTER (Schweizerisches Strafrecht, bes. Teil I, S. 154), dass alles, was der Frauen- oder Kinderhändler im einzelnen vorkehre, nur Teil des Handeltreibens sei. Der Händler werde, bis er ein Geschäft abgeschlossen habe, Art. 202 StGB regelmässig mehrfach erfüllen: Er treffe Anstalten, seine Beziehungen spielen zu lassen, unterhandle, werbe an und verschleppe vielleicht auch. Alle diese Tätigkeiten müssten unter dem Gesichtspunkt des Handeltreibens zu einer Deliktseinheit zusammengefasst werden. In gleicher Weise verstehen THORMANN/VAN OVERBECK (a.a.O.. N. 4) und SCHWANDER (a.a.O.) das Anwerben, Verschleppen oder Entführen als Teilakte des Handeltreibens, und auch LOGOZ (Commentaire du Code pénal suisse, partie spéciale I, p. 346) legt das Schwergewicht auf den Begriff des Handeltreibens (commerce). Wenn aber die in Art. 202 Ziff. 1 StGB aufgeführten Tätigkeiten als Teilakt des Handeltreibens zu verstehen sind, so muss umgekehrt geschlossen werden, dass diese Handlungen nur dann unter Art. 202 StGB fallen können, wenn ihnen im Rahmen eines Frauen- oder Kinderhandels Bedeutung zukommt (HAFTER, Frauen- und Kinderhandel, a.a.O.). Daher kann nicht schon jedes Anwerben, Verschleppen oder Entführen als Frauen- oder Kinderhandel angesprochen werden. Dies ist auch daraus abzuleiten, dass verschiedene andere Bestimmungen des StGB Schutz gegen solche Handlungen bieten; so sind insbesondere Art. 182 und 183 StGB geeignet, das Verschleppen oder Entführen als strafbare Handlung zu erfassen, wenn eine Verbindung zu einem eigentlichen Frauenhandel fehlt. Liegt ein solcher jedoch vor, so gilt Art. 202 als Spezialbestimmung alle mit dem Frauenhandel in Beziehung stehenden Tätigkeiten ab (SCHNEIDER, Der Mädchenhandel und seine Bekämpfung im Schweiz. Recht, S. 157). d) Diese Überlegungen führen dazu, dass als Frauen- und BGE 96 IV 118 S. 123 Kinderhandel nur der eigentliche Handel, das Verhandeln, das Vermitteln an Kuppler zu bezeichnen ist. Stellen in Art. 202 Ziff. 1 StGB genannte Tätigkeiten nicht Teilakte dieses Handeltreibens dar, so entfällt die Strafbarkeit nach der genannten Bestimmung. Eine andere Betrachtungsweise würde den Tatbestand von Art. 202 StGB übermässig ausweiten; auf diese Gefahr machte neben Bundesrat Häberlin auch HAFTER in seinem Aufsatz über Frauen- und Kinderhandel (a.a.O.) aufmerksam. So müsste, wenn man Art. 202 StGB anders als hier dargelegt auslegen wollte, möglicherweise bereits ein aktiver Zuhälter als Frauenhändler bestraft werden, der eine Frau, die sich bisher nicht als Dirne betätigte, auf die Strasse schickt. Desgleichen müsste jeder Kuppler, welcher der Unzucht einer neu in seinen "Dienst" tretenden Prostituierten - sei sie dies bereits oder nicht - Vorschub leistet, nach Art. 202 StGB bestraft werden. Denn in beiden Fällen muss die Frau zuerst angeworben werden: im Falle des Zuhälters dazu, dass sie überhaupt der gewerbsmässigen Unzucht nachgeht, und im Falle des Kupplers dazu, dass dieser ihr seine eigenen Kunden zuführen kann. Diese Tragweite kommt Art. 202 StGB nicht zu.
null
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Urteilskopf 87 I 464 75. Urteil der II. Zivilabteilung vom 28. September 1961 i.S. S. gesch. H. gegen H. und Kleinen Rat des Kantons Graubünden.
Regeste Scheidung schweizerischer, im Ausland wohnender Ehegatten durch ausländisches Urteil. Eintragung des Urteils im Familienregister des Heimatortes auf Weisung der kantonalen Aufsichtsbehörde ( Art. 7 NAG , Art. 137 ZStV ). - Rechtsnatur dieser Weisung (Erw. 4). - Zulässigkeit einer dagegen ergriffenen Verwaltungsgerichtsbeschwerde nach Art. 99 I c OG, solange die Eintragung nicht erfolgt ist (Erw. 4). - Berichtigung (Löschung) des Eintrages auf administrativem Wege nur bei offenbarem Versehen oder Irrtum ( Art. 45 Abs. 2 ZGB ). Einschränkende Auslegung dieser Begriffe (Erw. 1-3). Ablehnung des bei der Aufsichtsbehörde gestellten Löschungsbegehrens insbesondere wegen zivilrechtlicher Zweifelsfragen (Erw. 4).
Sachverhalt ab Seite 465 BGE 87 I 464 S. 465 A.- Die in Caracas geschlossene Ehe der schweizerischvenezolanischen Doppelbürger H.-S. wurde nach vorausgegangener gerichtlicher Trennung auf Begehren des Ehemannes am 21. April 1953 an dessen Wohnort Caracas geschieden und das am 20. Januar 1947 geborene Kind Anna Maria unter der väterlichen Gewalt belassen. Der Aufenthalt der Ehefrau war dem Scheidungsgerichte nicht bekannt; es waren daher Ediktalvorladungen erfolgt, und das Verfahren wurde ohne Mitwirkung der Beklagten durchgeführt. Diese erfuhr in der Folgezeit von der Scheidung. Sie stellte ein Gesuch um Zuweisung der elterlichen Gewalt an sie, dem jedoch das Zweite Jugendgericht des Bundesgerichts in Caracas am 30. Juli/22. September 1953 nicht entsprach. B.- Das Scheidungsurteil gelangte auf diplomatischem Weg an die schweizerischen Behörden. Am 20. August 1953 verfügte das Departement des Innern des Kantons Graubünden als Aufsichtsbehörde über das Zivilstandswesen die Eintragung des Urteils im Familienregister des Heimatortes der Parteien, Seewis im Prättigau. C.- Fünf Jahre später, als der Ehemann am 4. Juli 1958 in Caracas gestorben war, stellte die geschiedene Ehefrau beim Departement des Innern von Graubünden das Gesuch, es sei die Löschung des Scheidungsurteils im Familienregister des Heimatortes anzuordnen. Am 2. September 1958 hiess das angerufene Departement dieses Begehren gut und verfügte die Löschung. D.- Ein von der Vormünderin des Kindes Anna Maria H. gegen diese Verfügung angehobenes Beschwerdeverfahren BGE 87 I 464 S. 466 stellte der Kleine Rat des Kantons Graubünden zunächst ein, weil die Vormundsernennung ihrerseits angefochten war. Es blieb bei der Einstellung (vgl. BGE 85 I 191 ff.), und gegen die vom Kleinen Rat bestätigte Vormundsernennung vermochten die von der Gesuchstellerin Frau S. gesch. H. ergriffenen Rechtsmittel nichts auszurichten (vgl. BGE 86 II 323 ff.). Mit Entscheid vom 11. Februar 1961 hat alsdann der Kleine Rat des Kantons Graubünden die Beschwerde des Kindes gutgeheissen und die Löschungsverfügung des kantonalen Departements des Innern aufgehoben. Aus den Gründen: Ediktalvorladungen an eine Partei, deren Wohn- bezw. Aufenthaltsort nicht bekannt ist, sind auch in europäischen und insbesondere schweizerischen Zivilprozessordnungen vorgesehen, so in Art. 69 des bündnerischen Gesetzes. An und für sich verstösst ein hierauf ergehendes Versäumnisurteil nicht gegen die öffentliche Ordnung der Schweiz. Dass das venezolanische Scheidungsgericht in der Lage gewesen wäre, die beklagte Ehefrau durch Vermittlung der Behörden ihres Wohn- oder Aufenthaltsortes persönlich vorzuladen, ist weder behauptet noch erwiesen worden, und ebensowenig steht fest, dass die beklagte Ehefrau das Kontumazialurteil nicht hätte binnen bestimmter angemessener Frist (Purgationsfrist) aufheben lassen können. Dem Ehemann wird freilich vorgehalten, er habe das Scheidungsurteil durch unerlaubte Machenschaften erschlichen. Eine solche Einwirkung auf den Gang des Prozesses hätte jedoch normalerweise durch eine Strafanzeige geltend gemacht werden müssen. Im übrigen ist aus dem Verhalten der geschiedenen Ehefrau zu schliessen, sie habe sich mit dem im Versäumnisverfahren ergangenen Scheidungsurteil abgefunden. Dieses wurde zwar ihr persönlich nicht zugestellt. Sie erfuhr aber davon spätestens am 30. Juli 1953, nämlich bevor sie beim Jugendgericht das Begehren um Zuweisung der elterlichen Gewalt über das bei der Ehescheidung dem Vater belassene Kind stellte. Erst nach dem Tode des Mannes "zeigte sie Interesse für den hypothetischen BGE 87 I 464 S. 467 Fortbestand der Ehe" bis zu jenem Todestag. Es kann aber nicht Sache der Verwaltungsbehörden sein, ihr durch nachträgliche Löschung des Scheidungseintrages zur Erbeneigenschaft zu verhelfen. Als dieser Eintrag seinerzeit verfügt wurde, war den Organen des bündnerischen Departements des Innern übrigens bewusst, dass es ein Kontumazialurteil war. Man hielt es nicht für nötig, sich Gewissheit darüber zu verschaffen, ob die Ehefrau dieses Urteil endgültig hinnehmen wolle; offenbar deshalb nicht, weil nach der Meinung des eidgenössischen Politischen Departements dem Ehemann ein absoluter Scheidungsgrund nach venezolanischem Rechte zustand (Ablauf zweier Jahre seit der gerichtlichen Trennung, ohne dass es zur Versöhnung gekommen wäre). Nachdem das Scheidungsurteil unangefochten blieb, liegt kein Grund zur Löschung des Eintrages gemäss Art. 45 Abs. 2 ZGB und Art. 51 Abs. 2 ZStV vor. Wegen der von der Gesuchstellerin gerügten Mängel des Scheidungsurteils kann nur allenfalls beim Richter, gemäss Art. 45 Abs. 1 ZGB , eine Berichtigung oder Löschung des Eintrages verlangt werden. E.- Gegen diesen Entscheid richtet sich die vorliegende Verwaltungsgerichtsbeschwerde der Gesuchstellerin, die am Begehren um Anordnung der Löschung des Scheidungseintrages festhält. F.- Der Kleine Rat des Kantons Graubünden stellt Antrag auf Abweisung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde. Im gleichen Sinne nimmt der Vertreter des Kindes Stellung. Das eidgenössische Justiz- und Polizeidepartement hatte sich bereits im frühern, die Einstellung des kantonalen Verfahrens betreffenden Beschwerdefalle zur Sache selbst geäussert. Es war zum Schlusse gekommen, das kantonale Departement habe die Löschung des Ehescheidungseintrages zu Recht angeordnet. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Die Einträge des Familienregisters beruhen in der Regel auf Einträgen der Einzelregister, seien dies BGE 87 I 464 S. 468 solche, die ebenfalls am Heimatort, oder solche, die an andern Orten geführt und deren Einträge dem Zivilstandsamt des Heimatortes mitgeteilt werden ( Art. 118 ZStV ). Demgemäss ist auch Gegenstand einer Berichtigung gewöhnlich in erster Linie der Eintrag eines Einzelregisters, worauf die im Familienregister vorzunehmende Berichtigung nachfolgt ( Art. 55 Abs. 1 ZStV ). Bei der Scheidung der Ehe H.-S. handelte es sich indessen um eine im Ausland eingetretene Zivilstandstatsache, die durch einen mit Rechtskraftbescheinigung versehenen Urteilsauszug belegt war ( Art. 118 Abs. 2 ZStV ) und gemäss Art. 137 ZStV mit Bewilligung der kantonalen Aufsichtsbehörde unmittelbar in das Familienregister von Seewis i. P. eingetragen wurde. Wie unbestritten ist, enthält dieser Eintrag keinen Fehler; er entspricht vollauf den Angaben der ausländischen Urkunde, also des Scheidungsurteils. Dieses ist seinerseits unangefochten geblieben und hat nicht Gegenstand irgendeiner Berichtigung gebildet, die nun auch im Familienregister des schweizerichen Heimatortes dieser Doppelbürgerin nachzutragen wäre. Vielmehr hat die Beschwerdeführerin, ohne gegen das Scheidungsurteil als solches etwas vorzukehren, die Löschung des darauf beruhenden Eintrages verlangt mit der Begründung, das Urteil sei vom Ehemann mit der unrichtigen Angabe, der Wohnsitz der Ehefrau sei ihm unbekannt, im Kontumazialverfahren erschlichen worden und verstosse daher gegen die öffentliche Ordnung der Schweiz; es hätte von Anfang an nicht anerkannt und somit nicht in das schweizerische Register eingetragen werden sollen. Die unter der unzutreffenden Voraussetzung eines der öffentlichen Ordnung entsprechenden, die Verteidigungsrechte der beklagten Partei wahrenden Scheidungsverfahrens seinerzeit im August 1953 getroffene Anordnung sei deshalb zu widerrufen bezw. aufzuheben und nunmehr die Löschung des Eintrages zu verfügen. 2. Wie das Bundesgericht in einer kürzlich gefällten Entscheidung dargelegt hat ( BGE 86 II 437 ff.), können BGE 87 I 464 S. 469 sich Einträge der Zivilstandsregister aus verschiedenen Gründen als mangelhaft erweisen, und es ist je nach der Art des in Frage stehenden wirklichen oder vermeintlichen Mangels ein bestimmtes Verfahren zu dessen Behebung einzuleiten. Abgesehen vom Fall einer nachträglich in den Standesrechten einer Person eingetretenen Änderung ( Art. 47 ZGB ) fällt eine gerichtliche oder administrative Berichtigung gemäss Art. 45 Abs. 1 und 2 ZGB in Betracht. Sie dient dazu, bei der Eintragung unterlaufene Fehler, seien es solche der Anmeldung oder des Vorgehens des registrierenden Beamten, zu beheben (wie es im Falle des soeben erwähnten Präjudizes zutraf; a.a.O. Erw. 4). Wird dagegen die materielle Grundlage einer formell einwandfrei zustande gekommenen und inhaltlich den Belegen entsprechenden Eintragung beanstandet, so bedarf es einer Klage auf Feststellung oder Änderung der betreffenden Standesrechte (Statusklage), wobei dann das rechtskräftige Urteil die massgebende Grundlage einer allfälligen neuen Eintragung zu bilden hat (a.a.O. Erw. 2, 3 und 5; P. B. JAQUES, La rectification des actes de l'état civil, thèse 1949, p. 147 ff.). Im vorliegenden Falle wird sowohl das eingetragene materielle Rechtsverhältnis als solches wie auch das seinerzeit befolgte Eintragungsverfahren, nämlich das Vorgehen der die Eintragung anordnenden kantonalen Aufsichtsbehörde, bemängelt. Nach Ansicht der Beschwerdeführerin ist das Scheidungsurteil nicht in einer auch für die Schweiz rechtsverbindlichen Weise zustande gekommen, ist also von den schweizerischen Behörden nicht als rechtmässig anzuerkennen, was Gegenstand einer Statusklage auf Feststellung sein könnte. Anderseits hält die Beschwerdeführerin dafür, die kantonale Aufsichtsbehörde hätte diesen Mangel erkennen und die Eintragung daher nicht anordnen, sondern ablehnen sollen; somit sei auch die Eintragung als solche zu Unrecht erfolgt. Bei dieser Sachlage bedürfe es keiner Statusklage, sondern es stehe ihr ein Anspruch auf Berichtigung gemäss Art. 45 BGE 87 I 464 S. 470 ZGB zu, und zwar, weil die Eintragung auf offenbarem Irrtum beruhe, im administrativen Verfahren nach Abs. 2 daselbst. 3. Von einem bei der Anordnung der Eintragung im August 1953 unterlaufenen offenbaren Versehen oder Irrtum, was nach der zuletzt angeführten Vorschrift zur Berichtigung des Fehlers durch die Aufsichtsbehörde führen könnte, ist jedoch beim vorliegenden Sachverhalte nicht ernstlich zu sprechen. Es ist keinerlei Versehen dargetan. Das Scheidungsurteil lag vor, so wie es eingetragen wurde, und die Eintragung wurde, was unbestritten ist, vollauf jener Urkunde entsprechend angeordnet und vollzogen. Aber auch ein "offenbarer Irrtum" (das Wort "offenbar" bezieht sich gleichermassen auf den Irrtum wie auf das Versehen, was aus dem französichen und dem italienischen Text des Art. 45 Abs. 2 ZGB ohne jeden Zweifel erhellt) ist nicht zu ersehen. Als "offenbar" kann nur ein Irrtum gelten, der unbestritten und unbestreitbar ist und zu einer Eintragung geführt hat, die den damals zur Verfügung stehenden Unterlagen (Belegen und Vorbringen) widersprach ( BGE 76 I 230 /231, BGE 86 II 444 oben, je mit Hinweisen). Das trifft hier nicht zu. Die kantonale Aufsichtsbehörde hat, als sie die Eintragung verfügte, weder die Rechtsnatur noch den Inhalt der ihr eben zu diesem Zweck vom eidgenössischen Justiz- und Polizeidepartement übermittelten ausländischen Urkunde verkannt. 4. Bei der Entgegennahme eines ausländischen Scheidungsurteils und der hierauf zu treffenden Verfügung über die Vornahme oder Ablehnung der Eintragung kommt der kantonalen Aufsichtsbehörde allerdings eine besonderc rechtliche Stellung zu. Gegenstand dieser Verfügung ist die Anerkennung oder Nichtanerkennung des ausländischen Urteils (wenn Schweizerbürger betreffend, nach den Vorschriften des Art. 7g NAG ). Es handelt sich um eine in Art. 137 ZStV (dem Art. 133 der frühern ZStV vom 18. Mai 1928 entsprechend) festgelegte ausschliessliche Befugnis, BGE 87 I 464 S. 471 die keinen Raum für kantonale Exequaturverfahren lässt ( BGE 64 II 76 Erw. 1). Der die Anerkennung des ausländischen Urteils in sich schliessende Eintragungsbefehl der kantonalen Aufsichtsbehörde unterliegt der Verwaltungsgerichtsbeschwerde an das Bundesgericht in Registersachen nach Art. 99 I c OG, jedoch nur, solange die Eintragung nicht erfolgt ist. Das wurde in einem Entscheid vom 27. Juni 1946 i.S. Weber gegen Genf klargestellt (vgl. dazu U. STAMPA in der Zeitschrift für Zivilstandswesen 1946-14, S. 227, und J.-F. AUBERT in derselben Zeitschrift 1959-27, S. 339, Fussnote 12). Vorbehalten bleibt auch gegenüber solchen Einträgen die Berichtigung unter den Voraussetzungen und im Verfahren gemäss Art. 45 Abs. 1, allenfalls Abs. 2 ZGB, sowie die Anhebung von Statusklagen und die Berücksichtigung einer spätern Änderung der Standesrechte der Person gemäss Art. 47 ZGB . Was aber die heute einzig in Frage stehende Berichtigung auf administrativem Wege betrifft, wie sie die Beschwerdeführerin mit ihrem Gesuch vom 9. August 1958 verlangt hat und mit der vorliegenden Beschwerde weiterhin verlangt, so ist, auch wenn man den besondern Rechtscharakter der Eintragungsverfügung vom 20. August 1953 beachtet, ein offenbares Versehen oder ein offenbarer Irrtum nicht dargetan. Nicht nur über den Inhalt und die rechtliche Bedeutung der ausländischen Zivilstandsurkunde (des Scheidungsurteils), sondern auch über das Wesen der nach Art. 137 ZStV zu treffenden Verfügung war die kantonale Aufsichtsbehörde durchaus im klaren. Wenn sie es, aus welchen Gründen immer, nicht für nötig fand, abzuklären, warum es zu einem Kontumazialurteil gekommen war, und wenn sie daher die Eintragung ohne Rücksicht auf allfällige schwerwiegende Mängel des Scheidungsverfahrens verfügte, so konnte sie über diesen Verfahrensgang gar keine bestimmte Annahme machen, sich also auch nicht in einem "offenbaren Irrtum" befinden. Bei dieser Sachlage hat der Kleine Rat des Kantons Graubünden mit vollem Recht eine Berichtigung des Eintrages BGE 87 I 464 S. 472 auf administrativem Weg als unstatthaft abgelehnt. Die Frage, ob das venezolanische Scheidungsurteil überhaupt und insbesondere auch für das Gebiet der Schweiz als gültig zu betrachten sei, wäre übrigens in tatbeständlicher wie auch namentlich in rechtlicher Hinsicht zu heikel, um in einem administrativen Verfahren beurteilt werden zu können (vgl. BGE 63 I 198 , BGE 76 I 231 unten). Mit Recht wird auch in Kreisen der Organe des Zivilstandswesens hervorgehoben, dass die administrative Berichtigung eine an enge Voraussetzungen gebundene Ausnahme bildet (H. FISCH, Ausführungen zu den Artikeln 50 bis 55 ZStV, in der Zeitschrift für Zivilstandswesen 1955-23 S. 193 ff., namentlich 199). Hätte die kantonale Aufsichtsbehörde seinerzeit die Eintragung des Scheidungsurteils verweigert und dies dem Ehemann mitgeteilt, so hätte er (bei Rechtskraft der Verfügung) Gelegenheit gehabt, ein neues, regelrechtes Scheidungsverfahren einzuleiten, sei es an seinem Wohnsitz in Caracas oder an seinem schweizerischen Heimatort ( Art. 7g NAG ). Nachdem die Eintragung erfolgt ist und die Ehefrau weder gegen das Scheidungsurteil selbst noch bis zum Tode des Mannes gegen die Eintragung etwas vorgekehrt hat, erheben sich verschiedene Zweifelsfragen in bezug auf die Möglichkeit, die Scheidung noch in Frage zu stellen (vgl. J.-F. AUBERT, La transcription des divorces étrangers dans les registres de l'état civil suisse, in der Zeitschrift für Zivilstandswesen 1959-27 S. 336 ff., namentlich S. 370/71, wo von unter Umständen gerechtfertigten Abschwächungen der aus dem ordre public herzuleitenden Einwendungen die Rede ist; LEUCH, N. 3 zu Art. 367 der bernischen ZPO, der die Rückgängigmachung einer Ehescheidung durch Revision des Urteils für unzulässig hält, "wenn die Auflösung bereits einige Zeit gedauert hat"). Ist nach alldem das bei der kantonalen Aufsichtsbehörde im Sinne des Art. 45 Abs. 2 ZGB gestellte und mit der vorliegenden Beschwerde aufrecht erhaltene Berichtigungsgesuch unbegründet, so ist die Beschwerde abzuweisen, BGE 87 I 464 S. 473 ohne dass zu prüfen wäre, welches die Aussichten einer Berichtigungsklage nach Art. 45 Abs. 1 ZGB oder einer Statusklage auf Feststellung des Fortbestehens der Ehe bis zum Hinschied des Mannes bezw. der Ungültigkeit des Scheidungsurteils für das Gebiet der Schweiz sein mögen. Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Beschwerde wird abgewiesen.
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1,961
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Federation
21428b03-0e56-448d-93a8-598a014e5ff3
Urteilskopf 104 V 5 2. Urteil vom 13. März 1978 i.S. A. gegen Ausgleichskasse des Kantons Graubünden und Verwaltungsgericht des Kantons Graubünden
Regeste Verrechnung der Leistungen ( Art. 50 IVG und 20 Abs. 2 AHVG). Der Verrechnungsausschluss des Art. 213 Abs. 2 SchKG gilt im Anwendungsbereich des Art. 20 Abs. 2 AHVG nicht.
Sachverhalt ab Seite 5 BGE 104 V 5 S. 5 A.- Josef A. betrieb neben der J. A. AG eine Garage als Einzelfirma, welcher von der Nachlassbehörde im Jahre 1971 ein Liquidationsvergleich bestätigt wurde. Für die Sozialversicherungsbeiträge vom Januar 1970 bis zum Mai 1971 belastete ihn die Ausgleichskasse für das schweizerische Auto-, Motor- und Fahrradgewerbe mit einem Betrag von insgesamt Fr. 27'649.-, den sie im Nachlassverfahren als Gläubigerin anmeldete. Gestützt auf einen Invaliditätsgrad von 50% sprach die Ausgleichskasse des Kantons Graubünden mit Verfügung vom 12. August 1976 Josef A. mit Wirkung ab 1. Mai 1975 eine halbe einfache Invalidenrente zu. Auf Antrag der Ausgleichskasse für das schweizerische Auto-, Motor- und Fahrradgewerbe verfügte sie gleichzeitig die laufende Verrechnung dieser Invalidenrente "mit ausstehenden AHV-Beiträgen". B.- Gegen diese Verrechnungsverfügung liess Josef A. beim Verwaltungsgericht des Kantons Graubünden Beschwerde erheben und geltend machen, die Verrechnung sei unzulässig, weil es nach Art. 213 SchKG ausgeschlossen sei, eine nach Konkurseröffnung entstandene Verpflichtung mit Forderungen aus der Zeit vor dem Konkurs zu verrechnen. - Das Verwaltungsgericht wies die Beschwerde am 10. Dezember 1976 ab. Die Anwendung von Art. 213 SchKG werde im Sozialversicherungsrecht durch Art. 16 und 20 AHVG ausgeschlossen. Da sich Josef A. nicht in einer Notlage befinde, sei zu Recht verrechnet worden. BGE 104 V 5 S. 6 C.- Josef A. lässt rechtzeitig Verwaltungsgerichtsbeschwerde einreichen und beantragen, die Verrechnung von Ansprüchen aus der Invalidenversicherung mit ausstehenden AHV-Beiträgen sei als unzulässig zu erklären. Die grundsätzliche Verrechnungsmöglichkeit werde nicht bestritten, im vorliegenden Fall werde sie jedoch durch Art. 213 SchKG ausgeschlossen; weder Art. 16 noch Art. 20 AHVG würden die Anwendung dieser Bestimmung des Schuldbetreibungs- und Konkursrechts wegbedingen. Sofern im übrigen die ausstehende, privilegierte Forderung der Ausgleichskasse im Nachlassverfahren nicht gedeckt werden sollte, könne die Verrechnung nach Abschluss des Verfahrens immer noch geltend gemacht werden. Die Auffassung von Kasse und Vorinstanz bewirke eine Gläubigerbevorzugung. Die Ausgleichskasse des Kantons Graubünden und das Bundesamt für Sozialversicherung tragen auf Abweisung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde an. Erwägungen Das Eidg. Versicherungsgericht zieht in Erwägung: 1. Da es sich bei der angefochtenen Verfügung nicht um die Bewilligung oder Verweigerung von Versicherungsleistungen handelt, hat das Eidg. Versicherungsgericht nur zu prüfen, ob der vorinstanzliche Richter Bundesrecht verletzt hat, einschliesslich Überschreitung oder Missbrauch des Ermessens, oder ob der rechtserhebliche Sachverhalt offensichtlich unrichtig, unvollständig oder unter Verletzung wesentlicher Verfahrensbestimmungen festgestellt worden ist (Art. 132 in Verbindung mit Art. 104 lit. a und b sowie Art. 105 Abs. 2 OG ). 2. Gemäss Art. 50 IVG findet für die Verrechnung von Leistungen der Invalidenversicherung Art. 20 AHVG sinngemäss Anwendung. Nach Art. 20 Abs. 2 AHVG können Forderungen der Sozialversicherungsgesetzgebung mit fälligen Leistungen verrechnet werden; die Verrechnung ist aber unter anderem (vgl. dazu: EVGE 1969 S. 214 Erw. 3 sowie Rz 1216 ff. der Wegleitung über die Renten) an folgende Voraussetzungen geknüpft: a) Die Verrechenbarkeit beschränkt sich auf Forderungen, die auf Grund des Bundesrechts entstanden sind. Somit ist im vorliegenden Fall die Verrechnung insoweit ausgeschlossen, als in der ausstehenden Beitragsforderung kantonalrechtliche BGE 104 V 5 S. 7 Beiträge und diesbezügliche Spesen enthalten sind. Die angefochtene Verfügung vermerkt allgemein "laufende Verrechnung mit ausstehenden AHV-Beiträgen"; daraus ist grundsätzlich zu schliessen, dass nur bundesrechtliche Sozialversicherungsbeiträge verrechnet werden sollen. b) Die Verrechnung darf den Versicherten nicht in eine Notlage bringen (ZAK 1971, S. 508 f.). Eine Notlage wird indessen weder vom Beschwerdeführer behauptet, noch lassen die Akten auf das Vorliegen einer solchen schliessen. Er anerkennt vielmehr in der Verwaltungsgerichtsbeschwerde, dass die Verrechenbarkeit in seinem Fall an sich möglich ist, wenn nicht Art. 213 SchKG sie nach seiner Auffassung verbieten würde. 3. Somit ist zu entscheiden, ob das Schuldbetreibungs- und Konkursrecht eine Verrechnung im Bereiche des Sozialversicherungsrechts in gewissen Fällen auszuschliessen vermag. a) Der Einzelfirma J. A. wurde nach Darstellung des Beschwerdeführers vom Kreisgerichtsausschuss Rhäzüns am 1. Dezember 1971 ein Nachlassvertrag mit Vermögensabtretung bewilligt. In bezug auf die Verrechnung beim Liquidationsvergleich verweist Art. 316 m SchKG auf Art. 213 SchKG , wobei präzisiert wird, dass im Nachlassverfahren an Stelle der Konkurseröffnung die Bekanntmachung der Nachlassstundung, gegebenenfalls des vorausgegangenen Konkursaufschubes trete. Art. 213 SchKG erklärt die Verrechnung grundsätzlich als zulässig (Abs. 1), schliesst sie aber aus (...), wenn ein Gläubiger des Gemeinschuldners erst nach der Konkurseröffnung Schuldner desselben oder der Konkursmasse wird (Abs. 2 Ziff. 2). Diese Regelung will verhindern, dass auf dem Wege des Verrechnungsrechts (Art. 120 ff., insbesondere Art. 123 OR ) Missbrauch getrieben wird, zu dem die besondere Lage Anreiz bilden kann (FRITZSCHE, Schuldbetreibung und Konkurs nach schweizerischem Recht, Band II, S. 72). b) Durch Art. 20 Abs. 2 AHVG wird für die Verrechnung eine eigene Ordnung geschaffen, welche auf die Besonderheiten der Sozialgesetzgebung im AHV-Bereich zugeschnitten ist. Wie die Vorinstanz zutreffend ausgeführt hat, ergibt sich die Eigenständigkeit des Sozialversicherungsrechts beispielsweise aus Art. 16 Abs. 2 AHVG , wonach eine Beitragsforderung drei Jahre nach Ablauf des Kalenderjahres verwirkt, in welchem BGE 104 V 5 S. 8 sie geltend gemacht wurde; fällt der Ablauf der Frist in ein hängiges Schuldbetreibungs- oder Konkursverfahren, endet die Frist mit dessen Abschluss; Art. 149 Abs. 5 SchKG , der die durch den Verlustschein verurkundete Forderung gegenüber dem Schuldner allgemein als unverjährbar erklärt, findet von Gesetzes wegen auf Beitragsforderungen keine Anwendung. c) Die Gefahr eines Missbrauchs oder einer Gläubigerübervorteilung besteht nicht. Durch den Ausschluss der Verrechnung könnte im Gegenteil ein Sozialwerk geschädigt werden, aus dem der Schuldner selber wieder Vorteile erlangt, zumal die Sozialversicherungsbeiträge rentenbildend sein können. Praktisch alle übrigen Gläubiger des Gemeinschuldners würden sodann ohne Verrechnung schlechter gestellt. Gemäss Art. 219 Abs. 4 SchKG sind die Beitragsforderungen der Sozialversicherung in der zweiten Klasse privilegiert. Durch Verrechnung wird diese privilegierte Forderung vermindert, so dass die gleich- oder nachgestellten Gläubiger eine Besserstellung erfahren. Schliesslich würde ohne Verrechnungsmöglichkeit allein der Schuldner profitieren, weil die Sozialversicherungsleistungen gemäss Art. 20 Abs. 1 AHVG unabtretbar, unverpfändbar und der Zwangsvollstreckung entzogen sind. Es ist nun aber nicht einzusehen, warum ein Versicherter, dessen Beitragsschuld in einem Konkurs- oder Nachlassverfahren angemeldet worden ist, besser gestellt werden soll als ein anderer Versicherter, der ebenfalls Sozialversicherungsbeiträge schuldig blieb. 4. Zusammenfassend ergibt sich, dass die Verrechnung der monatlichen Invalidenrente des Beschwerdeführers mit seinen ausstehenden bundesrechtlichen Sozialversicherungsbeiträgen zulässig ist, weil sich der Beschwerdeführer nicht in einer Notlage befindet und weil der Ausschluss der Verrechnung nach Art. 213 Abs. 2 SchKG im Anwendungsbereich des Art. 20 Abs. 2 AHVG nicht gilt. Dispositiv Demnach erkennt das Eidg. Versicherungsgericht: Die Verwaltungsgerichtsbeschwerde wird abgewiesen.
null
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1,978
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CH_BGE_007
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Federation
21459200-fc4d-4354-8e09-278ef1becd68
Urteilskopf 113 Ib 175 30. Extrait de l'arrêt de la Ire Cour de droit public du 20 août 1987 dans la cause Ghorbanifar, Hakim et Secord contre Office fédéral de la police (recours de droit administratif)
Regeste Rechtshilfe in Strafsachen gegenüber den USA. 1. Art. 2 Ziff. 1 lit. c Abs. 1 RVUS, Art. 2 lit. b und c sowie Art. 3 Abs. 1 IRSG ; erweiterter Schutz, politisches Delikt, Umstände im Zusammenhang mit einem solchen Delikt. Die Untersuchung wird im ersuchenden Staat durch eine von den politischen Instanzen unabhängige Gerichtsperson geführt und zielt einzig auf die Verfolgung von Delikten des gemeinen Rechts. Der Umstand allein, dass sie einen Bezug zur politischen Angelegenheit von "Irangate" hat, erlaubt es der Schweiz nicht, die Rechtshilfe gestützt auf Art. 2 Ziff. 1 lit. c Abs. 1 RVUS zu verweigern (E. 6). 2. Art. 4 Ziff. 2 lit. a RVUS ; Zwangsmassnahmen. Der im Rechtshilfeersuchen angegebene Sachverhalt erfüllt die objektiven Voraussetzungen eines Deliktes, das nach schweizerischem Recht strafbar ( Art. 314 StGB ) und im Anhang zum Rechtshilfevertrag aufgeführt ist (Ziff. 16 und Ziff. 19 lit. c) (E. 7).
Sachverhalt ab Seite 176 BGE 113 Ib 175 S. 176 Le 12 décembre 1986, le Département de la justice des Etats-Unis d'Amérique a adressé à l'Office fédéral de la police une demande d'entraide judiciaire en matière pénale fondée sur le Traité conclu le 25 mai 1973 entre la Confédération suisse et les Etats-Unis d'Amérique (RS 0.351.933.6; ci-après: TEJUS). Cette demande était présentée dans le cadre d'une enquête confiée à la Police fédérale (Federal Bureau of Investigation: FBI) au sujet de la destination des fonds provenant de ventes d'armes de guerre américaines consenties en 1985 et 1986 à la République islamique d'Iran (affaire dite de l'"Irangate"). La demande a été complétée les 15 décembre 1986, 27 janvier, 5 février et 20 février 1987. Les faits qui y sont énoncés peuvent être résumés de la manière suivante: Au cours de l'année 1985, le lieutenant-colonel Oliver L. North, qui était membre de l'état-major du Conseil national de sécurité (National Security Council: NSC), organe consultatif présidentiel institué par le National Security Act de 1947, aurait été chargé de négocier, pour le compte des Etats-Unis, la vente à la République islamique d'Iran d'armes de guerre d'une valeur totale d'environ 12 millions de dollars US. Il aurait été assisté dans cette tâche par les citoyens américains Richard Vernon Secord II, ancien général de l'Armée de l'air, et Albert Hakim, d'origine iranienne, lesquels auraient mis à disposition leur société S., qui a son siège dans l'Etat BGE 113 Ib 175 S. 177 de Virginie. L'opération aurait abouti grâce au concours d'hommes d'affaires internationaux parmi lesquels se trouverait le ressortissant iranien Manucher Ghorbanifar; les armes auraient été livrées à l'Iran en quatre tranches successives, en septembre 1985, en février, en mai et en novembre 1986. Le prix de vente, qui aurait en définitive dépassé nettement le montant de 12 millions de dollars US, augmenté du salaire des courtiers, aurait été versé par le Gouvernement iranien sur un compte numéroté ouvert par North auprès d'une banque suisse à Genève. Douze millions de dollars auraient été versés dans les caisses de l'Etat américain. North aurait en revanche détourné le bénéfice de ces opérations; il en aurait affecté une partie au moins au financement illicite des activités militaires des rebelles qui combattent le Gouvernement du Nicaragua (mouvement appelé communément "la Contra"). La banque suisse aurait viré les sommes ainsi détournées sur un compte ouvert par la société SATI, domiciliée dans l'Etat de Floride, auprès d'un établissement bancaire ayant son siège dans l'Etat de Géorgie. La société SATI aurait assuré, au moins en partie, l'acheminement des armes de guerre livrées à l'Iran ainsi que celui des équipements militaires fournis à la Contra nicaraguayenne au moyen des bénéfices résultant de la vente des armes. La demande d'entraide tend à la perquisition et à la saisie de la documentation relative à tout compte qui pourrait avoir été ouvert par les personnes concernées auprès de la banque suisse ainsi qu'à la remise de cette documentation. L'Etat requérant s'est aussi réservé de demander ultérieurement la restitution des sommes d'argent qui pourraient encore se trouver sur ces comptes. Ces faits ont eu un grand retentissement dans l'Etat requérant. Le 1er décembre 1986, le Président des Etats-Unis a nommé une commission d'enquête intitulée President's Special Review Board, plus connue sous le nom de commission Tower, du nom de l'ancien sénateur John Tower qui la présidait. Chargée d'enquêter sur l'organisation et le fonctionnement du Conseil national de sécurité, ainsi que sur le rôle joué par cet organisme au cours de ces événements, la commission a déposé son rapport le 26 février 1987. Par ailleurs, chacune des deux chambres du Congrès américain, le Sénat et la Chambre des représentants, a désigné une commission d'enquête; ces commissions ont entendu certains des protagonistes les plus importants de l'affaire dite de l'"Irangate". Le 19 décembre 1986, la Cour d'appel des Etats-Unis pour l'arrondissement du district de Columbia a nommé un Conseiller BGE 113 Ib 175 S. 178 indépendant (Independent Counsel), compétent, en vertu de la loi fédérale du 26 octobre 1978 intitulée Ethics in Government Act et des art. 591 ss du Titre 28 du code des Etats-Unis, pour conduire l'enquête contre North et tout autre responsable, et pour les traduire, le cas échéant, devant une autorité pénale de jugement. Les 15 et 17 décembre 1986, l'Office fédéral de la police a ordonné le blocage immédiat pour une durée de 30 jours de tous les comptes bancaires établis au nom ou pour le compte des personnes mentionnées dans la demande d'entraide du 12 décembre 1986 et dans son complément du 15 décembre. Le 15 janvier 1987, le Juge d'instruction genevois a rendu une ordonnance de perquisition et de saisie au sens des art. 178 ss CPP gen., confirmant intégralement et sans exception les mesures de blocage de comptes ordonnées à titre provisoire par l'Office fédéral. Six personnes ont fait opposition à l'admissibilité de l'entraide, parmi lesquelles Albert Hakim, Richard Vernon Secord II et Manucher Ghorbanifar. Par une décision unique datée du 8 avril 1987 pour sa version française et du 14 avril 1987 pour sa version allemande, l'Office fédéral de la police a rejeté les oppositions. Agissant par la voie de trois recours de droit administratif distincts, Manucher Ghorbanifar, Albert Hakim et Richard Vernon Secord II ont demandé au Tribunal fédéral d'annuler cette décision. Le Tribunal fédéral a rejeté les recours. Erwägungen Extrait des considérants: 6. En vertu de l'art. 2 al. 1 lettre c(1) TEJUS, l'Etat requis n'est pas tenu de donner suite à une demande d'entraide judiciaire qui tend à la répression d'une infraction que cet Etat considère comme une infraction politique ou comme un fait connexe à une telle infraction. Cette disposition ne définit pas la notion du délit politique. Elle s'en remet pour cela aux conceptions en vigueur dans l'Etat de refuge, qui sont exprimées, pour la Suisse, aux art. 2 lettres b et c et 3 al. 1 EIMP. L'art. 2 lettres b et c EIMP reproduit en substance la règle énoncée à l' art. 3 par. 2 CEExtr .; elle assure donc, le cas échéant, à la personne recherchée une protection élargie en raison de la situation particulière dans laquelle elle se trouve, ce qui est aujourd'hui généralement considéré comme une norme de l'ordre public international (cf. ATF 111 Ib 145 consid. 6, ATF 109 Ib 72 consid. b/aa, ATF 108 Ib 410 consid. 8a). BGE 113 Ib 175 S. 179 a) Depuis près d'un an, l'opinion publique de l'Etat requérant est sensibilisée par le contexte général qui entoure les faits exposés dans la demande d'entraide, et ses autorités politiques s'en préoccupent. Ces faits n'en constituent pas pour autant des délits politiques absolus, c'est-à-dire des délits dirigés exclusivement contre l'organisation politique et sociale de l'Etat ( ATF 106 Ib 308 consid. 3b). Les circonstances générales qui entourent l'instruction de l'affaire n'exposent pas, par ailleurs, les personnes poursuivies au danger d'un traitement discriminatoire qui justifierait de les mettre au bénéfice de la protection élargie prévue à l'art. 2 lettres b et c EIMP. Pour déterminer l'existence concrète d'un tel danger, l'Etat requis doit en effet apprécier, de manière objective, le fonctionnement des institutions de l'Etat requérant et examiner, en particulier, l'indépendance effective dont jouissent ses tribunaux ( ATF 111 Ib 142 consid. 4 et les arrêts cités; CLAUDE ROUILLER, l'évolution du concept de délit politique en droit de l'entraide internationale en matière pénale, dans Revue Pénale Suisse 1986, p. 24 ss, spéc. p. 26 à 34). L'indépendance générale du pouvoir judiciaire américain, consacrée à l'art. III de la Constitution des Etats-Unis d'Amérique, est un fait notoire. Les conditions formelles et matérielles dans lesquelles est intervenue la nomination du magistrat chargé de l'enquête en témoignent, et la délimitation précise de ses compétences est une garantie supplémentaire de sa liberté d'action. Il n'y a, en l'occurrence, aucune raison de craindre que celle-ci soit entravée par la pression de l'opinion publique, voire des campagnes de presse (cf. ATF 110 Ib 183 ). Aussi les recourants n'insistent-ils pas sur ce point et tentent-ils avant tout de démontrer qu'on se trouve en présence soit d'un délit politique relatif, soit de faits connexes à un délit politique. b) Le délit politique relatif est une infraction qui ressortit ordinairement au droit commun mais ne donne pas lieu à l'entraide internationale en raison de son caractère politique prépondérant. L' art. 3 al. 1 EIMP a repris à ce propos la formule de l'art. 10 de l'ancienne loi fédérale sur l'extradition du 22 janvier 1892. Le caractère politique prépondérant dépend de la nature politique des circonstances, mobiles et buts qui ont déterminé l'auteur à agir et apparaissent prédominants aux yeux du juge de l'entraide. Le délit doit toujours avoir été commis dans le cadre d'une lutte pour ou contre le pouvoir et se situer dans un rapport étroit de connexité BGE 113 Ib 175 S. 180 avec l'objet de cette lutte ( ATF 110 Ib 284 /5 consid. 6c, ATF 109 Ib 71 consid. 6a, ATF 106 Ib 309 consid. 3c). Le fait connexe à une infraction politique est un acte punissable en vertu du droit commun, mais qui bénéficie aussi d'une certaine immunité en matière d'entraide judiciaire internationale parce qu'il a été accompli parallèlement à un délit politique, en règle générale pour préparer, faciliter, assurer ou masquer la commission de celui-ci, voire en procurer ultérieurement l'impunité ( ATF 95 I 469 consid. 7; cf. aussi ATF 32 I 538 ss). L'exception du délit politique ne peut être admise que restrictivement lorsque la Suisse est invitée à collaborer à une enquête pénale en cours à l'étranger sur la base d'un traité multilatéral ou bilatéral. Cela vaut tout particulièrement lorsque l'autre partie au traité est un Etat démocratique au sein duquel les autorités judiciaires jouissent, par rapport au pouvoir politique, d'une indépendance effective, comparable à celle dont bénéficient les tribunaux suisses. Il importe peu que la vente d'armes à la République islamique d'Iran et le transfert des bénéfices à la Contra nicaraguayenne, qui constituent la toile de fond de l'enquête conduite par le Conseiller indépendant, aient une coloration politique. Les faits qui sont l'objet de la poursuite pénale n'en sont pas moins de purs délits de droit commun. C'est pour la seule répression de ces délits par l'autorité judiciaire que la demande d'entraide a été déposée. C'est pour cela qu'elle a été maintenue indépendamment des prétendues contradictions que les enquêtes conduites à l'instance des autorités législatives et exécutives américaines auraient révélées. La nomination du Conseiller indépendant par une cour d'appel fédérale et le rôle précis qui lui est assigné ôtent toute vraisemblance à l'argument selon lequel la Suisse devrait avoir des raisons sérieuses de croire que la demande américaine, motivée apparemment par des infractions de droit commun, aurait été présentée en réalité aux fins de poursuivre des délits politiques. Si, eu égard à la diversité des procédures en cours dans l'affaire dite de l'"Irangate", il subsistait dans l'esprit des recourants la crainte d'une utilisation des renseignements donnés par la Suisse dans d'autres procédures que celle conduite par ce magistrat, cette crainte serait sans objet compte tenu de l'obligation qu'a l'Etat requérant de limiter l'emploi de ces informations selon la règle de la spécialité consacrée à l' art. 5 TEJUS (cf. ATF 112 Ib 143 ). BGE 113 Ib 175 S. 181 Les objections des recourants fondées sur le contexte politique dans lequel a été déposée la demande d'entraide et sur le caractère politique des faits qui y sont exposés doivent donc être écartées. 7. a) Saisi d'une demande d'entraide impliquant des mesures de contrainte, l'Etat requis doit s'assurer, selon l' art. 4 al. 2 lettre a TEJUS , que les faits qui y sont allégués réunissent les conditions objectives d'une infraction punissable selon sa propre législation et mentionnée dans la liste annexée au traité. Il statue sur l'existence de ces conditions en appliquant uniquement son propre droit (art. 4 al. 4). Il n'a pas en revanche à examiner si les faits incriminés sont également punissables selon le droit de l'Etat requérant ( ATF 112 Ib 213 , ATF 105 Ib 426 consid. 5). Sous l'angle de l' art. 4 al. 2 lettre a TEJUS , il n'est pas nécessaire que la législation de l'Etat requis donne aux faits de la demande la même qualification juridique que la législation de l'Etat requérant, que ces faits soient soumis aux mêmes conditions de punissabilité ou qu'ils soient passibles de peines équivalentes. Il suffit qu'ils soient réprimés dans les deux Etats comme des délits donnant ordinairement lieu à la coopération internationale, principe général que rappelle l' art. 4 al. 4 TEJUS ( ATF 112 Ib 213 , ATF 111 Ib 137 , ATF 110 Ib 84 consid. 4a, ATF 109 Ib 53 consid. 4b). Le Tribunal fédéral examine librement si ces faits réunissent les conditions objectives d'une infraction punissable selon le droit suisse ( ATF 109 Ib 53 consid. 4c, ATF 105 Ib 427 consid. 5b). b) La demande d'entraide du 12 décembre 1986 et ses compléments font état du détournement par les personnes impliquées ou par des comparses d'une somme d'argent correspondant au bénéfice réalisé sur les livraisons d'armes de guerre américaines à la République islamique d'Iran. Si le prix de base convenu à l'origine semble être parvenu à l'Etat américain, l'autorité qui conduit l'enquête pénale soupçonne les agents chargés de traiter l'ensemble de cette affaire d'en avoir détourné le bénéfice soit en faveur d'un mouvement politique en rébellion armée contre le gouvernement d'un Etat tiers, soit pour d'autres buts qui n'ont pas encore été élucidés. La demande expose que ces faits, s'ils devaient être vérifiés à l'issue de l'enquête judiciaire en cours, seraient punis sur la base de trois dispositions au moins du code des Etats-Unis qui répriment respectivement l'escroquerie et l'abus de confiance commis notamment au préjudice de l'Etat américain, ainsi que le détournement du produit d'une infraction (art. 371, 641 et 2314 du Titre 18). BGE 113 Ib 175 S. 182 La décision attaquée a retenu que les faits ainsi décrits dans la demande tomberaient, s'ils devaient être jugés selon le droit suisse, sous le coup de l' art. 140 CP qui réprime l'abus de confiance, ou, en tout cas, sous le coup de l' art. 314 CP qui réprime la gestion déloyale des intérêts publics par les membres d'une autorité et les fonctionnaires. La gestion déloyale est réprimée par l' art. 159 CP , qui s'applique également lorsque l'acte délictueux a été commis dans l'exercice d'une fonction publique. L' art. 314 CP est cependant applicable, en tant que lex specialis, lorsque les membres d'une autorité et les fonctionnaires lèsent, dans un acte juridique, les intérêts publics qu'ils avaient mission de défendre, pour se procurer ou procurer à un tiers un avantage illicite ( ATF 81 IV 230 /231). La notion de fonctionnaire doit être prise ici dans son acception large: il peut s'agir aussi d'une personne qui occupe une fonction ou un emploi à titre provisoire, ou qui exerce une fonction publique temporaire ( art. 110 ch. 4 CP ), à quelque niveau que ce soit. Peu importe que la tâche à entreprendre dans l'intérêt public résulte d'un cahier des charges ou soit définie par le fonctionnaire lui-même, agissant de sa propre initiative ( ATF 91 IV 73 ). Il doit y avoir lésion délibérée des intérêts publics, lesquels peuvent être financiers ou idéaux ( ATF 101 IV 412 consid. 2); si cette lésion doit résulter d'un acte juridique ou des effets de cet acte, elle peut aussi être le fait d'une abstention ou d'un simple silence ( ATF 109 IV 170 consid. 1 et 2, ATF 101 IV 411 consid. 2). Enfin, l'avantage illicite recherché ne doit pas être nécessairement d'ordre financier, le critère déterminant étant la lésion causée aux intérêts publics en cause ( ATF 111 IV 85 consid. 2b). Il n'est pas douteux que le détournement du bénéfice réalisé sur la vente d'armes à la République islamique d'Iran serait punissable selon le droit suisse et tomberait en tout cas sous le coup de l' art. 314 CP . Les fonds litigieux qui, selon la demande, devaient être versés en totalité dans les caisses de l'Etat requérant auraient en effet reçu une affectation contraire aux ordres et aux intérêts publics que les prévenus avaient pour mission de défendre en leur qualité d'agents du pouvoir. Les arguments soulevés par les recourants à l'encontre de cette thèse sont de ceux qu'il leur appartiendra de faire valoir devant le juge du fond ( ATF 112 Ib 220 et les arrêts cités). Au demeurant, si les conditions d'application de l' art. 314 CP n'étaient pas réalisées dans la personne de l'un ou l'autre d'entre eux, l' art. 159 CP serait applicable (cf. ATF 88 IV 141 /142). BGE 113 Ib 175 S. 183 La question peut dès lors rester indécise de savoir si l' art. 140 CP , qui réprime l'abus de confiance (cf. ATF 81 IV 232 /233 consid. 2), pourrait également entrer en ligne de compte (cf. ATF 105 Ib 422 consid. 2a). c) Les infractions en cause sont mentionnées dans la liste, annexée au traité, des infractions permettant l'application de mesures de contrainte. Elles sont visées soit par le chiffre 16 de cette liste, qui se rapporte tant à l'abus de confiance qu'au détournement de fonds, soit par son chiffre 19 lettre c qui concerne l'escroquerie, y compris la malversation ou l'abus de confiance commis par n'importe quelle personne. Il n'y a donc pas lieu de se demander, sous l'angle de l' art. 4 al. 3 TEJUS , si ces infractions sont d'une gravité telle que l'application de mesures de contrainte se justifie de toute façon. C'est d'ailleurs là une question pour la solution de laquelle le Tribunal fédéral reconnaît à l'Office fédéral de la police une grande liberté d'appréciation ( ATF 112 Ib 214 consid. b, ATF 110 Ib 88 consid. 5). Ces considérations conduisent à écarter l'objection fondée sur l' art. 4 al. 2 et 3 TEJUS .
public_law
nan
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1,987
CH_BGE
CH_BGE_003
CH
Federation
214b2252-b7a0-4d56-99ca-ffa541020b53
Urteilskopf 122 IV 25 4. Urteil des Kassationshofes vom 12. Februar 1996 i.S. Staatsanwaltschaft des Kantons Appenzell A.Rh. gegen J. und R. (Nichtigkeitsbeschwerde)
Regeste Art. 251 Ziff. 1 StGB , Art. 957 ff. und Art. 662a ff. OR ; Falschbeurkundung, inhaltlich unrichtige Bilanz und Erfolgsrechnung einer Aktiengesellschaft, Inkaufnahme der Verwendung im nicht-fiskalischen Bereich. Wer Vergünstigungen und Ausgaben privater Art als geschäftsbedingten Aufwand verbucht, erfüllt den Tatbestand der Falschbeurkundung. Ebenso begeht eine Falschbeurkundung, wer Lohnzahlungen auf einem sachfremden Aufwandkonto verbucht (E. 2). Der Tatbestand der Falschbeurkundung kommt neben den in Betracht fallenden Bestimmungen des Steuerstrafrechts zur Anwendung, wenn der Täter die Verwendung der inhaltlich unrichtigen Urkunde im nicht-fiskalischen Bereich beabsichtigt oder in Kauf nimmt (Bestätigung der Rechtsprechung). Wer eine inhaltlich unrichtige Handelsbilanz einer Aktiengesellschaft erstellt, nimmt deren Verwendung im nicht-fiskalischen Bereich regelmässig in Kauf (E. 3).
Sachverhalt ab Seite 26 BGE 122 IV 25 S. 26 Das Kantonsgericht von Appenzell A.Rh. verurteilte J. am 28. April 1994 wegen mehrfachen Steuerbetruges sowie mehrfacher Urkundenfälschung zu 4 Monaten Gefängnis, bedingt bei einer Probezeit von 2 Jahren; R. wegen mehrfacher Gehilfenschaft zu Steuerbetrug und Urkundenfälschung zu 2 Monaten Gefängnis, bedingt bei einer Probezeit von 2 Jahren. Auf Appellation von J. und R. hin sprach sie das Obergericht von Appenzell A.Rh. am 19. September 1995 frei. Die Staatsanwaltschaft des Kantons Appenzell A.Rh. führt eidgenössische Nichtigkeitsbeschwerde mit dem Antrag, das Urteil des Obergerichts aufzuheben; dieses sei anzuweisen, J. und R. der Urkundenfälschung schuldig zu sprechen. Das Bundesgericht heisst die Beschwerde gut Erwägungen aus folgenden Erwägungen: 1. Den Beschwerdegegnern wird vorgeworfen, sie hätten als Verantwortlicher der X. AG (Beschwerdegegner 1) bzw. als Treuhänder und Inhaber der Kontrollstelle dieser Firma (Beschwerdegegner 2) für die Jahre 1983-1986 falsche Bilanzen, Erfolgsrechnungen und Buchhaltungen erstellt bzw. erstellen lassen. Sie sollen Vergünstigungen und Ausgaben privater Art für den Beschwerdegegner 1 und Mitglieder seiner Familie in einem Betrag von insgesamt über Fr. 600'000.-- zu Unrecht als geschäftsbedingten Aufwand verbucht haben. a) Die Vorinstanz legt dar, der verbuchte Aufwand könne als Lohnbestandteil für die in leitenden Funktionen tätigen Mitglieder der Familie J. vereinbart worden sein. Es könne sich aber auch um verdeckte Gewinnausschüttungen gehandelt haben. Falls es sich um Lohnbestandteile handeln sollte, würde das Geschäftsergebnis nicht beeinflusst, wenn eine Ausgabe statt als Personalaufwand als Unkosten verbucht werde. Es sei nicht ersichtlich, inwieweit die Buchhaltung, insbesondere Erfolgsrechnungen und Bilanzen, handelsrechtlich und nicht bloss steuerrechtlich falsch seien. BGE 122 IV 25 S. 27 Der Tatbestand der Falschbeurkundung sei in objektiver Hinsicht nicht nachgewiesen. Ausserdem falle ein Urkundendelikt, das ausschliesslich zum Zwecke der ungerechtfertigten Herabsetzung der Steuerschuld begangen werde, nicht unter Art. 251 StGB . Es sei nicht erwiesen, dass die Beschwerdegegner mit der Buchhaltung andere als steuerliche Vorteile zu erreichen beabsichtigten. b) Die Beschwerdeführerin macht geltend, die Vorinstanz verletze Bundesrecht, indem sie annehme, eine Buchhaltung und eine Bilanz, welche Gewinnausschüttungen oder Lohnbestandteile für in leitender Funktion tätige Mitglieder der Inhaberfamilie einer Aktiengesellschaft als Sachaufwand aufführe, sei nicht unrichtig im Sinne von Art. 251 StGB . Wenn in einem Zeitraum von vier Jahren persönliche Leistungen an die wirtschaftlichen Inhaber einer Aktiengesellschaft im Umfang von Fr. 600'000.-- zu Unrecht als Geschäftsaufwand ausgewiesen würden, sei die entsprechende Bilanz falsch, ungeachtet der Frage, ob es sich um verdeckte Gewinnausschüttungen oder verdeckte Lohnzahlungen handle. Auch die Eventualbegründung der Vorinstanz sei bundesrechtswidrig. Nach der Rechtsprechung komme das gemeine Urkundenstrafrecht bereits dann zur Anwendung, wenn eine Verwendung der Urkunde im nicht-steuerlichen Bereich vom Eventualvorsatz erfasst sei. Es sei offensichtlich, dass der Vorsatz der Beschwerdegegner eine Verwendung der falschen Bilanzen auch gegenüber den Hausbanken umfasst habe. 2. a) Eine Falschbeurkundung gemäss Art. 251 Ziff. 1 StGB begeht, wer eine rechtlich erhebliche Tatsache unrichtig beurkundet oder beurkunden lässt, in der Absicht, jemanden am Vermögen oder an andern Rechten zu schädigen oder sich oder einem anderen einen unrechtmässigen Vorteil zu verschaffen. Im Unterschied zur Urkundenfälschung im eigentlichen Sinn, welche das Herstellen einer unechten Urkunde erfasst, deren wirklicher mit dem aus ihr ersichtlichen Aussteller nicht identisch ist, betrifft die Falschbeurkundung die Errichtung einer echten, aber unwahren Urkunde, bei der also der wirkliche und der beurkundete Sachverhalt nicht übereinstimmen. Das Vertrauen darauf, dass über die Person des Ausstellers nicht getäuscht wird, ist und darf grösser sein als das Vertrauen, dass jemand nicht in schriftlicher Form lügt. Aus diesem Grund werden an die Beweisbestimmung und Beweiseignung einer Urkunde bei der Falschbeurkundung höhere Anforderungen gestellt und ist Art. 251 Ziff. 1 StGB , soweit es um BGE 122 IV 25 S. 28 die Falschbeurkundung geht, restriktiv anzuwenden ( BGE 121 IV 131 E. 2c mit Hinweisen). Eine qualifizierte schriftliche Lüge im Sinne der Falschbeurkundung wird deshalb nach der neueren bundesgerichtlichen Rechtsprechung nur angenommen, wenn der Urkunde eine erhöhte Glaubwürdigkeit zukommt, d.h. wenn allgemein gültige objektive Garantien die Wahrheit der Erklärung gewährleisten, wie sie u.a. in der Prüfungspflicht einer Urkundsperson oder in gesetzlichen Vorschriften liegen, die, wie etwa die Bilanzvorschriften der Art. 958 ff. OR , gerade den Inhalt bestimmter Schriftstücke näher festlegen. b) Die Buchführung dient in erster Linie der Selbstinformation des Unternehmens und damit der Förderung der Interessen der Betriebsangehörigen sowie dem Schutz der Gläubiger (KARL KÄFER, Berner Kommentar, vor Art. 957 OR N. 6.3, 6.8 ff. und 6.11 ff.; PETER ALBRECHT, Kommentar zum schweizerischen Strafrecht, Besonderer Teil, 2. Band, Art. 166 N. 3; vgl. auch BGE 101 IV 53 E. 1c). Ebenso beruhen die aktienrechtlichen Bestimmungen über die Rechnungslegung auf dem Gedanken der Kapitalerhaltung und stellen einen zentralen Ansatzpunkt für die Verantwortlichkeit des Verwaltungsrates und der Geschäftsleitung dar. Die Buchführung dient damit einerseits den Kapitaleignern, in deren Auftrag Verwaltung und Geschäftsleitung tätig sind, anderseits den Gläubigern und schliesslich bei hinreichender wirtschaftlicher Bedeutung auch einer weiteren Öffentlichkeit zur Information über die Ertragslage der Gesellschaft. Schliesslich erfüllt sie als Informationsgrundlage des Verwaltungsrates auch die Funktion eines Führungsinstruments (PETER BÖCKLI, Schweizer Aktienrecht, 2. Aufl., Zürich 1996, N. 794 ff.; vgl. auch FORSTMOSER/MEIER-HAYOZ/NOBEL, Schweizerisches Aktienrecht, Bern 1996, S. 688). Es kommt ihr in diesem Sinne Garantiefunktion zu. Nach der Rechtsprechung des Bundesgerichtes sind die kaufmännische Buchführung und ihre Bestandteile (Belege, Bücher, Buchhaltungsauszüge über Einzelkonten, Bilanzen oder Erfolgsrechnungen) denn auch im Rahmen der Falschbeurkundung als Absichtsurkunden kraft Gesetzes ( Art. 957 OR ) bestimmt und geeignet, Tatsachen von rechtlicher Bedeutung bzw. die in ihr enthaltenen Tatsachen zu beweisen, wobei für ihren Urkundencharakter der mit der Buchführung verfolgte Zweck keine Rolle spielt ( BGE 108 IV 25 mit Hinweisen). Eine falsche Buchung erfüllt dann den Tatbestand der Falschbeurkundung, wenn sie Buchungsvorschriften und -grundsätze verletzt, die errichtet worden sind, um die Wahrheit der Erklärung und damit die erhöhte Glaubwürdigkeit der Buchführung zu BGE 122 IV 25 S. 29 gewährleisten. Solche Grundsätze werden namentlich in den gesetzlichen Bestimmungen über die ordnungsgemässe Rechnungslegung des Aktienrechts in Art. 662a ff. OR und in den Bilanzvorschriften der Art. 958 ff. OR aufgestellt, die den Inhalt bestimmter Schriftstücke näher festlegen. Nach Art. 957 Abs. 1 OR sollen mit der Buchführung die Vermögenslage des Geschäfts und die mit dem Geschäftsbetrieb zusammenhängenden Schuld- und Forderungsverhältnisse sowie die Betriebsergebnisse der einzelnen Geschäftsjahre festgestellt werden können. Dasselbe bestimmt Art. 662a Abs. 1 OR für die Jahresrechnung bei der Aktiengesellschaft, die so aufgestellt werden muss, dass die Vermögens- und Ertragslage der Gesellschaft möglichst zuverlässig beurteilt werden kann. Art. 663 Abs. 3 OR sieht vor, dass unter Aufwand Material- und Warenaufwand, Personalaufwand, Finanzaufwand sowie Aufwand für Abschreibungen gesondert ausgewiesen werden müssen. Zwar waren diese Bestimmungen des neuen Aktienrechtes zum Zeitpunkt der den Beschwerdegegnern angelasteten Taten noch nicht in Kraft. Diese kaufmännischen Prinzipien waren jedoch schon früher allgemein anerkannt. Insbesondere ist es sowohl nach altem wie neuem Recht unzulässig, Vergünstigungen und Ausgaben privater Art als geschäftsbedingte Auslagen zu verbuchen. In dem nicht veröffentlichten Urteil vom 24. November 1994 in Sachen G. gegen Generalprokurator des Kantons Bern nahm der Kassationshof an, dass die Verbuchung von Lohnzahlungen an Schwarzarbeiter auf einem sachfremden Aufwandkonto den Tatbestand der Falschbeurkundung nach Art. 251 StGB erfüllt. Lohnzahlungen stellen in der Buchführung einer Unternehmung einen wichtigen Posten dar, da sie nicht beliebig veränderbar und mit nicht unerheblichen Folgekosten, namentlich Sozialabgaben, verknüpft sind. Ihre korrekte Verbuchung ist daher für die Unternehmung selbst, aber auch für ihre Gläubiger von besonderer Bedeutung. Die Falschbuchung von Lohnzahlungen als Sachaufwand beeinträchtigt die Funktion der Rechnungslegung schon als Führungsinstrument für den Verwaltungsrat. Weiss der Verwaltungsrat um die unrichtige Verbuchung, fällt dieser Gesichtspunkt zwar nicht ins Gewicht. Die Verfälschung der Buchführung lässt die Ertragslage des Geschäftes für Dritte jedoch in einem anderen Licht erscheinen. Ob Lohnzahlungen als Sachaufwand oder als Lohnkosten verbucht werden, spielt für Dritte eine Rolle und kann die Beurteilung der Entwicklung, der wirtschaftlichen Gesundheit und der künftigen BGE 122 IV 25 S. 30 Zahlungsfähigkeit einer Unternehmung beeinflussen. c) Wer Vergünstigungen und Ausgaben privater Art zu Unrecht als geschäftsbedingt verbucht, erfüllt demnach den Tatbestand der Falschbeurkundung nach Art. 251 StGB . Ebenso begeht eine Falschbeurkundung, wer Lohnzahlungen auf einem sachfremden Aufwandkonto verbucht. Deshalb ist es unerheblich, ob die privaten Vergünstigungen und Ausgaben einen Lohnbestandteil für den Beschwerdegegner 1 und die Mitglieder seiner Familie darstellten. Waren sie Lohnbestandteil, so wären sie als solcher zu verbuchen gewesen. d) Die Beschwerdegegner machen geltend, die Vorinstanz sei aus tatsächlichen Gründen zum Schluss gekommen, der Tatbestand sei in objektiver Hinsicht nicht zur vollen Überzeugung des Gerichtes nachgewiesen. Der Einwand ist unzutreffend. Der Sache nach verneint die Vorinstanz den objektiven Tatbestand von Art. 251 StGB mit der Begründung, es spiele handelsrechtlich keine Rolle, ob eine Ausgabe als Personalaufwand oder als Sachaufwand verbucht werde. Nach dem Gesagten hält diese Begründung vor Bundesrecht nicht stand. 3. a) Nach ständiger Rechtsprechung werden Urkundendelikte, welche ausschliesslich einer Schädigung des Fiskus dienen (ungerechtfertigte Herabsetzung der Steuerschuld), vom Fiskalstrafrecht erfasst; Art. 251 StGB kommt nicht zur Anwendung, wenn der angestrebte unrechtmässige Vorteil ein Steuervorteil ist, Herstellung oder Gebrauch einer unwahren oder gefälschten Urkunde sich also ausschliesslich auf das Steuerveranlagungsverfahren beziehen ( BGE 108 IV 27 E. 1a mit Hinweisen). Fiskalstrafrechtliche Urkundendelikte sind in diesem Sinne dem Anwendungsbereich von Art. 251 StGB entzogen und nach den Spezialnormen des Steuerrechts zu beurteilen. b) aa) Dieser Grundsatz der Anwendbarkeit fiskalstrafrechtlicher Spezialnormen auf steuerliche Urkundendelikte (unter Ausschluss von Art. 251 StGB ) wurde in der früheren Praxis durch eine Abgrenzungsregel eingeschränkt: Massgebend dafür, ob ein rein fiskalrechtliches Urkundendelikt vorliege oder ob Art. 251 StGB zum Zuge komme, sei nicht die Absicht des Täters, sondern die objektive Beweisbestimmung der Urkunde. Nach BGE 101 IV 53 musste dort, wo der Schrift von Gesetzes wegen oder ihrer Natur nach eine besondere Beweisbestimmung zukommt, wie das bei der Buchhaltung der Fall ist, auf diese objektive Bestimmung der Urkunde BGE 122 IV 25 S. 31 abgestellt werden, nicht auf die Motive des Täters (E. 1b, vgl. auch BGE 103 IV 36 E. 4, 176 E. 2b; BGE 91 IV 188 E. 5, BGE 84 IV 163 E. 2). Daraus ergab sich für die Abgrenzung zwischen fiskalstrafrechtlichem Delikt und Art. 251 StGB die objektive Beweisbestimmung der in Frage stehenden Urkunde als Kriterium: Bei Schriftstücken, die nach ihrer Natur für das Steuerverfahren bestimmt sind (wie Lohnausweise, vgl. BGE 81 IV 166 ), kamen danach nur die Normen des Fiskalstrafrechts zum Zug. Ging es um Dokumente, welche objektiv auch für andere als steuerliche Zwecke verwendbar sind (wie Buchhaltung, vgl. BGE 101 IV 53 E. 1, BGE 91 IV 188 E. 5; wie Grundstückkaufvertrag, vgl. BGE 84 IV 163 E. 2), war demgegenüber Art. 251 StGB anzuwenden. bb) In der Folge wurde die Regel, wonach es zur Anwendung von Art. 251 StGB genügt, dass eine andere Verwendung des Dokumentes als zu Steuerzwecken objektiv möglich ist, eingeschränkt: Die objektive Verwendungsmöglichkeit reichte danach für die Anwendung von Art. 251 StGB nicht mehr aus, vielmehr wurde verlangt, dass der Täter zumindest die Möglichkeit eines nicht-fiskalischen Gebrauchs des Dokumentes erkannte und die Verwirklichung dieser Möglichkeit nach den Umständen nicht ausschliessen konnte ( BGE 106 IV 38 E. 1b). Dieser Gedanke wurde in einem Grundsatzentscheid aufgenommen ( BGE 108 IV 27 ): Danach ist nur nach Steuerstrafrecht zu beurteilen, wer mit einem Urkundenfälschungsdelikt ausschliesslich Steuervorschriften umgehen will und eine - objektiv mögliche - Verwendung des Dokumentes im nicht-fiskalischen Bereich auch nicht in Kauf nimmt. Ist hingegen nachgewiesen, dass der Täter mit seiner Fälschung oder Falschbeurkundung nicht nur einen steuerlichen Vorteil erstrebte, sondern auch eine Verwendung des Dokumentes im nicht-fiskalischen Bereich beabsichtigte oder zumindest in Kauf nahm, so liegt Konkurrenz zwischen Steuerdelikt und gemeinrechtlichem Urkundendelikt vor; die Voraussetzungen beider Tatbestände sind dann in objektiver und subjektiver Hinsicht erfüllt. Wer ein Falsum herstellt und einem Dritten zur freien Verwendung überlässt, kann gegen die Bestrafung gemäss Art. 251 StGB nicht den Einwand erheben, er habe angenommen, die falsche Urkunde werde nur im Steuerverfahren eingesetzt. Bei erkennbarer Verwendbarkeit für nicht-fiskalische Zwecke nimmt der Täter, der das Dokument einem Dritten überlässt, zumindest in Kauf, dass die Urkunde zur Erlangung eines nicht-fiskalischen Vorteils Verwendung findet ( BGE 108 IV 27 E. 3b in fine). Im konkreten Fall wurde deshalb angenommen, dass zwei Steuerpflichtige, die die Buchhaltung ihres BGE 122 IV 25 S. 32 in einfacher Gesellschaft geführten Malergeschäftes unrichtig (unvollständig) führten, um weniger Steuern zahlen zu müssen, ausschliesslich nach Steuerstrafrecht zu beurteilen seien (E. 4). Seither folgt die Rechtsprechung diesen Entscheidungskriterien (Zusammenfassung in BGE 117 IV 170 E. 2a). c) Daran ist festzuhalten. Klarzustellen ist im Hinblick auf die hier gegebene Konstellation jedoch folgendes: Die Handelsbilanz einer Aktiengesellschaft hat stets die Funktion, nicht nur im Verhältnis zu den Steuerbehörden, sondern auch und vor allem gegenüber Dritten als Ausweis über die finanzielle Situation der Gesellschaft zu dienen (vgl. oben E. 2b). Wer eine inhaltlich unrichtige Handelsbilanz erstellt, ist sich daher in aller Regel bewusst, dass diese nicht nur im Verhältnis zu den Steuerbehörden von Bedeutung sein kann. Wer eine inhaltlich unrichtige Handelsbilanz einer Aktiengesellschaft erstellt, nimmt deren Verwendung im nicht-fiskalischen Bereich deshalb regelmässig in Kauf. Das genügt, wie dargelegt, für die Anwendung von Art. 251 StGB . Art. 251 StGB wäre dann nicht anwendbar, wenn neben einer inhaltlich richtigen Handelsbilanz eine inhaltlich falsche, ausschliesslich für Steuerzwecke erstellte und als solche bezeichnete Steuerbilanz errichtet wird. Ein derartiger Fall ist hier offensichtlich nicht gegeben. 4. Die Vorinstanz hat danach die Anwendbarkeit von Art. 251 StGB mit einer bundesrechtswidrigen Begründung verneint. Hinzuzufügen ist folgendes: Wenn die Buchhaltung wie hier inhaltlich falsch ist, besteht für die Gesellschaft das Risiko, dass - wenn die Sache entdeckt wird - Nach- und Strafsteuern bezahlt werden müssen. Ebenso besteht bei nicht korrekt verbuchten Lohnzahlungen die Gefahr, dass nachträglich Sozialversicherungsbeiträge entrichtet werden müssen. Wer also private Aufwendungen in einem Ausmass wie hier bei den Geschäftsunkosten aufführt, müsste nach den Grundsätzen der Bilanzwahrheit und -vorsicht auch Rückstellungen für zu erwartende Nach- und Strafsteuern sowie gegebenenfalls zu bezahlende Sozialversicherungsbeiträge einsetzen. Wer das nicht tut, verletzt die Grundsätze der kaufmännischen Buchführung deshalb nicht nur, weil er private Aufwendungen als geschäftsbedingt verbucht, sondern auch, weil er die sich daraus ergebenden unter Umständen erheblichen finanziellen Belastungen, die bei Entdeckung der Sache eintreten können, nicht ausweist. 5. (Kostenfolgen).
null
nan
de
1,996
CH_BGE
CH_BGE_006
CH
Federation
214d2b49-5ab7-4804-8477-c3734a3989ec
Urteilskopf 122 IV 207 31. Auszug aus dem Urteil des Kassationshofes vom 27. August 1996 i.S. L. gegen E. und Staatsanwaltschaft des Kantons Appenzell A.Rh. (Nichtigkeitsbeschwerde)
Regeste Art. 217 Abs. 1, 28 Abs. 1 StGB; Vernachlässigung von Unterhaltspflichten, Übertragung des Antragsrechts. Für die Übertragung des Strafantragsrechts auf die Behörde oder Stelle, die mit der Wahrung der Interessen der unterhaltsberechtigten Person betraut ist, genügt eine generelle Ermächtigung; diese muss sich nicht auf eine bestimmte, bereits begangene Vernachlässigung der Unterhaltspflichten beziehen.
Sachverhalt ab Seite 207 BGE 122 IV 207 S. 207 Mit Scheidungsurteil des Bezirksgerichts Wil vom 12. Juli 1989 wurde L. verpflichtet, an den Unterhalt des gemeinsamen Kindes bis längstens zu dessen vollendetem 20. Altersjahr monatlich vorauszahlbare und indexierte Beiträge zuzüglich der Kinderzulagen zu bezahlen. Seit Mai 1993 blieben regelmässige Zahlungen aus. Mit Schreiben vom 12. Juli 1995 erhob die "Beratungsstelle und Sozialdienst für Frauen und Familien, St. Gallen", gegen L. Strafklage wegen Vernachlässigung von Unterhaltspflichten beim Verhöramt Trogen. Das Kantonsgericht Appenzell A.Rh. erklärte L. mit Urteil vom 14. Dezember 1995 der mehrfachen Vernachlässigung der Unterhaltspflichten schuldig und verurteilte ihn zu fünf Wochen Gefängnis, mit bedingtem Strafvollzug und einer Probezeit von zwei Jahren. Auf Appellation des Verurteilten hin bestätigte das Obergericht des Kantons Appenzell A.Rh. mit Urteil vom 23. April 1996 den angefochtenen Entscheid im Schuldpunkt, setzte jedoch die ausgesprochene Strafe auf drei Wochen Gefängnis, mit bedingtem Strafvollzug und einer Probezeit von zwei Jahren herab. BGE 122 IV 207 S. 208 Gegen diesen Entscheid führt L. eidgenössische Nichtigkeitsbeschwerde, mit der er beantragt, das angefochtene Urteil sei aufzuheben und die Sache zu seiner Freisprechung an den Kanton zurückzuweisen. Erwägungen Aus den Erwägungen: 3. a) Nach Art. 28 Abs. 1 StGB kann, wenn eine Tat nur auf Antrag strafbar ist, jeder, der durch sie verletzt worden ist, die Bestrafung des Täters beantragen. Nach der Rechtsprechung ist der Antrag im Sinne von Art. 28 StGB gültig erhoben, wenn der Berechtigte innert der in Art. 29 StGB vorgesehenen Frist bei der nach kantonalem Recht zuständigen Behörde und in der vorgeschriebenen Form seinen unbedingten Willen bekundet, der Täter sei strafrechtlich zu verfolgen. Es bestimmt sich somit nach kantonalem Recht, welche formellen Voraussetzungen erfüllt sein müssen, wenn das Antragsrecht von einem Vertreter ausgeübt wird. Wurde der Antrag von einem nicht berechtigten Vertreter eingereicht, muss die Bestätigung durch den Verletzten innerhalb der Antragsfrist erfolgen ( BGE 118 IV 167 E. 1b; BGE 108 Ia 97 E. 2; BGE 106 IV 244 je mit Hinweisen). b) Gemäss Art. 217 Abs. 1 StGB wird auf Antrag mit Gefängnis bestraft, wer seine familienrechtlichen Unterhalts- oder Unterstützungspflichten nicht erfüllt, obschon er über die Mittel dazu verfügt oder verfügen könnte. Nach Abs. 2 der genannten Bestimmung steht das Antragsrecht auch den von den Kantonen bezeichneten Behörden und Stellen zu. Im zu beurteilenden Fall stand der Beratungsstelle nach den verbindlichen tatsächlichen Feststellungen der Vorinstanz kein eigenständiges Antragsrecht zu. Indes ist zu prüfen, ob die geschiedene Ehefrau des Beschwerdeführers als Inhaberin der elterlichen Gewalt über das unterhaltsberechtigte Kind das Antragsrecht gültig auf die Beratungsstelle übertragen hat. c) Das Recht, Strafantrag zu stellen, ist grundsätzlich höchstpersönlicher Natur und unübertragbar ( BGE 99 IV 1 E. a bezügl. Ehrverletzung; REHBERG, Strafrecht I, 5. Aufl., Zürich 1993, S. 226; REHBERG, Der Strafantrag, ZStR 85/1969, S. 256; TRECHSEL, Schweizerisches Strafgesetzbuch, Kurzkommentar, Art. 28 N. 5). Aus der höchstpersönlichen Natur des Antragsrechts folgt aber nicht, dass dieses nicht auch von einem Vertreter ausgeübt werden kann (Vertretung in der Erklärung). Dabei genügt auch die Erteilung einer generellen Vollmacht. Es kann somit einem bevollmächtigten Vertreter BGE 122 IV 207 S. 209 die Befugnis eingeräumt werden, die Willenserklärung abzugeben (REHBERG, Strafrecht I, S. 226; REHBERG, Strafantrag, S. 256/7). Fraglich ist, ob eine Vollmacht genügt, die dem Vertreter die Entscheidung überlässt, ob er Strafantrag erheben will (Vertretung im Willen). Dies ist nach der Rechtsprechung dort zu bejahen, wo die Verletzung materieller Rechtsgüter in Frage steht, die nicht direkt von der Person des Berechtigten abhängen, sondern etwa vom Inhalt einer vertraglichen Beziehung (z.B. bei Hausfriedensbruch). In solchen Fällen ist die Vertretung durch eine generelle Ermächtigung zulässig. Der Antrag ist somit auch dann gültig, wenn er sich auf eine vom Geschädigten vor der Tat erteilte Vollmacht stützt. Insbesondere darf die Ermächtigung des Vertreters zur Antragstellung in der Regel angenommen werden, wenn das betreffende Delikt materielle Rechtsgüter verletzt, mit deren Wahrung oder Verwaltung der Vertreter allgemein betraut ist ( BGE 118 IV 167 E. 1b und c; BGE 99 IV 1 E. d/aa; BGE 86 IV 83 E. 2; BGE 73 IV 68 E. 4; REHBERG, Strafantrag, S. 257/258; vgl. auch SCHÖNKE/SCHRÖDER/STREE, Strafgesetzbuch, 24. Aufl., § 77 N. 27; a.M. TRECHSEL, a.a.O., Art. 28 N. 5). Einer speziellen, auf den konkreten Fall zugeschnittenen ausdrücklichen oder konkludenten Ermächtigung bedarf der Bevollmächtigte nur bei Verletzung höchstpersönlicher immaterieller Rechtsgüter, welche dem Berechtigten naturgemäss innewohnen oder von ihrem Status herrühren (Leib und Leben, Ehre, persönliche Freiheit sowie Eheschliessung, Kindesverhältnis). Dementsprechend ist wegen der nahen Beziehung des Verletzten auch bei den relativen Antragsdelikten eine Ermächtigung für den gegebenen Fall erforderlich ( BGE 118 IV 167 E. 1b und c; TRECHSEL/NOLL, Schweizerisches Strafrecht, Allg. Teil I, 4. Aufl., Zürich 1994, S. 265; REHBERG, Strafantrag, S. 258). d) Art. 217 StGB schützt die Gläubigerrechte jener Personen, deren Ansprüche auf einem familienrechtlichen Grundverhältnis beruhen, und dient somit der Durchsetzung familienrechtlich begründeter Unterhalts- und Unterstützungspflichten (STRATENWERTH, Schweizerisches Strafrecht, Bes. Teil II, 4. Aufl., Bern 1995, § 26 N. 20; URS BRODER, Delikte gegen die Familie, insbesondere Vernachlässigung von Unterhaltspflichten, ZStR 109/1992, S. 296; vgl. auch Botschaft zu einem Gesetzesentwurf enthaltend das schweizerische Strafgesetzbuch vom 23.7.1918, BBl 1918 IV, S. 46). Dem entspricht, dass das Antragsrecht abgesehen von den unmittelbar Verletzten auch den vom Gesetz genannten Behörden und Stellen zuerkannt wird. Damit BGE 122 IV 207 S. 210 soll der unbefriedigenden Situation entgegengewirkt werden, dass unterhalts- oder unterstützungsberechtigte Frauen unter dem Druck des säumigen Schuldners sich nicht trauen, gegen diesen vorzugehen, oder auch bloss aus Gleichgültigkeit oder irgendwelchen anderen Überlegungen zum Nachteil der Kinder den Strafantrag unterlassen ( BGE 119 IV 315 E. 1b mit Hinweis auf BGE 78 IV 95 E. 3). Dass der Strafantrag bei Art. 217 StGB nicht (auch) der Eintreibung der Forderung dient, sondern (einzig) die Sühne des Unrechts ermöglichen soll (so noch BGE 78 IV 213 , S. 216), lässt sich daher nicht sagen. Wenn aber das Gesetz gemäss Art. 217 Abs. 2 StGB den von den Kantonen bezeichneten Instanzen ein selbständiges Antragsrecht mit der Befugnis einräumt, im Einzelfall selbst zu entscheiden, ob gegen den jeweiligen Täter eine Strafverfolgung stattfinden soll, ist nicht einzusehen, weshalb nicht auch die unmittelbar verletzte Person selbst einer solchen Stelle eine generelle Vollmacht mit Entscheidbefugnis soll erteilen können. Einer ausdrücklichen Ermächtigung für den konkreten Fall bedarf es daher bei Art. 217 StGB nicht. Es genügt eine generelle Ermächtigung, die sich nicht auf eine bestimmte, bereits begangene Vernachlässigung der Unterhaltspflichten beziehen muss. Dies gilt jedenfalls dann, wenn die berechtigte Person diejenige Stelle generell zum Strafantrag ermächtigt, die damit beauftragt ist, deren Interessen im Hinblick auf die Erfüllung der Unterhaltspflichten zu wahren. e) Somit fragt sich, ob die von der geschiedenen Ehefrau des Beschwerdeführers als Inhaberin der elterlichen Gewalt über das unterhaltsberechtigte Kind erteilte Inkassovollmacht die Beratungsstelle überhaupt zum Erheben eines Strafantrags generell ermächtigt. Dies ist eine Auslegungsfrage, die sich nach dem Vertrauensprinzip beurteilt und als Rechtsfrage vom Bundesgericht frei überprüft wird ( BGE 117 II 273 E. 5a; 113 II 49 E. 1a je mit Hinweisen; vgl. auch ZÄCH, Berner Kommentar, N. 114 zu Art. 33 OR ). Die geschiedene Ehefrau des Beschwerdeführers übergab mit Vollmacht vom 16. Juli 1991 der Beratungsstelle das Inkasso der Unterhaltsbeiträge für den gemeinsamen Sohn und erklärte sich gleichzeitig mit allen dafür notwendigen Massnahmen einverstanden. Zweck der Vollmacht war, die geschiedene Ehefrau von der Eintreibung der Unterhaltsbeiträge für das gemeinsame Kind zu entlasten und der Beratungsstelle sämtliche für das Inkasso derselben notwendigen Mittel an die Hand zu geben. Zu diesen Massnahmen zählt aufgrund der Interessenlage der Unterhaltsberechtigten bzw. der BGE 122 IV 207 S. 211 gesetzlichen Vertreterin des unterhaltsberechtigten Kindes nach dem Gesagten auch die Erhebung des Strafantrags, da Art. 217 StGB der Durchsetzung familienrechtlich begründeter Unterhalts- und Unterstützungspflichten dient. Damit ist eine Ermächtigung für die Erhebung des Strafantrags nach Art. 217 StGB zu bejahen. Die Vollmacht unterscheidet sich insofern denn auch vom Vertrag zwischen dem Gemeinderat und der Fürsorgekommission Speicher einerseits und der Beratungsstelle andererseits vom 13./21. April 1982, in welchem der Aufgabenbereich der Beratungsstelle ausdrücklich auf die Inkassohilfe, die Entgegennahme von Gesuchen um Vorschüsse und deren Auszahlung sowie das Inkasso der bevorschussten Beiträge beschränkt ist und der das Antragsrecht nicht mitumfasst. Die Beratungsstelle war somit zum Antrag berechtigt. Dass sie den Strafantrag nicht ausdrücklich im Namen der geschiedenen Ehefrau des Beschwerdeführers stellte, ändert daran nichts, da allein wesentlich ist, ob sie dazu legitimiert war. Die Beschwerde erweist sich somit als unbegründet.
null
nan
de
1,996
CH_BGE
CH_BGE_006
CH
Federation
214dd03c-21ca-4d34-9cac-c45d7b78b8ff
Urteilskopf 106 Ib 109 18. Auszug aus dem Urteil der II. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 30. April 1980 i.S. Dr. X. gegen Eidg. Oberzolldirektion, Bern (Verwaltungsgerichtsbeschwerde)
Regeste Körperliche Durchsuchung im Rahmen der Zollabfertigung. 1. Im Rahmen der Zollabfertigung ist die körperliche Durchsuchung grundsätzlich den Vorschriften des Zollgesetzes und nicht denjenigen des Verwaltungsstrafrechtes unterstellt; daher richtet sich auch der Rechtsmittelweg nach dem Zollgesetz (E. 1). 2. Art. 36 Abs. 5 ZG : Wann steht eine Person im Verdachte, verbotene oder zollpflichtige bzw. nach Art. 44 WUStB Wust-pflichtige Waren auf sich zu tragen? (E. 2.)
Sachverhalt ab Seite 109 BGE 106 Ib 109 S. 109 Dr. X. reiste am 4. Januar 1978 über das Zollamt Zürich-Flughafen in die Schweiz zurück, wobei er den "Grünen Durchgang" mit der Anschrift "Zoll - Nichts zu deklarieren" benützte. Er hatte in seinem Gepäck acht von Chagall signierte BGE 106 Ib 109 S. 110 Lithographien bei sich, die er nicht zur Zollbehandlung anmeldete. Diese wurden bei einer stichprobeweisen Überprüfung entdeckt. Dr. X. wurde auf Grund dieses Vorfalls rechtskräftig in eine Busse von Fr. 2'460.-- und in die Verfahrenskosten verfällt. Am 6. Juli 1978 reiste Dr. X. um 17.50 Uhr über das Zollamt Zürich-Flughafen in die Schweiz zurück. Er benutzte den "roten Durchgang" und deklarierte dem Zollbeamten nach seinen Aussagen mündlich acht Lithographien, wobei er einen Ausfuhr-Vormerkschein und eine Visitenkarte des "Institut Géographique Khanzandian Paris" vorlegte. Der Beamte führte zu diesem Sachverhalt aus, Dr. X. habe lediglich sechs Lithographien deklariert. Er selber habe in der Folge festgestellt, dass die vorgelegten Unterlagen auf acht Objekte lauteten, und ihn deshalb gebeten, die Lithos auszupacken. Als acht Stück zum Vorschein kamen, habe Dr. X. erklärt, er habe sich geirrt. Weiter stellte der Beamte fest, dass auf dem Vormerkschein für vier wiedereingeführte Lithos ein Wert deklariert war, der das Mehrfache des Totals der auf der Visitenkarte angegebenen Werte für die vier andern Objekte betrug. Diese Umstände sowie der Vorfall vom 4. Januar 1978 veranlassten das Zollamt, den Zolluntersuchungsdienst Zürich der Zollkreisdirektion II beizuziehen. Dieser ordnete telefonisch die körperliche Durchsuchung von Dr. X. durch das Zollamt an, um festzustellen, ob allenfalls noch weitere Waren zum Vorschein kämen und entsandte einen Untersuchungsbeamten nach dem Zollamt Zürich-Flughafen. Daraufhin nahm ein Beamter des Zollamtes die Durchsuchung vor. Dr. X. konnte das Zollamt um ungefähr 19.15 Uhr verlassen. Sein an die Eidg. Oberzolldirektion überwiesener Rekurs wurde von dieser Instanz mit Entscheid vom 3. Oktober 1978 abgewiesen. Gegen diesen Entscheid richtet sich die vorliegende Verwaltungsgerichtsbeschwerde, welche das Bundesgericht abweist. Erwägungen Aus den Erwägungen: 1. a) Der Beschwerdeführer macht zunächst geltend, die Oberzolldirektion sei zur Behandlung seiner Beschwerde vom 7. Juli 1978 gegen die körperliche Durchsuchung nicht zuständig gewesen, sondern hätte diese an die Anklagekammer des Bundesgerichtes überweisen müssen. Sowohl das Zollgesetz vom 1. Oktober 1925 (ZG; SR 631.0) als auch das Bundesgesetz BGE 106 Ib 109 S. 111 über das Verwaltungsstrafrecht vom 22. März 1974 (VStrR; SR 313.0) sehen Bestimmungen über die Durchsuchung von Personen vor. Gemäss Art. 36 Abs. 5 ZG können Personen, welche die Zollgrenze überschreiten und im Verdachte stehen, verbotene oder zollpflichtige Waren auf sich zu tragen, einer körperlichen Durchsuchung unterworfen werden. Ein solcher Entscheid der Zollkreisdirektion kann gemäss Art. 109 Abs. 1 lit. b ZG bei der Oberzolldirektion angefochten werden. Das Verwaltungsstrafrecht sieht in ähnlicher Weise in Art. 48 Abs. 2 vor, der Beschuldigte dürfe nötigenfalls durchsucht werden. Zudem kann der untersuchende Beamte den einer Widerhandlung dringend Verdächtigen vorläufig festnehmen, wenn ein Haftgrund angenommen werden muss und Gefahr im Verzuge ist ( Art. 51 Abs. 1 VStrR ). Gegen solche Zwangsmassnahmen und damit zusammenhängende Amtshandlungen kann gemäss Art. 26 VStrR bei der Anklagekammer des Bundesgerichts Beschwerde geführt werden. Es muss für die Frage der Zuständigkeit daher geprüft werden, ob der Beschwerdeführer in Anwendung von Art. 36 Abs. 5 ZG oder von Art. 45 ff. VStrR körperlich durchsucht worden ist. Das im Jahre 1925 erlassene ZG ist wesentlich älter als das VStrR aus dem Jahre 1974. Das ZG erfuhr denn anlässlich des Erlasses des VStrR zahlreiche Änderungen. Mehrere Bestimmungen wurden aufgehoben (Art. 9 Abs. 4, 81, 82 Ziff. 5, 84, 90-100, 105-108, 117 Abs. 2-3) sowie eine grosse Anzahl abgeändert (Art. 7 Abs. 2, 31 Abs. 3, 64, 69 Abs. 2, 73, 74 Ziff. 8 und 14-16, 75 Abs. 3, 76, 77 Abs. 1, 2, 4, 79 Abs. 1, 80, 82 Ziff. 1-2, 83, 85, 86, 87, 88, 89 Abs. 1-2, 101, 102 Abs. 1-2, 103, 104, 109 Abs. 4, 118, 120 Abs. 2 Ziff. 2 und 5, 122 Abs. 2, 123 Abs. 3, 138 Abs. 2). Art. 36 Abs. 5 ZG wurde durch das VStrR weder aufgehoben noch abgeändert. Da das ZG damals gründlich überarbeitet und auch eine Bestimmung im Umfeld der hier in Frage stehenden Vorschrift abgeändert wurde ( Art. 31 Abs. 3 ZG ), kann es sich dabei nicht um ein Versehen handeln. Der Gesetzgeber wollte die körperliche Durchsuchung im Rahmen der Zollabfertigung vielmehr als Verwaltungsmassnahme und spezifisch zollrechtliches Institut des ZG beibehalten. Das bedeutet nicht, dass Zwangsmassnahmen gemäss Art. 45 ff. VStrR nicht auch im Zusammenhang mit Zolldelikten ergriffen werden können. In diesem Fall müssen die zusätzlichen Garantien und das Verfahren des Verwaltungsstrafrechts beachtet werden. Die vorliegende körperliche Durchsuchung sprengt BGE 106 Ib 109 S. 112 indessen den Rahmen einer zollrechtlichen Verwaltungsmassnahme auch dann nicht, wenn der Beschwerdeführer im ganzen knapp 1 1/2 Stunden aufgehalten wurde und sich bis auf die Unterwäsche ausziehen musste (vgl. E. 3). Daher richtet sich auch der Rechtsmittelweg nach dem Zollgesetz. Die Oberzolldirektion war aus diesen Gründen zur Beurteilung der Beschwerde gegen die durch die Kreiszolldirektion Zürich verfügte körperliche Durchsuchung zuständig. b) Die Verwaltungsgerichtsbeschwerde richtet sich gegen den Beschwerdeentscheid der Oberzolldirektion vom 3. Oktober 1978. Gegen diesen Entscheid ist die Verwaltungsgerichtsbeschwerde an das Bundesgericht zulässig ( Art. 109 Abs. 1 lit. e ZG ). Das nach Art. 103 lit. a OG erforderliche Interesse an der Aufhebung oder Änderung des angefochtenen Entscheides ist gegeben, weil die Oberzolldirektion die Beschwerde des Beschwerdeführers abgewiesen hat. Hingegen muss das Interesse des Beschwerdeführers grundsätzlich aktuell sein. Besteht es im Zeitpunkt der Urteilsfällung nicht oder nicht mehr, so kann auf die Beschwerde grundsätzlich nicht eingetreten werden. Immerhin wird vom Erfordernis eines aktuellen Interesses dann abgesehen, wenn sonst nie rechtzeitig ein endgültiger Entscheid in Grundsatzfragen herbeizuführen wäre oder wenn die Entscheidung in der Sache aus andern Gründen als angebracht erscheint (vgl. BGE 104 Ib 319 ; BGE 99 Ib 301 ; BGE 97 I 733 ; BGE 96 I 419 ). Diese Voraussetzungen sind im vorliegenden Verfahren erfüllt. Dem Bundesgericht wäre es regelmässig verwehrt, über die Rechtmässigkeit von körperlichen Durchsuchungen zu entscheiden, wenn es ein aktuelles praktisches Interesse an der Aufhebung der Durchsuchungsverfügung verlangen würde. Auf die Verwaltungsgerichtsbeschwerde ist daher einzutreten. 2. Art. 36 Abs. 5 ZG lautet: "Personen, welche die Zollgrenze überschreiten und im Verdachte stehen, verbotene oder zollpflichtige Waren auf sich zu tragen, können einer körperlichen Durchsuchung unterworfen werden. Der Bundesrat stellt die nötigen Vorschriften durch Verordnung auf." Art. 53 der Verordnung zum Zollgesetz vom 10. Juli 1926 (ZV; SR 631.01) bestimmt dazu: "Körperliche Durchsuchung: 1 Die körperliche Durchsuchung von Personen, die im Verdachte stehen, verbotene oder zollpflichtige Waren auf sich zu tragen, ist stets in geeigneten, geschlossenen, im Winter geheizten Räumen vorzunehmen. BGE 106 Ib 109 S. 113 Bei der Durchsuchung ist mit allem Takt vorzugehen. Weibliche Personen dürfen nur durch weibliche Personen durchsucht werden. 2 Fördert die Durchsuchung zollpflichtige oder verbotene Waren zu Tage, die der Zollmeldepflichtige nicht zur Zollbehandlung angemeldet hat so ist aufgrund der einschlägigen Bestimmungen des Zollgesetzes das Strafverfahren einzuleiten." a) Fraglich ist im vorliegenden Verfahren zunächst, ob der Beschwerdeführer im Sinne dieser Bestimmungen im Verdachte stand, verbotene oder zollpflichtige Waren auf sich zu tragen, und die zuständige Behörde daher befugt war, eine körperliche Durchsuchung vorzunehmen. Gemäss der Aussage des Zollbeamten deklarierte der Beschwerdeführer mündlich sechs Lithographien unter gleichzeitiger Vorlage eines Ausfuhrmerkscheines und einer Visitenkarte des "Institut Géographique Khanzandian" in Paris. Der Beamte stellte in der Folge fest, dass die vorgelegten Unterlagen auf acht Objekte lauteten und bat den Beschwerdeführer, die Lithos auszupacken. Als acht Stück zum Vorschein kamen, erklärte der Beschwerdeführer gemäss Aussage des Zollbeamten, er habe sich geirrt. Der Beschwerdeführer bestreitet diese Darstellung, indem er ausführt, er habe von allem Anfang an ausgesagt, er habe acht Lithos zu deklarieren. Es besteht kein stichhaltiger Grund, an der Feststellung des Zollbeamten zu zweifeln, wonach der Beschwerdeführer nur sechs der acht Lithos zur Zollbehandlung angemeldet hat. Bezeichnenderweise hat der Beschwerdeführer sich bei der Einvernahme durch den Chef des Zolluntersuchungsdienstes nicht etwa darauf berufen, dass er alle Lithos zur Zollbehandlung angemeldet habe. Hinzu kommt, dass der Beschwerdeführer keine Rechnung für die Bilder, sondern lediglich eine mit den Preisen beschriebene Visitenkarte vorweisen konnte, deren Zahlen zudem nicht mit den auf dem Vormerkschein aufgeführten Preisen übereinstimmten. Verstärkt wurde das Misstrauen des Beamten dadurch, dass der zu Rate gezogene Katalog für Bilder von Daumier wesentlich höhere Preise enthielt als die vom Beschwerdeführer angegebenen. Freilich handelt es sich bei den im Katalog angeführten Preisen um diejenigen für gemalte Bilder und nicht für Lithos, dennoch ist verständlich, dass die ausserordentlich grosse Preisdifferenz bei den Zollbeamten den Verdacht erweckte, dass die deklarierten Werte nicht stimmen könnten. Jedenfalls lässt sich nicht sagen, der Verdacht sei zum vornherein leichtfertig ausgesprochen worden. Es handelte sich um Kunstgegenstände, deren BGE 106 Ib 109 S. 114 Bewertung nicht auf der Hand liegt. Dieser Sachverhalt allein vermöchte wohl keine körperliche Durchsuchung nach Schmuck oder andern Wertgegenständen zu rechtfertigen, wenn nicht der weitere Umstand hin zugekommen wäre, dass der Beschwerdeführer ein halbes Jahr vorher beim gleichen Zollamt acht Lithographien von Chagall im Wert von Fr. 22'000.-- nicht zur Einfuhrzollbehandlung angemeldet und nach Entdeckung der Tat bezüglich des Wertes unrichtige Angaben gemacht hätte. Dieser Vorfall führte zu einem Verwaltungsstrafverfahren und zur Ausfällung einer Busse. Bei dieser Sachlage hätte der Beschwerdeführer wissen müssen, dass bei weiteren Durchgängen durch den Schweizer Zoll Vorsicht geboten war und er sich lediglich durch ein einwandfrei korrektes Verhalten mit Sicherheit Schwierigkeiten bei der Zollabfertigung ersparen konnte. Insbesondere die Tatsachen, dass er keine Rechnungen vorlegen konnte, dass die Zahlen auf der Visitenkarte mit denjenigen auf dem Vormerkschein nicht übereinstimmten und dass beim Beamten der Eindruck entstand, der Beschwerdeführer wolle bloss sechs Lithos deklarieren, gaben Anlass zu einem gewissen Misstrauen, das sich zusammen mit der Kenntnis um das vor wenigen Monaten durchgeführte Zollstrafverfahren gegen den Beschwerdeführer zum begründeten Verdacht verdichtete, der Beschwerdeführer könnte sich wiederum ein Zollvergehen zu schulden kommen lassen. Diese Verdachtsmomente rechtfertigten auch die weitergehende Suche nach andern kleinformatigen Kunstgegenständen, welche der Beschwerdeführer allenfalls auf dem Körper tragen könnte. Der Verdacht hat sich zwar in der Folge als unbegründet erwiesen. Doch ist bei der Beurteilung der Frage, ob die Zollbehörden Art. 36 Abs. 5 ZG verletzt haben, zu berücksichtigen, dass der zuständige Beamte an Ort und Stelle rasch und aufgrund der vorhandenen Hinweise über die zu treffenden Massnahmen entscheiden muss. Es kann von ihm nicht verlangt werden, dass er lediglich dann zur körperlichen Durchsuchung schreitet, wenn offensichtlich mit einem Erfolg gerechnet werden kann, sondern es muss genügen, dass aufgrund der dem Beamten zur Verfügung stehenden Informationen der Verdacht besteht, der Betroffene trage verbotene oder zollpflichtige Waren auf sich. Bei diesem Entscheid muss den zuständigen Beamten ein gewisses Ermessen eingeräumt werden, das im vorliegenden Fall nicht überschritten wurde.
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214f73a2-e86e-4ab3-ad7a-6490ead8a3ff
Urteilskopf 105 Ia 49 12. Auszug aus dem Urteil der I. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 16. Mai 1979 i.S. X. und Mitbeteiligte gegen Forstdirektion des Kantons Bern (Verwaltungsgerichtsbeschwerde)
Regeste Verwaltungsverfahren; rechtliches Gehör. Haben die Verwaltungsorgane einen Augenschein, dem für die rechtserhebliche Abklärung des umstrittenen Sachverhaltes wesentliche Bedeutung zukam, nicht in Anwesenheit des beteiligten Privaten oder seines Vertreters durchgeführt, so wurde jener in seinem aus Art. 4 BV abgeleiteten Anspruch auf rechtliches Gehör verletzt.
Erwägungen ab Seite 49 BGE 105 Ia 49 S. 49 Aus den Erwägungen: 2. b) Auch im Verwaltungsverfahren hat der Bürger, vorbehältlich gewisser Ausnahmen, das Recht, an den Beweiserhebungen der Verwaltungsorgane teilzunehmen ( BGE 104 Ib 121 E. 2 mit Verweisungen). Das gilt insbesondere für die Durchführung von Augenscheinen. Wohl ist es Behörden oder einzelnen Behördemitgliedern und Beamten nicht verwehrt, sich informell an Ort und Stelle zu begeben, um über einen Sachverhalt ein besseres Bild zu erhalten. Dient jedoch die Ortsbesichtigung dem Zweck, einen streitigen Sachverhalt abzuklären, so müssen die beteiligten Privaten zum Augenschein BGE 105 Ia 49 S. 50 beigezogen werden. Ein Ausschluss einer Partei ist nur dann zulässig, wenn schützenswerte Interessen Dritter oder des Staates oder eine besondere zeitliche Dringlichkeit dies gebieten oder wenn der Augenschein seinen Zweck nur erfüllen kann, wenn er unangemeldet erfolgt. In derartigen Ausnahmefällen gilt der Gehörsanspruch als gewahrt, wenn die betreffende Partei nachträglich zum Beweisergebnis Stellung nehmen kann ( BGE 104 Ia 71 E. 3b). c) Im vorliegenden Fall wendet die Forstdirektion in ihrer Vernehmlassung ein, der offizielle Augenschein habe am 1. Oktober 1976 stattgefunden; bei dem am 17. Oktober 1977 durchgeführten Augenschein habe es sich lediglich um eine direktionsinterne Massnahme gehandelt. Die ebenfalls teilnehmenden Forstmeister Kilchenmann und Oberförster von Wattenwyl hätten dabei ihre Betrachtungsweise wiederholt. Gemäss dieser Darstellung hätte der zweite Augenschein keine für die rechtserhebliche Abklärung des umstrittenen Sachverhaltes wesentliche Bedeutung gehabt. Würde dies zutreffen, so könnte von einer Verletzung des rechtlichen Gehörs in der Tat nicht gesprochen werden. Aus dem angefochtenen Entscheid sowie aus der Aktennotiz vom 4. Oktober 1976 über die Begehung vom 1. Oktober 1976, an welcher behördlicherseits lediglich die Forstinspektion Mittelland und das Kreisforstamt Seeland vertreten waren, ergibt sich hingegen, dass dem zweiten Augenschein vom 17. Oktober 1977 entscheidende Bedeutung für die Feststellung des rechtserheblichen Sachverhaltes zukam. Die Forstdirektion verweist im angefochtenen Entscheid bei der Darstellung der Ausgangslage ausdrücklich auch auf diesen Augenschein, und sie traf ihre Verfügung denn auch "gestützt auf die durchgeführten Augenscheine durch die technischen Organe". Dabei gelangte sie offensichtlich zufolge der Überprüfung des Sachverhaltes am zweiten Augenschein zur Ablehnung des vom Forstmeister des Mittellandes an der Begehung vom 1. Oktober 1976 gemachten Vorschlages, den umstrittenen, mit Gebüsch auf Schutt bewachsenen "westlichen Streifen der Parzelle 3513 unterher dem Berghausweg aus dem Waldareal zu entlassen". Jedenfalls muss diese Folgerung aus der kurzen Begründung gezogen werden, die Überprüfung habe ergeben, dass dieser Streifen ebenfalls als Wald im Sinne des Forstgesetzes zu bezeichnen sei; er werfe zwar keinen Ertrag ab, habe jedoch BGE 105 Ia 49 S. 51 eindeutig Schutz- und Wohlfahrtswirkungen zu erfüllen. Dem zweiten Augenschein kann unter diesen Umständen nicht nur die Bedeutung einer internen Meinungsbildung beigelegt werden. Vielmehr erfolgte an ihm, was sich aus der Teilnahme des Direktionssekretärs der zum endgültigen Entscheid über die Waldfeststellung zuständigen Forstdirektion ergibt, die Feststellung des rechtserheblichen Sachverhaltes. Er hätte daher nur in Anwesenheit der Beschwerdeführer oder ihres Vertreters durchgeführt werden dürfen. Da die Forstdirektion entscheidend auf das Ergebnis des zweiten Augenscheins abgestellt hat, hat sie den aus Art. 4 BV fliessenden Gehörsanspruch der Beschwerdeführer verletzt. Eine Heilung dieser Gehörsverletzung im verwaltungsgerichtlichen Beschwerdeverfahren fällt unter den gegebenen Umständen ausser Betracht. Auch wenn es bei der Beurteilung der Frage, ob Wald im Sinne von Art. 1 FPolV vorliegt, nicht um Ermessen geht, welches das Bundesgericht nicht frei überprüft ( Art. 104 lit. a OG ), so ist doch der Beurteilungsspielraum der primär zuständigen kantonalen Entscheidungsinstanz - namentlich bei der Würdigung der örtlichen Verhältnisse sowie der Frage der Beurteilung der Wohlfahrtswirkung der mit Sträuchern bestockten Fläche - zu respektieren. Dieser ist daher Gelegenheit zu geben, den rechtserheblichen Sachverhalt auf Grund eines Augenscheines, bei dessen Durchführung die Teilnahmerechte der Beschwerdeführer gewahrt werden und auf den daher als Beweismittel abgestellt werden darf, festzustellen und alsdann erneut zu entscheiden. Die Beschwerde ist daher gutzuheissen, ohne dass es darauf ankäme, ob Aussicht besteht, dass die Forstdirektion nach erneuter Prüfung des Falles in einem korrekten Verfahren anders entscheiden wird ( BGE 104 Ib 123 E. 2 d; 98 Ia 8 E. 3 mit Verweisungen).
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Urteilskopf 124 V 174 30. Urteil vom 26. Mai 1998 i.S. A. gegen IV-Stelle des Kantons Zürich und Sozialversicherungsgericht des Kantons Zürich
Regeste Art. 48ter AHVG in Verbindung mit Art. 52 IVG : Subrogation der Sozialversicherung. Zum Zeitpunkt des gesetzlichen Forderungsübergangs und zur Frage nach der Zulässigkeit eines Verzichts auf Leistungen der Invalidenversicherung.
Sachverhalt ab Seite 174 BGE 124 V 174 S. 174 A.- A. (geb. 1970) erlitt am 17. April 1992 als Mitfahrer einen Autounfall, der eine Querschnittlähmung zur Folge hatte. Nachdem ein Anspruch auf Leistungen der Invalidenversicherung wegen Nichterfüllens der versicherungsmässigen Voraussetzungen zweimal verneint worden war (Verfügungen der Ausgleichskasse des Kantons Zürich vom 27. Juli 1992 und vom 28. Oktober 1994), liess A. der Verwaltung mitteilen, dass er definitiv und unwiderruflich auf Geldleistungen infolge des Unfalls vom 17. April 1992 verzichte; es sei deshalb entsprechend zu verfügen. Am 11. Juli 1995 lehnte die (nunmehr zuständige) IV-Stelle des Kantons Zürich das Gesuch um Erlass einer entsprechenden Verfügung ab. B.- Das Sozialversicherungsgericht des Kantons Zürich wies die dagegen eingereichte Beschwerde wegen Fehlens eines schutzwürdigen Interesses an einer Verzichtsverfügung ab (Entscheid vom 20. August 1996). C.- A. lässt Verwaltungsgerichtsbeschwerde führen und folgende Anträge stellen: "1. Die Verfügung der Sozialversicherungsanstalt des Kantons Zürich vom 11.07.1995 sowie der Entscheid des Sozialversicherungsgerichtes des Kantons Zürich vom 20.08.1996 in Sachen A. seien aufzuheben. 2. Es sei festzustellen, dass der Beschwerdeführer definitiv auf Leistungen der Sozialversicherungsanstalt infolge des Unfallereignisses vom 17.04.1992 verzichtet; eventualiter sei festzustellen, dass der Beschwerdeführer infolge des erwähnten Unfallereignisses gegenüber der Sozialversicherungsanstalt auf Rentenleistungen verzichtet. 3. Subeventualiter sei die Sozialversicherungsanstalt des Kantons Zürich anzuweisen, eine Feststellungsverfügung bezüglich Verzicht von Leistungen der IV-Stelle im Rahmen der oben erwähnten Ziff. 2 aus dem Unfall vom 17.04.1992 zu erlassen." BGE 124 V 174 S. 175 Die IV-Stelle verzichtet auf Vernehmlassung. Das Bundesamt für Sozialversicherung (BSV) schliesst auf Abweisung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde. Erwägungen Das Eidg. Versicherungsgericht zieht in Erwägung: 1. Nach Art. 52 IVG gelten für den Regress der Invalidenversicherung die Bestimmungen des AHVG sinngemäss. Gemäss Art. 48ter AHVG gehen die Ansprüche des Geschädigten gegenüber einem Haftpflichtigen im Zeitpunkt des Schadenereignisses bis auf die Höhe der gesetzlichen Leistungen auf die Sozialversicherung über. Diese Bestimmung wurde mit der 9. AHV-Revision eingeführt. Der Gesetzgeber wollte durch den Ersatz des Kumulations- durch das Subrogationsprinzip die als stossend empfundene Überentschädigung beim Zusammentreffen von AHV/IV-Renten mit Haftpflichtansprüchen vermeiden. Ausserdem sollte - nicht zuletzt mit Rücksicht auf die angespannte Finanzlage der AHV/IV - die Sozialversicherung entlastet werden (Botschaft über die 9. AHV-Revision vom 7. Juli 1976, BBl 1976 III 34). Das durch Beiträge der AHV/IV-Versicherten und durch staatliche Subventionen geäufnete Vermögen des Sozialversicherungsträgers sollte sinnvoll und nicht für die Ausrichtung von Leistungen verwendet werden, die über die Deckung des Schadens hinausreichen (zur Veröffentlichung in BGE 124 III bestimmtes Urteil E. vom 17. Februar 1998 Erw. 3; vgl. ferner das Urteil J. vom 13. Dezember 1994 [Pra 1995 Nr. 172 S. 558 f.]; MAURER, Kumulation und Subrogation in der Sozial- und Privatversicherung, in: ZBJV 1977 S. 267). 2. Streitig und zu prüfen ist, ob der Beschwerdeführer rechtsgültig auf die ihm künftig allenfalls zustehenden Leistungen der Invalidenversicherung verzichten und die Verwaltung zum Erlass einer entsprechenden Verfügung verpflichtet werden kann. a) Das kantonale Sozialversicherungsgericht hat diese Frage verneint. Der Beschwerdeführer habe gemäss den rechtskräftigen Verfügungen vom 27. Juli 1992 und 28. Oktober 1994 wegen Nichterfüllens der versicherungsmässigen Voraussetzungen keinen Anspruch auf Leistungen der Invalidenversicherung. Da noch keine Subrogation stattgefunden habe, könnte der Beschwerdeführer grundsätzlich auf die ihm allenfalls künftig zustehenden IV-Leistungen verzichten, sofern er an einem solchen Verzicht ein schutzwürdiges Interesse habe ( BGE 101 V 265 f. Erw. 2). Es liege BGE 124 V 174 S. 176 zweifellos im Interesse des Beschwerdeführers, dass seine wirtschaftliche Existenz nicht gefährdet werde. Eine solche Gefahr bestehe gegenwärtig nicht, doch wäre eine Kapitalabfindung des Haftpflichtversicherers möglicherweise rasch aufgebraucht, und es könnte die Fürsorgeabhängigkeit drohen. Unter dem Gesichtswinkel der persönlichen Freiheit sei zu beachten, dass mit dem fraglichen Verzicht auch auf berufliche Massnahmen und damit auf eine Eingliederung verzichtet würde, was nicht im Interesse des Beschwerdeführers und im übrigen auch nicht in jenem der Invalidenversicherung und der Allgemeinheit liege. b) Dem Einwand einer allfälligen Fürsorgeabhängigkeit hält der Beschwerdeführer entgegen, dass der UVG-Versicherer regelmässig Rentenleistungen erbringe. Des weiteren macht er geltend, berufliche Massnahmen habe er bereits in Anspruch genommen. Der zur Diskussion stehende Verzicht könnte sich entsprechend den Abweisungsverfügungen vom 27. Juli 1992 und 28. Oktober 1994 nur auf Rentenleistungen beziehen, nicht aber auf Eingliederungsmassnahmen. Aus der Sicht der Haftpflichtversicherung sei der Schadenfall nicht liquid. Auf der anderen Seite liege es im schutzwürdigen Interesse des Beschwerdeführers, wenn er Jahre nach dem Unfall nun endlich mit dem Haftpflichtversicherer abrechnen könne. Diese Abrechnung wäre kurzfristig möglich, wenn die beantragte Verzichtsverfügung vorläge. Dem Erlass einer solchen Verfügung stünden weder die Persönlichkeitsrechte des Beschwerdeführers noch die Interessen der Öffentlichkeit entgegen. 3. a) Das Eidg. Versicherungsgericht hatte im von der Vorinstanz angeführten Urteil B. vom 27. Oktober 1975 ( BGE 101 V 261 ) zu beurteilen, ob ein Pflegekind, das wegen des Todes seines leiblichen Vaters an sich eine (allerdings nie geltend gemachte) Waisenrente hätte beanspruchen können, durch den späteren Tod des Pflegevaters Anspruch auf eine Pflegekinderrente erwirbt. Das Gericht bejahte diese Frage, wobei es - ausgehend von der Überlegung, dass man zwar einen gesetzlichen Anspruch auf Leistungen hat, diese aber nur auf Antrag erhält - den Grundsatz bestätigte, wonach ein Versicherter auf Leistungen verzichten kann, sofern er ein schutzwürdiges Interesse hat ( BGE 101 V 265 Erw. 2 mit Hinweisen). Diese Rechtsprechung lässt sich nicht unbesehen auf die hier zu beurteilende Problematik übertragen. Denn angesichts der mit der 9. AHV-Revision vor dem Hintergrund veränderter Verhältnisse (BBl 1976 III 29ff., 32) neu eingeführten Rückgriffsordnung kann ein schutzwürdiges BGE 124 V 174 S. 177 Interesse des Geschädigten allein nicht mehr ausschlaggebend sein (vgl. das schon erwähnte Urteil J. vom 13. Dezember 1994 [Pra 1995 Nr. 172 S. 559 Erw. 8]; SCHAER, Grundzüge des Zusammenwirkens von Schadenausgleichsystemen, S. 271 Rz. 799). b) Im Gegensatz zum früheren Recht, welches die Kumulation von AHV/IV-Leistungen mit Haftpflichtansprüchen bewusst zuliess (BBl 1976 III 32ff.), gehen unter der Herrschaft des Art. 48ter AHVG in Verbindung mit Art. 52 IVG die Ansprüche des Geschädigten gegenüber den Haftpflichtigen im Zeitpunkt des Schadenereignisses bis auf die Höhe der gesetzlichen Leistungen auf die Invalidenversicherung über. Mit der Subrogation entsteht kein neuer, selbständiger Anspruch des Sozialversicherers. Er übernimmt durch Legalzession den Haftpflichtanspruch des Geschädigten mit allen damit verbundenen Vor- und Nachteilen ( BGE 112 II 94 Erw. 2c; SCHAER, a.a.O., S. 232 f. Rz. 674 und S. 264 f. Rz. 778). Die Subrogation setzt aber voraus, dass der Sozialversicherer mit seinen Leistungen einen entsprechenden Schaden ausgleicht. Daher tritt er nur insoweit in den Haftpflichtanspruch ein, als er Leistungen erbracht hat, welche mit der Schuld des Haftpflichtigen in zeitlicher und funktionaler Hinsicht übereinstimmen (Kongruenzgrundsatz; vgl. MAURER, Bundessozialversicherungsrecht, S. 410 f.). Die Rechtsposition des Haftpflichtigen bleibt durch die Subrogation grundsätzlich unberührt. Er hat lediglich einen Teil seiner Schuld dem Sozialversicherer statt dem Geschädigten gegenüber zu begleichen (BBl 1976 III 34). Zeitlich erfolgt die Subrogation mit dem schädigenden Ereignis, obschon in diesem Augenblick noch nicht feststeht, welche Leistungen der Sozialversicherer erbringen muss (zur Veröffentlichung in BGE 124 III bestimmtes Urteil E. vom 17. Februar 1998 Erw. 3; MAURER, a.a.O., S. 410 f.; derselbe, Das neue Krankenversicherungsrecht, S. 126 hinsichtlich der Rückgriffsbestimmung von Art. 123 Abs. 1 KVV ; SCHAER, a.a.O., S. 206 Rz. 598 ff. und S. 269 Rz. 790; vgl. auch BBl 1976 III 64; ferner FRÉSARD-FELLAY, Subrogation, droit d'action directe et solidarité, in: SVZ 1994 S. 58; a.M. STOESSEL, Das Regressrecht der AHV/IV gegen den Haftpflichtigen, S. 52 ff.). In der Invalidenversicherung gilt die Gesundheitsschädigung, welche zu einer Invalidität im Sinne des Gesetzes führen könnte, als auslösendes Ereignis für den gesetzlichen Forderungsübergang (SCHAER, a.a.O., S. 204 Rz. 590 f.), obwohl die Leistungspflicht des Sozialversicherers an die BGE 124 V 174 S. 178 Erfüllung weiterer (sekundärer) Voraussetzungen geknüpft ist. Auch die Konzeption der Invalidenversicherung als finale Versicherung, welche das Risiko der Invalidität unabhängig vom Vorliegen eines bestimmten versicherten Ereignisses wie Krankheit oder Unfall deckt (MAURER, Schweizerisches Sozialversicherungsrecht, Bd. I, S. 276; STEIN, Die Invalidität, in: Festschrift 75 Jahre EVG, Bern 1992, S. 437; VALTERIO, Droit et pratique de l'assurance-invalidité, Les prestations, S. 52; SCARTAZZINI, Les rapports de causalité dans le droit suisse de la sécurité sociale, S. 213; EVGE 1964 S. 257 Erw. 2), hindert nicht, die Subrogation bereits im Augenblick der Gesundheitsschädigung eintreten zu lassen (zum Ganzen SCHAER, a.a.O., S. 202 ff.). Gleichzeitig mit dem gesetzlichen Forderungsübergang verliert der Versicherte die subrogierten Ansprüche, und er hat daher nach herrschender Auffassung grundsätzlich nicht die Wahl, ob er den Schädiger oder die Sozialversicherung belangen will. Insofern ist der Anspruch auf IV-Leistungen grundsätzlich unverzichtbar (Pra 1995 Nr. 172 S. 559 Erw. 8; MEYER-BLASER, Rechtsprechung des Bundesgerichts zum Sozialversicherungsrecht, Bundesgesetz über die Invalidenversicherung, Zürich 1997, S. 293; SCHAER, a.a.O., S. 271 f. Rz. 799 ff.). c) Im mehrfach erwähnten Urteil J. vom 13. Dezember 1994 (Pra 1995 Nr. 172 S. 559 Erw. 8) hat das Schweizerische Bundesgericht schliesslich entschieden, eine Subrogation könnte - wenn überhaupt - einzig dadurch ausgeschaltet werden, dass alle Beteiligten, d.h. der Geschädigte, der Haftpflichtige und die Sozialversicherung ihr Einverständnis geben. Die Bestimmung von Art. 65 UVV , wonach der rechtswirksame Verzicht auf Versicherungsleistungen eine Verfügung der Sozialversicherung voraussetze, sei insofern als allgemeiner, im ganzen Sozialversicherungsrecht geltender Grundsatz aufzufassen. Für die grundsätzliche Unverzichtbarkeit von IV-Ansprüchen sprächen im übrigen auch die Interessen der Allgemeinheit. Wenn an die Stelle von IV-Leistungen eine Kapitalabfindung des Haftpflichtigen trete, so bestehe keine Gewähr einer sachgerechten Mittelverwendung durch den Geschädigten und folglich die Gefahr, dass dieser nach Verbrauch des Kapitals der öffentlichen Fürsorge zur Last falle (ebenso SCHAER, a.a.O., S. 272 Rz. 801 ff.). 4. Bei einem Autounfall am 17. April 1992 erlitt der Beschwerdeführer eine Querschnittlähmung. Wegen der im Zeitpunkt der Gesundheitsschädigung eingetretenen Subrogation war es ihm grundsätzlich verwehrt, auf BGE 124 V 174 S. 179 IV-Rentenleistungen - Eingliederungsmassnahmen standen nach den zutreffenden Vorbringen in der Verwaltungsgerichtsbeschwerde nicht zur Diskussion - zu verzichten. Eine Ausschaltung der Subrogation ist zwar nach der erwähnten Rechtsprechung ausnahmsweise zulässig, fällt hier aber ausser Betracht. Ohne dass es einer über den vorliegenden Anwendungsfall hinausgehenden abschliessenden Umschreibung der hiefür kumulativ erforderlichen Voraussetzungen (dazu Erw. 3c) bedürfte, steht in diesem Fall fest, dass ein schutzwürdiges Interesse an einem Verzicht nicht erstellt ist. Das BSV weist in diesem Zusammenhang mit Recht darauf hin, dass das blosse Interesse des Geschädigten an einer vereinfachten Direktschadenserledigung in der Literatur grundsätzlich nicht als schutzwürdig anerkannt wird (MAURER, Schweizerisches Unfallversicherungsrecht, S. 451). Selbst bei gegenteiliger Auffassung würde sich im Ergebnis nichts ändern; denn angesichts der weitreichenden Konsequenzen eines definitiven Leistungsverzichts ist stets zu prüfen, ob ein solcher Verzicht nicht durch weniger weitgehende Massnahmen entbehrlich wird. Im vorliegenden Fall darf nach den zutreffenden bundesamtlichen Darlegungen davon ausgegangen werden, dass sich zumindest jener Teil der Haftpflichtansprüche erledigen lässt, für den wegen des Grundsatzes der sachlichen Kongruenz sicherlich keine IV-Leistungen zu erwarten sind. Hinzu kommt, dass im Unterschied zur Rechtslage zur Zeit der Abweisungsverfügungen (vom 27. Juli 1992 und 28. Oktober 1994) die versicherungsmässigen Voraussetzungen nun erfüllt sind und es dem Betroffenen möglich wäre, die künftig von der Invalidenversicherung zu erwartenden Leistungen unpräjudiziell ermitteln zu lassen. Gegen einen definitiven Verzicht spricht schliesslich auch der Umstand, dass mit den regelmässigen Rentenleistungen des UVG-Versicherers die Gefahr einer künftigen Fürsorgeabhängigkeit des Beschwerdeführers zwar verringert, jedoch nicht aus der Welt geschafft wird.
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1,998
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21597f15-30f1-49d7-8d3d-58d194a0d334
Urteilskopf 93 I 13 2. Auszug aus dem Urteil vom 3. Mai 1967 i.S. Bek und Mitbeteiligte gegen Schaffhausen, Grosser Stadtrat und Regierungsrat.
Regeste Finanzreferendum. Begriff der dem Referendum unterstehenden "Ausgabe". Ist, bei Abbruch alter Häuser und Errichtung eines Parkplatzes an ihrer Stelle, ausser den Kosten dieser Massnahmen auch der Wert der abzubrechenden Häuser zu den Ausgaben zu rechnen?
Sachverhalt ab Seite 13 BGE 93 I 13 S. 13 Aus dem Tatbestand: Nach Art. 10 lit. d Z. 2 der Verfassung der Stadt Schaffhausen (StV) unterliegen der "obligatorischen Volksabstimmung" neben anderen Beschlüssen des Grossen Stadtrates "einmalige Ausgaben für Ankauf von Liegenschaften, Bauten, Subventionen, Unternehmungen oder Beteiligung an solchen, neue Einrichtungen, sowie Veräusserung und Verpfändung von Liegenschaften, soweit sie im einzelnen Falle den Betrag von Fr. 200'000.-- übersteigen". Halten sich die einmaligen Ausgaben im Rahmen von Fr. 100'000.-- bis Fr. 200'000.--, so unterstehen sie gemäss Art. 11 lit. d dem fakultativen Referendum. Durch Beschluss vom 18. März 1966 bewilligte der Grosse Stadtrat einen Kredit von Fr. 95 000.-- für den Abbruch der Gebäude (ehemaliges Schlachthaus und sechs Wohnhäuser) und die BGE 93 I 13 S. 14 Erstellung eines provisorischen Parkplatzes für 52 Personenwagen auf den der Stadt gehörenden Grundstücken Nr. 952 und 953 zwischen der Fischerhäuserstrasse und dem Rheinufer. Hiegegen erhoben sechs Stimmbürger Rekurs an den Regierungsrat mit dem Antrag, der Beschluss sei gestützt auf Art. 10 StV dem obligatorischen, evtl. auf Art. 11 dem fakultativen Referendum zu unterstellen. Sie machten u.a. geltend, neben dem Baukredit seien auch die durch den Abbruch vernichteten Werte in Rechnung zu stellen, wodurch die Grenze von Fr. 200'000.-- überschritten werde. Der Regierungsrat wies den Rekurs am 19. Oktober 1966 ab. C.- Gegen diesen Entscheid erheben vier der ursprünglichen sechs Rekurrenten staatsrechtliche Beschwerde mit dem Antrag, ihn aufzuheben. Zur Begründung bringen sie u.a. vor: Durch den Abbruch der Häuser würden Vermögenswerte der Stadt vernichtet. Erst dieses Opfer zusammen mit dem Baukredit ergebe die ganze Vermögensleistung der Stadt für das Projekt, die für das obligatorische und für das fakultative Referendum massgebend sein müsse. Es wäre sonderbar, wenn der Souverän, dem nach Art. 10 StV die Aufsicht über die Verwaltung des Gemeindevermögens zustehe, zur Zerstörung von Vermögenswerten nichts zu sagen hätte, während er beim Kauf und Verkauf von Liegenschaften, wo nur ein Wertaustausch stattfinde, befragt werden müsse. Freilich werde der Abbruch weder in Art. 10 noch in Art. 11 StV genannt; die Zuständigkeit dafür werde aber überhaupt nirgends ausdrücklich erwähnt und müsse doch irgendwie geordnet sein; die Regel lasse sich finden durch Subsumtion der Vermögensverminderung durch Abbruch unter den Begriff der Ausgaben. Während der Regierungsrat auf die Frage nach dem Wert der Gebäude nicht eingegangen sei, habe der Stadtrat in seiner Vernehmlassung behauptet, sie seien abbruchreif und hätten mit einem Bauverbot belegt werden können. Das möge für einzelne davon zutreffen, aber jedenfalls nicht für den "Bretterhof". Selbst wenn für ihn nur mit einem Mietwert von Fr. 25'000.-- gerechnet werde, komme man zusammen mit dem Baukredit über die Grenze von Fr. 100'000.-- für das fakultative Referendum. Je nach dem Mietwert der anderen Häuser könne leicht auch eine Summe von über Fr. 200'000.-- in Betracht kommen. Erst recht wäre diese Grenze überschritten, wenn auf die Brandassekuranzsumme von Fr. 649'600.-- abgestellt werde, die der Stadt bei BGE 93 I 13 S. 15 einem Totalschaden vergütet worden wäre und auf die sie mit ihrem Beschluss verzichte. - Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab. Erwägungen Aus den Erwägungen: Die Beschwerdeführer legen das Hauptgewicht auf das Argument, in die Ausgabe für den Parkplatz müsse auch der Wert der bestehenden Gebäude, der durch deren Abbruch vernichtet werde, einbezogen werden. Sie stützen sich namentlich auf den Mietwert, den sie im kantonalen Rekurs (auf Grund der damals noch erzielten Mietzinse von jährlich Fr. 9400.-- und deren Kapitalisierung zu 8%) mit Fr. 117'500.-- angegeben hatten. (Daneben hatten sie den Buchwert von Fr. 55'000.-- und den Brandversicherungswert von Fr.649'600.-- erwähnt.) Der Stadtrat hielt dem entgegen, die Häuser seien abbruchreif und hätten ohnehin mit einem Wohnverbot belegt werden müssen, weshalb ihnen kein Mietwert mehr zukomme. Der Regierungsrat trat auf diese Frage nicht ein, sondern lehnte den Standpunkt der Beschwerdeführer ab mit der Begründung, ein Einbezug des Wertes der Gebäude in den Kreditbeschluss falle ausser Betracht, weil sie bereits Eigentum der Stadt seien. Die Beschwerdeführer setzen sich weder mit der einen noch mit der anderen Auffassung auseinander und machen lediglich geltend, zum mindesten der "Bretterhof" sei nicht baufällig und sein Mietwert mit wenigstens Fr. 25'000.-- einzusetzen. Es geht hier um die Auslegung von Art. 10 lit. d Z. 2 und Art. 11 lit. d StV . Diese beiden Bestimmungen unterstellen "einmalige Ausgaben" dem Referendum, die erste dem obligatorischen bei einem Betrag von über Fr. 200'000.--, die zweite dem fakultativen bei einem solchen zwischen Fr. 100'000.-- und 200'000.--. Klar und unbestritten ist, dass die Kosten für den Abbruch der bestehenden Häuser und die Erstellung des Parkplatzes darunter fallen. Dagegen ist es streitig mit Bezug auf den Wert der Häuser, die der Stadt gehören und abgebrochen werden sollen. Nach dem gewöhnlichen Sprachgebrauch stellt die Änderung der Zweckbestimmung eines Aktivums keine Ausgabe dar, auch wenn sie mit einer Verringerung oder gar Vernichtung seines Wertes verbunden ist. Die Beschwerdeführer wollen aber auch eine solche Wertverminderung unter den Begriff der Ausgabe subsumieren und machen geltend, das BGE 93 I 13 S. 16 rechtfertige sich umso mehr, als sogar der An- und Verkauf von Liegenschaften nach Art. 10 und 11 StV dem Referendum unterstehe, obwohl dabei nur ein Austausch von Werten stattfinde, während beim Abbruch der bestehende Wert vernichtet werde. Sie werden indessen in jenen Bestimmungen nicht als Ausgaben, sondern neben diesen dem Referendum unterstellt. Zwar spricht Art. 10 lit. d Z. 2 von "einmaligen Ausgaben für Ankauf von Liegenschaften", betrachtet also hier den Kaufpreis als Ausgabe, obwohl ihm der Wert der Liegenschaft gegenübersteht; daneben erwähnt er aber "Veräusserung und Verpfändung von Liegenschaften", wobei ganz offensichtlich eine Ausgabe nicht in Frage kommt, und Art. 11 führt getrennt in lit. d "einmalige Ausgaben" und in lit. e "Ankauf, Verkauf und Verpfändung von Liegenschaften" auf. Das zeigt, dass dem An- und Verkauf und der Verpfändung von Liegenschaften - wie noch in vielen anderen Regelungen des Finanzreferendums - eine besondere Bedeutung beigemessen wird, deretwegen sie je nach dem Betrag dem obligatorischen oder dem fakultativen Referendum unterstellt werden, obwohl sie keine Ausgabe zu bedingen brauchen. Daraus lässt sich jedoch nicht ableiten, dass andere Tatbestände, wie hier der Abbruch von Häusern, unter den Begriff der Ausgaben zu subsumieren und dem Referendum zu unterstellen seien. Eine Ausgabe bilden wohl die Kosten für die Erstellung des Parkplatzes und den dadurch bedingten Abbruch der bestehenden Häuser, nicht aber der Verzicht auf den Wert, den diese bisher für die Stadt hatten. Diese Auslegung entspricht nicht nur dem Wortlaut von Art. 10 lit. d und Art. 11 StV , sondern auch dem Sinn und Zweck des darin enthaltenen Finanzreferendums. Aus der am Eingang von Art. 10 lit. d genannten "Aufsicht über die Verwaltung des Gemeindevermögens" wie aus der ganzen Aufzählung ergibt sich, dass damit finanzielle Belastungen der Gemeinde von einer bestimmten Bedeutung dem obligatorischen oder fakultativen Referendum unterstellt werden wollen. Die Beschwerdeführer erblicken eine solche Belastung darin, dass durch den Abbruch der Häuser der Stadt die bisherigen Mietzinseinnahmen von jährlich Fr. 9400.-- entgehen. Sie haben jedoch die Darstellung des Grossen Stadtrates, dass die Häuser abbruchreif seien und jene Einnahme deshalb ohnehin entfallen wäre, nicht widerlegt, ja mit Ausnahme des "Bretterhofes" nicht einmal bestritten. Zudem haben sie weder im kantonalen BGE 93 I 13 S. 17 Rekurs noch in der staatsrechtlichen Beschwerde die in der Botschaft des Stadtrates zu der Vorlage enthaltene Angabe bestritten, wonach die Zinsen für fest vermietete Parkplätze und die Parkuhren jährlich Fr. 18'700.--, also rund doppelt so viel wie die bisherigen Mietzinse, einbringen werden. Die Änderung der Zweckbestimmung, welcher der Abbruch der Häuser dient, wird mithin das Gegenteil der behaupteten Belastung zur Folge haben. Die Darstellung der Beschwerdeführer, mit dem Abbruch der Häuser verzichte die Stadt auf die Brandversicherungssumme von Fr. 649'600.-- im Falle eines Totalschadens, was einer Ausgabe in diesem Betrage gleichzustellen sei, verdient nicht ernst genommen zu werden, zumal die Häuser ohnehin abbruchreif sind.
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Urteilskopf 88 I 346 52. Estratto della sentenza 14 novembre 1962 nella causa d'espropriazione vertente fra le FFS e gli Eredi fu Savino Genini, Cresciano.
Regeste Anschlussweiterziehung. Art. 78 Abs. 2 EntG . Der Grundsatz, wonach der Rückzug des Hauptrechtsmittels das Dahinfallen des anschlussweise ergriffenen Rechtsmittels zur Folge hat, gilt für die Weiterziehung im Enteignungsverfahren jedenfalls dann, wenn die Anschlussweiterziehung erst nach Ablauf der Frist für die Hauptweiterziehung erklärt worden ist.
Sachverhalt ab Seite 346 BGE 88 I 346 S. 346 Riassunto dei fatti: Nel procedimento d'espropriazione promosso dalle FFS al fine di costituire una servitù di divieto di costruzione su un fondo, a Cresciano, di proprietà degli eredi fu Savino Genini, la Commissione federale di stima stabili in fr. 5000 l'indennità complessiva da versare agli espropriati. Le FFS si sono tempestivamente aggravate al Tribunale federale, domandando che l'indennità sia ridotta a fr. 2190. Da parte loro, gli eredi Genini hanno impugnato la suddetta stima con atto designato "ricorso adesivo", domandando che le FFS siano obbligate a pagare la somma di fr. 10 000. Nel corso del procedimento, la parte espropriante, preso atto di un progetto di transazione bonale proposto dai periti, ritirò il ricorso, rilevando che, essendosi il collegio BGE 88 I 346 S. 347 peritale già espresso per un'indennità superiore a quella fissata dalla Commissione di stima, non v'era più ragione di mantenere il ricorso. Ciò stante ed in applicazione analogica dell'art. 59 cpv. 4 OG, anche il ricorso adesivo degli espropriati doveva considerarsi caduco. La parte espropriata sostiene invece che il ricorso adesivo di cui all'art. 78 cpv. 2 LEspr. è indipendente, per cui il suo gravame non diventa caduco per effetto del ritiro del ricorso principale. Erwägungen Considerando in diritto: L'art. 78 cpv. 2 LEspr., in quanto stabilisce che, visto il ricorso principale, la controparte può "aderire a quest'ultimo e presentare dal canto suo delle conclusioni, come se avesse presentato un ricorso a se", significa soltanto che la parte ricorrente in via adesiva non è vincolata alle domande del ricorso principale. La pretesa della parte espropriata che, in questo senso, l'art. 78 cpv. 2 LEspr. costituirebbe un pleonasmo è infondata, perchè il ricorso adesivo, che di regola vien interposto trascorsi i normali termini di impugnazione, non deve necessariamente conferire - come conferisce nel procedimento in esame - la facoltà di estendere la contestazione a ogni dispositivo della querelata decisione, ma - come stabilito ad esempio nella procedura civile turgoviese (§ 290) - potrebbe anche limitare la possibilità di contestazione di chi ricorre in via adesiva ai punti già impugnati medante il ricorso principale. Vero è che, diversamente da quanto stabilito all'art. 59 cpv. 4 OG, all'art. 78 LEspr. non è prescritto che il ritiro del ricorso principale comporta la caducità anche del ricorso adesivo; ma l'illazione dei ricorrenti, secondo cui detta omissione sarebbe stata voluta per disporre una speciale diversa regolamentazione del ricorso adesivo nel procedimento di espropriazione, non si può condividere, perchè una siffatta regolamentazione, derogante dalla norma generale e dalla natura stessa del ricorso adesivo, BGE 88 I 346 S. 348 conseguirebbe un puro e semplice prolungamento del termine, non giustificato da alcun comprensibile motivo. D'altronde, la tesi suesposta non risulta maggiormente convincente dell'altra contrapposta espressa dall'ente espropriante, secondo cui, data la regola generale che fa dipendere la validità del ricorso adesivo dall'esistenza del ricorso principale, il permanere del ricorso adesivo in caso di ritiro di quello principale non può essere ammesso dal momento che la legge speciale non lo indica espressamente. In realtà il fatto che, contrariamente a quanto risulta in ogni altra legge processuale, nella LEspr. il problema suesposto non è risolto da una norma speciale, costituisce una lacuna che deve essere colmata attingendo ai materiali legislativi e applicando le regole della legge generale. Dai materiali legislativi risulta infatti che mediante l'art. 78 cpv. 2 LEspr. si è voluto istituire la possibilità del ricorso adesivo nello stesso senso e nella stessa forma in cui era previsto all'art. 70 della allora vigente OG, quasi identico all'attuale art. 59 OG (JAEGER, Bericht zum Vorentwurf, pag. 87; FF, testo tedesco, 1926 II 80). D'altronde non si vede per quale motivo si dovrebbe ammettere una diversa regolamentazione: chi non si preoccupa di aggravarsi entro il termine legale di 30 giorni (sia esso l'espropriante o l'espropriato), ha rinunciato ad impugnare di propria iniziativa l'indennità stabilita dalla competente commissione di stima. Il suo diritto di ricorso risorge e deve perciò permanere solo a dipendenza del ricorso della controparte. Se questo è ritirato la situazione è ripristinata senza danno per la parte che si è avvalsa del ricorso adesivo, dovendosi tener conto delle eventuali spese e delle ripetibili, ai sensi degli art. 114 e 115 LEspr., nel decreto di stralcio della causa. Ciò stante, qualora il ricorso principale sia ritirato, il ricorso adesivo deve essere considerato caduco anche agli effetti della LEspr., almeno nel caso che questo ricorso sia stato interposto dopo che era già scaduto il termine per il ricorso principale.
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Urteilskopf 117 II 523 96. Extrait de l'arrêt de la IIe Cour civile du 12 décembre 1991 dans la cause K. contre dame K. (recours en réforme)
Regeste Art. 156 Abs. 1 und 297 Abs. 3 ZGB; Zuweisung der elterlichen Gewalt im Falle der Ehescheidung. Art. 297 Abs. 3 ZGB lässt es nicht zu, dass die elterliche Gewalt nach der Scheidung der Ehe durch beide Eltern gemeinsam ausgeübt wird. Einer Bestimmung in der Vereinbarung über die Nebenfolgen der Ehescheidung, die dies vorsieht, hat der Richter die Genehmigung folglich zu verweigern.
Erwägungen ab Seite 523 BGE 117 II 523 S. 523 Extrait des considérants: 1. b) Le Tribunal fédéral n'a pas rendu, à ce jour, d'arrêt de principe sur la question de l'autorité parentale conjointe de parents divorcés. Cela ne signifie pas qu'il n'ait jamais abordé cette question. Sous l'empire de l'art. 274 al. 3 aCC - disposition reprise, après une modification rédactionnelle, par l'actuel art. 297 al. 3 CC (FF 1974 II 73) -, le Tribunal fédéral a affirmé que, ne pouvant remettre l'enfant en commun aux deux parents, le juge du divorce doit décider à qui sera confié l'exercice de l'autorité parentale ( ATF 53 II 189 ). Dans deux arrêts postérieurs, il a également déclaré que le juge est contraint de choisir entre les époux et de priver l'un d'eux des droits qui, jusqu'ici, lui appartenaient ( ATF 54 II 76 ) et que son pouvoir de régler les rapports entre parents et enfants résultait de la nécessité d'attribuer, soit au père soit à la mère, un droit dont jusqu'alors ils étaient investis tous deux et qu'ils exerçaient en commun ( ATF 77 II 108 ). Récemment, le Tribunal fédéral s'est prononcé plus directement à deux reprises sur la question, sans toutefois motiver son opinion. Dans le premier arrêt, il a considéré que l'attribution de l'autorité parentale à l'un des parents est la BGE 117 II 523 S. 524 conséquence nécessaire de ce que le droit suisse ne connaît pas l'exercice commun de cette autorité par des parents divorcés ( ATF 108 II 378 consid. 2a). Dans le second, il a déclaré que le droit suisse n'admet pas l'exercice commun de l'autorité parentale par des parents non mariés ( ATF 114 II 415 , à propos de l' art. 298 al. 1 CC ). Dans ces arrêts, le Tribunal fédéral n'était pas en présence, comme en l'espèce, d'une convention. Mais peu importe car, lors de l'homologation, le juge doit examiner chacune des clauses de la convention pour apprécier leur licéité ( ATF 102 II 68 consid. 2, ATF 60 II 171 ; BÜHLER/SPÜHLER, Berner Kommentar, n. 180 ad art. 158 CC ; GÜRZUMAR, Die Rolle des Richters im Ehescheidungsprozess in der Schweiz und in der Türkei, thèse Fribourg 1991, p. 178 ss). La doctrine dominante soutient que l'autorité parentale conjointe des parents divorcés n'est pas admissible en droit suisse (voir notamment: BRÄM, Tendenzen der Scheidungsrechtsrevision, in RSJ 86/1990 p. 259; BÜHLER/SPÜHLER, op.cit., n. 114 et 147 ad art. 156 CC ; idem, Ergänzungsband, n. 8, 114 et 147 ad art. 156 CC ; DESCHENAUX/TERCIER, Le mariage et le divorce, 3e éd., p. 137/138; ECKERT, Compétence et procédure au sujet de l'autorité parentale dans les causes matrimoniales, thèse Lausanne 1990, p. 22 et 119; HAUSHEER, cité in Plädoyer 1/1983 p. 9; HEGNAUER/BREITSCHMID, Grundriss des Eherechts, 2e éd., p. 107 ch. 11.35; HEGNAUER/SCHNEIDER, Droit suisse de la filiation, 3e éd., p. 169/170; HEGNAUER, Gemeinsame elterliche Gewalt nach der Scheidung?, in RSJ 86/1990 p. 369 ss; HENCKEL, Die elterliche Gewalt, in Das neue Kindesrecht, BTJP 1977, p. 92; JORIO, Der Inhaber der elterlichen Gewalt nach dem neuen Kindesrecht, thèse Fribourg 1977, p. 258; JORNOD, La femme et le nom en droits suisse et français, thèse Lausanne 1991, p. 180; PERRIN, Le juge du divorce peut-il instaurer l'autorité parentale conjointe?, in SJ 112/1990 p. 372 ss; SANDOZ, Attribution conjointe de l'autorité parentale aux parents divorcés?, in Mélanges Piotet, 1990, p. 107 ss; SPÜHLER, Abänderungs- oder Ergänzungs- (bzw. Nach-)verfahren zum Ehescheidungsprozess, in RSJ 79/1983 p. 38; STETTLER, Le droit suisse de la filiation, in Traité de droit privé suisse, III/II/1, p. 280; TUOR/SCHNYDER, Das Schweizerische Zivilgesetzbuch, 10e éd., p. 173 et 320; cf. également HAUSHEER, Die Zuteilung der elterlichen Gewalt im Scheidungsverfahren nach der neueren Rechtsprechung des Bundesgerichts, in RDT 38/1983 p. 135 s.; contra: BALSCHEIT, Gemeinsame Elternverantwortung BGE 117 II 523 S. 525 auch nach der Scheidung?, in RSJ 84/1988 p. 25 ss; GÜRZUMAR, op.cit., p. 188). La pratique des juridictions de première instance se distance parfois de cette opinion. Ainsi, la première section du Tribunal du district de Saint-Gall, qui a ratifié une convention de parents divorcés prévoyant l'exercice conjoint de l'autorité parentale (RSJ 85/1989 p. 139 ss). Ce cas n'est d'ailleurs pas isolé (cf. sur ce point: BRÄM, op.cit., p. 259; PERRIN, op.cit., p. 372 n. 2; HEGNAUER, op.cit., p. 371 ch. II; cf. aussi l'arrêt du Tribunal du district de Gelterkinden du 28 octobre 1986, cité par BALSCHEIT, op.cit., p. 25/26). En revanche, le Tribunal cantonal saint-gallois (RSJ 87/1991 p. 119 ss) et le Tribunal supérieur zurichois (RSJ 87/1991 p. 414 ss) ont condamné cette solution. c) Pendant le mariage, les père et mère exercent l'autorité parentale en commun ( art. 297 al. 1 CC ). Lorsque la vie commune est suspendue ou que les époux sont séparés de corps, le juge peut confier l'autorité parentale à un seul des époux ( art. 297 al. 2 CC ). L' art. 297 al. 3 CC dispose enfin qu'en cas de divorce, l'autorité parentale appartient à l'époux auquel les enfants sont confiés. Cette dernière disposition - dans le contexte des alinéas qui la précèdent (cf. PERRIN, op.cit., p. 373 in fine) - est claire et n'autorise pas le maintien de l'autorité parentale conjointe au profit de parents divorcés. Selon la jurisprudence, le juge peut toutefois s'écarter d'un texte clair lorsque des raisons sérieuses lui permettent de penser, sans doute possible ( ATF 112 Ib 472 let. c, ATF 105 Ib 62 consid. 5b, ATF 103 Ia 117 consid. 3), que ce texte ne restitue pas le sens véritable de la norme ( ATF 116 II 578 , ATF 115 Ia 137 let. b, ATF 113 Ia 14 let. c, ATF 112 Ib 472 let. c, ATF 112 III 110 ) et conduit à des résultats que le législateur ne peut avoir voulus et qui heurtent le sentiment de la justice ou le principe de l'égalité de traitement ( ATF 112 III 110 , 109 Ia 27 let. d). De telles raisons peuvent découler des travaux préparatoires, du but et du sens de la disposition, ainsi que de la systématique de la loi (ATF ATF 116 II 578 , ATF 115 Ia 137 let. b, ATF 113 Ia 14 let. c, ATF 111 Ia 297 , ATF 108 Ia 297 ). En dehors du cadre ainsi défini, des considérations fondées sur le droit désirable ne permettent pas de s'écarter du texte clair de la loi, surtout lorsqu'elle est récente ( ATF 105 Ib 62 consid. 5b). d) Lors des débats parlementaires relatifs à la révision du droit de la filiation, une proposition Condrau visait à introduire un art. 297 al. 2 CC , aux termes duquel "lorsque la vie commune est suspendue, que les époux sont séparés de corps ou qu'ils ont BGE 117 II 523 S. 526 divorcé, le juge peut confier l'autorité parentale aux deux époux ou à un seul d'entre eux". Le Conseil national a clairement rejeté cette proposition par 94 voix contre 7 (BOCN 1975 p. 1777 ss), non sans que les parlementaires eussent entendu un bref exposé critique des droits français et allemand qui connaissent cette institution (Intervention du Conseiller fédéral Furgler, ibid. p. 1779; JORIO, op.cit., p. 59). L'interprétation historique corrobore donc, "sans doute possible", l'interprétation littérale de l' art. 297 al. 3 CC (PERRIN, op.cit., p. 374 in fine). Certes, les travaux préparatoires ne sont, en soi, ni obligatoires ni même décisifs pour l'interprétation d'une norme ( ATF 116 Ia 368 , ATF 116 II 527 let. b, ATF 112 II 4 ). Il n'en demeure pas moins qu'ils peuvent être notamment utiles dans la mesure où, comme en l'espèce, la volonté du législateur s'est manifestée dans le texte à interpréter ( ATF 116 Ia 368 , 115 Ia 130 consid. 3a, ATF 112 II 4 ). En outre, les intentions du législateur ont d'autant plus de poids que le texte à interpréter est récent ( ATF 115 Ia 130 consid. 3a, ATF 112 Ib 470 consid. 3b, ATF 109 Ia 303 ). Or, tel est le cas pour l' art. 297 al. 3 CC (PERRIN, op.cit., p. 375 in fine). Cette disposition résulte d'un jugement de valeur délibéré du législateur: c'est le meilleur moyen d'assurer le bien de l'enfant (BOCN 1975 p. 1778 s.; JORIO, op.cit., p. 58; SANDOZ, op.cit., p. 112). Personne ne prétend que ce but serait modifié ou dépassé (HEGNAUER, op.cit., p. 372 ch. 2). Il est vrai que l'intérêt de l'enfant peut, si ce n'est commander dans certaines circonstances l'exercice commun de l'autorité parentale par ses parents divorcés, du moins ne pas s'y opposer (cf. RSJ 85/1989 p. 141 consid. 3). Mais, en dernière analyse, cette solution répond bien davantage à une revendication du parent non attributaire, lequel veut participer aux décisions qui concernent son enfant. Il est significatif de relever que la "garde conjointe" du droit français - d'abord consacrée par la voie prétorienne, puis à l'art. 287 CCF, introduit par la loi No 87-570 du 22 juillet 1987 sur l'exercice de l'autorité parentale - paraît bien être le résultat d'une prise en compte des revendications paternelles (cf. DE GRAFFENRIED, L'enfant au regard des droits français et suisse, Lausanne 1984, p. 90 No 105; MEULDERS-KLEIN, La problématique du divorce dans les législations d'Europe occidentale, in RIDC 1989 p. 52/53 et 55). Or, cette considération détournerait l' art. 297 al. 3 CC de son but premier. Il n'appartient pas au juge de substituer sa propre définition de l'intérêt de l'enfant à celle que le législateur a préférée expressément dans cette disposition BGE 117 II 523 S. 527 et de s'ériger ainsi en censeur de la loi ( ATF 115 II 275 ). En admettant même l'existence d'une lacune improprement dite - ce qui n'est pas le cas (RSJ 87/1991 p. 121 let. c in fine) -, le juge ne pourrait la combler qu'aux conditions de l' art. 2 al. 2 CC ( ATF 115 II 275 , ATF 114 II 356 consid. 1), qui ne seraient à l'évidence pas remplies (HEGNAUER, op.cit., p. 372 ch. 2; RSJ 87/1991 p. 416 consid. 4). On peut cependant soulever une objection. En cas de séparation de corps, le juge peut confier l'autorité parentale aux deux époux séparés ( art. 297 al. 2 CC a contrario). Cette disposition peut surprendre dans la mesure où la situation des parents séparés n'est, en fait, guère différente de celle des parents divorcés, surtout lorsque la séparation de corps est prononcée pour une durée indéterminée (cf. les critiques de BALSCHEIT, op.cit., p. 27). Mais il faut remarquer d'emblée que la nouvelle réglementation légale visait à mettre un terme à une controverse au sujet de l'attribution de l'autorité parentale en cas de séparation de corps (FF 1974 II 73; cf. BÜHLER/SPÜHLER, op.cit., n. 127 ad art. 156 CC et les références). Il semble bien, en outre, que l'autorité parentale conjointe soit la conséquence du lien conjugal, plutôt que de la vie commune. L' art. 297 al. 1 CC paraît corroborer cette thèse, qui dispose que pendant le mariage, les père et mère exercent l'autorité parentale en commun (cf. RSJ 87/1991 p. 119 consid. 1). La même remarque pourrait d'ailleurs être faite à propos de l' art. 298 al. 1 CC , en vertu duquel l'autorité parentale appartient à la seule mère lorsque celle-ci n'est pas mariée avec le père (RSJ ibid.; cf. aussi ATF 114 II 415 ). Or, contrairement au divorce, le jugement prononçant la séparation de corps ne dissout pas le lien conjugal ( ATF 95 II 72 consid. 2a et les références). Au surplus, la norme permissive (Kann-Vorschrift) de l' art. 297 al. 2 CC résulte également d'un choix délibéré. Si le législateur avait voulu laisser la même latitude au juge du divorce, il aurait utilisé une formule identique pour l'al. 3 (PERRIN, op.cit., p. 373 in fine). On ne saurait suivre BALSCHEIT (op. cit., p. 27/28, critiqué également par HEGNAUER, op.cit., p. 371 ch. III/1), pour qui l' art. 297 al. 3 CC , à l'inverse de l'al. 2, ne s'adresserait pas au juge, mais accorderait une faculté, donc un droit subjectif, au parent attributaire d'associer l'autre à l'exercice de l'autorité parentale. Cette opinion méconnaît que l' art. 297 al. 3 CC doit être mis en relation avec l' art. 156 al. 1 CC : c'est le juge qui attribue l'enfant, le cas échéant homologue une convention des parties sur ce point. BGE 117 II 523 S. 528 e) Selon la jurisprudence, dans l'interprétation d'un texte légal, le principe de l'égalité de traitement doit être respecté, quand bien même le Tribunal fédéral ne peut examiner la constitutionnalité des lois fédérales ( art. 113 al. 3 Cst. ; ATF 112 Ib 470 consid. 3b). A ce propos, l'attribution de l'autorité parentale conjointe aux parents divorcés est souvent présentée comme la réalisation du postulat d'égalité entre les époux (cf. RSJ 85/1989 p. 142; BALSCHEIT, op.cit., p. 28/29). Il faut toutefois relever que l'art. 4 al. 2, 2e phrase, Cst. déclare expressément que c'est la loi, non la jurisprudence, qui pourvoit à l'égalité de traitement, en particulier dans le domaine de la famille (SANDOZ, op.cit., p. 112). Il n'appartient donc pas au Tribunal fédéral de modifier une norme discriminatoire, si tant est que l' art. 297 al. 3 CC le soit, pour la rendre conforme à cette disposition constitutionnelle ( ATF 109 Ib 85 consid. 2, ATF 109 II 97 consid. 7), puisque l'art. 4 al. 2, 2e phrase, Cst. ne crée pas un droit individuel à l'égalité de traitement entre hommes et femmes ( ATF 114 Ia 331 in fine). Au surplus, comme le remarque SANDOZ (op.cit., p. 113/114), le principe d'égalité interdit simplement d'exclure a priori la possibilité pour l'un ou l'autre des parents de se voir attribuer l'autorité parentale. On ne saurait enfin tirer argument de ce que la Cour constitutionnelle allemande a déclaré contraire à la Loi fondamentale (Grundgesetz) - plus précisément au droit naturel qui appartient aux deux parents d'éduquer leurs enfants (art. 6 al. 2 GG) - le § 1671 al. 4 BGB, selon lequel l'autorité parentale doit être attribuée à un seul parent (EuGRZ 1982 p. 429 ss et note COESTER, ibid., p. 434, ainsi que les commentaires de BRAND, in RIDC 1984 p. 391 ss, et de THÜR, in Plädoyer 1/1983 p. 7 s.). Non seulement le Tribunal fédéral ne jouit pas d'une telle compétence ( art. 113 al. 3 Cst. ), mais on pourrait mentionner des exemples en sens contraire (ainsi le droit autrichien cité par HEGNAUER, op.cit., p. 371 n. 15). f) S'il est interdit au juge d'attribuer l'autorité parentale aux deux parents divorcés, ou de ratifier une convention qui l'institue, rien n'empêche, de lege lata, une large collaboration des parents dans leurs relations avec les enfants. HEGNAUER (op.cit., p. 370 s. ch. 4) relève à juste titre que l' art. 297 al. 3 CC ne s'oppose pas à un accord dérogeant à la réglementation prévue par le jugement de divorce: le titulaire de l'autorité parentale peut ainsi accorder au parent non attributaire un droit de visite plus étendu que celui prévu par le jugement, voire lui confier la garde de l'enfant; il peut également l'associer à l'exercice de l'autorité parentale, en requérant BGE 117 II 523 S. 529 son approbation pour des décisions importantes (cf. également HAUSHEER, op.cit., p. 135; SANDOZ, op.cit., p. 116; contra: BALSCHEIT, op.cit., p. 26). Ces dérogations sont valables autant et aussi longtemps que le détenteur de l'autorité parentale est d'accord et que l'intérêt de l'enfant n'en est pas compromis. Les parents divorcés exerceraient en pratique, et dans la mesure convenue, une autorité parentale conjointe interne (HEGNAUER, op.cit., p. 371 ch. IV in fine). g) Il faut enfin signaler qu'un postulat Mascarin a invité le Conseil fédéral à réexaminer l' art. 297 al. 3 CC , "à l'effet de prévoir une amélioration qui laisserait aux parents la possibilité d'exercer en commun l'autorité parentale après leur divorce également" (BOCN 1983 p. 1003). Ce postulat, qui fait suite à l'arrêt de la Cour constitutionnelle allemande précité, ainsi qu'à deux expertises effectuées en Allemagne, sera examiné dans le cadre de la révision du droit du divorce (HEGNAUER, op.cit., p. 371 ch. II). On ne saurait introduire cette possibilité par la voie prétorienne (cf. PERRIN, op.cit., p. 377); le postulat confirme au contraire comment la loi actuelle doit être comprise. h) En conclusion, la cour cantonale n'a pas violé le droit fédéral en refusant de ratifier la clause de la convention prévoyant l'autorité parentale conjointe sur les enfants Cecilia et Michael et en réformant d'office le jugement sur ce point. Le moyen doit dès lors être rejeté.
public_law
nan
fr
1,991
CH_BGE
CH_BGE_004
CH
Federation
2160dedf-1f5d-4cce-9e73-23708c0601aa
Urteilskopf 81 II 512 79. Urteil der I. Zivilabteilung vom 13. Dezember 1955 i. S. Blaser gegen Aekermann.
Regeste 1. Art. 42 Abs. 2, 46 Abs. 1 OR. Bestandteile des Schadens, den ein von einem Hund ins Gesicht gebissenes Mädchen erleidet: Kosten einer kosmetischen Operation, Erschwerung des wirtschaftlichen Fortkommens durch Beeinträchtigung der Berufswahl und der Heiratsmöglichkeit (Erw. 2). 2. Art. 43 Abs. 1 OR . Das Fehlen des Verschuldens des Tierhalters mindert dessen Ersatzpflicht nicht. Andere Umstände, die sie mindern könnten? (Erw. 3). Bedeutung des Umstandes, dass der Schaden erst später in vollem Umfange entstehen wird (Erw. 4). Verzinsung der Schadenersatzforderung (Erw. 6). 3. Art. 47 OR . Voraussetzungen und Höhe der Genugtuung für Körperverletzung (Erw. 5). Verzinsung (Erw. 6).
Sachverhalt ab Seite 513 BGE 81 II 512 S. 513 A.- Am 14. Februar 1953 gegen Mittag spazierte Dora Ackermann mit ihrem damals zweieinhalb Jahre alten Töchterchen Isabelle und einer an der Leine geführten Schäferhündin auf der Dammstrasse in Oftringen am Hause des Hans Blaser vorbei. In diesem Zeitpunkt kam Blasers sechsjähriger Chow-Chow-Hund bellend aus dem Garten, in dem er sich meistens frei aufhielt. Durch den Lärm aufmerksam geworden, trat Frau Blaser vor die Haustüre und befahl dem Hunde, ruhig zu sein. Nachher unterhielt sie sich mit Frau Ackermann und achtete nicht mehr auf den Chow-Chow, der am Boden herumschnüffelte und scheinbar beruhigt war. Isabelle Ackermann kauerte einige Schritte vom Hund Blasers entfernt am Boden und machte Schneehäufchen. Plötzlich drehte sich dieser Hund gegen sie und biss sie in die rechte Wange, ohne dass er irgendwie gereizt oder sonst dazu veranlasst worden wäre. Isabelle erlitt eine schwere Wunde, die zwischen rechtem Augenwinkel und Ohr begann, geradlinig in die Nähe des Mundes verlief und dort rechtwinklig gegen die Nasenwurzel abbog. Die Wunde musste zwölffach geheftet werden. In der Folge entwickelte sich eine hypertrophische, keloidartige, verhärtete Narbe, die sich rosafarben und hässlich über die Haut erhebt. Sie wird sich von 4 cm entsprechend dem Wachstum des Kindes auf 5-6 cm verlängern und das Gesicht dauernd entstellen, obwohl die rote Farbe der Biss-Stelle möglicherweise verblassen wird. Eine kosmetische Operation kann die Narbe höchstens schmäler und blasser machen. Ihr Erfolg ist aber nicht sicher. B.- Isabelle Ackermann klagte am 12. Januar 1954 gegen Hans Blaser auf Fr. 20'000.-- Schadenersatz und Genugtuung nebst 5% Zins seit 14. Februar 1953. Das Bezirksgericht Zofingen hiess die Klage im Betrage BGE 81 II 512 S. 514 von Fr. 9000.-- nebst 5% Zins seit 14. Februar 1953 gut. Hiegegen appellierte der Beklagte mit dem Antrag, die Klage sei insoweit abzuweisen, als sie auf Zahlung von mehr als Fr. 3000.-- gehe. Das Obergericht des Kantons Aargau wies die Appellation am 17. Juni 1955 ab. Es ging davon aus, die Klägerin habe für Schmerzen und psychische Belastung Anspruch auf eine Genugtuung von wenigstens Fr. 2000.--, und der Rest von Fr. 7000.-- des erstinstanzlich zugesprochenen Gesamtbetrages rechtfertige sich als Ersatz für den Schaden, den die Klägerin namentlich in der Form der Beeinträchtigung ihres wirtschaftlichen Fortkommens erleiden werde. Dass dieser Schaden sich erst nach etwa 15 Jahren auswirken und die zuerkannte Summe inzwischen bei einem Zinssatz von 2 1/2% mit Zinseszinsen auf rund Fr. 10'100.-- ansteigen werde, gebe nicht Anlass zu einer Herabsetzung. C.- Der Beklagte führt Berufung mit den Anträgen: 1. Das Urteil des Obergerichts sei aufzuheben und die Klage abzuweisen, soweit an Genugtuung und Schadenersatz mehr als Fr. 3000.-- verlangt würden; 2. Eventuell sei die Klage höchstens im Betrage von Fr. 5000.-- zu schützen; 3. Der Verzugszins sei erst ab 12. Januar 1954 zuzusprechen. D.- Die Klägerin beantragt, die Berufung sei abzuweisen. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Die Klägerin hat durch den Hund des Beklagten eine Körperverletzung erlitten, für deren Folgen der Beklagte, wie er nicht mehr bestreitet, gemäss Art. 56 Abs. 1 OR aufzukommen hat. Streitig ist nur noch die Höhe des Schadenersatzes und der Genugtuung, wobei der Beklagte einen Gesamtbetrag von Fr. 3000.--, eventuell Fr. 5000.--, für genügend hält, während die Klägerin sich mit dem ihr im kantonalen Verfahren zugesprochenen Betrag von Fr. 9000.-- abfinden will. BGE 81 II 512 S. 515 2. Gemäss Art. 46 OR gibt Körperverletzung dem Verletzten Anspruch auf Ersatz der Kosten sowie auf Entschädigung für die Nachteile gänzlicher oder teilweiser Arbeitsunfähigkeit, unter Berücksichtigung der Erschwerung des wirtschaftlichen Fortkommens. a) Als Kosten fallen die Auslagen für ärztliche Behandlung in Betracht. Die Klägerin hat sie nicht belegt, doch gibt der Beklagte zu, dass sie sich auf etwa Fr. 100.-- belaufen. Sie werden sich noch um Fr. 300.-- bis 500.-- vermehren, wenn die Klägerin, wie der Beklagte ihr zumutet, sich zur Verbesserung des Aussehens der Narbe einer Operation unterziehen wird, die der Spezialarzt Dr. Buff frühestens nach Ablauf von drei Jahren für angezeigt hält. Diese Operation wird nicht schmerzhaft sein, nach Erklärung des Facharztes den Zustand nicht verschlimmern, wahrscheinlich aber das Aussehen der Narbe verbessern. Es darf daher von der Klägerin erwartet werden, dass sie sich dieser Massnahme, die den Schaden voraussichtlich verringern kann, unterziehe. Unter diesen Umständen sind die Kosten der Operation in die Schadensrechnung einzubeziehen, während anderseits der übrige Schaden nach dem Aussehen zu bestimmen ist, das die Narbe voraussichtlich nach der Operation haben wird. b) Wie der Beklagte zutreffend geltend macht, wird die Arbeitsfähigkeit der Klägerin, sei es mit, sei es ohne Nachoperation, durch die ausgeheilte Wunde nicht beeinträchtigt werden. Das Obergericht stellt aber fest, auch nach der Operation werde eine Narbe verbleiben, wenn auch wahrscheinlich abgeblasster, weniger auffällig und weniger verunstaltend, als sie jetzt ist. Das ist auch die Auffassung des Arztes. Obschon er die schliesslich zurückbleibende kosmetische Einbusse als gering bezeichnet, ist daher an einer gewissen bleibenden Erschwerung des wirtschaftlichen Fortkommens der Klägerin nicht zu zweifeln. Wie sich das in ihrem Einkommen auswirken wird, braucht nicht zahlenmässig dargetan zu werden. Wer Schadenersatz beansprucht, hat zwar den Schaden zu BGE 81 II 512 S. 516 beweisen ( Art. 42 Abs. 1 OR ). Aber der nicht ziffermässig nachweisbare Schaden ist nach Ermessen des Richters mit Rücksicht auf den gewöhnlichen Lauf der Dinge und auf die vom Geschädigten getroffenen Massnahmen abzuschätzen ( Art. 42 Abs. 2 OR ). Solchen Schaden wird die Klägerin erleiden. Als Kind eines Apothekers wird sie sich nicht mit einem Berufe begnügen wollen, der nur handwerkliches Können erfordert. Sie wird daher in der Berufswahl behindert sein. Einen Beruf, der Anforderungen an ein einnehmendes Aussehen stellt, wird sie nicht wählen oder im Wettbewerbe mit anderen nur mit Nachteil ausüben können. Nach der Erfahrung des Lebens schränken Narben im Gesicht einer Frau, selbst wenn sie dieses nur geringfügig entstellen, auch die Möglichkeit der Verheiratung und damit die mit der Heirat verbundene Verbesserung des wirtschaftlichen Fortkommens ein. Unter diesen Gesichtspunkten ist schon in BGE 33 II 124 ff. einem Mädchen, das durch Hundebiss ins Gesicht verletzt worden war, Schadenersatz zugesprochen worden. Indem das Obergericht im vorliegenden Falle den Schaden mit gleicher Begründung bejahte, hat es das Ermessen in diesem wesentlich tatbeständlichen Bereiche nicht überschritten. Das Bundesgericht hat keinen Grund, in diesen von persönlichen und örtlichen Umständen mitbestimmten Fragen (vgl. BGE 79 II 387 a. E.) anders zu entscheiden. 3. Gemäss Art. 43 Abs. 1 OR sind Art und Grösse des Ersatzes für den eingetretenen Schaden vom Richter zu bestimmen, "der hiebei sowohl die Umstände als die Grösse des Verschuldens zu würdigen hat". Auf das Verschulden kommt für die Bestimmung der Grösse des Ersatzes aber nur etwas an, wenn es Voraussetzung der Ersatzpflicht ist. Im vorliegenden Falle ist es das nicht, da der Beklagte den ihm nach Art. 56 Abs. 1 OR obliegenden Entlastungsbeweis nicht erbracht hat. Der Einwand des Beklagten, er habe den Schaden nicht verschuldet, hilft daher nicht. Der Beklagte legt BGE 33 II 132 falsch aus, wenn er daraus ableitet, für die BGE 81 II 512 S. 517 Ersatzbemessung komme etwas darauf an, ob den Tierhalter ein Verschulden treffe. Lediglich in der Abschätzung des Schadens, nicht in der Bestimmung der Höhe des Ersatzes, liess sich dort der Richter vom Gedanken leiten, dass Zurückhaltung nicht am Platze sei, weil den Ersatzpflichtigen ein schweres Verschulden treffe. Dass fehlendes Verschulden ein Grund sei, den nach dem gewöhnlichen Lauf der Dinge zu erwartenden Schaden nicht voll ersetzen zu lassen, heisst das nicht. Übrigens ist der Beklagte nicht frei von jedem Vorwurf, hat doch der gleiche Hund schon anderthalb Jahre früher ein zweieinhalb Jahre altes Kind gebissen. Das hätte den Eigentümer veranlassen sollen, ihn sorgfältiger zu beaufsichtigen. Ebensowenig setzt der Umstand, dass die Mutter der Klägerin eine Schäferhündin mitführte, die Ersatzpflicht des Beklagten herab. Das Obergericht verneint verbindlich, dass die Anwesenheit dieser an der Leine geführten Hündin den Schaden mitverursacht oder ihn vergrössert habe. Zudem hatte die Klägerin weder für die Anwesenheit der Schäferhündin, noch dafür einzustehen, dass sie selbst, wie der Beklagte vermutet, vom Geruch dieses Tieres behaftet gewesen sei und damit die Erregung des Chow-Chow gesteigert habe. Die Klägerin war nicht Tierhalterin, und sie hätte die vom Beklagten behaupteten Tatsachen auch nicht verschuldet. Es besteht daher kein Anlass, den Beklagten nicht zum Ersatz des vollen Schadens zu verpflichten. 4. Der volle Ersatz aber ist vom Obergericht mit Fr. 7000.-- nicht unrichtig bestimmt worden, selbst wenn berücksichtigt wird, dass das wirtschaftliche Fortkommen der Klägerin erst in der Zukunft erschwert werden wird und der Betrag bis dahin an Zins gelegt werden kann. Es trifft nicht zu, dass die Klägerin erst im Alter von 22 1/2 Jahren voll geschädigt sein wird, wie der Beklagte behauptet. Das Obergericht nimmt mit Recht an, das werde schon in etwa 15 Jahre zutreffen. Gewiss liegt auch so im sofortigen Zuspruch des Ersatzes ein nicht BGE 81 II 512 S. 518 unbeachtlicher Vorteil. Aber selbst unter der Voraussetzung, dass es der Klägerin gelinge, aus dem Betrage nicht nur 2 1/2% Zins zu ziehen, wie das Obergericht annimmt, sondern 3 1/2%, wie der Beklagte unter Hinweis auf die bundesgerichtliche Rechtsprechung zur Bestimmung des Barwertes von Invalidenrenten geltend macht, ergibt sich daraus nicht eine Überbewertung des Schadens. In BGE 33 II 124 ff., wo ebenfalls über den durch Einschränkung der Berufswahl und der Heiratsmöglichkeit entstehenden Schaden zu befinden war, der einem ins Gesicht gebissenen Mädchen bevorstand, wurde denn auch im vorzeitigen Zuspruch des Ersatzes kein Grund zur Minderung des Betrages gesehen. Die Kritik des Beklagten am angefochtenen Urteil schlägt umsoweniger durch, als der Schaden ohnehin nur ermessensmässig bestimmt werden kann und die Ungewissheit über die tatsächlichen Auswirkungen der erlittenen Verletzung sich nicht zuungunsten der Klägerin auswirken darf, sondern vom Beklagten, der für das schädigende Ereignis voll einzustehen hat, in Kauf genommen werden muss. Zu bedenken ist endlich, dass nichts im Wege stünde, die nachgesuchte Herabsetzung des Schadenersatzes durch eine Erhöhung der Genugtuung wettzumachen, die das Gesetz in das richterliche Ermessen stellt. 5. Hat die unerlaubte Handlung eine Körperverletzung zur Folge, so kann der Richter unter Würdigung der besonderen Umstände dem Verletzten eine angemessene Geldsumme als Genugtuung zusprechen ( Art. 47 OR ). Ein Verschulden des Haftbaren setzt diese Bestimmung nicht voraus ( BGE 74 II 210 ff.). Schon deshalb versagt der Einwand des Beklagten, es treffe ihn kein Verschulden. Wie bereits erwähnt, kann ein solches übrigens nicht verneint werden, wenn es auch nicht besonders schwer war. Eine Geldsumme als Genugtuung rechtfertigt sich im vorliegenden Falle als Ausgleich für die Schmerzen, welche die Klägerin hat ausstehen müssen, und die erhebliche BGE 81 II 512 S. 519 seelische Belastung, welche die dauernde Entstellung ihres Gesichts durch die Narbe zur Folge hat. Auch die Höhe der zugesprochenen Genugtuungssumme von Fr. 2000.-- verletzt das Gesetz nicht. Sie bleibt im Rahmen des Ermessens. Dieses wäre selbst dann nicht überschritten, wenn ein Betrag von Fr. 3000.-- bis 4000.-- zuerkannt worden wäre. 6. Der Beklagte beanstandet den ab 14. Februar 1953 zugesprochenen Zins mit der Begründung, am Tage des Unfalles sei noch keine Forderung fällig gewesen; Verzugszins für hypothetischen, zukünftigen Schaden könne frühestens ab Einreichung der Klage zugesprochen werden. Er verkennt, dass die Schadenersatz- und Genugtuungsforderung mit Eintritt des den Anspruch begründenden Ereignisses fällig wird und dass der gemäss ständiger Rechtsprechung ab diesem Tage zuzusprechende Zins (vgl. z.B. BGE 33 II 133 Erw. 7) nicht Verzugszins, sondern Bestandteil des Schadenersatzes bezw. der Genugtuung ist. Er bezweckt, den Anspruchsberechtigten so zu stellen, wie wenn er für seine Forderung am Tage der unerlaubten Handlung befriedigt worden wäre. Dass im vorliegenden Falle ein Teil des Schadens erst später eintreten wird, rechtfertigt keine Abweichung, da dem Umstande, dass der Ersatz schon heute zugesprochen wird, in dessen Bemessung Rechnung getragen wird. Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Berufung wird abgewiesen und das Urteil der I. Abteilung des Obergerichts des Kantons Aargau vom 17. Juni 1955 bestätigt.
public_law
nan
de
1,955
CH_BGE
CH_BGE_004
CH
Federation
2174f5d2-b847-4637-ab2f-a462d8705131
Urteilskopf 89 III 7 2. Entscheid vom 27. Februar 1963 i.S. Schraner.
Regeste Betreibungsort des Wohnsitzes. Art. 46 Abs. 1 und 53 SchKG . Der Schuldner, der zur Zeit der Pfändungsankündigung die durch konkludente Handlungen und ausdrückliche Erklärungen bezeugte Absicht hat, sich an einem bestimmten Ort dauernd niederzulassen, hat dort seinen Wohnsitz, auch wenn er sich in jenem Zeitpunkt krankheitshalber anderswo aufhält.
Sachverhalt ab Seite 7 BGE 89 III 7 S. 7 A.- Emil Schraner wurde von seiner gerichtlich getrennten Ehefrau am 27. September 1960 und am 29. September 1961 für rückständige Unterhaltsbeiträge in Zürich betrieben. Nachdem der Einzelrichter im summarischen Verfahren des Bezirks Zürich am 2. November 1961 in den beiden genannten Betreibungen definitive Rechtsöffnung gewährt hatte, stellte die Gläubigerin am 17. November 1961 beim Betreibungsamt Horgen das Pfändungsbegehren. Schraner hatte sich nämlich am 25. Oktober 1961 in Zürich nach Horgen abgemeldet und dort eine Wohnung gemietet. Tatsächlich hielt er sich jedoch seit Anfang August 1961 aus Gesundheitsgründen zumeist in Bendel bei Kappel (St. Gallen) auf. Das Betreibungsamt Horgen ersuchte deshalb das Betreibungsamt Kappel, die Pfändung zu vollziehen, was am 22. Januar 1962 geschah, jedoch mit negativem Ergebnis, indem der Schuldner bestritt, über pfändbare Aktiven zu verfügen. Die beiden Pfändungsurkunden wurden damit für die Gläubigerin zu Verlustscheinen ( Art. 115 SchKG ). Am 20. Februar 1962 reichte Frau Schraner gegen ihren BGE 89 III 7 S. 8 Ehemann Strafanzeige wegen Pfändungsbetruges ein. Um diesem Vorwurf mit der Begründung entgegentreten zu können, dass es an der Strafbarkeitsbedingung des Bestehens eines Verlustscheines gemäss Art. 164 StGB fehle, erhob Schraner am 24. Oktober 1962 beim Bezirksgericht Horgen als unterer kantonaler Aufsichtsbehörde über Schuldbetreibung und Konkurs Beschwerde mit dem Antrag, die im Auftrag des Betreibungsamtes Horgen in Kappel vollzogenen Pfändungen und die beiden Verlustscheine seien, weil nichtig, von Amtes wegen aufzuheben; er habe nie in Horgen Wohnsitz gehabt, so dass das dortige Betreibungsamt örtlich nicht zuständig gewesen sei. B.- Das Bezirksgericht Horgen wies die Beschwerde am 26. Oktober 1962 ab, worauf Schraner an das Obergericht des Kantons Zürich gelangte, das am 22. Januar 1963 seinerseits zur Abweisung des Rekurses gelangte. C.- Schraner rekurriert gegen diesen Entscheid an das Bundesgericht. Erwägungen Die Schuldbetr.- und Konkurskammer zieht in Erwägung: 1. Nach Art. 46 Abs. 1 SchKG ist der Schuldner an seinem Wohnsitz zu betreiben. Verändert er diesen, nachdem ihm die Pfändung angekündigt worden ist, so wird die Betreibung am bisherigen Orte fortgesetzt ( Art. 53 SchKG ). Im vorliegenden Falle war somit das Betreibungsamt Horgen zum Vollzug der Pfändung zuständig, sofern der Rekurrent im Zeitpunkt der Pfändungsankündigung, die am 20. November 1961 erfolgte, seinen Wohnsitz in Horgen hatte, d.h. dort mit der Absicht dauernden Verbleibens niedergelassen war ( Art. 23 Abs. 1 ZGB ; BGE 82 III 12 ). 2. Nach dem angefochtenen Entscheid steht mit Sicherheit fest, dass der Rekurrent am 20. November 1961 nicht mehr in Zürich wohnte, sondern sich dort am 25. Oktober 1961 nach Horgen abgemeldet hatte. Aus verschiedenen konkludenten Handlungen und ausdrücklichen BGE 89 III 7 S. 9 Erklärungen Schraners folgerte die Vorinstanz weiter, dass dieser beim Umzug nach Horgen und auch noch zur Zeit der Pfändungsankündigung die Absicht hatte, sich dauernd dort niederzulassen. Und in der Tat hatte er in Horgen eine Wohnung gemietet, seinen Hausrat dorthin verbracht und für die Zeit seiner Abwesenheit in Bendel eine Person beauftragt, seine Hausgeschäfte in Horgen zu besorgen und in der Wohnung zum Rechten zu sehen. Auch hatte er anlässlich des Rückzugs seiner Scheidungsklage erklärt, bei deren Einleitung Ende Dezember 1961 die Absicht gehabt zu haben, ständig in Horgen zu bleiben, und sich weiter im Frühjahr 1962, als er in Kappel betrieben wurde, auf den Standpunkt gestellt, er habe seinen Wohnsitz in Horgen. Angesichts dessen hat die Vorinstanz mit Recht auf jene Absicht und nicht auf den Umstand abgestellt, dass sich der Rekurrent zur Zeit der Pfändungsankündigung nicht tatsächlich in Horgen aufhielt. Seine Abwesenheit war nicht eine freiwillige in dem Sinne, dass er nicht in Horgen sein wollte, sondern sie war durch seinen Gesundheitszustand bedingt. Unter diesen Umständen war es sachlich gerechtfertigt, sie als vorübergehend, zufällig und nicht massgebend zu erachten, zumal der Aufenthalt Schraners in Bendel nach dessen eigener Erklärung ein blosser Kuraufenthalt war, also einem Sonderzweck diente, was die Annahme eines Wohnsitzes an diesem Orte ohnehin ausschlösse (EGGER, Kommentar, N. 26 zu Art. 23 ZGB ; s. auchBGE 20 I 40, 306; BGE 25 I 53 ). Dass Schraner später die Absicht dauernden Verbleibens in Horgen aufgegeben haben mag, ist für die Entscheidung der Frage nach seinem Wohnsitz am 20. November 1961 ohne Belang. Dispositiv Demnach erkennt die Schuldbetr.- u. Konkurskammer: Der Rekurs wird abgewiesen.
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Urteilskopf 80 III 139 32. Arrêt du 9 décembre 1954 dans la cause Borloz.
Regeste Widerspruchsverfahren. Verteilung der Parteirollen im Prozess ( Art. 106-109 SchKG ), wenn sich die Sache im Gewahrsam eines Vierten befindet.
Sachverhalt ab Seite 139 BGE 80 III 139 S. 139 A.- Par contrat passé en février 1954, Jakob Lanz a vendu une machine "Blitz-jumelle" à Ernest Frauchiger; il était stipulé que cet appareil restait à la disposition du vendeur, dans la boucherie que celui-ci exploitait dans l'immeuble de Paul Dorsaz. Le 15 juin 1954, Lanz, après avoir résilié son bail, a quitté définitivement les locaux qu'il occupait, sans emporter la machine "Blitz-jumelle". La veille, Dorsaz avait autorisé Frauchiger à laisser cet appareil dans son immeuble, en précisant cependant que cet accord n'influait pas BGE 80 III 139 S. 140 sur le droit de rétention qu'il avait en sa qualité de propriétaire des locaux. B.- Lanz ayant été poursuivi par divers créanciers, l'office des poursuites d'Aigle a saisi la machine "Blitzjumelle" le 18 juin 1954. Cet appareil fut revendiqué par Frauchiger. Le créancier Alphonse Borloz ayant contesté cette prétention, l'office a fixé au tiers revendiquant, en vertu de l'art. 107 LP, un délai de dix jours pour faire valoir son droit en justice. C.- Frauchiger a porté plainte contre cette mesure, en demandant que le délai pour intenter action fût imparti au créancier, conformément à l'art. 109 LP. L'Autorité inférieure de surveillance a admis la plainte, annulé la mesure attaquée et invité l'office des poursuites à procéder selon l'art. 109 LP. Le créancier Borloz a formé contre cette décision un recours qui a été rejeté, le 21 octobre 1954, par la Cour des poursuites et faillites du Tribunal cantonal vaudois. D.- Borloz défère la cause au Tribunal fédéral, en concluant derechef au rejet de la plainte de Frauchiger. Erwägungen Considérant en droit: Lors de la saisie du 18 juin 1954, la machine litigieuse n'était pas détenue par le débiteur, mais par Dorsaz, propriétaire de l'immeuble où elle se trouvait. A ce moment, en effet, Lanz avait quitté les locaux et n'exerçait plus aucune maîtrise de fait sur l'appareil "Blitz-jumelle". Le recourant prétend, il est vrai, que le débiteur tient à la disposition de Dorsaz le loyer dû jusqu'au 30 juin 1954. Mais il importe peu de savoir si Lanz aurait encore eu le droit d'occuper, au moment de la saisie, les locaux qu'il avait loués dans l'immeuble de Dorsaz. Ce qui est décisif, c'est qu'en fait il les avait abandonnés définitivement et qu'il n'exerçait plus de maîtrise sur la machine saisie. Comme celle-ci était détenue par une quatrième personne, la procédure des art. 106 et 107 LP n'est applicable que si ce quart détenteur exerçait la possession pour le BGE 80 III 139 S. 141 débiteur exclusivement (RO 73 III 66). Or ce n'est évidemment pas le cas. Il ressort au contraire de l'accord passé le 14 juin 1954 entre Frauchiger et Dorsaz que celui-ci se prévalait d'un droit de rétention sur l'appareil "Blitzjumelle"; il détenait donc cette machine pour la sauvegarde des prétentions qu'il faisait valoir contre le débiteur. D'autre part, il appert de la même convention qu'il exerçait également la possession dans l'intérêt de Frauchiger. Dans ces conditions, c'est au créancier poursuivant qu'il appartient d'intenter action, conformément à l'art. 109 LP. Dispositiv La Chambre des poursuites et des faillites prononce: Le recours est rejeté.
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1,954
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Urteilskopf 112 IV 139 41. Auszug aus dem Urteil der Anklagekammer vom 11. November 1986 i.S. Staatsanwaltschaft des Kantons Schaffhausen gegen Staatsanwaltschaften der Kantone Zürich, St. Gallen und Thurgau
Regeste Art. 263 BStP , Art. 349/350 StGB; Bestimmung des Gerichtsstandes. 1. Voraussetzung für die Teilung des Gerichtsstandes beim Zusammentreffen vieler durch mehrere Täter begangener Straftaten in casu verneint (E. 3). 2. Vorgehen im Sinne des "forum secundum praeventionis" (E. 4).
Sachverhalt ab Seite 140 BGE 112 IV 139 S. 140 B., C. und E. wurden vom Bezirksgericht St. Gallen am 10. November 1983 für in die Zeit von April bis Anfang Dezember 1982 fallende Delikte u.a. wegen gewerbs- und bandenmässigen Diebstahls verurteilt. Später ergab sich, dass B. zusammen mit C. und Fräulein D. zuvor Ende Januar 1983 einen Einbruchdiebstahl im Kanton Zürich und am 3./4. Februar 1983 zwei gleiche Delikte im Kanton Schaffhausen verübt hatten und dass C. und dessen nunmehrige Ehefrau C.-D. am 16. März und 11. Mai 1983 im Kanton St. Gallen in einen Massagesalon eingebrochen waren. Zudem gestand B., im November und Dezember 1984 zusammen mit F., G. und Frau H. und überdies vor und nach seiner Verurteilung vom 10. November 1983 zahlreiche weitere Diebstahlsdelikte begangen zu haben, an denen zum Teil I., K. und L. beteiligt waren. Im Zusammenhang mit einem im Fürstentum Liechtenstein ausgeführten Diebstahl, bei welchem als Täter A. in Betracht fiel, ergab sich der Verdacht, dass dieser in der Zeit von Juli bis November 1984 zusammen mit C. und überdies in den Jahren 1983 und 1984 zusammen mit E., M., N., Frau O. und Frau P. an zahlreichen Einbruchdiebstählen teilgenommen habe. Der Verdacht wurde schliesslich durch das Geständnis erhärtet, das A. am 19. Februar 1986 ablegte, nachdem er zusammen mit Q. verhaftet worden war und letzterer zugegeben hatte, mit A. von Mitte Oktober 1985 bis zur Verhaftung eine Reihe von Diebstählen verübt zu haben, wobei sie zum Teil bewaffnet waren. Von den durch die verschiedenen Tätergruppen in der Schweiz begangenen Diebstahlsdelikten entfallen 37 auf den Kanton SG 24 auf den Kanton TG BGE 112 IV 139 S. 141 9 auf den Kanton ZH 8 auf den Kanton SH 6 auf den Kanton BE 5 auf den Kanton SZ 4 auf den Kanton AR 4 auf den Kanton AI 3 auf den Kanton AG 3 auf den Kanton FR 3 auf den Kanton UR 2 auf den Kanton VS 1 auf den Kanton GR 1 auf den Kanton TI In der Folge geführte Gerichtsstandsverhandlungen verliefen erfolglos, so dass die Anklagebehörde des Kantons Schaffhausen am 18. September 1986 mit dem Begehren an die Anklagekammer des Bundesgerichts gelangte, es seien die Behörden des Kantons Zürich mit der weiteren Verfolgung und Beurteilung der genannten Verdächtigten zu befassen. Erwägungen Aus den Erwägungen: 3. Die Staatsanwaltschaft des Kantons Schaffhausen hat in ihrer Eingabe eventualiter eine Aufteilung des Verfahrens nach Tätergruppen vorgeschlagen. Eine solche Lösung wurde von der Rechtsprechung bisweilen namentlich dann als möglich erachtet, wenn zwei oder mehrere Tätergruppen zur Hauptsache unabhängig voneinander gehandelt hatten und nur wenige Querverbindungen bestanden, so dass sich eine geteilte Verfolgung und Beurteilung ohne zu grosse Schwierigkeiten durchführen liess und sich eine solche Regelung auch unter dem Gesichtspunkt der Prozessökonomie aufdrängte; denn von der Möglichkeit der Trennung des Verfahrens ist zurückhaltend Gebrauch zu machen ( BGE 69 IV 47 /48). Im vorliegenden Fall ergibt eine nähere Prüfung der Akten, dass zwar zwei Tätergruppen (A. und Kons. und B. und Kons.) das Bild beherrschen, dass jedoch zwischen ihnen vielfache, über den Mittäter C. laufende Querverbindungen bestehen, so dass eine Aufteilung des Verfahrens dem in Art. 349 StGB zum Ausdruck gebrachten Willen des Gesetzgebers, alle Tatbeteiligten wenn möglich am gleichen Ort zu verfolgen und zu beurteilen, zuwiderliefe. 4. Eine Lösung, die einerseits dem Bestreben nach Zweckmässigkeit und anderseits dem Grundgedanken des Gesetzes BGE 112 IV 139 S. 142 entgegenkommt, bietet im vorliegenden Fall ein von der Rechtsprechung in besonderen Fällen erprobtes Vorgehen im Sinne des sogenannten forum secundum praeventionis. Die Liste der hier in Betracht fallenden Straftaten zeigt, dass von den rund 110 Deliktsfällen mehr als die Hälfte (61) auf die Kantone St. Gallen und Thurgau entfallen, während sich der Rest auf insgesamt 12 Kantone verteilt. Bei dieser Sachlage, die ein Schwergewicht in den Kantonen St. Gallen und Thurgau ergibt, rechtfertigt es sich, den Gerichtsstand in einem von ihnen festzulegen, wobei unter ihnen die Zuständigkeit analog der gesetzlichen Norm des Art. 350 StGB zu bestimmen ist. Die ersten in einem der beiden Kantone zur Anzeige gebrachten Deliktsfälle sind die Einbrüche von C. und Frau C.-D. in Rorschach/SG. Nachdem die beiden Angeschuldigten bereits Ende Januar und Anfang Februar 1983 zusammen mit B. Einbruchdiebstähle verübt hatten, für welche die Bandenmässigkeit nach der Aktenlage nicht auszuschliessen ist, was im Rahmen der Gerichtsstandsbestimmung ausreicht, ist dieser Schluss auch für die in Rorschach verübten Einbruchdiebstähle begründet, zumal C. und Frau C.-D. inzwischen am 3. März 1983 geheiratet hatten und deshalb ein konkludenter Wille, die finanziellen Schwierigkeiten weiterhin vermittels Einbruchdiebstählen zu beheben und in diesem Sinne jederzeit zusammenzuwirken, in vermehrtem Masse begründet erscheint. Angesichts dessen ist deshalb der Gerichtsstand insgesamt im Kanton St. Gallen festzulegen.
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217e5c17-f01d-4c7c-8771-4165109615a5
Urteilskopf 80 III 103 22. Entscheid vom 6. November 1954 i. S. Hartmann.
Regeste Betreibungsferien und Fristen ( Art. 63 SchKG ). Verlängerung der während der Betreibungsferien zu Ende gehenden Fristen im Falle, dass der letzte Tag der Ferien ein Sonn- oder Feiertag ist. Art. 31 Abs. 3 SchKG ist auf die Betreibungsferien nicht anwendbar. Verlängerung bis zum dritten Werktag nach Ende der Ferien.
Sachverhalt ab Seite 103 BGE 80 III 103 S. 103 Den ihr am 13. September 1954 zugestellten Entscheid der untern Aufsichtsbehörde über ihre Beschwerde gegen das Betreibungsamt Lenzburg betreffend Verwertung ihres Anteils an einer Erbschaft zog Frau Hartmann am 30. September 1954 an die obere kantonale Aufsichtsbehörde weiter. Diese ist auf den Rekurs wegen Verspätung nicht eingetreten. Hiegegen rekurriert Frau Hartmann an das Bundesgericht mit dem Antrag, die Sache sei zur materiellen Behandlung ihrer Beschwerde an die Vorinstanz zurückzuweisen. Sie macht geltend, der Entscheid der untern Aufsichtsbehörde stelle eine Rechtsverweigerung dar, sodass seine Weiterziehung an keine Frist gebunden sei. Im übrigen sei die lotägige Frist eingehalten worden. Da der letzte Tag der bis zum 26. September 1954 dauernden BGE 80 III 103 S. 104 Bettags-Betreibungsferien ein Sonntag gewesen sei, seien die Ferien erst am Montag, dem 27. September 1954, zu Ende gegangen. Nach Art. 63 SchKG sei also die Frist bis zum 30. September 1954 verlängert worden. In BGE 47 III Nr. 3 habe das Bundesgericht entschieden, eine durch die Weihnachts-Betreibungsferien verlängerte Frist ende am 5. Januar. Erwägungen Die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer zieht in Erwägung: 1. Dass im Entscheid der untern Aufsichtsbehörde keine Rechtsverweigerung lag, hat die Vorinstanz mit zutreffenden Erwägungen dargetan. Jener Entscheid konnte daher nur binnen der lotägigen Frist von Art. 18 SchKG weitergezogen werden. 2. Diese Frist lief, da jener Entscheid am 13. September 1954 zugestellt worden war, bis zum 23. September 1954. Ihr Ende fiel also in die Bettags-Betreibungsferien, die vom 12. bis zum 26. September 1954 dauerten. Folglich kommt Art. 63 SchKG zur Anwendung, wonach im Falle, dass das Ende einer Frist in die Zeit der Ferien oder des Rechtsstillstandes fällt, die Frist bis zum dritten Tage nach dem Ende der Ferienzeit oder des Rechtsstillstandes verlängert wird. Der dritte Tag nach dem Ende der Ferien war der 29. September 1954. An diesem Tage lief also nach Art. 63 die Weiterziehungsfrist ab. JAEGER hat in seinem Kommentar (N. 7 zu Art. 63 SchKG ) freilich gesagt, er neige zur Ansicht, dass dann, wenn das Ende des Rechtsstillstandes oder der Ferien auf einen Sonn- oder Feiertag falle, die Ferien bezw. der Rechtsstillstand erst mit dem folgenden Tage schliessen ( Art. 31 Abs. 3 SchKG ); das Gesetz habe noch volle drei Tage zugeben wollen. Im III. Ergänzungsband (Schuldbetreibungs- und Konkurspraxis der Jahre 1920-1926) bemerkte er an der gleichen Stelle unter Hinweis auf BGE 47 III Nr. 3, wenn das Ende des Rechtsstillstandes oder der Ferien auf einen Sonn- oder Feiertag falle, so BGE 80 III 103 S. 105 werde die Frist (gemeint wohl: der Rechtsstillstand bezw. die Ferienzeit) bis zum folgenden Werktag verlängert; die im Kommentar vertretene Auffassung, dass das Gesetz die Frist um volle drei Tage verlängern wollte, sei nun vom Bundesgericht im eben erwähnten Entscheide sanktioniert worden. Die gleiche Bemerkung findet sich in JAEGER/DAENIKER, Schuldbetreibungs- und Konkurspraxis der Jahre 1911-1945. Aus Art. 31 Abs. 3 SchKG lässt sich jedoch nicht ableiten, dass die Betreibungsferien oder der Rechtsstillstand, wenn ihr letzter Tag ein Sonn- oder Feiertag ist, erst am darauf folgenden Werktag enden. Art. 31 SchKG gilt nur für Fristen, d.h. Zeitabschnitte, innert welcher eine am Verfahren beteiligte Person eine bestimmte Vorkehr zu treffen hat. Rechtsstillstand und Betreibungsferien sind etwas ganz anderes, nämlich Zeiträume, innert welcher Betreibungshandlungen nicht vorgenommen werden dürfen. Die Vorschriften, die im Interesse desjenigen, der eine Frist zu wahren hat, eine Verschiebung des Fristbeginns oder -ablaufs vorsehen, lassen sich daher auf die Betreibungsferien und den Rechtsstillstand nicht anwenden. JAEGER nimmt denn auch selber nicht an, dass die Betreibungsferien im Hinblick auf Art. 31 Abs. 1 SchKG erst sechs (statt sieben) Tage vor dem betreffenden Fest zu wirken beginnen. Ebensowenig dürfte er der Meinung gewesen sein, dass dann, wenn der letzte Tag einer Betreibungsferienzeit auf einen Sonntag fällt, Betreibungshandlungen am darauf folgenden Montag ausgeschlossen seien. Umsoweniger lässt sich seine Auffassung rechtfertigen, dass bei der Anwendung von Art. 63 SchKG in einem solchen Falle der Montag noch zu den Betreibungsferien zu rechnen sei. Auf BGE 47 III Nr. 3 berufen sich JAEGER und die Rekurrentin zu Unrecht. Damals hat das Bundesgericht lediglich entschieden, Art. 63 SchKG sei entsprechend dem französischen Texte dahin zu verstehen, dass eine während der Betreibungsferien ablaufende Frist bis zum dritten BGE 80 III 103 S. 106 Werktage (nicht einfach bis zum dritten Tage) nach Ende der Ferienzeit verlängert werde. Der 1. Januar 1921, an dem die damals in Frage stehenden Weihnachts-Betreibungsferien endigten, war (was aus jenem Entscheide nicht ersichtlich ist) ein Samstag. Der 5. Januar (Mittwoch), an dem der damalige Rekurrent gegen den ihm am 17. Dezember 1920 zugestellten Zahlungsbefehl Rechtsvorschlag erhob, war also der dritte Werktag nach Ende der Betreibungsferien. Allein aus diesem Grunde hat das Bundesgericht den Rechtsvorschlag als rechtzeitig erklärt. Im vorliegenden Falle war der 29. September 1954 nicht nur der dritte Tag, sondern auch der dritte Werktag nach Ferienende. Auch bei Anwendung des in BGE 47 III Nr. 3 ausgesprochenen Grundsatzes, an dem festzuhalten ist, erweist sich die Weiterziehung an die obere kantonale Aufsichtsbehörde somit als verspätet. Die Annahme JAEGERS, dass das Gesetz in Art. 63 SchKG noch "volle" drei Tage habe zugeben wollen, ist eine blosse Vermutung. Im übrigen ist das Postulat JAEGERS heute auch dann verwirklicht, wenn man die Nachfrist von Art. 63 so berechnet, wie die Vorinstanz es getan hat; denn Art. 31 Abs. 4 SchKG , der bestimmte, dass die Fristen am letzten Tage abends 6 Uhr ablaufen, ist durch Art. 169 OG aufgehoben worden. Schon deshalb kann die erwähnte Annahme JAEGERS keinen Grund mehr dafür bilden, über den Entscheid BGE 47 III Nr. 3 und damit über den klaren Wortlaut von Art.63 SchKG hinauszugehen. Dispositiv Demnach erkennt die Schuldbetr.- u. Konkurskammer: Der Rekurs wird abgewiesen.
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Urteilskopf 110 Ib 127 22. Extrait de l'arrêt de la IIe Cour de droit public du 5 avril 1984 dans la cause Société K. contre Administration fédérale des contributions (recours de droit administratif)
Regeste 1. Verrechnungssteuer, geldwerte Leistung ( Art. 4 Abs. 1 lit. b VStG ; Art. 20 Abs. 1 VStV ). Die Überweisung von Gewinnen einer schweizerischen AG an die deren Muttergesellschaft beherrschende ausländische Gesellschaft stellt nach schweizerischem Recht, das jede Gesellschaft eines Konzerns als juristisch selbständige Person betrachtet, keinen Aufwand dar, der eine nachträgliche künstliche Berichtigung der Gewinn- und Verlustrechnung erlaubt. Bei einer solchen Überweisung handelt es sich um eine der Verrechnungssteuer unterliegende geldwerte Leistung (E. 3). 2. Doppelbesteuerungsabkommen zwischen der Schweiz und den Vereinigten Staaten von Amerika, Art. VI Abs. 2. Anwendbarkeit des in Art. VI Abs. 2 DBA-USA vorgesehenen reduzierten Steuersatzes von 5%: umfassende Bedeutung des Begriffs der Dividende. Als solche sind auch "geldwerte Leistungen" zu verstehen (E. 4).
Sachverhalt ab Seite 128 BGE 110 Ib 127 S. 128 Inscrite depuis le 24 janvier 1972 au registre du commerce de Fribourg où elle a son siège social, la société K. dispose d'un capital social de 200'000.- francs. La totalité de ses actions est en mains d'une société K.M. à Fribourg, qui est elle-même une filiale à 100% de la société américaine K.I., dont le siège est à Wichita (Kansas, USA). La recourante pratique le commerce international du pétrole brut et de ses dérivés en achetant et revendant ces produits en son nom et pour son compte. Pour engendrer et conclure ces opérations ou pour en surveiller le bon déroulement, elle recourt toutefois aux services d'autres sociétés faisant partie du groupe K., notamment à Londres, à Rotterdam et à Wichita; à ces sociétés, elle rembourse les frais d'administration qu'elles lui réclament pour ces services. D'après son "compte de pertes et profits pour la période du 1er janvier au 31 décembre 1974", la société K. a réalisé en 1974 un bénéfice brut de 55'461'360.- francs. Au cours de l'exercice 1975, elle a réalisé un bénéfice brut de 4'765'249.- francs. Elle a inscrit au bilan une perte qui tenait compte, notamment, des frais d'administration payés aux sociétés du groupe à Londres (503'588.- fr.), à Wichita (940'559.- fr.), à Madrid (273'051.- fr.) et à Rotterdam (1'966'729.- fr.). Toutefois, dans le "compte de pertes et profits pour la période du 1er janvier au 31 décembre 1975", elle ajouta, conformément aux instructions de la société mère, une charge supplémentaire - avec la mention "ajustement 1974" - d'un montant de 50'285'411.- francs (contre-valeur en fr.s. de 19'192'905.- $ US). L'Administration fédérale des contributions (Division principale des droits de timbre et de l'impôt anticipé) ayant demandé à la société K. des explications sur cet "ajustement 1974", celle-ci exposa qu'il s'agissait d'un profit exceptionnel réalisé en 1974 dans des opérations où elle n'était qu'un maillon de la chaîne et qui avaient pris naissance chez K.I. à Wichita et se terminaient également dans cette société mère américaine. Destinées à éluder la législation américaine sur la limitation des prix des produits pétroliers, ces transactions avaient été conclues par la société K. agissant en son propre nom mais pour le compte de la société mère. La recourante avait reçu l'ordre de transférer ce profit de 50'285'411.- francs au crédit de la société K.I. à Wichita. D'après la recourante, les autorités fiscales américaines avaient obligé la société K.I. à considérer ce montant comme son bénéfice à elle, donc imposable aux Etats-Unis, de sorte que la société K. avait dû procéder, avec l'accord des autorités fiscales suisses, à cet ajustement afin d'éviter une double imposition. BGE 110 Ib 127 S. 129 L'Administration fédérale des contributions a exposé à la société K., par lettre du 17 avril 1980, les motifs pour lesquels elle devait payer l'impôt anticipé sur les "frais supplémentaires facturés par K.I. et ses sociétés filles, assimilés à une distribution de bénéfice" de 50'285'411.- francs. La société K. a contesté devoir payer un impôt anticipé, faisant valoir notamment que "l'écriture passée au débit des comptes de résultat reflète ... une charge justifiée par l'usage commercial. Cela est si vrai que cette charge déductible a été admise par votre propre administration (Division principale de l'impôt pour la défense nationale)". Par décisions du 11 décembre 1980 puis, sur réclamation, du 15 octobre 1981, l'Administration fédérale des contributions a confirmé le principe de la taxation d'un impôt anticipé calculé sur le montant de 50'285'411.- francs. Faisant toutefois application de l'art. VI de la Convention de double imposition entre la Suisse et les Etats-Unis d'Amérique, elle a retenu le taux réduit de 5%, de sorte que l'impôt anticipé a été fixé à 2'514'270 fr. 55 avec intérêt moratoire dès le 1er janvier 1976. Agissant par la voie du recours de droit administratif, la société K. demande au Tribunal fédéral d'annuler la décision sur réclamation. Le Tribunal fédéral a rejeté le recours Erwägungen pour les motifs suivants: 2. (Dès lors que le versement litigieux de 50'285'411.- francs n'était pas un remboursement de capital et qu'il avait sa cause dans les droits de participation - indirecte - de la société bénéficiaire, l'Administration fédérale des contributions pouvait le considérer comme une prestation appréciable en argent soumise à l'impôt anticipé ( art. 4 al. 1 lettre b LIA et 20 al. 1 OIA). En réalité, cependant, le problème qui se pose en l'espèce n'est pas tellement de savoir si la société K. a effectué une prestation à son actionnaire ou à une personne proche - ce que la recourante ne conteste pas sérieusement -, mais bien plutôt de savoir si cette prestation peut être considérée comme une charge - que la recourante avait le droit d'inscrire après coup dans ses comptes). 3. En somme, la recourante reproche à l'Administration fédérale des contributions d'avoir considéré le versement litigieux de 50'285'411.- francs comme une sorte de "distribution de bénéfice" et d'avoir ainsi "ignoré" un "usage commercial". Soi-disant en BGE 110 Ib 127 S. 130 vigueur dans le droit des groupes multinationaux, cet usage commercial permettrait à une société suisse, dépendant d'un groupe dont le siège se trouve aux Etats-Unis, de réajuster ses comptes - dans le sens d'un transfert à l'étranger de ses propres profits - à la suite d'un redressement des profits que les dirigeants du groupe auraient décidé d'opérer entre la société mère américaine et sa filiale suisse, dans le but d'éviter en Suisse l'imposition de ces profits déjà soumis à l'impôt américain. a) Dans la procédure, la recourante a fait valoir qu'en matière d'impôt fédéral de défense nationale, les autorités compétentes ont admis sa thèse de l'ajustement comptable, et accepté ainsi de considérer le versement de 50'285'411.- francs comme une charge venant - après coup - grever le compte de pertes et profits de l'exercice 1974. Elle insiste notamment sur le fait que l'Administration fédérale des contributions avait elle-même - par le Chef de la Division principale de l'impôt de défense nationale - donné son accord à cette solution. En fait, il semble bien qu'en raison de l'importance des montants en cause, le Chef de la Division principale de l'impôt de défense nationale a participé aux négociations entre le Service cantonal des contributions de Fribourg et les représentants de la recourante, mais il n'a pas pu lier la Division principale des droits de timbre et de l'impôt anticipé, même si ces deux divisions font partie de la même Administration fédérale des contributions: cela a été clairement et très nettement dit par les représentants de la Division principale des droits de timbre et de l'impôt anticipé lors d'une entrevue qui eut lieu le 12 septembre 1979 dans les bureaux du Service cantonal des contributions à Fribourg. Au demeurant, il ressort clairement de la lettre à laquelle la recourante se réfère - adressée le 4 octobre 1979 par le Service cantonal des contributions de Fribourg - qu'il s'agissait, de la part des autorités fiscales, d'une sorte de transaction relative aux impôts cantonaux, par laquelle "l'extourne des ventes opérée en 1975 (Fr.s. 50'285'411.-) est admise" sous certaines conditions. En effet, le Service cantonal des contributions précisait, d'abord, que "les modalités de taxation exposées dans la présente lettre ne sauraient en aucun cas être considérées comme une reconnaissance tacite des décisions précédentes" et, ensuite, que: "3.3 L'application des modalités exposées ci-dessus est, en outre, subordonnée à la réalisation des conditions suivantes: BGE 110 Ib 127 S. 131 a) que K. déclare effectivement pour les années de calcul 1979-80 un rendement net moyen minimum imposable de 25 à 30 millions de francs suisses, b) qu'aucune des deux sociétés ne soit mise en liquidation avant la fin de l'année 1982. Si l'une des conditions mentionnées ci-dessus n'était pas réalisée, le contenu de la présente lettre serait automatiquement nul et non avenu et la taxation des deux sociétés s'effectuerait, pour l'ensemble des périodes susmentionnées, dans la plus stricte application des dispositions légales." C'est donc à tort que la recourante reproche à l'autorité intimée de s'être, en ce qui concerne l'impôt anticipé, écartée de cette solution admise, seulement sous conditions, par d'autres autorités. Il ne saurait être question de considérer l'Administration fédérale des contributions et - encore moins - le Tribunal fédéral comme liés par une telle transaction. b) Au fond, d'après la recourante, la présente affaire concerne un groupe de sociétés agissant à l'échelon international; elle "se situe dans le cadre de ce qu'il est convenu d'appeler en droit fiscal international la fiscalité des groupes et concerne plus précisément les questions relatives aux redressements de profits entre sociétés affiliées appartenant à des juridictions différentes et qui surviennent sur l'intervention ou sur la pression des autorités fiscales de l'un ou de l'autre des pays considérés". Elle reconnaît, cependant, que "l'Administration fédérale des contributions a toujours adopté un point de vue étroit et fiscaliste à cet égard, considérant de telles corrections comme des distributions de profits implicites et les soumettant à l'impôt anticipé", tout en critiquant cette attitude qui serait "en opposition ouverte avec celle des pays étrangers avec lesquels la Suisse entretient des relations les plus étroites ...". aa) A l'étranger, l'existence des groupes de sociétés est parfois officiellement reconnue, en vertu de dispositions légales spéciales qui dérogent aux principes fondamentaux du droit des sociétés. Ainsi, le droit allemand (Konzernrecht) accorde certains privilèges - notamment la possibilité d'imposer une direction unique - à ceux qui annoncent publiquement leur pouvoir de domination sur les diverses sociétés du groupe et prennent l'engagement de garantir les droits des actionnaires minoritaires, travailleurs et créanciers des sociétés qu'ils dominent (voir ROBERT PATRY, Précis de droit suisse des sociétés, vol. I, p. 71; voir les par. 291 à 310 de la loi allemande de 1965 sur les sociétés anonymes; HANS WÜRDINGER, Aktien- und Konzernrecht, Karlsruhe 1966). Les BGE 110 Ib 127 S. 132 sociétés qui font partie d'un groupe dont l'existence est ainsi officiellement reconnue perdent leur autonomie en ce sens qu'elles peuvent être amenées à gérer leurs propres affaires dans l'intérêt exclusif du groupe. Sous certaines conditions, en vertu de dispositions spéciales de la loi, la direction du groupe peut même ordonner, à l'intérieur du groupe, des transferts de ressources et de capitaux entre les diverses sociétés comme si elles étaient de simples instruments mis à sa disposition. On peut alors parler d'un "usage commercial" dans le sens allégué par la recourante. bb) En Suisse, en revanche, sous réserve de quelques dispositions particulières du droit fiscal, il n'existe encore aujourd'hui aucune réglementation des groupes de sociétés (voir notamment PETER FORSTMOSER et ARTHUR MEIER-HAYOZ, Einführung in das schweizerische Aktienrecht, 2e éd., p. 299, par. 44 ch. 30). Dans deux arrêts récents (cf. ATF 108 Ib 448 et 37 consid. 4c), le Tribunal fédéral a d'ailleurs constaté que, sous réserve de quelques exceptions que l'on peut trouver plus particulièrement en droit fiscal, le droit positif suisse ne reconnaît ni ne définit officiellement la notion de groupe: une filiale n'est ni un simple établissement, ni une succursale, mais une société juridiquement indépendante ( ATF 108 Ib 448 ; voir PETER FORSTMOSER, Schweizerisches Aktienrecht, t. I/1, Zurich 1981, p. 126 ch. 53). En tant que société anonyme soumise au droit suisse et juridiquement indépendante de la société mère dont elle dépend économiquement, la filiale a ses propres organes et notamment un conseil d'administration dont la fonction est de gérer les affaires sociales dans l'intérêt de la société elle-même et non pas dans celui du groupe ( ATF 108 Ib 37 consid. 4c). Dans le groupe, les intérêts des diverses sociétés qui le composent sont souvent opposés à ceux de la société dominante et comme l'intérêt des filiales passe pratiquement au second plan, le danger existe "que l'entreprise dominante utilise la filiale de façon contraire à ses intérêts, comme un instrument à son propre service" (voir ANNE PETITPIERRE-SAUVAIN, Droit des sociétés et groupes de sociétés, Genève 1972, p. 22 ch. 44). Cela n'est guère compatible avec les principes fondamentaux du droit des sociétés en Suisse: chacune des sociétés du groupe est considérée comme une entité juridiquement indépendante et autonome; "il va de soi et il est reconnu sans exception que l'administration doit toujours se conformer aux intérêts supérieurs de la société" qu'elle dirige (voir G. SCHUCANY, Die Vertreter juristischer Personen im BGE 110 Ib 127 S. 133 Verwaltungsrat einer A.G., thèse Zurich 1943, citée par ANNE PETITPIERRE-SAUVAIN, op.cit., p. 22 ch. 43). cc) Dans les groupes suisses, il existe peut-être une pratique analogue à celle admise à l'étranger mais il faut bien reconnaître qu'elle n'est pas compatible avec les principes qui sont à la base du droit positif des sociétés en Suisse. En l'absence d'une réglementation spéciale, une filiale suisse ne peut pas valablement agir au seul profit du groupe auquel elle appartient. Dans son arrêt X., du 2 avril 1982, le Tribunal fédéral a d'ailleurs rappelé que l'administrateur d'une filiale suisse a le devoir de veiller à ce que cette société non seulement paie ses dettes mais aussi et surtout obtienne le remboursement des prêts qu'elle a accordés. "Autrement dit, les emprunts et les prêts que les "promissory notes" constatent ne sont pas de simples opérations financières - fiscalement neutres - accomplies à l'intérieur du groupe; ils concernent une société qui, par son inscription au registre du commerce, a acquis la personnalité juridique, distincte de celle que les autres sociétés ont pu acquérir" ( ATF 108 Ib 37 consid. 4c). Pratiquement, cela signifie qu'une filiale suisse ne dispose pas librement de ses ressources et de son patrimoine; elle n'a pas à effectuer, même à l'intérieur du groupe, des versements sans cause valable, simplement pour se conformer aux instructions de la direction du groupe, dans le cadre d'une gestion consolidée: l'administrateur suisse qui exécuterait de telles opérations de transfert contraires aux intérêts de la filiale ne respecterait pas son devoir de diligence énoncé à l' art. 722 al. 1 CO et pourrait engager sa responsabilité personnelle selon l' art. 754 CO . En outre, du point de vue comptable, la filiale suisse doit s'en tenir au principe de la vérité du bilan - ou du "bilan véridique" - énoncé aux art. 957 et 959 CO (voir, au sujet de ce principe, GÉRALD-CHARLES BOURQUIN, Le principe de sincérité du bilan, Genève 1976, notamment p. 215): elle ne peut donc pas grever son bilan de dettes purement fictives, ni son compte de pertes et profits de charges qui n'en sont pas. Ce serait, en somme, établir un faux bilan qui pourrait, le cas échéant, être constitutif d'une infraction pénale ou fiscale (voir à ce sujet PIERRE DEL BOCA, Le faux bilan de la société anonyme, thèse Lausanne 1974). dd) En droit fiscal fédéral - interne et international -, il y a, certes, quelques dispositions spéciales sur les groupes de sociétés; mais pratiquement elles ont seulement pour objet d'éviter, en matière d'impôt fédéral direct, une triple imposition ( art. 59 AIFD ) BGE 110 Ib 127 S. 134 et, sur le plan international, la double imposition (Conventions de double imposition) des mêmes revenus. Ni en droit interne, ni en droit international, il n'est nulle part prévu de permettre aux dirigeants d'un groupe de répartir librement, entre les diverses sociétés du groupe, les profits réalisés par chacune d'elles afin d'obtenir des économies d'impôt pour l'ensemble du groupe. c) Fin décembre 1975, la société K. a reçu, de la société K.I. et de deux filiales qui ont également leur siège à Wichita (USA), six "factures" - établies en décembre 1975 - pour un montant total de 19'192'905 $, soi-disant en règlement de frais supplémentaires relatifs à des opérations commerciales faites en 1974. La recourante paya ce montant à la société mère K.I., par acomptes, les 22 et 29 décembre 1975 et le 28 avril 1976; elle porta la contre-valeur en francs suisse (50'285'411.- fr.) au débit de son compte de pertes et profits pour l'exercice 1975, comme s'il s'agissait de frais dont elle eût réellement à supporter la charge. De ce fait, le compte de pertes et profits révéla en 1975 une perte nette de 51'456'510.- francs et le bilan au 31 décembre 1975 une perte de 3'731'250.- francs, compte tenu des bénéfices reportés des années précédentes (47'485'260.- fr.). Le 29 septembre 1976, l'assemblée générale ordinaire a approuvé ces comptes de l'exercice 1975. En réalité, il s'agissait de factures fictives, établies dans le but avoué de permettre à la recourante de transférer à la société K.I., sans avoir à les soumettre à l'impôt en Suisse, les profits qu'elle avait elle-même réalisés et comptabilisés en 1974. En effet, il n'est pas contesté que, pour éluder la législation américaine sur les prix pétroliers, les dirigeants du groupe avaient chargé la recourante d'effectuer des transactions importantes en son propre nom et de réaliser ainsi des bénéfices élevés en 1974 au dehors des Etats-Unis. Ces profits appartenaient donc réellement à la société K. et non pas à la société américaine K.I. Cela est d'ailleurs attesté par les comptes de l'exercice 1974 que l'assemblée générale ordinaire a approuvés sans réserve le 11 juin 1975, admettant ainsi que la recourante avait réalisé un bénéfice net de 36'213'596.- francs en 1974. D'autre part, le caractère fictif des factures résulte déjà du fait que ces documents ont été établis en décembre 1975 alors qu'ils se rapportent soi-disant à des opérations réalisées en 1974. De plus, il ne faut pas oublier qu'en 1974 la recourante avait déjà payé à BGE 110 Ib 127 S. 135 diverses sociétés du groupe (à Londres, à Wichita, à Madrid et à Rotterdam) des montants non négligeables (pour un total de 2'983'810.- fr.) en remboursement de frais d'administration". D'ailleurs, tout au long de la procédure, les représentants de la recourante n'ont jamais allégué que le montant de 50'285'411.- francs correspondît à des frais effectifs de la société mère que la filiale suisse dût lui rembourser: la gratuité et le caractère insolite de ce versement sont même confirmés par l'engagement que les dirigeants du groupe ont pris de désintéresser la recourante en cas de faillite. d) En définitive, il faut bien admettre que la recourante - société anonyme soumise au droit suisse et juridiquement indépendante des autres sociétés du groupe - ne pouvait pas simplement, sans contre-prestation, transférer ses profits aux Etats-Unis en procédant, après coup, à ce qu'elle appelle un ajustement de ses comptes 1974 qui ne correspondait pas à la réalité. Si, en décembre 1975, la société K.I. voulait pouvoir en disposer elle-même, elle devait, d'abord, intervenir à l'assemblée générale de la société K. pour obtenir une décision d'attribution de tous les bénéfices disponibles sous la forme de dividende et réclamer ensuite le paiement de ce dividende (par l'intermédiaire de la société K.M.). Or, les dirigeants du groupe n'ont pas suivi cette voie normale. S'il ne correspondait pas à une distribution de bénéfices, le versement litigieux de 50'285'411.- francs ne pouvait pas non plus être considéré comme le paiement d'une dette ou d'une charge. Il constituait simplement une prestation appréciable en argent que la recourante a effectuée gratuitement - sans contre-prestation - directement à sa "grand-mère" américaine. Comme il ne s'agissait pas d'un remboursement de capital, c'est donc à bon droit que l'Administration fédérale des contributions a soumis ce montant de 50'285'411.- francs à l'impôt anticipé. 4. Normalement, selon l' art. 13 al. 1 lettre a LIA , pour les revenus de capitaux mobiliers, l'impôt anticipé s'élevait, à l'origine, à 30% de la prestation imposable; pourtant l'Administration fédérale des contributions a taxé l'impôt dû par la recourante au taux réduit de 5%. a) Selon l'art. VI al. 1 de la Convention de double imposition conclue le 24 mai 1951 entre la Suisse et les Etats-Unis, "le taux de l'impôt que l'un des Etats contractants" - en l'espèce la Suisse - "perçoit sur les dividendes dont la source se trouve sur son BGE 110 Ib 127 S. 136 territoire ne doit pas excéder 15%, si le bénéficiaire du dividende est une personne domiciliée dans l'autre Etat ou une société ou un autre sujet de droit de cet autre Etat" - soit, en l'occurrence, les Etats-Unis d'Amérique - "et ne possède pas d'établissement stable dans l'Etat qui perçoit l'impôt". Le taux de l'impôt est même réduit à 5% du montant de la prestation imposable lorsque les conditions particulières prévues à l'art. VI al. 2 de la Convention sont réunies, c'est-à-dire si "l'actionnaire est une société disposant directement ou indirectement d'au moins 95 pour cent des voix dans la société qui verse les dividendes et si le revenu brut de la société qui verse les dividendes ne comprend pas plus de 25 pour cent d'intérêts ou de dividendes autres que ceux qui proviennent de ses propres sociétés filiales. Cette réduction du taux d'impôt à 5 pour cent n'est cependant pas applicable lorsque la relation entre les deux sociétés a été établie ou est maintenue principalement afin de bénéficier de ce taux réduit." b) Certes, la recourante n'a pas rapporté la preuve formelle de sa filiation (par l'intermédiaire de la société K.M.) à la société américaine K.I. dont le siège se trouve à Wichita (USA); mais cela n'était pas nécessaire. Sur la base d'indices qui se trouvent au dossier, les autorités fiscales suisses ont toujours admis que la société K. est une filiale à 100% de la société K.M., qui est elle-même une filiale à 100% de la société K.I. Ainsi, c'est bien cette société américaine, bénéficiaire du versement litigieux, qui détient indirectement au moins le 95% des voix à l'assemblée générale de la société suisse ayant effectué le paiement; d'autre part, il n'existe aucune raison de penser que cette filiation "a été établie ou est maintenue principalement afin de bénéficier de ce taux réduit" de 5%. Par ailleurs, il ressort clairement des comptes de pertes et profits des trois années ayant précédé celle du versement litigieux (1972 à 1974) que le revenu brut de la recourante ne comprenait ni intérêts, ni dividendes, mais essentiellement des revenus de sa propre activité commerciale. c) Il est vrai que le versement litigieux de 50'285'411.- francs ne constituait pas un paiement de dividende, mais cela importe peu dans le cas particulier. Si la Convention ne définit pas elle-même la notion de dividende, il est admis en doctrine qu'en vertu de l'art. II al. 2, il faut donner à toute expression non autrement définie le sens que lui attribue la législation fiscale de l'Etat où la prestation imposable trouve sa source (voir KURT LOCHER, BGE 110 Ib 127 S. 137 Handbuch und Praxis der schweizerisch-amerikanischen Doppelbesteuerungsabkommen Einkommens- und Erbschaftssteuern, Bâle 1957 p. 109 ch. 130). Or, en droit suisse, la notion de dividende comprend aussi les prestations appréciables en argent au sens des art. 4 al. 1 lettre b LIA et 20 al. 1 OIA (voir dans ce sens KURT LOCHER, op.cit., p. 110 ch. 132). Si la société K.I. avait obtenu le paiement - par l'entremise de K.M. - de la somme litigieuse à titre de dividende selon la voie normale décrite ci-dessus (cf. consid. 3d), la question se serait certes posée en d'autres termes de savoir si l'art. VI al. 2 est applicable à une telle distribution de dividendes; il eût alors fallu sérieusement se demander si l'impôt ne devait pas être perçu au taux de 15% de l'art. VI al. 1 de la Convention. Mais cette question n'a pas à être tranchée dès lors qu'en l'occurrence les choses se sont passées différemment: il y a eu versement direct d'une prestation assimilable à un "dividende", au sens de la Convention, et cela au profit d'une société "grand-mère", dont la participation - indirecte - à la société K. atteint le minimum prescrit par l'art. VI al. 2 de la Convention. Même si la formulation de cette disposition est relativement imprécise, cela suffit à admettre qu'elle est applicable dans le cas particulier. d) C'est donc à bon droit que l'Administration fédérale des contributions a mis la recourante au bénéfice de ce taux minimum de 5% et fixé ainsi à 2'514'270 fr. 55 le montant de l'impôt que la société K. doit non seulement payer mais aussi mettre à la charge de la société K.I. En effet, malgré le texte quelque peu équivoque de l' art. 14 al. 1 LIA , l'obligation de transférer la charge fiscale au bénéficiaire de la prestation imposable existe même si cette prestation a déjà été effectuée sans déduction de l'impôt ( ATF 108 Ib 477 consid. 3b).
public_law
nan
fr
1,984
CH_BGE
CH_BGE_003
CH
Federation
21827544-8c06-43ea-81d0-b4275a22403a
Urteilskopf 86 II 129 22. Urteil der II. Zivilabteilung vom 2. Juni 1960 i.S. M. gegen W.
Regeste Vaterschaftsklage. 1. Voraussetzungen der Beurteilung durch das Bundesgericht als einzige Instanz ( Art. 41 lit. c OG ). 2. Ausschluss der Vaterschaft des Beklagten auf Grund der Bestimmung des Blutfaktors Kell ( Art. 314 Abs. 2 ZGB ).
Sachverhalt ab Seite 129 BGE 86 II 129 S. 129 A.- Frl. M. gebar am 11. Dezember 1958 das Kind Rita. Als Vater bezeichnete sie W. Dieser gab zu, mit ihr während der kritischen Zeit wiederholt geschlechtlich verkehrt zu haben. In einer am 24. Februar 1959 abgeschlossenen und am 4. März 1959 vom Waisenamt genehmigten Vereinbarung einigten sich die Mutter und das durch einen Beistand vertretene Kind einerseits und W. anderseits auf die "Durchführung der Blutprobe nach den heute anerkannten Methoden durch das Gerichtlich-medizinische Institut der Universität Zürich", um "abzuklären, ob W. als Vater des Kindes Rita ausgeschlossen werden kann oder nicht." Für den letztern Fall verpflichtete sich W., die Mutter mit Fr. 900.-- schadlos zu halten und an das Kind als Unterhaltsbeitrag monatlich Fr. 80.- von der Geburt BGE 86 II 129 S. 130 bis zum erfüllten 10. Altersjahr und Fr. 85.- von da an bis zum erfüllten 18. Altersjahr zu bezahlen (Ziff. 3). Das angerufene Institut bestimmte bei allen drei Personen die klassischen Blutgruppen ABO, die Faktoren M und N sowie die Rhesus-Eigenschaften, liess durch Dr. med. A. Hässig, den Direktor des Zentrallaboratoriums des Blutspendedienstes des Schweizerischen Roten Kreuzes in Bern, eine Kontrollbestimmung durchführen, die das Ergebnis seiner eigenen Untersuchungen bestätigte, und kam in seinem Berichte vom 18. August 1959 zum Schluss, nach den Erbgesetzen der erwähnten Bluteigenschaften könne W. als Vater des Mädchens Rita nicht ausgeschlossen werden. Der Bericht vom 18. August 1959 fügt jedoch bei, Dr. Hässig habe bei allen drei Personen auch noch die Faktoren Duffya und Kell bestimmt. Auf Grund der Eigenschaft Duffya bestehe keine Ausschlussmöglichkeit. Dagegen habe die Untersuchung bezüglich des Faktors Kell einen Ausschluss ergeben, doch sei zu dessen Sicherung nach der Ansicht von Dr. Hässig die Untersuchung frischer Blutproben aller drei Personen notwendig. Ausserdem erachte Dr. Hässig eine Kontrolle durch einen weitern Untersucher als angezeigt. Hierauf vereinbarten die Beteiligten, durch Dr. Hässig ein Ergänzungsgutachten ausarbeiten zu lassen. Dr. Hässig kam auf Grund der Untersuchung frischer Blutproben wie in seinem ersten Berichte zum Ergebnis, dass beim Kind die Eigenschaft "Kell positiv", bei der Mutter und bei W. dagegen die Eigenschaft "Kell negativ" bestehe. Eine Kontrolle durch P. D. Dr. L. P. Holländer, den Leiter des Blutspendezentrums Basel-Stadt des Schweizerischen Roten Kreuzes, bestätigte diesen Befund. Gestützt hierauf stellte Dr. Hässig in seinem Gutachten vom 19. Oktober 1959 fest, auf Grund der Bestimmung des Blutfaktors Kell könne W. mit an Sicherheit grenzender Wahrscheinlichkeit als Vater des Kindes Rita ausgeschlossen werden; seine Vaterschaft stünde im Widerspruch zu den Erbgesetzen des Kell-Blutgruppensystems. BGE 86 II 129 S. 131 B.- Die Beteiligten schlossen hierauf am 10. Dezember 1959 eine neue, wiederum vom Waisenamt genehmigte Vereinbarung, die lautet: "1. Die zwischen den Parteien am 24. Februar 1959 getroffene Vereinbarung wird zum integrierenden Bestandteil dieser heutigen Vereinbarung erklärt. 2. Die Parteien anerkennen, dass nach dem Gutachten des Gerichtlich-medizinischen Instituts der Universität Zürich vom 18. August 1959 und des Zentrallaboratoriums des Blutspendedienstes des Schweizerischen Roten Kreuzes vom 19. Oktober 1959 der Beklagte auf Grund der Bestimmung der klassischen Blutgruppen, der Blutfaktoren MN, der Rhesusfaktoren C, Cw, c, D, E, e und des Faktors Duffya als Vater des Kindes Rita nicht ausgeschlossen werden kann, dass er hingegen auf Grund der Bestimmung des Faktors Kell (K) als Vater dieses Kindes auszuschliessen ist. 3. Nachdem ein Streitwert von über Fr. 10'000.-- vorliegt, wird von beiden Parteien im Sinne von OG Art. 41 lit. c das Schweiz. Bundesgericht angerufen für die Entscheidung der Frage, ob der Beklagte gestützt auf das Gutachten des Zentrallaboratoriums des Blutspendedienstes des Schweiz. Roten Kreuzes vom 19. Oktober 1959 als Vater des Kindes Rita ausgeschlossen werden kann. 4. Wenn das Bundesgericht entscheidet, dass der Beklagte als Vater des Kindes Rita nicht ausgeschlossen werden kann, so verzichtet W. ausdrücklich auf die Erhebung weiterer Einreden und anerkennt, Vater des Kindes Rita zu sein. Er übernimmt alsdann endgültig alle rechtlichen und ausserrechtlichen Kosten sowie diejenigen für die beiden erwähnten Expertisen; er anerkennt überdies die im Vertrag vom 24. Februar 1959 sub. Ziff. 3 übernommenen Pflichten. Entscheidet das Bundesgericht, es könne W. als Vater des Kindes Rita ausgeschlossen werden, so fallen alle aufgeführten Kosten auf die Klägerin Fräulein M." C.- Am 11. Dezember 1959, dem letzten Tage der Frist von Art. 308 ZGB , haben Mutter und Kind beim Bundesgericht gegen W. Klage eingereicht mit den Begehren: "1. Es sei gerichtlich festzustellen, dass der Beklagte Vater des am 11.12.1958 geborenen Kindes Rita ist. 2. Der Beklagte sei demzufolge zu verpflichten, a) an Frl. M. für den Unterhalt während je 4 Wochen vor und nach der Geburt Fr. 400.-- und für die Entbindungskosten und andere infolge der Schwangerschaft und Entbindung notwendig gewordene Auslagen Fr. 500.--, total also Fr. 900.--, sowie b) an das Kind Rita einen monatlichen und vorauszahlbaren Unterhaltsbeitrag von Fr. 80.- von der Geburt an bis zum erfüllten 10. und von Fr. 85.- vom Beginn des 11. bis zum erfüllten 18. Altersjahr zu bezahlen." BGE 86 II 129 S. 132 Der Beklagte beantragt in der Klageantwort vom 5. Februar 1960 Abweisung der Klage. Von der Durchführung einer Vorbereitungsverhandlung im Sinne von Art. 35 BZP ist im Einverständnis der Parteien abgesehen worden. Beweisergänzungsanträge haben die Parteien innert der Frist von Art. 67 Abs. 2 BZP nicht gestellt. Auf die Teilnahme an der heutigen Verhandlung haben sie verzichtet. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Nach Art. 41 lit. c OG beurteilt das Bundesgericht als einzige Instanz "andere" zivilrechtliche Streitigkeiten (d.h. andere als die in Art. 41 lit. a und b genannten, zu denen der vorliegende Rechtsstreit nicht gehört), wenn es von beiden Parteien an Stelle der kantonalen Gerichte angerufen wird und der Streitwert wenigstens Fr. 10'000.-- beträgt. (Die neue Fassung dieser Bestimmung gemäss Bundesgesetz vom 19. Juni 1959 betr. Änderung des OG und des BStP, wonach der Streitwert wenigstens Fr. 20'000.-- betragen muss, gilt gemäss Ziff. IV Abs. 3 des erwähnten Bundesgesetzes für die vorliegende, vor dem Inkrafttreten dieses Gesetzes beim Bundesgericht abhängig gemachte Klage noch nicht.) Es steht ausser Zweifel, dass man es hier mit einer zivilrechtlichen Streitigkeit zu tun hat, und zwar handelt es sich, da die Klägerinnen nicht die Zusprechung des Kindes mit Standesfolge, sondern nur Vermögensleistungen im Sinne von Art. 317 ff. ZGB verlangen, um eine Streitigkeit vermögensrechtlicher Natur (vgl. BGE 75 II 334 mit Hinweisen, BGE 79 II 258 ), wie sie nach der Rechtsprechung für die direkte Anrufung des Bundesgerichts auf Grund einer Progrogation erforderlich ist, weil das Gesetz diese Möglichkeit vom Vorliegen eines bestimmten Streitwerts abhängig macht ( BGE 23 II 921 ; BURCKHARDT, Kommentar der BV, 3. Aufl., S. 764 Mitte; BIRCHMEIER, Handbuch des OG, N. 14 zu Art. 41). Der Streitwert, der sich aus dem Betrag der von der Mutter geforderten Entschädigung BGE 86 II 129 S. 133 (Fr. 900.--) und dem Kapitalwert der Unterhaltsbeiträge für das Kind zusammensetzt, übersteigt Fr. 10'000.--.... Ferner steht fest, dass die Parteien das Bundesgericht an Stelle der kantonalen Gerichte angerufen haben; hätten sie nicht direkt das Bundesgericht angerufen, so wären für die Beurteilung der vorliegenden Vaterschaftsklage gemäss Art. 312 ZGB die st. gallischen oder schaffhausischen Gerichte zuständig gewesen. Ungeachtet der etwas missverständlichen Fassung von Ziff. 3 und 4 der Prorogationsvereinbarung vom 10. Dezember 1959 ist endlich auch klar, dass die Parteien vom Bundesgericht nicht bloss die Feststellung erwarten, ob der Beklagte auf Grund des Gutachtens vom 19. Oktober 1959 als Vater des Kindes Rita ausgeschlossen werden könne oder nicht, sondern dass das Bundesgericht nach ihrer Meinung je nachdem ein die Vaterschaftsklage abweisendes oder sie gutheissendes Urteil zu fällen hat. Das Bundesgericht ist daher zuständig, die vorliegende Klage als einzige Instanz zu beurteilen. 2. Das Ergebnis einer naturwissenschaftlichen Untersuchung ist nach der Rechtsprechung des Bundesgerichts dann und nur dann geeignet, erhebliche Zweifel über die Vaterschaft des Beklagten im Sinne von Art. 314 Abs. 2 ZGB zu begründen oder die durch die Beiwohnung eines Dritten begründeten Zweifel zu beseitigen, wenn es die Vaterschaft des Beklagten bzw. des Dritten mit Sicherheit oder doch mit grösster, an Sicherheit grenzender Wahrscheinlichkeit ausschliesst ( BGE 80 II 13 , BGE 82 II 264 , BGE 83 II 104 , BGE 84 II 675 ). Ob ein Vaterschaftsausschluss diesen Grad der Wahrscheinlichkeit für sich habe, ist eine naturwissenschaftliche Frage, die der Sachverständige zu beantworten hat. Der Tatsachenrichter hat dessen Gutachten freilich auf seine Schlüssigkeit zu prüfen, soweit er dazu in der Lage ist. Dagegen kann es nicht Sache des Richters (auch nicht des Bundesgerichtes) sein, "den Begriff der 'an Sicherheit grenzenden Wahrscheinlichkeit' statistisch eindeutig zu definieren", wie Dr. Hässig dies auf S. 10 BGE 86 II 129 S. 134 seines Gutachtens vom 19. Oktober 1959 in Übereinstimmung mit WUILLERET (Über die Verwertbarkeit der Blutgruppenantigene A1, A2, K, Fya und P bei der Klärung von strittigen Abstammungsfragen, S. 25) als wünschbar bezeichnet. Hiezu wären eingehende biologisch-medizinische und statistisch-mathematische Kenntnisse erforderlich, über die das Gericht nicht verfügt. In Deutschland sind denn auch Richtlinien für die Bewertung des Sicherheitsgrades von Vaterschaftsausschlüssen, die sich auf eine Blutuntersuchung stützen, nicht von den Gerichten, sondern vom Robert-Koch-Institut in Berlin aufgestellt worden (DAHR in BEITZKE, HOSEMANN, DAHR, SCHADE, Vaterschaftsgutachten für die gerichtliche Praxis, 1956, S. 77). 3. Das vorliegende Gutachten Dr. Hässigs ist nicht von einem Gericht eingeholt worden. Es darf jedoch unbedenklich einem gerichtlichen Gutachten gleichgestellt werden, da die Parteien Dr. Hässig gemeinsam mit seiner Ausarbeitung beauftragt haben und kein Zweifel daran bestehen kann, dass Dr. Hässig, der sehr oft als gerichtlicher Sachverständiger zu amten hat, es nach bestem Wissen und Gewissen und im Geiste strengster Unparteilichkeit (vgl. Art. 59 BZP ) abgegeben hat. Ein weiteres Gutachten einzuholen, wie die Klägerinnen dies in Klageschrift beantragt haben, wäre unter diesen Umständen nur dann geboten, wenn an der Autorität Dr. Hässigs zu zweifeln wäre. Hiefür besteht jedoch kein Grund. Dr. Hässig ist (was festzustellen das Bundesgericht schon früher Gelegenheit hatte, vgl. BGE 83 II 103 , BGE 84 II 673 ) auf diesem Gebiet ein anerkannter Fachmann, der über umfassende Kenntnisse und eine reiche Erfahrung verfügt. Er erscheint daher als befähigt, sowohl die grundsätzliche Frage, welcher Beweiswert einem Vaterschaftsausschluss auf Grund der Bestimmung des Blutfaktors Kell im allgemeinen zukommt, in zuverlässiger Weise zu beantworten, als auch im Einzelfalle die nötigen Untersuchungen mit der erforderlichen Sorgfalt durchzuführen und ihr Ergebnis zutreffend zu würdigen. Dass im vorliegenden BGE 86 II 129 S. 135 Falle bei der Bestimmung des Faktors Kell alle zur Vermeidung eines Fehlresultats notwendigen Vorsichtsmassnahmen angewendet worden sind, wird im übrigen von den Klägerinnen nicht bestritten. Sie verweisen zwar darauf, dass die Bestimmungstechnik sehr schwierig und die Gefahr unsachgemässer Entnahme oder Behandlung des Blutes sehr gross sei, behaupten aber nicht, dass Dr. Hässig den erwähnten Schwierigkeiten nicht gewachsen sei oder dass im vorliegenden Falle mit einem unsachgemässen Vorgehen bei der Durchführung der Untersuchung gerechnet werden müsse. Im Gegenteil anerkennen sie vorbehaltlos, dass der Beklagte (die Brauchbarkeit der angewendeten Ausschlussmethode vorausgesetzt) auf Grund der von Dr. Hässig vorgenommenen Bestimmung des Faktors Kell als Vater des Kindes Rita auszuschliessen sei (Vereinbarung vom 10. Dezember 1959, Ziff. 2; Klageschrift S. 5 Ziff. 4: "Die Parteien haben die Resultate der erwähnten Gutachten anerkannt"), und machen in Wirrklichkeit nur geltend, ein solcher Ausschluss genüge für sich allein grundsätzlich nicht, um erhebliche Zweifel im Sinne von Art. 314 Abs. 2 ZGB zu begründen, weil dadurch die Vaterschaft eines Mannes, welcher der Mutter in der kritischen Zeit beigewohnt hat, nicht mit an Sicherheit grenzender Wahrscheinlichkeit ausgeschlossen werden könne. Nach alledem besteht kein Anlass, einen weitern Sachverständigen beizuziehen. Die Klägerinnen scheinen dies schliesslich selber eingesehen zu haben; denn sie haben von der ihnen bei Abschluss des Vorbereitungsverfahrens bekanntgegebenen Möglichkeit, Beweisergänzungsanträge zu stellen, wie schon gesagt keinen Gebrauch gemacht. 4. Dr. Hässig führt in seinem Gutachten aus, in den letzten Jahren sei der dominante Erbgang des Blutfaktors Kell (K) durch zahlreiche Familienuntersuchungen sichergestellt worden. Man verfüge heute über 1585 publizierte Fälle, durch welche dieser Erbgang bestätigt werde. Es sei damit zu rechnen, dass noch weitaus mehr Familien, als aus den erfolgten Veröffentlichungen hervorgehe, BGE 86 II 129 S. 136 untersucht worden seien. Hätte man dabei einen gegen die Erbregeln verstossenden Fall gefunden, so wäre er sicher veröffentlicht worden. Der dominante Erbgang des Faktors Kell sei also "eindeutig sichergestellt". Die Häufigkeit serologischer Bestimmungsfehler liege bei Beobachtung aller Kautelen (einwandfreie Identifizierung der Parteien, gleichzeitige Durchführung der Untersuchung bei allen Beteiligten mit den gleichen Testseren, Verwendung einwandfreier Seren, sichere Beherrschung der für den indirekten Nachweis des Faktors Kell erforderlichen Antiglobulintechnik, Kontrolle durch einen zweiten, mit Testseren anderer Herkunft arbeitenden Experten) wesentlich unter 1: 1000. Der heutige Stand der erbbiologischen und serologischen Kenntnisse über das Kell-System, insbesondere den Faktor K, entspreche dem Stand des Wissens über das Rhesus-System in den Jahren 1953/54, in welchen das Bundesgericht die forensische Verwendbarkeit der Rhesusfaktoren voll anerkannt habe ( BGE 79 II 17 , BGE 80 II 10 ). Daher dürfe heute ein K - Vaterschaftsausschluss unter der Voraussetzung einer lege artis durchgeführten Untersuchung einem Rhesus-Ausschluss als gleichwertig zur Seite gestellt werden. Da einem solchen das Prädikat der "an Sicherheit grenzenden Wahrscheinlichkeit" erteilt werde, erscheine es als gegeben, dieses Prädikat auch einem K-Ausschluss zu verleihen. Erfahrene ausländische Experten seien der gleichen Ansicht. So vertrete z.B. Dr. Pettenkofer, der zuständige Sachbearbeiter am Robert-Koch-Institut in Berlin, nach einer persönlichen Mitteilung vom 18. September 1959 die Auffassung, dass die Erzeugerschaft eines Mannes auf Grund eines K-Ausschlusses nach Bestätigung der Befunde durch einen besonders erfahrenen Zweitbegutachter mit an Sicherheit grenzender Wahrscheinlichkeit auszuschliessen sei. Diese Ausführungen tun überzeugend dar, dass ein K-Ausschluss, der auf einer kunstgerecht durchgeführten Untersuchung beruht und durch einen qualifizierten Zweitbegutachter bestätigt wird, heute den Sicherheitsgrad BGE 86 II 129 S. 137 aufweist, der nach der Rechtsprechung des Bundesgerichts erforderlich ist, um im Vaterschaftsprozess den Beklagten oder einen Dritten als Vater auszuschliessen. 5. Was die Klägerinnen hiegegen einwenden, ist nicht stichhaltig. a) Es ist mindestens ungenau, wenn sie behaupten, WUILLERET vertrete in der bereits erwähnten Arbeit (S.11) den Standpunkt, dass bei der Erforschung des Faktors K die Bestimmungsergebnisse heute immer noch verfälscht werden können. In Wirklichkeit sagt Wuilleret an der angegebenen Stelle, Verfälschungen der Bestimmungsergebnisse infolge des Auftretens von schwachen oder stummen Allelen (z.B. Ko) oder von sog. Depressorgenen seien als "extrem selten" zu betrachten. Dr. Hässig stimmt dieser Auffassung im vorliegenden Gutachten bei. Sind solche Vorkommnisse extrem selten, so bilden sie kein Hindernis dafür, einem K-Ausschluss den Beweiswert der an Sicherheit grenzenden Wahrscheinlichkeit beizumessen. b) Wenn Dr. Hässig und weitere Fachleute, wie im vorliegenden Gutachten erwähnt, einem K-Ausschluss in den Jahren 1954 und 1956 nur das Prädikat einer "erheblichen" bezw. "sehr erheblichen" Wahrscheinlichkeit zuerkannten (BARANDUN, BÜHLER, HÄSSIG, ROSIN, Moderne Probleme der Pädiatrie I S. 654; WUILLERET, ROSIN, HÄSSIG, Schweiz. med. Wochenschrift 86 S. 1455; vgl. auch BERGER, Basler jur. Mitteilungen 1957 S. 321 f.), so vermag dies die von Dr. Hässig heute vertretene Auffassung, dass für dìe Richtigkeit eines K-Ausschlusses bei kunstgerecht durchgeführter Untersuchung nunmehr eine an Sicherheit grenzende Wahrscheinlichkeit bestehe, entgegen der Ansicht der Klägerinnen nicht zu widerlegen. Dass der Experte den Beweiswert eines solchen Ausschlusses heute höher einschätzt als 1954/56, erklärt sich aus den Fortschritten, welche die Forschung in der Zwischenzeit gemacht hat. c) Den Begriff der an Sicherheit grenzenden Wahrscheinlichkeit statistisch genau zu definieren (was nach der BGE 86 II 129 S. 138 Meinung der Klägerinnen im Sinne des Verschärfung der Anforderungen geschehen sollte), kann, wie schon ausgeführt (Erw. 2 hievor), nicht Sache des Bundesgerichtes sein. d) Wenn in dem von den Klägerinnen angezogenen Falle BGE 83 II 102 ff. einem Duffya-Ausschluss die Anerkennung versagt blieb, obwohl WUILLERET, ROSIN UND HÄSSIG in der unter b hievor erwähnten Arbeit angenommen hatten, die Häufigkeit von Fehlbestimmungen dieser Bluteigenschaft liege bei Verwendung einwandfreier Seren und bei sicherer Beherrschung der Untersuchungstechnik "wesentlich unter 1: 1000", so geschah dies vor allem deswegen, weil die Gesetzmässigkeit der Vererbung dieser Bluteigenschaft noch nicht mit genügender Sicherheit feststand (S. 107). Demgegenüber darf heute der dominante Erbgang des Faktors Kell nach dem vorliegenden Gutachten als gesichert angesehen werden. Aus dem erwähnten Entscheide lässt sich daher nichts gegen die forensische Verwendbarkeit eines K-Ausschlusses ableiten. e) Der Gefahr von Fehlbestimmungen im Einzelfall, auf welche die Klägerinnen schliesslich noch hinweisen, kann nach den Feststellungen des Experten durch die von ihm genannten Vorsichtsmassnahmen (Erw. 4 hievor) mit dem Erfolg begegnet werden, dass Fehlbestimmungen nicht häufiger als allerhöchstens in einem unter 1000 Fällen vorkommen. Demnach muss es bei der Schlussfolgerung des Experten bleiben, wonach ein K-Ausschluss unter der Voraussetzung einer kunstgerecht durchgeführten Untersuchung heute das Prädikat der an Sicherheit grenzenden Wahrscheinlichkeit verdient. Dass Dr. Hässig und der Zweitbegutachter P.D. Dr. Holländer die Untersuchung im vorliegenden Fall unter Beobachtung aller erforderlichen Vorsichtsmassnahmen durchgeführt haben, ist unbestritten (vgl. Erw. 3 hiervor) und steht angesichts der Persönlichkeit der Gutachter ausser Frage. Das Ergebnis der Expertise rechtfertigt folglich erhebliche Zweifel über die Vaterschaft des BGE 86 II 129 S. 139 Beklagten im Sinne von Art. 314 Abs. 2 ZGB , so dass die Klage abzuweisen ist. Diese Entscheidung steht im Einklang mit der neuesten Rechtsprechung des österreichischen Obersten Gerichtshofs, der in Entscheidungen vom 1. und 8. Juli 1959 unter ausführlichem Hinweis auf das medizinische Schrifttum festgestellt hat, der dem Vaterschaftsbeklagten nach österreichischem Recht offenstehende Nachweis, dass er das Kind ungeachtet der bewiesenen oder eingestandenen Beiwohnung nicht gezeugt habe (vgl. KLANG/GSCHNITZER, Kommentar zum ABGB, Lieferung 83, Wien 1958, Bem. III 3 b zu § 163, S. 152 ff.), könne durch ein Blutgruppengutachten erbracht werden, das die Vaterschaft des Beklagten auf Grund des Kell-Faktors ausschliesst (ELSIGAN, Der naturwissenschaftliche Vaterschaftsbeweis in der Rechtsprechung der Zivil- und Strafgerichte, Juristische Blätter 82, 1960, S. 241). Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Klage wird abgewiesen.
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21850b53-d1a1-4758-914c-3bc9af30dd9a
Urteilskopf 100 Ia 433 61. Extrait de l'arrêt du 23 octobre 1974 dans la cause Association des locataires de Meyrin-Parc et consorts contre Genève, Conseil d'Etat
Regeste Art. 4 BV ; formeller Mangel; Rückwirkung; Anspruch auf rechtliches Gehör. 1. Im kantonalen Verfahren geheilter formeller Mangel (E. 3). 2. Rückwirkung: besonderer Fall, wo die Rückwirkung eines Entscheides zugelassen werden muss, weil sie letztlich im Interesse der Beschwerdeführer liegt (E. 6). 3. Der unmittelbar aus Art. 4 BV folgende Anspruch auf rechtliches Gehör räumt das Akteneinsichtsrecht nur jenen Personen ein, die an einem Verfahren als Parteien beteiligt sind (E. 7).
Sachverhalt ab Seite 433 BGE 100 Ia 433 S. 433 Résumé des faits: A.- Deux groupes de deux immeubles locatifs, propriété de deux sociétés immobilières (S.I. Meyrin-Parc C et S.I. Meyrin-Parc D), ont été construits en vertu d'autorisations accordées en application de la loi genevoise du 29 juin 1957 BGE 100 Ia 433 S. 434 "sur le développement de l'agglomération urbaine" (en abrégé: LDAU) et sont occupés dès le 1er juillet 1962. Le Conseil d'Etat en a limité le prix des loyers pour dix ans dès le 1er juillet 1962. Ces immeubles ont été acquis en 1967 par deux fondations en faveur du personnel de Swissair, à la suite de quoi les sociétés immobilières ont été liquidées. Auparavant, l'administration fiscale cantonale s'était déclarée prête à accorder une exonération fiscale totale pour une durée de vingt ans, en application de la loi du 24 février 1961 "autorisant le Conseil d'Etat à cautionner des prêts hypothécaires et à octroyer des exemptions fiscales en vue d'encourager la création de logements à loyers modérés" (dite loi HLM). Sur demande des fondations, une augmentation de loyer de 10% a été autorisée dès le 1er juin 1972 par le Service HLM du Département cantonal des Finances, qui a précisé qu'il s'agissait du premier échelon d'une hausse totale à répartir dans le temps et qui serait fixée définitivement lorsque le programme détaillé de revision technique des immeubles serait connu. Le renouvellement des baux aux nouvelles conditions a été accepté par les locataires, soit immédiatement, soit après comparution devant la Commission de conciliation en matière de baux d'appartements; les avenants établis à cette occasion contiennent une clause autorisant le bailleur à modifier le loyer en cours de bail - moyennant un avis de trente jours - dans la mesure où il y sera autorisé par l'Etat de Genève. B.- Par deux arrêtés du 23 mai 1973, le Conseil d'Etat a accordé aux fondations une exonération fiscale de vingt ans, en la soumettant à certaines conditions. Dans les considérants de ces arrêtés, il prend acte des plans financiers relatifs aux immeubles, indiquant le montant des états locatifs de chaque groupe d'immeubles. Par deux arrêtés du 11 juillet 1973, le Conseil d'Etat a modifié ceux du 23 mai 1973 dans leur exposé des motifs, admettant que les états locatifs soient portés à des montants supérieurs dès le 1er juin 1972, puis dès le 1er septembre 1973. Le Service HLM a communiqué les arrêtés du 11 juillet 1973 à l'agence immobilière mandataire des recourants, précisant qu'elle pouvait notifier les nouvelles conditions aux locataires, au moins trente jours avant la date d'application des nouveaux prix, ce qui a été fait par lettres du 18 juillet 1973. BGE 100 Ia 433 S. 435 C.- Le 22 septembre 1972, l'Association genevoise de défense des locataires (en abrégé: ASLOCA), agissant au nom d'un certain nombre de locataires des immeubles en question, avait demandé au Service HLM si l'autorisation définitive de la hausse de 1972 avait été accordée par le Conseil d'Etat. Le Service HLM avait répondu que la hausse de 10% n'était qu'un premier échelon et que l'arrêté du Conseil d'Etat consacrerait définitivement une seconde hausse, qui ne pourrait toutefois être chiffrée que lorsque la régie aurait fourni tous les éléments d'appréciation nécessaires. L'ASLOCA avait réagi contre cette manière de faire et demandé des explications par lettre du 29 septembre 1972, qui était restée sans réponse, de même que des rappels ultérieurs. Finalement, après nouveau rappel du 10 août 1973, le Service HLM a répondu le 21 août 1973 que, par arrêtés du 11 juillet 1973, le Conseil d'Etat avait définitivement autorisé l'augmentation des états locatifs. Les textes desdits arrêtés n'ont pas été communiqués à l'ASLOCA, malgré sa demande expresse. D.- Agissant par la voie du recours de droit public, l'Association des locataires de Meyrin-Parc et plusieurs locataires des immeubles en cause, tous représentés par l'ASLOCA, ont demandé au Tribunal fédéral d'annuler les arrêtés du Conseil d'Etat du 11 juillet 1973, pour arbitraire et violation du principe de la non-rétroactivité des décisions administratives. Le Tribunal fédéral a rejeté le recours au sens des considérants. Erwägungen Extrait des motifs: 3. Le Service HLM n'était pas compétent pour prononcer lui-même l'assujettissement des immeubles en cause à la loi HLM, ni d'ailleurs pour autoriser une augmentation de l'état locatif; cette compétence appartient exclusivement au Conseil d'Etat, en vertu de la loi HLM. Mais l'informalité qui frappait cet assujettissement a été réparée par les arrêtés du Conseil d'Etat du 23 mai 1973, que les recourants n'attaquent pas dans leur recours de droit public. Il est vrai qu'ils ne connaissaient pas ces arrêtés au moment du dépôt de leur recours, ni ne savaient que l'assujettissement n'avait été prononcé tout d'abord que par le Service HLM. Ils BGE 100 Ia 433 S. 436 n'ont eu connaissance desdits arrêtés que par la réponse des intimés à leur recours, réponse qui leur a été communiquée en vertu de l' art. 93 al. 2 OJ . S'ils s'estimaient lésés par ces arrêtés, ils auraient pu les attaquer dans les trente jours dès cette communication, ce qu'ils n'ont pas fait. Ainsi, l'assujettissement des immeubles au régime de la loi HLM dès le 1er janvier 1968 est devenu définitif. 6. Le grief essentiel des recourants consiste à soutenir que les décisions attaquées sont arbitraires parce qu'elles contreviennent au principe fondamental de la non-rétroactivité des décisions administratives. Ce grief, comme le précédent, vise ainsi les arrêtés du 11 juillet 1973 en tant seulement qu'ils autorisent rétroactivement une hausse de loyer à dater du 1er juin 1972. Les recourants fondent leur grief, non pas sur un principe de droit cantonal, mais - selon ce qu'on peut déduire de leur argumentation - sur les règles découlant directement de l' art. 4 Cst. Ils invoquent à cet effet les principes posés par la jurisprudence fédérale. Mais on peut se dispenser d'examiner si les arrêtés du Conseil d'Etat remplissent les conditions générales auxquelles la jurisprudence soumet la rétroactivité des actes administratifs, car il s'agit en l'espèce d'un cas particulier dans lequel l'effet rétroactif des décisions du Conseil d'Etat du 11 juillet 1973 ne saurait être annulé, pour les motifs que l'on va voir: Les immeubles en cause n'ont été assujettis par le Conseil d'Etat au régime HLM que par les arrêtés du 23 mai 1973. Si l'on faisait abstraction de l'effet rétroactif que le Conseil d'Etat a donné à ces derniers arrêtés, lesdits immeubles seraient demeurés assujettis au régime résultant des arrêtés du 24 juin 1960 et du 29 avril 1966, c'est-à-dire au contrôle des loyers résultant de la LDAU, et ce pour une durée de 10 ans dès le 1er juillet 1962, soit jusqu'au 30 juin 1972. Cela signifierait que les fondations propriétaires des immeubles auraient été libérées du contrôle des loyers avec effet au 1er juillet 1972. Quels que soient les vices dont les décisions du Service HLM sont affectées, le Conseil d'Etat a donc agi dans l'intérêt des locataires en "consacrant" après coup ces décisions. Comme les recourants admettent la validité de la rétroactivité des arrêtés du 23 mai 1973, contre lesquels ils n'ont pas BGE 100 Ia 433 S. 437 recouru, ils ne peuvent contester celle des arrêtés du 11 juillet, qui rectifient une erreur évidente commise par le Conseil d'Etat dans ses arrêtés du 23 mai, où il se référait à un rapport du Service HLM du 20 janvier 1971, sans tenir compte de la décision de ce service du 27 avril 1972. Les arrêtés du 11 juillet 1973 rectifient cette erreur et, s'ils prévoient un effet rétroactif, cet effet ne porte que sur les hausses déjà réalisées dès le 1er juin 1972. Il serait donc artificiel et illogique de ne prendre les arrêtés du 11 juillet, dans la mesure où ils portent sur une période passéc, que pour eux-mêmes, sans considérer que, portant rectification de ceux du 23 mai, ils ne peuvent être dissociés de ces derniers. On ne saurait admettre que l'assujettissement au régime HLM emporte des effets de rétroactivité et ne pas admettre en même temps que l'autorité compétente puisse fixer rétroactivement les loyers en fonction de ce régime. Les recourants ne sont pas lésés par l'effet rétroactif des arrêtés du Conseil d'Etat, puisque c'est grâce à cet effet rétroactif que leur protection continue à être assurée. Leur grief doit donc être rejeté. 7. Les recourants se plaignent également de ce que des hausses de loyers leur soient imposées sans qu'aucune explication valable ne soit donnée; ils trouvent le procédé d'autant plus inadmissible que les immeubles en cause ne sont pas soumis, disent-ils, à l'arrêté fédéral du 30 juin 1972 "instituant des mesures contre les abus dans le secteur locatif", l'art. 4 lettre b de l'ordonnance d'exécution du Conseil fédéral, du 10 juillet 1972, excluant les logements construits avec l'aide des pouvoirs publics, dans la mesure où le loyer est soumis au contrôle des autorités. On peut se demander s'ils veulent par là se plaindre d'une violation du droit d'être entendu. En tout cas, ils ne font état d'aucune disposition cantonale qui leur donnerait le droit d'intervenir dans la procédure de limitation des loyers. Quant au droit d'être entendu découlant directement de l' art. 4 Cst. , s'il comprend en principe le droit de consulter les pièces du dossier (RO 95 I 106), il n'est cependant ouvert qu'aux personnes qui sont impliquées comme parties dans une procédure (RO 83 I 155), ce que les recourants ne sont pas dans la procédure résultant de l'application de la loi HLM. En effet, l'Etat ne fixe que le maximum des loyers qui peuvent être BGE 100 Ia 433 S. 438 perçus par le propriétaire, mais n'intervient pas directement dans le rapport de droit privé entre bailleur et locataire. Les locataires ne sont, dans cette procédure, que des tiers intéressés. Le fait que, par la carence des autorités genevoises, ils n'ont pas reçu d'explication ne saurait donc entraîner l'admission du recours. On peut douter d'autre part que les immeubles en cause soient soustraits à l'application des mesures contre les abus dans le secteur locatif, bien que les parties l'affirment, sans prétendre cependant qu'ils auraient été "construits avec l'aide du canton", condition de l'application de l'art. 4 lettre b de l'ordonnance du 10 juillet 1972. Mais cette question n'a pas à être tranchée en l'espèce.
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Urteilskopf 135 IV 162 22. Auszug aus dem Urteil der I. öffentlich-rechtlichen Abteilung i.S. Kanton Zürich gegen Bundesamt für Justiz (Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten) 1C_116/2009 vom 9. Juni 2009
Regeste Art. 82 lit. a BGG , Art. 4 Abs. 1 TEVG ; Teilung eingezogener Vermögenswerte. Zulässiges Rechtsmittel an das Bundesgericht (E. 1). Abzugsfähigkeit von Gerichtskosten bei der Berechnung des Nettobetrags gemäss Art. 4 Abs. 1 TEVG (E. 2 und 3).
Sachverhalt ab Seite 162 BGE 135 IV 162 S. 162 A. Das Jugendgericht Zürich ordnete am 2. Dezember 2004 in einem Strafverfahren (...) die definitive Einziehung der für den Kanton Zürich sichergestellten Beträge von Fr. 104'704.- und EUR 2'010.- an. Diese Einziehungsverfügung, die Bestandteil des Urteils und Beschlusses des Jugendgerichts vom gleichen Datum bildete, erwuchs unangefochten in Rechtskraft. BGE 135 IV 162 S. 163 B. Am 5. Januar 2006 meldete das Bezirksgericht Zürich die Einziehung dem Bundesamt für Justiz (BJ) und veranlasste die Überweisung der eingezogenen Vermögenswerte an die Eidgenössische Finanzverwaltung. Mit Verfügung vom 14. Februar 2006 legte das BJ die Teilung dieser Vermögenswerte zwischen dem Bund und dem Kanton Zürich fest. In den Erwägungen der Verfügung wurde die Summe der beschlagnahmten Vermögenswerte mit insgesamt Fr. 107'891.- beziffert. Als abzugsfähige Kosten wurde ein Betrag von Fr. 99'581.- anerkannt (Fr. 52'191.- als Auslagen der Untersuchung und amtlichen Verteidigung sowie Fr. 47'390.- als Kosten der Polizei- und Untersuchungshaft). Hingegen wurden die Gerichtsgebühren als nicht abzugsfähig bezeichnet. Im Dispositiv der Verfügung wurde der auf diese Weise errechnete Nettobetrag von Fr. 8'310.- zu sieben Zehnteln (Fr. 5'817.-) dem Kanton Zürich und zu drei Zehnteln (Fr. 2'493.-) dem Bund zugewiesen. Entsprechend bestimmte das BJ, nach Eintritt der Rechtskraft der Verfügung seien die an die Eidgenössische Finanzverwaltung überwiesenen Vermögenswerte dem Kanton Zürich, unter Abzug des Bundesanteils von Fr. 2'493.-, zurückzuerstatten. C. Der Kanton Zürich (...) focht die Verfügung vom 14. Februar 2006 beim Eidgenössischen Justiz- und Polizeidepartement (EJPD) an. (...); er verlangte, dass die Gerichtskosten (Fr. 1'953.-) ebenfalls als abzugsfähig anzuerkennen seien. (...) Am 1. Januar 2007 übernahm das Bundesverwaltungsgericht das Beschwerdeverfahren vom EJPD. Mit Urteil vom 16. Februar 2009 wies das Bundesverwaltungsgericht die Beschwerde ab. D. Gegen das Urteil des Bundesverwaltungsgerichts erhebt der Kanton Zürich (...) Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten beim Bundesgericht. Er beantragt die Aufhebung des angefochtenen Entscheids und die Festlegung des zu teilenden Nettobetrags auf Fr. 6'357.-. Eventualiter sei von einem Nettobetrag von Fr. 7'857.- auszugehen. (...) Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab. (Auszug) Erwägungen Aus den Erwägungen: 1. Das Bundesgericht prüft die Zulässigkeit der Beschwerde von Amtes wegen ( Art. 29 Abs. 1 BGG ; BGE 135 II 94 E. 1 S. 96 mit Hinweisen). BGE 135 IV 162 S. 164 Das angefochtene Urteil des Bundesverwaltungsgerichts erging in Anwendung des Bundesgesetzes vom 19. März 2004 über die Teilung eingezogener Vermögenswerte (TEVG; SR 312.4). Bei diesem Erlass handelt es sich um öffentliches Recht des Bundes, das einen Bezug zum Strafrecht aufweist. Die Teilung eingezogener Vermögenswerte unter den Gemeinwesen erfolgt jeweils mit einem selbstständigen Entscheid nach dem rechtskräftigen Abschluss des Strafverfahrens (vgl. Art. 6 TEVG ). Dabei geht es nicht um eine Strafsache nach Art. 78 BGG , sondern um eine öffentlich-rechtliche Angelegenheit im Sinne von Art. 82 lit. a BGG . Ein Ausschlussgrund nach Art. 83 BGG liegt nicht vor. Die Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten ist zulässig gegen Entscheide des Bundesverwaltungsgerichts ( Art. 86 Abs. 1 lit. a BGG ), die das Verfahren abschliessen ( Art. 90 BGG ). Der Kanton Zürich ist gestützt auf Art. 89 Abs. 2 lit. d BGG in Verbindung mit Art. 7 Abs. 2 TEVG zur Beschwerde berechtigt. Es kann daher offenbleiben, ob seine Legitimation auch gestützt auf Art. 89 Abs. 1 BGG zu bejahen wäre. Die übrigen Sachurteilsvoraussetzungen sind ebenfalls erfüllt und geben keinen Anlass zu Bemerkungen. Auf die Beschwerde ist einzutreten. 2. 2.1 Der Aufteilung zwischen den Kantonen und dem Bund unterliegt nicht der Bruttobetrag der eingezogenen Vermögenswerte, sondern nur ein sog. Nettobetrag (vgl. Art. 5 Abs. 1 TEVG ). Die Differenz zwischen dem Brutto- und dem Nettobetrag setzt sich aus zwei Kategorien von abziehbaren Beträgen zusammen, die in Art. 4 TEVG umschrieben werden. Es sind dies die Vermögenswerte, die den Geschädigten in Anwendung von Art. 73 Abs. 1 lit. b und c StGB zugesprochen werden ( Art. 4 Abs. 2 TEVG ), sowie die in Art. 4 Abs. 1 TEVG umschriebenen Kosten. Der vorliegende Rechtsstreit dreht sich um die Auslegung von Art. 4 Abs. 1 TEVG . Es geht darum, ob und inwiefern Gerichtskosten abzugsfähige Kosten gemäss Art. 4 Abs. 1 TEVG darstellen. 2.2 Art. 4 Abs. 1 TEVG lautet: "Vor der Aufteilung sind vom Bruttobetrag der eingezogenen Vermögenswerte folgende Kosten abzuziehen, sofern sie voraussichtlich nicht einzubringen sind: a. die Barauslagen, namentlich Kosten für Übersetzung, Vorführung, Gutachten, Ausführung von Rechtshilfeersuchen, BGE 135 IV 162 S. 165 Telefonüberwachungen sowie Entschädigungen für die amtliche Verteidigung und andere Aufwendungen im Rahmen der Beweiserhebung; b. die Kosten für die Untersuchungshaft; c. zwei Drittel der voraussichtlichen Kosten für den Vollzug von unbedingten Freiheitsstrafen; d. die Kosten für die Verwaltung der eingezogenen Vermögenswerte; e. die Kosten für die Verwertung der eingezogenen Vermögenswerte und die Eintreibung von Ersatzforderungen." 2.3 Im Urteil und Beschluss vom 2. Dezember 2004 setzte das Jugendgericht Zürich die Gerichtsgebühr auf Fr. 1'500.- fest und bestimmte die Höhe folgender weiterer Kosten: Fr. 363.- Schreibgebühren, Fr. 90.- Vorladungsgebühren und Fr. 114.- Zustellgebühren. Nach den Feststellungen des Bundesverwaltungsgerichts liess das BJ von diesen Positionen einzig die Zustellgebühren von Fr. 114.- zum Abzug zu; dieser Betrag ist in der Summe von Fr. 52'191.- für Untersuchungs- und Verteidigungskosten enthalten. Im Streit liegt die Abzugsfähigkeit der Gerichtsgebühr sowie der Schreib- und Vorladungsgebühren. Mit dem Hauptantrag begehrt der Beschwerdeführer die Zulassung von allen drei Positionen (total: Fr. 1'953.-) zum Abzug. Mit dem Eventualantrag verlangt er mindestens den Abzug der Schreib- und der Vorladungsgebühren (total: Fr. 453.-). Werden diese Summen je vom Nettobetrag von Fr. 8'310.- gemäss der Verfügung des BJ abgezogen, so ergeben sich die postulierten Nettobeträge gemäss den Rechtsbegehren in der Beschwerdeschrift. 2.4 Das Bundesverwaltungsgericht hat die historische Auslegungsmethode in den Vordergrund gestellt. Es hat unter Hinweis auf die bundesrätliche Botschaft vom 24. Oktober 2001 zum TEVG (BBl 2002 S. 441 ff.) ausgeführt, die Arten von abzugsfähigen Kosten seien in Art. 4 Abs. 1 TEVG an sich abschliessend aufgezählt (vgl. BBl 2002 S. 463 Ziff. 2.2.1.2.2). Die Gerichtsgebühren befänden sich nicht darunter; insbesondere seien sie nicht in der exemplarischen Auflistung der Barauslagen in Art. 4 Abs. 1 lit. a TEVG genannt. Art. 4 Abs. 1 lit. a TEVG sei zwar nicht als abschliessende Aufzählung formuliert. Die bundesrätliche Botschaft erkläre aber ausdrücklich, dass Gerichtskosten nicht abzugsfähig sein sollen; dies werde damit begründet, dass sie schematisch und nach kantonal unterschiedlichen Kriterien festgelegt würden (vgl. BBl 2002 S. 463 Ziff. 2.2.1.2.2). Auch aus einem Sitzungsprotokoll der vorberatenden Expertenkommission vom 22. Dezember 1998, das dem Kanton Zürich im Beschwerdeverfahren zur Stellungnahme BGE 135 IV 162 S. 166 vorgelegt worden sei, ergebe sich, dass die Gerichtsgebühren im Rahmen von Art. 4 Abs. 1 TEVG bewusst ausgeklammert worden seien. Diese Lösung decke sich mit dem Grundgedanken und der Stossrichtung der Teilungsregeln. Es bestehe folglich kein Raum für eine andere Auslegung der Norm, die erst seit wenigen Jahren in Kraft sei. In der Umsetzung auf den vorliegenden Fall fügte das Bundesverwaltungsgericht an, nicht nur die strittigen Positionen, sondern auch die Zustellungskosten seien vom Jugendgericht schematisch festgelegt worden. Konsequenterweise hätten auch Letztere vom BJ nicht als abzugsfähig akzeptiert werden dürfen. Das Bundesverwaltungsgericht erachtete es jedoch als vertretbar, diesen Nebenpunkt der erstinstanzlichen Verfügung auf sich beruhen zu lassen. Im Ergebnis bezeichnete das Bundesverwaltungsgericht die Verfügung des BJ als rechtmässig. 3. 3.1 Der Beschwerdeführer kritisiert, dass sich das Bundesverwaltungsgericht von der historischen Auslegungsmethode leiten liess. Er beansprucht, in systematischer und teleologischer Auslegung von Art. 4 Abs. 1 TEVG müssten sämtliche Gerichtskosten als abzugsfähig betrachtet werden. Das gesetzlich als Verteilungsgrundlage verankerte Nettoprinzip setze voraus, dass in erster Linie die im Rahmen der Strafverfolgung entstandenen Kosten ersetzt würden. Die Gerichtskosten gehörten genauso zum Strafverfolgungsaufwand wie die in Art. 4 Abs. 1 lit. a TEVG aufgezählten Positionen. Das Normverständnis des Bundesverwaltungsgerichts benachteilige besonders stark Kantone, bei denen das Gerichtsverfahren vom Unmittelbarkeitsprinzip geprägt und entsprechend aufwändig sei; Letzteres entspreche indessen gerade dem Sinn von Art. 6 EMRK . Der angefochtene Entscheid erweise sich deshalb als verfassungswidrig; namentlich verletze er das Gleichbehandlungsgebot ( Art. 8 Abs. 1 BV ) und das Willkürverbot ( Art. 9 BV ). 3.2 Das Bundesverwaltungsgericht hat die allgemeinen Grundsätze zur Gesetzesauslegung richtig wiedergegeben. Die Auslegung ist zwar nicht entscheidend historisch zu orientieren, im Grundsatz aber dennoch auf die Regelungsabsicht des Gesetzgebers und die damit erkennbar getroffenen Wertentscheidungen auszurichten; die Zweckbezogenheit des rechtsstaatlichen Normverständnisses lässt sich nicht aus sich selbst begründen, sondern ist aus den Absichten des Gesetzgebers abzuleiten, die es mit Hilfe der herkömmlichen BGE 135 IV 162 S. 167 Auslegungselemente zu ermitteln gilt (vgl. BGE 134 II 308 E. 5.2 S. 311 mit zahlreichen Hinweisen). 3.3 Bei der Durchsicht von Art. 4 Abs. 1 TEVG fällt auf, dass das Wort "Kosten" ("frais"; "spese") sowohl im Einleitungsteil dieser Norm als auch in den lit. b-d ohne weitere Einschränkungen verwendet wird. Anders verhält es sich in lit. a; dieser Passus befasst sich als Einziger mit dem abziehbaren Aufwand für die Durchführung des Strafverfahrens bzw. des Einziehungsverfahrens. In Art. 4 Abs. 1 lit. a TEVG wird von "Barauslagen" ("débours"; "esborsi") gesprochen; dieser Begriff wird anschliessend anhand einer beispielhaften Aufzählung näher konkretisiert; ausserdem findet sich in Art. 4 Abs. 1 lit. a TEVG die Wendung "und andere Aufwendungen im Rahmen der Beweiserhebung" ("et les autres dépenses résultant de l'administration des preuves"; "e le altre spese inerenti all'assunzione delle prove"). Der Wortlaut von Art. 4 Abs. 1 lit. a TEVG bietet somit keinen Anhaltspunkt dafür, dass damit der gesamte Strafverfolgungsaufwand als abziehbare Kosten umschrieben würde. Wohl trifft es zu, dass der gesetzlichen Regelung des Teilungsverfahrens die Unterscheidung zwischen dem Bruttobetrag (der eingezogenen Vermögenswerte) und dem (schliesslich aufzuteilenden) Nettobetrag zugrunde liegt. Trotzdem können die genauen Konturen des Begriffs "Nettobetrag" nur aus der detaillierten Regelung von Art. 4 TEVG erschlossen werden. Wie aus Art. 4 Abs. 1 lit. c TEVG folgt, können auch nicht alle voraussichtlichen Kosten des Strafvollzugs abgezogen werden, sondern nur zwei Drittel. Der Beschwerdeführer geht fehl, wenn er aus dem Begriff des Nettobetrags in absoluter Weise ableitet, dass sämtliche Gerichtskosten abzugsfähig sein müssten. 3.4 Vom Bundesverwaltungsgericht wird im angefochtenen Entscheid nicht ausgeschlossen, dass in einem Gerichtsverfahren Barauslagen anfallen und Letztere im Rahmen von Art. 4 Abs. 1 lit. a TEVG abziehbar sein können. Mit dem angefochtenen Entscheid sind jedoch im Ergebnis die Gerichtskosten insoweit als nicht abzugsfähig behandelt worden, als diese Gebührencharakter haben. Dem Bundesverwaltungsgericht lässt sich daher nicht vorwerfen, es habe die Begriffe der Gerichtsgebühren und der Gerichtskosten zu wenig klar auseinandergehalten. Eine Grenzziehung im Rahmen von Art. 4 Abs. 1 lit. a TEVG anhand des Gebührencharakters entspricht dem Gesetzestext und den Materialien. Richtig betrachtet führt die vom BGE 135 IV 162 S. 168 Bundesverwaltungsgericht in den Vordergrund gerückte historische Auslegung zu keinem anderen Ergebnis als eine systematische und teleologische Auslegung. Entgegen der Meinung des Beschwerdeführers besteht in dieser Hinsicht auch keine Abweichung zwischen der bundesrätlichen Botschaft und der Meinung der Expertenkommission, wie sie aus dem Sitzungsprotokoll vom 22. Dezember 1998 hervorgeht. Im Übrigen hat sich eine Lehrmeinung ebenfalls dafür ausgesprochen, dass die Gerichtsgebühr bzw. die allgemeinen Kosten der Rechtspflege nicht unter Art. 4 Abs. 1 TEVG fallen (NIKLAUS SCHMID, in: derselbe [Hrsg.], Kommentar Einziehung, organisiertes Verbrechen, Geldwäscherei, Bd. I, 2. Aufl. 2007, N. 237b zu Art. 70-72 StGB ). 3.5 Eine Grenzziehung anhand des Gebührencharakters führt zu folgenden Ergebnissen: Von vornherein nicht abzugsfähig ist die eigentliche Spruchgebühr bzw. Gerichtsgebühr. Gerichtsgebühren sind Kausalabgaben (vgl. BGE 133 V 402 E. 3.1 S. 404; BGE 132 I 117 E. 4.2 S. 121; je mit Hinweisen). Sie werden in der Regel mit einer gewissen Schematisierung bzw. Pauschalisierung erhoben. Anders verhält es sich bei Auslagen wie den Kosten für Gutachten, amtliche Verteidigung und den anderen Positionen, die in Art. 4 Abs. 1 lit. a TEVG aufgeführt sind. Auch wenn in den einzelnen Kantonen unterschiedliche Ansätze für die Vergütung der letztgenannten Leistungen bestehen mögen, muss die im Einzelfall festgelegte Betragshöhe dem tatsächlich insoweit entstandenen Aufwand entsprechen. Allerdings kommt es vor, dass Barauslagen, wenn es sich um kleinere Beträge handelt, nicht gesondert ausgewiesen werden, sondern Gebühr und Barauslagen pauschal festgesetzt werden. Es leuchtet ein, dass im vorliegenden Zusammenhang die nicht eigens ausgewiesenen Auslagen das Schicksal der nicht abzugsfähigen Gebühren zu teilen haben. Somit sind in dieser Hinsicht die gemäss gewissen Prozessordnungen von den Gerichten zusätzlich zu erhebenden Gebühren wie Schreib- oder Vorladungsgebühren gleich zu behandeln wie die Gerichtsgebühr. 3.6 Zusammenfassend ist festzuhalten, dass Art. 4 Abs. 1 TEVG nicht der Auslegung zugänglich ist, die dem Beschwerdeführer vorschwebt. Unbehelflich sind ebenfalls die Verfassungsrügen des Beschwerdeführers; diese erweisen sich im Grunde genommen als Kritik an der gesetzlichen Regelung. Das vorstehend dargelegte Auslegungsergebnis muss in Anbetracht von Art. 190 BV nicht weiter BGE 135 IV 162 S. 169 überprüft werden. Ohnehin ist aber eine Missachtung des Gleichbehandlungsgrundsatzes nicht erkennbar. Was der Beschwerdeführer unter diesem Titel vorbringt, hat seine Ursache in den unterschiedlichen kantonalen Verfahrensordnungen. Damit besteht ein hinreichender sachlicher Grund dafür, dass die fehlende Abzugsmöglichkeit bezüglich Gerichtsgebühren die einzelnen Kantone insoweit finanziell unterschiedlich trifft. An dieser Beurteilung ändert auch der Hinweis des Beschwerdeführers auf Art. 6 EMRK nichts. Der geltend gemachten Willkürrüge kommt im vorliegenden Fall keine eigenständige Bedeutung zu. 3.7 Mit Bezug auf den konkreten Fall hat das Bundesverwaltungsgericht den Gebührencharakter bei den umstrittenen Positionen zu Recht bejaht, dies gilt sowohl für die Gerichtsgebühr als auch für die Schreib- und Vorladungsgebühren, die im Urteil des Jugendgerichts Zürich vom 2. Dezember 2004 festgesetzt wurden. Der Beschwerdeführer vermag demzufolge weder mit dem Haupt- noch mit dem Eventualantrag durchzudringen.
null
nan
de
2,009
CH_BGE
CH_BGE_006
CH
Federation
2194b99e-745c-48c0-9b63-5929740a6ab2
Urteilskopf 120 IV 6 2. Auszug aus dem Urteil des Kassationshofes vom 18. März 1994 i.S. A. gegen Staatsanwaltschaft des Kantons Zürich (Nichtigkeitsbeschwerde)
Regeste Art. 71 Abs. 2 und Art. 187 Ziff. 1 StGB ; Zusammenfassung mehrerer strafbarer Handlungen zu einer verjährungsrechtlichen Einheit; sexuelle Handlungen mit Kindern. Wer als Primarlehrer die sexuellen Handlungen mit den gleichen Schülern nach deren Übertritt in die Oberstufe in derselben Art und Weise weiterpflegt, handelt andauernd pflichtwidrig. Seine Straftaten bilden eine verjährungsrechtliche Einheit (E. 2c/cc).
Sachverhalt ab Seite 6 BGE 120 IV 6 S. 6 A.- Der Primarlehrer A. nahm über Jahre hinweg mit vielen Kindern im schulischen Bereich mehrfach sexuelle Handlungen vor, so auch mit dem Mädchen F. und dem Knaben G. B.- Das Bezirksgericht Bülach verurteilte A. am 5. Mai 1992 nach Art. 191 aStGB zu 6 1/2 Jahren Zuchthaus. Gegen dieses Urteil appellierten der Verurteilte und die Staatsanwaltschaft des Kantons Zürich. F. und G. erhoben Anschlussappellation. Das Obergericht des Kantons Zürich bestrafte A. am 7. Mai 1993 wegen mehrfacher sexueller Handlungen mit Kindern gemäss Art. 187 Ziff. 1 StGB mit 5 1/2 Jahren Zuchthaus, ordnete eine vollzugsbegleitende ambulante Massnahme nach Art. 43 Ziff. 1 Abs. 1 StGB an und untersagte ihm, während 5 Jahren den Lehrerberuf auszuüben sowie Mitglied einer Behörde oder Beamter zu sein. Es verpflichtete ihn, F. und G. Fr. 20'000.-- bzw. Fr. 16'000.-- Genugtuung und Fr. 19'500.-- bzw. Fr. 1'100.-- Schadenersatz zu bezahlen sowie für die weiteren Therapiekosten aufzukommen. BGE 120 IV 6 S. 7 C.- A. führt dagegen eidgenössische Nichtigkeitsbeschwerde und beantragt sinngemäss, den angefochtenen Entscheid aufzuheben und die Sache zur Neubeurteilung an die Vorinstanz zurückzuweisen. D.- Das Kassationsgericht des Kantons Zürich trat am 8. Oktober 1993 auf eine Beschwerde von A. nicht ein. Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab, soweit es darauf eintritt. Erwägungen Aus den Erwägungen: 1. a) Gemäss den Ausführungen der Vorinstanz sind die Taten vor dem 7. November 1985 grundsätzlich ( Art. 187 Ziff. 5 StGB ) verjährt. Doch habe sich der Beschwerdeführer (geb. 1943) gegen das Mädchen F. (geb. 1971) und den Knaben G. (geb. 1972) während der fünften und sechsten Klasse (1983/84 und 1984/85) in dichter Folge intensivst vergangen und dies in zahlreichen Fällen nach deren Übertritt in die Oberstufe nahtlos bis 1987 bzw. 1988 fortgesetzt, und zwar weiterhin im schulischen Milieu und in den Klassenlagern. Er habe durch raffiniertes und sehr subtiles Vorgehen in Ausnützung seiner Stellung als Lehrer und Vertrauter den Widerstand der Kinder gebrochen und anschliessend ihr Vertrauen in der Schule dauernd missbraucht. Dadurch, dass die Kinder am Ende der sechsten Primarklasse (Frühling 1985) seine Klasse verlassen hätten, sei sein anhaltendes pflichtwidriges Verhalten nicht unterbrochen worden. Der Beschwerdeführer habe die sehr intensiven intimen Beziehungen aktiv weitergepflegt. Die Straftaten seien daher gemäss Art. 71 Abs. 2 StGB nicht verjährt. b) Der Beschwerdeführer macht für die Delikte der Primarschulzeit Verjährung geltend. Rechtsgut im Sinne des insoweit zu berücksichtigenden qualifizierten Tatbestands von Art. 191 Ziff. 1 Abs. 2 aStGB sei nicht nur die sexuelle Integrität von Kindern, sondern ebenso das unbelastete Verhältnis zwischen Lehrern und Schülern. Die Kontakte während der Oberstufe seien ausserhalb eines Lehrer-Schüler-Verhältnisses erfolgt. Daher sei nicht ein gleichartiges Rechtsgut betroffen. Zwischen den Taten der Primarschulzeit und jenen der Oberstufe liege eine klare Zäsur, keine nahtlose Fortsetzung. Mithin bestehe keine andauernde Pflichtverletzung. 2. Wer mit einem Kind unter 16 Jahren eine sexuelle Handlung vornimmt, es zu einer solchen Handlung verleitet oder es in eine sexuelle Handlung BGE 120 IV 6 S. 8 einbezieht, wird mit Zuchthaus bis zu fünf Jahren oder mit Gefängnis bestraft. Die Verjährung tritt in fünf Jahren ein ( Art. 187 Ziff. 1 und 5 StGB ). a) Die Vorinstanz beurteilte die Sache zu Recht aufgrund dieser neuen und milderen Strafnorm und ihrer Verjährungsordnung ( Art. 2 Abs. 2 und Art. 337 StGB ). Nach Art. 72 Ziff. 2 Abs. 2 StGB ist die Strafverfolgung in jedem Fall verjährt, wenn die ordentliche Verjährungsfrist um die Hälfte überschritten ist. Die (absolute) Verfolgungsverjährung einer Straftat nach Art. 187 StGB tritt somit nach 7 1/2 Jahren ein. Gemäss Art. 71 StGB beginnt die Verjährung mit dem Tag, an dem der Täter die strafbare Tätigkeit ausführt (Abs. 1); wenn er die strafbare Tätigkeit zu verschiedenen Zeiten ausführt, mit dem Tag, an dem er die letzte Tätigkeit ausführt (Abs. 2); wenn das strafbare Verhalten dauert, mit dem Tag, an dem dieses Verhalten aufhört (Abs. 3). Die Vorinstanz stützt sich auf Abs. 2 dieser Bestimmung. b) Das Bundesgericht verzichtete in BGE 117 IV 408 auf die Rechtsfigur des fortgesetzten Delikts. Ob und unter welchen Bedingungen eine Mehrzahl strafbarer Handlungen jeweils zu einer entsprechenden rechtlichen Einheit zusammenzufassen ist, ist in den Sachbereichen, in denen das fortgesetzte Delikt bisher Anwendung gefunden hat, gesondert zu beurteilen. Verschiedene strafbare Handlungen sind gemäss Art. 71 Abs. 2 StGB dann als eine Einheit (bei der die Verjährung für sämtliche Teilhandlungen erst mit der letzten Teilhandlung zu laufen beginnt) anzusehen, wenn sie gleichartig und gegen dasselbe Rechtsgut gerichtet sind und - ohne dass bereits ein eigentliches Dauerdelikt gegeben ist ( Art. 71 Abs. 3 StGB ) - ein andauerndes pflichtwidriges Verhalten bilden, das der in Frage stehende gesetzliche Straftatbestand ausdrücklich oder sinngemäss mitumfasst. Unter welchen genauen Voraussetzungen dies der Fall ist, kann nicht abschliessend in einer abstrakten Formel umschrieben werden ( BGE 119 IV 73 E. 2b). Das Bundesgericht bejahte die Verbindung mehrerer strafbarer Einzelhandlungen zu einer verjährungsrechtlichen Einheit bei der ungetreuen Geschäftsführung ( BGE 117 IV 408 ), hinsichtlich der Strafantragsfrist bei fortwährender Vernachlässigung von Unterhaltspflichten ( BGE 118 IV 325 ) und bei gewohnheitsmässiger Widerhandlung gegen das Zollgesetz ( BGE 119 IV 73 ). Demgegenüber verneinte es eine verjährungsrechtliche Einheit bei der Annahme von Geschenken ( BGE 118 IV 309 ) sowie bei übler Nachrede ( BGE 119 IV 199 ). BGE 120 IV 6 S. 9 c) Massgebend für eine Zusammenfassung zu einer verjährungsrechtlichen Einheit ( Art. 71 Abs. 2 StGB ) in einem konkreten Fall ist demnach, dass die Delikte gleichartig sind, sich gegen dasselbe Rechtsgut richten und auf einem andauernden pflichtwidrigen Verhalten beruhen, das die anwendbare Strafnorm ihrem Gehalt nach mitumfasst. aa) Die sexuellen Handlungen mit den Kindern waren gleichartig. Sie richteten sich gegen dasselbe Rechtsgut. Rechtsgut ist zunächst die Freiheit der sexuellen Selbstbestimmung bzw. der Schutz vor sexueller Nötigung ( Art. 189 StGB ). Bei Art. 187 StGB tritt zusätzlich der Jugendschutz in den Vordergrund, nämlich der Schutz der ungestörten sexuellen Entwicklung Unmündiger, die besonders gefährdet erscheint, wenn Kinder und Jugendliche zu anderen als altersspezifischen Formen sexueller Betätigung veranlasst werden (STRATENWERTH, Schweizerisches Strafrecht, Bes. Teil I, 4. Auflage, S. 135 f.). Jugendschutz und Selbstbestimmung sind Ausformungen desselben Persönlichkeitsrechts auf sexuelle Integrität. Art. 187 StGB setzt eine absolute Altersgrenze, weshalb allfälliges Einwilligen eines Kindes in sexuelle Handlungen unerheblich ist. bb) Der qualifizierte Tatbestand des Art. 191 Ziff. 1 Abs. 2 aStGB sah bei Abhängigkeitsverhältnissen mindestens zwei Jahre Zuchthaus vor. Art. 187 Ziff. 1 StGB enthält dieses Tatbestandsmerkmal nicht mehr, ohne indessen den strafrechtlichen Schutz der Kinder vor sexueller Ausbeutung durch Erwachsene zu relativieren. Es bedurfte dazu nicht eines auf ein Abhängigkeitsverhältnis hinweisenden Tatbestandsmerkmals, da Kinder durchwegs abhängig sind. Diese Abhängigkeit findet sich ausgeprägt im Schulwesen. Insbesondere der Primarlehrer trägt hier in einer entwicklungspsychologisch bedeutsamen Lebensphase aufgrund seines erzieherischen Auftrags und seiner Vertrauensstellung erhöhte Verantwortung. cc) Der Beschwerdeführer wendet im wesentlichen ein, sein Verhalten sei nicht andauernd pflichtwidrig gewesen. Soweit er dazu vorbringt, er hätte an unterschiedlichen Orten und zu verschiedenen Zeiten delinquiert und den Tatentschluss immer wieder neu gefasst, richtet er sich gegen die tatsächlichen Feststellungen der Vorinstanz, worauf nicht einzutreten ist ( Art. 273 Abs. 1 lit. b BStP ). Wie die Vorinstanz für das Bundesgericht bindend ( Art. 277bis BStP ; SR 312.0) feststellt, beging der Beschwerdeführer die Straftaten auch nach dem Übertritt der Kinder in die Oberstufe weiterhin im schulischen Milieu und in den Klassenlagern. BGE 120 IV 6 S. 10 Zwischen den Handlungen während der Primarschule und jenen im Verlaufe der Oberstufe liegt der bloss äusserliche Unterschied, dass F. und G. nicht mehr Schüler einer von ihm unterrichteten Klasse waren. Im schulischen Bereich und in den Klassenlagern amtete er gleichwohl als Lehrer. Die verbotenen Sexualbeziehungen hatte der Beschwerdeführer durch raffiniertes und subtiles Vorgehen gerade in Ausnützung seiner Stellung als Lehrer und Vertrauter der Kinder aufgebaut. Er pflegte nach dem Übertritt der Geschädigten in die Oberstufe dieselben Beziehungen in derselben Art und Weise weiter. Die Grundlage dazu bildeten das Macht- und Autoritätsgefälle der Primarschule und die in dieser Zeit gefestigte persönliche Abhängigkeit. Zu Recht bewertet die Vorinstanz die unveränderten sexuellen Übergriffe als nahtlose Fortsetzung des strafbaren Verhaltens während der Primarschulzeit, weil der Beschwerdeführer die pädosexuellen Beziehungen zielgerichtet ausbaute und über Jahre hinweg aufrechterhielt. Sein Handeln war somit auf Dauer angelegt. Die Übergriffe erscheinen nicht als abgelöste Einzelakte, sondern als eine Abfolge strafbaren Verhaltens, dessen einzelne Akte in ein Beziehungsgeflecht eingebettet waren, das der Beschwerdeführer dank seiner Lehrerposition weiterentwickeln und für seine Interessen ausnützen konnte. Damit hat der Beschwerdeführer in einem grundsätzlich unveränderten funktionellen und örtlichen Rahmen (Lehrer-Schüler-Verhältnis im schulischen Bereich) delinquiert. Ein derartiger Zusammenhang ist unter den Umständen des vorliegenden Falles verjährungsrechtlich als Einheit zu betrachten. Die Vorinstanz nimmt somit zu Recht eine verjährungsrechtliche Einheit im Sinne von Art. 71 Abs. 2 StGB an. Die Delikte vor dem 7. November 1985 sind daher nicht verjährt. Der Schuldspruch für sämtliche Delikte gegen F. und G. verletzt kein Bundesrecht.
null
nan
de
1,994
CH_BGE
CH_BGE_006
CH
Federation
21963d13-3ae4-4997-bc93-f7befd7de34d
Urteilskopf 139 IV 314 49. Auszug aus dem Urteil der I. öffentlich-rechtlichen Abteilung i.S. Staatsanwaltschaft des Kantons Freiburg gegen X. (Beschwerde in Strafsachen) 1B_270/2013 vom 22. Oktober 2013
Regeste Art. 188 Abs. 1 BV ; Art. 1, 12 und 13 StPO ; Art. 103 f. BGG; Beschwerde in Strafsachen der Staatsanwaltschaft gegen eine (umgehend vollzogene) Haftentlassung durch die Verfahrensleitung des Berufungsgerichts. Anders als bei der Anfechtung eines Haftentlassungsentscheids des Zwangsmassnahmengerichts oder des erstinstanzlichen Strafrichters (E. 2.2), kann mit einer Beschwerde in Strafsachen gegen eine Haftentlassung durch die Verfahrensleitung des Berufungsgerichts in der Regel nicht verhindert werden, dass die Haftentlassung sofort vollzogen wird (E. 2.3).
Sachverhalt ab Seite 315 BGE 139 IV 314 S. 315 A. Am 22. April 2013 verurteilte das Strafgericht des Saanebezirks X. insbesondere wegen mehrfachen Betrugs und Vernachlässigung der Unterhaltspflicht zu einer unbedingten Freiheitsstrafe von 11 Monaten. Zur Sicherung des Strafvollzugs versetzte es ihn für drei Monate in Sicherheitshaft. Am 2. Mai 2013 erhob X. Berufung. Mit Verfügung vom 22. Juli 2013 verlängerte die Präsidentin des Strafappellationshofs des Kantonsgerichts Freiburg die Sicherheitshaft um eine Woche, d.h. bis zum 29. Juli 2013, und gab den Parteien Gelegenheit zur Stellungnahme. X. beantragte seine Freilassung, die Staatsanwaltschaft die Verlängerung der Sicherheitshaft bis zum Abschluss des Berufungsverfahrens. Mit Verfügung vom 29. Juli 2013 ordnete die Präsidentin des Strafappellationshofes die Entlassung von X. aus der Sicherheitshaft am gleichen Tag an. Sie verpflichtete ihn, sich einmal wöchentlich bei der Polizeistelle seines Wohnsitzes zu melden. Sie erwog, zwar seien der dringende Tatverdacht und Fluchtgefahr gegeben. Die Haft sei jedoch nicht mehr verhältnismässig. B. Die Staatsanwaltschaft führt Beschwerde in Strafsachen mit dem Antrag, die Verfügung der Präsidentin des Strafappellationshofes sei aufzuheben und über X. Sicherheitshaft anzuordnen. (...) Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab. (Auszug) Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. 2.1 Die Beschwerdeführerin bringt vor, nach der bundesgerichtlichen Rechtsprechung könne sie die Freilassung des Beschuldigten bei Nichtanordnung der Haft durch das Zwangsmassnahmengericht verhindern. Sie müsse dazu dem Zwangsmassnahmengericht die BGE 139 IV 314 S. 316 Beschwerde an die kantonale Beschwerdeinstanz sofort ankündigen und habe in der Folge drei Stunden Zeit zur Einreichung der Beschwerde. Dabei bleibe der Beschuldigte in Haft, bis die Verfahrensleitung der Beschwerdeinstanz superprovisorisch über die vorläufige Fortdauer der Haft entscheiden könne. Das vom Bundesgericht umschriebene Vorgehen bei der Anfechtung des Zwangsmassnahmenentscheids müsse auch in der vorliegenden Konstellation gelten, wo die Staatsanwaltschaft gegen die Freilassung Beschwerde in Strafsachen erheben könne. Das habe die Vorinstanz nicht beachtet. Sie habe ihre Verfügung vom 29. Juli 2013 der Beschwerdeführerin gleichentags um 15.16 Uhr per Fax zugestellt. Ebenfalls noch am gleichen Tag, um 17.00 Uhr, sei der Beschwerdegegner aus der Haft entlassen worden. Die Beschwerdeführerin habe somit nicht drei Stunden Zeit gehabt zur Einreichung der Beschwerde in Strafsachen mit dem Antrag um aufschiebende Wirkung. Damit sei eine wirksame Wahrnehmung des Beschwerderechts der Beschwerdeführerin nach Art. 81 Abs. 1 BGG verhindert worden. 2.2 Nach der Rechtsprechung ist die Staatsanwaltschaft befugt, einen für sie ungünstigen Entscheid des Zwangsmassnahmengerichts in Haftsachen bei der Beschwerdeinstanz anzufechten ( BGE 138 IV 92 E. 3.2; BGE 137 IV 87 E. 3, BGE 137 IV 22 E. 1). Dieses Beschwerderecht muss die Staatsanwaltschaft wirksam wahrnehmen können. 2.2.1 Das Bundesgericht hat dazu festgehalten ( BGE 138 IV 92 E. 3.2 f. S. 96 ff., BGE 138 IV 148 E. 3.1 f. S. 150 f.; je mit Hinweisen), dass eine beschuldigte Person gemäss Art. 226 Abs. 5 StPO unverzüglich freizulassen ist, wenn das Zwangsmassnahmengericht die Untersuchungshaft nicht anordnet. Dieses Recht auf unverzügliche Freilassung ergibt sich aus dem Grundrecht der persönlichen Freiheit ( Art. 10 Abs. 2 BV ), welches gestützt auf die Art. 31 BV und Art. 5 EMRK in strafrechtlichen Verfahren unter bestimmten Voraussetzungen eingeschränkt werden kann (s. auch Art. 36 BV ). Verfügt das Zwangsmassnahmengericht die sofortige Freilassung, obwohl nach Auffassung der Staatsanwaltschaft ein Haftgrund nach Art. 221 StPO besteht, kann das die Fortführung des Strafverfahrens indessen erschweren oder gar vereiteln. Um dies zu verhindern, besteht ein Interesse, dass die Staatsanwaltschaft im Rahmen ihrer Beschwerde an die Beschwerdeinstanz nach Art. 393 StPO zumindest vorübergehend die Freilassung verhindern kann. Strafprozessuale Rechtsmittel haben nach Art. 387 StPO keine aufschiebende Wirkung. Vorbehalten bleiben abweichende BGE 139 IV 314 S. 317 Bestimmungen der StPO oder Anordnungen der Verfahrensleitung der Rechtsmittelinstanz. Diese trifft in Anwendung von Art. 388 StPO die notwendigen und unaufschiebbaren verfahrensleitenden und vorsorglichen Massnahmen. Hierzu gehört nach ausdrücklicher Vorschrift von Art. 388 lit. b StPO die Anordnung von Haft. Diese Bestimmungen sind grundsätzlich geeignet, die Untersuchungshaft während des Beschwerdeverfahrens betreffend die Haftentlassung aufrechtzuerhalten. Gewiss steht die lückenlose Weiterführung der Untersuchungshaft in einem gewissen Gegensatz zur Pflicht, die beschuldigte Person unverzüglich freizulassen, wenn das Zwangsmassnahmengericht die Untersuchungshaft nicht anordnet ( Art. 226 Abs. 5 StPO ). Dennoch ist es zur Gewährleistung des Beschwerderechts der Staatsanwaltschaft erforderlich, die Freilassung des Beschuldigten aufzuschieben, bis die Beschwerdeinstanz über die Fortdauer der Haft während des Beschwerdeverfahrens im Sinne von Art. 388 lit. b StPO wenigstens superprovisorisch entscheiden kann. Vor dem Hintergrund des Anspruchs des Beschuldigten auf unverzügliche Freilassung gemäss Art. 226 Abs. 5 StPO muss die Staatsanwaltschaft ihre Beschwerde vor dem Zwangsmassnahmengericht indessen unmittelbar nach Kenntnis des Haftentlassungsentscheids ankündigen und im Anschluss daran schriftlich einreichen. In der Beschwerde sind auch die notwendigen und unaufschiebbaren verfahrensleitenden und vorsorglichen Massnahmen zu beantragen ( Art. 388 StPO ). Aus diesen Erfordernissen ergibt sich, dass die Staatsanwaltschaft in Verfahren nach Art. 225 Abs. 1 StPO persönlich vertreten sein muss und sich nicht mit schriftlichen Anträgen begnügen kann (vgl. Art. 225 Abs. 3 StPO ). Die Ankündigung hat zur Folge, dass die Haft nach dem Freilassungsentscheid des Zwangsmassnahmengerichts bis zur sofortigen Beschwerdeerhebung durch die Staatsanwaltschaft fortbesteht. Um dem Erfordernis der unverzüglichen Beschwerdeerhebung im Anschluss an die Ankündigung nachzukommen, muss die Staatsanwaltschaft spätestens drei Stunden nach der Ankündigung beim Zwangsmassnahmengericht eine (wenigstens kurz) begründete Beschwerdeschrift einreichen und darin die Aufrechterhaltung der Haft beantragen. Diesfalls ist das Zwangsmassnahmengericht gehalten, den Beschuldigten weiter in Haft zu belassen und die Beschwerde mit dem Dossier und seiner allfälligen Stellungnahme verzugslos der Beschwerdeinstanz zu übermitteln. 2.2.2 Ein analoges Verfahren sieht die Strafprozessordnung für die Aufrechterhaltung der Sicherheitshaft nach dem erstinstanzlichen BGE 139 IV 314 S. 318 Urteil vor: Verfügt das Strafgericht die Freilassung des inhaftierten Beschuldigten, so kann die Staatsanwaltschaft bei ihm zu Händen der Verfahrensleitung des Berufungsgerichts die Fortsetzung der Untersuchungshaft beantragen ( Art. 231 Abs. 2 Satz 1 StPO ). Diesfalls bleibt der Beschuldigte bis zum Entscheid der Verfahrensleitung des Berufungsgerichts einstweilen in Haft ( Art. 231 Abs. 2 Satz 2 StPO ). Diese Regelung gilt sowohl bei einem Freispruch als auch bei einem Schuldspruch (Urteile 1B_525/2011 vom 13. Oktober 2011 E. 2.2 und 1B_600/2011 vom 7. November 2011 E. 2.1) und zielt ebenfalls auf eine wirksame Wahrnehmung des Beschwerderechts der Staatsanwaltschaft ab; sie ermöglicht der Staatsanwaltschaft, die Freilassung eines Beschuldigten im Hinblick auf die Einleitung eines Berufungsverfahrens einstweilen zu verhindern. Voraussetzung ist auch in diesem Fall, dass die Staatsanwaltschaft die Haftbelassung unverzüglich beantragt, was regelmässig ihre Anwesenheit bei der Urteilseröffnung verlangt. 2.3 2.3.1 Diese Vorgehensweisen beziehen sich indessen auf die in der Schweizerischen Strafprozessordnung geregelte Strafverfolgung durch die Strafbehörden des Bundes und der Kantone ( Art. 1 Abs. 1 StPO ). Das Bundesgericht ist, im Gegensatz zur Staatsanwaltschaft und dem Strafappellationshof, keine solche Strafbehörde ( Art. 12 und 13 StPO e contrario). Für das vorliegende Verfahren der Beschwerde in Strafsachen ist allein das Bundesgerichtsgesetz massgeblich. Die Rechtsprechung zum Beschwerderecht der Staatsanwaltschaft nach der Strafprozessordnung ist damit auf das Verfahren der Beschwerde in Strafsachen ans Bundesgericht nicht anwendbar, weil dieses auf einer anderen gesetzlichen Grundlage - dem Bundesgerichtsgesetz - beruht. Sie lässt sich auch nicht ohne Weiteres darauf übertragen, weil die beiden Verfahrensordnungen im Blick auf die unterschiedlichen Aufgaben der Gerichte verschieden ausgestaltet sind. So ist etwa die Kognition des Bundesgerichts in Bezug auf Tatsachenfeststellungen nach Art. 97 Abs. 1 BGG eingeschränkt, währenddem den Strafbehörden im Beschwerdeverfahren nach Art. 393 Abs. 2 StPO eine umfassende Prüfungsbefugnis zukommt. Weiter ist dem Bundesgericht als oberster rechtsprechender Behörde des Bundes ( Art. 188 Abs. 1 BV ) insbesondere aufgetragen, die einheitliche und sachgerechte Anwendung des Bundesrechts zu gewährleisten. Die Beschwerde in Strafsachen der Staatsanwaltschaft ist deshalb ausschliesslich nach den Regeln des Bundesgerichtsgesetzes zu behandeln. BGE 139 IV 314 S. 319 2.3.2 Die Beschwerden nach dem Bundesgerichtsgesetz haben, von hier nicht zutreffenden Ausnahmen abgesehen, keine aufschiebende Wirkung. Hingegen kann der Instruktionsrichter von Amtes wegen oder auf Antrag einer Partei darüber eine andere Anordnung treffen ( Art. 103 BGG ), allerdings erst nach Einreichung einer Beschwerde (vgl. ULRICH MEYER, in: Basler Kommentar, Bundesgerichtsgesetz, 2. Aufl. 2011, N. 8 und 28 zu Art. 103 BGG ). Daraus ergibt sich, dass die Staatsanwaltschaft die Freilassung eines Beschuldigten im Anschluss an einen entsprechenden Entscheid des Berufungsgerichts in der Regel nicht verhindern kann. Der Beschwerdegegner war denn auch bei Eingang der Beschwerde in Strafsachen bereits aus der Haft entlassen worden. Damit war der angefochtene Haftentlassungsentscheid der Strafappellationshofpräsidentin vollzogen, die Frage eines Aufschubs stellt sich im Beschwerdeverfahren vor Bundesgericht nicht. 2.3.3 In Frage kommt in einer solchen Konstellation der Erlass einer vorsorglichen Massnahme durch den Instruktionsrichter. Dieser kann nach Art. 104 BGG von Amtes wegen oder auf Antrag einer Partei vorsorgliche Massnahmen treffen, um den bestehenden Zustand zu erhalten oder bedrohte Interessen einstweilen sicherzustellen. Die vorsorgliche Massnahme bezweckt die Erhaltung des bestehenden Zustandes bzw. den Schutz bedrohter Interessen für die Dauer des bundesgerichtlichen Verfahrens; sie hat rein vorläufigen Charakter und fällt mit dem Endentscheid ohne weiteres dahin. Mit dem Entscheid über die vorsorgliche Massnahme soll der Endentscheid weder vorweggenommen noch präjudiziert werden. Gestützt auf ein Begehren um Erlass vorsorglicher Massnahmen kann daher in der Regel nicht das zugesprochen werden, was in der Hauptsache erreicht werden soll. So kann ein Beschwerdeführer, der gegen die Fortführung der gegen ihn verhängten Untersuchungs- oder Sicherheitshaft Beschwerde führt, in aller Regel nicht erreichen, dass er für die Dauer des bundesgerichtlichen Verfahrens vorläufig auf freien Fuss gesetzt wird (Urteil 1P.289/2004 vom 4. Juni 2004 E. 1). Umgekehrt ist auch die Staatsanwaltschaft, die gegen die Haftentlassung eines Untersuchungs- oder Sicherheitsgefangenen Beschwerde führt, grundsätzlich nicht in der Lage, über eine vorsorgliche Massnahme die sofortige Wiederinhaftierung des Entlassenen für die Dauer des bundesgerichtlichen Verfahrens zu erwirken. Ein solche Anordnung könnte jedenfalls nur ausnahmsweise in besonders gelagerten Fällen in Betracht fallen, wenn dies zum Schutz von unmittelbar bedrohten, BGE 139 IV 314 S. 320 hochwertigen Interessen - etwa der öffentlichen Sicherheit bei gefährlichen Gewalttätern - unabdingbar ist. Vorliegend braucht auf die Voraussetzungen zur Annahme derartiger ausserordentlicher Fälle nicht näher eingegangen zu werden. Eine solche Ausnahmesituation, die eine sofortige vorläufige Wiederinhaftierung des wegen Betrugs und Vernachlässigung der Unterhaltspflicht verurteilten Beschwerdegegners rechtfertigen könnte, liegt nicht vor. 2.3.4 Nach dem Gesagten hat die Vorinstanz kein Bundesrecht verletzt, wenn sie den Beschwerdegegner noch am Tag ihres Entscheids freigelassen hat, ohne der Beschwerdeführerin vorher Gelegenheit zu geben, dies mit Beschwerde in Strafsachen ans Bundesgericht zu verhindern. Die Beschwerde ist in diesem Punkt unbegründet.
null
nan
de
2,013
CH_BGE
CH_BGE_006
CH
Federation
219ad880-8801-4488-bd70-676ffa88429e
Urteilskopf 115 V 183 27. Auszug aus dem Urteil vom 28. April 1989 i.S. S. gegen Ausgleichskasse des Kantons Zürich und AHV-Rekurskommission des Kantons Zürich
Regeste Art. 16 Abs. 1 AHVG : Begriff der Nachsteuerveranlagung. Unter Nachsteuerveranlagung im Sinne von Art. 16 Abs. 1 Satz 2 AHVG ist nicht nur eine Veranlagung im bundesrechtlichen, sondern auch eine solche im kantonalen Nachsteuerverfahren zu verstehen. Art. 23 Abs. 1, 2 und 3 AHVV : Beitragsfestsetzung aufgrund einer kantonalen Nachsteuerveranlagung. Voraussetzungen, unter denen für die Beitragsberechnung auf die rechtskräftige Veranlagung im kantonalen Nachsteuerverfahren abgestellt werden kann.
Sachverhalt ab Seite 184 BGE 115 V 183 S. 184 A.- Otto S. war von 1958 bis Ende Dezember 1978 als Selbständigerwerbender der Ausgleichskasse des Kantons Zürich angeschlossen. Diese hatte ihn mit Verfügungen vom 18. März und 12. September 1980 gestützt auf Steuermeldungen vom 25. Februar und 25. August 1980 zur Bezahlung der persönlichen AHV/IV/EO-Beiträge für die Jahre 1976 bis 1978 verpflichtet. Diese Verfügungen erwuchsen unangefochten in Rechtskraft. In einem Nach- und Strafsteuerverfahren stellte das Kantonale Steueramt Zürich fest, dass Otto S. für die Veranlagungsperioden 1977/78 und 1979/80 sein Einkommen unvollständig deklariert und damit direkte Bundessteuern hinterzogen hatte, weshalb es mit Verfügung vom 18. Juni 1986 für die betreffenden Perioden Nachsteuern und Bussen veranlagte. Auf Beschwerde von Otto S. hin stellte die Bundessteuer-Rekurskommission des Kantons Zürich fest, dass die Steuerbehörde das Nachsteuer- und Bussenverfahren für die Veranlagungsperiode 1977/78 zu spät eingeleitet habe; sie hob die Nachsteuer- und Bussenveranlagung für diese Periode daher infolge Verwirkung mit Entscheid vom 4. November 1986 auf. Am 10. April 1987 meldete das Steueramt der Ausgleichskasse des Kantons Zürich aufgrund einer Nach- und Strafsteuerveranlagung für die kantonale Steuer 1975 mit einem Rektifikat das von Otto S. in den Jahren 1973 und 1974 aus selbständiger Erwerbstätigkeit erzielte Einkommen. Gleichentags meldete das Steueramt der Kasse auch die berichtigten Einkommen der Jahre 1975 und 1976, welche sich aus der neuen Einschätzung in einem Nach- und Strafsteuerverfahren für die kantonale Steuer 1976 und 1977 ergeben BGE 115 V 183 S. 185 hatten. Gestützt auf diese Meldungen setzte die Ausgleichskasse mit Verfügung vom 22. April 1987 die vom Versicherten zu entrichtenden persönlichen Beiträge für die Jahre 1976/77 und 1978 unter Aufhebung der früheren Verfügungen vom 18. März und 12. September 1980 neu auf je Fr. 124'822.80 (1976/77) und Fr. 189'109.20 (1978) fest. B.- Otto S. führte Beschwerde mit dem Antrag, die Kassenverfügung sei aufzuheben und es sei festzustellen, dass er für die Jahre 1976 bis 1978 keine AHV-Beiträge mehr schulde. Zur Begründung machte er geltend, massgebend sei nicht die Veranlagung für die kantonale Steuer, sondern die Einschätzung für die Wehrsteuer (direkte Bundessteuer). Überdies sei das Recht zur Beitragsfestsetzung verwirkt. Mit Entscheid vom 9. September 1987 wies die AHV-Rekurskommission des Kantons Zürich die Beschwerde ab. C.- Mit Verwaltungsgerichtsbeschwerde erneuert Otto S. die vorinstanzlich gestellten Rechtsbegehren. Ausgleichskasse und Bundesamt für Sozialversicherung (BSV) schliessen auf Abweisung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde. Erwägungen Aus den Erwägungen: 1. (Kognition) 2. a) Vom Einkommen aus selbständiger Erwerbstätigkeit werden gemäss Art. 4 Abs. 1 und Art. 8 Abs. 1 AHVG in Prozenten festgesetzte Beiträge erhoben. Gemäss Art. 22 AHVV wird der Jahresbeitrag vom reinen Einkommen aus selbständiger Erwerbstätigkeit durch eine Beitragsverfügung für eine Beitragsperiode von zwei Jahren festgesetzt. Die Beitragsperiode beginnt mit dem geraden Kalenderjahr (Abs. 1). Der Jahresbeitrag wird in der Regel aufgrund des durchschnittlichen reinen Erwerbseinkommens einer zweijährigen Berechnungsperiode bemessen. Diese umfasst das zweit- und drittletzte Jahr vor der Beitragsperiode und entspricht jeweils einer Berechnungsperiode der direkten Bundessteuer (Abs. 2). Nach Art. 23 AHVV ermitteln die kantonalen Steuerbehörden das für die Berechnung der Beiträge Selbständigerwerbender massgebende Erwerbseinkommen aufgrund der rechtskräftigen Veranlagung für die direkte Bundessteuer und das im Betrieb investierte Eigenkapital aufgrund der entsprechenden rechtskräftigen kantonalen Veranlagung (Abs. 1). Liegt eine rechtskräftige Veranlagung für die direkte Bundessteuer nicht vor, so werden die BGE 115 V 183 S. 186 massgebenden Steuerfaktoren der rechtskräftigen Veranlagung für die kantonale Einkommens- oder Erwerbssteuer entnommen, sofern diese nach gleichen oder ähnlichen Grundsätzen erfolgt wie die Veranlagung für die direkte Bundessteuer, andernfalls der überprüften Deklaration für die direkte Bundessteuer (Abs. 2). Bei Zwischenveranlagungen und Nachsteuerverfahren gelten die Bestimmungen der Absätze 1 und 2 sinngemäss (Abs. 3). b) Nach Art. 16 Abs. 1 AHVG können Beiträge, die nicht innert fünf Jahren nach Ablauf des Kalenderjahres, für welches sie geschuldet sind, durch Verfügung geltend gemacht werden, nicht mehr eingefordert oder entrichtet werden. Für Beiträge, die aufgrund einer Nachsteuerveranlagung festgesetzt werden, beginnt die Frist mit dem Ablauf des Kalenderjahres, in welchem die Nachsteuer rechtskräftig veranlagt wurde. Entgegen dem Marginale "Verjährung" handelt es sich bei Art. 16 AHVG um eine Vorschrift mit Verwirkungsfolge ( BGE 111 V 95 , 100 V 155 Erw. 2a, 97 V 147 Erw. 1; ZAK 1988 S. 242 Erw. 3a). c) Gemäss einem allgemeinen Grundsatz des Sozialversicherungsrechts kann die Verwaltung eine formell rechtskräftige Verfügung, welche nicht Gegenstand materieller richterlicher Beurteilung gebildet hat, in Wiedererwägung ziehen, wenn sie zweifellos unrichtig und ihre Berichtigung von erheblicher Bedeutung ist ( BGE 111 V 332 Erw. 1, BGE 110 V 178 Erw. 2a und 292 Erw. 1 mit Hinweisen). Von der Wiedererwägung ist die sog. prozessuale Revision von Verwaltungsverfügungen zu unterscheiden. Danach ist die Verwaltung verpflichtet, auf eine formell rechtskräftige Verfügung zurückzukommen, wenn neue Tatsachen oder neue Beweismittel entdeckt werden, die geeignet sind, zu einer andern rechtlichen Beurteilung zu führen ( BGE 110 V 292 Erw. 1 und 394, BGE 109 V 121 Erw. 2b, BGE 108 V 168 Erw. 2b, BGE 106 V 87 Erw. 1b, BGE 102 V 17 Erw. 3a). 3. Im vorliegenden Fall ist streitig, ob der Beschwerdeführer verpflichtet ist, die persönlichen Beiträge für die Jahre 1976 bis 1978 aufgrund der Einkommen zu entrichten, welche die Steuerverwaltung im kantonalen Nach- und Strafsteuerverfahren ermittelt und am 10. April 1987 der Ausgleichskasse gemeldet hat. Dabei ist vorab zu prüfen, ob mit der Beitragsverfügung vom 22. April 1987 die in Art. 16 Abs. 1 AHVG statuierte fünfjährige Verwirkungsfrist gewahrt wurde. Dies hängt davon ab, ob unter dem Begriff Nachsteuerveranlagung im Sinne von Art. 16 Abs. 1 Satz 2 AHVG nur eine solche nach Bundesrecht oder auch eine BGE 115 V 183 S. 187 solche nach kantonalem Recht zu verstehen ist. Umfasst diese Bestimmung auch kantonale Nachsteuerveranlagungen, erging die Verfügung vom 22. April 1987 rechtzeitig, da die Veranlagung im kantonalen Nachsteuerverfahren 1984 rechtskräftig wurde. a) (Auslegung des Gesetzes) b) Der Wortlaut von Art. 16 Abs. 1 Satz 2 AHVG spricht umfassend von Nachsteuerveranlagung. Wie das BSV zutreffend ausführt, ergibt sich auch aus der Gesetzessystematik keine Beschränkung auf bundesrechtliche Nachsteuerveranlagungen. Art. 9 AHVG , welcher den Begriff des Einkommens aus selbständiger Erwerbstätigkeit umschreibt und dessen Ermittlung regelt, nimmt nicht Bezug auf das Bundessteuerrecht. Abs. 4 dieser Bestimmung, welcher den Bundesrat ermächtigt, kantonale Behörden mit der Einkommensermittlung zu beauftragen, deutet vielmehr darauf hin, dass kantonale Veranlagungen mit einbezogen werden sollten. Aus historischer Sicht ist sodann festzustellen, dass sich der Gesetzgeber die Abstützung auf kantonale Steuersysteme bewusst offenhalten wollte, da bei der Schaffung des AHVG mit dem Wegfall der eidgenössischen Wehrsteuer gerechnet werden musste, welche nie definitiv in der Bundesverfassung verankert wurde. Noch heute ist die Befugnis zur Erhebung der direkten Bundessteuer (bis Ende 1994) befristet ( Art. 41ter Abs. 1 BV ). Für den Fall einer Aufhebung der Wehrsteuer erachtete der Bundesrat in der Botschaft vom 24. Mai 1946 zum Entwurf eines Bundesgesetzes über die Alters- und Hinterlassenenversicherung ein Abstellen auf die Veranlagung für die kantonalen Steuern als zulässig (BBl 1946 II 394 f.; vgl. auch BINSWANGER, Kommentar zum AHVG, S. 74). Die gleichen Überlegungen galten auch noch im Rahmen der auf den 1. Januar 1954 in Kraft getretenen 2. AHV-Revision, in welcher Art. 16 Abs. 1 AHVG seine heutige Fassung erhielt. Die Auslegung führt somit zu einem eindeutigen Ergebnis. Unter Nachsteuerveranlagung im Sinne von Art. 16 Abs. 1 Satz 2 AHVG ist nicht nur eine Veranlagung im bundesrechtlichen, sondern auch eine solche im kantonalen Nachsteuerverfahren zu verstehen. c) In Einklang mit den vorstehenden Darlegungen bestimmt denn auch die AHVV, dass das für die Berechnung der Beiträge massgebende Erwerbseinkommen bei Fehlen einer rechtskräftigen Veranlagung für die direkte Bundessteuer der rechtskräftigen Veranlagung für die kantonale Einkommens- oder Erwerbssteuer zu entnehmen ist (Art. 23 Abs. 2). Wie das BSV richtig festhält, dürfte BGE 115 V 183 S. 188 dies in erster Linie bei Versicherten, die nicht bundessteuerpflichtig sind, der Fall sein. Auf die kantonale Veranlagung wäre aber auch abzustellen, wenn die für die Erhebung der direkten Bundessteuer zuständigen Behörden innert der Veranlagungsfrist untätig blieben. Art. 23 Abs. 3 AHVV sieht sodann vor, dass die Bestimmungen der Absätze 1 und 2 bei Zwischenveranlagungen und Nachsteuerverfahren sinngemäss gelten. Dies bedeutet, dass in Fällen, in welchen ein Nachsteuerverfahren eingeleitet wurde, zunächst zu prüfen ist, ob eine rechtskräftige Nachsteuerveranlagung für die direkte Bundessteuer vorliegt; trifft dies zu, sind die Beiträge gestützt auf diese Veranlagung neu festzusetzen. Liegt hingegen eine rechtskräftige Nachsteuerveranlagung für die direkte Bundessteuer nicht vor, ist das für die Beitragsberechnung massgebende Erwerbseinkommen aufgrund der kantonalen Nachsteuerveranlagung zu ermitteln, und gestützt darauf ist die Korrektur der Beitragsfestsetzung vorzunehmen. Der Grund, weshalb keine rechtskräftige Nachsteuerveranlagung für die direkte Bundessteuer vorliegt, ist nach der Verordnung unerheblich. Voraussetzung für das umschriebene Vorgehen ist gemäss Art. 23 Abs. 3 in Verbindung mit Abs. 2 AHVV einzig, dass die kantonale Nachsteuerveranlagung nach gleichen oder ähnlichen Grundsätzen erfolgt wie die Nachsteuerveranlagung für die direkte Bundessteuer. d) Sämtliche Einwendungen des Beschwerdeführers vermögen zu keiner anderen Betrachtungsweise zu führen. Die Behauptung, auf das kantonale Nachsteuerverfahren dürfe nur zurückgegriffen werden, wenn eine rechtskräftige Veranlagung der direkten Bundessteuer für eine bestimmte Periode überhaupt fehle, ist unbegründet. Nachdem das Gesetz nirgends eine Beschränkung auf die Bundessteuerveranlagung enthält und Art. 16 Abs. 1 Satz 2 AHVG sich auch auf die kantonalrechtliche Nachsteuerveranlagung bezieht, ist gemäss Art. 23 Abs. 3 in Verbindung mit Abs. 2 AHVV im Sinne einer gesetzeskonformen Auslegung (vgl. BGE 111 V 314 Erw. 2b) auf die kantonale Nachsteuerveranlagung auch dann abzustellen, wenn es in bezug auf die direkte Bundessteuer bei der ursprünglichen, materiell unrichtigen Veranlagung bleibt, weil beispielsweise das Recht, ein Nachsteuerverfahren einzuleiten, zufolge Zeitablaufs verwirkt ist. Der Einwand, die Berücksichtigung kantonaler Nachsteuerveranlagungen verstosse gegen das Gleichbehandlungsgebot, indem je nach Wohnsitzkanton des Beitragspflichtigen verschiedene Verwirkungsfristen für die Einleitung von Nachsteuerverfahren zur BGE 115 V 183 S. 189 Anwendung gelangten und damit unterschiedliche Fristen zur Nachforderung von Sozialversicherungsbeiträgen bestünden, ist unbehelflich. Der Beschwerdeführer verkennt, dass das Eidg. Versicherungsgericht nach Art. 113 Abs. 3 und Art. 114bis Abs. 3 BV nicht befugt ist, Bundesgesetze auf ihre Verfassungsmässigkeit zu überprüfen. Das AHVG sieht die Mitwirkung kantonaler Behörden in Art. 9 Abs. 4 ausdrücklich vor, und die Entstehungsgeschichte des Gesetzes zeigt, dass kantonale Steuerveranlagungen von Anfang an für die Beitragsfestsetzung in Betracht gezogen wurden. Damit sind gewisse Unterschiede - je nach Wohnsitz des Beitragspflichtigen - in Kauf zu nehmen. Das BSV weist im übrigen zutreffend darauf hin, dass ohne Abstellen auf kantonale Veranlagungen die Beitragsfestsetzung für Selbständigerwerbende heute gar nicht möglich wäre, richtet sich doch die Ermittlung des im Betrieb investierten Eigenkapitals stets nach der kantonalen Veranlagung ( Art. 23 Abs. 1 AHVV ). Auch wenn diese gemäss Art. 23 Abs. 2 AHVV nach gleichen oder ähnlichen Grundsätzen erfolgen soll wie jene nach Bundesrecht, so lassen sich mangels eines eidgenössischen Steuerharmonisierungsgesetzes Unterschiede von Kanton zu Kanton nicht vermeiden. e) Zusammenfassend ergibt sich, dass in Fällen, in welchen Nachsteuerverfahren eingeleitet werden, gemäss Art. 23 Abs. 3 in Verbindung mit Abs. 2 AHVV bei Fehlen einer rechtskräftigen Nachsteuerveranlagung für die direkte Bundessteuer die massgebenden Steuerfaktoren der rechtskräftigen kantonalen Nachsteuerveranlagung zu entnehmen sind, sofern diese nach gleichen oder ähnlichen Grundsätzen erfolgt wie die Nachsteuerveranlagung für die direkte Bundessteuer. Die aufgrund einer rechtskräftigen kantonalen Nachsteuerveranlagung festgesetzten Beiträge können nach Art. 16 Abs. 1 Satz 2 AHVG innert fünf Jahren nach Ablauf des Kalenderjahres, in welchem die kantonale Nachsteuer rechtskräftig veranlagt wurde, durch Verfügung geltend gemacht werden. 4. Am 3. September 1984 ist das Einkommen des Beschwerdeführers für die Jahre 1975 bis 1977 in einem Nach- und Strafsteuerverfahren für die kantonalen Steuern neu eingeschätzt worden. Diese neue Veranlagung, welche unbestrittenermassen nach ähnlichen Grundsätzen wie die Nachsteuerveranlagung für die direkte Bundessteuer erfolgte, erwuchs unangefochten in Rechtskraft, so dass die fünfjährige Verwirkungsfrist gemäss Art. 16 Abs. 1 Satz 2 AHVG am 1. Januar 1985 zu laufen begann. Am 10. April 1987 BGE 115 V 183 S. 190 meldete das kantonale Steueramt die neu ermittelten Einkommen der Jahre 1973 bis 1976 der Ausgleichskasse; dabei handelte es sich um eine neue Tatsache, welche die Verwaltung verpflichtete, im Sinne einer prozessualen Revision auf die formell rechtskräftigen Verfügungen vom 18. März und 12. September 1980 zurückzukommen (vgl. Erw. 2c hievor). Gestützt auf die Steuermeldung erliess die Kasse auf der Grundlage der Einkommen aus selbständiger Erwerbstätigkeit der Jahre 1973/74 und 1975/76 am 22. April 1987 die angefochtene Beitragsverfügung für die Jahre 1976 bis 1978. Da diese rechtzeitig innert der fünfjährigen Verwirkungsfrist von Art. 16 Abs. 1 Satz 2 AHVG erlassen wurde und auch in masslicher Hinsicht nicht zu beanstanden ist, erweist sich die Verwaltungsgerichtsbeschwerde als unbegründet.
null
nan
de
1,989
CH_BGE
CH_BGE_007
CH
Federation
21a39422-33e6-43db-b35a-e9c34d07c494
Urteilskopf 115 Ib 121 15. Estratto della sentenza 19 maggio 1989 della II Corte di diritto pubblico nella causa Amministrazione dell'imposta federale diretta del Cantone Ticino c. XY S.A. e Camera di diritto tributario del Cantone Ticino (ricorso di diritto amministrativo)
Regeste Art. 49 BdBSt ; Art. 24 und 25 des Weinstatuts; Besteuerung von Weineinfuhrkontingenten. Die Übertragung von Kontingenten unter wirtschaftlich verbundenen Personen ohne entsprechende Gegenleistung stellt aufgrund ihrer tatsächlichen Wirkungen eine nach Art. 49 Abs. 1 lit. b BdBSt steuerbare geldwerte Leistung dar.
Sachverhalt ab Seite 121 BGE 115 Ib 121 S. 121 Come ditta particolarmente attiva nel commercio d'importazione, la XY S.A. possedeva un determinato contingente di vino. Con contratto scritto del 19 marzo 1979 il suo azionista maggioritario ha venduto alla Z AG 48 azioni nominali di fr. 1'000.-- (in totale fr. 48'000.--). Secondo l'art. 4 del contratto, il prezzo di vendita del pacchetto azionario (ceduto all'acquirente per la somma di fr. 522'500.--) si baserebbe sul bilancio del 30 giugno 1978 della XY S.A. Nel corso del 1981 e del 1982, i permessi d'importazione detenuti dalla XY S.A. sono stati trasmessi - con il consenso della Divisione delle importazioni ed esportazioni dell'Ufficio federale dell'economia esterna - alla società madre Z. Successivamente la società figlia XY ha cessato la propria attività. Nella dichiarazione per l'imposta federale diretta del periodo 1983/84 la XY S.A. ha indicato un utile netto di fr. 37'469.-- per l'esercizio 1981 e di fr. 2'500.-- per l'anno successivo; dalla media dei due anni ha quindi dedotto le perdite riportate di fr. 6'796.--, ottenendo così un utile medio imponibile di fr. 13'188.--. Ai fini del periodo all'esame la XY S.A. è stata tassata per un utile imponibile di fr. 249'400.--. L'autorità cantonale ha tenuto BGE 115 Ib 121 S. 122 conto del valore attribuito ai menzionati contingenti - che considera incluso nel prezzo di vendita del pacchetto azionario - e ha ripreso sull'utile dichiarato un importo di fr. 323'747.-- per l'esercizio 1981 e uno di fr. 148'753.-- per l'esercizio 1982. A mente sua l'avvenuto trapasso costituirebbe una "cessione gratuita di valori e diritti" da parte della XY S.A. al proprio azionista (la Z AG) e dovrebbe essere considerato come un'"elargizione a terzi" giusta l'art. 49 DIFD. Definendo "irrilevante" dal punto di vista fiscale il fatto che lo statuto del vino (Ordinanza concernente la viticoltura e lo smercio dei prodotti viticoli del 23 dicembre 1871; RS 916.140) proibisca di trasferire e attivare i contingenti, l'autorità di tassazione ha respinto il reclamo della ditta contribuente. Contro questa decisione la XY S.A. è insorta davanti alla Camera di diritto tributario del Tribunale di appello del Cantone Ticino. Escludendo che nel caso concreto vi possa essere "prestazione onerosa dell'una all'altra ditta" (cioè della società al suo azionista conformemente all'art. 49 DIFD), il 5 novembre 1987 la corte cantonale ha accolto il gravame. I principali argomenti addotti a sostegno della sua tesi sono due. Essa ritiene innanzitutto che l'"assegnazione" dei contingenti "non costituisce e non rappresenta un costo nel senso della contabilità commerciale: non è né contabilizzabile né soggetto a rivalutazioni di bilancio né a ammortamenti (e in ciò diverge per esempio dal diritto legato alla concessione)". Ritiene inoltre che "la cessione dell'intero pacchetto azionario o della maggioranza qualificata di 48 su 50 azioni equivale e ha effetti di cessione di commercio" e aggiunge: "Anche in questo caso il contingente scade a favore della riserva (art. 25 cpv. 2). Tant'è che in caso di rilevamento di una ditta l'assuntrice (o società madre) può ottenere - su richiesta motivata - quale nuovo contingente quello assegnato alla ditta assorbita, ma (a carico della riserva), art. 24." L'Amministrazione cantonale dell'imposta federale diretta ha impugnato il giudizio della corte ticinese con ricorso di diritto amministrativo per violazione del diritto federale, ivi compreso l'eccesso del potere d'apprezzamento. Chiede al Tribunale federale di confermare la decisione su reclamo del 9 settembre 1987 emessa dall'Ufficio di tassazione delle persone giuridiche e illustra come l'imposizione ai fini dell'IFD 1983/84 di un reddito di fr. 323'747.-- per l'esercizio 1981 e di fr. 148'753.-- per il 1982 rappresenti il controvalore della cessione del contingente BGE 115 Ib 121 S. 123 d'importazione alla Z AG, imponibile conformemente all'art. 49 cpv. 1 lett. b DIFD. Il Tribunale federale ha accolto il ricorso. Erwägungen Dai considerandi: 2. a) Giusta l'art. 49 cpv. 1 lett. b DIFD entrano in linea di conto per il calcolo del reddito netto imponibile delle persone giuridiche tutti i prelevamenti fatti prima del calcolo del saldo del conto dei profitti e delle perdite che non servono a sopperire alle spese generali consentite dall'uso commerciale (come per esempio le spese d'acquisto e di miglioramento dei beni, i versamenti al capitale sociale e le elargizioni a terzi). Elargizioni a terzi sono tutte quelle prestazioni particolari della società ai soci o alle persone legate a essa, rispettivamente ai suoi soci, che avvengono senza una corrispondente controprestazione e che la società non farebbe alle stesse condizioni a terzi che non vi partecipano (MASSHARDT/TATTI, Imposta federale diretta, nota 24 all'art. 49 DIFD; IMBODEN, Die gesetzmässigen Voraussetzungen einer Besteuerung verdeckter Gewinnausschüttungen, in: ASA 31 pag. 177 segg., in particolare da pag. 181 a pag. 187). Il Tribunale federale ha provveduto a specificare il concetto di "persona legata alla società" in una sentenza emessa il 17 settembre 1976 (pubblicata in: ASA 45 pag. 595), definendo tali le persone per le quali esistono legami personali o economici, che - tenendo conto di tutte le circostanze - costituiscono il motivo della prestazione straordinaria. b) L'Amministrazione cantonale dell'imposta federale diretta ritiene l'operazione litigiosa una "cessione gratuita di valori e diritti da parte della XY S.A. al proprio azionista (Z AG) che deve essere considerata distribuzione dissimulata di utile da tassare a norma dell'art. 49 DIFD". A differenza della Camera cantonale e della contribuente, infatti, essa reputa irrilevante dal profilo fiscale le disposizioni dello statuto del vino che proibiscono di trasferire e attivare i contingenti d'importazione (in particolar modo l'art. 25 combinato con l'art. 24). Secondo i giudici cantonali, invece, "la caducità del contingente a favore del fondo riserva e la sua assegnazione ad opera del Dipartimento alla ditta assuntrice costituisce un passaggio intermedio e obbligato, una cesura per cui non si può parlare di prestazione della ditta (ceduta) al suo azionista (assuntore)". A loro modo di vedere, non essendo secondo l'art. 25 dello statuto del vino i contingenti trasferibili e BGE 115 Ib 121 S. 124 non costituendo essi attivo in caso della cessione dell'azienda, il fatto che gli stessi possano essere commercializzati non modifica la situazione di diritto stabilita dalle norme di codesto statuto. Rilevante ai fini del giudizio è dunque la questione di sapere se l'avvenuto trapasso di contingenti possa essere considerato una prestazione valutabile in denaro della XY S.A. alla Z AG. c) Lo statuto del vino tratta della viticoltura e del commercio dei vini. Esso costituisce l'ambito giuridico per il controllo dell'economia vinicola e appare pertanto inidoneo a disciplinare la soluzione del problema fiscale all'esame. Questo vale in particolar modo per l'art. 25 dello statuto, una norma dal significato essenzialmente formale, che non può essere trattata in modo isolato, ma solo in combinazione con l'art. 24. In effetti, come dimostra la realtà (si veda la documentazione allegata agli atti), anche se l'art. 25 cpv. 1 definisce non trasferibili i contingenti, l'autorità preposta (la Divisione delle importazioni ed esportazioni dell'Ufficio federale dell'economia esterna) ne autorizza il passaggio a colui che ritira una ditta già al beneficio di codesti permessi. Irrilevante dal lato fiscale è il fatto che il trapasso avvenga in modo diretto o indiretto (cioè senza toccare, oppure transitando per il fondo di riserva). Quanto avviene in realtà legittima il paragone tra il ruolo giocato dai contingenti del vino e quello svolto da un valore patrimoniale non contabilizzabile, com'è un cosiddetto goodwill. Per questo, anche se a differenza di tale valore - che quand'è derivativo viene attivato al momento dell'acquisto della ditta - i permessi all'esame non possono (secondo le disposizioni del citato statuto) costituire un attivo della società, è lecito attribuire loro un valore commerciale, imponibile al trapasso. Per gli effetti esplicati quest'operazione dev'essere considerata come una prestazione valutabile in denaro (erra la Camera quando dice che per poter essere imposta la prestazione debba "costituire un costo"), da tassare conformemente all'art. 49 cpv. 1 lett. b DIFD. Nella fattispecie si è verificato un trapasso indiretto di contingenti, approvato dall'Ufficio federale dell'economia esterna. La XY S.A. ha fatto a una persona a essa economicamente legata (la società madre Z AG, sua azionista) una prestazione - valutabile in denaro - senza corrispondente controprestazione, che alle stesse condizioni non avrebbe fatto a un terzo senza partecipazione (MASSHARDT/TATTI, op.cit., nota 24 all'art. 49 DIFD con il richiamo). La mancanza di una controprestazione del BGE 115 Ib 121 S. 125 nuovo azionista alla XY S.A. non è contestata, il valore del contingente essendo incluso nel prezzo d'acquisto del pacchetto azionario, che la Z AG ha ritirato dall'azionista principale della ditta contribuente. Trattandosi di due operazioni fiscalmente indipendenti, ai fini della tassazione occorre dunque tener conto dei contingenti nella misura in cui - come vuole la ricorrente, sostenuta dall'Amministrazione federale delle contribuzioni - può esser loro attribuito un valore economico.
public_law
nan
it
1,989
CH_BGE
CH_BGE_003
CH
Federation
21a86f43-5479-4a5c-8816-0ffb55634e46
Urteilskopf 93 II 345 46. Urteil der I. Zivilabteilung vom 14. November 1967 i.S. Deutsche Lufthansa Aktiengesellschaft gegen Basler Transport-Versicherungs-Gesellschaft (AG)
Regeste Art. 25 des Warschauer Abkommens vom 12. Oktober 1929. Auslegung dieser Vorschrift nach schweizerischem Recht. Absicht und grobe Fahrlässigkeit als Voraussetzungen für die unbeschränkte Haftung des Luftfrachtführers (Erw. 1). Beweislast. Der Geschädigte hat die Voraussetzungen für die unbeschränkte Haftung des Luftfrachtführers zu beweisen. Art. 447 Abs. 1 OR ist nicht anwendbar (Erw. 3). Unterlassungen des Luftfrachtführers als grobe Fahrlässigkeit (Erw. 4 und 5). Rückgriffsrecht des Versicherers gegen den aus Vertragsverletzung für den Schaden Haftbaren (Erw. 6).
Sachverhalt ab Seite 345 BGE 93 II 345 S. 345 A.- Der Schweizerische Bankverein Basel beauftragte am 22. Januar 1964 durch die Mat Transport AG, Basel, die Zweigniederlassung Zürich der Deutschen Lufthansa Aktiengesellschaft Köln, fünf versiegelte Briefumschläge mit je US $ 20'000 in Banknoten und einem Gesamtgewicht von 1'146 kg BGE 93 II 345 S. 346 an die Casa Piano SA in Buenos Aires zu befördern. Die Absenderin bezeichnete im Frachtbrief das Frachtgut als ausländische kursfähige Banknoten und gab den Wert der Sendung für ZOIlzwecke mit Fr. 435'000.-- und für die Beförderung mit SFR 72.50 für jedes Kilogramm an. Die Frachtführerin erhob den für Wertsendungen üblichen Zuschlag von 100%. Sie liess das Frachtgut zusammen mit anderen nach Buenos Aires zu befördernden Wertsendungen in einen Jutesack aus netzartigem Gewebe legen, dessen Faserbündel mehrere Millimeter weit auseinander lagen, den Blick auf den Inhalt des Sackes frei liessen und leicht zerrissen werden konnten. Den Sack lud sie in das Kursflugzeug 500 (Typ Boeing 720 B) ein, und zwar in dessen Frachtabteil 4, in dem sich Gepäck für Montevideo und Postsendungen für Buenos Aires befanden und das vom Innern der Maschine aus nicht betreten werden konnte. Die Frachtführerin teilte den Flugplätzen Dakar, Rio de Janeiro, Sao Paulo und Montevideo, auf denen das Flugzeug Zwischenlandungen vorzunehmen hatte, fernschriftlich mit, es führe Wertsendungen mit sich. Dass diese kontrolliert werden müssten und das Ergebnis zurückzumelden sei, verlangte sie nicht. Das Flugzeug verliess Zürich-Kloten am 22. Januar 1964 und traf nach ordnungsgemässer Vornahme der vier Zwischenlandungen am folgenden Tage in Buenos Aires ein. Beim Ausladen des Frachtabteils 4 wurde festgestellt, dass der Jutesack einen etwa 10 cm langen Riss aufwies. Die etwas später auf dem Zollbüro vorgenommene Kontrolle ergab, dass vier der fünf Briefumschläge fehlten. Die Nachforschungen der Lufthansa und der Polizei in Buenos Aires, Montevideo und Zürich blieben erfolglos. B.- Die Basler Transport-Versicherungs-Gesellschaft deckte auf Grund des mit dem Schweizerischen Bankverein abgeschlossenen Versicherungsvertrages den ganzen Schaden im Betrage von Fr. 347'055.85 und klagte darauf beim Handelsgericht des Kantons Zürich gegen die Lufthansa auf Zahlung dieses Betrages nebst 5% Zins seit 5. März 1964. Das Handelsgericht verpflichtete am 2. März 1966 die Beklagte, der Klägerin - ausser dem anerkannten Betrag von Fr. 66.41 nebst Zins - weitere Fr. 346'989.44 nebst 5% Zins seit 5. März 1964 zu bezahlen. C.- Die Beklagte hat die Berufung an das Bundesgericht erklärt mit dem Antrag, das Urteil aufzuheben und die Klage BGE 93 II 345 S. 347 abzuweisen, soweit sie Fr. 66.41 nebst Zins übersteigt, eventuell die Akten zur Feststellung der im Luftverkehr üblich gewesenen Art der Beförderung von Wertsachen an das Handelsgericht zurückzuweisen. Die Klägerin beantragt, das angefochtene Urteil zu bestätigen. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Die Rechtsbeziehungen des Schweizerischen Bankvereins als Verfrachter und der Beklagten als Luftfrachtführerin richten sich vorab nach den Bestimmungen des Warschauer Abkommens vom 12. Oktober 1929 zur Vereinheitlichung von Regeln für die Beförderung im internationalen Luftverkehr und nach den Vorschriften des in Ausführung von Art. 75 des Bundesgesetzes über die Luftfahrt erlassenen Lufttransportreglementes vom 3. Oktober 1952 (Art. 3 LTR). Nach Art. 25 WA haftet die Beklagte für den während der Luftbeförderung eingetretenen Schaden nur dann über den von ihr anerkannten und auf Grund des Art. 22 Abs. 2 WA und Art. 9 lit. b LTR unbestrittenermassen zutreffend errechneten Betrag von Fr. 66.41 hinaus, wenn sie oder eine ihrer Hilfspersonen in Ausführung ihrer Verrichtungen "den Schaden vorsätzlich oder durch eine Fahrlässigkeit, die nach dem Recht des angerufenen Gerichtes dem Vorsatz gleichsteht", herbeigeführt hat. In dieser Haftungsfrage kam somit eine internationale Rechtsvereinheitlichung nicht zustande, und zwar wegen der Besonderheit des angelsächsischen Rechts, das den Begriff der groben Fahrlässigkeit nicht kennt, sondern ihn mit dem Vorsatz unter den Begriff des "wilful misconduct" zusammenfasst (vgl. RIESE, Luftrecht, 1949, S. 466 mit Literaturhinweisen; RIESE/LACOUR, Précis de droit aérien, 1951, N. 332, S. 276; GULDIMANN, Zur Auslegung von Art. 25 WA, Zeitschrift für Luftrecht 4/1955, S. 166 f.; derselbe, SJZ 1960, S. 20 f.). Die für die Auslegung von Art. 25 WA nach schweizerischem Recht massgebende Sachnorm ist in Art. 10 LTR niedergelegt. Diese Bestimmung setzt die grobe Fahrlässigkeit dem Vorsatz gleich. Wie das Zürcher Obergericht in einem Entscheid vom 4. März 1966 (veröffentlicht in Bulletin No. 42 der Schweiz. Vereinigung für Luft- und Raumrecht (SVLR), S. 8 f.) unter Hinweis auf die herrschende Literatur mit Recht bemerkt, geht BGE 93 II 345 S. 348 es nicht an, aus dem Bedürfnis, die Rechtseinheit doch herzustellen, diesen Fahrlässigkeitsbegriff, wie etwa SCHWEICKHARDT (Schweizerisches Lufttransportrecht, 1954, S. 53 f.) befürwortet, nach dem strengeren Begriff des "wilful misconduct" auszurichten. Der neue Wortlaut des Art. 25 WA, der am 28. September 1955 in den Haag vereinbart wurde, und Art. 10 LTR in der neuen Fassung vom 1. Juni 1962 sind nicht anwendbar, weil Argentinien nur dem Abkommen in der ursprünglichen Fassung beigetreten ist (Art. 23 Abs. 1 rev. LTR). 2. Nach Art. 18 Abs. 1 WA untersteht die Schadenersatzpflicht des Luftfrachtführers nur insoweit dem Warschauer Abkommen, als der Schaden während der Luftbeförderung eintritt. Die Beklagte macht geltend, die Klägerin habe den ihr obliegenden Beweis des ursächlichen Zusammenhangs zwischen dem der Beklagten vorgeworfenen Verhalten und dem Eintritt des Schadens nicht erbracht; denn sie habe nicht dargetan, dass der argentinische Zollbeamte Ibanez unmöglich der Dieb sein könne. Sie wirft dem Handelsgericht vor, es habe Art. 25 WA verletzt, weil es der Meinung sei, die Klägerin brauche nur zu beweisen, dass das Frachtgut nach der Lebenserfahrung während der Luftbeförderung abhanden kam, nicht auch, in welcher Weise das geschah. Das Handelsgericht gelangt auf Grund der beigezogenen Strafuntersuchungsakten zum Schluss, dass die Wertbriefe abhanden gekommen sind, bevor der Jutesack im Zollgebäude eingelagert wurde, und dass keine Anhaltspunkte dafür bestehen, dass Ibanez den Diebstahl begangen habe oder daran in irgendeiner Weise beteiligt gewesen sei. Ob auf diese Feststellung abzustellen sei, ist eine Verfahrensfrage. Art. 25 WA schweigt sich darüber aus. Dagegen bestimmt Art. 28 Abs. 2 WA, dass das Verfahren sich nach den Gesetzen des angerufenen Gerichtes richte. Die Feststellung der Vorinstanz beruht zum Teil auf einem Indizienbeweis, d.h. auf der aus der Lebenserfahrung geschöpften Überzeugung des Richters, dass die Sendungen vom gleichen Unbekannten gestohlen wurden, der den Sack aufriss. Es besteht aber keine bundesrechtliche Regel, wonach Indizienbeweise nicht zulässig seien (vgl. BGE 75 II 102 , BGE 76 II 193 , BGE 77 II 293 /4). Die Feststellung der Vorinstanz ist daher für das Bundesgericht verbindlich (Art. 43 Abs. 3, 55 Abs. 1 BGE 93 II 345 S. 349 lit. c, 63 Abs. 2 OG). Was die Beklagte vorbringt, um darzutun, Ibanez sei nicht entlastet, ist unzulässige Beanstandung der Beweiswürdigung. Es bleibt daher dabei, dass das Frachtgut vor dem Ausladen des Sackes gestohlen wurde. Solange sich das Frachtgut im Flugzeug befand, war die Luftbeförderung auf alle Fälle noch nicht beendet. Die Frage stellt sich daher nicht, welche Partei die Last des Beweises der Täterschaft oder Nichttäterschaft des Ibanez trage. 3. Die Klägerin hält in der Berufung an der Auffassung fest, dass sich die Beklagte der unbeschränkten Haftung nur dann entziehen könne, wenn ihr nach Art. 447 OR der Entlastungsbeweis gelinge. Diese Bestimmung sei deshalb anwendbar, weil - im Gegensatz zu Art. 20 und 21 WA - weder Art. 25 WA noch Art. 10 LTR eine Beweisregel enthalten. Diese Lücke müsse daher durch Anwendung von Vorschriften des Obligationenrechts über den Frachtvertrag geschlossen werden, die eine von Art. 8 ZGB abweichende Beweisregel aufgestellt hätten. Nach Art. 4471 OR , letzter Satz, hat der Frachtführer den vollen Wert zu ersetzen, wenn er nicht beweist, dass der Verlust oder Untergang des Frachtgutes auf Umständen beruht, die durch die Sorgfalt eines ordentlichen Frachtführers nicht abgewendet werden konnte. Art. 11 Abs. 3 LTR sieht aber die ergänzende Anwendung der Bestimmungen des Obligationenrechts über den Frachtvertrag nur "bei der Bemessung des Ersatzes für Sachschaden" vor. Vorschriften über die Schadenersatzbemessung haben jedoch mit Regeln über die Beweislastverteilung nichts gemeinsam. Art. 447 Abs. 1 OR ist daher nicht anzuwenden. Der durch die Möglichkeit des Entlastungsbeweises gemilderten Kausalhaftung für den vollen Schaden in Art. 447 OR entspricht im Lufttransportrecht die beschränkte Haftung mit Fr. 72.50 für jedes Kilogramm (Art. 22 Abs. 2 WA und Art. 9 lit. b LTR). Der Luftfrachtführer entgeht ihr, wenn er beweist, dass er und seine Leute alle erforderlichen Massnahmen zur Verhütung des Schadens getroffen haben oder dass sie diese Massnahmen nicht treffen konnten. Die beschränkte Haftung gilt aber nicht, wenn der Schaden vorsätzlich oder grobfahrlässig herbeigeführt wurde. Diese besondern, die unbeschränkte Haftung des Luftfrachtführers begründenden Voraussetzungen hat der Geschädigte zu beweisen. Das ergibt sich aus Art. 8 ZGB . Wollten das Warschauer Abkommen und BGE 93 II 345 S. 350 das Lufttransportreglement die Beweislast in diesem Punkte dem Luftfrachtführer auferlegen, so müssten sie die Haftung für den vollen Schaden als ordentliche Haftung vorsehen und die beschränkte Haftung zur ausserordentlichen machen, die eintrete, wenn der Luftfrachtführer das Fehlen von Vorsatz und grober Fahrlässigkeit beweise. Die beiden Erlasse gehen anders vor. Sie sehen in der beschränkten Haftung die ordentliche und in der Haftung für den vollen Schaden die ausserordentliche Haftung. Diese tritt nicht schon bei blosser Möglichkeit absichtlichen oder grobfahrlässigen Verhaltens des Luftfrachtführers oder seiner Hilfspersonen ein, sondern nur dann, wenn die Absicht oder grobe Fahrlässigkeit feststeht. Dass dem Geschädigten der Beweis oft schwer fällt, ändert nichts. Er kann sich der Beweispflicht entziehen, indem er bei der Aufgabe des Frachtgutes zum Versand das Interesse an der Lieferung besonders erklärt und den Zuschlag entrichtet, von dem der Luftfrachtführer die Vereinbarung der höhern Haftungssumme abhängig macht (Art. 22 Abs. 2 WA). Im vorliegenden Fall konnten die genauen Umstände, unter denen die vier Wertsendungen gestohlen wurden, nicht ermittelt werden. Das Handelsgericht hält die Täterschaft von Hilfspersonen der Beklagten nicht für bewiesen. Das Scheitern dieses Beweises hat zur Folge, dass die Haftung der Beklagten nur noch wegen grobfahrlässiger Schädigung in Betracht kommen kann. 4. Die Beklagte beruft sich, um dem Vorwurf ungenügender Sicherung der Wertsendungen zu entgehen, auf Empfehlungen des Internationalen Luftverkehrsverbandes, auf ihr eigenes angeblich auf diese Empfehlungen ausgerichtetes Frachthandbuch aus dem Jahre 1959 und auf angebliche Transportgewohnheiten im Luftverkehr. Diese Weisungen, Empfehlungen und Gewohnheiten sind insofern von Bedeutung, als sie in der Regel bekunden, welche Vorsichtsmassnahmen erfahrungsgemäss als unerlässlich gelten. Aber schlechthin entscheidend sind sie nicht. Denn das Gesetz fordert nicht die Aufwendung der üblichen, sondern aller erforder11chen Sorgfalt (vgl. BGE 17/640, 23/1746, 32 II 302, 34 II 294, 39 II 539 Erw. 3, 79 II 70). Die Beklagte hatte daher dasjenige Mass an Sorgfalt anzuwenden, das nach den konkreten Verhältnissen die sichere Beförderung des Frachtgutes und dessen Übergabe an den Empfänger gewährleistete. BGE 93 II 345 S. 351 Erfahrungsgemäss werden Wertsachen auf einem Transport umso eher gestohlen, je leichter sie als solche erkannt werden. Dieser Einsicht verschloss sich auch die Beklagte nicht, erteilte sie doch in ihrem Frachthandbuch selber die Weisung, Wertsendungen müssten so unauffällig wie möglich behandelt werden und Personen, die nicht unmittelbar mit ihrer Abfertigung zu tun hätten, dürften vom Wert, dem Inhalt, der Streckenführung und der Lagerung keine Kenntnis erhalten. Diesem Gedanken entspricht auch die Empfehlung 04 (2) lit. b des Internationalen Luftverkehrsverbandes vom 8. August 1960, die aus der englischen Originalfassung übertragen wie folgt lautet: "Wertfracht soll zusammen mit normaler Fracht geladen werden. Das gleiche gilt für kleine in Kollektivnetzsäcke verladene Pakete mit Wertsachen". Damit wird dem Luftfrachtführer nicht die Verwendung von Netzsäcken empfohlen, sondern die unauffällige Vermischung von Wertsendungen mit gewöhnlicher Fracht nahe gelegt. Im vorliegenden Fall war die Verwendung eines weitmaschigen und durchsichtigen Netzsackes unverständlich. Der Sack enthielt keine gewöhnliche Fracht, sondern ausschliesslich Wertsendungen, darunter 19 Umschläge mit Banknoten. Die Verpackung war auffällig, der Inhalt des Sackes daher leicht erkennbar. Die Beklagte wusste, dass das Frachtabteil 4 auch Gepäck für Montevideo enthielt und auf diesem Zwischenlandeplatz geöffnet werden musste. Damit wurde der Sack notwendigerweise einem gewissen Personenkreis, insbesondere Flughafenarbeitern, die im Gepäckraum den Güterumschlag zu bewerkstelligen hatten, zugänglich gemacht. Unter diesen Umständen erwies sich die Verladung und Kontrolle des Sackes unmittelbar vor dem Abflug in Zürich als ungenügende Sicherheitsmassnahme. Der Gefahr eines Diebstahles auf einem Zwischenlandeplatz wurde nicht vorgebeugt. Insbesondere genügte es zur Sicherung des Transportes nicht, dass die Beklagte dem Personal der Zwischenlandeplätze mitteilte, das Flugzeug führe Wertsachen mit sich, sondern sie hatte dafür zu sorgen, dass es die hochwertige Fracht kontrolliere und vor Diebstahl schütze. Dazu hätte die Beklagte allenfalls auch eigenes Personal einsetzen müssen. In Montevideo wurde festgestelltermassen keine Kontrolle durchgeführt. Das war unverantwortlich. Wenn schon die Beklagte in einer allgemeinen Weisung ihres Frachthandbuches die Überwachung von Wertsendungen BGE 93 II 345 S. 352 ausserhalb des Flugzeuges als notwendig erklärte, so lag es nahe, die hochwertige Fracht auch auf den Zwischenlandestationen durch eine vertrauenswürdige und verantwortliche Hilfsperson solange im Auge zu behalten, als der Frachtraum für das Ein- und Ausladen von Gütern geöffnet war. Wollte indessen die Beklagte der Mühe der Überwachung enthoben sein, so war ihr zuzumuten, zum Transport von Wertsachen einen zusätzlichen Sicherheitsschrank in das Flugzeug einbauen zu lassen. Nach der verbindlichen Feststellung des Handelsgerichtes wäre das in einem Flugzeug 720 B durchaus möglich gewesen. Die Fluggesellschaft EL-Al hat ihre Maschinen dieser Art schon im Jahre 1960 oder 1961 mit einem der Form des Rumpfes angepassten zusätzlichen Schliessfach von rund einem Kubikmeter Fassungsvermögen versehen lassen, in dem Diplomatengepäck oder Wertsendungen untergebracht werden können. Die gleiche Massnahme wurde auch von der Swissair noch vor Ende 1963 getroffen. Die Auffassung der Beklagten, dieses Vorgehen hätte von ihr nur erwartet werden dürfen, wenn es bei mehreren Fluggesellschaften üblich gewesen wäre, hält nicht stand. Was sich den Organen der EL-Al und der Swissair aus eigener Erkenntnis aufdrängte, hätte auch die Beklagte ohne weiteres als zweckmässig erkennen können. Zudem stellt das Handelsgericht fest, die Konferenz der "International Union of Marine Insurance" habe schon im Jahre 1963 erheblich verschärfte Sicherheitsmassnahmen, insbesondere den Einbau von Stahlfächern in die Flugzeuge, gefordert. 5. Es stellt sich die Frage, ob die Fahrlässigkeit, die der Beklagten zur Last fällt, als grob zu würdigen sei, d.h. ob die verletzten Sorgfaltspflichten elementarer Natur waren, sich jedem verständigen Menschen in der gleichen Lage aufdrängen mussten ( BGE 64 II 241 , BGE 88 II 435 , BGE 92 II 253 ). Im Jahre 1964 war es angesichts der Häufung von Diebstählen aus Flugzeugen allgemein bekannt, dass die Beförderung von Wertsachen auf dem Luftweg, namentlich von Banknoten, mit besonderen Gefahren verbunden war. Diese Erfahrungstatsache drängte den Luftverkehrsgesellschaften die Verbesserung der bestehenden Sicherheitsvorkehren gebieterisch auf. Im vorliegenden Fall waren die Massnahmen, welche die Beklagte zur Sicherung des Wertsachentransportes hätte treffen sollen (unauffällige Verpackung, Überwachung BGE 93 II 345 S. 353 des Transportes, Einbau eines Stahlfaches) einfacher Natur, weder kostspielig noch durch einen seit 1964 eingetretenen technischen Fortschritt bedingt. Die Unterlassungen der Beklagten waren daher unentschuldbar. Sie beruhten nicht etwa auf einem einmaligen Versagen, das einer Hilfsperson im Drange der Geschäfte unterlaufen wäre, sondern auf mangelnder Vorsorge für die Sicherheit des Transportes von Wertsachen im allgemeinen, d.h. auf ungenügenden Weisungen an das Personal und ungenügender Organisation. Das Verschulden der Beklagten wird nicht dadurch gemildert, dass die Absenderin und deren Vertreterin, die Mat Transport AG, weder die Unterbringung des Frachtgutes in einem Sicherheitsfach, noch die Erhöhung der Haftungssumme über den gesetzlichen Ansatz von Fr. 72.50 je Kilogramm verlangten. Denn die Beklagte wusste ja, dass die versiegelten Briefumschläge kursfähige ausländische Banknoten im Werte von rund Fr. 435'000.-- enthielten und dass sie weitere Mengen von Banknoten im gleichen Sack beförderte. Dieser Umstand erheischte ganz besondere Vorsicht. Die Fahrlässigkeit der Beklagten war daher grob. 6. Das Handelsgericht ist der Auffassung, der Schadenersatzanspruch des Geschädigten gegen die Beklagte aus der Verletzung des Luftfrachtvertrages sei zwar nicht gemäss Art. 72 VVG auf die Klägerin übergegangen, doch könne diese gemäss Art. 51 Abs. 1 in Verbindung mit Art. 50 Abs. 2 OR auf die Beklagte zurückgreifen. Dieser Rechtsstandpunkt stimmt mit BGE 80 II 254 f. überein. Die Beklagte ficht diese Rechtsprechung nicht an, macht namentlich nicht geltend, die Umstände des vorliegenden Falles rechtfertigten den Rückgriff nicht oder nur teilweise. Da grobe Fahrlässigkeit der Beklagten zu bejahen ist, besteht kein Grund, die Klage auch nur teilweise abzuweisen. Das richterliche Ermessen aus Art. 50 Abs. 2 OR gebietet, nach Recht und Billigkeit zu entscheiden ( Art. 4 ZGB ). Es ist aber gerecht und billig, dass letzten Endes nicht der Versicherer den Schaden trage, sondern derjenige, der ihn durch grobe Verletzung vertraglicher Pflichten verursacht hat. Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Berufung wird abgewiesen und das angefochtene Urteil bestätigt.
public_law
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de
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CH
Federation
21ab32eb-cbf5-4fd5-bfe6-0fb52ef67822
Urteilskopf 100 Ib 363 65. Arrêt de la Cour de cassation pénale du 6 décembre 1974, dans la cause Tzonis contre Commission de libération du canton de Vaud.
Regeste Art. 55 Abs. 2 StGB ; bedingter Aufschub der Landesverweisung. Die Entscheidung, ob der Vollzug der Landsverweisung eines bedingt Entlassenen probeweise aufgeschoben werden soll, ergibt sich aus dem Wesen der bedingten Entlassung und darf deren Sinn und Zweck nicht widersprechen. Sie muss - unter Vorbehalt der öffentlichen Sicherheit - im Hinblick auf die Möglichkeiten einer Resozialisierung des Täters getroffen werden (Erw. 1 lit. b).
Sachverhalt ab Seite 363 BGE 100 Ib 363 S. 363 A.- Le ressortissant grec Achilles Tzonis, né en 1946, a vécu à Athènes jusqu'en 1964, date à laquelle il est parti pour l'Allemagne de l'Est, où il a fait la connaissance d'une compatriote qui aurait aussi quitté son pays. Il l'a épousée en 1966, avant de venir s'établir avec elle en Suisse, à fin 1967. Ils ont eu quatre enfants, nés en 1966, 1967, 1970 et 1971. Le 5 juin 1973, Tzonis a été condamné par le Tribunal correctionnel du district de Vevey, pour infraction et infraction manquée à la LF sur les stupéfiants, escroqueries en bande, vols et vols en bande et par métier, instigation à escroquerie BGE 100 Ib 363 S. 364 et induction de la justice en erreur, à trois ans et demi de réclusion, à 1000 fr. d'amende et à l'expulsion du territoire suisse pour 15 ans. Son épouse a été condamnée le même jour à 18 mois d'emprisonnement et à 15 ans d'expulsion du territoire suisse, avec sursis pendant trois ans. Elle travaille depuis le 16 juillet 1973 en qualité d'assistante médicale laborantine au Centre médico-social Pro Familia. B.- Statuant d'office le 19 septembre 1974, la Commission vaudoise de libération a décidé d'accorder à Tzonis, aux conditions usuelles, la libération conditionnelle dès le 25 novembre 1974, soit deux jours avant l'expiration des deux tiers de la peine privative de liberté qui lui avait été infligée. Elle a renoncé toutefois à suspendre à titre d'essai l'expulsion de Suisse prononcée contre lui pour une durée de 15 ans. C.- Tzonis forme un recours de droit administratif au Tribunal fédéral. Il demande que la décision de la Commission de libération soit réformée en ce sens que son expulsion est différée à titre d'essai. Tant la Commission de libération du canton de Vaud que le Département fédéral de justice et police concluent au rejet du recours. Erwägungen Considérant en droit: 1. a) L'art. 55 al. 2 CP prévoit que l'autorité compétente décidera si, et à quelles conditions, l'expulsion du condamné libéré conditionnellement doit être différée à titre d'essai. Il ressort du texte même de cette disposition que cette autorité dispose d'un large pouvoir d'appréciation. Néanmoins, saisi d'un recours de droit administratif, le Tribunal fédéral revoit si elle s'est référée à des critères objectivement déterminants (cf. RO 94 I 560 consid. 1) et si elle n'a pas excédé ou abusé de son pouvoir d'appréciation (art. 104 litt. a OJ), en fondant par exemple sa décision sur des considérations étrangères au but de l'institution (cf. RO 98 Ib 107 consid. 1b). b) La loi ne précise pas les critères selon lesquels il convient de décider si l'expulsion du condamné libéré conditionnellement doit être différée ou non. S'agissant cependant d'une décision étroitement liée à la libération conditionnelle, elle ne saurait être motivée d'une manière incompatible avec le sens et le but de cette institution, sans perdre de vue toutefois que le but de la peine accessoire ne coïncide pas avec celui de la BGE 100 Ib 363 S. 365 peine principale et que, par conséquent, les décisions à prendre en application des art. 38 et 55 CP n'obéissent pas nécessairement aux mêmes impératifs (cf. RO 77 IV 145, 86 IV 215 et ATF Jovanovic du 6 juin 1974). Or la libération conditionnelle repose sur des considérations de politique criminelle; elle tend à permettre au condamné de faire lui-même ses preuves en liberté, de façon à être préservé d'une récidive. Sur le plan subjectif, il suffit pour l'accorder que l'on puisse conjecturer que, compte tenu des règles de conduite qui lui seront imposées, le libéré se conduira bien. Ainsi lorsque l'autorité compétente est appelée, lors de la libération conditionnelle, à décider si elle doit ou non différer l'exécution de la peine accessoire, elle doit choisir la mesure qui lui paraît la plus propre à préserver le condamné d'une récidive, c'est-à-dire la mesure qui lui permettra de conjecturer avec la meilleure probabilité que le libéré se conduira bien (cf. RO 86 IV 216). Dès lors si, à cet égard, le fait de différer l'expulsion à titre d'essai apparaît comme la mesure la mieux appropriée, l'autorité compétente devra choisir cette solution, sous réserve de considérations fondées sur les exigences de la sécurité publique et sur la capacité de l'intéressé de se conformer à l'ordre juridique suisse; elle pourra en revanche la refuser si les buts auxquels tend la libération conditionnelle peuvent être atteints aussi bien ou encore mieux par l'exécution de l'expulsion (cf. TRAUTVETTER, Die Ausweisung von Ausländern durch den Richter, p. 46 ss.). En fonction de ces critères, le pronostic et, par conséquent, la solution à adopter dépendront de la situation personnelle du liberé, de ses rapports avec la Suisse ou avec son pays d'origine, de la situation de sa famille et de ses liens avec celle-ci, de ses possibilités de travail et de meilleure réintégration sociale. c) En l'espèce, le seul motif de la décision attaquée qui soit en rapport avec les principes précités est celui qui déclare que les chances de réintégration sociale du recourant ne paraissent pas meilleures en Suisse que dans son pays d'origine. Mais cette appréciation ne se fonde sur aucun élément déterminant. Elle repose uniquement sur le fait qu'à la suite du changement de régime politique en Grèce, il n'est pas établi que le retour du recourant dans son pays d'origine soit exclu. Cette constatation, d'ailleurs imprécise, est insuffisante pour fonder un BGE 100 Ib 363 S. 366 pronostic sur les possibilités de réintégration sociale. La décision attaquée, qui aurait dû se référer à la situation personnelle du recourant, à la situation de sa famille, à ses liens avec celle-ci et aux possibilités de travail qui lui sont offertes, ne dit rien sur ces points. Certes, la Commission constate que les attaches du recourant avec la Suisse, où il est entré en octobre 1967, ne sont pas telles que son expulsion apparaisse d'une excessive rigueur. Mais ce n'est pas la rigueur de la peine accessoire qui importe le plus lorsqu'il s'agit de décider si elle doit être différée ou non; cet élément est surtout déterminant pour le juge appelé à la prononcer (cf. RO 94 IV 104 consid. 3). Ce qui importe avant tout est de déterminer lequel, du pays d'origine et du pays d'accueil, lui offre les meilleures conditions de réintégration sociale. Or, si l'on se réfère au dossier cantonal, on constate d'une part que les renseignements concernant les possibilités de réintégration sociale en Grèce du recourant avec ou sans sa famille sont ou négatifs ou très imprécis, et d'autre part que l'on y trouve des renseignements sur les possibilités de travail du recourant et sur la situation de sa famille, sur lesquels la Commission ne se prononce pas. Il ressort, par exemple, du préavis établi le 5 août 1974 par le directeur de Crêtelongue que celui-ci propose à juste titre de ne pas trancher la question de l'expulsion du recourant avant d'avoir pris l'avis de son tuteur et après avoir procédé à une enquête sur sa situation vis-à-vis de son pays d'origine, mais la Commission paraît n'avoir pas tenu compte de cette suggestion. Elle n'a pas non plus pris en considération ni éclairci, par des renseignements complémentaires, les renseignements négatifs fournis au sujet de la situation du recourant en Grèce par la Police fédérale des étrangers le 27 juin 1974, avant le changement du régime politique dans ce pays, il est vrai. Quant aux rapports du tuteur du recourant, ils n'ont pas été demandés par la Commission, mais ils ont été produits à l'appui du présent recours et à l'appui d'un recours en grâce actuellement pendant; ils donnent des renseignements favorables sur la situation des époux Tzonis et ils établissent un pronostic positif sur les possibilités de réintégration familiale, sociale et professionnelle du recourant. Il est regrettable que la Commission n'ait pu se prononcer à ce sujet. BGE 100 Ib 363 S. 367 Par ailleurs, la décision attaquée tient compte de la gravité des délits commis et de la longue durée de l'expulsion ordonnée. Mais, de même que ces éléments ne sauraient intervenir dans l'application des dispositions sur la libération conditionnelle (RO 98 Ib 109), de même ne sauraient-ils intervenir dans l'application de l'art. 55 al. 2 CP. La Commission a donc partiellement mal posé le problème et, dans la mesure où elle l'a posé correctement, elle ne s'est pas prononcée sur les éléments de fait essentiels. Il y a donc à la fois abus du pouvoir d'appréciation (art. 104 litt. a OJ) et constatation incomplète de faits pertinents (art. 104 lit. b OJ). 2. La décision du 26 septembre 1974 doit donc être annulée. Le Tribunal fédéral a certes latitude de revoir non seulement l'application du droit, mais encore les constatations de fait (art. 105 OJ); il s'interdit néanmoins de substituer son appréciation à celle de l'autorité inférieure. Comme la nouvelle décision à prendre dépend pour une bonne part de l'appréciation, il convient de renvoyer la cause à la Commission, pour qu'elle reprenne la procédure dès le début (RO 98 Ib 171, 176) et statue ensuite en fonction des critères définis plus haut. Il incombera notamment à la Commission d'examiner la situation personnelle du recourant, la situation de sa famille et ses liens avec celle-ci, ses possibilités de travail, ses attaches et ses chances de réintégration tant en Suisse qu'en Grèce. Elle tiendra compte de la situation des enfants du recourant, de celle de son épouse. Il est clair en effet que les chances d'amendement du recourant seront d'autant plus grandes qu'il pourra conserver son foyer et y trouver des conditions de vie harmonieuses. Il n'est dès lors pas indifférent de savoir ce qu'il adviendrait de cette famille au cas où le recourant devrait retourner seul en Grèce. Il conviendra enfin de déterminer si le sursis à l'expulsion est compatible avec la sécurité publique et si le bénéficiaire est, le cas échéant, capable de s'adapter et de se conformer à l'ordre juridique suisse (cf. ATF Jovanovic du 6 juin 1974).
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1,974
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21b33a4f-7832-42c1-aa0e-4f5cc04d3d51
Urteilskopf 82 III 127 34. Entscheid vom 30. Mai 1956 i.S. Bollmann.
Regeste Mangelhafte Gläubigerbezeichnung im Arrestbefehl oder Betreibungsbegehren; Folgen (Erw. 1 und 2). Über den Bestand der arrestierten Forderung haben grundsätzlich die Betreibungsbehörden nicht zu entscheiden (Erw. 3). Schranken der Pfändbarkeit eines Werklohnguthabens (Erw. 4).
Sachverhalt ab Seite 128 BGE 82 III 127 S. 128 A.- Für eine Forderung von Fr. 2140.35 gemäss Verlustschein nahm die von der Amtsvormundschaft der Stadt Zürich vertretene "Anita Krocker, Deutschland" unter Anrufung von Art. 271 Abs. 1 Ziff. 5 ZGB Arrest auf "Guthaben des Arrestschuldners gegenüber Architekturbüro Walter Niehus, Torgasse 4, Zürich 1, soweit verarrestierbar, bis zur Deckung der Arrestforderung samt Kosten". Das Betreibungsamt Zürich 9 arrestierte ein Guthaben des Arrestschuldners an den erwähnten Architekten bis zum Betrage von Fr. 2500.-- und ersuchte diesen zugleich um Angabe des gesamten Guthabens. Gemäss dem Bericht von Architekt Niehus stellte es in der Arresturkunde fest, dass das Guthaben im Werkvertrage (mit Berücksichtigung von Unvorhergesehenem und Taglohnarbeiten) auf Fr. 15'724.-- beziffert worden sei, jedoch voraussichtlich nach Beendigung der Arbeiten nicht mehr als etwa Fr. 14'500.-- betragen werde; heute seien Arbeiten für ca. Fr. 13'000.-- ausgeführt; der Arrestschuldner habe a conto Fr. 11'000.-- erhalten und nach den vereinbarten Zahlungsbedingungen momentan keine weitere Barzahlung zu fordern. Das monatliche Existenzminimum des Schuldners bemass das Betreibungsamt auf Fr. 630.--. Den vom Schuldner gemäss Art. 92 Ziff. 5 SchKG erhobenen Kompetenzanspruch für zwei auf die Arrestierung folgende Monate schützte das Betreibungsamt in der Weise, dass es ihm vom restlichen Guthaben von ca. Fr. 3500.-- an Architekt Niehus einen Betrag von Fr. 1260.-- als unpfändbar beliess. Es nahm Vormerk von der Erklärung des Schuldners, er habe ausser dem betreffenden BGE 82 III 127 S. 129 Auftrag keine Arbeiten auszuführen und besitze weder Barmittel noch weitere ausstehende Guthaben. B.- Über die Arrestierung beschwerte sich der Schuldner aus verschiedenen Gründen, wurde aber in beiden kantonalen Instanzen abgewiesen. C.- Gegen den Entscheid der obern kantonalen Aufsichtsbehörde vom 2. Mai 1956 hat der Schuldner an das Bundesgericht rekurriert. Er stellt folgende Anträge: der kantonale Entscheid sei aufzuheben und der angefochtene Arrest zu beseitigen; eventuell sei dem Schuldner neben dem Existenzminimum eine Materialvergütung zu bewilligen und der Arrest nur für einen geringeren Betrag, höchstens Fr. 1099.50, zuzulassen. Erwägungen Die Schuldbetreibungs- und Konkurskammer zieht in Erwägung: 1. Der Rekurrent beanstandet mit Recht die unvollständige Gläubigerbezeichnung "Anita Krocker, Deutschland". Für sich allein ist diese Benennung gar nicht geeignet, die Person der Gläubigerin zu identifizieren. Indessen ist der Rekurrent, wie sich aus seinen eigenen Vorbringen ergibt, über diese Person genügend orientiert, wie sich denn die Arrestnahme auf den Verlustschein stützt, den die Gläubigerin in einer gegen den Rekurrenten durchgeführten Betreibung erhalten hat. Somit besteht kein Grund, den Arrestvollzug wegen Ungewissheit über die Person des Gläubigers aufzuheben. 2. Die blosse Angabe "Deutschland" statt des genauen Wohnortes verstösst freilich noch gegen die spezielle Vorschrift von Art. 274 Ziff. 1 SchKG (entsprechend Art. 67 Ziff. 1). Das Betreibungsamt hätte wegen dieses Mangels den Vollzug des Arrestbefehls verweigern dürfen; doch ist der Mangel nicht geeignet, den tatsächlich erfolgten Vollzug ungültig zu machen ( BGE 47 III 121 ff.). Vielmehr wird das Betreibungsamt der die Gläubigerin vertretenden Amtsvormundschaft der Stadt Zürich Gelegenheit zur BGE 82 III 127 S. 130 Ergänzung der unvollständigen Angaben einzuräumen haben. Da diese Behörde anscheinend nicht selber gesetzliche Vertreterin der Anita Krocker ist, besteht ausserdem Veranlassung, von ihr die Angabe des gesetzlichen Vertreters und einen Vollmachtsausweis zu verlangen. 3. Auf die weitere Einrede des Rekurrenten, für die in Frage stehenden Bauarbeiten stehe ihm eine Forderung nur gegen den Bauherrn, die Borchardt-Cohen'sche Stiftung, Schaffhausen, zu, nicht gegen den bauleitenden Architekten Niehus, ist die Vorinstanz nicht eingetreten. Sie weist darauf hin, dass die den Bestand eines arrestierten Rechtes betreffenden Einreden nach zürcherischer Praxis mit der Arrestaufhebungsklage geltend zu machen seien (Blätter für zürch. Rechtsprechung 26 Nr. 187). Es mag dahingestellt bleiben, ob diese später vom zürcherischen Obergericht wieder in Frage gestellte Praxis (BIZüR 47 Nr. 150; dazu die Kritik von FRITZSCHE, SchK-recht II S. 217 N. 290) richtig sei. Wie es sich damit auch verhalten möge, steht es jedenfalls den Betreibungsbehörden nicht zu, über den gültigen Bestand arrestierter oder gepfändeter Rechte, insbesondere Forderungen, zu entscheiden. Nur bei zweifelloser Nichtexistenz solcher Rechte lässt sich die Aufhebung ihrer Arrestierung oder Pfändung durch die Aufsichtsbehörden rechtfertigen (vgl. BGE 81 III 17 ff.). Ein solcher Ausnahmefall liegt hier jedoch nicht vor. Sollte aber die Gläubigerin selber bei näherer Prüfung des Sachverhaltes dem Rekurrenten beistimmen und deshalb die Verwertung der von ihm bestrittenen Forderung gegen Architekt Niehus als aussichtslos betrachten, so steht ihr natürlich frei, auf diesen Arrest zu verzichten und einen neuen Arrest auf eine entsprechende Forderung gegen die Bauherrschaft zu nehmen. 4. Das arrestierte Werklohnguthaben enthält nach den schon in kantonaler Instanz vorgebrachten Angaben des Rekurrenten neben dem Entgelt für Arbeit eine Vergütung für das von ihm beschaffte oder noch zu beschaffende Material. Mit Hinweis auf JAEGER, Die Lohnpfändung BGE 82 III 127 S. 131 (SJZ 32 S. 77), hält er für arrestier- und pfändbar (im Rahmen von Art. 93 SchKG ) nur das Arbeitsentgelt, nicht auch die Materialvergütung. Die letztere ist jedoch nach der Praxis im Gegenteil grundsätzlich unbeschränkt pfändbar (vgl. BGE 49 III 99 , ZbernJV 79 S. 428). Ausgenommen ist nur der Teil der Materialvergütung, den der Schuldner allenfalls braucht, um das notwendige Material zur Fortsetzung seiner Arbeit während eines Monates anzuschaffen ( BGE 71 III 176 Erw. 2). Daran knüpfen die Eventualvorbringen des Rekurrenten an, die auf Zubilligung einer "Materialvergütung für die Fortsetzung der Arbeiten" abzielen. In dieser Hinsicht enthält der Rekurs jedoch nur unbestimmte Vorbringen, die einen Anspruch solcher Art nicht darzutun vermögen. Übrigens stellt die Vorinstanz für das Bundesgericht verbindlich fest ( Art. 63 und 81 OG ), dass die dem Rekurrenten für den in Frage stehenden Bau bereits zugeflossenen Teilzahlungen von Fr. 11'000.-- auch bei Berücksichtigung des Existenzminimums zur Begleichung der Materialbezüge hinreichen würden. Wenn der Rekurrent beträchtliche Teilbeträge davon den Zwecken dieses Baues entfremdet hat, indem er nach seinen eigenen Vorbringen in kantonaler Instanz Fr. 2500.-- zur Bezahlung anderer Schulden verwendete, kann er die an die erwähnten engen Voraussetzungen gebundene Unpfändbarkeit der Materialvergütung als Zuschlag zum Existenzminimum nicht beanspruchen. Dispositiv Demnach erkennt die Schuldbetr.- u. Konkurskammer: Der Rekurs wird abgewiesen.
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1,956
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CH_BGE_005
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21b5517e-df2e-44f9-9013-906bd42af3a6
Urteilskopf 101 IV 321 75. Urteil des Kassationshofes vom 5. Dezember 1975 i.S. S. gegen Generalprokurator des Kantons Bern
Regeste Art. 39 Abs. 1 SVG . Eine beabsichtigte Richtungsänderung ist möglichst frühzeitig bekanntzugeben, doch ist jede Irreführung zu vermeiden.
Sachverhalt ab Seite 321 BGE 101 IV 321 S. 321 A.- Am Vormittag des 7. November 1974 fuhr Frau S. mit ihrem Morris 1300 GT auf der ansteigenden Schwarzenburgstrasse in Bern stadtauswärts. Sie beabsichtigte, an der Kreuzung mit der Weissensteinstrasse nach rechts in diese abzubiegen. Als sie sich gut rechts fahrend der Kreuzung näherte, leuchtete an der Signalanlage das Grünlicht auf, worauf Frau S. auf ca. 50-60 km/h beschleunigend weiterfuhr. Sie betätigte bereits ca. 70 m vor der Kreuzung mit der Weissensteinstrasse den rechten Blinker, rund 30 m vor der Einmündung der Lentulusstrasse. Auf dieser näherte sich der Volvo 145 des L. der nach links in die Schwarzenburgstrasse zu fahren beabsichtigte. Da er wartepflichtig war, rollte L. langsam gegen die Einmündung und beobachtete nach beiden Seiten. Als von rechts kein Fahrzeug mehr nahte und von links lediglich der Morris mit eingeschaltetem rechten Blinker daher kam, fuhr L. in die Schwarzenburgstrasse ein in der BGE 101 IV 321 S. 322 Überzeugung, der Morris wolle in die Lentulusstrasse abbiegen. Frau S. bremste ab, als der Volvo in die Schwarzenburgstrasse bog; geradeaus fahrend erzeugte ihr Wagen eine Bremsspur von 6,7 m und prallte dann auf den Volvo auf. Beide Autos wurden beschädigt. B.- Das Obergericht des Kantons Bern erklärte am 29. August 1975 Frau S. einer Verletzung von Art. 39 Abs. 1 SVG schuldig und sah von einer Bestrafung ab gemäss Art. 100 Ziff. 1 SVG . L. fand es einer Verletzung von Art. 36 Abs. 2 SVG und 14 Abs. 1 VRV schuldig und verurteilte ihn zu Fr. 50.-- Busse. C.- Beide Verurteilten führen Nichtigkeitsbeschwerde mit dem Antrag auf Freisprechung. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: I. Beschwerde S. 1. Nach Art. 39 Abs. 1 SVG hat der Fahrzeugführer jede Richtungsänderung rechtzeitig bekanntzugeben, damit die übrigen Verkehrsteilnehmer ihr eigenes Verhalten auf seine beabsichtigte Fahrt einrichten können. Es steht fest, dass Frau S. von der Schwarzenburgstrasse nach rechts in die Weissensteinstrasse abbiegen wollte. Sie war daher berechtigt und verpflichtet, ihre Absicht durch Betätigung des rechten Blinkers anzuzeigen. Umstritten ist, ob dies rechtzeitig geschah. 2. Die zeitliche und örtliche Distanz für die richtige Einschaltung des Blinkers ergibt sich in Masseinheiten weder aus einer Rechtsnorm, noch lässt sie sich für alle Fälle einheitlich festsetzen. Je nach der Verkehrssituation wird die Antwort verschieden ausfallen. Oberstes Gebot ist einerseits, den andern Strassenbenützern eine beabsichtigte Richtungsänderung möglichst frühzeitig bekanntzugeben und anderseits jede Irreführung zu vermeiden. Daraus ergeben sich folgende Grundsätze: a) Wer erst unmittelbar vor oder gar zu Beginn eines Abbiegemanövers blinkt, hat nicht rechtzeitig gehandelt. Er verletzt seine Pflichten kaum weniger als derjenige, der ohne Zeichen abbiegt. b) Je schneller der Verkehr, umso früher ist eine Richtungsänderung anzuzeigen. Je weniger eine Irreführung durch verfrühte Anzeige zu befürchten ist, umso eher kann der Blinker BGE 101 IV 321 S. 323 eingeschaltet werden. So wird auf der Autobahn vor dem Wechsel aus der Fahrspur in die Überholspur oder vor der Benützung einer Ausfahrt in der Regel schon einige 100 m vorher zu blinken sein. Wer dagegen als langsamer Fahrer auf einer Innerortsstrasse mit vielen Kreuzungen schon etwa 100 m vor dem beabsichtigten Abbiegen blinkt, schafft Unsicherheit und Verwirrung; c) Einen klaren Verstoss gegen Art. 39 Abs. 1 SVG begeht, wer vor einer Verzweigung durch Blinken ein Abbiegen ankündet, obwohl er geradeaus fahren will. Dabei macht es nur für die Schwere seines Verschuldens, aber nicht grundsätzlich einen Unterschied, ob er den Blinker nach einem früheren Richtungswechsel nicht zurückgestellt (oder das Versagen der Automatik nicht bemerkt) hat, oder ob er den Blinker absichtlich betätigt, weil er zwar nicht bei dieser Einmündung, aber irgendwann später abbiegen will. 3. Frau S. hat Art. 39 Abs. 1 SVG eindeutig verletzt. Was sie gegen ihre Schuldigerklärung vorbringt, ist unbehelflich. Gewiss begann jenseits der Einmündung der Lentulusstrasse die Einspurstrecke für die Kreuzung mit der Weissensteinstrasse. Da Frau S. aber bereits hart rechts fuhr, gelangte sie in Geradeausfahrt ohne weiteres auf die richtige Einspurbahn. Sie musste keinen Spurwechsel vornehmen und hatte daher auch keinen Grund, einen solchen im voraus anzuzeigen. Ebensowenig entlastet sie der Umstand, dass die Schwarzenburgstrasse gegenüber der Lentulusstrasse vortrittsberechtigt ist. Sie musste trotzdem alles unterlassen, was von dort kommende Strassenbenützer irreführen konnte. Ob ihre hohe Geschwindigkeit den Volvo-Fahrer hätte stutzig machen müssen, ist in anderem Zusammenhang zu prüfen. Für ihr eigenes Verhalten kann Frau S. daraus nichts ableiten. Im Gegenteil wurde die von ihr geschaffene Unfallgefahr noch erhöht durch den Umstand, dass sie mit nahezu der zulässigen Höchstgeschwindigkeit über die Lentulusstrasse fuhr. Frau S. hat die Verkehrsregeln nicht in leichter Form verletzt. Nichts, insbesondere auch keine nachfolgenden Fahrzeuge oder ein bevorstehender Spurwechsel jenseits der Kreuzung, konnte eine verfrühte Blinkanzeige rechtfertigen. Dazu kommt, dass sie den aus der Lentulusstrasse heranrollenden BGE 101 IV 321 S. 324 Volvo schon auf einige Distanz sehen konnte. Sie hätte aus Rücksicht auf dessen Führer mit dem Einschalten des Blinkers warten oder ein bereits eingeschaltetes Blinksignal wieder abstellen müssen ( BGE 92 IV 30 ). Dass andere Fahrer anlässlich des erstinstanzlichen Augenscheins teilweise ebenfalls schon so frühzeitig blinkten, hilft der Beschwerdeführerin nicht. Entweder haben auch diese sich verkehrswidrig verhalten oder sie befanden sich in anderer Situation. Der Gerichtspräsident stellt nämlich nicht fest, ob diese Fahrer eventuell sich in Strassenmitte fahrend der Lentulusstrasse näherten und daher ein Einspuren anzeigen durften, ob sie auf nachfolgende Fahrzeuge Rücksicht zu nehmen hatten und insbesondere, ob nicht in jenem Zeitraum die übersichtliche Einmündung der Lentulusstrasse frei und somit eine Irreführung ausgeschlossen war.
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21bb518f-74f7-4be7-8b10-d2cf4e117d37
Urteilskopf 105 V 31 9. Urteil vom 13. März 1979 i.S. Schweizerische Unfallversicherungsanstalt gegen Raschetti und Versicherungsgericht des Kantons Zürich
Regeste Art. 81 Abs. 1 KUVG . - Wiederaufnahme der ärztlichen Behandlung und Pflicht der SUVA, einen Rückfall oder Spätfolgen eines versicherten Unfalles zu übernehmen (Bestätigung der Rechtsprechung). - Keine analoge Anwendung der Bestimmungen des Art. 27 Abs. 1 MVG über die Wiederaufnahme der ärztlichen Behandlung (Erw. 4).
Sachverhalt ab Seite 31 BGE 105 V 31 S. 31 A.- Severo Raschetti erlitt am 19. Juni 1969 auf dem Arbeitsweg als Autofahrer einen Selbstunfall. Er zog sich dabei eine offene Patellatrümmerfraktur rechts, eine offene Tibiafraktur rechts, commotio cerebri, multiple Rissquetschwunden, Fraktur der Grund-Phalanx dig. 4 rechts und einen Schock zu. Als Vorarbeiter bei der Firma G. war der Verunfallte bei der Schweizerischen Unfallversicherungsanstalt (SUVA) versichert, welche die gesetzlichen Leistungen erbrachte. Am 10. Juni 1970 nahm der Versicherte zunächst zu 50%, später zu 60% die Arbeit wieder auf. Der formelle Abschluss verzögerte sich, weil in der Zeit vom 4. Januar bis 3. April 1971 noch operative Korrekturen am rechten Kniegelenk und eine Osteotomie rechts vorgenommen wurden. BGE 105 V 31 S. 32 Mit Verfügung vom 4. August 1971 sprach die SUVA dem Versicherten mit Wirkung ab 1. August 1971 eine Invalidenrente zu, und zwar zu 35% bis 31. Juli 1972 und zu 25% ab 1. August 1972, reduziert um 10% gemäss Art. 98 Abs. 3 KUVG . Diese Verfügung blieb unangefochten. Am 17. Dezember 1973 erstattete die Arbeitgeberfirma eine Rückfall-Meldung. Die Diagnose der Orthopädischen Klinik X. vom 19. Dezember 1973 lautete auf Pseudarthrose bei Status nach Fibula-Osteotomie im Zusammenhang mit einer supramalleolären Korrekturosteotomie im Februar 1971. Wörtlich wurde festgehalten: "Wir sind der Ansicht, dass bei dieser radiologisch gesicherten Fibula-Pseudarthrose rechts wegen der persistierenden Beschwerden trotz der vollen Arbeitsfähigkeit des Patienten eine operative Stabilisierung indiziert ist. Wir ersuchen um Kostengutsprache für die Operation und die medizinische Nachbehandlung." Die SUVA liess darauf die Verhältnisse durch ihren Experten Pro f. C. abklären, der in seinem Gutachten vom 28. Januar 1974 die Diagnose der Fibula-Pseudarthrose bestätigte, hingegen die Notwendigkeit einer Behandlung verneinte. Er schlug vor, "vorläufig noch expektativ zu bleiben, zumal der Versicherte seine Arbeit voll aufgenommen hat und auch im Rahmen seiner Rente voll arbeitet". Eine Verschlimmerung des Zustandes lasse sich nicht nachweisen. Am 23. Januar 1975 schlug Dr. Z. von der Klinik X. erneut eine operative Stabilisierung der Pseudarthrose vor. Darauf untersuchte Prof. C. den Versicherten zum zweiten Mal und gelangte zum Schluss, dass gegenüber dem ersten Gutachten keine wesentliche Änderung eingetreten sei. Es bestehe nach wie vor eine Pseudarthrose der Fibula und eine Verschmälerung der Gelenkspalte des unteren Sprunggelenkes. Die festgestellten Beschwerden würden durch die Rente kompensiert. Eine direkte Behandlungsbedürftigkeit bestehe nicht. Mit Schreiben vom 3. April 1975 brachte die SUVA diese Schlussfolgerungen dem Versicherten zur Kenntnis und lehnte es ab, eine operative Behandlung in Betracht zu ziehen. Trotzdem wurde am 23. Oktober 1975 in der Klinik X. die Re-Osteosynthese der rechten Fibula mit Platte und Spongiosoplastik durchgeführt. Darauf gelangte die Klinik X. wiederum an die SUVA mit dem Begehren um Übernahme der Kosten. Die SUVA liess in der Folge den Versicherten zum dritten Mal BGE 105 V 31 S. 33 bei ihrem Experten Prof. C. untersuchen, der nach wie vor auf dem ablehnenden Standpunkt beharrte. Darauf wies die SUVA mit Verfügung vom 28. September 1976 das Begehren um Übernahme der Kosten für die Operation vom 23. Oktober 1975 ab. Einerseits seien die Voraussetzungen für die Wiederaufnahme der ärztlichen Behandlung gemäss Art. 81 KUVG nicht erfüllt, weil die Operation in die revisionslose Zeit falle und von ihr keine Erhöhung der Erwerbsfähigkeit des Versicherten zu erwarten war. Andererseits liege weder ein Rückfall noch eine Spätfolge des Unfalls vom 19. Juni 1969 vor. B.- Die gegen diese Verfügung erhobene Beschwerde hiess das Versicherungsgericht des Kantons Zürich mit Entscheid vom 7. Februar 1978 gut und verpflichtete die SUVA, "für die Operation vom 23. Oktober 1975 und deren Folgen die gesetzlichen Leistungen zu erbringen". Die Kosten von Fr. 1303.-- wurden der SUVA überbunden. Das Gericht stützte sich auf das von ihm eingeholte Gutachten des Prof. M., Orthopädische Universitätsklinik Y., vom 11. November 1977. Der Gutachter kam zum Schluss, dass im Oktober 1975 Spätfolgen in Form einer Operationskomplikation des versicherten Unfalles vorlagen. Diese hätten wegen Fortbestehens der Schmerzen später wohl zu einer weiteren Verminderung der Erwerbsfähigkeit führen können. Es sei von einer Versicherung zu erwarten, dass sie für die Kosten einer Operationskomplikation aufkomme, besonders wenn diese Komplikation noch Schmerzen verursache. In rechtlicher Hinsicht führte das Gericht aus, es sei fraglich, ob die einschränkenden Bestimmungen, namentlich die Befürchtung einer dauernden weiteren Verminderung der Erwerbsfähigkeit, vorliegen müssen, damit die SUVA auf Spätfolgen eines versicherten Unfalles einzutreten habe. Unter Hinweis auf Art. 27 MVG sei die ärztliche Behandlung wieder aufzunehmen, wenn davon eine erhebliche Erhöhung der Erwerbsfähigkeit erwartet werden könne oder wenn unvorhergesehene Spätfolgen mit neuerlicher Behandlungsbedürftigkeit einträten, was im vorliegenden Fall auf Grund des Gutachtens von Prof. M. zutreffe. Eine erhebliche Erhöhung der Erwerbsfähigkeit sei bei Spätfolgen nicht Voraussetzung für die Wiederaufnahme der Behandlung. Die SUVA habe daher für den auf Schmerzenslinderung gerichteten Eingriff vom Oktober 1975 aufzukommen. Im übrigen habe der Versicherte in formeller Hinsicht den Rückfall noch vor Ablauf der ersten Rentenperiode mitteilen BGE 105 V 31 S. 34 lassen. Eine beschwerdefähige Verfügung sei aber nicht erlassen worden. C.- Die SUVA führt Verwaltungsgerichtsbeschwerde mit dem Antrag auf Aufhebung des vorinstanzlichen Entscheides. Zur Begründung wird im wesentlichen geltend gemacht, dass die Voraussetzungen der Wiederaufnahme der ärztlichen Behandlung im Sinne von Art. 81 KUVG nicht erfüllt seien, weil durch die streitige Operation keine erhebliche Erhöhung der Erwerbsfähigkeit habe erwartet werden können. Denn die Erwerbseinbusse vor der Operation habe nur wenige Prozente betragen. Sodann könne die Pseudarthrose der Fibula weder als Rückfall noch als Spätfolge qualifiziert werden. Endlich sei die Anwendung des Art. 27 MVG auf dem Gebiete der Unfallversicherung abwegig. Severo Raschetti beantragt Abweisung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde. Zur Begründung macht er geltend, dass sein starker Durchhaltewille es ermöglicht habe, vor der Operation vom Oktober 1975 die übliche Präsenzzeit einzuhalten. Die monatliche Rente von Fr. 276.-- stehe in einem Missverhältnis zu Operationskosten und Lohnausfall im Betrage von Fr. 15'000.-- bis 20'000.--. Es gehe im vorliegenden Fall um die Frage, ob die umstrittene Operation der Verminderung der Erwerbsfähigkeit vorgebeugt habe. Dass er vor der Operation unter starken Schmerzen gelitten habe, sei unbestritten. Im übrigen sei kein vernünftiger Grund ersichtlich, weshalb ein Unfall bzw. dessen Folgen in der Unfallversicherung anders beurteilt werde als in der Militärversicherung. Erwägungen Das Eidg. Versicherungsgericht zieht in Erwägung: 1. a) Gemäss Art. 76 KUVG wird dem Versicherten eine Invalidenrente gewährt, wenn von der Fortsetzung der ärztlichen Behandlung keine namhafte Besserung seines Gesundheitszustandes erwartet werden kann und der Unfall eine voraussichtlich bleibende Erwerbsunfähigkeit hinterlässt. Wird die Erwerbsunfähigkeit nach Festsetzung der Rente erheblich grösser oder geringer, so tritt für die Folgezeit eine entsprechende Erhöhung oder Verminderung der Rente oder deren Aufhebung ein ( Art. 80 Abs. 1 KUVG ). Nach Art. 80 Abs. 2 KUVG kann die Rente "während der ersten drei Jahre nach ihrer Festsetzung jederzeit, in der Folge nur noch bei Ablauf BGE 105 V 31 S. 35 des sechsten und des neunten Jahres revidiert werden". Nach ständiger Rechtsprechung beginnt der hier normierte Fristenlauf mit dem Tag, an welchem die Rente zu laufen begonnen hat ( BGE 103 V 30 mit Hinweisen). b) Gemäss Art. 81 Abs. 1 KUVG ist die SUVA - nach Festsetzung der Rente - befugt, die Wiederaufnahme der ärztlichen Behandlung anzuordnen, wenn davon eine erhebliche Erhöhung der Erwerbsfähigkeit des Versicherten erwartet werden kann; dies aber ist nur innerhalb der für die Rentenrevision vorgesehenen Fristen zulässig. c) Von der Wiederaufnahme der Behandlung gemäss Art. 81 Abs. 1 KUVG ist die neue ärztliche Behandlung eines Rückfalls oder einer Spätfolge abzugrenzen. Bei einem Rückfall handelt es sich um das Wiederaufflackern einer vermeintlich geheilten Krankheit, so dass es zu ärztlicher Behandlung, möglicherweise sogar zu Arbeitsunfähigkeit kommt (MAURER, Recht und Praxis der schweizerischen obligatorischen Unfallversicherung, 2. Auflage, S. 183). Von Spätfolgen spricht man nach MAURER (a.a.O.), wenn ein scheinbar geheiltes Leiden im Verlaufe längerer Zeit organische Veränderungen bewirkt, die zu einem oft völlig anders gearteten Krankheitsbild führen. Zu erinnern sei an posttraumatische Epilepsie. Nach konstanter Praxis sind Rückfälle und Spätfolgen von der SUVA zu übernehmen, wenn die gemeldete Verschlimmerung des Gesundheitszustandes eine dauernde weitere Verminderung der Erwerbsfähigkeit bewirkt oder befürchten lässt. In der revisionslosen Zeit muss die SUVA die Behandlung aber nur in dringenden Fällen gewähren. Ein dringlicher Fall liegt z.B. vor, wenn ein sofortiger operativer Eingriff erforderlich ist oder wenn der Versicherte unerträgliche Schmerzen erleidet (unveröffentlichte Urteile vom 3. September 1975 i.S. Brand und 13. August 1973 i.S. Flier, EVGE 1934 S. 129, MAURER a.a.O., S. 352). 2. Zunächst ist zu prüfen, ob die SUVA die streitige Operation vom 23. Oktober 1975 im Rahmen der Wiederaufnahme der ärztlichen Behandlung gemäss Art. 81 KUVG zu übernehmen hat. Diese Verpflichtung ist, wie aus dem folgenden hervorgeht, zu verneinen. a) Der Beschwerdegegner bezog eine Invalidenrente von 25%. Nach den Angaben des Arbeitgebers (Bericht vom 9. Juli 1976) erlitt er vor der Operation lediglich eine Lohneinbusse von 3,5% (oder Fr. 98.-- pro Monat), wobei sich diese in BGE 105 V 31 S. 36 Zukunft noch verringern werde. Praktisch war der Beschwerdegegner vor der Operation zu 100% arbeitsfähig, was auch Prof. M. in seinem Gutachten vom 11. November 1977 bestätigt. Unter diesen Umständen kann daher nicht die Rede davon sein, dass mit der streitigen Operation eine erhebliche Erhöhung der Erwerbsfähigkeit hätte erwartet werden können. Der Beschwerdegegner wendet allerdings ein, die Schmerzen seien unerträglich geworden, so dass eine Minderung der Erwerbsfähigkeit zu befürchten gewesen wäre. Auch nach Prof. M. hätte erwartet werden können, "dass sich die Arbeitsfähigkeit wegen Fortbestehens der Schmerzen mit der Zeit vermindert hätte". Die Akten erlauben indessen diesen Schluss nicht. Die Arbeitskollegen merkten von einer Behinderung zufolge Schmerzen überhaupt nichts. Dem zuständigen Betriebsleiter und dem Personalchef ist nach der Operation vom 23. Oktober 1975 keine Verbesserung der Arbeitsleistung aufgefallen; die minime Arbeitsbehinderung habe sich seit der erwähnten Operation nicht verändert. Über Beschwerden im rechten Unterschenkel habe sich der Versicherte bei den Vorgesetzten in der letzten Zeit nicht mehr beklagt. Er habe sich bei diesen nie dahin geäussert, dass die Operation diesbezüglich eine Verbesserung gebracht hätte. Wohl habe er sich gegenüber Arbeitskollegen schon in dem Sinne geäussert, dass er seit der Operation weniger Schmerzen verspüre als früher (Bericht vom 9. Juli 1976). Im übrigen ist auf das Gutachten von Prof. C. vom 18. März 1975 hinzuweisen, nach dem die subjektiven Beschwerden des Versicherten "nur in geringfügigem Masse durch die Pseudarthrose der Fibula, hauptsächlich aber durch die Veränderungen im unteren Sprunggelenk verursacht" werden. b) Sodann fehlt es auch an der zeitlichen Voraussetzung, weil die Operation vom 23. Oktober 1975 bzw. die massgebende Anmeldung in die revisionsfreie Zeit fällt. Im vorliegenden Fall erstattete die Arbeitgeberfirma am 17. Dezember 1973 - also innerhalb der ersten drei Jahre nach Rentenbeginn - eine Rückfallmeldung. Diese beantwortete die SUVA mit der Zustellung des ersten Gutachtens von Prof. C. vom 28. Januar 1974 an den Arzt, d.h. an die Klinik X., womit die verlangte Kostenübernahme der operativen Behandlung der Pseudarthrose samt Nachbehandlung praktisch abgelehnt wurde. Erst am 23. Januar 1975 - somit bereits in der revisionsfreien Zeit - BGE 105 V 31 S. 37 gelangte Dr. Z. von der Klinik X. neuerdings an die SUVA und unterbreitete Behandlungsvorschläge. Der Beschwerdegegner gab sich somit mit der ablehnenden Haltung der SUVA innerhalb der ersten drei Jahre seit Rentenbeginn zufrieden. Er hätte indessen eine beschwerdefähige Verfügung verlangen können. Er unterliess jedoch dieses Begehren und erneuerte seine Anmeldung erst wieder in der revisionsfreien Zeit. 3. Es bleibt zu prüfen, ob die SUVA die streitige Operation als Spätfolge - die Qualifikation als Rückfall steht ausser Diskussion - zu übernehmen hat. Diese Pflicht bestünde nach der in Erwägung 1c erwähnten Praxis nur dann, wenn ein dringender Fall vorgelegen hätte, nachdem die Operation vom 23. Oktober 1975, wie erwähnt, in die revisionslose Zeit fiel. Die SUVA stellt sich auf den Standpunkt, es handle sich im vorliegenden Fall weder um eine Spätfolge noch um einen Rückfall, "da der berentete Zustand schon ein unverwachsenes Wadenbein miteinschloss". Prof. M., auf den sich die Vorinstanz beruft, bezeichnet dagegen die Fibula-Pseudarthrose als Spätfolge einer Operationskomplikation. Dem Gutachten des Prof. C. vom 10. August 1976 ist zu entnehmen, dass beim Versicherten als Folge des Unfalles eine Pseudarthrose der Fibula bestand. Für die Unfallfolgen beziehe der Versicherte eine 25%ige Rente, wobei die Pseudarthrose der Fibula mit eingeschlossen gewesen sei. Diese Auffassung bestätigt auch Prof. M., der in seinem Gutachten vom 11. November 1977 wörtlich festhält: "Herr Raschetti war vor der Operation vom 23. Oktober 1975 100% arbeitsfähig. Es war ihm seit 1. August 1972 gemäss KUVG Art. 76 eine 25%ige Rente zugesprochen. Diese Invalidenrente hat zweifellos die Beschwerden von Seiten der Fibula-Pseudarthrose miteingeschlossen." Schliesslich wird diese Betrachtungsweise auch durch die Tatsache bestätigt, dass der Beschwerdegegner seine berufliche Tätigkeit als Vorarbeiter voll ausübte. Somit kann die seit 1. August 1972 gewährte Rente keineswegs mit einem Erwerbsausfall allein begründet werden. Unter diesen Umständen ist der Auffassung der SUVA, wonach im Oktober 1975 keine Spätfolge vorlag, beizupflichten. Zudem sind auch die weiteren, in Erwägung 1c aufgeführten Voraussetzungen, unter denen die SUVA eine Spätfolge zu übernehmen hat, nicht erfüllt. Ein dringender Fall lag beim Beschwerdegegner nicht vor. Gegen die Annahme eines solchen BGE 105 V 31 S. 38 spricht einmal die Tatsache, dass mit der umstrittenen Operation vom 23. Oktober 1975 rund zwei Jahre zugewartet wurde, seitdem Dr. K. von der Klinik X. die umstrittene Operation wegen persistierender Schmerzen, verursacht durch die Fibula-Pseudarthrose, als indiziert betrachtete (Bericht vom 19. Dezember 1973). Sodann kann bei diesen Verhältnissen - entgegen dem Einwand des Beschwerdegegners - nicht von unerträglichen Schmerzen die Rede sein, sonst wäre die umstrittene Operation früher durchgeführt worden. Schliesslich fehlt es auch an der materiellen Voraussetzung, wonach die angebliche Verschlimmerung des Gesundheitszustandes, wie in Erwägung 2a erwähnt, eine weitere Verminderung der Erwerbsfähigkeit hätte erwarten lassen. Nach dem Gesagten hat die SUVA zu Recht das Vorliegen einer Spätfolge des Unfalles vom 19. Juni 1969 verneint und daher ebenfalls zu Recht unter diesem Gesichtspunkt die Übernahme der Kosten für die Operation vom 23. Oktober 1975 abgelehnt. 4. Die Vorinstanz hat sich im angefochtenen Entscheid auf Art. 27 Abs. 1 MVG berufen, wonach die ärztliche Behandlung während des Rentenlaufs wieder aufzunehmen ist, wenn dadurch eine erhebliche Erhöhung der Erwerbsfähigkeit erwartet werden kann oder wenn unvorhergesehene Spätfolgen mit neuerlicher Behandlungsbedürftigkeit eintreten. Die Übernahme des Art. 27 MVG auf die Unfallversicherung ist indessen nicht zulässig. Zwar trifft es zu, dass das Eidg. Versicherungsgericht im nicht veröffentlichten Urteil Brem vom 24. August 1972 erklärt hat, dass die Grundsätze, nach welchen auf dem Gebiete der Militärversicherung befristete Renten zuzusprechen seien, auch auf dem Gebiete der Unfallversicherung anzuwenden seien. Damit wird aber das Revisionssystem des KUVG nicht tangiert. Dispositiv Demnach erkennt das Eidg. Versicherungsgericht: In Gutheissung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde wird der Entscheid des Versicherungsgerichts des Kantons Zürich vom 7. Februar 1978 aufgehoben.
null
nan
de
1,979
CH_BGE
CH_BGE_007
CH
Federation
21bd23e6-fd93-4d80-bc1c-b76938c9f8c6
Urteilskopf 137 III 403 60. Auszug aus dem Urteil der I. zivilrechtlichen Abteilung i.S. X. GmbH gegen Eidgenössisches Institut für Geistiges Eigentum (IGE) (Beschwerde in Zivilsachen) 4A_633/2010 vom 23. Mai 2011
Regeste Art. 2 lit. a MSchG ; Unterscheidungskraft einer Formmarke. Beurteilung der konkreten Unterscheidungskraft einer Verpackungsform (E. 3.3.1-3.3.5). Eintragung der angemeldeten Verpackungsform in das Markenregister im konkreten Fall mangels originärer Unterscheidungskraft zu Recht verweigert (E. 3.3.6 und 3.3.7).
Sachverhalt ab Seite 404 BGE 137 III 403 S. 404 A. A.a Am 6. März 2008 ersuchte die X. GmbH (Beschwerdeführerin) das Eidgenössische Institut für Geistiges Eigentum (IGE; Beschwerdegegner) um Eintragung einer dreidimensionalen, von der Beschwerdeführerin als "Wellenverpackung" bezeichneten Marke für folgende Waren und Dienstleistungen: Klasse 29: Frische (nicht lebende), gefrorene, gebratene, geräucherte und konservierte Fische und Fischwaren; Fischerzeugnisse; Fischgerichte; Krebstiere, Schalentiere, Krustentiere und Weichtiere (nicht lebend) sowie Erzeugnisse daraus; Fertiggerichte, fertige Teilgerichte und Snacks, in der Hauptsache bestehend aus vorgenannten Waren; sämtliche vorgenannte Waren in rohem, gekühltem, tiefgefrorenem aber auch verzehrfertig zubereitetem Zustand. Klasse 43: Verpflegung von Gästen; Catering. Das als dreidimensionale Marke angemeldete Zeichen sieht wie folgt aus: A.b Das IGE wies das Markeneintragungsgesuch mit Verfügung vom 2. September 2009 für sämtliche beanspruchten Waren und Dienstleistungen der Klassen 29 und 43 zurück. (...) B. Mit Urteil vom 15. Oktober 2010 wies das Bundesverwaltungsgericht eine von der Beschwerdeführerin gegen die Verfügung des IGE vom 2. September 2009 erhobene Beschwerde ab. C. Mit Beschwerde in Zivilsachen beantragt die Beschwerdeführerin dem Bundesgericht, das Urteil des Bundesverwaltungsgerichts vom 15. Oktober 2010 sei aufzuheben und das IGE sei anzuweisen, die dreidimensionale Marke gemäss Markeneintragungsgesuch im schweizerischen Markenregister einzutragen. (...) BGE 137 III 403 S. 405 Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab, soweit es darauf eintritt. (Auszug) Erwägungen Aus den Erwägungen: 3. Die Beschwerdeführerin wirft der Vorinstanz vor, sie habe die angemeldete Form zu Unrecht mangels konkreter Unterscheidungskraft dem Gemeingut im Sinne von Art. 2 lit. a MSchG (SR 232.11) zugerechnet. 3.1 Die Vorinstanz erwog, dass Zeichen, denen die erforderliche Unterscheidungskraft fehle, dem Gemeingut nach Art. 2 lit. a MSchG angehörten und damit grundsätzlich vom Markenschutz ausgeschlossen seien. Damit eine Waren- oder Verpackungsform als Herkunftshinweis im Sinne des Markenrechts verstanden werden könne, müsse sich die Form von sämtlichen im beanspruchten Waren- oder Dienstleistungssegment im Zeitpunkt des Eintragungsentscheids üblichen Formen auffällig unterscheiden. Dabei sei zu beachten, dass das Publikum konkrete Formen von Waren oder Verpackungen in der Regel nicht als Hinweis auf ein Unternehmen, sondern als besondere Gestaltung wahrnehme. Damit einer konkreten Form ursprüngliche Unterscheidungskraft zukommen könne, müsse ihre auffällige Eigenart auch als Herkunftshinweis taugen, was insbesondere bei grosser Formenvielfalt im beanspruchten Warensegment regelmässig zu verneinen sei. Dabei sei nicht grundsätzlich zwischen Waren- und Verpackungsformen zu unterscheiden. Die Vorinstanz hielt weiter dafür, dass sich das hinterlegte Zeichen allein durch die von der Beschwerdeführerin vorgebrachte Tatsache, dass die angemeldete Verpackungsform für verschiedene Designpreise nominiert und mit solchen ausgezeichnet worden sei, noch nicht vom in den beanspruchten Waren- und Dienstleistungsbereichen üblichen Formenschatz abhebe. Hinsichtlich der im beanspruchten Warensegment gebräuchlichen Formen stellte die Vorinstanz unter Hinweis auf entsprechende Abbildungen fest, die beanspruchten Waren der Klasse 29 würden, soweit ersichtlich, in folgenden Verpackungsformen angeboten: - Frische Fische: in rechteckigen Beuteln; in "Aluflex-Beuteln"; in rechteckigen, mit transparenter Folie überspannten Schalen, welche abgerundete Ecken aufweisen; vorgenannter Typ von Schalen, bei welchen die transparente Folie das Verpackungsgut und die Schale eng umschliesst; BGE 137 III 403 S. 406 - Gefrorene Fische: in rechteckigen Beuteln; in rechteckigen Kartonschachteln; - Gebratene Fische und Fischgerichte: in rechteckigen Kartonschalen, auf runden oder rechteckigen Kartontellern (bei Fischimbissbuden oder -restaurants wie "Nordsee"); - Geräucherte Fische: in flachen, rechteckigen Schalen oder auf Platten, die mit einer Folie überspannt sind und teilweise eine Kartonumhüllung aufweisen; - Konservierte Fische: in runden, teilweise gebauchten Einmachgläsern; in runden, ovalen oder rechteckigen (mit abgerundeten Ecken) Dosen; in rechteckigen (Dosen enthaltenden) Schachteln; in quadratischen Schachteln, aus denen an zwei sich gegenüberliegenden Seiten die Rundungen der darin liegenden Dose hervortreten; in Tuben; - Fischerzeugnisse: in rechteckigen Beuteln und Schalen; - Krebstiere, Schalentiere, Krustentiere und Weichtiere: als Frischprodukt in rechteckigen oder runden Schalen mit festem Deckel oder überspannter Folie; als Tiefkühlprodukt in rechteckigen Schalen oder Beuteln respektive in rechteckigen Kartonschachteln; - Fertiggerichte, fertige Teilgerichte und Snacks mit Fisch und/oder Meeresfrüchten: in rechteckigen, gedeckten Schalen, Kartonschalen und -schachteln; viereckige Schalen, wovon zwei sich gegenüberliegende Seiten gerade, die anderen zwei gebaucht sind. Die von der Beschwerdeführerin zusätzlich beanspruchten Verpflegungs- und Cateringdienstleistungen der Klasse 43 würden zudem mittels folgender Darreichungsformen erbracht: Kartonschachteln; runde, achteckige und rechteckige (teilweise mit abgerundeten Ecken und gebauchten Seiten) Platten, Schalen (teilweise mit gewelltem Rand) und Teller, teilweise mit Griffen. Angesichts dieser Auflistung hielt die Vorinstanz fest, dass in den strittigen Waren- und Dienstleistungsbereichen die Formenvielfalt relativ gross sei. Nach Ansicht der Vorinstanz ist die von der Beschwerdeführerin hervorgehobene Neigung der Seitenflügel auf den massgeblichen Abbildungen des Zeichens nicht erkennbar, weshalb dieser Umstand bei der Beurteilung der Unterscheidungskraft ausser Betracht falle. Die Bodenkrümmung, die in den aufgelisteten Verpackungsformen nirgends zu Tage trete, sei zwar erkennbar, jedoch in der Gesamtbetrachtung von untergeordneter Bedeutung, da die angesprochenen Verkehrskreise die Verpackungen in der Regel von oben sähen. Im Weiteren qualifizierte die Vorinstanz die asymmetrische Wölbung der Seitenwände als ästhetisches Element, das Assoziationen mit einer Wellenbewegung oder mit zwei (gegenverkehrt angeordneten) BGE 137 III 403 S. 407 Fischen wachrufen könne. Abgesehen von der Wölbung unterschieden sich die Seitenwände indessen nicht von üblichen - nämlich waagrecht geschnittenen - Seitenwänden rechteckiger Verpackungen; vielmehr handle es sich dabei lediglich um eine ästhetisch wirkende Variation von bei Fischverpackungen üblichen Seitenwänden. Insgesamt betrachtet erscheine die strittige Form als eine im Wesentlichen rechteckige Verpackung, was für Fischverpackungen üblich sei. Anders als übrige rechteckige Schalenverpackungen verfüge sie über lediglich zwei Seitenwände. Die fehlenden beiden Seitenwände würden durch die Krümmung des Bodens kompensiert, weshalb bei den angesprochenen Verkehrskreisen dennoch insgesamt der Eindruck einer Schale erweckt werde. Schliesslich entspreche die über die Seitenwände gespannte Deckfolie dem Erwarteten, zumal Lebensmittel nach den anwendbaren Lebensmittelvorschriften sauber und geordnet gelagert und so abgegeben werden müssten, dass sie nicht von gesundheitsgefährdenden Stoffen oder sonst wie beeinflusst werden könnten. Die von der Beschwerdeführerin angemeldete "Wellenverpackung" erscheine nur als - ästhetische und attraktive - Variante einer der gewöhnlichen Formen von Fischverpackungen, denn die Konsumenten seien sich an Fischverpackungen gewohnt, die eine rechteckige Schale bildeten, über die eine transparente Folie straff gespannt sei. Die angemeldete Form werde von den Adressaten daher als naheliegende Verpackungs- bzw. Darreichungsform, nicht aber als Hinweis auf ein bestimmtes Unternehmen verstanden, weshalb sie dem Gemeingut im Sinne von Art. 2 lit. a MSchG angehöre. 3.2 Die Beschwerdeführerin rügt die Eintragungspraxis in Bezug auf Formmarken als zu restriktiv. Sie stellt den Grundsatz in Frage, wonach eine Formmarke nur unterscheidungskräftig sei, wenn die Markenadressaten die entsprechende Form als Marke erkennen bzw. verstehen; diese "dogmatische Eintrittshürde" sei zu hoch angesetzt. Sie widerspricht sodann dem der bisherigen Rechtsprechung zugrundegelegten Erfahrungssatz, nach dem bei Formmarken die Unterscheidungskraft mangels Gewöhnung der Abnehmer weniger leicht bejaht werden könne als bei Wort- oder Bildmarken. Nach Ansicht der Beschwerdeführerin sei bei der Frage der Unterscheidungskraft zwischen Waren- und Verpackungsformen zu differenzieren. Der Schweizer Konsument habe sich inzwischen daran gewöhnt, dass besonders gestaltete Verpackungsformen als Hinweis BGE 137 III 403 S. 408 auf einen Hersteller dienten. Im Übrigen stelle der Umstand, dass die vorliegende "Wellenverpackung" mehrere bedeutende Designpreise gewonnen habe, ein wesentliches Indiz dafür dar, dass deren Form nicht nur originell sei, sondern so eigenständig, dass sie auch geeignet sei, in ihrem Gesamteindruck längerfristig in der Erinnerung haften zu bleiben; damit sei sie geeignet, herkunftshinweisend zu wirken. Die Beschwerdeführerin bestreitet die von der Vorinstanz festgestellte Formenvielfalt; angesichts der aufgelisteten quadratischen, rechteckigen, runden sowie bauchigen Formen, die sich auf vier oder gar nur zwei Grundformen zurückführen liessen, könne nicht von einer relativ grossen Formenvielfalt die Rede sein. Die Vorinstanz habe zudem zu Unrecht allein nach solchen Elementen gesucht, die "nicht mehr wegen ihrer ästhetischen Attraktivität" vom Konsumenten erwartet würden und bei der Beurteilung der Unterscheidungskraft besonders schön gestaltete Elemente fälschlicherweise ausgeblendet. Selbst wenn bei Verpackungsformen dieselben Anforderungen an das Erreichen von Unterscheidungskraft zu stellen wären wie bei Warenformen, sei die "Wellenverpackung" zweifellos geeignet, das Angebot eines Unternehmens zu individualisieren und dem Käufer zu ermöglichen, ein einmal geschätztes Produkt im Marktangebot wiederzufinden. 3.3 3.3.1 Nach der gesetzlichen Definition von Art. 1 Abs. 1 MSchG ist die Marke ein Zeichen, das geeignet ist, Waren oder Dienstleistungen eines Unternehmens von solchen anderer Unternehmen zu unterscheiden. Das Gesetz erwähnt zudem ausdrücklich, dass dreidimensionale Formen als Marken in Betracht fallen ( Art. 1 Abs. 2 MSchG ). Das IGE sowie die Vorinstanz stellen zu Recht weder in Frage, dass auch Formen markenrechtlich geschützt sein können, noch bestreiten sie, dass das angemeldete Zeichen grundsätzlich nach Art. 1 Abs. 1 MSchG markenfähig ist. Umstritten ist vielmehr, ob der angemeldeten Form aufgrund fehlender konkreter Unterscheidungskraft ( Art. 2 lit. a MSchG ) die Schutzfähigkeit abzusprechen ist. 3.3.2 Nach Art. 2 lit. a MSchG sind Zeichen, die zum Gemeingut gehören, vom Markenschutz ausgeschlossen, es sei denn, sie haben sich als Marke für die Waren oder Dienstleistungen durchgesetzt, BGE 137 III 403 S. 409 für die sie beansprucht werden. Nicht schutzfähig sind demnach unter anderem Zeichen, denen in Bezug auf die konkret beanspruchten Produkte die Unterscheidungskraft fehlt, indem sie weder von Anfang an (originär) auf ein bestimmtes - wenn auch dem Publikum nicht unbedingt namentlich bekanntes - Unternehmen hinweisen, noch (derivativ) infolge ihrer Durchsetzung im Verkehr. Ob die massgebenden Adressaten ein Zeichen für die beanspruchten Produkte als Hinweis auf ein Unternehmen wahrnehmen, ist vor dem Hintergrund der gesamten Umstände zu beurteilen ( BGE 134 III 547 E. 2.3 S. 551). Die erforderliche Unterscheidungskraft einer Marke hat ein Zeichen nur, wenn es sich derart in der Erinnerung einprägt, dass der Adressat die damit gekennzeichneten Produkte eines bestimmten Unternehmens in der Fülle des Angebots jederzeit wieder finden kann ( BGE 134 III 547 E. 2.3 S. 551; BGE 133 III 342 E. 4 S. 346; BGE 122 III 382 E. 1 S. 383 f.). Das Bundesgericht prüft grundsätzlich als Rechtsfrage frei, wie der massgebende Adressatenkreis für die beanspruchten Waren oder Dienstleistungen abzugrenzen ist und - bei Gütern des allgemeinen Bedarfs - wie die Adressaten aufgrund der erwarteten Aufmerksamkeit das Zeichen wahrnehmen ( BGE 134 III 547 E. 2.3 S. 551; BGE 133 III 342 E. 4 S. 347). Abgesehen davon, dass die - vorliegend nicht zur Diskussion stehenden - für Formen besonders formulierten absoluten Ausschlussgründe nach Art. 2 lit. b MSchG zu beachten sind, ist die Schutzfähigkeit von Waren- und Verpackungsformen insoweit nach denselben Kriterien zu beurteilen wie diejenige anderer Markenarten (vgl. BGE 131 III 121 E. 2 S. 124; MICHAEL NOTH, in: Markenschutzgesetz, Noth und andere [Hrsg.], 2009, N. 21 zu Art. 2 lit. b MSchG ; MAGDA STREULI-YOUSSEF, Zur Schutzfähigkeit von Formmarken, sic! 11/2002 S. 797). 3.3.3 Die Form einer Ware identifiziert in erster Linie die Ware selbst und nicht deren betriebliche Herkunft. Damit eine Warenform als Herkunftshinweis im Sinne des Markenrechts verstanden wird, muss sie sich von sämtlichen im beanspruchten Warensegment im Zeitpunkt des Entscheids über die Markeneintragung üblichen Formen auffällig unterscheiden ( BGE 134 III 547 E. 2.3.4 S. 553; BGE 133 III 342 E. 3.3 S. 346 mit Hinweisen). Dabei ist nach bundesgerichtlicher Rechtsprechung zu beachten, dass Warenformen primär anderen Funktionen als dem Hinweis auf eine betriebliche Herkunft dienen. Entsprechend nimmt das Publikum konkrete BGE 137 III 403 S. 410 Formen von Waren in der Regel nicht als Hinweis auf ein Unternehmen, sondern lediglich als besondere Gestaltung wahr. Damit eine Warenform originär unterscheidungskräftig ist, reicht es nicht aus, dass sie sich lediglich nach ihrer gefälligen Gestaltung unterscheidet; vielmehr muss ihre auffällige Eigenart auch als Herkunftshinweis taugen, was nach der Praxis des Bundesgerichts insbesondere bei grosser Formenvielfalt im beanspruchten Warensegment regelmässig zu verneinen ist, sofern sich die als Marke beanspruchte dreidimensionale Form nicht deutlich von den üblicherweise verwendeten Formen abhebt (dazu BGE 134 III 547 E. 2.3.4 S. 553 mit Hinweis auf die Rechtsprechung des EuGH). Die Beschwerdeführerin wirft zu Recht die Frage auf, ob diese Grundsätze gleichermassen für Verpackungsformen gelten oder ob hinsichtlich der Unterscheidungskraft von Verpackungsformen Besonderheiten zu beachten sind. 3.3.4 Eine Verpackung kann aufgrund der Natur des Produkts unabdingbar sein (wie etwa bei Flüssigkeiten, Granulaten oder Pulver). Zahlreiche Lebensmittel (nicht zuletzt leicht verderbliche Produkte wie z.B. Fleisch oder Fisch) werden aus (lebensmittelhygienischen) Gründen, die unmittelbar mit der Art der Ware selbst zusammenhängen, üblicherweise verpackt angeboten. Die Verpackung dient dabei zunächst einem - durch die Ware bedingten - naheliegenden Zweck. Wie eine Warenform wird die Form einer solchen Verpackung vom Publikum daher nicht notwendigerweise in gleicher Weise wahrgenommen wie ein Wort- oder Bildzeichen, das vom Erscheinungsbild der Ware bzw. deren Verpackung unabhängig ist (vgl. dazu die ständige Rechtsprechung des EuGH: Urteile vom 7. Oktober 2004 C-136/02 P Mag Instrument , Slg. 2004 I-9165 Randnr. 30; vom 29. April 2004 C-468/01 P Procter & Gamble , Slg. 2004 I-5145 Randnr. 36; vom 12. Februar 2004 C-218/01 Henkel , Slg. 2004 I-1737 Randnr. 52; vom 12. Januar 2006 C-173/04 P Deutsche SiSi- Werke , Slg. 2006 I-568 Randnr. 28; vom 22. Juni 2006 C-25/05 P Storck , Slg. 2006 I-5739 Randnr. 27; vom 25. Oktober 2007 C-238/06 Develey , Slg. 2007 I-9379 Randnr. 80; vgl. auch PAUL STRÖBELE, in: Markengesetz, Ströbele/Hacker [Hrsg.], 9. Aufl., Köln 2009, § 8 Rz. 181; WILLIAM CORNISH UND ANDERE, Intellectual Property, 7. Aufl., London 2010, Rz. 18.41 f.). Dabei ist zu beachten, dass Verpackungen in der Regel der Ware angepasst werden, die sie enthalten, so dass die Verpackung der Beschaffenheit der Ware selbst BGE 137 III 403 S. 411 zugerechnet wird. Dies gilt nach der massgebenden Wahrnehmung der Endverbraucher gemeinhin selbst dann, wenn die verpackten Waren eine eigene, von der Verpackung unabhängige Form aufweisen ( BGE 133 III 342 E. 4.1 S. 347 mit Hinweisen). Wie einer Ware kann auch einer Verpackungsform nicht von vornherein jegliche (originäre) Unterscheidungskraft abgesprochen werden (CHRISTOPH WILLI, MSchG, Markenschutzgesetz, 2002, N. 122 zu Art. 2 MSchG ; vgl. demgegenüber das von der Beschwerdeführerin erwähnte Urteil Wal-Mart Stores v. Samara Brothers des US Supreme Court vom 22. März 2000, in: 525 U.S. 205 [2000], wonach Warengestaltungen nicht originär unterscheidungskräftig sind, sondern nur unter der Voraussetzung der Verkehrsdurchsetzung markenrechtlichen Schutz erlangen können). Wie andere Arten von Zeichen, die markenrechtlichen Schutz beanspruchen, genügt auch eine Verpackungsform jedoch nur dann der Schutzvoraussetzung der ursprünglichen Unterscheidungskraft, wenn die blosse Form der Verpackung unmittelbar als Hinweis auf die betriebliche Herkunft der beanspruchten Produkte wahrgenommen werden kann ( BGE 131 III 121 E. 2 S. 123; vgl. ANNETTE KUR, Was macht ein Zeichen zur Marke-, MarkenR 1/2000 S. 5; MARKUS INEICHEN, Die Formmarke im Lichte der absoluten Ausschlussgründe nach dem schweizerischen Markenschutzgesetz, GRUR Int 2003 S. 195). Die Anwendung dieser Kriterien auf Marken, die in der Form einer Verpackung bestehen, bedeutet nicht eine Ungleichbehandlung im Vergleich zu anderen Markenkategorien, vielmehr ist die Anwendung derselben Kriterien markenrechtlich geboten (INEICHEN, a.a.O., S. 200; vgl. auch STRÖBELE, a.a.O., § 8 Rz. 180; Urteile Develey , Randnr. 80; Deutsche SiSi-Werke , Randnr. 27; Mag Instrument , Randnr. 30). Dies verkennt die Beschwerdeführerin, wenn sie bei Formmarken geringere Anforderungen an die originäre Unterscheidungskraft angewendet wissen will. Ausserdem setzt sie sich damit in Widerspruch zu weiteren Ausführungen ihrer Beschwerdebegründung, in denen sie selbst die Massgeblichkeit gleicher Anforderungen betont. Den Unterschieden zwischen Waren- und Verpackungsformen ist nicht auf systematischer Ebene, sondern bei der Beurteilung des konkreten Einzelfalls Rechnung zu tragen (EUGEN MARBACH, Markenrecht, in: SIWR Bd. III/1, 2. Aufl. 2009, Rz. 495). 3.3.5 Damit die Verpackungsform von Waren, die üblicherweise verpackt angeboten werden, als Marke schutzfähig ist, muss sie vom BGE 137 III 403 S. 412 Durchschnittsabnehmer als Kennzeichen für Produkte aus einem bestimmten Unternehmen erkannt und diesem zugerechnet werden können (vgl. STREULI-YOUSSEF, a.a.O., S. 797; Urteile Henkel , Randnr. 53; Deutsche SiSi-Werke , Randnr. 30; Develey , Randnr. 79). Mit Blick auf die Hauptfunktion der Marke ist auch ein solches Zeichen nur dann unterscheidungskräftig, wenn es den massgeblichen Verkehrskreisen ermöglicht, die Produkte nach ihrer Herkunft - und nicht etwa lediglich nach ihrer gefälligen Gestaltung - zu unterscheiden (INEICHEN, a.a.O., S. 199). Mit der Beschwerdeführerin ist zwar davon auszugehen, dass Verpackungen von Verbrauchsgütern als Marketingmittel eine wichtige Rolle spielen und in der Gesamtheit ihrer verschiedenen Gestaltungselemente (grafische Gestaltung, Farben, Beschriftung, Material usw.) vom Konsumenten unter Umständen als Herkunftshinweis erkannt werden können (in diese Richtung auch das von der Beschwerdeführerin ins Feld geführte Urteil Wal-Mart Stores v. Samara Brothers des US Supreme Court [a.a.O., S. 209, 212] das sich entgegen dem, was die Beschwerdeführerin anzunehmen scheint, nicht unmittelbar auf dreidimensionale Verpackungsformen bezieht, sondern allgemein auf Ausstattungen ["trade dress"]; vgl. zum wettbewerbsrechtlichen Schutz der Ausstattung in Form einer Verpackung etwa BGE 135 III 446 E. 6.3 S. 451 ff.). Daraus lässt sich jedoch nicht ohne Weiteres schliessen, der Durchschnittsabnehmer erkenne einen entsprechenden Hinweis bereits anhand der blossen Form. Fehlen grafische oder Wortelemente, schliesst der Durchschnittsverbraucher allein aus der Form der Verpackung gewöhnlich nicht unmittelbar auf die Herkunft der Waren (vgl. Urteile Mag Instrument , Randnr. 30; Procter & Gamble , Randnr. 36; Henkel , Randnr. 52; Deutsche SiSi-Werke , Randnr. 28; Storck , Randnr. 27; Develey , Randnr. 80; INEICHEN, a.a.O., S. 199; KUR, a.a.O., S. 6; CORNISH UND ANDERE, a.a.O., Rz. 18.41 f.). Es mag zwar zutreffen, dass die Wahrnehmung des Publikums in dieser Hinsicht im Wandel begriffen ist. Entgegen der in der Beschwerde vertretenen Ansicht kann jedoch nicht davon ausgegangen werden, dass sich der Schweizer Durchschnittskonsument inzwischen ganz allgemein daran gewöhnt habe, in Verpackungsformen ein herkunftshinweisendes Zeichen zu erkennen. Dies - entgegen dem, was die Beschwerdeführerin vorbringt - ganz im Gegensatz etwa zu Wortzeichen, in denen der Konsument in der Regel auch dann ohne Weiteres eine Wortmarke zu erblicken vermag, wenn es BGE 137 III 403 S. 413 sich (wie etwa bei Marken für Medikamente) um umständliche und nicht leicht aus dem Gedächtnis abrufbare Wortkreationen handelt. In bestimmten Produktsegmenten, in denen der Konsument den Formgebungen eine besondere Aufmerksamkeit widmet, weil regelmässig auch die Form als Unternehmenshinweis beworben wird (wie etwa bei Parfümflacons), mag dieser Prozess eingesetzt haben bzw. bereits fortgeschritten sein (INEICHEN, a.a.O., S. 199 f.; KUR, a.a.O., S. 6; vgl. auch NOTH, a.a.O., N. 74 und 81 zu Art. 2 lit. b MSchG ; MARKUS WANG, Die schutzfähige Formgebung, 1998, S. 348; WILLI, a.a.O., N. 127 zu Art. 2 MSchG , wonach für die Orientierung der Konsumenten die Formgebung bei Trend- und Statuswaren von besonderer Bedeutung ist). Für die überwiegende Anzahl der in mehr oder weniger variationsreicher Abwandlung einiger Grundformen auftretenden Gestaltungen von Warenverpackungen des Massenkonsums dürfte es jedoch auch im heutigen Zeitpunkt dabei bleiben, dass ihnen eher selten unmittelbare Unterscheidungskraft zukommt. Entgegen der Ansicht der Beschwerdeführerin liegt darin jedoch keine Benachteiligung von Formmarken. Vielmehr folgt dies aus dem Umstand, dass Produkt- und Verpackungsformen in den Augen des Publikums normalerweise lediglich auf die ästhetische und funktionale Beschaffenheit der Verpackung hindeuten, nicht jedoch auf ihre betriebliche Herkunft (vgl. KUR, a.a.O., S. 6; INEICHEN, a.a.O., S. 200). Nicht ein strengerer Massstab an die Unterscheidungskraft von Formmarken, sondern das folgerichtige Abstellen auf die Wahrnehmung des Durchschnittskonsumenten führt zu diesem Ergebnis (INEICHEN, a.a.O., S. 6). Damit die Form der Verpackung für sich allein als Herkunftshinweis im Sinne des Markenrechts verstanden werden kann, muss sie sich demnach von sämtlichen im beanspruchten Segment im Zeitpunkt des Entscheids über die Eintragung im Markenregister üblichen Formen auffällig unterscheiden. Besteht im beanspruchten Warensegment eine grosse Formenvielfalt, taugt die auffällige Eigenart der Verpackungsform regelmässig nicht als Herkunftshinweis, sondern wird lediglich als besondere Gestaltung wahrgenommen, sofern sie sich nicht erheblich vom Gewohnten abhebt. Bei einer Vielzahl bekannter Formen, die zum Vergleich heranzuziehen sind, ist es daher schwieriger, eine nicht banale Form zu gestalten, die derart vom Gewohnten und Erwarteten abweicht, dass sie als Herkunftshinweis wahrgenommen wird (vgl. BGE 134 III 547 E. 2.3.4 BGE 137 III 403 S. 414 S. 553). Die Vorinstanz hat zur Beurteilung der Unterscheidungskraft der angemeldeten Form daher zutreffend darauf abgestellt, inwieweit sich diese von den im beanspruchten Produktsegment vorhandenen Verpackungsformen unterscheidet (vgl. BGE 133 III 342 E. 3.3 S. 346 mit Hinweisen). 3.3.6 Bei den von der Beschwerdeführerin beanspruchten Waren der Klasse 29 handelt es sich um Konsumgüter des alltäglichen Bedarfs, die sich regelmässig an die Endverbraucher in der Schweiz richten, an deren Aufmerksamkeit keine übertriebene Anforderungen gestellt werden dürfen ( BGE 134 III 547 E. 2.3.3 S. 552; BGE 133 III 342 E. 4.1 S. 347). Die Verpackung erfüllt bei den von der Beschwerdeführerin beanspruchten Lebensmitteln zunächst eine naheliegende praktische (insbesondere lebensmittelhygienische) Funktion. Die Formgebung der Verpackung steht für den Durchschnittskonsumenten von Fischen und Meeresfrüchten kaum im Vordergrund, und es sind keine Hinweise darauf ersichtlich, dass in diesem Bereich die Verpackungsform regelmässig als Unternehmenshinweis beworben würde. Auch die Beschwerdeführerin zeigt im Übrigen nicht konkret auf, inwiefern der Durchschnittsabnehmer dieser Waren hinsichtlich der blossen Verpackungsform besonders sensibilisiert sein soll. Die von der Vorinstanz im massgebenden Produktbereich festgestellte Formenvielfalt erscheint zwar nicht besonders ausgeprägt. Dennoch listet der angefochtene Entscheid einige verschiedenartige Verpackungsformen auf (vorn E. 3.1), mit denen die angemeldete "Wellenverpackung" im Hinblick auf die geltend gemachte Unterscheidungskraft zu vergleichen ist. Nach Ansicht der Beschwerdeführerin überrasche die angemeldete Verpackungsform aufgrund ihrer marktuntypischen Merkmale "Transparenz der Materialien, gegenläufige Wellenbewegung der nach innen geneigten Seitenflügel, wie ein Wellental gespannte Folie, gekrümmter stabiler Boden". Sie weist zutreffend darauf hin, dass die beanspruchte Formmarke aufgrund der beim IGE eingereichten Abbildung zu beurteilen ist ( BGE 120 II 307 E. 3a S. 310). Wie bereits die Vorinstanz zutreffend festgehalten hat, ist die von der Beschwerdeführerin hervorgehobene Neigung der Seitenwände nach innen auf der massgebenden Abbildung nicht erkennbar, weshalb sie bei der Beurteilung der Unterscheidungskraft zu Recht ausser Betracht blieb. Das geltend gemachte Merkmal der Transparenz BGE 137 III 403 S. 415 bezweckt bei Fischen, Meeresfrüchten und ähnlichen Waren deren Sichtbarkeit bei ungeöffneter Verpackung. Sie ist funktional bedingt und scheint bei verschiedenen im angefochtenen Entscheid erwähnten Verpackungen auf. Die transparente Abdeckung ist im beanspruchten Warenbereich geradezu typisch und prägt den Gesamteindruck massgebend mit. Für den Durchschnittskonsumenten entspricht sie dem Gewohnten, wird von ihm erwartet und identifiziert den Gegenstand auf Anhieb als Verpackung solcher Waren. Daran ändert auch die Wölbung der transparenten Oberfläche nichts, die sich aus der gegenläufigen Anordnung der (ansonsten identischen) Seitenwände ergibt, zumal die von der Beschwerdeführerin als Wellental bezeichnete Verformung aufgrund der durchsichtigen Beschaffenheit der Oberseite kaum als nachdrückliches Formelement wahrnehmbar ist. Die beanspruchte Form unterscheidet sich von den anderen im massgebenden Produktbereich üblichen Verpackungsformen somit lediglich durch die asymmetrische Anordnung der gewölbten Seitenwände sowie die leichte Bodenkrümmung. Letztere vermag den Gesamteindruck der Form nicht zu prägen. Sie ist lediglich in einer bestimmten Seitenansicht deutlich erkennbar, die für den Durchschnittskonsumenten von - dank der durchsichtigen Verpackungsoberseite sichtbaren - Fischen, Meeresfrüchten, Krustentieren und ähnlichen Waren von untergeordneter Bedeutung ist. In der ersten Abbildung der Verpackungsform im Eintragungsgesuch ist die Krümmung des Verpackungsbodens lediglich (durch die transparente Oberfläche hindurch) auf der Innenseite erkennbar und hinterlässt damit beim Publikum keinen konkret fassbaren Eindruck. Wie die gegenläufige Wölbung der Seitenwände wird sie als ästhetisches Element wahrgenommen. Auch wenn die Seitenwände Assoziationen mit einer Wellenbewegung bzw. mit zwei (gegenverkehrt angeordneten) Fischen wachrufen sollten, so bringt der Konsument diese Formelemente mit der verpackten Ware in Verbindung und vermag darin keinen Hinweis auf die betriebliche Herkunft zu erkennen. Obwohl nicht auszuschliessen ist, dass im Einzelfall auch ein ästhetisches Stilelement als betrieblicher Herkunftshinweis erkannt wird, so erschöpfen sich die aufgeführten Merkmale im zu beurteilenden Fall darin, der Verpackung eine besonders attraktive Gestaltung zu verleihen (vgl. NOTH, a.a.O., N. 75 zu Art. 2 lit. b MSchG ). Mit ihrem Vorbringen, die fragliche "Wellenverpackung" habe mehrere BGE 137 III 403 S. 416 bedeutende Designpreise gewonnen, was sie als wesentliches Indiz für die Unterscheidungskraft gewertet wissen will, verkennt die Beschwerdeführerin die unterschiedlichen Schutzvoraussetzungen im Marken- und Designrecht (dazu BGE 134 III 547 E. 2.3.1 S. 551; vgl. auch INEICHEN, a.a.O., S. 201). Der Vorinstanz ist daher keine Bundesrechtsverletzung vorzuwerfen, wenn sie diesem Umstand keine entscheidende Bedeutung beigemessen hat. 3.3.7 Im Gesamteindruck wird die angemeldete Verpackungsform vom durchschnittlich aufmerksamen Endverbraucher als ansprechend gestaltete Fischverpackung wahrgenommen. Sie hebt sich von den für die beanspruchten Waren der Klasse 29 üblichen Verpackungen nicht in einer Weise ab, dass sie in Alleinstellung (ohne Wort- oder Bildelemente) als Hinweis auf ein bestimmtes Unternehmen wahrgenommen würde. Dabei kann offenbleiben, ob sich die erwähnten Überlegungen ohne Weiteres auf die beanspruchten Dienstleistungen der Klasse 43 übertragen lassen, zumal die Beschwerdeführerin auf den Gemeingutcharakter der angemeldeten Form in Bezug auf diese Dienstleistungen nicht eigens eingeht und die Beschwerde den gesetzlichen Begründungsanforderungen ( Art. 42 Abs. 2 BGG ) in dieser Hinsicht nicht genügt. Der Vorinstanz ist keine Bundesrechtsverletzung vorzuwerfen, wenn sie die angemeldete Verpackungsform mangels originärer Unterscheidungskraft dem Gemeingut im Sinne von Art. 2 lit. a MSchG zugerechnet hat. Da eine Verkehrsdurchsetzung nicht geltend gemacht wurde, hat die Vorinstanz der angemeldeten Form die Eintragung in das Markenregister daher zu Recht versagt.
null
nan
de
2,011
CH_BGE
CH_BGE_005
CH
Federation
21bd49d4-4106-476b-b758-56852c67eab7
Urteilskopf 100 IV 204 52. Estratto della sentenza 6 novembre 1974 della Corte di cassazione penale nella causa Procura Pubblica dei Grigioni contro R.
Regeste Art. 44 Ziff. 1 Abs. 2 StGB . Der Gutachter muss sich auch dazu äussern, ob die Behandlung dringend und mit dem Strafvollzug vereinbar ist (Erw. 4).
Erwägungen ab Seite 204 BGE 100 IV 204 S. 204 4. L'art. 44 n. 1 cpv. 2 CP prescrive al giudice di ordinare, ove occorra, una perizia sullo stato fisico e psichico dell'autore, nonchè sull'opportunità del trattamento. Il certificato medico dell'11 giugno 1974, allegato agli atti di causa, è fondato sulla documentazione dell'assistente ufficiale e sul risultato di una particolareggiata visita corporale e psichiatrica di tre ore. Il relativo certificato descrive le condizioni di salute del paziente e i trattamenti, psichiatrici ed assistenziali, che si esigono. Benchè redatto in forma succinta, contiene nondimeno quelle indicazioni che possono consentire al giudice di disporre con cognizione di causa la misura che deve essere ordinata. Tuttavia, quando è ordinato un trattamento ambulatorio, il perito deve esprimersi anche sulla questione di sapere se il trattamento è urgente e se è conciliabile con l'esecuzione della pena, nonchè se questa debba essere sospesa; deve inoltre dire se la pena privativa della libertà, con o senza trattamento, possa essere immediatamente eseguita senza compromettere seriamente l'esito del trattamento. Al riguardo, si deve tener conto delle condizioni dell'autore, della specie di trattamento previsto e delle condizioni dello stabilimento in cui l'autore deve essere internato. Tali stabilimenti devono essere atti a garantire, in una certa misura, il servizio medico (art. 46 n. 2, 397 bis lett. g CP; art. 6 OCP 1). E'anche consentito che un medico si rechi nello stabilimento o che il paziente venga curato esternamente in via ambulatoria (RU 100 IV 14 consid. 1). Sulle conseguenze dell'immediata esecuzione di una pena di BGE 100 IV 204 S. 205 2 mesi, sulle condizioni di salute e sull'esito del trattamento a cui l'intimato deve essere sottoposto, il perito non si è espresso. Egli non precisa neppure se, ed in che misura, la cura giá iniziata può essere effettuata nel penitenziario. Il trattamento di dissuefazione "Antabus" non si oppone all'esecuzione della pena. Anche la sentenza cantonale non indica alcun motivo che si opponga alla espiazione della pena. Questi dati sono comunque indispensabili per giudicare segnatamente sui reati di circolazione in stato di ebbrietà, per i quali la sospensione vien accordata solo con molta cautela. Anche a questo riguardo deve essere richiesta l'opinione del perito, per poter poi giudicare con cognizione di causa sulla inconciliabilità della cura con l'esecuzione della pena. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata e la causa rimandata al Tribunale cantonale per nuovo giudizio, dopo che il perito si sarà pronunciato sulle questioni suesposte.
null
nan
it
1,974
CH_BGE
CH_BGE_006
CH
Federation
21c5b659-2be6-4226-8f1a-a1ad68fad93e
Urteilskopf 136 II 508 47. Auszug aus dem Urteil der I. öffentlich-rechtlichen Abteilung i.S. Eidgenössischer Datenschutz- und Öffentlichkeitsbeauftragter (EDÖB) gegen Logistep AG (Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten) 1C_285/2009 vom 8. September 2010
Regeste Art. 82 ff. BGG , Art. 3 lit. a, Art. 4 Abs. 3 und 4, Art. 12 Abs. 2 lit. a und Art. 13 DSG ; unzulässige Persönlichkeitsverletzung durch das Bearbeiten von Daten über P2P-Netzwerkteilnehmer. Eine Empfehlung des EDÖB im Privatrechtsbereich nach Art. 29 DSG betrifft eine öffentlich-rechtliche Angelegenheit im Sinne von Art. 82 ff. BGG (E. 1.1). Voraussetzungen, unter denen IP-Adressen als Personendaten im Sinne von Art. 3 lit. a DSG zu qualifizieren sind (E. 3). Ist das Sammeln von Daten über P2P-Netzwerkteilnehmer für diese nicht erkennbar, verletzt dies die Grundsätze der Zweckbindung und der Erkennbarkeit nach Art. 4 Abs. 3 und 4 DSG (E. 4). Trotz ihres Wortlauts sind in der Bestimmung von Art. 12 Abs. 2 lit. a DSG (wie in lit. b und c) Rechtfertigungsgründe nicht ausgeschlossen; ihre Annahme erfolgt jedoch nur unter grosser Zurückhaltung (E. 5). Die von der Beschwerdegegnerin mit ihrer Datenbearbeitung begangene Persönlichkeitsverletzung kann nicht durch überwiegende private oder öffentliche Interessen gerechtfertigt werden (E. 6).
Sachverhalt ab Seite 509 BGE 136 II 508 S. 509 A. Am 9. Januar 2008 erliess der Eidgenössische Datenschutz- und Öffentlichkeitsbeauftragte (EDÖB) eine Empfehlung an die Adresse der Logistep AG. Er hielt fest, die Logistep AG suche mittels der von ihr entwickelten Software in verschiedenen Peer-to-Peer-Netzwerken (auch P2P-Netzwerke genannt) nach angebotenen urheberrechtlich geschützten Werken. Beim Herunterladen dieser Werke würden folgende Übermittlungsdaten aufgezeichnet und in einer Datenbank abgespeichert: - der Benutzername des Nutzers des P2P-Netzwerks; - die IP-Adresse (Internetworking Protocol Address) des verwendeten Internetanschlusses; - die GUID (eine Identifikationsnummer der vom Anbieter des urheberrechtlich geschützten Werks verwendeten Software); - das verwendete P2P-Netzwerkprotokoll; - der Name und elektronische Fingerabdruck (Hashcode) des urheberrechtlich geschützten Werks; - das Datum, die Uhrzeit und der Zeitraum der Verbindung zwischen der Software der Logistep AG und der Software des Anbieters des jeweiligen urheberrechtlich geschützten Werks. Die so erhobenen Daten würden anschliessend an die Urheberrechtsinhaber weitergegeben und von diesen zur Identifikation des BGE 136 II 508 S. 510 Inhabers des Internetanschlusses verwendet. Zu diesem Zweck reichten die Urheberrechtsinhaber unter anderem Strafanzeige gegen Unbekannt ein und verschafften sich die Identitätsdaten im Rahmen des Akteneinsichtsrechts. Diese Daten würden sodann zur Geltendmachung von Schadenersatzforderungen verwendet. Der EDÖB gelangte zum Schluss, dass die Bearbeitungsmethoden der Logistep AG geeignet seien, die Persönlichkeit einer grösseren Anzahl von Personen zu verletzen (Art. 29 Abs. 1 lit. a des Bundesgesetzes vom 19. Juni 1992 über den Datenschutz [DSG; SR 235.1]). Daher empfahl er dieser mit Schreiben vom 9. Januar 2008 gestützt auf Art. 29 Abs. 3 DSG , die Datenbearbeitung unverzüglich einzustellen, solange keine ausreichende gesetzliche Grundlage für eine zivilrechtliche Nutzung der durch sie erhobenen Daten bestehe. Nachdem die Logistep AG die Empfehlung mit Schreiben vom 14. Februar 2008 abgelehnt hatte, legte der EDÖB die Angelegenheit mit Klage vom 13. Mai 2008 dem Bundesverwaltungsgericht zum Entscheid vor. Er beantragte in erster Linie, die Logistep AG sei aufzufordern, die von ihr praktizierte Datenbearbeitung (inklusive der Weitergabe an die Urheberrechtsinhaber) unverzüglich einzustellen, solange keine ausreichende gesetzliche Grundlage für eine generelle Überwachung von Peer-to-Peer-Netzwerken bestehe. (...) Mit Urteil vom 27. Mai 2009 wies das Bundesverwaltungsgericht die Klage ab und hob die Empfehlung des EDÖB vom 9. Januar 2008 auf. (...) B. Mit Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten an das Bundesgericht vom 26. Juni 2009 beantragt der EDÖB, die Logistep AG sei anzuweisen, ihre Datenbearbeitung unverzüglich einzustellen. Ihr sei jegliche Weitergabe von gesammelten Peer-to-Peer-Daten an die Urheberrechtsinhaber zu untersagen. (...) Das Bundesgericht heisst die Beschwerde gut und hebt das Urteil des Bundesverwaltungsgerichts vom 27. Mai 2009 auf. Es weist die Logistep AG an, jede Datenbearbeitung im Bereich des Urheberrechts einzustellen, und untersagt ihr, die bereits beschafften Daten den betroffenen Urheberrechtsinhabern weiterzuleiten. (Auszug) Erwägungen Aus den Erwägungen: 1. 1.1 Angefochten ist ein Endentscheid des Bundesverwaltungsgerichts über eine Empfehlung des EDÖB ( Art. 86 Abs. 1 lit. a und BGE 136 II 508 S. 511 Art. 90 BGG ). Gemäss Art. 29 Abs. 4 Satz 2 des Bundesgesetzes vom 19. Juni 1992 über den Datenschutz (DSG; SR 235.1) i.V.m. Art. 89 Abs. 2 lit. d BGG ist der EDÖB berechtigt, gegen diesen Entscheid Beschwerde zu führen. Der angefochtene Entscheid betrifft eine Empfehlung des EDÖB im Privatrechtsbereich ( Art. 29 DSG ). Es stellt sich die Frage, ob nicht statt der Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten nach Art. 82 ff. BGG die Beschwerde in Zivilsachen nach Art. 72 ff. BGG zu erheben gewesen wäre. Die Frage ist aus folgenden Gründen zu verneinen. Das Verfahren wurde vom der Bundesverwaltung angehörenden EDÖB eingeleitet und richtet sich gegen ein Privatrechtssubjekt. Die beiden stehen sich nicht als einander gleichgestellte Rechtssubjekte gegenüber. Zwar ist es dem EDÖB verwehrt, Verfügungen zu erlassen, doch sind private Personen unter Androhung der Busse verpflichtet, bei seinen Abklärungen mitzuwirken ( Art. 34 Abs. 2 lit. b DSG ). Zudem geht es gerade bei der Bestimmung von Art. 29 Abs. 1 lit. a DSG , auf die der EDÖB im vorliegenden Fall seine Empfehlung stützte, um Gefährdungen der Persönlichkeit, welche überindividuellen Charakter besitzen und damit öffentliche Interessen betreffen (vgl. Botschaft vom 23. März 1988 zum Bundesgesetz über den Datenschutz, BBl 1988 II 479 Ziff. 221.5; RENÉ HUBER, in: Basler Kommentar, Datenschutzgesetz, 2. Aufl. 2006, N. 7 zu Art. 29 DSG ; DAVID ROSENTHAL, in: Handkommentar zum Datenschutzgesetz, 2008, N. 11 zu Art. 29 DSG ). Der Entscheid des Bundesverwaltungsgerichts betrifft folglich eine Angelegenheit des öffentlichen Rechts, womit sich die Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten als das zutreffende Rechtsmittel erweist. Die weiteren Sachurteilsvoraussetzungen geben zu keinen Bemerkungen Anlass. Auf die Beschwerde des EDÖB ist im Grundsatz einzutreten. 1.2 Das Bundesgericht legt seinem Urteil den von der Vorinstanz festgestellten Sachverhalt zugrunde ( Art. 105 Abs. 1 BGG ). Soweit die vorinstanzlichen Sachverhaltsfeststellungen beanstandet werden und eine mangelhafte Sachverhaltsfeststellung für den Ausgang des Verfahrens entscheidend ist, kann nur geltend gemacht werden, die Feststellungen seien offensichtlich unrichtig oder beruhten auf einer Rechtsverletzung im Sinne von Art. 95 BGG ( Art. 97 Abs. 1 und Art. 105 Abs. 2 BGG ). Eine entsprechende Rüge ist substanziiert vorzubringen ( Art. 42 Abs. 2 BGG ). Vorbehalten bleibt die BGE 136 II 508 S. 512 Sachverhaltsberichtigung von Amtes wegen nach Art. 105 Abs. 2 BGG ( BGE 135 III 127 E. 1.5 S. 129 f.; BGE 133 II 249 E. 1.4.3 S. 254 f.; je mit Hinweisen). Sowohl der Beschwerdeführer als auch die Beschwerdegegnerin stellen den Sachverhalt aus ihrer Sicht dar, jedoch ohne die diesbezüglichen Feststellungen des Bundesverwaltungsgerichts im vorangehend beschriebenen Sinne als fehlerhaft zu rügen. Soweit ihre Ausführungen von der Sachverhaltsfeststellung im angefochtenen Entscheid abweichen, ist darauf nicht einzutreten. 1.3 Die Beschwerdegegnerin hat gegen das Urteil des Bundesverwaltungsgerichts vom 27. Mai 2009 kein Rechtsmittel eingelegt. In ihrer Vernehmlassung zur vorliegenden Beschwerde beantragt sie, der Beschwerdeführer sei zu verpflichten, die schweizerische Presse und Öffentlichkeit umfassend und aktiv hinsichtlich des Urteils des Bundesgerichts in der vorliegenden Beschwerdesache zu orientieren. Damit geht sie über eine Stellungnahme zur Beschwerde der Gegenpartei hinaus. Dies ist unzulässig, denn das Bundesgerichtsgesetz sieht keine Anschlussbeschwerde vor ( BGE 134 III 332 E. 2.5 S. 335 f. mit Hinweisen). Auf den Antrag ist nicht einzutreten. 2. 2.1 Der EDÖB wirft dem Bundesverwaltungsgericht vor, Art. 12 Abs. 2 lit. a DSG falsch ausgelegt zu haben. Diese Bestimmung lässt seiner Ansicht nach in ihrer aktuellen Fassung keine Rechtfertigungsgründe mehr zu. Stattdessen müsse geprüft werden, ob ein Grundsatz der Datenbearbeitung verletzt worden sei. Dies erfordere eine Verhältnismässigkeitsprüfung, welche die bestehenden Rechtfertigungsgründe mitberücksichtige. Das Bundesverwaltungsgericht habe die dabei notwendige Interessenabwägung fehlerhaft vorgenommen, denn es bestünden keine überwiegenden privaten oder öffentlichen Interessen. Die Persönlichkeit der betroffenen Personen sei somit widerrechtlich verletzt worden. Indem die Vorinstanz dies verkannt habe, habe sie auch gegen das in Art. 4 Abs. 1 DSG verankerte Legalitätsprinzip verstossen. 2.2 Die Beschwerdegegnerin hält dem entgegen, bei den von ihr bearbeiteten IP-Adressen handle es sich nicht um Personendaten im Sinne von Art. 3 lit. a DSG . Die Vorschriften des Datenschutzgesetzes fänden deshalb gar keine Anwendung. Im Übrigen wäre eine allfällige Verletzung der Persönlichkeit angesichts der überwiegenden privaten und öffentlichen Interessen nicht widerrechtlich. Entgegen BGE 136 II 508 S. 513 der Ansicht des Beschwerdeführers müssten die in Art. 13 DSG genannten Rechtfertigungsgründe in jedem Fall berücksichtigt werden. 2.3 Das Bundesverwaltungsgericht ging von der Anwendbarkeit des Datenschutzgesetzes aus, wies die Klage des EDÖB indessen wegen des Vorliegens von Rechtfertigungsgründen ab. Da von einer Aufhebung seines Entscheids auch dann abzusehen wäre, wenn dessen Ergebnis mit einer alternativen Begründung aufrechterhalten werden könnte (Urteil des Bundesgerichts 2P.172/2005 vom 25. Oktober 2005 E. 2), ist im Folgenden vorab die von der Beschwerdegegnerin in Frage gestellte Anwendbarkeit des Datenschutzgesetzes zu untersuchen. In einem zweiten Schritt ist zu prüfen, ob eine widerrechtliche Persönlichkeitsverletzung vorliegt. 3. 3.1 In Bezug auf die Anwendbarkeit des Datenschutzgesetzes ist in der Literatur die Meinung vertreten worden, dass IP-Adressen ausschliesslich in den Anwendungsbereich des Fernmeldegesetzes vom 30. April 1997 (FMG; SR 784.10) fallen, welches eine abschliessende Regelung enthalte. Dies wird damit begründet, dass es sich bei IP-Adressen um numerische Kommunikationsparameter und damit um Adressierungselemente im Sinne der Fernmeldegesetzgebung handle, die unter das Fernmeldegeheimnis gemäss Art. 43 FMG fielen (DANIEL KETTIGER, Rechtliche Rahmenbedingungen für Location Sharing Systeme in der Schweiz, Jusletter vom 9. August 2010, Rz. 20). Richtig ist, dass es sich bei den IP-Adressen um Adressierungselemente im Sinne der Fernmeldegesetzgebung handelt. Das Fernmeldegeheimnis gilt jedoch von vornherein nur für denjenigen, der mit fernmeldedienstlichen Aufgaben "betraut" ist ( Art. 43 FMG ; vgl. BGE 126 I 50 E. 6a S. 65 mit Hinweis). Dies trifft auf die Beschwerdegegnerin nicht zu. Das Fernmeldegesetz steht damit im vorliegenden Fall der Anwendbarkeit des Datenschutzgesetzes nicht entgegen. 3.2 Personendaten (bzw. "Daten" im Sinne des Datenschutzgesetzes) sind alle Angaben, die sich auf eine bestimmte oder bestimmbare Person beziehen ( Art. 3 lit. a DSG ). Bei den betreffenden Informationen kann es sich sowohl um Tatsachenfeststellungen als auch um Werturteile handeln. Unerheblich ist, in welcher Form die Informationen auftreten (etwa als Zeichen, Wort, Bild, Ton oder eine Kombination davon) und wie der Datenträger beschaffen ist. BGE 136 II 508 S. 514 Entscheidend ist, dass sich die Angaben einer oder mehreren Personen zuordnen lassen (URS BELSER, in: Basler Kommentar, Datenschutzgesetz, 2. Aufl. 2006, N. 5 zu Art. 3 DSG ). Eine Person ist dann bestimmt, wenn sich aus der Information selbst ergibt, dass es sich genau um diese Person handelt. Bestimmbar ist die Person, wenn aufgrund zusätzlicher Informationen auf sie geschlossen werden kann. Für die Bestimmbarkeit genügt jedoch nicht jede theoretische Möglichkeit der Identifizierung. Ist der Aufwand derart gross, dass nach der allgemeinen Lebenserfahrung nicht damit gerechnet werden muss, dass ein Interessent diesen auf sich nehmen wird, liegt keine Bestimmbarkeit vor (BBl 1988 II 444 f. Ziff. 221.1). Die Frage ist abhängig vom konkreten Fall zu beantworten, wobei insbesondere auch die Möglichkeiten der Technik mitzuberücksichtigen sind, so zum Beispiel die im Internet verfügbaren Suchwerkzeuge. Von Bedeutung ist indessen nicht nur, welcher Aufwand objektiv erforderlich ist, um eine bestimmte Information einer Person zuordnen zu können, sondern auch, welches Interesse der Datenbearbeiter oder ein Dritter an der Identifizierung hat (BELSER, a.a.O., N. 6 zu Art. 3 DSG ; ROSENTHAL, a.a.O., N. 24 f. zu Art. 3 DSG ). 3.3 Bei den von der Beschwerdegegnerin bearbeiteten IP-Adressen handelt es sich um numerische Kommunikationsparameter, welche die Identifikation einer insbesondere aus Netzrechnern oder -servern bestehenden Internet-Domain sowie der Benutzerrechner, die an den Verbindungen in diesem Netz beteiligt sind, ermöglichen (so die Definition im Anhang der Verordnung vom 6. Oktober 1997 über die Adressierungselemente im Fernmeldebereich [AEFV; SR 784.104]). Durch die IP-Adresse wird mit anderen Worten jeder an das Internet angeschlossene Computer identifiziert. Immer wenn im Internet Daten abgefragt werden, so zum Beispiel beim Aufrufen einer Website, übermittelt der Computer des Benutzers seine Anfrage verbunden mit der ihm zugewiesenen IP-Adresse (PER MEYERDIERKS, Sind IP-Adressen personenbezogene Daten?, MultiMedia und Recht 1/2009 S. 8 f.). Auf diese Weise ermöglicht die IP-Adresse den Datenaustausch im Internet. Wird einem Rechner eine IP-Adresse fest zugewiesen, spricht man von einer statischen IP-Adresse. Wählt sich ein Benutzer über einen Internet-Dienstanbieter (Provider) ins Internet ein, erhält er jedoch meist eine dynamische IP-Adresse, das heisst, seinem Computer wird bei jeder Verbindungsaufnahme neu irgendeine freie Adresse aus dem Pool des Providers zugewiesen. Die dynamische Adressierung BGE 136 II 508 S. 515 wurde wegen der Knappheit der IP-Adressen entwickelt. Weil nach diesem System eine IP-Adresse nur für eine kurze Zeit einem Teilnehmer zugeteilt und nach dem Nutzungsvorgang wieder an einen anderen Teilnehmer vergeben wird, erfolgt die Identifikation des betreffenden Rechners durch diese IP-Adresse auch nur für die Zeit des einzelnen Nutzungsvorgangs. Aus diesem Grund ist die Identifikation des Inhabers der IP-Adresse bei der dynamischen Adressierung schwieriger als bei der statischen. Während statische IP-Adressen in zum Teil frei zugänglichen Verzeichnissen erfasst sind, ist der Inhaber einer dynamischen IP-Adresse in der Regel nur mit Hilfe des Providers, der die Adresse vergeben hat, eruierbar (WEBER/FERCSIK SCHNYDER, "Was für 'ne Sorte von Geschöpf ist euer Krokodil?" - zur datenschutzrechtlichen Qualifikation von IP-Adressen, sic! 9/2009 S. 579 f.). 3.4 Ob eine Information aufgrund zusätzlicher Angaben mit einer Person in Verbindung gebracht werden kann, sich die Information mithin auf eine bestimmbare Person bezieht ( Art. 3 lit. a DSG ), beurteilt sich aus der Sicht des jeweiligen Inhabers der Information (ROSENTHAL, a.a.O., N. 20 zu Art. 3 DSG ; WEBER/FERCSIK SCHNYDER, a.a.O., S. 583). Im Falle der Weitergabe von Informationen ist dabei ausreichend, wenn der Empfänger die betroffene Person zu identifizieren vermag. ROSENTHAL führt in diesem Zusammenhang das Beispiel einer Zeitungsmeldung über den Unfall eines nicht namentlich genannten Lokalpolitikers an. Sofern ein Teil der Leserschaft auf die betroffene Person (allenfalls anhand weiterer Recherchen) schliessen könne, stelle aus ihrer Sicht die Publikation eine Bekanntgabe von Personendaten dar, so die überzeugende Argumentation des Autors (ROSENTHAL, a.a.O., N. 30 zu Art. 3 DSG ; vgl. auch Art. 3 lit. e DSG ). Dies bedeutet für den vorliegenden Fall, dass nicht vorausgesetzt ist, dass die Urheberrechtsverletzer bereits für die Beschwerdegegnerin bestimmbar sind. Vielmehr genügt es, wenn sie es nach Übergabe der entsprechenden Daten für die Urheberrechteinhaber werden. Trifft dies zu (dazu sogleich), so gelangt das Datenschutzgesetz indessen auch auf die Beschwerdegegnerin selbst zur Anwendung. Anders zu entscheiden würde bedeuten, das Datenschutzgesetz nur auf die einzelnen Empfänger anzuwenden, nicht aber auf die Person, welche die betreffenden Daten beschafft und sie verbreitet. Dies würde dem Zweck des Gesetzes zuwiderlaufen. 3.5 Die Beschwerdegegnerin macht geltend, die Auftraggeber würden nur aufgrund des Tätigwerdens der Strafverfolgungsbehörden BGE 136 II 508 S. 516 erfahren, wer die Inhaber der einzelnen IP-Adressen sind. Sie verkennt dabei, dass die Notwendigkeit des Tätigwerdens eines Dritten so lange unmassgeblich ist, als insgesamt der Aufwand des Auftraggebers für die Bestimmung der betroffenen Person nicht derart gross ist, dass nach der allgemeinen Lebenserfahrung nicht mehr damit gerechnet werden könnte, dieser werde ihn auf sich nehmen (vgl. E. 3.1 hiervor). Solches ist vor dem Hintergrund der konkreten Umstände des Einzelfalls zu beurteilen. Eine abstrakte Feststellung, ob es sich (insbesondere bei dynamischen) IP-Adressen um Personendaten handelt oder nicht, ist somit nicht möglich (vgl. zum deutschen Recht ULRICH DAMMANN, in: Bundesdatenschutzgesetz, 6. Aufl. 2006, N. 20 zu § 3 BDSG; kritisch MEYERDIERKS, a.a.O., S. 10 ff.; vgl. zur datenschutzrechtlichen Qualifizierung von IP-Adressen im schweizerischen Recht ROSENTHAL, a.a.O., N. 27 zu Art. 3 DSG ; WEBER/FERCSIK SCHNYDER, a.a.O., S. 588). Für den vorliegenden Fall ist die Bestimmbarkeit der betroffenen Personen grundsätzlich zu bejahen. Auf ihr beruht ganz eigentlich das Geschäftsmodell der Beschwerdegegnerin. Diese zeichnet nach eigenen Angaben dynamische IP-Adressen möglicher Urheberrechtsverletzer sowie weitere Daten auf, welche sie den Rechteinhabern weitergibt. Die Rechteinhaber ihrerseits können durch Strafanzeige auf die Einleitung eines Strafverfahrens hinwirken, um in dessen Rahmen Akteneinsicht zu nehmen und so den P2P-Teilnehmer ausfindig zu machen, welcher das urheberrechtlich geschützte Werk unrechtmässig angeboten hat (vgl. Art. 67 ff. des Bundesgesetzes vom 9. Oktober 1992 über das Urheberrecht und verwandte Schutzrechte [URG; SR 231.1] sowie Art. 5 und 14 Abs. 4 des Bundesgesetzes vom 6. Oktober 2000 betreffend die Überwachung des Post- und Fernmeldeverkehrs [BÜPF; SR 780.1] i.V.m. Art. 43 FMG ; BGE 126 I 50 ; STÉPHANE BONDALLAZ, La protection des personnes et de leurs données dans les télécommunications, 2007, Rz. 1086; PETER SCHAAR, Datenschutz im Internet, 2002, Rz. 175; vgl. auch ROSENTHAL, a.a.O., N. 27 zu Art. 3 DSG ). Wohl ist davon auszugehen, dass in vielen Fällen der Urheberrechtsverletzer nicht ausfindig gemacht werden kann, so insbesondere dann, wenn verschiedene Personen zu einem Computer oder einem Netzwerk Zugang haben. Es ist jedoch ausreichend, dass die Bestimmbarkeit in Bezug auf einen Teil der von der Beschwerdegegnerin gespeicherten Informationen gegeben ist. 3.6 Diese Auslegung des Datenschutzgesetzes scheint im Übrigen in Einklang mit der Rechtslage in der Europäischen Union zu stehen. BGE 136 II 508 S. 517 Mit dem Begriff der personenbezogenen Daten setzte sich dort die Gruppe für den Schutz von Personen bei der Verarbeitung personenbezogener Daten in ihrer Stellungnahme 4/2007 vom 20. Juni 2007 eingehend auseinander. Das unabhängige EU-Beratungsgremium für Datenschutzfragen stuft IP-Adressen als Daten ein, die sich auf eine bestimmbare Person beziehen. Internet-Zugangsanbieter und Verwalter von lokalen Netzwerken könnten ohne grossen Aufwand Internetnutzer identifizieren, denen sie IP-Adressen zugewiesen hätten, da sie in der Regel in Dateien systematisch Datum, Zeitpunkt, Dauer und die dem Internetnutzer zugeteilte dynamische IP-Adresse einfügen würden. Dasselbe lasse sich von den Internet-Dienstanbietern sagen, die in ihren HTTP-Servern Protokolle führen würden. In diesen Fällen bestehe kein Zweifel, dass man von personenbezogenen Daten im Sinne von Art. 2 lit. a der Richtlinie 95/46/EG reden könne (Stellungnahme S. 19 f.; http://ec.europa.eu/justice/policies/privacy/workinggroup/index_en.htm unter Documents adopted/2007 [besucht am 3. November 2010]). 3.7 Schliesslich bringt die Beschwerdegegnerin vor, bei einer Qualifizierung der strittigen Angaben als Personendaten sei es ihr unmöglich, ihrer datenschutzrechtlichen Auskunftspflicht nachzukommen. Dies ist unzutreffend. Zwar verlangt Art. 8 DSG , dass der Inhaber der Datensammlung der betroffenen Person alle über sie in der Datensammlung vorhandenen Daten mitteilt. Indessen beschränkt sich das Auskunftsrecht schon nach Gesetzeswortlaut auf die vorhandenen Daten (vgl. auch BBl 1988 II 453 Ziff. 221.2). Vom Inhaber einer Datensammlung können mithin keine Angaben gefordert werden, über die er gar nicht verfügt. Zudem können vom Auskunftsberechtigten allenfalls konkretisierende Angaben verlangt werden, wenn dies zum Auffinden der Daten notwendig oder hilfreich ist (VPB 65/2001 Nr. 49 E. 3b). 3.8 Zusammenfassend ist festzuhalten, dass das Bundesverwaltungsgericht die von der Beschwerdegegnerin bearbeiteten IP-Adressen zu Recht als Personendaten im Sinne von Art. 3 lit. a DSG qualifiziert hat. 4. Die Beschwerdegegnerin bestreitet einen Verstoss gegen die Grundsätze der Zweckbindung und der Erkennbarkeit ( Art. 4 Abs. 3 und 4 DSG ). Die Bearbeitung der Daten erfolge zu einem im Voraus und für alle P2P-Nutzer erkennbaren Zweck, nämlich zur rechtmässigen straf- sowie zivilrechtlichen Verfolgung von Urheberrechtsverletzungen. BGE 136 II 508 S. 518 Das Bundesverwaltungsgericht legte im angefochtenen Entscheid dar, die Beschwerdegegnerin sammle Daten über P2P-Netzwerkteilnehmer, die sie an ihre Auftraggeber weiterleite. Die Datenbeschaffung geschehe dabei im Regelfall ohne Wissen der betroffenen Personen und sei für diese auch nicht erkennbar. Das Vorgehen der Beschwerdegegnerin schliesse zudem aus, dass dem IP-Adressinhaber im Moment der Beschaffung mitgeteilt werde, wozu seine Daten gespeichert würden. Selbst wenn es zutreffe, dass vereinzelt darauf aufmerksam gemacht werde, dass "Anti-P2P-Firmen Daten loggen", könne keineswegs von einer Angabe des Datenbeschaffungszwecks durch die Bearbeiterin gesprochen werden. Sowohl der Grundsatz der Zweckbindung wie auch der Grundsatz der Erkennbarkeit würden damit regelmässig verletzt. Die Beschwerdegegnerin geht auf die überzeugenden Ausführungen des Bundesverwaltungsgerichts nicht ein und beschränkt sich darauf, diese pauschal zu bestreiten. Auf ihre diesbezüglichen Vorbringen ist deshalb nicht einzutreten (vgl. Art. 42 Abs. 2 BGG ). 5. 5.1 Art. 12 und 13 DSG legen die Voraussetzungen fest, nach welchen die Bearbeitung von Personendaten durch Private rechtmässig ist. Art. 12 Persönlichkeitsverletzungen 1 Wer Personendaten bearbeitet, darf dabei die Persönlichkeit der betroffenen Personen nicht widerrechtlich verletzen. 2 Er darf insbesondere nicht: a. Personendaten entgegen den Grundsätzen der Artikel 4, 5 Absatz 1 und 7 Absatz 1 bearbeiten; b. ohne Rechtfertigungsgrund Daten einer Person gegen deren ausdrücklichen Willen bearbeiten; c. ohne Rechtfertigungsgrund besonders schützenswerte Personendaten oder Persönlichkeitsprofile Dritten bekanntgeben. 3 In der Regel liegt keine Persönlichkeitsverletzung vor, wenn die betroffene Person die Daten allgemein zugänglich gemacht und eine Bearbeitung nicht ausdrücklich untersagt hat. Art. 13 Rechtfertigungsgründe 1 Eine Verletzung der Persönlichkeit ist widerrechtlich, wenn sie nicht durch Einwilligung des Verletzten, durch ein überwiegendes privates oder öffentliches Interesse oder durch Gesetz gerechtfertigt ist. 2 Ein überwiegendes Interesse der bearbeitenden Person fällt insbesondere in Betracht, wenn diese: BGE 136 II 508 S. 519 a. in unmittelbarem Zusammenhang mit dem Abschluss oder der Abwicklung eines Vertrags Personendaten über ihren Vertragspartner bearbeitet; b. mit einer anderen Person in wirtschaftlichem Wettbewerb steht oder treten will und zu diesem Zweck Personendaten bearbeitet, ohne diese Dritten bekannt zu geben; c. zur Prüfung der Kreditwürdigkeit einer anderen Person weder besonders schützenswerte Personendaten noch Persönlichkeitsprofile bearbeitet und Dritten nur Daten bekannt gibt, die sie für den Abschluss oder die Abwicklung eines Vertrages mit der betroffenen Person benötigen; d. beruflich Personendaten ausschliesslich für die Veröffentlichung im redaktionellen Teil eines periodisch erscheinenden Mediums bearbeitet; e. Personendaten zu nicht personenbezogenen Zwecken insbesondere in der Forschung, Planung und Statistik bearbeitet und die Ergebnisse so veröffentlicht, dass die betroffenen Personen nicht bestimmbar sind; f. Daten über eine Person des öffentlichen Lebens sammelt, sofern sich die Daten auf das Wirken dieser Person in der Öffentlichkeit beziehen. Während auf die Rechtfertigungsgründe von Art. 13 DSG in Art. 12 Abs. 2 lit. b und c DSG ausdrücklich verwiesen wird, fehlt ein entsprechender Vorbehalt in der aktuellen Fassung von lit. a der letztgenannten Bestimmung. Der Beschwerdeführer schliesst daraus, dass eine Verletzung der Grundsätze der Datenbearbeitung im Sinne von Art. 4 DSG , wozu auch die Grundsätze der Zweckbindung und der Erkennbarkeit gehören, nicht gerechtfertigt werden kann. 5.2 5.2.1 Es fragt sich, ob das Streichen des Vorbehalts in Art. 12 Abs. 2 lit. a DSG im Zuge der Gesetzesrevision vom 24. März 2006 ein qualifiziertes Schweigen zum Ausdruck bringt. Die Rechtfertigung einer gegen die Grundsätze der Art. 4, Art. 5 Abs. 1 und Art. 7 Abs. 1 DSG verstossenden Bearbeitung von Personendaten wäre diesfalls generell ausgeschlossen. In der Literatur gehen die Meinungen auseinander. Für die Möglichkeit, Rechtfertigungsgründe weiterhin zuzulassen, sprechen sich STEPHAN C. BRUNNER, CHRISTIAN DRECHSLER und DAVID ROSENTHAL aus (STEPHAN C. BRUNNER, Das revidierte Datenschutzgesetz und seine Auswirkungen im Gesundheits- und Versicherungswesen, in: Datenschutz im Gesundheits- und Versicherungswesen, 2008, S. 142 ff.; CHRISTIAN DRECHSLER, Die Revision des Datenschutzrechts, AJP 2007 S. 1474; ROSENTHAL, a.a.O., N. 16 zu Art. 12 DSG ). Anderer Ansicht ist, allerdings ohne dies näher zu begründen, RENÉ HUBER (Die Teilrevision des Eidg. Datenschutzgesetzes - ungenügende Pinselrenovation, recht 24/2006 S. 214). BGE 136 II 508 S. 520 5.2.2 Die Materialien bringen keine ausreichende Klarheit. Die Streichung des Vorbehalts geht auf einen Vorschlag der vorberatenden Kommission des Nationalrats zurück und war im Entwurf des Bundesrats noch nicht vorgesehen. Der Nationalrat genehmigte die Änderung diskussionslos (AB 2005 N 1450). Im Ständerat wurde sie vom Berichterstatter der Kommission in ausführlicher, jedoch auch widersprüchlicher Weise erläutert. Seine Äusserung, es ginge nicht an, dass man unrechtmässig beschaffte Daten bei Vorliegen eines Rechtfertigungsgrunds bekannt geben dürfe, könnte in der Tat darauf schliessen lassen, dass Rechtfertigungsgründe im Rahmen von Art. 12 Abs. 2 lit. a DSG generell ausgeschlossen sind. Der Berichterstatter erklärte indessen auch, dass es bei der vom Nationalrat beschlossenen Fassung im Grunde genommen nur um eine Klarstellung dessen gehe, was an sich heute schon bestehe, in der Praxis aber offenbar zu Problemen geführt habe. Wenn man diesen Rechtfertigungsumstand weglasse, so beschliesse man keineswegs etwas völlig Neues, sondern übernehme im Prinzip das, was schon heute in der Rechtsprechung gelte (AB 2005 S 1159; vgl. dazu VPB 69/ 2005 Nr. 106 E. 5.2 und 5.8). 5.2.3 Nach Auffassung des Bundesamts für Justiz war kein Systemwechsel vorgesehen. Stattdessen habe mit der Neuformulierung von Art. 12 Abs. 2 lit. a DSG den Grundsätzen von Art. 4 DSG Nachachtung verschafft werden sollen, ohne an der früheren Rechtslage etwas zu ändern. Die textliche Änderung verdeutliche, dass eine Rechtfertigung nicht vorschnell angenommen werden dürfe (Bundesamt für Justiz, Änderung von Art. 12 Abs. 2 Bst. a DSG: Auslegungshilfe, 2006, http://www.edoeb.admin.ch/themen/00794/00819/ 01086/index.html?lang=de [besucht am 3. November 2010]). Diese Auslegung liegt auf einer Linie mit der Botschaft des Bundesrats zur ursprünglichen Fassung von Art. 12 Abs. 2 lit. a DSG , wonach die Grundsätze von Art. 4 DSG "das ethische und rechtspolitische Fundament des Datenschutzgesetzes" darstellen, weshalb "nicht ohne zwingenden Grund gegen sie verstossen werden können" solle (BBl 1988 II 458 f. Ziff. 221.3). 5.2.4 Würde man die Bearbeitung unrechtmässig beschaffter Daten ( Art. 4 Abs. 1 DSG ) generell ausschliessen, so wäre es beispielsweise einem Arbeitgeber, der von einem Mitarbeiter unrechtmässig gespeicherte Personendaten entdeckt, nicht erlaubt, diese den Behörden zu übergeben. Auch wäre eine Verletzung der Grundsätze der Datenbearbeitung selbst bei Einwilligung des Verletzten BGE 136 II 508 S. 521 widerrechtlich ( Art. 13 Abs. 1 DSG ; ROSENTHAL, a.a.O., N. 19 zu Art. 12 DSG ). Dies kann jedoch nicht der Sinn des Gesetzes sein. Eine strikt systematische Auslegung, wonach lediglich bei lit. b und c, nicht aber bei lit. a von Art. 12 Abs. 2 DSG das Geltendmachen eines Rechtfertigungsgrunds zulässig sein soll, erweist sich als verfehlt, zumal in der aktuellen Fassung von lit. a Rechtfertigungsgründe zwar nicht mehr erwähnt, jedoch auch nicht ausdrücklich ausgeschlossen werden. Die Bestimmung ist daher so auszulegen, dass eine Rechtfertigung der Bearbeitung von Personendaten entgegen der Grundsätze von Art. 4, Art. 5 Abs. 1 und Art. 7 Abs. 1 DSG zwar nicht generell ausgeschlossen ist, dass Rechtfertigungsgründe im konkreten Fall aber nur mit grosser Zurückhaltung bejaht werden können. 5.2.5 In Berücksichtigung des Bestrebens des Gesetzgebers, die Bedeutung der Grundsätze von Art. 4 DSG zu betonen, schlägt das Bundesamt für Justiz in seiner Auslegungshilfe zur Änderung von Art. 12 Abs. 2 lit. a DSG vor, künftig rechtfertigende Umstände primär bei der Auslegung der allgemeinen Grundsätze zu berücksichtigen (Bundesamt für Justiz, a.a.O., Ziff. 3.1). Ein derartiges Vorgehen erscheint etwa dort praktikabel, wo sich die Abgrenzung zwischen den Grundsätzen von Art. 4 DSG und den Rechtfertigungsgründen von Art. 13 DSG ohnehin als schwierig erweist, so beispielsweise beim Grundsatz der Verhältnismässigkeit (vgl. CORRADO RAMPINI, in: Basler Kommentar, Datenschutzgesetz, 2. Aufl. 2006, N. 4 zu Art. 12 DSG ). Indessen sind nicht alle Grundsätze der Datenbearbeitung einer Auslegung zugänglich, welche die Rechtfertigungsgründe von Art. 13 DSG bereits hinreichend berücksichtigt. Auch ist nicht zu übersehen, dass es im Ergebnis nicht von Belang ist, ob Rechtfertigungsgründe in einem zweiten Schritt selbständig geprüft werden oder bereits bei der Auslegung der Grundsätze der Datenbearbeitung berücksichtigt werden (vgl. zum Ganzen ROSENTHAL, a.a.O., N. 22 f. zu Art. 12 DSG ). 5.2.6 Die Vorinstanz stellte in einem ersten Schritt eine Verletzung der Grundsätze der Zweckbindung und der Erkennbarkeit fest. Ob eine Verletzung des Verhältnismässigkeitsprinzips vorliege, liess sie zunächst offen. Bei der Prüfung der Frage, ob ein überwiegendes privates oder öffentliches Interesse die Persönlichkeitsverletzung rechtfertige, untersuchte sie indessen auch, ob die strittige Datenbearbeitung verhältnismässig sei. Nach dem Gesagten ist an diesem Vorgehen nichts auszusetzen. BGE 136 II 508 S. 522 6. 6.1 Der Beschwerdeführer kritisiert die Interessenabwägung der Vorinstanz bei der Prüfung von Rechtfertigungsgründen gemäss Art. 13 DSG . Würde man ihr folgen, so wäre seiner Ansicht nach jegliche Art der Datenbearbeitung, auch eine zweckwidrige und heimliche, gerechtfertigt, der Zweck würde mithin die Mittel heiligen. Eine betroffene Person könnte sich gegen die Datenbearbeitung nicht einmal zur Wehr setzen, da sie über diese nicht oder nicht hinreichend informiert sei. Die Bürger in der Schweiz würden damit weitgehend ihrer Auskunftsrechte gemäss Art. 8 DSG beraubt. Die Vorinstanz blende zudem aus, dass der Inhaber der IP-Adresse nicht zwangsläufig identisch mit dem Verletzer des Urheberrechts sein müsse, da ein Internetanschluss zum Teil von mehreren Personen benutzt werde. Gutgläubige Inhaber von Internetanschlüssen würden so mit ungerechtfertigten Zivilforderungen konfrontiert. Das Vorgehen der Beschwerdegegnerin sei jenem eines verdeckten Ermittlers vergleichbar, dessen Einsatz jedoch an strenge Voraussetzungen geknüpft werde ( Art. 4 des Bundesgesetzes vom 20. Juni 2003 über die verdeckte Ermittlung [BVE; SR 312] ). Schliesslich sei zu berücksichtigen, dass die Strafverfahren nur benützt würden, um das Fernmeldegeheimnis zu umgehen, und dass die Beschwerdegegnerin zusammen mit den Inhabern der Urheberrechte primär an der Geltendmachung von Zivilforderungen interessiert sei. 6.2 Die Vorinstanz erwog, ohne die Sammlung technischer Daten, wie insbesondere der IP-Adresse, wäre es für die in ihren Rechten verletzten Urheberrechtsinhaber nicht möglich, die Verletzer zu identifizieren und gegen diese Schadenersatz- und Unterlassungsansprüche geltend zu machen. Ein milderes, aber gleich geeignetes Mittel sei nicht ersichtlich. Demgegenüber erscheine der Eingriff in die Persönlichkeitsrechte der betroffenen Personen nicht ausgesprochen schwerwiegend. Sollten sich die Beweise nicht erhärten, würde ein Strafverfahren eingestellt und Zivilansprüche würden abgewiesen. Dabei sei zu beachten, dass es in der Regel der IP-Adressinhaber sei, der zumindest vermutungsweise gegen das Urheberrecht verstossen habe. 6.3 6.3.1 Gemäss Art. 13 Abs. 2 BV hat jede Person Anspruch auf Schutz vor Missbrauch ihrer persönlichen Daten. Dieser Anspruch bildet Teil der verfassungsmässigen Garantie der Privatsphäre und Kernbestandteil des Datenschutzgesetzes ( Art. 1 DSG ). BGE 136 II 508 S. 523 Das Vorgehen der Beschwerdegegnerin stellt eine Persönlichkeitsverletzung dar. Es verstösst gegen die Grundsätze der Zweckbindung und der Erkennbarkeit, mithin gegen Grundsätze, die für den Datenschutz von grosser Wichtigkeit sind ( Art. 4 Abs. 3 und 4 DSG ). Im Folgenden ist zu prüfen, ob die Persönlichkeitsverletzung gerechtfertigt werden kann. Dabei kommt von vornherein nur ein überwiegendes privates oder öffentliches Interesse in Betracht; eine Einwilligung der Verletzten oder die Rechtfertigung durch Gesetz ist offensichtlich zu verneinen ( Art. 13 Abs. 1 DSG ). Wie bereits erwähnt, dürfen zudem Rechtfertigungsgründe beim Verstoss gegen die Grundsätze von Art. 4 DSG nur mit grosser Zurückhaltung bejaht werden (E. 5.2.4 hiervor). 6.3.2 Das Datenschutzgesetz bezweckt den Schutz der Persönlichkeit und der Grundrechte von Personen, über die Daten bearbeitet werden ( Art. 1 DSG ). Das Gesetz ergänzt und konkretisiert damit den bereits durch das Zivilgesetzbuch gewährleisteten Schutz ( BGE 127 III 481 E. 3 a/bb S. 492 f. mit Hinweis). Art. 13 Abs. 1 DSG übernimmt in diesem Sinne den in Art. 28 Abs. 2 ZGB verankerten Grundsatz, wonach eine Persönlichkeitsverletzung widerrechtlich ist, wenn sie nicht durch Einwilligung des Verletzten, durch ein überwiegendes privates oder öffentliches Interesse oder durch Gesetz gerechtfertigt ist (BBl 1988 II 459 Ziff. 221.3). Trotz der identischen Formulierung der beiden Bestimmungen besteht in Bezug auf das Verfahren ein Unterschied. Während sich im Zivilprozess grundsätzlich zwei Parteien gegenüberstehen (der mutmasslich in seiner Persönlichkeit Verletzte und der mutmassliche Verletzer), geht es vorliegend darum zu prüfen, ob die Empfehlung des EDÖB, wonach die Beschwerdegegnerin ihre Datenbearbeitung unverzüglich einstellen solle, begründet ist ( Art. 29 Abs. 3 DSG ). Der EDÖB handelt dabei in einem Rahmen, welcher über das reine Zweiparteienverhältnis hinausgeht. Seine Empfehlung an die Adresse der Beschwerdegegnerin stützt sich auf Art. 29 Abs. 1 lit. a DSG . Danach klärt der Beauftragte den Sachverhalt näher ab, wenn Bearbeitungsmethoden geeignet sind, die Persönlichkeit einer grösseren Anzahl von Personen zu verletzen (Systemfehler). Seine Intervention bezweckt somit die Verteidigung einer Vielzahl von Personen und liegt damit letztlich im öffentlichen Interesse. Diese Bedeutung der Empfehlung des EDÖB ist bei der Interessenabwägung nach Art. 13 Abs. 1 DSG zu berücksichtigen. Im Übrigen zeitigt eine derartige (gegebenenfalls richterlich bestätigte) Empfehlung eine indirekte Wirkung für all BGE 136 II 508 S. 524 jene Personen, die nach einer ähnlichen Methode vorgehen wie die Beschwerdeführerin, was zusätzlich Licht auf die Tragweite des vorliegenden Falls wirft (vgl. HUBER, Basler Kommentar, a.a.O., N. 37 zu Art. 29 DSG ). 6.3.3 Wie die Vorinstanz dargelegt hat, kommen als überwiegende Bearbeitungsinteressen in erster Linie die Interessen der bearbeitenden Person, aber auch solche von Dritten in Frage. Die Beschwerdegegnerin selbst verfolgt ein wirtschaftliches Interesse. Sie strebt eine Vergütung für ihre Tätigkeit an. Diese Tätigkeit besteht darin, mit Hilfe einer eigens dafür entwickelten Software in P2P-Netzwerken nach urheberrechtlich geschützten Werken zu suchen und von deren Anbietern Daten zu speichern. Eine solche Methode führt allgemein - über den konkreten Fall hinaus - wegen fehlender gesetzlicher Reglementierung in diesem Bereich zu einer Unsicherheit in Bezug auf die im Internet angewendeten Methoden wie auch in Bezug auf Art und Umfang der gesammelten Daten und deren Bearbeitung. Insbesondere sind die Speicherung und die mögliche Verwendung der Daten ausserhalb eines ordentlichen Gerichtsverfahrens nicht klar bestimmt. An dieser Einschätzung ändert auch das Interesse der Auftraggeber der Beschwerdegegnerin, welches in der Verwertung der Urheberrechte liegt, nichts (vgl. dazu REHBINDER/VIGANÒ, URG, 3. Aufl. 2008, N. 3 f. zu Art. 1 URG ). Mithin vermag auch das Interesse an der wirksamen Bekämpfung von Urheberrechtsverletzungen die Tragweite der Persönlichkeitsverletzung und der mit der umstrittenen Vorgehensweise einhergehenden Unsicherheiten über die Datenbearbeitung im Internet nicht aufzuwiegen. Ein überwiegendes privates oder öffentliches Interesse ist umso mehr zu verneinen, als dieses nur zurückhaltend bejaht werden darf. Die Rüge des Beschwerdeführers erweist sich somit als begründet, was zur Gutheissung der Beschwerde führt. Unter diesen Umständen kann offengelassen werden, ob und inwiefern das Bundesgesetz über die verdeckte Ermittlung anwendbar ist, und insbesondere, ob die Strafverfolgungsbehörden die von der Beschwerdeführerin erlangten Daten verwenden dürften (vgl. dazu BGE 134 IV 266 und Urteil 6B_211/2009 vom 22. Juni 2009). Offengelassen werden kann zudem, ob auch das Verhältnismässigkeitsprinzip für die Unterlassung der Datenbearbeitung spricht, zumal sich die Eruierung des Urheberrechtsverletzers in vielen Fällen als schwierig oder unmöglich BGE 136 II 508 S. 525 erweisen würde, etwa wenn ein Drahtlosnetzwerk verwendet wird oder ein Computer mehreren Personen zur Verfügung steht. 6.4 Anzumerken ist, dass Gegenstand des vorliegenden Falls einzig die Datenbearbeitung durch die Beschwerdegegnerin ist und es nicht darum geht, dem Datenschutz generell den Vorrang gegenüber dem Schutz des Urheberrechts einzuräumen. Es ist Sache des Gesetzgebers und nicht des Richters, die allenfalls notwendigen Massnahmen zu treffen, um einen den neuen Technologien entsprechenden Urheberrechtsschutz zu gewährleisten.
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2,010
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CH_BGE_004
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Federation
21c74084-5dbc-4d05-909c-5b95c1ce3e11
Urteilskopf 101 II 13 5. Arrêt de la IIe Cour civile du 15 mai 1975 dans la cause C. contre F.
Regeste Vaterschaftsklage. Die Vaterschaft darf nur dann mit an Sicherheit grenzender Wahrscheinlichkeit als erwiesen betrachtet werden, wenn ein nach der Methode Essen-Möller erstelltes Gutachten Wahrscheinlichkeitswerte von mindestens 99,8% ergibt. Wird dieser Prozentsatz nicht erreicht, können die Parteien die Einholung eines anthropologischerbbiologischen Gutachtens verlangen.
Sachverhalt ab Seite 13 BGE 101 II 13 S. 13 A.- Nino F. est né le 30 novembre 1968 à l'Hôpital de Nyon. Il est le fils illégitime de Fiorella F., une Italienne, âgée de 19 ans au moment de la naissance, célibataire. B.- Le 7 janvier 1970, Fiorella et Nino F. ont ouvert action en paternité contre Luigi C. En cours d'instance, une expertise des sangs et sérostatistique a été confiée au Centre de transfusion de la Croix-Rouge à Lausanne, puis le Dr Baumann, de l'Institut d'anatomie de Genève, a procédé à une expertise anthropobiométrique. La première a permis d'établir que Luigi C. ne pouvait être exclu comme père de l'enfant; bien plus, que sa paternité était possible sur la base des lois BGE 101 II 13 S. 14 héréditaires et que le calcul de la plausibilité de celle-ci selon la méthode d'Essen-Möller donnait une valeur de 98%. Le second expert est arrivé à la conclusion que, d'un point de vue anthropobiométrique, la probabilité de paternité de Luigi C. confinait à la certitude, soit avec un taux de 99,9998%. La preuve de la cohabitation durant la période critique, soit du 4 février au 3 juin 1968, n'a pas été administrée. C.- Les premiers juges ont estimé qu'un degré de vraisemblance de paternité de 98% calculé selon une méthode sérostatistique ne suffisait pas pour établir la paternité. Ils ont néanmoins admis l'action sur la base des résultats de l'expertise anthropobiométrique. La cour cantonale a rejeté le 24 mai 1973 le recours formé par Luigi C. contre ce jugement, admettant que l'expertise anthropobiométrique n'était pas probante, mais qu'un degré de vraisemblance de 98%, calculé selon la méthode sérostatistique d'Essen-Möller, permettait d'admettre l'action, sans qu'il soit nécessaire d'ordonner d'office une expertise anthropo-hérédobiologique. D.- Luigi C. recourt en réforme contre ce prononcé. Il conclut au rejet de l'action en paternité dont il fait l'objet. Nino et Fiorella F., qui plaident au bénéfice de l'assistance judiciaire gratuite, concluent au rejet du recours. Erwägungen Considérant en droit: 1. Le défendeur à l'action en paternité est présumé être le père de l'enfant lorsqu'il est établi qu'il a cohabité avec la mère durant la période critique (art. 314 al. 1 CC). Il a néanmoins la possibilité de renverser la présomption, en prouvant que sa paternité peut être exclue avec certitude ou avec une probabilité confinant à la certitude (RO 94 II 79/80 et arrêts cités). Lorsqu'il n'est pas établi que le défendeur a cohabité avec la mère de l'enfant durant la période critique, ou lorsque la présomption de l'art. 314 al. 1 CC tombe en raison du comportement de la mère (art. 314 al. 2 et 315 CC), c'est à la partie instante à l'action en paternité de tenter d'établir que c'est bien le défendeur qui est le père de l'enfant (RO 98 II 263/264 et les arrêts cités). Cette preuve positive n'est, elle aussi, rapportée BGE 101 II 13 S. 15 que si la paternité du défendeur à l'action peut être établie avec certitude ou avec une probabilité confinant à la certitude (RO 98 II 264 consid. 2). L'application du critère de la probabilité confinant à la certitude est une question de droit, soit de respect des exigences fédérales en matière de preuve; elle peut être revue par le Tribunal fédéral (RO 94 II 82). Dans le cas particulier, il n'est pas établi que les parties aient cohabité durant la période critique. En l'absence de présomption de paternité, le bien-fondé de l'action dépend uniquement du point de savoir si l'intimée a rapporté à satisfaction de droit la preuve positive de la paternité du recourant. 2. a) Lorsqu'il appartient au défendeur à l'action en paternité d'établir qu'il ne peut être le père de l'enfant - hypothèse qui n'est pas en discussion dans le cas particulier -, il a la faculté de recourir à une expertise sérologique (ou expertise des sangs). Lors de l'administration d'une telle expertise, qui ne permet d'établir que la preuve négative de la paternité, la jurisprudence fédérale a considéré que l'on pouvait admettre avec une vraisemblance confinant à la certitude que le défendeur à l'action n'était pas le père de l'enfant si sa paternité pouvait être exclue avec 99,8% de chances (RO 94 II 85); un tel pourcentage implique en effet une marge d'incertitude de 1/500 au maximum, ou 0,2%. b) Si les résultats de l'expertise sérologique ne sont pas concluants, ou s'il s'agit de faire la preuve positive de la paternité, les parties peuvent recourir à une expertise sérostatistique. Dans un cas comme dans l'autre, la preuve n'est rapportée que si l'on peut dire avec certitude ou avec une vraisemblance confinant à la certitude que le défendeur à l'action est - ou n'est pas - le père de l'enfant. L'utilisation statistique des résultats de l'analyse des groupes sanguins et des facteurs sériques se fonde sur la répartition des différents caractères du sang dans la population par rapport à ceux que présentent les personnes à examiner. Sur la base de ces données, il est possible de calculer la probabilité de la paternité ou d'absence de paternité (RO 96 II 316 consid. 4). Actuellement, l'utilisation statistique de ces données se fait surtout selon la méthode d'Essen-Möller. Cette méthode prend en considération, outre la relation entre BGE 101 II 13 S. 16 l'enfant et sa mère, celle qui existe entre la mère, son enfant et le père présumé, partant de l'a priori qu'en moyenne, en recherchant le père de l'enfant, on sera amené à examiner un nombre égal de fois un vrai et un faux père. En d'autres termes, cette méthode part d'une probabilité a priori de 50% en faveur de la paternité et de 50% contre celle-ci. Se fondant sur une expertise du professeur Ritter, de Tübingen, le Tribunal fédéral a admis qu'un taux de vraisemblance de plus de 97%, selon cette méthode, permettait d'établir ou d'exclure la paternité avec une vraisemblance suffisante (RO 97 II 199; 98 II 262 ). Selon l'expert alors consulté, ce taux représente un degré de vraisemblance de 99,8% au moins, réduisant la marge d'incertitude à 0,2% au plus. La méthode d'Essen-Möller a été l'objet de critiques dans la littérature la plus récente. Cela a conduit le Tribunal fédéral à ordonner, au cours de la présente instance, une nouvelle expertise, confiée aux professeurs E. Batschelet, de la Section de biomathématique de l'Institut de mathématiques de l'Université de Zurich, R. Bütler et A. Hässig, tous deux du Laboratoire central du Service de transfusion CRS, à Berne. Sans récuser la méthode Essen-Möller en soi, cette expertise établit que l'on ne peut admettre comme un principe général que le taux de vraisemblance de 97% selon cette méthode comporte une marge d'erreur n'excédant pas 0,2%. De l'avis des experts, en l'état des connaissances, seul un taux de 99,8% selon la méthode Essen-Möller correspond de façon certaine à une marge d'erreur maximale de 0,2% tolérée par une jurisprudence dont il n'y a pas lieu d'atténuer les exigences. Estimant devoir être prudente dans l'exploitation des données statistiques, la Cour se range aux conclusions fortement motivées des experts consultés. La paternité (ou l'absence de paternité) ne pourra donc être considérée comme établie avec une vraisemblance confinant à la certitude que si les résultats obtenus par l'expertise sérostatistique selon la méthode Essen-Möller atteignent un taux de vraisemblance de 99,8% au moins. Si ce chiffre n'est pas atteint, les parties ont alors la possibilité de recourir à une expertise anthropo-hérédobiologique. En l'espèce, la vraisemblance de paternité, d'après la méthode d'Essen-Möller, atteint 98% selon les constatations de la cour cantonale. Les intimés n'ont dès lors pas établi à satisfaction de droit la preuve positive de la paternité du BGE 101 II 13 S. 17 recourant. Le jugement cantonal, qui admet, sur la base de la jurisprudence antérieure, que cette preuve a été rapportée, doit être annulé et la cause renvoyée à l'autorité inférieure pour qu'elle rende une nouvelle décision, après avoir le cas échéant complété le dossier en ordonnant une expertise anthropo-hérédobiologique. Dispositiv Par ces motifs, le Tribunal fédéral: Admet le recours, annule l'arrêt attaqué et renvoie la cause à l'autorité cantonale pour nouvelle décision dans le sens des considérants.
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Urteilskopf 103 Ib 87 17. Urteil vom 14. März 1977 i.S. X. gegen Eidg. Steuerverwaltung
Regeste Warenumsatzsteuer. Revision eines rechtskräftigen erstinstanzlichen Entscheids, Voraussetzungen. Revisionsgründe nach der Rechtsprechung des Bundesgerichts in eidgenössischen Abgabesachen und nach Art. 66 VwVG (Erw. 1). Ist diese Bestimmung hier sinngemäss anwendbar? Frage offengelassen (Erw. 2). Die Revision kann nicht aus Gründen verlangt werden, die der Gesuchsteller bei Anwendung der ihm zumutbaren Sorgfalt im ordentlichen Rechtsmittelverfahren hätte geltend machen können (Erw. 3).
Sachverhalt ab Seite 87 BGE 103 Ib 87 S. 87 X. ist steuerpflichtiger Grossist im Sinne des Warenumsatzsteuerbeschlusses. Aufgrund einer bei ihm vorgenommenen BGE 103 Ib 87 S. 88 Kontrolle gelangte die Eidg. Steuerverwaltung (EStV) zum Schluss, dass seine Buchhaltung den Anforderungen nicht genüge. Sie fand, dass er für die in den Zeitraum vom 1. Januar 1970 bis zum 31. Dezember 1973 fallenden Steuerperioden zu wenig Warenumsatzsteuern entrichtet habe. Gestützt auf ihre Berechnungen forderte sie von ihm einen Steuerbetrag von Fr. 8'612.-- nebst Verzugszins nach. Sie bestätigte die Forderung durch Entscheid vom 30. Oktober 1975. Der Steuerpflichtige erhob hiegegen Einsprache, reichte sie aber zu spät ein, so dass darauf nicht eingetreten wurde. Mit Eingabe vom 27. Februar 1976 ersuchte er die EStV um Revision ihres Entscheids vom 30. Oktober 1975. Die EStV wies das Gesuch ab und bestätigte die Abweisung auf Einsprache hin. Gegen diesen Einspracheentscheid erhebt X. Verwaltungsgerichtsbeschwerde. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Im Warenumsatzsteuerbeschluss ist die Möglichkeit einer Revision rechtskräftiger Entscheide der EStV nicht vorgesehen. Indes hat das Bundesgericht in ständiger Rechtsprechung anerkannt, dass in den bundesrechtlichen Abgabesachen einem Begehren des Abgabepflichtigen um Revision des rechtskräftigen Entscheides einer unteren Instanz auch dann, wenn gesetzliche Vorschriften hierüber fehlen, unter bestimmten Voraussetzungen Folge zu geben ist. Es hat die Revision eines solchen Entscheides für zulässig erklärt, wenn er unter Verletzung wesentlicher prozessualer Grundsätze zustande gekommen ist oder wenn darin Tatsachen, die den amtlichen Akten hätten entnommen werden müssen, nicht berücksichtigt worden sind, ferner in Fällen, wo der Abgabepflichtige Tatsachen oder Beweismittel vorbringt, deren Geltendmachung ihm im früheren Verfahren nicht möglich war ( BGE 74 I 406 E. 3; ASA Bd. 34 S. 150, Bd. 43 S. 251). Art. 66 Abs. 2 VwVG verpflichtet die Beschwerdeinstanz, ihren Beschwerdeentscheid auf Begehren einer Partei in Revision zu ziehen, wenn die Partei a) neue erhebliche Tatsachen oder Beweismittel vorbringt oder b) nachweist, dass die Beschwerdeinstanz aktenkundige erhebliche Tatsachen oder bestimmte Begehren übersehen hat, oder c) nachweist, dass die BGE 103 Ib 87 S. 89 Beschwerdeinstanz die Bestimmungen ... der Art. 29-33 über das rechtliche Gehör verletzt hat. X. hat sich in seinem Gesuch vom 27. Februar 1976 auf diese in Art. 66 Abs. 2 VwVG vorgesehenen und in der Folge auch auf die vorne erwähnten, von der Rechtsprechung anerkannten drei Revisionsgründe berufen. 2. Art. 66 VwVG findet auch auf das Steuerverfahren Anwendung (Umkehrschluss aus Art. 2 Abs. 1 VwVG ). Er bezieht sich jedoch nach seinem Wortlaut nur auf die Revision von "Beschwerdeentscheiden". Im vorliegenden Fall wird aber die Revision eines erstinstanzlichen Steuerentscheides verlangt. Der Gesetzgeber hat bewusst davon abgesehen, im VwVG Bestimmungen über die Gründe für die Revision von Verfügungen erster Instanz aufzustellen (vgl. Botschaft des Bundesrates vom 24. September 1965 über das Verwaltungsverfahren, BBl 1965 II 1373). Indes ist GYGI offenbar der Meinung, Art. 66 VwVG sei auf solche Verfügungen sinngemäss anwendbar (Verwaltungsrechtspflege und Verwaltungsverfahren im Bund, 2. Aufl., S. 119). Die Vorinstanz teilt diese Auffassung. In der Tat bestimmen Art. 44 Abs. 1 BG über die Stempelabgaben und Art. 59 Abs. 1 BG über die Verrechnungssteuer (Fassung gemäss Art. 52 BG über die Stempelabgaben), dass auf die Revision der diese Abgaben betreffenden Entscheide der EStV Art. 66 VwVG sinngemäss angewandt wird (vgl. auch Art. 43 Abs. 1 Vollziehungsverordnung zum BG über den Militärpflichtersatz, welcher die Gründe für die Revision von Verfügungen der Veranlagungsbehörde und der Rekurskommission in Anlehnung an Art. 66 Abs. 2 VwVG umschreibt). Es liegt nahe anzunehmen, dass Art. 66 VwVG auf die Revision von Entscheiden der EStV im Bereich der Warenumsatzsteuer ebenfalls sinngemäss anwendbar ist. Ob diese Annahme gerechtfertigt sei, kann jedoch hier offengelassen werden, da das vorliegende Revisionsgesuch ohnehin nicht geschützt werden kann. 3. Nach Art. 66 Abs. 3 VwVG gelten die in Abs. 2 erwähnten Gründe nicht als Revisionsgründe, wenn die Partei sie im Rahmen des Verfahrens, das dem Beschwerdeentscheid voranging, oder auf dem Wege einer Beschwerde, die ihr gegen den Beschwerdeentscheid zustand, geltend machen konnte. Im gleichen Sinne hat das Bundesgericht hinsichtlich der Revision von Verfügungen der Verwaltung auf dem Gebiete BGE 103 Ib 87 S. 90 der bundesrechtlichen Abgaben entschieden; es hat festgestellt, dass Einwendungen, die im ordentlichen Rechtsmittelverfahren hätten erhoben werden können, eine Revision der Verwaltungsverfügung nicht zu begründen vermögen ( BGE 77 I 241 E. 2; ASA Bd. 34 S. 152 f., Bd. 43 S. 251 f.). Auf jeden Fall ist die Revision dann auszuschliessen, wenn der Gesuchsteller die Gründe, aus denen er sie verlangt, bei Anwendung der ihm zumutbaren Sorgfalt schon im ordentlichen Rechtsmittelverfahren hätte geltend machen können (vgl. BGE 76 I 8 ; ASA Bd. 34 S. 152 f., Bd. 43 S. 251 f.). Dem Beschwerdeführer X., welcher Geschäftsmann ist und sich zudem vom Inhaber eines Treuhandbüros beraten liess, konnte aber vernünftigerweise zugemutet werden, die in seinem Revisionsgesuch vorgebrachten Einwendungen gegen die der Verfügung vom 30. Oktober 1975 zugrunde liegenden Berechnungen, insbesondere gegen die Heranziehung von Erfahrungszahlen, auf dem Wege der Einsprache innert der gesetzlichen Frist geltend zu machen; hatte ihm doch die EStV nach der Zustellung der Ergänzungsabrechnung vom 28. Januar 1975 eine lange Frist für begründete und belegte Einwendungen gegen die Ergebnisse der Steuerkontrolle eingeräumt, Ergebnisse, über die er von Anfang an orientiert gewesen war. Der dem Revisionsgesuch beigelegte Bericht des Treuhandbüros vom 10. Februar 1976, der die Berechnungen des Revisors der EStV in verschiedenen Punkten beanstandet und insbesondere eine Berichtigung des für das Geschäftsjahr 1973 in Rechnung gestellten Wareneinkaufs verlangt, enthält keinerlei Elemente, die vom Steuerpflichtigen oder seinem Berater bei Beachtung der ihnen zuzumutenden Aufmerksamkeit nicht binnen der am 1. Dezember 1975 abgelaufenen Einsprachefrist hätten entdeckt und geltend gemacht werden können. Das lässt sich umsoweniger bestreiten, als dieser Bericht und die vom 30. November 1975 datierte, aber zu spät eingereichte Einspracheschrift fast Wort für Wort miteinander übereinstimmen und genau die gleichen Argumente enthalten. Der Beschwerdeführer hätte auch die Rüge, dass er nicht genügend angehört worden sei, im ordentlichen Rechtsmittelverfahren vorbringen können. Das wäre ihm bei Anwendung einiger Sorgfalt ohne weiteres möglich gewesen; denn die Art des Vorgehens der EStV war ihm von Anbeginn an genau bekannt. BGE 103 Ib 87 S. 91 Daraus folgt, dass die EStV das Revisionsgesuch des Beschwerdeführers zu Recht abgewiesen hat. Die Verwaltungsgerichtsbeschwerde ist offensichtlich unbegründet. Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Beschwerde wird abgewiesen.
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Urteilskopf 111 Ia 276 49. Auszug aus dem Urteil der II. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 17. Oktober 1985 i.S. X. gegen Regierungsrat und Verwaltungsgericht des Kantons Basel-Landschaft (staatsrechtliche Beschwerde)
Regeste Unentgeltliche Rechtspflege. Anspruch auf Bestellung eines unentgeltlichen Rechtsbeistandes im Verwaltungsgerichtsverfahren. 1. Der Entscheid über die Gewährung der unentgeltlichen Rechtspflege bzw. die Bestellung eines unentgeltlichen Rechtsbeistandes ist ein Zwischenentscheid (E. 2). 2. Auch im Verwaltungsgerichtsverfahren ergibt sich für die bedürftige Partei unmittelbar aus Art. 4 BV unter bestimmten Voraussetzungen ein Anspruch auf Bestellung eines unentgeltlichen Rechtsbeistandes (E. 3).
Sachverhalt ab Seite 276 BGE 111 Ia 276 S. 276 X. gelangte mit einem Gesuch um Gewährung einer Restdefizitgarantie zur Deckung der Kinderheim-Unterbringungskosten für sein behindertes Kind an die Erziehungs- und Kulturdirektion BGE 111 Ia 276 S. 277 des Kantons Basel-Landschaft. Das Gesuch wurde abgewiesen, ebenso eine gegen diesen Entscheid gerichtete Beschwerde an den Regierungsrat des Kantons Basel-Landschaft. X. zog den regierungsrätlichen Entscheid an das Verwaltungsgericht weiter. In der Begründung seiner Beschwerde ersuchte er das Gericht um Gewährung der unentgeltlichen Prozessführung und Verbeiständung. Das Gesuch wurde durch gerichtliche Verfügung vom 9. Juli 1984 abgewiesen. Mit Urteil vom 6. März 1985 wies das Verwaltungsgericht die Beschwerde von X. auch in der Sache ab; das Gericht erhob keine Kosten, kam aber nicht auf die Frage der unentgeltlichen Verbeiständung zurück. Mit rechtzeitiger staatsrechtlicher Beschwerde vom 17. Mai 1985 beantragt X., der Entscheid des Verwaltungsgerichts vom 9. Juli 1984 betreffend Abweisung des Gesuchs um unentgeltliche Prozessverbeiständung sei aufzuheben; für das staatsrechtliche Beschwerdeverfahren sei die unentgeltliche Prozessführung und die unentgeltliche Prozessvertretung zu bewilligen. Das Verwaltungsgericht des Kantons Basel-Landschaft hat auf eine Vernehmlassung verzichtet; der Regierungsrat beantragt unter Hinweis auf den Bundesgerichtsentscheid vom 8. März 1985 i.S. G.R., die staatsrechtliche Beschwerde gutzuheissen und den angefochtenen Entscheid betreffend unentgeltlichen Rechtsbeistand aufzuheben. Das Verwaltungsgericht werde dann zu prüfen haben, ob die Voraussetzungen für die Übernahme des Armenanwaltshonorars durch die Gerichtskasse erfüllt seien. Das Bundesgericht heisst die staatsrechtliche Beschwerde gut. Erwägungen Auszug aus den Erwägungen: 2. Die staatsrechtliche Beschwerde wegen Verletzung von Art. 4 BV ist erst gegen letztinstanzliche Endentscheide zulässig, gegen letztinstanzliche Zwischenentscheide nur, wenn sie für den Betroffenen einen nicht wiedergutzumachenden Nachteil zur Folge haben ( Art. 87 OG ). a) Auf staatsrechtliche Beschwerden gegen selbständige Gerichtsbeschlüsse, welche die unentgeltliche Rechtspflege bzw. die Gewährung eines unentgeltlichen Rechtsbeistandes verweigern, wird nach ständiger Praxis regelmässig eingetreten; das Bundesgericht lässt dabei meist offen, ob solche Gerichtsbeschlüsse Endentscheide sind oder Zwischenentscheide, die einen nicht wiedergutzumachenden Nachteil zur Folge haben. Im vorliegenden Fall, in BGE 111 Ia 276 S. 278 dem die Beschwerde nicht bereits im Anschluss an die den unentgeltlichen Beistand verweigernde Verfügung vom 9. Juli 1984, sondern erst gegen den Endentscheid in der Sache selbst vom 6. März 1985 erhoben wurde, muss die Frage entschieden werden. War die Verfügung vom 9. Juli 1984 ein Endentscheid, so ist die staatsrechtliche Beschwerde verspätet; sie wurde hingegen rechtzeitig eingereicht, wenn die betreffende Verfügung nur als Zwischenentscheid zu gelten hat. In diesem Fall kann die staatsrechtlichen Beschwerde sinnvollerweise auch noch im Anschluss an den materiellen Endentscheid erhoben werden; ein irreversibler Nachteil trat nicht ein, da die Anwaltskosten immer noch durch die Gerichtskasse übernommen werden können. Der nachträglichen Gewährung einer vorher zu Unrecht verweigerten Rechtswohltat steht nichts im Wege; denn es kann umgekehrt eine zu Unrecht erteilte unentgeltliche Rechtspflege auch später noch rückwirkend entzogen werden (HEINRICH HEUBERGER, Das Armenrecht der Aargauischen Zivilprozessordnung, Aarau 1947, S. 91 ff.; KURT MEYER, Das zivilprozessuale Armenrecht im Kanton Zug, Baar 1953, S. 170 ff.). b) Ob die vorgängige Verweigerung der unentgeltlichen Rechtspflege ein Zwischenentscheid sei oder nicht, wurde in BGE 99 Ia 439 ausdrücklich offengelassen, doch scheint das Gericht eher zur Ansicht geneigt zu haben, es handle sich um einen Endentscheid. Nach neuerer Praxis gelten auch Entscheide über vorsorgliche Massnahmen als Endentscheide ( BGE 100 Ia 20 E. 1 mit Hinweisen). Es ist Begriffsmerkmal der Zwischenentscheide, dass sie das Verfahren nicht abschliessen, sondern bloss einen Schritt auf dem Weg zum Endentscheid darstellen (gleichgültig ob in einer Verfahrens- oder einer materiellen Frage). Der Entscheid betreffend unentgeltliche Rechtspflege bzw. unentgeltliche Verbeiständung bringt aber, anders als etwa eine Beweisanordnung, das Verfahren nicht eigentlich seinem Ziel näher, sondern scheint eher eine selbständige verfahrensrechtliche Nebenfrage zu beantworten; begrifflich wäre daher die Qualifizierung als Endentscheid nicht ausgeschlossen. Auf der andern Seite hat das Bundesgericht die Verpflichtung zur Leistung eines Prozesskostenvorschusses als Zwischenentscheid qualifiziert ( BGE 77 I 46 E. 2). Die Freistellung von diesem Vorschuss beseitigt eine Prozesserschwernis und bringt dadurch in einem sehr allgemeinen Sinn das Verfahren vorwärts. Entsprechendes gilt für unentgeltliche Rechtspflege und Verbeiständung. Da Zwischenentscheide, die einen irreversiblen BGE 111 Ia 276 S. 279 Nachteil bewirken, anfechtbar sind, besteht keine praktische Notwendigkeit, die Verweigerung der unentgeltlichen Rechtspflege und Verbeiständung als Endentscheid einzustufen; dies rechtfertigt sich um so weniger, als das eidg. Verwaltungsverfahrensgesetz (SR 172.021; Art. 45 Abs. 2 lit. h) die Verweigerung der unentgeltlichen Rechtspflege ausdrücklich zu den Zwischenentscheiden zählt (vgl. auch P. LUDWIG, Endentscheid, Zwischenentscheid und Letztinstanzlichkeit im staatsrechtlichen Beschwerdeverfahren, ZBJV 1974, 161 ff., bes. 176). Es ist vielmehr angezeigt, Beschlüsse betreffend Verweigerung der unentgeltlichen Rechtspflege oder Verbeiständung als Zwischenentscheide zu betrachten. Sind sie mit einem nicht behebbaren Nachteil verbunden, weil z. B. dem Gericht oder dem Anwalt innert kurzer Frist ein Kostenvorschuss geleistet werden müsste, so unterliegt der diesbezügliche Entscheid der letzten kantonalen Instanz direkt der staatsrechtlichen Beschwerde. Bleibt ein solcher Nachteil aus, verbleibt die Beschwerde gegen den letztinstanzlichen kantonalen Sachentscheid. Demnach ist die vorliegende staatsrechtliche Beschwerde zulässigerweise im Anschluss an den Sachentscheid erhoben worden, dessen Dispositiv die Verweigerung der unentgeltlichen Verbeiständung nicht widerrief, sondern stillschweigend bestätigte. Auf die Beschwerde ist daher einzutreten. 3. a) Aus Art. 4 BV wurden Verfahrensgarantien (Anspruch auf rechtliches Gehör, auf unentgeltliche Rechtspflege usw.) früher nur für Zivil- und Strafprozesse abgeleitet, dagegen nicht oder nur in beschränktem Mass für Verwaltungsverfahren. Die Rechtsprechung hat diese Differenzierung schrittweise überwunden und das Verwaltungsstreitverfahren mehr und mehr den Zivil- und Strafprozessen gleichgestellt, nicht nur bezüglich des rechtlichen Gehörs, sondern auch hinsichtlich der unentgeltlichen Rechtspflege. BGE 107 Ia 8 anerkannte im Licht von Art. 4 BV einen Anspruch auf einen unentgeltlichen Rechtsbeistand für ein Administrativverfahren vor einer Kantonsregierung in einer Vormundschaftssache. Im BGE vom 8. März 1985 i.S. G.R. erklärte das Bundesgericht, auch in einem von der Offizialmaxime beherrschten Verwaltungsgerichtsverfahren bestehe - unter bestimmten Voraussetzungen - ein Anspruch der bedürftigen Partei auf einen unentgeltlichen Rechtsbeistand aufgrund der unmittelbar aus Art. 4 BV fliessenden Verfahrensgarantien (publiziert in ZBl 86 (1985) S. 412 ff. und EuGRZ 1985 S. 485 ff.). BGE 111 Ia 276 S. 280 Der Anspruch hängt von folgenden Voraussetzungen ab: Die gesuchstellende Partei muss bedürftig sein ( BGE 110 Ia 27 E. 2) mit Hinweisen; betr. die wirtschaftlichen Verhältnisse vgl. BGE 106 Ia 82 ; die angestrebte Prozesshandlung darf nicht materiell aussichtslos ( BGE 110 Ia 27 E. 2) oder prozessual unzulässig sein ( BGE 104 Ia 73 E. 1); der Entscheid muss für die gesuchstellende Partei eine erhebliche Tragweite haben; die gesuchstellende Partei darf nicht selber rechtskundig sein; schliesslich müssen sich im Prozess unausweichliche Fragen stellen, die sich nicht leicht beantworten lassen ( BGE 104 Ia 77 E. 3c mit Hinweisen). b) Die durch den angefochtenen Entscheid stillschweigend bestätigte Verfügung vom 9. Juli 1984 lehnte die Gewährung eines unentgeltlichen Rechtsbeistandes allein mit der Begründung ab, ein entsprechender Anspruch ergebe sich weder nach kantonalem Recht, noch sei ein solcher bisher durch das Bundesgericht aus Art. 4 BV abgeleitet worden, insbesondere nicht für ein von der Offizialmaxime beherrschtes Verfahren. Diese Begründung ist seit dem BGE vom 8. März 1985 i.S. G.R. nicht mehr haltbar. Ob die in jenem Entscheid entwickelten und vorstehend erwähnten Voraussetzungen eines Anspruches auf einen unentgeltlichen Rechtsbeistand erfüllt sind, wurde im angefochtenen Entscheid nicht geprüft. Dieser ist daher aufzuheben.
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Urteilskopf 94 I 120 19. Urteil vom 20. März 1968 i.S. Überparteiliches Initiativkomitee gegen Einwohnergemeinde Zofingen und Regierungsrat des Kantons Aargau.
Regeste Volksinitiativrecht in Gemeindesachen. Eine Gemeindeinitiative darf dem Recht von Bund und Kantonen nicht widersprechen, nicht offensichtlich undurchführbar sein und ferner dem Grundsatz von Treu und Glauben nicht zuwiderlaufen.
Sachverhalt ab Seite 120 BGE 94 I 120 S. 120 A.- In der Versammlung vom 21. Januar 1965 genehmigte die Einwohnergemeinde Zofingen ein Projekt für den Bau eines Verwaltungsgebäudes der städtischen Werke und eines Werkhofes des Bauamtes auf der "Falkeisenmatte". Gleichzeitig bewilligte sie zulasten der städtischen Werke einen Baukredit von 6,1 Mio und zulasten der Einwohnerkasse einen solchen von 3,3 Mio Franken. Die Einwohnergemeindeversammlung ermächtigte sodann den Gemeinderat, die erforderlichen Geldmittel auf dem Darlehenswege oder durch ein Anleihen zu beschaffen. Sie beschloss ausserdem, das für den Bau notwendige Land der "Falkeisenmatte" dem Spitalgut mit Fr. 70.-/m2 zu entschädigen. Die genannten Beschlüsse kamen laut Protokollauszug bei Anwesenheit von 1100 Stimmberechtigten "mit grosser Mehrheit gegen höchstens 15 Neinstimmen" zustande. B.- Die Gemeinde Zofingen führte auf den 1. Januar 1966 die ausserordentliche Gemeindeorganisation ein. Diese sieht BGE 94 I 120 S. 121 ein Gemeindeparlament, den sog. Einwohnerrat, vor und lässt die Gesamtheit der Stimmberechtigten ihre Rechte durch die Urne ausüben. Das aargauische Gesetz über die ausserordentliche Gemeindeorganisation vom 15. Mai 1962 (GaOG) bestimmt ferner u.a. folgendes: "§ 12 Initiative 1. Voraussetzung Ein Zehntel der Stimmbürger kann in Form einer allgemeinen Anregung oder eines ausgearbeiteten Entwurfs die Behandlung von Gegenständen, die in die Zuständigkeit der Gemeinde oder des Einwohnerrates fallen, beim Präsidenten des Einwohnerrates verlangen." C.- Am 10. Februar 1967 reichte ein "Komitee für Volksbefragung" beim Präsidenten des Einwohnerrates von Zofingen eine Initiative ein (Initiative I), wonach "jeglicher Neubau der Gemeinde, städt. Werke inbegriffen, zurückzustellen ist, bis der Gesamtplan für alle noch zu erstellenden Hochbauten vorliegt". Der Gemeinderat beantragte am 23. Februar 1967 dem Einwohnerrat, diese Initiative ungültig zu erklären, weil die an die Mitbürger gerichteten Karten lediglich den Unterschriftsvermerk "Das Komitee" trugen und somit in Verletzung von Art. 9 der Gemeindeordnung die Namen der zum Rückzug berechtigten Personen nicht bekanntgegeben worden seien; ferner enthielten die Initiativbogen die Strafbestimmung von Art. 282 StGB betr. Wahlfälschungen nicht, obwohl das aargauische Recht dies vorschreibt. Am 15. März 1967 reichte ein "Überparteiliches neues Initiativkomitee" eine weitere Initiative ein (Initiative II), welche 295 Unterschriften trug. Die Initiativbogen enthalten folgenden Text: "Bis zur Fertigstellung der Gesamtplanung für alle noch zu erstellenden Hochbauten der Stadt Zofingen sollen die Werkbauten des Bauamtes und der städtischen Werke auf der Falkeisenmatte sofort zurückgestellt und in Bezug auf Standort und Finanzbedarf neu überprüft werden. Zum Rückzug dieser Initiative gemäss Gemeindeordnung ist das wie folgt zusammengesetzte neue Initiativkomitee berechtigt: Hans Gilli, Kaufmann Max Hool, dipl. Ing. ETH Hans Maurer, Dr. phil. Henri Picard, Dr. med. Albert Schumacher, Dr. iur. BGE 94 I 120 S. 122 Anton Uhlmann, Architekt." Mit Schreiben vom 17. März beantragte der Gemeinderat dem Einwohnerrat, die Initiative II aus materiellen Gründen als unzulässig zu bezeichnen und als dahingefallen zu erklären; ausserdem sei zu entscheiden, ob die Initiative nicht auch aus formellen Gründen ungültig erklärt werden müsse. Der Einwohnerrat beriet die beiden Initiativen in seiner Sitzung vom 21. März 1967. Er behandelte zuerst die Initiative I und erklärte sie mit 36 Stimmen bei einer Enthaltung wegen Formmängeln als ungültig. Hinsichtlich der Initiative II beschloss der Rat mit 26 Stimmen, sie aus materiellen Gründen für unzulässig zu erklären; 4 Stimmen sprachen sich für eine Erheblicherklärung aus. Für den weiteren Antrag des Gemeinderates, die Initiative II auch aus formellen Gründen als ungültig zu erklären, stimmte kein Mitglied des Einwohnerrates; deren 2 stimmten dagegen und 31 enthielten sich der Stimme. D.- Das "Überparteiliche neue Initiativkomitee" zog den Beschluss des Einwohnerrates an die Aufsichtsbehörde, die Direktion des Innern, und deren ablehnenden Entscheid an den Regierungsrat des Kantons Aargau weiter. Dieser wies am 9. Juni 1967 ein vorsorgliches Gesuch um Einstellung der Bauarbeiten auf der "Falkeisenmatte" und am 31. August 1967 die Beschwerde selber ab. Zur Begründung führte er im wesentlichen aus, die Initianten forderten die Wiedererwägung des rechtsgültig gefassten und nicht mit Beschwerde angefochtenen Gemeindeversammlungsbeschlusses vom 21. Januar 1965. Ein derartiger Antrag könne jedoch nach Sinn und Zweck der Initiative nicht deren Gegenstand sein. Bis zur Einführung der ausserordentlichen Gemeindeorganisation hätten die Initianten die Möglichkeit gehabt, der Gemeindeversammlung die Wiedererwägung zu beantragen, allenfalls sogar die Einberufung einer ausserordentlichen Gemeindeversammlung zur Behandlung dieses Antrages zu verlangen. Bei der ausserordentlichen Gemeindeorganisation beständen dagegen nur die in Gesetz und Gemeindeordnung vorgesehenen Mitwirkungsrechte der Bürger; dort sei der Antrag auf Wiedererwägung gefasster Beschlüsse weder als Vorstoss eines einzelnen Stimmberechtigten noch als Aktion einer Gruppe vorgesehen. Dieser Unterschied entspreche dem Systemwechsel, der mit der Schaffung eines Einwohnerrates gegeben sei. Mit der Initiative müsse nach deren Sinn und Zweck ein bestimmtes Handeln der Behörde gefördert werden. Dagegen könne sie sich nicht auf die nachträgliche BGE 94 I 120 S. 123 Negation eines rechtskräftigen Gemeindebeschlusses beschränken. Um gültig zu sein, müsse die Initiative positive neue Vorschläge enthalten. Diesfalls wäre sie selbst dann gültig, wenn ihre Annahme gewisse bereits erfolgte Aufwendungen überflüssig machte und so für die Gemeinde eine finanzielle Einbusse bringen sollte. Die Rügen allfälliger Mängel des Verfahrens vor dem Gemeinderat brauchten nicht geprüft zu werden, wenn die Initiative ohnehin als ungültig erklärt werden müsse. Zwar seien nach Art. 7 GO Initiativbegehren, die aus "formellen Gründen" abgelehnt werden, nicht der Volksabstimmung zu unterstellen. Aus dieser Bestimmung schlössen die Beschwerdeführer aber zu Unrecht, dass materiell mangelhafte Initiativen vor das Volk gebracht werden müssen. Vielmehr wolle Art. 7 GO alle Initiativen erfassen, deren Ungültigkeit gemäss § 37 der VV zum GaOG der Einwohnerrat festgestellt habe. E.- Gegen diesen Entscheid führt Dr. iur. Albert Schumacher "als Mitglied und in Übereinstimmung mit dem Überparteilichen neuen Initiativkomitee Zofingen" staatsrechtliche Beschwerde gemäss Art. 84, 85 lit. a sowie Art. 87 OG . Er stellt folgende Anträge: "1. Der Entscheid des Regierungsrates des Kantons Aargau vom 31. August 1967 sei aufzuheben. 2. Anstelle des Beschlusses des Einwohnerrates der Gemeinde Zofingen, der aus formellen und materiellen Gründen aufzuheben sei, soll die Initiative des Überparteilichen neuen Initiativkomitees vom 15. März 1967 als gültig zustandegekommen bezeichnet werden (Feststellungsbegehren). 3. Die unrichtige Publikation des Beschlusses des Einwohnerrates vom 21. März 1967 im Amtsblatt und als "amtliche Mitteilung" in den Tageszeitungen (Bsp.: Zofinger Tagblatt vom 28. März 1967), in der eine von anderer Seite lancierte, nicht formulierte Initiative, mit der formulierten Initiative des "Überparteilichen Komitees" verwechselt wurde, sei im Interesse der Rechtssicherheit richtigzustellen." Die einzelnen Rügen und ihre Begründung sind, soweit nötig, aus den nachstehenden Erwägungen ersichtlich. F.- Der Regierungsrat des Kantons Aargau schliesst auf Abweisung der Beschwerde. Der Gemeinderat von Zofingen beantragt, die Beschwerde abzuweisen, "sofern und soweit darauf eingetreten werden sollte". BGE 94 I 120 S. 124 Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. a) Dr. A. Schumacher erklärt die Beschwerde einzureichen "als Mitglied und in Übereinstimmung mit dem Überparteilichen neuen Initiativkomitee". Eine Vollmacht des Komitees liegt nicht bei den Akten. Unter diesen Umständen ist Dr. Schumacher persönlich als Beschwerdeführer zu betrachten. Er ist unbestrittenermassen in Zofingen stimmberechtigt und Mitglied des genannten Initiativkomitees. Das politische Stimmrecht, zu welchem auch das Initiativrecht gehört ( BGE 59 I 121 ff., BGE 88 I 251 , ZBl 67/1966 S. 35), gilt als vom Bundesrecht gewährleistetes verfassungsmässiges Recht ( BGE 89 I 443 , BGE 91 I 9 ). Ob es sich um eidgenössische, kantonale oder Gemeindeangelegenheiten handelt, macht dabei keinen Unterschied ( BGE 89 I 85 E. 1 mit Zitaten, ZBl 67/1966 S. 35 E. 2). Wurde die vorliegende Initiative II zu Unrecht ungültig erklärt, dann sind somit die politischen Rechte des Beschwerdeführers verletzt. Dieser ist demnach befugt, den regierungsrätlichen Entscheid mit einer Stimmrechtsbeschwerde gemäss Art. 85 lit. a OG anzufechten. b) Staatsrechtliche Beschwerden der vorliegenden Art sind rein kassatorischer Natur ( BGE 90 I 173 E. 1, BGE 92 I 353 E. 1). Auf die Beschwerdebegehren 2 und 3, mit welchen mehr verlangt wird, als die Aufhebung des angefochtenen Entscheides, kann deshalb nicht eingetreten werden. 2. Bei Stimmrechtsbeschwerden nach Art. 85 lit. a OG prüft das Bundesgericht nicht nur die Auslegung des Bundesrechts und des kantonalen Verfassungsrechts frei, sondern auch diejenige anderer kantonaler Vorschriften, soweit sie das Stimmrecht nach Inhalt und Umfang näher normieren ( BGE 89 I 453 E. 3 mit Hinweisen, ZBl 67/1966 S. 35/6; BGE 92 I 355 E. 3; Urteil vom 7. Dezember 1966 i.S. Stäubli c. Regensdorf, nicht veröffentlichte Erw. 2; BGE 93 I 318 E. 4). Der Einwohnerrat von Zofingen hat die Initiative II wegen inhaltlicher Mängel ungültig erklärt, und der Regierungsrat schützte diesen Standpunkt. Der Beschwerdeführer vertritt die Auffassung, es sei ihm dadurch ein "wichtiges politisches Recht" vorenthalten worden. Streitig ist mithin der Umfang des Initiativrechts, so dass das Bundesgericht mit freier Kognition zu prüfen hat, ob die Initiative II zu Recht der Volksabstimmung entzogen wurde. BGE 94 I 120 S. 125 3. Bei der Initiative II handelt es sich um eine sog. Verwaltungsinitiative. Sie verlangt, dass die Werkbauten des Bauamtes und der städtischen Werke auf der "Falkeisenmatte" sofort zurückgestellt und in Bezug auf Standort und Finanzbedarf neu überprüft werden sollten "bis zur Fertigstellung der Gesamtplanung für alle noch zu erstellenden Hochbauten der Stadt Zofingen". Der Regierungsrat hat die Initiative II nicht etwa mit der Begründung ungültig erklärt, sie sei nicht formrichtig zustandegekommen oder trage dem Grundsatz der Einheit der Materie keine Rechnung. Die kantonale Instanz hielt vielmehr dafür, ein Antrag, der auf Wiedererwägung rechtsgültig gefasster und nie mit Beschwerde angefochtener Gemeindeversammlungsbeschlüsse abziele, könne nach dem ganzen Sinn und Zweck einer Initiative nicht deren Gegenstand sein. Der Beschwerdeführer bestreitet nicht, dass die Initiative II auf Wiedererwägung des Beschlusses der Einwohnergemeinde vom 21. Januar 1965 gerichtet ist. Er macht aber geltend, die Initiative sei dennoch zulässig, weil das Gesetz ausdrücklich das Initiativrecht in Gemeindesachen weder beschränke noch eine Wiedererwägungsinitiative verbiete. Damit rügt der Beschwerdeführer dem Sinne nach, der angefochtene Beschluss des Regierungsrates verletze den § 12 GaOG, wonach ein Zehntel der Stimmbürger in Form einer allgemeinen Anregung oder eines ausgearbeiteten Entwurfs die Behandlung von Gegenständen verlangen können, die in die Zuständigkeit der Gemeinde oder des Einwohnerrates fallen. Einmal lässt der Wortlaut von § 12 GaOG zweifellos auch Verwaltungsinitiativen zu und zwar solche verschiedenster Art. Wie der Beschwerdeführer mit Recht bemerkt, schliesst der Gesetzestext sodann Initiativen, die auf Wiedererwägung rechtskräftiger Gemeindeversammlungsbeschlüsse gerichtet sind, ebenfalls nicht ausdrücklich aus. Die Initiative II betrifft zudem unbestrittenermassen einen Gegenstand, der in die Zuständigkeit "der Gemeinde oder des Einwohnerrates" fällt. Der Wortlaut der massgeblichen Gesetzesbestimmung steht somit der umstrittenen Initiative nicht entgegen. Dies allein kann jedoch nicht zum Schutz der Beschwerde führen. Um gültig zu sein, haben Initiativen nämlich noch weiteren Anforderungen zu genügen. Diese Erfordernisse brauchen im Gesetz nicht ausdrücklich erwähnt zu werden, weil sie sich aus BGE 94 I 120 S. 126 allgemeinen Rechtsgrundsätzen ergeben. In diesem Sinne hat das Bundesgericht erkannt, dass eine Initiative dem Recht von Bund und Kanton nicht widersprechen und nicht offensichtlich undurchführbar sein dürfe (vgl. BGE 92 I 359 /60 mit Hinweisen). Zu den genannten Rechtsgrundsätzen gehört ferner derjenige von Treu und Glauben (vgl. MERZ, Komm. zu Art. 2 ZGB N 72). Auch ihm soll eine Initiative nicht zuwiderlaufen. Sie darf deshalb insbesondere nicht rechtsmissbräuchlich sein. Trotz des Wortlautes von § 12 GaOG war der Regierungsrat mithin auch dann berechtigt, die Initiative II ungültig zu erklären, wenn sie einem der erwähnten Gebote widerspricht. Dies trifft indessen nicht zu. 4. a) Dass der Inhalt der Initiative II dem Bundesrecht oder dem kantonalen Recht entgegenstehe, behauptet der Regierungsrat selber nicht. In der Tat läge ein solcher Widerspruch selbst dann nicht vor, wenn die Gemeinde gemäss dem Antrag der Initianten beschlösse, die begonnenen Neubauten sofort zurückzustellen, und sie sich hernach überdies für eine andere Lösung ausspräche. Freilich wäre die Gemeinde unter solchen Umständen verpflichtet, die Unternehmer für die von ihnen schon geleistete Arbeit zu bezahlen und sie wegen des Rücktrittes vom Vertrag schadlos zu halten. Das ändert jedoch nichts daran, dass der Rücktritt von Werkverträgen an sich zulässig ist ( Art. 377 OR ). b) Um die Frage nach der Durchführbarkeit beantworten zu können, ist auf den Zeitpunkt abzustellen, in dem die Initiative eingereicht wurde. Wohl waren damals beträchtliche Aufwendungen für die Planung gemacht und Ausführungsaufträge vergeben worden; zudem war der Aushub zu einem grossen Teil erstellt, und es wurde mit den Betonarbeiten begonnen. Das alles verunmöglichte es aber nicht, die angefangenen Bauten zurückzustellen und im Sinne der Initiative neu zu überprüfen. Von einer offensichtlichen Undurchführbarkeit kann unter solchen Umständen nicht gesprochen werden. Ob es sich dagegen im heutigen Zeitpunkt rechtfertige, die fraglichen Bauten, welche dem Vernehmen nach schon recht weit gediehen sind, einzustellen und dadurch bedeutende finanzielle Einbussen in Kauf zu nehmen, hat nicht das Bundesgericht, sondern der Stimmbürger zu entscheiden. c) Auch der Tatbestand des Rechtsmissbrauchs ist nicht erfüllt. Zwar scheint der Regierungsrat ein gewisses Gewicht BGE 94 I 120 S. 127 darauf zu legen, dass die Initianten den Gemeindeversammlungsbeschluss vom 21. Januar 1965, dessen Wiedererwägung sie unbestrittenermassen erreichen wollen, nicht mit Beschwerde angefochten haben. Zu einem solchen Vorgehen bestand aber damals kein Anlass: der Beschwerdeführer tut nämlich glaubhaft dar, dass die Tatsachen, welche nach Ansicht der Initianten eine Wiedererwägung jenes Beschlusses erfordern, diesen erst geraume Zeit nach Ablauf der Beschwerdefrist bekannt wurden. Ein widersprüchliches Verhalten kann den Unterzeichnern der umstrittenen Initiative deshalb nicht vorgeworfen werden. 5. War aber der Regierungsrat nach dem Gesagten nicht berechtigt, die Initiative II ungültig zu erklären, dann verletzt sein Entscheid den § 12 GaOG und muss aufgehoben werden. Ob auch die weiteren in der Beschwerde enthaltenen Rügen begründet seien, kann bei diesem Ausgang unerörtert bleiben. Dispositiv Demnach erkennt das Bundesgericht: Die Beschwerde wird dahin gutgeheissen, dass der Entscheid des Regierungsrates des Kantons Aargau vom 31. August 1967 aufgehoben wird.
public_law
nan
de
1,968
CH_BGE
CH_BGE_001
CH
Federation
21d64f4c-664e-4c6d-a163-ac8ff78f5f80
Urteilskopf 103 Ib 126 23. Urteil vom 18. März 1977 i.S. X. gegen Schweizerische Genossenschaft für Schlachtvieh- und Fleischversorgung und Eidgenössisches Volkswirtschaftsdepartement
Regeste Schlachtviehordnung: Vorübergehender Ausschluss von der Einfuhrberechtigung. - Zulässigkeit der Verwaltungsgerichtsbeschwerde; Rechtsnatur der Sanktion; Überprüfungsbefugnis des Bundesgerichts (E. 1). - Verteilung der Beweisführungs- und Beweislast; Anforderungen an den Nachweis der Pflichterfüllung (E. 2). - Bemessung der Massnahmedauer; Ermessen und Verhältnismässigkeitsgrundsatz (E. 4 und E. 5).
Sachverhalt ab Seite 127 BGE 103 Ib 126 S. 127 Die Schweizerische Genossenschaft für Schlachtvieh- und Fleischversorgung (GSF) teilte der Beschwerdeführerin im Schreiben vom 7. Mai 1976 mit, ihr Unternehmen werde wegen nicht pflichtgemässer Überschussverwertung von Bankvieh 1975 aufgrund des Entscheids der Abteilung für Landwirtschaft (AfL) ab 5. Juli 1976 von der Einfuhr von grossem Schlachtvieh und Fleisch von solchem ausgeschlossen, und zwar für die Dauer von 2 Jahren, eventuell für eine etwas kürzere Zeitspanne. Die Beschwerdeführerin wurde darauf aufmerksam gemacht, dass dieses Schreiben als beschwerdefähige Verfügung der AfL gelte. Die Betroffene wandte sich dagegen an das Eidg. Volkswirtschaftsdepartement (EVD), das die Beschwerde am 13. August 1976 abwies. Das EVD kam zum Schluss, dass die Beschwerdeführerin ihrer Einlagerungspflicht nicht nachgekommen sei; sie bestätigte die angefochtene Verfügung, weil sie die Sanktion an sich und im Verhältnis zu den in andern, gleichgelagerten Fällen verfügten Massnahmen, als angemessen erachtete. Gegen den Beschwerdeentscheid des EVD richtet sich die vorliegende Verwaltungsgerichtsbeschwerde. Die Beschwerdeführerin stellt die Rechtsbegehren, die angefochtene Verfügung sei aufzuheben und es sei von einer Bestrafung Umgang zu nehmen, eventuell sei eine wesentlich mildere Strafe zu verhängen. Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab. Erwägungen Erwägungen: 1. Die Beschwerde richtet sich gegen einen Entscheid des EVD, in welchem der von der AfL verfügte temporäre Ausschluss der Beschwerdeführerin von der Einfuhr bestimmter Fleischwaren bestätigt wird. a) Das Bundesgericht beurteilt nach Art. 97 Abs. 1 OG letztinstanzlich Verwaltungsgerichtsbeschwerden gegen Verfügungen im Sinne von Art. 5 VwVG ; als solche gelten Anordnungen der Behörden im Einzelfall, die sich auf öffentliches Recht des Bundes stützen. Der angefochtene Entscheid zählt nach Art. 98 lit. b OG zu derartigen Verfügungen, da er bestehende Rechte aufhebt bzw. abändert ( Art. 5 Abs. 1 lit. a VwVG ). Der Entscheid fällt unter keine der in den Art. 99 bis 102 OG aufgezählten Ausnahmen. Gegenstand der Verfügung ist eine Sanktion des Verwaltungsrechts des Bundes BGE 103 Ib 126 S. 128 wegen Zuwiderhandlung gegen die Schlachtviehordnung (SVO). Diese Sanktion ist keine Strafe, auch nicht im Sinne des VStrR, und unterliegt demgemäss nicht der Beurteilung durch die nach den massgeblichen straf- bzw. verwaltungsstrafrechtlichen Bestimmungen zuständigen Strafverfolgungsbehörden. Dem Ausschluss von der Einfuhr, auch dem bloss vorübergehenden, kommt als Massnahme des Verwaltungsrechts - ähnlich wie beispielsweise dem Entzug des Führerausweises nach Strassenverkehrsrecht - neben einer allfälligen strafrechtlichen Ahndung selbständige Bedeutung zu (vgl. auch Art. 14 VStrR ). b) Mit der Verwaltungsgerichtsbeschwerde kann die Verletzung von Bundesrecht mit Einschluss der Ermessensüberschreitung und des Ermessensmissbrauchs, sowie unrichtige oder unvollständige Feststellung des rechtserheblichen Sachverhalts gerügt werden ( Art. 104 lit. a und b OG ); ausgeschlossen ist die Rüge der Unangemessenheit in allen Fällen, da das Bundesrecht den Richter nicht zur freien Überprüfung des Ermessens ermächtigt ( Art. 104 lit. c OG ). Weder das Landwirtschaftsgesetz (LwG) noch die SVO räumen dem Bundesgericht eine derart ausgedehnte Kontrollbefugnis ein. Das Gericht prüft aber die angefochtene Massnahme daraufhin, ob sie dem Grundsatz der Verhältnismässigkeit entspricht; denn die Verhältnismässigkeitskontrolle bildet Teil der Rechtskontrolle. c) Ausgangspunkt des vorliegenden Rechtsstreites ist Art. 47 SVO. Danach können Importeure u.a. dann dauernd oder vorübergehend von der Einfuhrberechtigung ausgeschlossen werden, wenn sie die ihnen gemäss Art. 24 ff. SVO auferlegten Übernahmepflichten nicht erfüllen. Rechtsfrage ist, ob die Voraussetzungen für den Ausschluss von der Einfuhrberechtigung gegeben sind, Ermessensfrage dagegen, ob und für welche Dauer die Berechtigung entzogen werden soll. 2. Die pflichtgemässe Überschussverwertung von Fleisch kann angeordnet werden, wenn die Marktpreise für Schlachttiere die unterste Abweichung von den Richtpreisen, zu deren Festsetzung der Bundesrat nach Art. 31 LwG befugt ist, zu unterschreiten drohen (Art. 28 Abs. 3 SVO). Sie stellt eine Massnahme zur Stützung der Schlachtvieh- und Fleischpreise dar; dabei wird entweder Fleisch vom Grossvieh eingefroren und gelagert, bis die Auslagerung bewilligt wird BGE 103 Ib 126 S. 129 (Art. 28 Abs. 1 lit. a SVO) oder es werden zusätzlich, d.h. über die bisherigen Fabrikationsvolumen hinaus, Fleischkonserven hergestellt (daselbst lit. b), oder aber Schlachtvieh und Fleisch ausgeführt (daselbst lit. c). Im hier zu beurteilenden Zusammenhang steht nur die Einlagerungspflicht in Frage. Sie ist eine Massnahme, die darauf abzielt, durch eine zeitweise Erhöhung der Inlandnachfrage von seiten der Importeure, die Preise auf dem Inlandmarkt zu stützen, ohne dass das Angebot gleichzeitig vergrössert wird. Als solche stellt sie eine Gegenleistung der Importeure für die Vorteile dar, die diesen aus der Importberechtigung erwachsen. Das gesetzte Ziel kann nur erreicht werden, wenn die Verpflichteten die angeordneten Massnahmen gewissenhaft ausführen. Die SVO schreibt deshalb vor (Art. 28 Abs. 4), dass jene Unternehmen, die Überschüsse pflichtmässig zu verwerten haben, den zuständigen Kontrollorganen jederzeit die Einhaltung ihrer Verpflichtung müssen nachweisen können. Sie überbindet damit Beweisführungs- und Beweislast für die pflichtgemässe Überschussverwertung den verpflichteten Unternehmen, und zwar zu Recht, denn praktisch ist nur der Importberechtigte und Verwertungsverpflichtete in der Lage, nachzuweisen, dass er seine Übernahme- und Verwertungspflicht erfüllt hat. An den Nachweis der Pflichterfüllung sind strenge Anforderungen zu stellen, würde es doch sonst angesichts der begrenzten Überprüfungsmöglichkeiten der Verwaltung den Verwertungsverpflichteten zu leicht gemacht, Missbrauch zu treiben und das zwischen Behörde und Importberechtigten notwendige Vertrauensverhältnis widerrechtlich zum eigenen Vorteil auszunützen. 3. (Beweiswürdigung: Feststellung, dass die Beschwerdeführerin den ihr obliegenden Beweis dafür, dass sie ihr Pflichtquantum rechtzeitig einlagerte, nicht erbracht hat.) 4. Art. 47 SVO stellt die Anordnung des Ausschlusses von der Einfuhrberechtigung wegen Zuwiderhandlung gegen die Verordnungsvorschriften in das pflichtgemässe Ermessen der zuständigen Behörde. Die Verordnung ermöglicht damit, bei bloss unbedeutenden Verstössen gegen die SVO von einer einschneidenden Massnahme wie jener des gänzlichen oder vorübergehenden Ausschlusses abzusehen. Schwere Verstösse - wie sie hier zur Diskussion stehen - dürfen dagegen, soll BGE 103 Ib 126 S. 130 die geordnete und vollständige Durchführung der in der SVO vorgesehenen Stützungsmassnahmen gewährleistet sein, schon aus generalpräventiven Gründen nicht folgenlos bleiben. Die AfL und das EVD im Beschwerdeverfahren haben daher grundsätzlich zu Recht gegenüber der Beschwerdeführerin eine Massnahme angeordnet. Auf welche Zeitspanne sich der verfügte vorübergehende Ausschluss erstrecken soll, ist - wie gesagt - Ermessensfrage, die das Bundesgericht im Lichte des Verhältnismässigkeitsgrundsatzes nur auf Ermessensüberschreitung oder Ermessensmissbrauch überprüft. 5. Bei der Bemessung der Massnahmedauer ist den zuständigen Behörden ein weiter Ermessensspielraum eingeräumt. Massgebliche Kriterien müssen dabei die Schwere der Widerhandlungen und die Tragweite der Auswirkungen sein, welche die Sanktion für den Betroffenen zeitigen. Es fällt aber auch das übrige Verhalten des Fehlbaren ins Gewicht. So erscheint es keineswegs bedeutungslos, ob es sich um eine erstmalige Verfehlung handelt, oder ob gegen den Fehlbaren bereits früher Massnahmen wegen Zuwiderhandlung gegen die Grundsätze der SVO ergriffen werden mussten. Rechnung zu tragen ist nicht zuletzt dem öffentlichen Interesse an einer undurchbrochenen Durchsetzung der gesetzlichen Ordnung, d.h. am geschützten Rechtsgut, das durch die Widerhandlung beeinträchtigt wurde. Es besteht nämlich ein gewichtiges öffentliches Interesse daran, dass die aufgrund der SVO ergriffenen, im Allgemeininteresse liegenden Anordnungen von den zur Mitwirkung verpflichteten und gerade deshalb - weil importberechtigt - bevorzugten Mitgliedern der GSF ernst genommen und gewissenhaft befolgt werden. Wird das Vertrauen, das die Behörden den an der Überschussverwertung Beteiligten entgegenbringen, missbraucht, ruft dies aus individual- und generalpräventiven Gründen nach einer strengen Sanktion. Der Fehlbare muss zwar - wie hier - nicht unbedingt gänzlich von der Importberechtigung ausgeschlossen werden, er soll aber durch einen vorübergehenden Ausschluss, der zugleich einen temporären Vorteilsentzug und eine mögliche Einkommenseinbusse darstellt, gewarnt und in Zukunft zu einem rechtsgemässen und gewissenhaften Verhalten bestimmt werden. Dem Grundsatz der Verhältnismässigkeit entsprechend ist eine solche Massnahme geeignet, sie darf aber, in ihrer zeitlichen Ausdehnung, nicht über das hinausgehen, BGE 103 Ib 126 S. 131 was nach pflichtgemässem Ermessen zur Erreichung des Zwecks notwendig erscheint. a) Nach Angabe der zuständigen Organe musste im Zusammenhang mit der pflichtgemässen Überschussverwertung im Jahre 1975 gegen rund 400 Einfuhrberechtigte ein Ausschluss von der Einfuhrberechtigung angeordnet werden. Die GSF hielt sich dabei an gewisse von ihr selbst aufgestellte Regeln, die sie auch der Beschwerdeführerin gegenüber anwandte. In ihrer Verfügung vom 7. Mai 1976 führt sie an, die Beschwerdeführerin werde so lange von der Einfuhrberechtigung für grosses Schlachtvieh sowie von Fleisch von solchem ausgeschlossen, bis sie - als Folge des Ausschlusses - auf mindestens soviel eingeführtes Grossvieh bzw. Fleisch von solchem habe verzichten müssen, als dem Anteil an derartigen Importen im Durchschnitt der vergangenen sechs Jahre entspreche, dem keine Pflichtmenge gegenüberstehe. Der Ausschluss dauere deshalb ab 5. Juli 1975 zwei Jahre; sollte die erwähnte Einfuhrmenge schon früher abgetragen sein, könne die Fehlbare mit besonderer Verfügung auf diesen Zeitpunkt wieder zur Einfuhr zugelassen werden. Nach der Berechnung der GSF entspricht die fehlende Pflichtlagermenge einer Einfuhrmenge von 30562 kg. Dabei geht sie davon aus, es müsse der Beschwerdeführerin eine gelagerte Menge von 1482 kg gutgeschrieben werden, nämlich die bei ihr vorgefundenen 600 kg, sowie die 20% der Pflichtmenge, deren Auslagerung im Zeitpunkt der Kontrolle gestattet war. Diese als gelagert betrachtete Menge entspricht einem Einfuhrquantum von 15480 kg. Im weitern hat die GSF die Regel aufgestellt, dass diejenigen Firmen, die überhaupt nicht eingelagert hatten, mit einem Entzug der Einfuhrberechtigung von drei Jahren belegt würden. Liegt das fehlende Quantum zwischen 50-99%, beträgt die Entzugsdauer 2 Jahre, liegt es zwischen 20-49%, wird eine Einfuhrsperre von einem Jahr ausgesprochen. Liegt die fehlende Menge unter 20%, wird auf einen Entzug der Einfuhrbewilligung verzichtet, da es - nach Auffassung der GSF - aus administrativen Gründen nicht möglich sei, einen Ausschluss von weniger als einem Jahr anzuordnen. Da die Beschwerdeführerin nicht nachweisen konnte, dass sie eine 1482 kg übersteigende Menge eingelagert hat, die von ihr zu lagernde Gesamtmenge aber 4408 kg betrug, hat sie BGE 103 Ib 126 S. 132 etwa 2/3 des Pflichtquantums nicht eingelagert, was nach der Praxis der GSF zu einem zweijährigen Entzug der Einfuhrberechtigung führt. Die zweijährige Frist kann gemäss der angefochtenen Verfügung gekürzt werden, wenn die Beschwerdeführerin vor Ablauf der zwei Jahre eine Fleischmenge von 30562 kg einführen kann. Nach der gegenwärtigen Wirtschaftslage, die zu einer Kürzung der Fleischimporte geführt hat, ist es aber wenig wahrscheinlich, dass dieses Quantum vor Ablauf von zwei Jahren erreicht wird. Dieser Bemessung der Massnahmedauer durch die GSF, bei der das fehlende Pflichtquantum zu den Importmengen in Beziehung gesetzt wird, die den Pflichtlagermengen entsprechen, sind Sachgemässheit und Folgerichtigkeit nicht abzusprechen. Das Vorgehen ist schematisch und muss es im wesentlichen sein; allerdings wird damit auf die objektiven und subjektiven Verhältnisse beim Betroffenen wenig Rücksicht genommen. Diese und namentlich die Massnahmeempfindlichkeit des Fehlbaren dürfen nicht ausser acht gelassen werden. b) Nach den glaubhaften Angaben des Geschäftsführers trifft ein zweijähriger Kontingentsentzug die Beschwerdeführerin schwer. Metzgereien sind auf die Importmöglichkeit angewiesen, wenn ein branchenüblicher Geschäftsertrag erzielt werden soll. Weil das Importfleisch in der Regel wesentlich billiger ist als die Inlandware, muss der Metzger bei der Kalkulation des Verkaufspreises eine sog. Mischrechnung vornehmen können, in die Importware und Inlandware einbezogen werden. Fällt die Importmöglichkeit weg, ist der Metzger gegenüber seinen importberechtigten Konkurrenten benachteiligt. Der Geschäftsführer bezifferte anlässlich der Instruktionsverhandlung die Ertragseinbusse der Beschwerdeführerin bei Wegfall der Importmöglichkeit während zwei Jahren auf rund Fr. 100'000.--. In einer nachträglichen Eingabe macht die Beschwerdeführerin geltend, bei Berücksichtigung der Inlandpreise 1976 betrage der Minderertrag je Jahr sogar Fr. 189'920.--. Die Nettoerträge des Geschäftes hätten demgegenüber in den Jahren 1972 bis 1976 zwischen Fr. 50'562.- bis Fr. 67'625.-- geschwankt. Die Vorinstanzen haben aber in ihren Stellungnahmen zu dieser Berechnung überzeugend dargetan, dass damit von unzutreffenden Voraussetzungen ausgegangen wird, weil die Berechnung auf der Annahme basiert, es BGE 103 Ib 126 S. 133 könne in Zukunft die selbe Menge Fleisch importiert werden wie in der Vergangenheit. Zufolge der derzeitigen Marktverhältnisse müsse jedoch mit einer Verringerung der zugelassenen Fleischimporte gerechnet werden. Während die Beschwerdeführerin annehme, sie hätte in jedem Jahr 20300 kg einführen können, hätte die ihr zustehende Einfuhrmenge von November 1976 bis März 1977 (4 Monate) nach den Berechnungen der GSF nur 2444 kg betragen, oder auf das Jahr umgerechnet 7332 kg. Ausserdem habe die Beschwerdeführerin bei der Ermittlung ihrer Verluste mit maximal hohen Inlandfleischpreisen gerechnet, während die effektiv zu bezahlenden Preise nach Ort, Zeit und Verkäufer schwankten. Es ist somit davon auszugehen, dass die selben Massnahmen bei gleicher Zeitdauer sich für den Betroffenen wirtschaftlich unterschiedlich auswirken können, weil die Schwere dieser Auswirkungen im Einzelfall von den Importmöglichkeiten während der Dauer des Ausschlusses und der damit zusammenhängenden Entwicklung der Inlandpreise abhängt. Die im Rahmen des vorliegenden Falles interessierenden Verhältnisse auf dem Markt für grosses Schlachtvieh sowie für Fleisch von solchem lassen den Schluss zu, dass die Einbussen, welche die Beschwerdeführerin durch den verfügten zweijährigen Ausschluss von der Einfuhrberechtigung erleidet, erheblich weniger hoch zu veranschlagen sind, als die Betroffene es annimmt. Zugunsten der Beschwerdeführerin wirkt sich zudem aus, dass der effektive Ausschluss nur 20 Monate dauert. Im Regelfall beginnt nämlich das Jahr, für dessen Dauer ein Kontingent festgelegt wird, im Monat Juli. Im Jahr 1976 konnten zufolge einer hängigen Revision der SVO die Kontingente erst im Monat November errechnet werden. Bis dahin durfte die Beschwerdeführerin weiter importieren. c) Selbst wenn man davon ausgeht, dass der vorübergehende Ausschluss von der Einfuhrberechtigung die Beschwerdeführerin bei weitem nicht derart einschneidend trifft, wie sie selber annimmt, ist nicht zu verkennen, dass die angeordnete Massnahme erhebliche Auswirkungen auf den Geschäftsertrag ihres Unternehmens zeitigen wird, mithin eine harte Sanktion darstellt. Dem steht aber die Tatsache gegenüber, dass die Beschwerdeführerin es bis anhin mit der Einhaltung der Vorschriften der SVO offensichtlich nicht ernst genommen hat. So reichte sie im Jahre 1974 der GSF unrichtig ausgefüllte Erhebungsbogen BGE 103 Ib 126 S. 134 zur Kontingentsermittlung ein, worauf ihr ungerechtfertigterweise überhöhte Einfuhrkontingente eröffnet wurden. Diese Tatsache, die auch Gegenstand eines hängigen Strafverfahrens bildet, war der Behörde bereits bekannt, als sie die angefochtene Verfügung erliess. Stellt man daher die Schwere der angeordneten Massnahme unter Berücksichtigung der Härte, die sie für den betroffenen Betrieb bedeutet, dem Verhalten gegenüber, das der Beschwerdeführerin angelastet werden muss, liegt in der Bemessung der Dauer des Ausschlusses auf grundsätzlich 2 Jahre (effektiv 20 Monate oder weniger) weder eine Ermessensüberschreitung noch ein Ermessensmissbrauch und somit keine Bundesrechtsverletzung. Die Massnahme erscheint vielmehr - auch in ihrer zeitlichen Bemessung - notwendig und geeignet, das fehlbare Unternehmen und seine Leitung zu warnen und sie zu einem inskünftig rechtsgemässen Verhalten anzuspornen. Die Beschwerde erweist sich somit als unbegründet.
public_law
nan
de
1,977
CH_BGE
CH_BGE_003
CH
Federation
21d6e64a-7fe7-4898-9176-8f2a925628f3
Urteilskopf 118 IV 248 45. Extrait de l'arrêt de la Cour de cassation pénale du 10 juillet 1992 dans la cause A., B., C. et D. c. X. et Y. (pourvoi en nullité)
Regeste Art. 173 ff. StGB ; Ehrverletzung. Der Angeklagte, der im Rahmen des Strafverfahrens ihn belastende Aussagen bestreitet, macht sich gegenüber deren Urheber in der Regel nicht der Ehrverletzung schuldig; er ist durch Art. 32 StGB geschützt, wenn er sich auf notwendige und erhebliche Äusserungen beschränkt und nicht unnötig verletzende Ausdrücke gebraucht (E. 2b und E. 2d). Der Anwalt, der im Strafverfahren Bestreitungen seines Mandanten übernimmt, kann sich ebenfalls auf Art. 32 StGB berufen, wenn er sich auf notwendige und erhebliche Äusserungen beschränkt; Behauptungen darf er nicht wider besseres Wissen aufstellen und blosse Vermutungen muss er als solche bezeichnen (E. 2c).
Sachverhalt ab Seite 249 BGE 118 IV 248 S. 249 A.- Le 26 décembre 1989, alors que les époux D. et X. connaissaient de graves difficultés conjugales, A., B. et C., respectivement mère, père et frère de l'épouse, ont déposé plainte pénale pour menaces contre X., le mari. Dans le cadre de la procédure pénale, celui-ci, défendu par l'avocat Y., a contesté les faits, soutenant en substance que sa belle-famille faisait bloc contre lui et ne disait pas la vérité. Ses dénégations furent rejetées par le Juge-instructeur III du district de Sierre qui, par jugement du 20 mars 1991, le condamna, pour menaces, à une amende et à une indemnité envers les plaignants; cette décision fut confirmée, sur appel, par le Tribunal du IIe arrondissement pour le district de Sierre le 2 septembre 1991. B.- Le 19 juin 1991, A., B. et C. ont déposé plainte pénale contre Y. pour diffamation et injures et contre X. pour instigation à ces infractions et calomnie; le même jour, D. a déposé plainte contre Y. pour diffamation et contre X. pour instigation à cette infraction et calomnie. BGE 118 IV 248 S. 250 Ils se plaignent des termes employés par l'avocat, dans le cadre de la procédure pénale pour menaces dirigée contre X., d'une part lors de sa plaidoirie devant le Juge-instructeur III et d'autre part dans le mémoire d'appel adressé au Tribunal du IIe arrondissement. A. et B. soutiennent que la défense adoptée par l'accusé et son avocat revenait à les accuser de dénonciation calomnieuse; C. estime qu'il a été ainsi accusé d'instigation à faux témoignage et de dénonciation calomnieuse, tandis que D., qui a témoigné dans la procédure dirigée contre son mari, considère qu'elle a été accusée de faux témoignage. Le 3 mars 1992, le Juge d'instruction pénale a refusé de donner suite à ces plaintes et la Chambre pénale du Tribunal cantonal a confirmé cette décision par arrêt du 5 mai 1992. Cette dernière autorité a considéré que les allégations litigieuses étaient liées à la défense pénale et que dans ce contexte elles n'étaient pas susceptibles de léser l'honneur. C.- Contre cet arrêt, les plaignants se sont pourvus en nullité à la Cour de cassation du Tribunal fédéral. Invoquant une violation de l' art. 173 CP , en relation avec l' art. 32 CP , ils concluent à l'annulation de l'arrêt attaqué, sous suite de frais et dépens, et sollicitent par ailleurs l'effet suspensif. Erwägungen Extrait des considérants: 2. a) Dans leur pourvoi, les recourants soutiennent qu'ils ont été victimes d'une diffamation au sens de l' art. 173 ch. 1 CP - contrairement à ce qu'a admis la Chambre pénale cantonale -, parce que le système de défense adopté par l'accusé et son avocat, dans le cadre de la procédure pénale pour menaces, revenait à dire qu'ils avaient menti et qu'ils s'étaient rendus coupables d'une infraction, à savoir - suivant les cas - la dénonciation calomnieuse, le faux témoignage et l'instigation à faux témoignage. La Chambre pénale cantonale, pour sa part, a estimé - sans faire aucune référence à l' art. 32 CP - que les propos litigieux s'inscrivaient dans le cadre de la défense d'un accusé contestant les faits qui lui étaient reprochés et que, dans ce contexte, ils n'étaient pas susceptibles de porter atteinte à l'honneur. b) Celui qui, en s'adressant à un tiers, accuse une personne ou jette sur elle le soupçon d'avoir commis un crime ou un délit intentionnel BGE 118 IV 248 S. 251 se rend en principe coupable d'une atteinte à l'honneur (cf. TRECHSEL, Kurzkommentar StGB, vor Art. 173 No 4 et les références citées). Cependant, pour apprécier si une déclaration est attentatoire à l'honneur, il faut procéder à une interprétation objective selon le sens que le destinataire non prévenu devait, dans les circonstances d'espèce, lui attribuer ( ATF 117 IV 29 s., ATF 105 IV 118 consid. b, 196 consid. 2a). Les mêmes termes n'ont donc pas nécessairement la même portée suivant le contexte dans lequel ils sont employés. C'est ainsi que dans le cadre d'une campagne électorale où chacun sait que les attaques entre adversaires politiques doivent être prises avec une grande circonspection, on n'admettra qu'avec beaucoup de retenue l'existence d'une atteinte à l'honneur ( ATF 116 IV 150 consid. c, ATF 105 IV 196 consid. 2a et b). En l'espèce, les propos ont été tenus pour la défense d'un accusé. Il faut relever en premier lieu qu'ils ne sont parvenus à la connaissance que des membres du tribunal et des parties à la procédure, c'est-à-dire d'un nombre restreint de personnes qui, de surcroît, étaient toutes parfaitement conscientes des circonstances dans lesquelles ils avaient été énoncés. Or, dans un tel contexte, chacun comprend que l'accusé représenté par son avocat, lorsqu'il conteste les déclarations selon lesquelles il aurait commis une infraction, s'efforce d'échapper à la poursuite pénale en provoquant un examen critique des moyens de preuve invoqués à son encontre. On sait que les dénégations de l'accusé ne seront pas suivies aveuglément, mais évaluées en regard des autres éléments recueillis. La contestation des déclarations à charge ne s'interprète pas comme une atteinte à l'honneur de leur auteur, mais comme une réaction de défense qui appelle une appréciation des preuves. Dans une telle situation, on ne saurait tolérer que le droit du prévenu de se défendre soit limité par la crainte de n'être pas en mesure de rapporter la preuve libératoire (SCHUBARTH, Kommentar Strafrecht, Bes. Teil., 3e vol., art. 173 No 111). Cela a pour conséquence que, dans des circonstances de ce genre, l'on ne peut admettre qu'avec beaucoup de retenue l'existence d'une atteinte à l'honneur susceptible de répression pénale. Il ne faut, de surcroît, pas oublier qu'avant qu'un recours à une procédure pénale ne soit nécessaire dans un pareil contexte, le juge a la possibilité de prononcer des peines disciplinaires à l'encontre des plaideurs qui adoptent un comportement incorrect (PIQUEREZ, Précis de procédure pénale suisse, No 610). Or, une telle sanction devrait s'avérer suffisante dans la majorité des cas où une partie ou son mandataire a quelque peu outrepassé ses droits. BGE 118 IV 248 S. 252 Une interprétation contraire conduirait à entraver gravement les droits de la défense et à donner un prolongement, par la voie des délits contre l'honneur, à presque toutes les affaires pénales contestées. En effet, le droit pénal réprime aussi bien l'acte pour lequel l'accusé est poursuivi que la dénonciation calomnieuse et le faux témoignage; en conséquence, les déclarations faites dans le cadre du procès, en cas de contestation, pourraient presque toujours donner lieu à une poursuite subséquente pour atteinte à l'honneur. Celui qui, dans un procès pénal, fait une déclaration à charge ne doit pas se sentir atteint dans son honneur si l'accusé la conteste; il doit y voir une simple réaction de défense. D'ailleurs, en l'espèce, le fait que le juge ait écarté les dénégations de l'accusé était de nature à donner satisfaction aux recourants. c) Même si l'on devait considérer qu'il y a atteinte à l'honneur, la jurisprudence admet qu'elle peut être justifiée, sous l'angle de l' art. 32 CP , par l'obligation d'alléguer dans le cadre d'une procédure judiciaire ( ATF 116 IV 213 s. consid. 4 et les arrêts cités), dont l'avocat peut également se prévaloir ( ATF 118 IV 161 consid. b; SCHUBARTH, op.cit., art. 173 No 111). Il faut cependant, selon cette jurisprudence, que la partie se soit limitée à ce qui était nécessaire et pertinent, qu'elle ait articulé ses propos de bonne foi et qu'elle ait présenté comme telles de simples suppositions ( ATF 116 IV 214 ). Il apparaît d'emblée en l'espèce que l'avocat Y. a rempli ces conditions, ce qui suffit pour justifier le refus de suivre à son encontre. En effet, les propos litigieux ont tous pour but de contester le fait que l'accusé X. ait proféré des menaces et de mettre en doute les déclarations qui lui sont opposées à ce sujet. Ils étaient donc nécessaires et pertinents pour la défense. On ne voit pas non plus que l'avocat ait eu des raisons de douter des dénégations catégoriques et des affirmations de son client, de sorte qu'il s'est exprimé de bonne foi. Il n'a pas davantage recouru à des formules inutilement blessantes. C'est à tort que C. prétend, dans sa plainte, que le mémoire d'appel aurait sous-entendu qu'il avait commis des fraudes ou des tromperies; il est simplement indiqué dans cette écriture que des avocats ont été condamnés pour de telles infractions, de sorte que le seul fait que C. soit avocat n'implique pas que l'on doive le suivre aveuglément dans ses déclarations. d) La question est évidemment plus délicate en ce qui concerne X., dont les plaignants contestent la bonne foi. BGE 118 IV 248 S. 253 On doit cependant se demander si l'exigence de la bonne foi, formulée de façon générale à l' ATF 116 IV 214 , est applicable au cas particulier de l'accusé qui conteste à tort la véracité des déclarations à charge. Il est communément admis que l'accusé n'a pas l'obligation d'avouer et qu'il a le droit de se taire (STRATENWERTH, Darf der Verteidiger dem Beschuldigten raten zu schweigen? RSJ 74 (1978) p. 218; DOMINIQUE PONCET, La protection de l'accusé par la Convention européenne des droits de l'homme, Genève 1977 p. 141; PIQUEREZ, op.cit., No 965 s. et les références citées). En présence de déclarations précises qui l'accusent, il ne pourrait assurer une défense efficace en se bornant à garder le silence; il est donc admis qu'il n'est pas obligé de dire la vérité et qu'il ne saurait être poursuivi pour de fausses dénégations. On ne saurait détourner ce principe par la construction artificielle consistant à voir dans la dénégation de l'accusé une allégation de dénonciation calomnieuse ou de faux témoignage à l'encontre de la personne qui a déposé contre lui. On créerait en effet ainsi un risque, qui a déjà été qualifié plus haut d'inadmissible, que le droit du prévenu de se défendre soit entravé par la crainte de ne pas être en mesure de rapporter la preuve libératoire. La situation particulière de celui qui est accusé au pénal commande de modifier le principe général de l' ATF 116 IV 211 ss. On ne saurait cependant admettre que l'accusé puisse employer n'importe quel moyen et, par exemple, qu'il échafaude - en dehors de la contestation du fait délictueux lui-même - des mensonges attentatoires à l'honneur pour ruiner la réputation de la personne qui dépose contre lui. Ainsi, il faut admettre que l'ordre juridique permet - au sens de l' art. 32 CP - à l'accusé de contester avoir commis l'acte délictueux qui lui est reproché et de soulever des arguments de nature à mettre en doute la crédibilité des déclarations qui lui sont opposées; il faut cependant qu'il se limite à ce qui est nécessaire et pertinent, sans recourir à des formules inutilement blessantes; en dehors de la contestation des éléments constitutifs de l'infraction qui lui est reprochée, il ne peut pas, pour ruiner la crédibilité des déclarations à charge, proférer des allégations fausses ou qu'il n'a pas de raisons suffisantes de tenir de bonne foi pour vraies. En l'espèce, il a déjà été constaté, dans le cas de l'avocat Y., que les propos litigieux se limitaient à ce qui était nécessaire et pertinent, sans recourir à des formules inutilement blessantes, pour contester l'acte délictueux et mettre en doute la crédibilité des déclarations à BGE 118 IV 248 S. 254 charge. Même si l'accusé savait que ses dénégations étaient fausses, l'ordre juridique lui permettait la contestation et la critique des moyens de preuve, de sorte que l' art. 32 CP exclut une condamnation de ce chef pour atteinte à l'honneur. Il n'en irait différemment que si, en dehors de la contestation des menaces, l'accusé avait allégué, au sujet des personnes qui déposaient contre lui, des faits attentatoires à l'honneur qui étaient faux ou qu'il n'avait pas de raisons suffisantes de tenir pour vrais. Or, les constatations cantonales - qui lient la Cour de cassation ( art. 277bis al. 1 PPF ) - ne contiennent rien de précis dans ce sens, pas plus d'ailleurs que le mémoire des recourants. Ainsi, le refus de suivre à l'égard de X., même si l'on devait considérer que sa défense était objectivement attentatoire à l'honneur, ne viole pas le droit fédéral.
null
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1,992
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Federation
21e34982-4937-4e64-b37c-10bb67d0e28c
Urteilskopf 109 IV 168 47. Sentenza della Corte di cassazione penale del 18 luglio 1983 nella causa A. c. Procura pubblica sottocenerina (ricorso per cassazione)
Regeste Art. 314 StGB . Ungetreue Amtsführung im Rahmen eines Submissionsverfahrens. Tat eines Gemeinderatsmitglieds, das als Inhaber der Hälfte des Aktienkapitals eines an einem Submissionsverfahren teilnehmenden Unternehmens ein den Vertragsbedingungen nicht entsprechendes Angebot einreicht und auf diese Weise, ohne die übrigen Mitglieder des Gemeinderates auf die ihnen entgangene Abweichung aufmerksam gemacht zu haben, den Zuschlag erhält. Die Gleichwertigkeit von angebotener und erbrachter Leistung schliesst die Widerrechtlichkeit der Tat nicht aus; der dazu gehörende Schaden entspricht der verschwiegenen Divergenz zwischen der angebotenen (und erbrachten) Leistung einerseits und der gemäss den Vertragsbedingungen gewünschten Leistung andererseits (E. 1-2). Die Pflichten eines Behördenmitglieds bei der Teilnahme an einer Sitzung, deren Verhandlungsgegenstand seine privaten Interessen betrifft, werden durch das kantonale Recht geregelt (E. 3). Zur Erfüllung des Tatbestandes von Art. 314 StGB genügt es, dass die Wahrung der öffentlichen Interessen im Submissionsverfahren in irgendeinem Stadium desselben unterblieb (E. 4).
Sachverhalt ab Seite 169 BGE 109 IV 168 S. 169 Nel 1977 A. era membro del Municipio di B. e, nel contempo, azionista per metà della ditta C. & A. S.A. Questa partecipava alla procedura d'appalto delle opere sanitarie per la costruenda casa comunale. Secondo il capitolato dovevano essere utilizzati all'uopo tubi zincati senza saldatura. Per presentare un'offerta più favorevole e ottenere così l'aggiudicazione dei lavori, la C. & A. S.A. proponeva la fornitura di tubi il cui prezzo era inferiore a quello dei tubi senza saldatura; tale prezzo era quello dei tubi con saldatura. Pur cosciente di ciò, A. partecipava alla seduta municipale del 27 giugno 1977 (in cui l'esecutivo comunale procedeva alla delibera degli impianti sanitari alla C. & A. S.A.), senza attirare l'attenzione degli altri municipali, i quali ritenevano che l'offerta corrispondesse al capitolato, sull'irregolarità sopra menzionata. La successiva scoperta di quest'ultima rendeva necessaria la sospensione dei lavori e l'allestimento di una perizia tecnica. Con sentenza del 13 ottobre 1982 il Presidente delle Assise correzionali competenti riconosceva A. colpevole, tra l'altro, d'infedeltà nella gestione pubblica (ai sensi dell' art. 314 CP ) a danno del Comune di B. e lo condannava, per tale ed altri reati, a dieci mesi di detenzione, sospesi condizionalmente con un periodo di prova di due anni, e a una multa di Fr. 200.--. Adita dall'imputato, la Corte di cassazione e di revisione penale BGE 109 IV 168 S. 170 del Cantone Ticino (CCRP) ne respingeva il gravame il 3 maggio 1983. A. ha impugnato avanti il Tribunale federale con ricorso per cassazione la sentenza della CCRP, chiedendo che essa sia annullata e la causa rinviata all'autorità cantonale per nuovo giudizio. Il Tribunale federale ha respinto il gravame, nella misura in cui era ammissibile. Erwägungen Considerando in diritto: 1. Si rende colpevole ai sensi dell' art. 314 CP d'infedeltà nella gestione pubblica chi, quale membro di un'autorità o quale funzionario, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, reca danno in un negozio giuridico agli interessi pubblici che doveva salvaguardare. Come rilevato dalla giurisprudenza del Tribunale federale, per ammettere l'infedeltà occorre che tali interessi, i quali possono essere di natura finanziaria o ideale, siano danneggiati mediante il negozio e i suoi effetti giuridici ( DTF 101 IV 411 consid. 2). 2. Nella fattispecie la CCRP ha ravvisato il danno subito dal Comune di B. nel fatto che quest'ultimo poteva attendersi, in base all'appalto delle opere sanitarie da esso aperto e dell'offerta presentata dalla ditta C. & A. S.A., che detta impresa avrebbe in caso di aggiudicazione dei lavori, fornito ed installato, conformemente al capitolato, tubi senza saldatura, ma che l'impresa stessa aveva invece fornito ed utilizzato tubi con saldatura, di minor prezzo e di minor valore. La CCRP ha applicato al proposito in via analogica i principi relativi alla nozione di danno quali stabiliti dalla giurisprudenza del Tribunale federale con riferimento all' art. 148 CP . Secondo tale giurisprudenza, un danno patrimoniale è possibile anche laddove la prestazione e la controprestazione a carico delle parti del negozio giuridico siano equivalenti, ma si trovino per la parte vittima dell'inganno in una relazione di valore meno favorevole di quella che le è fatta credere con l'affermazione di cose false o con la dissimulazione di cose vere o con l'utilizzazione dell'errore in cui versava la vittima stessa ( DTF 100 IV 276 consid. 3 e richiami). Questo modo di procedere della CCRP non è censurabile, contrariamente a quanto ritiene il ricorrente. Anche se quest'ultimo non avesse, quale rappresentante della ditta C. & A. S.A., promesso con l'offerta da lui BGE 109 IV 168 S. 171 fatta una prestazione di maggior valore di quella realmente fornita, egli ha nondimeno, discostandosi dal capitolato (che prevedeva per le opere sanitarie tubi senza saldatura), indotto in errore gli altri municipali, e li ha inoltre mantenuti in tale errore durante la deliberazione concernente l'aggiudicazione dell'appalto alla sua ditta, omettendo di segnalar loro la discrepanza esistente tra l'offerta e il capitolato, ossia venendo meno a un dovere al quale egli era tenuto nella sua qualità di municipale, secondo l'interpretazione vincolante del diritto cantonale effettuata dalla CCRP. Ciò ha avuto come conseguenza che il Municipio ha aggiudicato i lavori alla ditta C. & A. S.A. nella convinzione che sarebbero stati forniti al prezzo proposto per tubi senza saldatura, mentre in realtà il Comune otteneva tubi con saldatura, di minor valore. L'eccezione sollevata dal ricorrente, secondo cui non sussiste sul piano tecnico una differenza di qualità tra tubi con e tubi senza saldatura, concerne una questione di fatto che, come rilevato nella sentenza pronunciata dal Tribunale federale sul ricorso di diritto pubblico, è stata risolta dalla CCRP senza arbitrio in senso contrario alla tesi del ricorrente. Tale punto non può più essere nuovamente evocato in sede di ricorso per cassazione. 3. Il ricorrente contesta poi una gestione infedele da parte sua, adducendo gli art. 79 e 80 della legge organica comunale (LOC); secondo l'art. 79 LOC, egli non avrebbe potuto essere presente alla deliberazione dell'esecutivo comunale, stante la collisione d'interessi esistente in ragione dell'offerta della C. &. A. S.A.; avrebbe dovuto spossessarsi delle proprie funzioni ed assumere, relativamente all'oggetto in discussione, il ruolo di un privato cittadino. Tale argomentazione è priva di pregio, perché trascura quanto accertato dalla CCRP nella decisione impugnata, ossia che il ricorrente ha partecipato alla seduta del Municipio in cui è stata discussa l'offerta della C. & A. S.A. ed ha omesso di attirare l'attenzione degli altri municipali sull'irregolarità di tale offerta, contravvenendo così al suo obbligo di municipale di salvaguardare gli interessi pubblici nella procedura d'appalto. Ciò può significare soltanto che il ricorrente ha preso parte alla seduta non quale privato, bensì quale municipale, e che in tale sua qualità gli incombeva l'obbligo di ovviare all'errore in cui gli altri municipali versavano circa l'offerta di cui trattasi. La questione se una persona che partecipi ad una seduta del municipio lo faccia a titolo BGE 109 IV 168 S. 172 privato o quale municipale e a quali obblighi essa sia tenuta in quest'ultima qualità, non va decisa alla stregua del diritto federale, bensì di quello cantonale (cfr. DTF 108 IV 96 consid. 2a); tale diritto è d'altronde richiamato al proposito dalla CCRP, che menziona espressamente l'art. 80 LOC. L'interpretazione del diritto cantonale da parte del giudice cantonale è vincolante per il Tribunale federale in sede di giudizio su un ricorso per cassazione ( art. 273 cpv. 1 lett. b PP ), di guisa che le censure ricorsuali fondate sugli art. 79 e 80 LOC e su accertamenti della CCRP che divergono da quanto presupposto nel gravame non possono essere udite nella presente procedura. 4. Ai fini del giudizio è infine irrilevante che il ricorrente abbia preso parte solo alla deliberazione dell'esecutivo comunale relativo all'offerta della ditta C. & A. S.A., non invece alla votazione concernente l'aggiudicazione delle opere sanitarie a tale ditta. Secondo la sentenza impugnata, il ricorrente che, come sopra osservato, aveva partecipato alla seduta quale municipale, era tenuto a dissipare l'errore in cui la sua offerta - quanto meno divergente dal capitolato - aveva indotto gli altri municipali. Tale suo dovere sussisteva indipendentemente dal fatto che egli avesse o non avesse partecipato alla votazione. Come risulta chiaramente da DTF 101 IV 412 consid. 3a, perché sia realizzato il reato di cui all' art. 314 CP , è sufficiente che il membro dell'autorità abbia danneggiato gli interessi che doveva salvaguardare nel corso della procedura d'appalto. Priva d'importanza è la fase della procedura in cui l'infedeltà ha luogo. Determinante è nella fattispecie che il ricorrente, mediante il suo comportamento contrario ai doveri incombentigli quale municipale nel corso della procedura di appalto, ha indotto gli altri membri del Municipio di B. a concludere il negozio giuridico dannoso per gli interessi comunali.
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1,983
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21e46670-ae26-4c3f-b07f-51bf7c4874e1
Urteilskopf 138 V 420 50. Auszug aus dem Urteil der II. sozialrechtlichen Abteilung i.S. Stiftung N. der Firma S. AG gegen Amt für berufliche Vorsorge und Stiftungen des Kantons Zürich (Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten) 9C_125/2012 vom 12. Oktober 2012
Regeste Art. 89 bis Abs. 6 Ziff. 18 ZGB ; Art. 71 Abs. 1 BVG ; Art. 49a Abs. 2 lit. a, Art. 59 Abs. 1 lit. b und Art. 49-58a BVV 2 ; Anlagereglement eines patronalen Wohlfahrtsfonds. Auch bei einem patronalen Wohlfahrtsfonds ist das oberste Organ verpflichtet, ein Anlagereglement zu erlassen (E. 3.1 und 3.2). Die Bestimmungen der Art. 49 ff. BVV 2 sind im Rahmen der analogen Anwendung grosszügig auszulegen. Bei der Reglementsausgestaltung kann den Umständen des Einzelfalles Rechnung getragen werden (z.B. Differenzierung nach der Grösse des Fonds und seinen Leistungsausschüttungen; E. 3.3).
Sachverhalt ab Seite 421 BGE 138 V 420 S. 421 A. Mit Verfügung vom 11. August 2009 wies das Amt für berufliche Vorsorge und Stiftungen des Kantons Zürich (nachfolgend: Aufsichtsbehörde) die Stiftung N. der Firma S. AG (kurz: Stiftung N.) im Wesentlichen an, bestimmte Arbeitgeberbeitrags-Zahlungen für die Jahre 2006-2008 von der Arbeitgeberfirma S. AG zurückzufordern (Dispositiv-Ziff. I lit. a), ein Anlage- und ein Teilliquidationsreglement zu erstellen (lit. b und c), die seit 1999 bejahten bzw. verneinten Teilliquidationstatbestände zu begründen (lit. d) sowie den Umgang mit allfälligen Retrozessionen offenzulegen (lit. e). B. Am 22. Dezember 2011 hiess das Bundesverwaltungsgericht die dagegen erhobene Beschwerde der Stiftung N. teilweise gut, indem es Dispositiv-Ziff. I lit. a, d und e der angefochtenen Verfügung aufhob. Im Übrigen wies es die Beschwerde ab. C. Die Stiftung N. reicht Beschwerde in öffentlich-rechtlichen Angelegenheiten ein und beantragt in materieller Hinsicht, es seien das Urteil des Bundesverwaltungsgerichts vom 22. Dezember 2011, soweit die Beschwerde abgewiesen worden sei, sowie Dispositiv-Ziff. I lit. b und c der Verfügung vom 11. August 2009 aufzuheben. In formeller Hinsicht stellt sie Antrag auf Erteilung der aufschiebenden Wirkung. Die Aufsichtsbehörde beantragt in ihrer Stellungnahme, die Beschwerde sei abzuweisen, soweit darauf eingetreten werden könne. BGE 138 V 420 S. 422 Das Bundesverwaltungsgericht und das Bundesamt für Sozialversicherungen (BSV) verzichten auf eine Stellungnahme. D. Mit Verfügung vom 19. März 2012 hat die Instruktionsrichterin der Beschwerde die aufschiebende Wirkung zuerkannt. Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab. Erwägungen Aus den Erwägungen: 1. 1.2 Es ist unbestritten, dass es sich bei der Beschwerdeführerin um einen patronalen Wohlfahrtsfonds im Sinne von BGE 138 V 346 E. 3.1.1 Abs. 1 S. 348 handelt. Wie die Vorinstanz diesbezüglich für das Bundesgericht verbindlich festgestellt hat ( Art. 105 Abs. 1 BGG ), besteht keine reglementarische Personalvorsorge. Ebenso wenig wurde die Stiftung je mit Arbeitnehmerbeiträgen finanziert. Es besteht keine Veranlassung, von der allseits anerkannten Qualifizierung abzuweichen. 2. Mit Grundsatzurteil BGE 138 V 346 hat das Bundesgericht entschieden, dass patronale Wohlfahrtsfonds vom Anwendungsbereich des Art. 89 bis Abs. 6 ZGB (nachfolgend zitiert in der auch hier anwendbaren, bis Ende 2011 gültig gewesenen Fassung) nicht ausgenommen sind. Indes darf der darin stipulierte Kriterienkatalog nicht integral und strikt übertragen werden. Er ist auf patronale Wohlfahrtsfonds analog anzuwenden, wenn und soweit die BVG-Normen mit deren Charakter vereinbar sind ( BGE 138 V 346 E. 4.5 S. 354). Einer solchen Analogie zugänglich sind grundsätzlich die BVG-Bestimmungen betreffend die Revisionsstelle ( Art. 89 bis Abs. 6 Ziff. 7 ZGB mit Verweis auf Art. 53 BVG [SR 831.40]), die Aufsicht ( Art. 89 bis Abs. 6 Ziff. 12 ZGB mit Verweis auf Art. 61, 62 und 64 BVG ) sowie die Rechtspflege ( Art. 89 bis Abs. 6 Ziff. 19 ZGB mit Verweis auf Art. 73 und 74 BVG ; BGE 138 V 346 E. 4.6 S. 355). Ebenfalls analog anwendbar ist, wie im besagten Grundsatzurteil neu entschieden, Art. 53b BVG (vgl. Art. 89 bis Abs. 6 Ziff. 9 ZGB ), welche Bestimmung das Verfassen eines Teilliquidationsreglements vorschreibt ( BGE 138 V 346 E. 5.6 S. 361). Insoweit sich die Beschwerde gegen die von der Aufsichtsbehörde verfügte Erstellung eines Teilliquidationsreglements - und dessen Einreichung zur Genehmigung - richtet, welche Anordnung das Bundesverwaltungsgericht geschützt hat, erweist sie sich somit als unbegründet und ist abzuweisen. BGE 138 V 420 S. 423 3. Zu prüfen ist die Frage, ob und inwieweit die Beschwerdeführerin verpflichtet ist, ein Anlagereglement zu erstellen. 3.1 3.1.1 Art. 89 bis Abs. 6 ZGB verweist in Ziff. 18 auf Art. 71 BVG , welche Bestimmung von der Vermögensverwaltung handelt. Danach verwalten die Vorsorgeeinrichtungen ihr Vermögen so, dass Sicherheit und genügender Ertrag der Anlagen, eine angemessene Verteilung der Risiken sowie die Deckung des voraussehbaren Bedarfes an flüssigen Mitteln gewährleistet sind (Abs. 1). Gemäss Art. 49a Abs. 2 lit. a der Verordnung vom 18. April 1984 über die berufliche Alters-, Hinterlassenen- und Invalidenvorsorge (BVV 2; SR 831.441.1 [in der ab 1. Januar 2009 gültigen Fassung; AS 2008 4651]), der vom Bundesrat als Durchführungsbestimmung zu unter anderem Art. 71 Abs. 1 BVG erlassen wurde (vgl. Art. 97 Abs. 1 BVG ), hat das oberste Stiftungsorgan die Aufgabe, in einem Reglement die Ziele und Grundsätze, die Organisation und das Verfahren für die Vermögensanlage festzulegen. Im Weiteren hat der Verordnungsgeber in Art. 59 Abs. 1 lit. b BVV 2 (in Kraft seit 1. Januar 2009; AS 2008 4655), der ebenfalls eine Durchführungsbestimmung zu Art. 71 BVG darstellt, ausgeführt, dass die Bestimmungen des dritten Abschnittes, d.h. Art. 49-58a BVV 2 , sinngemäss auch für patronale Wohlfahrtsfonds gelten. 3.1.2 In seiner Mitteilung Nr. 108 vom 27. Oktober 2008 über die berufliche Vorsorge hat das BSV Art. 49 ff. BVV 2 erläutert (Rz. 665; http://www.bsv.admin.ch ). In Bezug auf den hier interessierenden Art. 49a Abs. 2 lit. a BVV 2 legte es dar, dass als "Ziele und Grundsätze" unter anderem folgende Punkte festgehalten werden sollten: Auf den Versicherungsbestand und das Leistungsreglement ausgerichtete Ertragsvorstellungen, Prinzipien zur Sicherstellung eines ausgeglichenen Verhältnisses von Vermögen und Verbindlichkeiten, Zulässigkeit von Anlagekategorien und -formen, Grundsätze zur Liquidität und Zahlungsfähigkeit, Grundsätze zur Risikofähigkeit und -bereitschaft des obersten Organs. Betreffend die "Organisation" hielt das BSV fest, dass im Anlagereglement die Verantwortlichkeiten der verschiedenen Organe der Vorsorgeeinrichtung umschrieben werden müssten. Das oberste Organ müsse festlegen, welche Entscheidungen es selbst treffe und wie es das dazu notwendige Know-how verfügbar mache. Unter dem Titel "Verfahren" erwähnte das BSV drei weitere Punkte, die es zu regeln gelte, nämlich die Verwaltungs- und Verfahrensgrundsätze, die Diversifikationsgrundsätze BGE 138 V 420 S. 424 sowie die Grundsätze zu Reporting und Überwachung (Mitteilung Nr. 108 S. 14, Erläuterungen Ziff. 2.1). 3.2 Mit Art. 59 BVV 2 , der explizit vorsieht, dass die Anlagebestimmungen ( Art. 49-58a BVV 2 ) sinngemäss auf patronale Wohlfahrtsfonds anzuwenden sind, bestätigt der Verordnungsgeber, dass es lediglich um eine analoge Anwendung gehen kann (vgl. E. 2 vorne). Wenn auch Art. 59 BVV 2 erst einige Zeit nach Inkrafttreten der 1. BVG-Revision (am 1. Januar 2005) Eingang in die Verordnung gefunden hat (vgl. E. 3.1.1 vorne), darf nicht übersehen werden, dass Art. 89 bis Abs. 6 ZGB bereits davor auf Art. 71 BVG verwiesen hat. Seit jeher war das Führungsorgan einer reglementarischen Vorsorgeeinrichtung zur zweckkonformen Verwendung und sorgfältigen Verwaltung des Vorsorgevermögens angehalten sowie verpflichtet, die erforderliche Transparenz im Hinblick auf die Überprüfung der Einhaltung dieser Pflicht zu schaffen ( Art. 49a Abs. 1 BVV 2 in der bis 31. Dezember 2008 gültig gewesenen Fassung; BGE 132 II 144 E. 1.3 S. 147). Die Forderung, auch patronale Wohlfahrtsfonds hätten ihre Anlagepolitik nachvollziehbar zu machen, ist im Grundsatz nicht zu beanstanden. Sie widerspricht nicht seinem Charakter (vgl. E. 2 vorne). Zum einen dienen die Vorschriften von Art. 49 ff. BVV 2 selbst bei gewöhnlichen resp. klassischen Stiftungen im Sinne von Art. 80 ZGB als Orientierungshilfe ( BGE 124 III 97 E. 2c S. 99). Ihre Überarbeitung per 1. Januar 2009 tut dem keinen Abbruch. Zum andern ist im Bewusstsein zu behalten, dass die Mittel eines patronalen Wohlfahrtsfonds, wenn auch einzig vom Arbeitgeber geäufnet, nicht diesem gehören und er über diese Gelder nicht frei verfügen kann ( BGE 138 V 346 E. 5.3 Abs. 2 S. 358 und E. 6.5.2 Abs. 2 S. 364). Es liegt somit - nicht anders als bei reglementarischen Vorsorgeeinrichtungen - sowohl im Interesse der Destinatäre als auch in demjenigen der Organe, die grundsätzlichen Ziele und Verhaltensrichtlinien der Vermögensanlage und -verwaltung in Form eines Anlagereglements festzuhalten. So steht die Richtschnur, an welcher sich die finanzielle Führung des Stiftungsrats auszurichten - und im Schadenfall messen zu lassen - hat, für alle Beteiligten von Anfang an fest (vgl. YVAR MENTHA, in: Handkommentar zum BVG und FZG, Schneider/Geiser/Gächter [Hrsg.], 2010, N. 45 in fine zu Art. 71 BVG ). An diesem Formalisierungsbedürfnis ändern "einfache" Verhältnisse, wie sie bei der Beschwerdeführerin vorliegen - ihr Vermögen erschöpft sich im Wesentlichen in einem Wohnhaus mit Gewerbe - nichts. BGE 138 V 420 S. 425 3.3 Eine andere Frage ist, wie das Anlagereglement hinsichtlich patronaler Wohlfahrtsfonds zu substanziieren resp. die Vermögensbewirtschaftung inhaltlich auszugestalten ist (vgl. E. 3.1.2 vorne). Mangels eines konkreten Anfechtungsgegenstands lassen sich an dieser Stelle nur, aber immerhin, allgemeine Betrachtungen anführen. 3.3.1 Patronale Wohlfahrtsfonds weisen - anders als reglementarische Vorsorgeeinrichtungen - kaum feste zukünftige Verpflichtungen auf. Deshalb ist grundsätzlich eine grosszügige Auslegung von Art. 49 ff. BVV 2 angesagt (vgl. auch Mitteilungen Nr. 108 S. 21, Ziff. 2.10 Abs. 2). Insbesondere ist ein hinreichend enger sachlicher Zusammenhang zwischen den (analog) anwendbaren Bestimmungen und den konkreten Gegebenheiten des patronalen Wohlfahrtsfonds unabdingbar. Entgegen der Auffassung der Beschwerdeführerin und der in der Lehre geäusserten Annahme und Befürchtung (HERMANN WALSER, Ein vorsorgerechtlicher Spezialfall: der patronale Wohlfahrtsfonds, in: Festschrift für Erwin Murer zum 65. Geburtstag, 2010, S. 970 f.) bleibt somit die Möglichkeit bestehen, der Situation im Einzelfall Rechnung zu tragen und nicht alle Anlagebestimmungen tel quel zur Anwendung zu bringen (CHRISTINA RUGGLI-WÜEST, Wohlfahrtsfonds heute: Ein Auslaufmodell, oder ...?, in: BVG-Tagung 2009, Schaffhauser/Stauffer [Hrsg.], S. 171). Im Normalfall sollten auch die Erweiterungen gemäss Art. 50 Abs. 4 BVV 2 in Anspruch genommen werden können (Mitteilungen Nr. 108 S. 21, Ziff. 2.10 Abs. 2). 3.3.2 Im Übrigen ist vor allem nach der Grösse des patronalen Wohlfahrtsfonds und seinen Leistungsausschüttungen zu differenzieren. Je mehr Vermögen vorhanden ist und je mehr (langjährige) Ausschüttungen vorgenommen werden resp. je mehr (langjährige) Verpflichtungen bestehen, umso detaillierter sind die Vermögensanlage und -verwaltung zu konkretisieren und umso weniger verbleibt Raum für eine large(re) Handhabung (RUGGLI-WÜEST, a.a.O., S. 171). Mit anderen Worten darf relativ bescheidenen Verhältnissen mit einer relativ elementaren Reglementsausgestaltung begegnet werden. 3.4 Die Sorge der Beschwerdeführerin, eine über Jahrzehnte bewährte Vermögensanlage ohne jegliche wirtschaftliche Notwendigkeit anpassen zu müssen, kann nach dem Gesagten nicht geteilt werden. Die Grundsätze der Sicherheit, Rentabilität, Liquidität, Risikoverteilung und Substanzerhaltung sind in Berücksichtigung der gesamten Umstände in einer Weise anzuwenden, dass dem Stiftungszweck dauernd BGE 138 V 420 S. 426 Nachachtung verschafft werden kann, wobei auch der Grundsatz der Verhältnismässigkeit zu beachten ist. Der "einseitigen" Vermögensanlage der Beschwerdeführerin (vgl. E. 3.2 vorne) sind daher unter anderem der Grad der Selbstfinanzierung, die Rendite und die Rückstellungen für den Liegenschaftsunterhalt gegenüberzustellen. Ausserdem weist die Beschwerdeführerin selber darauf hin, dass sie keine Verpflichtungen gegenüber Destinatären hat. Die Aufsichtsbehörde hat denn auch keine Auflagen zur Anlage selber erlassen. Vor allem hat sie die von der Beschwerdeführerin beanspruchte Erweiterung der Anlagebegrenzung (vgl. Anhänge zu den einzelnen Jahresrechnungen) nicht in Frage gestellt. Schliesslich trägt sich die Beschwerdeführerin selber mit dem Gedanken, die Liegenschaft mittelfristig zu verkaufen, wie sich dem Anhang zur Jahresrechnung 2008 entnehmen lässt. 3.5 Zusammengefasst ist die Beschwerdeführerin gehalten, ein Anlagereglement gemäss Art. 49a Abs. 2 lit. a BVV 2 in Bezug auf die bei ihr herrschende Sachlage zu erstellen und es der Aufsichtsbehörde zur Genehmigung vorzulegen. Die Beschwerde ist auch in diesem Punkt abzuweisen.
null
nan
de
2,012
CH_BGE
CH_BGE_007
CH
Federation
21e553f0-90cd-4d75-9af7-710efba556d3
Urteilskopf 122 II 446 55. Auszug aus dem Urteil der II. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 8. Oktober 1996 i.S. X. gegen Kantonales Steueramt Zürich und Bundessteuer-Rekurskommission des Kantons Zürich (Verwaltungsgerichtsbeschwerde)
Regeste Art. 21 Abs. 1 lit. a und d BdBSt ; Einkommen aus Wertschriftenhandel. Der Steuerpflichtige, der Wertschriften in einem Mass kauft und verkauft, das die einfache Verwaltung von Privatvermögen übersteigt, übt eine Erwerbstätigkeit aus; die daraus erzielten Einkünfte sind steuerbar. Die für den Liegenschaftenhandel aufgestellten Kriterien können auch zur Abgrenzung des gewerbsmässigen Handels mit Wertschriften von der einfachen Verwaltung von Privatvermögen beigezogen werden (Bestätigung der Rechtsprechung E. 2, 3 und 5). Art. 4 BV ; Anspruch auf Gleichbehandlung im Unrecht. Dass die Besteuerung von Wertschriftengewinnen in anderen Fällen unterbleibt, begründet keinen Anspruch, solche Gewinne ebenfalls nicht versteuern zu müssen. Es besteht kein Anspruch, abweichend vom Gesetz begünstigt zu werden, wenn die Behörde gewillt ist, die gesetzliche Besteuerung durchzusetzen (E. 4).
Sachverhalt ab Seite 447 BGE 122 II 446 S. 447 A.- X. ist Direktor der Bank Y. AG in Zürich. In den Steuererklärungen für die direkte Bundessteuer 1987/88 und 1989/90 deklarierte er Wertschriftenerträge von durchschnittlich Fr. 77'832.-- (1985/86) und Fr. 226'071.-- (1987/88), die aus einem Wertschriften- und Guthabenvermögen per Ende 1986 bzw. 1988 von Fr. 14'847'532.-- bzw. Fr. 15'288'550.-- resultierten. Er gab ein steuerbares Einkommen von Fr. 978'700.-- bzw. Fr. 1'249'900.-- an. Der Steuerkommissär betrachtete den Pflichtigen als gewerbsmässigen Wertschriftenhändler und unterstellte mit Veranlagung vom 5. Februar 1993 im Durchschnitt der genannten Steuerperioden Gewinne aus Wertschriftenhandel in Höhe von Fr. 4'880'625.-- bzw. Fr. 824'073.-- der Steuer. Daraus resultierte für die Veranlagungsperioden 1987/88 und 1989/90 ein steuerbares Einkommen von Fr. 5'868'800.-- bzw. Fr. 2'086'000.--. B.- Am 18. Januar 1994 wies der Steuerkommissär die Einsprache von X. und seiner Ehefrau ab. X. erhob dagegen Beschwerde bei der Bundessteuer- Rekurskommission des Kantons Zürich. Diese wies die Beschwerde mit Entscheid vom 31. August 1995 (zugestellt am 1. bzw. 9. November 1995) ab. C.- Gegen diesen Entscheid hat X. am 4. Dezember 1995 Verwaltungsgerichtsbeschwerde beim Bundesgericht erhoben. Er beantragt, den angefochtenen Entscheid aufzuheben und die Angelegenheit mit der Auflage an die Vorinstanz zurückzuweisen, beim Chef des Kantonalen Steueramts Zürich vorgängig einen Amtsbericht über die zürcherische Veranlagungspraxis für nebenberuflich aus Wertschriftentransaktionen erzielte Gewinne einzuholen. Eventualiter sei der angefochtene Entscheid aufzuheben und das steuerbare Einkommen für 1987/88 auf Fr. 988'200.-- und für 1989/90 BGE 122 II 446 S. 448 auf Fr. 1'261'900.-- festzusetzen. Er verlangt namentlich, dass auf die Besteuerung der Wertschriftengewinne in seinem Fall nach dem Grundsatz der Gleichbehandlung im Unrecht verzichtet bzw. die Rechtsprechung zur Besteuerung nebenberuflich erzielter Wertschriftengewinne geändert wird. Das Bundesgericht weist die Beschwerde ab. Erwägungen Aus den Erwägungen: 2. Die Vorinstanz stellte fest, der Beschwerdeführer habe in ungewöhnlich grossem Umfang sowohl von der Stückzahl wie auch vom jeweiligen Wert her die verschiedensten Arten von Wertpapieren in- und ausländischer Provenienz (Aktien, Partizipations- und Genusscheine, Notes und Anleihen, Warrants, Optionen usw.) sowie Devisen gekauft und verkauft. Er habe 1985 rund 180, 1986 über 260 und 1987 mehr als 300 Transaktionen vorgenommen. Er habe oft bestimmte Titel auf einmal oder über mehrere Monate verteilt erworben, um sie kurze Zeit später in bis zu acht und mehr Tranchen während weniger Tage oder Wochen bzw. Monate wieder zu veräussern. Ein solches, als aggressiv zu bezeichnendes Vorgehen, das eine dauernde und rasche Umschichtung des Portefeuilles mit sich bringe, setze eine tägliche Marktbeobachtung und ein jederzeitiges aktives Reagieren am Markt voraus. Dieses Verhalten lasse auf ein anhaltendes und planmässiges, auf Erfolg gerichtetes Vorgehen schliessen. Ob der Pflichtige nach aussen sichtbar am wirtschaftlichen Verkehr teilgenommen habe, spiele keine Rolle. Es genüge, wenn er die Entwicklung des Marktes wie ein Selbständigerwerbender zur Gewinnerzielung ausnütze, was beim Beschwerdeführer eindeutig zu bejahen sei. Die Vorinstanz kam daher zum Schluss, der Beschwerdeführer habe gewerbsmässigen Wertschriftenhandel betrieben, und unterstellte die dabei erzielten Gewinne als Einkommen aus einer Tätigkeit nach Art. 21 Abs. 1 lit. a BdBSt der Einkommenssteuer. 3. a) Gemäss Art. 21 Abs. 1 lit. a BdBSt unterliegt der direkten Bundessteuer jedes Einkommen aus einer auf Erwerb (Verdienst) gerichteten Tätigkeit. Kapitalgewinne, d.h. bei der Veräusserung oder Verwertung von Vermögensstücken erzielte Gewinne (wie Liegenschaftsgewinne, Mehrerlös aus Wertschriften, Liquidationsgewinne bei Aufgabe oder Veräusserung eines Unternehmens usw.), sind nach Art. 21 Abs. 1 lit. d BdBSt nur zu versteuern, wenn sie im Betrieb eines zur Führung kaufmännischer Bücher verpflichteten Unternehmens erzielt werden. Private Kapitalgewinne BGE 122 II 446 S. 449 sind steuerfrei. Damit sind Gewinne aus der Veräusserung von Vermögenswerten gemeint, die bei der privaten Verwaltung eigenen Vermögens oder in Ausnützung einer zufällig sich bietenden Gelegenheit erzielt werden. Beruht der Gewinn dagegen auf einer Tätigkeit, die in ihrer Gesamtheit auf Erwerb (Verdienst) gerichtet ist, muss er nach Art. 21 Abs. 1 lit. a BdBSt als Erwerbseinkommen versteuert werden. Erwerbseinkommen unterliegt nach Art. 21 Abs. 1 lit. a BdBSt der Einkommenssteuer unabhängig davon, ob die Tätigkeit im Haupt- oder Nebenberuf, regelmässig, wiederkehrend oder nur einmal ausgeübt wird. Dementsprechend sind nach ständiger Praxis Gewinne auf Liegenschaften und - nach grundsätzlich gleichlautender neuerer Rechtsprechung - Gewinne aus Wertpapier-, Gold- und Devisengeschäften beim Einkommen nicht nur steuerbar, wenn sie hauptberuflich oder im Betrieb eines buchführungspflichtigen Unternehmens erzielt werden. Die Steuerfreiheit von Veräusserungsgewinnen ist streng auf den Bereich der blossen Verwaltung eigenen Vermögens beschränkt. Beruht der Gewinn auf einer darüber hinausgehenden Tätigkeit des Pflichtigen, ist er nach Art. 21 Abs. 1 lit. a BdBSt als Einkommen aus einer Erwerbstätigkeit zu versteuern (ASA 63 43 E. 3a, mit Hinweisen). Die Praxis hatte sich vorwiegend mit Liegenschaftsgewinnen zu befassen, die auf eine Erwerbstätigkeit des Pflichtigen im Sinne von Art. 21 Abs. 1 lit. a BdBSt zurückzuführen sind. Wie das Bundesgericht mehrfach erkannt hat, kommt eine Besteuerung von Veräusserungsgewinnen als Erwerbseinkommen aber auch bei der Veräusserung anderer Vermögensgegenstände in Betracht, so bei Komptant- und Termingeschäften mit Gold (nicht veröffentlichtes Urteil vom 19. Dezember 1984 i.S. B.), bei Termingeschäften mit Devisen (ASA 56 366 E. 2c), beim Handel mit Wertpapieren (Anleihensobligationen) (ASA 58 666 E. 2), bei Gold- und Devisentransaktionen (ASA 59 709 E. 5c) sowie Börsengeschäften mit Wertpapieren (ASA 63 43 E. 3b). b) Ob einfache Vermögensverwaltung oder auf Erwerb gerichtete Tätigkeit vorliegt, ist immer unter Berücksichtigung der gesamten Umstände des Einzelfalles zu beurteilen. Als Indiz für eine über die blosse Vermögensverwaltung hinausreichende Erwerbstätigkeit fällt nach der vorab für Liegenschaftsgewinne entwickelten Rechtsprechung etwa die systematische oder planmässige Art und Weise des Vorgehens in Betracht, namentlich dass die steuerpflichtige Person aktiv wertvermehrend tätig wird (z.B. durch Parzellierung, Überbauung, Werbung usw.), dass sie ein Vermögensobjekt nicht BGE 122 II 446 S. 450 bloss zum Zweck der privaten Vermögensanlage oder in Ausnützung einer zufällig sich bietenden Gelegenheit, sondern in der offenkundigen Absicht erwirbt, es möglichst rasch mit Gewinn weiterzuveräussern (vgl. ASA 39 267 ; 42 551 ), oder dass sie sich bemüht, wie eine haupt- oder nebenberuflich selbständig erwerbstätige Person die Entwicklung eines Marktes zur Gewinnerzielung auszunützen (vgl. BGE 104 Ib 164 E. 1b S. 167). Für eine Erwerbstätigkeit spricht auch der enge Zusammenhang eines Geschäfts mit der beruflichen Tätigkeit der steuerpflichtigen Person, die Häufung von Geschäften, die kurze Besitzdauer, der Einsatz spezieller Fachkenntnisse oder erheblicher fremder Mittel zur Finanzierung der Geschäfte und die Wiederanlage des erzielten Gewinnes in gleichartige Vermögensgegenstände (vgl. ASA 56 366 E. 2b ; 58 666 E. 2 ; 59 709 E. 5b ; 63 43 E. 3a). Auch wenn sich die pflichtige Person (soweit es um Geschäfte mit Liegenschaften geht) mit einer hauptberuflich im Liegenschaftenhandel oder im Baugewerbe tätigen Person zu einem Baukonsortium verbindet, fällt dies zugunsten einer Erwerbstätigkeit ins Gewicht (vgl. BGE 96 I 655 E. 2 S. 658). Ob die steuerpflichtige Person Wertschriftengeschäfte selber oder über einen bevollmächtigten Dritten abwickelt, ist nicht von entscheidender Bedeutung, da das Wertschriftengeschäft in der Regel ohnehin den Beizug fachkundiger Personen (Bankfachleute, Treuhänder usw.) erfordert, deren Verhalten - als Hilfspersonen - der pflichtigen Person zugerechnet wird (ASA 63 43 E. 3c). Nicht nötig ist schliesslich nach der Praxis, dass die steuerpflichtige Person nach aussen sichtbar am wirtschaftlichen Verkehr teilnimmt (ASA 56 366 E. 2c). c) Für die Annahme einer Erwerbstätigkeit ist entscheidend, dass die pflichtige Person eine Tätigkeit entfaltet, die aufgrund des Gewichts eines oder mehrerer solcher Indizien bzw. Umstände in ihrer Gesamtheit auf Erwerb ausgerichtet erscheint (vgl. BGE 104 Ib 164 E. 1; BGE 112 Ib 79 E. 2a S. 81; ASA 58 666 E. 2 ; 63 43 E. 3a S. 46 f.; StE 1991 B 23.1 Nr. 24 E. 3b; vgl. auch DANIELLE YERSIN, Les gains en capital considérés comme le revenu d'une activité lucrative, in: ASA 59 S. 137 ff., und die dort umfassend dargestellte Praxis). d) Der Beschwerdeführer bestreitet nicht ernsthaft, dass die fraglichen Wertschriftengewinne in seinem Fall auf eine über die ordentliche Vermögensverwaltung hinausgehende Erwerbstätigkeit zurückzuführen sind. Dafür sprechen vorab der enge Zusammenhang der fraglichen Wertschriftengeschäfte mit der Tätigkeit des Beschwerdeführers als Direktor einer Privatbank und die hohe Zahl sowie der wertmässige Umfang der Transaktionen. Der Beschwerdeführer BGE 122 II 446 S. 451 hat jährlich zwischen 180 und mehr als 300 Transaktionen getätigt. Es ist ein klares planmässiges Vorgehen beim An- und Verkauf zu erkennen. Die Besitzdauer war teilweise sehr kurz. Der Wertschriften- und Devisenbestand betrug ca. 15 Millionen Franken. Die Geschäfte wurden nach den Feststellungen der Vorinstanz in einem erheblichen Umfang fremdfinanziert. Die dafür gewährten Bankkredite betrugen per Ende 1986 und 1988 Fr. 6'490'700.-- bzw. Fr. 3'824'800.-- und Fr. 2'000'000.--. Unter diesen Umständen kann nicht angenommen werden, der Beschwerdeführer habe mit seiner Aktivität einzig sein Privatvermögen angelegt und ordentlich verwaltet. Vielmehr lag eine Erwerbstätigkeit im Sinne von Art. 21 Abs. 1 lit. a BdBSt vor. 4. Der Beschwerdeführer macht zur Hauptsache geltend, der Kanton Zürich unterlasse es, allgemein die nebenberuflich erzielten Gewinne aus Wertschriftentransaktionen insbesondere bei Mitgliedern der Direktion und der höheren Kader von Banken zu besteuern. Die Vorinstanz hat es abgelehnt, einen Amtsbericht über die Veranlagungspraxis einzuholen und nach dem Grundsatz der "Gleichbehandlung im Unrecht" auf die Besteuerung der Wertschriftengewinne zu verzichten. Der Beschwerdeführer verlangt, die Wertschriftengewinne nach dem Grundsatz der Rechtsgleichheit ( Art. 4 BV ) abweichend vom Gesetz ebenfalls nicht versteuern zu müssen, und beantragt erneut, dass zur Veranlagungspraxis ein Amtsbericht beim Chef des Kantonalen Steueramts Zürich eingeholt wird. Er rügt eine unrichtige und unvollständige Feststellung des rechtserheblichen Sachverhalts, eine Verweigerung des rechtlichen Gehörs und die Verletzung bundesrechtlicher Beweisregeln. a) Der Grundsatz der Gesetzmässigkeit der Verwaltung geht dem Rechtsgleichheitsprinzip in der Regel vor. Hat eine Behörde in einem Fall eine vom Gesetz abweichende Entscheidung getroffen, so gibt dies dem Bürger, der sich in der gleichen Lage befindet, grundsätzlich keinen Anspruch darauf, ebenfalls abweichend von der Norm behandelt zu werden ( BGE 117 Ib 266 E. 3f S. 270, 414 E. 8c S. 425). Weicht die Behörde jedoch nicht nur in einem oder in einigen Fällen, sondern in ständiger Praxis vom Gesetz ab, und gibt sie zu erkennen, dass sie auch in Zukunft nicht gesetzeskonform entscheiden werde, so kann der Bürger verlangen, gleich behandelt, d.h. ebenfalls gesetzwidrig begünstigt zu werden. Nur wenn eine Behörde nicht gewillt ist, eine rechtswidrige Praxis aufzugeben, überwiegt das Interesse an der Gleichbehandlung der Betroffenen gegenüber demjenigen an der Gesetzmässigkeit. Äussert sich die Behörde nicht BGE 122 II 446 S. 452 über ihre Absicht, so ist anzunehmen, sie werde aufgrund der Erwägungen des bundesgerichtlichen Urteils zu einer gesetzmässigen Praxis übergehen ( BGE 115 Ia 81 E. 2 S. 82 f., mit Hinweisen; GEORG MÜLLER, Kommentar BV, N. 45 zu Art. 4 BV ; ARTHUR HAEFLIGER, Alle Schweizer sind vor dem Gesetze gleich, Bern 1985, S. 73 f.; JÖRG PAUL MÜLLER, Die Grundrechte der schweizerischen Bundesverfassung, 2. Aufl. 1991, S. 223 f.). Das Bundesgericht ist an eine bundesrechtswidrige Praxis der Kantone allerdings nicht gebunden. Im Interesse der Durchsetzbarkeit des Bundesrechts muss es Ansprüche auf gesetzwidrige Begünstigung verweigern und der gesetzeskonformen Rechtsanwendung zum Durchbruch verhelfen ( BGE 116 Ib 228 E. 4 S. 234 f., mit Hinweisen). b) Das Kantonale Steueramt Zürich und die Vorinstanz verneinen, dass sie eine gesetzwidrige Nichtbesteuerung von Wertschriftengewinnen in anderen Fällen dulden. Der Beschwerdeführer belegt keine solchen Fälle. Es ist Aufgabe der kantonalen Verwaltung für die direkte Bundessteuer und der Eidgenössischen Steuerverwaltung, für die einheitliche Anwendung des Gesetzes zu sorgen ( Art. 72, 93 und 94 BdBSt ) und damit die Veranlagungsbehörden auf die Besteuerungspraxis hinzuweisen. Es bestehen keine Anhaltspunkte dafür, dass die Zürcher Steuerbehörden und die Eidgenössische Steuerverwaltung nicht gewillt wären, die Praxis zur Besteuerung von Wertschriftengewinnen, die auf einer Erwerbstätigkeit beruhen, durchzusetzen. Dass eine Besteuerung in einzelnen Fällen unterbleiben mag, spricht nicht dagegen. Der im Rechtsgleichheitsgebot mitenthaltene Anspruch auf Gleichbehandlung im Unrecht kommt daher im vorliegenden Fall nicht zur Anwendung. Der Beizug eines Amtsberichts des Chefs des kantonalzürcherischen Steueramts über die Veranlagungspraxis in anderen Fällen erübrigt sich jedenfalls im vorliegenden Steuerjustizverfahren. Die Rügen der unrichtigen und unvollständigen Feststellung des rechtserheblichen Sachverhalts, der Verweigerung des rechtlichen Gehörs und der Verletzung bundesrechtlicher Beweisregeln sind nicht stichhaltig. 5. Der Beschwerdeführer ist der Auffassung, die Rechtsprechung zur Besteuerung der Gewinne auf Wertschriften nach Art. 21 Abs. 1 lit. a BdBSt sei zu ändern. a) Er beanstandet vor allem, dass das Bundesgericht für die Besteuerung von Veräusserungsgewinnen nach Art. 21 Abs. 1 lit. a BdBSt nicht verlangt, dass die steuerpflichtige Person nach aussen sichtbar am wirtschaftlichen Verkehr teilnimmt (ASA 56 366 E. 2c S. 370; vgl. dazu u.a. die Kritik von PETER SPORI, Einkommenssteuerrechtliche BGE 122 II 446 S. 453 Aspekte privater Portfolio-Anlagen, ASA 59 S. 355 f., sowie von JACQUES-ANDRÉ REYMOND, Distinction entre gain en capital et revenu d'activité, in: Festschrift zum 70. Geburtstag von Ferdinand Zuppinger, Bern 1989, S. 253 f.). Diese Kritik ist unbegründet. Art. 21 Abs. 1 Ingress BdBSt erklärt "das gesamte Einkommen des Steuerpflichtigen", lit. a dieser Bestimmung "jedes Einkommen aus einer Tätigkeit (namentlich aus Handel, Gewerbe, Industrie, Land- oder Forstwirtschaft, aus freien Berufen, aus Beamtung, Anstellung oder Arbeitsverhältnis und aus der Erfüllung einer Dienstpflicht)" für steuerbar. Diese Vorschrift definiert demnach - entgegen SPORI, a.a.O., S. 359 f. - nicht nur das Einkommen aus einer nach aussen wirksamen unternehmerischen oder gewerblichen, sondern aus jeder auf Erwerb gerichteten Tätigkeit als steuerbares Erwerbseinkommen. Art. 21 Abs. 1 lit. a BdBSt gestattet somit nicht, einzig Einkommen aus einer Tätigkeit zum Erwerbseinkommen zu rechnen, das jemand erzielt, der selbständig am Markt auftritt. Auch Personen, die nicht nach aussen sichtbar am wirtschaftlichen Verkehr teilnehmen, können für sich selber durch eine über die blosse Vermögensverwaltung hinausgehende Tätigkeit Einkommen erzielen. Ein Unternehmen, Gewerbe oder Geschäft brauchen sie nicht zu betreiben, damit eine nebenberufliche selbständige Erwerbstätigkeit vorliegt, insbesondere wenn eine enge Beziehung zur Haupterwerbstätigkeit besteht. Ein externer Marktauftritt wird für die Besteuerung von Einkommen aus Wertschriftenhandel von gewissen kantonalen Rechtsmittelinstanzen bei den kantonalen Einkommenssteuern verlangt, z.B. in Zürich (StE 1994 B 23.1 Nr. 28 E. 2c; vgl. auch JOSEPH KÜNG, Neue Einsichten bei der Besteuerung privater Kapitalgewinne auf Wertschriften?, StR 1995 S. 47 ff.; JÜRG PLATTNER, Private Vermögensverwaltung als gewerbsmässiger Wertschriftenhandel, StR 1990 S. 116 ff.). Für die Besteuerung nach Art. 21 Abs. 1 lit. a BdBSt spielt das Kriterium keine Rolle. An der bisherigen Praxis ist demnach festzuhalten. b) Weiter macht der Beschwerdeführer geltend, die für den Liegenschaftenhandel entwickelten Kriterien seien für den Wertschriftenhandel untauglich, wenn nicht noch zusätzlich das Auftreten am Markt gefordert werde. Es ist zwar nicht zu verkennen, dass Wertschriften oder Devisenguthaben einer häufigeren Umschichtung als Liegenschaften unterliegen. Auch eine ordentliche, auf periodischen Ertrag ausgerichtete Verwaltung eigenen Wertschriftenvermögens kann im Hinblick auf einen hohen Kapitalertrag gelegentlich den BGE 122 II 446 S. 454 Verkauf von Wertschriften und die Wiederanlage in andere Wertschriften erfordern. Anders als beim Liegenschaftenhandel ist eine wertvermehrende Tätigkeit des Anlegers selber beim Wertschriftenhandel in der Regel nicht möglich. Der Erfolg hängt beim Wertschriftengeschäft weniger als beim Liegenschaftenhandel vom persönlichen Arbeitseinsatz ab, dafür mehr vom Informationsstand über den Wirtschaftsverlauf, aber auch von zufälligen (spekulativen) Entwicklungen (vgl. u.a. Spori, a.a.O., S. 360 ff.; JOHANNES SÄUBERLI, Die Besteuerung der Transaktionen an den schweizerischen Effektenbörsen und an der Soffex nach dem Recht der direkten Bundessteuer, der Verrechnungssteuer und der Stempelabgaben, insbesondere aus der Sicht der privaten Anleger, Diss. Bern 1989, S. 109; V. FÜGLISTER, Besteuerung des beweglichen Vermögens von natürlichen Personen nach künftigem Bundessteuerrecht, StR 1990 S. 368). Doch führt dies nicht zum Schluss, dass die primär für den Liegenschaftenhandel entwickelten Kriterien des planmässigen, auf Erfolg gerichteten Verhaltens, der Vielzahl von Transaktionen, des engen Zusammenhangs der Geschäfte mit der beruflichen Tätigkeit der steuerpflichtigen Person, des Einsatzes erheblicher Fremdmittel, der kurzen Besitzdauer oder der Wiederanlage in gleichartige Güter bei der Prüfung, ob eine Erwerbstätigkeit vorliegt, einzeln oder insgesamt untauglich sind, sondern dass die für eine Erwerbstätigkeit sprechenden Indizien beim Wertschriftenhandel besonders deutlich erfüllt sein müssen. Der Einsatz bedeutender Fremdmittel kann beim Wertschriftenhandel in besonderem Masse auf eine Erwerbstätigkeit hinweisen. Während der Einsatz gewisser Fremdmittel zum Erwerb von Liegenschaften in der Regel unumgänglich ist, spricht die Aufnahme von grösseren Krediten zur Finanzierung von Wertschriftengeschäften angesichts der dabei zufolge der häufigen Börsenschwankungen bestehenden Verlustrisiken eher gegen die Annahme, dass der Anleger bloss sein eigenes Vermögen verwalten will und dass für ihn die auf Ertrag gerichtete Vermögensanlage im Vordergrund steht (vgl. auch SÄUBERLI, a.a.O., S. 110 f.). c) Im vorliegenden Fall stellt sich weder die Frage der Verlustverrechnung noch diejenige der Besteuerung von "Kapitalgewinn-Ausschüttungen" von Anlagefonds oder der internationalen Besteuerung der Gewinne aus Wertschriftenhandel. Es erübrigt sich daher, zu den diesbezüglichen Vorbringen des Beschwerdeführers hier Stellung zu nehmen. d) An der Rechtsprechung ist demnach grundsätzlich festzuhalten.
public_law
nan
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1,996
CH_BGE
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CH
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21e709ad-fdde-4a3d-98a7-666598d87860
Urteilskopf 106 V 187 43. Urteil vom 17. September 1980 i.S. Rückversicherungsverband der st. gallischen Gemeindekrankenkassen gegen G. und Versicherungsgericht des Kantons St. Gallen
Regeste Art. 103 lit. a OG . Die bloss theoretische Möglichkeit einer eventuellen späteren finanziellen Inanspruchnahme begründet nicht ohne weiteres ein hinreichendes prozessuales Rechtsschutzinteresse.
Sachverhalt ab Seite 187 BGE 106 V 187 S. 187 A.- Hermann G. ist bei der Gemeindekrankenkasse X. versichert. Diese ist ihrerseits Mitglied des Rückversicherungsverbandes der st. gallischen Gemeindekrankenkassen. Am 13. Oktober 1977 musste Hermann G. in die Trinkerheilstätte "Mühlehof" eingewiesen werden. Die Heilstätte verlangte von der Gemeindekrankenkasse X. Kostengutsprache für eine Tagespauschale von Fr. 30.50. Am 10. November 1977 verfügte die Kasse, dass sie lediglich für die ärztliche Behandlung einschliesslich der wissenschaftlich anerkannten Heilanwendungen, Arzneimittel und Analysen sowie für einen täglichen Beitrag von Fr. 6.-- an die übrigen Kosten der Krankenpflege aufkomme ( Art. 12 Abs. 2 Ziff. 2 KUVG in Verbindung mit Art. 23 und 24 Vo III bzw. Art. 60 der Normalstatuten). B.- Auf Beschwerde des Hermann G. entschied das Versicherungsgericht des Kantons St. Gallen, dass die Kasse die volle Tagespauschale der Heilstätte "Mühlehof" abzüglich eines täglichen Verpflegungskostenbeitrages von Fr. 10.-- zu vergüten habe. BGE 106 V 187 S. 188 C.- Gegen diesen Entscheid führt der Rückversicherungsverband der st. gallischen Gemeindekrankenkassen Verwaltungsgerichtsbeschwerde und beantragt, es sei festzustellen, dass die Gemeindekrankenkasse X. mit der Ausrichtung der Leistungen gemäss Art. 24 Vo III bzw. Art. 60 der Normalstatuten ihre Leistungspflicht erfüllt habe. Hermann G. schliesst auf Abweisung der Verwaltungsgerichtsbeschwerde. Das Bundesamt für Sozialversicherung beantragt, es sei das Urteil des Versicherungsgerichts des Kantons St. Gallen aufzuheben und die Sache zur genaueren Abklärung des Sachverhalts an das kantonale Gericht zurückzuweisen. Erwägungen Das Eidg. Versicherungsgericht zieht in Erwägung: 1. Vorab stellt sich die Frage, ob der Rückversicherungsverband der st. gallischen Gemeindekrankenkassen zur Verwaltungsgerichtsbeschwerde legitimiert ist. Nach Art. 103 lit. a OG ist zur Verwaltungsgerichtsbeschwerde legitimiert, "wer durch die angefochtene Verfügung berührt ist und ein schutzwürdiges Interesse an deren Aufhebung oder Änderung hat". Damit diese Voraussetzungen als erfüllt gelten können, muss der Beschwerdeführer nach bundesgerichtlicher Praxis von der angefochtenen Verfügung mehr als irgend ein anderer Dritter berührt sein, und er muss durch die Verfügung besonders und unmittelbar betroffen sein; sein Interesse an der Aufhebung oder Änderung der Verfügung muss sich aus einer nahen Beziehung zum Gegenstand des Streites ergeben ( BGE 103 Ib 338 Erw. b mit Hinweisen). 2. Der Beschwerdeführer beruft sich darauf, dass ihm die Gemeindekrankenkasse X. als Mitglied angeschlossen sei und dass sie Leistungen der Kosten-Ausgleichsversicherung beziehe, was sich auf seine Belastung auswirke. Gestützt auf Art. 103 lit. a OG bejaht auch das Bundesamt für Sozialversicherung die Beschwerdelegitimation des Rückversicherungsverbandes. Im Hinblick auf die genannte Bestimmung erfordert indessen die Verschiedenartigkeit der einzelnen Leistungen des Beschwerdeführers eine differenzierte Beurteilung seiner Beschwerdebefugnis je nach der im Einzelfall in Frage stehenden Leistungsart. Nach Art. 9 seiner Statuten versichert der Rückversicherungsverband BGE 106 V 187 S. 189 folgende Leistungen der angeschlossenen Kassen: - einen Teil der ordentlichen Krankenpflegeleistungen durch eine Kosten-Ausgleichsversicherung; - die Leistungen bei Erkrankung an Tuberkulose; - die Heilanstaltskosten für Invalide; - die Leistung der Krankengeld-Zusatzversicherung; - die Leistungen der Spital-Zusatzversicherung. Im weiteren enthält Art. 9 der Statuten Bestimmungen über die Schaffung weiterer Versicherungszweige und die Vermittlung der Leistungen des Schweizerischen Verbandes für die erweiterte Krankenversicherung. 3. Die vorliegend in Frage stehenden Leistungen betreffen die Kosten-Ausgleichsversicherung für die ordentlichen Krankenpflegeleistungen gemäss Art. 9 Abs. 1 lit. a der Statuten des Beschwerdeführers. Hierüber bestimmen die Statuten folgendes: "Art. 14. Der Rückversicherungsverband vergütet den angeschlossenen Kassen unter den in den Art. 15 und 16 genannten Voraussetzungen einen Teil der ordentlichen Krankenpflegekosten. Art. 15. Kassen, deren Krankenpflegekosten je Mitglied (einschliesslich Mutterschaftsleistungen) im Durchschnitt der letzten drei Jahre 105 Prozent des massgeblichen kantonalen Mittels überschritten haben, erhalten einen Viertel des Mehrbetrages im folgenden Jahr durch die Kosten-Ausgleichsversicherung rückvergütet. Für Kassen mit mindestens 20'000 Versicherten beträgt der massgebliche Kostendurchschnitt gemäss Abs. 1 110 Prozent. Art. 16. Als kantonales Mittel gemäss Art. 15 gilt der Durchschnitt der Krankenpflegekosten je Mitglied aller st. gallischen öffentlichen Krankenkassen während der letzten drei Jahre, ausgenommen jener der Kassen gemäss Art. 15 Abs. 2. Für Kassen gemäss Art. 15 Abs. 2 gilt als kantonales Mittel der Durchschnitt der Krankenpflegekosten je Mitglied aller st. gallischen öffentlichen Krankenkassen während der letzten drei Jahre. Massgebend ist das Ergebnis der vom zuständigen Departement jährlich veröffentlichten Statistik über die st. gallischen öffentlichen Krankenkassen. Art. 17. Die Aufwendungen der Kosten-Ausgleichsversicherung werden durch eine Umlageprämie finanziert, die den Kassen aufgrund des letzten durchschnittlichen Bestandes der erwachsenen Mitglieder belastet wird. Die Kostenabrechnung und Prämienbelastung werden den Kassen in dem der Berechnungsperiode folgenden Jahr nach der Veröffentlichung der vom zuständigen Departement erstellten Statistik zugestellt." BGE 106 V 187 S. 190 Der Zweck der hievor erwähnten Bestimmungen geht dahin, unter den angeschlossenen Kassen einen teilweisen Ausgleich der Krankenpflegekosten herbeizuführen, soweit diese je Mitglied einer Kasse einen bestimmten Durchschnittsbetrag übersteigen. Bei diesem Ausgleichssystem ist es indes ungewiss, ob die von einer Kasse in einem konkreten Schadenfall zu erbringenden Vergütungen Ausgleichsleistungen des Beschwerdeführers zur Folge haben werden. Dazu wäre gemäss Art. 15 Abs. 1 der Statuten des Beschwerdeführers erforderlich, dass die betreffende Kassenleistung einen Durchschnitt von über 105% des massgeblichen kantonalen Mittels (mit-)verursacht. Eine allfällige Ausgleichspflicht des Beschwerdeführers lässt sich aber erst im Rückblick auf das vergangene Geschäftsjahr ermitteln, nämlich aufgrund der jährlichen Berechnung der durchschnittlichen Krankenpflegekosten je Mitglied (während der letzten drei Jahre) bei allen st. gallischen öffentlichen Gemeindekrankenkassen und der betreffenden Einzelkasse (Art. 15 Abs. 1 und Art. 16 Abs. 1 der Statuten des Beschwerdeführers). Im Zeitpunkt der Fälligkeit einer bestimmten Kassenleistung besteht demnach grundsätzlich bloss eine theoretische Möglichkeit, dass eventuell die dadurch verursachte Belastung der Kasse eine Ausgleichspflicht des Beschwerdeführers auslösen könnte. Allfällige künftige Ausgleichsleistungen hängen in diesem Zeitpunkt weitgehend von noch unbekannten und nicht voraussehbaren Faktoren ab, so etwa von der Frage, welche Krankenpflegekosten bei der jeweiligen Kasse im laufenden Rechnungsjahr weiter anfallen (insbesondere, ob sich die Zahl der kostenintensiven Krankheitsfälle überdurchschnittlich erhöht oder vermindert) oder in welchem Masse die Krankenpflegeversicherungen aller andern st. gallischen Gemeindekrankenkassen im gleichen Jahr belastet wurden. Auch wäre zu beachten, dass die in Frage stehende Kassenleistung in der Regel ohnehin nur einen kleinen und zufälligen Teilfaktor für die Überschreitung der 105% des kantonalen Mittels bilden würde. Die bloss theoretische Möglichkeit, dass der Beschwerdeführer von der betreffenden Kasse später beansprucht werden könnte - was eben während des laufenden Rechnungsjahres wesentlich von zukünftigen Tatsachen abhängt und daher in diesem Zeitraum nicht feststellbar ist -, begründet jedoch kein hinreichendes prozessuales Rechtsschutzinteresse. Abzulehnen wäre aber auch - allein schon aus Gründen der Praktikabilität -, BGE 106 V 187 S. 191 den Entscheid über die Beschwerdelegitimation bis zum Ablauf des Rechnungsjahres hinauszuschieben und ein Beschwerderecht (rückwirkend) dann zuzuerkennen, wenn die jährliche Durchschnittsberechnung eine Leistungspflicht des Beschwerdeführers gegenüber der fraglichen Kasse ergibt. Aus dem Gesagten folgt, dass der Beschwerdeführer im vorliegenden Fall nicht zur Verwaltungsgerichtsbeschwerde legitimiert ist, weil weder aufgrund der statutarischen Bestimmungen zur Ausgleichsversicherung noch aufgrund der Vorbringen in der Verwaltungsgerichtsbeschwerde angenommen werden kann, dass er im Sinne der Praxis durch den vorinstanzlichen Entscheid in besonderer und unmittelbarer Weise betroffen ist. Wie es sich hinsichtlich der Beschwerdelegitimation des Beschwerdeführers in den übrigen Fällen des Art. 9 seiner Statuten (Leistungen bei Tuberkulose, für Invalide usw.) verhält, kann hier offen bleiben. 4. Das Bundesamt für Sozialversicherung vertritt die Auffassung, dass der Beschwerdeführer gestützt auf Art. 103 lit. c OG zur Verwaltungsgerichtsbeschwerde berechtigt sei. Legitimiert ist nach dieser Bestimmung "jede andere Person, Organisation oder Behörde, die das Bundesrecht zur Beschwerde ermächtigt". Das Bundesamt hält diese Voraussetzung als erfüllt, weil gemäss Art. 27 KUVG Rückversicherungsverbände von der Aufsichtsbehörde anerkannt würden und Art. 30ter KUVG auch Rückversicherungsverbände als "Beteiligte" einschliesse. Dieser Argumentation kann jedoch nicht beigepflichtet werden, ist doch eben gerade das die zu entscheidende Frage, ob generell oder unter besondern Voraussetzungen ein Rückversicherer als "Beteiligter" im Sinne von Art. 30ter KUVG qualifiziert werden kann. Auch mit dem Hinweis auf Art. 27 KUVG ist nichts gewonnen, denn aus der dort erwähnten Anerkennung lässt sich noch nicht die Eigenschaft als "Beteiligter" ableiten. Die Legitimation des Beschwerdeführers zur Verwaltungsgerichtsbeschwerde ergibt sich somit auch nicht aus Art. 103 lit. c OG . Dispositiv Demnach erkennt das Eidg. Versicherungsgericht: Auf die Verwaltungsgerichtsbeschwerde wird nicht eingetreten.
null
nan
de
1,980
CH_BGE
CH_BGE_007
CH
Federation
21e8bb25-4442-4d99-be88-05f99bbed082
Urteilskopf 111 II 89 21. Extrait de l'arrêt de la Ire Cour civile du 19 février 1985 dans la cause A. contre Alpina, Compagnie d'assurance (recours en réforme)
Regeste Haftpflicht des Motorfahrzeughalters, Art. 59 Abs. 1 und 2 SVG . Art. 59 Abs. 1 SVG . Beurteilung eines - objektiv groben - Verschuldens eines neunjährigen Kindes. Beweislast (E. 1). Art. 59 Abs. 2 SVG . Aufteilung der Haftpflicht, unter Berücksichtigung des Verschuldens des Geschädigten und der erhöhten Betriebsgefahr, die mit der hohen Geschwindigkeit des Motorfahrzeuges verbunden ist (E. 2).
Sachverhalt ab Seite 89 BGE 111 II 89 S. 89 A.- Le 18 juillet 1968, vers 14 h, l'enfant A., né le 11 février 1959, se rendait à bicyclette de La Balmaz, où il est domicilié, à la gare d'Evionnaz. Arrivé à l'intersection de la route secondaire venant de La Balmaz avec la route principale reliant Saint-Maurice à Martigny, il dépassa par la droite des cyclomotoristes qui étaient immobilisés à cette intersection, puis il s'engagea sans s'arrêter sur la route principale, qu'il devait traverser. Il fut alors renversé par la voiture Jaguar de B. qui roulait à une vitesse de 130 à 140 km/h en direction de Martigny. Ce conducteur se trouvait sur la piste de droite, après avoir dépassé plusieurs véhicules. Ayant aperçu les cyclomotoristes, il klaxonna et se porta sur la piste de dépassement. Lorsqu'il vit l'enfant A, à BGE 111 II 89 S. 90 la hauteur de la ligne séparant pour lui les deux pistes de droite, il freina et tenta en vain de l'éviter par la gauche. A l'époque, il n'y avait pas encore de limitation générale de vitesse; sur le tronçon rectiligne où s'est produit l'accident, un panneau indiquait une vitesse conseillée de 60-110 km/h. B.- A. a ouvert action le 2 avril 1979 contre l'Alpina, assureur responsabilité civile du détenteur B., en paiement de divers montants, arrêtés en fin de procédure à 491'027 francs, à titre de perte de gain, atteinte à l'avenir économique et tort moral. Le Tribunal cantonal valaisan a rejeté la demande par jugement du 11 mai 1984. Il a admis que le demandeur répondait d'une faute grave exclusive, libérant le détenteur de sa responsabilité selon l' art. 59 al. 1 LCR . C.- Le demandeur recourt en réforme au Tribunal fédéral en concluant principalement au paiement par la défenderesse de 491'027 francs en capital, subsidiairement au renvoi de la cause à la cour cantonale pour nouveau jugement. Le Tribunal fédéral admet le recours, annule le jugement attaqué et renvoie la cause à l'autorité cantonale pour nouveau jugement dans le sens des considérants. Erwägungen Extrait des considérants: 1. Le détenteur de véhicule automobile répond du dommage causé par l'emploi de son véhicule ( art. 58 al. 1 LCR ), mais il est libéré de sa responsabilité, notamment, s'il prouve que l'accident a été causé par une faute grave du lésé, sans que lui-même ait commis de faute ( art. 59 al. 1 LCR ). Comme l'indique le texte de l' art 59 al. 1 LCR , le fardeau de la preuve des circonstances permettant d'exclure la responsabilité incombe au détenteur ( ATF 105 II 211 s. consid. 3); le cas échéant, le lésé pourra profiter de l'impossibilité d'établir certains faits à ce sujet (même arrêt). a) Selon la jurisprudence, constitue une faute grave la violation de règles élémentaires qui devraient s'imposer à tout homme prudent dans la même situation ( ATF 108 II 424 et les arrêts cités). Pour décider de la gravité de la faute, le juge prend en considération non seulement les circonstances objectives de l'acte, mais également les conditions subjectives propres à son auteur, notamment quant à son discernement ( ATF 105 II 212 ). Lorsqu'il s'agit d'apprécier la faute d'enfants, il faut donc considérer non seulement leur comportement mais aussi leur âge; celui-ci joue un BGE 111 II 89 S. 91 rôle pour juger de l'existence même du discernement et de la faute (cf. par exemple ATF 102 II 367 ss consid. 4, ATF 93 II 84 s. consid. 4, ATF 90 II 12 s.), ainsi que de l'importance de celle-ci. En effet, plus un enfant est jeune, moins on peut lui adresser de reproches selon les critères applicables aux adultes, dont il n'a ni l'expérience, ni la maturité; son âge l'expose à un jugement moins objectif et à des décisions moins réfléchies. Le Tribunal fédéral a récemment jugé à propos d'enfants de 9 ans jouant avec un arc et des flèches qu'ils étaient en mesure de se rendre compte des risques que ce jeu impliquait, qu'ils avaient donc la capacité délictuelle, mais que leur responsabilité était sensiblement diminuée en raison de leur jeune âge ( ATF 104 II 186 consid. 2); l'arrêt précise dans le cadre de l' art. 44 CO que la faute concomitante de l'enfant "doit également être jugée en fonction de son âge" (p. 188 consid. 3a). Il est également conforme au but protecteur de la loi sur la circulation routière et de la responsabilité causale qu'elle instaure que la faute des enfants et sa gravité soient mesurées en fonction de leur âge. En effet, la loi tend à protéger les lésés contre les risques spécifiques liés à l'emploi des véhicules à moteur, en raison de leur masse et de leur vitesse ( art. 58 LCR ). Par ailleurs, elle contient une règle de circulation exigeant une attention particulière à l'égard des enfants, des infirmes et des personnes âgées ( art. 26 al. 2 LCR ), parce que ces personnes sont spécialement exposées aux risques créés par la circulation automobile. Il est donc conforme au but de la loi de tenir également compte de cette exposition accrue au risque, lorsqu'il s'agit de fixer la responsabilité civile. b) Au cas particulier, le demandeur a commis une grave violation des règles de la circulation en s'engageant, pour la traverser, sur une route principale ( art. 36 al. 2 LCR ) de grande circulation en dehors d'une localité, sans s'assurer ou sans s'assurer suffisamment que la voie était libre. La cour cantonale considère avec raison que, vu son âge, il était capable de se rendre compte du caractère illicite et dangereux de son comportement. Elle omet en revanche d'examiner si le jeune âge de l'enfant n'atténuait pas la gravité de la faute. Tel est manifestement le cas, pour les motifs exposés dans l'arrêt cité ci-dessus à propos d'enfants de neuf ans ( ATF 104 II 186 ss consid. 2 et 3). Le comportement de l'enfant peut d'autant moins être qualifié de faute grave en l'espèce que la procédure n'a pas permis d'établir pour quelle raison il s'est élancé au travers de la chaussée; frappé BGE 111 II 89 S. 92 d'amnésie post-traumatique, il n'a pas été en mesure de donner une explication à son comportement, de sorte que plusieurs hypothèses entrent en considération. Il peut n'avoir pas regardé du tout à gauche. Il peut avoir regardé à gauche à un endroit et un moment où l'arrivée de la voiture Jaguar lui était cachée. Il peut aussi avoir regardé à gauche, vu la voiture Jaguar mais mal apprécié sa distance et sa vitesse, ce qui serait bien compréhensible de la part d'un enfant, vu l'allure élevée (130 à 140 km/h, selon l'aveu du conducteur) à laquelle elle roulait. Dans deux arrêts rendus en 1969, à propos de la violation de la priorité par un adulte due à une mauvaise appréciation de la distance et de la vitesse, le Tribunal fédéral a admis que le non-prioritaire avait commis une faute importante ou caractérisée mais pas une faute grave au sens de l' art. 59 al. 1 LCR ( ATF 95 II 342 s. consid. 6a, dd, 578 s. consid. 2a). A plus forte raison doit-on l'admettre pour un enfant, dans la dernière hypothèse ici envisagée. Or, vu la répartition du fardeau de la preuve, cette possibilité doit être prise en considération. Il n'est dès lors pas établi que le demandeur ait commis une faute grave lors de l'accident litigieux. L'une des conditions de l' art. 59 al. 1 LCR n'étant ainsi pas réalisée, le détenteur ne saurait être libéré de sa responsabilité civile selon cette disposition. 2. a) Si le détenteur ne peut se libérer en vertu de l' art. 59 al. 1 LCR , mais prouve qu'une faute du lésé a contribué à l'accident, le juge fixe l'indemnité en tenant compte de toutes les circonstances ( art. 59 al. 2 LCR ). Parmi celles-ci, la faute du conducteur peut jouer un rôle. b) La cour cantonale considère que le conducteur B. n'a pas commis de faute de circulation. Ce conducteur roulait sur une route de grande circulation avec une bonne visibilité; aussi, à l'époque où il n'existait pas de limitation générale de vitesse, une allure de 130 à 140 km/h n'était-elle pas encore, en soi, illicite. La seule approche d'une intersection avec une route non prioritaire, hors de toute localité, n'exigeait pas non plus du conducteur qu'il abaissât sa vitesse ( ATF 99 IV 175 consid. 3a, ATF 93 IV 34 ). Selon le principe dit de la confiance ( art. 26 LCR ), il pouvait compter que les tiers se comporteraient de manière correcte. Il est vrai que ce principe ne s'applique pas, du moins tel quel, à l'égard d'enfants ( art. 26 al. 2 LCR ; ATF 104 IV 31 , ATF 104 Ib 363 s.). Mais il ressort des constatations de fait du jugement attaqué, qui lient le Tribunal fédéral, BGE 111 II 89 S. 93 que B. n'a aperçu le demandeur qu'"alors qu'il se trouvait déjà engagé au milieu de la chaussée". Au demeurant, le jugement ne contient aucune constatation de fait permettant de retenir que le conducteur de la voiture aurait pu apercevoir auparavant déjà l'arrivée de l'enfant sur sa bicyclette. Le conducteur B. n'était donc pas tenu à une prudence particulière en vertu de l' art. 26 al. 2 LCR . On doit en revanche se demander si la grande vitesse à laquelle roulait ce conducteur ne permettait pas d'exiger de sa part, à l'approche d'une intersection, des égards particuliers en faveur des usagers non prioritaires pour obvier aux dangers accrus liés non seulement à la masse du véhicule en mouvement, mais aussi au risque d'erreurs dans l'appréciation de cette vitesse par des usagers surpris par une allure avec laquelle ils n'ont pas l'habitude de compter. La question peut rester indécise, car même si l'on ne retient pas de faute de B., ce détenteur répond à tout le moins d'un risque inhérent accru, qui doit être pris en considération dans la répartition du dommage. Par ailleurs, la cour cantonale considère avec raison que le conducteur a réagi de manière adéquate lorsqu'il s'est rendu compte de la présence du cycliste sur la route principale. c) Le lésé répond ainsi d'une faute de circulation objectivement grave, mais subjectivement atténuée dans une très large mesure par son jeune âge, alors que le détenteur doit répondre d'un risque inhérent considérable lié à la vitesse élevée à laquelle roulait son véhicule. Compte tenu de ces circonstances, il se justifie de réduire dans une proportion de 20% la responsabilité du détenteur fondée sur l' art. 58 al. 1 CO (cf. par exemple l'arrêt ATF 104 II 188 , où le Tribunal fédéral a réduit de 25% la réparation due à un enfant de neuf ans qui avait accepté de jouer à l'arc par un enfant du même âge qui répondait, outre de sa participation à ce jeu, d'un manquement aux règles de prudence qu'il aurait dû respecter en s'y livrant).
public_law
nan
fr
1,985
CH_BGE
CH_BGE_004
CH
Federation
21f01946-860c-468a-9a5b-8abc675f4738
Urteilskopf 115 II 401 73. Urteil der II. Zivilabteilung vom 13. Oktober 1989 i.S. Sud Provizel SA gegen Kanton Graubünden (Berufung)
Regeste Auflösung einer juristischen Person mit widerrechtlichem Zweck ( Art. 57 Abs. 3 ZGB ). 1. Der Zweck der Gesellschaft bestimmt sich nicht ausschliesslich nach der statutarischen Zweckumschreibung, sondern auch nach den tatsächlich verfolgten Zielen. Dient die Gesellschaft in Wirklichkeit einzig der Umgehung der Vorschriften über den Erwerb von Grundstücken durch Personen im Ausland, so bedient sie sich nicht nur unzulässiger Mittel beim Verfolgen ihrer Zwecke. Vielmehr ist der Zweck der Gesellschaft selber widerrechtlich im Sinne von Art. 57 Abs. 3 ZGB (E. 1). 2. Art. 57 Abs. 3 ZGB ist auch auf Aktiengesellschaften anwendbar (E. 2; Bestätigung der Rechtsprechung). 3. Eine vor Inkrafttreten des BewG am 1. Januar 1985 eingeleitete Klage auf Auflösung einer juristischen Person mit Anfall ihres Vermögens an das Gemeinwesen, die sich direkt auf das allgemeine Zivilrecht stützt, verjährt so lange nicht, als der rechtswidrige Zustand andauert (E. 3).
Sachverhalt ab Seite 402 BGE 115 II 401 S. 402 A.- Am 18. November 1971 wurde die Sud AG mit Sitz in Celerina gegründet. Anlässlich einer ausserordentlichen Generalversammlung wurde die Firma am 30. November 1971 in Sud Provizel SA umbenannt. Am 2. Dezember 1971 erfolgte die Eintragung der Gesellschaft im Handelsregister des Kantons Graubünden. Der Gesellschaftszweck ist in Art. 2 der Statuten wie folgt umschrieben: "Die Gesellschaft hat zum Zweck den Kauf, den Verkauf, die Konstruktion und Vermietung sowie die Verwaltung von Immobilien, die Beteiligung an Handels- und Industrieunternehmen, die Verwaltung von Vermögen Dritter, Finanzoperationen jeder Art, (...). Insbesondere bezweckt die Gesellschaft den Kauf der Parzelle Nr. 686 von zirka 1095 m2 und eines Sechstels der Parzelle Nr. 687 von 625 m2 in Celerina von den Erben der Martina Jann, alles zum Preis von Fr. 215'850.--. Und dies sowohl in der Schweiz als auch im Ausland." Bereits am 8. November 1971 schloss die noch in Gründung begriffene Sud AG mit der Erbengemeinschaft Martina Jann einen Kaufvertrag über das in Celerina gelegene Grundstück Nr. 329 und einen Miteigentumsanteil an der Parzelle Nr. 687 zum Preis von insgesamt Fr. 215'850.-- ab. Dieser Kaufvertrag gelangte nie zur grundbuchlichen Eintragung. Am 6. November 1973 einigten sich jedoch die Vertragsparteien in einem neuen Vertrag über das gleiche Objekt zu den gleichen Bedingungen; am folgenden Tag wurde das Geschäft im Grundbuch eingetragen. In der Folge überbaute die Sud Provizel SA das Grundstück Nr. 329 mit einem Mehrfamilienhaus. Der Miteigentumsanteil an der Parzelle Nr. 687 wurde am 6. Juli 1976 der Gemeinde Celerina abgetreten. B.- Mit Verfügung vom 15. Februar 1983 eröffnete das Bundesamt für Justiz der Sud Provizel SA, dass der Grundstückserwerb in Celerina während der Geltungsdauer des Bundesratsbeschlusses vom 26. Juni 1972 betreffend das Verbot der Anlage BGE 115 II 401 S. 403 ausländischer Gelder in inländischen Grundstücken (Lex Celio) erfolgt und daher nichtig sei. Die gegen diese Verfügung erhobene Verwaltungsgerichtsbeschwerde der Sud Provizel SA wurde vom Bundesgericht mit Urteil vom 7. Juni 1984 abgewiesen; auf die Beschwerde des Aktionärs Lorenzo Gilardoni wurde nicht eingetreten. C.- Am 15. August 1983 meldete das Justiz-, Polizei- und Sanitätsdepartement des Kantons Graubünden beim Vermittleramt Oberengadin den Sühneversuch an. Dieser blieb erfolglos. Am 31. Oktober 1983 erhob das Justiz-, Polizei- und Sanitätsdepartement des Kantons Graubünden beim Bezirksgericht Maloja Klage auf Feststellung, dass die Sud Provizel SA nichtig sei und zu keinem Zeitpunkt Rechtspersönlichkeit erlangt habe; eventuell sei die Sud Provizel SA nichtig zu erklären. Ferner sei von Amtes wegen die Liquidation anzuordnen, ein amtlicher Liquidator einzusetzen und der Liquidationserlös dem Kanton Graubünden zuzusprechen. In einem Eventualbegehren wurde die öffentliche Versteigerung der Parzelle Nr. 329 des Grundbuches Celerina bzw. subeventuell die Wiederherstellung des ursprünglichen Rechtszustandes in bezug auf dieses Grundstück beantragt. Am 29./30. Juni 1987 einigten sich die Parteien darauf, den Streit vor dem Kantonsgericht von Graubünden auszutragen. In der gleichen Vereinbarung anerkannte die Beklagte vorbehaltlos und unwiderruflich, dass sie seit ihrer Gründung ohne Unterbruch durch Personen im Ausland beherrscht gewesen sei und die Grundstückserwerbsgeschäfte sowie die Überbauungen und Folgegeschäfte vollumfänglich mit finanziellen Mitteln von Personen im Ausland finanziert worden seien. Ebenso anerkannte die Beklagte, dass sie neben diesen Immobiliargeschäften keine anderen Tätigkeiten verfolgt habe. Mit Urteil vom 14. Juli 1988 hiess das Kantonsgericht von Graubünden die Klage gut. Das Kantonsgericht stellte fest, die Sud Provizel SA sei zur Verfolgung widerrechtlicher Zwecke gegründet worden und deshalb nichtig. Es ordnete die Liquidation der Sud Provizel SA an und sprach den Nettoerlös aus der Liquidation dem Kanton Graubünden zu. D.- Gegen dieses Urteil hat die Sud Provizel SA beim Bundesgericht Berufung erhoben. Sie beantragt die Aufhebung des angefochtenen Urteils und die Abweisung der Klage. Sämtliche gegenüber der Sud Provizel SA getroffenen vorsorglichen Massnahmen sowie sämtliche Massnahmen betreffend die Liquidation der BGE 115 II 401 S. 404 Gesellschaft und die Beschlagnahme ihres Vermögens seien aufzuheben. Der Kanton Graubünden beantragt die Abweisung der Berufung. Erwägungen Das Bundesgericht zieht in Erwägung: 1. Die Vorinstanz hat die Nichtigkeit der Beklagten wegen Verfolgung eines widerrechtlichen Zweckes festgestellt. Mit ihrer Berufung bestreitet die Beklagte vorab, je einen widerrechtlichen Zweck verfolgt zu haben. Sie habe nicht verheimlicht, Grundstücke in der Schweiz erwerben zu wollen, sondern diesen Zweck in den Statuten ausdrücklich hervorgehoben. Der Verstoss gegen die schweizerische Rechtsordnung bestehe lediglich darin, dass sie sich mit einer falschen Erklärung der Bewilligungspflicht entzogen habe. Unrechtmässig sei somit das benutzte Mittel, nicht aber der Zweck der Gesellschaft. Diese Unrechtmässigkeit sei spezifisch mit dem Kaufgeschäft verbunden, weshalb mit der Beseitigung des betreffenden Geschäfts auch die Widerrechtlichkeit beseitigt werde. a) Entgegen der Auffassung der Beklagten kann nicht einfach auf die statutarische Zweckumschreibung abgestellt werden. Nach Lehre und Rechtsprechung bestimmt sich der massgebliche Zweck einer Gesellschaft vielmehr nach den tatsächlich verfolgten Zielen ( BGE 79 II 118 ; BGE 62 II 99 ; BGE 54 II 165 ; BRÜESCH, Der unrechtmässige Erwerb von Liegenschaften in der Schweiz durch Ausländer, ZBGR 69/1988, S. 360; FORSTMOSER, Schweizerisches Aktienrecht, Bd. I/1, S. 387; HEINI, Das Schweizerische Vereinsrecht, S. 38 f.; RIEMER, Vereine mit widerrechtlichem Zweck, ZSR 97/1978 I, S. 90 mit zahlreichen Hinweisen). Die Körperschaft hat sich danach beim tatsächlich gelebten Zweck, bei der Tätigkeit, welche ihr das Gepräge gibt, behaften zu lassen. b) In BGE 112 II 3 E. 4 hat das Bundesgericht ohne weiteres angenommen, eine Aktiengesellschaft verfolge einen widerrechtlichen Zweck im Sinne von Art. 57 Abs. 3 bzw. Art. 52 Abs. 3 ZGB , wenn sie das Ziel habe, Personen mit Wohnsitz im Ausland die Umgehung der Sonderbestimmungen beim Erwerb von Grundstücken zu ermöglichen. Dabei stützte es sich auf entsprechende Erwägungen in BGE 110 Ib 115 sowie BGE 107 Ib 15 f. und 190. Beizupflichten ist der Beklagten darin, dass die Unterscheidung zwischen dem Gesellschaftszweck und dem Einsatz der Mittel zur BGE 115 II 401 S. 405 Verwirklichung dieses Zweckes im allgemeinen durchaus sinnvoll ist. Von dieser Unterscheidung geht denn auch die bundesgerichtliche Rechtsprechung Zu Art. 52 Abs. 3 ZGB aus ( BGE 79 II 118 , mit Hinweisen). Das ändert jedoch nichts daran, dass der Gesellschaftszweck und der Einsatz der Mittel zur Verwirklichung dieses Zweckes unter Umständen zusammenfallen können. GUTZWILLER betont zu Recht, dass die widerrechtlichen Mittel ein solches Ausmass erreichen können, dass sie die Verbandsperson als solche als widerrechtlich oder unsittlich erscheinen lassen (Schweizerisches Privatrecht, Bd. II, S. 504). In solchen Fällen schlagen die eingesetzten Mittel unmittelbar auf den Zweck der Gesellschaft durch. Im übrigen gilt, dass sich der widerrechtliche - wahre - Zweck der Gesellschaft oft gerade anhand der eingesetzten Mittel erkennen lässt (vgl. MARANTA, Der unrechtmässige Erwerb von Liegenschaften in der Schweiz durch Ausländer, SJZ 84/1988, S. 362 f.). c) Gemäss den verbindlichen Feststellungen der Vorinstanz hat die Beklagte eingestanden, dass sie neben dem Erwerb, der Überbauung und Verwaltung der Grundstücke in Celerina keine andere Geschäftstätigkeit entwickelt hat. Ferner hat sie ausdrücklich zugestanden, seit ihrer Gründung ohne Unterbruch durch Personen im Ausland beherrscht worden zu sein; sämtliche finanziellen Mittel hätten von Personen im Ausland gestammt. Nach den verbindlichen Feststellungen der Vorinstanz wurden überdies anstelle von Generalversammlungen der Aktionäre alljährlich Stockwerkeigentümerversammlungen abgehalten, bei welchen die Präsenz und das Quorum nach Tausendsteln festgestellt wurden, obwohl die fragliche Liegenschaft formell nie in Stockwerkeigentum aufgeteilt worden ist. Damit steht aber fest, dass die Beklagte einzig der Umgehung der Vorschriften über den Erwerb von Grundstücken durch Personen im Ausland gedient hat. Ihr eigentlicher Zweck besteht offenkundig darin, Täuschungsmanöver beim Abschluss von Rechtsgeschäften zu ermöglichen und die tatsächlichen, d.h. hier die auslandsbezogenen Besitzverhältnisse an schweizerischem Grundeigentum zu verschleiern. Unter diesen Umständen kann aber nicht mehr gesagt werden, die Gesellschaft bediene sich nur unzulässiger Mittel beim Verfolgen ihrer Zwecke. Vielmehr ist der Zweck der Gesellschaft selber widerrechtlich. d) Nach DRUEY soll ein rechtswidriger Zweck im Sinne von Art. 57 Abs. 3 ZGB nur dann vorliegen, wenn eine an sich verbotene Tätigkeit (Betreiben von Glücksspielen oder Bordellen, BGE 115 II 401 S. 406 gesetzwidrige Importe, Unterstützung einer verbotenen politischen Partei) angestrebt werde. Hier aber werde die juristische Person zur Verdeckung der Tätigkeit einer natürlichen Person verwendet. Damit gehe es nicht um den Zweck der Gesellschaft, sondern um den Zweck des Hintermannes. Aufgrund des hier regelmässig angezeigten Durchgriffes werde die juristische Person in solchen Fällen als nichtexistent behandelt, weshalb die Sanktionen allein den Drahtzieher treffen sollen (SAG 4/1986, S. 183). Dieser Auffassung kann indessen nicht gefolgt werden. Wenn eine Gesellschaft ausschliesslich dazu besteht, um dem Hintermann einen widerrechtlichen Erfolg zu ermöglichen, so ist das wahre Ziel der Gesellschaft eben dennoch die verbotene Tätigkeit. Zum mindesten der tatsächliche Zweck der Gesellschaft ist unter diesen Umständen ebenfalls widerrechtlich (vgl. SCHNYDER, Die privatrechtliche Rechtsprechung des Bundesgerichts im Jahre 1986, ZBJV 124/1988, S. 75). Die Auffassung, mit Hilfe des rechtlich anerkannten Durchgriffes das Handeln nur dem Hintermann zuzurechnen und die allfälligen Sanktionen einzig diesen treffen zu lassen, läuft auf eine zu einschränkende Sicht der Dinge hinaus. Eine Rechtsordnung, in welcher das Handeln einer juristischen Person in bezug auf sie selber als rechtmässig erschiene, obwohl dieses Handeln einzig an die Stelle verbotenen Handelns von natürlichen Personen tritt, müsste unvermeidlich zu Widersprüchen führen. Der juristische Begriff der Körperschaft würde dadurch eindeutig überspannt und der Gesetzesumgehung Tür und Tor geöffnet (vgl. dazu BECKER, Zur Auflösung juristischer Personen wegen widerrechtlicher oder unsittlicher Zweckverfolgung nach schweizerischem und deutschem Recht, ZSR 107/1988, Bd. I, S. 631 f.; BRÜESCH, ZBGR 69/1988, S. 354 f.; ferner JÄGGI, Die Immobilien-Aktiengesellschaft, ZBGR 55/1974, S. 330-335 und 339). Im übrigen ist diese Frage insofern gegenstandslos, als sich die Spezialgesetzgebung über den Erwerb von Grundstücken durch Personen im Ausland ausdrücklich gegen eine solche Verselbständigung der juristischen Person ausgesprochen hat. Schon Art. 3 lit. c der "Lex von Moos" vom 1. April 1961 bis 26. Juni 1972, Art. 3 der "Lex Furgler" ab 1. Februar 1974 sowie Art. 5 der "Lex Friedrich" seit 1. Januar 1985 behandeln ausländisch beherrschte juristische Personen ausdrücklich als Personen im Ausland. Die rechtliche Trennung der Aktiengesellschaft und der ausländischen Aktionäre, die sich ihrer für ihre Zwecke bedienen, wird damit im entscheidenden Punkt positivrechtlich überwunden. BGE 115 II 401 S. 407 Diesem Umstand trägt insbesondere auch BROGGINI (Der unrechtmässige Erwerb von Liegenschaften in der Schweiz durch Ausländer, SJZ 84/1988, S. 116 f.) keine Rechnung. Er geht davon aus, dass der Immobilienerwerb für eine schweizerische Gesellschaft ein erlaubter Zweck sei, auch wenn dieser von ausländischen Aktionären angestrebt werde. Dies trifft jedoch gerade nicht zu. Sobald die Gesellschaft ausländisch beherrscht ist, gilt sie nach der Sondergesetzgebung über den Erwerb von Grundstücken durch Personen im Ausland ausdrücklich als Person im Ausland. Damit ist ihr der Grundstückserwerb grundsätzlich untersagt. Als Person im Ausland kann sie Grundstücke in der Schweiz nur ausnahmsweise erwerben, wenn sie die erforderliche Bewilligung beschaffen kann. e) Unbehelflich ist ferner das Argument, im Zeitpunkt der Gründung der Gesellschaft habe man davon ausgehen dürfen, die Sondergesetzgebung werde nicht allzu lange Bestand haben (vgl. BROGGINI, SJZ 84/1988, S. 116). Entscheidend ist allein, dass diese Sondergesetzgebung bestanden hat und heute noch besteht. Würde der erwähnten Auffassung gefolgt, so würde dies letztlich bedeuten, dass eine Sondergesetzgebung bei der Einführung unbeachtet bleiben dürfe oder zumindest gewisse Sanktionen nicht zum Tragen kämen, bis nach jahrelangem Bestand der "ordentliche Charakter" dieser Sondergesetzgebung feststeht. Ein solches Verständnis der Gesetzgebung lässt sich mit der schweizerischen Rechtsordnung jedoch nicht vereinbaren. Davon abgesehen war die fragliche Sondergesetzgebung bei der Gründung der Beklagten bereits mehr als zehn Jahre in Kraft. f) Beizupflichten ist BROGGINI darin, dass das Gesetz umfassend und einheitlich auszulegen ist (SJZ 84/1988, S. 115). Nicht einzusehen ist aber, weshalb die Verfolgung eines Zweckes, welcher durch die Sondergesetzgebung untersagt ist, nicht einen widerrechtlichen Zweck im Sinne von Art. 57 Abs. 3 ZGB bilden soll. Aus Art. 57 Abs. 3 ZGB , der zu den allgemeinen Bestimmungen für alle juristischen Personen zählt, ergibt sich eine solche Einschränkung der Widerrechtlichkeit ebensowenig wie aus der hier in Frage stehenden Sondergesetzgebung. Die Anwendbarkeit von Art. 57 Abs. 3 ZGB muss in der Sondergesetzgebung keineswegs ausdrücklich festgehalten werden. Es genügt, wenn sich die Anwendbarkeit der allgemeinen Norm aus dem Sinn und Zweck der verletzten Norm ergibt (vgl. BGE 102 II 404 ). Dass dies hier zutrifft, zeigt sich schon darin, dass der Gesetzgeber mittlerweile in Art. 27 Abs. 1 lit. b BGE 115 II 401 S. 408 BewG ausdrücklich einen entsprechenden Hinweis auf die Anwendbarkeit von Art. 57 Abs. 3 ZGB aufgenommen hat. Gründe, die diesbezüglich eine Änderung der Rechtsprechung nahelegen könnten, sind jedenfalls nicht ersichtlich. g) Nach dem Gesagten steht somit fest, dass die Beklagte seit ihrer Gründung einen widerrechtlichen Zweck im Sinne von Art. 57 Abs. 3 ZGB verfolgt hat. 2. Die Beklagte vertritt die Auffassung, Art. 57 Abs. 3 ZGB sei auf Aktiengesellschaften grundsätzlich nicht anwendbar. Eine Auflösung mit der Folge des Vermögensanfalls für das Gemeinwesen sei erst möglich, seit Art. 27 Abs. 1 lit. b des BewG vom 16. Dezember 1983 auf diese Bestimmung verweise. Diese Frage hat das Bundesgericht indessen bereits in BGE 112 II 1 ff. E. 4 und 7 näher erörtert und gegenteilig beantwortet. Es besteht kein Anlass, auf diese Rechtsprechung zurückzukommen. a) Für die Nichtanwendbarkeit von Art. 57 Abs. 3 ZGB auf Aktiengesellschaften beruft sich die Beklagte insbesondere auf die Entstehungsgeschichte dieser Bestimmung. Dass diese Ansicht aufgrund der Materialien vertretbar ist, hat das Bundesgericht schon in BGE 112 II 3 f. E. 4a dargelegt. In E. 7 dieses Entscheides hat es auch ausdrücklich darauf Bezug genommen, dass die Botschaft des Bundesrates vom 16. September 1981 den Hinweis von Art. 27 Abs. 1 lit. b BewG auf Art. 57 Abs. 3 ZGB als eine der Änderungen gegenüber dem bisherigen Art. 22 BewG bezeichnet (BBl 1981 III 636). In formeller Hinsicht traf diese Feststellung in jedem Fall zu. Ob aber der Bundesrat damit auch ausdrücken wollte, der neue Hinweis in Art. 27 Abs. 1 lit. b BewG bedeute darüber hinaus eine materiellrechtliche Neuerung, lässt sich der Botschaft nicht entnehmen (vgl. auch HEINI, SAG 4/1986, S. 181). Die Frage kann jedoch offenbleiben. Das Bundesgericht hat bereits in BGE 112 II 4 betont, dass das Gesetz in erster Linie aus sich selber auszulegen und die Materialien nur als wertvolles Hilfsmittel heranzuziehen seien, um bei unklaren oder unvollständigen Bestimmungen den wahren Sinn einer Norm zu erkennen. Diese Voraussetzung ist hier nicht gegeben. Neue Erkenntnisse, die diesbezüglich eine Änderung der Rechtsprechung nahelegen könnten, liegen nicht vor. BROGGINI (SJZ 84/1988, S. 114 f.) hat zwar nachzuweisen versucht, in welch "schreiendem Gegensatz zur gesamten schweizerischen juristischen Tradition" es sei, wenn Art. 57 Abs. 3 ZGB auch auf Aktiengesellschaften angewendet werde. Jüngste Veröffentlichungen BGE 115 II 401 S. 409 zeigen jedoch auf, dass sich selbst die Gesetzesmaterialien keineswegs so eindeutig gegen eine entsprechende Anwendung auf Aktiengesellschaften aussprechen, wie dieser Autor es wahrhaben will (BRÜESCH, ZBGR 69/1988, S. 356 f.; MARANTA, SJZ 84/1988, S. 361). Entgegen der Auffassung der Beklagten ist es im übrigen durchaus zulässig, in diesem Zusammenhang auch die Materialien zu Art. 736 OR zu berücksichtigen. Zwar behandelt Art. 736 OR ausdrücklich und klar die Gründe der Auflösung der Aktiengesellschaft, wie die Beklagte zutreffend geltend macht: dass dies aber abschliessend geschähe, lässt sich dem Gesetzestext selber nicht entnehmen. Das Gegenteil trifft zu, wie sich aus Art. 736 Ziff. 5 OR ergibt. Unerfindlich ist daher, weshalb diese Materialien gänzlich unbeachtlich sein sollen, soweit dort darauf hingewiesen wird, die Auflösung und Liquidation der Aktiengesellschaft nach den allgemeinen Bestimmungen des Zivilrechts blieben selbstverständlich vorbehalten. b) Die Beklagte verweist ferner auf die in der Lehre vertretene Auffassung, wonach Art. 57 Abs. 3 ZGB auf die Aktiengesellschaft nicht anwendbar sei, weil diese im Unterschied zum Vereins- und Stiftungsrecht eine eigene Liquidationsordnung kenne. Aus der Tatsache, dass das Gesetz in den Art. 736 ff. OR für die Aktiengesellschaft eine besondere Liquidationsordnung kennt, ergibt sich indessen keineswegs zwingend die Schlussfolgerung, Art. 57 Abs. 3 ZGB sei auf Aktiengesellschaften nicht anwendbar. Art. 736 Ziff. 5 OR verweist - wie schon erwähnt - hinsichtlich der Auflösungsgründe vielmehr ausdrücklich auf die übrigen, im Gesetz vorgesehenen Fälle. Zumindest indirekt verweist das Aktienrecht damit auch auf Art. 57 Abs. 3 ZGB , der stillschweigend die Möglichkeit einer gerichtlichen Aufhebung bzw. Auflösung der Gesellschaft bei einer widerrechtlichen Zweckverfolgung voraussetzt. Ob Art. 736 Ziff. 5 OR insoweit auch auf Art. 78 ZGB verweist, der von einem Teil der Lehre allgemein als Grundlage für die in Art. 57 Abs. 3 vorausgesetzte Aufhebung einer juristischen Person angesehen wird (BECKER, ZSR 107/1988, S. 618-620; BRÜESCH, ZBGR 69/1988, S. 356 f., mit Hinweisen auf die Entstehungsgeschichte), ist unerheblich. Entscheidend ist allein, dass die Auflösungsgründe im Aktienrecht ausdrücklich als nicht abschliessend bezeichnet werden, was damit auch auf die Folgen einer solchen Auflösung zutrifft. Etwas anderes ergibt sich auch nicht aus Art. 745 OR . Diese Bestimmung, welche den Normalfall der Verteilung des Vermögens BGE 115 II 401 S. 410 einer Aktiengesellschaft regelt, wird für den Fall einer gerichtlichen Auflösung infolge unsittlicher oder widerrechtlicher Zweckverfolgung durch Art. 57 Abs. 3 ZGB lediglich ergänzt. Es ist nicht einzusehen, weshalb die Auflösung der Aktiengesellschaft aus diesem ganz aussergewöhnlichen Grund nicht auch eine besondere Rechtsfolge nach sich ziehen können soll, die im allgemeinen Teil des Rechts der juristischen Personen für alle gemeinsam vorgesehen ist ( BGE 112 II 4 , mit Hinweisen; EGGER, Zürcher Kommentar, N 15 der Vorbemerkungen zur juristischen Person). Allein aus der Tatsache, dass das Aktienrecht im Verhältnis zu den allgemeinen Bestimmungen der juristischen Personen im ZGB als ius singulare erscheint, ergibt sich der abschliessende Charakter der Liquidationsbestimmungen im 26. Titel des Obligationenrechts jedenfalls nicht (so BROGGINI, SJZ 84/1988, S. 115). Die Behauptung, mit den Liquidationsbestimmungen im Aktienrecht sei die Absicht verfolgt worden, die Anwendung von Art. 57 Abs. 3 ZGB auszuschliessen, lässt sich weder durch die Materialien noch durch die Gesetzessystematik erhärten. Eine abschliessende Regelung der Folgen der Auflösung im Aktienrecht ergibt sich auch nicht aus der Sondergesetzgebung über den Erwerb von Grundstücken durch Personen im Ausland. Es mag zwar durchaus sinnvoll sein, in einem Spezialgesetz möglichst alle Rechtsfolgen zu erwähnen, die bei einem Verstoss gegen dieses Spezialgesetz eintreten können. Dessen ungeachtet kann sich die Spezialgesetzgebung völlig widerspruchsfrei darauf beschränken, einzelne Rechtsfolgen näher zu regeln und die übrigen Rechtsfolgen dem allgemeinen Recht zu überlassen. Dies ist vor dem Inkrafttreten des BewG am 1. Januar 1985 insoweit der Fall gewesen, als die Sondergesetzgebung über den Erwerb von Grundstücken durch Personen im Ausland nur das einzelne widerrechtliche Rechtsgeschäft behandelt und die davon unabhängige Frage des rechtlichen Schicksals der widerrechtlich handelnden juristischen Person dem allgemeinen Recht überlassen hat. Auf alle Fälle ist nicht ersichtlich, dass der Gesetzgeber in den früheren Bundesbeschlüssen über den Erwerb von Grundstücken durch Personen im Ausland die entsprechende Bestimmung des allgemeinen Zivilrechts aus bestimmten Gründen für den Geltungsbereich dieser Bundesbeschlüsse habe ausser Kraft setzen wollen ( BGE 112 II 11 ). Zumindest einer solchen Absicht hätte es aber bedurft, um die Anwendbarkeit der entsprechenden Bestimmungen des allgemeinen Zivilrechts auszuschliessen. BGE 115 II 401 S. 411 In diesem Lichte besehen kann daher auch von einer unzulässigen rückwirkenden Anwendung von Art. 57 Abs. 3 ZGB gestützt auf den Verweis in Art. 27 Abs. 1 lit. b BewG keine Rede sein. Art. 57 Abs. 3 ZGB war vor dem Inkrafttreten des BewG nicht aufgrund der Sondergesetzgebung, sondern kraft eigenen Rechts anwendbar. c) Die Nichtanwendbarkeit von Art. 57 Abs. 3 ZGB vermag die Beklagte auch nicht aus der beiläufigen Bemerkung abzuleiten, bis zum Entscheid BGE 112 II 1 ff. im Jahre 1986 habe es in der schweizerischen Rechtsprechung keinen einzigen Fall der Auflösung einer Aktiengesellschaft gegeben. Dieser Umstand könnte sich höchstens dann zugunsten der Beklagten auswirken, wenn sich tatsächlich gesetzesderogierendes Gewohnheitsrecht gebildet hätte (MEIER-HAYOZ, Berner Kommentar, N 247 zu Art. 1 ZGB ; MERZ, Berner Kommentar, N 43 zu Art. 2 ZGB ; BECKER, ZSR 107/1988, Bd. I, S. 616 Anm. 15). Dass die entsprechenden Voraussetzungen erfüllt seien, wird von der Beklagten jedoch zu Recht nicht behauptet. Ob solches Gewohnheitsrecht überhaupt anerkannt werden dürfte, kann daher offenbleiben. In eine ähnliche Richtung zielt ferner die Auffassung der Beklagten, Art. 57 Abs. 3 ZGB dürfe mindestens im konkreten Fall nicht zur Anwendung gelangen, weil die Behörden in anderen gleichgelagerten Fällen keine Auflösungsklage eingeleitet, sondern eine "gütliche" Lösung getroffen hätten. Ob im Rahmen von Art. 57 Abs. 3 ZGB ein Anspruch auf "Gleichbehandlung im Unrecht" grundsätzlich in Betracht zu ziehen wäre, kann jedoch ebenfalls offenbleiben. Ein solcher Anspruch wäre jedenfalls nur unter besonderen Vorausssetzungen gegeben (vgl. BGE 108 Ia 213 f.; GYGI, Verwaltungsrecht, S. 159). Dass diese Voraussetzungen hier erfüllt seien, wird von der Beklagten zu Recht nicht behauptet. d) HIRSCH hält dafür, die Möglichkeit des Vermögensanfalles an das Gemeinwesen aufgrund des einzigartigen Charakters dieser Bestimmung zumindest einschränkend auszulegen. Art. 57 Abs. 3 ZGB wolle nur die Verteilung des Grundkapitals bzw. Vermögens an die für die widerrechtliche Zweckverfolgung Verantwortlichen der juristischen Person verhindern, soweit dies selber zu einem widerrechtlichen Ergebnis führen würde. Dies sei bei der Verteilung des Liquidationserlöses an die Aktionäre in der Regel nicht der Fall (L'article 57, alinéa 3 CCS, est-il vraiment une mesure de confiscation?, SAG 4/86, S. 181 f.). BGE 115 II 401 S. 412 Diese vermittelnde Lösung vermag letztlich jedoch ebenfalls nicht zu überzeugen. Es ist kein Grund dafür ersichtlich, weshalb ein Aktionär, der seine gesetzlich verpönten Ziele unter Zuhilfenahme einer Aktiengesellschaft verfolgt, bei der Aufdeckung dieses Vorgehens bessergestellt sein sollte als ein Vereinsmitglied. Ein Vermögensanfall an den Aktionär ist in solchen Fällen ebenso stossend wie der Vermögensanfall an ein Vereinsmitglied. Eine unterschiedliche Behandlung rechtfertigt sich auch im Hinblick auf den Vermögenserwerb nicht. Beim Verein und bei der Stiftung muss ebenfalls nicht alles bei der Aufhebung nach Art. 57 Abs. 3 ZGB vorhandene Vermögen aus einer widerrechtlichen oder unsittlichen Tätigkeit stammen. Dennoch fällt bei einer solchen Aufhebung das ganze Vermögen an das Gemeinwesen. Dass vor allem die Verteilung des Erlöses an die Destinatäre einer Stiftung mit widerrechtlichem Zweck darüber hinaus selber wiederum widerrechtlich sein kann, wenn diese Zuwendung unmittelbar mit dem widerrechtlichen Zweck verbunden ist, darf nicht zum zwingenden Umkehrschluss verleiten, der Anfall des Vermögens an das Gemeinwesen müsse entfallen, soweit dieses zusätzliche Merkmal nicht erfüllt ist. Eine solche Schlussfolgerung findet im Gesetz keine Stütze und würde Art. 57 Abs. 3 ZGB praktisch leerlaufen lassen. Verfehlt ist es im übrigen, in diesem Zusammenhang von einem wohlerworbenen Recht der Aktionäre zu sprechen (BROGGINI, SJZ 84/1988, S. 114). Soweit der Einsatz bzw. die Einlage der Aktionäre für einen widerrechtlichen Zweck erfolgt, besteht kein Anlass, diesen Einsatz zu schützen, nur weil er im Zusammenhang mit einer juristisch verselbständigten Person erfolgt. Der Verbindung einer juristischen Person mit einem widerrechtlichen Zweck wird auf die Dauer am wirksamsten begegnet, wenn die Gesellschafter nicht noch einmal in die Lage versetzt werden, das gleiche Ziel mit einer neuen Gesellschaft zu verfolgen. Hiefür bildet der Verlust des Vermögens die geeignete Massnahme (vgl. BECKER, ZSR 107/1988, Bd. I, S. 619 Anm. 15 und 631 f.; HEINI, Bemerkungen zu BGE 112 II 1 ff., SAG 4/86, S. 180 f.; SCHNYDER, ZBJV 124/1986, S. 74 f.). Auch insoweit besteht somit kein Grund, die Aktiengesellschaften bei einer widerrechtlichen Zweckverfolgung von den vermögensrechtlichen Folgen des Art. 57 Abs. 3 ZGB auszunehmen (vgl. BGE 112 II 3 ff., E. 4a mit ausführlicher Begründung; EGGER, Zürcher Kommentar, N 15 der Vorbemerkungen zur juristischen Person; TUOR/SCHNYDER, BGE 115 II 401 S. 413 Schweizerisches Zivilgesetzbuch, 10. Aufl., S. 109; BECKER, ZSR 107/1988, S. 619). e) Eine Einschränkung der vorliegenden Klage auf Verstösse gegen Gesetze mit ordre public-Charakter, wie sie insbesondere von HEINI (SAG 4/1986, S. 181) befürwortet wird, würde der Anwendung von Art. 57 Abs. 3 ZGB ebenfalls nicht entgegenstehen. Denn die Sondergesetzgebung betreffend den Erwerb von Grundstücken durch Personen im Ausland trägt unverkennbar Züge öffentlichrechtlicher Normsetzung ( BGE 113 II 184 ; BGE 111 II 191 ). Die Klage auf Auflösung der Gesellschaft und Verfall des Vermögens an das Gemeinwesen dient daher hier der Durchsetzung der öffentlichen Ordnung ( BGE 112 II 3 E. 2). Ob eine solche Klage allgemein auf Verletzung von Bestimmungen mit ordre public-Charakter eingeschränkt werden sollte, kann deshalb an dieser Stelle dahingestellt bleiben (vgl. dazu RIEMER, Vereine mit widerrechtlichem Zweck, ZSR 97/1978, Bd. I, S. 83; VON TUHR/PETER, Allgemeiner Teil des Schweizerischen Obligationenrechts, Bd. I, S. 249 f.). Dass die Sondergesetzgebung betreffend den Erwerb von Grundstücken durch Personen im Ausland die Rechtsfolgen bei Verstössen nicht abschliessend regelt, ist bereits ausgeführt worden. Entgegen der Auffassung der Beklagten kann daher auch nicht gesagt werden, die Einschätzung der Bedeutung der Rechtswidrigkeit sei durch diese Sondergesetzgebung selber festgehalten worden, indem nur die dort vorgesehenen Rechtsfolgen in Frage kämen. Ferner ist im vorliegenden Fall nicht darüber zu befinden, ob allenfalls auf gutgläubige Aktionäre oder bestimmte Gläubiger der Gesellschaft besondere Rücksicht zu nehmen wäre, wie dies einzelne Autoren befürworten (DRUEY, SAG 4/1986, S. 184; BEKKER, ZSR 107/1988, S. 617 und 630). Eine solche Unterscheidung sähe allerdings zumindest der Gesetzeswortlaut nicht vor. 3. Schliesslich ist die Beklagte der Auffassung, eine Klage auf Auflösung der Gesellschaft und Verfall des Vermögens an das Gemeinwesen nach Art. 57 Abs. 3 ZGB sei zumindest verjährt. Für eine solche Klage würden die gleichen Gesetzesgrundlagen gelten wie für die Wiederherstellungsklage; mithin sei von einer Verjährungsfrist von zehn Jahren auszugehen. Da diese Verjährungsfrist bereits mit der Gesellschaftsgründung zu laufen beginne, sei die Auflösungsklage vorliegend im Jahre 1981 verjährt. a) Art. 27 Abs. 4 BewG ist erst am 1. Januar 1985 in Kraft getreten. Er findet daher auf den vorliegenden Streit, der bereits BGE 115 II 401 S. 414 im Jahre 1983 rechtshängig gemacht worden ist, zum vornherein keine Anwendung. Insbesondere lässt diese neue Bestimmung auch keinen zwingenden Rückschluss auf den vorangehenden Rechtszustand zu, auf den es hier allein ankommt. b) Wie sich ergeben hat, stützt sich die Klage auf Auflösung der Aktiengesellschaft mit Anfall ihres Vermögens an das Gemeinwesen vorliegend auf allgemeine Bestimmungen des Zivilrechts, welche die in Frage stehende Sondergesetzgebung ergänzen. Die allfällige Verjährung der Klage bestimmt sich damit ebenfalls nach dem allgemeinen Recht, solange in der Spezialgesetzgebung nicht ausdrücklich etwas anderes vorgesehen ist. Dies ergibt sich zwangsläufig aus dem gesetzgeberischen Vorgehen, dem BROGGINI (SJZ 84/1988, S. 118-120) nicht die nötige Beachtung schenkt. Dabei ist es durchaus denkbar und zulässig, dass sich die im allgemeinen Recht vorgesehene Klage hinsichtlich der Verjährung von einer Klage der Sondergesetzgebung unterscheidet. Solche Unterschiede hinsichtlich der Klageverjährung nach allgemeinem Zivilrecht und gemäss der Spezialgesetzgebung lassen sich nicht mit dem Hinweis beiseite schieben, eine abschliessende und möglichst einheitliche Regelung in der Spezialgesetzgebung würde sich aufdrängen. Entsprechend hat das Bundesgericht in BGE 112 II 1 ff. die Frage der Klageverjährung gestützt auf die Spezialgesetzgebung gar nicht erst in Erwägung gezogen. Wie bereits festgehalten worden ist, setzt Art. 57 Abs. 3 ZGB die Möglichkeit einer Klage auf gerichtliche Aufhebung einer juristischen Person wegen Verfolgung unsittlicher oder widerrechtlicher Zwecke stillschweigend voraus. Über die allfällige Verjährung der Klage schweigt sich diese Gesetzesbestimmung aus. Art. 78 ZGB , der die Aufhebungsklage im Rahmen des Vereinsrechts ausdrücklich erwähnt, macht hiezu ebenfalls keine Aussage. Angesichts der persönlichkeitsrechtlichen Natur der Klage, die der Durchsetzung öffentlicher Interessen dient ( BGE 112 II 3 E. 2), ist indessen davon auszugehen, dass die auf das allgemeine Zivilrecht gestützte Klage so lange nicht verjährt, als der rechtswidrige Zustand andauert (vgl. BGE 111 II 445 f.; VPB 50/1986, S. 63-68; BRÜESCH, ZBGR 69/1988, S. 363-365; MARANTA, SJZ 84/1988, S. 363; MÜHLEBACH/GEISSMANN, Kommentar zum Bundesgesetz über den Erwerb von Grundstücken durch Personen im Ausland, S. 358). Die demgegenüber von der Beklagten angerufene Klagefrist von Art. 643 Abs. 4 OR vermag hieran nichts zu ändern. Diese hat mit der vorliegenden Klage nichts zu tun. BGE 115 II 401 S. 415 Es steht somit fest, dass die vorliegende Klage, die sich unmittelbar auf Art. 57 Abs. 3 ZGB stützt, auch nicht verjährt ist. Damit erweist sich die Berufung als unbegründet.
public_law
nan
de
1,989
CH_BGE
CH_BGE_004
CH
Federation
21f0caf4-25ef-4d1c-bf56-21c17ca4ee91
Urteilskopf 83 II 507 68. Auszug aus dem Urteil der II. Zivilabteilung vom 12. Dezember 1957 i.S. Balmer gegen Schwarz und Mitkläger.
Regeste Ungültigkeitsklage bei Verfügungen von Todes wegen. Art. 519 ff. ZGB . Aktivlegitimation und Anfechtungsinteresse. Es ist grundsätzlich nicht unerlässlich, alle den erbrechtlichen Ansprüchen der Kläger entgegenstehenden Testamente auf einmal anzufechten.
Sachverhalt ab Seite 507 BGE 83 II 507 S. 507 Aus dem Tatbestand: Der am 5. Januar 1954 als Witwer ohne Nachkommen verstorbene Robert Dietrich-Schwarz hatte durch öffentliches Testament vom 19. Januar 1950 u.a. die Kläger BGE 83 II 507 S. 508 Nr. 1-3 oder ihre Rechtsvorgänger als Erben eingesetzt und verschiedene Personen, worunter die Klägerin Nr. 4, mit Vermächtnissen bedacht. Mit eigenhändiger Verfügung vom 6. November 1953 hob er dieses Testament ohne Ersatz auf. Endlich errichtete er am 4. Dezember 1953 ein öffentliches Testament, mit dem er alle frühern Testamente aufhob und die Beklagte als Alleinerbin einsetzte. Die vorliegende Ungültigkeitsklage richtet sich nur gegen das letzte Testament. Die Kläger behielten sich die spätere Anfechtung des vorletzten, eigenhändigen Testamentes vor. Gegen das die Klage gutheissende kantonale Urteil hat die Beklagte Berufung an das Bundesgericht eingelegt mit dem Hauptantrag auf Abweisung der Klage. Erwägungen Aus den Erwägungen: Zunächst erhebt sich die vom Appellationshof über gangene Frage der Aktivlegitimation der Kläger (die das Bundesgericht als materiellrechtliche Voraussetzung des eingeklagten Anspruches zu prüfen hat, vgl. BGE 74 II 216 ). Nach Art. 519 Abs. 2 ZGB kann die Testamentsungültigkeitsklage von jedermann erhoben werden, "der als Erbe oder Bedachter ein Interesse daran hat, dass die Verfügung für ungültig erklärt werde". Solche erbrechtlichen Ansprüche leiten die Kläger nun nicht aus dem zweitletzten, sondern aus dem drittletzten Testament her. Dieses kommt aber erst zur Geltung, wenn ausser dem letzten auch das zweitletzte Testament wegfällt. Deshalb erscheint ihre Aktivlegitimation vorerst als zweifelhaft, da ihnen die Anfechtung bloss des letzten Testamentes die aus dem drittletzten hergeleiteten erbrechtlichen Ansprüche nicht unmittelbar zu verschaffen vermag (vgl. ESCHER, 2. Auflage, N. 3, und TUOR, 2. Auflage, N. 8-10 zu Art. 519 ZGB ; STEINER, Das Erfordernis des richterlichen Urteils für die Ungültigerklärung ..., S. 13, 15/16 und 81 ff.). Formuliert man aber, was als richtig erscheint, die Frage nach der Aktivlegitimation einfach dahin, wer zur Geltendmachung von Gründen der Ungültigkeit des hier angefochtenen BGE 83 II 507 S. 509 letzten Testamentes berechtigt sei, so ist diese subjektive Voraussetzung der Ungültigkeitsklage (vgl. MÜLLER, Die Ungültigkeitsklage bei den Verfügungen von Todes wegen, S. 76/77) in der Person der Kläger gegeben. Denn sie sind es, die, um die ihnen vom Erblasser früher zuerkannten erbrechtlichen Ansprüche zur Geltung zu bringen, eben in erster Linie das letzte Testament anfechten müssen. Indessen tritt zu der Frage der Aktivlegitimation die weitere Frage hinzu, ob es den Klägern gestattet gewesen sei, die beiden ihren erbrechtlichen Ansprüchen entgegenstehenden Testamente stufenweise, zuerst nur das letzte und dann erst das zweitletzte, anzufechten. Diesem Vorgehen steht rechtlich nichts entgegen, da das ZGB eine stufenweise Anfechtung mehrerer Testamente nicht verpönt, so sehr unter Umständen aus Gründen der Prozessökonomie die gleichzeitige Anfechtung aller Testamente, die den erbrechtlichen Ansprüchen eines Klägers entgegenstehen, erwünscht ist. Die vorliegende Klage ist somit nicht ohne weiteres deshalb unzulässig, weil sie sich nur gegen das letzte Testament des Erblassers richtet. Den Klägern blieb vorbehalten, das zweitletzte später anzufechten, sei es während der Hängigkeit des vorliegenden Prozesses, sei es auch erst nach dessen Beendigung, freilich auf die Gefahr hin, durch solches Zuwarten die zweite Anfechtungsklage verjähren zu lassen. Im Hinblick darauf ist nicht ausgeschlossen, dass die vorliegende Klage in Wahrheit des rechtlichen Interesses ermangelt: dann nämlich, wenn das Recht zur Anfechtung des zweitletzten Testamentes verjährt sein sollte und aus diesem Grunde die auf das drittletzte Testament gestützten erbrechtlichen Ansprüche der Kläger auch bei erfolgreicher Beendigung des vorliegenden Prozesses nicht mehr durchgesetzt werden könnten. Indessen ist solche Verjährung nicht erwiesen und von der Beklagtschaft im vorliegenden Prozess auch nicht eingewendet worden. In dieser Hinsicht trifft die Kläger keine Behauptungs- und Beweislast, zumal BGE 83 II 507 S. 510 eine Verjährung überhaupt nur auf Einrede hin zu berücksichtigen ist ( Art. 142 OR ). Daher lässt sich der vorliegenden Klage nicht entgegenhalten, es fehle dazu wegen möglicherweise versäumter Anfechtung auch des vorletzten Testamentes am Nachweis eines rechtlichen Interesses der Kläger. Unter diesen Umständen hatte der Appellationshof keine Veranlassung, die Frage der Verjährung einer das vorletzte Testament betreffenden Ungültigkeitsklage ins Auge zu fassen (Beginn der Frist; allfällige Hemmung der Verjährung bis zur rechtskräftigen Aufhebung des letzten Testamentes, welches an die Stelle des vorletzten trat; kurze oder lange Frist nach Art. 521 Abs. 1 und 2 ZGB ), ganz abgesehen davon, dass im angefochtenen Urteil unerwähnt gebliebene Parteierklärungen und andere dem Appellationshof bekannte Tatsachen eine derartige Verjährung ausschliessen mögen (was das völlige Schweigen des Urteils über die Frage des Anfechtungsinteresses der Kläger erklären würde).
public_law
nan
de
1,957
CH_BGE
CH_BGE_004
CH
Federation
21f1ea23-386a-46ed-b304-6be7a0498971
Urteilskopf 111 II 10 3. Extrait de l'arrêt de la IIe Cour civile du 7 février 1985 dans la cause X contre Autorité tutélaire de surveillance du canton de Neuchâtel (recours en réforme)
Regeste Art. 392 Ziff. 1 ZGB . Errichtung einer Vertretungsbeistandschaft für eine bedürftige mündige Person, die sich ohne annehmbaren Grund beharrlich weigert, einen ihren persönlichen und wirtschaftlichen Interessen entsprechenden Entscheid zu treffen.
Sachverhalt ab Seite 10 BGE 111 II 10 S. 10 A.- Le 4 février 1983, le Département de l'agriculture du canton de Neuchâtel a révoqué X, fonctionnaire nommé en 1951. Le Conseil d'Etat a confirmé cette décision. Par arrêt du 4 novembre 1983, le Tribunal administratif a rejeté un recours de X, des pourparlers transactionnels ayant échoué en raison de l'entêtement du recourant. B.- Le 23 décembre 1983, la Caisse de pensions de l'Etat de Neuchâtel a écrit à X qu'il avait le choix, en tant qu'assuré, entre deux possibilités: demeurer assuré, en qualité de membre indépendant, pour la période du 1er juin 1983 (jour suivant celui où il a perdu le droit au versement de son salaire) au 30 septembre 1983 (date à partir de laquelle il pourrait prétendre à une pension de retraite complète sur la base de son dernier traitement assuré) et toucher, comme pension, du 1er octobre au 31 décembre 1983, 3'081 francs 75 par mois, puis, dès le 1er janvier 1984, 3'269 francs 15; obtenir une indemnité de sortie complète, BGE 111 II 10 S. 11 en capital, de 164'323 francs 65, intérêts moratoires non compris (cotisations du fonctionnaire et cotisations de l'Etat en sa faveur). X a refusé de choisir entre ces deux solutions. Il a continué à contester sa révocation et à prétendre à un salaire, bien qu'il n'eût pas attaqué l'arrêt du Tribunal administratif du 4 novembre 1983, qui était ainsi entré en force entre-temps. Il s'en est tenu à cette attitude également après le dépôt d'un rapport que la Caisse de pensions avait spécialement demandé à des experts en assurances pour lui permettre de prendre une décision en pleine connaissance de cause. Il a même annoncé qu'il déposerait une plainte pénale, pour abus d'autorité, contre la direction de la Caisse cantonale d'assurance populaire. Eu égard à une telle obstination, le Ministère public a demandé à l'Autorité tutélaire d'examiner s'il ne serait pas opportun de prendre des mesures tutélaires. Par décision du 14 août 1984, cette autorité, appliquant l' art. 392 ch. 1 CC , a désigné l'avocat Y en qualité de curateur ad hoc de X et l'a invité à lui faire rapport avant de prendre position au nom du susnommé au sujet de la lettre de la Caisse de pensions du 23 décembre 1983. Le 24 septembre 1984, l'Autorité tutélaire de surveillance a rejeté un recours de X, dans la mesure où il était recevable. C.- X a recouru en réforme au Tribunal fédéral. Il concluait à l'annulation de la décision attaquée et à ce qu'il fût dit "qu'il n'y a pas lieu d'instituer une curatelle sur la personne de X, pour effectuer le choix que la Caisse de pensions de la République et canton de Neuchâtel lui demande de faire". Le Tribunal fédéral a rejeté le recours. Erwägungen Extrait des considérants: 2. Aux termes de l' art. 392 ch. 1 CC , l'autorité tutélaire institue une curatelle lorsqu'un majeur ne peut, pour cause de maladie, d'absence ou d'autres causes semblables, agir dans une affaire urgente, ni désigner lui-même un représentant. Cette mesure tutélaire est, de par sa nature, provisoire, le curateur devant se limiter à exécuter conformément aux instructions de l'autorité tutélaire le mandat spécial dont il a été investi (cf. art. 418 CC ; SCHNYDER/MURER, n. 14 ad art. 392-397, n. 7, 17 et 18 ad art. 392 CC ); comme le relève expressément l'autorité cantonale au terme de la décision attaquée, elle tombe dès qu'a été liquidée l'affaire pour laquelle le curateur a été désigné. Par ailleurs, la curatelle BGE 111 II 10 S. 12 n'exerce pas d'influence sur l'exercice des droits civils ( art. 417 al. 1 CC ). a) L'autorité cantonale de surveillance constate que le recourant peut prétendre à une rente non négligeable dès le 1er octobre 1983 et refuse de répondre à la Caisse de pensions de l'Etat, ce qui est manifestement contraire à ses intérêts. En raison, dit-elle, de la situation financière périlleuse du recourant, alléguée par lui-même, l'affaire doit être considérée comme urgente; de plus, le refus prolongé et, à l'évidence, déraisonnable d'agir de X constitue, selon l' art. 392 ch. 1 CC , une autre cause semblable à une maladie ou à une absence qui empêcherait l'intéressé d'exercer ses droits contre la Caisse de pensions. Dans ces circonstances, conclut l'autorité cantonale, la mesure instituée est conforme à la loi. b) Le recourant nie qu'aucune des conditions d'application de l' art. 392 ch. 1 CC soit réalisée en l'espèce. Il fait valoir les arguments suivants: aa) Le choix que les autorités tutélaires entendent imposer à X n'a aucun caractère d'urgence: la péremption ou la prescription des droits éventuels du recourant à l'égard de la Caisse de pensions n'en dépendent pas, non plus qu'une baisse de leur valeur. Quant à la situation financière difficile dans laquelle se trouve le recourant, elle ne saurait être adoptée comme critère de l'urgence. La curatelle de représentation de l' art. 392 ch. 1 CC est instituée à l'égard d'une affaire déterminée, qui est urgente ou ne l'est pas. D'autre part, les personnes majeures qui se trouvent dans des conditions financières difficiles et ont des expectatives d'assurances sont nombreuses: ce n'est pas le but de l' art. 392 ch. 1 CC que de leur substituer un représentant officiel chaque fois que l'autorité étatique le veut. bb) X s'est montré acharné à défendre ce qu'il pense être son droit et ses intérêts. Il n'y a aucune raison de faire de cet acharnement une cause d'empêchement semblable à une maladie. D'ailleurs, le recourant a été libéré de la plupart des accusations portées contre lui devant le Tribunal de police du district de Neuchâtel et il n'est pas interdit de penser que la Cour de cassation le libérera de la seule infraction retenue, de sorte que les conditions d'une revision de l'arrêt rendu le 4 novembre 1983 par le Tribunal administratif pourraient être réunies d'ici peu. Enfin, la jurisprudence et la doctrine estiment que les causes d'empêchement semblables à une maladie doivent être admises de manière très BGE 111 II 10 S. 13 restrictive; sinon, il y aurait risque que les autorités tutélaires ne "s'érigent en maître du bon sens à propos de n'importe quelle affaire ou personne et au gré des dénonciations qui leur parviennent". cc) Quant à la possibilité de X de désigner un représentant, elle n'est limitée que par ses moyens financiers, ce qui n'est pas une cause d'empêchement au sens de l' art. 392 ch. 1 CC . 3. a) Un majeur ne peut pas agir, au sens de l' art. 392 ch. 1 CC , non seulement lorsqu'il est matériellement empêché par une maladie, l'absence ou d'autres causes semblables, mais également quand il n'est pas capable de régler l'affaire d'une manière conforme à ses intérêts bien entendus (SCHNYDER/MURER, n. 46 ad art. 392 CC ) ou quand, faute de jugement, il ne peut ni agir ni désigner lui-même un représentant (EGGER, n. 19 ad art. 392 CC ). On peut relever les cas suivants de désignation d'un curateur ad hoc dans la doctrine et la jurisprudence: - la perception des revenus d'une rente pour un alcoolique (EGGER, n. 7 ad art. 392 CC ); - la sauvegarde, en cas de maladie, d'un délai péremptoire pour ouvrir action, déposer une réponse, etc. (KAUFMANN, n. 8 ad art. 392 CC ); - l'incapacité totale de défendre ses intérêts dans un procès en divorce ( ATF 77 II 13 consid. 3); - le refus d'un héritier de faire valoir sa réserve, alors qu'il est dans l'indigence (EGGER, n. 16 ad art. 392 CC ); - des troubles psychiques, quand ils empêchent l'intéressé d'agir dans une affaire urgente, c'est-à-dire quand ils le privent de sa capacité de discernement ou, tout au moins, quand ils la diminuent au point qu'il ne peut pas agir convenablement ni désigner un représentant et contrôler son activité (SCHNYDER/MURER, n. 53 ad art. 392 CC ); l'absence de capacités nécessaires ou le manque de jugement, lorsque ces motifs d'empêchement, qui doivent être interprétés restrictivement, ont leur origine dans de véritables défaillances de l'intéressé, liées, par exemple, à son caractère (SCHNYDER/MURER, n. 55 ad art. 392 CC ). Selon SCHNYDER/MURER (Systematischer Teil, n. 254; n. 39 ad art. 392 CC ), dans le doute, il convient de désigner un curateur plutôt que d'y renoncer. b) En l'espèce, X s'est persuadé qu'il n'a pas été valablement démis de ses fonctions et qu'il a donc droit, comme auparavant, à son salaire jusqu'à la date normale de sa retraite, au cours de BGE 111 II 10 S. 14 l'année 1986. C'est une idée fixe, à laquelle rien, dans la réalité, ne donne de la vraisemblance. On ne voit notamment pas comment l'issue favorable du procès pénal pourrait permettre la revision de l'arrêt du Tribunal administratif: cette autorité a confirmé la révocation du recourant en tenant compte de l'ensemble de son comportement, dans son sens le plus large. Ainsi, en ce qui concerne sa capacité d'apprécier les questions relatives à sa retraite anticipée et à ses prétentions contre l'Etat, soit, plus précisément, contre la Caisse de pensions, X est bloqué psychiquement, se cantonnant dans une attitude caractérielle qui l'empêche de prendre une décision conforme à ses intérêts, partant, de se conduire raisonnablement. Il n'y a pas là simple obstination d'un individu têtu; un tel état est à la limite de l'incapacité de discernement et présente des traits morbides qui le rendent semblable à une maladie physique ou psychique. Le fait qu'une personne manifeste une mauvaise volonté absolue quand il s'agit de régler ses affaires justifie d'ailleurs que soit prise à son endroit une mesure tutélaire (RIEMER, Grundriss des Vormundschaftsrechts, p. 28 n. 2). Il découle de ce qui précède que le recourant ne peut pas non plus désigner lui-même un représentant. On ne conçoit pas que, se refusant à prendre une décision qu'il estime contraire à ses intérêts, il choisisse une personne pour la prendre à sa place. c) L'affaire urgente dans laquelle le majeur ne peut pas agir, ni désigner lui-même un représentant, peut être d'ordre personnel ou patrimonial; souvent, comme en l'espèce, les deux caractères sont liés (SCHNYDER/MURER, n. 22 et 61 ad art. 392 CC ). L'urgence implique que l'affaire ne souffre aucun retard parce qu'est en jeu, pour la personne en cause, un intérêt essentiel (SCHNYDER/MURER, n. 56 et 63, EGGER, n. 21 ad art. 392 CC ). Le fait que la péremption ou la prescription des droits du recourant envers la Caisse de pensions ne dépendent pas du choix à opérer n'est pas déterminant: en invoquant un tel argument, le recourant se place dans une optique trop étroite. A première vue, on pourrait se demander s'il ne convient pas de prendre en considération un élément nouveau, savoir l'entrée en vigueur, le 1er janvier 1985, de la loi fédérale sur la prévoyance professionnelle vieillesse, survivants et invalidité, du 25 juin 1982 (LPP): désormais, en effet, les prestations de vieillesse, pour survivants et d'invalidité sont, en règle générale, allouées sous forme de rente ( art. 37 al. 1 LPP ), si bien que, lorsqu'il aura atteint 65 ans révolus, BGE 111 II 10 S. 15 le recourant ne disposera plus de la faculté de choisir qui lui a été offerte. Mais ce fait ne permet pas, à lui seul, de dire qu'un intérêt essentiel est en jeu, car le versement d'une rente paraît être nettement plus avantageux au recourant. Décisives, en revanche, sont, comme l'a relevé l'autorité cantonale de surveillance, les conditions dans lesquelles vit actuellement X. Depuis juin 1983, le recourant est aidé financièrement, pour l'essentiel, par les services sociaux de la commune de C., qui lui versent un subside de 1'500 francs par mois en moyenne. On ne peut que se rallier à l'autorité cantonale quand elle qualifie cette situation de "périlleuse". C'est d'ailleurs le terme même employé devant elle par le recourant, qui a fait valoir qu'il était dans le dénuement et ne pouvait pas continuer à vivre ainsi au jour le jour. Il y a urgence, car il faut mettre fin sans retard à un tel état de choses. Depuis environ deux ans, X et son épouse vivent avec un revenu qui atteint à peine le minimum vital. Cette situation n'est pas seulement pénible matériellement, mais aussi psychologiquement: le fait d'être longtemps à la charge de l'assistance publique ne peut, dans notre société, qu'être ressenti comme une humiliation et conduit à l'isolement. Il n'est d'ailleurs nullement certain que les services sociaux continueront à aider le recourant jusqu'en octobre 1986; leurs prestations ne sont, au surplus, que des avances. 4. Vu ce qui précède, il n'y a pas eu violation de l' art. 392 ch. 1 CC en l'espèce. Les conditions d'application de cette disposition légale apparaissent réalisées. X s'obstine dans une attitude que rien de concret ne permet de justifier et l'affaire dans laquelle ce comportement l'empêche d'agir ou de désigner lui-même un représentant est urgente, car il s'impose que soit prise le plus vite possible une décision qui permette au recourant de vivre dans des conditions matérielles et sociales décentes.
public_law
nan
fr
1,985
CH_BGE
CH_BGE_004
CH
Federation
21f458eb-f886-47df-9e14-fee2cb9091e7
Urteilskopf 114 Ia 315 51. Auszug aus dem Urteil der II. öffentlichrechtlichen Abteilung vom 4. März 1988 i.S. Politische Gemeinde Savognin gegen Regierung des Kantons Graubünden (staatsrechtliche Beschwerde).
Regeste Art. 88 und 90 Abs. 1 lit. b OG ; Art. 40 Abs. 5 KV Graubünden. Beschwerde wegen Verletzung der Gemeindeautonomie; Legitimation (E. 1a). Anforderungen an die Begründung der Beschwerde gegen den Entscheid der Kantonsregierung, welche die Genehmigung des Grundsteuersatzes der Gemeinde wegen Verletzung des Grundsatzes der gerechten und billigen Besteuerung (Art. 40 Abs. 5 KV Graubünden) verweigert (E. 1b).
Erwägungen ab Seite 316 BGE 114 Ia 315 S. 316 Aus dem Erwägungen: 1. a) Eine Gemeinde ist zur Autonomiebeschwerde legitimiert, wenn sie durch den angefochtenen Entscheid als Trägerin hoheitlicher Gewalt berührt wird. Ob ihr im betreffenden Bereich tatsächlich Autonomie zusteht, ist nicht eine Frage der Legitimation, sondern bildet Gegenstand der materiellen Beurteilung ( BGE 113 Ia 202 E. 1a; BGE 112 Ia 269 E. 1a; BGE 111 Ia 252 E. 2, mit Hinweisen). Der angefochtene Entscheid betrifft die Beschwerdeführerin offensichtlich als Trägerin hoheitlicher Gewalt. Sie ist zur Beschwerde legitimiert. b) Nach Art. 90 Abs. 1 lit. b OG muss die Beschwerde die wesentlichen Tatsachen und eine kurz gefasste Darlegung darüber enthalten, welche verfassungsmässigen Rechte bzw. welche Rechtssätze und inwiefern sie durch den angefochtenen Erlass oder Entscheid verletzt worden sind. Das Bundesgericht prüft deshalb im staatsrechtlichen Beschwerdeverfahren nur klar und detailliert erhobene und, soweit möglich, belegte Rügen ( BGE 111 Ia 47 E. 2; BGE 110 Ia 3 E. 2a, mit Hinweisen). Das gilt nicht nur für einen privaten Beschwerdeführer, sondern ebenso auch für eine Gemeinde, die eine Verletzung ihrer Autonomie geltend macht. Es genügt nicht, dass die Gemeinde nur ihre Autonomie im fraglichen Sachbereich dartut und die nach ihrer Ansicht richtige Rechtsanwendung nennt. Sie muss substantiiert darlegen, inwieweit das Recht im angefochtenen Entscheid unrichtig angewendet worden sei. Das gilt auch dann, wenn das Bundesgericht den angefochtenen Entscheid mit freier Kognition überprüfen kann, was hier der Fall wäre, da der geltend gemachte Autonomiebereich durch die Verfassung umschrieben wird (vgl. BGE 113 Ia 206 E. 2b; BGE 112 Ia 342 E. 2, mit Hinweisen). Bei der Anwendung unbestimmter Rechtsbegriffe, wie dem Grundsatz der gerechten und billigen Besteuerung von Art. 40 Abs. 5 KV, hat der Beschwerdeführer detailliert aufzuzeigen, inwieweit der angefochtene Entscheid dem Sinn des Gesetzes bzw. der Verfassung widerspricht. Fordert der Grundsatz der gerechten und billigen Besteuerung etwa ein ausgewogenes Verhältnis der periodischen Steuern und der Spezialsteuern oder eine Verteilung der Belastung auf die verschiedenen Gruppen von Steuerpflichtigen nach deren wirtschaftlichen Leistungsfähigkeit und weiteren bedeutsamen Kriterien, so gehört es zur Substantiierung der Rügen, dass die Beschwerdeführerin die Einzelheiten der Belastung BGE 114 Ia 315 S. 317 in der Beschwerdeschrift dartut und belegt. Die Tatsache, dass der angefochtene Entscheid nur knapp begründet ist, entbindet die Beschwerdeführerin nicht davon, genügend substantiierte Rügen zu erheben und nötigenfalls Begründungselemente aufzugreifen, die die verfügende Behörde nicht angesprochen hat.
public_law
nan
de
1,988
CH_BGE
CH_BGE_002
CH
Federation