source
stringlengths
21
2.99k
target
stringlengths
411
7.46k
Cum olim Gyges, rex Lydiae magnus, armis et divitiis inflatus, Delphos venit ut Apollinem interrogaret quisnam se esset felicior, deus ex abdito sacrarii specu, vocem mittens, Aglaum Psophidium Lydiae regi anteposuit. Aglaus pauper Acras erat, sed, iam aetate confectus, e agelli sui finibus numquam excesserat, parvuli ruris fructibus contentus. Verum profecto beatae vitae finem, non arculi obscuritate adumbratum, Apollo statim ostendit. Sic igitur respondit deus regi insolenter fulgorem fortunae predicanti: "Tugurium probo securum atque laetum, non tristem curis et sollicitudinibus aulam; probo paucas glebas, non Lydiae arva metu referta; nec arma nec equitatus, impensis voracibus onerosus, sed pauci boves et equi, domini praeceptis parentes, magno usui sunt hominibus ut quieti vivant, uxori liberisque provideant!" Ita Gyges, dum deum habere astipulatorem vanae opinionis concupiscit, veram, solidam et sinceram felicitatem didicit.
Quando una volta Gige, magno sovrano della Lidia, colmo di armi e ricchezze arrivò a Delfi per consultare l'oracolo di Apollo su chi fosse più beato di lui, il dio dalla scappatoia dello specchio sacrario, rispondendo, mise davanti Aglao Psofidio al sovrano della Lidia. Il povero Aglao era di Acra, ma, raggiunta l'età, non andò mai fuori dai limiti del suo terreno, beato per i frutti del suo modesto orticello. In realtà Apollo immediatamente rivelò come quello fosse giunto alla termine della vita felice non nascosto dall'oscurità della ricchezza. Allora così rispose il dio al sovrano che rivendicava in modo ostinato la bellezza della pecunia: “Approvo la dimora certa e serena, e non la dimora infelice per le angosce e le ansie, lodo la poca terra non i campi che portano paura alla Lidia; né le armi o la cavalleria, gravose di spese ingenti, bensì pochi buoi e cavalli, obbedienti ai comandi del padrone, di enorme utilità agli uomini che trascorrono la vita sereni, che si preoccupano della moglie e dei figli!” Allora Gige, mentre bramava avere il dio in qualità del giudice del vano pensiero ottenne la vera, sicura e onesta felicità.
Olim in alta rupe capellae herbas raras carpebant. Forte lupus eas vidit et rupi appropinquavit. Primum eas vi deprehendere frusta temptavit; postea, ut improbum consilium suum celaret, ita eis ipse dixit: "Stultissimae capellae! Cur campum vitatis, ubi tanta copia pabuli est? In rupibus tam arduis multa pericula sunt!". Tunc cautae capellae ei responderunt: "Herbas campi libenter nos gustabimus, cum tu in latibulum tuum commeaveris!"
Un giorno delle caprette brucavano l’erba rada su un'alta rupe. Casualmente un lupo le vide e si avvicinò alla roccia. Prima tentò inutilmente di afferrarle con la forza, successivamente, per nascondere la sua cattiva intenzione, egli stesso disse loro: "Stupidissime capre! Perché evitate il campo, dove c'è tanta abbondanza di pascolo? Sulle rupi così alte ci sono molti pericoli!". Allora le prudenti caprette gli risposero: "Gusteremo volentieri le erbe del campo, quando tu ti sarai recato al tuo rifugio!".
Quidquid inter vicina eminet magnum est illic ubi eminet; nam magnitudo non habet modum certum: comparatio illam aut tollit aut deprimit. Navis quae in flumine magna est in mari parvula est; gubernaculum quod alteri navi magnum alteri exiguum est. Tu nunc in provincia, licet contemnas ipse te, magnus es. Quid agas, quemadmodum cenes, quemadmodum dormias, quaeritur, scitur: eo tibi diligentius vivendum est. Tunc autem felicem esse te iudica cum poteris in publico vivere, cum te parietes tui tegent, non abscondent, quos plerumque circumdatos nobis iudicamus non ut tutius vivamus, sed ut peccemus occultius.Rem dicam ex qua mores aestimes nostros: vix quemquam invenies qui possit aperto ostio vivere. Ianitores conscientia nostra, non superbia opposuit: sic vivimus ut deprendi sit subito aspici. Quid autem prodest recondere se et oculos hominum auresque vitare? Bona conscientia turbam advocat, mala etiam in solitudine anxia atque sollicita est. Si honesta sunt quae facis, omnes sciant; si turpia, quid refert neminem scire cum tu scias? O te miserum si contemnis hunc testem!
Tutto ciò che si distingue tra le cose vicine, è grande nel contesto in cui si distingue. La grandezza infatti non ha una misura determinata: è il confronto con qualcosa d’altro che la aumenta o la diminuisce. Una nave che è grande in un fiume, nel mare risulta piccola. Un timone che è grande per una nave, diventa piccolo per un’altra. Tu adesso sei grande nell’ambito della provincia, anche se dai scarso valore a te stesso. La gente chiede e viene a sapere cosa fai, come mangi, come dormi: per questo tu devi vivere più rigorosamente. Ma devi giudicare felice te stesso allora, quando potrai vivere alla luce del sole, quando le mura della tua casa serviranno a coprirti, non a nasconderti, quelle mura che di solito noi riteniamo che ci circondino allo scopo di farci non vivere più al sicuro, ma peccare più furtivamente. Voglio dirti una cosa in base a cui tu potresti valutare il nostro comportamento: a stento riuscirai a trovare uno che sia in grado di vivere colla porta della sua casa spalancata. È la nostra coscienza non la superbia che costringe a mettere dei guardiani alla porta, viviamo in modo tale che essere visti all’improvviso coincide con l’essere colti in flagrante. Ma cosa giova nascondersi e cercare di non farsi né vedere né sentire dagli altri? La coscienza a posto fa cercare la gente, quella sporca è piena di ansie e preoccupazioni anche in un deserto. Se quello che fai è onesto, lo sappiano tutti, se è disonesto, che importanza ha se non lo sa nessuno, perché tu lo sai? O sciagurato te, se non ti curi di questo testimone (che corrisponde a te stesso)!
Caesar contione habita Cordubae omnibus generatim gratias agit: civibus Romanis, quod oppidum in sua potestate studuissent habere; Hispanis, quod praesidia expulissent; Gaditanis, quod conatus adversariorum infregissent seseque in libertatem vindicassent; tribunis militum centurionibusque, qui eo praesidii causa venerant, quod eorum consilia sua virtute confirmavissent.
Radunato a Cordova un comizio, Cesare dà a ciascuno un omaggio rinomato per ciascuna classe: ai cittadini romani, siccome si erano incaricati di mantenere la città nella loro autorità, agli Spagnoli, siccome avevano allontanato il presidio , agli cittadini di Gades, siccome avevano sterminato gli sforzi dei nemici e avevano acquisito l'indipendenza; ai tribuni dei soldati e ai centurioni, che erano arrivati lì per la tutela, siccome avevano retto con la loro virtù le scelte di questo popolo.
Alexandro, iter facienti, unus e captivis, qui Darei uxorem comitabantur, deficere eam nuntiat et vix spiritum ducere. Itineris laboribus defatigata, inter manus socrus et eius virginum filiarum collapsa erat, deinde exstincta. Id ipsum alius nuntibus superveniens nuntiavit. Et rex, haud secus quam si matris mors nuntiata esset, crebros edidit gemitus et, lacrimis obortis quales Dareus profundisset, in tabernaculum venit, in quo mater Darei erat, defunctae corpori adsidens.Hic vero renovatus est maeror ut anum humi prostratam vidit. Nam in gremio receperat filias virgines. In conspectu erat nepos parvulus, ob hoc ipsum miserabilis quod nondum sentiebat camalitatem, quae in ipsum redundebat. Crederes Alexandrum inter suas necessitudines flere et non adhibere, sed quaerere solacia. Deinde cibo abstinuit, omnemque honorem funeri servavit more Persarum. Semel eam viderat et ex eximia pulchritudine non ad libidinem sed ad mansuetudinem invitamentum habuerat.
Durante la marcia, uno dei prigionieri, che facevano da scorta alla moglie di Dario (che accompagnavano la moglie di Dario), annuncia ad Alessandro che essa stava venendo meno e che respirava a stento. Sfinita dalle fatiche della marcia, si era accasciata tra le braccia della suocera e delle sue giovani figlie, poi (era) morta. Un altro che sopraggiungeva con i messaggeri annunciò questa stessa cosa. Il re, come se fosse stata annunciata la morte della madre, si lasciò sfuggire ripetuti gemiti e, dopo che gli erano spuntate lacrime quali avrebbe versato Dario, venne alla tenda dove era la madre di Dario, che vegliava la salma della defunta. Qui, come vide la vecchia prostrata a terra, si rinnovò il dolore. Essa, infatti, aveva stretto al (suo) grembo le giovani figlie. Era presente anche il piccolo nipote, davanti a questa stessa pietà che non sentiva ancora la disgrazia che in lui stesso ricadeva. Si sarebbe avuta l'impressione che Alessandro piangesse tra i suoi e che non portasse, ma cercasse conforto. In seguito non volle toccar cibo e fece eseguire tutte le onoranze funebri secondo il rito dei Persiani. L'aveva vista una volta sola e dalla (sua) straordinaria bellezza si era sentito spinto non a pensieri di libidine ma alla mansuetudine.
Fundamenta Romanae rei publicae haec sunt, haec membra, quae tuenda rectoribus vel capitis periculo et defendenda sunt: religio, potestates magistratuum, senatus auctoritas, leges, mos maiorum, fides, provinciae, socii, imperii laus, res militaris, aerarium. Harum rerum esse defensorem et patronum magni animi est, magni ingenii magnaeque constantiae. Etenim in tanto civium numero magna multitudo est eorum, qui, aut propter metum poenae peccatorum suorum novos motus conversionesque rei publicae quaerant, aut qui, propter insitum quendam animi furorem, discordiis civium ut seditione pascantur, aut qui, propter implicationem rei familiaris, communi incendio malint quam suo deflagrare.Qui cum nacti sunt duces suorum studiorum vitiorumque, in re publica fluctus excitantur, ita ut vigilandum sit iis, qui gubernacula patriae obtinent, enitendumque omni scientia ac diligentia ut, conservatis iis quae ego paulo ante esse dixi fundamenta et membra civitatis, tenere cursum poterint et capere portum otii.
I fondamenti dello stato Romano sono questi, queste le strutture che i governanti devono proteggere e difendere anche a costo della vita: la pratica religiosa, i poteri delle magistrature, autorità del senato, le leggi, il costume degli antenati, l'onestà, i governi delle province, gli alleati, la gloria del governo, la potenza militare, l'erario. Essere difensore e arbitro di queste cose è proprio di un animo coraggioso, di una grande intelligenza e di una grande fermezza. E infatti in un così grande numero di cittadini una grande moltitudine è di quelli (tali) che, o per la paura della punizione dei loro errori, chiedono per lo stato nuovi cambiamenti e mutamenti, o (tali) che, a causa di un certo furore insito nel carattere, si nutrono delle discordie dei cittadini come della rivolta, o che, a causa del dissesto del patrimonio, preferiscono bruciare in un incendio comune che da soli. E quando questi si sono imbattuti nelle guide dei loro desideri e vizi, smuovono dei moti nello stato, cosicché quelli che ottengono il governo della patria devono stare in guardia, e distinguersi in ogni modo cosicche, salvaguardati quelli che io poco sopra ho detto essere i fondamenti e le strutture della costituzione, si possa conservare la rotta e conseguire lo scopo della pace sociale.
Cyzicum, nobilis civitas, arce, moenibus, portu turribusque marmoreis Asiaticae plagae litora inlustras. Eam Mithridates quasi alteram Romam toto invaserat bello. Sed fiduciam oppidanis salutis nuntius fecit; nam adventabat Lucullus, qui per medias hostium naves utre suspensus et pedibus iter adgubernans, videntibus procul quasi marina pristis evaserat. Mox clades conversa est, cum ex mora obsidii regem fames et ex fame pestilentia urgeret, Lucullus suis copiis pervenit adeoque regis exercitum caedit, ut Granicus et Aesepus amnes cruenti redderentur.Rex callidus Romanaeque avaritiae peritus spargi a fugientibus sarcinas et pecuniam iussit, ut hostes tarderent.
Cizico, nobile città, con la fortezza, le mura, il porto e le torri di marmo illumina le coste della regione asiatica. Mitridate aveva invaso codesta città con una guerra totale quasi fosse un'altra Roma. Però un messaggero di salvezza infonde fede agli abitanti; difatti veniva Lucullo, che sospeso con un galleggiante in mezzo alle imbarcazioni degli avversari e cambiando la rotta con i piedi, era parso a quelli che lo osservavano da lontano quasi una balena marina. Immediatamente la disfatta venne cambiata, quando per il prolungamento dell' assedio la carestia e dalla carestia la pestilenza tormentava il re, Lucullo giunse con le sue truppe e devastò l'esercito del re a tal punto che i fiumi Granico e Esepo erano resi sanguinanti. Il re furbo e conoscitore dell'avidità romana ordinò che venissero cosparsi da coloro che scappavano provviste e pecunia, affinché rallentassero i nemici.
Tradunt historiam de equo Seiano dignam memoria atque admiratione. Dicunt Gneum Seium quempiam scribam fuisse eumque habuisse equum natum Argis in terra Grecia, de quo fma constans esset (= erat). Eum equum fuisse dicunt magnitudine invisitata, cervice ardua, colore poeniceo, flora et comanti iuba, aliisque equis omnibus laudibus quoque longe praestitisse. Sed eundem equum tali fuisse fato sive fortuna ferunt, ut, quisquis haberet eum possideretque, is cum omni domo, familia fortunisque omnibus suis ad internecionem deperiret.Itaque (dicunt) primum illum Gnaeum Seium, dominum eius, a M. Antonio, qui postea triumvir rei publicae constituendae fuit, capitis damnatum miserando supplicio affectum esse; eodem tempore Cornelium Dolabellam consulem in Syria proficiscentem fama istius equi adductum Argos devertisse cupidineque habendi eius exarcisse emisseque eum sestertiis centum milibus; sed ipsum quoque Dolabellam in Syria bello civili obsessum atque interfectum esse; mox eundem equum C. Cassium, qui Dolabellam obsederat, abduxisse. Eum Cassium postea satis notum est, victis partibus suis fusoque exercitu suo, miseram mortem oppetivisse; deinde Antonium, post interitum Cassii, equum illum nobilem Cassii requisisse et, cum eo potitus esset, ipsum quoque postea victum atque desertum interisse. Hinc proverbium de hominibus calamitosis ortum est: "Ille homo habet equum Seianum".
Narrano una storia degna di ricordo e ammirazione su un cavallo di Seio. Dicono che Gneo Seio fu un segretario e che egli abbia avuto un cavallo nato ad Argo in Grecia, riguardo al quale la fama era costante. Dicono che il cavallo fosse di grandezza insolita, di collo erto, di colore purpureo, di criniera bionda e chiomata, e che fosse anche di gran lunga superiore agli altri cavalli in tutte le qualità. Ma raccontano che il medesimo cavallo fosse di tal genere per fato o per avversità, che, chiunque lo avesse e possedesse, egli perisse totalmente con tutta la casa, la famiglia e con tutte le proprie fortune. Perciò dicono che per primo quel Gneo Seio, il suo padrone, a Marco Antonio, che poi fu un triumviro incaricato di riformare lo stato, condannato a morte fu affetto da un supplizio deplorevole; nel medesimo periodo raccontano che il console Cornelio Dolabella mentre partiva per la Siria attratto dalla fama di questo cavallo avesse deviato per Argo e che si infiammò per la bramosia di averlo e che lo comprò con centomila sesterzi; ma raccontano che pure questo Dolabella in Siria fu trattenuto e ucciso dalla guerra civile; in seguito raccontano, che Gaio Cassio, che stava presso Dolabella, rubò il medesimo cavallo. Raccontano che quel Cassio in seguito fu conosciuto sufficientemente, vinte le proprie fazioni e ampliato il prorpio esercito, incorse in una misera morte; in seguito raccontano che Antonio dopo la morte di Cassio, richiese quel nobiule cavallo di Cassio e, dopo che si era impadronito di quello, pure egli stesso si trovò vinto e abbandonato. Da ciò è noto il proverbio sugli uomini sventurati: "Quell'uomo possiede il cavallo di Seio".
Uxores praeter Octaviam duas postea duxit, Poppaeam Sabinam quae quaestorio patre nata erat et equiti Romano antea nupte, deinde Statiliam Messalinam Tauri bis consulis ac triumphalis abneptem. Qua ut potiretur ut, virum eius Atticum Vestinum consulem in honore ipso trucidavit. Octaviae consuetudinem cito aspernatus est et amicis, qui eum corripiebant, sufficere illi debere respondit uxoria ornamenta. Eandem mox saepe frustra strangulare meditatus est et dimisit ut sterilem, conviviis etiam relegavit, denique occidit sub crimine adulteriorum adeo impudenti falsoque, ut in questione Anicetum paedagogum suum indicem subiecerit, qui fingeret et eam dolo stupratum a se ipso fateretur.Poppaeam duodecimo die post divortium Octaviae in matrimonium accepit e dilexit unice; et tamen ipsam quoque ictu calcis occidit, quod se aurigatione sero reversum gravida et aegra reprehenderat. Ex hac filiam tulit Claudium Augustam amisitque admodum infantem.
Dopo Ottavia ebbe due mogli,innanzitutto Poppea Sabina,era nata da un padre magistrato e maritata precedentemente con un cavaliere romano,dopo Statilia Messalina,bisnipote di Tauro che è stato console due volte e ottenne l'onore. Per essere in grado di sposarsi questa fece trucidare suo marito Attico Vestino addirittura nel momento in cui praticava il consolato. Si annoiò all'istante di Ottavia e,siccome i suoi compagni lo biasimarono per ciò,lui reclamò che lei doveva accontentarsi dello stendardo delle nozze. Dopo, avendo provato più volte, senza aver successo, di farla soffocare, la rifiutò con la scusa della infecondità,però siccome il popolo non approvava la sua separazione e non rispettava le sue idee, la esilio e poi la condannò a morte,con l'accusa di infedeltà; l'incriminazione era talmente sfacciata e denigratoria che ogni testimoni continuarono a confutare e Nerone fu costretto a incriminare il suo educatore Aniceto che si incolpò, subdolamente, di essersi approfittato di lei con un inganno.Dopo undici giorni dalla separazione da Ottavia, Nerone congiunse con Poppea,la quale amò più di ogni cosa,però uccise pur lei, con un colpo,poichè, incinta e malata, lo aveva ammonì severamente una sera che era tornato tardi da una gara di carri. Da questa ebbe una figlia, Claudia Augusta che morì già bambina.
Lupus, dum per vastum campum deambulat, forte oculos ad caelum levat et in alta rupe pulchram capellam videt. Tum lupus famelicus, quia teneram capellam vorare vult, blandis dolosisque verbis timidam bestiolam allicit: "De alta rupe, pulchra capella, in campum descende: illic nullus cibus est tibi aptus, hic autem pabula, laeta odorosaeque herbae tipi florent". Tum capella, parva sed cauta, prompte respondet lupo: "Timida videor sed stulta non sum: nam dolum tuum intellego et in hac rupe, ubi tuta sum, manere malo!".Ut fabella docet, verba malorum, etiam si blanda sunt, semper insidias celant, quia improbi bonis semper insidias tendunt.
Un lupo, mentre passeggia per un vasto campo, alza per caso gli occhi al cielo e su un'alta rupe vede una bella capretta. Allora, il lupo famelico, poiché vuole divorare la tenera capretta, attira la timorosa bestiola con lusinghiere e furbe parole: "Scendi dall'alta rupe, oh bella capretta, nel campo: lì non c'è nessun cibo adatto a te, qui invece crescono rigogliosi pascoli e profumata erba per te". Allora la capretta, piccola ma cauta, prontamente risponde al lupo: "Sembro timorosa ma non sono stolta: infatti ho capito il tuo tranello e su questa rupe, dove sono al sicuro, preferisco rimanere!". Come insegna la favola, le parole dei cattivi, anche se sono lusinghiere, celano sempre insidie, poiché i malvagi tendono sempre trappole ai buoni.
Cum Achilles decessisset, maxima contentio inter Aiacem Telamonium et Ulixem fuit. Nam ambo vindicabant ut sibi arma eius darent Graeci. Principes, cum diu consultavissent utri arma tribuerent, ea Ulixi addixerunt. Ob eam rem tanta ira exarsit Aiax ut insaniverit et per dies noctesque erraverit. Quaerebat enim ubi Ulixes esset, ut eum occideret. Cum in gregem ovium incidisset, furens gladium destrinxit et omnes oves gregis cecidit. Tandem Minerva, ne quid detrimenti ultra Graecis veniret, eum ad sanitatem perduxit.Ubi autem intellexit quanta fuisset amentia sua, eam ignominiam tolerare nullo modo sustinuit et ipse se interemit. Eum Graeci in litore sepeliverunt et Ulixes, intellegens quantae calamitatis causa fuissent illa arma, ea in mare proiecit.
Dopo che perì Achille, vi fu tra Aiace Telamonio ed Ulisse una grande sfida. Difatti entrambi reclamavano che i Greci concedessero a loro le sue armi. I comandanti, avendo pensato a lungo a chi dei due dare le armi, le affidarono ad Ulisse. Per codesta ragione Aiace venne preso da così enorme ira che impazzì ed andò girovagando giorno e notte. Cercava, difatti, dove fosse Ulisse per ucciderlo. Essendosi imbattuto in un gregge di pecore, essendo fuori di sé tirò fuori la spada e trafisse tutte le pecore del gregge. Infine Minerva, perché non accadesse ai Greci qualche altra rovina, lo riportò alla ragione. Quando invece Aiace si rese conto quanto grande fosse stata la sua pazzia, in nessun maniera fu in grado di tollerare quella vergogna e da sé si mise a morte. I Greci lo seppellirono sulla spiaggia e Ulisse, capendo di che enorme rovina fossero state causa quelle armi, le buttò in mare.
Romae multi nostrum aegri insomnia mortem occumbunt. Nam quae meritoria somnum admittunt? Tantum cives quibus magna pecunia est dormiunt Romae, in maxima urbe. Inde morbi maxima causa: curruum raedarumque transitus per artos vicos et convicia mandrae quae constitit somnum rapiunt vitulis quoque marinis. Si die dives vocatur officio, per turbam, quae ante eum cedit, vehetur et ingenti lectica curret per vias super ora atque obiter leget aut scribet vel dormiet; namque faciunt somnum lecticae fenestrae quae clausae sunt.Nobis qui properamus obstat populi unda quae praecedit et unda quae instat premit lumbos.
A Roma molti di noi malati trovano la morte nell’insonnia. Infatti quale casa d’affitto permette di dormire? Solo i cittadini che hanno molto denaro dormono a Roma, grandissima città. Da qui la causa principale di malattia: il passaggio di carri e carrozze attraverso i vicoli stretti e il clamore della mandria che si è fermata rubano il sonno anche alle foche (vitelli marini). Se di giorno un ricco è convocato per un affare, (egli) sarà trasportato attraverso la folla che avanza davanti a lui, e correrà su una grande lettiga per le strade al di sopra delle teste e frattanto leggerà, scriverà o dormirà poichè conciliano il sonno le feritoie della lettiga che sono tenute chiuse. La moltitudine di persone che precede è di ostacolo a noi, che abbiamo fretta, e la moltitudine (di persone) che segue urta i reni.
Cuius de adventu cum fama in Graeciam esset perlata et maxime Athenienses peti dicerentur propter pugnam Marathoniam, miserunt Delphos consultum, quidnam facerent de rebus suis. Deliberantibus Pythia respondit, ut moenibus ligneis se munirent. Id responsum quo valeret, cum intellegeret nemo, Themistocles persuasit consilium esse Apollinis, ut in naves se suaque conferrent: eum enim a deo significari murum ligneum. Tali consilio probato addunt ad superiores totidem naves triremes suaque omnia, quae moveri poterant, partim Salamina, partim Troezena deportant; arcem sacerdotibus paucisque maioribus natu ac sacra procuranda tradunt, reliquum oppidum relinqunt.
Essendo stata portata fino in Grecia la notizia dell'arrivo di Serse ed essendo detto soprattutto che gli Ateniesi erano richiesti a causa della battaglia di Maratona, mandarono a Delfi per consultare su che cosa fare riguardo alla faccenda. La Pizia rispose a coloro che chiedevano di munirsi con delle mura di legno. Temistocle persuase che era volontà di Apollo che radunassero se stessi e le loro cose sulle navi, poichè nessuno capiva che valore avesse quel responso: egli, infatti, (persuase) che (quello) era il muro di legno indicato dal dio. Approvata tale decisione aggiungono a quelle che già c'erano altrettanti navi triremi e tutte quelle che si potevano muovere partirono un po' per Salamina, un po' per Trezema; affidano l'Acropoli e l'espletamento del culto ai sacerdoti e a pochi anziani e abbandonano il resto della città.
Numquam est tuta amicitia cum improbo viro, ut clara fabella Phaedri poetae demonstrat. Pavidae columbae semper magna cum diligentia saevum milvum fugiebant atque celeriter albis pennis evolabant quotienscumque eum videbant. Milvus autem ad fallaciam consilium vertit ac dolo timidas columbas decipit. “ Cur, columbae, sollicitam vitam agitis ? Auxilio meo autem ab iniuriis aliarum ferarum tutae eritis: dominum vestrum me create! “ Stultae columbae milvo credunt atque, laetae propter gratum promissum, regnum milvo tradunt.Tum milvus, ubi columbarum regno dominus est, statim singulas columbas devorare incipit et imperium saevis ungulis exercere. Tunc una ex reliquis columbis: “ Merito plectimur! “
Non è mai sicura un’amicizia con un uomo cattivo, come dimostra una famosa favola del poeta Fedro. Alcune colombe spaventate evitavano sempre con grande cura un crudele nibbio e velocemente volavano via grazie alle loro penne bianche ogni volta che lo vedevano. Il nibbio però trasforma una sua decisione in un inganno e inganna le timide colombe con un tranello. “ Perché, o colombe, dovrete trascorrere una vita agitata ? Con il mio aiuto invece sarete difese dagli affronti delle altre bestie selvagge: eleggetemi vostro signore! “ Le sciocche colombe credono al nibbio e, liete per la grata promessa, affidano il regno al nibbio. Allora il nibbio, quando è il signore nel regno delle colombe, subito inizia a divorare ogni colomba e a esercitare il comando con le sue unghie crudeli. Allora una tra le colombe rimanenti: “ Siamo condannate giustamente! “
Historia de Polo histrione memoratu digna. Histrio in terra Graecia fuit fama celebri, qui gestus et vocis claritudine et venustate ceteris antistabat: nomen fuisse aiunt Polum, tragoedias poetarum nobilium scite atque asseverate actitavit. Is Polus unice amatum filium morte amisit. Eum luctum quoniam satis visus est eluxisse, rediit ad quaestum artis. In eo tempore Athenis Electram Sophoclis acturus gestare urnam quasi cum Oresti ossibus debebat.Ita compositum fabulae argumentum est, ut veluti fratris reliquias ferens Electra comploret commisereaturque interitum eius existimatum. Igitur Polus lugubri habitu Electrae indutus ossa atque urnam e sepulcro tulit filii et quasi Oresti amplexus opplevit omnia non simulacris neque imitamentis, sed luctu atque lamentis veris et spirantibus. Itaque cum agi fabula videretur, dolor actus est.
La storia dell’attore Polo è degna di essere ricordata. In Grecia vi fu un attore dalla celebre fama il quale spiccava sugli altri per la chiarezza della mimica e della voce e per la bellezza: dicono che il (suo) nome fosse Polo, recitò spesso le tragedie di rinomati poeti abilmente e appassionatamente. Quel Polo perse il figlio straordinariamente amato a causa della (sua) morte. Poiché sembrò che avesse manifestato il lutto a sufficienza, tornò al mestiere dell’arte. In quel momento colui che avrebbe recitato ad Atene l’Elettra di Sofocle doveva portare un’urna cineraria come se contenesse le ossa di Oreste. Il contenuto della tragedia fu composto in modo che, come se stesse portando i resti del fratello, Elettra piangesse e commiserasse la sua presunta morte. Allora Polo, indossato l’abito funebre di Elettra, portò fuori dal sepolcro le ossa e l’urna del figlio, e abbracciatele come se fossero state di Oreste riempì tutto non con finzioni né con imitazioni, ma con il lutto e lamenti autentici e sospiranti. Quindi mentre sembrava che la tragedia fosse recitata, fu rappresentato il dolore.
Iugurtha postquam bellum incipit, cum magna cura parare omnia, festinare, cogere exercitum, civitatis, quae ab se defecerant, formidine aut ostentando praemia adfectare, communire suos locos, arma, tela, servitia Romanorum allicere et eos ipsos qui in praesidiis erant pecunia temptare, prorsus nihil intactum neque quietem pati, cuncta agitare.Igitur Vagae, quo Metellus praesidium imposuerat, principes civitatis inter se coniurant; nam vulgus ut plerumque solet, et maxime Numidarum, ingenio mobili, seditiosum atque discordiosum erat, cupidum rerum novarum, quieti et otio adversum.Dein, die festo, centuriones tribunosque militares et ipsum praefectum oppidi Turpilium Silanum alius alium domos suas invitant; eos omnes praeter Turpilium inter epulas obtruncant. Postea milites palantes inermos, ut solet in tali die, aggrediuntur. Idem plebei faciunt, alii edocti ab nobilitate alii studio talium rerum incitati
Giugurta, dopo che ebbe iniziato (lett. "dopo che iniziò") la guerra, preparava ogni cosa con grande attenzione, si affaccendava, radunava l'esercito, si accattivava le città che si erano allontanate da lui, con la paura o promettendo premi, rafforzava le sue postazioni, le armi, le lance, attirava gli schiavi dei Romani e tentava con il denaro gli stessi che si trovavano nei presidi, non lasciava niente del tutto intatto, né quieto, agitava tutto. Dunque a Vaga, dove Metello aveva collocato un presidio, i comandanti della città congiurano tra loro; infatti il popolo, come suole la maggior parte, soprattutto degli abitanti della Numidia, era di carattere volubile, tumultuoso e litigioso, desideroso di cose nuove ed avverso alla quiete e all'ozio. Poi, in un giorno di festa, chi l'uno, chi l'altro, invitano i centurioni e i tribuni militari e lo stesso prefetto della città Turpilio Sileno nelle loro case; li massacrano tutti tranne Turpilio tra i banchetti. Dopo, i soldati che vagano disarmati vengono aggrediti, come è d'uso in un giorno del genere. I plebei fanno la stessa cosa, alcuni informati dalla nobiltà, altri spinti dall'interesse per tali affari.
Hoc tibi soli putas accidisse et admiraris quasi rem novam quod peregrinatione tam longā et tot locorum varietatibus non discussisti tristitiam gravitatemque mentis? Animum debes mutare, non caelum. Licet vastum traieceris mare, licet, ut ait Vergilius noster,tērraeque ūrbēsquĕ rĕcēdānt,sequentur te quocumque perveneris vitia. Hoc idem querenti cuidam Socrates ait, "quid miraris nihil tibi peregrinationes prodesse, cum te circumferas? premit te eadem causa quae expulit".Quid terrarum iuvare novitas potest? quid cognitio urbium aut locorum? in irritum cedit ista iactatio. Quaeris quare te fuga ista non adiuvet? tecum fugis. Onus animi deponendum est: non ante tibi ullus placebit locus. Talem nunc esse habitum tuum cogita qualem Vergilius noster vatis inducit iam concitatae et instigatae multumque habentis in se spiritus non sui:bācchātūr vātēs, māgnūm sī pēctŏrĕ pōssītēxcūssīssĕ dĕūm.Vadis huc illuc ut excutias insidens pondus quod ipsā iactatione incommodius fit, sicut in navi onera immota minus urgent, inaequaliter convoluta citius eam partem in quam incubuēre demergunt.
Ritieni che questo sia accaduto solo a te e ti meravigli come di un fatto straordinario perché non hai abbattuto la tristezza e la pesantezza della mente con un viaggio tanto lungo e con tanta varietà di luoghi? L’animo devi cambiare, non il cielo. È lecito attraversare il vasto mare, è lecito che, come dice il nostro Virgilio,Scompaiano terre e città,i [tuoi] vizi ti seguiranno dovunque andrai. Socrate, a un tale che si lamentava per questo stesso [motivo], disse: “Perché ti meravigli se i viaggi non ti giovano per niente quando porti in giro te stesso? Ti incalza lo stesso motivo che ti ha spinto lontano". In che cosa può aiutarti la novità delle terre? In che cosa la conoscenza di città o luoghi? Codesta vanità si trasforma in nulla. Ti chiedi perché codesta fuga non ti giovi? [Tu] fuggi con te stesso. Il peso dell’animo deve essere abbattuto: prima nessun luogo ti piacerà. Pensa che il tuo stato è tale quale a quello che il nostro Virgilio descrive della profetessa già esaltata e ispirata e che ha in sé molto spirito non suo:la profetessa si dimena [per vedere] se dall’anima possa allontanare il grande dio.Vai qua e là per allontanare il peso che sta dentro, che diventa più fastidioso per la stessa agitazione, così come in una nave i carichi immobili gravano di meno, [mentre] quelli che rotolano irregolarmente fanno affondare piuttosto rapidamente quel settore sul quale si trovano (perfetto).
Mare universum vocatur Oceanus et undique terras cingit. Oceanus et quattuor regionibus inrumpit in terras: a septentrione vocatur mare Caspium, ab oriente Persicum, a meridie Arabicum, Rubrum et Erythraeum, ad occasum magnum mare vel Atlanticum; mare commerciis totius generis humani peragratur. Oceanus intrat in fretum Gaditanum inter montes Abinnam et Calpem ob Herculis Columnas, dein latissime simul et longissime effunditur et medium terrarum orbem inundat et nomina adquirit:mare Balearicum, quod Hispaniam adluit; Gallicum, quod Gallias tangit; Ligusticum, quod Liguribus infunditur; Tuscum, Tyrrhenum vel inferum, quod dextrum Italiae latus circuit; Hadriaticum, vel superum, quod sinistrum Italiae latus cingit.
L'intero mare è denominato Oceano, e cinge le terre da ciascuna zona. Oceano irrompe pure in quattro territori delle terre: dalla zona nord è nominata mar Caspio, dalla zona orientale Persico, dalla zona sud Mar Arabico, Mar Rosso e Mar Eritreo invece ad ovest è nominata o Grande Mare oppure Oceano Atlantico; il mare è percosso dai commerci dei tutto la specie umano. L'Oceano penetra nello stretto di Gibilterra tra i monti Calpe e Abinna tramite le colonne d'Ercole,in seguito si allarga nel medesimo istante con ampissimo di vastità e estensione e inonda le terraferma a metà, e porta codesti titoli:il mare delle Baleari, che bagna la Spagna; mar di Gallia, che sfiora le Gallie; Ligure, che circonda la zona dei Liguri; Tosco, Tirreno o Inferiore, che demarca il fianco destro dell'Italia ; Adriatico, o Superiore, che cinge la riva sinistra dell'Italia.
In villa sunt stabula ita ut calida bubilia.Vinum et oleum loco plano in frigidis cellis servantur.Item ibi sunt vasa vinaria et olearia.Faba autem et faenum servantur in tabulatis.Praeterea villa habet etiam loca ubi commode servi fessi ob nimiam in agris operam quiescunt.Vilici cella apud ianuam est:sic vilicus servos,qui (che,nom) intrant aut excedunt,observat.Interdum,tamen,apud ianuam est ostiarius quoque.Culina quoque magna est.In cohorte (nel cortile) erunt etiam satis magna tecta,loca tuta palustris ceterisque instrumentis;sic enim adversus pluvias resistunt.Sunt autem in cohorte duo lacus (due vasche,nom);una pluvias continet:ibi bibunt equi porcique,cum (quando) e pabulo revertunt.In alia lupini in aquam demerguntur atque macerantur.Apud villam stercilinum esse oportet.Aedificium quoque facere oportet,nubilarium,sub quod (sotto il quale) frumentum custodietur.Nubilarium fenestras quoque habebit unde ventus commode perflat:sic enim frumentum non marcescet.
Nella fattoria ci sono le stalle così come i caldi bovili. Il vino e l’olio sono conservati in dispense fresche in un luogo piano. Invece le fave e il fieno sono conservati in ripiani. Inoltre la villa ha anche un luogo dove i servi affaticati per il troppo lavoro nei campi, riposano comodamente. La stanza del fattore è vicino alla porta: così il fattore osserva i servi, che entrano o escono. Talvolta, tuttavia, vicino alla porta c’è anche il portinaio. Anche la cucina è grande. Nel cortile saranno sufficientemente grandi i tetti, luoghi coperti par i carri e per i rimanenti attrezzi; così infatti resistono alle piogge. Nel cortile ci sono anche due vasche; una contiene le piogge; li bevono i porci e i cavalli quando ritornano dal pascolo. Nell’altra vengono sommerse i lupini nell’acqua e vengono fatte macerare. Presso la villa è necessario che ci sia un letamaio. È necessario anche fare un edificio il portico, sotto il quale sarà custodito il frumento. I portico avrà così anche finestre, dove sarà custodito il frumento. Il portico così avrà anche finestre dove il vento soffia comodamente:così infatti il frumento non marcirà.
Observanda lex est, natura congruens, in omnibus insita, quae iubendo ac vetando ad officium vocat. Sunt quaedam officia etiam adversus eos servanda a quibus iniuriam acceperis. Est enim ulciscendi et puniendi modus. Atque in re publica maxime conservanda sunt iura belli. Nam cum sint duo genera decertandi, unum per disceptationem, alterum per vim, cum illud proprium sit hominis, hoc beluarum, confugiendum est ad posterius, si uti superiore non licet.
Bisogna osservare la legge, conforme alla natura, insista in tutti, che richiama al dovere ordinando e vietando. Bisogna osservare anche i doveri contro coloro dai quali hai subito un'ingiustizia. Infatti é il limite della vendetta e della punizione. E anche nei rapporti tra gli stati bisogna conservare al massimo le leggi di guerra. Infatti bisognando decidere due generi di contese, uno con la ragione, uno con la forza, essendo quello proprio dell'uomo, questo delle bestie, si deve ricorrere al precedente, se non è possibile servirsi del primo.
Paucis interiectis diebus Sex. Tarquinius inscio Collatino cum comite uno Collatiam venit. Ubi exceptus benigne ab ignaris consilii cum post cenam in hospitale cubiculum deductus esset, amore ardens, postquam satis tuta circa sopitique omnes videbantur, stricto gladio ad dormientem Lucretiam venit, sinistraque manu mulieris pectore oppresso "Tace, Lucretia" inquit:" Sex. Tarquinius sum; ferrum in manu est; moriere, si emiseris vocem". Cum pavida ex somno mulier nullam opem, prope mortem imminentem videret, tum Tarquinius fateri amorem, orare, miscere precibus minas, versare in omnes partes muliebrem animum.Ubi obstinatam videbat et ne mortis quidem metu inclinari, addit ad metum dedecus: cum mortua iugulatum servum nudum positurum ait, ut in sordido adulterio necata dicatur. Quo terrore cum vicisset obstinatam pudicitiam velut victrix libido, profectusque inde Tarquinius ferox expugnato decore muliebri esset, Lucretia maesta tanto malo nuntium Romam eundem ad patrem Ardeamque ad virum mittit, ut cum singulis fidelibus amicis veniant; ita facto maturatoque opus esse; rem atrocem incidisse.
Dopo pochi giorni Sesto Tarquinio, all’insaputa di Collatino, giunse a Collazia con un solo compagno. E dopo essere stato accolto benevolmente da quelli che erano ignari delle sue intenzioni, dopo essere stato condotto dopo cena nella camera degli ospiti, ardente di amore, dopo che sembrava che ogni cosa all’interno fosse sicura e che tutti dormivano, dopo aver sguainato la spada, giunse da Lucrezia che dormiva, premutole il petto con la mano sinistra disse: “ Taci, Lucrezia, sono Sesto Tarquinio, ho una spada in mano: morirai se dirai una sola parola. “ Mentre la donna, svegliatasi spaventata nel sonno, non vedendo nessuna possibilità d’aiuto a causa della morte imminente, allora Tarquinio dichiarò il suo amore, alternava le minacce alle preghiere, testava in ogni modo l’anima della donna. Quando la vide ostinata e non si piegava neppure con la paura della morte, aggiunse alla paura la vergogna: disse che avrebbe posto un servo nudo sgozzato affinché si dicesse che fosse stata uccisa in un silenzioso adulterio. Con quel terrore dopo che la libidine trionfatrice vinse la sua ostinata pudicizia come con la violenza, e il feroce Tarquinio, dopo essere partito da lì e dopo aver espugnato l’onore della donna, la triste Lucrezia a causa di un male così grande inviò lo stesso messaggero a Roma, al padre e ad Ardea dal marito, affinché giungessero con dei singoli amici fedeli; bisognava fare così e subito; era avvenuta una cosa atroce.
Traianus ceteros imperatores clementia et iustitia superavit. Olim cum ad bellum iturus erat et iam equuum ascenderat, vidua, annis ac doloribus confecta, ad pedes eius se proiecit et multis cum lacrimis imperatorem oravit: “Filius meus vitam amisit, quia improbi iniustique homines eum interfecerunt. Te oro: ius mihi redde”.Imperator, qui festinabat exire ab urbe, respondit: “Cum e bello revenero, ius tibi reddam”. Sed vidua imperatoris equum accessit et dixit: “Nisi reveneris, quis mihi reddet?”.“Si in bello vitam amisero, successor meus tibi satisfaciet”, respondit Traianus. At illa: “Quid tibi proderit, si alius bene fecerit? Tu mihi debitor es, te igitur non liberabit iustitia aliena. Noli discedere priusquam mihi ius redderis”. Tunc Traianus ex equo descendit, viduam adiuvit et ius ei reddidit.Adattato da Macrobio
Per clemenza e giustizia, Traiano superò tutti gli altri imperatori. Una volta, mentre stava per andare in guerra ed era già salito sul cavallo, una vedova, logorata dagli anni e dalle sofferenze, si gettò ai suoi piedi e con molte lacrime, pregò l’imperatore: “Mio figlio perse la vita perché uomini malvagi ed ingiusti lo uccisero. Ti supplico rendimi giustizia”. L’imperatore, che aveva fretta di uscire dalla città rispose: “Quando tornerò dalla guerra, ti renderò giustizia". "E se non tornerai, chi mi renderà (giustizia)?”. “Se perderò la vita in battaglia, il mio successore ti soddisferà”, rispose Traiano. Ma quella: “A che cosa ti gioverà, se un altro si comporterà rettamente? Tu mi sei debitore, dunque non ti libererà (dal debito) la giustizia di un altro (la giustizia resa da un altro). Non partire prima di avermi reso giustizia". Allora Traiano scese da cavallo, ascoltò la vedova e le rese giustizia.
Marcus Aurelius, cum graviter aegrotavisset, filium advocavit atque ne belli superstites neglegeret ab eo primum petiit. Deinde, e vita excedere cupiens, victu potuque tantum abstinuit ut graviorem morbum redderet. Sexta autem die, cum ad se amicos vocavisset, res humanas irredens atque mortem contemnes, iis dixit: "Cur de me fletis et de pestilentia ac communi morte minime cogitatis?". Cum autem amici ab illo recedere se pararent, ingemiscens ait: "Si me iam dimittis, vale.Vobis filium commendo, si dignus fuerit, atque deis immortalibus". Tunc exercitus, cum imperatoris gravissimum morbum cognovissent, vehementissime dolebant, quia illum unice amaverunt. Septima denique die imperator, cum solum filium ad se admisisset, statim eum dimisit, ne in eum quoque morbus transiret. Deinde caput opuerit, quasi dormiret, sed nocte animam efflavit.
Marco Aurelio, poiché era gravemente ammalato, convocò il figlio e gli chiese per prima cosa che non dimenticasse i sopravvissuti della guerra. Dopo, bramando di morire, si astenne così dagli alimenti e dal bere da rendere più grave il morbo. Nel sesto giorno, siccome convocò da lui i compagni, deridendo le vicende umane e oltraggiando la morte, disse loro: "Come mai mi piangete e non vi interessa per niente il dolore e la morte comune?". Quando poi gli amici si preparavano ad andarsene, gemendo disse:"Se già mi lasciate, statemi bene. Raccomando a voi il figlio se sarà degno, e agli dei immortali". Cosi l'esercito, quando seppero della pesante malattia dell'imperatore, si dolevano tantissimo, perchè lo amavano straordinariamente. Il settimo giorno l'imperatore, avendo ammesso da sé il solo figlio, immediatamente lo lasciò andare per non contagiarlo con la malattia. Dopo celò la testa come se dormisse, ma di notte perì.
O mors, quae fratres dividis et amore sociatos crudelis ac dura dissocias! Adduxit urentem ventum Dominus de deserto ascendentem, qui siccavit venas tuas et desolavit fontem tuum. Ille, ille te vicit, ille te iugulavit fugitivus Propheta, qui reliquit domum suam, demisit hereditatem suam, dedit dilectam animam suam in manibus quaerentium eum. Illius morte tu mortua es: Illius morte nos vivimus. Gratias tibi, Christe salvator, tua agimus creatura, quod tam potentem adversarium nostrum, dum occideris, occidisti.Quid autem miserinus homine, qui aeternae mortis terrore prostratus, vitam ad hoc tantum acceperat, ut periret? Regnavit enim mors ab Adam usque ad Moysen etiam super eos qui non peccaverunt, in similitudinem praevaricationis Adae. Si Abraham, Isaac et Iacob in inferno, quis in caelorum regno est? Si amici tui sub poena Adae, et qui non peccaverant, alienis peccatis tenebantur obnoxii, Quid de his credendum est, qui dixerunt in cordibus suis non esse Deum? Qui corrupti et abominabiles facti sunt in voluptatibus suis?
O morte, che dividi i fratelli e crudele e dura separi coloro che sono uniti dall’amore! Il Signore generò un devastante vento che saliva dal deserto, che seccò le tue vene e prosciugò la tua fonte. Egli, egli ti vinse, egli ti rovinò, il Profeta fuggiasco, che lasciò la sua casa, rinunciò alla sua eredità, consegnò la sua amata anima nelle mani di coloro che lo cercavano. A causa della sua morte tu sei morta:grazie alla sua morte noi viviamo. Noi ti ringraziamo, o Cristo salvatore, per la tua creazione, perché hai ucciso un nostro così potente avversario. Che cosa c’è poi di più misero di un uomo che, prostrato dal terrore della morte eterna, aveva ricevuto la vita solo per questo scopo, per morire? Infatti la morte ha regnato da Adamo fino a Mosé, anche su coloro che non peccarono, sull’esempio del peccato di Adamo. Se Abramo, Isacco e Giacobbe sono all’inferno, chi c’è nel regno dei cieli? Se a causa della punizione d’Adamo, i tuoi amici, anche quelli che non avevano peccato, erano ritenuti rei per i peccati di altri, cosa si deve pensare di questi, che dissero che Dio non è nei loro cuori? E che sono diventati corrotti e abominevoli nella loro libidine?
Qui rei publicae instituta defendunt, optimates sunt, cuiuscumque ordinis sunt. Qui autem praecipue suis cervicibus tanta munia atque rem publicam sustinent, hi semper habiti sunt optimatum principes, auctores et conservatores civitatis. Huic hominum generi fateor multos adversarios, inimicos, invidos esse, multa proponi pericula, multas inferri iniurias, magnos experiendos et subeundos labores. Sed ego de virtute, non de desidia, loquor, de dignitate non de voluptate, de iis qui se patriae, qui suis civibus, qui laudi, qui gloriae, non qui somno et conviviis et delectationi natos arbitrantur.Nam, si qui voluptativus ducuntur et se vitiorum illecebris et cupiditatum lenociniis dediderunt, missos faciant honores, neve attingant rem publicam, patiantur se otio suo perfrui vivorum fortium labore. Qui autem bonam famam apud bonos cives, quae sola vera gloria nominari potest, expetunt, aliis otium et commoda quaerere debent, non sibi. Sudandum est iis pro communibus commodis, adeundae inimicitiae, subeundae saepe pro re publica tempestates, cum multis audacibus, improbis, nonnumquam etiam potentibus, dimicandum est.
Coloro che difendono le istituzioni dello stato sono gli optimates, di qualsiasi ceto siano. Coloro che invece sostengono particolarmente sulle proprie spalle il peso dello stato e così grandi doveri, questi sono stati sempre considerati i primi fra gli optimates, fautori e salvatori dell'ordinamento cittadino. Ammetto che questo genere di uomini ha molti avversari, nemici, invidiosi, (gli) vengono minacciati molti pericoli, (gli) vengono recate molte offese, grandi pene da affrontare e sopportare. Ma io parlo del valore e non della pigrizia, dell'onore e non del piacere, di quelli che si reputano destinati alla patria, ai loro cittadini, al merito, alla gloria e non di quelli che (si reputano destinati) al sonno, non di quelli che (si reputano destinati) ai banchetti e al piacere. Infatti, se alcuni sono trasportati dai piaceri e si sono abbandonati alle attrattive dei vizi e agli allettamenti delle passioni, questi rinuncino alle cariche, e non si occupino di politica, si accontentino di godere del proprio tempo libero grazie alle fatiche degli uomini forti. Coloro che invece desiderano una buona fama tra i cittadini onesti, la qual cosa si può considerare / chiamare la sola vera gloria, devono riservare l'ozio e gli agi agli altri, non a se stessi. Essi devono faticare per gli interessi comuni, devono affrontare le inimicizie, devono sobbarcarsi spesso le sciagure in favore dello stato, devono combattere contro molti temerari, disonesti, talvolta anche potenti.
Iam Romani de sua salute desperabant et totam noctem ululatus cantusque audiebant, dum barbari turmatim vagant circa moenia.. Postremo, prima luce, in urbem penetraverunt: tum viri cum coniugibus liberisque ac senatores in arcem Capitolinam concesserunt. Sine impetu aut vi, Galli urbem capiunt, in forum perveniunt et oculos ad deorum templa arcemque convertunt, incredibili quiete ac solitudine quasi absterriti. In urbe deserta senes adventum Gallorum ostinato ad mortem animo expectant in curulibus suis sedentes, maiestate ac gravitate similes diis.Hostes domos principum intrant et viros velut simulacra contemplant. Erat inter Romanos M. Papirius. Ut Gallus permulsit Papirii barbam, senex, motus ira, scipione eburneo in caput barbari incussit : inde initium caedis fuit.
I Romani già disprezzavano della loro salvezza e ascoltavano tutta la notte le grida e i canti, mentre i barbari a squadroni vagano intorno alle mura. Infine, all’alba, entrarono nella città: allora gli uomini con le mogli e con i figli e i senatori si recarono sulla rocca del Campidoglio. Senza impeto o forza, i Galli occupano, giungono nel foro e rivolgono gli occhi ai templi degli dei e alla rocca, come (se) atterriti da una straordinaria quiete e dalla solitudine. Nella città deserta gli anziani con l’animo pronto aspettano l’arrivo dei Galli per la morte seduti sulle loro sedie curuli, simili agli dei per maestà e per solennità. I nemici entrano nelle case dei nobili e contemplano gli uomini come statue.. C’era tra i Romani M. Papirio. Appena un Gallo sfiorò la barba di Papirio, il vecchio, mosso dall’ira, percosse sul capo del barbaro (con) un bastone d’avorio: da ciò fu l’inizio del massacro.
Eodem die in Cercinam insulam traicit, ubi, cum in portu naves alitquot onerarias cum mercibus invenisset et ad eum e nave egressum concursus esset factus salutantium, percuntanctibus respondit se legatum Tyrum proficisci. Veritus tamen ne qua earum navium, nocte profecta, Cartaginem nuntiaret se Cercinae visum, cum primum fallendi eos qui inportu erat tempus habuit, navem solvit, et prospero cursu Tyrum pervenit exceptusque umanissime, ibi paucos moratus dies, Antichiam navigat.
Quel giorno si recò sull’isola di Cercina, dove, avendo trovato nel porto navi alquanto cariche con merci, e appena sceso dalla nave essendosi fatta una folla di salutanti verso di lui, rispose a coloro che glielo chiedevano che partiva come ambasciatore a Tiro. Tuttavia temendo che qualcuna di quelle navi, a notte inoltrata, annunciasse che era stato visto a Cercina, appena riuscì a ingannare coloro che erano nel porto, sciolse la nave, e con prospera rotta andò a Tiro, accolto molto bene, dove rimase pochi giorni, e partì per Antiochia.
Fuit Viriatus vir ingenti corpore, fortibus membris, optimoque ingenio. Ex Hispanis ducibus fuit maximus, qui annis decem Romanos multis victoriis fatigavit. In quo magna virtus continentiaque fuit;nam viriatus, qui consulares exercitus frequenter vicerat, non armorum, non vestis cultum, non denique victum mutavit, sed in eo habitu, quo primum bellare coepit, perseveravit, et gregarius miles suum imperatorem divitiis superavit.
Viriato fu uomo di imponente corporatura, forti membra, ottimo ingegno. E' stato il più bravo dei generali iberici e per dieci anni tormentò i Romani con parecchie vittorie. Dentro di lui ci fu grande valore militare e controllo; Difatti Viriato, che ripetutamente aveva sconfitto gli eserciti dei consoli, non tramutò le armi, non le vesti e nemmeno il vitto, però continuo a conservare le medesime consuetudini che aveva preso all'inizio del suo combattere e un semplice militare suo sottomesso superò il suo generale nelle ricchezze.
Ea nocte accidit ut esset luna plena, qui dies maritimos aestus maximos in oceano efficere consuevit, nostrisque id erat incognitum. Ita uno tempore et longas naves, quibus Caesar exercitum transportandum curaverat quasque in aridum subduxerat, aestus complebat, et onerarias quae ad ancoras erant deligatae, tempestas adflictabat, nequeulla nostris facultas aut administrandi aut auxiliandi dabatur. Compluribus navibus fractis reliquae cum essent funibus ancoris relisque armamentis amissis ad navigandum inutiles, magna, id quod necesse erat accidere, totius exercitus perturbatio facta est.Omnia deerant, quae ad reficiendas naves erant usui, et, quod omnibus constabat hiemari in Gallia oportere, frumentum his in locis in hiemem provisum non erat.
Quella notte accadde che ci fosse la luna piena, quel giorno è solito procurare flussi altissimi nell'oceano, e ciò era sconosciuto ai nostri. Così in un momento la marea riempiva d'acqua le navi da guerra, con cui Cesare si era preoccupato di far trasportare l'esercito e che aveva tirate in secco, e la tempesta sbatteva le navi da carico, che erano legate alle ancore, e non era data ai nostri nessuna possibilità o di gestirla o di portare aiuto. Poiché erano state abbattute la maggior parte delle navi, poiché le rimanenti erano inutili per navigare, poiché erano state perse funi, ancore e i rimanenti armamenti, fu suscitato un grande turbamento di tutto l'esercito, cosa che era inevitabile che accadesse.Mancavano tutte le cose che erano necessarie per ricostruire le navi e, poiché era chiaro a tutti che bisognava svernare in Gallia, non si era provveduto al frumento per l'inverno in questi luoghi.
Ex Macedonum gente ceteros reges antecesserunt militari gloria Philippus, Amyntae filius, et Alexander Magnus. Alexander Babylone morbo consumptus est: Philippus Aegis a Pausania, cum ad ludos veniebant, iuxta theatrum occisus est. Epirotes Pyrrhus cum populo Romano bellavit; cum Argo oppidum oppugnabat in Peloponneso, lapide ictus et occisus est. Siculus Dionysius et viribus fortis et belli peritus fuit et minime libidinosus, non luxuriosus, non avarus, cupidus tantum singularis perpetuique imperii, sed crudelis.Nam dum imperium muniebat, omnes cives insidiatores putabat. Postquam virtute tyrannidem sibi peperit, magna retinuit felicitate. Decessit, dum regnum florebat neque in multis annis ex sua stirpe funus vidit.
Nella popolazione dei Macedoni due re si levarono di molto dai restanti nella fama delle vicende: Filippo figlio di Aminta e Alessandro Magno. Alessandro fu logorato dal morbo in Babilonia:Filippo, fu assassinato da Pausania presso il teatro a Egea,mentre si svolgevano ai giochi. Pirro Epiro condusse la guerra al popolo romano;mentre nel Peloponneso attaccava la città di Argo, fu percorso e ucciso da una pietra. Il siciliano Dioniso fu audace fra l'esercito sia abile in guerra e in modo limitato sregolato, non sfarzoso, non avido, bramoso solamente dell'impero proprio e costante, però spietato. Difatti quando organizzava l'impero, riteneva ogni concittadini occupante. Procurandosi la tirannide con il valore, la matenne con molta allegria. Morì quando il regno splendeva, e non si mostrò la sepoltura per parecchi anni tra la sua dinastia.
Spurius Tarpeius Capitolii custos erat. Huius filiam, cui Tarpeia nomen erat, Titus Tatius sabino rum rex, auro corrupit, ut armator in arcem acciperat. Virgo proditionis pretium pepigerat quos sabini in sinistris minibus gerebant rex promisit; et puella portam hostibus aperuit eosque in arcem admisit. Sed confestim proditionis poenam persuibit: nam Sabini eam scutis obruerunt et huc modo necaverunt. Hostes enim nam solum armillas et anulos, quos Tarpeia iudicaverat sed etiam scuta in sinistris minibus habebant.Quicumque turpe facinus commisit etiam hostibus ipsis in visus est.
Spurio tarpeo era custode del Campidoglio. Tito Tazio re dei Sabini corruppe con l’oro la figlia di quello, a cui era nome Tarpea, affinché facesse entrare gli armati nella rocca. La giovane aveva pattuito il prezzo del tradimento ciò che i Sabini portavano nelle mani sinistre, il re promise; e la ragazza aprì la porta ai nemici e li fece entrare nella rocca. Ma subito scontò la pena del tradimento infatti i sabiin la coprirono con i loro scudi e in questo modo la uccisero. I nemici infatti non avevano solo bracciali e anelli, che aveva indicato tarpea, ma avevano anche gli scudi nella mani sinistre. Chiunque ha commesso un vergognoso misfatto è inviso agli stessi nemici.
Aliquis dixerit: "Haec est igitur tua disciplina? sic tu instituis adulescentes? ob hanc causam tibi hunc puerum parens commendavit et tradidit, ut in amore atque in voluptatibus adulescentiam suam collocaret, et ut hanc tu vitam atque haec studia defenderes?" Ego, si quis, iudices, hoc robore animi atque hac indole virtutis atque continentiae fuit, ut respueret omnes voluptates omnemque vitae suae cursum in labore corporis atque in animi contentione conficeret, quem non quies, non remissio, non aequalium studia, non ludi, non convivia delectarent, nihil in vita expetendum putaret, nisi quod esset cum laude et cum dignitate coniunctum, hunc mea sententia divinis quibusdam bonis instructum atque oruatum puto.Ex hoc genere illos fuisse arbitror Camillos, Fabricios, Curios omnesque eos, qui haec ex minimis tanta fecerunt. Heac tamen virtutes non solum in moribus nostris sed iam in libris quidem nun reperiuntur. Chartae quoque, quae illam pristinam severitatem continebant, obsoleverunt! Neque solum apud nos id accidit, sed etiam apud Graecon, mutatis temporibus, alia praecepta exstiterunt.
Un tale direbbe : “Il tuo insegnamento è dunque questo? Così tu educhi gli adolescenti? Per questo motivo il genitore ti affidò e ti lasciò questo bambino, affinché sprecasse la sua giovinezza nell’amore e nei piaceri, e affinché e affinché tu difenda questa vita sfrenata e queste passioni? “ Io, se qualcuno, giudici, fu con questa solidità del valore e della moderazione che rifiutò tutti i piaceri e dedicò tutta la sua vita alla fatica del corpo ed allo sforzo del suo animo, se ci fu qualcuno che non fu compiaciuto dal riposo, dalla distrazione, dalle occupazioni dei suoi simili, dai giochi, dai banchetti, se ci fu qualcuno che non desiderò per nulla ardentemente qualcosa in vita, se non qualcosa che fosse legato alla lode ed alla stima, ritengo che costui avesse un qualcosa di divino in sé. Si pensa che furono di questo genere quei famosi Camilli, Fabrizi, Curi e tutti quelli che resero la città da piccola grande. Tuttavia ora non ritroviamo queste virtù non solo nei nostri costumi ma non li ritroviamo persino nei nostri libri. Anche i rotoli, che contenevano quella antica austerità, sono ingialliti! Né questo accede solamente presso di noi, ma anche presso i Greci esisterono altre norme, dopo che cambiarono i tempi.
Omnes, somno experrecti, relictis domibus, per urbem discurrunt pavidi anxiique: alius alium sciscitatur, eum qui nuntium tulerat requirunt, de clade loquuntur atque queruntur. Non pueros domi tenet imprudentia, non senes debilitas, non mulieres imbecillitas. Omnis aetatis cives tantum malum experti sunt. In foro deinde conveniunt atque ibi fortunam publicam questi bus perpentiuntur. Alii fratres aut filios aut parentes in pugna occisos deflent; alii cognatos, alii amicos, ipsis cognatis cariores; sic omnes privatis casibus querelam publicam miscent; arbitrantur se cum ipsa patri perituros esse, sibi ante oculos famem hostemque victorem proponentes.Cives, antiquas ruinas urbis et incendia recordantes, eas feliciores esse dicebant, quia numquam hostes tam feroces fuerant. Nunc autem neque classis in quam, sicut pridem, confugerent, supererat, nec exercitus, ut, eius virtute servati, pulchriora moenia possent exstruere.
Tutti, svegliati dal sonno, lasciate le case, corrono per la città spaventati e affamati: si interrogano l’un l’altro, cercano colui che aveva riportato la notizia, parlano della disfatta e si lamentano. Né l’inesperienza tiene in casa i fanciulli, né l’infermità i vecchi e neppure la debolezza le donne. I cittadini d’ogni età sperimentarono una così grande sciagura. Si radunano poi nella piazza e lì subiscono con lamenti la sorte dello stato. Alcuni piangono fratello o figli o genitori uccisi in battaglia: altri i parenti, altri gli amici più cari dei parenti stessi; così tutti mescolarono alla tragedia privata il lamento pubblico; ritengono che moriranno tutti con la patria stessa, immaginandosi davanti agli occhi la fame e il nemico vincitore. I cittadini rammentandosi delle antiche distruzioni della città e degli incendi dicevano che quelle erano migliori perché mai i nemici erano stati così feroci. Ora invece non rimaneva né la flotta, sulla quale rifugiarsi come in precedenza, né l’esercito affinché i cittadini potessero costruire più belle mura, mantenuti in vita dal coraggio di quello.
Caesar, nondum hieme confecta, proximis quattuor coactis legionibus, de improviso fines Nerviorum contedit et,prius quam illi aut convenire aut profugere possent,magno pecoris atque hominum numero capto atque praeda militibus concessa vastatisque agris ,in deditionem venire atque obsides sibi dare coegit. Celeriter confecto negotio, rursus in hiberna legones reduxit.Concilio Galliae primo vere,ut instituerat, indicto, quia reliqui praeter Senones, Carnutes, Treverosque venerant, initium belli ac defectionis hoc esse arbitratus, concilium Lutetiam Parisiorum transfert.Confines erat Parisii Senonibus civitatemque patrum memoria coniuxerat,sed ab hoc consilio afuisse existimabantur. Hac re pro suggestu pronuntiata,cum legionibus in Senones contendit magnisque itineribus eo pervenit.
Cesare non passato ancora l'inverno, radunate quattro legioni vicine improvvisamente andò nei suoli dei Nervi e, prima che questi riuscissero o radunarsi o scappare, preso un enorme numero di bestiame e di uomini, e donata quella vittima ai militari, distrutti i campi, li obbligò a venire alla tregua e donargli ostaggi. Finita rapidamente quella missione ancora riportò le legioni negli accampamenti invernali. Convocata l'assemblea della Gallia in primavera, come aveva stabilito, quando i rimasti tranne Senoni, Carnuti e Treveri, erano giunti, ritenendo essere ciò l'inizio della guerra e della rivolta,al punto che sembrava corretto mettere davanti tutto, sposta il concilio a Lutezia dei Parisi. Codesti erano vicini dei Senoni ed allora degli avi avevano congiunto la regione, si credeva fossero distanti da questo luogo. Affermato ciò dalla tribuna nel medesimo giorno si dirige con le legioni dai Senoni e giunge a marce forzate.
Plutarchus, clarus philosophus ac doctus vir, servum superbum ac philosophiae peritum habebat. Aliquando servo suo – causam nescio – tunicam detrahit et loro eum caedit. Servus, dum a Plutarcho verberatur, clamat: “Cur vapulo? Equidem flagellum non mereo!”. Tum Plutarcho oblatrat et verba obiurgatoria dicit: “Servus tuus a te verberatus est, sed saeva ira, ut libellus tuus adfirmat, ignominiosa est. Verus philosophus ergo non es!”. Tum ita Plutarchus leniter respondet: “Oculos truculentos non habeo, nec turbidos, neque immaniter clamo neque dedecorosa verba dico neque omnino trepido ac gestio.Haec irae signa sunt”.
Plutarco, famoso filosofo e uomo dotto, aveva un servo superbo ed esperto di filosofia. Un giorno toglie la tunica – non so il motivo – al suo servo e lo colpisce. Il servo, mentre viene bastonato da Plutarco, grida: “Perché vengo bastonato?” Di certo non merito il flagello!”. Allora grida contro Plutarco e dice parole di rimprovero: “Il tuo servo è stato frustato da te, ma l'ira selvaggia, come afferma il tuo libricino, è vergognosa. Quindi non sei un vero filosofo!”. Allora Plutarco risponde dolcemente così: “Non ho occhi minacciosi, né torvi e non grido enormemente né dico parole indecorose né assolutamente tremo e mi agito. Questi sono segni d'ira”.
His rebus adducti et auctoritate Orgetorigis permoti constituerant ea quae ad proficiscendum pertineret comparere iumentorum et carrorum maximum numerum coemere, sementes maximas facere,ut in itinere copia frumenti suppeterent,cum proxim civitatibus pacem et amiciam confirmare. Ad eas res confinciendas biennium sibi satis esse duxerunt, quia in tertium annum profectionem lege confirmaturi erant. Ad eas res conficiendas Orgetorix deligitur. Is sibi legationem ad civitates suscepit,In eo itinere persuadet Castico Sequano,cuius pater regnum in Sequanis multos annos obtinuerat et ab senatu populi Romani amicus appelatus erat,ut regnum in civitate sua occuparet, quod pater ante habuerat.
Mossi da queste vicende e incitati dall'onore di Orgetorige decretarono di organizzare quelle cose utili per viaggiare, di acquistare il più alto numero fattibile di calesse e di animali da soma, di svolgere le più grandi inseminazioni fattibili, poiché la provvista di cereali durasse durante il cammino, di fortificare la pace e l’amicizia con i popoli adiacenti. Infine queste cose considerarono esser a questi necessarie per un due anni, decretarono per legge la partenza per il terzo anno. Per finire quelle cose è decretato Orgetorige. Lui si attribuì l’ambasciata per i popoli. In questo cammino consigliò Castico, poi, figlio di Catamantalede, il quale padre aveva controllato il potere per parecchi anni tra i Sequani e dal senato era stato nominato amico del popolo romano, di portare nella sua nazione l'autorità, che dapprima aveva ottennuto il padre.
Post gallicum tumultum, romani graviora bello contra samnites susceperunt. Primo romanos apud Furculas Caudinas samnites gravi claude vicerunt et sub iugum magno dedecore miserunt. Postea Papirius Cursor consul, clarus dux, multas copias samnitium sub iugum misit et triumphavit. Samnites autem belum reparaverunt et Quintum Fabium Maximum vicerunt. Sed Quintus Fabius acriore bello Samnites vicit et multa eorum oppida cepit. Deinde Publius Cornelius Rufinus et marius Curius Dentatus consules fervidiori studio bellum regaverunt et ingentibus proeliis Samnites profligaverunt.Tum tandem diuturnum bellum finem habuit. Nullus hostis romam virtutem magis fatigavit quam Samnites qui enim audaciore et fortiores erant quam ceteri italorum populi.
Dopo l’incursione gallico, i romani intrapresero la guerra più grande contro i sanniti. Dapprima i sanniti vinsero i romani presso le Forche Caudine in una grave sconfitta e mandarono sotto il gioco con grande disonore. In seguito il console Papirio Cursore, famoso comandante, mandò sotto il giogo molte truppe dei sanniti e trionfò. I sanniti invece ripresero la guerra e vinsero Quinto Fabio massimo. Ma Quinto Fabio vinse i sanniti con una guerra più aspra e prese molte loro città. In seguito i consoli Publio Cornelio e Rufino e Mario Curio Dentato ripresero la guerra con più ardente zelo e sconfissero i sanniti in ingenti battaglie.
Sine dubio post Leuctricam pugnam Lacedaemonii se numquam refecerunt neque pristinum imperium recuperaverunt, cum interim numquam Agesilaus destitit patriam iuvare. Nam semper omnibus praesidio fuit, magnae pecuniae donum accepit et effecit ut patriam sublevaret. Atque in illo quid abstinentia et frugalitate fuit admirabilius? Cum enim maxima munera ei a regibus ac dynastis civitatibusque darentur, nihil umquam domum suam introduxit, nihil de victu, nihil de vestitu Laconum mutavit.Domo eadem fuit contentus, in qua Eurysthenes, progenitor maiorum suorum, vixerat: quam qui intraverat, nullum signum libidinis, nullum luxuriae videre poterat, contra plurima patientiae atque abstinentiae. Sic enim erat instructa ut in nulla re dissimilis a civium privatorum atque inopum domo esset. Atque hic tantus vir ut naturam fautricem habuerat in animi virtutibus, sic maleficam nactus est in corporis forma. Nam accidit ut et statura esset humili et corpore exiguo et claudus altero pede. Quae res etiam nonnullam efficiebat deformitatem, ita ut qui eum ignorabant, faciem eius cum intuerentur, contemnerent; qui autem eius virtutes cognoverant, non poterant eum satis admirari.
Senza dubbio dopo la battaglia di Leuttra gli Spartani non si ripresero più né riacquistarono la precedente autorità, ma nel frattempo Agesilao non smise mai di recare aiuto alla patria. Infatti fu sempre di aiuto a tutti, ricevette il dono di una grande somma di denaro e riuscì a sostenere la patria. Ed in lui che cosa fu più ammirevole della moderazione e della parsimonia? Infatti, pur essendo a lui dati grandissimi doni da re, dinasti e città, egli mai niente portò in casa sua, nulla mutò del tenore di vita, nulla dell’abbigliamento degli Spartani. Fu soddisfatto in quella stessa casa in cui aveva vissuto Euristene, progenitore dei suoi antenati: chi vi entrava, non poteva scorgere alcun segno di lussuria, alcun segno di esuberanza, ma moltissimi di costanza e moderazione. Era infatti stata organizzata in modo tale che in nessuna cosa differisse dalle case di cittadini privati e poveri. E questo uomo tanto grande, come aveva avuto complice la natura nelle virtù dall’animo, così trovò malefica (la natura) nell’aspetto fisico. Infatti accadde che fosse di bassa statura ed esile e zoppo da un piede. Ciò gli causava anche una certa deformità, così che chi non lo conosceva, guardando il suo aspetto, lo disprezzava; ma quelli che avevano conosciuto le sue virtù non avevano potuto apprezzarlo abbastanza.
C.Gracchus,timens ne in potestatem inimicorum perveniret,Philocrati servo suo cervices incidendas praebuit.Quas cum celeri ictu abscidisset, gladium cruore domini manantem per sua egit praecordia.Euporum alii hunc vocitatum existimant :ego de nomine nihil disputo,famularis tantum modo fidei robur admiror.Cum Plotius Plancus a triumviris proscriptus, in regione Salernitana lateret, delicatiore vitae genere et odore unguenti occultam salutis custodiam detexit: istis enim vestigiis eorum, qui miseros persequebantur, sagax inducta cura abditum fugae eius cubile odorata est.A quibus conprehensi servi latentis multumque ac diu torti negabant se scire ubi dominus esset. Non sustinuit deinde Plancus tam fideles tamque boni exempli seruos ulterius cruciari, sed processit in medium iugulumque gladiis militum obiecit. Quod certamen mutuae benevolentiae arduum dignosci facit utrum dignior dominus fuerit, qui tam constantem servorum fidem experiretur, an servi, qui tam iusta domini misericordia quaestionis saevitia liberarentur.
Caio Gracco avendo timore di cadere nel dominio degli avversari donò al suo servo Filocrate il suo collo da sgozzare. Avendo accoltellato questo con un rapido colpo trafisse il coltello che gocciolava del sangue del signore nel suo cuore altri affermano che codesto si fosse chiamato Euporo: io non discuto per niente sul nome,ma semplicemente mi meraviglio della forza della lealtà dello schiavo.Invece Plozio Planco, essendo stato escluso dai triumviri, viveva nella regione salernitana, mostrò una difesa della sua salvaguardia celata da uno stile di vita più raffinato e dall'odore di una lozione: difatti grazie a queste tracce di quelli che rincorrevano i disgraziati, un'indagine fatta minuziosamente trovò il rifugio celato dalla fuga di questo.Gli schiavi del fuggitivo, presi da quelli e a lungo torturati, affermavano di non conoscere dove fosse il padrone. D'allora Planco non ammise che degli schiavi tanto leali e di così buon modello fossero tormentati ancora, però andò avanti nel mezzo e mise il collo alle spade dei soldati. Quella dimostrazione di affetto reciproco rese difficile identificare, se il signore fu abbastanza meritevole da provare la lealtà tanto fermo degli schiavi, o se gli schiavi furono sufficientemente meritevoli da essere lasciati dalla atrocità dell'inquisitorio per merito della tanto giusta pietà del signore.
Cum Philoxenus poeta a Dionysio, Syracusanorum tyranno, ad cenam quondam invitatus esset, accidit ut in convivio Dionysio piscis maximus apponeretur, poetae autem piscis multo minor ac deterior. Tum Philoxenus piscem suum primum ad os deinde ad aurem admovit, quasi quiddam rogaturus esset. Dionysius, stupore affectus, causam ex Philoxeno quaesivit. Tum poeta respondit: «Carmen de Polyphemo et Galatea, Nerei maris dei filia, scripturus sum; itaque piscem interrogabam de vita Nereidum in mari viventium.Sed piscis meus, cum sit minor natu quam tuus, omnia ignorat. Permitte igitur ut maiorem tibi appositum interrogem!». Tyrannus, Philoxeni faceto responso delectatus, piscem suum callidiori poetae dedit.
Avendo un giorno Dionigi,tiranno di sirausa, invitato a pranzo il poeta Filosseno. Accade che i servi servissero a Dionigi un grossissimo pesce, mentre al poeta un pesce molto piu piccolo e piu scadente. Allora Filosseno avvicinò prima il pesce alla sua bocca, poi all'orecchio, come se avesse intenzione di chiedere qualcosa. Dionigi, stupito, chiese al poeta il perchè. Allora il convitato rispose; "Sto per comporre la poesia "Polifemo e Galatea", la figlia di Nereo, il dio del mare; pertanto interrogavo il pesce sulla vita dei Nereidi che vivono in mare.Ma il mio pesce. essendo piu giovane del tuo, non sa tutto Permettimi dunque di interrogare quello piu vecchio, quello che a te è stato servito!". Il tiranno,diletato dalla risposta faceta di Filosseno, diede al poeta alquanto astuto il suo pesce.
Ulixes Troia in patriam rediens naufragio facto comitibus navibusque amissis enatavit in insulam Aeaeam.Calypsus nympha Atlantis filia Ulixis specie capta per totum annum eum in insula retinuit volens secum Ulixem in aeternum habere.Sed ille desiderio patriae pulsus Itacam redire cupiebat. Tum Iuppiter deorum contione advocata omnibus consentientibus Ulixis dimissionem decrevit. Tum Mercurius de Olympo in insulam Aeaeam descendit atque Calypso nymphae Iovis iussum denuntiavit.Calypsus etiamsi invita deorum regi paruit et Ulixem omnibus necesariis rebus ornatum dimisit. Ille rate facta insulam reliquit et se navigationi commisit Itacam rediturus.
Ulisse tornando in patria da Troia fatto un naufragio e persi i compagni e le imbarcazioni arriva all'isola di Eea. La ninfa Calipso, figlia di Atlante, catturata dall'apparenza di Ulisse, lo frenò per un anno, desiderando avere Ulisse con lei per sempre. Però quello, mosso dal desiderio della patria, voleva ritornare a Itaca. Così Giove, chiamato un concilio di dei, essendo tutti consenzienti, stabilì la partenza di Ulisse. Così Mercurio sceso dall'Olimpo sull'isola di Eea, riferì alla ninfa Calipso il comando di Giove. Calipso, malgrado malvolentieri, diede ascolto al signore degli dei e abbandonò Ulisse munito di tutte le cose essenziali. Codesto organizzato il piano, abbandonò l'isola e si mise in viaggio con la navigazione per tornare a Itaca.
Nonnulli scriptores tradunt Pisistratum tyrannum primum Athenis bibliothecas instituisse, in quibus libri disciplinarum liberalium ab omnibus legi possent. Deinde studiosius et accuratius ipsi Athenienses bibliothecas auxerunt. At postea omnem illam librorum copiam Xerxes, cum Athenas cepisset, urbe ipsa praeter arcem incensa, abstulit atque in Persidem asportavit. Hi porro libri universi, multis post tempestatibus, Seleucus rex, qui appellatus est Nicanor, ut Athenas referrentur curavit.Ingens postea numerus librorum in Aegypto a Ptolemaeis regibus vel conquisitus vel confectus est ad milia septingenta voluminum: sed ea omnia, bello priore Alexandrino, dum diripitur ea civitas, a militibus auxiliariis casu, non sponte neque opera consulta, incensa sunt.
Certi scrittori affermano che Pisistrato il tiranno per primo abbia creato ad Atene le biblioteche, dove potevano essere lette da chiunque i libri delle dottrine liberali. Poi in modo più curato e approfondito i medesimi Ateniesi elevarono le biblioteche. Però Serse, avendo conquistato Atene, rimosse tutta quella abbondanza di libri dalla città arsa tranne la rocca, e le trasferì in Persia. Tutti codesti libri, dopo parecchie peripezie, il re Seleuco, che è chiamato Nicanore, curò che venissero portati ad Atene. Poi l'enorme numero di libri venne preso dai re tolemaici in Egitto e radunato in settemila volumi: però tutti codesti, nella prima guerra Alessandrina, quando quella città era devastata, vennero arsi per caso dai militari ausiliari non in modo volontario e né per azione voluta.
Romani tribus bellis contra Chartaginienses pugnaverunt. Primum bellum fecit Romanos dominos insulae Siciliae et Sardiniae. Attilius Regulus clarus dux eius belli non dubitavit mortem occumbere pro salute patriae inter foeda tormenta. Secondo bello Punico Romani multas et cruentas clades toleraverunt. Nam Poeni cum duce Cannibale Romanos profligaverunt sed P. Scipio Poenos apud oppidum Zaman devicit et pacem componete cum Romanis coegit. Post aliquot annos Romani terbio bello Punico Carthaginienses ad estremam ruinam redegerunt et Carthaginem funditus everterum.
I Romani lottarono contro i Cartaginesi in tre guerre. La prima guerra rese i Romani possessori dell'isola di Sicilia e Sardegna. Attilio Regolo, illustre generale di quella guerra, non diffidò di perire per la tutela della patria tra terribili tempeste. Nella seconda guerra punica i Romani subirono parecchie e atroci sconfitte. Difatti i Cartaginesi vinsero con il generale Annibale i Romani, però Publio Scipione li vinse presso la città di Zama e li indusse a stipulare una tregua con i Romani. Dopo qualche anno i Romani , nella terza guerra punica, portarono alla enorme distruzione i Cartaginesi e li vinsero definitivamente.
Homines Graeci inique a suis civibus damnati atque expulsi, tamen, quia bene sunt de suis civitatibus meriti, tanta hodie gloria sunt non in Graecia solum, sed etiam apud nos atque in ceteris terris, ut eos, a quibus illi oppressi sint, nemo nominet, horum calamitatem dominationi illorum omnes anteponant. Quis Carthaginiensium pluris fuit Hannibale consilio, virtute, rebus gestis, qui unus cum tot imperatoribus nostris per tot annos de imperio et de gloria decertavit? Hunc sui cives e civitate eiecerunt; nos etiam hostem litteris nostris et memoria videmus esse celebratum.Quare imitemur nostros Brutos, Camillos, Fabricios, Scipiones, innumerabiles alios, qui hanc rem publicam stabilverunt; amemus patriam, pareamus senatui, consulamus bonis, praesentes fructus neglegamus, posteritatis gloriae serviamus. Id esse optimum putemus quod erit rectissimum; speremus quae volumus, sed quod acciderit feramus; cogitemus deinde corpus virorum fortium magnorumque hominum esse mortale, animi vero et virtutis gloriam sempiternam.
Gli uomini greci condannati e mandati via iniquamente dai loro cittadini, tuttavia, siccome sono benemeriti per le loro città, adesso hanno tanta fama non solamente in Grecia, ma pure presso di noi e negli altri territori, che nessuno nomina tutti coloro dai quali quelli sono stati oppressi, e tutti antepongono la disgrazia di questi al dispotismo di quelli. Chi vi è stato tra i Cartaginesi più grande di Annibale per valore militare, ragione, missioni, chi da solo sfido per gloria e sull'impero per una parecchi anni con i nostri generali? I suoi concittadini lo mandarono via dalla città. Pure noi scorgiamo che l'avversario è commemorato nelle nostre lettere e nel ricordo. Per codesta motivazione imitiamo i nostri Bruto, Camillo, Fabrizio, Scipione, e parecchi altri, che costruirono questo stato; adoriamo la patria, seguiamo il senato, ascoltiamo i buoni, dispregiamo i frutti presenti e ci dedichiamo alla gloria dei posteri, consideriamo che sia migliore ciò che sarà molto sincero; speriamo ciò che desideriamo,però tolleriamo ciò che succederà; riflettiamo alla fine che il corpo di qualsiasi uomo più vigoroso e grande è mortale e che la fama dello spirito e del valore militare è immortale.
Olim ad Aristippum, clarissimum philosophum, venit homo ditissimus rogaturus ut filius erudiretur. Philosophus quia in maxima egestate erat, molestum atque incommodum munus non recusavit, sed pro mercede plurimos nummos postulavit. Pretium vero exterruit patrem qui, cum avarus indoctiorque homo esset, putavit mercedem petitam nimiam esse. Itaque indignationem aegre dissimulans exclamavit: Si ita est, filium minus doctum sed certe locupletiorem apud me retinebo; nam minore impensa mancipium emere possum.Stultissimo homini statim Aristippus respondit: At tu recte facis: eme mancipium, atque ita habebis duo!
Un giorno da Aristippo, illustrissimo filosofo, arrivò un uomo molto ricco per domandargli che il figlio venisse educato. Il filosofo siccome era in enorme povertà, non declinò il compito fastidioso e scomodo, però in cambio chiese parecchi soldi. Il prezzo in realtà spaventò il padre che, siccome era un uomo avaro e stupido, pensò che la ricompensa richiesta fosse troppo. E allora simulando una irritante collera disse: “Se è così, terrò presso me un figlio meno saggio però sicuramente più ricco, difatti posso acquistare a minor prezzo uno schiavo”. Allo stoltissimo uomo Aristippo reclamò: “Però tu fai giustamente: acquista un servo, e allora ne possederai due!”
A Xerse, qui Graecos puniturus erat, ingens exercitus comparatus est. Totius Graeciae incolae in magno metu erant: quis enim sciebat quo modo se defendere possent? In tanta rerum perturbatione Delphos legatos Graeci miserunt, ut Apollo consuleretur. Legatis interrogantibus Deus respondit: "Patriam libertatemque servabitis si vos ipsos muris ligneis muniveritis". Cum omnes ignorarent quid ea verba significant, sic unus Themistocles explanavit: "Nos Deus, ut urbis moenia relinquamus et in naves, quae lignae sunt, ascendamus, certe monet".Cum Graeci Themistoclis verbis oboedivissent Persas vicerunt patriaeque libertatem servaverunt.
Serse, che aveva intenzione di punire i Greci, allestì uno smisurato esercito.Gli abitanti di tutta la Grecia vivevano in grande timore: Chi infatti sapeva in che modo potessero difendersi? In tanta confusione di cose I Greci inviarono degli ambasciatori a Delfo, perché consultassero Apollo. Il dio rispose agli ambasciatori che domandavano:"Salverete la patria e la libertà se proteggerete voi stessi con muri di legno". Ignorando tutti cosa quelle parole significassero, a tal punto il solo Temistocle spiegò:"Certamente il dio ci ammonisce ad abbandonare le mura della città e a salire sulle navi che sono di legno".I Greci, avendo obbedito alle parole di Temistocle, vinsero i Persiani e salvarono la libertà della patria.
Quinto anno primi belli quod contra Afros gerebatur, primum Romani C. Duilio et Cn. Carnelio Asina consulibus in mari dimicaverunt, paratis navibus rostratis quas Liburnas vocant. Consul Cornelius fraude deceptus est. Duilius, commisso proelio, Carthaginiensium ducem vicit, triginta et unam naves cepit, quattuordecim mersit, septem milia hostium cepit, tria mila occidit. Neque ulla victoria Romanis gratior fuit, quod invicti terrā iam etiam mari plurimum possent.C. Aquilio Floro L. Scipioneconsulibus, Scipio Corsicam et Sardiniam vastavit, multa milia inde captivorum abduxit, triumphum egit. L. Manlio Vulsone M. Attilio Regulo consulibus, bellum in Africam translatum est.
Nel quinto anno della guerra che era sostenuta contro gi Africani,per la prima volta, i Romani, sotto il comando dei consoli Gaio Duilio e Gneo Cornelio Asina, combatterono sul mare, dopo aver equipaggiato le navi munite di uncino che chiamano “Liburne”. Il console Cornelio fu ingannato con un tranello. Duilio, dopo aver attaccato battaglia, sconfisse il capo dei Cartaginesi, si impadronì di trentuno navi, ne affondò quattordici, catturò settemila nemici e ne uccise tremila. Nessuna vittoria fu più gradita ai Romani che, ormai, invincibili su terra, erano molto potenti anche sul mare. Sotto il consolato di Gaio Aquilio Floro e Lucio Scipione, Scipione saccheggiò la Corsica e la Sardegna, da qui (da queste terre) portò via molte migliaia di schiavi e ottenne il trionfo. Sotto il consolato di Lucio Manlio Vulsone e Marco Attilio Regolo, la guerra fu trasferita in Africa.
Aemilius Paulus, Perseo victo, omni Macedonum gaza, quae fuit maxima, potitus erat. Sic tantam pecuniam in aerarium populi Romani invexit, ut unius imperatoris praeda maior omnibus tributis esset. At ille Paulus nihil domum suam intulit praeter memoriam nominis sempiternam. Africanus minor, Carthagine eversa, nihilo locupletior quam Paulum fuit. Lucius Mummius quoque, qui fuit Africani collega in quaestura, cum Corinthum, urbem copiosissimam funditus evertisset, copiosor factus est, sed Italiam ornare maluit potius quam domum suam.Nihil enim teatrium turpiusque est quam avaritia, praesertim in viris rem publicam regentibus. Nam qui magistratus atque imperia petunt ut furtis quaestum facerent, non solum turpes nomine sunt, sed etiam scelerati atque nefarii. Olim oraculum Apollinis Lacedaemonis praedixit eorum urbem nulla re nisi avaritia perituram esse. Id Apollo etiam illis opulentis populis praedixit. Regere enim rem publicam abstinentia continentiaque oportet.
Emilio Paolo, vinto Perseo, si impadronì di tutto il tesoro dei Macedoni, che fu grandissimo. Fece offrire tanto denaro nell’erario che il bottino di un solo comandante fu più grande di tutti gli altri tributi. Ma quel famoso Paolo non portò nulla nella sua casa se non la memoria eterna del nome. L’Africano minore, distrutta Cartagine, fu di sicuro più ricco di quanto fu Paolo. Anche Lucio Mummio, che fu collega dell’Africano nella questura, quando distrusse dalle fondamenta Corinto, città ricchissima, divenne alquanto ricco, ma preferì abbellire l’Italia piuttosto che la sua casa. Nulla infatti è più turpe e vergognoso dell’avidità, soprattutto negli uomini che governano lo stato. Infatti coloro che cercano cariche pubbliche e comandi per arricchirsi con i furti, non solo sono uomini vergognosi ma anche senza cervello e malvagi. Una volta l’oracolo di Delfi predisse agli Spartani che la loro città non sarebbe caduta per nessun motivo se non per l’avidità. Apollo predisse ciò anche ad altri ricchi popoli. Bisogna infatti governare lo stato con moderazione e integrità morale.
Lucius Paulus consul sorte designatus erat ut bellum cum Persa Macedonum rege gereret. Eo ipso die ubi ad vesperum domum e Curia rediit filiolam suam nomine Tertiam quae tunc erat admodum parva tristem ac lacrimantem invenit. Tum filiolam complexu excipiens ex ea tantae tristitiae causam quaesivit. "Pater mi - illa respondit- Persa periit!". Decesserat enim catellus quem puella maxime amabat nomine Persa. Tum ille: "Accipio- inquit- filia mea omen!".Arripuit igitur faustum omen Paulus et ex fortuito filiolae dicto quasi certam spem clarissimi triumphi animo praesumpsit.
Il console Lucio Paolo venne designato dalla sorte per iniziare guerra a Perseo, sovrano dei Macedoni. Nel medesimo giorno, mentre ritornò di sera dalla Curia alla dimora, trovò sua figlia, di nome Terzia, che era una giovane parecchio bella, triste e lacrimante. Così quello abbracciando la figlia, gli domandó la ragione di cotanta tristezza: "Padre mio - affermó - è deceduto Perseo!". Era morto difatti un cagnolino, che la giovinetta adorava parecchio, di nome Perseo. "Lo prendo - affermó - figlia mia come un augurio!". Paolo quindi prese l’accaduto di buon augurio e prese nell'animo per la fortuita frase della figliola la certa speranza di una molta illustre vittoria.
nterim consilio Caesaris cognito [...] a compluribus insulae civitatibus ad eum legati veniunt, qui polliceantur obsides dare atque imperio populi Romani obtemperare. Quibus auditis, liberaliter pollicitus hortatusque ut in ea sententia permanerent, eos domum remittit et cum iis una Commium, quem ipse Atrebatibus superatis regem ibi constituerat, cuius et virtutem et consilium probabat et quem sibi fidelem esse arbitrabatur cuiusque auctoritas in his regionibus magni habebatur, mittit.Huic imperat quas possit adeat civitates horteturque ut populi Romani fidem sequantur seque celeriter eo venturum nuntiet. Volusenus perspectis regionibus omnibus quantum ei facultatis dari potuit [...] quinto die ad Caesarem revertitur, quaeque ibi perspexisset renuntiat.
Intanto, essendo stato appreso il piano di Cesare, vennero da parecchie città di quell’isola ambasciatori presso di lui, per promettere di dare ostaggi e sottomettersi al comando del popolo romano. Ascoltate queste cose, con benevolenza avendo promesso e avendoli esortati a mantenere la promessa (affinché rimanessero nella stessa decisione; affinché non cambiassero idea), li rimandò in patria e mandò insieme con essi Commio, che lui stesso aveva posto lì come re, dopo aver vinto gli Atrebati, di cui riconosceva sia il valore sia la saggezza, e che credeva fosse fedele a lui, e la cui influenza in quelle regioni era tenuta in gran conto. Gli comanda di recarsi presso tutte le popolazioni che gli sono possibili, e di incalzare affinché si mettano sotto la protezione del popolo romano, e di annunciare che lui sarebbe venuto lì velocemente. Voluseno, esaminate tutte le regioni quanto poté in base alla sua capacità, tornò da Cesare il quinto giorno e fece rapporto sulle cose che lì aveva osservato.
Per idem tempus Uticae forte Caio Mario, per hostias diis supplicanti, magna atque mirabilia portendi haruspex dixerat: proinde, quae animo agitabat, ageret; Fortunam quam saepissume experiretur; cuncta prospera eventura. At illum iam antea ingens cupido consulatus exagitabat, ad quem capiundum praeter vetustatem familiae alia omnia abunde erant: industria, probitas, militiae magna scientia, animus belli ingens, domi modicus, lubidinis et divitiarum victor, tantummodo gloriae avidus.Sed is natus et per omnem pueritiam altus Arpini, ubi primum aetas militiae patiens fuit, non Graeca facundia neque urbanis munditiis esse exercuit, sed stipendiis faciundis: ita inter artes bonas integrum ingenium brevi adolevit.Ergo, ubi primum a populo tribunatum militarem petit, plerisque faciem eius ignorantibus, facile notus per omnes trius declaratur. deinde ab eo magistratu alium post alium sibi peperit, semperque in potestantibus eo modo agitabat, ut ampliore quam gerebat potestate dignus haberetur.
Nello stesso tempo per caso un aruspice aveva detto a Caio Mario, che supplicava gli dei tramite il sacrificio di vittime, che sarebbero accadute cose grandi e incredibili: quindi facesse ciò che gli suggeriva l'animo; avrebbe sperimentato la fortuna il più spesso possibile, ogni cosa sarebbe andata per il verso giusto. Ma egli era turbato da un grande desiderio di raggiungere il consolato, per ottenere il quale aveva ampiamente tutte le altre doti, tranne l'antichità della famgilia: operosità, onestà, grande esperienza militare, animo indomito in guerra, moderato in pace, dominatore del piacere e della ricchezza, desideroso soltanto di gloria. Ma costui nato e cresciuto per tutta l'infanzia ad Arpino non appena ebbe l'età per arruolarsi non si esercitò nella lingua greca nè nelle ricercatezza mondane ma nella carriera militare: così svilppò in breve tempo un ingegno integro fra le virtù. Dunque non appena chiese al popolo il tribunato militare, nonostante la maggioranza ignorasse il suo volto, noto a tutte le tribù fu eletto con facilità. In seguito si procurò una dopo l'altra tutte le altre cariche, e nell'esercizio del potere si comportò in modo tale da essere ritenuto degno di un potere più grande di quello che gestiva.
Multi socii cum Romulo et Remo in unum locum conveniunt et in Latio conditur novum oppidum et Roma appellatur, sed cito Remus a Romulo necatur, quia discordia inter germanos erat. Sic Romulus solus regnum obtinet. Incolae novi oppidi matrimonia frustra desiderabant, quia feminas non habebant. Quare ad ludorum spectaculum Sabinos et proximorum locorum incolas invitant in agrum circa Romam. Dum ludi in rustico theatro a viris animo intento spectantur, Romuli socii puellas Sabinorum subito rapiunt et intra muros oppidi trahunt.Sabini propter iniuriam bellum contra Romanos movent. Sed cito discordiae inter duos populos cessant, quia pullae et matronae bellum abnuebant. Sic, ubi bellum cessat, a Romanis raptae puellae in matrimonium ducuntur et unus populus Romanorum et Sabinorum efficitur.
Parecchi soci si radunano con Romolo e Remo in un solo posto e nel Lazio viene creata una nuova città e viene chiamata Roma, ma subito Remo fu ucciso da Romolo, poiché fra i fratelli c’era contrasto. Allora Romolo da solo ottiene il regno. Gli abitanti della nuova città bramavano invano nozze, poiché non avevano donne. Per questa ragione invitano gli abitanti dei luogo confinanti e i Sabini per uno spettacolo di ludi in un posto vicino Roma. Mentre dagli uomini vengono visti con animo attento i ludi in un teatro di campagna, gli amici di Romolo catturano all'improvviso le donne dei sabini e le portano dentro le mura della città. I Sabini muovono guerra contro i Romani per l'offesa. Ma velocemente i contrasti fra le due popolazioni finiscono, siccome le giovani e le donne reclinavano la guerra. Allora, quando finisce la guerra, le fanciulle catturate dai romani sono portate in matrimonio e si crea un unico popolo di romani e sabini.
Tito Domitianus frater successit, Neroni aut Caligulae aut Tiberio similior quam patri vel fratri suo. Primis tamen annis moderatus et prudens in imperio fuit; sed mox crudelissimus ac dissolutissimus factus est: nam vitiis libidinis, iracundie, crudelitatis, avaritiae se contaminavit, quare in se odium civium militumque excitavit. Interfecit nobilissimos e senatu, ne voluntati suae obstarent. Expeditiones quattuor duxit, unam adversus Sarmatas, alteram adversus Cattos, duas adversus Dacos.De Dacis Cattisque duplicem triumphum egit, de Sarmatis solum laudem habuit. Mortem occubuit anno imperii quinto decimo ob suorum coniurationem in Palatio et cadaver eius cum ingenti dedecore per vespillones exportatum est domo et ignobilissime sepultum.
Tito successe il fratello Domiziano, simile più a Nerone a Caligola o a Tiberio che a suo padre e a suo fratelo. Per i primi anni nel comando fu moderato e prudente ma presto divenne molto crudele e molto sregolato; infatti fu macchiato dei vizi della libidine,iracondia, crudeltà, e avarizia e per questo attirò verso di sè l'odio dei cittadini e dei soldati. Uccise i più nobili senatori, che si opposero alla sua volontà. Condusse quattro spedizioni una contro i Sarmati l'altra contro i Catti e due contro i Daci. Celebrò il trionfo sui Daci e i Catti, per i Sarmati ebbe soltanto la lode. Morì nel quindicesimo anno d'impero dalla congiura dei suoi sul colle Palatino e con grande vergogna il suo cadavere fu trasportato in patria dai becchini e sepolto in maniera ignobile.
Quam multos scriptores rerum suarum magnus ille Alexander secum habuisse dicitur! Atque is tamen cum in Sigeo ad Achillis tumulum astitisset: "O fortunate" inquit "adulescens qui tuae virtutis Homerum praeconem inveneris!" Et vere. Nam nisi Illias illa exstitisset idem tumulus qui corpus eius contexerat nomen etiam obruisset. Quid? noster hic Magnus qui cum virtute fortunam adaequavit nonne Theophanem Mytilenaeum scriptorem rerum suarum in contione militum civitate donavit; et nostri illi fortes viri sed rustici ac milites dulcedine quadam gloriae commoti quasi participes eiusdem laudis magno illud clamore approbaverunt?
Si dice che molti scrittori delle sue vicende Alessandro Magno avesse con sé! E dunque lui, sostando davanti al tumulo di Achille, al Sigeo, esclamò: 'O giovane fortunato, poichè hai trovato in Omero il cantore della tua virtù'. E' vero. Poichè se quell' opera eccellente dell'Iliade non fosse esistita, lo stesso tumulo, che aveva conservato il corpo di Achille, ne avrebbe sotterrato la gloria. E anche, non è forse vero che il nostro Pompeo Magno, che dimostrò valore pari a fortuna, in un comizio militare, diede la cittadinanza a Teofane di Mitilene,il proprio storico, e quei nostri soldati coraggiosi, ma pur sempre rozzi soldati, quasi ubriacati dalla dolcezza della gloria, come partecipi dello stesso onore, approvavano con acclamazione?
Phocion Atheniensis etsi saepe exercitibus praefuit summosque magistratus cepit, tamen multo eius notior integritas vitae quam rei militaris labor. Itaque huius memoria est nulla, illius autem magna fama, ex quo cognomine Bonus est appellatus. Fuit enim perpetuo pauper, cum divitissimus esse posset propter frequentis delatos honores potestatesque summas, quae ei a populo dabantur. Hic cum a rege Philippo munera magnae pecuniae repudiaret legatique hortarentur accipere simulque admonerent, si ipse his facile careret, liberis tamen suis prospiceret, quibus difficile esset in summa paupertate tantam paternam tueri gloriam, his ille: "Si mei similes erunt, idem hic inquit agellus illos alet, qui me ad hanc dignitatem perduxit; sin dissimiles sunt futuri, nolo meis impensis illorum ali augerique luxuriam.
Anche se Focione l' Ateniese fu piu volte a capo di eserciti e ricoprì le piu alte cariche, tuttavia è molto piu nota di lui l'integrità di vita che l'attivita militare. E così di quest'ultima il ricordo è nullo, mentre della prima è grande la fama, per cui egli fu soprannominato il Buono. Fu infatti povero per tutta la vita, pur potendo essere richissimo per le cariche spesso rivestite e per i piu alti poteri che gli venivano attribuiti dal popolo. Rifiutando egli ingenti somme di denaro recategli in dono dal re Filippo, ed esortandolo gli ambasciatori ad accettarle, e insieme ammonendolo che, se lui poteva benissimo farne a meno, pensasse tuttavia ai suoi figli, ai quali sarebbe stato difficile salvaguardare la grande gloria paterna nella piu assoluta poverta, egli disse loro; "Se saranno simili a me, a nutrirli sarà questo stesso campicello, che ha portato a me a questa carica; se invece saranno diversi, non voglio che il loro lusso sia alimentato ed accresciuto a mie spese".
Hic cum aetate iam provectus esset sine ullo modo morbo lumina oculorum amisit. Quam calamitatem ita moderate tulit ut neque eum querentem quisquam audierit neque eo minus privatis publicisque rebus interfuerit. Veniebat autem in theatrum cum ibi concilium populi haberetur propter valetudinem vectus iumentis iunctis atque ita de vehiculo quae videbantur dicebat. Neque hoc illi quisquam tribuebat superbiae. Nihil enim umquam neque insolens neque gloriosum ex ore eius exiit.Qui quidem cum suas laudes audiret praedicari numquam aliud dixit quam se in ea re maxime diis agere gratias atque habere quod cum Siciliam recreare constituissent tum se potissimum ducem esse voluissent. Nihil enim rerum humanarum sine deorum numine geri putabat. Itaque suae domi sacellum Automatias constituerat idque sanctissime colebat. Ad hanc hominis excellentem bonitatem mirabiles accesserant casus. Nam proelia maxima natali suo die fecit omnia: quo factum est ut eius diem natalem festum haberet universa Sicilia.
Questo, in età avanzata, perse la vista (degli occhi), senza alcuna malattia. Sopportò una tale disgrazia così moderatamente, che nessuno lo sentì mai lamentarsi, né partecipò meno agli affari privati e pubblici. Veniva, invece, a teatro, poiché lì si teneva la riunione del popolo, trasportato, a causa della cattiva salute, su un cocchio a due cavalli, e così dal carro esponeva le cose che gli sembravano opportune. E questo nessuno glielo imputava come un atto di superbia: infatti, mai nulla di arrogante o vanaglorioso uscì dalla sua bocca. Questi, inoltre, udendo tessere le sue lodi, non disse mai nient’altro che lui in quella situazione ringraziava fortemente gli dei, poiché, se avevano stabilito di ridar forza alla Sicilia, allora avevano voluto che lui fosse il principale comandante. Infatti, riteneva che nessuna delle faccende umane si compisse senza un intervento divino. Così aveva costruito un tempietto di Automatia nella sua casa e lo onorava in modo molto pio. A questa eccellente buona qualità dell’uomo si aggiunsero mirabili fatti. Compì, infatti, tutte le battaglie più grandi nel giorno della sua nascita: accadde in questo modo che tutta la Sicilia considerasse il suo giorno natale come festivo.
Lysander, cum vellet reges Lacedaemone tollere, sentiebat id se sine opere deorum facere non posse, quod Lacedaemonii omnia ad oracula referre consuerant. Primum Delphicum oraculum corrumpere conatus est. Hinc quoque repulus, dixit se vota suscepisse, quae Iovi Hammoni solveret, existimans se Afros facilius corrupturum. Hac spe cum profectus esset in Africam, ubi id oraculum erat, multum eum antistites Iovis fefellerunt. Nam non solum corrumpi non potuerunt, sed etiam legatos Lacedaemonem miserunt, qui Lysandrum accusarent quod sacerdotes fani corrumpere conatus esset.Accusatus hoc crimine iudicumque absolutus sententiis, Orchomeniis missus subsidio, qui contra Thebanos bellum gerebant, occisus est a Thebanis in proelio apud Haliartum. Post mortem in domo eius oratio scripta reperta est in qua suadet Lacedaemoniis ut regiam potestatem dissolverent.
Lisandro, poichè voleva abolire la monarchia a Sparta, comprendeva di non poter fare ciò senza l'aiuto degli dei, poichè gli Spartani erano soliti conformare ogni iniziativa ai responsi degli oracoli. Dapprima tentò di corrompere quello di Delfi. Non essendovi riuscito, ricorse a quello di Dodona. Respinto anche di qui, disse di aver fatto voti che doveva sciogliere a Giove Ammone, ritenendo di poter piu facilmente corrompere gli Africani. Partito con questa speranza per l'Africa, dove si trovava quell'oracolo, molto lo delusero i sacerdoti di Giove. Infatti, non solo non si lasciarono corrompere, ma anche inviarono ambasciatori a Sparta, per accusare Lisandro di aver tentato di corrompere gli addetti al culto del tempio. Accusato di questa colpa e assolto con sentenza dei giudici, mandato in aiuto agli Orcomenii, che combattevano contro i Tebani, fu ucciso dai Tebani nella battaglia di Aliarto. Dopo la sua morte fu trovata in casa sua un'orazione scritta, nella quale cercava di persuadere gli Spartani ad abbattere il potere regio.
Sulla gentis patriciae nobilis fuit, litteris Graecis ac Latinis iuxta, atque doctissime, eruditus; animo ingenti, cupidus voluptatum, sed gloriae cupidior; facundus, callidus, et amicitia facilis, multarum rerum ac maxime pecuniae largitor. Atque illi felicissimo omnium ante civilem victoriam, nunquam super industriam fortuna fuit; multique dubitavere, fortior an felicior esset: nam, postea quae fecerit, incertum habeo, pudeat magis, an pigeat disserere.Postquam in Africam atque in castra Marii cum equitatu venit, rudis antea et ignarus belli, solertissimus omnium in paucis tempestatibus factus est. Ad hoc milites benigne appellare; multis rogantibus, aliis per se ipse dare beneficia; ioca atque seria cum humillimis agere; in operibus, in agmine atque ad vigilias multus adesse, neque interim, quod prava ambitio solet, consulis aut cuiusquam boni famam laedere, tantummodo neque consilio neque manu priorem alium pati, plerosque antevenire. Quibus rebus et artibus brevi Mario militibusque carissimus factus est.
Silla fu di nobile famiglia patrizia, profondo conoscitore del greco e allo stesso modo del latino, di animo straordinario, desideroso di piaceri ma più desideroso di gloria; eloquente, furbo, disposto all’amicizia; donatore di molte cose e soprattutto di gloria. Dopo che giunse con la cavalleria in Africa e nell’accampamento di Mario, dapprima inesperto e ignaro della guerra, divenne più abile di tutti in poche circostanze. Si rivolgeva gentilmente ai soldati;: poiché molti chiedevano egli stesso diede ad altri dei favori attraverso di sé; trascorreva le circostanze gioiose e serie con i più umili; nelle opere di fortificazione, nelle colonne in marcia e nei turni di guardia fu sempre presente; né intanto, il che di solito è un ambizione cattiva, danneggiava il buon nome del console o di qualcuno di buono; soltanto non sopportava che un altro fosse superiore per accortezza e forza fisica, era superiore ai restanti. Per queste cose e per la sua abilità in breve tempo divenne assai caro a Mario e ai soldati.
Gaudeo et gratulor, quod Fusco Salinatori filiam tuam destinasti. Domus patricia, pater honestissimus, mater pari laude; ipse studiosus litteratus etiam disertus, puer simplicitate comitate iuvenis senex gravitate. Neque enim amore decipior.Amo quidem effuse - ita officiis ita reverentia meruit -, iudico tamen, et quidem tanto acrius quanto magis amo; tibique ut qui exploraverim spondeo, habiturum te generum quo melior fingi ne voto quidem potuit.Superest ut avum te quam maturissime similium sui faciat.Quam felix tempus illud, quo mihi liberos illius nepotes tuos, ut meos vel liberos vel nepotes, ex vestro sinu sumere et quasi pari iure tenere continget! Vale.
Gioisco e mi rallegro, poiché tu hai promesso tua figlia in sposa a Fusco Salinatore. Famiglia patrizia, padre onoratissimo, madre degna di pari elogio; egli studioso di lettere ed anche eloquente, un ragazzo per semplicità, un giovane per affabilità, un anziano per saggezza. E certo non mi lascio ingannare dall’affetto. Sicuramente io gli voglio bene intensamente – e lo ha meritato sia per i suoi segni di rispetto sia per le sue attenzioni -, ma pure lo giudico, e anzi tanto più severamente quanto più gli voglio bene; e a te, dato che l’ho conosciuto a fondo, assicuro che avrai un genero tale che neppure con il desiderio si sarebbe potuto immaginare migliore. Non gli resta che renderti al più presto nonno di (nipoti) simili a lui. Felice quel tempo in cui mi capiterà di prendere dalle vostre braccia i suoi figli, i tuoi nipoti, come figli e nipoti miei e di tenerli quasi come miei! Ti saluto.
In omni Gallia eorum hominum, qui aliquo sunt numero atque honore, genera sunt duo. [Nam plebes paene servorum habetur loco, quae nihil audet per se, nullo adhibetur consilio. Plerique, cum aut aere alieno aut magnitudine tributorum aut iniuria potentiorum premuntur, sese in servitutem dicant nobilibus: in hos eadem omnia sunt iura, quae dominis in servos.] De his duobus generibus alterum est druidum, alterum equitum. Illi rebus divinis intersunt, sacrificia publica ac privata procurant, religiones interpretantur: ad hos magnus adulescentium numerus disciplinae causa concurrit, magnoque hi sunt apud eos honore.Nam fere de omnibus controversiis publicis privatisque constituunt, et, si quod est admissum facinus, si caedes facta, si de hereditate, de finibus controversia est, idem decernunt, praemia poenasque constituunt; si qui aut privatus aut populus eorum decreto non stetit, sacrificiis interdicunt. Haec poena apud eos est gravissima. [Quibus ita est interdictum, hi numero impiorum ac sceleratorum habentur, his omnes decedunt, aditum sermonemque defugiunt, ne quid ex contagione incommodi accipiant, neque his petentibus ius redditur neque honos ullus communicatur. His autem omnibus druidibus praeest unus, qui summam inter eos habet auctoritatem. Hoc mortuo aut si qui ex reliquis excellit dignitate succedit, aut, si sunt plures pares, suffragio druidum, nonnumquam etiam armis de principatu contendunt. Hi certo anni tempore in finibus Carnutum, quae regio totius Galliae media habetur, considunt in loco consecrato. Huc omnes undique, qui controversias habent, conveniunt eorumque decretis iudiciisque parent. Disciplina in Britannia reperta atque inde in Galliam translata esse existimatur, et nunc, qui diligentius eam rem cognoscere volunt, plerumque illo discendi causa proficiscuntur.]
In tutta la Gallia ci sono due classi di persone tenute in un certo conto e considerazione. [Il popolo, infatti, è considerato quasi alla stregua dei servi, non prende iniziative e non ha diritto di partecipare alle assemblee. La maggior parte, oberata dai debiti, da tributi gravosi o da soprusi dei potenti, si mette al servizio dei nobili, che su di essi godono degli stessi diritti che hanno i padroni sugli schiavi.] Delle due classi, dunque, la prima comprende i druidi, l'altra i cavalieri. I druidi si occupano delle cerimonie religiose, provvedono ai sacrifici pubblici e privati, regolano le pratiche del culto. Moltissimi giovani accorrono a istruirsi dai druidi, che tra i Galli godono di grande onore. Infatti, risolvono quasi tutte le controversie pubbliche e private e, se è stato commesso un reato, se c'è stato un omicidio, oppure se sorgono problemi d'eredità o di confine, sono sempre loro a giudicare, fissando risarcimenti e pene. Se qualcuno - si tratti di un privato cittadino o di un popolo - non si attiene alle loro decisioni, gli proibiscono i sacrifici. Si tratta della pena più grave tra i Galli.[Colui che ne è stato colpito, viene considerato un empio, un criminale: tutti si tengono alla larga da lui, lo evitano e non gli rivolgono la parola, per non contrarre qualche sciagura dal rapporto con lui; non ha diritto a chiedere giustizia, né può essere investito di una carica. Tutti i druidi hanno un unico capo, che gode della massima autorità. Alla morte, prende il suo posto chi preceda gli altri druidi per prestigio, oppure, se sono in parecchi ad avere uguali meriti, la scelta è lasciata ai voti dei druidi, ma talvolta la carica è addirittura contesa con le armi. In un preciso periodo dell'anno essi si radunano in un luogo sacro, nella regione dei Carnuti, considerato al centro di tutta la Gallia. Chi ha delle controversie, si reca qui da ogni regione e si attiene alla decisione e al verdetto dei druidi. E’ credenza comune che la loro dottrina sia nata in Britannia e che, da lì, sia passata in Gallia: ancora oggi, chi intende approfondirla, in genere si reca sull'isola per istruirsi.]
Quid ego plura de tua insolentia commemorem? quem Minerva omnes artes edocuit, Iuppiter Optimus Maximus in concilio deorum admisit, Italia exulem humeris suis reportavit. oro te, Romule Arpinas, qui egregia tua virtute omnes Paulos, Fabios, Scipiones superasti, quem tandem locum in hac civitate obtines? quae tibi partes rei publicae placent? quem amicum, quem inimicum habes? cui in civitate insidias fecisti, ancillaris? quo auctore de exsilio tuo Dyrrhachio redisti, eum insequeris.quos tyrannos appellabas, eorum potentiae faves. qui tibi ante optimates videbantur, eosdem dementes ac furiosos vocas. Vatini causam agis, de Sestio male existimas. Bibulum petulantissimis verbis laedis, laudas Caesarem. quem maxime odisti, ei maxime obsequeris.
Che cosa io posso ricordare maggiormente della tua insolenza?Minerva insegnò a lui tutte le arti che Giove Massimo Ottimo, inserì (o raccolse) nel concilio degli dei, riportò dall'Italia l'esule sulle sue spalle. Ti prego Romolo di Arpino, che superasti con la tua egregia visrtù tutti, Paolo, Fabio, Scipione. Infine quale posizione ottieni in questa città? Quali parti dello stato ti piacciono?Quale amico, e quale nemico hai? A chi faresti l'inganno in questa città? Tornasti da Durazzo, da chi delineò il tuo esilio e lo insegui. Chiami tiranni coloro di cui vanti la grandezza. Quelli che parevano a te nobili, li chiami stupidi e pazzi. Porti avanti la causa di Vatino, sei contro quella su Sestio. Con parole vigliacche, porgi offese a Bibulo e lodi Cesare. Sempre hai odiato con forza quello a cui ora obbedisci in maggioranza.
Cum Pompeius senatusque totus atque universa nobilitas sub adventum Caesaris Roma turpissime fugissent et in Graeciam pervenissent, Caesar in urbem vacuam ab inimicis intravit et se dictatorem fecit. Postea Roma Hispaniam petivit ibique Pompei exercitus validissimos et fortissimos cum tribus ducibus, L. Afranio, M. Petreio, M. Varrone, superavit. Inde in Graeciam contendit ut adversus Pompeium pugnaret. Primo proelio victus et fugatus est, tamen a Pompeio captus non est.Deinde Caesar et Pompeius, cum maximas copias produxissent, in Thessalia apud Pharsalum dimicaverunt. Caesaris acies numero non virtute acie Pompei minor erat; nam Pompei exercitus plurimos pedites equitesque habebat, praeterea totius Orientis auxilia, totam nobilitatem, complures senatores, praetorios, consulares. Numquam Romanae copiae in unum locum neque maiores neque melioribus ducibus convenerant. Acerrime utrimque pugnatum est, postremo Pompeius victus est et eius castra direpta sunt. Tum Alexandriam fugit ut a rege Aegypti auxilia acciperet, sed rex Pompeium occidit atque caput eius et anulum Caesari misit. Caesar, caput Pompei conspiciens, lacrimas effudit.
Essendo Pompeo, tutto il Senato e tutta la nobiltà (i nobili) fuggiti molto vergognosamente da Roma sotto l'avvento di Cesare ed essendo giunti in Grecia, Cesare entrò nella città vuota dei nemici e si dichiarò dittatore. In seguito da Roma si diresse in Spagna e lì superò gli eserciti fortissimi e potentissimi di Pompeo contro comandanti, L. Afranio, M. Petreio, M. Varrone. Cesare marciò da quel luogo verso la Grecia velocemente per combattere contro Pompeo. Nel primo combattimento fu sconfitto e messo in fuga, ciononostante non fu catturato da Pompeo.Quindi Cesare e Pompeo, dopo aver condotto fuori il massimo delle truppe lottarono in Tessaglia presso Farsalo. L'esercito (schierato) da Cesare era minore come numero ma non come abilità dell'esercito schierato da Pompeo; infatti l'esercito di Pompeo aveva moltissimi fanti e cavalieri, inoltre (aveva) gli aiuti di tutto l'Oriente, tutta la nobiltà, parecchi senatori, ex-pretori, ex-consoli. Mai si erano radunati in un unico luogo truppe romane più grandi sotto la guida di migliori comandanti. Dall'una e dall'altra parte fu combattuta con molta energia, infine Pompeo fu vinto e i suoi accampamenti furono saccheggiati. Allora fuggì ad Alessandria per ricevere aiuti dal re dell'Egitto, ma il re uccise Pompeo e mandò il suo capo e il suo anello a Cesare. Cesare vedendo il capo di Pompeo, versò delle lacrime.
Olim cervus, qui venatores fugiebat, in bovile confugit et se condidit. Boves eum interrogaverunt : « Cur hominum tecto te commisisti ? ». At cervus supplex : « Auxilia mihi – inquit – date ; cum occasio mihi data erit, clam erumpam et fugiam ». Diu cervus boves latuit ; bubulcus saepe fenum eis dedit neque cervum vidit ; alii rustici venerunt neque illum viderunt. Tum cervus gratis bubus egit : enim ibi salutem invenerat.Sed ex bubus unus respondit : « Salvum te cupimus : ne timueris.Sin autem ille venerit, qui centum oculos habet, magno in periculo erit vita tua”. Paulo post dominus venit et ad stabulum accessit. Dum singula scrutat, cervi alta cornua vidit ac statim eius necem statuit. Sic cervus occiditur.Da Fedro
Una volta un cervo che stava fuggendo dai cacciatori, si rifugiò in una stalla e si nascose. I buoi gli chiesero: “Perché ti affidi al tetto degli uomini?” Ma il cervo supplichevole rispose: ”Aiutatemi, quando mi sarà data l’occasione, uscirò di nascosto e fuggirò". A lungo si nascose tra i buoi; spesso il bifolco diede loro il fieno e e non vide mai il cervo. Vennero altri contadini e non lo videro. Allora il cervo espresse la sua gratitudine ai buoi: infatti lì aveva trovato la salvezza.Ma tra i buoi uno rispose: “Ti vogliamo salvo: non temere, ma se verrà colui che ha cento occhi la tua vita sarà in grande pericolo. Poco dopo venne il padrone ed entrò nella stalla. Mentre scruta ogni animale, vide le alte corna del cervo e subito decise la sua morte. Così il cervo fu ucciso.
1.Caesar, bellum ad versus Gallos gesturus, iussit in Italia novos delectus haberi.2.Persae, ab Atheniensibus profligati,celerimmo cursu naves petiverunt.3.Dic mihi, quaeso, ubi cun amicis hoc mane fueris.4.Arbores serunt interdum agricolae, quarum fructus non carpent.5.Caesar ex Dumnorige quaesivit ea, quae in conventu dixerat, ac repperit ea esse vera.6.Arbores, quas in pomario conspicis, a patre meo satae sunt.7.Xanthippe, quam Socrates philosophus uxorem duxerat,iurgiosa admodum fuit ac litigiosa.8.Consules numquam sinant perfugas ac proditores impunitate frui.
1) Cesare, in procinto di combattere contro i Galli, ordinò che in Italia fossero fatte nuove leve di soldati.2) I Persiani, sbaragliati dagli Ateniesi, con rapidissima corsa si diressero alle navi.3) Dimmi, per favore, dove sei stato con gli amici questa mattina.4) Talvolta i contadini piantano alberi di cui non colgono i frutti.5) Cesare domandò a Dumnorige ciò che aveva detto nell'incontro, e appurò che era vero.6) Gli alberi che vedi nel frutteto furono piantati da mio padre.7) Santippe, che il filosofo Socrate aveva sposato, fu assai petulante e litigiosa.8) I consoli non permettano mai che disertori e traditori godano dell'impunità.
Nunc illos, qui in urbe remanserunt, atque adeo qui contra urbis salutem omniumque vestrum in urbe a Catilina relicti sunt, quamquam sunt hostes, tamen, quia [nati] sunt cives, monitos etiam atque etiam volo. Mea lenitas adhuc si cui solutior visa est, hoc expectavit, ut id, quod latebat, erumperet. Quod reliquum est, iam non possum oblivisci meam hanc esse patriam, me horum esse consulem, mihi aut cum his vivendum aut pro his esse moriendum. Nullus est portis custos, nullus insidiator viae; si qui exire volunt, conivere possum; qui vero se in urbe commoverit, cuius ego non modo factum, sed inceptum ullum conatumve contra patriam deprehendero, sentiet in hac urbe esse consules vigilantis, esse egregios magistratus, esse fortem senatum, esse arma, esse carcerem, quem vindicem nefariorum ac manifestorum scelerum maiores nostri esse voluerunt.
Ora voglio ancora una volta mettere in guardia, sebbene siano cittadini, quelli che rimasero nella città e quelli che furono lasciati lì nella città da Catilina contro la salvezza della città e di tutti voi, tuttavia sono nati cittadini. Se a qualcuno l’indulgenza da me dimostrata fino ad oggi è parsa eccessiva, ciò attendevo, affinchè uscisse fuori ciò che stava nascosto. Per il resto, non posso già dimenticare che questa è la mia patria, che io sono il console di questi, che io o dovrò vivere con loro o dovrò morire per loro. Non c’è nessuna guarda alle porte: se quelli vogliono uscire, posso chiudere un occhio, ma chi provocherà dei disordini nella città, del quale io stroncherò non solo cose già fatte, ma anche o proposito o tentativo contro la patria, sappia che in questa città ci sono dei consoli che vigilano, magistrati eccellenti, c’è un Senato forte, ci sono armi, e un carcere che i nostri antenati vollero come punitore dei delitti visibili e nefasti.
Pulcher pavo obsonam vocem suam aegre ferebat et lusciniae invidebat propter eius suavem vocem. Saepe enim, dum luscinia in silva canit, pavo clam eius tantum audiebat et miram eius vocis suavitatem imitari volebat. Sed, cum pulcher pavo coram aliis avibus canebat, eius vox sempre abbona et inincunda sonabat, itaque ille ab omnibus irridebatur. Tum pavo, postquam crebras contumelias pertulerat, ad Iunonem adivit et de iniusta sorte sua deploravit: “Cum luscinia canit – inquit – omnia animalia suavitate eius vocis illiciuntunr, ego autem, cum cano, risum omnium moveo”.Deorum regina, quod misero animali solarium praebere volebat, eius pulchritudinem valde laudavit, sed pavo deae respondit: “Muta pulchritudine mea gaudere non possum quia ab omnibus irrideor propter absonam vocem meam!” Tum Iuno: “Natura – inquit – dotes dissimiles animalibus dedit: tibi formam, leoni vim, vulpi astutiam, cani fidelitatem, lusciniae vocis suavitatem. Omnia alia animalia suis dotibus contenta sunt: querela tua igitur vana stultaque est”; denique minaciter addidit: “Nunc abi, nisi etiam pulchritudinem tuam perdere vis!”
Il pavone tollerava a stento la sua voce e apprezzava l'usignolo per la soave voce. Spesso infatti, quando l'uccellino cinguettava in un bosco, il pavone udiva in segreto e voleva emulare la speciale bellezza della sua voce. Però, mentre l’arrogante pavone cantava alla presenza degli altri uccelli, la sua voce era sempre stridula e spiacevole, e per codesta ragione era schernito da chiunque. Così il pavone, avendo tollerato spesso l'offesa, si recò da Giunone e si lamentò della suo brutto destino:" Quando l'usignolo canta - disse - tutti gli animali sono irretiti dalla bellezza della sua voce, mentre io, quando canto, scaturisco il riso di tutti". La sovrana degli dei, poichè volle dare conforto all'animale, apprezzò molto la sua bellezza, ma il pavone disse alla dea: ”Non godo della mia silenziosa bellezza, quando sono deriso da tutti per la mia voce stridula”. E Giunone: ”La natura ha dato doti diverse agli animali: a te la bellezza, la forza al leone, l'astuzia alla volpe, la lealtà al cane, la voce bella all’usignolo. Tutti gli animali sono felici per le proprie abilità: le tue lagne quindi sono vane e stupide"; e poi aggiunse minacciosamente:" Allontanati, se non vuoi perdere anche la tua bellezza”.
Sallustio : De Catilinae coniuratione – cap. LXLa morte di CatilinaSed ubi omnibus rebus exploratis Petreius tuba signum dat, cohortis paulatim incedere iubet; idem facit hostium exercitus. Postquam eo ventum est, unde a ferentariis proelium committi posset, maxumo clamore cum infestis signis concurrunt; pila omittunt, gladiis res geritur. Veterani pristinae virtutis memores comminus acriter instare, illi haud timidi resistunt: maxima vi certatur.Interea Catilina cum expeditis in prima acie versari, laborantibus succurrere, integros pro sauciis arcessere, omnia providere, multum ipse pugnare, saepe hostem ferire: strenui militis et boni imperatoris officia simul exequebatur. Petreius ubi videt Catilinam, contra ac ratus erat, magna vi tendere, cohortem praetoriam in medios hostis inducit eosque perturbatos atque alios alibi resistentis interficit. Deinde utrimque ex lateribus ceteros aggreditur. Manlius et Faesulanus in primis pugnantes cadunt. Catilina postquam fusas copias seque cum paucis relicuom videt, memor generis atque pristinae suae dignitatis in confertissimos hostis incurrit ibique pugnans confoditur.
Dopo aver controllato ogni cosa, Petreio invia il segnale con le trombe, ordina alle coorti di avanzare poco a poco; lo stesso fa l’esercito dei nemici. Dopo che furono giunti fin dove la battaglia poteva essere intrapresa dai soldati armati alla leggera, con un altissimo grido, i due eserciti si attaccano con le insegne rivolte verso il nemico; gettano via i giavellotti, le spade entrano in azione. I veterani al ricordo del valore di un tempo, incalzano accaniti, gli altri del tutto impavidi resistono. Catilina, con i fanti leggeri, è in prima fila, sostiene chi si trova in pericolo, sostituisce i feriti con soldati freschi, provvede ad ogni cosa, combatte molto, spesso ferisce il nemico: contemporaneamente svolge la parte del soldato valoroso e del generale capace. Quando, diversamente da come si era aspettato, Petreio vide Catilina combattere con grande vigore, lancia la coorte pretoria nel bel mezzo dei nemici che, dopo essersi scompaginati, resistono e cadono chi da una parte e chi dall’altra: quindi attacca di fianco le due ali..Manlio e Fiesolano muoiono combattendo in prima fila. Catilina, quando vede il suo esercito in rotta e rimasto con pochi superstiti, ricordandosi della sua stirpe e della sua antica dignità, si getta nel folto della mischia e qui, combattendo, cade trafitto.
Bonae fidei venditorem meminisse oportet. Rei, quam venditurus est neque vitia obscurare neque laudes praeter modum celebrare debet. Claudius Centumalus ab auguribus iussus erat altitudinem domus suae, quam in Caelio monte habebat, submittere, quia officiebat iis qui ex arce augurium capiebant. Ille vendidit eam Calpurnio Lanario nec indicavit quod imperatum a collegium augurum erat. Ab auguribus Calpurnius domum demoliri coactus, Marcum Porcium Catonem, summae prudentiae virum, incliti Catonis patrem, arbitrum controversiae sumpsit.Cato, ubi est edoctus Claudium sacerdotum imperata de industria suppressissse, continuo illum dupli damnavit. O sententiam prudentiae plenam! Oportet enim bonae fidei venditores esse, neque commodorum spem augere vel incommodorum cognitionem obscurare.
Conviene che il venditore si ricordi delle onestà. Egli non deve nascondere i difetti, nè esaltare altre misure la merce che ha intenzione di vendere. A Claudio Centulalo era stato ordinato dagli indovini di abbassare l'altezza della sua casa, che aveva sul monte Celio, perchè ostacolava la visuale a coloro che dalla rocca coglievano gli auspici. Egli la vendette a Calpurnio Lenario e non gli disse ciò che gli era stato ordinato dal collegio degli indovini. Costretto dagli auguri a demolire la casa, Calpurnio nominò arbitro della controversia Marco Porcio Catone, uomo di grandissima prudenza, padre del famoso Catone. Quando fu informato che Claudio aveva nascosto di proposito gli ordini dei sacerdoti, Catone lo condannò alla multa del doppio. Sentenza piena di saggezza! Bisogna infatti che i venditori siano onesti e che non accrescano le speranze di vantaggi o non nascondono la conoscenza degli svantaggi.
Ad castra ingens mulierum agmen pervenit et inter illas Coriolani mater atque uxor. Coriolanus a sede sua surrexit ut matrem uxoremque acciperet, sed muliere filio dix: “Fili mi, aspice ante tuos pedes matrem tuam et uxorem, miserrimas omnium mulierum. Altera filium, altera virum habemus qui no pro domo atque pro penatibus, sed pro hostibus contra patria pugnat. In hoc me longa et infelix senectus traxit, ut exulem te, deinde hostem viderem? Preces ipsae ac supplicationes, quibus, in tanto discrimine rerum, Romanae mulieres deos fatigant pro suo quaeque filio aut viro, habent in se solacium atque animos perterritos sublevant.At nobis nulla spes est. Quid enim? Patriae toto corde victoriam optamos simulque tuam salutem, sed di ipsi nihil nobis dare poossunt. Si enim patria salva atque incolumis erit, tuum interitum complorabimus, si tu salvus atque incolumis eris, patriae interitum”.Adattato da Livio, Ab Urbe II.40
Una grande moltitudine di donne giunse all’accampamento e tra di loro la moglie e la madre di Coriolano. Coriolano si alzò dalla sedia per ricevere la madre e la sposa, ma la madre disse al figlio: “Oh figlio mio, guarda tua moglie e tua madre che sono in tuo cospetto, le più misere di tutte le donne. Abbiamo l’una un figlio, l’altra un marito che combatte non a favore della patria e dei penati, ma a favore dei nemici contro la patria. La lunga ed infelice vecchiaia mi trascinò a tal punto da vedere te esule ed in seguito nemico? Le stesse preghiere e suppliche con cui in un frangente tanto grave le donne romane non danno tregua agli dei, ciascuna per il proprio figlio o marito, hanno in sé conforto ed arrecano sollievo agli animi preoccupati. Ma noi non sabbiamo alcuna speranza. Che cosa, infatti? Desideriamo con tutto il cuore la vittoria della patria e nello stesso tempo la tua salvezza, ma gli stessi dei non ci possono dare nulla. Se, infatti, la patria sarà salva ed incolume,piangeremo la tua morte, se tu sarai salvo ed incolume, piangeremo la caduta della patria".
Tiberius et Caius Gracchus filii fuerunt Corneliae, nobilissimae matronae. Tiberius senior erat, et ita populus eum diligebat, ut ei tribuerit maxima rei publicae official. Illis temporibus frequentissimae errant civiles contentionem intra nobiles plebeiosque. Tieberius, ut his contentionibus finem poneret, proposuit ut senates omnibus Italis civitatem concederet, atque nos colonos in provincias mitteret. Interea venit comitiorum dies. Tiberii amici eum monuerunt ne domo excederet.Ille autem audacior quam prudentior haec consilia sprevit. Eius inimici in eum cum sicis irruerunt eumque necaverunt. Eorum odium tantum erat Tiberii corpus in Tiberim praecipitaverint.
Tiberii e Caio Gracco furono figli di Cornelia, nobilissima matrona. Tiberio era il maggiore e il popolo lo amava, tanto che attribuirono a lui le massime cariche dello stato. A quei tempi erano frequentissime le contese civili tra nobili e plebei. Tiberio, per porre fine a queste contese, propose che il senato concedesse la cittadinanza a tutti gli Italici, e mandasse i nuovi coloni nelle provincie. Intanto venne il giorno dei comizi. Gli amici di Tiberio lo ammonirono di non uscir di casa. Quello invece, più audace che prudente disprezzò questi consigli. I suoi nemici lo assalirono con i pugnali e lo uccisero. Il loro odio era tanto che buttarono il corpo di Tiberio nel Tevere.
Num alio genere Furiarum declamatores inquietantur, qui clamant: 'Haec vulnera pro libertate publica excepi; hunc oculum pro vobis impendi: date mihi ducem, qui me ducat ad liberos meos, nam succisi poplites membra non sustinent'? Haec ipsa tolerabilia essent, si ad eloquentiam ituris viam facerent. Nunc et rerum tumore et sententiarum vanissimo strepitu hoc tantum proficiunt ut, cum in forum venerint, putent se in alium orbem terrarum delatos. Et ideo ego adulescentulos existimo in scholis stultissimos fieri, quia nihil ex his, quae in usu habemus, aut audiunt aut vident, sed piratas cum catenis in litore stantes, sed tyrannos edicta scribentes quibus imperent filiis ut patrum suorum capita praecidant, sed responsa in pestilentiam data, ut virgines tres aut plures immolentur, sed mellitos verborum globulos, et omnia dicta factaque quasi papavere et sesamo sparsa.
<<Forse da una mania di altro genere (da un altro tipo di manie) sono agitati i maestri di eloquenza, che gridano: “Ho ricevuto queste ferite in difesa della libertà generale, ho sacrificato questo occhio per voi: datemi un comandante che mi conduca dai miei figli, perché le ginocchia che sono venute meno non sostengono le membra”? Queste stesse cose sarebbero sopportabili, se aprissero la via a quelli che hanno intenzione di andare verso l’eloquenza. Ora sia per l’ampollosità degli argomenti, sia per questo frastuono del tutto inutile delle frasi (questi) hanno un successo così grande che, non appena arrivano in piazza, ritengono di essere precipitati in un altro mondo. E, perciò, io credo che i giovinetti diventino stupidissimi nelle scuole, poiché non sentono o vedono nulla di queste cose che mettiamo in pratica, ma (vedono e sentono) pirati che stanno immobili sulla spiaggia con le catene, (ma) tiranni che scrivono editti, con i quali ordinano ai figli di tagliare le teste ai loro padri, ma responsi dati durante una pestilenza, che tre o più fanciulle siano sacrificate, ma melensi giretti di parole, e le altre cose dette e fatte come se rivestite con papavero e sesamo>>
Numquam est fidelis cum potente societas; probat fabella propositum meum. Vacca et apella et ovis iniuriae patiens socii fuerunt cum leone in saltibus.Cervum vasti corporis ceperunt partesque fecerunt. Sed leo vixit: "ego primam tollo, quia mihi nomen est leo; secundam, quia sum socius, tribuetis mihi; tum, quia plus valeo, mihi veniet terpia; male eveniet sic quartam tetigeritis".Sic leo totam praediam improbitate sustulit.
Mai l'alleanza è sicura con il potente. Questa favoletta testimonia il mio proposito.Una vacca, una capretta e una pecora paziente a ogni offesa, furono alleate con il leone, nel bosco.Essi, avendo preso un cervo dal corpo enorme,essendo state spartite le parti, il leone così disse:" Io tolgo la prima, poichè sono chiamato leone; voi datemi la seconda poichè sono amico; poi, poichè sono il più forte, mi segue la terza; se toccherete la quarta, capiterà del male". Così il leone con malvagità portò via tutta la preda.
In ceteris servis haec praecepta servo, ut rusticos, qui modo non incommode se gesserunt, saepius quam urbanos familiarius adloquar et cum hac comitate levari perpetuum laborem eorum intelligam, non numquam etiam iocarer et plus quibusdam iocari permitterem. Saepe cum peritioribus de aliquibus operibus novis delibero et per hoc cognosco cuiusque ingenium, quam sit prudens.
Per gli altri schiavi osservo queste regole, perchè con i contadini, che non si sono comportanti in modo inopportuno, parlo con maggiore familiarità più spesso che con gli abitanti della città e mi accorgo che con tale cortesia le loro incessanti fatiche sono alleviate, talvolta anche scherzo e addirittura permetto ad alcuni di scherzare. Spesso decido con i più pratici (di loro) riguardo qualche nuovo lavoro e grazie a questo conosco il carattere di ciascuno, quanto sia saggio.
Allata est tamen gustatio valde lauta; nam iam omnes discubuerant praeter ipsum Trimachionem, cui locus novo more primus servabatur. Ceterum in promulsidari asellus erat Corinthius cum bisaccio positus, qui habebat olivas in altera parte albas, in altera nigras. Tegebant asellum duae lances, in quarum marginibus nomen Trimalchionis inscriptum erat et argenti pondus. Ponticuli etiam ferruminati sustinebant glires melle ac papavere sparsos. Fuerunt et tomacula supra craticulam argenteam ferventia posita et infra craticulam Syriaca pruna cum granis Punici mali.In his eramus lautitiis, cum ipse Trimalchio ad symphoniam allatus est positusque inter cervicalia munitissima expressit imprudentibus risum. (32,2) Pallio enim coccineo adrasum excluserat caput circaque oneratas veste cervices laticlaviam immiserat mappam fimbriis hinc atque illinc pendentibus. (32,3) Habebat etiam in minimo digito sinistrae manus anulum grandem subauratum, extremo vero articulo digiti sequentis minorem, ut mihi videbatur, totum aureum, sed plane ferreis veluti stellis ferruminatum. (32,4) Et ne has tantum ostenderet divitias, dextrum nudavit lacertum armilla aurea cultum et eboreo circulo lamina splendente conexo.
Tuttavia, furono portate come antipasto cose davvero raffinate; infatti, tutti ormai si erano messi a tavola tranne lo stesso Trimalcione, a cui secondo un nuovo uso veniva tenuto il primo posto. Del resto, sul vassoio dell’antipasto c’era un pesce di Corinto posto con una bisaccia, che aveva delle olive da una parte bianche, dall’altra nere. Coprivano il pesce due lance, sui cui margini era stato inscritto il nome di Trimalcione e (c’era) una libbra di argento. Anche dei ponticelli saldati reggevano dei ghiri disseminati con miele e papavero. C’erano anche una salsiccia bollente posta sopra una graticola d’argento e sotto alla graticola dei carboni siriaci con grani di una mela cartaginese. Eravamo tra questi lussi, quando Trimalcione in persona fu portato con un accompagnamento d’orchestra, e posto tra guanciali piccolissimi fece ridere chi non se lo aspettava. Infatti, con un mantello scarlatto aveva isolato la testa mozzandola, e intorno alle spalle coperte con una veste aveva introdotto un tovagliolo guarnito con una striscia di porpora con le estremità che penzolavano di qua e di là. Aveva anche sul mignolo della mano sinistra un anello grande dorato, in realtà meno importante dell’ultima giuntura dell’anulare, tutta d’oro, come mi sembrava, ma (in realtà) completamente di ferro a guisa di stelle saldate. E per non ostentare queste ricchezze tanto grandi, denudò la parte superiore del braccio destro adornato con un braccialetto d’oro e una piastra circolare d’avorio intrecciata che splendeva.
Pyramo et Thisbae, alteri puero pulchro, alteri formosae puellae,contigua domicilia erant; in hortis erat murus communis domiciliis et in eo rima aperiebatur; eam soli Pyramus et Thisbe viderunt et per rimam puer cotidiana et occulta colloquia cum puella habebat. Eorum amicitia crescebat et Pyramus et Thisbe coniugium desiderabant, sed eorum familiae nuptiis obstabant. Itaque, nocte, Pyramus et Thisbe e domiciliis excesserunt et oppidi quoque tecta reliquerunt.In eorum domiciliis quaeritur, vocatur, fletur, sed frusta: adulescentuli non reperiunt amplius. Thisbe velociter per taetras tenebras ad antiquum Nini tumulum prima pervenit et sub alta populo sedit. Ecce venit saeva laena et in unda vicini rivi multam aquam hauriebat; Thisbe laenam lunae radiis aspexit et in obscuram speluncam fugit, sed vestimentum invenit, id laniavit et sanguine respersit. Interea Pyramus advenit,vestimentum cruentum vidit agnovitque certa vestigia beluae; is magnopere exterruit, quod de Thisbes vita desperabat, et dixit: "Accipe nunc meum animum; tu vitam amisisti, ego numquam vitam beatam habeo" et in gladium incubit.
Piramo e Tisbe, il primo un affascinante fanciullo, l'altra una ragazza carina, vivevano in dimore vicine; nel giardino si trovava un muro comune a entrambe le case e in questo si schiudeva una crepa; solo Piramo e Tisbe la notarono e il fanciullo, ogni giorno, comunicava in segreto con la ragazza tramite la crepa. La loro amicizia aumentava e Piramo e Tisbe volevano convolare a nozze, però le loro famiglie intralciavano il matrimonio. Quindi, di notte, Piramo e Tisbe si allontanarono dalle loro dimore e abbandonarono pure la loro città. Nelle loro dimore ci si doleva, si chiamava, si gemeva, però inutilmente: i fanciulli non si ritrovavano. Tisbe speditamente arrivò per prima attraverso le oscurità alla vecchia urna di Nino e si adagiò nei pressi di un alto fusto. Ecco che arrivò una selvaggia leonessa, e iniziò a dissetarsi con parecchia acqua dal fiume accanto; Tisbe notò la leonessa sotto i fasci della luna e scappò in una spelonca buia, però smarrì il velo, e la leonessa lo sbranò e lo impregnò di sangue. Intanto arrivò Piramo, notò il velo insanguinato e identificò le impronte della belva; questo si impaurì assai poichè si disperava per la vita di Tisbe, e disse: "Prendi adesso il mio spirito; tu hai perso la vita, e io non avrò in nessun momento un'esistenza felice" e cadde sulla spada.
Tum praefecti regis Persae legatos miserunt Athenas questum quod Chabrias adversum regem bellum gereret cum Aegyptiis. Athenienses diem certam Chabriae praestituerunt quam ante domum nisi redisset capitis se illum damnaturos denuntiarunt. Hoc ille nuntio Athenas rediit neque ibi diutius est moratus quam fuit necesse. Non enim libenter erat ante oculos suorum civium quod et vivebat laute et indulgebat sibi liberalius quam ut invidiam vulgi posset effugere.Est enim hoc commune vitium in magnis liberisque civitatibus ut invidia gloriae comes sit et libenter de his detrahant quos eminere videant altius; neque animo aequo pauperes alienam opulentium intuuntur fortunam. Itaque Chabrias cum ei licebat plurimum aberat. Neque vero solus ille aberat Athenis libenter sed omnes fere principes fecerunt idem quod tantum se ab invidia putabant futuros quantum a conspectu suorum recesserint. Itaque Conon plurimum Cypri vixit Iphicrates in Thraecia Timotheus Lesbo Chares Sigeo; dissimilis quidem Chares horum et factis et moribus sed tamen Athenis et honoratus et potens.
Dunque i satrapi del re persiano mandarono delegati ad Atene a lamentarsi del atto che Cabria gestisse la guerra contro il re con gli Egiziani. Gli Ateniesi posero un giorno a Cabria ,che se non fosse ritornato in patria, lo informarono che lo avrebbero punito alla pena capitale. A codesta notizia lui rimpatriò ad Atene, però non si trattenne lì più di quanto fu dovuto. I suoi cittadini difatti non lo guardavano di buon occhio: viveva lussuosamente e si dedicò molto allo sfarzo della vita affinché potesse scappare all'ostilità del popolo. Questo vizio è presente in ogni nazione, che la gelosia sia vicina della fama e che con piacere infama quelli che vogliono porsi molto in alto e che gli umili non vedono con quieto spirito la sorte degli altri che sono benestanti. Allora Cabria, sino a che le cose glielo acconsentirono, se ne stava lontano quanto poteva. E non solamente lui stava con piacere distante da Atene: fecero la medesima cosa quasi ogni comandante, poiché credevano che sarebbero stati distanti dalla gelosia nella zona in cui fossero stati distanti dai loro cittadini. Quindi Conone visse sopratutto a Cipro, Ificrate in Tracia, Timoteo a Lesbo, Carete al Sigeo; estraneo Carete da quelli sia per atti sia per usanze, ma tuttavia ad Atene amato e potente.
Dionysus, Syracusanorum tyrannus, cum fanum Proserpinae Locris expilavisset, navigabat Syracusas, isque cum secundissimo vento cursum teneret, ridens: "Videtisne", inquit, "amici, quam bona a dis immortalibus navigatio sacrilegis detur?". Cum ad Peloponnesum classem appulisset et in fanum venisset Iovis Olympii, aurem ei detraxit amiculum grandi pondere, quo Iovem ornaverat e manubiis Carthaginiensium tyrannus Gelo, atque in eo etiam cavillatus est, aestate grave esse aurem amiculum, hieme frigidum, eique laneum pallium iniecit, cum id esse aptum ad omni anni tempus diceret.Idemque Aesculapi Epidauri barbam auream demi iussit; neque enim convenire barbatum esse filium, cum in omnibus fanis pater imberbis esset. Etiam mensas argenteas omnibus delubris iussit auferri.
Dioniso, tiranno dei Siracusani, avendo depredato il tempio di Proserpina a Locri, navigava verso Siracusa; ed egli tenendo la rotta con vento favorevolissimo, ridendo disse: "Non vedete amici che buona navigazione dagli dei immortali è data agli empi?" Avendo fatto approdare la flotta nel Peloponneso ed essendo andato nel tempio di Giove Olimpio, gli tolse il grande mantello d'oro pesante, con il quale aveva onorato Giove col bottino dei Cartaginesi il tiranno Gelone e in quello fu anche la beffa maligna, dicendo che per l'estate il mantello d'oro era pesante, freddo per l'inverno e gli mise addosso un mantello di lana che era adatto ad ogni situazione. Ordinò quindi di portare via la barba d'oro di Esculapio a Epidauro; e infatti non si conveniva che il figlio fosse barbuto, essendo il padre in tutti i templi senza barba. Ordinò anche di portare via da tutti i santuari le mense d'argento.
In expeditione in orientis regiones Lucullus magnas res gessit, memoria dignas. Nam in multislocis Mithridatem, Ponti regem, proelio vicit atque profligavit Tigranem, potentissimum Armeniae regem. In bellis autem fere invictus, pecuniae tamen avidissimum se praebuit. Ideo, Mithridate denique superato, desidiose et luxuriose vivere coepit. Nam magnis impensis villas sumptuosas et splendidas aedificavit, plenas statuis et vasis pretiosis. Mari quoque damna adtulit: in nonnullis locis enim in aquas magna saxa iecit; in aliis, suffossis montibus, ad terras mare tulit.Itaque narrant Pompeium per ludum Lucullum nominavisse Xerxem Romanum: nam Xerxes, Persarum rex, cum in Hellesponto pontem aedificavisset atque hic mari procelloso diruttus esst, iussit ter scutica mare verberari.
Durante la spedizione nelle regioni orientali, Lucullo compì grandi imprese, degne di memoria. Infatti vinse in battaglia in numerosi luoghi Mitridate, re del Ponto,e uccise Tigrone, il più potente re dell'Armenia. Invece del tutto invincibile in guerra, si dimostrò avidissimo di ricchezze. Perciò, dopo aver vinto Mitridate, prese a vivere oziosamente e inoperosamente. Infatti con grandi spese fece edificare sontuose e splendide ville, ricche di vasi e statue preziose. Recò danni anche al mare: in alcuni luoghi costruì in acqua grandi costruzioni in pietra. Inoltra narrano che Pompeo per gioco nominò Lucullo il "Serse romano": infatti Serse, re dei Persiani, aveva fatto edificare un ponte sull'Ellesponto e questo essendo stato distrutto dal mare in tempesta, ordinò che il mare fosse punito tre volte con lo staffilo.
Conon Atheniensis Peloponnesio bello accessit ad rem publicam, in eoque eius opera magni fuit; nam et praetor pedestribus exercitibus praefuit et praefectus classis res magna mari gessit. Quas ob causas praecipuus ei honos habitus est. Namque omnibus unus insulis praefuit, in qua potestate Pheras cepit, coloniam Lacedaemoniorum. Fuit etiam extremo Peloponnesio bello praaetor, cum apud Aegos flumen copiae Atheniensium ab Lysandro sunt devictae. Sed tum afuit, eoque peius res administrata est; nam et prudens rei militaris et diligens erat imperator.Itaque nemini erat iis temporibus dubium, si adfuisset, illam Athenienses calamitatem accepturos non fuisse. Rebus auem adflictis, cum patriam obsideri audisset, non qaesivit ubi ipse tuto viveret, sed unde praesidio posset esse civibus suis.
L’ateniese Conone si diede alla politica durante la guerra del Peloponneso nella quale il suo impegno fu fi gran valore; infatti sia fu messo a capo degli eserciti di terra come comandante, sia come prefetto della flotta compì per mare grandi imprese militari. Per questi motivi gli fu attribuito uno straordinario onore. E infatti lui solo era a capo di tutte le isole, e durante questo potere conquistò Fere, colonia spartana. Fu anche comandante nell’ultima parte della guerra del Peloponneso, quando ad Egospotami le truppe spartane furono sbaragliate da Lisandro. Ma allora non c’era e lì l’impresa fu condotta in modo peggiore; infatti era un comandante sia esperto dell’arte militare sia attento. Di conseguenza in quei tempo non vi era nessun dubbio che gli Ateniesi non sarebbero stati destinati a subire quella disfatta. Però, sebbene le cose si stavano volgendo al peggio, quando seppe che la patria era assediata, non chiese dove egli stesso avrebbe potuto vivere al sicuro, ma da dove sarebbe potuto essere d’aiuto ai suoi cittadini.
Innumerae in Costantino animi corporisque virtutes claruerunt.Militaris gloriae adpetentissimus,vir fuit fortuna in bellis prospera.Civilibus artibus et studiis liberalibus deditus. Multas leges rogavit, quasdam ex bono et aequo, plerasque superfluas, nonnullas severas, primusque urbem nominis sui ad tantum fastigium evehere molitus est, ut Romae aemulam faceret. Bellum adversus Parthos moliens, qui iam Mesopotamiam fatigabant, uno et tricesimo anno imperii, aetatis sexto et sexagesimo, Nicomediae in villa publica obiit.Denuntiata mors eius est etiam per crinitam stellam, quae inusitatae magnitudinis aliquamdiu fulsit; eam Graeci cometen vocant. Atque inter Divos meruit referri.
Le innumerevoli virtù nell’animo e nel corpo di Costantino diventarono famose. Assai desideroso di gloria militare, fu un uomo che ebbe una buona sorte durante le guerre. Fu dedito alle arti civili e agli studi liberali. Emanò molte leggi, alcune giuste, la maggior parte inutili, alcune dure, e per primo cercò di portare un città con il suo nome a così tanto onore da renderla emule di Roma. Mentre faceva una guerra contro i Parti, che già importunavano la Mesopotamia, nel 31esimo anno dell’impero, a 55 anni, morì a Nicomedia. La sua morte fu annunciata anche da una stella con una chioma, che brillò per qualche tempo di una strana grandezza; i Greci chiamano quella stella cometa. E merita di essere annoverato tra gli dei.
Ea quae secuta est hieme, qui fuit annus Cn. Pompeio M. Crasso consulibus, Usipetes Germani, item Tenctheri magna cum multitudine hominum flumen Rhenum transierunt non longe a mari quo Rhenus influit. Causa transeundi fuit, quod ab Suebis complures annos exagitati bello premebantur et agri cultura prohibebantur. Sueborum gens est longe maxima et bellicosissima Germanorum omnium. Hi centum pagos habere dicuntur, ex quibus quotannis singula milia armatorum bellandi causa suis ex finibus educunt.Reliqui, qui domi manserunt, se atque illos alunt. Hi rursus invicem anno post in armis sunt, illi domi remanent. Sic neque agri cultura nec ratio atque usus belli intermittitur. Sed privati ac separati agri apud eos nihil est, neque longius anno remanere uno in loco colendi causa licet. Neque multum frumento, sed maximam partem lacte atque pecore vivunt multumque sunt in venationibus.
E l’inverno successivo, che fu l’anno in cui furono consoli Gneo Pompeo e Marco Crasso, gli Usipeti, i Germani e così pure i Tenteri con una grande moltitudine di uomini attraversarono il fiume Reno non lontano dal mare dove sfocia il Reno. La causa dell’attraversamento fu che da parecchi anni scossi dalla guerra erano schiacciati dai Suebi ed era loro impedita la coltivazione dei campi. La popolazione dei Suebi era di gran lunga la più numerosa e la più bellicosa tra tutti i Germani. Si dice che essi abbiano cento villaggi, dai quali traggono ogni anno un migliaio di armati per combattere fuori dai loro confini. I restanti che rimanevano in patria, mantenevano se stessi e quelli. Questi, poi, l’anno seguente, prendono a loro volta le armi, e quelli rimangono a casa. Così non si interrompe né la coltivazione dei campi né la teoria e la pratica della guerra. Ma non c’è nessuna proprietà fondiaria presso di loro (lett. “nessun campo privato e separato”) e non è lecito rimanere più a lungo di un anno in un luogo per coltivarlo. E non vivono molto di frumento, ma soprattutto di latte e carne ovina e si danno molto alla caccia.
M. Cato, Catonis oratoris filius, dum inter confertissimos hostes insigniter dimicat, equo delapsus, pedestre proelium aggreditur. Nam hostium manipulus cum horrido clamore eum iacentem circumsteterat . At ille, animum collegit et magnas strages edidit; undique hostes convolabant et strenuus vir proelium sustinebat , sed gladius ei e manu elapsus in mediam cohortem hostium decidit; ut eum recuperaret , inter hostium mucrones se immersit et glaudium recollegit, sed multa vulnera accepit.Deinde ad suos cum clamore hostium revertitur. Huius audaciam ceteri imitati victoriam pepererunt.da Eutropio (adattato)
Marco Catone, figlio di Catone l’oratore, mentre combatteva coraggiosamente in mezzo alle schiere dei nemici, essendo caduto da cavallo, si trovò a combattere come se fosse un fante. Infatti, mentre giaceva a terra, un manipolo di soldati nemici lo aveva accerchiato con [emettendo] delle orribili grida. Tuttavia egli riprese coraggio e fece una grande strage: i nemici accorsero da tutte le parti e l’uomo coraggioso teneva testa alla battaglia, ma la sua spada, scivolatagli di mano, cadde in mezzo allo stuolo dei nemici; per recuperarla, si gettò in mezzo alle spade nemiche e recuperò il gladio, ma ricevette molte ferite. In seguito, ritornò fra i suoi in mezzo alle urla dei nemici. Gli altri [suoi commilitoni], riuscirono a riportare la vittoria, imitando la sua audacia.
Vercingetorix, ex arce Alesiae suos conspicatus, ex oppido egreditur; crates, longurios (1), musculos (2), falces (3) reliquaque quae eruptionis causa (4) paraverat, profert. Pugnatur uno tempore omnibus locis atque omnia temptantur. Caesar, idoneum locum nactus, quid quaque ex parte geratur cognoscit; laborantibusque auxilia submittit. Galli, nisi perfregerint munitiones, de omni salute desperant; Romani, si rem obtinuerint, finem laborum omnium exspectant.Maxime ad superiores munitiones laboratur; nec iam arma nostris nec vires suppetunt. Caesar cohortatur ne laboris succumbant ; omnium superiorum dimicationum fructum in eo die atque hora docent consistere. Multitudine telorum ex turribus pugnantes deturbant, aggere et cratibus explet, falcibus vallum ac loricam rescindunt.Note(1) I longurii erano delle lunghe pertiche munite di uncino che servivano per agganciare e abbattere le opere difensive(2) I musculi erano delle tettoie mobili sotto le quali i soldati si riparavano quando si avvicinavano alle opere di difesa nemiche(3) Le falces erano delle grosse falci che servivano per eliminare gli ostacoli e per ferire i soldati nemici(4) Complemento di fine o scopo tradotto con gratiā + genitivo
Vercingetorige, visti i suoi dalla fortezza di Alesia, esce dalla cittadella ; porta avanti le stuoie, i pali, le macchine da guerra, le falci e le altre cose che aveva preparato per quella sortita contro il nemico. Si combatte contemporaneamente in tutti i luoghi e si fanno tutti i tentativi. Cesare, trovato un luogo idoneo, in ogni punto sa che cosa stia succedendo e in ogni parte, manda rinforzi a coloro che sono in difficoltàI Galli perdono ogni speranza di salvezza, se non abbiano infranto le fortificazioni: i Romani, se avranno vinto la battaglia si aspettano la fine di tutti gli sforzi. Si combatte con fatica soprattutto nelle fortificazioni più in alto; ormai non bastano più né le nostre armi, né le milizie. Cesare esorta [i suoi] affinché non soccombano alla fatica; insegna che il frutto di tutti i conflitti si arresta in quel giorno e in quel momento. Con un’ingente quantità di giavellotti fanno precipitare giù i difensori dalle torri, riempiono le fosse con terra e fascine, squarciano con le falci le palizzate e il parapetto.
Plerique rerum scriptores eos homines, qui ex terra primitus nati sunt, cum per silvas et campos erraticam degerent vitam, nec ullo inter se sermonis aut iuris vinculo cohaererent, sed frondes et herbam pro cubilibus, speluncas et antra pro domibus haberent, bestiis et fortioribus animalibus praedae fuisse commemorant. Tum ii , qui aut laniati effugerant aut laniari proximos viderant, admoniti periculi sui ad alios hominesdecurrerunt, praesidium imploraverunt et primo nutibus voluntatem suam significaverunt, deinde sermonis initia temptaverunt, ac singulis quibusque rebus nomina imprimendo paulatim loquendi perfecerunt rationem.Cum autem multitudinem ipsam viderent contra bestias esse tutandam, optimum factu egerunt: oppida enim coeperunt munire, vel ut quietem noctis tutam sibi facerent, vel ut incursiones atque impetus bestiarum non pugnando, sed obiectis aggeribus arcerent.
La maggior parte degli storici, rammentano che quei uomini che nacquero in principio dalla terra, mentre passavano una vita nomade tra le foreste e i campi, e non erano legati tra loro da nessun rapporto di divulgazione, però avevano fronde e piante come letti, grotte e caverne invece delle abitazioni, sono stati cibo per bestie e animali più forti. A quel tempo coloro che o divorati erano scappati o avevano intravisto i loro parenti essere divorati, percepito del loro rischio, si diressero verso altri uomini, e pregavano tutela e prima con gesti mostrarono il proprio volere, dopo cercarono l'origine di un discorso, e migliorarono le abilità di parlare piano piano associando nomi a ciascun oggetto. Perché scorsero che la medesima massa doveva essere tutelata dalle bestie, svolsero la cosa migliore da fare, difatti, iniziarono a rafforzare le città, per rendere sicura per loro la calma della notte, e per tenere lontano le scorrerie e gli attacchi delle belve, non lottando, però gettando i ripari.
Paris, Priami, Troiae regis, Hecubaeque filius, Helenam Menelao coniugi rapuerat; ideo Graeciae principes Troianis bellum indixerunt. Agamemnon, Graecorum dux, cum magna classe in Asiam pervenit, Troianorum fines invasit et ante Troiae moenia castra posuit; sic Troianum bellum initium habuit. Bellum diuturnum fuit: nam Graeci Troiam frustra decem annos obsederunt. In bello admiratione digna fuit praesertim Troianorum virtus: nam Troiani maiorum gloriam et libertatem semper strenue defenderunt, hostium copias numquam timuerunt, immo saepenumero fregerunt.Graeci enim solum equi lignei dolo moenium propugnaculum superaverunt et urbem invaserunt. Tum magna fuit Graecorum crudelitas: nam pueros ante ora parentum necaverunt, mulieres in servitutem redegerunt, postremo urbem incendiis diruerunt. Ex incendiis evasit Aeneas, matris Veneris auxilio, et post longos errores ad Latii litora cum parva comitum turba appulit.
Paride, figlio di Priamo, re di Troia e di Ecuba, aveva rapito Elena, moglie di Menelao; perciò i principi della Grecia dichiararono guerra ai Troiani. Agamennone, comandante dei Greci, giunse in Asia con un grande esercito, invase i confini dei Troiani e pose gli accampamenti davanti alle mura di Troia; così la guerra di Troia ebbe inizio. La guerra fu di lunga durata: infatti i Greci assediarono inutilmente Troia per dieci anni. Nella guerra fu specialmente degno di ammirazione il valore dei Troiani: infatti i Troiani difesero sempre valorosamente la gloria e la libertà degli antenati, non temerono mai le truppe dei nemici, anzi, spesso le sconfissero. I Greci infatti superarono la difesa delle mura e invasero la città solo con l'inganno del cavallo di legno. Allora fu grande la crudeltà dei Greci: infatti uccisero i bambini davanti agli occhi dei genitori, ridussero le donne in servitù, e devastarono infine la città con incendi. Enea sfuggì alle fiamme con l'aiuto della madre Venere e dopo lunghe peregrinazioni approdò sulle rive del Lazio con un piccolo gruppo di compagni.
Philippus Macedo, ubi primum summa imperii potitus est, regnum florentissimus reddidit. Sed initio cum patria continuis bellis iam exhausta esse videretur et ipse modo adversariorum insidiis modo hostium incursionibus defatigaretur aliquot bella quae simul gerenda esse videbantur pace facta composuit reliqua armis conficere voluit. Hostibus ita oppressis imperium totius Graeciae adfectare coepit; sed adverus Graecos magnam adhibuit calliditatem. Nam civitatum discordias hoc consilio aluit et fovitut cum inter se obtrectare studerent omnium vires frangerentur.Itaque cum diu se hostem esse dissimulassetpotremoceteris debellatis atque in deditionem compulsis bellum intulit Atheniensibus quos proelio ad Chaeroneam commisoplane devicit. Hic dies et gloriam et vetustissimam libertatem universae Graeciae adimere visus est.
Filippo il Macedone, quando ottenne il potere assoluto, rese il regno molto fiorente. Però all'inizio, siccome sembrava che la patria fosse stanca per le incessanti guerre e egualmente lui medesimo era sfinito ora per le incessanti incursioni dei nemici, ora per gli assalti degli avversari, terminò alcune guerre, che sembravano dover essere affrontate nello stesso tempo, fatta la pace, volle concludere le altre con le armi. Vinti i nemici, iniziò a voler il predominio dell'intera Grecia, però utilizzo una grande furbizia contro i Greci. Difatti con codesta intenzione aumentò e favorì le inimicizie dei cittadini, tentando di creare gelosie fra loro, per indebolire le forze di ciascuno. Allora, avendo celato a lungo di essere egli medesimo un avversario, infine, sconfitti gli altri e portati alla resa, dichiarò guerra agli Ateniesi che, cominciato lo scontro a Cheronea, li vinse del tutto. Codesto giorno sembrò rimuovere la fama e l'antichissima libertà di tutta la Grecia.
Cum africa nova provincia P.Scipioni esset, Q. Fabius Maximus, rogatus sententiam:" P.Corneli, inquit, cum ex alto Africam conspexeris, ludus et iocus fuisse Hispaniae tuae tibi videbantur!Quid enim simile? Pacato mari praeter oram italiae Galliaeque vectus, Emporias in urbem sociorum classem adpulisti; expositos milites per tutissima omnia ad socios et amicos populi Romani Tarraconem duxisti; a Tarracone deinde iter per praesidia Romana; appugnata est per summum otium Carthago nullo trium Punicorum exercituum socios defendente; cetera nullo tamen modo Africo bello comparanda sunt, ubi non portus ullus classi nostrae apertus, non ager pacatus, non civitas socia, non rex amicus, non consistendi usquam locus, non procedendi;quacumque circumspexeris, hostilia omnia atque infesta erunt".
Quando la nuova provincia (detta) Africa fu consegnata a Publio Cornelio, Quinto Fabio Massimo, invitato a esporre la sua opinione disse: “ O Publio Cornelio, quando guardi dall’alto l’Africa, le tue provincie di Spagna ti sembreranno un gioco da ragazzi! Infatti che cosa è simile ? Navigando su un mare tranquillo sino alla costa dell’Italia e della Gallia, facesti approdare la flotta a Emporia città degli alleati. Dopo aver esposto agli alleati e agli amici del popolo romano trasportò i soldati attraverso vie sicurissime a Terragona: in seguito da Terragona marciò attraverso le piazzeforti romane; fu assediata Cartagene con grandissima tranquillità poiché nessuno dei tre eserciti cartaginesi difendeva gli alleati; tuttavia queste cose non devono essere comparate in nessun modo alla guerra africana, quando nessun porto fu aperto alla vostra flotta, nessun territorio fu pacificato, non ci fu nessuna cittadinanza alleata, non ci fu un re alleato, non ci si poté fermare in nessun luogo, non si potè avanzare, qualunque cosa guarderai, ci saranno tutte avverse ed ostili.
Marcus Valerius Corvinus centum annos complevit, cuius inter primum et sextum consulatum quadraginta sex anni intercesserunt, et tamen suffecit integris viribus corporis non solum speciosissimis publicis miniteriis, sed etiam exactissimae agrorum suorum culturae, et civis et patris familiae optabile exemplum fuit. Is sella curuli semel ac vicies sedit, quotiens nullus alius homo. Cuius vitae spatium aequavit Metellus pontifex, qui tutelam caerimoniarum per duos et viginti annos neque ore in votis incerto neque in sacrificiis tremula manu gessit.M. Perpenna omnibus, quos in senatum consul vocaverat, superstes fuit septemque tantummodo, quos censor legerat, reliquos vidit, toto ordine aplissimo diuturnior. Et vitae spatium non minus longum in compluribus mulieribus apparuit. Nam et Livia Rutili uxor septimum et nonagesimum, et Terentia Ciceronis uxor tertium et centesimum, et Clodia Aufili uxor quintum decimum et centesimum explevit annum, quidem etiam enixa quindeciens.
Marco Valerio Corvino completò il centesimo anno di vita, e tra il suo primo e il suo sesto consolato intercorsero quarantasette anni; tuttavia, grazie alle integre forze del suo corpo, seppe non solo svolgere incarichi pubblici prestigiosissimi, ma anche dedicarsi con grandissimo scrupolo al lavoro nei suoi campi, e fu un ottimo esempio di cittadino e di padre di famiglia. Sedette sulla sedia curule venti volte, quanto nessun altro uomo. Alla stessa età giunse il pontefice Metello, il quale diresse le cerimonie pubbliche per ventidue anni senza mai mostrare incertezza nel pronunciare i voti nè mostrare tremore della sua mano nei sacrifici. M. Perpenna sopravvisse a tutti i senatori che l’avevano proclamato console e soltanto sette, di quelli che da censore aveva nominato, vissero più di lui, che superarò in vecchiaia tutti i membri del numerosissimo ordine. E anche di molte donne si ricorda che abbiano raggiunto età non meno avanzate. Ad esempio, Livia, moglie di Rutillio, arrivò a 91 anni, Terenzia, moglie di Cicerone, a 103, e Clodia, moglie di Aufilio, che raggiunse i 115 anni, dopo aver inoltre partorito quindici volte.
Cum Achivi per decem annos Troiam expugnare non potuissent, Epeus, monitu Minervae et Ulixis consilio, equuum mirae magnitudinis fecit eoque collecti sunt Menelaus, Ulixes, Diomedes, Neoptolemus, multique alii fortes Graeci viri. In aequo Achivi scripserunt “Danai Minervae dono dant” castraque in insulam Tenedum transtulerunt. Troiani, cum id viderunt, hostium profectionis indicium putaverunt. Tum Priamus, Troianorum rex, ut equus in arcem Minervae duceretur imperavit et ut cives diem festum agerent edixit.Cum Troiani equum in arce statuissent atque lusu et vino lassi noctu obdormivissent, Achivi ex equo a Sinone aperto exierunt, portarum custodes occiderunt et socios in urbem admiserunt. Itaque Troiam occupaverunt atque ferro ignique vastaverunt.
Non avendo potuto i Greci espugnare Troia per dieci anni, Epeo, per ammonimento di Minerva e su consiglio di Ulisse, fece un cavallo di straordinaria grandezza e là dentro furono chiusi Menelao, Diomede, Neottolemo e molti altri forti uomini greci. I Greci scrissero sul cavallo “I Danai danno in dono a Minerva” e trasferirono l'accampamento sull'isola di Tenedo. I Troiani, quando videro ciò, (lo) ritennero indizio della partenza dei nemici. Allora Priamo, re dei Troiani, ordinò che il cavallo fosse condotto sulla rocca di Minerva e stabilì che i cittadini facessero un giorno festivo. Avendo i Troiani portato il cavallo sulla rocca ed essendosi addormentati di notte stanchi per il vino e il gioco, i Greci uscirono dal cavallo aperto da Sinone, uccisero le guardie delle porte e introdussero i compagni in città. Così occuparono Troia e la devastarono col ferro e col fuoco.
Tertium est genus eorum, qui uri appellantur. Hi sunt magnitudine paulo infra elephantos, specie et colore et figura tauri. Magna vis eorum est et magna velocitas, neque homini neque ferae quam conspexerunt parcunt. Hos studiose foveis captos interficiunt. Hoc se labore durant adulescentes atque hoc genere venationis exercent, et qui plurimos ex his interfecerunt, relatis in publicum cornibus, quae sint testimonio, magnam ferunt laudem. Sed adsuescere ad homines et mansuefieri ne parvuli quidem excepti possunt.Amplitudo cornuum et figura et species multum a nostrorum boum cornibus differt. Haec studiose conquisita ab labris argento circumcludunt atque in amplissimis epulis pro poculis utuntur.
Terzo è il genere di quegli animali che sono chiamati uri. Quelli sono per grandezza di poco inferiori agli elefanti,per aspetto e colore e figura come i tori.Grande è la loro forza,grande è la loro velocità;non risparmiano nè un uomo nè una belva,una volta che l'abbiano scorta.Li catturano a bella posta con fosse e li ammazzano.Con questa fatica si temprano i giovinetti e con questo genere di caccia si esercitano.E coloro che ne hanno ammazzati parecchi,esibitene in pubblico le corna perchè siano di testimonianza,riportano grande lode. Ma neppure i cuccioli se catturati possono avvezzarsi agli uomini ed essere addomesticati.La grandezza e la forma e l'aspetto delle corna,differiscono molto dalle corna dei nostri buoi.Ricercate a bella posta,le orlano con argento e se ne servono in lautissimi banchetti come tazze.
M. Atilius Regulus, primus Romanorum ducum, exercitum in Africam traiecit, ubi non solum cum hominibus sed etiam cum monstris dimicavit. Nam olim factum est ut, cum apud flumen Bagradam Regulus castra posuisset, anguis mirae magnitudinis exercitum Romanum vexaret. Tradunt anguem multos milites ingenti ore corripuisse vel caudae verbere elisisse; nonnullos etiam pestilentis halitus afflatu exanimavisse. Sed monstrum telorum ictu perforari non poterat, quia dura squamarum lorica omnia tela facile repellebat.Tum Regulus, ut exercitum a gravi periculi liberaret, ad machinas confugit et ballistis anguem deiecit,qui tandem saxorum pondere oppressus iacuit. Sed sanguine suo flumen et vicinam regionem tantum infecit ut Romani castra movere coacti sint. Immanis monstri corium, centum et viginti pedes longum, Romam Regulus misit.
Marco Attilio Regolo, primo dei generali dei Romani, portò l'esercito in Africa, ove combatté non solo con gli uomini, ma anche con le bestie. Difatti un giorno succedette che, avendo Regolo posto l'accampamento vicino il fiume Bragada, un serpente di ammirevole grandezza aveva attaccato l'esercito romano. Dicono che il serpente avesse acchiappato i militari con le enormi fauci o che li avesse schiacciati con il colpo della coda; che avesse ammazzato non pochi con il fiato orribile. Però non avevano potuto assassinare con un colpo di dardi il mostro, giacché allontanava agevolmente tutti le frecce con la durezza delle squame. Così Regolo, per liberare l'esercito dalla tremenda minaccia, usò le macchine da guerra e piegò il serpente con la balestra, che cadde gravato dal peso dei sassi. Ma il suo sangue avvelenò tanto il fiume e la regione adiacente che i Romani furono obbligati a trasferire l'accampamento. Regolo inviò a Roma la pelle dell'enorme creatura, lungo centoventi piedi.
Post Codrum nemo Athenis regnavit. Administratio rei publicae annuis magistribus permissa. Sed civitati nullae tunc leges erant, quia libido regum pro legibus habebatur. Legitur itaque Solon, vir iustitiae insignis, qui velut novam civitatem le gibus conderent. Quo munere ita functus est, ut et apud plebem et optimates, diuturnus antea dissidiis agitatos, parem gratiam. Huius viri, inter multa egregia, illud quoque memorabile fuit. Inter Athenienses et Megarenses de Salamine insula, quam sibi uterque populus vindicabat, prope usque ad interitum dimicatum fuerat.Post multas clades acceptas, Athenienses legem tulerunt, ne quis illud bellum reparandum proponeret. Solon igitur cum opportunitatem quandam vidisset insulae vindicandae, dementiam simulat, habituque deformis, more vecordium, in publicum evolat ; factoque concursu hominum, versibus suadere populo coepit, quod vetabatur; omniumque animos ita inflammavit, ut extemplo bellum Megarenses decerneretur, et devictis hostibus insula Atheniensum fieret.
Dopo Codro nessun altro governò ad Atene. L’organizzazione dello stato venne ceduta ai magistrati annuali. Però in quel periodo non vi era nemmeno una legge, siccome il giudizio dei sovrani era preso per legge. E così venne eletto Solone, uomo di importante giustizia, per far sì che creasse con le leggi una nuova città. E svolse quel compito così che accedette nei favori sia della plebe sia dei nobili, mossi prima da lunghe divisioni. Di questo uomo, fra parecchie belle imprese, fu indimenticabile pure codesta. Fra gli Ateniesi e i cittadini di Megara si era lottato sino alla devastazione per l’isola di Salamina, che ognuno dei due popoli reclamava. Dopo aver ottenuto parecchie sconfitte, gli Ateniesi mostrarono una legge, perché nessuno decidesse di preparare quella guerra. Solone, avendo trovato qualche opportunità vantaggiosa per reclamare l’isola, finge uno stratagemma, malfatto di sembianze, come un matto, va in pubblico e attratta una massa di uomini, iniziò a chiamare il popolo con carmina, siccome era impedito, arse allora gli spiriti di ognuno da essere convinta subito una guerra contro i cittadini di Megara e, vinti gli avversari, da diventare l’isola degli Ateniesi.
Darius in fuga, cum aquam turbidam et cadaveribus inquinatam bibisset, negavit se umquam bibisse iucundius. Numquam videlicet sitiens biberat! Nec esuriens Ptolomaeus ederat, cui peragranti Aegyptum, cum cibarius panis in misera casa datus esset, nullus cibus visus est illo pane iucundior. Quisnam tandem ignorat victum Lacedaemoniorum in philitis? Nam cum ibi cenavisset, tyrannus Dionysius negavit se iure illo nigro, quod cenae caput erat deletatum esse.Tum is, qui illa coxerat: " Minime mirum - inquit . condimenta enim defuerunt!". "Quae condimenta?" quaesivit Dionysius. "Labor in venatu, sudor, cursus ad Eurotam, fames, sitis ". - respondit ille - "His enim rebus Lacedaemoniorum epulae condiuntur!" . Nam uter cibus melior est? Obsonium optimum, cum cibum fastidimus, an panis atri frustum, cum fame enecti sumus?
Dario in fuga, dopo aver bevuto un’acqua torbida e inquinata dai cadaveri, disse che non aveva mai bevuto con più piacere. Certamente non aveva mai bevuto assetato! E nemmeno Tolomeo affamato aveva mangiato; dopo che dei pastori gli diedero del pane scuro in una capanna mentre lui viaggiava per l’Egitto, disse che quel pane era per lui più piacevole di tutti i cibi più dolci. Chi mai dunque non conosce il cibo dei banchetti pubblici degli Spartani? Infatti quando lì aveva cenato, il tiranno Dionisio disse che non gli era piaciuto il famoso brodo nero, che era all’inizio della cena (come portata principale). Allora colui che aveva cucinato quella disse: <Non è niente affatto strano, infatti sono mancati i condimenti> <Che condimenti?> chiese Dionisio. <La fatica della caccia, il sudore, la corsa all’Eurota, la fame, la sete> - rispose quello - <Con queste cose infatti sono conditi i banchetti degli Spartani!>. Infatti quale dei due cibi è migliore? la pietanza ottima, quando proviamo disgusto per il cibo, o un pezzo di pane nero, quando diamo sfiniti per la fame?
Cum Saturnus mundum regebat, hominibus vita felix ac beata erat. Tum nondum erant diversa anni tempora, sed ver perennis felices terrae incolas faciebat; lenes spirabant venti atque omnia florebant; terra inarata segetes ultro praebebat; amnes erant lactis et nectaris; ex arboribus flava mella stillabant. Neque vis vehementium tempestatum neque furor rapidorum fluminum neque densae grandines neque atrocia fulmina homines terrebant aut agros casasque vastabant.Homines pietatem atque iustitiam colebant; eorum animi neque discordia neque auri exsecrabili cupiditate torquebantur. Horrida arma, caedes, bella ignorabantur: ubicumque securae gentes beatum otium peragebant.
Quando Saturno governava il mondo, gli uomini avevano una vita felice e beata. In quel tempo non (vi) erano ancora le diverse stagioni, ma una perenne primavera rendeva gli abitanti della terra felici; soffiavano leggeri venti e tutte le cose fiorivano; la terra non arata forniva spontaneamente campi (seminati); i fiumi erano di latte e di nettare; dagli alberi cadeva gocce a gocce il biondo miele. Né la forza delle violente tempeste; né il furore degli impetuosi fiumi; né le fitte grandinate; né gli spaventevoli fulmini terrorizzavano gli uomini o devastavano i campi e le case. Gli uomini praticavano la virtù e la giustizia; i loro animi non erano piegati né dalla discordia né dall'esacrabile desiderio di ricchezza. Erano ignorate le orribili armi, le stragi, le guerre: ovunque i popoli, tranquilli, trascorrevano un beato far niente.
Non potui amplius quicquam gustare, sed conversus ad eum, ut quam plurima exciperem, longe accersere fabulas coepi sciscitarique, quae esset mulier illa quae huc atque illuc discurreret." Uxor, inquit, Trimalchionis, Fortunata appellatur, quae nummos modio metitur. Et modo, modo quid fuit? Ignoscet mihi genius tuus, noluisses de manu illius panem accipere. Nunc, nec quid nec quare, in caelum abiit et Trimalchionis topanta est. Ad summam, mero meridie si dixerit illi tenebras esse, credet.Ipse nescit quid habeat, adeo saplutus est; sed haec lupatria providet omnia, et ubi non putes. Est sicca, sobria, bonorum consiliorum: tantum auri vides. Est tamen malae linguae, pica pulvinaris. Quem amat, amat; quem non amat, non amat. Ipse Trimalchio fundos habet, quantum milvi volant, nummorum nummos. Argentum in ostiarii illius cella plus iacet, quam quisquam in fortunis habet. Familia vero -- babae babae! -- non mehercules puto decumam partem esse quae dominum suum noverit. Ad summam, quemvis ex istis babaecalis in rutae folium coniciet.
Non ho potuto gustare qualcosa di più, ma voltandomi verso di lui, per cogliere quanto più possibile, cominciai ad avvicinarmi da lontano al discorso e a domandare chi fosse quella donna che correva qua e là. Disse: “La moglie di Trimalcione, si chiama Fortunata, che misura il denaro a staia”. E poco fa che cos’era? Il tuo genio mi perdonerà (=lasciami dire), non avresti voluto ricevere il pane dalla sua mano. Ora, (non so) né che cosa né perché, è andata a finire in cielo ed è il braccio destro di Trimalcione. In breve, se gli dicesse che le tenebre sono in pieno giorno, (lui le) crederebbe. Lui stesso non sa cosa possiede, a tal punto è straricco; ma questa sgualdrina provvede a tutto, e non sapresti considerare fin dove. (Lei) è asciutta, moderata, capace di onesti consigli; vedi quale quantità d’oro. È tuttavia di lingua maledica, una gazza da guanciale (= donna pettegola). Chi ama, ama; chi non ama, non ama. Lo stesso Trimalcione ha dei possedimenti, quanti volano gli sparvieri, soldi su soldi. Nella cameretta del suo portinaio giace più argento, di quanto qualcuno ha in buone circostanze. Senza dubbio, per quanto riguarda la schiavitù – capperi! Non credo, per Ercole, che ci sia uno tra dieci che abbia visto il suo padrone. Insomma, potrebbe schiacciare in foglia di ruta chiunque tra codesti sciocconi.
Numquam humiliorum preces potentibus spernendae sunt. Circa leonem dormientem musculi petulantes cursitabant. Cum unus eorum dormientis caput casu offendisset, leo e somno excitatus, eum comprehendit. Iam devoraturus bestiolam, commotus est verbis eius, miserabiliter orantis ne interficeretur. Eum incolumem dimisit leo subridens. Paulo post, cum per silvam non satis caute erraret ad praedam vestigandam, in venatorum cum canibus supervenientium laqueos incidit leo.Frustra temptans se liberare, furibundus rugiebat. Tum musculus, qui rugientis vocem audiverat, celeriter accurrit et, cum eum irretitum vidisset, cui ipse vitam libertatemque debebat, grato animo laqueos, acribus dentius arreptos, corrosit et eum a canibus accurrentibus liberavit. Ita fera, cum iam moritura esset, praeclarunm habuit misercordiae suae praemium.
Mai i potenti devono disprezzare le preghiere degli umili. Attorno ad un leone che dormiva dei topolini insolenti correvano di qua e di là. Poichè uno di loro era per caso inciampato sulla testa di quello che dormiva, il leone, svegliato dal sonno,lo catturò. Quando ormai stava per divorare la bestiola, fu commosso dalle parole di lui, che lo pregava umilmente di non essere ucciso. Il leone sorridendo lo mandò via sano e salvo. Poco dopo, mentre vagava con non sufficiente attenzione per la foresta, per cercare una preda, il leone incappò in delle reti di cacciatori che stavano arrivando con i cani. Tentando inutilmente di liberarsi, ruggiva furibondo. Allora il topolino, che aveva udito il verso del leone che ruggiva, accorse velocemente e, avendo visto impigliato colui, a cui egli stesso doveva la vita e la libertà, con animo riconoscente rose le reti, afferrate con i denti aguzzi, e lo liberò dai cani che accorrevano. Così la belva, che ormai era sul punto di morire, ebbe uno splendido premio per la sua misericordia.
Finivit igitur Punicum bellum post XXIII annos, Romae iam clara gloria erat; itaque, Romani legatos ad Ptolomaeum, Aegypti doinum, miserunt et auxilia promittebant; nam dominus Syrae Antiochus bellum cum Ptolomaeo suscepit. Ptolmaeus gratias Romanis egit, sed auxilia a Romanis non accepit. Iam enim est pugna transacta. Tum, validus dominus Siciliae Hiero ad Romanorum oppidum venit; ibi ludos spectavit et multos modios tritici populo donavit. Tum etiam contra Lingustica oppida intra Italiam bellum gestum est et de Liguriae populis triumphatum est.Anno post de Sardis trimphatum est, et Romani nullum bellum habuerunt.
Perciò terminò la guerra punica dopo 23 anni, la gloria di Roma era ormai rivelata; quindi, i Romani inviarono legati da Tolomeo, sovrano dell'Egitto, e garantivano aiuti; difatti Antioco, sovrano della Siria, iniziò uno scontro contro Tolomeo. Tolomeo espresse gratitudine ai Romani, però non accettò gli aiuti dei Romani. Difatti lo scontro era già concluso. Così, Ierone, vigoroso signore della Sicilia, arrivò al bastione dei Romani, qua osservò i ludi pubblici e offrì molti moggi di frumento alla popolazione. Iniziò di nuovo una guerra contro i bastioni dei Liguri in Italia e si vinse sulla popolazione della Liguria. L'anno successivo si vinse sui Sardi e i Romani non svolsero altre guerre.
Mustela, praedae cupida, officinae ianuam apertam invenit, intrat et escam intus quaerit. Dum cunctas officinae latebras pervestigat, limam in tabula positam videt et lingua lambit, sed nullas delicias sentit nec inediam suam sedare potest. Tum lima stultam feram irridet et dicit: "Magnam stultitiam ostendis, avida mustela: cur enim in officina escam inter limas quaeris et frustra linguam tuam contra limam duram et asperam laceras? Hic nulla escae copia est, nec limis longam inediam tuam sedare poteris".
Una donnola, bramosa di bottino, coglie aperta la porta della bottega, accede e cerca dentro un'esca. Quando osserva tutte le parti celate della bottega, nota una raspa messa sulla tavola e la lecca però non prova nessun piacere né può fermare la sua fame. Allora la raspa beffa la stolta bestia e afferma: manifesti una grande stoltezza, ingorda donnola: siccome difatti cerchi un tesoro fra le raspe nella bottega e invano ferisci la tua lingua su una rigida e aspra raspa? Qui non c'è abbondanza di esca, nè potrai con le lime fermare la tua fame.
Dionysius syracusanus iocosa dicta sacrilegiis suis adiungere solebat. Cum fanum Locrense Proserpinae spoliavisset et per altum secundo vento classe veheretur, ridens amicis dixit: "Videtsine? Nonne bona navigatio ab ipsis immortalibus sacrilegis tribuitur?". Detraxit etiam Iovi Olympio magni ponderis aureum amiculum, quo eum ornaverat tyrannus Gelo, et ei iniecit laneum pallium exclamans: "Aestate grave est amiculum, hieme frigidum, laneum autem aptius ad utrumque tempus anni est".Idem Epidauri Aesculapio barbam auream demi iussit, quod non convenit, affirmabat, patrem Apollinem imberbem conspicere, filium ipsum barbatum. Idem tollebat Vittorias aureas et pateras et coronas, quae simulacrorum manus porrigebant: "Eas accipio, non aufero; stultum enim est non sumere ab his, a quibus bona exoramus, a dona quae ipsae nobis porrigunt".
Il siracusano Dioniso era consueto sommare frasi divertenti alle sue empietà. Avendo a Locri saccheggiato il santuario di Proserpina e dopo essere stato portato a largo da un vento benevolo affermò scherzando ai compagni:"magari non notate? Non è magari attribuita una buona navigazione dai medesimi dei immortali ai non credenti?" Rubò pure a Giove Olimpo un capotto d'oro di grande peso, con cui il tiranno Gelone aveva ornato quello, e a quello gli mise un capotto di lana affermando: "in estate è pesante il capotto, di inverno freddo, però questo di lana è più adeguato all'uno e l'altro periodo dell'anno". Il medesimo decise di tagliare la barba d' oro di Esculapio ad Epidauro, poiché non si addice, diceva, che il medesimo figlio barbato osservi il padre Apollo senza barba. In più rimuoveva le Vittorie d' oro, le ciotole e le corone, che porgono le mani delle statue: "le prendo, non le porto via, difatti è sciocco non prendere da coloro ai quali chiediamo beni, dai regali che a noi medesimi ci danno.
Scipio cum copiis, Uticae grandi praesidio relicto, profectus, primum Hadrumeti castra ponit, deinde ibi paucos dies commoratus, noctu itinere facto, cum Labieni et Petrei copiis coniungit, atque unis castris factis VI milia passuum longe considunt. Equitatus interim eorum circum Caesaris munitiones vagari atque eos qui pabulandi atque aquandi gratia extra vallum progressi essent, excipere. Ita omnes adversarios intra munitiones continere. Qua re Caesariani gravi annona sunt conflictati, ideo quod nondum neque ab Sicilia neque ab Sardinia commeatus subportatus erat, neque per anni tempus in mari classes sine periculo vagari poterant.Neque amplius milia passuum III terrae Africae quoquoversus tenebant pabulique inopia premebantur.
Scipione, partito con delle truppe, lasciato un grosso presidio a Utica, pone in principio un accampamento ad Adrumeto, in seguito trattenutosi lì per pochi giorni, viaggiato di notte, si riunisce alle truppe di Labieno e Petreio, e, dopo aver fatto un unico accampamento, si accampano lontano sei miglia. Nel frattempo i loro cavalieri vagavano attorno alle fortificazioni di Cesare e facevano prigionieri coloro che per foraggiarsi e rifornirsi d’acqua erano andati fuori dalla trincea. Così trattenevano tutti i nemici all'interno delle fortificazioni. Perciò, i Cesariani furono travagliati da una grave carestia, questo perché non erano ancora stati portati gli approvvigionamenti né dalla Sicilia né dalla Sardegna, e in quella stagione le flotte non potevano andare per mare senza pericolo. E non occupavano in ogni direzione più di tre miglia di terra africana ed erano oppressi dalla mancanza di cibo.